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ARCHIVIO
GLOTTOLOGICO ITALIANO,
FON DATO
C4. I. ASCOLI
NEL 1873, OKA CONTINUATO SOTTO LA DlltKZIOXK
DKI,
Prof. P. G-. GOIDÀNTOH
Ordinario di fjlottologia nell'Università di Bologna.
VOLLME DKCIMOSETTDU)
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TORINO
C'n«a Kditrioe
EKMANNO LOESCllKK
1910-1911-191:3
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Riservato ogni diritto cii proprietà
e di tradiazione.
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Torino — Stabilimento Tipografico Vikcknzu Bona.
SOMIVIARIO
Prefaràone ............ l'aij. i
Fu\ni;es(o D'Ovidio, L'oninipnionizione ili drazindio IsaÌK Ascoli, con
unii " Nota sulla questiono della lingua , di P. (ì. (Joidànum , 1
— — Commemorazione di Costantino Nigra . . . . . ,21
(nu.sKiTK M.M.Ac.ÒLi, Studi sui dialetti reggiani, con uno schizzo
cartografico del Comune di Novellara ....... '29
— — Studi sui dialetti i-eggiani {Continuazione) . . „ 147
Benvenuto Tkuka.cini, li parlare d'Usseglio, con 2 schizzi cartografici , 198
Varia :
I. Giuseppe Malagòi.i. Lai'ticolo maschile singolare nel dialetto di
Piandelagotti (Modena) , 250
li. P. G. GoiDÀNicn, 11 vocalismo di buono, bello e bene in proclisi
nel toscano ........... 255
Angelico Prati. Etimologie ......... 273
13. Terracin'i, ri parlare d'Usseglio {continuazione) . . . . , 289
GirLio Bertoni, Per la .storia del dialetto di Modena . . ,. 361
Angelico Prati, Etimologie „ 390
Varia :
I. Carlo Battisti. .Appunti sul dialetto letterario di Cles alla fine
del settecento .......... j, 437
II. Ce.sahe Poma, I cognomi monosillabici in Italia . . . . , 455
III. G. Bertoni, Glosse di Cassel, n° 114 ,472
IV. Alberto Traizzi, (ìli elementi volgari delle carte pisano finn
al sec. XII . . . . . . . , 475
V. G. Zaccagxim, l.'na denunzia di estimo in volgare pistoiese del
secolo XIII 488
Sommario
Appunti bibliografici:
Angelico Prati, Romanisches etymologisches Vorterbuch . . Pag. 49E
G. Bertoni, „ „ „ . . „ 505
P. G. GoiDÀNicH, Cenno necrologico su Emilio Teza . . . ^ 520
Indici del volume (P. G. Goidànich) ....... ^ 525
P. G. GoiDÀNicH, Postille a p. B19 320 321 328 843 844 350 351 368
364 366 367 868 371 873 374 375 378 381 385 390 395 402
404 406 407 409 410 411 430 476 478 479 480 481 497 498.
— Schizzi cartografici p. 32, 201, 202.
Quando assunsi l'incarico di dirir/ere /'Archi vio Glottologico
Italiano, solenìie dimoro mi parr^- che a tesser l'elogio dell' Ascoli
r del XiGRA, (/('/ (/rande Maestro di noi tutti e del geniale diplo-
matico e reputato scrittore anche di cose linguistiche, poco prima
scomparsi, fosse incitato il senatore Francesco D'Oddio, l'attuale
decano ^ degli studi glottologici italiani. E l'illustre uomo consen-
tiva che qui comparissero due discorsi commemorativi da lui detti
nella sua qualità di Presidente dell'Accademia dei Lincei. Sono,
come m'arrertiva il I/Ovidio, discorsi venuti di getto; ni" Vini-
provvisazione no)i ha nociuto certo alla sicurezza dei giudizi ; né
potevi nuocere in un uomo com'è il D'Ovidio, di sicura dottrina
e di prontissimo ingegno. i)i lui che aveva goduto di una diuturna
intrinseca comunione spirituale coi Commemorati.
Ancora aggiungo, <( evitare qualsiasi equivoco, che io assunsi
questa direzione di jfienissimo accordo col Salvioni, che, con tanta
sapienza, aveva diretto il voi. XVI.
^ Del D'Ovidio potrei penuettermi di dirmi scolaro anch'io, perché seb-
bene io non sia stato alla sua scuola da lui ebbi sapienti consigli e<l aiuti
nel mio primo lavoro di glottologia: " I plurali in ci e chi nel romanzo
toscano ,.
Archivio glottol. ital., XV'II.
PREFAZIONE
A Pio Rajna, fior d'intelletto e specchio di virtù,
celebrandosi il A'A'A' annirersario del Suo insegnuìnento.
I.
Per la critica e per la storia
della lingua letteraria contemporanea.
I.
Non senza nostro gran conforto possiamo ora riconoscere che
nella pratica della lingua letteraria, ed anche nei criteri sulla
delicata questione intorno ad essa, molto s'è progredito nel
nostro paese da cinquant'anni a questa parte. Ciò fu, è quasi
superfluo ricordarlo, per l'opera immortale del Manzoni e per
la fortunata concorrenza di condizioni e fatti politici e letterari
dell'Italia nuova ; ossia : per l'unità politica, l'assecondamento
dei Toscani (anche di quelli in apparenza ricalcitianti). il diffon-
dersi della cultura, la diffusione della stampa quotidiana con la
pleiade di giornalisti culti e geniali, l'opera sana e geniale di
critici, come il D'Ovidio, la produzione sempre miglior»' «li lessici
e di libri scolastici.
IV Archivio Glottologico Italiano
Parimente, a nostro gran conforto possiamo dire che mai come
in questa nostra età, per effetto della rinnovata coscenza nazio-
nale, è stato alto e diffuso il culto della lingua, e ciò fu ed è
per il nobile duplice scopo di raggiungere la precisione verbale
e di non permettere l'impoverimento o portare un arricchimento
lessicale della lingua nostra.
Ma, dopo questa confortante constatazione è pur lecito asserire
che il progresso non fu generale e che ora anzi ci troviamo
dinanzi a una grave crisi, sia nelle teorie sulla lingua lette-
raria, sia, per conseguenza, nell'uso pratico di essa.
Io voglio perciò richiamare in discussione il gran problema
della lingua letteraria e trattarlo e cercare di risolverlo secondo
il mio modo di vedere, secondo che le mie deboli forze me lo
permettano. Ciò faccio, qui, perché dalle considerazioni che andrò
esponendo uscirà quasi spontaneamente indicato e disegnato un
programma nuovo di studi per l'avvenire.
*
Considerando, nella nostra letteratura contemporanea, l'istru-
mento dell'arte, la lingua, il fatto che più impressiona è il
dover riconoscere qua e là che lo studio assiduo dell'espressione
trascini poi anche cospicui ingegni all'amore dell'espressione per
l'espressione o per la peregrinità di essa. Dal qual difetto do-
vrebbe l'artista rifuggire per la religione dell'arte sua: perché
non solo ogni so^'ta di maniera è la negazione dell'arte, ma
anche una sola forma usata per il vezzo che s'è detto, come
ha turbato la serenità dell' intuizione, così guasta la percezione
e il godimento anche di un meraviglioso concetto poetico.
Ma, passando da questa considerazione generale d'estetica a
considerazioni più precise di lingua, due tendenze possiam dire
che si notino nella nostra letteratura contemporanea, trascinanti
Prefazione v
l'una agli arcaismi l'altra ai dialettismi ; e lo fonti degli ar-
caismi sono due, i lessici e gli scrittori nostri antichi.
Che se noi volessimo darci una ragione storica di questi fe-
nomeni 0 condizioni letterarie non ci sarebbe difficile ricollegare
le tendenze dialettizzanti allo spirito dell'opera del Manzoni e
la tendenza arcaistica aihi vigorosa reazione del Carducci contro
i manzoniani. Ma su queste ed altre cause che han determinato
le condizioni attuali qui non è luogo d'insistere ; essendo l'in-
tendi mento di questo discorso quello di notare fatti, e implici-
tamente od esplicitamente suggerire rimedi.
Lasciando delle cause, dirò che né le fonti degli arcaicizzanti
— lessici e autori antichi — sono sempre di vena limpida e pura,
né la corrente dialettale scevra del tutto da perigliosi gorghi.
I lessici dovrebbero avere un ordinamento non disforme ideal-
mente dai musei in cui le opere sono via via disposte secondo
l'età, le scuole e i maestri, e in varia luce secondo il pregio loro ;
dovrebbero avere cioè i lessici un ordinamento filologico nel più
lato ed elevato senso della parola, ossia non solo storico, ma
stilistico e artistico ; ora, tali requisiti li suggerisce e gl'impone
il genio dell'età nostra ; invece molti dei nostri lessici si basano
su raccolte antiche di materiali messi insieme con curiosità di
glossatori. Perciò andrebbero consultati dai nostri scrittori con
le piii prudenti cautele.
Ne meno scevre di pericoli per i ricercatori di tesori lessicali,
sono le nostre scritture, spece le più antiche. È un grave e può
essere funesto inganno quello di credere proprio dell'italiano
antico quanto è in quelle scritture disforme dalla lingua attuale ;
vi è una parto che fu viva ed è pronta a tosto risorgere al
soffio vivificatore dell'artista, ma vi ha anche una parte inca-
pace e indegna delhi resurrezione ; sono provenzalismi, france-
sismi, latinismi o forme italiane imprecise che spece gli artefici
minori di quel tempo usarono alle volte per inerzia intellettuale
VI Archivio Glottologico Italiano
0 per poco di vigore dell'intelletto; deficenze delle scritture
antiche di cui non (jaudevano neppure gli uomini di quell'età ;
forme, che, o nacquero morte, o, per mancato suffragio dell'uso,
presto morirono.
A questo proposito dirò che va pericolosamente invalendo
presso i nostri scrittori l'abitudine di tradurre in linguaggio
antico 0 creduto tale (o in dialetto) l'italiano di personaggi di
età antica o di provinciali che s'introducono a parlare in opere
d'arte. Il qual partito non è certo nuovo ; fu usato questo non
poche volte anche in terra nostra, da Plauto al Manzoni : ma
con juicio. Secondo il canone dei moderni (il cui juicio in ma-
teria veramente è così poco che l'affettazione degli arcaismi
passa dai loro personaggi per uno strano contagio anche alle
parti didascaliche o nell'espressione individuale lirica dell'opera
loro) dovrebbero parlare in latino, greco, tedesco, francese, e
magari in tedesco dei Nibelunghi e in francese della Canzone
di Rolando, i personaggi delle opere letterarie che avessero per
teatro quelle regioni e per attori uomini di quelle età. Se cosi
avesse creduto di dover fare Dante noi avremmo invece di una
Divina Commedia semplicemente una commedia. Giovanni Pascoli,
per dir d'un grande modernissimo, ha saputo esprimere in schietta
lingua nostra le sue alte mirabili ispirazioni classiche dei Poemi
Conciviali. Gli alessandrinismi invece smorzano la fantasia del
poeta, non infiammano il cuore dei lettori ; l'espressione verbale
non è che la manifestazione poetica dei fantasmi artistici, a
quel modo che il divino linguaggio universale, la musica, ne è
la manifestazione musicale.
Non meno pericolosa è la fonte dell'espressioni dialettali. Si
sa come si giustifichino. Si dice : l'arte dev'essere l'espressione
sincera genuina immediata dell'intuizione artistica. E sta bene.
Ma, se è vero che l'essenza dell'arte sta nel suo contenuto ideale
di bellezza, non è men vero che essa ha nascimento solo ijer
Prefazione vn
divenire nn fatto sociale e solo nella società trova il suo respiro
di vita ; il poeta solo quando non ò contento dell'opera sua ne
fa sacrifizio e dispettoso sacrifizio al Dio del Fuoco.
Onde, dell'arte dialettale in genere si potrebbe dire che la
ristrettezza dell'ambiente politico quasi inevitabilmente porta a
restringere l'orizzonte artistico e che una grande concezione
artistica spontaneamente e quasi inevitabilmente porta l'artista
a scegliere tra due parlari ch'egli possieda, quello che è d'uso
universale nel paese nel quale egli vive. Mutate le proporzioni,
lo stesso va ripetuto delle espressioni singole. Le più belle in-
tuizioni poetiche, le più genuine espressioni di esse resteran
mute alla nazione quando alla più parte di essa sfuggirà il
valore del vocabolo e con ciò il valore del fantasma artistico.
Vi è poi anche una pratica che consiglia a non attingere
vocaboli a fonti diverse da quella onde scaturì lidioma nazio-
nale : vocaboli etimologicamente affini od identici si trovano ad
avere un'accezione diversa in diverse regioni d'Italia ; onde
ove invalesse il vezzo dell'espressioni dialettali si finirebbe a
una Babele.
Ma, contro le immistioni dialettali nella lingua letteraria vi
è nel nostro paese una reazione generale, e così forte che da
inesperti vengono evitati anche vocaboli di uso italiano perché
son ritenuti propri solo del dialetto ; e, sia detto di passata, io
credo che in questa eliminazione non entri affatto come causa
la rettorica, credo ch'essa provenga da un nobilissimo sentimento
estetico, da ripugnanza verso le forme ibride, sentimento natu-
rale anche se in molti svegliato solo dall'educazione, sentimento
che è una delle tante manifestazioni della genialità del paese
nostro. —
Più delicata è, o pare, a primo aspetto la quistione sui diritti,
per dir così, delle varie regioni toscane a contribuire alla costi-
tuzione del patrimonio linguistico nazionale e del grado di
vili Archivio Glottologico Italiano
nobiltà di esse in fatto di lingua in confronto al dialetto fio-
rentino.
Io ho detto nella nota aggiunta all'articolo del D'Ovidio (p. 16),
che la quistione della lingua è quistione eminentemente pratica
che risolve caso per caso l'illuminato arbitrio dell'artista ; che solo
di tendenze si può parlare e consigliare quella che nella pratica
abbia sortito l'effetto migliore. Ora quando si tratta o di ar-
caismi 0 di dialettismi non toscani l'esercizio di una geniale
selezione è o abbastanza facile o molto facile.
Bisogna invece dire che quando si tratta di dialettismi toscani
la quistione del si può o non si può deve apparire necessaria-
mente insolubile ; e insolubile credo anch'io ch'essa sia empiri-
camente ; ma una pronta chiara spontanea risoluzione ne avremo
appena posta la discussione su un fondamento scientifico. Se-
guendo lo stesso metodo critico che ho già adottato nello studio
delle coincidenze fonetiche in territori neolatini {Orig. Dittong.
Boni., p. 28 sgg., 126 sgg., 186 sgg.) e nella classificazione dei
dialetti italiani (/è., p. 128 sgg.), io metto a fondamento anche
dello studio della nuova questione la considerazione delle condi-
zioni geografiche e storiche della Toscana ; e questa mi porta alla
risultanza, secondo me chiarissima, che la prevalenza del fioren-
tino da una parte e l'inferiorità delle altre regioni toscane dal-
l'altra in fatto di dignità di lingua fu ed è una conseguenza
fatale appunto delle speciali condizioni geografiche e storiche di
questo paese.
Giace Firenze nel bel mezzo della Toscana e al suo territorio
fan corona continua per estensioni pressocché uguali, da sud
ad ovest e a nord, l'Aretino, il Senese, il Pisano, il Lucchese ;
ad est serra il territorio toscano sopra Firenze l'Appennino,
geograficamente ed etnicamente, ma Firenze soverchia la bar-
riera orografica, nelle valli del Santerno, del Senio, del Lamone,
del Eabbi, del Konco, del Savio.
Prefazione ix
Al principio del medio evo la parte appennina di questa re-
gione aveva avuto una certa unità politica ; a partire dall'ori-
gine del comune, e piìi vigorosamente dal '200 in poi, andò
Firenze estendendo la sua signoria sulla rimanente Toscana ;
a metà del '500. il ' Ducato di Firenze ' possedeva un territorio
corrispondente alle attuali province di Firenze, Arezzo, Siena,
Grosseto, Pisa, Livorno. Solo nel 1817 il Ducato di Lucca ve-
niva aggregato alla Toscana.
Basta aver esposto così queste condizioni geografiche e sto-
riche perché il problema della nostra lingua letteraria sia ra-
zionalmente risoluto, come una conseguenza fatale delle condi-
zioni storiche e geografiche, a favore del fiorentino.
Il territorio di Firenze, come è chiaro, era circondato da nuclei
etnici omogenei che lo difendevano da ogni parte con barriere
unuine ^ contro le forti immistioni dialettali : a sud contro gli
Umbro-romani, e a nord contro i Rivieraschi e i (Tallo-italici.
A est, dove il fianco toscano del fiorentino non era coperto
da tali barriere etniche, s'alzava la barriera naturale dell'Ap-
pennino, così potente impedimento in questa parte alle infiltra-
zioni dialettali che la Romagna toscana è rimasta linguistica-
mente romagnola, non ostante che l'edificazione di Firenzuola
rimonti al 1332 e l'acquisto di Rocca San Casciano al 1382.
Mentre così Firenze era difesa da barriere etniche omogenee
o da barriere naturali, la sua supremazia politica sulle altre
regioni toscane doveva inevitabilmente esercitare anche sugli
altri dialetti una potente azione assimilatrice, spece nel lessico.
Fi così in effetto si veniva creando fra noi, all'opposto di quanto
un genio ebbe ad affermare e molti poi a ripetere, una condi-
zione linguistica simile non a quella della (Germania, ma a quella
V. Ditlonjaz. roin. 1. sopra cifc.
X Archivio Glottologico Italiano
della Francia ; Firenze era divenuta la Parigi della Toscana, il
fiorentino la sua ' Ile de France '. e il Toscano, fatto così vasto,
la lingua nazionale d'Italia ^
Tutt'altra era ed è la condizione di ogni altra provincia to-
scana, che tutte le altre province, e piìi precisamente le pro-
vince di Arezzo, Siena, Pisa e Lucca non sono confinanti che
a due a due fra loro, né ebbero lungamente, od hanno l'una
sull'altra alcun diritto di supremazia : quindi era reso difficile,
per queste sfavorevoli condizioni geografiche e storiche, il sor-
gere di un compatto nucleo dialettale che potesse lottare vigo-
rosamente e vittoriosamente contro la forza invadente e sover-
chiante del fiorentino. Inoltre, e questo è ciò che più importa,
ai loro margini o meridionali o settentrionali erano esse regioni
in contatto con elementi dialettali eterogenei dal toscano ; onde
non solo la possibilità ma l'inevitabilità dell'immistione dialet-
tale in queste zone, spece poi ai margini settentrionali del
Lucchese, dacché Lucca, come s'è ricordato, è aggregata alla
Toscana appena dal 1847.
Da ciò risulta chiaro che un non toscano, il quale venisse dal
proprio paese circostante in uno di questi territori marginali
della Toscana e ivi, com'è inevitabile, trovasse consonanze per-
fette tra forme sue native e l'adottiva e per tale coincidenza
giudicasse italiana una tale forma, cadrebbe senza volerlo o
* Nel parallelo si potrebbe seguitare con parecchie altre considerazioni.
Io scelgo di nuovo argomenti storici e geografici. Quando l'astro dei mag-
giori Trecentisti cominciava a illanguidire al fulgore del classicismo, Firenze
invece restava in auge : i Fiorentini erano, come li aveva definiti Boni-
fazio Vili, il quinto elemento del mondo. D'altra parte la posizione geo-
grafica della Toscana, l'essere nel centro d'Italia, doveva fatalmente por-
tare che essa fosse come il cuore di nostra lingua; un Settentrionale e un
Meridionale, per dirla in breve, capiscono bene o assai bene un Toscano,
fra loro s'intendono poco o affatto.
Prefazione xi
saperlo in una serie di equivoci storici ; perché con argomenti
di geografia dialettale si può spesso dimostrare che la discon-
tinuità tra il toscano centrale e i suoi margini, e la continuità
tra queste zone e i territori alloglossi non dipende già da obli-
terazione avvenuta nel centro della regione di una forma antica
italiana, ma d'uno sconfinamento di una forma })ropria di dia-
letti non toscani contigui in territorio geograficamente toscano :
insomma : i confini geografici e i confini dialettali non sempre
coincidono : il tale o tal altro vocabolo, la tale o tal altra forma
non hanno acquistato il diritto di cittadinanza toscana per aver
colonizzato un piccolo segmento di territorio geograficamente
toscano ; non <3'è, per es., tra un dialettismo emiliano e un dia-
lettismo emiliano-lucchese alcuna dift'erenza di nobiltà.
Cotali differenze tra dialetto toscano e italiano comune sono
tanto più notevoli nel lucchese che altrove, in quanto la sepa-
razione politica del Lucchese rendeva men frequenti che altrove
i rapporti civili col Fiorentino : e sono più sensibili qui le dif-
ferenze, in quanto i dialetti del nord sono ben più dissimili
anche per il lessico dal lessico toscano, e quindi italiano, che
non siano i dialetti centrali non toscani.
Ma la stessa causa storica ora detta, della tarda annessione
del Lucchese alla Toscana produceva anche un altro genere di
differenze dialettali, ossia differenze per creazioni spontanee, e
non per accatto. Ora, anche e soprattutto su tali forme riesce
incerto ogni giudizio ove si tratti la quistione empiricamente :
posta invece in campo e in onore la ragione storica, ecco come
si dimostra spontaneamente eterogenea dal toscano, e quindi
dall'italiano, luna e l'altra forma, anche se sorta entro i confini
geografici della Toscana.
Vero è che anche nel Fiorentino s'è andato creando un dia-
letto plebeo che per certe sfumature fonetiche e sintattiche, piìi
che verbali, divt-rge dal linguaggio letterario, dalla lingua che
XII Archivio Glottologico Italiano
il fiorentino colto o non userebbe mai o che solo userebbe, con
baldanza da parigino d'Italia, in scritture non togate od acca-
demiche : qui la soluzione è ovvia, tanto agevole che essa av-
viene di fatto ed è inutile indugiarsi a raccomandarla. Ma le
differenze lessicali tra la lingua dell'uso nelle persone colte di
Firenze e la lingua letteraria sono cosa poco più frequente che
meraviglie, quali l'anello ... di Gige (a buon intenditor ..., pa-
role oscure !) od altre simili preziose rarità. Eppoi, ciò che è
proprio del toscano centrale e oggi è disforme dalla lingua
letteraria sarà letterario domani. È fatale che sia così ; vuol
cosi il buon fato della lingua nostra e della nostra nazione.
II.
Tanto per fare un esempio io ricorderò qui vari sinonimi di
cesta. L'esempio potrà parere un po' curioso ; e devo dunque
aggiungere che mi ci son fermato perché mi offriva modo di
riconsiderare praticamente il problema da tutti i lati con molta
brevità. Il toscano ha anche per arnesi come cesta una ricchezza
di vocabolario veramente singolare. Eccoli :
Paniere, arnese di vetrici generalmente bislungo con un
coperchio o due, ma per lo più senza, e con un manico {panie-
rino, panierone, panieretto).
Paniera, specie di cesta chiatta e bassa di vetrici {panie-
rina, panierona, panieretla).
Corbello^ recipiente di stecche fatto a campana ma colla
bocca meno aperta e quasi della stessa larghezza del fondo.
Corbella, corbello grande.
Canestro, paniere fatto di stecche.
Canestra, specie di paniera.
Corba, cesta bislunga di vimini o di stecche.
Prefazione xin
Cesta, arnese grande con sponde alte fatto di stecche di
castagno per portarci dentro roba ; arnese dove si trasportano
o si tengono coperti i polli.
Cestino, arnese col quale s'insegna camminare ai bimbi.
La lista è volutamente incompiuta, per il nostro scopo es-
sendo sufficente il materiale riferito.
Passiamo gli Appennini. 11 ' cestino ' dei bimbi si chiama in
provincia di Bologna paniron, a Bologna anche paniraun ; pa-
niraun chiamano a Bologna, per es., anche la ' cesta da viaggio '
a uso di baule : chi dicesse in Toscana d'aver messo il bimbo
nel panierone -ìdiVQhhe ridere, e farebbe spalancare gli occhi dalla
meraviglia chi raccontasse di non viaggiar piìi con tante valigie
come prima, ma di metter la roba da viaggio in un panierone ;
un bolognese non si perita di chiamare panierone anche il
corbello : s'egli mandasse dal corbellalo toscano a comprare un
* panierone ', la serva gli porterebbe a casa, invece del corbello
per la spazzatura, un gran paniere.
Parimente, un bolognese del contado che usa cordg, cordga,
corga per il toscano cesta, farebbe ridere il toscano cui egli chie-
desse un cordico, una cordica, per chiedergli una cesta ^ E cosi
andando la nostra lingua diventerebbe la piii allegra del mondo.
Ma, ripeto, è comune e sicuro giudizio di tutti gl'Italiani che
codesti vocaboli comuni al toscano e ai dialetti s'abbiano da
' Un'idea della confusione che c'è nel bolognese in questi termini si può
averla dalla definizione che il solertissimo Ungarelli dà di cavagn e di cordg,
cordga. * cavagn, canestro di vimini manicato „, mentre il canestro non è
mai fatto di vimini ma di stecche ; " cordg, cesto, sorta di paniere senza
manico , ; il paniere non è mai senza manico ; la possibilità di vedere qui
solo una definizione non felice è esclusa dalla definizione di cordga, ib.
* Cordga = Paniere : specie di gabbia cilindrica formata di vimini , : come
si vede, qui si dà addirittura come corrispondente di corga in italiano Pa-
niere, mentre dalla definizione risulta che è una cesta.
XIV Archivio Glottologico Italiano
usare nell'accezione in cui si trovano presso i Toscani, e che non
s'abbiano da usare termini dialettali quando il toscano ha per lo
stesso concetto un termine suo proprio.
Istruttive in altro senso e per più sensi ci saranno un'altra
serie di parole esprimenti concetti simili a ' cesta ' : cavagna,
cavagna, capagna, che troviamo in dialetti toscani o addirittura
nel vocabolario italiano.
Caoagno fu portato nei lessici italiani dal Gherardini, che lo
trasse da rime burlesche di Messer Bino \ La Crusca pruden-
temente non l'accolse ; sì altri vocabolaristi ; e il Manuzzi lo
definisce ' cesta, paniere ', il Fanfani e gli altri, idem.
Mentre sempre i Toscani distinguono con precisione la cesta
dal paniere, questo cavagno non sarebbe ' ne carne ne pesce '.
Basta per metterci in sospetto. D'onde è tratto questo cavagna?
' Paniere in genere ', dà anche il Petrocchi come significato della
voce nel linguaggio letterario, e poi aggiunge di suo : ' term.
mont. pist., cesta per fieno, foglie, polli, ecc. '. Nel dialetto vivo
significa dunque ' cesta '. Nel lucchese montanino, in Val di
Lima, s'usa, secondo le indicazioni del Nieri {Voc. Lucch.), anche
cavagna e significa ' cesta da portare in capo ' ; e rimanda il
Nieri a capagna, che è definita ' cesta tonda e fonda molto per
portare roba grossolana come concime, foglie, erba e simili '.
11 Nieri da me interrogato mi rispose che la voce è in uso
nel territorio di Castelnuovo di Garfagnana ; che nel piano co-
munemente si chiama cesta; l'Anon. Fior., nel commentare quel
bruttissimo " la speranza ringavagna „ dantesco [Inf., XXIV;
in rima ! Si rie. Parodi, Boll. Soc. Dant., Ili), dice : " gavagne
^ È Giovai! Francesco Bini vissuto nella P metà del '600 e autore di
pochi capitoli berneschi. Visse fuori di Toscana e fece i suoi studi a Carpi
dove avrà anche conosciuto il cavagno. Le notizie predette le ho attinte
dal Mazzuchelli.
Prefazione xv
sono certi ' cestoni ' che fanno i villani, sicché ' ingavagnare '
non vuol dire altro che incestare.
Il toscano comune ha dunque per questo termine dell'Appen-
nino 0 una denominazione sua propria o meglio il mezzo di de-
signare esattamente, secondo il suo genio linguistico, l'oggetto
simile ma non del tutto conforme a quelli in uso. Dunque in
questo caso nessuna necessità di ricorrere alle forme dialettali.
Ma questi stessi esempi ci servono a illustrare altri due fatti
che sopra si sono ricordati : i pericoli dei vocabolari e la non
coincidenza tra confini geografici e linguistici della Toscana.
Donde è venuta sull'Appennino lucchese e pistoiese questa
famiglia di nomi ? I settentrionali lo sanno : dal nord. Proba-
bilmente il centro dell'irradiazione fu, almeno per l'Italia ^ il
Piemonte, perche' qui cacagn e cavagna sono d'uso generale anche
cittadinesco, quindi devono avere un'età più antica ; in Lom-
bardia s'usano pure^ ma non nel Veneto, neppure a Verona più,
quindi la Lombardia si trova alla periferia di questa ' isoglossa ',
e nell'Emilia è pure usata la voce, ma è contadinesca, non cit-
tadina. Sono dunque cacagno e cacagna nomi dialettali che di
' In francese, è sfuggito ai linguisti, c'è cabas collo stesso significato di
' cavagne ' ; il Du Gange ha cabassio, cahassiis ' piscina, corbis ' ; qui credo
anche fr. cabaret; cabas e cabaret per ragioni fonetiche paiono imprestiti dal
sud; e se, come credo, cabas e cabaret sono etimologicamente connessi con
' cavagna ', il centro d'irradiazione di questa base sarebbero le Alpi occi-
dentali. In Romagna ' cavagliene ' significa il ' pagliaio con lo stollo ' : in
uno statuto perugino citato dal Du (Jange si trova cacaglonem accanto a
faldatam, che vale 'fascio', e corbellatam. Io credo quindi che una certa
relazione con ' cavagno ' l'abbia anche il ' cavagliene ' ; \\l' potrebbe essere
per dissimilazione : sarebbe, in origine, il ' contenuto di un cavagnone ' ; con
tutto ciò mi par difficile che il vocabolo abbia avuto vita a Perugia proprio,
per considerazioni di geografia dialettale; conviene notare che il passo ri-
ferisce multe comminate per furto d'uva, varie, secondo l'entità del furto ;
e dice che chi n'avrà rubato un cavagliene, una faldata, una corbellata
XVI Archivio Glottologico Italiano
poco hanno scavalcato l'Appennino ; sono vocaboli dialettali
stranieri alla Toscana su territorio toscano, inquilini non citta-
dini toscani. Anche nella loro condizione, fonetica, capagna e
gaoagna portano il marchio dell'ibrido.
Ma v'ha di piìi : ' il cavagno ' è in tutta l'Italia settentrionale
sempre manicato, è nient'altro che ' il paniere ' ; e la cavagna,
almeno in Piemonte, non è altro quasi che un cavagno con due
manichi, il cestino per la spesa; passando l'Appennino per giun-
gere su territorio geograficamente toscano son divenuti equiva-
lenti a cestone, cesta. Onde in realtà coll'usarli mentre si pre-
tenderebbe di arricchire la lingua si aumenterebbe, più che la
lingua, la confusione : col bel costrutto, per il sollecito autore,
d'esser dileggiato dagli stessi provinciali possessori del tale o
tal altro vocabolo per quel ricordato senso estetico, che è la
ripugnanza verso le forme ibride.
Veniamo ai vocabolari. La voce cavagno fu pescata fuori dal
Gherardini ; il trovarsi come un ànac, eìq. in un rimatore bur-
lesco non può consentirci ancora di usarlo in scrittura seria,
neppure per la rima, non ostante il ringavagna dantesco che —
pagherà dieci soldi di multa. Ora, supposto che tali misure fossero state
uguali, siccome l'uva si compra a misure, ma... si ruba approssimativa-
mente, era inutile riferire tutti quei termini per indicare poi una mi-
sura unica ; e se indicavano misure diverse la multa sai'ebbe anche stata
diversa. Onde io credo che con quei vari termini si riferiscano denomina-
zioni di misura di capacità presso a poco uguale in uso in una o in altra
0 in una terza regione del territorio perugino ; e il ' cavaglione ' potè essere
stato in uso presso gli Appennini; nel '300 quasi tutt' Umbria era soggetta
a Perugia. — Parimente non credo, e di nuovo per ragioni di geograBa
dialettale, che sia indigeno il ' caragnu ' in Sicilia ; l'avranno portato i
Gallo-Italici ; ciò confermerebbe il fatto che, come appare dal confronto
del Vocabolario di Piazza Armerina con gli altri tutti di Sicilia, presso i
Gallo-italici il vocabolo è piìi vivo, piìi ricco di derivati, ed ha il signifi-
cato piemontese.
Prefazione xvii
per virtù di selezione I II fatto è degno di nota per i nostri
grandi contemporanei — non t'n mai ripreso. Di piìi la defini-
zione che vocabolari danno di caragno è inesatta. 'Cesta' e
'paniere' sono due oggetti assolutamente distinti in italiano;
la confusione nel caso presente è provenuta dal fatto che il
Gherardini non aveva nel suo dialetto la voce paniere e quindi
non era in grado di conoscerne esattamente il signiticato ; dal
Gherardini l'inesattezza passò poi al Manuzzi e agli altri. Ecco,
dunque, che senza uscire da questa famiglia di vocaboli noi
possiamo dare un esempio dei ])ericoli che preparano i vocabo-
lari a studiosi non guardinghi.
E pure, senza uscire da questa famiglia di vocaboli, possiamo
dar un esempio delle differenze avutesi per elaborazione spon-
tanea del vocabolario italiano tra lucchese e il toscano centrale :
il ' cestino ' da bimbi si chiama così non solo a Firenze ma anche
a Pisa : a Lucca non più così, ma eestone.
E se stessimo a sentire i Lucchesi ne sentiremmo delle belle.
Dalle due glosse che immediatamente precedono la glossa ' ce-
stone ' impariamo che i ' ficcanaso '. i ' pettegoli '. o ' pettego-
loni ". 0 ' entranti ', come si chiamano nella Toscana centrale,
coloro che raccolgono, come si dice, le ' ciarle ', i ' pettegolezzi ',
le ' chiacchiere ', coloro che ^ s immischiano '. ' mettono il naso '
nei ' segreti ', nei ' fatti ', negli * affari ' degli altri (qual ricchezza I),
si chiamano ' cessoni ', perchè mettono il naso nei degli altri.
A scanso d'equivoci conviene ricordare che ' cessi ' vuol dire
* recessi ' ; ma via I... Eppure, l'esempio non è cercato. Non tutti
sono... così I Ma intanto, sempre nella stessa colonna, troviamo
cerae/ia e ceragio, cerchiale per ' correggiato ', cercino per ' cer-
cine'. e accanto ad esso nella glossa per 'cercine' pure co?'o//o
e sacca poro, cerino per ' torcetto '. Mi par che basti.
Così seguitando non sarebbe difficile raggiungere i)resto il
grande ideale di faie della lingua nostra la lingua più babelica
Archivio Klottol. ital., XVII. u
Archivio Glottologico Italiano
e divertente (o ' divertita ', come correggerebbe subito un na-
poletano) del mondo.
III.
A che questo lungo discorso, qui ?
Certo non per fare il parallelo al Proemio dell'Ascoli ; tali
atti d'immodestia non sono nelle mie abitudini.
Ma l'Archivio vuole d'ora innanzi occuparsi non solo di que-
stioni dialettali, ma anche di questioni attinenti alla lingua let-
teraria e promuovere intorno ad essa studi scientifici, metodici
e sistematici ; a questi studi il mio discorso ha voluto essere
come un'introduzione ; ha voluto cioè mostrare i vantaggi che
da studi scientifici sulla lingua possono derivare anche all'arte ;
la quale deve disdegnare ciò che fu ed è ibrido ; non si tratta
di purismo ; gli spilliti aperti devon fare buon viso a voci e
dialettali e straniere per esprimere cose o concetti che non
abbiamo, o che in Toscana non hanno ; ma piìi oltre, no ; non
si tratta di purismo, si tratta di unità, il che vuol dire perfetta
organicità di vita.
Il mio discorso ha dunque voluto essere un'introduzione a un
programma di studi metodici e scientifici sulla nostra lingua
letteraria contemporanea.
Il mio programma è, subito, e sicuramente tracciato e pre-
cisamente definito cosi : esame analitico delle opere pubblicate
dopo la proclamazione del Regno d'Italia dal punto di vista del
lessico (eventualmente della grammatica), e sintetico, con oppor-
tuni esempi illustrativi, degli atteggiamenti del periodo ; esame
dagli stessi punti di vista, delle effemeridi pubblicate a Roma,
Palermo, Napoli, Bari, Firenze, Bologna, Venezia, Trieste, Mi-
lano, Torino, Genova, Cagliari e in altri centri minori di vita
Prefazione xix
provinciale, durante la prima decade della nostra èra italiana
e durante la prima decade dei cinque decenni successivi.
La data della proclamazione del Regno d'Italia è scelta non
solo per la solennità e santità sua, ma insieme e principalmente
perche dal benedetto anno s'inizia quel nuovo vigor di vita, quel
meraviglioso risveglio di ogni attività, che ha dalle basi rinno-
vata la nostra vita politica, economica, sociale, intellettuale ;
da quell'anno per la grande rapida diffusione della cultura^ per
la intensità e moltiplicità delle discussioni quotidiane, è comin-
ciata anche un'era nuova per la nostra lingua.
L'esame della stampa quotidiana a decenni d'intervallo e dei
centri principali di vita nazionale, è proposto per la considera-
zione che essendo redatte le effemeridi currenti calamo e da un
nucleo di persone, sono assai bene atte a dimostrare per ogni
luogo nel ceto superiore il grado di conoscenza e di diffusione
della lingua e delle movenze del periodo ; in questo genere let-
terario potremo meglio che in ogni altro studiare le tappe del
progresso trionfale della riforma manzoniana, gli influssi dei
manzoniani, della reazione antimanzoniana, in parte anche della
tendenza arcaistica, e i progressi della cultura in fatto di lingua.
Gli studiosi che volessero assumere il Compito di questo esame
lo limiteranno od estenderanno per città non per epoche, uscendo
dai limiti locali solo in rari casi ; cioè per seguire le evoluzioni
linguistiche di qualche giornalista geniale.
Quest'accenno mi porta anche a toccare della prudenza che
occorre nel servirsi delle fonti giornalistiche ; i giornalisti viag-
giano. Tuttavia lo stabilire la paternità per lunghi periodi delle
singole parti del giornale e con ciò la provenienza degli scrit-
tori è men diffìcile di quanto a primo aspetto non possa parere.
per i ricordi vivi del recente passato ; e molto frequentemente
poi si troverà affidata a paesani la cronaca cittadina, che è
anche la più copiosa e limpida vena di fatti linguistici tipici.
XX Archivio Glottologico Italiano
L'esame del lessico anche negli autori deve essere di necessità
analitico ; il dire : il tale autore propende agli arcaismi o ai dia-
lettismi, è dir poco e poco chiaro ; bisogna dimostrarlo ; di più,
non è raro il caso che uno stesso autore sia gravemente affet-
tato in un'opera e naturale in un'altra ; di più, queste ricerche
oltre che a giudizi sintetici sugli autori devono mirare ad uno
studio ragionato completo del lessico nei nostri giorni.
Dal discorso che precede è pur chiaro il metodo che s'ha da
seguire in queste ricerche.
Se la fonte lessicale (ed è anche questa molto più facile a ri-
trovarsi che non si crederebbe) è antica, bisogna esser sicuri del
vero significato della voce nella fonte, esser sicuri che l'autore an-
tico non abbia usato il vocabolo in un'accezione che non gli era
propria e da che fonte l'abbia esso attinta ; bisogna considerare
se lo stile dell'antico convenga con lo stile del passo moderno.
I vocabolari registrano per es. anche voci di conio individuale
dei nostri autori comici ; per assumere di tali vocaboli bisogne-
rebbe per lo meno che la situazione drammatica del moderno
fosse identica a quella dell'antico ; e sarebbe poi sempre un'imi-
tazione di cattivo gusto.
I vocabolari d'arti e mestieri sono pure pericolosi, perché
ibridi per aver fonti diverse di tempo e di luogo ; qui anzi è
quasi tutto da fare col sussidio di studi di geografia dialettale
moderna, ossia dell'estensione che hanno oggi in Toscana certi
vocaboli.
Se invece la fonte lessicale è moderna è da indagare la geo-
grafia dialettale del vocabolo, da ricercare eventualmente il suo
corrispondente nella Toscana centrale.
E tanto per gli arcaicizzanti quanto per i dialettizzanti bi-
sogna concludere su questo dilemma : se una ragione dell'arte,
come l'amore della precisione, o se non invece il capriccio del
momento, l'amore della singolarità o la pigrizia e la non cono-
Prefazione xxi
scenza del vocabolo propriamente toscano abbiano indotto l'au-
tore ad usare della voce fuori d'uso e non in uso.
Nello .studio della collocazione delle parole e degli atteggia-
int'iiti del periodo si dovrà naturalmente per amore di brevità
esser parchi di esempi, ma confortare la frequenza di certi schemi
osservati con citazioni dell'opera, dell'edizione e della pagina.
Queste indagini sul periodare devono avere esse pure in mira
due fatti diversi : uno di natura linguistica, l'altro di natura
stilistica.
La stentatezza del periodare, il fare latineggiante (il che si-
gnifica non italiano) nella collocazione delle parole e simili difetti,
sono oggetto della critica linguistica.
Ma s'incontra qua e là nei nostri autori anche nel periodare
quel fatto strano sopra notato a proposito del vocabolario : che
il periodo di maniera s'adoperi anche colà dove non può essere
consentito ; così, per es., se le reticenze sono consentite nel dia-
logo non sono più consentite nella parte espositiva che intra-
mezza il dialogo nell'opera stessa, in quella parte, cioè, dove la
persona dell'autore è quella di un osservatore obiettivo.
Io sono convinto che studi siffatti sulla lingua e lo stile del-
l'ultimo cinquantennio, oltre ad avere un valore scientifico, sto-
rico e filologico, dovranno, perché destinati ad una cerchia larga
di persone eulte, apportare un benefizio anche al magistero del-
l'arte, abituando gli autori a un'autocritica con i ragionari scien-
tifici assolutamente sicuri, che sopra si sono esposti.
Quando questo programma fosse compiuto altri io ne verrei
proponendo sulle età via via precedenti. Questo sistema di prò-
XXII Archivio Glottologico Italiano
cedere a ritroso nel tempo cominciando dall'età attuale mi pare
quanto mai utile a un sicuro orientamento e un potente stimolo
alla curiosità : appreso per una documentazione continua quel
che linguisticamente siamo e come siam venuti alle condizioni
presenti, sarà chiaro e bello l'abozzare le fortune varie della
nostra lingua in tuttltalia fino al suo nascimenlo.
Il desiderio d'eseguire la prima parte del programma qui
sopra delineato, non implica che io abbia a non accogliere scritti
maturati sulla lingua di età precedenti. Anzi il 2° fascicolo si
inaugurerà proprio con uno studio sulla lingua del Foscolo, e
il 3° probabilmente con un alti'o sulla lingua dell'Ariosto.
Queste indagini linguistiche richiedono non soltanto grande
diligenza ma anche non meno grande acume e garbo d'ingegno;
e occorre alla sua rapida esecuzione uno stuolo d'artieri. Perciò
io mi rivolgo specialmente ai miei colleghi letterati e filologi
moderni perché vogliano avviare a questi delicatissimi studi
quelli dei loro scolari che più sembrano ad essi portati.
E prego poi tutti coloro che volessero farsi collaboratori, per
questa parte, nell'Archivio^ di avvertirmi dei propositi loro, in
modo che io possa organizzare il lavoro comune ; e avvertire
eventualmente l'uno o l'altro dei volenterosi che un tale o tal
altro lavoro già sia stato intrapreso da altro studioso.
Prefazione
IL
indicazioni e trascrizioni fonetiche.
Sono stato lungo tempo in dubbio se fosse opportuno conser-
vare intatto, 0 mutare, e quanto, il sistema grafico deW Archivio,
rattenuto con forza dalla sua nobile tradizione, e spinto, non
meno fortemente, al ritoccare e all'innovare dagl'inconvenienti
di varia natura che in esso riscontravo ; ho finito col prendermi
la responsabilità di mutare per questa ragione. Io adopero nei
miei scritti e mi valgo nella mia scuola di segni alquanto di-
versi e seguo anche nell'analisi e nel giudizio degli elementi
fonetici criteri alquanto diversi da quelli deW'Archirio ; onde
sarebbero venute a esservi in me, per questo contrasto, due
persone diverse : il direttore del periodico e l'insegnante ; il che
era per lo meno curioso.
1. Le vocali.
Nelle vocali si devono notare queste qualità : il diverso grado
di apertura, le alterazioni organiche (palatizzazione, velarizza-
zione, nasalità), la musicalità e la quantità.
1. // diverso grado di apertura viene spesso indicato or con
segni sottoposti, or con segni sovrapposti. Per coerenza del si-
stema noi adopreremo sempre segni sottoposti. E precisamente
useremo :
-rr per vocali strette di 2" grado,
' V n •• )t -'^
— ,, „ intermedie,
— „ „ larghe di 1" grado,
__ 9„
Come unità di misura si sceglierà possibilmente la pro-
nunzia toscana.
XXIV Archivio Glottologico Italiano
Nota. — L'Ascoli, ueW'Archiriu, adoperava 9 ed e per gli e ed o stretti
di primo grado. È un'incoerenza che conveniva evitare. Per IV (e largo di
secondo grado) l'A. adoperava w. Per o largo di 2° grado, non c'era nel
suo sistema alcun segno. Questa limitazione nella serie degli o era deter-
minata veramente da considerazioni teoriche ; ossia i fonetisti della prima
metà del secolo scorso osservarono che la grandezza dell'angolo orale era
minore nella parte posteriore del palato che nell'anteriore, onde nella serie
-palatina la gamma vocalica era teoricamente più varia che nella posteriore;
ma, in fatto, in parecchi idiomi stranieri ed anche in parecchi dei nostri
dialetti, si trovano o più larghi che non sia, per es., Va del toscano '.
2. Le alterazioni organiche le indicheremo sempre con segni
sovrapposti. E precisamente useremo :
_2_ per focale celarizzata,
_i_ ., ., palatizzata di 1° grado ^
j^ „ ,, nasalizzata.
Nota 1. — Per ragioni estetiche, per evitare cioè troppi punti intorno
ad una vocale, si segneranno con a-, y le vocali o il strettissime ; e in man-
canza di meglio adoprererao <i è i , a r i per indicare vocali meno o più
velarizzate; il criterio è legittimo pei'ché quanto più codeste vocali sono
larghe tanto sono meno velari e viceversa.
Nota 2. — Alcuni (e tra questi l'Ascoli) segnano con <t un u largo. Non
è consigliabile questa grafia perché il segno — viene adoperato per indicare
la velarizzazione, mentre in u velarizzazione non c'è aifatto, né ci può es-
sere, essendo o ed a (i termini fra cui sta in mezzo n) già vocali velari;
tra u e questo " '* „ passa, in altri termini, la stessa differenza che, per
esemiMO, passa tra e ed e ^ ; dunque il segno proprio d'un a largo è « od ".
^ Noto ancora questo : probabilmente l'Ascoli con (? volle indicare un o
tendente ad w, come e voleva significare e tendente ad i; ossia erano »
ed — nella sua mente simboli fonetici ; anche così l'incoerenza non era
evitata perché il segno -^ di p o non era più un simbolo fonetico ma un
simbolo dell'apertura (una retta rispetto a un angolo è per così dire aperta).
Il sistema ch'io propongo è più semplice e piii compiuto.
Prefazione xxv
Paiono questo minuzie, ma non sono ; anzi la retta comprensione di questi
fatti implica la comprensione o no di una buona parte delle alterazioni del
vocalismo.
Nota 3. — La confusione dei criteri nei segni adoperati daHMrc7(//'/o si
rivela anche in '', che nessuno, che non lo sapesse, sarebbe indotto a giu-
dicare un elemento intermedio tra o ed ii o tra " 't „ ed ?, ma giudiche-
rebbe un " n , stretto.
3. La nasalizzazioìie la segneremo con :
.^ se di 1" grado, e, ove occorresse, co)i
^ " 9^
4. La miisicaìità. Vocali evanescenti. Parecchi idiomi (per es.,
dei nostri dialetti, i meridionali) presentano in sillaba atona
vocali poco chiare di timbro : il fenomeno dipende da un an-
ticipato ritorno delle corde vocali allo stato d'inerzia. Tali con-
dizioni si segnano con :
o [per vocali evanescenti^
Nota 1. ^ Nel mezzogiorno non solo i e o u sono evanescenti ma anche a,
che dovrebbe pertanto segnarsi con i(.
Nota 2. — DellV- si dava ncW Archivio, 1, p. xliii, questa definizione :
■* è la vocale cosidetta indistinta, specie di o volgente ad o, che si ode con
particolare frequenza nell'inglese „. E difatti si trova usata f; per la fi-
nale ^ napolitana ; è usata con valore di vocale simile ad o (in Archinio.
I. 364); e finalmente anche per IV tonico del piem. fetta e simm. Ora questi
tre elementi non hanno proprio nulla a che fare fisiologicamente l'uno con
l'altro: il primo essendo un elemento sordo o semisordo, il secondo un ele-
mento labio-palatino, il terzo un elemento velare o labio-velare; la grafia
il'd primo dev'essere dunque ;?, nel secondo cf e simm., nel terzo e.
5. La quantità :
^ segno della breve,
^ ^ « lunga,
— ■', - ', — : segni di idtralunga. Es. (v', a', a'-
Caratteri piccoli : segni di brevissima. Es. a.
XXVI Archivio Glottologico Italiano
Nota. — Ordinariamente per convenzione s'intende breve ogni vocale non
fornita di un segno di quantità.
2. Ttfnjpresentazione sinottica del sistema vocalico.
Tale rappresentazione si fa in due modi. Nel primo s'usa un
triangolo col vertice in alto e le vocali a u i ai tre angoli,
come si vede qui :
a
Il i
Poi si collocano tra (/ ed >i le vocali velari, tra « ed i le pa-
latine, tra M ed i le turbate di tipo ii e in mezzo, diagonal-
mente, le turbate di tipo o. È il sistema adoperato, per es.,
daW Archivio Glottologico, che è esposto nel voi. I, a pag. xlti.
Io preferisco ed espongo anche nella mia scuola un altro si-
stema, simile a quello adoperato anche, per es., dal Passy, e
formato da un angolo col vertice in basso e la vocale a al ver-
tice, e le vocali i ed u in alto. Questo sistema è molto meglio
rappresentativo perchè la vocale a è la piìi bassa, cioè pronun-
ciata colla lingua piatta o quasi sulla base della bocca, e le
vocali i ed u sono le vocali pili alte, cioè pronunziate colla
lingua più innalzata verso la regione palatina o la regione ve-
lare. Così, dunque :
i u
Le vocali turbate non occupano mai un lato, ma le colloco
tutte dentro i lati dell'angolo e parallelamente ad esso. Ecco il
sistema, colle modificazioni dei segni diacritici, sopra proposto :
Prefazione xxvii
Vocali norm. Alterazioni Alterazioni A'ocali nomi,
palatine / y palatine velari i' ii velari
/■ // >'
i H n
o iv a
e (e e g
e (V o
e (V o
p ir (j
a n
il a
a
Le vocali di tipo /. '' sono state ancora poco studiate nei
nostri dialetti.
Di e è ricco il Piemonte e vi hanno, credo, almeno tre va-
rietà : e (largo), r (mediano), e (stretto).
3, Sef/ìii diacritici delle consoncinti.
Per base si prende l'alfabeto latino arricchito di segni di altri
alfabeti o anche di elementi alfabetici latini muniti di segni
diacritici.
Per una ripugnanza estetica contro le forme ibride io tendo
ad escludere più che sia possibile le forme imprestate da altri
alfabeti.
I. Segni semplici. I segni semplici, senza alcuna indica-
zione, hanno, meno che nei casi espressamente indicati, il valore
che in italiano ; sono : p. h, m, f, i\ {w, bilabiale, all'inglese),
t, d. s, f, z, ,;. n, r, l, k, ;/, h (fricativa laringea).
Nota 1. — /e -^ sono gli 'esse' e 'zeta' sonori di rofa, \^ero. Per tali
elementi si suole adoperare s' o z o simili segni, lo consiglio, invece,
l'adozione di / e -;. (lunghi, all'antica), perché gli apici di s' e z' possono
ingenerare l'equivoco che si tratti di elomenti palatizzati (v. sotto). L'Ascoli,
dal voi. XI dell' " Archivio Glottologico italiano , in poi aveva adottato il
segno !j per indicare la gutturale davanti ad / ed e (per es. in rifihi e
xxviu Archivio Glottologico Italiano
righe); il segno mi pare superfluo in scritture che sono come questi studi
dialettali destinate a un pubblico ristretto di specialisti.
Nota 2. — Fricative laringee sorde n'abbiamo noi in italiano, nelle escla-
mazioni ; e sono di due gradi: farti e ìeni; forti in ])rincipio di sillaba:
es. ha, ha, ha! (rappresentazione fonetica di una risata); leni in fine: es.
ali. oh (v. sotto\
Ma molti suoni, che pur nei nostri dialetti troviamo, manca-
vano al latino : per questo abbiamo bisogno di segni diaciitici
speciali.
1, — -1. indicano elementi lari)tget (spiriti).
Nota. — Per esattezza converrà adoperare nella trascrizione delle escla-
mazioni oh, ah la grafia o\' a\', viceversa 17/ per ha, ha, ha e simili; all'//
potrà essere sostituito anche \i, ecc.
2. -:- indira elementi gutturali in seìiso largo.
Cioè : r uvulare (francese e dell'Alta Italia) : h gutturale del toscano :
la h'asa ; n di boi. matenna, lìiai'l-aiìt, piemont. cadeniia e simm.
Nota 1. — Conviene non confondere Vh gutturale coWh laringeo (11 modo
piìi facile per noi di aver nozione di questo elemento laringeo è di chiudere la
laringe e farvi produrre degli scoppietti! [esplosive laringee] ; cosi si abitua
il senso muscolare a cjuesti elementi la cui produzione è subcosciente ; e
si può mettersi in grado di riprodurli in altra lingua e distinguerli chia-
ramente dagli elementi omogenei gutturali).
Nota 2. — ^ e (} possono essere riservati ad elementi velari.
Mancavano al latino tutta la serie degli elementi rattratti.
Noi con
(3.) — ' indicheremo la rattrazione di 1" grado,
9»
Esempi: ital. selce, urge, asa 'ascia', friul. iase 'la casa', el gai 'il
gatto ', ital. anello ' agnello ', fìi'o ' figlio '. Ci sono inoltre nei nostri dia-
letti degli elementi appena appena schiacciati.
Nota 1. — Chiamo, come è ben noto dalla mia Orig. d. Ditt. Romanz.,
Prefazione xxix
elementi rattratti tutti quelli, palatali o no, che sono formati con una par-
ticolare forma di articolazione della lingua per la quale essa per così dire
si accartoccia.
Ho studiato fisiologicamente e sperimentalmente questi elementi fonetici
in uno scritto clie doveva esser parte di queste note, ma che poi, per la
sua mole, ho creduto ad esse sproporzionato : e l'ho destinato al volunu'
miscellaneo che sarà pubblicato in onore del primo cittadino della mia
Trieste, in onore di Attilio Hortis.
Questi elementi furon detti ripetutamente anche di fresco, composti, e
furono anche definiti semiocclusivi. Non sono né l'una né l'altra co.sa ;
sono elementi momentanei rattratti o schiacciati secondo che li si consi-
deri dal punto di vista della forma dell'articolazione o della qualità dell'espi-
razione. Caratteristica articolativa di essi elementi è che l'articolazione
della lingua non avviene intorno a un asse longitudinale, come negli ele-
menti estensivi (t, k. ecc.\ ma anche intorno ad assi piìi o meno traversali;
della rattrazione, dicevo, abbiamo tre gradi a seconda appunto del grado
di convergenza degli assi di articolazione ; onde possiamo parlare di rat-
tratte laterali (nei primi due casi, : — ' — ) e di più fortemente rattratte.
cioè rattratte latero-frontali e frontali (nel terzo caso, : —).
Nota 2. — Per ii si scrive spesso h. Per ragioni sistematiche, di coerenza
nella grafìa, è consigliabile l'uniformità dei segni diacritici per elementi
omogenei.
4. ~T- serve ad iiidicure elenieidi inrertiti Hai. merid. e insuì.
Nota. — Questi elementi furono chiamati anche linguali, cacuminali o
cerebrali; nessuna di queste denominazioni va ; è equivoca la prima, insulse
le altre ; siccome questi elementi e i palatali hanno comune il luogo del-
l'articolazione, conviene distinguerli per la forma dell'articolazione, chia-
mando 'rattratti' questi, quelli 'invertiti'.
5, |) e (ì servono per le spiranti intirdentali.
Nota. — Questa forma del d si potrebbe prenderla a modello per indi-
care coerentemente altri elementi spiranti che non abbian altra notazione
speciale precisa: così per il e intervocalico fiorentino (per es. in tf/t'Ci), per
un r uvulare spirante, per una g spirante gutturale sonora (simile a g), per
il g' rattratto di 2° grado clie s'ha in tedesc. tage.
Archivio Glottologico Italiano
5. Quadro sinottico degli elementi fonetici.
Osservazioni.
1. Sul luogo d'articolazione degli elementi fonetici. Zone d'ar-
tieola/ione.
Prima di esporre in un quadro sinottico le notizie che ho
riferite o che sono implicite in quanto precede voglio ancora
premettere alcune osservazioni.
Un luogo stabile dell'articolazione non l'hanno veramente che
gli elementi non linguali, ossia gli elementi laringei, uvulari,
labio-deìitali e labiali. Invece, e ciò è appunto per la grande
mobilità dei muscoli linguali, non un punto fisso, ma una zona
d'articolazione hanno tutti gli elementi linguali ; e precisamente
queste zone possiamo dire che sono quattro : una gutturale,
un'altra mediopalatina, una terza palato-alveolare, una quarta
alveodentale.
I dentali possono essere predentali, dentali e postdentali ;
alveolari addirittura mi paiono ì t d in parte del lucchese e forse
in altre regioni di Toscana. Il simile va detto delle spiranti s,f e
della nasale n. Altrettanto si dirà di 2; e ~ e di Ji e d (che ap-
partengono tutte quattro alla categoria delle rattratte : rattratte
apicali z e ,7, apico-marginali j) e d).
In modo analogo nella zona del prepalato e degli alveoli si
estendono le articolazioni e </, e y. Per es. il Lenz ritiene che
e, g si pronunzino più indietro di e, g ; l'Ascoli il contrario.
Hanno ragione, nella loro analisi personale ^, tutti e due, ma
assolutamente è vero che tanto e, g, quanto e, g non hanno un
punto fisso d'articolazione, ma una zona d'articolazione. La dif-
ferenza fisiologica caratteristica di essi è data da una diversità
dell'articolazione, non dal luogo dell'articolazione stessa.
'■ L'analisi dell'Ascoli mi fu confermata vera da un amico friulano, il
prof. Cosattini, noto insegnante di Liceo e libero docente a Roma ; io, sul
palato artificiale, ho ottenuto tracciati coincidenti (v. il mio scritto citato).
Prefazione xxxi
Delle liquide, l può essere dentale e alveolare e prepalatale
(anche mediopalatale) ; r prepalatale e alveolare. Anche le in-
vertite possono essere tanto alveolari quanto palatali.
Dal complesso di queste osservazioni risultano due conclu-
sioni : che in un sistema generale la divisione secondo il luogo
dellarticolazione non si può fare che con approssimazione e per
zone piuttosto ampie : e che viceversa, nella descrizione dei dia-
K'tti attualmente parlati si deve ben osservare e descrivere mi-
nutamente la posizione di ciascun elomento. Onde, in un sistema
generale noi dividiamo gli elementi fonetici glosso-palatali in
velo-palatali, medio- palai ali, palato-alreolari e alveo-dentali ; e nei
sistemi particolari useremo invece secondo il bisogno tutte quelle
minute indicazioni che abbiamo detto ; ossia aggiungendo, per
ragione mnemonica, anche gli elementi non linguali : 1) laringei ;
1) uvulari ; 3) relari, gutturali, pregutturali (medio- palatali) ;
4) medio-palatali : 5) (medio-palatali) , prepalatali , alveolari ;
5) al vola ri, post-dentali, dentali, predentali ; 6) labiodentali ;
7) intf-rdentali ; 8) labiali.
2. Parte della lìngua interessata alla produzione degli elementi
fonetici.
Gli elementi post-palatali sono sempre dorsali, mentre i pre-
palato-alveolari possono essere tanto dorsali quanto apicali,
articolati cioè col dorso o con la punta della lingua. Anche una
divisione in dorsali e apicali non si può adottare in un sistema
generale ; ma di queste condizioni bisogna invece tenere esatto
conto in un sistema speciale. Sono di necessità apico-coronali
o apico-marginali ^ .;, |) d. Di queste modalità, per non render
troppo affastellato e quindi poco perspicuo il quadro, non teniamo
conto in esso.
3. Dell'espirazione negli elementi fonetici.
Anche per questo riguardo qualche appunto va fatto.
Nella distinzione e classificazione degli elementi fonetici dal
punto di vista dell'espirazione si .sogliono tener presenti questi
dati : Al Vie dell' espira zioìtc : - Bj Durabilità ; - C) Energia ; -
D) Musicalità dell'espirazione ; - E) Qualità dell'espirazione.
Archivio Glottologico Italiano
QUADRO SINOTTICO
DEGLI
ELEMENTI FONETICI
Senza articolazioni d. lingua
Vibranti
laringi; E
Estensive
velari" .
* gutturali
VELO-PALATALI
pregutturali .
medio-palatine
di 1° grado
di 1° grado .
MEDIO-PALATALI
Rattratte
2°
^ . 3°
Invertite
Vibrante
Rattratte
i latero-apicali
( apicali. . .
Estensive
Vibranti
Rattratte marginali
INTERDENTALI
Senza articolazione della ) laiuo-uentali
lingua I
MOMENTANEE
esplosive
forti
e
sorde
leni
* Semivibrante ; le parentesi indicano clie, se la tipografia li possedesse, adoprerei se{
attraversati da una linea come il (I interdentnlo.
^ Per le esplosive di questa categoria s'userà eventualmente q, y.
Prefazione
CONTINUE
N A f
A I. 1
«j II A L 1
liquide
1!
pure schiacciate
' leni e sonore
spir
iui-e schiacciate
leni e sonore
forti
e
sorde
ire
leni
e
sonore
-
— , /•
)•
semi-vibr.
n
ir
(.7)
n
V
n
r
r
i
1
(^)
(x)
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l> if) <ì
/■
tu
['■\
vibr. liti).
'/ 0"
"• {y)
schiacciate
forti
(e)
^ leni
e
sonore
vocali
leni e sonore
0 , o
a *
7 . e
h' (g'ì
J"
a " . >( , a
e , 1 , 0, u
* Con articolazione della lingua.
Questa serie può essere più avanzata e le altre che seguono piìi retrocesse ; per
semplicità io mi limito a dare un tipo solo.
Senza articolazione della lingua.
XXXIV Archivio Glottologico Italiano
A) Tenendo conto delle vie dell'espirazione, si possono di-
videre gli elementi fonetici in orali e nasali ;
B) e della durabilità, in momentanei e continui ;
C) e della energia dell'espirazione, in forti e leni (L'energia
dell'espirazione va di pari passo con l'energia dell'articolazione).
D) Secondo l'intervento o no delle vibrazioni delle corde
vocali gli elementi fonetici si dividono in sordi e sonoì-i. Ele-
menti sordi "sono per solito i forti, sonori i leni, ma questa
coincidenza non si ha sempre. Sono sonore le forti napolitane,
per es. nella parola ' Napoli ' (Sono sorde le leni del tedesco
della Svizzera e dell'Austria).
EJ Ma anche alla qualità dell'espirazione va badato. Per
essa noi dobbiamo distinguere gli elementi fonetici in esplosivi
e schiacciati (che corrispondono ai momentanei), e in spiranti,
liquidi e nasali, puri, e spir. liq. nas. schiacciati (che corrispon-
dono ai continui). Ossia alla forma speciale dell'articolazione che
concorre alla produzione degli elementi, detti per l'articolazione
rattratti, corrisponde anche un timbro speciale che i nostri an-
tichi grammatici chiamarono schiacciato. E un timbro spiccata-
mente diverso da quello degli altri elementi esplosivi o degli
spiranti, liquidi e nasali, e va quindi definito con un nome; né
si dica che i nomi contan poco ; io penso invece che l'aver de-
finito ugualmente ' esplosivi ' per es. il A; e il e sia stata forse
una delle principali ragioni per cui tanto s'è stentato a inten-
derci sulla natura degli elementi rattratti ; i quali sono sì mo-
mentanei, ma esplosivi niente affatto.
Segni diacritici per VesiHra^ìoìte,
~f~ può servire ad indicare elemento fonetico più energico che il corri-
.spondente italiano ; e
■=" viceversa, un elemento fonetico meno energico ;
— '" indica sonorità in elemento forte ;
— " indica sordezza in elemento lene.
Nota. — Con r segnerò Vr di parte della Liguria e del Piemonte.
Prefazione xxxv
Vocali hi fimrjioìte di coiisonanti e rie.
~^ indica voo. in lunz. di consonante.
TT , con?;. ^ , f vocale.
Es. 1. - {■ di piede,- >( di luo^o, lì di fr. lid ; - 2, specialmente per le
liquide e nasali sonanti.
Osservazione 1. — Nella pratica della trascrizione fone-
tica in opere a stampa è consigliabile la maggiore possibile
parsimonia di segni diacritici : ciò soprattutto per ragioni di
economia ; d'altra parte osservazioni sulla natura fonetica degli
idiomi studiati fatte una volta per sempre, al principio dello
studio, bastano ad evitare qualunque equivoco di lettura. Fac-
cianio un caso speciale : le nasali sono per solito omorganiche
alle consonanti che seguono. In tal caso è inutile l'uso dei segni
speciali : la pronuncia dell'// nelhi parola ' ancora ' non potrà
essere incerta anche se non si segni 1';?, come si dovrebbe, con n.
Supposto che, per es., Vn sia gutturale anche davanti a dentali,
anche in tal caso basterà un'avvertenza preliminr.re per togliere
ogni dubbio sulla sua pronunzia.
Osservazione 2. — ■ Rapjiresentazioni sinottiche delle diffe-
renze tra la pronunzia presa come modello e la dialettale. — Ho
detto sopra che per convenzione attribuiamo agli elementi alfa-
betici il valore fonetico che hanno in italiano, quando nulla sia
avvertito in contrario ; negli elementi che mancano all'italiano
il segno avrà il valore di quel dialetto che si sceglierà come
tipico. A dinotare sinotticamente queste differenze io consiglio
di procedere nel modo che è seguito a pag. 43 e 45 di questo
volume. Ossia : le vocali toscane o comunque paradigmatiche
consiglio di scriverle dentro i lati dell'angolo o del triangolo in
carattere tondo e fuori le dialettali in corsivo ; nelle consonanti
si segneranno in carattere tondo quelle consonanti che si pro-
nunziano come nell'italiano, in corsivo quelle che si pronunziano
diversamente ; fra parentesi quadre son collocate le consonanti
toscane che mancano nel dialetto.
Questi quadri sinottici suggeriranno spontaneamente, eloquen-
temente, agli studiosi la sintesi delle condizioni fisiologiche del
proprio dialetto.
XXXVI Archivio Glottologico Italiano
III.
Le sintesi linguisticlie.
Nella mia modesta attività scientifica, e fino dai primordi di
essa, mi sono proposto, come una ragione e una via sicura nel-
l'indagine glottologica, questa, delle sintesi linguistiche ; e il
metodo l'ho trovato utile per me e per la mia scuola. Mi spiego
chiaramente in che esso consista. Supponiamo che s'abbia da
fare una ricerca storica nel campo morfologico di una lingua di
cui si conosca il periodo attuale o l'ultimo periodo storico e di
cui si conosca anche approssimativamente per la comparazione
con altre lingue affini il periodo originario, e s'ignorino invece
i periodi intermedi ; si supponga inoltre che, come suole avve-
nire, l'ultimo periodo sia molto discosto dalla condizione primi-
tiva. In tali condizioni, molte forme singolari possono avere piìi
d'una interpretazione, possono reputarsi continuatrici di forme
originarie, o analogiche sull'una od altra forma storica o pre-
istorica. Ora in ricerche di questo genere si procederà a casaccio^
assolutamente come a tentoni nel buio, se non si terranno ra-
zionalmente presenti alla memoria tutti i paradigmi e via via
le inevitabili vicende di tutti essi insieme, prodotte man mano
dalle mutazioni dei paradigmi singoli in conseguenza di altera-
zioni fonetiche della lingua che si studia. Io ho seguito questo
metodo nel mio studio sul Perfetto Latino e molti anni dopo in
quello dei pronomi rumeni ; in entrambi i casi mi fu facilissimo
orientarmi; e a proposito del Perfetto e aoristo latino ho visto
che più d'uno di coloro che dopo di me ne han trattato han
dato di forme singole interpretazioni visibilmente insostenibili.
Ma di ciò altrove.
Prefazione xxxvii
Pari e molteplici benefici si ottengono anche in ricerche fo-
netiche dal metodo sintetico.
Per esso è riuscito all'umile scrittore di queste righe di ri-
solvere definitivamente la tanto dibattuta questione di steà-stmua
nel rumeno ; dico definitivamente, perché applicando la mia legge
potè il Puscariu chiarire in modo piano e semplice anche qualche
altra forma dialettale rumena. E parecchie altre quistioni fone-
tiche ho potuto facilmente risolvere io collo stesso metodo in
Oriy. d. eliti, rom. Io non mi assoggetterei alla pena di citar
me stesso se non mi accorgessi che questo metodo non è seguito
quanto dovrebbe essere. Cosi all'interpretazione che io davo del
muglis. hiióìia e simm. uno che potrebbe esser mio maestro, con
severità e sicurezza da maestro infallibile, opponeva che il huória
dovesse invece riputarsi una continuazione di un hójna ; il che
assolutamente non può essere, perché, considerando in sintesi il
vocalismo della sezione orientale del ladino, apprendiamo sicu-
ramente che una ritrazione d'accento mai s'ebbe colà in sillaba
mediana.
Lo stesso metodo è di grande aiuto e lume anche nelle ri-
cerche fonetiche di geografia dialettale. Avviene che in territori
limitrofi e linguisticamente affini s'abbia d'un dato elemento fo-
netico antico una risoluzione identica : in questi casi s'è caduti,
secondo me. nell'illusione (e si continua a cadervi), che si tratti
di una propagazione del fenomeno d'uno in altro territorio. Ora,
come io ho mostrato nel citato libro, Orig. d. ditt. rom. (v. in-
dici), che ancora una volta mi permetterò di citare (e il Meyer-
Lubke. colhi sua benovolenza, in Einfilhrung-, p. 207, mi dà una
mano a prendere il mio coraggio con due), in questi casi bisogna
porre attenzione contemporaneamente a questi vari fatti. In primo
luogo, se, considerando in .sintesi le alterazioni fonetiche di una
data regione, il fenomeno che si supponeva di propagazione non
risulti invece con tutta facilità l'effetto della disposizione erga-
XXXVIII Archivio Glottologico Italiano
nica dai parlanti un dato dialetto ; secondo, se l'alterazione co-
mune, come per es. un l da le od ei non appartenga al genere
dei fenomeni particolari ^ ; terzo, se le condizioni geografiche e
storiche consentano che s'immagini una cos'i forte immistione
dialettale che anche la fonetica d'intere regioni abbia subito,
per l'imitazione, un piìi o meno grave mutamento.
In base a queste considerazioni io venivo a tener distinti
(1. e, pag, 128-152, 186-190 e 196, sotto la rubrica ' Sistema-
zioni dialettali ' ^), nella Penisola i seguenti gruppi dialettali con
evoluzione fonetica indipendente: Gallo-romanzo, Ligure-romanzo,
Illiro-roìnanzo, Toscano, Italo-romanzo (da dividersi questo in due
sezioni : l'una settentrionale, l'altra meridionale). A questa di-
visione io m'atterrò anche nella sistemazione degl'indici del-
V Aì'cJùvio.
■■i:
L'Archivio sarà largo di ospitalità a studiosi di ogni tendenza ;
e sarà libera palestra anche a discussioni serene e garbate sia
intorno a principi metodologici fondamentali della glottologia,
sia intorno a quesiti particolari.
Né rifiuterà ricerche di fonetica sperimentale, purché condotte
con prudenza. La qual prudenza (come ho cercato di dimostrare
' Denominazione che sostituirei a quella (un po' lugubre !) di ' accidente
generale '. E anche qualche altro termine un po' pesante e poco italiano
andrebbe abbandonato; come, per es., quello di sillaba complicata, che fa
pensare a chissà quali mai complicazioni. Si può benissimo dire della vo-
cale : vocale stretta e larga; e della sillaba : aperta e chiusa; ne mai certo
alcuno potrà esser tratto a confondere fra loro i termini ' vocale aperta '
e ' sillaba aperta '.
- Cito anche quest'ultimi due passi, dacché nel primo, per menda tipo-
grafica, nell'enumerazione dialettale fu saltato il ' ligure-romanzo ' ; il danno
non può esser certo grave, perché l'enumerazione era la conclusione di venti
pagine di ragionamento.
l'ret'aziouf
nel mio citato studio sulle rattratte) consiste, lo si ricordi bene,
soprattutto in questo : di esser ben persuasi che i piìi begli istru-
nienti di fonetica sperimentale sono il nostro orecchio e il nostro
senso muscolare.
*
Alla fine di ciascun volume, o anche prima, secondo l'oppor-
tunità, verrò pubblicando una bibliografia ragionata di scritti
riguardanti i dialetti italiani ; perché tale rassegna riesca age-
vole e completa prego gli studiosi d'inviare alla direzione del
giornale (Bologna, via Toscana, 50, già F. P. S. Stefano, 50),
possibilmente in due esemplari, tutte le pubblicazioni che cre-
dano interessanti per ['Aì'chivio.
In appendice a questa rassegna sarà dato cenno, di regola
col solo titolo, anche di opere estranee al campo dialettale ita-
liano, che alcuni autori lianno cortesemente inviato ed altri vor-
ranno inviare in seguito alla direzione del giornale.
Alla direzione stessa si manderanno anche gli articoli oi'igi-
nali da pubblicarsi.
P. (j. (jOIDÀNIClI.
FRANCESCO D'OVIDIO
COMMEMORAZIONE
GRA.:ZIA.DIO I3A.IA. /\3COLI
Lo vidi l'ultima volta sei mesi prima della sua morte, in una
occasione solenne: all'Accademia dei Lincei, nella tornata cui
annualmente intervengono i nostri benamati Sovrani. Ancora,
da quella fronte cosi spaziosa, da quegli occhi cosi vivi ed acuti,
da quella faccia ispirata che soleva rivelar sùbito un uomo af-
fatto straordinario, traluceva in parte l'antica virtù; e il corpo,
che non fu mai prestante ed era divenuto gracile, non sembrava
però soverchiamente prostrato dagli anni. Ricordo anzi che in
quella seduta, per volermi cedere un posto ch'egli suppose mi
fosse riservato, si condannò a star più d'un'ora in piedi, con-
dannando me ad un'ora di rimorso; che dipoi die luogo a una
vera compiacenza, di vederlo tuttavia cosi immune da senile
stanchezza. Ma ohimè, già poche settimane appresso una ben
altra stanchezza lo sopraffece quasi a un tratto, lo assalì nella
rocca stessa di quel suo prodigioso organismo ; che non solo egli
fastidi ogni cibo, non solo ebbe di rado la forza di levarsi dal
letto, ma si senti quasi sempre incapace d'ogni lettura anche
lieve, e lo scriver anche poche righe divenne per lui un'ardua
Archivio glottol. ital., XVII. 1
2 Francesco D'Ovidio
impresa. Quale strazio non dev'essere stato il suo: sentirsi venir
meno le forze dell'intelletto, proprio di quell'intelletto ch'era
stato sempre cosi esuberante, così lussureggiante, così irre-
quieto; del quale aveva tante volte provata in sé la gagliardia
e quasi l'ebbrezza. La sua lunga vita, di rado trascorsa fuor
della casa, o, al più, nella scuola, nelle biblioteche, nelle acca-
demie, non era stata che un continuo lavoro mentale. A questo
dava gran parte fin della notte; a questo non rinunziava pur
quando qualcosa lo sospingeva a forza lontano dalla sua dimora.
Finanche il conversare era di solito per lui un parlare in iscritto,
con quelle sue lettere così faconde, briose, sottili, o talora im-
petuose; in quei suoi caratteri fini, precisi, elegantissimi. Sen-
nonché una vita tanto felice per doni di natura e di fortuna si
terminò col peggior degli spasimi: assistere con perfetta luci-
dità di mente, con intera consapevolezza, allo spegnimento d'un
genio, del proprio genio ; scorgere nelle ultime ore un' ironia
crudele di tutto il proprio passato. I pochi amici che poteron
vedere le scarse lettere ch'egli a grande stento vergò in quei
mesi, ove dalle righe scomposte, attorcigliate, s'intravedeva pure
lo sforzo di raggiungere l'antica nitidezza, si sentivano strin-
gere il cuore.
Ma il cuore ci si rallarga se pensiamo a ciò che quest'uomo
potè fare in prò della scienza, e ad onore della risorgente cul-
tura italiana. Di una disciplina nata e cresciuta oltralpe, in cui
l'Italia risicava di rimanere lungamente novizia, recettiva, egli
acquistò in breve da sé tal padronanza da poter discutere alla
pari co' maestri stranieri, da far udire con rispetto e simpatia
la voce d'un Italiano nella gran conversazione europea, special-
mente germanica. Quella voce sonò dapprima con accento ita-
liano, poi talora nella lingua stessa di quei maestri, la quale
egli aveva così familiare da poterla usar in cambio della propria.
Fu creduto alunno di qualche Università germanica, mentre non
^
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 3
s'era mosso dalla sua Gorizia, l'oi di mano in mano assorse a
tal levatura, che dai dotti tedeschi, e dai dotti d'ogni paese, fu
ascoltato e salutato come un maestro, come un grande maestro.
La sorte gli fu benigna. Unico figlio maschio di famiglia do-
viziosa, se ebbe la sventura d'ignorare le carezze paterne, poiché
il padre discese nel sepolcro poco prima che il figliuol suo nel
16 luglio 1829 vedesse la luce, ben conobbe le carezze materne,
e potè senza contrasto assecondare il suo genio, finir col dedi-
carsi tutto agli studii linguistici. Una difficoltà gli poteva venire
dal fatto che, per ragioni particolari della famiglia sua piìi an-
cora che per una ripugnanza comune allora a molte agiate fa-
miglie israelitiche, egli non fu inviato alle pubbliche scuole; ma
gliene derivaron più vantaggi che danni. La scuola giova qual
preparazione alla vita, ed in quanto costringe a reprimere in
sé gli scatti d'un'indole che sia sensitiva; e giova d'altra parte
a infonder l'abito dello studiare con metodo, l'amore della dot-
trina severa e faticosa, l'aborrimento della superficialità dilet-
tantesca. Ma di questo secondo beneficio l'Ascoli non aveva
bisogno, tanto il suo intelletto era naturalmente temprato al-
l'ordine, alla disciplina, al rigore metodico, all'austerità, alla
profondità. I libri, ch'ei predilesse conformi a tali sue innate
disposizioni, bastarono a educargliele e raffinargliele ; e, come
l'agiatezza gli permise di possederne pre'sto molti, cosi la lon-
tananza dalle scuole, ove i più veloci son pur costretti a ral-
lentare un po' il passo per la compagnia dei dammeno, gli die
l'agio di leggerne moltissimi. E cosìi potè, a sedici anni, venir
fuori col suo saggio sull'affinità del friulano col rumeno, senza
che da uomo maturo avesse poi a vergognarsi di quella precoce
e ingenua primizia.
Tuttavia, di precocità vera e di spontanea prontezza d'in-
gegno ei non voleva vantarsi. Trentaquattr'anni or sono mi di-
cova seriamente che da natura egli aveva sortito un ingegno
4 Francesco D'Ovidio
tardo, ma insieme una volontà forte, tenace, con la quale aveva
superato gli ostacoli di quella tardità, e perfino ottenuto un
maggiore sviluppo dei suoi ossi frontali. Curiosa esagerazione,
senza dubbio; e nessuno vorrà credere che fosse mai stato di
tardo ingegno quell'uomo che eccelleva anche per l'impeto del-
l'argomentare, del ribattere, del motteggiare. Pure, in tali con-
fessioni d'uomini avvezzi a scrutar gli altri e sé medesimi, vi
suol essere un lato vero; e qui c'è che non solo era proprio
strapotente in lui " la virtù che vuole „, ma altresì alla nativa
precocità e alla prontezza erano state e furon sempre di freno
la non meno nativa tendenza al riflettere lungamente, al pro-
vare e riprovare, e lo zelo della perfetta precisione, l'estrema
ripugnanza a lasciarsi mai cogliere in fallo, la riverenza quasi
religiosa verso i maestri e gli anziani della scienza, la timi-
dezza dell'autodidatto non ancor consapevole di tutto il suo de-
stinO; e più tardi la molta ritrosia a deporre qualche opinione
che avesse lungamente mantenuta. Certo, dal connubio appunto
del facile intùito con la lunga meditazione, dell'ardire con la
prudenza, dell'estro con la pazienza, vengono i più squisiti frutti
della ricerca scientifica, ed anche dell'arte; ma è certo del pari
che nell'Ascoli quelle opposte qualità giunsero di grado in grado
alla loro fusione definitiva, e che, s'egli fosse morto poco dopo
i trent'anni, avrebbe, sì, lasciato un bel manipolo di svariati
saggi di glottologo e di sanscritista ed ebraista, da attestare
la promettente energia d'un ingegno largamente dotto, severo,
giudizioso, acuto, ma non da far indovinare in tutto e per tutto
il maestro sommo ed originale che in effetto poi fu.
Ai lettori italiani poteva inoltre dar qualche sgomento lo
stile un po' artificioso, e la lingua che in un tal quale abuso
di forme eleganti o poetiche rivelava l'uomo educato principal-
mente alla lingua dei libri. Gliene rimase sempre uno strascico,
ma ciò non gl'impedì di finir col crearsi uno stile originalissimo,
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 5
possente anche per la dicitura, e che da quello stesso colore
un po' insolito e personale traeva sovente efficacia. Argutissimo
com'egli era nella conversazione o nel carteggio, di rado però
consentiva a sé o agli altri l'arguzia nell'esposizione della ve-
rità scientifica, ma alcuni di quei motti a cui pur trascorse son
potuti divenir celebri; come poi di frequente usci in immagini
grandiose e scultorio, dense di pensiero non men che felici di
espressione. Per di più, toccò in gran parte a lui di plasmare la
terminologia e il fraseggio tecnico italiano per una scienza nuova
all'Italia, e riuscì nell'impresa. Che se talvolta sarebbe forse
stata desiderabile una maggiore scioltezza e semplicità nelle
formule, ed un'italianità men ricercata, pili consona all'uso vi-
vente, nel tutto insieme fu grande l'effetto ch'ei conseguì col
fermare un linguaggio scientifico, e col sedurvi o costringervi
gli altri glottologi italiani. Ed egli fu, a modo suo, uno scrit-
tore, un singoiar fabbro e maestro di stile.
Allorché il 1861 salì per la prima volta, a trentadue anni, la
cattedra S i suoi maggiori titoli erano : alcune traduzioni dal
sanscrito classico e vedico, con molte eruditissime chiose glot-
tologiche, filologiche, mitologiche ; la trattazione ortodossa, e
dico ortodossa rispetto alla nuova scienza, di punti capitali di
filosofia del linguaggio, e della storia degli studii orientalistici
in Europa: l'esposizione occasionale, ma didatticamente precisa
ed esatta, di generali e particolari verità etimologiche ignote
allora in Italia; una confutazione stringente e dottissima dei
sogni d'un padre Secchi su un'iscrizione pseudo-ebraica incavata
' 11 ministro Mamiani, nel 1860, contemporaneamente alla nomina del
Carducci, destinava pure a Bologna l'Ascoli per le Lingue semitiche, ma
egli non le ritenne le più confacenti ai suoi studii e preferì esser destinato
a Milano per la cattedra di Linguistica e lingue orientali; il qual titolo si
mutò poi, col regolamento Bonghi, in quello di Storia comparata delle
lingue classiche e neolatine, dall'Ascoli stesso suggerito.
6 Francesco D'Ovidio
nella cattedra alessandrina di san Marco conservata in Venezia ;
una confutazione sapiente del tentativo del padre Tarquinj di
deciferar l'etrusco con l'ebraico ^ V'aggiunse subito quel primo
volume di Studj critici ^, ove, correggendo una parte degli
svariatissimi ma insufficienti Studii linguistici del Biondelli, dis-
sertava sull'origine delle forme grammaticali, spiegando la strut-
tura anche della lingua cinese, di cui aveva già altra volta
trattato in ispecie per la sua scrittura ideografica; dava saggi
di dialettologia italiana, mirando già al sardo o a dialetti me-
ridionali, e fermandosi con raffinatissima analisi sugli avanzi di
parlate rumene nell'Istria; toccava delle colonie straniere in
Italia, insistendo soprattutto, con conoscenza non superficiale
benché di seconda mano, sulle loquele e i costumi albanesi ; e
infine analizzava in modo nuovo molti elementi dei gerghi o
lingue furbesche dei malandrini di Spagna, di Francia, d'Italia,
di Germania e d'altri popoli ancora. Tre doti o atteggiamenti
caratterizzano codesta prima fase giovanile dell'Ascoli, dovuti
insieme e alle condizioni generali della linguistica in quel tempo
e alle qualità sue personali: la stretta adesione della linguistica
alla filologia sanscritica, la quale era stata il precipuo lievito
della nuova scienza; una certa guardatura sintetica e filosofica,
onde la glottologia mirava di continuo all'etnologia e a tutte le
questioni circa le origini; uno spaziare per favelle diverse, scor-
razzando signorilmente pur fuori del dominio più strettamente
da sé coltivato. I glottologi d'allora eran, per cosi dire, glotto-
logi a larga base; il che portava facilmente al dilettantesimo
i novizii e gli uomini superficiali, ma dava agli studiosi scrii e
^ Quest'ultima nelVArckivio storico italiano, il resto nei due fascicoli di
Studj orientali e linguistici del 1854 e 55.
* Che costituiva il terzo e ultimo fascicolo degli Studj orientali e lin-
guistici.
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 7
profondi una larghezza di sguardo oggimai invidiabile. L'Ascoli
v'aggiunse la tendenza a scrutare anche i viventi vernacoli del
proprio paese, la qual non era di tutti, e in ispocie non era
dei linguisti dediti alle lingue antiche.
A tanta molteplicità di cognizioni e d'ispirazioni, cui lo allet-
tavano l'esempio oltremontano e prima o poi la compagnia di
insigni connazionali, era tornata propizia per luì, oltreché la
vacanza dalle pubbliche scuole e da ogni ufficio o professione
negli anni giovanili, la stirpo medesima e la città nelle quali
era nato. In uno Stato il piìi largamente e penosamente poli-
glotte, in una terra di confine ove l'italianità era sotto il do-
minio del linguaggio tedesco e premuta dalle favelle slave, in
una famiglia italiana (che ripeteva le sue origini da un Gia-
cobbe di Ascoli Piceno) ma di sangue israelitico, ei si trovò, quasi
diremmo, a cavaliere di piìi stirpi e di più lingue; ond'ebbe
ogni incentivo ed agio a studiar presto lingue parecchie, e, quel
ch'ei soleva dire cosa utilissima per l'avvenire di ciascun dotto,
di tipo diverso. Così l'Italiano amantissimo della lingua di Dante
venne presto in possesso della lingua di Lutero; cosi dall'estremo
angolo orientale dell'italianità potè tender lo sguardo ai dia-
letti della Penisola, e voltarsi anche verso la regione balcanica ;
COSI il giovane sanscritista semita, che si trovava in casa la
Bibbia, potè fin dal principio rifar proprio l'idioma dei suoi an-
tichi patriarchi, e per quella via affacciarsi alla gran distesa
del mondo semitico. Il glottologo è tutt'altro che il poliglotte,
e del confonderli che molti fanno ei soleva sdegnarsi. Il poli-
glotte può non esser un glottologo : spesso anzi non lo è, o nella
stessa sua facilità al pratico apprendimento delle lingue può
trovare un inciampo a divenirlo. E per contrario può, aggiran-
dosi in un campo limitato o anche ben ristretto, chi possieda
il metodo ed abbia spirito d'osservazione, riuscir glottologo va-
lente. Ma è pur vero che la conoscenza effettiva di molte lingue
8 Francesco D'Ovidio
fornisce al glottologo un più largo campo d'osservazione, la ca-
pacità d'acquistare un'esperienza più ampia, e quindi più chia-
roveggente, della probabilità o possibilità di certi procedimenti
ideologici 0 fonetici. Senza dire che altro è lo stato presente
della glottologia, stato tranquillo e di perfezionamento, e altro
quello degli anni in cui si maturò l'intelletto dell'Ascoli, nei quali
era recente la scoperta di fatti grandiosi, che soprattutto si
doveva alla comparazione di tante lingue tra sé remote di luogo
e di vicende.
Comunque siasi, nel punto stesso che il suo novello ufficio
didattico invitava l'Ascoli a raccogliersi nel campo indoeuropeo,
e che in effetto egli vi si applicava con quel pertinace ardore
che era così tutto suo, gli sorrise una speranza: di ritentare,
con ben altro accorgimento e sodezza che non si fosse fatto fin
allora, la dimostrazione di quel che egli chiamò il nesso ario-
semitico, cioè di provare la possibilità teorica e la positiva pro-
babilità che la preistorica favella ariana da cui uscirono tutti
gl'idiomi indoeuropei, e la preistorica favella semitica da cui
uscirono gl'idiomi semitici, in una fase ancor più preistorica si
appuntassero in un'unica favella ario-semitica, potendo le enormi
differenze che nell'età storica distinguono le due famiglie pro-
venire da sviluppo ulteriore e divergente dopo un'antichissima
separazione. A tale assunto lo sospinse l'alta ambizione di ran-
nodare le due grandi e nobili famiglie delle lingue flessive, e i
due più cospicui rami della razza bianca, così attigui per le loro
sedi, così intrecciati insieme per vicende storiche, per mutui
influssi di civiltà, di pensiero, di religione; e ve lo confortava
un impeto di sentimento, quasi una smania di realizzare in un
passato sia pur remotissimo quella fusione di due nature ch'egli
sentiva in sé, e in altri suoi correligionarii, benemeriti alunni
della coltura europea. S'infervorò del terribile tema: ne scrisse
nel Politecnico due belle lettere al Kuhn e al Bopp, diede al-
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 9
l'Istituto Lombardo altre pagine acutissime, le difese più anni
dopo in una specie di proemio al secondo volume degli Studj
critici uscito nel 1877. Ma ebbe il dolore di veder accolte con
diffidenza le sue argomentazioni, con fastidio o scetticismo la
sua tesi. Essa gli crebbe la nomèa, anche fuor della cerchia
degli specialisti; ma, se tra questi non gli tolse il credito, e' fu
solo perché del posseder il buon metodo egli aveva già date e
venne sùbito ridando prove manifeste in ricerche più positive o
in speculazioni meno ardite. Del resto gli toccò leggere in più
d'un libro a lui caro, come le sue ricerche avessero keinen ivis-
senschaftlichen Werth. Or io son ben lontano dall'arrogarmi di
sentenziare sulla tesi stessa, ma quel che mi par giusto e utile
notare è come fosser dure e esorbitanti cotali parole rispetto
alla qualità delle sue argomentazioni. Giacché egli non pretese
di raccostare senz'altro, direttamente, ingenuamente, con voca-
boli 0 forme del sanscrito o dell'indoeuropeo, vocaboli o forme
dell'ebraico o del semitico, ma procede suppergiù come fa il
matematico che prima d'operar su frazioni diverse le riduce
allo stesso denominatore. Nella così detta radice trilittera della
parola semitica, ritenuta da molti irreducibile, egli metteva in
rilievo, in questo o quell'esemplare, un nucleo fondamentale e
un elemento ascitizio; mentre dall'altro lato nella radice indo-
europea, scrutando a modo suo la natura dei così detti deter-
minativi, e reputando la formazione dei temi nominali anteriore
a quella dei temi verbali (ciò che in materia sì disputata gli
era ben lecito), argomentò che in uno stadio quasi primitivo, di
semplici radici con sviluppo nominale, l'ario e il semitico po-
tessero essere stati una favella sola, e credette di sorprendere
più d'un rudere della prisca e recondita unità. Possono dunque
tali indagini giudicarsi d'esito incerto, d'indole perigliosa, e re-
putarsi anche fallite, ma non si può dire ch'ei vi s'avventurasse
leggermente, e come chi pretenda gettarsi " per l'aere a volo „;
10 Francesco D'Ovidio
poiché egli procedette invece di analisi in analisi, e come chi
tenti giungere alla vertiginosa cima d' un'alpe facendosi via via
con la zappa gli scalini nel ghiaccio.
Ma fu pur bene che ritornasse a scalare men fiere altezze,
riducendosi definitivamente nel territorio ariano: che fu ed è.
per infinite ragioni; e il miglior campo della scienza glotto-
logica, e la specola da cui essa rimira le altre famiglie lingui-
stiche 0 gli spinosi problemi della classificazione delle lingue
del globo, dei possibili loro rapporti, della natura e della genesi
del linguaggio umano. Or la glottologia ariana, tra il secondo
e il settimo decennio del secolo decimonono, per l'opra geniale
del Bopp, che aveva splendidamente dimostrato con la com-
parazione la fratellanza degl'idiomi indoeuropei; per il lavorìo
profondo del Grimm, che aveva tessuta la storia delle favelle
germaniche dal gotico ai vernacoli moderni, e ricostruita la
preistorica unità protogermanica ; per il lavorìo non meno pro-
fondo, luminosamente sereno, del Diez, che aveva accompagnato
il latino in tutti i suoi riflessi nelle lingue letterarie neolatine ;
pei lavori dello Zeuss sul celtico, dello Schleicher e del Miklosich
sullo slavo ; per l'energia del Pott, fecondo etimologo e promotore
d'una fonologia pili severa ; per l'applicazione piìi precisa e piìi
delicata della glottologia al campo greco, fatta in molteplici
opere, anche scolastiche, dal lucido e cauto spirito di Giorgio Cur-
tius, anch'egli piìi rigoroso fonologo; per l'applicazione, assai men
fina, ma pure accurata, fattane dal Corssen al latino e agli altri
idiomi italici ; per la deciferazione che l'Aufrecht e il Kirchhoff
avevan fatta dell'umbro e il Mommsen dell'osco; per la dialet-
tologia greca abbozzata dall'Ahrens; per il lessico protoariano
abbozzato dal Fick; per l'assidua collaborazione di tanti dotti,
tedeschi in ispecie, ma non tedeschi soltanto, i quali sarebbe
lungo l'accennare: la glottologia ariana, dico, aveva già oltre-
passato l'èra delle grandi scoperte, della ricognizion del terreno.
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 11
della invenzione sostanziale dei metodi ; aveva anzi trovato nel
celebre Conipendium dello Schleicher la sua sistemazione. Una
sistemazione, s'intende, più o men provvisoria, com'è naturale
in ogni scienza, e piìi che mai in una scienza come la nostra,
che ha una materia più indefinita di ricerche, più elastica, ed
oscilla tra l'osservazione naturalistica e il rifrugamento storico,
tra la rigida precisione matematica e la necessaria deferenza
al fatto inaspettato; ma insomma una sistemazione, solida, per
più rispetti incrollabile, e una sosta trionfale. Rimaneva ora
l'opera dello spigolare dov'altri aveva mietuto, di mietere campi
secondarii da cui altri aveva solo spiccato qualche frutto, come
i viventi vernacoli e vecchie carte polverose; l'opera del ras-
sodare, del correggere, del riesaminare, del meglio appurare i
fatti, del meglio scrutarne le ragioni, del raffinare i metodi, e
del secernere gli acquisti o le indagini positive dalle elucubra-
zioni più o meno speculative, credute dapprima verità più o
meno acquisite, concernenti soprattutto i gradi stessi e modi
di formazione del preistorico linguaggio protoariano. In una
parola, l'opera del compimento, dell'esplorazione accessoria, e
della critica.
Tra codesti epigoni, continuatori e critici, l'Ascoli tenne un
posto veramente cospicuo : col volumetto intorno all'idioma zin-
garesco (Zigeunerisches) : con le molteplici monografie o le di-
scussioni sintetiche, raccolte nel secondo volume degli StudJ
critici; con la prima, e pur troppo ultima, puntata dei Corsi
di glottologia, che insomma si riduce a una monografia sulle
gutturali indo-greco-italiche, e sui suoni che le precorsero nel-
l'indoeuropeo ancora indiviso; con l'Archivio glottologico; con
sporadiche pubblicazioni. Tn tutte si segnalò per la diligenza
nell'inventariare i fatti, nel raccogliere e vagliare le prove, nella
novità ed acume delle intuizioni, nella vigoria del raziocinio e
del dibattito, nella precisione delle conoscenze e delle idee, nella
12 Francesco D'Ovidio
piena informazione delle ricerche altrui, nel rispetto per la
scienza tradizionale. Più particolare di lui fu il rifuggire dalla
pubblicazione sparsa o, com'ei diceva, molecolare, di ritrovati
0 congetture singole, etimologiche o altro, e dalle ipotesi but-
tate lì senza sviluppo, abbandonate disputationìbus homìmim.
Non gli piaceva se non di darle fuori coordinate, sistemate, ra-
gionate, anticipatamente difese contro le obiezioni prevedibili;
e che l'ipotesi scendesse in campo armata di tutto punto, co-
razzata, scortata da un drappello di fatti o ipotesi congeneri-
Più ancora particolare gli fu il non saper facilmente rassegnarsi
a entrar in un campo speciale da semplice ospite od alunno
degli specialisti, o da semplice comparatore che all'occorrenza
sbirci qua e là fidandosi alla guida di coloro. No, si trasferiva
armi e bagagli in quel campo: perfetto ellenista se discuteva
col Curtius, perfetto latinista se disputava col Corssen, perfetto
indianista se trattava delle risoluzioni pracritiche di nessi fone-
tici sanscriti, perfetto romanista se riesaminava o continuava
le dottrine del Diez e discuteva coi più celebrati discepoli di
lui. Questo soprattutto sbalordiva gli altri studiosi, gli molti-
plicava il credito e l'autorità; ed era la sua compiacenza, e ad
un tempo talvolta la sua malinconia. Da ultimo, volendo pub-
blicar lui le Glosse iberniche del manoscritto ambrosiano, ebbe
a divenir anche celtologo insigne. Non dubito che quanto egli
potè menare a termine di codesto laborioso assunto non abbia
dovuto accrescere, al solito, la sua gloria, e giovare assai agli
studii celtologici. Oso dire soltanto che il nuovo carico ch'ei
s'impose nocque un poco agli studii romanzi, e in quanto ebbe
un tantino a rallentare in essi la sua mirabile solerzia, e in
quanto l'assuefazione a scioglier penosi enigmi celtici, a scovar
cose recondite, ce lo rese men proclive a contentarsi del vero-
simile, che nel campo romanzo è molto più visibile e tangibile,
0, come a dire, a fior, di terra. Ce lo rese più propenso a va-
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 13
gheggiar lui procedimenti ascosi, come la sua etimologia dell'av-
verbio indarno o non pochi sospetti fonetici e morfologici troppo
sottili; ovvero ad accogliere con soverchia indulgenza macchi-
nose costruzioni come quelle di un rimpianto filologo toscano,
e con soverchia diffidenza dimostrazioni discrete.
Ma questo non è il luogo ne il tempo di arrisicar critiche.
Noi non possiamo ripensare senza orgoglio d' Italiani, e senza
tenera gratitudine di seguaci, l'inesauribile vena del suo in-
gegno, e la sovrabbondanza di dottrina, di operosità, di pazienza,
onde nella voluminosa serie àeW Arcìmio illustrò da sé tanti
soggetti e sciolse tanti problemi, e condusse tanti studiosi, vecchi
e giovani, a lavorare in modo più concludente, sobrio, fecondo.
Tra le altre sue infinite benemerenze v'è che contribuì a trarre
Giovanni Flechia, di diciott'anni piìi anziano che lui, a uscir
da quel suo singolare lavorio inedito dell'accumular fatti dia-
lettali innumerevoli e sapientemente vagliati, tenendoli in serbo
per un libro che non si risolveva mai a comporre : candido e
ingenuo adoratore e acuto scrutatore e assiduo predicatore del
vero, a cui nessuna smania di fama e di mondani acquisti era
di sprone.
Mentre l'Ascoli con febbrile attività, ma senza sospetto di
possibili rivoluzioni in una scienza che sembrava ben ferma nei
suoi cardini, badava alla propria fucina, gli giunse a un tratto
lo strepito d'una scuola nuova sorta in Germania, che fu detta
dei Neograminatiei. e che inculcava parecchie riforme nel metodo ;
e principalmente: che le leggi fonetiche s'avessero a ritener non
suscettibili di vere e proprie eccezioni nell'ambiente indigeno
di una data lingua o dialetto, sicché si dovesse più francamente
ricorrere a considerare o come imprestiti da altre lingue e dia-
letti, o come deviazioni prodotte da spinte psicologiche, quale
l'analogia, gli esemplari fonetici ritenuti fin lì come un capriccioso
allontanamento dalla rispettiva legge: e che convenisse rivolger
14 Francesco D'Ovidio
maggiore studio alle lingue e vernacoli viventi, applicando poi
senza scrupolo alle lingue antiche, e ai periodi remoti della loro
formazione, procedimenti non guari diversi, non meno pronti alle
deviazioni analogiche. L'Ascoli, come il Curtius, come lo Schu-
chardt ed altri ancora, rimasero un po' urtati da simili ingiun-
zioni. L'Ascoli che aveva impreso l'Archivio soprattutto per
istudiare i dialetti italiani, che aveva tanto contribuito ad assodar
il rigore di molte leggi fonetiche, che con le sue speculazioni
sulle gutturali protoariane aveva tanto giovato a schiarirne gli
ulteriori sviluppi apparentemente capricciosi, e così resultava
anche in parte l'autore indiretto e quasi inconsapevole ^ della
novella dottrina sul vocalismo protoariano, per la quale si tor-
nava ad ammettere l'esistenza dell' e e dell' o brevi al modo greco
in cambio dell'unico a breve alla maniera indoirana, insorse con
la Lettera glottologica del 1881 ^ e con altre dell' 86. Sbollite
le dispute, si venne facendo sempre più chiaro, come anche il
limpido e sereno spirito di Delbriick riconobbe, che, se dall'un
lato i nuovi grammatici avevano ecceduto nel tono di quelle
ingiunzioni e in qualche precipitosa applicazione dei loro pre-
cetti, dall'altro i vecchi maestri eran davvero stati più d'una
volta ritrosi a ricorrere all'analogia, proclivi ad ammetter ecce-
zioni fonetiche senza rendersi sempre esatto conto se le tenes-
sero per vere eccezioni capricciose o per anomalie solo appa-
renti e bisognevoli di apposite spiegazioni : non avendo insomma
una piena consapevolezza della portata dei principii che la nuova
^ Cfr. Corsi, ecc., pp. 42, 46, 49.
' La quale non era a me diretta, come fu creduto, e suppongo fosse un
discorso che per mero espediente assumesse la forma epistolare; né è da
confondere con un'altra lettera che davvero mi fece l'onore d'indirizzarmi
il 1887.
Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli 15
scuola adesso inculcava. Fin dove l'Ascoli, che giustamente ri-
vendicò a se' la parte di precursore, si attenesse poscia di fatto
al canone che la riforma neogrammatica avea reso piìi fermo,
sarebbe lungo e inopportuno il dire. Certo il suo spirito gagliardo
restò sempre fecondo di nuove verità particolari e generali, e
mantenne la sua incontestabile autorità. La raccolta in unico
volume di tutti quegli sparsi lavori dell'Ascoli che non son com-
presi nei suoi libri, né in questo suo monumentale Archivio, e
alcuni dei quali egli avrebbe esitato a ristampare (voglio dire
i Saggi ario-semitici, quel vero gioiello che fu l'articolo Lingue
e nazioni, la Lettera glottologica dell' 81, l'articolo sulla genesi
del superlativo greco in -tato-, e cosi via), molto gioverebbe per
la storia della scienza e per quella di tanto scienziato. In alcune
pagine d'un tal volume si avrebbe la riasserzione di quel prin-
cipio ch'ei proclamò e applicò tanto, della efficacia degli incrocia-
menti etnologici nella formazion delle lingue.
Disse un giorno lo Schuchardt non esser l'Ascoli l'uomo di
una scienza, ma l'uomo della scienza, e che, se non può imma-
ginarsi la glottologia senza l'Ascoli, ben può immaginarsi l'Ascoli
senza la glottologia. Infatti si penerebbe poco a indicare piò
d'una scienza fìsica, o d'una disciplina morale o storica, in cui
è da creder ch'egli avrebbe certamente brillato o grandeggiato.
Tuttavia errerebbe chi gli ascrivesse in effetto la versatilità,
nel senso ordinario di questa parola, cioè come una disposizione
che conduca a ondeggiare con più o men d'efficacia, in modo
più 0 meno felice, con la piena ammirazione o con la mezza
riprovazione degli altri, fra discipline affini o disparate. Da
questa seducente non men che pericolosa e affannosa molte-
plicità egli s'astenne, e fu tanto fido alla scienza sua, da potersi
in un altro senso affermare che l'Ascoli senza la glottologia
nemmanco si potrebbe immaginare. Fu versatilissimo e niulti-
latere entro l'ambito della sua scienza. Di rado assai e di fu^a
16 F. D'Ovidio, Comaiem. di G. I. A. — Goidànich, Nota al prec. art.
cedette ad altre tentazioni \ e di poco sconfinò dai limiti del suo
regno pur quella volta che più resta memorabile, cioè quando
nel proemio deìV Aì-chivio oppugnò la dottrina del Manzoni sulla
lingua, di recente riaccampata dall'immortale poeta. L'Ascoli
aveva per lui un'ammirazione grandissima, e a lui accennò con
ossequio senza pari. Ma nel combattere alcune parti della tesi
manzoniana fu ardente e solenne. Trascorse bensì oltre il segno,
ma l'esagerazione sua giovò a neutralizzare un'opposta esagera-
zione manzoniana, e l'Ascoli finì con l'annuire presto quasi del
tutto, in teoria e un po' anche in pratica, a chi propugnò una
dottrina intermedia e conciliativa f. Anche la sua lettera sulla
Colonna infame e un piccolo capolavoro.
Morì a Milano, ch'era divenuta la sua seconda patria, il 21 gen-
naio 1907. Con lui la scienza perdeva uno dei suoi campioni pili
formidabili, l'Italia uno dei suoi figli piìi gloriosi. Ci parve come
se un monte, specola e baluardo della nostra cultura, ci si fosse
repentinamente sprofondato dinanzi.
* Non si dimentichi il suo bel libro sulle iscrizioni giudaiche del cimi-
tero di Venosa, e la dissertazione sulle monete peleviche del Museo di
Napoli.
Francesco D'Ovidio
t II D'Ovidio certo qui deve alludere ai suoi proprii scritti sulla questione.
Il primo fu l'articolo Lingua e dialetto inserito nella " Rivista Filologica „
di Torino nel 1873, pochi mesi, cioè, dopo la comparsa del Proemio del-
FAscoIi, e ristampato nei Saggi critici del 1878, insieme con un altro articolo
relativo alla Questione della lingua, e con uno studio sulla Lingua dei Pro-
messi Sposi. Quest'ultimo poi fu il nucleo di uno splendido libro, che ha
avuto due redazioni diverse e l'onore di quattro ristampe, l'ultima delle
quali porta il titolo : Le correzioni ai P. S. e la questione della lingua,
Napoli, Pierro, 1895. Sono queste, scritture d'una straordinaria finezza filo-
logica, vei-amente geniali, che chiusero esse definitivamente la controversia
P. G. Goidànicli, Nota sulla (luestione della lingua 17
della lingua letteraria sollevata dal Manzoni. Questa rivendicazione mi pare
doverosa. Com'è apparso anche pubblicamente in più d'un elogio dell'Ascoli,
in elogi anche dovuti ad uomini per dottrina e ingegno preclari, s'è venuto
insinuando nelle menti di molti (per una certa confusione tra quanto era
vitale e quanto era eccessivo e non accettabile nel Proemio) il giudizio, o
il pregiudizio, che sia stato l'Ascoli a dire allora, sulla questione della
lingua, la parola definitiva ; e, con tal giudizio, si viene a togliere al
D'Ovidio, molto ingiustamente, un merito insigne.
Chiarirò brevemente il mio pensiero.
Tutta la controversia s'aggirava sul quanto debba la lingua letteraria del
nostro tempo attingere alla lingua dei- libri e alle vive fonti del toscano
parlato.
Il Manzoni aveva formulato il principio che a tipo di lingua letteraria
si dovesse assumere la favella delle persone colte di Firenze. Una tale for-
mula non ei-a scevra di pericoli ; e ben lo si vide quando il Manzoni stesso
(con molta moderazione, frenato dal suo genio sulla china d'un errore), e
(senza siffatta moderazione, e quasi direi ingenuamente) alcuni suoi seguaci
si diedero ad applicarla. Contro queste esagerazioni, per qualche parte
inevitabili, della teoria manzoniana s'era levato con gran foga l'Ascoli,
sostenendo, molto giustamente, che, se Firenze era stata culla della
lingua nostra, da sei secoli questa era divenuta la lingua nazionale, e agli
Italiani colti non poteva non ripugnare d'abbandonare forme, vocaboli,
costrutti, ormai sanciti da quest'uso secolare, per ridursi ad assumere la
parlata attuale di un municipio ; e che a ciò avrebbe portato, inevitabil-
mente, l'adozióne della formula manzoniana.
A questa parte critica della dottrina dell'Ascoli, imperitura, non ostante
qualche esagerazione della realtà, fece plauso il D' Ovidio sìibito, per
il i^rimo.
Ma vi era nella dottrina del nostro maggiore glottologo un'altra parte
che il tempo ha già dimostrato caduca ; e per questa parte il D'Ovidio
dissentì sùbito dall'Ascoli, per restare col Manzoni. Ebbe cioè l'Ascoli (in
conseguenza del luogo, del tempo e del modo in cui s'era formata la sua
cultura) della dignità della lingua scritta un concetto e un culto esage
rato; e questo culto lo portò, giova ben rilevarlo, ad un'aperta antitesi
anche contro la tendenza del Manzoni ad avviare la prosa italiana se non
al battesimo, almeno alla confermazione (il vocabolo quadra anche fuoiù della
metafora) dell'uso parlato ; ciò desumiamo non solo da tutto il contenuto
della seconda parte del Proemio, ma più precisamente da periodi come
questo : " Ma ciò non istoglie punto l'artista dal chiedere affannosamente,
e senza mai mostrare alcuna esitanza^ che di Toscana, o da Firenze, deb-
bano a furia farsi uscire legioni intiere di maestri elementari, i quali si
spargano a educar tutta l' Italia; egli vuole alle Alpi un apostolo qualunque
della pronuncia e della frase fiorentina, laddove l'Europa dice, che l'Italia
politica e pensante debba piuttosto far calare gli Alpigiani nel circondario
Archivio glottol. ital., XVII. -2
18 P. G. Goidànich
di Firenze, a diffondervi la lincrua della penna „ (p. xxx). Reputava l'Ascoli,
per ricordare e servirci di due efficaci suoi confronti, del tutto sconveniente
all'Italia l'ideale francese, l'ideale della lingua insegnata a tutta la nazione
da una capitale linguistica, e conveniente invece a noi l'ideale tedesco,
ossia quello di una lingua senza capitale linguistica e che vive e si muove
e si unifica semplicemente per effetto d'una coltura molto attiva che stringe
insieme milioni d'uomini a conversare tra sé di continuo con la penna e
con la voce. Ciò avrebbe consigliato l' Italia a non curarsi menomamente
della Toscana e di Firenze, ad aspettarsi la piena unità della lingua uni-
camente dalla diffusione e rinnovazione della coltura italiana, dalla spon-
tanea attività degli scrittori, dal loro affiatarsi sempre più fra loro nelle
idee e quindi nelle parole. Lo studio del toscano avrebbe avuto soltanto
un fine storico e dialettologico, e per tal fine sarebbe stato largamente
favorito dall'Ascoli e dall' " Archivio „, ma non già un fine pratico e
letterario.
Ma la riforma del Manzoni, nelle sue parti essenziali, trionfò, non ostante
l'antitesi dell'Ascoli, per queste ragioni.
Solo dopo la correzione dei Promessi Sposi divenne il Manzoni un teorico
della lingua. Anche allora, per la sua teoria, fu egli, non bisogna dimen-
ticarlo, altamente benemerito degl'Italiani; perchè, rinnovato ed accre-
sciuto per l'autorità del suo nome il concetto della dignità del linguaggio
toscano e fiorentino, egli promosse lo studio della lingua viva, e, per così
dire, aperse alla nazione anche la miniera dei vocaboli per designare gli
oggetti materiali e le attività della vita quotidiana e delle arti minori.
Ma veramente, per se stessa, la sua formula semplice fu un eccesso.
La quistione della lingua è quistione eminentemente pratica e complessa,
che risolve, caso per caso, l'illuminato arbitrio dell'artista; solo in generale
di tendenze si può parlare, e consigliare quella che, nella pratica del-
l'arte, abbia sortito l'effetto migliore ; laddove la formula semplice porta
inevitabilmente a preferenze e ad esclusioni per un giudizio preconcetto,
che possono anche riscontrarsi, a ragione meglio veduta, in opposizione alle
esigenze dell'arte e della storia. Sennonché la riforma del Manzoni ebbe
origini e sostanza ben piìi geniali. La correzione dei Promessi Sposi non fu
cioè l'applicazione di criterii ricavati come conclusione da un esame della
questione della lingua fatto astrattamente, come era avvenuto nel passato,
né fu l'effetto d'un gusto letterario personale, d'una maniera del grande
Lombardo ; ma fu, all'opposto, il portato geniale dell'esperienza che egli
andava facendo su se stesso : che la consuetudine con Toscani culti gli
veniva, come per incanto, sveltendo e perfezionando lo stile, e perfezionando,
come per incanto, in séguito a prudenti selezioni, distinzioni ed accresci-
menti, l'espressione linguistica dei suoi fantasmi artistici. Il Manzoni seguì,
dunque, nelle correzioni del romanzo, effettivamente solo la tendenza ad
avvicinare la lingua scritta alla fonte sempre vivissima e vivificatrice della
lingua parlata. E trionfò, non per alcun precetto stabilmente seguito, ma
Nota sulla questione della lingua 19
perché il genio l'aveva ispirato e poi guidato, con mano quasi sempre
sicura, nell'esecuzione del suo piano.
Gl'Italiani che, ammirati, lessero e rilessero, leggono e rileggono il
romanzo, ravvisarono e ravvisano in esso appunto (senza curarsi, o magai'i
senza saperne di teorie) il geniale modello della prosa nuova, della prosa
sola rispondente ai molteplici bisogni della multiforme e sempre più intensa
vita artistica e civile della nazione.
Fra le opposte esagerazioni, in cui erano incorsi da una parte, nella sua
teoria e, specie negli ultimi tempi, un po' anche nella pratica, il Manzoni,
dall'altra parte l'Ascoli, tenne il giusto mezzo il D'Ovidio. Ebbe il D'Ovidio
come prima di lui nessuno mai, una visione sicura e netta, da filologo
grande, delle condizioni storiche ed attuali della nostra lingua letteraria ;
ebbe egli anche da natura uno squisito senso d'arte; perciò, quando, tutto
animato di grande riverenza per i due sommi maestri, si diede a conci-
liarli, potè portare nell'acuta controversia la nota della moderazione e del
semplice buon senso, la nota giusta, insomma ; e si fece, per così dire,
l'interprete tranquillo e spassionato del latente pensiero dei più. Gioverà,
a conferma del mio giudizio, riportare qui alcuni memorandi suoi periodi,
commentarli con due parole e accennare di volo alle altre sue benemerenze
in questo campo. " Il Manzoni e l'Ascoli si sono regolati tutti e due sulle
vicende storiche della nostra lingua, per determinare la nostra condotta
presente rispetto ad essa ; ma il Manzoni ha considerato troppo esclusiva-
mente la condizione dei primi tre secoli, in cui Firenze ebbe la dittatura
letteraria sull'Italia, e l'Ascoli ha guardato troppo esclusivamente ai suc-
cessivi tre secoli in cui, cessata quella dittatura, l'attività lettei'aria è stata,
bene o male, di tutta l'Italia. Ma la nostra stona abbraccia tutti e sei
quei secoli ; e se negli ultimi tre secoli, che son la storia più prossima a
noi, le nostre condizioni rassomigliano a quelle della Germania, nei primi
tre, che però sono ancora strettamente collegati alla nostra coscienza pre-
sente, rassomigliano a quelle della Francia. Se dunque non si può prescin-
dere dai tre ultimi secoli, e quasi saltarli a pie pari, restituendo artifi-
cialmente a Firenze una dittatura già deposta, come voleva il Manzoni,
non si può, dall'altro lato, non guardare un poco anche adesso, come a
modello, a quella che fu per i primi tre secoli la Parigi, o almeno l'Atene
d'Italia. Se nessuno in Germania " discerne la culla della lingua „ e se neanche
i dotti si mettono ivi alla " ricerca del preciso angolo della patria tedesca „
da cui scaturì la prima fonte della lingua di Lutero, di Klopstock e di Kant,
in Italia, invece, tutti sappiamo bene quale sia stata la culla della nostra
lingua, tutti indocti doctique, sappiamo che la prima sua fonte è scaturita
dalla patria di Dante e di Machiavelli. E come questa differenza così
grande non avrebbe a determinarne una altrettanto grande nel modo che
dobbiam tenere nel provvedere alle sorti della nostra lingua? E poiché
tanta parte dell'uso fiorentino presente coincide con l'uso del fiorentino
antico, che alla sua volta è tanta parte dell'uso letterario italiano attuale.
20 P. G. Goidànich, Nota sulla questione della lingua
la conoscenza dell'uso attuale di Firenze non ci aiuterà ad acquistare più
pronta e più precisa la cognizione dell'uso letterario ? „ — In queste tran-
quille parole, che si leggono a pagg. 210-211 del libro del D'Ovidio qual era
nella redazione del 1880, sta tutto il nodo della questione. In un colloquio
coll'Ascoli sarebbe insomma il D'Ovidio venuto a dire : Ben vengano gli
Alpigiani a Firenze a diffondere con la dottrina la lingua della penna, ma
la prima cosa che dovranno fare, dal primo giorno che saran calati a
Firenze, sarà di sturarsi ben bene gli orecchi, non per stenografare coi loro
scritti la conversazione colta, fiorentina, ma per liberarsi da mille provin-
cialismi, ai'caismi, barbarismi, affettazioni, pregiudizi, spropositi, e per
assimilarsi quel tanto di toscano non ancora accomunatosi all'Italia che
meriti e giovi di esserle accomunato ! — Difendendo questo criterio mez-
zano, così dagli eccessi del Manzoni, e, più, dei manzoniani, come da quelli
dell'Ascoli ; difendendolo in teoria e applicandolo a molte questioni spic-
ciole di lingua; trasportando in lingua alla buona e in termini discreti il
Proemio, da un lato molto solenne, e dall'altro molto polemico, dell'Ascoli,
che poca presa avrebbe avuta di per sé sui letterati non glottologi ; traen-
dolo a conclusioni molto più temperate, ove della teoria e della pratica del
Manzoni si sceverasse il buono dall'eccessivo : liberando una buona volta
i diritti storici del toscano dal vecchio incubo dell'avversa testimonianza
di Dante, mercè una nuova interpretazione della Volgare Eloquenza;
insomma, accorrendo dovunque, in questo campo della quistione storica e
teorica e pratica della lingua, ci fosse un'esagei-azione da reprimere o una
verità da rilevare, il D'Ovidio ha reso un servigio che è pretta giustizia
il riconoscere. Chiunque consideri con serenità e senza ingiusti oblìi la fuse
letteraria che qui s'è delineata, dovrà necessariamente convenire che il
D'Ovidio chiuse, da storico della lingua e da critico artista, la controversia
sollevata dal Manzoni, non l'Ascoli.
Quanti mi conoscono e sanno pertanto l'ossequio, la venerazione e l'af-
fetto grande, che io ho nutrito immutabilmente e professato per l'Ascoli,
non potranno avere neppure il sospetto che io abbia qui pensato a meno-
mare in alcuna parte la grandezza della sua memoria; la gloria sua non
è, né sarà mai meno fulgida se gli si attribuiscano solo gì' infiniti meriti
ch'egli ha acquistato nella scienza per sé e per l'Italia. Ho parlato per
ver dire; utile è sempre dire il vero; e doveroso, anche se dolga. Ma le
parole del D'Ovidio, che l'Ascoli aveva finito coU'aderire in teoria alle
idee sue, come illumineranno molti, rassicurano l'animo mio; e foi'se
ancora il grande spirito del Maestro dall'Alto benevolmente mi sorride, di
quel sorriso indimenticabile d'una volta, quando, or sono molti anni e io
facevo i primi passi della poca via nella scienza che ho poi percorso, bat-
tendomi una mano sulla spalla, mi disse: macte pner !
P. G. G.
FRANCESCO D'OVIDIO
COMMEMORAZIONE
PI
COSTANTINO NIGR/\
La morte di Costantino Nigra, avvenuta a Rapallo nella notte
del P luglio 1907, arrecò gran dolore a tutti, ma ninna sor-
presa a quanti l'avevan visto negli ultimi anni invecchiare ra-
pidamente, e negli ultimi mesi star sempre con un piede nella
fossa. Non aveva ben toccato gli ottant'anni, e per più rispetti
pareva atto a trascorrerne parecchi altri ancora, ma un'infermità
cardiaca e l'indurimento delle arterie gli minavano l'esistenza.
In una notte a mezzo il dicembre del 1906 il suo cuore, quel
gran cuore, aveva quasi cessato di battere, e solo gli sforzi
disperati dei famigliari e dei medici riuscirono a richiamarlo in
vita. Pur era tanta la gagliardia della sua fibra, che, recatomi
io ansiosamente a vedere s'egli avesse superata l'altra notte,
lo trovai cosi ben vivo da venirmi incontro, con volto ilare,
col suo solito fare amabile, amichevole, cavalleresco; e da in-
trattenermi per piti d'un'ora leggendomi una celebre poesia d'un
celebratissimo poeta, chiosandola con singolare vivacità. Sen-
nonché pochi giorni dopo, durante le feste natalizie, quando la
dipartita sembra piìi amara pel contrasto tra il fato d'un uomo
22 Francesco D'Ovidio
e la comune gaiezza, ei si trovò di nuovo sospinto a un passo
dalla sua fine, e tutta Italia allora lo seppe e ne trepidò. Che
se ancora la solerzia altrui e l'ingenita vigoria sua valsero per
sei mesi a soffermarlo, com'ei diceva, nell'anticamera della
tomba, non poterono più restituirgli l'umore antico. Lucido restò
sempre il suo intelletto, lesta e fida la memoria, elegante la
loquela, aperto il cuore ai piìi gentili affetti ; ma ei sentiva
come il vivere fosse per lui niente più che un arduo problema
da risolvere ad ogni ora, ad ogni momento. " Colei che per certo
futura portiam sempre vivendo innanzi all'alma „ , ei se la ve-
deva assisa al fianco, pronta a ghermirlo ; e di rado al posto
di quel tetro spettro si collocava la larva della speranza. Da
ultimo, staccatosi da quella Roma, che non dovea più rivedere;
navigando pel mar Tirreno, fulgido de' suoi più bei colori estivi,
verso la ridente spiaggia ligure ; parlando con tenerezza patrio-
tica alla ciurma della regia nave che lo aveva portato a quella
spiaggia; posando sopra essa il piede, — si senti come rina-
scere, gli parve di aver ricuperato forze che credeva irrepara-
bilmente perdute. Ma era come l'estremo guizzo della grande
fiamma che si spegneva.
Però, se fu malinconico il tramonto della sua vita, se l'esordio
n'era stato ben modesto, la vita stessa fu fortunata assai. Nato
a Villa Castelnuovo, nel circondario d'Ivrea, l'il giugno 1828,
a vent'anni s'arrolò nell'esercito durante la guerra d'indipen-
denza; e dopo la guerra lasciate le armi, si laureò subito in
legge, e, per concorso, fu addetto al Ministero degli Esteri. Di-
venuto segretario particolare del D'Azeglio e poi del Cavour,
l'ingegno vivo, il carattere saldo, il senno precoce, il garbo del-
l'uomo di lettere, la singolare bellezza dell'aspetto così maschio
eppur così leggiadro, richiamarono l'attenzione di quei sommi;
il secondo dei quali non dubitò di elevarlo in pochi anni a uf-
fici sempre più alti. Il Cavour scrisse una volta come il Nigra
Commemorazione di Costantino Nigra 23
avesse più ingegno di lui. Fu una di quelle esagerazioni ma-
gnanime a cui l'uomo di genio trascorre, ma per un certo ri-
spetto non era un'esagerazione: il Nigra aveva anche nei mo-
menti più dolorosi una calma e una padronanza di se, che il
bollente ministro gli avrà qualche volta invidiata. Certo, chi
legge le note diplomatiche, i dispacci, le lettere confidenziali,
che il Nigra inviava da Parigi, vi scopre immancabile rettitu-
dine di giudizio, sobrietà perfetta di stile, intuizione pronta,
animo risoluto, tatto squisito, conoscenza profonda degli uomini
e delle cose, serenità senza freddezza, zelo senza smanie: tutto
quello insomma che rende prezioso un informatore e un consi-
gliere, e ne fa quasi uno strumento di precisione, o una bussola
che in qualsivoglia tempesta ti addita il polo. Neppur la febbre
delle speranze e delle angosce patriotiche valeva a farlo tra-
scendere in eccessi di ottimismo o di pessimismo ; come d'altra
parte neppure la sua grande intimità con quel paese, con quella
capitale, con quella corte, dov'egli era tanto festeggiato e pre-
diletto, bastava a fargli mai guardare le cose da un punto di
vista che non fosse strettamente italiano. Il pericolo degli am-
basciatori assai bene accetti al paese presso cui sono accredi-
tati, è che, se dall'un canto col favore che vi godono riescono a
richiamare sulla loro patria condiscendenze straniere che altri-
menti non si avrebbero, dall'altro però, col divenir troppo do-
mestici al paese in cui vivono, risicano di veder qualche volta
più con gli occhi del sovrano o del governo straniero che non
con gli occhi proprii o della nazione che gli ha inviati. Quel
pericolo il Xigra lo seppe schivare, che restò sempre autonomo,
sempre indipendente da passioni o ubbìe francesi: non ingrato
alla benevolenza francese e imperiale verso l'Italia e verso la
persona sua, ma non mai accecato dalla gratitudine. Un gran
personaggio .di Francia, commemorandolo, disse ch'egli era com-
piacentemente arrendevole negli accessorii e inespugnabile nella
24 Francesco D'Ovidio
sostanza, ritroso a promettere quel che non fosse sicuro di poter
mantenere e fermissimo nel mantenere quel che aveva pro-
messo. Fu detto ch'egli fosse un affascinatore, ed è notevole a
questo proposito l'affetto vivo che l'imperatore Francesco Giu-
seppe ebbe negli ultimi anni pel nostro rappresentante, che pur
aveva cominciata la sua carriera di patriota col buscarsi nella
battaglia di Rivoli, da caporale dei bersaglieri, una palla au-
striaca nel braccio destro. Ma di quel suo fascino nessuno si
dolse mai, poiché nessuno egli ingannò ; anzi una delle piìi se-
ducenti sue attrattive era appunto la lealtà incrollabile.
L'Italia aspettava ora di legger alla fine tutto il racconto dei
cinquant'anni della sua vita diplomatica, nel quale si sarebbero
rinnovati tanti ricordi di giorni ansiosi, di audacie sapienti, di
sforzi eroici di prudenza e pazienza. Delle sue Memorie ei par-
lava come d'un libro già compiuto e limato, qualche tratto ne
aveva già donato al pubblico, di altri aveva concesso che qualche
amico facesse uso, o gliene aveva egli medesimo dato lettura;
e lasciava solo intendere di volere o ritardata o postuma la
pubblicazione del libro per ragioni di convenienza cortese. Ma
nel settembre del 1906, preso da non so quale sconforto, mi
accennò il proposito di darlo invece alle fiamme; ed io natu-
ralmente mi adoperai a remuovernelo ; e vogliamo ancora spe-
rare (anzi un'attestazione dell'Artom relativa agli ultimi mesi
della vita del Nigra ce ne dà quasi la certezza) ch'egli non
sia stato così crudele con l'opera sua. La quale aveva fra gli
altri questo gran pregio, che d'ogni cosa arrecava possibilmente
le prove autentiche, i documenti ineluttabili, si da riuscire una
storia prammatica del nostro risorgimento e di altri grandi
fatti europei, assai più che una rievocazione di reminiscenze e
impressioni personali.
Ma, oltre il resto, oltre le tante ragioni di gratitudine che
abbiamo verso il Nigra come cittadini, una ve n'è che più ci
Commemorazione di ("ostantino Nigra 25
tocca e come cittadini e come uomini di studio, la quale più
vuol essere propriamente richiamata qui. A lui dobbiamo se
anche l'Italia può vantarsi d'essere stata alcuna volta rappre-
sentata da un ambasciatore della specie dei Niebuhr e dei
Bunsen: di uomini cioè che all'abilità diplomatica unirono l'abi-
lità e la fama di dotti, rappresentando del proprio paese non
solo la potenza e la fortuna ma la sapienza e la scienza, non
solo il valore pratico ma il valore ideale. E dico di dotti veri
e proprii, non di dilettanti piìi o meno imbevuti di dottrina o
d'arte, alle cui velleità intellettuali si applaude sol perchè sono
un dipiìi, e perchè si considera il bene che alla schietta arte e
alla seria dottrina può pur derivare dai gusti dilettanteschi di
un personaggio mondano. No, il Nigra è stato, oltreché un
poeta valente, un filologo diligentissimo e un glottologo dav-
vero. Se si fosse consacrato unicamente agli studii, la suppel-
lettile dei suoi volumi o monografie sarebbe pur bastata ad as-
sicurargli un posto cospicuo fra gli studiosi italiani e fra i dotti
d'Europa; tanta è la molteplicità della dottrina, la precisione,
l'accuratezza, l'acume, la curiosità indagatrice, la limpidezza di
pensiero, che brilla nelle sue pagine. Certo, nella pienezza stessa
delle informazioni, come nella pazienza indefinita delle ricerche,
ed in altre virtìi, si scorge manifestamente lo scrittore vissuta
in alte sfere, a cui tutti i mezzi di studio erano accessibili, e
che non lavorava sotto il pungolo delle necessità professionali;
ma fu semplice dono del suo spirito quello scrupolo di esat-
tezza e di chiarezza, e altri pregi, diciam così, didattici, che
senza dubbio avrebbero all'occorrenza fatto di lui un cattedratico
di prima riga.
La celebratissima raccolta dei Ccntti pojtolari del Piemonte è
un modello del genere, un monumento imperituro. Tra letteraria
e filologico, tra adorno e severo, è il volume sulla Chioma di
Berenice, ov'è ripubblicato criticamente il testo latino, e tra-
26 Francesco D'Ovidio
dotto bellamente, e v'è discussa con molta finezza la versione
e il commento del Foscolo ; come un ottimo proemio vi oltre-
passa anche i limiti dell'unico carme, anzi per piìi rispetti ab-
braccia tutta la materia catulliana. La metodica esposizione del
Dialetto di Valsoana, che trent'anni fa arricchiva uno dei primi
volumi deìV ArcJiivio, conformandosi agli schemi austeri di questo,
è, come disse il Rajna, " testimonianza insigne d'una coscen-
ziosità, docilità, tenacia scientifica, che sarebbero degne di lode
in chicchessia, e che in un uomo posto in così alto grado e oc-
cupato in così gravi affari sono addirittura mirabili „. Il Nigra,
che negli anni giovanili, a Torino, tra il primo fervore degli
studii sanscritici, vicino al Gorresio e al Flechia, aveva amo-
reggiato ei pure col sanscrito e con la linguistica comparativa,
nel decennio posteriore al 1870 s'era volto agli studii celtolo-
gici, di cui l'Italia era tuttora digiuna, salvo qualche bell'ac-
cenno del Flechia. Un po' l'esempio di quest'ultimo e la gene-
rale astinenza degli altri dotti italiani, un po' il trovarsi egli
ospite della più celtica fra le nazioni neolatine, un po' il con-
cetto ch'ei s'era formato della ripartizione e propagazione dei
canti popolari in Italia e negli altri paesi romanzi, — dal qual
concetto, come ha rilevato il Rajna, era invitato a fermar lo
sguardo sul substrato celtico delle regioni cisalpine, transalpine
e transpirenaiche, — lo indussero a divenir celtologo valente:
quale si mostrò nel 1869 colle Glossae hibernicae veteres codicis
taurinensis, e poi con gli articoli nella Bevue celtique, e colle
Reliquie celtiche del 1872. Di lì s'accingeva a passare alle Glosse
Iberniche del manoscritto ambrosiano; ma l'Ascoli volle atten-
dervi lui, e il Nigra, che sapeva trattar con le grandi potenze
anche d'ordine intellettuale, vi rinunziò di buon grado. E per
la trafila della ricordata monografia sul dialetto di Valsoana,
passò più di proposito agli studi neolatini e dialettologici, ai
quali del resto e l'Ascoli stesso e il Flechia e gli altri glotto-
Commemorazione di Costantino Nigra 27
logi italiani si venivano sempre pili stringendo. Accumulò te-
sori di ricerche etimologiche, e di recente li smaltì neìV Archivio
glottologico, nella Romania, nella Zeitschrift fiìr romanische Phi-
lologie. Fu una sequela di pagine ove molto materiale di studio
è adunato, molte verità sono acutamente scoperte ed efficace-
mente dimostrate, molte ipotesi sottili e ingegnose vengono
messe in campo. Talvolta son troppo sottili o ingegnose, e^
mentre applicano a rigore le leggi della fonologia, non riescono
persuasive, non han l'aria della verosimiglianza; tal altra volta
le leggi stesse della fonologia vi son intese in modo non abba-
stenza rigido, con una libertà che ricorda più antiche fasi della
scienza glottologica. Sennonché un carattere notevole hanno le
ricerche del Nigra quando son applicate a vocaboli indicanti
oggetti materiali, piante, animali, cose di caccia, industrie e
costumi villerecci: a base della speculazione idiomatica v'è la
cognizione realistica delle cose; una cognizione esatta, precisa,
minuta, della quale i piìi degli etimologi sentono in se il bisogno
senza poterlo appagare. Egli è che il Nigra, qual uomo di mondo
ed esperto di tanti paesi, aveva avuta l'opportunità di bene
apprender le co.se innanzi di scrutarne i nomi; e, vissuto nella
puerizia e nella prima gioventù tra i monti e i campi del suo
Canavese, aggirandosi tra gli umili, umile in parte ancora egli
stesso, come aveva raccolto con amore l'eco dei canti del po-
polo, così ne aveva osservato i costumi o i mestieri, e s'era
affiatato direttamente con la natura. Il gran signore ch'egli
era divenuto, e il buon borghese di campagna ch'egli era stato,
cospiravano ora a illustrargli i nomi delle cose.
Un altro studio lo attirò da ultimo, riconducendolo all'ama-
tissima regione nativa. Scorse con infinita pazienza gli Statuti
latini del vecchio Piemonte, per rintracciarvi i riverberi lati-
neggianti di voci dialettali, ossia il primo apparir di queste
sotto le simulate spoglie della bassa latinità. Questo lavoro in-
28 F. D'Ovidio, Commemorazione di Costantino Nigra
teressantissimo lo donò agli Atti del congresso storico subal-
pino, ed è già tutto in istampa: speriamo venga presto a luce.
Il Monaci ne corresse con lui le prime bozze; come con pia
sollecitudine riordinerà le altre carte scientifiche lasciate dal
Nigra.
Ultimamente egli s'era volto con zelo e affetto sempre più
intenso agli studii, e pareva cercare in questi la ragione del
continuar a vivere e quasi una seconda gioventìi. Dopo aver
tanto veduto e oprato, dopo un così lungo per quanto splen-
dido esilio dalla patria, vagheggiava di trovarvi un lieto e non
ozioso riposo. Il Sovrano presso cui rappresentava l'Italia non
si sapeva rassegnare a vederlo partire, il Sovrano d'Italia non
si sapeva rassegnare a lasciarlo tornare; ed egli s'arrendeva a
così alti voleri e a così alti doveri, ma in cuor suo non bra-
mava che il ritorno alla patria : il ritorno, se non forse " a così
riposato e bello viver di cittadini „ , certo " a così dolce ostello „ ,
Una parte della degnamente accumulata ricchezza aveva spesa
nell'acquistare una casa a Roma ed una a Venezia. Tra queste
due città anelava di poter venire a dividere gli anni suoi estremi.
Roma e Venezia! Quanta poesia, e quanta storia, v'era in fondo
a questa predilezione ! Predilezione quasi simbolica : come s'egli
avesse voluto prender ben bene possesso delle due città tanto
desiate ne' suoi anni giovanili. Roma e Venezia, il sospiro del
patriota e del diplomatico, erano ora il sospiro dello stanco
vecchio, avido di requie, d'un pacato rifugio dopo una vita ful-
gidamente avventurosa. Ma in ciò la sorte fu a lui e a noi cru-
dele: poco più che due anni lasciò a lui godere la patria final-
mente ricuperata, e a noi la gioia di veder tra noi aggirarsi
il reduce glorioso, l'alunno di Camillo Cavour, il vivente simu-
lacro dell'età eroica, che par tanto lontana, della nuova Italia!
STUDI SUI DIALETTI REGGIANI
FonolooTia del dialetto di N'ov^ellara,
INTRODUZIONE
§ 1.
Oggetto, ragioni e fonti di questo studio.
Mi propongo — se mi basteranno il tempo e le forze — di offrire
una descrizione generale dei dialetti della provincia di Reggio nell'Emilia,
intorno ai quali, se non mancano notizie particolari e preziose, sparse
nei lavori del Flkchia, dell'AscoLi, del Meyer-Lubke, del Saltioni,
del Parodi e di altri insigni glottologi, fa pur sempre difetto una trat-
tazione compiuta e sistematica, a cui si oppose finora la scai'sità del
materiale linguistico, raccolto e vagliato, per tutti i punti del territorio.
Infatti, tranne lo scarso e confuso Vocabolario reggiano del 1832 S i
saggi e le notizie, talvolta incerte, del Biondelli ' e dello Zucca(;xi
' Reggio, Tip. Torreggiani. — È anonimo; ma dalla bibliografia, che
è nel Biondelli, p. 463 (v. nota seguente), sappiamo che ne fu autore il
doti. Gio. Battista Ferbari. Per i criterii con cui fu compilato (p. XI) non
Berve che imperfettamente al glottologo.
^ Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano, Bernardoni, 1853, pp. 203, 205-
206, 234, 247-294, 388-402, 468. — È inesatto il Biondelli quando afferma
che manca al reggiano il dittongo fi (p. 203); e son molto dubbii i guastal-
lesi gallénna, canténna (p. 206).
30 Malagòli,
Orlandini [Raccolta di dial. ita!., Firenze, Tofani, 1864, pp. 173-185),
le poche versioni della novella del Boccaccio nel Papanti *, alcune rac-
colte di Ca)Ui popolari non estese pur troppo a tutti i luoghi della
provincia *, un elenco dei nomi reggiani delle principali piante (C. Casali,
1 nomi volgari reggiani delle principali piante nostrali e di quelle esotiche
più comunemente coltivate o note, Keggio Emilia, Tip. Artigianelli, 1905),
e pubblicazioni di letteratura dialettale, ristrette alla città e a qualche
paese più importante, noi non abbiamo ancora di molti comuni e fra-
zioni dell'alto e del basso reggiano documenti che ci permettano di sta-
bilh-e l'entità specifica e l'estensione dei fenomeni dialettali. Si aggiunga
che anche per i punti dei quali abbiamo qualche testo o ragguaglio, ci
manca quell'accurata analisi e trascrizione dei suoni, che è necessaria al
glottologo ^.
Non comincio, come potrebbe parere più conveniente, dal dialetto della
città, per due ragioni: la prima, che non essendo io del capoluogo della
provincia, ho stimato più sicuro prendere a base del mio esame quello
* 1 parlari italiani in Certaldo, Livorno, Vigo, 1875, pp. 381-387 e 568.
Le versióni sono nove: una per Brescello di D. Borrettini, una per Cor-
reggio di G. E. Fantuzzi, due per Guastalla di 6. Aldrovrandi (dialetto
urbano) e di A. Franceschini (dialetto campagnòlo), una per Novellara con
annotazioni di L. Rossi, una per Poviglio di E. Pellicelli e due per Reggio
di P. Viani (letterale) e di B. Catelani (più libera). Ma i comuni del reg-
giano sono quarantacinque ; e anche nelle frazioni di uno stesso comune
vi sono varietà dialettali non trascurabili.
^ La più ampia è quella curata da G. Ferraro, Canti popolari della
provincia di Reggio Emilia, Modena, Vincenzi, 1901, pp. 115 (Estratto dagìi
" Atti e mem. della R. Deputazione di Storia patria per le prov. moden. „,
S. V, v. II) : è preceduta da qualche nota di fonologia e di morfologia.
^ Nel Vocab. regg., per. es., non si distingue che un o aperto e un o
chiuso, e si confonde Vo di sóga ' fune ' con quelli di són ' suono ' e sónn
' sonno ', che son ben diversi ; cosi dicasi degli e di sUt ' salto ', sècc ' secchio '
(uso, s'intende, la grafia dell'autore) e dì sécch ' secco ', seva ' siepe '. Vi si
segna poi col medesimo accento, nonostante l'avvertenza a p. XI, Vi di
caiHisa e di frtzzer 'friggere', che nell'una e nell'altra parola ha colore
e lunghezza differente. — Anche il Ferraro (op. cit.) scrive senza distin'
Studi sui dialetti reggiani 31
fra i dialetti che conosco meglio nelle sue peculiari caratteristiche, cioè
il novellarese, che è il mio dialetto nativo e di cui do qui lo studio
della fonologia ' ; la seconda, che a raccogliere e a vagliar materiale
riguardante più specialmente il dialetto della città attende già da
tempo il i)rof. A. Catelani, il quale non può tardar molto a soddisfare
la legittima aspettazione degli studiosi, pubblicando una copiosa rac-
colta di osservazioni e di fatti, frutto di lunga esperienza e di amorose
ricerche nelle carte dell'Archivio di Stato di Reggio.
Le mie fonti furono principalmente orali : oltre la conoscenza che ho
io stesso del dialetto, rinfrescata ogni anno dalla dimora per qualche
tempo nel paese, mi giovarono assai le informazioni e gli schiarimenti
fornitimi al bisogno dai parenti e dagli amici cortesi, ai quali tutti
mando vive grazie della cooperazione. Né tralasciai di raccogliere per
l'interesse linguistico e folkloristico qualche tradizione popolare, di cui
do alcuni saggi nel testo e nell'appendice.
Non mi mancarono tuttavia interamente le fonti scritte, che negli
ultimi tempi, oltre il saggio di versione già citato (p. 30, nota 1), ap-
parvero in opuscoli e in periodici parecchie composizioni dialettali e
altre miste di dialetto e di lingua letteraria. Eccone il breve elenco,
nel quale non ho compreso alcune scritture, che, sebbene pubblicate a
Novellerà o mandate di là a giornali di fuori, sono opera di autori non
novellaresi e presentano caratteri ibridi e malsicuri.
1. La Madonna dia Fossetta ahhandoneda [sonetto] di F[elice]
V[ezzani], nel n. 4 del giornale " La Rana „. [Questo giornale si pub-
zione alcuna : fog p. 20, cgnosser ' conoscere ', bon, ib. ; créder p. 23, lei»
' liso ' p. 18; 2>''^*'t'/>? ' presepio ' p. 19 e (seder ' tessitore ' p. 21; risga p. 13
e (irlichl 'reliquie' p. 19; e per la ^ e per Vs: zendra p. 24 e zél p. 25,
stricch e siafi p. 28. — I medesimi inconvenienti si riscontrano nella pub-
blicazione del Casali, il quale veramente non si propone di esser utile ai
linguisti, ma ai botanici.
' Spero mi sarà perdonato se qua e là farò qualche osservazione che
in una trattazione compiuta dovrebbe trovar jiosto nella morfologia, nella
sintassi o nel lessico, e se abbonderò, per chiarezza, nella spiegazione dei
vocaboli.
32 Malagòli,
blicò a Novellara, a liberi intervalli, negli anni 1886 e 1887: fu edito,
il primo anno, dalla Tipografia novellarese Ruozi, e, il secondo, dalla
Tipografia legale di Bologna] ;
2. Consilli e ferrovia [versi] del medesimo, nel num. 5 del citato
giornale ;
3-5. La Mmiicipaleìde [canti narrativi in lingua italiana con fram-
menti dialettali] dello stesso, nei nn. 9,10 e 11 del giornale predetto;
6. Per al sposalizi ed la signorina Antonietta Righi con al sgnor
Eugeni Nasi, fati al gioren XXX avril 1887, Filiz Vezzani al dedica
a la sposlina, Bologna, Azzoguidi, pp. 4;
7. Il trionfo della culinaria di Poetastro Poetastri [polimetro, misto
di lingua e di dialetto], Reggio-Emilia, Tip. Operaia, 1888;
8. Al maravii d^Anvalera nella fiera di beneficenza di Poetastro
Poetastri [sestine], in " Nebularia „ numero unico ; Reggio nell'Emilia,
Tip. Operaia, 1892.
A queste composizioni ne aggiungo un'altra un po' meno recente e
inedita, favoritami da un amico. È anonima e rozza, ma credo oppor-
tuno pubblicarla nell'appendice, perché non trascurabile sotto l'aspetto
linguistico, e anche come indice dei sentimenti sociali di una generazione
già tramontata.
Più addietro nel tempo non rintracciai nessuna fonte scritta dialet-
tale. Le cronache novellaresi del secolo passato e dei precedenti (la piti
vecchia, del Battistoni, risale al 1675) nulla offrono di importante da
questo lato, perché tutte in lingua letteraria. Altrettanto dicasi delle
Memorie storiche della Contea di Novellara, ms. in tre volumi, opera
del can. V. Davolio, di cui si ha a stampa, per cura del Litta (Milano,
Ferrarlo, 1883), una prima e imperfetta redazione, ripudiata dall'autore '.
Qualche orma di dialetto meglio si scorge, sotto la vernice latina o
italiana più antica e incerta, nel Liber statutorum Novellariae del 1608,
stampato in Novellara nel 1611, nei Monumenti aggiunti alle Memorie
' I mss. delle " Memorie stor. , e delle cronache sopra ricordate si con-
aervano in Novellara, parte presso il Municipio e parte presso privati.
IIVIO glottOlOfpCO fÙtlKOIO, voi,, a vii, t^UNT. 1,
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COMUNE DI NDVELLARA
e
divisioni linguistiche
REGGIO
.-Strade princip Confine di g.
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^M\
studi sui diiiletti reggiani 33
istoriche di Novellava del padre Pier Maria da Modena S in rogiti e
carte dell'Ufficio d'acque, e finalmente in inventarli e scritture dell'Ar-
chivio Comunale che rimontano al secolo XY ' : di questi ultimi docu-
menti, tutti inediti, inserisco nell'appendice qualche saggio, non ispre-
gevole fors'anche per la storia del costume. Per la scarsità degli elementi
dialettali genuini che si possono riscontrare in simili carte antiche,
— intorno alla lingua delle quali son da ripetere le osservazioni già
fatte dal Salvioni sul Belcalzer (" Rend. Ist. Lomb. ,, S. TI, XXXV,
p. 957 e segg.), sui testi lodigiani pubblicati dall'Agnelli (" Giorn.
stor. d. lett. it. ,, XLIV, p. 423) e dal Savj-Lopez sul napoletano (" Zs.
£ rom. Ph. „, XXX, pp. 26-32), — non è possibile stabilire su di essi
la storia dello svolgimento della nostra fonologia : ce ne serviremo per
trovarvi spesso la conferma dei fenomeni che sono propri ancora della
fase presente del dialetto.
Di mediocre importanza, sebbene non trascurabile, la toponomastica
locale, quasi interamente d'origine recente.
Le fonti dottrinali verranno citate ai luoghi opportuni ^. Mi preme
però di esprimer qui subito la piìi viva riconoscenza al professore Pietro
Gabriele Goidànich, che mi fu guida amorevole e sapiente in questo
studio.
* Anche queste " Memorie „ sono inedite: ne ha una copia il Municipio.
^ Sono raccolti in filze sotto il titolo comune : Rogiti e scritture.
^ Due interessanti studi dialettali emiliani : Piagnoli, Fonetica parmi-
giana riordinata e accresciuta delle note morfologiche per cura di A. Boselli,
Torino, Tip. Salesiana, 1904 (p. 83); Bertoni, Il dialetto di Modena, Torino,
Loescher, 1905 (pp. xiu-78), videro la luce e mi furono noti dopo che avevo
già presentato questa mia dissertazione all'Università di Pisa (nov. 1904\
Dico ciò non per vane dispute di priorità, ma perché mi pare che, là dove
sia stata fortuita coincidenza nell'osservazione di fatti (cosa non difficile,
trattandosi di dialetti affini) o nell'interpretazione di essi, acquistino mag-
giore valore di attendibilità i nostri comuni risultati.
Archivio glottol. ital., XVII.
34 Malagòli,
§ 2.
Notizie topogralìche e storiche sul Comune di Novellara.
Novellara (v. schizzo cartografico) confina a nord coi comuni di
Guastalla e Reggiòlo, a est con Campagnòla e Correggio, a sud con
Bagnòlo in piano e a ovest con Cadelbosco e Guastalla. È un grosso
comune agricolo che ha una superficie di ettari 5596,8768 e una po-
polazione, secondo il censimento del 1901, di 7886 ab., di cui 1582
nell'interno, e il resto diviso in otto frazioni rurali, dette Ville, nel
modo seguente: Borgazzo, ab. 1060; Reatino, ab. 901 (a questa villa
appartiene il Bettolino, gruppo di case che topograficamente e linguisti-
camente se ne discosta, come vedremo); aS'. Michele, ab. 546; Boschi,
ab. 874 ; Valle, ab. 345 ; S. Bernardino (W Terreni novi, ab. 1073 ;
S. Giovanni della Fossa, ab. 806; 5'. Maria della Fossa, ab. 699. Le
prime cinque ville sono più vicine e più saldamente unite al capoluogo,
col quale formano un'unica parrocchia; le ultime tre più lontane e stac-
cate, con chiese proprie.
Avanti il nono secolo non si ha memoria di questa terra, che era
situata quasi nel mezzo dell'antico Campo Rainieri, circoscritto tra l'Enza,
il Po e la Secchia, sotto Reggio a cui apparteneva, in una pianura
paludosa (Davolio, Mem. cit., I, p. 6). Pare fosse dominata da Signori
longobardi, tra i quali la tradizione cita (Davolio, loc. cit.) Gherar-
daccio Malapresa, Alboino de' Reatini, che ricorda il nome di una delle
frazioni detta sopra, e Sirone de' Siri, da cui ripeterebbe la sua deno-
minazione un possesso rurale nel Comune, chiamato anche ora la Sirona.
Ritornata Novellara sotto il dominio di Reggio, vi rimase fino al-
l'anno 1371 in cui Feltrino Gonzaga, signore della città, cedette questa
a Barnabò Visconti, riserbandosi il territorio di Novellara, che d'allora
in poi formò uno Stato a parte (Tirabosohi, Dizion. topograf., stor.
degli Stati estensi, II, p. 150, Modena, Tip. Camerale, 1825; Davolio,
1. e).
.studi sui dialetti reggiani 35
In quei primi tempi Novellura coraprendevii cinque ville : Borr/azzo
(in questa era il nucleo dell'abitato, che fu poi il paese: il nome non
è che una eattiva italianizzazione del dialettale Bor;/az ' borguccio '),
Reatino, S. Michele, Boschi e Valle.
Quest'ultima, che anche ora è la trazione meno abitata, t'ormava una
sola palude con le valli di Reggiòlo e di Guastalla ; e le acque vi sta-
gnavano per modo che l'unico mezzo ai commerci da ([uesta parte era
la navigazione (Davolk». op. cit., I, p. 7). Di questo stato di cose ci è
ancora testimonio un fondo rustico che chiamasi // Porto, al limite
sud-est della villa. Un po' piìi tardi, cioè nella seconda metà del
sec. XV, si cominciarono a bonificare i terreni a nord-ovest, antico
letto del Crostolo : si formò così una sesta quadra detta de' Terreni
noci, ove poi furon fabbricate case e mandati abitanti da donna Costanza
Gonzaga (Davolh», I, p. 162), ed eretta la Chiesa di S. Bernardino
{Ih., p. 176).
Ultime vennero a lar parte della contea le ville di .S'. Giovanni e
S- Maria, che Reggio contrastò ai Gonzaga, — ■ insieme con una terra
limitrofa, S. Tommaso della Fossa, — fino alla prima metà del sec. XVI
{Ib., p. 72 e segg.). Di qui il nome di ville reggiane, che dura tuttora
a cj[ueste frazioni (quella di S. Tommaso fa parte presentemente del
comune di Bagnòlo in Piano), e le diflferenze dialettali che accemieremo
nel paragrafo quarto.
Spentasi nel 1728, per la morte del conte Filippo Alfonso, la discen-
denza maschile dei Gonzaga di Novellara, il feudo passò, nel 1737, al
duca Rinaldo I di Modena (Tiraboschi, op. cit., II, p. 151); e subì
d'allora in poi le vicende dei ducati estensi, modenese e reggiano.
Fu capoluogo di un mandamento che comprendeva anche i comuni
di Campagnòla Emilia, Fabbrico e Rio Salicéto; ora è sotto la giurisdi-
zione della pretura di Guastalla, al cui circondario appartiene ammi-
nistrativamente.
36 Malagòli,
§ 3.
Sul nome Novellara.
Le forme più antiche del nome della nostra terra, quali appaiono dai
documenti pubblicati dal Tiraboschi (Memorie stor. niod., Cod. dipi.. I,
p. 127 ; II, p. 98 ; III, pp. 10, 16, 23 ; Modena, Società Tipografica,
1793-1794), sarebbero Nuvelare, Nuvelariae (stato in luogo), Nuhilaria,
Nebularia. Nelle scritture e negl'inventarii del sec. XV, indicati sopra
(p. 38), la forma volgare è Nnvolara, la latina Niwlariae e Nuvolariae.
In un diploma d'investitura del 20 maggio 1518, di cui esiste copia
neir Ufficio d'acque, si legge Novellariae, — forma che trionfò sulle
altre negli atti pubblici, come è provato anche dal Liher stafutonim,
e che diede origine alla comune italiana Novellara.
Il dialetto, ora, dice Anvalera, che può esse)'e la normale risoluzione
così di Nuvelara o Nuvelaria come di Nebularia (con derivazione se-
midotta) o Novellarla.
La piti comune spiegazione etimologica del nome è da nuhila o nebula,
per la natura del luogo basso e soggetto a nebbie. Solo il padre Pier
Maria da Modena (Mem. cit., I, p. 9) mette in campo l'ipotesi della
possibile derivazione da un nome di famiglia Nivelli, che non dice donde
abbia desunto. Se non proprio un cognome Nivelli, un nome di persona
Novellus (De Vit, Onomasticon, IV, 729 , Prato, Tip. Aldina, 1887)
potrebbe allettarci come probabile origine del nostro nome di luogo ; ma
la considerazione che molti altri nomi di paesi e villaggi del territorio
si rieonnettono a condizioni locali (cfr. i citati Campagnòla, Fabbrico,
Rio Salicéto, Cadelbosco, Boschi, Borgazzo, Valle) ci fa propendere a
ritenere piìi probabile la prima opinione. E fra le due basi nilbila o
*nnbùla (" Ardi. Glott. „, XV, 505) e nebula, — se non si voglia ammet-
tere una coesistenza di entrambe che parrebbe attestata dalle antiche
forme, — sceglieremmo più volontieri l'ultima, riflettendo che le parole
imparentate con nilbila non pèrdono né modificano nel dialetto no-
vellarese il primo u (cfr. nuvolóh, nuvolina, nnvole'r * annuvolare ' e si-
Stiuli sui dialetti reggiani 37
mili). Anche dal lato semasiologico nehula parrebbe convenir meglio,
essendo frequenti, e a maggior ragione quando più aequa vi stagnava,
le nebbie in questa terra, che era, come abbiam visto, il lembo reggiano
iiiù basso. Si aggiunga che non mancano nomi locali da nehula in zone
limitrofe, dove non se ne hanno per contro da nìlbila ^
§ 4.
Confini linguistici e varietà di.alettali.
Il dialetto novellarese ci oifre uno degli ultimi limiti settentrionali
della nornuile palatizzazione di a in e: pèf, meder, parler, parie ,
Ip'germa, sélva, érk, ecc. *. Si può dire che il confine linguistico, segnato
con una linea turchina sullo schizzo cartografico, coincide qui esatta-
mente 0 quasi col confine amministrativo comunale, poiché dove co-
minciano i comuni di Guastalla e di Reggiòlo, si ode subito la con-
servazione di a in ogni caso, fuorché per -ariii che dà anche in questi
territori -er (n. 83).
Solo un breve tratto del comune di Novellara, su cui è un piccolo
' PiKRi, Toponomastica illustrata delle valli del Serchio e della Lima
(Siippl. per. all"'Arch. Glott. „, disp. V), p. 184. — Si potrebbe pensare
anche alla base novellu; per cui vedi Pieri, op. cit., p. 96, Salvioni, Giunte
ital. alla Romanische Formenlehre del Me>/er-Liibke (Studi di fìlol. romanza,
voi. VII, fase. 19, p. 228) sotto il n. 479 (505). Dovrebbe intendersi, in tal
caso, locus novellis arboribus consitus. Ma quest'ipotesi ha contro di sé, finora,
la mancanza di una forma Novellaria nei più antichi documenti. — 11
prof. Tito Zanardelli mi suggerirebbe una derivazione da ebulu 'sambuco';
ma se per ne bui a abbiamo attestazioni di forme volgari semidotte, queste
ci mancano affatto, che io sappia, nei nostri territori per ebulu, da cui
si aspetterebbe anche da noi una risoluzione con è/ come nel bolognese
nebbi.
■^ Sia detto fra parentesi che per questo fenomeno il novellarese segue
in tutto il reggiano, tranne per le seguenti voci : lasa ' lascia ', altari, se-
mari, /calamari, insalata, a/ma, che a Reggio suonano con e : lèsa, alter,
somè'r,kalame r, insulèta, sfma; al contrario il reggiano ha persuader, persuas
(Vocab.) di fronte ai novellaresi persvèder, persrè's.
38 Malagòli,
gruppo di case detto il Bettolino (v. § 2), al contine con Reggiòlo,
appartiene linguisticamente a questo ultimo Comune col quale ha più
frequenti e comodi contatti. Col confine di a coincide pure quello di
0 da ó e di u da u, che si odono nei territorii di Guastalla e di Reg-
giòlo S ma sono affatto sconosciuti nel nostro.
Queste notevolissime differenze nel vocalismo tonico, a cui altre se
ne aggiungono nel vocalismo atono, nel consonantismo, nella morfologia,
nella sintassi e nel lessico, fanno sì che il distacco fra il nostro dialetto
e quello dei due comuni di Guastalla e Reggiòlo, pure appartenenti alla
provincia di Reggio, sia sentitissimo; tantoché son detti da noi mcn/-
tovani i dialetti di quei due Comuni, in contrapposizione al novellarese,
campagnolese, correggese, ecc., che alla lor volta vengon chiamati, dai
nostri vicini di Reggiòlo e Guastalla, modenesi, comprendendosi con
questa denominazione tutto ciò che faceva parte dell'antico ducato di
Modena e Reggio.
Il confine con Guastalla è segnato soltanto da un fosso, detto ap-
punto Fossa di confine; ed è curioso (il fatto ha riscontri anche altrove)
udir parlare, in case poste a brevissima distanza, il dialetto novellai-ese
o il guastallese, secondo che ci troviamo di qua o di là del limite in-
dicato. Dal punto di vista storico è però da notare che a questo punto
si aveva una volta un'estesa palude (v. § 2) che teneva ben distinti i
due territorii, appartenenti a Stati diversi ; ciò spiega bene l'origine
della diversità del linguaggio.
Ma come si mantiene ora la differenza dialettale nonostante la vici-
nanza e i contatti che pur non devon essere rari fra gli abitanti del-
l'una e dell'altra breve riva ? Ciò dipende dal fatto che le terre di là
dalla Fossa di confine appartengono a proprietarii guastallesi o sono am-
ministrate, per conto dei più lontani proprietai-ii, da agenti di campagna
di Guastalla; cosicché i contadini che le coltivano sono in continua
' Anche questi territori, dunque, insieme con Luzzara, altro comune
della bassa provincia reggiana, sono da ricongiungersi per queste caratte-
ristiche ai dialetti settentrionali, come è già stato detto (Meyer-Lùbke,
* Grundriss'„, I, 707), di Mantova, Mirandola, Piacenza e Voghera.
Studi sui dialetti reggiani 39
necessità di rapporti con quelli, senza contare che sono anche scelti
nella maggior parte, com'è naturale, in quel comune. Il fenomeno in-
verso avviene per le terre e la gente di qua dal confine, nel comune
di Novellara.
Più semplici e chiare son le condizioni dalla parte di Rcggiòlo: cjui
non i-ontinuità di luoghi colti, ma vasti tratti di terreno soggetto a
frequenti inondazioni, senza case, coltivato a risaie, e un corso d'acqua,
il Bondeno, d'una certa larghezza e importanza, con alti argini. Fa
eccezione solo quella lingua di terra su cui è il Bettolino (vedi sopra),
congiunta senza interruzione al territorio iiovellarese ; ma questa lunga
e magra striscia di terreno, sfornita, com'è, di case, tranne all'estremità
nord, viene a foi'mare in realtà, come abbiani visto, una linea di sepa-
razione, anziché di unione con Novellara.
Da tutti gli altri lati, le differenze dialettali coi Comuni limitrofi son
molto minori : ci si presenta qui un campo più omogeneo, dove non
son bruschi e radicali passaggi, ma quasi sfumature di toni, poco av-
vertite da chi non sia del luogo.
A levante, il confine con la vicinissima Campagnòla ci offre subito
una differenza nella evoluzione di / -^ n che nel campagnolese si man-
tiene en, nell'o protonico che diventa », — fenomeni, del resto, non
ignoti, come vedremo, anche ad alcune parti della campagna di No-
vellara, — e nel suono di s leggermente rattratto e più vicino al
nostro z del dialetto. Quest'ultima particolarità va scomparendo verso
mezzogiorno, dove il comune di Campagnòla, agl'inizi della così detta
Fossa Mana, che serve di confine, s'addentra, a guisa di cuneo, nel
nostro territorio. Continuano però sempre le risoluzioni /// ) en e
0- ) u- , proprie anche del correggese. A sud e a sud-ovest la maggior
differenza ci è data dal dittongo ei da P, ì, in sillaba finale libera. Ho
riscontrato come limite ultimo di questo fenomeno, che ha il suo mag-
giore svolgimento verso Reggio. — dove ogni è, t passa di norma
ad ei, — la linea ti-aeciata in rosso sullo schizzo la quale distacca
le ville di S. Giovanni e S. Maria e una piccola parte meridionale
della villa Boschi dal campo dialettale strettamente novellarese, in cui
tale dittongazione è ora affatto sconosciuta.
40 Malagòli,
Terremo a fondamento della nostra esposizione il dialetto del paese
0, per così dire, la parlata urbana delle persone che sono fra i 30 e i
60 anni, notando via via le differenze delle varie frazioni rurali, che
possiamo distinguere in tre gruppi : il primo e piti ampio (che indiche-
remo con I) comprende il Borgazzo, Reatino, S. Michele, Valle e
Boschi-Nord; il secondo (II), S. Giovanni, S. Maria e Boschi-Sud; il
terzo (III), S. Bernardino. Quando una forma non sarà propria di una
determinata frazione, ma comune a tutta la campagna, faremo precedere
o seguire ad essa cont. o camp. Le forme proprie solo de' vecchi in-
dicheremo con antiq., e qua e là accenneremo le più giovani e quelle
del linguaggio infantile.
Inutile forse aggiungere che le distinzioni suddette son da intendere con
la dovuta discrezione: non mancano, anzi sono frequenti com'è facile com-
prendere, anche nel popolo che abita il paese, specie nella classe dei
braccianti, che ha quotidiani rapporti con la campagna, varietà rustiche ;
come, per contro, si odono talvolta in bocca di contadini, massimamente
tra i giovani, suoni e forme proprie del dialetto dell'interno.
Chiudo questa introduzione con una avvertenza che sarà opportuno
ricordare quando ci troveremo davanti a fenomeni qualche volta discor-
danti tanto da sembrar effetto di leggi fonetiche quasi opposte. Il nostrO'
è territorio, come abbiam visto, di confine : non apparirà strano quindi
che il dialetto, come avviene nelle così dette zone grige, presenti più
che altrove vocaboli o serie di vocaboli che escono dalla sfera dell'in-
fluenza reggiana e si spiegano come imprestiti dai paesi vicini.
studi sui dialetti reggiani 41
FONOLOGIA
A. — Condizioni fonetiche del dialetto.
Trascrizioni.
I.
VOCALI
1. Il nostro dialetto possiede, facilmente ^ percepibili da un
orecchio esercitato-, ventidue vocali ^ di cui quattordici orali
pure e otto nasalizzate.
2. Di queste ventidue vocali, dodici sono più o meno strette:
ò , o , If , « , ti , M , e , e , i , l, ì , ì;
^ Ciò va detto soprattutto delle toniche. Per le atone in genere è da
avvertire che la qualità loro non appare così ben distinta come nelle
toniche a cui vanno appaiate, rimanendo esse nell'ombra per la mancanza
di quello spicco che dà alle toniche l'accento.
- Io ho cercato di supplire con l'orecchio e con gli altri mezzi pratici
suggeriti anche dal caposcuola della fonetica sperimentale, il Rousselot
[Principes de phonétiqice expérimentale, Paris, Welter, 1902, p. 41), alla man-
canza di strumenti di precisione, nel determinare la natura fisiologica dei
suoni.
' Per alcune altre sfumature dell'e, forse non senza importanza per gli
effetti che posson produrre nell'evoluzione dei suoni, ma su cui gli orecchi
non son d'accordo, sarebbe necessario condur la ricerca con gli apparecchi
registratori perfezionati di cui si servono i laboratòri sperimentali ; diver-
samente c'è il pericolo di cader nell'arbitrario e nel soggettivo.
42 Malagòli,
dieci più 0 meno larghe:
& , d , à , g , g , e , è , 0 , 0 , o ;
soii quindi in maggioranza i suoni stretti, non però come in altri
dialetti emiliani *.
3. Riguardo alla quantità abbiamo tredici vocali lunghe :
a , (l , g , è , e , é , ì , », 0, o , o , u , i<;
e nove brevi :
h , e , e , 1 , t , 0 , 6 , u , ù ;
di qui una pronunzia, in genere, più strascicata che non nel to-
scano, la quale si riverbera anche nella pronunzia locale del-
l'italiano letterario. Per maggiori particolarità sulla quantità
delle vocali si vedano i nn. 188-190.
4. L'accento qualitativo delle vocali lunghe è diverso da quello
delle brevi. Nelle prime è meno vibrato che nelle ultime, e,
dopo un breve aumento d'intensità, va gradatamente affievo-
lendosi :
r-, ' —
le , grós ;
ha dunque movimento prima leggermente ascendente, poi, in
prevalenza, discendente. Nelle seconde è fin dall'inizio più vi-
brato, e si mantien uguale, se pure non aumenta, nel breve
tempo della durata della vocale, che cessa bruscamente come
troncata :
le , ros.
5. Sempre sotto l'aspetto fisiologico, è da notare che dei tre
atti di cui consta ogni articolazione, cioè l'attacco o entrata in
azione, la posizione e l'abbandono ossia il ritorno allo stato pri-
• Notiamo qui, una volta per sempre, che la parlata campagnuola tende,
in generale, ad allargare tutte le vocali ; vedi anche i nn. 56 nota 1, 70.
Cfr. per un fenomeno analogo " Arch. Glott. „, XVI, 486.
Studi sui dialetti reggiani 43
mitivo \ il primo, nelle brevi, è rapidissimo e desta quasi l'im-
pressione d'ano spirito forte, e così pure l'ultimo, che si compie
in silenzio; lento invece è Vattacco nelle lunghe, quasi da averne
l'impressione di uno spirito debole, e più lento ancora Yabhan-
dono, durante il quale continua il suono della vocale.
6. I vari gradi di chiusura e le varie gradazioni di timbro
delle vocali del dialetto e i rapporti loro con le condizioni to-
scane possono essere rappresentati sinotticamente, in uno schema,
nel modo che segue :
\ i tose. tose, u X
i\ /u
\ e t03C. tose. 0 /'
•^ \ e tose. tose, o /o
f
/
, tose. ,
\ a /
5
7. Per utilità mnemonica e per facilitare la composizione ti-
pografica, si tenga presente quanto segue :
1. Tutto le vocali accentate, che hanno un segno corrispondente alle
toscane, sono, come appare dallo schema, più basse e più aperte delle
toscane. Questa osservazione generale ci dispenserà dall'adoperare segni
speciali a indicare continuamente tali differenze fonetiche del nostro
dialetto dal toscano. Le vocali e, o sono larghe, ma un po' meno di
tose, e, g.
2. Parimente non segneremo la nasalità nelle vocali ; perché le vocali
sono nasalizzate solo davanti a nasale. Notisi fin d'ora che la nasalità aumenta
d'un grado davanti a n velare (n. 29).
' ROUSSELOT, op. cit., p. 334.
44 Malagòli,
3. La nasalità altera sempre il timbro delle vocali. Ma anche qui
potremo dispensarci dall'uso di segni speciali, perché, come si vede dallo
schema, queste alterazioni avvengono sistematicamente, cosicché le vocali
strette si allargano alquanto e le larghe (a compreso) alquanto si restringono,
4. è s'allarga alquanto davanti ad r, divenendo è; poiché un tal è non
s'ha in altra condizione, anche per esso adopreremo e.
5. Le vocali disaccentate saranno segnate semplicemente coi segni a, e,
I, 0, u ; s'avverta però che a in sillaba disaccentata è « e che tutte le altre
sono larghe come le toniche corrispondenti. L'o protonica è un po' più
larga e meno breve di o tonico. Cfr. n. 167.
6. Solo le vocali lunghe sono segnate ; le altre s'intendono brevi.
8. Liquide e nasali sonanti. — Allo stato presente il dialetto
nostro non ha liquide e nasali sonanti ; ma deve averle avute
in una fase anteriore. Ciò è indiscutibile per le sillabe proto-
niche. Per esempio, anvo ' nipote ' non ha già dato atievg e poi
anvo : la fase precedente è stata sicuramente un fìvo ; si con-
fronti questo caso con quello di nafer ' fiutare, annusare ', da
nff ' naso ', dove non ci fu sincope di protonica e non s'ebbe
la sonante, quindi nemmeno la prostesi di a-. Lo stesso si dica,
per esempio, di arfer ' rifare ', di contro a rafor ' rasoio ',
Può essere oggetto di discussione se anche in sillaba posto-
nica si debba credere che siano esistite, in tempo anteriore al
presente, liquide e nasali sonanti, per esempio, in pèder ' padre ',
férom ' fermo '. Il Piagnoli (pp. 46 e segg.) considera Ve posto-
nico di pèder e l'o di ferom epentetici, come le vocali posto-
niche in selov, Ureg. Ora, per ferom non si può venire a una
decisione, giacché ferm ci dà una sola sillaba. Ma per pèder è
molto meglio immaginare la trafila pèdre, pèdr, pèder, che non
l'altra : pèdre, pèdere jjèder, poiché queste epentesi pare apparten-
gano alla fase più moderna. Voglio però notare che il compianto
Piagnoli veniva a trovarsi in contradizione con sé stesso, perché
egli ammetteva che, per esempio, in crédere si perdesse prima
la postonica e poi la finale : ammesso ciò, \'r di credr diven-
tava necessariamente sonante. Cfr. Meyer-Lììbke, It. Gr., § 116.
Studi sui dialetti reggiani
45
IL
CONSONANTI
9. Gli elementi consonantici del dialetto considerati in sé
stessi e in rapporto con le condizioni toscane, si possono rap-
presentare sinotticamente con lo schema che segue :
Luogo dell' articolazione
Labiali
Labiodentali
Dentali : predentali . . .
, dentali . . . .
, postdentali . . .
Pi'epalatine : alveolari . .
, postalveolari
Mediopalatine
Postpalatine : pregutturali
, gutturali . .
velari . . .
MOMENTANEE
sorde sonore
CONTINUE
Fricative
'
- — -
Vibranti
sorde
sonore
f
V
s
/
z
x
l
r
H
j
[l'J
[h]
Nasali
In carattere tondo sono segnate quelle consonanti che si pronunziano
come nell'italiano, in corsivo quelle che si pronunziano diversamente ; fra
parentesi quadre son collocate le consonanti toscane che mancano al
dialetto.
Tendenze fisiologiche del dialetto.
11. Tre tendenze fonetiche hanno, in parte contemporanea-
mente, in parte successivamente, prodotto le condizioni fonetiche
46 Malagòli,
del dialetto : una è la tendenza alla rattrazione ; l'altra, forse
concomitante alla prima, la tendenza all'attività del velo pala-
tino; terza, la tendenza a un allentamento dell'articolazione con
un conseguente appianamento e una spinta in avanti della lingua.
12. La prima tendenza si manifesta già nelle vocali con l'o-
scuramento di a in e in sillaba tonica e in à in sillaba para-
tonica ; nel consonantismo, a tale tendenza sarà da attribuire
la rapidissima palatizzazione dei nessi ki, ke, Ix, m, ri^ si, sk'
(ora lo stadio della palatizzazione è in questi ultimi tre nessi
già oltrepassato), e la palatizzazione di H, gì^ secondari da kl, gì.
13. La seconda tendenza è manifesta nella nasalizzazione
delle vocali davanti a n, nella riduzione di n a n e nella ri-
duzione di r apicale a r uvulare.
14. Dalla terza tendenza provengono le alterazioni caratteri-
stiche sopra indicate sinteticamente nelle vocali e quelle che
indicheremo ora in /, d, n, k g, z ^, l, ni^ {f v) e nelle continua-
trici delle consonanti lunghe.
Descrizione fisiologica delle consonanti.
a) Esplosive.
15. ^ e ò. — Cominciando dalle esplosive, differenze note-
voli non ci offrono le labiali {p e b).
16. t e d. — Troviamo invece nella pronunzia delle dentali
{t e d) la lingua più bassa e con la punta tra i denti, cosicché
si può dire che abbiamo qualcosa di mezzo tra le dentali vere
e proprie e le interdentali.
17. k e g. — Più rilevanti sono le differenze nelle gutturali
{k e g). K e g sono da noi articolate al palato duro, non mai
al molle, quindi non sono vere ' gutturali ', come nel toscano,
ma pregutturali ; l'articolazione si avanza poi gradatamente verso
il palato medio e anteriore nella serie ku gn, ko go, ka ga, ke gè,
ki gì.
Studi sui dialetti recrgiani 47
18. e e // sono i corrispondenti etimologici di Au yi^ toscani,
come s'è detto ; a differenza dei e § toscani, che sono articolati
verso il centro del palato, i e § emiliani sono dorsali si, ma
prepalatini.
h) Continue,
a) Fricative.
19. z e .^. — Gli emiliani z, sordo e sonoro, sono (come os-
servò il prof. Goidànich già nel suo corso di glottologia del 1902-3
all'Università di Pisa) parecchio diversi dai toscani : gli z to-
scani, sordo e sonoro, sono momentanei e alveolari, gli emiliani
invece dentali e continui ; ossia per la pronunzia dei nostri z e i,
la punta della lingua tocca i denti ai lati, ma non presenta pili
alcun ostacolo nel mezzo, dove s'è formato un piccolo canale,
attraverso al quale passa il fiato senza interruzione.
20. s e f. — Per la pronunzia della fricativa s nei nostri
dialetti, l'articolazione è meno serrata che nel toscano, la punta
della lingua è abbassata verso i denti inferiori, la parte mediana
di essa è pili bassa che per z, minore il contatto e la pressione
contro i denti, e si ha un leggero arrotondamento delle labbra:
di qui una spiccata differenza di suono sibilante, che presso di
noi è pili grasso, per così dire, e rotondo.
21. Manca alla nostra parlata la fricativa palatina s, sosti-
tuita in ogni caso da s [sena scena, us uscio, kersn cresciuto):
questa mancanza si spiega per il fatto dell'articolazione, la quale,
a cagione del ribassarsi del nmscolo che determina l'ostacolo
orale, venne a coincidere con quella di s ^ Per questa tendenza
che s'unisce all'altra — propria essa pure, come vedemmo, del
' Il difetto si avverte anche nella nostra pronunzia dell'italiano : voci
come sciabola, coscia, lasciare, suonano in bocca ai più di noi sjn'bola,
kqsja, lasjàre.
48 Malagòli,
nostro organo vocale — di spostare d'un grado in avanti l'ar-
ticolazione delle consonanti, avviene che, specie nel popolo, sia
dell'interno sia della campagna, si confonda spesso anche la fri-
cativa del tipo z con quella del tipo s, la quale per tal
modo, insieme con la corrispondente sonora / {mp'fer macero),
sostituisce, si può dire, ogni sibilante.
22. f e V. — Queste due fricative nella nostra pronunzia, se
non son più labiodentali come nel toscano, non son nemmeno
ancora bilabiali come, forse un po' troppo arditamente, asserisce
il Meyer-Liibke per il v nell'emiliano ^ : i denti superiori e il
labbro inferiore hanno sempre parte nell'articolazione, ma il loro
contatto è piìi leggero che nel toscano. Il fatto che abbiamo
molte parole, in cui si trovano accanto una nasal dentale e f
o V {anvo nipote, infèren inferno, ecc.), e nemmeno una, dove
queste fricative seguano a una nasal labiale, ci riconferma che
son sempre più vicine alle labiodentali che alle bilabiali. Per
la non molta distanza tuttavia da queste ultime, si spiega la
facilità del trapasso nel nostro dialetto dalla semivocale u alla
consonante v e secondariamente a f {kvafer quattro, kàvfa causa,
flaff flauto) K
23. j. Nulla di notevole per J, che è spirante palatina sonora.
^ Italienische grammatik, Leipzig, Reisland, 1890, p. 113. L'illustre roma-
nologo si basa sulla parola psiga vescica, dove il t; a suo avviso, sarebbe
diventato p davanti a s, e non f come era da aspettarsi, per concludei-e
che V nell'emiliano è bilabiale ; ma l'esempio addotto non ci par decisivo
per le seguenti ragioni : 1) Anche Vf di fsiga avrebbe potuto essere bila-
biale (cfr. greco cp) ; 2) Il p di psiga potrebbe essere da un b anziché da r.
cfr. n. 198, Parodi, Rom. xxvir, 222-2'23 ; 8) Nel dialetto reggiano, secondo
il Vocabolario, si ha anche rsiga, che potrebbe essere però una grafia let-
teraria modellata sull'ital. ' vescica ' ; 4) Nei moltissimi casi in cui il pro-
nome atono di 2" pers. plurale viene a trovarsi in proclisi davanti a s, si
ha. f e non p: af so dir, non mai ap so dir, per av so dir ' vi so dire '.
- 11 fenomeno si ripete nella pronunzia locale dell'italiano : Evropa, vqmo,
Làvra, làfto per ' Europa, uomo, Laura, lauto ' e simili.
Studi sui dialetti reggiani 49
P) Vibranti.
24. /. — Come fu già osservato dal Josselyn ^ questa con-
sonante nell'emiliano è dentale, a differenza del toscano, umbro,
romano e siciliano, dove è prepalatina. La lingua ha la sua
punta contro i denti superiori e tocca gli alveoli : la pressione
è più debole che per t e d.
A ogni l' toscano corrisponde da noi un J, che sarà da con-
siderare anche qui, come nel parigino odierno -\ un'ultima
tappa di un antico / romanzo.
25. r. — Quanto a r, noto che l'articolazione è, per noi, al-
veolare.
Si riscontra anche nel nostro dialetto, oltre la vibrante, la
varietà fricativa di ;• ^, specialmente in posizione finale.
y) Nasali.
26. >n. — Nella pronunzia di m il contatto delle labbra è
più leggero che in h e p; la lingua nella stessa posizione piatta
e con la punta aderente ai denti inferiori, come nelle altre
labiali.
27. )i. — Parallelamente a ciò che si vide per le altre den-
tali, anche nell'articolazione di n si pone la punta della lingua
più avanti e più in basso che nel toscano, appoggiandola contro
i denti superiori.
28. Nasalità di m e ». — La qualità nasale del suono deìVm
e dell'» è più spiccata che nelle corrispondenti toscane, e si av-
vicina un po' più al tipo francese, com'è naturale in territorio
i^allo-italico.
' Op. cit., p. 88.
* RoussELOT, op. cit., pp. 616-617.
^ JOSSBLYN, op. cit., p. 87.
Archivio glottol. ital., XVII.
50 Malagòli,
29. n. — N originariamente anteconsonantico, m davanti a
labiale, sia in sillaba tonica sia in protonica, prendono un suono
velare (w) ^ : bànk, mmca, kànta, kanter, tenp, tenprilnza, ecc. —
Il medesimo suono si ha quando n semplice, non ni, viene a
trovarsi in fin di parola ossitona : kcin cane, piln pane, rem rane
(ma kan canne, pan panno, ram ramo).
Per questo n la punta della lingua non tocca i denti superiori,
ma s'appoggia alla base degl'inferiori, e l'avvicinamento avviene
nel palato molle : l'occlusione non vi è completa e si ha così,
come dice il Josselyn 2, un suono intermedio fra vocale e con-
sonante che ci rappresenta una tappa dell'evoluzione compiutasi
nel francese per la vocale nasale. Non essendo però totale da
noi la caduta, come nel francese, della consonante, la indichiamo
sempre anche nella trascrizione.
Coll'w velare s'accompagna un aumento ossia un doppio
grado di nasalizzazione della vocale precedente, più spiccata
nella campagna che nell'interno del paese. Per altre particola-
rità dell'evoluzione storica di voc -\- n finale v. n. 314.
30. n. — Il contatto del dorso della lingua col palato medio
nella nostra pronunzia di ti e meno forte che nel toscano, tan-
toché un orecchio poco esercitato potrebbe confonderlo con ni,
da cui differisce e per la posizione della lingua, più spianata
nell'ai e con la punta alla base dei denti inferiori, e per il
luogo dell'articolazione.
^ Cfr. Meykr-Lùbke, Gramni. d. l. r., I, § 389; Parodi, Rom., XXII, p. 314;
Salvioni, Studi di fil. rom., v. Vili, p. 162; Josselyn, op. cit., p. 96 e segg.;
Panconcelli-Calzia, op. cit., p. 43 e segg.
2 Op. cit., pp. 99 e 174.
Stiuli sui dialetti reggiani 51
c) Consonanti lunghe (doppie o forti).
31. Anche nei nostri dialetti le consonanti possono aver varia
lunghezza. La semplice intervocalica è più breve che nel to-
scano, tantoché ne è più facile lo scadimento ; e alla iniziale
e alla postconsonantica manca poco per aver il grado di forza
dell'italiano. Abbiamo in certi casi di sincope, delle conso-
nanti lunghe quasi quanto le doppie toscane e pronunziate in
mezzo di parola con la parte implosiva nettamente appoggiata
alla sillaba precedente e con l'esplosiva alla seguente {nied'dnr
mietitore): le consonanti poi che corrispondono, in determinate
condizioni, all'aggeminata italiana, son di poco più lunghe di
una consonante toscana scempia. Si hanno cosi nel dialetto
quattro diversi gradi di forza o lunghezza delle consonanti : il
tenue, il naturale, il forte e il rafforzato (1. radeva, 2. kelda,
3. fréda, 4. med'dgr). Diciamo qui qualcosa della natura fisio-
logica di questa lunghezza delle consonanti, riserbandoci di trat-
tarne particolarmente ai luoghi opportuni.
Il suono della consonante può essere più o meno forte e con-
tinuato secondo che si eserciti una maggiore o minor pressione
degli organi che hanno parte nell'articolazione e secondo la mi-
sura della durata di questa. Lo sforzo fisiologico maggiore, che
si rende necessario per la consonante lunga, va a detrimento
della lunghezza della vocale che le sta avanti e con cui è silla-
bicamente congiunta ; ne viene che a una consonante lunga pre-
cede sempre una vocale breve. Nello stesso modo e per la me-
desima legge, che potrebbe dirsi di compensazione dello sforzo
fisiologico, un allungamento della vocale porta sempre con sé
l'indebolimento della consonante che segue.
Di quest'ultimo fatto ci offrono testimonianza nel nostro dia-
letto voci come Qt otto, gn^s, lat latte, in cui essendosi allun-
52 Malagòli,
gata la vocale, si affievolì la consonante ^. E del rapporto in-
verso sono esempi mil mille, vila villa, sut asciutto, ecc., dove
sì mantenne la consonante lunga, ma si abbreviò la vocale. Come
corollario di quanto si è qui detto, è da notare che se nell'en-
fasi la vocale ordinariamente lunga viene pronunziata in modo
vibrato e rapido, la consonante che la segue subisce essa stessa
una trasformazione e diventa lunga nel senso da noi spiegato :
Val inpika! * Vatti a impiccare! '. Se avviene invece che ci fer-
miamo con la voce alterata dalla passione sopra una vocale
breve, la consonante non muta natura, perché ci è sempre forza,
per la qualità dell'accento sulla vocale breve, di aumentare l'in-
tensità della voce, cosicché la consonante seguente mantiene la
sua lunghezza, se pure non l'accresce : Bntut inbrojon !
* Il nostro dialetto si distinguerebbe in questo dagli altri dell'Alta Italia
che " scempiarono la doppia originaria, pur conservando breve la vocale
accentata „ Pauodi, Rom. XXII, p. 314 (cfr. anche Arch. Glott., XVI, 333);
se pure non debba ammettersi che il fenomeno dell'allungamento della
vocale tonica in pii, grgs, sdk, ni^4 e simili, col conseguente indebolimento
della consonante che la segue, sia particolare del nostro dialetto e poste-
riore alla generale riduzione della consonante doppia latina, per cui anche
noi abbiamo sft, rgs, ecc., con una consonante che è poco più lunga
della scempia toscana.
Studi sui dialetti reggiani 53
B. — Note di fonologia storico-descrittiva.
I.
V o e A L I s :m o
1.
Vocali toniche.
a) P A ROSSI TONI.
1) Evoluzione in sillaba aperta.
32. Nelle vocali toniche in sillaba aperta e in posizione de-
bole delle parole primitivamente parossitone, troviamo, oltre alla
confusione quasi generale romanza di lat. P i, e ò ìi, la sempli-
ficazione seguente:
lat. a è e 1 i o 5 ù a
dial. è e 1 5 u
Come si vede, gli esiti di lat. e, ò si fusero con quelli di P ì, ó il,
si palatizzò a ^ e si ebbero tutte vocali lunghe. (Per il tratta-
* Contro il Bertoni, che giudica questo fenomeno assai tardo (op. cit.,
p. 20; Zs. f. rom. Ph., XXIX, 215), v. Goidànich, Origine d. ditt. rom., p. 43 ;
Salvioni, Jahresb. IX, I 114. — La fusione degli esiti di (5, ò, u in sillaba
libera si ha anche fra i dialetti toscani nel viareggino e nello stazzemese,
Pieri, Dial. d. Versiglia, n. 11 (Zs. f. rom. Ph., XXVIII). Questa confusione,
come quella di e, s, ì, dev'essere recente. Che da noi anticamente è fosse
distinto da « ? è provato da forme come ajé', II aje'i- se, II s'èi n. 35,
tri n. 60''"' (di contro a se, le n. 60), mincu, ziuga, gramina n. 71 e 72. Al-
trettanto si dica di vu n. 61*''8 di fronte a ho, ihkq, ecc., n. 61, per l'antica
distinzione di ù da 7) u.
54 Malagòlì,
mento particolare delle vocali toniche davanti a nasale e a r, /
V. nn. 65-81^^^).
33. A : greda 'graticcio' era te, fèda 'botta' Salv., " Nuove
postille „ in Rend. d. R. Ist. Lomb. S. II, t. XXXII, s. *fata,
okleda ' urlo canzonatorio, abbaiata ', Flechia, Arch. Glott. Ili
158, Salv., Arch. Glott. XVI 373, -fc^a = -ata {kaMèda, lo-
dèda, ecc.), -f':=-atu -ati -atis {kantè\ lode', 1 Brufè' nome
locale, cfr. Flechia, Atti d. R. Accad. d. Se. di Torino XXVIII
43-46, ecc.), -iè'=-tat {karite , verite, ecc., n. 238), fré frate,
le lato, bèda bada (verbo) cfr. n. 101, ^jf^a paga, lèg ^ lago,
béva bava, kèva, lèva, rèva rapa, nèiv nave, cèv chiave, rè/ raso,
pèf pace, nèf naso, kvèfi quasi, vèf vaso, sèi sale, mèi male,
-f7 = -ale [kanè'l, nimè'l 'maiale', ecc.), èia ala, skèla;
nièder madre, pèder , kinèder comare, lèder ladro, Jèdra,
skvèdra squadra, tsèder Arch. Glott. I 407, fitèder ' affittuario ',
mièder mezzadro Rom. XXVI 303, mèger magro, èger agro,
sègra sagra, kèvra capra.
34. E : med miete, nega, lev ' polmone degli animali macel-
lati ' lève, c?g/ dieci, tera 'fila di pani attaccati' (e anche 'di
fieno ' : trèr a tera cont.), cfr, afr. tiere e v. anche Salv., Rend.
d. R. I. L., S. II, XXXV 961, Parodi, " Dialetto tabbiese del
sec.XVII„,72, Spezia, tip. F, Zappa, 1904:, jer acca ajer, D'Ovidio,
Arch, Glott, IX 53 ; inter intero, preda pietra, adre dedre
dietro, cfr. n. 160. Pèder Pietro, fever febbre. — Con ae: sèv
siepe, zel cielo e v, anche n, 122,
35. É, I, è: afe aceto II a/èi Introd, § 4, seda seta, réda
rete, beda beta Korting^ n. 13^2, monéda, meg meco, ^f^ teco,
se^ seco, tega baccello, botega, sev sébu, -éya=-ebat (pareva,
taf èva, ecc), rev refe, -f'/=ense (paef, gvastalef guastal-
lese, berslef brescellese, kastelnovef castelnovese, f aver gè f fab-
* Per la sonora finale qui e altrove, v. n. 316.
studi sui dialetti reggiani 55
bricese, raiole f reggìolese, ecc.), tela, kandéla, -et' = ere {parer,
tafer, ecc.), spera, stadera.
Y: se sete II sei Introd. § 4 S sfréga 'frega', nev neve, ^^fZ
pelo ; veder vetro, poleder puledro. Come r vien trattato anche tj :
pavèra 'sala' (pianta palustre) che si riconnette a papyrum
o papyria, cfr. ven. pavera, Arch. Glott. I 177 n. 3 e sen.
papeio, Fanf. " Uso tose. „ ; v. però qui pavarlna, n. 178; e ora
anche Guarnerio, Rend. d. R. I. L., s. 2% XLI, pp. 399-400.
Qui venga anche il semidotto hote'r ' burro ', per il cui accento
è da vedere ciò che è detto di altre parole consimili in Goidànich,
" Or. d. ditt. rom. „, p. 171.
36. I: Vida vite, ^rìc? ' sminuzzato, trito ', -Ic?a = Ita {fìnlda,
ku/ìda, ecc.), amig, fig fico, fadìga, mlga mica, zìga *clcat,
spiga, intriga ; vlv vivo, riva, vallva detto di terra ' di valle ',
o/iòriy" ' lombrico ', dlf òxce, -7;' = -Ire [finir, kufir, ecc.), mira,
pi, fila, -f/ =1-1 le {sutll sottile, kortil cortile, ecc.).
37. 0 : vod vuoto, niòd acc. a mot (la prima forma nella frase
aver al mòd ' aver mezzi ' ; la seconda nella locuz. avverb. a
mot ' ammodo ') v. n. 316, fgg fuoco, kóg cuoco, boga dal nèf
* narice ', Salv., Arch. Glott. XVI 292, log giuoco, prova prova,
nóv nuovo, ov lat. volg. Qvo, nof nuoce, mar muore, fora fuori
(così anche da *f orat ' buca, fora '), sòr suora, voi vuole, spòla
spola, -ò7 = -6lu [fjòl figliuolo, taro'l 'tarlo', Salv., Rend. d.
R. I. L., s. II, XXXV 970, karigl garzolo, ecc.) ; dróva adopera,
cont. krgv copre.
3^^»^ Ò, 0. 0 : anvg - nipote, dóga con o greco Arch. Glott.
' In questo dittongo è da vedere la ragione per la quale abbiamo nel
nostro dial. se e a/è' (v. sopra) anziché s(, aff. come sarebbe da aspettarsi
negli ossitoni, cfr. nn. 53-58. Anche adre n. 34 presuppone un antico dit-
tongo, che sarà stato té.
' Il femmin. anvoda potrebbe spiegare il masch. anvo, che avrebbe dovuto
56 Malagòli,
XVI 119, -o'/=:osu [permalof, famof, golò'f, ecc.), ro/ voce,
mar ' gelso ' (ma mora * frutto nero del rovo ', ved. Zs. f. rom,
Ph. XXX 444), ora, -or = ore {amó'r, dolor, ecc.), sol sole.
li : jwda pota, cont. lov urb. igg n. 242, Igv lupo e lòva ' fame
insaziabile ', króf croce, nò/ noce, nora nuora, gola ; sóver sopra,
lódra utre Kort^ 9936.
38. Ù: -ùda = -ut 'à (èa^r/c?a battuta, vriìda voluta, nuda ve-
nuta, ecc.), muda muta, skùd scudo, riìd * terriccio ' rudus Kort.*:
8187, Sìlg sugo, suga asciuga, riìga n. 153, Ifif luce, fùf fuso,
fgùra scure, dùr duro, madtir maturo, kul.
2) Evoluzione in sillaba chiusa,
39. Per le vocali toniche in posizione dei già parossitoni ab-
biamo gli esiti che seguono :
lat. a eei i o oii il
dial. a e i 5 o u
Si fusero qui soltanto lat. è é t, rimanendo distinte le risoluzioni
dì ó e dì ó lì ; a restò intatta. Si hanno tutte vocali brevi,
tranne per i riflessi di a e di o, dove la lunga sarà l'indizio di
una dittongazione precedente i. (Per le voc. dav. a nasale. -[- cons.,
v. nn. 66 e sgg.)
40. A : Davanti a consonante aggeminata : grap ait. grappo,
-at = suff. -atto [huràt buratto, zavata ciabatta, pnata * pentola '
essere anvó secondo il n. 57 : forse il -d di anvgd cadde assai tardi; il par-
migiano lo conserva ancora. Ma forse anche qui si ebbe prima un dittongo,
come s'è visto per a/e' n. 35 in nota.
* Vedi GoiDÀNicH, Oriff. d. ditt. rom., p. 18 e segg. Conseguenza del dit-
tongo sarà stato anche l'abbreviamento della originaria consonante lunga
che seguiva alla tonica in esempi come gr^s e sim. v. n. 31.
Studi sui dialetti rcfif^iani 57
II. 165, ecc.), znpa zappa, kvater quattro, sak sacco, vdka vacca,
somdk ait. sonimacco (specie di cuoio), stufa basso lat. staffa
Zaccar[a, " L'eleni, gemi, nella ling. it. „, Bologna, Treves, 1901,
s. V., bris basso, gnis grasso, 2^<''^ passu (nome) e anche 'ap-
passito ' (agg.), kas cassu ' vuoto ' detto di ravanelli. Aro- carro,
(/('tra da yalla n. 310, vai valle, kavùl cavallo, baia palla.
Coi nessi di co)is.'{-u e cons.-\-i, tranne W e si che si ri-
dussero anticamente a consonante semplice r e s, e non forma-
rono perciò posizione, v. nn. 82 e sgg. : sapja sapiat, abja
habeat, gabja cavea, akva &cqua, làz lat. volg. laciu, braz
braccio, -az ^= -Siceu [fdàz staccio, tenptiz tempaccio, oìiiZlz
' onione ' \ navàza ' mestatoio ' dalla forma, che ha nelle nostre
campagne, di una piccola nave, boUza *b o v a e e a ' sterco di bue ',
el vinazi la vinaccia, ecc.), spnza spatiat, m; radiu, fa^a
*fagiu (con cambiamento di genere), aj aliu, paja palea,
tnaja tenaglia, patàja ' lembo inferiore della camicia ', cfr. Salv.,
St. d. fil. rom., VII 234.
Con ogni altro nesso consonantico, primario o secondario, che
non sia r o l complicato (v. nn. 74-81^'^): kata captat, cfr. it.
* acjcatta ', kasa capsa, bak 'passo', baka da bake'r 'metter
piede' (cfr. *bad[i]care, Parodi, Rom. XXVII 199), lat latte,
fàt f a e t u , maca m a e [u] 1 a , skervaca *c r e p a e [u] 1 a ' crepaccio
nel terreno ', kaska casca, aftna, nas nasce, sas sasso, lasa (ma
II Irsa, cfr. Introd. § 4), rask *ras(ijcu.
41. E, E, I. e: set sette, let letto, pei, sotbék ' colpo dato sotto
il mento ', Kort.^ 9206, vec vecchio, mej meglio, mei mezzo,
pe- peggio, vesta veste, vrespa vespa, tenpesta ' grandine ', testa
' capo ' e anche ' mattone ' nelle frasi mur d'una testa, ed do
test e sim., festa, fnester finestra, tes tesse, jìeza pezza, ^er« terra,
gcera guerra, fer ferro, pel pelle, rastél rastrello e ' cancello '
' In senso spregiativo si usa oinf'r ' omaccio ', cfr. Papanti, 383.
58 Malagòli,
rastellu Kort.^ 7795 rastellis Lib. statut. p. 202, kvel ait.
covelle ^ -él = -eWu {kapél, morél, Emanuel, Samuel, ecc.). —
Con ae: presi. (Per è dav. a r, Z + cons. v. nn. 74, 76, e dav.
a l'i, sL, n. 84.)
è: tee tetto e meno coni, teg"^, Salv,, Rend. d. R. I. L. S. II,
XXXV 964, PiAQN., n. 113, tega teglia, te^a I e II ' fienile ' tezia
Lib. statut. p. 152, leska esca, kres cresce, stela stella e, se
non son da considerare piuttosto voci dotte o semidotte, cont.
lukela loquela, cfr. Salv,, Arch. Glott. XVI 373, kverela acc, a
cont. kvarela querela, dalle forme latine in -ella, Stolz, Hist.
Gramm. d. lat. Spr. „, I 509. (Dav. a n, si, n. 84.)
/: krepja greppia, fred *frig[i]du D'Ovidio o *frTjdu>
frijdu, Meyer-L., " Einf. „, § 94, p. 109, sek secco, stret stretto,
oreca orecchia, seca secchia, strega striglia, adés adesso Arch.
Glott., XIV 269, Meyer-L., Grob. Gr., I^ 653, listés lo stesso
(avv.), veza vici a, treza treccia, met mette, -et = -ittu [povrét
poveretto, kavrét capretto, ecc.), les lesso^ spes (avv.). La Bar-
kesa n. di un fondo rustico cfr. ven. barchessa Salv., St. d. fil. r.,
VII 218, 7;es pesce, peska pìscat, kvest questo, kresj) crespo,
breska Kort.^, 1578, mesca mischia, mnester ^ minestra, fnester
sinistru nel senso di ' storta ' per uno sforzo, una caduta o
sim., kavester ' scapestrato ', s^e^a 'scheggia' *astìlla Kort.^
9*02, putél ' ragazzo ' putillu Ascoli, " St. crit. „, II 101 nota,
kvel quello. (Dav. a r, ^ + cons. v. nn. 74, 77; dav. a ?7 n. 84;
dav. a U n. 88.) Con y, ^es gypsu.
^ Ved. ora per queste e altre forme consimili, Merlo, Zs. f. rom. Ph.,
XXX. 450 sgg., XXXI, 161 e sg.
^ Si usa anche come aggiunto di ' grasso ' : gras tee, gr&sa teca ' grasso
zeppo ', acc. a gràs teg. In questo significato si connette con lucch. tegghio
aret. tecchio serav. teizo, Zs. f. rom. Ph., XXVIII, 190, a cui si attribuisce
un'altra etimologia.
Studi sui dialetti reggiani 59
42. I: fihja fib[u]la, frit fritto, pica picchia, stiz tizzo, riz
riccio, -iz = -Tceu [verniz *hibernTceu, skotlz ' brucia-
ticcio ', ecc.), fis fisso, list visto, tnst ' di aspetto sofferente ',
pista pTstat, -ista = Tsta, ;(/ giglio, vila villa, mil mille,
spila spilla. (Dav. a si^ n. 85.)
43. 0: scóp schioppo, sk-oz coccio, strópa stroppus (con cam-
biam. di genere), ót otto, not notte, h-Qka brocca (vaso e ' ramo
d'albero '), hrok ' ronzino ', sprgk ' stecco ', skgka cassa del cocchio
Salv. Miscellanea- Ascoli; 90, oc occhio, avrà òp[e]ra, haroz
barroccio, òs osso, grgs post. pos[i]tii se pure non è dall'ita-
liano, kQsta còsta, voster vostro, noster, kosa coscia, kol collo.
(Dav. Q. r, l -\- cons. nn. 74, 79 ; dav. a U n. 88 ; dav. a W
nn. 82, 86.)
44. (), U. 0 : k/ios acc. a konós conosco (semiletterario), mostra
mo[nlstrat, kosta co[n|stat Kort.'' 2450. (Dav. /•, l compi,
nn. 74, 80; dav. a n nn. 82, 87.)
ù : stopa s t u p p a , kopa ' coppa ' parte di dietro del capo,
sotkopa sottocoppa ' vassoio ', got ' grasso' (agg.) *gluttu Kort.^
4285, fot futuit, koììdót condotto, soi e sofà sotto, sangót 'sin-
ghiozzo' *singluttu, boka bocca, aiók 'sciocco' cfr. pisano
locco, ros rosso, agóst ' agosto ' Merlo, " Stagioni e mesi „, p. 10,
grosta crosta, losk 1 uscii 'guercio', most mosto, cont. irìgós
'schifo' angustia, poz pozzo, tor torre, boi bollo, boj biillio.
(Dav. a r, l compi, nn. 74, 80.)
45. C: put e puta ^ chi invecchia senza contrar nozze', sui
asciutto, distrut strutto, tut *tQctu (?) Nigra, Rom. XXXI 526,
V. però Salv., Arch. Glott. XV'I 600, giica 'ago' a]cuc[u]la ^,
vhic vilucchio, suca succhia, luz luccio, giiza ' affila, arrota '
' Il regg. góccia sarà per contro da *a\cùc{u\la. E se pare strana la doppia
base proposta, si potrà pensare per il nov. guca a un effetto di metafonesi
n. 96, 0 a un influsso della velare precedente, cfr. n. 186
60 Malagòli,
a]cutiat, hiÀst busto, gust gusto, muse muschio, riisk 'spaz-
zatura' ruscum Lib. statut. p. 31.
h) Proparossitoni.
46. Le toniche delle voci originarie proparossitone, sia in
sillaba aperta, sia in posizione, sono trattate come quelle dei
parossitoni in sillaba chiusa, v. n. 39 :
47. A: In sili, libera o in posizione debole: sales salice,
sjHìres ' asparagio ', caoga chiavica, fbjàvid ' sbiadito ' ait. biavo
e biado, -àdeg = -a ti cu {marzadeg ' marzuolo ', ma^adeg ' mag-
gese', konpanCideg companatico, salvàdeg, volàdga volatica, jadga
'lugliatica'; — Favreg Fabbrico ^
In posizione : trcipla trappola, pasra passera, baler (masch.)
' ballotte, castagne lessate ' ; letterari, àkvila aquila, Paskva
*Pascua KoRT.3 6893.
48. E, É, I. e: névola semidotto ' ostia ' ne bui a cfr. genov.
nege Arch. Glott. XV^I 159, jiegra pecora, lever lepore, teved
tiepido, fbreved 'di poca consistenza' se connesso con brevi s
Salv., Misceli. -Ascoli 78, v. però Rom. XXX 570 *, re/ga ' sega '
reseca; le:;er cont. 'scegliere' ma nell'interno soltanto 'leg-
gere', nespol nespolo ; peten pettine, eser essere cont. reser
n. 204, presja ' fretta '.
* Il primo documento storico in cui appare il nome di questo comune,
che faceva parte del mandamento di Novellara, è del 772 (Tiraboschi, Cod.
dipi., IT, 85; Davolio-Marani, Storia di Fabbr., Modena, Toschi, 1897, p. 14).
In esso è ricordata la chiesa di Santa Maria de Fabrega. Del 946 e del 948
son poi due altri documenti, citati dal Davolio-Marani, Ib., 17, nei quali
si parla di terra e di corte in Fabrice. La forma volgare col v è attestata
da un diploma del 1050 (Dav.-Mar., op. cit., p. 21). — Quanto a jàdgu si
veda anche Piagn., p. 45 nota 2.
' Con signif. quasi uguale si ha fbrévile e sbrevito nella Versilia, Pieri,
Zs. f. rom. Ph., XXVllI, 187.
studi sui dialetti reggiani 61
é: tredes tredici, sedes sedici, indeves ' malazzato ' Ardi. Glott.
II 351, cereg chierico; — de/da *dè-excitat.
T: tseved *dissipidu, -edeg = -ìtìcu [bledeg 'solletico' cfr.
n. 19S, fmoledeg 'viscido'); vefkov vescovo.
Qui ci sia lecito porre anche, per il colore della tonica, begra
' fanghiglia '.
49. I trulla 'tritolo' '''tri tuia, rider, fideg G. Paris e
L. Havet, Misceli. -Ascoli 41-63; Schuchardt, Zs. f. rom. Ph.
XXV 615, onhrigol *umb ji] liculu, higoj 'spaghetti' (v. anche
n, 274) , skriver scrivere, vipra vipera (semiletter.).
50. 0 : fódì'a fodera, limofna elemosina ; kotma e o 1 1 u m u (con
mutam. di genere), tgseg ^ tossico, kóreg (masch.) cesta rotonda
di vimini intessuta fittamente sotto cui si collocano pulcini, pic-
cioni e sim. cfr. mil. kòreg Salv., St. d. fil. rom. VII, p. 222, e
korga (femm.) cesta pure rotonda, fatta di rami d'albero, che
serve per portar erba, paglia, ecc., poleg moden. pòles Galvani,
" Gloss. modenese „ 374 ' perno ' v. n. 317 con cui fosse andrà
polga (femm.) ramo novello dell'annata.
Qui probabilmente anche kapoleg ' grosso ' moden. capòdeg per
il quale postulava il Galvani 222 capoticu, che darebbe ?; e
non/): forse *cappoticu (cfr. Kort.^ s. *cappo?) e il reg-
giano -l- potrebbe essere analogico su pgleg e polga ?
51. 0, U. ó: dodes dodici, skodfa ^ ' assicella o stecca del ven-
taglio ', soreg sorcio, knoser acc. a konoser cfr. n. 44.
u: kodga cotica, arskoder re -ex cu ter e detto delle ova che
si fanno covare perché ne esca il pulcino ; hókola buccola.
niokol moccolo.
' Solo nella frase : ain^'r kme l toseg, che si dice di cosa molto amara.
^ Da còdice non da caudice come ha il Bert., Dial. d. Morf., n. 43,
che è costretto poi a giustificare l'irregolarità con una supposta influenza
di cùtica.
62 Malagòli,
52. U: suer e cont. suver n. 223 nota, nuvol nuvolo ; inìcuien
incudine n. 252, mina ruggine, rusteg rustico.
e) OSSITONI IN VOCALE.
53. Ricompare qui la fusione degli esiti ài e è ì, ò 6 u, come
in sillaba libera dei parossitoni, ma il colore e la quantità della
vocale sono quali si riscontrano di preferenza in sillaba chiusa,
cioè e, o; e così i, u: a dà à. Si hanno dunque, di norma, tutte
vocali aperte e brevi.
Questa regola vale solo per gli ossitoni originari in vocale o
in consonante che siasi dileguata senza lasciar traccia, e per gli
ossitoni secondari derivanti da parossitoni sincopati in fonetica
proposizionale dove avevan funzione di proclitici. Per altri os-
sitoni secondari v. n. 35 nota, n. 37^*^ nota, nn. 60-62, n. 150.
54. A: dà dat, sta, va, fa, sa, kantara canterà, farà', ecc.
(per a ha; v. n. 100); là ili a e, za 'qua' ecce-hac; frahala
falpalà Arch. Glott. XV 284 ; kà casa, abbreviazione sintattica
avvenuta in proclisi.
55. E, E, I: e est, konié come quo modo est, cont. anti-
quato a pasé 'poco lontano, poco fa ' *ad passum est (?), cont.
pe piede, v. però anche n, 62 (urb. pe n. 60) ; — me m e, se
se, n e III te (urb. e I ^i n. 60) té ^; — ve! esclamaz. vide
n. Ili, perké perché, fé nella frase a la fé! che ho udito solo
in bocca ad alcuni vecchi 'affé!'. — E qui vadano pure kafé,
kabaré ' vassoio ', kanapé, gilè imprestiti, e forse anche re.
* Probabilmente esistevano in antico entrambe le forme me e ie da me
e tè acc. a mi e ti da mihi e tibi. Per mi abbiamo la forma dubitativa
fossile, propria ancora di qualche vecchio, mlso 'lo so io?', e anche, se
indigena, la locuzione Ve un mi si, mi no riferita a persona di carattere
irresoluto.
studi sui dialetti reggiani 63
56. I: di die, ki qui, li illlc^; senti', fini', ecc., senti,
fini', ecc. ; mari' marito.
v-* — v^
57. 0, 0, U: pò post 2, però per hoc, mo mo[do], antiq.
e volg.Jabóf ohibò!, cont. iììiamó ' già '; — ~o ' giù ', prò ' gio-
vamento ', kroìtaró canterò, maìiaró mangerò e sim. (per o ho
n. 188 a). — Per esempi con u n. 63.
58. U: su su, pju plus e i semidotti Gefu' , viti velluto, he-
ìitu ' bellezza ', hravitu ' bravura ', servitù , ecc.
d) Sostantivi monosillabici in consonante.
59. Son trattati come in sillaba libera: kor cuore, mèi miele,
fèl fiele.
e) Iato.
60. Nell'iato, primario o secondario, dav. a i, la vocale vien
trattata come in sillaba libera :
E: me mei (acc. a mio, sing. e plur. masch., forma lette-
raria fissa), le lei. Iato secondario: se sex^, pe piedi. Per pU
V. n. 207.
Nelle frazioni comprese sotto II si ha -é da -ei = -elli {frade
fratelli, korte , he e sim., di fronte a fradéj, kortéj, bej, ecc. nel
resto del territorio) *.
' Nella campagna, quasi de, ke, le con e breve e semiaperto, special-
mente nell'enfasi. Nel grido prolungato con cui il bifolco arresta i buoi
si sente un le addirittura aperto e lungo con accento ascendente. Cfr.
Arch. Glott., XVI, 486.
• Po e, sopra, e n. 55 potrebbero anche spiegarsi da *poi, *ei in proclisi.
^ Sie, proprio soltanto della villa di S. Bernardino (111), è un imprestito
guastallese.
* Per il reggiano v'è da aggiungere ai casi di iato e QS, per cui il no-
vtiUarese adopera l'analogico seii ' sei ' su soh sono (1* pers).
64 Malagòli,
gQbis^ E, I. e: Iato secondario: tri tré (masch.) per metafonesi
n. 95 da Hrei > tres. Per il femm. tre n. 62.
ì: Unico esempio di iato secondario ti ' tu, te' da tibi < */ei
e per metafonesi ti n. 95, abbreviato poi e aperto in proclisi ^.
61. 0: Iato secondario: ho buoi, mA-ó ' oggi ' *hodT Parodi,
Arch. Glott. XVI 129, ro vuoi, fjò figlioli e forse anche rad
> *voitit > vocitu.
61^^^. 0, U, 6: Sempre in iato secondario, vii Interno e I plur.
majestatis da vos < ^voi < *vu, cfr. ti num. precedente, e nii
usato solo in composizione : mièter noialtri, a cui corrisponde
vuèter voialtri. Nelle ville II e III si ha vo, senza metafo-
nesi, con abbreviamento e apertura di o che saran dovuti alla
proclisi.
U : to tuoi, so suoi, veramente dal lat. volg. *toi, *soi, cfr.
n. 95, acc. a tuo, suo forme letterarie fisse di sing. e plur.
masch., cfr. mio n. 60 ; fa fui, lìi lui dovuti a metafonesi, poi
abbreviati e aperti in proclisi, laddove si conservò lungo e stretto
dù *dui, come già si vide per tri nel num. precedente. Anche
per lu nelle ville II e III si ha lo, che si potrà spiegare come
vo, V, sopra.
61*®^. Un esempio con ù sarebbe frut, per cui vedi però n. 267.
62. Dav. a u, e, si ha lo stesso trattamento che in finale
nn. 53 e sgg.
Con u: me Papanti, 383, mio, to tuo, so ora soltanto della
campagna^ accanto agli urbani me, td, so analogici sul plurale
nn. 60-61 ; Bertlamé Bartolomeo ; Ri Rio, nome loc. (Introd., § 2)
*Ri[v]u.
Con e : cont. bo bue acc. all'urb. bo per influenza del plurale
^ Il parmigiano ha ti e mi, il modenese me e tè, il reggiano me (Vocab.)
me (Ferraro) e té, il novellarese me e ti, v. n. 55 nota.
Studi sui dialetti reggiani 65
n. 60 ^ E qui pure, se non sarà un caso di sincope in fonetica
proposizionale come al»I)ianì supposto nel n. '),"). potrà venire
cont. pe.
Anormali sono i femmiriili plurali do due, tir tre (acc. a II
trf'i, V. Introd., § 4), che presuppongono uno stadio *doi, trn,
probabili neoformaz^ioni con -/ analogico, finale caratteristica del
plur. femminile, in vece di do, tre da duae, *tree, in un periodo
in cui non aveva più valore la metafonesi.
63. Dav. ad a, abbiamo i seguenti risultati:
e diede i: ria, mia (col plur. mii neoformazione analogica,
come, sopra, i femm. *doi, trèi), kria ' piccolissima quantità di
una cosa qualsiasi ' Kort.=' 2592 ; e, in iato secondario, stria
strega. Anormale sarebbe inéa genia reveà forse entrato tardi,
come i letterari Andrea, Enea, idea, I e IH garea diarrea acc,
a II garia dove si potrebbe veder l'influenza di malatia.
0 diede o (aperto e breve): cont. toa e con epentesi tova, cont.
soa e seva ' tua, sua ', forme divenute rare ^ ; anche nella cam-
pagna, son più comuni ora tua, sua d'origine letteraria, coi
plur. tui, sui neoformazioni analogiche. Nell'iato secondario, koa
acc. a A'om coda, n. 187, indoa acc. a indova ^.
^ Rimane anche nell'interno la forma originaria nella locuzione : al ho
d'or, riferita a persona molto ricca, e nel nome popolare Re bo con cui
s'indica un monumento di Guastalla. Altrettanto dicasi di me nella frase
deprecativa salvUnd al me ' sai mi sia ' ; la stessa citazione dal Papanti,
fatta sopra, attesta che la generazione passata usava pili largamente la
forma me.
^ Torà resta nel detto : A be 'c7> (ora, per influsso della scuola, hi, ci) —
c&pa V eft'H per i p? — c&pa V }Jen per la kova — e menel fin a k'i
tova (A bi ci — prendi l'asino per i piedi — prendilo per la coda —
e menalo fino a casa tua) ; e sova nell'altro : Tut i Jc&ii skvàsen la bora
e (Ut t iniitco'n i vo'len dir la sova (Tutti i cani dimenan la coda e tutti
i minchioni voglion dire il loro parere).
^ Anche qui la forma con -v- è secondaria (si tratta di una ripristina-
Arohivio glottol. ital., XVII. 5
66 Malagòli,
64. I, U, nell'iato primario o secondario con a danno i, w.
alsia ' ranno, lisciva ', salia saliva ; 'pua e volg. puva ' bambola '
tose, pupa, stila e volg. stuva stufa, uà acc. a uva uva.
f) Influsso delle nasali.
65. Le toniche che precedono una consonante nasale hanno,
oltre il doppio grado di nasalizzazione di cui si parlò avanti
nn, 7 e 29, la sorte che segue:
66. A: rimane in ogni caso, sempre lunga e leggermente of-
fuscata, tanto in sillaba libera quanto in posizione {à-, v. n. 7):
banana ' pelle di castrato conciata ', kanpfina, lana, rana, sana,
tana', kan cane, gran grano, man, pan pane; — - arjàm ' reame '
cosa ritenuta rara e preziosa da chi la possiede, cania chiama,
àgama (femm.) tegame, fàm fame, ledàm letame, sàm sciame.
màneg manico; anma anima, A:ófMi?a .canapa; — gramla gra-
mola, àmid (letter.) amido.
and = -Sindo [manànd mangiando, filànd, ecc.), manda, kanta,
spànt nel nesso kot spant ' cotto tanto da diventar come una
pappa ', cfr. Galvani, p. 357, Fanfani, " Uso toscano „ s. spanto,
Meyer-L., « Gr. d. ling. rom. „ II § 341, Salv., « St. d. filol.
rom. „ VII 214, panza pancia, lans ' ansamento ' Arch. Glott. II
52-55, kastàna castagna; — gàiiha gamba, kànp campo.
67. Le altre vocali si raggruppano quanto agli esiti cosi:
zione della consonante anteriormente dileguatasi, oppure di un v epente-
tico da ihdoa formato a sua volta con la desinenza -a degl'indeclinabili
dalla proclitica indo n. 148), come dimostra il colore della tonica che di-
versamente sarebbe o. Il medesimo forse è da dire per gli esempi del nu-
mero seguente, sebbene per questi possa far rimanere incerti la man-
canza di altri ù in sili, libera dav. a v.
Studi sui dialetti reggiani 67
E È I che prendono un suono di è,
Ò Ò U . , , , , ò,
Tu , , , , , ì (7 in paese e UT,
oppure „ „ „ è ò in T e II.
Su questo diverso esito di i e u vedasi ciò che è detto più
sotto.
Questi esiti <? ò ì a possono essere poi lunghi e stretti, brevi
e larghi, secondo la posizione della sillaba nella parola e secondo
lo condizioni fonetiche della sillaba e la natura degli elementi
fonetici che seguono. Si hanno :
1) Suoni lunghi e stretti (v. n, 7):
[e è Y = e
0 ò vi = o (u)
1 = ì (i)
fi = fi (?>)]
a) in sillaba aperta di parossitoni;
b) in sillaba chiusa (di parossitoni e proparossitoni) da-
vanti a il -\- cons. sorda;
2) suoni brevi e larghi (v. n. 7) :
[e è t = è
a) in sillaba aperta di proparossitoni davanti a n
b) davanti a m ;
e) davanti a )l — cons. sonora ^.
' Le stesse condizioni in sili, chiusa, con lievi divergenze, furono notate
dal Pi AGNOLI nel dial. d' " Oltr'Enza ,,, che è il primo dei dialetti emiliani
centrali a ovest (Op. cit., pp. 12, 15, 18, 80 sgg.).
68 Malagòli,
Sorte analoga hanno anche gli p ù i u imprestati o avutisi
per evoluzione condizionata propria del dialetto.
68. Esempi: 1. a) In sillaba aperta di parossitoni:
è, è, ì: ten tiene, vén viene, Interno, I, III (trtì, rln li n. 89),
fé'à fieno; — kadena catena, véna avena e vena, zena cena; —
men meno, seti seno.
ó, ó, lì: bòna buona, sona suona, bón buono, tran tuono; —
koróna, dona; -ón = -one -ónu {p&rfon prigione, padron pa-
drone, ecc.); — són sum.
68^'®. h fc et) Interno e III: -ina = -ina [putìna bambina,
ladina f. ' scorrevole, facile ', kufìna cucina e anche cugina,
galina gallina, matìna mattina, galavrlna Saly., Jahresb. V
132, ecc.), -m = -Inu {pufln, ladln, kuftn cugino, avfìn vicino,
avv., e sim.), Un lino, vìn vino, bin ' castelletto di quattro noci
0 di quattro nòccioli di pesche che serv^e di giuoco ai ragazzi ' ;
— luna, fortuna, un uno, nist/n nessuno, diiln digiuno.
P) I e II: -ena [pufena, ladena, ecc.), -In (pufen, laden, ecc.),
bm, vén, béna ; — - Iona, fortuna, Valkmgna ' Valle Comune ' nome
di un fondo in Villa Valle (I), on, nisó'n, dión.
L'articolo indeterminativo è un per fonetica proposizionale S
cosi il femm. una, che serve anche come pronome e mantiene
lo stesso suono nei composti (nisuna, kvelkiduna qualche-
duna, ecc.) 2. Alla proclisi si deve puie Vi di fin a ki 'finqui',
fin a inèj ' in gran quantità '.
Non è da tacere che se vivono rigogliosi ancora, nelle fra-
zioni indicate, i riflessi -éna, -en, -on, cominciano invece a
esser rare le forme come fortona, Iona, a cui vediamo sostituirsi
le paesane. Ma, quanto a queste, conviene poi dire che il i-iflesso
' Ved. GoiD., Ditt. rom., p'. 7, nota 1.
* Il pron. masch. è uh (co' suoi composti nisii», ecc.), perché frequentis-
simo il suo uso in costruzione assoluta.
StuLli sui dialetti reg^'iani 69
originario fu aniho in paese -ma, -?n, -ona, -oh, e che gli -7ìia,
-In, -una, -lift vi si sostituirono sia per influsso della lingua let-
teraria, sia per importazione dai dialetti del Nord, i^a risolu-
zione antica -ma si ha infatti ancora in krma crine, e -Un ci
è attestato dalla forma fossile, frequentissima nell'uso, pron
' per uno ' (Es. : un pò pron ' un po' per uno '). Cfr. i fatti ana-
loghi dello schema h -\- cons. sorda, che più sotto si ricordano.
69. b) In sillaba chiusa davanti a /i !- cons. sorda:
e, è, ì: tmp tempo, tmpja trave del tetto, Saly., Misc.-Asc.
92, dént dente, (jent, meht. torme rd, zent cento, vmt vento, seni
sente, skmmza *sementia, pensa, areni vicino, Salv., Arch.
Glott. XVI 287 ; - - trénta, denter dentro, tmka tinca, cont. antiq.
Inìka il line'', stn'ik 'rigido, stecchito'.
o, ó, H : konpra compera, konier contro, mont monte, kmit conto,
conte, kónka conca; — pròni pronto, jmìt ponte; — dónka
dunque, ronka, /monta ' scolorisce ', Salv., '• Nuove Postille „
s. emùngere ^, ghza oncia.
Di fronte all'urbano poni abbiamo nella campagna pilnt e
anche Niyramfmia (l) Nigramonta, nome di un fondo rustico,
i quali esempi potrebbero far ritenere che anche da noi un
tempo .si avesse ì( da 0'\-nt, come nel dialetto d'" Oltr'Enza ,,,
PiAGN., pp. 18 e 19.
' Al nostro léhka, che ho riscontrato anche nel contado di Campagnola
<• che va diventando raro, fa bel riscontro chenca *eccu-hinc, che trovo.
senz'indicazione precisa di luogo, nel Ferraro, op. cit., p. 8, in uno degli
Strambotti amorosi contadineschi, pubblicati per la prima volta nel 1S56 da
B. Catelani. A questi due si riconnettono certamente chena e lena di Val
di Magra, Rkstori. Xote fonetiche sui parlari dell' Alta Val di Magra, Li-
vorno, Vigo, 1892, n. 11. Ved., ora, anche Salv., Rom., XXXVI, 230 e n. 4.
^ Da monte, secondo il Fieri, il quale cita l'equivalente italiano smon-
tare e il contrario monture 'acquistar di vivezza', che vorrebbe veder re-
gistrato nel Voo. italiano (Zs. f. r. Ph.. XXX, 30ó).
70 Malagbli,
69^'®. 7, /7 : zlnk cinque, tìnt tinto, prlnzip principe; — ùnt
unto, :itinta aggiunta.
Negli inventari del quattrocento leggesi tento per ' tinto ', e
anche ora dicesi grenta ' ceffo ', moden. grinta Bert., " Dial. d.
Mod. „, n. 12, lomb. grinta e grenta Salv., " Fon. Mil. „, nn. 26
e 27. Sono, questi, indizi di un'antica risoluzione conforme a ciò
che si osserva ancora nel parmigiano, Piagn., n. 51. Un fatto
analogo abbiamo riscontrato sopra al n. 68^^^ nelle condizioni di
sillaba aperta.
70. 2. a) In sillaba libera di proparossitoni :
è, ì\ tener tenero, :^ener genero; — zener cenere e lettor. c?o-
mènica.
R: letter. unik unico, letter. skomu'nika.
Mancano esempi d'altre vocali.
b) Davanti a ni :
e, è, ì: prem preme, inséni insieme, rem remo, -em = emus
(pres. tafém taciamo, vdem vediamo, ecc. ; fut. taf réni, vedrém, ecc.) ;
temer temere, remol semola, n. 199.
ó, ò, h: om uomo, che serve anche per il plurale accanto al
men comune omen uomini, galantóm, stomeg stomaco; poni pomo
' mela ', poma giuoco fanciullesco, noìn nome, Roma ; cont. som
sumus acc. all'urb. sem.
ì 11: pjrim primo, lima lima; lum lume, La Fjiima, n. di un
corso d'acqua, fjorii'm ' seme del fieno con tutto lo spoglio e
le parti stritolate del fieno stesso ', cfr. lucch. fìerunie, Nieri,
" Voc. lucch. „, Lucca, Giusti, 1902.
e) Davanti a w -[- cons. sonora:
e, è, t'. setenher settembre, rend rende, tenda tenda, brenda
merenda, n. 219, kalenda calenda, niaréng marengo, [a] veti
vengo, [a] teh tengo, manté'n (masch.) ' bracciolo ' della scala,
cfr. piem. manténa, Salv., S. d. f. rom. VII 221, iniéh ingegno; —
vend vende, gendni lendini, n. 204; — ewc?es endice. Uh legno.
studi sui dialetti regsfiani 71
ò, i), H : rispónd risponde, skonder nascondere, sponda, sponga
*s ponga, dona domLi]na, son'^ sòmnu; — kodóh cotogno,
skaloìia scalogno, fgóha 'manovella', Zs.f.r.Ph. XXII 517, Bolona
Bologna; — pjonb piombo, tronba, klonb colombo, tóhhola, tonga
tunica, toììd ' piatto ', foiid, mond mondo, dimondi ' molto ', Ardi.
Glott. II 340 2, onda, gronda, onhra, vergoha, \al\ skonfoha ' sbeffa
parodiando ' *e x - e o n f u n d i a t.
Nella campagna questi suoni sono più aperti che nell'interno,
cfr. n. 2 nota.
Z, fi: kvindes quindici, ^w^/er zingaro ^, viha vigna, gina ghigna;
undes ' undici ' se può star qui, bruiia prugna.
Metafonesi davanti a nasali palatali.
71. Per una evoluzione conforme a quella compiutasi nel to-
scano, e da P, r dav. a « -L sorda palatale o fricativa succedanea
si chiude in 7: mlhca mentula 'pasta contadinesca fatta con
farina di granturco e vino dolce cotto', vlnzer vincere; e ri-
spettivamente in i dav. a n ~|- sonora corrispondente : zijìga
cinghia, finger tingere, strinier acc. a strenier stringere.
Non credo che ciò si avesse davanti a gutturale sonora, per
pia ragioni. Anzitutto il fenomeno non s'ha davanti a gutturale
sorda. In secondo luogo, vi sono voci popolari con e ben si-
cura e generale nel dialetto nostro : renga aringa, berléng ' stra-
vagante ' detto di persona cfr. it. ' berlingare ', paterlenga in-
fruttescenza di rosa canina e di altra specie del genere. Casali,
* Femminile, se astratto [KroiU'r da la son 'cascare dal sonno'): ma-
schile, se concreto (fer un son ' fare un sonno ').
- Su quest'avverbio ved. ora anche Bkrt., Dial. d. Mod., n. 44 nota ;
Salv., Rem.. XXXVI. 233 ; M.-L., Zs. f. rom. Ph., XXXI, 730. Per conto mio,
penserei sempre a un di mond, a cui si aggiunse l'-i, per analogia su altri
avverbi con questa terminazione.
' Queste voci che parevano strane al Piaongli, n. 54, p. 83, rientrano
pienamente nella regola.
72 Malagòli,
Op. cit., p. 26, che possono ritenersi resti antichi, cfr. Par.,
Arch. Glott. XVI 115. In terzo luogo, accanto a fiaminga abbiamo
fìdmewja. Le voci lingua, stringa potrebbero benissimo essere un
imprestito letterario; stringa, anzi, poteva tanto piìi insinuarsi
che c'era stringer da strenier.
71^'^. In quarto luogo, anche o si chiude solo davanti a
palatale.
Abbiamo infatti: uni ^^S^^ all'aia sugna, munì munge. Imìia
'lombo di maiale', Flech., Arch. Glott., II 361, Salv., Rend. d.
R. I. L., s. 2^, v. XL, p. 1055, unga unghia K
72. Pili forte spinta alla metafonesi ebbe è (non ò) dav. a
/.* da n/: gramina gramigna, kolmina ' comignolo ', lomb. kol-
mé/ìa, Salv. " Post. „, s. culmen, frih *ferrineu detto di
scarti di mattoni, rifiuti di fornace, tì-ih acc. a fren ' orcio di
terra' trigno trigni, sempre, negl'inventari del quattrocento,
kodrih ' cotennoso ', cont. fina mucchio di paglia, fufiha ' in-
ganno', Asc, Arch. Glott. Ili 90 \l']arm.iha 'rumina', nn. 166
e 307. Con è soltanto tena tigna da considerarsi forse, insieme
con tren, v. sopra, imprestito dialettale.
La campagna ha anche, dav. a h da gn, sin di fronte all'urb,
seri segno; e con a e, prina urb. prena pregna 2.
g) Influsso di r, l.
73. Piccola è l'influenza delle liquide sulla tonica in sillaba
aperta; grandissima, in posizione.
Per e (da e, 1) in i in sillaba aperta dav. a r son da citare
anche qui zìra cera, èira cerea, Asc, Arch. Glott., IV 119 e
* Così anche nel dialetto d' " Oltr'Enza , Piaok., n. 25, p. 82 ; nel pai-
migiano invece ó, id.. n. 25, p. 29.
^ Il parmigiano e, a quel che pare, anche il dialetto d' * Oltr'Enza „
vanno più oltre nella metafonesi, Piagn., n. 19, pp. 28 e 81.
Studi sui (liiilotti ri'^'i^iiini 73
seg. nota, che potrebbero però aver l'i per intiusso della palatale
precedente n. 89, slra sera. D'Ov., Ardi. Glott., IX 03, v. però
anche S.vi.v.. .lahresh. I 122, e plr poro -i piri contratto di mez-
zadria del 1496 (moden. pi>\ regg. peir, parm. per, boi. pdir,
romagn. pera Mussafia n. 30), esempi senza dubbio importanti
gli ultimi due, ma pur sempre sporadici — forse resti di fase
anteriore — di fronte ai numerosi -er = -ere, ecc., n. 35.
Quando al suono di f da a dav. a ;•, v. n. 7,4: -(ì' — -are
[kantè'r, lodp'r, ecc.), spèra *exparat 'risparmia' e 'disimpara'.
74. In posizione dav. a r, / + cons. abbiamo il trattamento
di sillaba libera per a, e. i, «?, u nei parossitoni o già tali ;
e, n danno vocale aperta e lunga, che viene a coincidere per P
eoi riflessi di a\^, e per o con quelli di ó^. — Nei già proparos-
sitoni gli esiti di a, è, o coincidono con quelli dei parossitoni ;
ma e, 0, i, Il mantengono gli esiti di sillaba chiusa davanti
a r, l -|- esplosiva o fricativa sonora ^ .
75. A. Cfr. Mever-L., " Gr. d. ling. rom. „, I, § 2.57: sherpa
scarpa, sjèrpa sciarpa, bfrba barba, pèrt parte, nifrs ! ' via ', tèrd
tardi, ììièrk 'romano' (della stadera) cfr. Salv., Arch. Glott., XVI
456, skers scarso, èrs arso, nifrz marcio, erma arma, indfren,
ScHUCHARDT, Zs. f. r. Ph.. XXXI 719 (nella frase stPr indfren
' star senza far nulla ') : — mniir martire, èr^^en argine, infrinol
m a r m 0 r e.
èlba alba, jH'^pf^ palpa, félpa talpa (in senso metaforico) cfr.
n. 141, arbfita ribalta, métta malta, sèlt salto, keld caldo, kvelk
qualche, mHva malva, sfivja salvia, èlbi ' trogolo ' albio negli
antich.i inventari alveu, féls falso, kflz calcio, deskèlza avv. 'a
piedi scalzi ', prima palma 2.
' Per indizi di antica dittongazione da a, è, ò davanti ad r, l, si veda
GoiD., Orig. d. ditt. rom., p. 201.
' Parecchie di queste voci, come tilpa, mPrtir e altre (e non solo con a
74 Malagòli,
76. E : èrba erba, pèrd perde, vèrs verso, fvèrs ' smisurato '
inveren inverno, vèrom verme ; — pèrdga pertica, pérseg ' pesca '
persica Lib. statut. p. 27, fèria 'gruccia' ferula.
spèlta, fvèlt svelto e forse fgèlf ' furbo ', n. 210.
77. I, E: verd verde, zèrha cerca, verga, zerc cerchio, veria;
— cerga chierica.
felter feltro, pèlter peltro ; — melga melicam Lib. statut. p. 21,
PiAGN. p. 53, felfa fi li ce Kort.^ 3756. — Notevoli cont. stlrp
sterpo stirpe e cont. sk'dfer accanto a urb. skUter scheletro ^.
78. I: filza. Dall'italiano: firma, cirka, Irma e forse anche
milza, smllz smilzo.
79. 0 : pdrteg portico, — fdrbis forbici, kvatqrdes quattor-
dici. Cfr. n. 43.
/volger ' dipanare '.
80. 0, U: kart corte, fórma; — soreg sor ice.
torta bori partic. di bwtr (su morir: mori?) ' levar la lepre '
cfr. Jahresb. VII I 138, sord sordo, ggreg gorgo, góren giorno ;
— to'rtora.
volp volpe, kglpa, skolta ascolta, kóltra (femm.) coltello del-
l'aratro, bjglk bifolco, sepolker sepolcro, dòlz dolce, pois polso,
kóltim colmo; — sòlfer siilphure^; ma polver polvere, folga
fulica. E qui venga spolt nel nesso moj spolt 'bagnato fra-
V. nn. segg.) sono evidentemente d'origine letteraria, dialettizzate. La ten-
denza all'adattamento dialettale delle vocali in queste condizioni è supe-
riore forse che in sillaba libera.
* Il PiAGN., n. 52, considera parm. stirp sostantivo deverbale da stirpar;
egli registra pure schìlter e schèlter n. 19, ma non ne dà spiegazione:
forse dai plurali metafonetici ? o per skllter si deve pensare all'influsso di
qualche altra voce ?
' Notò già lo stesso riflesso di lì dav. a l, r compi, nel parmigiano il
Rkstori, Literaturbl. f. germ. u. rom. Ph., 1893. pp. 215-217, n. 17. Ora
V. PiAGN., nn. 6, 15, 26, 36. 44, 52, 60.
Studi sui dialetti re^'sri'Ani 75
dicio ', che per il colore dell'o e per il significato non si connette
col singolare participio toscano spalto ' spogliato ', intorno al
quale v. Fanf., " Uso tose. , s. v., Salv., S. d. fil. rom., VII 214.
81. U: Voci dotte o semidotte prese, nella maggior parte,
dall'italiano: Rrt urto, tùrk, pRrga; — cer/7/VA- chirurgicu.
ùltini ultimo, pilipit ; ma pulya *pril[i|ca.
81'''^. Le vocali toniche dei proparossitoni hanno di regola,
come si disse (n. 46), il ti-attamento di posizione ; però dove
l'ultima consonante della parola era vibrante o nasale, si è
determinata nella tonica un'evoluzione che ha parecchi punti
di contatto col trattamento di r, l complicato ; cioè a si tra-
sformò in è ; è y, ò iì diedero rispettivamente e, <} ; non soffrirono
mutamento e, ò ; e nemmeno, a quel che pare. J, fi.
Esempi, A : persvèder ' persuadere ', sPgma sagoma, djPvol dia-
volo, tevla tavola, me fra macerat con cui va mèfer 'macera-
toio ' e anche aggiunto di alcune frutte, come mele e pere,
sfarinate, mPfna macina, spr/om spasimo, pfeìi asino ; — iPgerma
lacrima.
E I: pn-er pepe, rjiever ginepro, pegla pTcula, petegla pet-
tegola forse semidotto cfr. n. 164 e, lefna lesina, Steven Stevna
Stefano -a.
0 U: iQcen giovane, kogma cu cu ma, orel orlo.
Per è, 0, l, f/, ricordiamo lever, fodra, tridla, nuvol e le altre
voci citate nei nn. 48, 49, 50 e 52.
h) Influsso di palatali.
1. Palatali che seguonrj la tonica.
82. Già si disse dell'influsso di n, parlando delle nasali nn. 70
e 72. Qui tratteremo dell'influenza dei suoni palatizzati W sL
Essi si semplificarono con la prevalenza del primo elemento, di-
76 Malaj?òli,
ventando rispettivamente r, s ^ ; da ciò segue che davanti a ?-/^
.§/ si riscontra sempre il trattamento di sillaba libera :
83. A. Dav. a n: per *pariu, rra aia, -cr =-ariu {stér sta-
riti in Lib. statut., p. 21, stcuri Invent. del 15 ottobre 1493,
' staio ' sextariu, kanpané'r campanaio, forner fornaio, noder
nodaro Testam. del 1593 notaio, pkèr beccaio, ecc.. coi fem-
minili kanpanPra, f ornerà, ecc.; pàsra kanèra passero che sta
fra le canne delle paludi; :^wfr gennaio, /eri-f'/- febbraio; f/wyfra
*ducaria ' fogna ').
Dav. a s/: èf/basiu, èrf/a bragia germ. *è/v/s2rt Meyer-L.,
" Gr. ital. „, trad., p. 123, v. però Zaccaria, Op, cit., s. brace,
ré fa *rasia.
84. E, E, I: -e: -g/- = -èriu [meste r mestiere, kalme'r c(d-
nierium Lib. statut. p. 20, ' calmiere ', Zambaldi, " Voc. etim,
it. ;;, p. 184 C, ecc.); — zrefa *cerèsia, Parodi, St. it. d. fil.
class., I 397.
è: kanfe'r canthériu 'trave' Salv., Misceli. -Asc, 92, Pa-
rodi, " Dial. tabbiese „, 58, fera feria; — ce/a chiesa, Schu-
CHARDT, Zs. f. rom. Ph., XXV 344.
t: véra 'ghiera' viri a.
85. I: kamlfa *camTsia, zernif {^Xnv.) acc. a regg. e moden.
zernifa (sing.) 'cinigia' *cinisia Meyer-L., " Gr.it. „, trad.,
p. 123, V. qui anche n. 164.
86. 0 : mòr muoio.
87. 0: -c?or — -ter iu [koridor corridoio, stertó'r strettoio,
dormidor ' tempia ', ecc.) ^.
^ Cfr. RoussKLOT, Op. cit., pp. 616-617. Il Piagn , nn. 123, 126, ammetteva
un'introflessione dell'i; ma come spiegare con tale ipotesi la semplificazione,
in protonica? *Variolu, *phasiolu, venuti a *vairolu, *phaÌ8olu,
avrebbero dato vird'ì, fifò'l n. 185.
^ Un esempio di u dav. a r( si ha nel moden. bur buio, Flech., Arch.
studi sui dialetti reggiani 77
88. Vanno poi ricordati: l) j da li^, che ha sempre davanti
a sé i per e, come già dicemmo della nasale palatale /'/, n. 72
— metafonesi propria anche del fiorentino — e o in cambio di o;
2) e da ci, che, parallelamente a ciò che produce nel toscano
ki, apre e allunga o da h in ò:
1) f ^ U: rnij miglio mìlium, zij ciglia, cont. faìnija acc.
a urb. faììiia n. 290 nota, ^i/a tilia 'filamento di stoppa'.
6-\-U\ voja voglia, foja foglia, doja doglia, loj loglio, ìuoj
molle ;
2) u -'- ci: inoc genuc[u]lu ginocchio, fnoc fenuc[u]lu,
skonio'c *ex-cornuc[u]lu parte superiore e sporgente delle
gambe davanti della seggiola, cfr. regg. cornòcc corno.
Come noi toscano, quest'esito si ha pure quando il nesso ci
è preceduto da r: nwrca morchia.
2. Palatali che precedono la tonica.
89. Alla consonante palatale che precede la tonica si deve
il cambiamento di e in i:
é: poi ' pieno ' acc. a pjin che vive ancora come sostantivo
' ripieno ' ; saraflna ' saracinesca, cateratta ', sarafin detto di
ragazzo che non sa star fermo 'irrequieto' saracènu, cfr.
Salv., Boll. d. soc. pav, di st. patr., TI 208 \ fin piccola mo-
neta — voce antiq. usata solo da qualcuno nella frase un fin
brufp' india lum che significa ' di nessun valore ' — sesino Lib.
statut., p. 234, sexènu, Salv. Rend. d. R. I. L.. S. Il, XXXV
961, dove potrebbe vedersi tuttavia, come anche nei due esempi
precedenti, uno sca;nbio di suffisso; zh^a e eira, n. 73; injur
Glott., II, 329 e sgg. Il VockIj. rci/i/. non registra questa voce; a Novellara
-si usa in sua voce òrba e orberà che ••^i ricollegano a órbu.
' Ora V. anche Piaon.. n. -54.
78 Malagòli,
implere, tnìr tenere, lufir lucere, se non si tratta di pas-
saggio di coniugazione, v. però Salv., loc. cit., n. 4 e note 10
e 11 ;
X : zif ceco, cont. zìv cibo ; cont. majister urb. maister maestro,
falistra < */a^i^s^^'f« < *falll[v] istra , v. però Flech., Arch.
Glott., II 341, hint niente, cont. slsta cesta. Per pìga n. 114.
Qui aggiungasi anche In da ì-n -|- cons. in pazmzja pazienza,
kohslnzja coscienza (semidotte), cont. yinta acc. a urb. gmt n. 69.
E vengano inoltre skìna se non è da una base con i, Kort.^
8783, vln Un II n. 67^; — zirol cephalu Salv., " Nuove
postille „. .
i) Influsso di labiali.
90. Dell'influsso di m sulla tonica precedente si è parlato
nelle nasali, nn. 67, 70 h.
B apre o in ó: «(^ó'è addobbo, ^/ Katybi II Carrobbio, n. di
un fondo, *quadruvin, gdb gobbo. Per i letterari Gob Giobbe,
otobej- ottobre, v. n. 188,4-
91. Esempi del fenomeno u + labiale = i, Meyer-L., " It. Gr. „,
§ 78, sarebbero qui trifola — più probabilmente forse impre-
stito lombardo — acc. a trantufla delle ville I e II, regg. tar-
tufla, e scifol ' zufolo e fischio ', il quale però, oltreché potreb-
b'essere per il vocalismo da una base con i (sibilare, si fi-
lar e), fa pensare per il consonantismo a una contaminazione
cnn fise fischio ; per contro, sempre nu volai
92. Fra le due labiali abbiamo anche noi f'jbja — che po-
^ Vth tlh sarebbero quindi spie del precedente dittongo ie da e, se pure
non si spiegano per effetto di fonetica sintattica dav. a consonante. Che
tlH tiene, potesse spiegarsi come pin pieno, aveva già supposto il Piagn.
per il dial. d'Oltr'Enza, n. 19, p. 27. A fenomeni analogici penserebbe il
Salv., Jahresb. IX, I 115.
studi sui dialetti reggiani 79
trebbe pure derivare da *fubila < fibula come stopja da stu-
pila< stipula — acc, al seriore e letterario fibja proprio
solo dell'interno, dove però resta fuhja nel significato di ' per-
cossa ', cfr. f velia n. 182.
93. Dopo labiale abbiamo il diffusissimo mo per ma, forma
quest'ultima assai rara e d'origine letteraria. Oltre alla pro-
olisi, Meyer-L., " It. Gr. „, >; 76, può forse aver influito su di
esso la contaminazione con mo da modo n. 57, che ha non
di raro significato leggermente avversativo come l'ital. ' ora '.
94. Qui vanno ricordati anche musfra e miister della cam-
pagna di fronte a mostra e moster dell'interno, tose, mostra,
mostro, luccb. mastra Nieri, p. 265, e munger pure contadinesca
acc. a moììger più comune nell'interno ' birichino ', forse eufe-
mismo per moster o contaminazione di moster con zhìger. Comuni
al paese e alla campagna sono muk (agg.) detto di coltello spun-
tato, lomb. mok Salv., Arch. Glott., XVI 457, muka ' stufa \
significato metaforico di * mucca ', vacca, che riscalda Salv.,
ib., pumol ' pomo del bastone ', busol bossolo parm. bìisel, Piagn.^
n. 30, arvTilt rivolto e skaravalt garf. scaravoUo Nieri, Voc.
luccb., Arch. Glott., XVI 467 K
l) MeTAFONESI per i FINALE ATONO E PER -i IN IATO.
95. Tracce di metafonesi ci offrono le seguenti voci, in cui
f, X (non e) ed ò, a (non ó) tonici si trasformarono rispettiva-
mente in 7 e R in sillaba aperta e in i e u in sillaba chiusa
' Il Salv., Arch. Glott., XVI, 457, s. mustrare spiega l'w di mustra, ch&
si riscontra non solo nel lucchese, ma anche in molti altri dialetti, dalle
arizotoniche. Una uguale spiegazione egli dà dell'u di mucca. Resta però
sempre a vedere come si oscuri o in u in protonica, in quelle parlate,
come la nostra, che hanno tale mutamento solo in determinate condi-
zìobì, n. 167.
80 Malagòli,
per influenza di i atono finale, caduto dopo aver esercitato la
sua azione :
è: tri tres (masch.) <*trei, n. 60 ^ -i -— etis {tufi tacete,
parf parete, ecc.), Salv. " Fon. Mil. „, p. 88, Meyer-L., " It,
Gr. „, nn. 68 e 392 K
ì: di digiti che attrasse anche il singolare, uguale per noi
al plurale; ti da tibi <*tei<*ti, n. 60.
In posizione : kvist questi, knj quelli acc. a kvest, kvej ana-
logici sul sing. 0 semiletterari. Kavì' capelli, esteso per ana-
logia anche al singolare come c?7, presenta la fusione di y in i^
— cfr. 0 da *oj n. 150 — che non si ha in kvrj, dove la
mancata contrazione si spiega forse per nessi sintattici come
kvij + vocale. Dav. a nt, vìnt venti, secondo il n. 72 *.
o: vii voi da vos < roi < */'*/, n. 61.
ii: dù 'due' da *dui dui Carte del sec. XY; fu fui <*/"«<
n. 61, In, lat. volg. il]lui<*/u, ib.
In posizione, cont. htst questi kuj quelli, fus ' fosti e fossi '
se non è analogico su fu.
Td e si) ' tuoi e suoi ' non andarono soggetti al mutamento
di 0 in u perché derivati da un g aperto di latino volgare,
V. sopra e cfr. n. 61.
' Così anche con qualche riserva il Bertoni, Dial. di Mod., n. 61, per il
moden. tri. Il Piagn., n. 18, invece per il parm. tri pensava a trì'a ; ma
non si spiegherebbe in questo modo la vocale lunga del nostro dialetto.
" Il Polle, Appennino mod., p. 722, si dice incerto se si tratti di analogia
sulla 4" coniug. o di influenza di desinenza caduta.
^ Il Piagn., n. 19, vedeva nel parm. cavi, cav'd lo scambio di -ilis per
-ìllus; in tal caso noi avremmo kai'ij come sul^j sottili, ecc.
* V. però ora Jud, Die Zehnerzahlen in dea rom. Spr., Halle, Niemeyer,
1905, che ricondurrebbe non solo le forme italiane settentrionali, ma tutte
le romanze in genere, a un lat. volg. vinti. Poco chiaro ed esatto è il Juu,
dove parla delle forme dial. bologn. e romagn., p. 24.
Studi sui dialetti reufgiani 81
96. Esempi di metafonesi per -i in iato possono essere :
vindlin vendemmio, ancora generale in tutta la campagna ^;
kùiìza concia, Salv., Rend. d. R. I. L. s. II. XXXV 961, kuc spin-
tone, kiibi 'covo', kabja 'coppia' e plurale kuhi {andè'r a kubi =
andar uniti, a mucchi), skufja cuffia, kmzi ' cruccio, pena ',
nìuc mucchio, sfriic ' stocchi ' resti della pianta del granturco,
bue colpo di boccia per cacciar la palla dell'avversario. La maggior
parte di queste voci però possono anche spiegarsi in altro modo,
v. nn. 131, 132, 136, 137.
Per giica v. n. 45 nota.
Qgbis Pi-obabilmente importato il raro armìrta del ringrazia-
mento di qualche mendicante [Al S/ìòr l'armlrta! ■= Il Signore
la rimeriti!), per cui v. Mussafia, " Darst, d. romagn. Mund. „,
nn. 259-260, Asc, Arch. Glott., II, 401.
Casi particolari in cui non si riscontrano applicati
i principi evolutivi fonetici del vocalismo tonico.
97. Analogie morfologiche, a) In forme verbali: -abam
della 1^ coniug. si fuse con -ebam della 2* {kantèva, lodeva, ecc.);
-amus, nello stesso modo, si fuse con imus fatto parossi-
tono {karitém, lodém, ecc.) oppure si foggiò su seni ' siamo ' da
*simus, n. 70 6. Nelle varietà campagnuole abbiamo -otn {kantóni,
lodóm,ecG.), sopra som sumus, ib. ; -ante- del part. pres. entrò
nell'analogia di -ente- e assunse significato di aggettivo {san-
' Manca nel nostro dialetto il nome corrispondente all'ital. ' vendemmia ':
■ usato solo il verbo. — Il Piagn., n. 116, a cui inmasero ignote le forme
a tema accentato di tihjms'r nell'Oltr'Enza, credeva che fossero evitate :
fra noi sono vivissime.
Archivio glottol. ital., XVII. 6
82 Malagòli,
gl'ine nt ^, skotent ' brucente ', taklent 'attaccaticcio', })lént ' mor-
dace ' hrazeiit bracciante hracenti (plur.) Lib. statut., p. 31, ecc.,
ÌYSixmQ kantaiìt, andànt ' alla buona ' detto di roba, ranpant 'ramo
di scale ' e alcuni altri di formazione recente) cfr. Meyer-L.,
" It. Gr. „, § 553, Parodi, Rom. XVIII 592; -andò, ugualmente,
suona nella campagna -end [trovénd, sudénd, ecc.).
Vàg vado, stag sto, dag do, trag 'mando, scaglio, e sim.' si
modellarono su fàg faccio, che a sua volta ebbe il -g da dig
dico, V. n. 317, cfr. Asc, Arch. Glott., I 81, nota 2, Piagn.,
n. 9. Su queste voci si veda, ora, anche Salv., Jahresb. IX,
I 114.
98. 3) In forme nominali : -ariu venne a -eriu, Asc, Arch,
Glott. XIII 463, Thomas, " Nouveaux essais de pliil. fran9. „,
Paris, 1905, p. 119 e sgg.: tolé'r 'madia' tolero da pati Invent.
1492, ta[b]ulariu, kaldéra CRÌàaìa, bugadera lavandaia ^, ecc.,
che altri però spiega in maniera differente; cfr. anche Pieri,
Arch. Glott. XV 182, nota 3.
99. Contaminazioni : Grev ' pesante ', cfr. lucch. greve, Nieri,
Yocabol., 262, è dal lat. volg. *greve su lève'^. — Élza
alza, èlt alto (regg, èlt) hanno e per è forse dalle forme rizo-
toniche del V. alvè'r ' levare in alto ' {leva 'alza ', lev 'alzo', ecc.),
se non sono piuttosto da *érctus che darebbe normalmente da
noi e ^. — E per a nella locuzione spendr ^akva ' orinare ' sarà
' Questa voce che è propria anche dell'it. {sanguinente) e che può deri-
vare da sanguifnojlentu, Meyer-L., Gr. it., trad., p. 131, fa pensare alla con-
correnza, da altri già supposta, del suffisso -entu- nella trasformazione,
Salv., Fon. Mil., p. 49.
' Ma normalmente bugadera 'luogo dove si fa il bucato', come aìnéra
legnaia e sim., nn. 83, 84.
^ Per la voce lev che vive nel nostro dialetto e ci offre la riduzione nor-
male di lève ' leggei'O ', v. n. 85.
* V. però ora Salvio.m, sul lucch. èlio, Arch. Glott., XVI, 441.
Stuili sui dialetti reggiani 83
dovuto a una contaminazione di spander col comunissimo spender.
— Quanto a slepa che pur vive da noi accanto a scàf, v. Salv,,
" Fon. mil. ,, p. 52. — Il cont. nfida acc. all'urb. tióda, che si col-
lega coll'ital. 'nuota' natat. potiebbe spiegarsi con un'immi-
stione di ;jr/f/ nudo, se non è dalle arizotoniche, che non sarebbe
fuor del probabile per la campagna, n. 167. — Per pjgla ' pialla ',
V. Mkyer-L.. " It. Gr. ,, p. 35 i, e per mòiìk monco, D'Ovidio,
Grnndr.-', I 049.
100. Xroformazioni : Z/v/rt, n. 84, aléger *aldcru, Par., St.
it. di HI. class.. I 395.
101. I'ahole DOTTE, semidotti-: e importate, a) Parole non as-
similate, se non per la caduta della vocal finale che non sia a
e per lo scempiamente delle conson. doppie: ftbit, Afrika, drja,
avdr, -àbil {afàbH, ainàhil, ecc.), -tlfjin [stujndàgin, inmàgin, ecc.),
-flW = -ariu {armari armadio, seminàri, lunàri, somari-, inven-
tàri, iftprejàri, segretàri, veterinàri, kalamàri, sardlàri 'salaccaio'.
altari. Ilari, ecc.). akad accade con l'inf. akàder, bada (nella
frase: t/iìr a bada = tener a hada), n. 34^, bàver, beat; kala, sep-
pure non debba ammettersi un raddoppiamento dell'/, cfr. Piagn.,
n. 9 (e COSI dicasi di regùl, stivai, e per r di bara, magari, tara);
kiitedra. kàp (in alcune frasi, come al kap ed M = il capo della
famiglia, al kàp di leder — il capo dei ladri; torner da kàp == ri-
cominciare, ma arivè'r g ed ko — arrivarci in fondo, n. 142), làber^
' Non ci persuade il Piaon., n. 63, che propone i)lanula *plaula: Vn
intervocalico non cade nei nostri dialetti. Vedasi per questa voce anche
.Salv., // 'Hai. di Poschiaro, in Rend. d. R. Lst. Lomb. di Se. e Lett., S. Il,
V,]. XXXI X, p. 483.
■ SoiHf-'y, in riin;i iRan((, n. 9), è un reggianismo, Introd., § 4.
^ Il Mkvek-L , //. Or . pp. 18 e 137, fondandosi sul romagn. lahar, am-
metterebbe nei dialetti emiliani il fenomeno -br- in -bbr-; a ciò contrad-
dicono tra noi féver, romagn. févar febbre, fervè'r febbraio, Fàvreij Fab-
84 Malagòli,
labbro, lapis, màkina, màgik, Mag {I Re-), mirakol, pagina, rata,
saker, skad con l'inf. skader. stnlt s tra tu (drappo nero disteso
sulla bara), tedter, tràpan.
102. P) Parole che subirono una maggiore trasformazione per
il vocalismo atono e per il consonantismo, ma conservarono
inalterata la vocale tonica: kaliz calice, garahàtli carabattole,
Arch. Glott., XIV 361, ràkoli pi. femm. ' ciance di persona che
non sa o non vuol risolversi ' ^ sabla sciabola, /bar ' sparo ',
Salv., Jahresb. 1 125, saraf ' compagno, compare ' se connessa
con Serafico, Galv., * Gloss. mod, „, 402, Ungarelli, Vocab. bo-
lognese, s. V. 2.
103. Entrano nella prima delle due categorie suddette o
nella seguente (n. 104) i riflessi di -aticu con -^: lunatik,
fanatik, afmatik, stomatik, baljatik. Per lumàteg, ved. n. 251.
104. t) Importati da altri dialetti, e alcuni dalla lingua let-
teraria, possono essere i seguenti nomi di piante : kavol, frùrol
(masch.) ' fragola ', insalata, papaver. Comune con altri dialetti
Saba ' vin cotto' sapa.
105. Un piccolo problema è nadra (femm.) ' ànatra ', nader
brico n. 47, cfr. n. 280. Anche il Piagk., n. 9, spiegava parm. laher da
una base con doppia b ; ma non citava poi questa voce come eccezione
a br<^vr, n. 114. Per questo e per altri consimili nessi di muta -\- r ora,
il Merlo, Meni. d. R. Acc. d. se. d. Tor., S. II, t. LVllI, p. 168, suppone che
* si tratti di due diverse pronunzie: labru e labbra, nate in diver.^a
età 0 particolari di diverse classi sociali „.
* Insostenibile l'etimo rescula, Ferraro, p. 16, per la corrispondente
voce regg. ràkel. Forse è da o]racula, se pure non è connesso con gra-
cula. V. anche Arch. Glott., XVI, 319, s. raccola.
* Sotto la voce sarafèr ' blandire ', non usata da noi, il Galv. registra
anche sarafadór e saì-afén che noi, ora almeno, non abbiamo : forse da
*sarafin, ritenuto diminutivo, fu tratto sar&'f, ammessa l'ingegnosa spiega-
zione storica di queste voci data dal Galvani.
studi sui dialetti reggiani 85
(masch.). La stessa forma trovasi nel reggiano ^ nel modenese
e nel parmigiano; e vi corrisponde am'idra bologn. e romagn.
Forse può considerarsi voce semiletteraria, e il trasporto del-
l'accento sarà dovuto al nesso consonantico dell'ultima sillaba,
Muss., " Rom. Mund. „, n. 4, nota, Meyer-L., " Gr. d. 1. r. „,
I, § 594 ; oppare la forma nader fu ricavata dall'alterato nadiyt
0 sim.
106. Probabilmente non indigeno brtcjol ' passaggio abusivo '
insieme col v. baglp'r ' andare abusivamente dove non sia strada
recando danno', che può riconnettersi con bagu per vagu
Par.. Rom.. XXVII 203; e così habla e le altre voci con a to-
nico del V. hablér ' chiacchierare vanamente ', imparentato col
ferr. babaràr che ha lo stesso significato, e coi frane, babeler,
baboler, babiller, ecc. Ivòht.^ 1125.
107. Anormale elber albero, su cui è difficile il giudizio per
le insufficienti notizie intorno alla quantità nei nostri dialetti.
Forse si deve ammettere che dav. a ^ -|- esplos. sonora anche
a soggiacesse alla norma degli altri proparossitonì ricordati
nel n. 74? 2. — Ugualmente anormale è a 'ha' ha[be]t, per
«, 54, che provenne dalle forme composte H'à^acù ' ha avuto '
perla fusione dei due a; cfr. per fenomeni consimili nel ligure
Par., Arch. Glott., XVI 157.
108. Esempi illusori. — Sono, oltre bey, Flech., Arch. Glott.,
II, 36-41, sA-a^/a scatola per cui il Salvioni propone ^castola,
* Il guastallesrf invece ha nedar cfr. inant. nédar e nédrn Salv., St. d. fil.
rom., VII 217. Il bologn. ncedra citato dal Bertoni, Dial. Mod. n. 7 è con-
tradetto dairUNGAREi.Li che ha unàdra.
* Per l'antichità della forma con l nei nostri dialetti v. Bkrtoni, Per il
volgare di Modena del sec. XIV, Zs. f. rom. Ph., XXIX 215 (elbore). A Parma
si ha dlber, iirbor con vocale lunga Piagn. n. 6 : è curioso notare come il
Piagnoli non collocasse questa voce fra i proparossitonì n. 93, dove sarebbe
stata più a posto.
86 Malagòli,
lat. medievale castulus, aat. kasto, Roni. XXXI 289, se pure
per noi non è semidotta, e shiz schiaccio [skizè'r cfr. Inceli .
schicciare) se connesso col tedesco quetschen, Ardi. Glott., IX 257,
XIV 396, XVI 467 K
È.
109. In vece di e si ha e in ser siero sera, Meyer-L., " It.
Gr. „, § 36; e in sed 'siedo, siedi, siede', per analogia sul-
l'infin. propaross. seder, eh. n. 111. Per contro dal proparossi-
tono me te re abbiamo meder con e in posto di e: riconosce-
remo qui l'analogia inversa, propria p. es. del parmigiano Piagn.,
n. 94, o si tratterà di un imprestito dialettale? — È da ricor-
dare pure il semidotto Cefer Cesare con e dav. a/, v. n. 188;
e noto incidentalmente la confusione, avvenuta fra noi, di cefa
con Cefer nel motto Um barn cefa — ' Mi dico libero, sicuro, ir-
responsabile ' (ricordo del diritto d'asilo), che in bocca di alcuni
suona TTm catti Cefer.
110. Sera 'serra, chiudi', se non è nato dalla contamin. di
sérat e *sarrat, Meyer-L., " Einf. „, p. 143, sarà analogico
sutfra 'apri' modellatosi per la vocale tonica sul part. rèrt aperto
e che, a sua volta, da sera avrà preso ì'-a ^. Vira invece, che
' Non è da tacere che per skiz e skiz7/r il nostro dialetto esigerebbe una
base con ì nn. 42 e 158, oppure un influsso di palatale procedente n. 89.
E inammissibile una contaminazione di schiacciare e schizzare'^ Noi qui
osserveremo che nel n. dial. si ha skizal&kva ' schizzetto di canna che serve
di giocattolo ai fanciulli ' sanfratell. schicciarnou St. glott. it. 1 148 e che
anche il reggiano conosce schizzèr o scrizzèr per ' spillare con violenza di
liquidi 0 simili ', il quale significato può senza difficoltà collegarsi con
schiacciare come effetto a causa ; cfr. ' schiazzata ' per ' zaffata ' nel Caro
(Fanfani, Voc. it.). — Alla base con a è tornato recentemente il Pieri,
Dial. d. Versilia, n. 123 (Zs. f. rom. Ph., XXVIII).
' Secondo il Gorka, Fon. d. dial. di Piacenza, 8, e il Piagn. n. 75 nota,
s'ar sarebbe un riflesso delle forme a desinenza accentata sar'àr ecc. V. anche
n. 164.
studi sui dialetti reggiani 87
si ode acc. a rpra, avrà 1'/ dall'inf. rrlr, e v'influirono fors'anclie
tira, (jlra e sim. ^ — ^"Jf'^ ' neo ' *naevellu, Flech., Ardi.
Glott., II, ci verrà dal dial. modenese, dove -ellu dà -f/, se
pure nou si tratta di diverso sufnsso, — ArrP's reve[r]su,
atrarp's attraverso, ripetono \'P dall'r complicato, n. 74, caduto
posteriormente. — Per g 'è' e urb. pe piede, v. nn. CO e 62. Per
Vangeli, cont. Vangeli^ evangeliu, voce dotta, v. n. 188,4.
E, L
111. Al posto di è s'incontra e in kred credo, red veào, ben
blbo per influenza degl'intìniti proparossitoni kreder, veder,
herer, cfr. sed n. 109. Alla lor volta poi i presenti, così formati,
poterono forse impedire l'ulteriore mutamento di e in f, che si
aspetterebbe negl'infiniti per la norma del n. 81^^'^.
Di fronte al regolare re. n. 55, troviamo rè esclamazione meno
imperiosa che sta anche da sé {re è sempre enclitico, come in
bnia ce!)\ ma rp sarà probabilmente un'abbreviazione di rPrda
per grrrda. n. 219, anziché una continuazione di vide.
112. Dit detto e inis messo (coi comp. finis, skomis, promis,
arin/s, ecc., donde i sost. skomisa scommessa, armisa rimessa, ecc.),
sono analogici sul perf. forte dis e nùs, cfr. Par., Arch. Glott.,
XIV' 108, sostituito ora più frequentemente dalla forma debole
dfi e meti . — Analogico è pure Vp (per e) nella l-"* e 2-^ plur.
impf. jMréren pareri *parébamus *parébatis. sulla 3=* e su
tutto il singolare. — Ci lascia incerti strik (nome e verbo)
'strizzata, stretto, stringo', infin. strikè'r da *strigicare,
Asc, Arch. Glott., XIV 338. Comunemente si spiega l'i dalle ari-
zotoniche: ma questa spiegazione, nei nostri dialetti, urta contro
' '.guanto a rrir, sono ignote al n. dial. le forme rev, rever e verer no-
tate «lai FiAGN. n. 84, p. 44 nota 2, nel parmigiano.
88 Malagòli,
la difficoltà che anche Vi di strikP'r ha bisogno di essere giu-
stificato, n. 158. Se non si vuol ammettere che sia un impre-
stito, si potrà forse pensare a un influsso analogico dell'i di
strinier e stringa. V, però anche n. 164 e.
113. Voci dotte, semidotte o importate. — Per centefim e en-
te simu, koaréfma quaresima; href ma y^piG^a chrisma,^
bate/im, mede/ini, ecc. v. nn. 81^''^; 188,4. — Hanno e dove s'a-
spetterebbe e: kometa 'aquilone, cometa', rei velo, rela vela,
n. 188,4; ed f, sèro lat. sèro 'secondo e ultimo segnale, data
con una campanella, del principio delle lezioni ' ^
D'origine letteraria son pure : xtfizi, vizi, servizi, n. 150, liber
libro, visc vischio, fise fischio, drit diritto, Meyer-L,, " It. Gr. „,
§ 56, alcune delle quali proverranno dall'italiano.
114. / per e si trova in slt 'luogo ', che sarà voce lette-
raria. Si ha pure ì in lìga ligat, nìger nero, plger pigro, riga
probabilmente dall'italiano, pìga plicat che può spiegarsi per
la palatale precedente, n. 89, e aver attratto llga, essendo dub-
biosa, per noi, la spiegazione dell'i, Arch. Glott., XIV 218, dalle
arizotoniche, v. anche n. 164 a e c'^; ^f(/e/- (forse anche «7^er ?)
sarà d'origine dotta ^.
Vìnka ' piega ' verrà dalle arizotoniche, dove Vi dav. a w è
regolare, n. 161. — Difna 'desina' sarà un francesismo, cfr,
Arch. Glott., XVI 168, Kòrt.', 3007.
*■ Il 1° segnale è detto la skdla ; il 2" che suona mezz'ora dopo, al sero ;
il segnale dell'uscita si dice al ftii.
' 11 PiAQN. n. 19 suppone anche per Uga uno sviluppo di ./ : *ljega ; ma^
non dice su che si fondi.
^ La serie lìga, nlger, plger farebbe pensare a un influsso del g seguente ;
in tal caso sfrega n. 35 dovrebbe considerarsi venuto dall'italiano. Ma tega,
hotéga, tìg da è, come si spiegherebbero V Si deve forse tener distinto g pri-
mario da g secondario ? il primo solo avrebbe prodotto l'effetto di cui
si parla ?
studi sui diiiletti reggiani 89
115. E per e si ha in sflga, 3" sing. pres. ind. di salgfr ' sel-
ciare ' e in tutte le forme rizotoniche dello stesso verho, che,
trovandosi isolato, subi probabilmente l'influsso di altri verbi
come salir' r, salrf'r e sim.; così sul modello saltè'r: sHta, ecc.,
si ebbe anche salgp'r: sèlga^.
Mélma, se da una base con p come fa supporre Ve stretta del
toscano mélma, avrà la pronunzia aperta delle voci d'origine
letteraria.
116. Scambio di suffisso si osserva in -ic per -iculu sosti-
tuito da Tculu {kavica, kavih cont. kavub — altro scambio di
suffisso — capi t uhi). — ^ E un italianismo addirittura kamél
cammello.
!.
117. Negli ossitoni abbiamo se sì sic e aksé così, invece
di Si. (iks[, forse aperti nell'enfasi, cfr. nn. 56 nota e 111, o
prodotti dalla fusione di si e ' così è ', cfr. komé, n. 55, che par
di poter riconoscere in frasi fossilizzate, divenute oramai rare,
come sié da bori! acc. a se da bmi! 'così è davvero!', sié ala
fé! 'così è in verità'. L'antica forma regolare si sopravvive
forse in frasi come: a so bensì se! 'so assai!', letteralm. 'so
bene si assai ! ', a m n'inpgrta ben si se! ' me ne importa assai ! ' ;
cfr. anche mi si, mi no, n. 55 nota, e sino, n. 164 6.
118. L'I al posto di i in A:/r^ chi? interrogativo, usato in co-
struzione assoluta, si spiegherà con l'enfasi, per l'allungamento;
ma pili difficile a comprendersi è il restringersi della vocale,
se si pone a base il lat. volg. qui, Meyer-L., " Gr. it. „, trad.,
J? 186, Zauxer, " Glott. rom. „, trad., p. 122. Ammettendo in-
' Anche qui il Piag.n. n. 7.5 nota, come sopra, per s'Ira n. 110 nota, giu-
dica l'f un riflesso delle forme a desinenza accentata saìg'nr, salga ecc
90 Malagòli,
vece la derivazione diretta da quis, Bianchi, Arch. Glott., XIII
177, si avrebbe regolarmente prima kei, poi kì per metafonesi,
n. 95.
Il part. masch. sing. della 4* coniug. come finì e simili, avrà
Vi in vece di i per analogia sul femminile finìda, n. 36 e sul
plurale. — Il cont. lloer 'rifinito' llb(e)ru sarà un imprestìto
dialettale ^
119. Nei proparossitoni s'incontra ì per i in viver vivere,
probabilmente per influsso del frequentissimo clv vivo. — Fi-
nìoen finivi, 1^ e 2* plur. impf., sono analogici su finlven, 3^ pers.
plur., e su tutto il sing., cfr. n. 112.
120. Bad[l (Lib. statut. hadilia, plur., p. 75) badile batiUu,
pisano batillo, baril barile, basso lat. barillus, e sim. tirarono
con sé fnil fenile, avril aprile. Cade qui in proposito l'adagio
popolare comunissimo: avril, tilt i di un haril.
L'analogia inversa avremo in fnil, hadìl, haril, avril, propri
delle ville II e III.
Analogico su mil sarà pure Vi di domila, tremila, ecc.; questi
numerali tuttavia potrebbero essere d'origine letteraria, come
pija ' pila ', n. 188,4.
121. Kuniìì 'coniglio', restin, Salv., Si. d. fil. r., VII 216,
da noi puramente sostantivo indicante il difetto di esser restio
(p. es. ste kavàl al tem al restili = ' questo cavallo è restio ') son
dovuti a scambio di suffissi. — Altrettanto potrà dirsi di garul
' gheriglio ', guajum guaime, panaraza ' patereccio ' Kort.^, 6817.
122. Di difficile spiegazione sarebbe per noi flef ' liso ', se,
come la forma toscana, la lombarda e la genovese, da e]lisu,
* Il significato di 'rifinito' è ora il più comune nella campagna. Si usa
però anche nella frase a lìver fjè ' appena appena con fiato lievissimo ', e
nel senso di ' ultimato ' cfr. ait. liverare, Utero, Kort.^, 5561, regg. livrèr
(Vocab.). Per altri riscontri: Flechia, Arch. Glott., VII|^, 365; Salv., " Nuove
post. , s. liberti.
Studi sui dialetti reg^Muni 91
Salv., " Post. „, 9, KoRT. -. 3231; regolare invece, se, come cre-
diamo, (la laesu, cfr. n. 35.
123. Analogici finém, sentém, ecc., su paréin, dfcm, oppure su
sem, n. 97, cont. //«ów, serUóm, ecc., ib. — Anche dig dico, sarà
analogico su dis e dit, n. 112; v. però Meyer-L., '' It. Gr. „, § 90.
124. Kaleiua ' fuliggine ' caligine, — di fronte al regolare
kali.^tia vogherese Nicoli. " Dial. di Voghera „, n. 44 (St. d.
fil. rom.. Vili), che permette di supporre un originario *kali-na,
il quale per metatesi può esser venuto a *kalinza donde il ro-
magn. kalendza, — rappresenta forse la fusione delle due forme,
l'originaria e la succedanea; se pure non è da pensare a un
mutamento di suffisso: -Tggine per -Tgine, cfr. ser. e stz.
cdr;/yine. Pieri. '' Dial. d. Versilia .,, nn. 6-7 (Zs. f. rom. Ph.,
XXVIII) ; V. anche intorno a questa voce, Arch. Glott., XVI 435.
125. Parole d'origine letteraria sono : rifa, n. 188, jìipa, n. 221,
apf[t ' appetito ' n. 153. remita ' eremita ', ib.
All'/ si sostituisce e in rakeia deformazione contadinesca di
* rachitide ', avvenuta per un fallace avvicinamento ai molti
nomi femminili in -età come la mojeta ' le molle ', la nmrleta,
n. 171,2.
126. XiJ 'nido', acc. al regg. ni, se non è da nidlu, tose,
nidio. potrà esser ricavato dal diminutivo nijolln con / epen-
tetico.
Ò.
127. Cont. hró brodo, invece di hro come vorrebbe l'ossitonia,
dei'iverà forse da un ^hrod che perde tardi la consonante finale,
oppure da un dittongo, cfr. n 37'^'^ nota. Nell'interno si ha
brod, letterario ^
' Il PiAGN. n. 68 supponeva popolare il parm. brod e pensava a una base
col dittongo au ; ma rimandava prudentemente al Meyer-L. e all'Asc. che
collocano questa voce sotto ó.
92 Malagòli,
128. Analogie. — Vedemmo già l'urb. bo formato sul plu-
rale, n. 62. — Bug ' vuoto ' detto di occhio, di noce, di mela,
di pera bacata, e metaforicamente di azione o impresa mancata
*bocu, Par., Rom., XX VII 229, e forse anche hilf ' buco ', Salv.^
Arch. Glott., XVI 292, q fbuf ' bucato ' potrebbero aver Vii dalle
forme arizotoniche hugìr intonchiare, Jhuftr forare, n. 167, cfr.
Salv., loc. cit. — Il cont. tug, acc. all'urb. tog tolgo, potrà pure
essere dalle arizotoniche, se non sarà da vedervi un influsso
della gutturale, cfr. n. 136. — Kofer cuocere avrà \'o da hòg
cuoco, kòf cuocio e sim., cfr. n. 134. — Pondga cont. ptindga
' topo delle chiaviche ', anziché pondga, n. 70, subì l'analogia
del plur. ponteg (acc. a pgndgi, n. 149) dove il t si dovrà a una
più antica fase *pontk cfr. n. 182. Così, forse, da *lonk si spie-
gheranno long lóììga in vece di long longa lungo -a.
Sèlda itera in sfida --^ ' non lavorata ', cfr. Ferraro, p. 14) si
spiegherà come l'italiano saldo: anche da noi è usitatissimo il
verbo salde r (a sèld, te sèld, ecc.).
129. Nelle voci d'origine letteraria, cosi ó come ò, n. 132,
presentano ora 5 : ngta, stgrja, memgrja, Greggri, mortori ' fune-
rale ', grgen, non ^ nonno e anche suocero ', con parecchie altre
parole prese nella maggior parte dall'italiano. — All'urb. gli
corrisponde un cont. oli, fase più antica, n. 188,4; similmente
il cogn. Davgli suona nella campagna Davoli. Anche ndja sarà
probabilmente d'antica origine letteraria, n. 188,4.
130. Son pure voci dotte con o davanti ad m: dgm duomo,
dgma doma, vgmit vomito, kgmod comodo, toni tomo ' cattivo
soggetto '.
* La forma più popolare è nono'n : i bimbi non dicono mai non; però
sempre n^na nel femminile.
studi sui dialetti resrgiani 98
ò, ù.
131. Ò. Analogie. — kfinza, ktic, di cui si tentò già la spie-
gazione nel n. 96, potrebbero anche venire dalle forme arizo-
toniche kunzP'r, kuher, n. 167. — Cosi dicasi di muc e sfmc,
con fc, V. per muc, Salv., Jahresb., VII I 139.
132. Forme dotte o semidotte, e imprestiti. — Troviamo o,
cfr. n. 129, in voci desunte per la maggior parte dalla lingua
letteraria: dój) dopo, nóbil^ mnhil, dot, Saèerdot cogn., devot, te-
remót, zimor cimurro, kodiz codice, rikgver, nosk, vgsk, glgrja,
vitijrja, skritgri, demoni, testimóni, matrimoni, acc. ai piìi antiq.
e cont. demoni, testimeli, matrimoni. — Per otober, v. nn. 90
e 188.4.
Kubja, n. 96, coincide coll'it. gabbia e potrebbe anche essere
esotico, come in altri dialetti settentrionali, cfr.PAR., Arch.Glott.,
XVI 339.
133. Se non è un imprestito letterario dall'italiano, avremo
anche da noi uno scambio di suffisso in paura, come nel to-
scano.
Letterario, d'antica introduzione, pare inkora, n. 156, di fronte
ad alora, finora, ecc. ^.
134. U. Contaminazioni. — Susor 'chiasso' sustirru sarà
nato dalla confusione con riimò'r rumore. — Kova cùbat e kon
(dà- a À-O'- ^=: dar (le ova] a covare) dovranno Vo forse a kova,
n. 63, seppure sulle arizotoniche di kovf'r non si modellarono
anche le toniche e il deverbale kov.
135. Forme letterarie e imprestiti. — Son d'origine lette-
raria e conservano la vocale dell'italiano o del latino da cui son
' II PiAG.v. n. 30 per il parin. anìcot a (inkora) pensava a un effetto di
proclisi ; ma in tal caso come spiegheremmo alóra, finora, (jva che son
propri anche del dial. parmigiano?
94 Malagòli,
tolte: subit acc. al più popolare subit con trasposizione d'accento
n. 192, dubi, numer, salamurja salamoia (detto d'ogni cosa esa-
geratamente salata), furja, tuguri, kafaturi gruppo di casette
rustiche abitate da famiglie miserabili; yostra giostra, sofer
soffro, Modna, Pullè, " Dialetti del Frignano „ in " L'Appennino
moden. ^, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1895, p. 713; sepùlker la-
tinismo della chiesa, oramai raro, acc. a sepolker per influenza
della lingua scritta, kiiruv curvo.
D'importazione francese sarà forse fon tonno. — Fon-, per
fuiìz che pure si ode (Vocab. regg.), o è un imprestito (da noi
è pili comune pardarol prataiolo, e i funghi mangerecci ci ven-
gono dalla montagna), o è il risultato della fusione del sing.
~*fong e del plur. regolare funi, ^- ^*^ ^^ *^^^ avrebbe avuto la
consonante finale. Afttin autunno, voce letteraria anche nel to-
scano, cfr. Merlo, " Stag. e mesi „, p. 66, fu attratto per la
tonica dalla serie dei nomi in -un come diùìì e simili. Altret-
tanto dicasi di kolona columna che, isolato, non avrà resistito
all'influsso dei numerosissimi nomi in -gna come koróna, ecc. ;
odesi però anche, ma più raramente, kolóna. — Presentano u,
come nel toscano puh pugno e gruii grugno.
Un imprestito sarà falppja ' bozzolo vuoto, incompleto' se con-
nesso con faluppa, Horning, Zs. f. rom. Ph., XXX, p. 71 e sgg.
136. Un problema di non facile soluzione è kfirt corto. Sarà
da pensare a un influsso della gutturale precedente, che po-
trebbe avere un riscontro in kubi *cubulu o *cubium,
Flech., Arch. Glott., Il 338, alla qual base potrebbe connettersi
anche kugel ' giacchio ' da ^kiivel, v. però n. 96, kuc, ih., kuk
*cuccu, cont. kiir corre, kukla in barakukla, Kòrt.^, 5305, regg.
còccia, Casali, op. cit., kukumra raro per ingurja? L'ipotesi
può sembrare arrischiata, e sarà più prudente ricordare che
kiìrt è fenomeno di esteso dominio nell'Alta Italia, dove questa
voce è generalmente riflessa come se fosse da cùrtu, Asc,
Arch. Glott., I 500.
Studi sui dialetti reggiani 95
È anormale anche Va di /ijoc *pedric|n)lu confrontato con
]ìioc, fìioc, n. 88, se non si spieghi per effetto della palatalo
precedente.
137. Presuppone un n di lat. volg. nóz masch. {un bel noz;
cfr. imol. e noz, Salv., St. d. fil. rom., VII 220), lat. class,
nuptiae, come il tose. ìigzze; e per contro postula un u di
lat. volg. ICS uscio, lat. class, ostium, Par., St. it. d. fil. class.,
I 438 ; Meyer-L., Zs. f. rom. Ph., XXV 355, Sepolcri, Stud. mediev.,
I 612 e sgg. — Coincidono pure col toscano per la vocale to-
nica mora ' frutto della spina ' dove si ha contaminazione con
moro da mauru, Meyer-L., " Gr, it. ,,, trad. p. 41, di fronte al
regolare mdr ' frutto del gelso ' e l'albero stesso, spork sporco,
contaminazione con por cu, sjok sciòcco ^ ; krnzi ' cruccio, pena ',
skufja ' cuffia ', scofia delle antiche carte che trova riscontro nel
reggiano moderno scóffia (Voc.) miic mucchio; ved. per i tre ul-
timi esempi, n. 96 e per muc anche n. 131.
Ù.
138. U per u in ossitoni. — Da -utu dovremmo attenderci
-r<, nn. 53 e 58 ; abbiamo invece -u per influsso del femm. -ùda,
n. 38, e del plur. {batil', crii voluto, hu venuto, ecc.), cfr. fini,
n. 118.
139. U per fi. — Parallelamente a quanto si vide per i,
n. 125, s'incontra u in pai'ossitoni o già tali che devono consi-
derarsi dotti 0 semidotti : ajut aiuto, juta aiuta, n. 153, mut
muto ; konclng conduco ; baul baule, tanbur tamburo in cui po-
trebbe anche non essere estraneo al perturbamento un raddop-
piamento della liquida, cfr. n, 101 e Piagn., n. 02, o un influsso
' Il Meykr-L. (It. Gr., § 15, p. 14 ; trad. it. p. 25) ha sciocco con o stretto,
iictn 'tappiamo dondi' desunto.
S6 Malagòli,
della labiale che precede la tonica, come parrebbero comprovare
le voci certamente popolari hiira bure e buia pula, mur muro e
mul mulo. — Pur ' pure ' potrebbe aver avuto \'u in proclisi. —
Per uva e pura, v. n. 64.
ti in vece di u si ha in fiùf ' dissenteria ', voce dotta. Quanto
a friit, frìda, v. nn. ^l^^^ e 267.
140. / per n si ha in ziza acc. a siza suctiat, cfr. n. 45.
Di qui probabilmente anche sis regg. ziss (Vocab.) ' sugo di le-
tame ', cfr. dal lato semasiologico tose, succhio. Qui forse si ri-
connetterà anche il nome di una fossa nel territorio del Co-
mune, detta La Sisa.
^4Qbis Notevole ó per v in sanhg'g sambuco sambucus
nigra, dove si avrà forse un'immistione di quella stessa base
con 6 che abbiamo posto per bòga n. 37, per la qualità del
legno di questa pianta, vuoto, come si sa, internamente.
3.
Dittonghi.
141. Au. — Sia primario, sia secondario, e questo di lat.
volg. 0 di formazione romanza dà ó :
1) da au germanico : roba rob rubo, bot ' colpo di campana,
tócco ', rgst arrosto, Bruckner, Zs.f.rom.Ph., XXIV 61 e sgg. ; —
da au latino : Iqda, ggd, lódla a] 1 a u d u 1 a , pgk poka poco poca, rok
raucu ' rantolo ', parer, kofa, or oro, ora ombra, Mondfgr cogn.
in cui è da riconoscere, in composizione, thesaurus e mala-
mente italianizzato sotto la forma ' Montessori ' ^, lot ed tera
' Di un nome proprio di persona DJor Tesoro, usato anticamente nelle
■campagne, hanno conoscenza i nostri vecchi, cfr. parm. rf^or Piagn. n. 63.
È quindi una forma letteraria, introdotta dall'italiano, la voce tejò'r.
Studi !iui dialetti regsjiani 97
* zolla ', Flecu., Ardi, (ilott.. 11 :jr)<l ; tor toro, arsura *rc-ex-
aii rat.
2) òka, paróla, fola 'fiaba', troia trabula attrezzo rurale
a, foggia di grossa e pesante trave che serve ad ammucchiare i
grani nelle aie, anche ' spartineve ' formato con due travi^ trol
lo stesso attrezzo rurale nel primo significato ma di più piccole
dimensioni; — con /, cóld chiodo, Bertoni, " Dial. d. Mod. „,
n. CO e nota. S.vi.v., Jahresb. IX, I 115, f/ólfa gota, voce anti-
quata e rara che vive però nell'accrescitivo comunissimo goIt<~)'n
gotoni ' orecchioni ', cfr. Biadene, " Il libro delle tre scritture „,
Pisa, Spoerri, 1902. lessico, s. v. ; Arch. Glott.. XVI 373 sg. ; —
€ con n da / dav. a dentale (assimilazione pai'ziale regressiva)
cont. arpóHset ' riposati ', v. per ]'(>, n. 6!), e forse anche cont
* pieno, compatto '. detto specialmente di noce (conta) ben chiusa
e piena, se commesso con claudere, cfr. mant. tios cioej'a,
Salv.. Boni. , XXXVI 241 amod. cliiotisa, .Salv., Jahresb. IX, I 116.
Non indigeno forse tó/)a talpa, cfr. mfita, n. 75, pèlpa, ib.
142. Xegli ossitoni in vocale, al)biamo r> in un pn^ sost. acc.
all'avv. e agg. jmk (dittongo primario): e o in Po, ho capo ^
(dittongo secondario). Po forse potrebbe essere forma d'altro
dialetto, e ko sorto in proclisi.
143. Xon si ebbe il monottongo, ma si trasformò il secondo
elemento del dittongo in r dav. a sonora e in /' dav. a sorda
nelle 'voci dotte o semidotte: kdr/a coni, kn/ra (metatesi), /à/-gr
* alloro '. M'her Mauro, sàrer. fìaft flauto -.
' È da ricono-scere anche. nei composti a kofitóìi a capofitto, hoteser capo
«l.-l telaio e anche, punto dove fanno capo le paratoie nei mulini, cont.
kodenf'r capitale dato a frutto.
* 11 GoKK.v, St. di f. rom., VI .">70 distinj^ue ait-{'li(j>i. in cui si sarebbe
sviluppato un r epentetico dall'» del dittongo, e (oi \- muta che avrebbe
consonantizzato l'*' con posteriore sviluppo della vocale irrazionale ; per
noi, la prima ipotesi non sarebbe necessaria.
.\itìiivio Klottol. ital., XVII. 7
98 Malagòli,
Il nome proprio Pèool acc. a PPol Paolo, dovrà IV" a un fe-
nomeno di dialettizzazione. — ■ Per kàrol^ v. n. 104. — Salkraut
salcràutte, Petrocchi, ted. ' Salzkraut ' e ' Sauerkraut ' è d'in-
troduzione recente, BRUCK^fER, Zs. f. rom. Ph., XXIV 67.
144. In jijòd ' aratro ' forse To è dovuto alla palatale pre-
cedente, come si suppose per p}o(^^ n. 136, se pure non deriva
da una base plotum, che meglio converrebbe anche perché
au dovrebbe impedire lo scadimento di ^ a e?, n. 226.
Un esempio di u si ha in s f ri'if hodo, mil. sfròs, Salv., " Fon.
Mil. „, n. 63: deverbale da sfru/r'r, sec. il Salvioni, Jahresb.
IX, I 116.
145. Ai. — Da -as diede f: dr dai, fr fai, sf sai, str stai,
ve vai, è hai, kantare canterai, ase assai.
Semidotta sarà la forma nuj mai.
146. Ai, che non si distingue per suono da àj, si conserva
solo in parole letterarie o d'importazione seriore : maj mazzo di
fiori che si appende il primo di maggio alla porta dell'innamo-
rata, cfr. alt. 'maio', Merlo, " Stag. e mesi „, p, 194 nota 2,
àj! acc. ad àja! e aja ! ahi!, goàj guaio, grcijta III aspetta
n. 267, Meyer-L., " Gr. d. lang, rom. „, I, § 18, Salv., Arch.
Glott., XIV 234, nota 2, Rend. I. L., S. II, XXXV 964, n.'25,
sàja, spàj nella locuz. tirf'r un sjmìJ ' scuotersi improvvisamente
per spavento o sorpresa ' ^ trajer, ted. ' Dreier ' soldo.
Come nell'italiano, baìja e demani demanio, quest'ultimo cer-
tamente dalla lingua scritta.
* Sarà da porre per l'etimo con spugét st. ' spago, paura ' Salv., Nuove
■postille s. pavor, Arch. Glott., XV 196 nota 3, XVI 326.
Studi sui dialetti reggiani 99
4.
Vocali atono.
a) Finali.
147. Caddero senza lasciar traccia tanto nei parossitoni quanto
nvì proparossitoni, tranne -a che rimase intatto e -i, primario
0 secondario, che in certi casi produsse la palatizzazione della
consonante precedente, n. 150, e talvolta la metafonesi della
vocale tonica, n. 95.
Nelle nostre carte antiche troviamo, per ricostruzione, le vo-
cali finali, che mancano solo talvolta dav. a liquida o a n {fo-
sadel fossatello, fradel, sol acc. a solo da torta teglia con ma-
nico usata ancora nella campagna, dove è detta sempre sfd, mo-
/ì'isfer, lenar gennaio, cinturin, caldarin secchio).
148. A: ìcànta, trénta, dona, zdpa, tera, agonia; landa lam-
pada, kània. n. 66.
Casi particolari. — kàmer, fnester e mnester, acc. a cont.
kànbra, fnestra e mnestra, contro falistra favilla, n. 89, balestra,
lastra, nostra, castra, ecc., si spiegheranno così : fnester per
fnvstra sarà analogico sul plurale che è regolarmente fnester ed
è più usato dèi singolare specie nei luoghi abitati; su fnester
si sarà formato kamer e anche mnester. (Le due voci fnester e
mnester si trovano accoppiate in un adagio comunissimo :
O^ììtahè'r sta^mnester, o^salter sta^fnester = ' 0 bere o affo-
gare ', letteralm. * 0 mangiare questa minestra o saltare questa
finestra ') ; oppure, meglio, tanto fnester quanto kàmer e mnester
saranno fatti analogicamente su lecer, fècer e sim. che hanno
uguah' il plurale al singolare, laddove falistra, balestra, ecc.^
nel plurale hanno i e sfuggirono perciò all'analogia.
Majln, Ma/un, Nunzjadlii, Xinln^ Xinon, Rojinln, Delln, la
100 • MalagòU,
Gigin sono alterati femminili di Maria, Annunziata, Nina, Ro-
sina, Adele, Gigia, cfr. Nicoli, " Dial. di Vogh. „, n. 41 ^ Toppino,
" Dial. di Castellinaldo „, Ardi. Glott., XVI, n. 36, nota 4, forse
analogici sugli alterati maschili di nomi originariamente fem-
minili, come rofin, rofo n ' rosine, rosone ' e simili.
Piii nella frase a n o jnn l'finma, cfr. lucch. ìiho jnen l'anima,
Arch. Glott., XVI 400, sarà probabilmente di ragione sintattica :
si tratterà cioè dell'aggettivo usato in costruz. assoluta come
il participio nei tempi composti dei verbi; per tal modo si dice:
f ó ród la sàA-n = ' ho vuota la tasca', come se fosse 'ho vo-
tato la tasca ' e sim.
Sor ' suora ' usato come sostantivo, se non è regolare da
soro[r, può venire dalla forma apocopata aggettivale; il cont.
SQva, II, potrà essere analogico.
Ór d noi coincide col tose, or di notte. Son dall'italiano
e
kvalunkve e konter di fronte al cont. kòntra.
Neoformazioni analogiche sono i nomi di mestieri in -a (frfra
fabbro ferraio, moleta arrotino, ecc.) e così gl'indeclinabili in -<t
secondo la tendenza dei dialetti dell'Alta Italia [soia sotto,
laniera n. 174, lenka n. 69, koma come \ deskHza a piedi
scalzi, a la mnfida al minuto, a V ingrosa all'ingrosso, a spela
a credenza Ferraro p. 13, aùka acc. ad cink anche -, iiidova n. 63
acc. a indo ^. Qui vengano pure gli agg. jx/ra e despPra * pari '
e ' dispari ', fatti sul sost. plur. pPra, che nel nostro dialetto è
' Koma 0 Iona si usa in proclisi dav. a consonante : koina o kma dif ?
'come dici?'; ì.-om o km' normalmente dav. a vocale: kom o Zvh' ?f fòt?
' come hai fatto V ' ; komé nei paragoni e in costruzione assoluta : home ir
'come te', komé? 'come'?'. ....
' Quest'ultima è la forma più comune e la sola usata in eostruzione as-
soluta; ànl-a si adopera prefeiùbilmente dav. ai pi*on. nie', ti, W. rfi, Jòr.
^ Indo si usa solo in proèlisi : Mc?o ref ? ' dove vai?'.
Stilili sui dialetti i-e.i,'giiini 101
stato sostituito dal sing. pn', dove noi modeneso si ha pn-u
anche nrl sing.; cfr. Salv., Jahresb., IX i 11'^.
149. -E. -AE, -E, -f. -AS, -ES, -IS : hni bene, sd, Inm, déf,
jTp-, dìiKiii denianc', ròr femm. acc. all'analogico cont. rara
(o forse da robura?) 'rovere' n. 18<; ; don donne, ró/' rose,
fi alae, màc macchie; tnrl tardi; kant canti; fior fiori, >^v<ìn
Giovanni ; kred credi.
Da -'.eu, -^iu si ha i: (ibi n. 75, iiisoni sogno, Karóbi n. 9u,
<(dr/ì adagio, j>rezi prezzo. Così, iifizi, vizi, servizi servizio, diluvi
diluvio, premi premio, j^re/epi presepio, Vaiif/Pli n. 110, dubi
dubbio. k(uìbi cambio e le altre voci letterarie o semiletterarie
in -Ori. -ori ecc. dei nn. 101, 129, 182. — V. anche n. 252.
Hanno -i : i semiletterari fiati, fbafi ' baffi ', usati anche
come singolari (un finti, nn /bufi), davanti, anzi, difàti ' di fatti ',
a ntoniP/ifi, e kvrfi, acc. a fcvrf, che potrebbe e.ssere analogico,
insieme col cont. farsi (nell'interno ora è più comune il lette-
rario forse), su adr/i v. sopra. E analogici saranno pure dakordi
d'accordo, inveci ' invece ' semiletterari ; e fors'anche dimondi
n. 70.
Letterari o semiletterari saranno : lunedi , mertedi_, merkoled[
acc. a nierkordl , (jovedi acc. al cont. :{obja che oramai vive solo,
si può dire, nel proverbio campagnuolo : ',óbja insakf'da, dnienxja
baiirda.
Neoformazioni. — Si ha -i nel plur. femm. degli aggettivi e
dei nomi, pronomi e participi a cui corrisponda un maschile
senza i finale : amlgi amiche, padroni padrone, ardori ' massaie ',
kantànii, boni buone, katJvi, dolzi dolci, kavali, niniPli ' troie,
maiale ', kvisti queste, lodèdi lodate, finldi finite, ecc., di fronte
ai masch. aml<j amici, padron, aidor, kantànf, ecc. Il problema
che offre quest' -i non è dei piìi facili. Forse è da vederne l'o-
rigine in unioni sintattiche di aggettivi davanti a nomi fem-
minili comincianti per vocale: bonae alae, per il n. 180, dava
102 Malagòli,
boni Pi ; donde poi anche fi boni. Di qui si estese, oltre che ai
pron. kvisti, kvili, li, anche a parecchi sostantivi fenim.. come
bokàzi boccacce, U' germi lacrime, (lumi, skatli (acc. a anom cont.
ànimi, skafol), pondgi acc. a pgnteg n. 128, ecc., di cui va cre-
scendo il numero nell'uso moderno ^
Un -i di nuova formazione si riscontra pure nella 2'' pei-sona
plurale dell'imperfetto (cong. e indie.) e dell'aoristo : s'a kantisi,
a kantcvi, a kantisi; ed è di ragione analogica v. n. 313.
Questi -i sorti in periodo romanzo seriore non produssero
metafonesi né palatizzazione della cons. precedente.
150. -I: bòn boni, lodr' lodati, vlitt n. 95, rèn, veni.
Resta, implicato, sempre con l. talvolta anche con nn ; solo
nella campagna in qualche caso con f : kavàj cavalli, stivàj,
nimè'j maiali, pf'j pali; -ej =^ -eWì {vidéj vitelli, kastéj, fradéj,
bej belli, acc, a vide' II, ecc. n. 60) ; pej peli, tej teli ; moj molle;
zivoj cefali ; />•?_// frulli ; — pàìi panni li pagni Testam. del 1612
in Monum. agg. alle Mem. del Padre Pier Maria p. 180 ; —
camp, tue tutti, tue kvanc tutti quanti, e anche tuj in tuj dù
tutti e duo cfr. pieni. (Monta) fiij Toppino, Arch. Glott. XVI
530 n. 1.
* Il Bertoni, Dial. Mod., ii. 129, tiene altra via : i^arte da un non ab-
bastanza chiaro sH dami da stae domnae: dal supposto femminile sti
si sarebbe passati poi alla forma assoluta quisti, donde a gidli ; poscia 1'-?'
sarebbe " passato agli aggettivi e dagli aggettivi a quei sostantivi che ve-
nivansi a trovare su per gii; nell'identica condizione ,. — Il Piagnoli n. 87
si restringe a notare nei femin. jilur. " una desinenza -/, che corrisponde
al lat. -ae, e si è estesa analogicamente a tutti [nel parmigiano; non nel
nostro dialetto e nel modenese] i femm. plur. passati alla 1* declinazione ,.
— Con la spiegazione qui proposta riuscirebbe chiara anche la forma del-
l'art, plur. femm. dav. a vocale: illae ala e, o meglio, col Salvioni,
Jahresb., I 129, il(lae) (il)lae alae > eì^ ~d. Per questa forma il Mussafia,
Rom. Mund., n. 233, partiva dall'accus. femm. plur. del pron. di 3* pers. li,
senza dirci, però, come fosse sorto 1'-», sia in questo caso, sia nella desin.
degli agg. femminili.
Studi sui dialètti reggiani 103
l\n- i plurali in -òli siamo già venuti alla fusione di *-r;/ in -ò,
in tutto il territorio : fìr> figliuoli, fa/fi fagioli, ^wrò' paioli,
ìna?);<y ' piccoli manzi ', uj'/i(>' usignuoli.
151. -0. -0. -U, -U : dì'P dietro, kd/d canto, ha)) ])uono,
òrre bravo, kaùtvm cantiamo, el. man le mani.
-() si fa sentire in voci letterarie o importate da altri dia-
letti, come ::[<>. mio n. 60, tuo n, 01'"% Pio, (rortjo Giorgio, Nino,
Sa fo IS9, Dio, adio addio, ffudio^, per />io .' esclam. eufemistica,
perìfdko !, scào e cào non molto usato, tipo, buio Salv., " Fon.
Mil. „ n. 133, moro, ecc. ; e nell'enfasi : bravo !, eleo .', belo !, korpo !,
sàitgo ! con -o analogico, unito! eufem. per sàìU/o ! — In vece
di -0 troviamo un -J nella voce semidotta Abréj ' Ebreo ' cfr.
n, 280, che non sarà fors'altro die il plurale, d'uso piìi fre-
quente, imperfettamente assimilato ed esteso al singolare -.
Notevole -lo particella enclitica pleonastica d'uso frequentis-
simo in frasi esclamative, come l'è propja akséjlo ! =^ ' è proprio
così I ', (d dig mej.0 .' = ' lo dico io ! ', fai di UJo! = ' lo dici
tu I ', a! Ir dì/ lujo .' = ' lo dice lui ! ' ed kredlo .' = ' lo credo ! '
e simili, in cui si può vedere una conferma dell' ili-hoc po-
stulato dall'AscoLi, Arch. Glott. XUI 204, che da noi perdette
l'accento nell'enclisi.
' Usato solo neU'csclamazione ìcorpo d'>in i/udw .', senza the sia compreso
il significato della parola.
' Il PiAiiN. n. 20 vedrebbe ([ui un aftievolimento dell'-» in -/, oppure
un'intrusione di j e successiva caduta di finale. Nello stesso modo egli
vorrebbe spiegare anche V-ei da -etu e il parm, set sebu; in questi casi
io vedrei una vera e propria dittongazione che costituireI)be la norma in
•sillaba finale libera, come da noi nel ,i,'ruppo li (cfr. Introd. § 4).
104 Malaff()li,
b) Iniziali.
152. Andarono soggette spesso all'afei'esi, specie a- ; più di
raro o-, a-. Quando rimasero, ebbero lo stesso esito delle in-
terne protoniche v. nn. 158 e sgg.
Il fenomeno dell'aferesi è determinato da varie cause, fra cui
soprattutto la fusione, come nel toscano, della vocale iniziale
della parola con la vocale precedente d'uscita, specie dell'arti-
colo, e la caduta del secondo elemento del dittongo risultante
dalle due vocali. Nei verbi la fusione, o il dileguo, avvenne
probabilmente in qualche forma, come per es. nei tempi com-
posti con l'ausiliare avere {l'a^faJvTc = ha avuto ; l' a^fajvf'rt =
ha aperto), e poi si estese a tutta la coniugazione. — Per la
caduta di a- in forme avverbiali, come tsadés ' a momenti, fra
poco ' letteralin. ' adesso adesso ', destepó'k ' poco fa ' letteralm.
' adesso che è poco ', si potrà pensare a frasi simili a queste :
ni 'liira ^[a]d[e]sjcidés ' verrà a momenti ', Ve aridi;' via^[a]des-
tepok 'è andato via poco fa', ecc.; v. però anche n. 155 ^
153. A- : cont. fn-h fc-rha cfr. ser. cn-bo Pieri, " Dial. d.
Vers. „ n. 122 acerbo -a, cont. petit (feinm.) appetito cfr. n. 125,
nime'l -a nn. o3, 149, 150, rogànt rogànza arrogante arroganza^
maraska, spdres spaì'frra spàragio sparagiaia, lodla n. 141, mo-
rofa, Dellna Deltn n. 148 Dele, Delajde, Nibàl Annibale, Xiballù
Annibalino, Smsja Ascensia, Ntinzjèda e Nunzjadrn. n. 148^
renga n. 71, sPla axale, gnca n. 45, badia, garja gaggia, siinia
* L'aferesi è meno frequente nel nostro dial. che non nel parmigiano^
piacentino e pavese. Forse in antico fu più estesa anche fra noi ; ora si
tìota piii specialmente nel dialetto della campagna. V. anche la nota se-
guente.
Studi i^ui (lialt'tti r'^^;ziiiin 105
11. 71^''^ p'tltnl ' tabaociiio ' da ' appalto ', hotnja, vnm avena,
slróìeg. strohjr'r ' almanaccare ', skolff'r ascoltare, skonder ' na-
scondere ', (•/•/;• aprire, ìiiaiur aninianiiiro preparare, dahvr'r
■ aiiiiacquart' e annaftìare ', clorbf' r regg. adarber (Vocab.) '
• pascer d'erba ' ctr. it. aderbare (Petrocchi) v. anche n. 164^"" i,
parer r apparecchiare, lapr'r 'allanipare', iakr'r attaccare, drovr'r
adoperare, docr'r adocchiare, niazr'r ammazzare, rivr'r arrivare,
h'tjr'r abliaiare. sKsiìif'r assassinare, in senso figurato, detto di
cose, /}';/• n. -iXì, drakr ' di clii non si regge bene sulla persona
per vecchiaia o debolezza ' so da ad-arcuatu, fsadés, destepok
n. preced.
K-. I-:' i'r/a n. 84, ìiniólnit n. ÒO, VkÌkjHI n. 110, ìnikrnuja
emicrania, pitiifì, e pat'ìji in Madam pataji ' donna grossa ', rejia
eresia cfr. alucch. rez)a Arcli. Glott. XVI 4l:>, rcmitu n. 125,
rh II. 42, ni(/(( eruca, sàm n. OC», s'jt asciutto, veskoc n. 48,
]'i'ieHÌ Eugenio, rutf'r er u e tar e, yj/^ó* esibire, s»yf'r asciugare,
splukr'r ex piluccar e Kort.-' 3455, stirpe r estirpare, strakr'r
e drnk * stancare, stanco ' Nigra, Arch. Glott. XV 107, strazP'r
stracciare, straceder ' meravigliare ', straraijdnt, straralir sdraiato
Aivh. «ilott. Ili 149, V. però anche Kom. XXVII 201, e così
tutti i casi di ex -^ consonante, come nel toscano. — Con ae-:
rn\it>i II. 52, morojda cfr. nioro'tide Pieri, " Dial. d. Vers. .,
n. 122. Mijjii Emilia, stimi;' r, reditrr ereditare ; con oe-, koìioinia;
rondanlna rondine, taljàn italiano, stif/r'r insti gare. cont.
iioràfit ignorante, niz se da initiu n. 202, V - (ijlT-, Za-
( i 1 1 1 a -, st'- ( i] s t' -, sto - ( i] s t a , 5/i - ( i | s t i -, stel - ( i ] s t a e
illae-, XozT''nt Xozénta Innocenzo -a.
' Nel reggiano l'aferezi Ji a- par m^'no tVoiiu« n'o, se si giudichi dal Vocab.,
dove troviamo anche apparciìr, apparzìr nuvoli, par]}'»- pareggiare, «iti-
itt'inir, ahtpcr, atlurtjurr, (cion-iìr e sim.
106 Malag.'.li,
0-, U- : i>kiinn'S imbrunire, skfir ' bruno, buio ', hJKd'n'i ' ostia '
obbiadino (Petrocchi), Ardi. Glott., XV 503. ràkoli n. 102. NorP't
Onorato, Tornio Ottorino, cont. Dovardln e Dovardó'it da
Odoardo.
na- (una-, n- (unu- [hu rolla una volta, n Pier un altro) :
ciò avvenne probabilmente in fonetica di proposizione, dopo una
vocale: a (/' ('ra^fujna rolla ' c'era una volta' e sini.
154. Xon avvenne l'aferesi della vocale iniziale davanti a
r, l, m, Il -j- cons.: armàri n. 11)1, alhuia, aùdPda 'avvio' ih-
brPga imbraca, Anderjih Andi-oino, Aiihro f Ambrogio. Tuttavia
in fonetica proposizionale l'aferesi o meglio la contrazione può
farsi anche in questi casi, specialmente quando vi. sia una
stretta unione fra le due voci, come fra l'ausiliare e il parti-
cipio nei tempi composti dei verbi ; così si ode /' e [aJùdPda
■* è andata ', ma non mai ùdP'la da sé come rPrta aperta. — Si
ha prostesi di a in dPr ame'iit ' dar retta ' poi'idr amp'iit ' far
attenzione, ' cfr. Par., Arch. Glott.. XVI 137.
155. In alcuni nomi propri di persona come lYnn Tinìin
Toìign (Antonio), SPliim Salmo ù (Anselmo), si può pensare che
in vece di aferesi si tratti di accorciamenti vezzeggiativi, cfr.
Meyer-L., '■ Gr. it. „ trad., p. 141 ; e ad abbreviazioni di frasi
fatte e comunissime si potrà pensar pure per le forme avver-
biali deslepok, tsadés viste sopra nn. 152, 153.
156. An ^ gutturale- diede in -\- giittiir.- : iùgrila anguilla,
ingiirja cocomero, inko n. 61, ìnkora ancora n. 133, ingór ' ra-
marro ' Flech., Arch. Glott., Ili 160, cont. ingós n. 44. Il fe-
nomeno è analogico sui numerosi casi di in -\- cons.- che attras-
sero a sé anche incora acciuga ; e, più oltre, con altra vocale
iniziale, iiiherjp'g ubriaco, cont. iùgvp'nt urb. ungvp'iit, cont.
ingoalir ' render il terreno pari, uguale ', cont. iùguri ' auguro ',
inkiirPrsen, inkagPrsen da inde- Salv., " St. d. fil. rom. ,., VII, 2.
Dav. a dentale intrp'r Append. h, intradi Testam. 1593 ; e dav.
studi sui dialetti reggiani 107
a labiiilo i)ìj>oIi)ìa ampollina, iiifótcrsi')/ inlischiarsene, inharhajer
abbarbagliare»; v. Asc, Areh. Glott., Ili 442 sg.
157. Ac- diventa a- in ahréj alucch. abreo ebreo n. 151, e
i- in isti'' (masch.) estate, cont. Tneja Enea, forse per dissimi-
lazione favorita da analogia di suono con altre voci cfr. Mkyek-L.,
'* It. Or. „, p. 82: su istp' , p. e., può aver influito iùvèren ; se
pure non si tratta, per entrambe le voci, di aferesi incipiente,
cfr. Asc, Arch. Glott., Ili 449. Mkrlo. '• Stagioni e mesi „,
p. 29, n. 1.
e) In'terne.
1. rrotoniche.
a) Atoiio.
158. Presentano i seguenti riflessi :
hit. a- »"- e-^ 1 (a\ (je) ì- o-^ o- ìi- iì-
dial. Il- dileguo in sili. ap. ; e- in pos. i- dil. in sili. ap. ; o- in pos. u-
159. A- intatto : hadr'r badare, pa^r'r pagare, samf'r scia-
mare. ramP'r cbiamare, paner paniere, salnm salame, palàz pa-
lazzo, marnia - ; Raiol n. locale Terra Bazoli negli ant. docum.
(da ra-ji ' spina ' V) malamente italianizzato ' Keggiolo ', (jrdlna
' il Vocab. regtj. ha anquiìlit, angùrria e ingìir'ui, arf/tirri ramarro, aiicióra,
iDiì/jólla e impólla, ma incóó, imherièg, tngòss ; mancano le altre voci. Nel
Feubako p. 19 trovo itigxèlla, inguria, ingossa, incora, inch, impóllu, imhas-
sador, imburbujar. — Per inde, in fonetica sintattica, v. nn. 161 e 162^13.
' I vocaljol. ital. del Rigutini-Fanfani e del Petrocchi non fanno diffe-
renza di signif. fra aìnarena e amarasca : nel nostro dial. c'è ditterenza fra
le due voci, che indicano due qualità diverge di ciliege.
108 Malacfòli,
gallina ; kashfr cascare, skaiipr r ' campare, vivere ', kante'r
cantare, salfr'r saltare, Jìanjc'r allargare.
Casi particolari. — E- per a- presentano: seyrr' 'sacrato,
luogo sacro davanti la chiesa ', cont. lemmta lamenta, cont.
lentfnia lanterna, skerpél scalpello per assimilazione ; iermlr
^ tarmare ', skernic ' mingherlino, che stenta a crescere ', su
irritili tarme, kn'en Flech., Arch. (ilott., Ili 126, o skfren
scarno ^ ; rei]}n' ' ravioli ', che sarà voce importata, su rrva, revjo't
n. 164 ; e/il volg. per a/il, voce dotta, su efUi ' esilio ' pure
dotto ; skerlàt scarlatto, d'origine letteraria, per dissimilazione.
0~ per a- si ha in bolln ' pallino nel giuoco delle bocce '
per effetto di contaminazione di *bal7n con baca. Foló per ' falò '
sarà dovuto ad assimilazione.
TJ- al posto di a- si ha, pure per assimilazione, nella voce
d'origine dotta sutàren ' persona che sta abitualmente muta e
seria ' da Saturnu.
Maina manina s'incontra nello scherzo infantile: Mnlna ninlna,
Ulna blìna -- grata grata formajlna, dove la sincope sarà do-
vuta probabilmente al ritmo ; come riscontro, ricorderemo anche,
per quel che può valere, il mant. pnin, Arch. Glott., XVI 376,
e il nostro pzln di cui al n. 171.
Apparenti eccezioni. — ^nèr è dal lat. volg. jenuarius,
Merlo, " Stag. e mesi „, p. 99 n. 1 ; dko ' da capo ' Gorra, Zs.
f. rom. Ph,, XVI 374 avrà per base de- e non da- ; sro sré ecc.
' sarò sarai ecc.' postulano ugualmente e~ cfr. ait. sera ecc. ;
fbgàz e Jbgazer (piac. spagass) ' sgorbio e sgorbiare ' vengono
da pix picis Flech., Arch. Glott., Vili 392 s. spegazar.
^ Dobbiam dire però che skfren e raro da noi, e che più di tinnii è
usato kimoli 'tignòle'. Per la serie ar- ^ er- , tanto piìi notevole nel
nostro dial. per quel che si dirà nel n. 161, v. anche Arch. Glott., XVI
527 nota 1 e qui pure n. 171.
studi sui dialftti reggiani 109
160. E-, 1) La nonna è la sincope in sillaba aperta origi-
naria, 0 divenuta tale per abbreviamento di una consonante
lunga (n. Mie) o per semplificazione di un nesso consonantico.
2) -Si ha invece e- in posizione, sia pure debole :
1) cont. ajrpoiiset n. 141, ajrhiit 'rimessiticcio', (ijrhrha
' ribalta ' ; -ajrtàj ritaglio, rdrra vedeva, Jdii seduto, Jdaz n. 40,
mdem mietiamo ; pfeca petecchia, stnùfa settanta ; — a/rknrdef
* ricordati ', njrkoji'r ' "raccogliere i frutti dall'albero' col curioso
participio ajrkjóf -, Ji/o/ia n. 70, Jyiira n. 88, dijiiin tegame, ìmjI
' malazzato ' lucch. bahico, bijln, hgóìì, bget da bèg n. 108 : skrr
seccare, pl-r-r * beccare " e anche ' beccaio ' n. 8:> ; — ajrràm
richiamo, /geUi seggetta (semiletterario) ; reni vecchi no, spcèr
specchiare ; — ajrfp'r rifare, ft/r/v''^ rovescio, a /Irf'r levare: —
bfrr ' pesare " ; ssanta sessanta, psìga n. 22 nota 1, ajinsr'l mes-
sale, tseved n. 48 ; diRn n. 08''"^: mrjù 'mezzolitro" (diminutivo
ipocoristico), pzPv ' rappezzare '; — mjór ' migliore " : — ;/;7- ' ge-
lare '. lìdìna ' parlar mellitluo ', srèù sereno, zrejct n. 84, sj>rn-
sperare, nel significato di ' guardare attraverso la luce le ova
per conoscere se son fresche ' (ma sperf-'r n. 1G4 e semidotto nel
senso di ' aver speranza'), breiid(ì n. 7<> ; sìfv 'sellare " e ' sellaio ',
vìu n. 58, stlPr ' spezzare ' (da stela =^ astella), breta berretta,
trvz terriccio : — ajrmHer rimettere, dìiiaùda ' domanda ', dwàn
domani, skmènza semente, tndja tenaglia, fnester n. 148, wnesfer
ib., aJrnPga *re-necat, rjiPver n. 81'''\ Vm;r Venerio, bìih't be-
nino ; pìurii ' grosse penne dei volatili ', pnaza ' uccello di molte
penne ", .sv/ór signore, tàem teniamo.
2) vrespr'r ' vespaio ', serpe ut, tempesta ' grandine ', cont.
'erhhut acerbetta ; — dento n 'grosso dente', dentèda dentata,
' Ct'r. ttrr/iiiji-r in Bo.sklli, 'J'csti vntirhi parmensi, p. 40.
* Probabilmente fu priiiìa *ark((Oj''( (cfr. coiet e o 11 e e t ii , Ktinl. Ist. Lonib..
8. II. XXXV97(i). «londf-, per infl. analog. (partir, in -óf : rizotoniclu'\ arkjót.
110 Malagòli,
ventàj ventaglio, tendina, verdé'r verdone (uccello) ; — perké,
perkóin, verge ni [ros renjent ' rosso infocato ") ; — zercer cer-
chiare, serjé'nt sergente; — sperei;' rs perverso, servir; —perlina,
zernir cernere; — des- da dìs -\- cons.- [desfp'r 'sciogliere,
liquefare ', despPra ' dispari ', destò'r distogliere, destender di-
stendere, ecc.), bes- e ber- da bis (e ^er'ì) -[- cons.- {beskò't
biscotto, berlósh "^'-hìs -t- luscus K.^ 142-i, berlela diminutivo
di ' lecca ', fberloca ' occhieggia ', berlnm barlume K.^ 1422,
/berldììza ' altalena ', ecc.) ; — lecrot leprotto, levrer levriere,
fevrlna e ferrefa ' febbriciattola ', zedro/i ' cetriuolo ', Pedrln
Pietrino, redrina vetrina, dedre 'didietro' de d (e) retro n. 34.
161. Tracce del mutamento di e- in a- dav. a liquida [r, l)
si hanno in markc mercato, marze r mereiaio, marluza merluzzo,
fmarder smerdare, /wa/'iv' n. 218. varsin piccolo verso fatto con
la bocca, stranfid con metatesi ' starnuto ', fvaltln diminutivo di
fvèlt n. 76, salvàdeg selvatico. Salmo h n. 155. Questi casi (altri ne
conserva la campagna, come sanjent che si ode anche tra il
popolino dell'interno, sarpe fd e sim.) dovevano essere molto piìi
frequenti in antico e forse costituivano la norma, che è propria
di gran parte del territorio emiliano (cfr. Gorra, Restori,
Trauzzi, Mussafia, 00. ce.) : ora l'influsso della lingua letteraria
ne ha tolti parecchi ^
Diversa è la risoluzione della formola atona cons. -\- r -\- e -\-
cons., nella quale, avvenuta normalmente la sincope, si sviluppò
forse dall'r, secondo il n. 8, er che si conservò sempre : perfon
prigione, pergp'r pregare, sterjo'ìl stregone, terfdj trìfoliu
K.^ 9734, sfernì ' sfacciato ' (senza freno), cont. pertéitd pretende^
terme r tremare, terfé'M trecento, tervela *fc(e)rebell u, kerpjó'n
accrescitivo di krepja n. 41.
^ Anche per il pamnigiano il Piagn. p. o9 n. 1 osservava: "... si deve al
diffondersi dell'istruzione la tendenza a ristaurare sull'italiano eerte voci,
come erheti, ecc. ,.
Stilili sui tliali'tti lOirgiaiii 111
Proprio anche del nostro dialetto il fenomeno iit, -\- cons.- da
. )t -{- cons.-, del quale però si hanno resti piìi numerosi nel
" Vocab. regg. , e più ancora nel dialetto parmigiano cfr. Gorra,
11.41 ': lii'i:i'/, Carte ant. linzoli, liiìzr'r 'spezzar il pano, le
ciambelle e siin.' - *Tnì tiare, r'u'ikr'r Flech., Arch. (ilott., II 34,
Minjoii Mi/i(jii'i Miiujct Mi)i(ji}la (alter, di ' Menico ') ; cosi
sempre in proclisi : </ i/ì^col .^ ' ce ne vuole ? ', ecc. ■'; e forse
anche a questo modo si spiega / iti = sono, che non si usa mai
in esito assoluto, cfr. Salv., " Not. intorno a un codice viscont.-
sforz. ,, Nozze Tipolla-Vittone, 1890, p. 2.") nota. Ma da noi
sempre, almeno a' giorni nostri, oltre deiitrda e feiìpesta v.
n. prec, sentir, ventò/a, \€ìì~la, (feiitp'a ' gentaglia ' , bendàj
nn. 197 e 286, per lo quali il " Vocab. regg. „ registra le forme
con in, [Mnsr'y parm. pinsdr. Anche qui le forme con en saranno
dovute all'intluenza dell'italiano. Hanno an-, san<jóf ' singhiozzo ',
l'inbreca ' embrice ', manvln ' mignolo ', *mTnuinu Arch. Glott.,
XVI 375. allato a nianiilù *minuellinu.
162. Xella fonetica proposizionale, in principio di frase o
dopo consonante, le voci nelle quali avvenne la sincope della
protonica, assumono dav. a ;•, l, n queilV^- prostetico derivante
dalla vocalizzazione della sonante, che è, quanto all'/-, " feno-
meno di esteso dominio e di varia ragione ^ Meyer-L., "* Gr. it. „
trad.. p. 7S : a/nnn/i remaneo e tutti gli altri esempi con
' V. oni PiAG.N. p. 39 nota 1.
* N«?l *er. abbiamo lenzxre ' atìettare il pane ', che il Pieri però ricon-
nttterebbe con lintea, Zs. f. rom. Ph., XX Vili 183.
' Non !^i ha nel nostro dialetto la ripetizione «li in propria del parrai-
piano il quale usa p. e. nin tot? dove noi diciamo iii vot?=nii vuoi?
(PiAu.N. p. bl nota 1) ; si, la riduzione di in in n dav. a vocale nel contesto
del discorso: «/ «' (- .>'*= ce n'è V, cfr. n. 162'''» ; e v. pure n. 156 per i com-
ixjsti di inde-, che, considerati oramai come semplici, vogliono essere
accompagnati dal complemento.
112 Malagòli,
re- per cui v. sopra (n. 160); — ajlvè'r, ajlkp'r leccare, «jlier
leggero, ajlsla n. 64 ; — ajNvP'r 'nevicare' ait. nevare, ajniò'
ajnvoda n. 37, ajntp'r nettare.
Secondo il Piagnoli (p. 44), che studiò il fenomeno nel par-
migiano, si ha in questi casi la prostesi di a e non di altra
vocale, perché " nel contesto del discorso la vocale che piìi
spesso veniva a contatto con Z, n, r iniziali e li sosteneva era
l'-rt „ specialmente dell'art, femm. la e della 3'' pers. pres. sing.
di aver ('/). Questa spiegazione collima per l'appunto con quanto
noi dicemmo sopra (n. 152) per dar ragione dell'aferesi, ma ci
sembra insufficiente a giustificare il fenomeno, che si restringe
alle sonanti e che per a]r-, ajl- va forse connesso col muta-
mento di -er-, -el- in -ar-, -al- di cui nel numero precedente.
È da aggiungere poi che non solo davanti a r, l, n, ma anche
dav. a m abbiamo alcuni esempi di a prostetico. Questi sono:
ajmdaja medaglia, ajmsóra ' falce messoria ', pei quali può va-
lere la spiegazione del Piagnoli per a]l, ajn, ajr, e ajmsr'l
(masch.) ' messale ' che resta piii oscuro. Negli altri casi di
sincope da me-, non si ha la prostesi : nwn' menare, ìnrjn n. 160,
mima ib., mlm lucch. mellone ' popone ', mloìièra ' campo colti-
vato a poponi e a cocomeri ', mnTida n. 14§.
Per (iksé v. n. 178.
Davanti a d^cons. da de-}-cons. si ha prostesi di e-:
e]d Peder ' di Pietro ' (forse dal frequente V e d Peder ^ è di
Pietro), ejdmàù domani (forse da unioni come iùko e dmàn =
oggi e domani).
Così davanti alle particelle atone pronominali e avverbiali
m, t, s, r, (j, seguite da parola in consonante, si ha prostesi
di e- nelle interrogazioni, dove la particella è in principio della
frase :
emji-redel ? (anche umji-redel ?) mi crede ? ; ma dav. a voc.
minhrojel ?, ecc.
stadi sui diiilotti reggiani 113
et^krcdel f ti ciede ?
ekkredel ? gli crede ? (Por ck\ e piìi sotto ef. da eg ev,
dinanzi a sorda, v. mi. 217 e oKi.)
eskredel r* ci crede y
ef^kredel ? vi crede ?
ekjx-redel ? crede a loro ?
e(f^v<ì(jja ? ci vado ?
egji'Pt ? ci vai?', ecc.
162^'"''. Continuando il discorso intorno al trattamento delle
particelle atone nella proposizione, notiamo, sebbene non tutto
-ia qui a suo posto, che si ha :
1) te davanti a un'altra particella a cui segua parola in
consonante : te^nì_,kred mi credi, tejkred ti credi, fe^kkred
gli credi, teskred ci credi, ecc. ; ma t_m ^inhro'j acc. al più
raro te m' inhroj. ecc.
2) le per / 'lo' dopo al 'egli': al^le^vol lo vuole, aljle^kred
o sim.
3) ne per n ' non ' dopo al : al^tie^ròl non vuole ; e dopo
a, {. te se al ?ie segua un'altra particella e a questa una con-
sonante : a_ne^g_,n'^e ' non ce n'è ', ij>ie^gjn'_àìi ' non ce
n'hanno ', te^ne^sjcò ' non ci vuoi " (in questi ultimi casi però
si usa anche n. specialmente se l'accento di proposizione è
protratto di una sillaba : a^n^y Jti^&^mlga, i _n ^g _ìi' ^dn ^ntlga ,
te^n^sròjmlga).
Questo e analogico si riscontra, per comodità di pronunzia,
in alcuni altri aggruppamenti consimili, come sarebbe sjte^vó^
nir acc. a sjt^vo^iiir ' se vuoi venire '. All'analogia si dovrà
pure l'alternarsi dell'g con Va dav. a n in principio di frase :
an^kreder mlga e enjcreder^)nlga 'non credere'; ma nel con-
' Il reggiano e.stende tanto l'uso di questo e da servirsene anche invece
di a ' io ' : e di_g per a dijf.
Anhivio Rlottol. ital., XVII. H
114 Malagòli,
testo del discorso, con t, sempre e : te^n^vo ' non vuoi ' : il die
fa credere che qui abbiamo la conservazione della forma pron. te;
lo stesso potrà dirsi dei casi di ìe accennati sopra : tejinjkred
(anche t'^ìon^kred sul modello um^kredet ?), tejt^kred, ecc.
Un trattamento particolare hanno le cong. se e ke -\- cons. :
esse restano intatte quando siano seguite immediatamente da
una forma pronominale tonica : se me, se ti, se In, ecc., ke me,
ke ti, ke In, ecc. ; vengono invece sincopate quando siano se-
guite da particelle atone : sjt' jinde!v ' se andavi ', s^t^vd acc.
a sJte^vQ (v. sopra) rarissimo sejt^vq, kji' jxndéva 'che andava'.
Non si ha la sincope di se e ke dav. ad altre parole comincianti
per conson. : se Peder, se Vizenz, se dmatJna, ke Pèder, ecc. ; e
non è nemmeno d'uso eliderle dav. a vocale, se non si tratta
di particelle pronominali : s^ jii_vrl ' se volete ', ma se Aiibrof...
se Ambrogio... — Con t, avviene l'ellissi del ke: a^voj^t^ve/i
acc. al men comune aji'ojJ<:eJt^ven ' voglio che tu venga ',
ijdlfenjtjvè^via ' dicono che tu parti ', al^dfij^iìev ' disse che
tu venivi '. Può farsi la domanda se qui si tratti d'ellissi di
ragione sintattica o fonologica : io propenderei per quest'ultima
spiegazione, perché con nessun'altra particella pronom. si ha
l'ellissi del ke nelle stesse condizioni ; fonologicamente invece
non è difficile comprendere come in un gruppo di tre o più
consonanti potesse, per comodità di pronunzia, cadere quella di
esse che meno era affine alle altre, cfr. n. 307. — Sono appa-
renti le forme sa e ka nei dialetti nostri per se e ke; si tratta
in tali casi di unioni di s e k' alla partic. pronom. a : s'_a__irl
(v. sopra) non sajvri, a^kred^k'^a^sia^vera non ka^sia^vera.
Cosi es (cong.) da e si, Salv., Arch. Glott., XIV 266 n., e non
esa (da cui forse il consociativo march, e romagn. sa, Salv.,
Jahresb., IV 163, Zs. f. rom. Ph., XXX 81), è da intendere in
frasi come : al g' era lu e s' a g' era me, a g' <' al sol e s' a
pjov, V e bel e s V e boii, proprie anche del parmigiano, v. Bo-
SELLi in PiA(iN., n. 142.
Studi ^ui dialetti reggiani 115
163. Dopo palatale troviamo ij- in vece di ej-, parallela-
mente a ciò che si vide per la tonica n. 89, in cont. siston
urb. zeston cestone, cont. ìnajistnna urb. maistrlna ' maestrina '.
Per influsso di labiale abbiamo uj- per e]- nel cont. (jnmhjè'l
urb. (jrc)tbji;'l grembiale, in muljpga ' albicocca ' dove si potrebbe
anche vedere una contaminazione con miij specie di frutte che
son qualcosa di mezzo fra le susine e l'albicocche, e in hustrlya
' lavoricchia ' se connesso per la prima parte con la serie ven.
bisecar, piac. bsuga, ecc., di cui il Xioha in liom. XXXI, p. 123,
164. Casi particolari: 1) Tn sili, aperta originaria o secon-
daria, talvolta si conservò la voc. atona, la quale o rimase e-,
o cambiò colore trasformandosi in a- dav. a r. l, in i- dopo
palatale, in h- dopo labiale, o si assimilò alla tonica, o se ne
dissimilò, per le ragioni seguenti :
a) Aìudoyia sulle rizotoniche : metèva, nieténi e sim. su meter,
met, ecc., ce/ina su ce/a n. 84, letliì su lef n. 41, redlna su reda
n. 35, radela ' membrana reticolata che involge le interiora e
gli intestini' che avrà Va- per dissimilazione se da *retella
(normale invece Va, se si accetta l'ipotesi del n. 206) ; sarè'r su
sèr, Sf;ra, ecc. n. 110; pig{''i\ ^i'9(''t' su plya, llga n. 114 ma
v. anche qui, sotto e, zivè'r ait. cibare ' mangiare ' su z'iv n. 89,
zirl'ù ' cerino ', ziro't ' cerotto ' su zìra ib. (regolare zrón ' ce-
rone') ; didì'/ì, dido'z, dido'ìì su dì n. 95.
b) Contaminazione : sifPrca cicerchia, dove si avrà l'immi-
stione di slf ; sino ' sennò ' cfr. lucch. iìisinó, antica confusione
della prima parte se con si, oppure da spiegare come ligè'r,
lidàin, ecc. v. sotto e; cont. sifoì' cesoie (caedo caesum),
se pure non va sotto i K.'' 2217, forse per influenza di cont.
simf'r urb, zimf'r cimare ^ ; himf'ga M.-L., " Gr. it. „ trad., p. 64;
' In sijT/r e nije/ca la sincope mancata potrebbe spiegarsi anche per la
difficoltà fonetica di pronunziare il nesso zf o altro succedaneo ; l'i- poi
116 Malagòli.
iigo'rd Inceli, bignrdolo (Ardi. Glott., XII 128) ' filo attorto a
più capi ' su cui potrebbe aver influito, per somiglianza di
figura, bigol [bom|byculu n. 49 ; zerm'f ' chùgÌR', dove sarà
da veder forse l'influsso di zener n. 72 e di borni'/ cfr. un. 169
208 e 294 \
e) Origine dotta o forestiera. — • Son voci dotte, con e-,
regàl n. 101, legitim, fede'l, spere r n. 160, seton setone, setenber,
petegla n. 81''^^ dener (nel giuoco delle carte: l'us ed denP'r
= l'asso di denari), demoni e cont. demoni n. 132, demani n. 146,
devo't n. 132, debà' cont. dabà' per assimilazione, Pjemo'nt cont.
PJanio'nt alucch. Piamente per attrazione della serie piìi nume-
rosa pja- {pja/é'r, pjanièva, pjaii pjanl'n, pjagó'n, ecc.), depojit ;
con i-, diséd disegno, dicenber, minister, stivai n. 101, cikórja,
civì'l, ritrai, bivàk. Semidotte posson considerarsi, con a- dav,
a l, r, paUgra pellagra, niarola midolla cfr. Goid., " Ditt. rom. „,
p. 171 ; con la vocale atona dell'ital. letter. ma con mutamenti
nella tonica o nel consonantismo, zigrla cicala, ziveta civetta,
zimo'r n. 132, pitàfi e, per assimilazione, patàfi n. 153, rizeta
ricetta ; con i-. da palatale precedente, Ci/ira Cesira, CicUjci
Cecilia, girani geranio; per assimilazione, spidir spedire, Fill'f
Felice, Kikì'n Cliecchino, e — lo dico molto dubitosamente —
forse anche strik/ (perf.) strikis (impf, cong.), ecc., donde poi
strikè'r e le rizotoniche con i n. 112 - ; per contaminazione.
in vece dell'e- sarebbe dovuto alla palatale precedente. Ma noi non vor-
remmo basarci sulla ragione del nesso difficile, che è troppo comoda e
poco plausibile per i nostri dialetti i quali non rifuggono da incontri molto
aspri 0 trovan modo di appianarli senza conservar la protonica.
^ Per una connessione col Inceli, cenerigia, v. Salv., Ardi. Glott., XVI
434 n. 1.
^ Iti di strihe'r si spiegherebbe forse meglio da una propagginazione
dovuta alla palatale di *strigicare > *stre\g(i)care donde, regolar-
mente, strihe'r (cfr. Gehih > Git^h n. 185).
studi sui dialetti reggi:nii 117
ritilra {-f- fui ?) seppure non è un compromesso fra il termine
dialettale regolare ftrtra, ora fatto raro, e l'italiano letterario
vettura con aftievolimento dell'^?- in i- ; e cosi potrebbero spie-
garsi anche nisTfù n. US'"'* (invece di ajnsiin sec. il n. 162), cont.
lidàiH urb. ìedùìn letame, cont. lifie')' leggero acc. all'urb. le<jer
e al più comune e regolare ajlrjyr, o forse Ufii'r se non si voglia
ammettere l'influsso analogico di pu)(''r n. 114 '. Effetto di un
compromesso con la forma italiana potrebbe pure essere higón-
bigoncia. Con o-, abbiamo roìign dal francese.
Imprestiti dialettali forse detut sostantivato per indicare ' tutto
ciò che può occorrere ' di fronte al regolare edjtnt agg. e pron.,
e zigola cipolla (cfr. kavol, fravol, ecc. n. 104).
164^'"*. 2) In posizione : meno numerosi i perturbamenti.
a) Anzitutto degni di menzione i casi di re] - venuti ad ajr-,
anche in sillaba complicata e in posizione debole : ajrskfida
riscalda, i(]rsk<kl n. 51, ajrstopja ristoppia (v.) ; — a/rkréd ri-
crede, ajffreda ' raffredda '. Il fatto che soltanto re] - e non
anche lej- ne]- )n,e]- ebbero questo trattamento, induce a cre-
dere che qui si abbia un fenomeno d'analogia sui moltissimi
composti con re- in sili, aperta. Reste' r -, risponder, rispósta,
rispfrmi e sim. saran dovuti all'influsso dell' ital. letterario. In
revjot forma rimaneggiata invece di ajrvjot ' piselli ' sarà forse
da vedere una contaminazione con rèva rapa ^.
h) Altre contaminazioni: dorbP'r n. 153 che avrà o- invece
di a- (da e- dav. a ;•) per contaminazione con altre parole d'uso
comune che cominciano per dor- come dormi' r e sim. ; cont.
' Nello stesso modo potranno forse dichiararsi i parm. ni(/oci, inìmoria,
spiranza, ecc. nella Catlenna, Boselli, Testi antichi parm., pp. 60-66, e in
PiAGN. p. 42 n. 1 ; e i boi. Dilenna e sim. Trauzzi n. 62.
" Arstar ò nella Catìfnna, Boselli, 7V.s<i ant. parm., p. 73.
' P«'r un'altra ^spiegazione di revjv't v. Boselli in Piagn. p. 45 nota.
118 Malagòli,
sukvp't (urb. sekre't) segreto, voce dotta, dove potrebbe anche
spiegarsi Y u- per effetto della gutturale ; cont. viljo'n (urb.
veljoìì) veglione, se pure non si preferirà veder qui un altro
esempio di aftievolimento come in lidàm, ecc. n. 164 e.
e) Assimilazioni e dissimilazioni : visti' r e visti ' vestire ' e
'vestito' (con e]- sempre i derivati di vesta, come vestina e
sim.) 1 ; listés (avv.) cfr. tose, listesso, seppure va qui, sarà forse
l'istés, dove l'i- si potrà spiegare per dissimilazione, come già
in iste , cont. Ineja n. 157.
d) Voci letterarie : dispét, difgu'st cont. defgu'st, difgràzja
cont. def grazia, bijlàk, hiJU/ng per cui potrebbe valere il ragio-
namento già fatto su bigóni n. 164 e, mincgn - se non è fatto
su mirica n. 70 o non cade sotto il n. 161.
165. ì- resta: plf'r filare, ^irf'r tirare (^m- è da tra bere).
finir finire, pileta dim. da pila, fimo')) *timone Par., Arch.
Glott., XVI 145, ridilda ' risata ', fri/o n fri s io ne Arch. Glott..
XVI 145, grilànda ghirlanda, vindlm n. 96; 'ipiz()n piccione,
picer picchiare.
Casi particolari. — Boro' ti mod. hiròn ' tappo ' Arch. Glott..
II 313 e sgg. (v. però anche Rom., XXVII 222, Arch. Glott.,
XIV 294) è dovuto ad assimilazione ; — avfl'n vicino sarà da
*vecinu per dissimilazione Par., Arch, Glott., XVI 145, op-
pure regolarmente da una base *vìcinu K.'-^ 10146 {Va- pro-
stetica si può spiegare con la forma avverbiale *ad-vicinuni
cfr. Trauzzi, " Dial. boi. „, § 51); — dfeva 'diceva' potrebbe
essere analogico su vdeva vedeva, vreva voleva, preva poteva.
Parola importata sarà pdf» ■•'pineoli, frutto non indigeno,
* Da visfir, visVt, visti s e sim. si estese Vi- anche alle poche altre forme
della coniug. dove non si aveva i nella sillaba seguente: i-iftéin, vistema e
sim. — Vesta al contrario con vestqna, ecc. impedì l'assimilazione in restlna.
^ Il dialetto usa piii sposso e volentieri kojò'h
studi sui dialetti reg<:riiiiii 119
come non è propria del nostro suolo la pianta che lo produce.
Con pilo, ci si consenta di mandare anche piiaia n. 40.
166. 0-. 1) Normale anche qui il dileguo, come per e-, in
sili, aperta originaria, o divenuta tale per abbreviamento di
una cons. lunga o per semplificazione di un nesso consonantico ^
Con questa differenza pero nei risultati che, essendo le parole
con 0- in minor quantità di quelle con e- (si pensi soltanto a
tutti i composti con re-), si ebbe per conseguenza una più
scarsa diffusione del fenomeno, donde forse una minor forza di
resistenza all'influsso analogico che assottigliò ancor pili il nu-
mero dei casi regolarmente sincopati.
A/ldcig ted. Ludwig (cfr. le-^a]l~ n. 162); — cont. «Jrdónd
acc. all'urb. letter. rotónd ^ ; — pk('n) boccone ^ ; — kirrta co-
perta, kin-ò coperchio, gveren governo, gvirna governa, custo-
disce, ^vdn Giovanni, ajrvma cont. accanto all'urb. letter. ro-
nna ; — plón pollone della vite, klonb colombo, due volutulu
n. 45, ajrìój se da */-o-. cfr. sopra ajrdónd e nota, kmsi n. 137,
kroda *corrotat Ardi. Glott., II 337-338. v. anche qui nn. 174,
' Il Plagnoli non ammette un dileguo normale di o- nell'emiliano; egli
pensa — a torto, mi sembra — che si tratti di pochi casi sporadici (p. 13).
Eppure gli esempi già addotti dal Mussafia ijer il romagnolo n. 112 nota 1
erano sufBcienti a stabilire il contrario o per lo meno a indurre in sospetto.
'^ Per ardónd e arlój (v. sotto) si può ammettere lo scanibio di re- per
)■(>-. favorito dalla dissimilazione; ma Aldvtg, avvina, armo'r, «n^Mrt (per
\'o- supposto in queste due voci v. M.-L., rid. it., p. 66) come si spiegano
meglio che con la sincope? 11 parmigiano ha anche aurei novello Piacìn.
)). 40 nota 2, p. 45 nota 1.
■' 11 PiAG.N., p. 40 nota 3, si domandava se in ^jcon non era da veder Tin-
liuenza di pcudu : ma questa, aggiungeva, a maggior ragione avrebbe do-
vuto agire su bocada. Non possiamo consentire col Boselli che pensa a
<lÌ5similazione (p. 40 nota 3). Nemmeno pare che si debba la sincope all'»
■rimologico, il quale diede la vocale breve in sili, tonica; perché si ha il
lilt'guo anche con ó {blonb. rive, kverta, dmehr^a, kmùua, ecc.).
120 Malagi.li,
238, Z/nA: ' montone ' se da*bo- v. n. 16!); — 7'/>«('/ Tommaso,
kmèder 'comare', kmdnda comanda, cont. Kmfma Comune,
(jnif}}' vomeriu, cont. dmeuf/a (acc. al lettor, dommika) che
vive solo oramai nel proverbio r^óhja ecc. n. 14!), e forse anche,
se da *ro-, cont. ajrmg r rumore e ajrmiàa n_. 72, k'iios conosco.
Per contro, vedremo l'influsso analogico nell'o- dei verbi con
l'infinito bisillabo tronco, come roU'r volare, soler, dolf'r ' pial-
lare, dolare ', koU'r, domP' r, korp' r, fon;'?', ecc. (su rijl, vola,
colen, ecc.) : è sincopato soltanto vrPr volere, spesso proclitico,
su cui si modellò /jrer ' potere ' K Nello stesso modo potremo
spiegare yoloj su gola, moro'/ e moro/a su amor -', korét coretto
su koro, Poló'n su yapoleon, se pure non son d'influenza let-
teraria ; pomìn, pornò'n, pomera su j)om n. 70, inolili su ìiiola,
voladga n. 40 su vola voìp'r, sorela, sorìna ' cinciallegra ', sorfiza
' gufo ' su sor n. 148, kovTù codino su kova n. 63, lovln lupino
su Igv, rodona ' grossa ruota ' su roda, morél ' paonazzo ', moréf
moretto su moro n. 150, cont. nonanta urb. novanta su ngv nove,
novent su tiov nuovo, do/e ut duecento su du do nn. 61^^^-62,
podaja ' pennato ' su pòda, podp'r, sotàna sottana su sola n. 44,
hotàz {botazo Inventario del 1493) ' bottaccio ' Cavassico II 359
su bota, boklìì bocchino, bokàza bokcda ^ su boka, boema bocima
su bóca, bozeta ' boccetta, piccola bottiglia ' su b'oza, pohister
* pollo ' forse su polfin ' pulcino ' ; smoledeg ' lubrico ' *molli-
ticu su ìHoj o molfin, solebi 'soffice, sello' forse su solere',
niosln moscerino su moska, sojgla ' bigoncia ' su soj.
' Psl potete, Rana 11, non e veramente Jiovellarese, ma reggiano ; come
])sèr potere, che si spiega pure in proclisi.
^ Il bolognese e il romagnolo, in cui è sempre più spiccato, come di-
cemmo, il fenomeno della sincope, hanno mrnus.
^ In bokeda, sinonimo di ' morso ', è sempre viva l'idea di bocca ; invece
in pkpi, sinonimo di 'pezzo', si perdette la coscienza della derivazione.
Stiuli <iii iliivli'tti ri'fi'iTÌ,^i,i ll'I
Soii voL-i letterarie o semilettei'ario o imprestiti dialettali :
ihxìr'r 11.80. nioìiPda moneta, koronc, koìoita n. l:')'), roj'óli ro-
solio, koììietii 11. ll:>, kroriìta cravatta, robì'isf, botp'r n. :>'), po-
iPiìi r il)., Ixodu// cotogno, polenta, botPga n. o5 : kopél antica mi-
sura (li capacità capello^ Lib. stat. 18, boOj'n ^ bottone, dotar
dottore, koràin [cortoiie Moiium. delle Meni, del padre \\ Maria,
Ilo) 'cuoio' e forse anche ìiiojp'r- moglie.
•J) In posizione, 0- resta sempre: fonnlg(( formica, forkp'
{forcato Invent. del 1493) 'forca', ronklna 'roncola', morsél
' rotolo di tela ' ', kosfera ' solatio ', koston 'costola delle foglie'
e anche ' t(')rsolo o fusto di certi erbaggi come il cavolo e sim. ',
most(U * faccia, mostaccio ' Cavassico, II 380, skoniubja ' molti-
tudine ' Flech., Arch. Glott., Ili 131, morfp'l ' mortaio ' ; kodrhi
n. 7J, lodrét ' imbuto '.
167. L'o- protonico che leggermente differisce dall'o tonico
perche- meno breve e un po' più aperto n. 7,5, è una caratte-
ristica della nostra parlata, specialmente dell'interno, che si
distingue dagli altri dialetti reggiani contermini (Campagnòla
e Correggio) i quali hanno n- di regola; e anche, sebbene in
minor misura, dalle varietà della campagna, dove 0- in pa-
rt-cchie voci si oscura fino a diventare u-, come in pulenta,
ntu/Pra, kirnieta, kuuìjp' ' sfratto ' alucch. cumiato Arch. (jrlott.,
XVI 403 (urb. Z-e/«yr', assimilazione) commeatu, Kìditnt {nvh.
Koiip'nt) Cognento, villa nel comune di Campagnòla, kunslnzja
■oscienza. tidPva (urb. tolPva) toglieva, Tiirln Torino.
Alcune di queste voci, è vero, hanno nella seconda sillaba i
' 11 ri'>^<,naiio ha tlialetizzato interamente la parola: ptPin.
' 11 popolo usa .spe.sso dona per 'moglie'.
^ In alouni statnti medievali, torsello pannot-itm di- Fr((nria (IJai.i.etti.
Ordinninntti (iii'imiuri nell'età dei ('oiniini, in (ìiorji. degli Kconomisti,
XXIX. 1>7).
122 Malagòli.
o cons. -\- i\ e in tal caso anche l'interno osserva generalmente
la regola che vale per il toscano M.-L., " It. Gr. ,,, § 124. Cos\
son propri di tutto il territorio ; kufjr cucire, kuflna cucina.
kusln (ma cosino Invent. del 1494) cuscino, buri' r n. 80, pulì'
pulito, sbuplì'r acc. a scoplì'r ' scoppiettare " Flech., Arch. Glott.,
Ili, 129, siU'i'l sottile, rufij ^rosicali, skurjfda 'frustata'
Pak., Arch. Glott., XV 75 s. scoria ^ kucp'r cucchiaio, che può
partire però da una base con u, M.-L.. '• Gr. it. ,, trad., § 69,
kucer ' cocchiere ', kii/iff cfr. luech. e pis. citgnafo cognato,
kiinzer, kncer, sfriicr'r cfr. però n. 1-U ; ma roffdu 'piogge-
rella' regolare con o- se da ""ar| rosata come il frane, arroser
inaffiare. Le deviazioni con o-, che iii simili condizioni abbiam
visto sopra, potranno considerarsi dovute ad analogia sulla to-
nica (p. es. scoplì'r su scópUi, kon it n. prec, no/fu nocino su
no/ n. 37, ecc.) o sui numerosi casi in cui rimaneva regolar-
mente 0 '.
168. Casi particolari. — 1) Scambio di prefissi : Pre- per
prò- in cont. perdilfer ' produrre', perfihn 'suffumigi' seppure
qui non debba ritenersi originaria Ve nel prefisso -. In j)reffrfa
cont. ' profferta ' vedremo piuttosto un'assimilazione.
Des-, per do- considerato come prefisso, in fmesteg proba-
bilmente da *df)nesteg milan. desmèfeg domestico cfr. cont.
fniendger dimenticare milan. desinentegà Salv., " Fon. Mil. ,,,
p. 137, ove non si preferisca vedervi un'intromissione di ex-.
2) Contaminazioni : Sutsgver sottosopra dove fu confuso sot
con su ; skerpjg'n scorpione che, se non è dovuto a dissimila-
zione, sarà stato attratto dalla serie sker- v. n. 159; skudela
' ciotola, tazza ' ^ da skud M.-L., " It. Gr. „, § 139; cont. lumina,
' S/rijrJa, forse un deverbale da skurje'r, è, da noi, la ' frusta '.
^ Dei fiori si dice profani, voce presa dalla lingua letteraria.
^ All'it. ' scodella ' corrisponde da noi, jjer il significato, tondhia : a
'piatto' in genere tond dalla forma rotonda, cfr. it. 'tondo'. •
Studi sui dialetti reggiani 123
dove è pure da notare 1'/ della seconda sillaba, ' nòmina ' da
liiiH cfr. n. :2U3 : Jufi'f dal diniin. .Iii^lù, o dalle altre voci in
/■?/-, oppure dall'it. ' (liuseppc '.
11 cont. palmo n polmone fa spinto nella serie al- n. Uil per
influsso delle molte parole coniincianti con pai- {Palmi na, palli' n,
palei, paUgra, ecc.). .
Piìi difficili sono fìnjaza 'focaccia' Saly., " Ant. dial. pav. „,
38, itujì'r ait. ' giucare ', buràz 'canavaccio' se da burra
K.'» 1657 e non da biìra nel qual caso sarebbe regolare, p<>»e/a
regg. pomellu ' capocchia degli spilli ', vudè'r vuotare, rudela
rotella che si stacca dalla famiglia róda rodhKi rodona rodf'r ecc.,
gudàz se dall'aat. '■'•yoto, kiiffireii c<. tliuruu, ^(/f/r7 budello, per
le quali voci, tranne nidila dove si avrà forse un'immistione
di nrjr'r o niplr'r ruzzolare, 'rotolare', si sarebbe tentati di
ammettere l'influsso di labiale o di gutturale, se non avessimo
altre parole nelle stesse condizioni con o-. Sarà forse pili pru-
dente considerarli casi di contaminazione o imprestiti dialettali ;
per kuti'iren si può pensare anche all'assimilazione cfr. sutilren
n. 1. ".'.».
Avremo forse esempi di dissimilazione in niùzola *nuceola
tose, nicciòla ' nocciuola ', bjólìc bifolco da *huvolcH cfr. n. 'XM .
A un processo dissimilativo si potrebbe attribuire fors'anche
pioèl 'goffo, ingenuo, bamboccio' (da pfiello >> */Jorf//o ?), se
pure non sia preferibile vedervi una contaminazione di pidél
n. 41 e di pici;' r " piviere ' che metaforicamente significa ' balordo '.
Per skurff'r (v.) e skurton scorciatoie, v. kurt n. 136.
169. L' - resta: lufefit lucente, lufvfiia 'lucciola' (quasi
■ luce aperta ') ', durf'r durare, muroja muraglia, hugPda femm.
' Per rert 'aperto' v. un. 110, 152. tjuesto nuovo nome della lucciola
potrebbe, dunque, esser registrato tra quelli nei quali, come notava il
Salvi"xi [Laminjris italica, belliuzona. 1892, p. 1-^, B\ la 'luce' è sempre
124 Malagòli,
' bucato ', furata uncino per rubar l'uva, fi/mf'r fumare, nigfr
frugare, kurè'r, spudè'r sputare ; <)i(stP'ì\ InstrP'r, puzor ' puzzo ',
hiifàììk femm. ' pedignoni ', rxtP'r ruttare, ruskr'r in senso me-
taforico ' raccattar roba o denari ', sìicp'r succhiare, hrauol
mascli. ' prugnola '.
Casi particolari. — S'incontra o- per u- in bofer n. 35,
borni'/ plur. femm. n. 208, moden. burnlja, probabilmente per
attrazione delle altre voci comincianti con bo- ; koriP/ f {Per al
spos. ed la s(jìi. Anton, ecc. p. 3) acc. a ktiriof per assimila-
zione oppure per intromissione di koréin corriamo e sim. ; boìign
bubbone Arch. Glott., XVI 150, a cui corrisponde Vo tonica di
bolla tumore.
In formmt Vo- par già di lat. volg. M.-L., " Gr. it. „ trad.,
p. 66, come supponemmo avanti n. 166 per arino'r, arìnina. brik
*burriccu. Per altre voci romanze con o- che a queste ul-
time potrebbero ricollegarsi v. Nigra, Arch. Glott., XV 114.
Per l'è'- di zizer suctiare v, n. 140.
3) Seiniatoue.
170. Non avviene mai la sincope nemmeno di e semiatona
protonica nei verbi che alternano forme di questo tipo con altre
in cui la stessa vocale è tonica. Si dice sempre refgp'r ' segare ',
s&mnP'r seminare (ma skinTmza n. 69), bcfjp'r Bonvesin bexeliarr
Rem., XXXI 508 (ma bfij 'pungiglioni' Salv., « Fon. Mil. „,
p. 242), vedréni vedremo (ma vdém vediamo, protonica di trisil-
labo), mrdràn mieteranno (ma mdfin mietiamo), perché nella
la considerazione i^revalente, ma le si associa l'idea del modo con cui è
prodotta ed emessa : cioè, qui, ' luce che viene aperta '. Non è da esclu-
dere, tuttavia, un influsso di lacerto, come nell'onsern. litsi'rta cit. dal Sai.v.
e nel vogher. inserta, Nicoli, n. 40.
studi sui dialetti reggiani 125
coniugazione abbiamo forme come y<'f<ia, smina, Or/Ja, veci, méd.
Così nei deverbali : hefjnìa 'puntura', med'do'r ' mietitori ' e sim.
Dis- dav. a .s- non elide 1'/ in semiatona : desnl'n e desnum
-mortìe ' {dis -+- deriv. di scnuo), desnfda ' smorfiosa ' (letteralm.
'dissennata'): sì, in altre condizioni di protonica: fsered n. 48.
Nel resto ie medesime sorti già viste sotto a.
171. A--: pai)arh' pagherà, palazon, kamarer cameriere,
tumafàz ' materasso ', tamarazr'r materassaio ; matazol ' scemo ',
qaliii'la • pollina ": kaiitarn' cantera, kanivP'l carnevale, kaldann
secchio di ranu' per attinger acqua |v. anche n. 147) boi. e
mod. calzidrr. lùnifarfiìia denominazione di una via del paese.
Casi particolari : fgcrbizr r ' strappar di mano sgarbatamente '
avrà 1"' da Jyi'rh sgarbo ; Brrtlamc n. 62, Bcrtlét saranno fatti
su Bn'tol Bartolo ; mcrtedl su DX^rkordi cont. farmacista, voce
dotta, su firmf' r e sim. : FersnPra Frassinara (nome locale),
Jyrrnijf'r *ex-car miniare (detto delia, lana), fgf^-bjf'r 'scal-
fire, sbucciare' forse da *ex-carpulare, scf/rrstia sagrestia
cfr. se(/rr' n. ir)9 si dovranno a processi assimilativi. In cicarf''r
■ chiacchierare ' si avrà dissimilazione, con influsso della palatale
per Vi.
172. \']-~. 1) In sili. ap. (cfr. n. i()0,i): ajrpjr'r 'accomo-
dare. rt.-integrare ' *re-piliare, ajrblr' 'rivoltato' in senso
materiale ; — /danna ' spazzola ', stniàna settimana ; — /ganti' n
negatore, segantino ' : — ajlvadò'r ' lievito ', Ajnralèra se con-
nesso con nC'bula v. Introd. § 3, dvmtP'r diventare ; — aJrsanP'
risanato. i>soli'n pesciolino : — pzln piedino, pzPda * calcio, pe-
data ', p:agrda ' orma del piede ' : — Flipl'n Filippino, plandron
' pigrone ' Mis^,.\kia, " Beitr. „, s. pellanda, pre/mpi 'per e-
sempio ' cfr. lucch. prescmpio Ardi, tìlott.. XII 125, dmandp'r
domandare, siiorn n signorone, s/iorìna.
_'i In posizione (il».. 2): desprr disperato: n-ntaji'rt venta-
glinu ; iiirskli' il mestoliiio : /brrlini/'i'r ' intravedere ', herh-ker,
126 Malas^òli,
JberloC(''r, jbn'lanzòrcs ' far l'altalena ' ; — levrotl'n, zedronzì'n,
vederjo'l vetriolo.
Er, èl--^àr, ài-- (cfr. n. Ì6Ì) : parfgl'n ' piccola pesca ' e
anche ' liquore fatto coi noccioli delle pesche ', kcartorì'n ' col-
troncino ', mardlent ' immerdato ', cont. harsalje'r bersagliere,
stranx.der, marmaja ■'•min(i)malia, nuoiéta 'saliscendi' da
ra e r ( Li) 1 a ^ salgè'r ' selciare ■' *s i 1 (i) e a r e , malzarìna ' granata '
regg. malgareina Ferraro, p. 16, nmlgàz ' gambo seccato del
granturco ', connessi senza dubbio gli ultimi due con melga n. 77.
— Cons. -f- r --{- e -\- cons. (cfr. n. 161) : perfoner ' prigioniero ',
tmnaria tremarella, termarlna specie d' uva ' oltremarina ' ^,
sfernidàz ' sfacciataccio ', tn'iitn ' succhiello '. — En -f cons. >
in Ar- cons. (ib.) : linzolì'n lenzuolino, linzarà', vinkara.
Casi particolari. — Per i futuri Ugara, strikarà' v. n. 161;
ivi pure, per Filizjò'n accrescit. di ' Felice ', zigollna cipollina,
zigaloìì detto di persona che usa alzar la voce parlando (da zi-
gèla), fmaroU' ' sfinito ' letteralm. smidollato, patafjòna sic. pa-
tafia De Greg., " St. gì. it. „, I 138 ' donna grossa ' (da patàf).
Aggiungiamo qui maravia meraviglia, halafizì'n bilancino, mn-
rangon ' falegname ' M.-L., " Gr. it. ,, trad., p. 76, ziralaka e
più ant. e piìi raro zir^dspniia ceralacca (per l'i di zira v. n. 73),
' A giustificazione di quest'etimo, già proposto dal Galvani, avvertiamo
che non son rari nei nostri dialetti i traslati, diciamo cosi, ornitologici,
non ignoti nemmeno all'italiano, a indicar cose che nella forma loro ri-
cordano il collo e la testa di uccelli. Marlefln o pasarin (da ' passero ')
dicesi da noi il grilletto del facile : oJceta (da ' oca ') è il nottolino della
finestra; Jgona n. 70 la manovella. 11 Chocioni, Dial. d'Arcevia, n. 81, per
spiegare l'arcev. morUtta, molto probabilmente imparentato col nostro
matieta, parte da una base con doppia r, e richiama il fabr. maria marra
che presenterebbe il medesimo fenomeno. Non escludo in modo assoluto
la sua ipotesi ; ma osservo che morrétta potrebbe anche essere posteriore
e derivare, per assimilazione, da morlétta.
• Negli statuti medievali " uva de ultra mare ., Balletti, 1. o.
studi sui dialetti rcj^giani 127
supll' aliiccli. soppclUto ' seppellito ' con u per influsso della la-
biale, tutti d'origine dotta o forestiera. Venga pure sotto questo
numero scnegóga ' sinagoga ", da cui scncgì'h * ebreo ' voce can-
zonatoria. — Sf'tml'n, letteralm. ' settimino ', nato dopo sette
mesi di gestazione, conserverà IV' per influsso di set mPj, con-
cetto sempre presente alla mente di chi parla.
173. ì - ^. Intatto : fìlavàn fileranno, tiraràn,piiràn, pizonzl'n
piccioncino, idrolì'n ' piccolo pinolo ' Arch. Glott., Il 814 : XIV
294, timonrla 'carrozza' cfr. n. 1G5.
Perturbamenti. — Per cjìnànt (sost.) vicino v. n. 1(35. Il
cont. rofcpila ' risipola ';, letterario ' erisipela ', voce dotta de-
rivata dal greco Zambaldi, " Voc. etim. „, 1077 B, ci offre
esempio, insieme con l'urb. rofljwla, di contaminazione con
nj/ii rosa.
174. Ò--. n In sili, aperta (cfr. n. 16G,i): pkonzl'n hoccon-
cine ; — kvavtona ' grossa coperta " ; — kiazjon colazione, kion-
hrm colombaia, plonziìì ' polloncino ', jplim regg. applinè ' ma-
lazzato, malescio ' che avrà per base un "^plìn regg. pina
' tacchino ' ^ lontra da '■^vlontera n. 21!) 'volentieri', krodrfr
"cadere delle foglie e sim. ' n. lOG, kinandp'r, kma dìt't' n. 148
nota, dmatlna, Tmafg'n, Tmafét, cont. ajrmnr'r metatesi di
numerare cfr. Boselli in Piagn., n. 135, kiiosTc conosciuto.
2) In posizione (ib., 2): sfordigc' r *exf or (i) ticare fre-
quentativo di ^foricare PiEiir, Arch. Glott., XV 214, morfaUt
' mortaretto ', mostazì'n ' visino ', formigr' r formicaio.
Con Ò-- analogico: kovara' , kolara, spofarà' e sim. ; ^po-
lastrin ; hokalon di chi ha la bocca larga o sta a bocca aperta,
hokaròla * fango delle labbra ' : moro/in e sotanl'n ' vagheggino ' :
' Non sarà inutiìo ricordare il vocabolo polj ine', da poUT-h pulcino, che
ha lo stesso significato di xyliìik' ed è di \>\\x frequente uso tra noi. 11
Voc. regg. non lo registra.
128 Malagòli,
foraste')- ' forestiere ' su fora, se non è semidotto : sforarf'r
' bucherellare ' *e x - f o r a e u 1 a r e . sforacma specie di fungo
tutto bucherellato ' spugnòlo " Petrocchi su forf'r, forp'. Con-
servato in voci dotte : komunjo'n, konotft connotati, koronzJua,
krovatìna, monedaja ' monete spicciole di rame ', fjovedi
Con ìf-- dav. a i o a cons.-'rj (cfr. n. 167): kucarì'n cuc-
chiaino, ufìigl usignuolo, kiifirà' cucirà, siiijot ' sempliciotto '.
muner 'mugnaio' Parodi, " Misceli. Rossi-Teiss „, p. 349, mi-
dizjon ' soggezione ', (juvidi Villa II. E i semiletterari : pru-
cisjon lucch. prucissione, riibinét, nbdl'r ubbidire.
Casi particolari. — Per vrrtn vorranno e pran potranno cfr.
vrer e prèr n. 166,1. Cont. perdu/eoa, Jmefdgì'n, skndlot, fnya-
zlna, Tìidlma^ bndli'n, kuturnl'n, ^iigarà', vudarà', hiirazi'n son
paralleli a perdilfer, fmesteg, ecc., n. 168. Buslg't bussolotto è
fatto su busol n. 9-1 se pure non è voce letteraria, come ciko-
lata cioccolata dove \'i si spiegherà per l'influsso della palatale
precedente, BarhoU'r ' borbottare ' pare abbia Va da ' barba '
KoRT.^, 1510, se pure non è esempio di or^ar. D'origine dotta
il raro e cont. putakef putacaso ; e semidotto fors'anche bozlàn
' ciambella ' lucch. buccellato, piem. bicolan.
175. Ù"-. Intatto: murajeta, ?;«<ra/o'«, ?//<.•//' utensili ' '""usi-
bilia, bugadera bugadèra n. 98, diirara fiimara sucarà' ecc.
n. 169, lufira 'rilucerà', lufiiol 'abbaino' *luciniolu, kus-
todì' acc. al metatetico kostudì' custodito.
Casi particolari. — Anche qui bornijlna^ skorjojp'r acc. a
skiirjofer, formentg'n, bononzl'n per cui v. n. 169. Inpantalp' per
inpuntalf' da punte l puntello avrà Va per immistione di inpale .
.Studi sui dialetti resrsriani 129
y) Post>emitouic'he.
176. Lo stesso trattamento, con qualche caso di sincopo
anche delle vocali che son conservate nelle altre condizioni di
cui abbiam già fatto parola. Questa minor resistenza delle
postsemitoniche dipendo dalla natura del loro accento pili debole.
177. -A-. Cade, in sili, aperta, nei derivati da parole che
van soggette alla riduzione o al dileguo della prosemitonica
(n. 182) : stoingl' n diminutivo di stomaco, e anche nel senso di
stomaco debole, delicato, come l'ital. ' stomachino ', Ste/iìina
Stefanina, kanrp'r masch. ' canapaia ' (ma kaìiaviU ' canapule '
forse per immistione di kcina canna). Himane però se preceduto
da un gruppo di consonanti : organi' )ì organetto, skandalof,
inbalsconr'r, orfani' ii orfanello ; oppure seguito da r : kainarhia,
kamaròna, kamaràza, kamartint acc. a kaftiùt march, di Pergola
casanolanti ven. pisìient e bisnenl pigionanti Biadene, " Varietà
letter. e ling. ,,, Verona. 1896, p. 65, detto dei braccianti perché
vivono in camere o case a pigione e differiscono in ciò dai
mezzadri, kamare'r, maskarlna mascherina e anche ' tomaio della
scarpa '. maskaro fi, pasarlna, i^asarl'n. zukarì' ù . zuccherino,
cibare r n. 171.
Inalterato in ogni altro caso : linnagVn Ixmago't (da lumrga),
okaroù detto di persona che sta con gli occhi imbambolati e
con la bocca aperta, e anche " minchione, stupido ' (da oka),
scafaro n ' che ha la faccia larga e rossa ', /irimarola ' primipara ",
ostarla, sarafì'n saraflna n. 89, paparóca 'poltiglia', ocalo'n-
cfr. ser. e pist. occJnalone ' che ha gli occhi grossi ' (da ocej
' Per la denominaz. di postsemitoniche e prosemitoniche (n. 182^ v. Goi-
DÀNicH, Kass. Ijibl. d. lett. it.. 1901, p. 311 e sg.
ArcOiivio glottol. ital., XVII. 9
130 Malagòli,
occhiali) ^ garaplna ' cispa ', tralcaiiof tracagnotto. skaravTilf
n. 94, kafaturi n. 135, patatiYk ' goffo ' St. gì. it., I 138 ; taraskb'ìì
detto di vino aspro.
Casi particolari. — Badrà' acc, a badarci' è forse analogico
sui regolari cedra , andrà' . Non chiari kuprol Flech., Arch.
Glott., II 339 e bokro'l 'beccuccio' se da *buccariolu. Eso-
tico zafràn zafferano. — lùtersjp' ' intarsiato ' avrà 1'^^ per as-
similazione, 0 da intPrsi ' intarsio ' ; cont. remetJ/nm ' reuma-
tismo ' è semidotto, con -e- dovuto ad assimilazione ; turirola
*ta(b)ulariola nn. 183 e 260 mutò probabilmente dapprima
r -a~ in -e- su tole'r ^ n. 98, poi 1' -e- in -i- per influsso del-
Vr cfr. n. 73.
Sono eccezioni apparenti : tokesnna, tiremóla, ziredspàda n. 172,
composti da ' tocca e sana, tira e molla, cera di Spagna (zirfa] _
ed^Spana) ' (ma regolarmente : tanahTcf ' stambugio ' Salv,,
R. Ist. Lomb., S. II, v. XXXIX 490, (jatamu/ia ' gattamorta ', ecc.).
Bedrèva ' barbabietola ' sarà un compromesso fra il sing. *heda
-|- rèoa e il plur. hed -j- ri-ci. In trenledu, trentetri , ecc., kvaran-
tedti, zinkvarUedtc . . . nocantedU, ecc. si vide forse trent-e-dn, ecc.
cfr. Par., Arch. Glott., XVI 137.
178. -E-. 1) In sili. ap. (cfr. nn. 160, i; 172, i): med'dó'r
n. 170; — polpton polpettone, korptl'n corpettino, berti' il ber-
rettino, berta k luccli. bertocco Nieri, boztìna boccettina, kafte r
caffettiere ; — bodgl'n botteghino, pordgl'n ' piccolo portico ' ; —
indcinc'r *indivinare; — korfl'n 'parte interna del cavolo
e sim. ' letteralm. ' concino ', aksé atque sic n. 117; — kor-
* Si pensi che gli occhiali fan gli occhi più grossi. Do tuttavia quest'etimo
con riserva, perché non ignoro che il Pieri, Zs. f. rom. Ph., XXVIII 165,.
spiega il vocabolo con un mutamento di o- in a- da *occhiol-.
^ La turirola regg. toUrola è una tavoletta che si pone sopra la madia,
alla quale serve anche di coperchio.
Studi sui dialetti icggiani lol
lòia "cor rigioia; — kanrjer cancelliere, Arwr^/f'r candeliere,
onbrigol n. 49, despKè' disperato, porrtn poverino, cont. pi-
mfcrl'ìì acc. a iirb. pizakar'i n ' beccaccino ' ; Armarla, strenuìp'r
* spargere, versare ' *e x - 1 e r m i n a re, peiiilna ' pettine fitto ',
hJìw'I n. 174.
2) In posizione (ib., 2) : a/n)iescp'r mischiare ; inredrPda
\xiveÌY\?ii-A : fonnento n, arienzp'r "recentiaro "risciacquare',
(irfenUda ' lucertola '.
-Er, el-'^ -ar, al- (cfr. nn. 161, 172) : inniardp', a/rrasp'r da
"arvarser cfr. n. 110, des'salgè'r disselciaro. — Cons. --- r -^ e -{-
t.'OHS.- (ib.) : interzP'r intrecciare, insterjp' stregato, ajrkerdtù ri-
creduto. Mancano qui esempi di en + cons. ^ in ;- cons.
Casi particolari. — Nei derivati da nomi in -Pr si mantenne
la vocale postsemitonica per influenza della tonica della parola
primitiva : hicerl'n biceron su hÌGp!ì\ panerl' n su pané'r, karnerl'n
su karnP'r, allevo )i ' leggerone ', Uonerìna Imnerona su l/imPra,
yralterl'n da Gralter Gualtieri n. loc, ecc.; poi, dove andò
smarrito il ricordo della derivazione, si ebbe il mutamento
di -e- in -i- forse per influsso dell';- seguente: turirola n. 177,
kaldirr/n ' grossa caldaia ' da kakUra n. 98 (laddove kaldarì'n
n. 171 postula ancora l'originario suffisso -ariu), peskiro'n 'pe-
schiera ', lamiron lamierone, baùdìrola bandierola di ferro posta
sui campanili a segnalazione del vento e anche in senso traslato
' chi è facile a mutar opinione ', paniro'n ' grossa cesta di vi-
mini '. ecc. Notevole con ~a-, pararlna ' lente palustre ' che
deve ricollegarsi a jiavPra n. 35 e pur vorrebbe un -a- nella
base : dovrem pensare a un'assimilazione (v. sotto karatl'n,
marangin) ? Nel mantenimento dell' 'c-'- in alcuni di ([uosti de-
rivati non sarà estranea l'influenza della lingua letteraria. —
Qui venga pure Kaldiràna n. di un fondo in villa Valle, pro-
babilmente CafsaJ Alderana.
KrelkidTfn acc. a kcelkdtfn qualcheduno, selvadinP' r acc. a
132 Mala^òli,
selradenè'r salvadanaio, cont. kodinè'r acc, a kodemfr ii. 142
nota 1 son semiletterari, come ci fa ritenere la mancanza della
sincope, e dovranno l' i a dissimilazione oppure all'affievolinieiito
di cui nel n. 164. Semiletterario sarà taniaràz n. 171 (più com.
strame^; e anche bafaUk basilico, con accento protratto n. 192
e mutamento della vocale favorito da un processo dissimilativo.
Karatl'n ' specie di carrozza ' ebbe -a- per assimilazione pro-
gressiva; così dicasi di ma-angtiì cfr. Par., Arch.Glott.,XVI143.
Bjasuger ' biascicare ' e hranzugp'r ' brancicare ' furono at-
tratti dai suffissi verbali peggiorativi con n cfr. Par., ib.. 142.
In foraste r n. 174 vedremo sempre l'influsso di fora. Di un as-
sorbimento di sillaba ci darà esempio posjò'ù ^jio/sejsjo» ' vasto
podere ', irregolare anche per il consonantismo cfr. n. 31Ò.
179. -I-. Kesta : ìwiridl'n maritino, f arino t ' capo operaio
nei mulini di grano ', fladiner ' rendere agevole checchessia ',
inortiye ' punto dalle ortiche ', finirà' finire , jndirà' pìdire' e
così tutti i futuri e i condizionali presenti dei verbi in -Tre.
In hojra bojre bollirà bollirei Vi s'incorporò nella liquida pre-
cedente.
Casi particolari. — Sentra sentre acc. a sentirà' sentire' sa-
ranno analogici su vedrà' redre cfr. n. 177 : morrà' moi''rè'
acc. a morirà' morire', su rirrà' virre . Per munè'r v. n. 174.
180. -0-. 1) In sili, aperta (cfr. nn. 166,i; 174,i): hxsld'f
n. 174, tranpela lomb. tempella serav. trempellone * tabella ' e
tranpler 'far qualche cosa malamente, con rumore' *tem po-
ro 11 are Pieri, Zs. f. rom. Ph., XXVIII 190, pegrtn 'agnello',
Valkmóna n. 68^*^, kogmìna dimin. di kogma n. 81''*^, cont. Bornie
Borromeo (nome di famiglia), hohiin bolognino Petrocchi ' mo-
neta di due centesimi, duetto '.
2) In posizione (ib., 2) : inbolge r ' intascare ', infornfda
infornata, berloskin leggermente guercio.
Con -0- analogico : moro/e r ' far all'amore ', balotina dim. di
studi sui dialetti reggiani 133
halnta ' pallottolina ', insanìjoti ' singhiozzante, con un nodo alla,
gola ', (jif(Jolì'n (jugoloìì da (juijol ' maiale ', harozev barrocciaio,
tarali')' ' intarlare ' da tarai ' tarlo ', skonfoiirr n. 70. Conser-
vato in voci dotte : kolonél, konotr't, dijono r, infjorf'' .
Con -II- : arntlfr'r skaraniltP' r cfr. ii. 94.
Casi particolari. — Sembrano tradire un'influenza letteraria
fdondalp'r dondolare, urb, nuvoli}' n cont. mirali)' n per dissimi-
lazione e con a favorito da l, come in Atiralfra n. 1 72, dove
ci aspetteremmo la sincope. E letterari son certo, con -a- per
Assimilazione, orfa>i<(trofi, kamamila, Salaìngù per il quale si
può pensar anche a una contaminazione con salami}'n da salóni,
marmariir marmorizzato con cui inclinerei a porre ina mia ri' ri
' marmista ', se pure quest'ultimo non fu da un '■^lìharmforjarl'H
che influì poi sulla postsemitonica di marmari;f .
181. -U-. Resta: madurl'r maturare, stranud(''r n. 172, fba-
fiiklf'r ' baciucchiare ', skarugf'r ' scavar piccoli solchi ', /jJovu-
dina " breve pioggia '.
Casi particolari. — Per matlna v. Meyer-L., rid.ital., pp. 72-78.
Il cont. komenjò'n 'comunione, eucaristia' avrà Ve per conta-
minazione con konfesjon confessione.
2. Postoniche «fi propafossitoni \o pvoseìnitoniche v. ]). 129 nota).
182. Considerando le condizioni attuali, noi possiamo distin-
guere due casi :
1) È rimasta la vocale Anale e dileguata la mediana che
non sia preceduta da un gruppo <li consonanti e seguita da
consonante sorda.
Esempi. -A- : kanra n. 0<j cfr. Muss., " Rom. Mund. .,, n. Ili,
kCtmra camera, Starna n. SV'^'^, trijrla trovala, ^7vn-^^a trovatela ;
Bfibra Barbara, landa lampada n. o07, finefdla me'stala ; ma
134 Malagòli,
ftnéfdetla mestatela dove -a- era preceduta da un gruppo con-
sonantico e seguita da una sorda.
-E- : -ót'wa giovane (femm.), letra, vedla vedila, ggt'tla godi-
tela, Modna n. 135, folga, salvftdga, fsevda, mùnga manica, husla
•mento' TTÙHiòa Rom., XXXI 522.
-()- : kómda, strólga, pegra n. 48, tràpla, skdtla n. 108, tnia
n. 81^'®, fèria n. 76, mèrla, kggma n. 81'''^, vedva *vidu-v-a,
f vetta 'bastonata' *vectula Nigra, Arch. Glott., XV 299.
2) E dileguata la vocale finale e conservata la mediana,
che spesso è alterata nel colore, in modo che si deve conside-
rare continuatrice di una vocale ridotta. Presentemente questa
vocale ha il colore di o davanti a Z, di o nell'interno e di ìi
nella campagna davanti a labiale, di e (risoluzione normale nei
numerosissimi casi da -e-, i quali forse attrassero gli altri)
davanti a ogni altra consonante.
Esempi. -A- : Con e, come si trova in tutto il territorio nord-
italiano, Meyer-L., " It. Gr. „, § 121, stonieg nn. 70 e 177, sjxìres
n. 47, órgen, orfen, sahet ; — con o, shlndol, mùndol mandorle,
hèlsom balsamo ; — con u, cont. hPlsum.
-E- : Con e, dodes n. 51, iindes n. 70, meter mettere, p^ré;»' ^
sindeg .sindaco, ptrseg n. 76, kóreg n. 50, perfsemen rreipocréXivov
cfr. nn. 260 e 307, j^eten n. 48, inkuien n. 52, salccìdeg n. 47,
maneg n. 66, ponteg n. 128, endcs n. 70, tseved n. 4:8,fbrered ib. ;
— con 0, niivol, debol semiletterario, nespol, remai n. 70.
Casi particolari. — Trovel trovalo, Ifvel lavalo e sim. hanno
Ve da ili- (lava-illu).
Voci dotte sono Aùgcl acc. al pili comune Aùf/il Angelo (nel
diminutivo sempre Angili'n) su cui avrà influito forse la pala-
^ Non si usa mai da sé, ma precede sempre il nome {pqrer /.-à»"', povr''oìn) ;
il sostantivo, o l'aggettivo dopo il nome, e porr/'t.
Studi sui dialetti reggiani 135
tale, so pure non è preferibile partire dal diminutivo spiegando
\'-i- di questo per assimilazione, inutile iiìposibil, e sìm.
-0- : Con e, stroleg n. 153, lever n. 48, komed comodo, so-
nanhir sonnambulo e anche ' stolto '. sòlfer n. 80 ; — con o,
mn'ol merlo. l)ii\ol ' bastone di sostegno ', djrrol n. 81'''^, skrìipol
letterario, vedov, ekónom. Bfrr/om Bergamo ; — con n, cont.
ekoninn. cont. Bèrf/'ìiin.
Casi particolari. — Òrel solo ha e in vece di o per dissimi-
lazione. Cosi pure stare! ' stornello ', clic in origine doveva es-
sere sfore» n. 263, ebbe impedito il mutamento di e in o per
spinta dissimilatrice. Kfrel Carlo, raro da noi die usiamo più
j-pesso gli alterati Karll'ù, Karlón e sim., sarà un imprestito
dal reggiano dove è regolare -e dav. a /. È un latinismo tonpor
' giorno di digiuno '. termine della chiesa.
3) Un caso a parte è quello di If'gcnna da lacrima, dove
s"è avuto in sillaba mediana r da ri e quindi i')-. Il Piagnoli,
pp. 49-r)l, sull'autorità del Mussafia cita questa voce come una
delle pochissime in cui si sarebbe conservata la media postonica
per la difficoltà del nesso consonantico che ne sarebbe derivato ;
ma tale spiegazione sembra un controsenso ^
4) In fonetica sintattica 1"-^- di forme come herer vion
sincopato davanti a parola che comincia per vocale : herlc/r^in-
kora, ma hrver dimondi.
Questo per le condizioni presenti. Ma quanto alla storia dei
primi due fenomeni, due quesiti ci si presentano :
U' In che età è scomparsa la vocale mediana dei proparos-
sitoni in (I. p. e. in melgd da milica?
2" Nei proparossitoni originari in altra vocale ridotti ora
a parossitoni in consonante, p. e. in kredrr da credere, sal-
' La forma con -r, ìi';p'ima, che si trova in dialetti emiliani, può aver
risentito in tempi a noi vicini l'influsso dell'italiano letterario.
136 Miilagòli,
vàdei) da sii va ti cu, s'è dileguata prima la finale, oppure s'è
avuto *kmlir, '*salvad(/o e poi *kredr, '^sah-adg e finalmente
kreder, saloddeg ?
Quanto al primo quesito, ricorderò che il Meyer-Lììbke,
" It. Gr. .., § 132, propenderebbe a credere non molto antica la
sincope nell'emiliano. Ma nonostante la grande autorità dell'il-
lustre romanologo, io osservo che nessun documento noi posse-
diamo per determinare neanche approssimativamente la data
del fenomeno ; mancano infatti testi ben antichi schiettamente
dialettali e sono molto scarse e incerte le reliquie del dialetto
nei documenti latini medievali e nelle carte volgari ; le quali,
anziché essere specchio fedele delle nostre parlate nei tempi
di mezzo, riproducono piuttosto quel tipo di lingua italiana
comune che si era formato nella vasta pianura padana nei
primi secoli della nostra vita letteraria.
Xoi dobbiamo restringerci solo a dati di cronologia relativa.
E precisamente possiamo stabilire che :
a) come mostrano nieUja n. 77, folya n. 80, p^Uga n. 81, hi
caduta della mediana postonica è posteriore al tempo in cui
ebbero efl:etto r, l -\- conson. su e, o, a ;
b) la sincope è posteriore al movimento fonetico che portò
è a e nei parossitoni a penultima libera, come mostra pegra :
e) la sincope di mediana è posteriore alla caduta della
finale nei parossitoni, in cui era preceduta da n. Infatti in
ànma, kànva Va non va soggetto al secondo grado di nasaliz-
zazione, cfr. nn. 7, 29.
Quanto al secondo quesito, ricorderò che il Piagnoli, nn, 90-98,
pensava che si fosse avuta una trafila credere *kredre *kredr
kreder. Il nostro dialetto presenta fatti che a tutta prima si
dimostrano contrari a tale ipotesi ^. E invero, nella serie ponUg
* Per le voci col suffisso -eru, -ere, il Mussafia ammetteva come norma
Stilili sui iliiiletti roffiriaiii 137
n. 12S, porte g n. 79, riiste;/ n. 52, ìtinàtes mantice, /meste;/ n. 168,
se fosse caduta la mediana postonica prima della finale, si do-
vrebbe aspettare d e non t, e in pn'scij n. 76, /' e non s. \\\
secondo luogo, come proparossitono è trattato omoi ' uomini '
e non s'ha l'assimilazione delle consonanti che in *oìnnc non
sarebbe illeu-ittimo attendere. Ma il vicino dialetto modenese
ha. per contro, ponderi, pordeg, mandes, rròcj, P<'i'J<'',J, che il
>^ALvroNi, Jahresb., IX i 116, cita a conferma della anteriore
sincope di mediana. Il Piagnoli non avrebbe potuto desiderare
una prova più persuasiva della bontà della sua ipotesi ; e la
<erie. in apparenza contraria, del nostro dialetto, si spiegherà
probabilmente supponendo che la sorda si sia ripristinata o per
assimilazione alla consonante finale nel periodo di tempo in cui
i nostri dialetti rifuggivano dall'uscita in consonante sonora, o
per influsso dell'italiano letterario, come si potrebbe anche sup-
porre in porteg, rmteg, ìiiantes, fmesteg. Quanto a omcu. accanto
a cui vive pure oìh, può darsi che si tratti di un'imitazione
dell'italiano * uomini '.
182^'"''. La sincope è un tratto così caratteristico della fiso-
nomia dei nostri dialetti che allo schema delle parole sincopate
si adattarono quasi tutte le parole letterarie entrate nel dialetto
in qualsiasi età. Soltanto alcune voci col suffisso -ohi, entrate
non molto anticamente nel dialetto, han conservato questa
forma. Tali sono I/ola, règola, kiipola, pUoIa, mihola e. con
altro suffisso originario, iliola Kort.^ 10459. Questa serie ha
poi forse portato a m'irola, nécola che qualcuno nella campagna
nel romagnolo (§ 10,6) che non si avesse la caduta dell' -e-; eccettuava
li'ttra, e per gl'infiniti in -ere poneva innanzi una doppia ipotesi : 1) con-
servazione della media postonica mutata in a davanti a parola cominciante
per eonsonante. e sincope davanti a vocale ; 2) caduta della vocale mediana
in entrambi i casi e conseguente epentesi di a davanti a consonante (§ 107).
138 MalagJ.li.
pronunzia nniia, nevla, e a spàtola ' stecca usata dagli speziali '
e anclie ' bastone nella parte superiore piuttosto piatto e a
forma di spada di cui si servono i contadini per romper la
canapa ', che nel parmigiano è ancora s/xitla.
Dittonghi e vocali a tono in iato.
a) Dittonghi atoni.
183. ^ii'-. Primario o secondario diede, come in sillal»a to-
nica n. 141, 0- : rohp'r rubare, ofél uccello, oreca n. 41. hokè'l
boccalia Lib. Stat. 19 (ora, sopraffatto da ìijer litro, ha soltanto
il significato di ' vaso da notte ' cfr. Cavassko, II 357), godìi
goduto, rtrsorf'r n. 141, ^o/f'r n. 98, topoi dim. di topa, pohl'n e
poktl'n dim. di pnk, okì'i'i oklnn okchi n. 172 nota. Con n- ab-
biamo t/irìrOla nn. 177 e 260, regg. foUrola. — Seguito da h si
era già ridotto ad (/- nel lat. volg. e questa/- andò soggetto
all'aferesi come ogni altro, n. 153 : gostrohi ' agostana ' detto
di febbre, Gostl'n Agostino, skijlta ascolta.
Coldl'u coldoit, goìton orecchioni, cont. arpoiìsrres son paral-
leli a Gold, ecc. del n. 141 : qui vanno aggiunti cont. skonsèda
' grembialata ' Bruckner, Zs. f. rom. Ph., XXIV 65, gon-ndga
' baldoria ', con assimilazione parziale di l in n dav. a dentale.
Con al- abbiamo faldlna ' imbroglio " che richiama l'ait. fralde
da f rande, skalml'r detto del fieno, del bucato e simili quando,
rimanendo umidi a lungo, s'infocano e s'alterano, skalmana caldo
afoso dopo una pioggia (cfr. per queste due voci Pieri, Mise.
Asc, 439). Nel cont. armr'nt acc. all'urb. avmJfìit potrebbe ve-
dersi un al- venuto ad ar-, se pure non sarà voce letteraria
con assimilazione parziale del gruppo rm in r)ii.
studi sui dialetti rei^giiiui 139
Con u-, sfrufp'r e, in proclisi, kiifa^dit r' che dici ? ; e con sin-
cope, ksajdit ? acc. a c/fa^dit 'f.
Anche qui il secondo elemento del dittongo cambiato in v
0 f nelle parole d'origine dotta : aftT'.ù autunno ', fiaftl'ìi flau-
tino. Patii' n Paolino, Mavarét dim. di Maver n. 143, Av(/usto.
184. Eu- semiatono diede e- nel contad. e semidotto reme-
ti/um n. 177. - — E qui venga pure todésk ait. todesco nap. f adisco
berg. fodesc che il popolo usa ancora accanto a tedésk, forme
che hanno per base eo, eu Bruckner, Zs. f. rom. Ph., XXIV 68-69.
185. Ai- si ridusse a ^- in girov gemi, "^r/airo Bruknek,
Zs. f. rom. Ph.. XXIY 72, e, secondario, in Gitan'nì, Gitàn Grae-
tanino. Gaetano attraverso Gejtan'i'n, Gejtàn da Gajtanì'n. Gajtàn
che pure si odono.
Resta in <jvajff'r III cfr. fjvàjta n. 146. È illusorio in painela
lucch. paiuella ' paniuzza ' che si pronunzia veramente pa^inela
cont. pajinela da pa gin eli a.
h) Vocali atoxe in iato.
186. Delle vocali atone in iato primario o secondario non
subiscono, di regola, mutamento «, n; o qualche volta diventa u
analogamente a quanto si vide nel n. 167: e. i danno di norma J:
a : faìna forse letterario e recente acc. a fajf/ì masch., maister
n. 89 acc. a màster in kapmdster ' capomastro ' e al rarissimo
e volg. mister dove si ha assorbimento dell'rt cfr. regg\ niistret
Ferraro, 17, ha}'/ 'bargigli' n. 236, ^Jaf'/ paese. Si ha assor-
bimento dell'afona in fonetica proposizionale in vajt'iùffren^
ra^dormì'r, ecc. per va a l'inf., va a d<)r)iL,ecc.; sonkamé nvv.
'sicuro' da a so aiika me letteralm. 'lo so anch'io'.
' Vini. Mkri.o, Sta<j. e ìUfsi. pp. 59 sgg.
140 Malagòli,
u : può 2 fantoccio, pn'tna pure da yna n. 64 e anche ' ricotta
di pecora ' Ardi. Glott., XVI 318, fuét ' frustino ' frane, fouet,
mièter, nuPter ' voialtri, noialtri ' da vii e '^)iu n. (51^"*^ + ('t^r.
o: moina, nioinof 'che fa moine', tuì'n se da toga Salv.,
Rom., XXXI 290 \ hoCiza n. 40. Contrazione, in alcol per ' alcool '
e in ròr 'rovere' da robure *fovre~^*rovr'^'^rover~^'^roer.
e : galjot galeotto, cont. Galjàz Galeazzo (nome di famiglia),
arjàni n. 66, cont. arjé'l leale, anj(fl n. 110, pjoc n. 136, cont.
vjemensa veemenza, cont. Ijonfdnt ' elefante '. Forse con ridu-
zione a i, dopo J, in simito n ' smorfie ' se da *simjetoìb cfr.
Saixéan, " La création métaphorique „, Bh. z. Zs. f. rom. ph.,
1, p. 90, cont. pitànsa pietanza se pure non è direttamente dal
francese '-. Dav, a / : retina pesce. Dopo a, pajfàn, Gajtón cfr.
alucch. e apis. Gaitano e v. anche n. prec. — Assorbimento si
ha in Lonerd Leonardo cfr. alucch. Limardo Arch. Glott., XVI
415, Polo'n e Polonzin n. 166, i.
i : insaljer bagnar con la saliva, alsjaza pegg. di alsia n. 64,
vjazo'l viottolo.
187. Epentesi di iato. — Fra due vocali in iato si trova,
di regola, nelle varietà campagnuole del nostro dialetto, svi-
luppato tanto in protonica quanto in postonica un suono omor-
ganico di passaggio, che dopo vocale palatina è /, dopo la-
biale, e, e, dopo la vocale neutra «, è determinato dalla seconda
vocale : cont. Andreja, cont. ideja, cont. ineja n. 63, cont. Ineja
n. 157, cont. tejater, acc. a tjrder sec. il n. prec, teatro, cont.
Màrija, cont. vija, cont. zija, cont. Dijo ; cont. tova seva n. 63,
cont. trii'o siivo semiletterari cfr. n. 61^'^^, cont. vuvHer nuvèter ib.,
t
' Veci, ora Arch. Glott., XVI 598.
^ Di altre voci specialmente attinenti alla mensa che sembrano connesse
col francese abbiamo già visto, — oltre pitànsa, — dij ne'>' n- 114, tòn n. 135,
frùt ìì. 139, a cui si potrebbe aggiungere articok ' carciofo '.
studi sui dialetti reggiani 141
cont. fiivét (urb. fm't v. n. prec.) donde il diminutivo fìiftiù vivo
anche nell'interno, cont. kova n. 63, cont. DovarcllH Dovardò'n
n. 153 ; cont. sajeta saetta, cont. majister n. 89, cont. hanU l)aule,
cont. faravòna ' gallina faraona '.
Nell'interno questo suono intermedio si è, per influsso anche,
probabilmente, della lingua letteraria, attenuato nei casi che ora
diremo ed è scomparso del tutto negli altri, tranne in pochis-
sime parole per le quali mancò il correttivo delle corrispon-
denti italiane con iato, come incova acciuga, rovam ii striscia
di pelle di colore rossiccio con cui si orlano all'interno i cap-
pelli e le sottane in fondo ; v. però l'osservazione in nota al
n. 226. Resta il suono di passaggio, ma, come s'è detto, atte-
nuato e assai lieve ^ fra vocale -r /. '' e fra /, ìi + vocale : nel
primo di questi casi la presonanza del secondo elemento ci fa
sentire una semivocale appena accennata, quasi un mezzo i
(cfr. paHnela n. 173) o un mezzo u : ba^l'f, Ixi^-nl ; nel secondo
avvertiamo la stessa semivocale quasi come un eco di i, u to-
nici precedenti: mi-a, tu^~a. Non abbiam creduto necessario in-
dicare costantemente con la grafia questo leggerissimo suono,
parendoci sufficiente il discorso qui fattone.
Di altri fenomeni, analogici non epentetici (Gorra, St. di fil.
rom., VI 503, 511, 575 e sgg.), si tratterà, per ciascuno a suo
luogo, nel consonantismo.
6.
(Quantità dello vocali.
188. liiferendoci a quanto abbiam detto sparsamente della
quantità delle vocali toniche e afone nelle varie condizioni in
cui avemmo occasione di studiarle, raccogliamo e ordiniamo
' Cfr. per il genovese della città Parodi, Giorn. st. d. lott. it.. XXY 117
124.
142 Malagòli,
le norme principali che governano questa materia nel nostro
dialetto.
Vocali toniche brevi. — 1. Son brevi, di norma, le finali
degli ossitoni n. 53.
Si eccettuano :
a) a ha, o ho che si spiegherà come d v. n. 107 ; ma nor-
malmente kantarà', kantaró e sim. ;
P) pò da pók n. 142 ;
y) tutti gli a palatizzati in e nn. 33, 145 ;
ò) i continuatori di vocali in iato con -«, tranne ti n, 60^^^**,
fu, hi, cu, n. 61^'"* ;
e) i participi masch. in -i, -u nn. 118, 138, e le 2'' plur.
dell'indicat. pres. in -i n. 95.
2. Son pure brevi, di norma, le vocali in sillaba chiusa
dei parossitoni o già tali n. 39, tranne dav. a nasule A- cons.
sorda n. 69 e a r, Z complicati n. 74.
Escono dalla regola a, o latini, per cui vedi num. seguente,
e o dav. a, ci e a bb che dà o nn. 88 e 90.
3. Anche nei già proparossitoni è breve la vocale tonica
che non sia a, n lat. nn. 46 , 47 , 50 , oppure a cui non
segua nasale o cibrante nelle condizioni indicate nei nn. 69, 74
e 81^"-\
4. Per le voci d'origine letteraria sembran da distinguere
due età : una più antica nella quale ogni vocale tonica, tranne a,
fu breve cfr. Meyer-L., " It. Gr. „, § 90 [vel n. 113, konieta ib.,
cont. Vangeli n. 110, pila n. 120, manteka manteca, vita. Malga-
vita Margherita, cont. oli n. 129, noja ib., ofober, Gob, cont. ina-
trimoni, ecc. n. 132, katuba 'grancassa' [cassa -f- tuba ?] , ajutay
cont. Saint salute, mut^ luder ludro, 8. Luka S. Luca, kondùg, ecc.);
e un'altra più recente in cui accettandosi parole nuove dall'ita-
liano 0 modificandosi, per l'influsso di questo, voci letterarie già
esistenti, si ha la vocale lunga. Com'è naturale, le parole del-
Studi sui dialetti rci^s^iani 143
l'ultima maniera son piìi pi-oprie dell'iiiterno, o avviene talvolta
che la campagna ci conservi ancora la risoluzione piìi antica
{pianeta, ntcter, poeta, vela [resta però vela anche nell'interno
nella frase allegorica: Va miide vela 'ha mutato opinione'],
urb. Vangèli, Rita, urb. oli, urb. nója, urb. n latrimi) ni, ecc.
n. l-)-, urb. salTit, [ikara sicuramente).
Si conserva sempre la vocale lunga nelle voci ciotte o semi-
dotte dav. a f : l'fola, vi' /ita, fì'Jika, tlfik, r'ijnia, rlfga risica,
centPjim, batejiìn n. 118, (,^?fer n. 109, spropó/it, cern/ik, rnTifika.
189. Vocali tonichk li nciii-^. — 1. Son lunghe le vocali
mediane derivate da penultima libera, tranne è, 7, a e o dav.
a m n. 70.
2. E sempre lungo lat. à palatizzato in p in qualunque
posizione venga a trovarsi : unica eccezione Hher per cui v.
n. 107.
E pure lungo a del dialetto che continui fi, tranne negli
ossitoni in cui resti finale : va, dà, fa, starà' n. 51. Per a ' ha '
v. lunn. pree. 1, a. Se però agli ossitoni in -à. si attacca una
enclitica, questa, — sebbene di regola le encliti-che non alterino
la quantità della vocale a cui si uniscono, p. es., tot ' togliti '
da to 'togli' (imperat.) e tot':' 'prendi tu?' da fi) 'prendi'
(indie), finii ' finitelo ' e finii .^ ' tìnf egli ? ', — fa riacquistare
all'rt la sua lunghezza normale: vat vatti (imperat.), fani fammi,
starai? 'starà'-*'. 11 Parodi, Arcli. Glott., XVI 157, spiega, nel
ligure, vaia, kiimàlu, ecc. da anteriori va -dia, kuin-é-éllu, ecc.
Tale spiegazione non par sufficiente nel nostro dialetto a chia-
rire tutti i fenomeni che ci occupano per due motivi : 1) Perché
in condizioni uguali non si ha l'ugual risultato con altre vocali
cfr., p. es., il citato finil'i' e dil dillo, fai? fu?, tol 'prendilo'
da di, fa, to ; 2) Perché non ci dà ragione degli allungamenti
in dàm dammi, dat datti, fàt fatti e sim. di fronte a tom ' pren-
diuìi ', diin dimmi, tot v. sopra. Probabilmente tra noi i casi
144 Malacfòli,
come *dà)n, *dàt, *fàf vennero a trovarsi cosi isolati fra tutti
gli altri a mediani lunghi, che furono attratti da questi.
In parole d'introduzione letteraria recente anche a mantiene
la quantità dell'italiano : per es., Sàfo nome proprio entrato in
uso fra noi da pochi anni, di fronte a pitàfi n. 158, (]ir(lfa piìi
antichi e più assimilati. Hanno pure Va breve scào e àmen, àka,
di fronte a kfimes camice, viljàk vigliacco, perbàko ! perbacco !
Jj!^ àj ! , àja!, ajà'!, ryV/ / = ahi ! si alternano secondo le
circostanze. Se l'esclamazione è vibrata, come di sorpresa o di
dolore acuto e improvviso, si ha la breve ; in caso diverso, la
lunga.
Restaj con à, gòra voce con la quale i fanciulli chiamano i
singoli nòccioli di pesche nei loro giuochi ; e distinguono la
gara dal knk ' nocciolo più grosso e pesante con cui tirano ' ^
Questa parola, che par connessa con gl'ital. gara, sgarrare, im-
prestiti francesi, avrà qui la vocale breve per il fatto che, nel
gioco, chi tira grida vibratamente : kpk e tri ber log e tri gara!
— a stag dal kpk e da la gara !
3. Lunga è, di norma, la continuazione di lat. o, che per
la quantità ha quasi, come vedemmo, lo stesso trattamento di a.
Si abbreviò per influsso di seguente nas. -f cons. soìiora n. 70
e di j da H n. 88. È dall'italiano bója.
4. Sempre lunga è la continuazione di au. tranne '.^m ko
e Po n. 142.
190. Vocali atone. — Nelle atone. di regola tutte brevi,
è più difficile notare le lievi differenze di quantità. Meno breve
delle altre pare o- : bpter, tóler, ecc. nn. 7,, 5 e 167.
^ V. Ferraro, p. 84, in cui è brevemente descritto il modo più comune
del gioco, ma non ne è riportata la nomenclatura dialettale, fatta eccezione
del nome del castelletto di nòccioli 0 pivi raram. di noci, regg. hena, da
noi hm cont. bèna n. 68^^^. Se il castelletto è di tre nòccioli dicesi Jcaraleta,
perché il terzo nòcciolo si pone quasi a cavallo sugli altri due.
studi sui dialetti reggiani 145
7.
Accento.
191. Conservato, di regola, l'accento del latino : kantP'r,
k(intr' n. 33, onbrff n. 30 ', /(/{ira n. 38, ecc. ; con le deviazioni
comuni anche al toscano e al romanzo in genere : merkoydi,
fijlexj ; fjòl. inte'r cont. intrec/ con cui può andare karega n. 232
Mkykr-L., " Einf. ... § 83, ecc.
192. Accento protratto. - - Frequente il fenomeno, dovuto
probabilmente a ragioni d'analogia, dell'accento protratto nei
vocaboli sdruccioli d'origine letteraria, che, specialmente nella
campagna e tra il popolo, son fatti parossitoni od ossitoni
secondo i casi : tribnl, fribula, trihnlen pres. di trihnlr'r ' affati-
carsi, stentare ', fdondala n. 180, rizl'n genov. rie In ricino,
ìiìangàì'i mangano, siihlt acc. a ^libit, bajalik n. 178, falffra
' fàrfare ' Casali, Op. cit., Nibàl n. 153 e i cont. e volg. hqjita
capita, dubita dubita, lumì'n nomino n. 168, inyuri n. 156,
(lomenika, Saniùs Sanctus, Aùgilns Angelus, oramai rari
e antiq. gli ultimi due anche nella campagna. Aggiungiamo
a questi i verbi d'oi-igine popolare, che estesero, pure per
ragio.iii analogiche, la parossitonia o l'ossitonia al sing. pres.
e alla 3'* plur. : bjasuy, bjasnga, bjasiìgen da bjasugp'r n. 178,
branzTig ecc. da hraùzugp'r ib., cibar ecc. da cicarr'r nn. 171
e 177 di fronte a cacra (nome), pzlg ecc. da pzige'r pizzi-
care cfr. il verbo lucch. pess'ia Arch. Glott., XII 124, cont.
suiigò'n ecc. da sangon<fr (ma regolarmente fiemen semino, mèfen
' Anche l'italiano — non sarà male ripeterlo — ha lombrico non lóiubrico,
come dice forse, erroneamente, qualcuno non toscano e come si trova anche
nel Mkykr-L., //. Or., § ì'>?, (rid. ital. § 92).
Archivio glottol. ital., XVII. 10
146 Malagbli,
macino, straiigol strangolo, ba-er buggero, che nel genovese
invece protrassero l'accento cfr. Par., Arch. Glott., XVI 161 ;
dlfn aret. e serav. di/ino, akomda lucch. pis. viar. accomodi).
All'analogia dovremo anche volg. brontela acc. a hròhtla da
hrohtlè'r brontolare, fmuteìa da fmutlc'r ^mugghiare delle bestie
bovine ', nei quali forse si ebbe Ve su mnrtela da martlè'r mar-
tellare e sim.; così dicasi dell'/ di striipia da strnpjer storpiare e
doina da dopjc'r piegare in modo da far doppio, checchessia,
su sutia da sutjer assottigliare.
Avrà avuto origine nell'enfasi il cont. vja ! via ! {aòidc ija !
andate!, ven rja ! vieni!), che si estese poi, sempre nella cam-
pagna, anche a frasi non enfatiche [Ve ahdè rja ' è andato via ',
ed foravjà' ' di fuori '). Lo stesso fatto si osserva nell'esclama-
zione contadinesca per bjó ! urb. per bio ! n. 151, e nell'antiq.
torsvó ! ' servitor suo ! '. In questi casi il passaggio dell'accento
era agevolato dalla massa maggiore di espirazione . necessaria
alla pronunzia della seconda vocale, fenomeno frequente nelle
lingue romanze cfr. Goidànich, " Ditt. rom. „, p. 169 e sgg.
193. Accento ritratto. — Ci offre esempi d'accento ritratto
la flessione verbale negl'infiniti seguenti della 2^ coniugaz. latina
in -e're che si uniformarono a quelli della 3^ in -ère, e riti-
rarono perciò l'accento di una mora : akàder n. 101 (cfr. pis.
cadere Meyer-L., " It. Gr. „, § 422), annàner rimanere (cfr. viar.
rioìdnere), an-edres rivedersi, goder godere (cfr. vers. gq'dere),
persoèder n. Sl''^®, poseder possedere, preveder, proveder, skàder
n. 101 (v. sopra akàder), seder, temer, veder. Si ha pure accento
ritratto nella P e 2^ pers. plur. dell'imperf. indicativo (feno-
meno non ignoto al toscano) : kanteven cantavamo, kantévi can-
tavate ; éren eravamo, eri eravate ; avéven e èven avevamo,
averi e evi avevate, ecc.
Tra i nomi, baler n. 47 presenta recessione d'accento dovuta
forse al mutamento del suffisso.
STUDI SUI DIALETTI REGGIAìNI
Fonologia del dialetto di N'ovellara.
II.
O O N S O X A N T I S M O
1.
Consonanti e gruppi consonantici iniziali.
a) Consonanti semplici.
194. Si conservano intatte le consonanti semplici iniziali /),
h, t. <l (lat.), k e g (dav. ad a, o, )f), s, z, f, v, l, r, n, m: pe
n. 60, parpaja ' farfalla ', bo n. 61. ber ' ciuffo di capelli ' celt.
barr ScmicH. Zs. f. rom. Ph. IV, 126, Thurneysen " Keltoro-
manisches „ 45, M.-L. " Einf.- „ p. 48 i, ti) n. 61'*'% dù ib.,
kPren, kofa n. 141, knna culla, gal gallo, goder n. 193, giisf, sol,
za/»'/ • inciampo ' alto ted. zap cfr. Arch, Glott. IH 168. fam.
furata n. 169, roder, lèder, roda, nosfer, man, niàt, matfda ' atto
pazzesco'.
195. Si mutano :
K- (dav. a e, i) in z\ zmt n. 69, zU n. 34, zìra n. 73, zervél
cervello, zener n. 70, zér'c n. 77, zéna, zlnk n. 72, zima, zinqa
n. 71, ziveta, zeniif n. 164 è, zcdro'n n. 160;
' Per il vocalismo bisogna ammettere però che venisse a noi da qualche
paese in cui avesse e e non a : cfr. cimr. bert/n, Tuurn., p. 44,
Archivio glottol. ital., XVII. 11
148 Malagòli,
(j- (dav. a e, i) e j- in ^; lentia gengiva ii. 161, r^nea n. 63,
^d gelo, icrwr n. 70, :^es n. 41, ;ó(/ n. 37, -óy n. 37^'^, li'iold
n. 182^'^ -nPr n. 159 ^e>2ar Carta del 1490, let ed fjòr ' tallo ',
Zemjà'n n. 307, ;à jam antiqu. acc. al più comune e letterario
gà, lUn giugno, iijdes giudice, iQven n. 8P^% inéver ib. cfr.
lucch. zinepro Arch. Glott. XII 116, ^vàii Giovanni Villa San
Zanis ^ doc. del 1449 in Monum. delle Meni, del p. P. Maria
p. 28, laniiì bachi delle frutta cfr. serav. giannello it. ' baco
Gianni ' ;
d- tedesco, lene sorda, in t: fàis deutsch, tartàifel.
196. Casi particolari, — K- scaduto a g: gàf, gatn'f (oc gaffe'/,
k' ì vedn in tilt i bi'ff= occhi come quelli del gatto, che vedono
in tutti ì buchi), gànba; gcmber, garofen; — gàbja, gomet, gònfi,
gatabuja, galera, galo'n coscia Arch. Glott. XVI 375 e 408, ga-
mela ^, garion-, — galavrò'n, galavrlna garfagn. calabr-, golàna
collana, galabrii^a ' nebbia gelata ' sec. l'ipotesi del Nigra Arch.
Glott. XIV 275, garabatli n. 102, se pure non è da accettarsi
l'etimo con g- del Caix nel qual caso sarebbe l'it. carabattole
un nuovo esempio di passaggio da g in k, gaveì ' paletta ' ; ma
kubja n. 132, kalger cfr. it. ' galigaio ' venuto nel dialetto a
significare ' puzzo ' ^, kar^ol n. 37 vogh. garso Nicoli n. 60, e
sempre e solamente kastl'g, kanel, koster, kalzlna, konbine'r, ka-
baré, cfr. M.-L. ' It. Gr. , § 162. — Il fenomeno opposto si ri-
scontra in koììfallna ' gonfalone ' aat. gundfano che, come è noto,
ebbe il doppio riflesso iniziale di g- e k- anche in altre lingue
romanze.
' Questa forma abbreviata di ' Giovanni ', che corrisponde al tose. Gianni,
si trova nello stesso docum. nel cogn. Zampetri e resta ancora in ^^anandrea
nome di una famiglia campagnuola. Un soprannome :^(?n e il nome di un
fondo £on?(ìnff, forse dagli antichi proprietari (Rogito del 1417: Bonzangnis),
ci ricordano la stessa forma con la palatizzazione in più.
^ V. però per galèra e gamela Arch. Glott. XV, 388, n. 2.
' Si pensi al puzzo che emana da una ' concia di pelli '.
studi Sili dialetti reggiani 149
197. P- ridotto a h-: busta; buia pula, benda j regg. binda]
n. 161, ' pendaglio ' e ' bandolo della matassa '. Per bòls e bledeg
V. sotto V- in b-. — Del passaggio contrario di h in y; si ha
esempio in peka per becca (v.), dalle forme con j» secondario
{pkfr, pké, pkfm, pkém, ecc.), e, secondo il Muss. " Rom. Mund. „
n. 220, in pcrli'n ' Berliner blau '.
P- in f- presenta farabulàn, semidotto, per azione forse di
'farabutto' e di 'favola', cfr. Arch. Glott. XVI .542 n, 1.
Per bfriaìnl'n romagn. barzamen, it. ' marzemino ', Muss. ' Rom.
Mund. „ n. 221.
197'''^ T- venuto a m- in morsel n, 166, 2.
198. T'- passato in b- : bacilàìi ' fatuo ', da aggiungersi
alla bella serie del Par. Rom. XXVII 197-198, bakè'r n. 40,
bàgoì n. 106, bagoli e bagolo h Par. ib. 204, baUt ' vaglio ' (donde
il v. baltr'r) ib., barbàj e barbajfr ib. 210, barhajl'n barbatli'n
* chiacchierino ' e fjbarbatlè'r 'chiacchierare', barbaje'r e barbojer
• borbottare ' ib. 218, barbàs [tas-] ib. 217, barkéres ' imbarcarsi '
(anche it.), ' incurvarsi del legname ' ib. 209, se pure non è diret-
tamente da bf'ì'ka barca, bartadél acc. a bertadél ' ventricolo dei
maiali e di altri quadrupedi ' ib.221, bffja e bafjot ' catino e cati-
nella ' ib. 214. V. anche Xigra Rom. XXXI .521, befla mento Arch.
Glott. XVI 431 e seg., befonika Par. Rom. XXVII 223, bledgfr
' fare il solletico ' ib. 216 lucch. vellicare, bellicare, cfr, però
anche Flech. Arch. Glott. II 317-325, M.-L. " It. Gr. „ i? 193,
jtsìga se da *bessfga n. 22 nota 1, bols ' bolso ' Pieri, Mise. Asc.
427, bug n. 128.
V- in g-: grasùfr guastare, cont. gomitP'r vomitare, gmér ve-
nie r i u ' .
' Per le probabili spiegazioni del digradarsi della sorda in sonora e del
passaggio di t- in h- e in g- v. M.-L. " It. Or. ^, §§ 162-166, rid. it., p. 89,
«•rr.', I, 676 : Parodi, 1. e.
150 Malagòli,
199. S- in Z-: zifla acc. a sifla, cfr. il corrispond. it. ' zufola'
e V. anche n. 91, zinfonia acc. al più com. sinfonia, zavata ' cia-
batta ', se da una base con s- K- ^ 8338.
S- in r-: remol nn. 70 e 182, dove si avrà contaminazione con
romiol ' cruschello ' (cfr. milan. rozó, romagn. ruvzol, Salv. Rom.
XXXI 288, Arch. Glott. XVI 597) che a sua volta ripeterà Vm
da si mi la.
200. Z- da y in s- : sif cece, sifèrca cicerchia, simes cimici,
cont. sifo'r n. 163, per influenza assimilatrice dell's seguente. E
qui ricordiamo la confusione popolare fra z e .s di cui si parlò nel
n. 21. — Son parole letterarie Céfer, cifra, cédola, ceMefim, la
centinàja ' festa centenaria ', celést, center.
Z- in vece di ~- si ha in zirela ' girella, puleggia ', per contam.
di cidella Salv. Arch. Glott. XVI 296 nota.
201. ./- g- nelle parole venute dall'uso letterario, presenta due
diverse soluzioni :
1) g-: gasfizja, gtist giusto, gurer, Girolom GiromJn n. 304,
gè/mi' n ' gelsomino ' gesmino nell'Ariosto n. 305, Ganih Giannino,
Gè fu' n. 58, gefvit gesuita, geht, giiha, gudio, govedi acc. a :Jjhja
n. 149 ^ Per gongel ' sottogola dei buoi che li tiene attaccati al
giogo ' si potrà pensare a un imprestito o a un processo di as-
similazione parziale, cfr. Arch. Glott. I 303, 508 ^.
2) j- : in Juli Giulio, Jakom cont. Jakum (deriv. Jakmì'n,
^ Il PiAGN., n. 98, considera questa come un'altra risoluzione di g, j ; che
non sia necessaria tale ipotesi è dimostrato dal fatto che parecchie di
queste voci hanno in dialetti erùiliani affini oppure anche nello stesso
dialetto la doppia forma con ~, normale, e con g, imprestito letterario o
dialettale lombardo.
* Osservo, per il significato, che al vaiteli, jòngola, citato dall'AscoLi,
corrisponde da noi arvaròla ' striscia di cuoio che lega le corna de' buoi
al giogo ', fors.e da alvarola perché tiene in certo modo levata in alto la
testa dell'animale.
studi sui dialetti reggiani 151
Jakììjéf, Jakmó'n), Jujéf ". 168 (deriv. Jusfì'n, Jusféf, Jusfo'n),
Jè/tis, latinismi; cfr. anche Trauzzi n. 90, e, sul modello di
questi, forse just ' appunto ' con jusfr'r ' accomodare ' ^.
202. ilf- in n-: nespol da *unu-mespilu con assimilazione
di sillaba Par. Arch. Glott. XVI 864, se non è assimilazione
regressiva parziale, nica nicchia come in italiano M.-L. rid. p. 92.
Non da mitiu Giacomino Arch. Glott. XV 415, ma piuttosto da
i]nitiu Pieri Arch. Glott. XII 125. Salv. ih. 416, XVI 458,
pare il frequentissimo niz ' livido " col v. nizir.
203. V- in /-: laiìkì'n ' tela di Xankin ' dissimilazione, cont.
lum'nu'f ' nominare ' mutamento dissimilativo forse agevolato
dalla contaminazione con lum cfr. n. 168. - — In ajlojcr ' render
ottuso, istupidire ' detto di certi cibi, non crederemmo neces-
sario vedere, come altri ritenne, un processo assimilativo, po-
tendo il verbo derivare da loj loglio, che, secondo un'opinione
volgare, produce un tal effetto se misto al grano nel pane.
V- in //-: nuka, licikra cfr. " gnucca, gnacchera ' M.-L. " It.
Gr. ., 167, liif ' muso ' con fòer/ii'f ' sfacciatello ', ma mìci e
nProv (non /itid ' ignudo ', nerov mil. nerf). In ìiint niente, nàn
neanche, noia "lungagnata, storia' *n e ni ola, nol(fi' 'lamen-
tarsi ' si ha la risoluzione normale da ìi A- i -\- voc. ^.
204. L- in n-: volg. «m^io' per assimilazione da linzo.
L- in /•-: cont. ajrjp'l n. 186 per dissimilazione.
L- IJ gici nel lat. volg. J - IJ : rjj giglio, ma sempre loj n.
preced. e hij luglio.
Quanto a (jendni ' lendini ' non par ammissibile presso di noi
' Il PiAGN., n. 122, inclinava a vedere in JusU'r una ricostruzione come
in jtde'r, v. qui n. 295 nota. Ma l'ipotesi, che egli esponeva in forma dubi-
tativa, non mi sembra accettabile. Ammetterei piuttosto una dissimilazione.
■ Non mi persuade l'opinione del Piagn., n. 6-3, che vedeva in nòia, nole'r
una fase posteriore di fnavle'r miagolare.
152 Malagòli,
un IJ-endin- venuto a y- come nel veneto Arch. Glott. I 515
nota: ci vedremo piuttosto una contaminazione con glande cfr.
Voc. regg. (jiandla in vece di geiìdna, oppure la continuazione
di un glendini avuto per dissimilazione da *gnendini *cnindes
(lendes) cfr. gr. xovideg Prellwitz * Et. Wort. „ s, v. Per la
stessa dissimilazione nel baltico-slavo Grammont " La dissim.
conson. „ p. 37.
R- in 1-: cont. litràf ritratto cfr. valm. /zYra/ Jahresb. I 126,
cont. lirnjrazpfr ringraziare, cont. Ungerà ringhiera, per dis-
similazione.
L- prostetico si avrà, dal pron, di 3* pers., in Jansfr ansare,
Salv. Jahresb. IX i 102; r- in cont. resser essere, forse da yr' esser
o sim. — Per ofmarin rosmarino, dove si ha dileguo per dis-
simil., V. Salv. " Fon. Mil. „ p. 191.
204bis Ujj y. troviamo in venie ' allentato, ernioso ' e in
venti'n ' piccola ernia ' , per intromissione forse di veni vento.
h) Gruppi consonantici originari.
205. Kestano pure immutati i nessi consonantici iniziali,
tranne 1) se- (non sk- germ.) dav. a e, /, che si riduce sempre
a s; 2) dj- già nel lat. volg. j e quindi nel nostro dialetto i
n. 195, V. però anche n. 217; 3) tv- e zw- germ. ridotti a gr-
e rispett. fgv-; 4) dr- ted. che diede ir- cfr. n. 195; 5) qu- per
cui V. n. 211; 6) i nessi di cons. -\- ì- n. 212:
presja fretta, bràz, trèv, drég drago, kreder, krepja greppia,
gràfid, stela, strèda, skinkSda ted. skinko K^ 8784, skoka ' cassa
del cocchio ' Mise. ling. Asc. p. 90, skèla, skriver, skapinela
' soletta ' cfr. it. scappino ^, speda, spork, frè frate, fradél, ivoja
* Alla stessa base appartiene skapin (m-) ' in peduli '.
studi sui dialetti reggiani 153
gemi. \)ì(r(IJa; ma, 1) sena scena, sjmza scienza: 2) -o n. 57 (è
un italianismo {joren giorno: semiletterario djèmi n. 81^'^);
o) (jvardè'r, grindol arcolaio, guindolo, (/vadafìfr, goaiit, fivera,
fgcàhia e /gnì/ìiga svanzica, cont. sgoizpr svizzero, gvilder ter-
mine de' calzolai cfr. Giacomino Arch. Glott. XV 41!» ; 4) fràjer
moneta.
206. Casi particolari. — Parallelamente a quanto si vide per
k-, p- e V- abbiamo qui
kr- scaduto a gr-: gràs, grata, gradela, grup\ — grosfa crosta,
grdnf ' cvRmpo \ grespl'n (pi.) crespini. — Gratella -}- rete die-
dero forse radela, v. però n. 164 : ragajì' ' roco '. se connesso con
la radice garg K'M169, avrà subito l'influsso di ràs^ ' raschio '.
207. SA-- \n fg-: fgareta ^B.\(ìtt-A., fgurp' r fh-Kcn. Arch. Glott. Ili
187, XVI 449 nota 1, Salv., Jahresb. I, \'2h,fgòl e f gol ina fossi
di scolo, /golf' r scolare [v.), fgonhili scomiVigìio, fgalme derja mod.
e regg, fgahnédra ' garbo ' in senso ironico, fgermjè'r n. 171,
fgerhjer ib.. fgerhizer ib. se connesso con *ex-carpere,
fganp'r ' masticare ' Gorra " Dial. d. Piac. „ n. 71 Salv. Bull,
d. soc. dantesca XII (1906) p. 365, fgihjo regg. schibiarola
' diarrea ', fgar~oh regg. scarzón ' cardo ', fgalzarì'ii regg. scal-
zarin ' cardellino ', fgerhlf e fgerhelht scerpellato Salv. Aich.
Glott. XVI 322, ed fgalefiber ' a schimbescio ' Pieri Mise. ling.
Asc. 441 ScHUCH. Zf. f. rom. Ph. XXIX 623. Ved. per questa serie
Salv. Jahresb. I 124-125, dove è pure registrato /f/ar^a;>'/- che
è anche del nostro dialetto. — 67- da sk- in sternàc, acc. a skernic
n. 159, forse per influenza di steiité' .
208. Pr- in br-: brina ; bnuia ' prugna ' M.-L. " Gr. d. 1. r. „
I 427, " Gr. it. „ rid. p. 90, borni/ n. 169 Arch. Glott. Il 330,
bruff'r *p(e)rusiare Arch. Glott. XVI 599, cfr. però anche
M.-L. " It. Gr. ,, § 163 n. ; rid. it. p. 90. — Si ha kr- in krin-
zipi volgare acc. a kmihzipi e prinzipi, per immistione di ' co-
minciare ' dialettizzato in komi/ìcp'r.
154 Malagòli,
209. Sj)- in fb- : /bar n, 102, fbare'r ' sparar calci ' Salv..
Jahresb. I, 125. — Spr- in sfr- ed sfronbatiì' a spron battuto,
forse per influenza di sfroiibla frómbola : v. ora anche Riv. di
tìlol. class. XXXVIII 36.
fo- in fb-'. Jbiìièrsla Par. Roni. XXVII 225; Zf. f. rom.
Ph. XXXIII 230, 478.
210. W- gerni. in g- : ylìiaiida acc. al più coni, yrilànda e
fgèlf furbo, se connessi con ivieren K^ 10389 e Welf ^,we\io (cfr.
parm. Castelghelf Castelguelfo Piagn, n. 100); v. anche per /^è^/"
Salv. " Fon. Mil. „ n. 280.
211. Qu- dav. ad a dà kv- : kvàfer quattro, kvatgrdes, koa-
ràfita, kvèl quale, koelkiduii e kvelkdfiìi n. 178, kvand, ktàiit,
kcèfi n. 149, koèder, kvadrp', koadèrna, kcadréi mattone, kvajo't
quaglia, skvàma squama, skvaser ' scuotere, squassare ', Si ha
la perdita dell'elemento labiale in Kardbi n. 149 forse per im-
mistione di kàr cfr. Par. Arch. Glott. XVI 340, o per dileguo
dovuto a dissimilazione, se pure non si tratti di un'antica ri-
soluzione normale in sillaba protonica che avrebbe un riscontro
in kager ' cagliare ', dove si conserva ka- anche nelle forme ri-
zotoniche.
. Dav, a e, i diventa normalmente k-: kl chi, ki qui, ke che, e
i semiletterari kjet quiete -o, ihkje't inquieto. Si ha kv- in koest,
kvel ' questo, quello ' acc. ai cont. kost, kol ; ma proclitico, in
funzione aggettivale, sempre kV om, kV èrba ' quell'uomo, quel-
l'erba ', e, dav. a consonante, kul tavll'n, kla tevla. Son parole
dotte kvìht quinto, kvestjofi e kvestjoner acc. a kvisfjoh e kri-
stjoner cfr. it. questione e quistione, e cosi pure koereìa cont.
koarela n. 41 e kviiid.es n. 70. Benekvìdem, ko/ikvìbus ' denaro '
son pretti latinismi. — Un esempio di Gvi- ridotto a Gi- ci offre
cont. Gidot (cognome) Guidetti.
212. Nessi di cons. -\- l. — FI- dà /y- : pjàhta, pjan~er e anche
pjolr'r se da plorare cfr. lucch. piulare Pieri, Arch. Glott.,
studi sui dialetti reggiani 155
XV 386 nota 3^, pjàza piazza, pjfga piaga, j^J^/V, js/o/dè piombo,
pjovei\ pJQpa 'pioppo' e anclie 'polpa dei polli, piccioni e siiii.',
pjii n. 58.
L'elemento palatale si fonde di regola in un suono solo con e, i
seguenti: jìf'v pieve-, plga u. 114, pl/'i n. 89. Puniazol *plu-
inaceolu cfr. ait. pimacciuoìo. pumazera ' cuscino da piedi per
un letto grande ' pumazo Invent. 1488 regg. pumazz (Vocab.)
stanno a provare la riduzione di pjii- a pu- in protonica, pjìtmì'n
piumino sarà probabilmente una neoformazione su pjunin.
Plàgas nella frase dir plàf/as Voc. regg. s. v. è un latinismo,
piarlo r ' baccano di chi contende ' forse un francesismo (trober
in K-^ 7215, pkdea, pìik plico dall'italiano letterario ; è onoma-
topeico j)Uk ' colpo dato di scatto con le dita ' regg. krik.
213. Bl- diede bj- : hjaiik bianco, hjr'ca biada, bjond, ed Jjhjes
' di traverso ' propriamente ' di bieco ', hjastmè'r bestemmiare,
bjoster ' rozzo, privo di garbo ' detto di persona, cfr. regg. e raod.
biòss ted. bloss, Salv. " Fon. Mil, „ p. 180, BJff Biagio, bjasP'r
' biascicare '.
Bèda bieta può esser tanto direttamente da beta quanto da
una base blrt-> bje- con assorbimento dell]; dav. a e come
già si vide per pj-<Cj>l-.
Vengono dall'italiano bestemjr'r aoe. a bjasfiiifr popol., blók
blo3CO, blaùd blando ; dal francese, blilf ' camicetta ', blago r
' chiasso '.
214. FI- dà /}■- : fJàiH'i tìamma, fjàk tìacco, fjàsk, fjp fiato,
fjadf'r fiatare, fjor, FjorMza oramai solo nell'adagio : A ne nilga
bel Fjorenza, ino l'eJjel^Pjafmza cfr. Ferraro p. 102, fjok fiocco
fjnm fiume, fjàp, Arch. Glott. II, 343-344.
' V. ora Salv., R. J. L., s. il, v. XXXIX, 492.
* Il fenomeno è assai ditìuso nell'Alta It. ; il che serve a conformare la
teoria del Goidànicii sulla dittongazione romanza.
156 Malagòli,
Son voci dotte e semidotte, importate dall'italiano, s]fìa§él
flagello, ftós floscio, flóta ' frotta di persone ', fiati ' flato, rutto ',
fiema flemma, fanela da " flanella ' con dileguo per dissimilazione.
Per flRf V. n. 139.
215. Kl- e skl- danno è- e rispett. se- : càma chiama, càoga
n. 47, cnfa chiusa, ciìf ' porcile ', cèr chiaro, crv n, 33, cere;/,
céfa, cold n. 141, càp ' branco di cavalli ' ven, èajM Salv..
Jahresb. VII, i, 118, capa acc. al men. volg. kulàta ' natica '
Salv., Arch. Glott. XVI 377, caper ' acchiappare ', cavadùra a-
lucch. chiaoatura ' serratura ' : scgp schioppo, scàjìa schiappa,
scàf, scanke'r ' schiantare ', scuma.
Anche qui il solito kiner chinare che farebbe supporre un di-
verso trattamento di ci dav. a ì se non fosse esempio quasi
unico e non vi contrastassero aff"ermazioni come quelle del
Bianchi per il fiorentino, Arch, Glott. XIII 177. Per skizè'r v.
n. 108. Klement Clemente, kliè'nt. Minia, klfcs, klarl'n, Marina
son voci dotte.
216. Gì- dà f/-: gaz ghiaccio, ^fra ghiaia, yànda ghianda, {fot
n. 44, gotir ' ingrossare del grano ', gàvra ' neve gelata a gra-
nelli ' [g 1 a e i e s -|- g 1 0 b u 1 a?], gangola glandola. Letterari :
glórja, glicerina.
e) Gruppi consonantici romanzi.
217. Frequentissimi sono nei nostri dialetti i gruppi conso-
nantici risultati dalla sincope della vocale protonica. Tali nuovi
nessi restano di regola inalterati : solo le consonanti sorde esplo-
sive 0 spiranti, quando vengano a trovarsi davanti a una delle
sonore b, d, g, g, /, i si mutano in sonore esse stesse per assi-
milazione, e viceversa un'esplosiva o spirante sonora si cambia
in sorda dav. ad altra sorda.
E da notare inoltre che un dj romanzo non dà pili i ma g:
studi sui dialetti reggiani 157
popol. Goni'/ acc. a Djonl'f Dionigi, (jarea e (jaria n. 63 acc. a
urb. djarea e forse anclie fjorhl'r 'accecare' *de-orbare con
passaggio di coniugazione. Anche df da lo stesso esito in gì
che si ode talvolta per dfl dite.
Per esempi di gruppi consonantici romanzi v. nn. 160, 166,
170, 172, 174. Aggiungiamo qui: 1) per kr-, ki'cl ' covelle ' n. 41
col diminut. kvlhì ' qualcosina ' ; 2) per coìis. -{- l-, jihikp'r piluc-
care cfr. spluker n. 153, pluk ' peluzzo ', pliza pelliccia, blìfi
bellino usato anche come sostantivo in significato di ' balocco ',
bledeg ' solletico ' e bledgp'r n. 198, Uifga che potrebbe ricolle-
garsi a sibilare — come il corrispondente ital. 'scivolare'
Pieri, Arch. Glott. XV 218-219 — per mezzo di *sTbilicat
> *blsilicat > Hifliga > HUfl(i)ga, sjfrdfna M.-L. " It.
Gr. „ § 304, skìonge ' rilassato per uno sforzo ' forse da collu -{-
longu, cfr. Bonvesin deslongato Salv. Giorn. st. d. 1. it. XLII 377 :
3) per assimilazione di sorda a sonora e viceversa, bdrina pe-
dana, bdau ' palancola ', b/er pesare, gfa e ksa in fonetica sin-
tattica già ricordati sotto il n. 183, fdii seduto, fbgazè'r n. 159,
psv/a n. 198; ftiìra raro acc. a vitùra n. 164, spkè di bicchiere
0 piatto rotto nell'orlo 'sbocconcellato ', fsadés n. 152 ^.
Dav.' a i\j, r, l, m, n, li solo e |x- o s- prostetico dà semprey,
ma ogni altra consonante mantiene il suo grado : fvidp'r svi-
tare, fjnstp'r ' guastare ', fregole , flar gè' r, fnieter, fnarcè' ' quasi
senza impaccio di nervi e di giunture, snodato, dai movimenti
facilissimi ', fìiazer sghignazzare n. 307 : ma Sver cogn. Severi,
1 s fan dP 'ce li hanno dati' (di fronte a: (ifg'e pPrs 'ci ab-
biamo rimesso'), sraja 'imposta', tlPr telaio. smPr 'scemare'.
* Per esattezza devo notare che dav. a s il d originario par conservare
in alcuni parlanti una tal quale sonorità quando è preceduto dallV- proste-
tico di cui è canno nel n. 162: forse in tal caso si stacca un po' nella pro-
nunzia ed- da ciò che segue, per analogia su ed di (prepos.).
158 Malagòli,
Tmès n. 166, snèda ' quanta roba sta nella camicia vicino al seno ',
snér segnare, hios n. 166 ; — fnester n. 41 e fnaker ' macchia ',
se connesso con ' segno ', saranno stati attratti dalla numerosa
serie di e]x- sopra accennata.
218. Si ha consonante rafforzata iniziale, per assimilazione,
in bhida pipita, hbu bevuto acc. al pili raro dbu, dissimilazione
eroica, come la chiama I'Ascoli Arch. Glott. II, 402 {vheva Ra-
panti, Salv. Jahresb. I, 127, non l'ho mai udito; forse è fase
tramontata, utile a spiegarci le altre due forme), ssaUjè'r acc. a
dessalgè'r n. 178, ssuplir da e:^^ salger nn. 115, 170, 172,
ex -|- suplir n. 170, ssànta sessanta.
219, Cadde v iniziale di un gruppo in nmi *veniebat ecc.,
onde nir venire, ecc.; in dlv? acc. a vdw? 'vedete voi?' da
cui di! 'vedete!' esclamazione d'uso frequentissimo per richiamar
l'attenzione di qualcheduno a cui si dia del voi; in lontera n. 174.
N- si dileguò in sokvànt ' alquanti ' da ' non so quanti '
Salv. St. d. f. r. VII, dove, se non si voglia ammettere una
caduta per dissimilazione, si potrà spiegare il dileguo in frasi
come: i (j eren in (n)sokvànt ' c'erano in parecchi ', / ìn(n)sokvànt
'sono alquanti'. M- cadde in brenda n. 70 e da *in'brenda
M.-L. " It. Gr. „ p. 113.
In mo ifrda ! 'ma guarda!' Rana 11 si dovrà il dileguo del
g- iniziale a contaminazione con veder, cfr, n. 111.
Per fmesteg, fmendge'r cont., v. n. 168.
H
studi sui dialetti reggiani 159
2.
Consonanti e gruppi consonantici mediani.
a) Consonanti sémplici esplosive e fricative interne.
Nei proparossitoni o yià Udì.
220. Ogni sorda digrada a sonora {p scade a r, k' a y ) ; re-
stano intatte di norma le sonore (è, già scaduto in lat. volg. a v,
dii v; () e j [lat. volg. j] scadono a .7):
lat. p, bj^^, f, t, d, s,f, k, k', y, g,j
dial. V, V, V, d, d, /, /, g, /, rj, ;
221. Raro il dileguo in postonica, meno raro in protonica.
222. -P-: rèva n. 33, riva, sèv n. 3, Idv n. 87^^^
Pipa n. 125 è dall'ital. ' pipa ' o dal frane, piper v. n. seg.
(all'ita!, 'piva' corrisponde anche nel dialetto piva); krepa è
pure dall'italiano v. n. seg., e cosi pepa 'papa' forma fissa che
non varia nel plurale cfr. nn. 60, 61^'^, 151.
Per ko caput v. n. 142 e qui sotto -V-.
223. -P-: kvPrta n. 166, savor sapore, kavt n. 95, kavic
n. 116, anvù' n. 37*^'% kavestcr 'scapato' capistru, kavdaha
capitagna *capitanea, kafzè'l capezzale, ^at'o?o'w ' alari ' lucch.
capitoni N1ERI Voc, kavdl'n ' capezzolo ', cfr. lucch. capiticcio,
Campodolc. kavedel con altri suffissi Salv. Jahresb. VII i 133,
lovin lupino, ravìna ' piccola rapa ', dvawr dipanare.
Coincidono coll'italiano e presentano h dopo l'aferesi, hotéga,
ho/ma bozzima cfr. Zamb. Voc. et. s. v.
Pipf'r ricorda il frane, piper K.' 7179; è un italianismo kerper
160 Malagòli,
crepare cfr. n. prec. (la risoluzione normale si ha forse in kéren
kervèda, detto della carne molto stanca e dolente per lungo
cammino; certo in skeruaca n. 40). In parpcija n. 194, coi deriv.
parpajlna, parjìajo'n, parpajòla, l'epentesi probabilmente antichis-
sima dell'r conservò il p, cfr. Fiagn. n, 104. Per zujola da "^zi-
cola V. n. 227.
224. -B-: prova, kova n. 134, kanteva cantava, fèva faba,
trèv trave, skriv scrivo, sév n. 35.
Dopo ciH-, regolarmente, roba n. 141.
225. -B-: tavàn tafano tabanu che potrebbe però andare
anche sotto -/"-, tavela 'mattone largo e sottile' tabella,
lavél, kovè'r, aver avere.
Vengono dalla lingua letteraria nazionale tahàk tabacco, robu'st.
226. -V-: kfva n. 33, lèva ih., leva leva, cèo n. 33, cèoa
* chiudi a chiave ', nov, móv, ov, vlv.
Si ha il dileguo di -v-, primario o secondario, nel nostro dia-
letto: 1) dopo II in uà pila stua n. 64; 2) dav. a u in Ri n. 62,
ko n. 142 e nella 2* persona plurale dell'imperf. indie, {kantèuv,
tofeuv e sim. acc. a kantévuv, tafevuv e kantevi, tafévi n. 193, ecc.);
3) nel suffisso -iva dei nomi salia, alsia lixiva ^ lentia n. 195;
4) in ror n. 186, bo camp, e bo urb. n. 62, ti n. 60^*^. Per
indo', V. n. 63 nota 3 ^.
227. -V-: laver lavare, alvè'r n. 160, kaver, l-ard/ò K.^ 2038
cavagni Invent. 1493, nóv novè'nt ' novissimo ', ziveta.
' 0 anche da lixivia secondo promette di dimostrare il Merlo, An-
cora di dalmat., p. 14, nota 2.
- Per la caduta del v intervocalico, più antica in protonica n. 227 che
in postonica, si vedano le osservazioni del Parodi, " Giorn. st. d. lett. it. ,,
XXV, 120, applicabili in generale anche al nostro dialetto; nel quale si
notano pure oscillazioni, come nel genovese, e, per quel che a me sembra,
pili facile è il dileguo nel parlare spigliato e rapido delle persone civili.
Cfr. anche Ra vizza, Psicologia della lingua, p. 102.
Studi sui dialetti reggiani 161
Dileguasi, primario o secondario in bonza n. 40, boarlna Zs.
f. rom. Ph. XXX 297, paura cent, paviìra, pulna Arch. Glott.,
XIV 269, Hlnn acc, a uvlna, paó'yi acc. al pili frequente paco ii^
uHer per uvèter da vuvèter (le forme col v interno sono popolari
e campagnuole v. n. 187 e la nota al n. 226), bai'/ ipo^oì. baji'/
n. 187, bajela ' carta che. nel giuoco, non ha valore contrap-
posta alla figura o rosa {fatìt, regina, re) e ai kareg {a$, dà e
tri)', se da bavelle cfr. Arch. Glott., XVI 412 S atìjel n. 186,
san acc. al più comune savu saputo, saém sai saeva, ecc., cont.
sajóm saji sajeva ecc. da saver. Si ha pure dileguo nelle forme
finite del verbo acer [eni cont. om, l, èva, ecc. pili frequenti di
avém, ecc., da ^aém) - e anche, ma più raramente perché si
tratta di verbo non schiettamente popolare, in doeva, don, ecc.,
per doveva, ecc.
Aggiungansi a questi esempi le forme Xaolaro e sim. dei
docum. antichi (Introd., § 3), hauto Lib. statut., p. 234.
Troviamo g al posto di v in zigola n. 164, spagét n. 146
nota.
228. -F-: rev refe; e con dileguo stila v. n. 226. Resta in
a uf ' ?i ufo' forse d'origine letteraria K.^ 9857, Ascoli, Arch.
<.Tlott., X 17, in grif unghia, cfr. it. grinfie e il verbo nocivo fgran-
fiiè'r dove concorreranno forse \'?i2ii. grìfan e il lat. graphium,
in kifel ted. kipfel d'importazione recente, e in nif e fbernif
n. 2<i3.
229. -F-: Potrebbero qui stare, oltre a tavàn n. 225, ravanél
Flech. Arch. Glott., II 373 (contrariamente Arch. Glott., XVI
439, da rap- ; al qual etimo contradice, però, il massese rafa-
' Sec. lo ScHUcuAUDT (v. K.^ 1133) òrtjeWa sarebbe da ricondursi a baca'>
baga ; in tal caso avremmo dileguo di gutturale.
' Per l'aferesi di a- si ricordi quanto si disse a proposito di cu, r}rt, ecc.,
n. 152.
162 Malagòli,
nela), e, con dileguo del v secondario, hjòlk bifolco, bjolka mi-
sura di superficie, «fuf stufato, stìiarola stufaiola, tegame dove
si cuoce lo stufato; se non sono preferibili gli etimi con bop
originari.
230. -T-: róda, héda n. 213, strèda strada, roféda n. 1G7,
skurjèda ib., speda spada, seda n. 35, veda ib., -eda, -Ida, -fida =
-ata, -ita, -uta [kantèda, jìnlda, batfida, ecc.), entred 'en-
trate' intrade Testam. 1593, fréda ierràtsi fra da Invent. 1494.
Dopo au-, lot n. 141.
Son voci letterarie kometa n. 113, vita n. 125, remita ib,,
poeta n. 188.
Per le sorti di H, originariamente mediano, venuto poi a
trovarsi in fin di parola per la caduta della vocale finale, vedi
n. 313.
231. -T-: padeUt, skudela n. 168, bìidél ib., badesa, ladfn
n. 68'^'% didè'l ditale, badi'l n. 120, -dór, -dura = -tore, -toriu,
-tura ifiladó'r, dormidor n. 87, nioldùra 'molenda', kujdfira
cucitura, ecc.), kadéna, ledani n. 164, kroder n, 174, mudp'r
mutare, invider invitare, padì'r ' digerire, macerare ', pwder po-
tare, podaja ' pennato ', yradela, fradél, fadlga, noder notaio no-
daro Testam. del 1592.
Si ha ~t- nel suffisso -tat-: karite, mete , novite , redite ere-
dità, ecc. : si tratta di parole semiletterarie entrate più tardi
nel dialetto.
Son voci dotte o semidotte bote'r n. 35, proté^ protegge, pi-
tàfi nn. 153 e 189, ajufer, kalamifa, statil't, kotò'ì'i, tniliter, di
cui le ultime d'introduzione recente dall'italiano.
Per -t- preceduto da au- v. yoltó'n n. 141, 2.
232. -D-: nilda^ krilda, bèda n. 33, suda, ved, kred n. Ili,
2)jgd n. 144 e, con lieve differenza di significato, pjoda.
Dopo au-, loda n. 141, ggd ib.
Cadde, primario o secondario, in koa n. 63, fé n. 55, pe n. 62,
Studi sui dialetti reggiani 163
pe n. 60, inko n. 61, di n. 95, bjèva se pure meglio non. si ri-
connetta col celt. hlawt Pae., Giorn. st. d. 1, it. XXV 125, Mise,
ling. Asc. 449, Kom.. XXX 575, karega acc. a cont. kadrT>ga
' seggiola a braccioli ' xad-éÒQa > *catréda >> *cadréda con pro-
pagazione analogica del suono gutturale dalla prima sillaba.
Quanto a zif/Ha n. 164 v. (tojdànich, Rass. bibl. d. lett. it.,
1901, p. 311.
Per nij v. n. 126.
233. -1)-: hadp'r. si(dr'r, fdem e più recente s^'rfcO// sediamo,
/deca e più ree. sedeva, adés. Domandano pure una base con d
0 con / semplice il v. madoner ' dipingere a mattoni ' e mado'n
mattone, Voc. regg. maddon K^ 5789, Salv., " Note lombardo-
sicule „, p. 83.
Dopo «u-, lodém, yodém, lodeva, godeva, ecc.
Si dileguò in raif cont. rajl'f, pjóc n. 136, ixzin piedino (acc.
a jiepl'n alterazione fanciullesca con reduplicazione, cfr. Sainéan,
" La cr. mét. „, p. 15), jizéda ' calcio ', pzagnla se da *pedic-
cino, '"pediec/afa, ^'pt^diccicata n. 172, cfr. Salv., Arch. (Tlott.
XVI, 376.
Mnrola n. 164 è forse da un italico tneridla, Goid., '" Ditt.
rom. „. p. 171 .
Un "(/- di ragione analogica, non epentetica. avremo in bar-
tadél n. 198, Salv.. Jahresb. IV 167 e sgg.
Apparente è l'epentesi in dejdo't à^c^iw et octo Zs. f. rom.
PI).. XXIII 519.
234. -S-: spofa, spefa, nef n. 33, nefa ' fiuta, annusa ',^;f/(/,
inoroja n. 153, goìo.f. f'nj, chf n. 215.
Dopo aii- si ha il digradamento a sonora in k^ófa, forse per
attrazione di tutti gli altri -/- intervocalici '. Esempio di sorda
conservata si ha nel cont. arpóiim n. 141.
' Non è da tacere però che l'esistenza di kaa n. 183 dimostra un ant.
.\rchi%io glottol. ital.. XVII. lii
164 Malagòli,
235. -S-: spofer, f grifo' r se connesso coH'aat. (jnìisÓH Nigra,
Ardi. Glott. XV 118, Salv., Jahresb. VII i 137, naffr ' fiutare ',
b/èr n. 217. moro/e' r, strujì'r 'fregare' se da trusare con
cambio di coniugazione cfr. Arch. Glott. XV 281.
Si conserva sordo dopo au- : posèda posata, e con n nei con-
tadineschi orponscr n. 183, skonsèda ib. Anche qui kofi'n ' co-
sino ', kofll'n ' cosellina ' da k^fa n. 234.
236. -^S-'- l'ffh ((ff>'('f ' rifuso ' detto di una qualità di salami,
perfìlfa ' filastrocca mista di versi di varia misura ', rgfa, ppv-
svf'fa persuasa.
237. -S~'- feffj'rn. 141, u/Yr, ro/ìna, i-njité'r, sijò'r n. 164 6.
238. -K- : spiga, amlga, formiga, miga mica, pslga, bofega,
tega n. 35, brèga 'braca' K.^ 1531, M.-L., " Gr. d. 1. r. „, I,
§ 20, sóga 'fune' Arch. Glott. Ili 143, K.^ 8832, M.-L., ib.,
koga, ruga n. 153, iQga, Ioga ' riponi, nascondi '.
Au- impedisce, secondo il solito, lo scadimento: oka n. 141, 2,
pok póka n. 141, 1, rok ib. — Per la caduta di -k in un pò
V. n. 317.
Analogico sul g normale di diga è il g di fàga, sfaga, vaga,
tràga, daga cfr. nn. 97 e 317.
239. -K-: pagè'r, logè'r, piger, fgèr segare, fbragè'r 'rom-
pere ', drago' n ' gendarme ', zigèla, lumagì'n, lugànega lucanica,
bigó'rd n. 164 b, bigóni ib., dugera n. 83, dugè'l fosso di qualche
importanza, dugaleris Lib. statut., p. 17 ' persone addette alla
sorveglianza dei condotti di acque ', rofgon cfr. garf. rosigon
NiERi, Voc. lucch., magàìia lucch. macagna, Pieri, Mise. ling.
Asc, 424, Salv., Arch. Glott. XVI lOS! Con aferesi giica n. 45,
gazè'r ' arrotare, aguzzare '.
*kosa venuto pili tai-di a hqja. Negli inventari del sec. XV si trova ora con
un s, ora con due; ma da questo fatto nulla si può inferire, perché la ge-
minazione vi è capricciosa; cfr. Salv., Arch. Glott. XII, 384.
studi sui diiiletti reggiani 165
Dopo (tu-, bokp'l bau cai is, oketa, ok'ma, òko'n e sim. deriv.
n. 183.
Son voci letterarie o semidotte fekónd secondo, Jikn'r, akù't,
arkorder ricordare.
240. -K'-: cont. nofn \\\h. nòf wóqq, kdfd cuocia, là/a 'luc-
cichi, sia lucente'; pff n. 33, fonie/ fornace, dlf dicit, onhrl'f
n. 191 (plur. e sing), cfr. Salv., Rom. XXIX 551, i-ertl'fSALY.,
ib., 555.
Di ragione analogica di dicis.
Kapàza femni. di kupàz ' capace ' è voce semiletteraria. Cosi
Lu'zja Luca Luzia Lucia cfr. Luzjan n. 292 ; e v. anche il
n. seg.
241. -K'-; naif eia una specie di pane a forma di navicella
{pan a nitvfela), dofe'nt duecento, folféì ' bozzolo ', pjaféfr, avfì'n
n. 165, dfeva dìcews., niaf né' r macinare, urb. <(/^"'>-^ n. l'yò, l fi/no l
n. Ilo, J bufine r 'parlar sottovoce, ronzare delle orecchie'.
Dopo au- si trova la sonora in ofél n. 183 cfr. gen. òzéllu
Arch. Glott. XVI 357.
Arienzfr n. 178 per '^'arjenzer è dovuto ad assimil. parziale
regressiva.
Presentano la z mazél macello, rizeta, rizl'n n. 192, d'origine
non popolare e d'uno strato più tardo; cfr. n. precedente.
Sono affatto letterari ahecedari abbecedario, necesàri neces-
sario.
242. -G-: pjèg(( n. 212, fadlga fatica, doga, ruga, ligan. 114.
Si dileguò in stria, popol. strija sec. il n. 187.
Il cont. iQv n. 37^'^ ci offre esempio di -ugu in *-uvu cfr.
Arch. (Tlott. XVI 358 e Salv., - Fon. Mil. „. n. 355 K
* Il Voc. regg. registra zo e zov : il dileguo nella prima forma sarà dovuto
forse airinfluenza del plur. bd. Il Piagnom per il parm. z<j (n. lOòl pensava
a una confusione con zo d e o r s u m , che ci par voce troppo lontana.
166 Malagòli,
243. -Gr-: zigè'r 'piangere, gridare', ligp'r, ligàja ' legaccio
in genere ', ligành ' legaccio ' [liga -j- gànb), higo't bigotto, (igóst,
dogana. E qui venga mago'rì magone Arch. Glott., XVI 409,
Cadde in sferjg'n stregone, sterjfr stregare, ste^yf stregato e
sim., e cont. arje'l n. 186 (l'urb. reèl 'reale' è dalla lingua
letteraria). Per tui'n v, n. 186,
244. -(} , -J-: le\, frii, pei n. 41, mà.-^ maju acc. a Dtàg
dovuto all'influenza dell'ital. ' maggio ', Per màj v. n. 146.
245. -Ci-, -J-: a~dò'r 'reggitore, massaio ', aZ^^gra leggeva,
ru-ne'nt rugginoso: drjoie'r digiunare, muiàdeg 'maggengo'.
Casi di dileguo antico sono maisfer, painda n. 185, faina,
raìna n, 186, e, con epentesi di iato, cont, fojì'n Arch, Glott.
XYI 444, cont, majister, cont, pajinela, sajeta n. 187.
Spjovfine'r ' piovigginare ' fu attratto forse dai verbi in -finè'r
come avfinfr e sim.
Letterari fugi fuggito, regina, cigilja.
Nei proparossitoni.
246. Anche qui gli stessi fenomeni di scadimento e di di-
leguo, tanto della consonante che segue immediatamente la voc.
tonica e simile, quindi, alla postonica dei parossitoni, quanto di
quella che precede la semiatona finale e perciò quasi protonica.
247. -P-: lever n. 48, tseved ib., teved ib. ; kànva n. 182, veskor
n. 48.
Dopo aw-, pover usato solo in proclisi {pover^djèvol, pdvr^om)
cfr. n. 162 e nota, e per il quale il Pieri, Arch. Glott. XV 383,
pensa, nell'italiano, a dissimilazione ^
Semiletterari lapida, vipjra n. 49, tràpen, popol.
248. -B-: hever n. Ili, févla n. 81*^^% niivol n. 52.
* Per l'ital, povero v. ora anche M.-L,. Grohers Gr.-. 676,
Stiuli sui dialetti reggiani 167
Notevole iàhibì'r 'inzuppare, imbevere ' da *imbibere cfr.
mil. imbibi, sard. impipiri K^ 4730.
Sono dall'italiano nòbil n. 132, cUbol, debif, subit, jtosibil, inpo-
sibil e bùboli bubbole.
249. -V-: -ò/;^/^ e :J}ona n. 81^'^, /6/rr(?r/ n. 48.
Dileguo: siier cont. siicer n. 52. Per raltoniarsi di queste e
di altre forme consimili, come nuol e niirol ecc., v. n. 226 nota.
250. -F-: Stévm n. 81*^'-% oreves, indeves n. 48.
Letterario garófen: non indigeno trifola n. 91.
251. -T-: kodga n. 51, arskoder ib., tridla n. 49, -adeif -=^
-aticu (sahcìdeg, voladga, ecc.) n. 47, -edeg = -Mie w {blnleg
n. '1\~ , fmoìedcg n. 166). LiiiiirUeg 'lezzo', di fronte a salvàdeg ecc.,
potrebbe avere il t per ripristinazione sui letterari sfomàtik,
hidjafik, ecc. ^
Per spàtola, semidotta, v. n. 182.
Si ha prosemitonica finale in andit andito, romita cont. go-
mita, dove però l'i ci fa credere che le voci non siano schiet-
tamente popolari -, gomet gómito, che potrebbe pure essere
semiletterario, e cosi sahH sabato, se non è dalla base con
doppia b, e forse anche pret prete cfr. n. SIS'^K
Letterarie certo : Mbit, debit n. 248, dubita, kàpita cont. e vol-
gari dubita, kapita n. 192.
Divenne fin da antico parossitono e non cade perciò qui ród,
coda n. 61.
252. -D-: vedov, lódla n. 141, ledra hedera, frba medga
VII medesimo potrebbe dirsi del parm. sai rat e;/, su cui non si pronunzia
il PiAGN., pp. 48. nota 1 e 51 nota 2. 11 modenese conserva ancora lutnadct/,
Maranesi, Voc. mod.; Flkch., Arch. Glott. II 361.
•' La voce veramente popolare contadinesca corrispondente all'ital. ' vomita '
e straiigijsa infin. >>tranrfOftp'r extra- o trans- angustiare, cfr. ihyós,
n. 44.
168 Malagòli.
' erba medica ', pedga ' detto degli uccelli quando camminano
con le loro zampe ' * p e d i e a t.
Abbiamo anche noi Viàkuien n. 52 cfr. M.-L. " It. Gr. „ § 311.
Il suffisso -idu ci presenta tre riflessi: 1) teced nn. 48, 247,
tseved ib. e n. 170, dove si hanno comuni la dentale iniziale e
l'originario p dopo la vocale tonica ; 2) arànz, con a- prostetico
dovuto ad analogia sui arjàm, arjel e sim,, ' rancido ', nu/rz
n. 75, come nell'ital. ove da *randicio, *mdrdicio si ebbero
*rand'cio, *mard'cio e quindi rancio, marcio, Goid., " Ditt. rom. „,
pp. 149-150 nota; 3) soli sglja 'detto di mobili lisci non lavo-
rati con fregi; e cosi di stoffe, tele e sim. ', rubi ruhja ag-
giunto di cose grossolane, rustiche, se da ruvidu. — Italia-
nismi mdrbid, torbid, umid, sucid n. 256 ; francesismo, secondo
il Grober, flgs, floscio.
253. -S-: èfen, efna n. 81^^ refga n. 48.
254. -5- : limdfna n. 50, Ufna n. 81^'^
255. -K- : pegra n. 48, petegìa n. 164, ^^f^Za n. 81^'^ ; pèrseg
n. 76, kodga n. 251, kgreg e kgrga n. 50, póleg ib., melga n. 77,
cereg cerga nn. 48, 77, fideg n. 49.
Il solito ejài viaggio.
Voci dotte Jakom n. 201, màkina macchina, pubìik, civica.
256. -K'-: méfer n. 81^^ kofer n. 128, mèfna n. 81^^^
Dileguo antico, attraverso g : dir, fèr, vód.
Semiletterari fazil raro acc. a fàcil cfr. mazél ecc. n. 241,
dificil, lezit pure raro acc. a lecit, sucid ' sudicio ', gràcil.
Per -e- prosemitonica si preferisce la sorda, quando è finale:
tredes ecc. n. 48, oreoes n. 250.
Soreg n. 80 sarà da *soricu.
257. -G-: frdvoj (masch. plur.) ' fragole '^ con r al posto
di g anteriore.
* Raro il sing. fràrol.
studi sui dialetti reggiani 169
258. -G-, -J-: -ìi.ina da -ugine {mina n. $2, f ni, ina ' ci-
piglio, brutto ceffo ' ferrugine), kaìeina n. 124: ba~ol 'legno
che serve di sostegno o di appoggio ' bajulu.
Esempi di antica caduta : di dito, mìt n. Oó.
Sono dall'italiano stupidùgin, inìnuf/in.
b) Liquide e nasali semplici.
259. Le protoniclie e postoniche, nelle voci già parossitone
0 proparassitone. non presentano mutamento alcuno, tranne
qualche raro scambio delle liquide e la più spiccata nasalità di
m e n accennata nel n. 28.
260. -L- : séla, tela, :,èla gela, i-ola; nioUn n. 166, A-o/ò'/- co-
lore, filadfn moden. fidlen, Arch. Glott. II 345 ; melga, soli.
Vrer n. 166 mutò ì in r por assimilazione. Nello stesso modo
turirola che presuppone anche da noi *tolirgla n. 183, si deve ad
assimilazione regressiva. Su sardka, cfr. ven. sardca ' salacca ',
avrà forse influito sardela. Knreg e kórga n. 50 vanno coll'ita-
liano ' coricare '. Tega! per teJa! Fleoh., Arch. Glott. Ili 156
sarti dovuto a contaminazione popolare con tega n. 35. Pertsemen
n. 182 ci dà esempio di assim. parziale favorita forse dall'ana-
logia dell'w di senina. Qui sagate'r ' sciagattare ' se connesso
col genov. satd da ex-hal-att-are Par., Arch. Glott, XVI 355.
Non indigeno marenzjàna ' melanzana '.
261. -R- : sira n. 78, mèr n. 33, fora n. 37, Kèrel n. 182;
parer. ìnar[ n. 56, karln carino, cerfg, tener.
Mortr'l mortaio e mortalét mortaletto saran dovuti a scambio
di suffisso, cfr. Gramm. '' Dissim. cons. „ 132. Azàl acciaio (ma
azarìn acciarino) presenta / come il venez. azzale, l'ital. acciale
Petrocchi s. v. (per la irregolarità della vocale tonica v. anche
ciò che fu detto a proposito di kala, regàl, stivai n. 101 ; ma forse
è un iniprestito tardo). Esempi di dissimilazione sarebbero pjolèr
170 Malagòli,
se da plorare n. 212, spjurir *exprurire donde il deverb.
spjfirn ' prudore '. Senzela acc. al pili raro sarabiga corrisponde
al Inceli, zi'iì.sala ' zanzara '. Sarà da un arbolo^ che è forma
molto diffusa, il cont. erbol acc. all'urb. elber n. 107, e da
*argine ér;m n. 75, cfr. M.-L., " Einf.^, p. 167.
Per malosin moden. malussén, v. Arch. Glott. II 362-364,
Gorra " Dial. Piac. „ n. 56.
Quanto all'r di fogarln ' focherello ', v. Gorra, St. d. f. r,.
VI 587, Par., Giorn. st. d. 1. i. XXV 127.
262. -M- : lama, càma n. 66, ràm ' rame ' e ' ramo '. ramln
' vaso di rame ' rame' r ramaio, lumln ' lumicino ', amid n. 66,
remol n. 70, sègma n. 81^'^, àtima n. 66.
Pantomlna o sarà dovuto a influenza dei suffissi in ina e a
dissimilazione, o verrà dal francese. Anche da noi nata natta,
se da matta K^ 6015.
263. -N- : luna, fina, lana, rana, knna ' culla ', kiineta ' solco
per lo scolo delle acque ', skunl'r ' scolare ', grane' r granaio,
zener n. 70, màneg n. 66. E cosi in fonetica proposizionale:
li n^elber, u n^oni, ijn^Africa (di fronte a mi in esito assoluto,
n. 68^^^), cfr. Par. Arch. Glott. XVI 351.
L per n in veU'n, cont. kolomia lucch. kolumia Pieri, Arch.
Glott. XII 124 ' economia ', con la nota dissimilazione; in sforel
n. 182 provenne dall'influsso di merol. Per linzè'r v. n. 161. —
Armaìier con li dalle voci verbali in cui è regolare, come ar-
niàna, arman remaneat, re manco; iiìkanì' ' perduto dietro
qualche cosa ' inkani'r da kana Piagn. n. 124. Seler ' sedano '
si ricollega col frane, celeri (cfr. articgk n. 186 nota).
R per n si ha in rumela ' nòcciolo ' da *animella e in mar-
màja n. 172, sec. il Flech., Arch. Glott. II 366, 376, per dissi-
milazione.
studi sui dialetti reggiani 171
c) Gruppi consonantici latini. — Nessi di esplosive.
264. Xei nessi di due esplosive scomparve la prima, ma si
rafforzò di regola la seconda che non andò quindi mai soggetta
a dileguo né a digradamento. Si hanno pertanto i seguenti
riflessi :
lat. pt , bt . bel , d , <jd
dial. t , f , d , t , d.
265. -PT- : ,«i n. 41, rota rupta, skrita (e cosi rot, skrit);
Aa/f'r d'uso frequentissimo 'trovale' captare cfr. it. 'accat-
tare ' Arch. Glott. XII 384- s. aattar, XVI 293, Cavassico II, 360
s. ctttar, K^ 1904, zfrr al làpis o la pena (quando usava la penna
d'oca) cfr, Salv. " X. Post. „ s. inceptare.
266. -BT- : sot e .soto nn. 44 e 148; mabifij(, se non è diret-
tamente dall'italiano.
266^'^^ -BD- : sudujó'ii ' soggezione '.
267. -CT- : fata e fnt n. 40. dita e dit n. 112, sufa e Mt
n. 45, kóta e kot cotta -o, làf n. 40, ót n. 48, ngt ib., fritela,
bdPda ' bevanda fatta con semi di popone ', lafiifiìì erba dolce
che cresce nei campi in primavera cercata avidamente dai ra-
gazzi, cfr. Arch. Glott. XVI 450-1 s. lazza; peten n. 48.
Traccia della risoluzione e da -et-, propria dei dialetti lom-
bardi, si potrebbe vedere nella voce comunissima tee. se non
sarci da tt^yahi, come propone il Salvioni, anziché da tectu cfr.
n. 41. Un altro esempio della stessa risoluzione si avrebbe in
kvùc (usato, nel nostro dialetto, solo nella locuzione avverbiale
sol kvàc ' di nascosto '), se fosse da coactu come spiegava il
Mussafia " Rom. Mund. „ n. 169 ; ma qui sarà da vedere piut-
tosto con l'AscoLi. Arch. Glott. II 402, una forma sincopata di
*kuacato > kvaCff part. di *ki(acare > koacè'r che " sarebbe in
172 Malagòli.
forma toscana *covacchiare " star rannicchiato nel covo ' „ . Noto
che presso di noi è vivissimo tutto il verbo kimcè'r nel senso
di ' coprire ' ^ corrispondente esattamente per il significato al
mil, quatà Salv, '• Fon, Mi). „ p. 234. Forse anche si potrebbe
ammettere una contaminazione fra quest'ultimo di cui rimar-
rebbe traccia nel regg. qiiatt quatt = quacc qitacc (Voc.) e
*kvarcè'r da kvèrc, verbo che vive nel pontremolese, Restori
" Val di Magra „ n. 42, ait. coperchiare cfr. ' scoperchiare ' ; op-
pure si potrebbe supporre avvenuto in kmcp'r un dileguo del
primo r di *kvarC(j'r per dissimilazione.
Del riflesso -jt- da -et- potrebbero essere esempi gcajtè'r
gvàjta ecc., n. 161, fràt nn. 61*®"^ che presuppone *frujt cfr.
Salv. Arch. Glott. XIV 234 n. 2, R. I. L. s. II XXXV 964,
n. 25, pH da *pejt pectu ' mammelle delle bestie ', Belcalzer
peit. Pei due primi vocaboli si può pensare col Salvioni a gal-
licismi cfr. n. 186 nota; ci lascia incerti il terzo -.
268. -GD-: fred, se da *frig'du n. 41.
Nessi di esplosiva con s.
269. S si conservò sempre ; assorbì e, p precedenti e anche
k' seguente : testa (nmr djnajtesta muro d'un mattone), festa,
kvest cont. kost, /esca ' esca ' (concrezione dell'articolo), vrespa
vespa, orespe'r vespaio, cont. vresp urb. vesper ' funzione reli-
giosa', frustfr 'logorare, frust ' logoro', nespml n. 48; alsijt
n. 226, tasél ' soffitto ' sia che si riconnetta a taxu- albero o
' Dicesi anche comunemente fe'r kvacè'r delle bestie che si menano alla
monta.
^ Per il mod. pét, che già il Flechia riconduceva ape e t u s Arch.
Glott. II 369, il Salvioni, Jahresb. IX, I, 115, pensa a *inet e richiama il
yen. pieto.
Studi sui dialetti reggiani 173
a taxilla ' dado ', kósn ' coscia ', lisP'r lasciare (che darebbero
il medesimo riflesso anche se da *coxia e *laxiare). RksTìki
' Cascina ' nome di mi fondo rustico da capsa Salv. Mise.
Asc. 80-1 cass/Nct Lib. statut. p. 152 ^: pes n. 41, nriscr nascere,
kreser kerseru ecc.
Anche -XT- vien trattato nello stesso modo: busta, spi^f.
Nessi con nasali e con lk^uide.
270. -X -r fricativa. -XS- : me/, pefn, hfpr n. 217. riduzioni
di lat. volg. Resta n nelle voci dotte o semidotte come peiisp' r
pensare e sim. Pense'r pensiere, Arch. Glott. Ili 309 ' nastro,
cappietto per sostegno della rócca ' conserverà \'n per influsso
di pendere. -X(S)G- : stranglr'r '•'e xtran(s)gulare, se
non è da transgulare con attrazione di s in principio: ma
a noi venne dall'italiano, come fa pensare il gruppo gì conser-
vato, cfr. n. 805. -XV-. -XF- restano invidja invéci (semilett.).
ihfjé'r. iiifèren.
271. -X -f- esplosiva. Intatto: -XC- : irotik tronco, hnihkp'r
' abbrancare ', maiikè'r. Col regolare passaggio del secondo ele-
mento a z dav. a e, i: niiz vince, ohza n. 69, viiizéva. In Vize'n:
\'incenzo cadde il primo n per dissimilazione. Ihse'hs mutò la
2- in s per influenza della conson. finale. Incastri:'' r ' incastrare '
è dovuto all'immistione di incoldPr, carPr e sim. -XG- : reUya
n. 71 ; vangifr. L'esplosiva regolarmente trasformata in ~ dav.
a e, i: piari;, piange, tih.i tinge, leniia n. 226, iniéu ingegno,
finger fingere, pjaiiier. tih~er n. 71. Anche kaà-ilè'r n. 178, po-
stula un eangellariu - che è di lat. mediev. Salv. St. mediev.
' Da noi all'ital. cascina corrisponde ka/Pl, proliabilmente connesso, come
kaf/r ' cascinaio', con case u.
174 Malagòli,
I 420. E voce dotta Aiujil di fronte al popol. Aus^^el Angelo,
-NT-: fant, -aht = -ante [hrigàht, inoràht, ecc.); ìiìht n. 89,
polenta; ahU'g antico, tinto' r (il e era già caduto in lat. volg,,
come in sàòit, ùnt). -ND- : cont. ardo nel n. 166, manda; mahdè'r,
vendeva, tendina, mondia mondiglia; vender, donda nella frase
dèr la donda ' far dondolare '. In (jàngola si ebbe un'assimila-
zione parziale.
272. -MN- diede n forte, e perciò non soggetto a diventar
gutturale quando venne a trovarsi in fine di parola: dona n. 70 e,
san ib. -GN- diede n: knoser n. 166 cfr. lucch. cont. cognoscere.
273. -MP-, -MB- diedero -np-, -nb- : tmp, tenpesta, rónper ;
ed fgalenher n, 207, ganbera gambiera, fgonbili n. 207 K^ 1641,
zinbol xvfi^aÀov.
Valqrja ' fiammata allegra ' sarà vampa o valampa Rom. XXXI
509 -f- baldoria, cfr. lucch. caldoria, Arch. Glott. XVI, 435.
274. -R + cons.- Resta, tranne per rs i casi in cui questo
gruppo s'era già ridotto a s o ss nel lat. volg. M.-L, " It. Gr. „
§ 158: porta, verda, skérpa, herba, èrba, orba, pdrka, mèrka, lèrga,
borsa, serva-, martél, perdeva, korpét, orberà n. 87 nota ; niarke
n. 161, Jlarger, fgargajères, morsél n. 166,2, servir, pò rteg n. 79;
ma -0 n. 57. — Dav. a e, i, regolarm,, re, rg diedero rz, /•; :
Arzéi Arceto n. 1., crzen.
Sgarbfr, acc. a Jgerbfr, ' purgar il letto dei fiumi e dei fossi
dalle erbe ' tradisce l'influsso di èrba. A sua volta fgèrb avrà
influito su fgerbizer nn. 151, 207 e fors'anche su fgerbier ib.,
dal quale è semasiologicamente un po' lontano ma non assolu-
tamente remoto. Un'immistione di quest'ultimo, poi, e di arbU'
n. 172 potrà vedersi in /gerble n. 207 ^ Rebeg ' incubo ' fu fatto
' Il Salvioni, nella nota alla p. 322 del voi. XVI dell'Arch. Glott., cita
parecchi casi in cui a una riduzione a sonora di sk- iniziale corrisponde
" una riduzione della sorda con cui s'apre la sillaba successiva ,. Non so
studi sui dialetti reggiani 175
SU arbgf')' che nel presente ci da rehey rebc/a rebyen e cosi in
tutte le forme con l'accento sulla radice.
Vermzéj ' spaghetti ' pili comune ora che bigoj nn. 49, 164/;,
ha -;•;;- in vece di -rm- (vermicelli) forse per assimilazione par-
ziale. A dissimilazione, per contro, son dovuti alzipret arciprete,
Malgarita, falfPra n. 192, Geltrfida, BHbra Barbara, e forse
kvace'r n. 267 con dileguo.
Per Palpi/ión ' Perpignano ' in màneg ed Palpinàn ' manico
da frusta di legno pieghevolissimo ', cfr. Gorra, " Dial. Piac. „
n. 56. Per skrniazffr Salv.. Ardi. Glott. XVI 823 s. scartezar.
-R(P)S- : skPrs ^excarpsu, se non è direttamente dall'ital.
' scarso '.
275. -L -j- cons,- Intatto : Hta n. 99, skòlta, kHda, pPlpa, iflpa,
èlba, èlbi, nifira n. 75. bolsa n. 198; s<(ltr')% skoUr'r. skaldp'r,
palpè'r, kaìkàii calcagno, bolsir ' diventar bolso ', Salvaiia ' ladro
che secondo una tradizione popolare voleva con una fascina
coprire la faccia della luna ' K.^ 8712 (si dice anche di donna
con faccia grossa e tonda come una luna piena), galbeder, Arch.
Glott. Ili 163, K.3 4125: polmo'n, solfer n. 80, poirer n. 80.
Dav. a e, i, regolarmente Iz, /; da le, Ig : deskHza n. 148, kalzH
calza, kalzìmt calce, svolr^er n. 79.
In salzizlìì, saizizo'i, salziza si ebbe assimilazione regressiva,
seppure non si parti da *sal ciccia. Mauser coincide coH'itu-
risolvermi a collegare il secondo fenomeno al pi-imo come effetto a causa,
parendomi sempre \nù probabile l'opposto, cioè la riduzione della sorda
iniziale a sonora per assimilazione alla mediana (cfr. i luoghi qui ricordati
nella nota al n. 198), tranne il caso in cui la sillaba interna sia disaccen-
tata, come dirò trattando, nei mutamenti fonetici singolari, dell'assimila-
zione. Checché sia di ciò. non mi par necessario ammettere l'assimilazione
negli esempi nostri, che sono: /ffoiibili, n. 273, dove il b pan-ebbe etimo-
logico, e i sopra ricordati /garbè'r, /gerbiz§'r,/gerbjp'r, fgerbtè' che, come s'è
visto, potrebbero esser dovuti a contaminazioni.
176 Malagòli,
liaiìo ' mungere ' M.-L. rid. it. § 141, ed ebbe Vn o per assimi-
lazione parziale regressiva o per influenza analogica dei verbi
in -ngere (ungere, pungere, ecc.) Gbammont " Dissim.
cons. T p. 120. Hanno r al posto di l, per dissimilazione, sor-
kadél ' piccolo solco ' col nuovo diminutivo sorkadlTu, e, per as-
similazione, il cont. sorkp'r ' solco della stalla ^
Per Pter ètra v. n. 307 ; tgpa n. 141. — Dal francese, frahalà'
n. 54 acc. a fahala con dileguo per dissimilazione.
276. -CoNS. -\- r-. Nei nessi di cons. -{- r, il primo elemento
vien trattato come le consonanti semplici intervocaliche, cioè
le miste si trasformano in sonore e le originarie sonore restano
intatte.
277. -TR-: veder nn. 35 e 318, pèder nn. 33 e 318, mèder
ib., lèder ib., poleder nn. 35 e 318, ladra n. 37^^^; padrìn, ma-
drina, madrina, zedron n. 160, lodrét n. 166,2.
Notevole il cont. patron (urb. p)adr()'n), latinismo.
Prèda n. 34, adre ib., presentano fenomeni di attrazione. —
E letterario mèter n. 188,4 ' metro ', introdotto recentemente
dall'italiano.
278. -DR- : skoèdra n. 33, koeder quadro, zeder cedro; koadrél
n. 211, cont. kadrèga urb. karèga n. 232.
279. -PR- : kèora n. 33, sdoer n. 37^^^, .inever n. 81^^^*, pèoer
ib., óvra ' opra' n. 43 ; leore'r levriere, lecró't leprotto, iTìr n. 153.
Si dileguò il V secondario dav. a r nel futuro e nel condizio-
nale di saver: sarò ' saprò ', saré' saprei; cfr. aro ecc. s. -èr-.
280. -BR- : fèver nn. 34 e 318, Fàvreg n. 47; e, con attra-
zione di r, fervè' r febbraio n. 101 nota 3.
* Quanto al diifusissimo kortél pub dirsi ohe probabilmente la dissimilar
zione avvenne già nel latino; cosicché possiamo postulare cìirtellu, cfr.
Merlo, Revue de dialect. rom., I 246 n. 3.
I(
studi sui dialetti reggiani 177
Per laber v. n. 101 nota 3. Otober n. 188.4, ithn'j ii. 157 son
parole semidotte.
Esempi di caduta di e secondario dav. a /• sono qui : arò
• avrò ' are' ' avrei ' cfr. sarò, saré' n. prec, lira ' libbra ' \
rór n. 186.
281. -CR- : mèger n. 33, èyer agro, alegcr n. 100, segrcstin
n. 171, segrè' n. 159 ; If'genna n. 81*"'\
Sakramént è voce dotta; cosi sekre't n. 164^''*.
282. -GR- : nìger n. 114, pìger ib., e con successiva propag-
ginazione di >•, cont. tntreg allato all'urb. inter n. 34 semidotto;
pigro n, nigrét ' nericcio ', cont. Nigramùnta n. 69.
283. -CoNS. -)- /-. I nessi di cons. -\- l hamìo la stessa riso-
luzione che in principio di parola :
-PL- : stopja stoppia, dopi doppio, opi oppio ; dopjf>'r n. 192,
spjanr'r Vinsoui explanare ' avverare il sogno ', nj)jét ' senza
distinzione o scelta ' lucch. appietto che, secondo il Pieri, Zf. f.
rom. Ph. XXX 295, viene da applic'tu (applicitu)-. — Con
-MPL- : tenpja ' trave del tetto ' Mise. Asc. 92, sMjn senpja
' semplice, scempio -a '.
Frequente l'attrazione dell'-/- di -uhi: pigpa, cont. e ap {urh.
ki'ipi) cappio, cdpa ' coppia di pani ' cont. a bop ' a mucchi ',
caper n. 215.
Per kuhja n. 132, — Letterario kataplafma.
284. -BL- : siibi subbio, term. de' tessitori, nebja^ cont. fuhja
n. 92, sàbja, tibja ' grano o riso mietuto e collocato nell'aia per
' Forse fu preso dai nostri dialetti l'ital. lira. Diversamente però M.-L.,
<Trr.» I, 678.
* E voce vexata. 11 Fkkuako, p. 34, propone una connessione con 'affatto'
che non persuaderà nessuno. Importante il riscontro napol. ackitte ' cumulo',
De Bartholomaeis, Ardi. Glott. XV, 330 s. aplittu. Il Salvioni, Arch. Glott.
XVI. 461, la considera una forma avverbiale: a pietto; il Pieri, 1. e, invece
un tipo participiale come presso, tosto.
17S Miilagòli.
essere trebbiato ' tri bui a, cont. stnnbi ' la divisione nei por-
cili per mezzo di steccati' stabulu con epentesi della nasale;
tibjé'r ' trebbiare, battere il grano ' e anche ' battersela, darla
a gambe ' con dileguo dell'r della prima sillaba per dissimila-
zione cfr. tihja, stanhjolin bugigattolo, bahjàs babbione, sabjg'n
' sabbia grossa, sabbione ' sablonum, Lib. statut. p. 24 e anche
* persona in abito da maschera ' con senso dispregiativo.
285. -FL-: Da *r efiatare è il nostro comunissimo arfjadf'r
detto di canne o tubi che da qualche foro lasciano sfuggire il
fiato immessovi. — E preceduto da consonante: infjPr enfiare,
desfjè'r ' sgonfiare '.
Anche da noi il diff'uso sopjer non ben chiaro e che postu-
lerebbe una base con -pi-, M.-L. G. d. 1. r. I, 493, K.s 9237 K
Forse dal di fuori ronfer ' russare ', per cui Par. " Dial. tabb. „
67 e 69^. Taper ' mangiare abbondantemente' moden. tafer
Arch. Glott. Ili 155 sarà probabilmente metaforico da tapp'r
term. dei falegnami ' levar via abbondantemente schegge {tap)
dal legno che si lavora, per assottigliarlo '.
286. -CL- e -TL- : guca n. 45, seca secchia, oreca n. 41, maca
n. 40, skervaca ib., kornac ' corvo ', lentica lenticchia, kar[c
n. 116, spcèr specchiare, parcè'r apparecchiare, bacol e bacarél
connessi con bac(u)lu, Arch. Glott. II 35.
Di riduzione pili tarda sjxda spalla, se non sarà un italianismo
come fruì frullo.
Senza sincope onbrigoì n. 49 semiletterario. Per spàtola n. 182^"^.
I
I
* Si potrebbe ammettere *s u b f 1 a r e > *s u p f 1 a r e > s u p p 1 a r e V
oppure, come si ha, nel bolognese, fjqpa da plopa, Flech., Arch. Glott.
Ili 130, si potrebbe veder qui il fenomeno inverso, cioè *s u p p 1 a t da
sufflat per dissimilaz. delle due spiranti s-/"?
'^ Per altri criteri nella spiegazione di questa voce, v. Sainkan, La créat.
méf., p. 11.
Studi sui dialetti regj^iani 179
Notevole bega da sani ' ape ', cfr. M.-L. VA. f. fom. Ph. XXIX
402-4.
Presentano la risoluzione -j- : rufij ' rimasugli ' n. 167. tndja
tenaglia, maja, inrój ' involto '. sraj, sràja, sonàj ' balordo ',
bendàj n. 197, se non è una formazione alla buona, come opina
il D'Ovidio. Arch. Glott. Xlll 412, e cosi dicasi di pataja ' parte
inferiore della camicia', patajrn; arrojè'r 'attorcere', tnajìna.
Per formaj n. 290.
In paiióka ' pannocchia ' si è avuto l'attrazione dell'i nella
sillaba tonica. JSr/s^Y'r raschiare sarà da *ras(i)care cfr. n. 40.
Paskoìon, nome di un fondo, è da paskol.
Per kunin n. 121.
287. -GL- : teìja n. 41, strega ib. ; kagrres n. 211, kagPda
' latte rappreso ', kagg'n grumo, sterge r ' strigliare '. — E con
-XGL-: Uììga n. 71^'^, ziiìga n. 71 ; zingè'r ' battere con cinghia '.
Neklènza usato nel modo di dire morir ed neklenza ' morir
d'inedia, di stenti " ha l'aspetto di parola semiletteraria, forse
connessa con n e g 1 e g e n t i a, cfr. ait. negghienza. Si veda tuttavia
per essa il riavvicinamento a *nidiclu tentato dal Nigea, Arch.
Glott. XV 292. Gerolifik, d'origine dotta, fu inteso e riprodotto
imperfettamente.
Un esempio di -/- si avrebbe in fhrajf'r ' gridare ' secondo
l'etimologia del Flechia, Arch. Glott. II 379 e sgg., se pure
non sarà direttamente da *bragire > *brair, cfr. ferrar, sbrair.
e con passaggio di coniugazione, favorito forse dall'immistione
di baje'r 'abbaiare''. — E qui venga raiip'r 'ragliare', quan-
tunque non ben chiaro da *rangulare^ Arch. Glott. XIII 439 -.
* Che il moden. shrajàr si risenta di *bragire ammette anche il Sai.-
vioNi in Jahresb. TX i 117.
■^ Forse anche qui si partirà da *r a g i r e che diede * rat)\ *raj'^'r come
pirujer; poi per contaminazione con rundìa *r a n i o 1 a strumento rumo-
roso, in ital. ' raganella ', entrò nel verbo il suono n.
Archivio glottol. ital., XVII. 13
180 Malagòli,
287*^'^ Un caso particolare di assimilazioiio parziale ci offri-
rebbe Vs di bis- divenuto r in composizione dav. a l: herlekf'r,
fberlocer, herlósk, fberlumir, ecc. nn. 160, 171, se non si tratta
del prefisso per-.
Nessi di conson. -\- n {il atono in iato).
288. h'u viene di regola assorbito, tranne in ku, gu dav. ad
a, e. Finale, dav. a -u di desinenza, ha la risoluzione -ov nel-
l'interno, -uo nella campagna.
-TU-: fot futuit, foter fu tu e re, bàt batuit, dove ili non
andò soggetto a scadimento perché seguito dalla semivocale che
esso assorbì in sé.
-NU-: màna manna, inèr n. 159, manarin ' piccola accetta '.
— Resta in mahvlln, manvìn e anche, con epentesi, mandifìn
n. 161.
-KU- : Cadde in relikja reliquia, rèkjem requiem ; restò in àkca
(probabilmente, lat. volg. akkua) e suoi derivati, Pàskva, Pask-
veta * Epifania ', arkvest * rigaglie ' reqiiestae degli antichi Sta-
tuti Galvani " Gloss. mod. „ 148. Notevole il cont. ingvalir n. 156.
Tracce forse di una più antica caduta anche dav. ad a, e
(cfr. n. 211) si potrebbero riconoscere in cont. lukela n. 41, zìnk
che potrebbe pure spiegarsi in proclisi o per analogia su vìnt^
zént e sim., skonkasé'r sinonimo di skoaser ' agitare ' dove però
il gruppo ku è in sillaba postsemitonica, drake n. 153, stravakè'
ib., cfr. Arch. Glott. Ili 151. — Àkvila n. 47 è letterario.
-GU- : lingva n. 71, sangvétola mignatta, sàngov da *sangv
cfr. PiAGN. n. 115. — Anche qui tracce di dileguo, per gui almeno,
in sangonlna herba sanguinaria 'pianta con cui si fanno
granate ', cont. sangoner n. 192 (urb. sangviner, semidotto)
sanguinare.
Studi sui dialetti rejjsriani
181
Per cons. -p u dav. a -u. citiamo kontinov continuo, vcdor, cont.
fridnv triduo. — Di lat. volg. mnrt : regolare antiy a n ti cu.
Nessi di cons. + i
289. Mostrano gli esiti indicati nella tabella seguente
tino ....
li.
ni
A-'X ; ùi
S postvoc.
' postcous.
J
n
7> I n
tk
di
PX
z; s{sti) ■ x." " {'idi) ,
bi vi mi \ ri si
f'J bj ; a ?) mj r J
290. -LI- : -aja = - a 1 i a {invernCtja, brufnja ' brusalia ' l'estam.
(l»J12j in volgare, Mon. agg. alle Mem. del P. Pier Maria, 176,
kamìja, ecc. ; qui forse anche formàja ' forma di formaggio ' ,
donde poi formàj formaggio, cfr. Piagn., n. 113), a] n. 40,
mij miglio, cont. sija urb. zia *cilia, cont. tija urb. Ha 'fila-
mento della canapa o del lino ', cont. famija urb. famia \
<i"j"ì f'{h' ^- ^S' ^^y solium, loj, luj: mojer, fjgl n. 150, fiola
Invent. 1490, cfr. lucch. /"/"o^o, Arch. Glott. XII 116, sojola, sojer,
mjòr migliore, nijn- migliaio miaro Invent. 1498, arpjPres ' ri-
pigliar forze, rifarsi ', inpjp'r ' accendere ', pijapés acc. a piapés
uccello e anche ' rimbalzello ', tortjer attorcigliare, sufje'm. 192,
stitjot ■ scemo ', tajòH ' erpice ', postjon postiglione, ^'fr agitarsi
a|siliare, inafjè'r 'stuzzicare' Flech., Arch. Glott. Ili 167,
NiGRA, Rom. XXXI 511 nota. — Da basi con doppia -11-: hoj
bull io infin. èoyV deverbale boj 'bollore', bojon catarro che
impedisce il respiro (specialmente negli ammalati gravi) cfr.
' si noti anche qui. come già pei- -v- n. 226 nota, la caduta di -j- in-
tervocalico dopo i e si ricordi ciò che si disse a proposito dell'epentesi di
iato n. 187.
182 Malagòli,
Arch. Glott. XVI 488 e sg., fmoj *ex-mollio infin. fmojfr,
dev erh. fmoja 'ranno già usato ' '. Per kavàj, bej, ecc. 150.
Letterari o semiletterari: efili, konsili, Milja n. 163, ^li n. 129
(cfr. però Hekzog, Streitfr.), konsilje'r, miljgn.
291. -NI-: teìia n. 72, grami/ia ib., vpia in senso metaforico
ironico per ' abitudine che altri prende a proprio comodo e con
nostro fastidio', -an = — aniu {kalkàn, kavàn Mise. Asc, 431,
kanpana, kavdana n. 223, longàna ' persona lenta ne' suoi atti '),
bruna n. 208, kodón cotogno, Boloha, veh vengo, teh tengo, lun
' giugno ' ; skóì' signori, Tohìn Tonon Tonét, Benamìn, rono'n
rognone rognonos Lib. statut. p. 22, dal francese cfr. nn. 164 e
e 186 nota.
Dopo consonante, sornò'iì ' taciturno, dissimulatore, sornione '
se da surnia 'uccello notturno' Sainéan, " La créat. mét. „,
pp. 116-117; lor'dó'n, sinonimo di longàna e longadó'h, ma con
senso più spregiativo, se da una base con -rnì. Per pan n. 150.
Letterari: mikranja n. 153, demgni e le altre voci ricordate
nel n. 132; indemonje; èrnja ernia (raro), fbórnja (pure raro;
più comunemente baia).
Degna di nota l'assai diffusa parola kerfimgnja cent, ker/i-
monja ' cresciuta ' che si mostra d'origine dotta anche per il
suffisso. -MNIU- diede -ni; insoni n. 150, da cui insonjfref so-
gnare.
292. -K'I-: bràz n. 40 braza Invent. 1492, làza 'filo rinter-
zato, spago ', gaz ghiaccio, veder gaz ' leggero strato di ghiaccio
sulle strade che rende pericoloso il camminare ' cfr. frane, ver-
glas, -àz = - Siceii n. 40, liiz n. 45, treza treccia, riz n. 42,
skoz coccio {pumazo Invent. del 1493, cfr. n. 212); lazét 'le-
gacci delle scarpe ', rizol term. architett. ' modanatura ', rizoU'n
' Anche il nostro moj ' bagnato ' sarà un deverbale ; invece ìugl ' lento,
sciolto ' continua regolarmente m o 1 1 i s.
Studi sui dialetti reggiani 183
' ricciolo di capelli ', gazerà ghiacciaia, sfazè' sfacciato, faznia
facciata.
Faca 'faccia' è d'orig. letter., cfr. Piagn. n. 121.
Postconsonantico: kèlz calcio, Frànza popolare acc. al lette-
rario Franca delle persone civili, lànza, fherlànza 'altalena';
halanzl'n bilancino nel senso di ' traversa fra le stanghe della
carrozza' e anche di 'trapezio degli acrobati' n. 172.
Casi particolari: iPfa taceat, Ulfa luceat, pjì'ja placeat
sono analogici sull'infinito e sulle non poche altre forme in cui è
regolare Yf. Per hornl'f n. 208, zernif n. 164 v. più sotto
n. 294.
Moinón-; romanzo è voce dotta.
Semiletterari: Luzjàri Luciano cfr. n. 240, Filizjò'n n. 172,
fezja per cui v. Arch. Glott., XVI 443 nota.
293. -GI-: Rei Reggio, Kore- Correggio, /«ì» faggio : ^•or;o^rt
' livido di battitura fatta con sferza, razzatura ', kor;/r (masch.)
' fune che lega le corna de' buoi al timone ', fra-il'r ' comba-
ciare ' se connesso, come sembra, con fragium (ma skurjèda,
probabilmente non indigeno, da ex-corrigiata n. 167) ^
Dopo consonante, sun-a n. 71^^^.
Voce dotta rega di raro uso nel senso di ' sacrato della
chiesa'. Italianismi: sàg saggio, esame; spuìia acc. a sponya
n. 70.
294. -TI-: jioz n. 44, palàz, pjàza, spàza, niz n. 202, sliz
n. 42, -eza = -\t\2i {beleza, kareza, ecc.). Sarà un imprestito 2Ì-
ìHf/a cimasa.
In protonica farebbero pensare all'esito /: punta/o ti ' tenesmo,
spinta' ••■punctatione parola ben popolare e vivissima, cont.
rufn'n (eh. partii, da ndon Piagn. n. 120) sostiiuito ora quasi
' Skurj§'da .sarebbe irregolare anche se connes.so con e o r i n m . poiché
in tal caso si aspetterebbe, da noi, skure'da cfr. korim.
184 Malagòli,
generalmente dall'italianismo ragon ; ma i due vocaboli andranno
con quel filone a cui appartengono gli ital. ragione, imbandigione
e sim.
D'origine letterària,: pazjé'nt, stazjon stazione, s^a^o'w stagione,
ruilc'r ruzzolare in cui la doppia z intervocalica fu fatta sonora.
Per -ti^i ho solo èarèz'/ barbitii, dove chi non voglia
ammettere una particolare risoluzione, come propugna il Meyer-
Liibke contradetto in ciò dal Horning, potrà supporre uno
scambio di suffissi che pare già si accetti per ' cinigia ' *cinisia
M.-L. rid. it. p. 123, Salv., Arch. Glott., XVI 434 e che po-
trebbe estendersi a borni'/ n. 208. se non si preferisca vedere
per questa voce, messa in relazione con zerm'f, l'effetto di un
influsso reciproco cfr. n. 164 b. Il medesimo potrebbe dirsi degli
astratti in -ifja {sporklfja ali. a sporkizja, magrìfja ali. a nta-
greza ^ ingordlfja, strakìfja ' stanchezza ', brutlfja bruttezza e
forse pochi altri), nei quali però la terminazione -ja e la tonica
lunga n. 188, 4 ci obbligano a riconoscere una prima origine
non prettamente popolare ^.
A formola postconsonantica: mérz, skgrza se or tea, -ànza =
-antia {abondatìza, ecc.), 2>e.^ pezzo, maz mazzo, nóz n. 137,
goza goccia, kàza caccia; kunzer n. 131, fmorzer smorzare,
strazer stracciare e ' stracciaio ', drizer dirizzare, linzgl n. 161,
inplizadùra ' impiallacciatura dei mobili '.
Esiti particolari offrono: -sti- con -s- {us n. 137, bisa biscia,
cont. ingós n. 44, cont. strangosa n. 251 nota, presja ' fretta '
' Anche magreda, voce di gergo, dal nome di luogo Magreda Macreta.
^ La maggior parte di queste voci apparterrà a quelle formazioni alla
buona, cui si accennò nel n. 286. Resta però sempre da scoprire quale fu il
punto di partenza. — Per la dibattuta questione, M.-L., * It. Gr. ,, § 247,
rid. ital. § 129, " Gr.d. 1. r., II, §481; Mussafia, Rom. XVIII, 533 e sgg.;
Horning, Zs. f. rom. Ph. XXIV, 545 e sgg., XXV, 744 e sgg.; Bartoli, Alle
fonti del neo-latino in Misceli. Hortis (Trieste, Caprin, 1910), p. 918 n. 3.
studi sui dialetti reggiani 185
semipopolare, hisollna, strangosè'r n. 251 nota, strusjf'r 'sciu-
pare' *extrustiare Flech., Ardi. Glott. Ili 155 (l'irrego-
lare^' rende però sospetta questa voce); e -ncti con e in spuncuìì
' punta ' e spiinhone r ' levar le punte ' e ' colpire con una punta '
se piuttosto non sono da *ex punct[u' 1 - cfr. Pah., Ardi. Glott.
XVI 388 e sg.
Per i cont. tue e tue kvành v. n. 150.
Voci letterarie: vizi, prezi, servizi n. 113; pazje'nt e le altre
viste sopra; besfja, òstja cfr. n. 48; bestjon, bestjollna.
Una base diversa dall'ital. ' gozzo ' ha il corrispondente dia-
lettale ggf K.3 4237, 4300.
295. -DI-: m- raggio, lavéi laveggio lavezi Invent. 1493,
skeia scheggia M.-L. " Gr. d. I. r. „ I 316 (dal greco), iner^_ -a,
/7Ó-ff poggia, stài staggio, Stàia n. di luogo in prov. di Modena,
/"/>m»(^;^ ■ maneggio, movimento ' ; mrjder n. 33, po~p'r.
in protonica, parrebbero casi di risoluzione con _/: òajp'r,
I inanje r che di fronte a fmane^a potrebbe esser esempio del-
l'alternativa studiata dal Parodi in Mise. Asc, p. 462 e segg.,
e con caduta mete , che però sembra parola dotta v. n. 238. Se
si volesse ritener questo l'esito normale di protonica, potreb-
bero considei-arsi />o.-f'r ^. Jmane\ament analogici; ma i)i:J;der'i
Postconsonantico: ór;, man~^, ve)\a\ or~ol 'orzaiolo', kariol
n. 196. Dopo UH-, yon;àdga n. 183. -NDI- diede n: vergoÀPref
donde veryona, skoiifonp'r n. 180, maìier *mandiare Arch. Glott.,
I 78; pràns sarà dall'ital. jiranzo pronunziato con z forte.
Casi particolari: imprestito letterario noja n. 188, 4; di dif-
ficile spiegazione ruja termine spregiativo (su troja di cui è si-
nonimo?). Per ved, dovuto ad analogia morfologica, n. 111.
D'origine letteraria: invidja, rimedi, komedja, pag T^Q.ggvo\ a jùt
n. 139, Jiiter, juta ^, nieridjàna, udjmza, stndjp'r.
' L'aferesi nel verbo si spiega con ciò che dicemmo nel n. 152; la stessa
186 Malagòli,
296. -PI-: s«^;Ja sappia; in protonica, il solito ^/^o'n piccione
che sarà da noi un imprestito.
Dopo consonante, krepja n. 41 ; lanpjon lampione.
297. -BI-: àbja abbia, r'àbja, rahjin rabbioso, ahjé' abbiate
(imperat.).
Lunia n. 70, lo^a loggia sono gallicismi Salv., Arch. Glott.,
XVI 600. Dopo r/M-, lubjdn, ma sarà direttamente dall'ital.
* lubbione ' per cui M.-L., Grr.-, 679. Dall'italiano certamente,
sogét e forse anche kanbjè'r men popolare di mudè'r.
298. -VI-: gàbja n. 196, shon-ubja n. 166,2, rubi e rubja
n. 252, cont. :{obja n. 149, kargbi n. 211, solebi e solebja n. 166, i
*solleviu- ; Karubjo Carrobbioli, n. di un fondo, gabjìna piccola
gabbia, gabjàn ' balordo ', ingabjamref ' detto del tempo, quando
il cielo s'annuvola'; ma alier leggero, se indigeno {legér e
cont. liger sono letterari n. 164 e). D'orig. dotta, diluvi.
A formola postconsonantica, èlbi n. 149, albjoll'n dim. di èlbi.
299. -MI-: niumja, sÙHJa; mumjer ' biasciare ', stmjp'^ 'nome
popolare di una malattia dei bambini nei primi mesi di vita '.
Dopo consonante, rispèniija ' risparmia ', risparmjer.
Bjastéin * bestemmio ' con l'infinito bjastìup'r sembra postulare
una base con w semplice *blastimare M.-L. " It. Gr,, „ § 262.
In vindim n. 96, vindmer o l'i fu attratto, o si partirà anche
qui da un m semplice.
Sparàìia ' risparmia ' nel proverbio S'paràna sparcina, al djèvol
la màìia ' risparmia risparmia, se la porta via il diavolo ' sarà
da una base con nj K.^ 8910, anziché con nij Rom., XVIII 603.
ragione non poteva valere per il nome (masch.) che conservò Va-, Non si
vede quindi la necessità della distinzione cronologica fra il verbo e il nome
fatta dal Piagn., n. 122, che pensava a una ricostruzione del verbo, più
popolare e antico, sul nome modernamente importato. L'ipotesi d'un antico
*xudè')' non mi pare che abbia finora nessuna documentazione.
Studi sui dialetti ref?giani 187
(ratamiina vieii riconnesso a gattaiìtorgita , Sainéan, op. cit..
p. 46.
300. -KI-: era n. 33, per ib., -f/- = -iiriu ib., véra n. 84,
madera (a-) detto della vite che si lascia salire lungo il tronco
dell'albero ^materia cfr. Ardi. Ulott., XVI 455, fera n. 84.
kanter ib., rajo'r rasoio, (dvador ' lievito '; /jarol paiolo j)arolo
Invent. 1493^ polaró'l pollaiolo, raro'/ vaiolo, varala aggiunto di
vacca, dal colore del pelo, arUa 'stizza, rabbia', *hariolia.
Postconsonantico resta e svolge davanti alla sonante la vocale
irrazionale: j)rQ'perja proprio (acc. a própja dove si ebbe il di-
leguo deH'r per dissimilazione) ; rederjò'l n. 112,2, kaverjol 'vi-
ticcio ', kaverjòla capriola, inberjp'y.
Voci dotte o semidotte: mortori, skrifóri e sim. nn. 129, 132,
zimiteri cimitero, batisfèri, furja ' fretta ', salamurja ecc., n. 135,
iitafèrja, arguri; ììiaterjH materiale, furjof, fmeniorje .
Da notarsi Majl'n, Majoii n. 148.
301. -SI-: hèf n. 83, kamlfa n. 85, ce/a n. 84, zrefa ib.,
i?/V^Blasiu; kaje'r 'cascinaio', kafél 'cascina' n. 269 nota,
hrujer n. 208, fafoL fagiuolo, perfon prigione lat. volg. *pre-
sione. La Mafoiì lat. volg. *masione per mansione, nome
di una villa reggiana (nelle carte topografiche ' Villa Masone '),
'■'dfàna ' erba di valle ',
Dopo consonante, arvesa rovescia, lànsa Rns'à-, arcasè'r (!'-«-
attesta Vr posteriormente caduto dell'etimo revérs- nn. 110
e 178), kiìlser.
Dall'italiano, okajjoit occasione.
d) Gruppi consonantici romanzi.
302. I gruppi consonantici formatisi per qualsivoglia modo,
0 venuti a noi dal di fuori, in periodo romanzo son trattati nei
nostri dialetti diversamente dai gruppi originari. Di regola, tolti
188 Malagòli,
i fenomeni assimilativi di cui si parlò nel n. 217 e che avven-
gono in ogni posizione, essi restano intatti.
303. Xessi di esplosive: polpto'n n. 178, asptè'r, kaptì'n 'ca-
petto, birba ', korptl'n corpettino, pokti/t ' pochino, pochettino ',
hroktlna dimin. di broketa * bulletta '.
Con assimilazione di sorda a sonora e viceversa: ^^or(/97'>i
n. 178, Pordgét Portichetto, n. di un gruppo di case suburbano,
pondga n. 128, ordfì'iì orticello, nfdì'n uscetto, ofdi'n ossetto,
fafdl'h fascetto, afdlna assicella (nei quattro ultimi esempi il
suffisso è dovuto all'analogia dei diminutivi in -din, come kavdi'n
e sim. ; cfr. Arch, Glott. XVI 304 n.) ; hraktma dimin. di hrPga,
roptina robetta; cfr. anche nn. 143, 1G2.
304. ì^essi con nasali e con liquide: vens venne, tens tenne
acc. alle forme deboli iii e fìii^ granlì'n granellino, fenina, semnè'r
n. 170. — Quanto a -nm- si ha dileguo di n per dissimilazione
in gramostj'n (gran mestino), komanéra ' con garbo '. Konpju
' come più ' si spiega da ^koni' pju cfr. n. 273; e più oltre konjdìr
' come dire, cioè ' da kom' jdlr. Sperniger da '^spetniger ' spet-
tinare ' avrei Vr invece del t per effetto di assimilaz. parziale
favorita dall'analogia delle molte parole che cominciano con
sper-. Cosi il A; di pikmè'r, pikmon sarà dovuto alla maggior
frequenza del gruppo km in confronto di Un. — T^t tolto lat.
volg. *toltu, tos tolsi, t'ós volli (acc. a tolif , vri) son forse neo-
formazioni analogiche. Per iog n. 317. L-|-conson. cadde in
Gironnn, Giromon che si tradiscon però semidotti per l'iniziale
n. 201, huni'n per bolni'n n. 180, muner n. 174,2, forse per
dissimilazione. Non è da tacere, però, che tanto tot, tos, vds,
quanto Giroml'n, Giromon, buni'n, miine'r. in cui si parte sempre
da ^ -|" cons. preceduto da o, potrebbero essere esempi di una
più antica e diversa risoluzione di questo nesso ; cfr. Salv.,
Jahresb. IX i 117.
305. Conson.-\-l: gàia piipla specie di gazza che manda un
studi sui dialetti reggiani 189
grido mesto. kapU'r cappellaio, iripluK'èref detto degli abiti quando
s'insudiciano ricoprendosi di peluzzi cfr. pluk n. 217, ruplp'r
'andar rotoloni', arblp' n. \12, fgerhle n. 274, hahlp'r chiac-
chierare, babìiìì chiacchierino, sciflfr cfr. n. 91, bernohla ber-
noccolo, tirakli beli, tirache ' straccali ', petégla n. 81 '''■'*, pegla
ib., briglin ' detto di bimbo piccolo ' probabilmente da lirigela,
fmutler n. 192, iugatl(fr lomb. giiigata * trastullarsi '; sjjadleta
dia skràna traversa della spalliera della seggiola, lòdhi allodola
n. 141, svetta n, 182, i. — Manofia manopola sarà analogico su
paMofia.
306. Xell'unione di m, n con r si sviluppò fra le due conso-
nanti un suono omorganico. cioè labiale dopo m, dentale dopo n :
cont. kanbra allato alTurb. knmer, zendrer ceneràcciolo, zendràz
cenerone, ceneraccio.
307. Fra i gruppi di tre consonanti : rsg, r^d, str perdettero
r?-, per dissimilazione, in mofgè'r ' morsicare ' donde poi ìnofgo't
morso, ecc., a^jlò'r aidora n, 245, orkesfa orchestra; Ui% ls)n, VI
in Hra etr (dav. a voc.) fter (dav. a cons.) dalla forma dissi-
milata l'altr- Salv., Jahresb., IX I 100 \ e in gefmì'n semidotto
n. 201; ììfs, fbd, nbd, /gii, rts, Mi, mbz, la mediana in cont.
konsf'r per kohfsp'r confessare, ojdp'l ospedale, landa lampada
(probabilmente per questa via : Hanpeda >> 'Hanpda >> 'Hanbda
da cui si espunse la labiale che mal si reggeva fra le due den-
tali, COSI qui come in konfsp'r, *ofbdel), fiìazp'r n. 217 (da
fgìiazp'r, coll'espunzione della gutturale per la stessa ragione
che nei due esempi precedenti), persemen acc. a pertsemen n. 182, 2,
piìnza da '^pjantza ' pancia ' (per assimilazione, favoi'ita in persemen
forse dall'influsso dell'italiano 'prezzemolo'), /«yawi-fc^r/ cfr. mant.
fgambfada ' camminatura ' ^.
' La caduta di l dovrebbe esser posteriore al digradamento ir in dr.
• fgamTyf.da, posto a riscontro con landa, c'insegna che la velarizzazione
190 Malagòli,
J/ny trovasi ridotto a mj m fgermjè'r n. 171, oremjarol^^viQ,
dell'aratro, Zemjàn Geminiano, esempi forse di dissini. parziale,
cfr. it. scarmigliare; per contro, armné'r ruminare cfr. nn. 72, 169:
sconosciuto tra noi il regg. mja per * bisogna '.
Ndo diede ngv nel cont. inguine r da indvinè'r n. 178 per as-
similazione parziale.
e) Consonanti lunghe.
308. Vedemmo esempi di consonanti rafforzate in principio
di parola per effetto di sincope di vocali atone e di assimila-
zioni avvenute nel periodo di vita particolare del dialetto n. 218.
Gli stessi fenomeni si hanno anche in mezzo di parola: cosi,
per es., med'dò'r n. 178, met'teì per {métetel che pure si usa,
ma più raramente) ' mettitelo ', di fronte a métetla ' mettitela '
cfr. n. 182,1, kor're, morrà' cfr. n. 179, rat'Unì letteralmente
radeffine ' erba a forma di radicchio che cresce nel primo fieno
ed è cattivo foraggio '.
309. Dicemmo già (n. 31) che la consonante la quale segue
a una vocale tonica breve del dialetto è più lunga di quella che
tien dietro a una vocale lunga ^. Questa differenza di lunghezza si
avverte tanto nei parossitoni o già tali, quanto nei proparossi-
toni originari, ma un po' meno forse in questi ultimi, e, per
contro, un j)o' più negli ossitoni romanzi. La grafia comune, mo-
di m dav. a labiale avvenne prima in sillaba tonica che in protonica, tan-
toché quando cadde il b in ''lahbda il fenomeno s'era giii prodotto e Va
rimase; invece in *f(jamb\eda Vin durava ancora, e quindi persistette nella
forma ridotta.
^ Nel milanese un simile fenomeno avviene — come attestò il Rajna,
citato dal Salvioni il quale confermò il fatto — dopo ogni vocale accentata
nei parossitoni o primieramente tali, ma non nello stesso modo per ogni
consonante.
studi sui dialetti reggiani 191
dellata sulla lingua letteraria, usa per questa consonante lunga
il segno della doppia; ma, come avvertimmo, non abbiamo in
tal caso nella nostra parlata che poco più di una consonante
scempia toscana.
Col nostro sistema di trascrizione che distingue la quantità
delle vocali, non abbiamo avuto bisogno di un segno speciale
per indicare il grado differente della consonante che segua a
una vocale breve o a una lunga. Esempi:
K: ì'oka rócca, peker 'bicchiere', hok bocche:
róka ròcca, pèkes ' soprabito ', pok n. 141.
G : toya ' tolga ', yeger pecore, din ^^^^ 5
tjoga scherz. ' soprabito lungo ', Igger ' poderetto ', fag ' faccio '.
C: Veca vecchia, specer 'lentiggini', sjìec specchio:
maca n. U), fbadacel? 'sbadiglia?', spnnc 'pennacchio'
Gr: tega n. 287, stregel 'striglialo', streg \
Jgiìga, Jgàget ' sbrigati ', viag n. 244.
T: rita, ntefer mettere, rot rotto:
poeta, bater battere, ot n. 4o.
D: freda fredda, kreder n. Ili, sed n. 109:
frfda ferrata, ììieder n. 109, krud crudo.
P: pipa n. 222, sopieg 'soffiaci', kop 'tegolo':
pepa n. 222, hapel ' acchiappalo ', fjàp n. 2l4.
B : (jnha giubba, debit n. 248, guléb giulebbe :
rihT'ba ait. ribeba, tober 'malescio', rob n. 141.
\' : iiva, bn'er n. Ili, sknr ;
lava lupa, l«;vel ' lavalo ', nr.
F : arbufa {a I'-) alla rovescia, Mfel, Uf ghiotto :
stafii staffa, scafoni 'schiaffeggiami', scnf n. 215.
S : badesa badessa, kreser crescere, ros n . 44 ;
fnsa fossa, nàser nascere, os n. 43.
192 Malagòli,
S: (Manca, come nel toscano, del grado forte);
rgfa ròsa, èfen n. 81^'% mf n. 33.
Z: veza n. 41, fgvizer n. 205, poz n. 44 ;
éó^a chioccia, strapazzi ' sgridalo ', sk^z n. 43.
^: sA;^:^» n. 295, èa^ra buggera, i?e^ n. 293;
Igia n. 297, bà^ol n. 258, y/a~ n. 255.
J: foja n. 88, bojer n. 290, we/ n. 41 ;
màja n. 286, ^m/er n. 285, taj taglio.
L: bela bella, seler n. 263, fol 'gualchiera';
téla n, 35, bàler n. 193, /o/ fòle.
R: fera 'falce fienaia', korer correre, tor torre;
fera n. 84, férel grucce, tor togliere.
M : prima, premer ' premere, interessare ', noni n. 70 ;
cania n. 66, kàmer n. 148, toni n. 130.
N : dona n. 70, lener n. 70, andi'n ' andarono ' ;
bona n. 68, Kànol Cànolo (n. loc), vln n. 68^^^.
N: roda rogna, ingoiien ingoiano, puh n. 135;
bàna bagna, armàner n. 263, rad ragno.
310. La consonante che corrisponde all'aggeminata mediana
protonica non è mai lunga ossia forte: bokì'n, macina 'macchio-
lina ', meteva, afiter, bodon detto di persona molto grossa, sopjer,
fjapt'n ' che comincia a diventar floscio ', pipf'r, giibl'n ' giac-
chettino ', mufl'r ammuffire, rosi'n ' tendente al rosso ', pasjd'n
passione, pozg't ' pozzo nero ', gaio' pustolette del falso vaiolo,
bojéva bolliva, inpolfn n. 156, fumer, ronó'n n. 291, ingonè'r,
torjàz torrione, korèva.
Per posjg'n n. 178. — Gara, nella frase stèr a gara 'stare
a galla ', insieme col verbo gare'r ' fare i movimenti necessari
per stare a galla', ci offre esempio di II venuto prima a /sem-
plice, poi a r. Forse il mutamento avvenne per assimilazione
nel verbo, e si estese poscia anche al no.me.
Studi sui dialetti reggiani 193
3.
Consonanti finali.
aj «Consonanti finali latine.
311. Caddero tutte nei polisillabi, come nell'italiano toscano.
312. Nei monosillabi: si dileguarono senza lasciar traccia
-t, -d, -A-: dà dat, ke che, fa fac;-m diede -n in Aw'i (sempre
proclitico) cum, so/'i sum (ma ;d jam come in tutto il campo
romanzo); non a formola tonica ha dato per riflesso no, in
protonica di proposizione n [te^n^vojìiìht ' non vuoi niente ') ;
restarono ->•, -/ {kòr, mei, fel n. 59); -s e anche -x furono so-
stituiti da *-i che scomparve lasciando chiara traccia di sé nelle
modificazioni per esso subite dalla vocale tinaie nn. 60, 60^'^
61'''^ 145. Per ino ma, v. n. 93.
b) Consonanti finali romanze,
313. -T>*-D. Si dileguò di regola il -f^^-d rimasto fi-
nale per la caduta della vocale d'uscita nei parossitoni : -f ' =
- a t [u I , - a t i [ s ] . -z' = - i t [ u J , - i t [ is ] , 4 = - u t [u] [kanté', fnl',
lata, ecc.), istP' n. 157, U n. 33, se e sH n. 35, du n. 58.
yod nuoto, nmd muto, vod vuoto, med mieto, spiai sputo,
strantid starnutisco conservano il -d secondario probabilmente
per l'analogia delle altre forme verbali che hanno tutte rego-
larmente la stessa consonante; e tale influsso si sani esteso al-
l'agg. vód e al nome stranud, cfr. Piagn., n. 105 ^
Non vive da noi il nome .«/)(<rf; in sua vece si ha il derivato spud^tc.
194 Malagòli,
Nella 2=* pers, plur. del cong. pres. [kantèdi, fìnldi) venne,
come nella l*"* pers., ad aggiungersi, avanti che la consonante
finale cadesse, una vocale, probabilmente un -a, pronome per-
sonale M.-L., " It. Gr. „ §, 395, oppure analogico sulla l-'^ e o-"*
singolare: quest' -a che si vede ancora nel romagnolo Miss.
n. 258 e che nel reggiano si trasformò poi in -/, forse per ana-
logia morfologica sulla 2* pers. plur. del pres. ind. fini', tafl' ecc.
cfr. n. 149, conservò il d.
313^'^ Il -t e il -d non caddero se risultati da un gruppo
consonantico : Ictt, rot, fred, ecc. ; o preceduti da un'altra conso-
nante: élt, vlnt, kèld, vend.
Per -e da -tti e -ntl v. n. 150.
Son voci dotte o semidotte, venute la maggior parte dall'ita-
liano, con -t 0 -d finali: stèt stato, aookft avvocato, duket du-
cato, papè't papato, lU lite. niiuM (di fronte al normale vender
a la mmlda 'vendere al minuto'), salut cont. salut n. 188,4,
mut ib., kjet n. 211, sekre't n. 281, pr^^ n. 251, apti't n. 125,
fòt vóto; skud, veskved vescovado.
Si ha -t in vece di .< in kat ! esclamazione eufemistica fre-
quentissima.
314. -N. Resta in ogni caso, con suono dentale in sillaba
postonica: omeri n. 182 e, kànfen cantano, kanUven cantavano.
Negli ossitoni romanzi acquistò suono velare («) n. 29. A
questa legge si sottrassero però, come osserva per il parmigiano
il Piagnoli (p. 22), le pers. 1^ e 2^ pres. ind. e 2^ pres. cong.
dei verbi deboli in -né'r, che hanno \'n dentale e conseguente-
mente un grado solo di nasalizzazione della vocale tonica n. 7,2:
/gran {fgranè'r), zen {znèr)^ don {donè'r), son (sonfr), avfl'n
(avfiner), diùn {diunè'r). Aggiungiamo, per il nostro dialetto,
che Vn dentale si riscontra pure negli ossitoni plur. femm. come
ì'cìn (sing. rana), làn (sing. lana), ecc., il che prova che si tratta
di un fenomeno analogico: nei nomi, sul singolare; nei verbi,
Studi sui dialetti reggiani 195
sulle molte forme in cui si ha Vn dentale [fcjràna, fyranP'r,
fgraném, ecc.). Ciò è tanto vero che nel plur. man, dal sing. ni'tn,
il fenomeno non avvenne perché mancò la spinta analogica.
Si ha nel nostro dialetto anche il fenomeno opposto, cioè -n
per -n (da -nn) nella ;>' plur. ài'i hanno, e nelle forme composte
del futuro {farari faranno, niadaràn mangeranno, ecc.). Per ren-
dersi ragione di questo fatto basterà ricordare che da noi la 3'*
sing. del v. avere è n non à n. 107 : la vocale lunga del sin-
golare, estesasi al plurale, produsse l'attenuazione dell' -n, che
fu poi trattato come tutti gli altri a semplici finali. Da àn il
fenomeno della velarizzazione dell'w si estese anche alla 3" plur.
dei pres. monosillabi ìn ' sono ' n. 161, dàfi, fan, van, stan, tran.
Negli altri tempi si ha sempre, secondo la regola, Vn den-
tale: avin acc. a in ' ebbero ', fiin furono, din diedero, fin fe-
cero, kaiitin cantarono, ecc. Per -ìi da -nnì v. nn. 150, 195
nota.
315. -M. Rimase: kaiìténi cantiamo, iiifém n. 70, fèroni n. 8.
Il mutamento in -n, che si riscontra nelle forme verbali pa-
rossitone romanze kahteven cantavamo, féven facev.imo, tafisen
tacessimo e tacemmo, è da attribuirsi a ragione analogica (sulla
3" plurale), non fonetica.
316. Le altre consonanti son tutte trattate come a formola
intervocalica.
E qui è da osservare che non ripugna al nostro dialetto,
nella sua fase attuale, l'uscita in consonante sonora: roh, ber,
ved, méd , di<j , strecj, kàg , Rei, tPf, cij>tì''^e_iùjdi^v~if (anche
ajtn'ejdi^vif) ' mi pare ' (cfr. luech. Di viso Xieri, s. v., chia-
naiolo In di viso ib.), vertif^. Si nota però frequentemente una
oscillazione fra le due forme, come tei: e teq n. 41, mod e mot
* Cfr. anche Bkktoni, Dial. Mod., nn. 103-lO.j.
Archivio glottol. ital., XV'H.
196 Malagòli,
n. 37; e nei già proparossitoni -s ò preferito a -/, n. 256. Forse
l'oscillazione deriva dal fatto che in fonetica sintattica son re-
golari, secondo i casi (si seguono anche qui le norme date nel
n. 217), entrambe le forme, che si alternano poi in costruzione
assoluta; forse anche, l'uscita in sonora tende ora a prevalere
per l'influsso della lingua letteraria che, per la voce corrispon-
dente alla dialettale, presenta nella maggior parte dei casi la
sonora intervocalica, oppure per l'analogia dei casi numerosis-
simi di flessione e di fonetica proposizionale in cui tali conso-
nanti son sonore. Nella trascrizione ho usato sempre, tranne
per s e z, i\ segno della consonante sonora, perché cosi pronunzio
io con quelli della mia età e coi più giovani, e anche perché
ho osservato che quando taluno smorza la sonorità della con-
sonante d'uscita, non dà mai a questa veramente, come pare al
mio orecchio, il suono della corrispondente sorda; vòd vuoto,
per es., non è, in nessuno di quelli che ho sentito io, uguale
per la consonante ultima a i-ot? 'vuoi?': par quasi che, nel
primo caso, chi smorza il d finale abbia già messo, o più esat-
tamente mantenuto dopo la vocale tonica, in posizione le corde
vocali per la vibrazione necessaria alla pronunzia di quella con-
sonante sonora, e poi arresti d'un tratto lo sforzo, forse a ca-
gione d'una tendenza nostra ad affievolire i suoni in fine di
parola.
317. Cadde -k in un pò (sost.) n. 142, fenomeno comune
anche al toscano e probabilmente di fonetica proposizionale.
Il -ij di fàg, dàg, oàg, sfàg, fràg, tog è analogico cfr. n. 238:
dig, V. n. preced., fu il punto di partenza. — In poleg n. 50 il -g
verrà da uno scambio di suffisso (-icu per -ice).
318. Nei gruppi finali formati di conson. -\- sonante si svi-
luppò da quest'ultima la vocale di cui s'è parlato nel n. 8
[pèder, veder, mèder, lèder, poleder, mèger, fèver, ecc.). Una vo-
cale atona si sviluppò pure nei gruppi di r, l -\- cons. nas.
Studi sui dialetti reggiani X97
0 vibrante o v, </: fProin'^, (doni, Anscloni, kère/t, infPren, iii-
vèreUffgren, grel Kèrel stòrti ii. 182,2, infrol, sèrov, sèlov, iPreg,
kàreg, puleg. Con r, / -|- cons. dentale, o p, b, k non si lia mai
la vocale àtona: pgrt, Ut, sèìt, verd, tèrd, kèld, tcrs ' tàrtaro ',
skérs n. 274, bols, fèls, kPlz, kórp, pHp, grb, èrb, sgèrb, ])grk,
pflk, sglk.
La differenza dell'esito si può spiegare, per m, n, l con la
nasale o liquida sonante (cfr. n. 8), e, per v e //, col maggior
grado di sonorità di tali consonanti.
Nelle enclitiche pronominali, in costruzione assoluta, si in-
troduce sempre la vocale atona, per analogia forse delle forme
in proclisi dav. a cons. (cfr. nn. 162 e 162^'''), a^n^so^dlret,
dJreg, dlrov; la^ne^nàn^dadlres.
319. Nulla di notevole negli altri gruppi, tranne la caduta
di -k preceduto da ìì nel composto nàn n, 203 (da ànk) e in
pràn che corrisponde press'a poco all'ital. ' pure ' enfatico in
frasi come: (^(_y_n' ^e^pràhjtcìhtl 'ce ne sono pur tanti!',
(i_(j_n ji'^praii! ' ce n'è pure! ' e sim., se formato pur esso con
aiik (quasi ' peranche ") ; tale caduta sarà da attribuire a fone-
tica sintattica.
' Per il colore della voc. atona vedi n. 182, -i.
B. TERRACINI
IL PARLARE ITUSSEGLIO
PARTE L
Descrizione del dialetto d'Ilsseglio.
INTRODUZIONE
§ 1. Il presente lavoro ha per principale oggetto la descrizione della
parlata di Usseglio, villaggio situato sull'altipiano che chiude la più me-
ridionale tra le valli della Stura di Lanzo (provincia di Torino, manda-
mento di Vili).
Si comincerà collo studiare abbastanza minutamente la fonetica e la
morfologia ussegliese, fondandoci, fin dove è possibile, su quelle parole
che verosimilmente appartengono da un pezzo al fondo indigeno (P. I,
le 2); si farà in seguito qualche appunto a quelle voci del lessico, che
ne presentino Toj^portunità (3). Eilevato cosi ogni tratto saliente del
pax'lare ussegliese, cercheremo di chiarirne la genesi e di determinarne
il valore, indagando quanto e come ciascuno d'essi si estenda nelle valli
adiacenti della Stura e della Dora Riparia (P. II) K Prenderemo inoltre a
considerare brevemente il nostro parlare dal punto di vista dell'evolu-
^ Per far ciò mi servo di appunti di fonetica, di morfologia e sopratutto
di lessico, raccolti personalmente nelle tre vaili di Lanzo, nella valle della
Cenischia e in quella della Dora Riparia che esplorai da Chiomonte, che
appartiene al dominio schiettamente provenzale, sino a Rubiana, includen-
dovi l'isolata Coazze.
11 parlare d'Usseglio 199
zione più recente, tentando di distinguere nelle varie tendenze sorprese
tra la moltitudine dei parlanti, i fenomeni che stanno per tramontare,
o dan segni di minor vitalità, da quelli che invece s'annunziano come
recenti innovazioni. E poiché tra questi dovremo pure comprendere tutti
i mutamenti dovuti al novissimo influsso del piemontese, avremo modo
di investigare come il parlare indigeno si comporti rispetto a questa
improvvisa invasione (App. I). Seguirà un'appendice fonetica in cui si darà
qualche cenno sull'intonazione della frase e si farà una più rigorosa
descrizione dei suoni col sussidio del metodo grafico (Ari». II).
i; 2. Le valli della Stuia settentrionale, o di Lanzo, occupano la sezione
ilelle Alpi Graie che si estende tra la testata del Rocciameloue ed il gruppo
delle tre Levanne. Esse pertanto confinano : a nord colla valle dell'Orco,
a sud colla bassa valle della Dora Riparia e colla valletta della Ce-
nischia; ad ovest lo spartiacque delle Alpi le separa dalla valle dell'Are,
ad est sboccano per una stretta gola nella pianura dell'estremo Cana-
vese. Esse costituiscono un sistema di tre valli, separate tra di loro da
elevati contrafforti. La più ampia : vai Grande o di Groscavallo, fa capo
alla Levanna, diretta dapprima da ovest ad est, nella sua parte inferiore
piega alquanto verso sud; in essa, nel suo ultimo tratto, si innestano
successivamente le altre due: la valle d'Ala e quella di Viù. La valle
di Viù, la più meridionale delle tre, si congiunge colla valle principale,
pochi chilometri a monte del comune sbocco sulla pianura, e si estende
solitaria e selvaggia nel suo primo tronco e quasi disabitata ; si allarga
poi al suo mezzo in un'ampia e fertile conca, sul cui fondo s'adagiano
le frazioni del comune di Viù, il più popoloso della vallata (capoluogo
di mandamento), mentre in alto, sulla costa sud, a cavaliere di un colle,
sorge il paese di Col 8. Giovanni che colle sue borgate si ijrotende
sulla catena spartiacc|ue, verso la valle di Susa. Dopo Viù la valle ri-
torna stretta e solitaria; al 21o Km. s'entra nel territorio di Lemie, la
cui borgata più bassa, Porno, è una colonia che la tradizione designa
' ome di bergamaschi e valsesiani, emigrati qui nel XIV secolo'. Infine
la strada, superato un alto conti'afforte, penetra per una breve stretta
' Del loro linguaggio, per vero ormai sulla via d'estinguersi, ho raccolto
materiale che intendo presto studiare. Cfr. Cibrariù. 140.
200 Terracini.
nel piano di Usseglio. Questo, lungo 4 Km., è chiuso dallo sperone
della Lera, e si divide in fondo in due anguste valli : a nord quella di
Arnaz, assai breve, a sud quella di Marciausjà che fa capo al Roccia-
melone (v. carta 1*) *.
A mezzo il piano si stende il gruppo principale del paese che si sca-
gliona in quattro grosse frazioni, distanti poche centinaia di metri l'una
dall'altra ^. Più a monte, all'imboccatura del vallone di Marciausjà, sorge
Margùh e pili in alto, e dall'altra riva della Chiara, ta Perhieri, che
costituiscono come un gruppo distinto dal resto del paese. A valle poi,
proprio all'imboccatura del piano, si trovano le Piazzette {Piaste'), la
frazione più isolata, che ha chiesa e scuole projjrie, e fa in certo modo
vita a sé. E forse Fisolamento era maggiore un tempo, perché le Piaz-
zette nel secolo XVI ^ facevano parte della parrocchia di Lemie. Si
comprende quindi come qui si sieno potuti conservare alcuni snoni
caratteristici (cfr. n. 123-4), perduti nel resto del paese.
Infine, sparsi a mezzacosta sulla montagna, specie sul lato sud e in
fondo alle due valli terminali, sono agglomerazioni di case e abitazioni
solitarie per uso della pastorizia [arp, muànde) (v. carta II).
Il piano ha una fauna e una flora tutta appai-tenente al genere al-
pino * : vi crescono larici, aceri, frassini, (salici; mancano invece pini,
castagni e alberi fruttiferi. Il terreno è tutto a prati e a pascoli ; vi si
coltivano la segala e le patate; un tempo vi cresceva anche la canapa,
ma ora tale cultura è abbandonata.
^ 11 piano è circondato da ogni parte da alte montagne. Esso comunica
colla Savoia pel colle della Valletta (m. 3245), pel colle d'Arnaz (3014) e
per il colle dell'Autaret (m. 3070), più facile e frequentato. Verso la vai
di Susa il colle della Portia (m. 2190) mette a Condove, il colle Cupe (m. 2346)
a Bussoleno, il colle della Croce di Ferro (m. 2553) a Susa; esso, di tutti
questi passi, è quello che pei pellegrinaggi al Rocciamelone e pel com-
mercio con Susa nella bella stagione è praticato più frequentemente;
alla vai d'Ala si accede pel passo delle Mangioire (m. 2812) e il passo di
Paschiet (m. 2435).
^ Piane {Pieinél) , Chiaberto [Cabf'rt], Corte vizio iCurtavus), Villaretto
{Ve rat).
^ Più precisamente nel 1550 (cfr. Cibiurio, f). 155).
* Sulla flora e fauna d'Usseglio si trovano abbondanti notizie nell'opu-
scolo : Dna salita alla torre d'Ooarda, Torino, 1873 e negli articoli del Ca-
MERANO e del Santi in Le vaili di Lanzo, Torino. 1904, p. 465, 475.
Il parlare d'Usseglio
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Terracini.
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Il parlare (.rUssoylio '20:->
i; 3. La storia di Usseglio '■ non otfre nessun eienieiito die possa dar
sicura luce sulle vicende tutte speciali che distinguono questo dialetto da
quelli del resto della vallata. T Romani conoscevano la località, poiché
vi lasciarono due lapidi; null'altro noi sappiamo sull'etnografia e sulle
vicende delle valli di Lanzo nell'età romana, né siamo meglio informati
pel periodo del più alto medio evo.
Dominio dei vescovi di Torino, Usseglio fu dato iii feudo, insieme a
tutta la valle di Vili, ai Visconti di Torino e rimase a lungo in eredità
a quel ramo di essi che prese il titolo di Visconti di Baratonia (si-
gnori di qualche terra anche nelle altre valli di Lanzo e possessori di
feudi nella striscia di piano che va dalla Dora alla Stura). Mentre le
valli di Ala e di (Troscavallo. cedute dal vescovo all'abbazia di S. Mauro,
nel 1341 passavano sotto il dominio diretto dei Savoia, i V. di Ba-
ratonia nel 1343 cedettero al Conte di Savoia soltanto la signoria di
Lemie ed Usseglio, ma se ne riservarono la proprietà, tant'è vero che
nel 1447 ne vendettero una parte ai Giusti di Susa, nel 143l> un'altra
parte ai Provana, e nel 1441 possedevano ancora sette parti di Usseglio.
Da allora in poi si contano altre trasmissioni del feudo, che haimo per
noi un interesse assai limitato.
La popolazione ammonta ora a ÌV2.0 abitanti ". Essa è abbastanza omo-
genea e non dovrebbe essersi mutata di molto da qualche secolo in qua ^•,
in quest'ultimi anni, specie alle Piazzette, s'ebbe qualche nuova immi-
* Per la storia di queste valli e particolarmente d'Usseglio, cfr. Cihrakio,
113 sgg., 167 sgg. ; RoNDObiNO, / Visconti di Torino in " Bull, storico biblio-
grafico Subalpino „, VI, 214; L. Usseglio. Le valli di Lanzo nella storia, in
Le valli di L., p. 1 sgg. Per le iscrizioni: CIL, 6947-8. Per la storia ge-
nerale delle valli v. P. II.
' Il censimento del 9 febbraio 1901 dava 1055 abitanti i)resenti e
755 assenti. La popolazione residente è calcolata a 1120 ii.
^ Sfogliando i registri parrocchiali, che si conservano dal 1601 in poi,
s'incontrano nomi di famiglie vive tuttora o di recente estinte; l'immi-
grazione, per quanto almeno si può desumere dai registri matrimoniali,
non è gran cosa: tra gli anni 1601-1605 su trentaduc matrimoni ne trovai
tre soli per cui si sia inti'odotto un elemento straniero; uno solo nel quin-
quennio 1673-8 su trentaquattro casi, due tra il 1809 e il 1813 su ben set-
tanta casi, uno nel biennio 1824-25 su tredici casi, nessuno nei ventiquattro
matrimoni del 1836-37. Il contributo maggiore è dato da Lemic, poche
volte esso consiste in donne.
204 Tornici ni,
grazione di donne lemiesi, ma si tratta di una quantità trascurabile. Come
gli abitanti d'ogni villaggio di montagna, gli ussegliesi vivono isolati
dai paesi vicini. Frequentano i grossi mercati e le fiere di Viù, di Bus-
soleno e di Susa; hanno invece scarse occasioni di recarsi a Lemie o
in vai d'Ala; neppure i rapporti colla Savoia sono frequenti. Quotidiani
sono naturalmente i rapporti tra le varie borgate di Usseglio, sebbene
Ognuna costituisca come un nucleo a sé, tanto che i montanari affer-
mano di distinguere subito, dalla parlata, l'origine degli abitanti dell'uno
o dell'altro borgo.
Manca nel paese ogni industria, eccetto quella della pastorizia; cia-
scuno alleva il suo gregge, coltiva il suo minuscolo campo e, si può
dire, fabbrica da sé la sua casa: quando eserciti un mestiere, è co-
stretto ad emigrare lontano. Nella stagione invernale, si può dire che
nessuno degli uomini validi resti al paese, tutti, dall'età di quindici o
sedici anni sino alla cinquantina, vanno a cercar lavoro, quali nelle
miniere della Vestfalia o della Francia (è però da notai'e che vi si re-
cano sempre a gruppi), quali a Torino, dove esercitano il mestiere di
scardassatori di lana, di segatori e di fruttaiuoli S quali, infine, nelle
nostre pianure, dove attendono alla pastorizia ; alcuni ritornano al paese
ogni anno, altri, specialmente se si recano all'estero, ne rimangono lon-
tani anche per lunghissimo tempo. Verso il 1823 il Francesetti, dili-
gente e intelligente osservatore, dice che la percentuale delle donne che
lasciavano nell'inverno Usseglio era di due terzi, e di tre quarti quella
degli uomini^; oggi la prima di queste due cifre dovrebbe essere al-
quanto diminuita. Riguardo agli altri villaggi delle valli di Lanzo, egli
otFre dati variabili: emerge però dovunque il fatto notevole che, in
generale, a differenza degli Ussegliesi e dei Lemiesi, per lo più braccianti
e pastori, sin d'allora gli altri valligiani esercitavano mestieri, come
quello di domestico '' e di negoziante (salumai e venditori di carne di
montone) *, per cui erano anche maggiormente esposti al contatto di
forestieri; tanto che già il Francesetti stesso li trova sprovvisti di quelle
' 1 fruttaiuoli son quasi tutti di Margone e del Villaretto.
~ Francks., p. 92.
■'' Specialmente gli abitanti di Vili e di Ala, pp. 85, 63.
* Salumai e venditori di carne di montone erano, e sono, qu;isi esclusi-
vamente gli abitanti di Forno e di Groscavallo.
11 parlare d'Usseglio 205
caratteristiclio, che s'attendeva dalla loro rustica origine. Oggi però
anche pei valligiani ussegliesi il piemontese è ormai una seconda lingua,
e talvolta vi ricorrono sin discorrendo tra loro, specialmente in pre-
senza di forestieri.
Tra la [lopolazione residente una classe borghese non esiste ; e la
l'oltura è assolutamente [ìopolare. Vi sono tre scuole elementari, pochi
abitanti sono analfabeti, ma al solito l'istruzione è affatto superficiale;
pochissimo diffusa l'abitudine della lettura, quasi ignoti i giornali. Ti'ita-
liano è parlato da molti, ma come una lingua straniera; grazie alla na-
tura del dialetto ed all'emigrazione, ogni ussegliese intende invece alla
meglio il francese. Manca poi quasi del tutto ad Usseglio la tradizione
di una letteratura popolare indigena ; le canzoni, che ora vanno i)er-
dendosi, sono comuni al piemcuitese e cantate in piemontese; le fiabe, le
novelle provengono pure tutte dal piano; e solo qualche paurosa storia
di streghe e di spiriti è d'origine locale.
§ 4. Fonti scritte. — Il mio lavoro si fonda in gran parte su fonti
orali. Non mi fu dato trovare testi antichi; anche le carte scarseggiano '
e non (•tfrono che nomi locali di poco interesse; il medesimo posso dire
dei conti della Castellania di Lanzo (an. 1306 e sgg.), per quei rotoli al-
meno, che esaminai. Né trovai ad Usseglio, come accade talvolta nei vil-
laggi, dilettanti che osservino con amore il proprio dialetto e ne rac-
colgano le voci rare, le persone più atte a f^ir ciò, il parroco e i maestri
comunali, essendo forestieri.
Siamo ridotti cosi alla parabola del Biondelli; nel libro suo. le valli di
Lanzo sono rappresentate da Viù e da Usseglio • ; il testo ussegliese
contiene parecchi dati preziosi, ma occorre servirsene con estrema pru-
denza. Vi si possono trovare alcuni buoni arcaismi, che rappresentano il
' Usseglio e Lemio non possiedono arcliivi. e nulla degno di nota rinvenni
nelle poche carte che si conservano neH'.Vrchivio comunale di Vili, dove.
di notevole per gli studi dialettali, non vi sono che due catasti, redatti,
l'uno alla fine del secolo XVI, l'altro al prinei|>io dei secolo XVll, essi
sono ristretti al territorio di Viil. 1 principali documenti che riguardano
le valli di Lanzo e i Baratonia sono registrati dal Roxix.uno, 216 sgg.
^ Bio.NL)KLi,(. .524:-25. La valle di Susa è rappresentata dal testo di Gia-
glione. 11 Rapanti (Pai'axti, 492-41 ci da saggi da Chiamorio (Ceres) e Gra
vere (Susa).
206 Terracini,
grado precedente allo stadio attuale, e questi si citano e si studiano a
loro luogo; ma sovente ci si trova dinanzi ad incongruenze che lasciano
assai dubitosi; alcune possono rispondere a reali oscillazioni del parlare \
altre * invece non si spiegano, se non ammettendo che l'autore fosse
incerto nel rendere alcuni suoni del dialetto e avesse tendenza a dare
un colorito forestiero, piemontese, o meglio canavese ^, al suo testo il
cui carattere, del resto, mal si prestava ad offrire un buon saggio di un
parlare rustico ^.
' Il suono prosecutore di ce, t'e eco è reso con se in isci (30, 31),
con ss in: ciossèlu (22), massàio (23), massa (30) e issi (21); ed è infatti
probabile che in isci la pronunzia palatale si mantenesse un poco più
salda che nelle altre parole (v. App. I). Parimente poteva essere reale l'oscil-
lare del suono l' : au gli à dit (29), au fa dit (21) e del suono on rappre-
sentato da 0 in donc (32), in abóndan (17), da u in liing (21), dune (28). L'atona
labiale ora è o : donare (16), sona (25), lo (passim) massàio (23), trova (24),
contro (18), ora u in causala (22), tacciava (16), vàiru (17), ecc.
' La desinenza della 3* pers. è indicata in tre maniere diverse : beicavi,
donave, ere, tucciava, era (14, 16, 25, 32), ha è reso con eia in ciossèlu (22),
con ca in eaiisàlu (22). Il suono « è resoda u in dui{lì). con o in avdi(29).
dona (22), vost (20), pò (23); i (=pa]. a) atono è rappresentato da mu-
ragli (14), ma al (25) si legge campagna, la desin. del plur. fem. e oscilla
tra e : V piltane (30) ed i : beli vesti (22) (se è da leggersi le pi beli v.), la 2*
plur. dell'irap. della 1* coniug. è regolarmente a : m'nà (23), donarne (12),
causala (22), ma se ne trovano pure esempi in e: ciossèlu.
P Cfr. anche Toppino, AGllt. XVII, 517 seg., Goid.].
* Infine tra i casi in cui i miei appunti divergono completamente dalla
Par. noto : l'influsso di i finale sui suoni precedenti : ehei (13) (io ho karki
qualche), agn [an anni), particolarità che torna nel canavese e in piemon-
tese; aviii (11), avii (13) (ora voei^ n. 128); abòndan (3* p. ind.), mentre la 3*
plur. ind. certo già a quei tempi era on : la voce risente del canavese, dove
è regolare. Piemontesi sono : il pronome proclit. di 3* persona : al'à (12, 13),
ma al (15) e pass, au V; tilt (13) (tutto) (ora tut) ; eost (32) (questo) e pro-
babilmente l'impf cong. stàis (stesse, 26), perché gli imp. del cong. in e{
sono un'innovazione recentissima (App. lì: infatti si ha pure fessu {2^), in-
tresse (28); il cond. /■ar/a(19); /)t(30), maal {\2) piii {\)\\\) ecc.; la desinenza
dell'incoativo è in iss:) come in piem.: pascisso (17), scrrìsM (29), mentre io
non conosco che eisu. Vi sono inoltre alcuni errori: abbaronà {\Z) = amb.;
autornand (17) = an torn.; portèa dona (22) = porte adona (se la mia correzione
e esatta, s'avrebbe un esempio assai interessante per spiegare la formazione
di questo avverbio: cfr. RI Lomb, XXXVII, 522); fé sautè=fè sauté (28);
qualche altro punto poi resta per me dubbio o incomprensibile.
Il pai-lare d'Usseglio 207
Su questo materiale lavorarono tutti i dialettologi che s'ebbero ad
occupare, più o meno fugacemente, di queste valli. L'Ascoli, che le aveva
trascurate negli " Schizzi franco-provenzali „. ne parla brevemente nella
sua " Italia dialettale „, ove classificò i dialetti della Stura settentrio-
nale e della Dora Riparia tra quelli che appartengono al franco-proven-
zale, ma ad un tipo che è " affatto evanescente , e " cede ovunque al pede-
montano „'. Il giudizio è forse troppo reciso, né poteva essere altrimenti
pel manchevole e non genuine) materiale su cui si fondava: ma certo ad
Usseglio il franco-provenzale cede veramente al pedemontano, sia che
l'Ascoli con queste parole volesse accennare allo sfumare di un tipo
nell'altro per antica e continua influenza dovuta al contatto geografico,
sia che alludesse al recente e più palese sovrapporsi dell'elemento pie-
montese alla parlata indigena.
Dopo l'Ascoli si occupò di Usseglio il Salvioni nella sua rassegna
sommaria dei dialetti alpini d'Italia ^, e ne rilevò brevemente i carat-
teri per cui si mostra franco-provenzale; a qualche particolarità della
fonetica ussegliese rimandava poi nei suoi appunti sulla parlata di vai
Soana '\ Degli altri paesi delle valli di Lanzo nessuno s'occupò, ch'io
sappia, se si eccettui il Merlo ■* che raccolse qualche voce ad Ala. Il
Rousselot, nel suo studio sul dileguarsi di s dinanzi a t cjj nelle Alpi,
mentre tratta a lungo di tutta la valle della Dora, s'occupa assai breve-
mente di Viù e di Lemie ^. Il Morf, ove tocca delle nostre vallate ", non
fa che fondarsi sui dati dei suoi predecessori e cosi pure il Gròber ', quando
traccia il confine orientale delle parlate franco-provenzali.
§ 5. Fonti orali. — Do qui l'elenco delle persone che interrogai, con l'in-
dicazione sommaria del loro valore come fonte. Distinguo con lettera gl'in-
dividui che meglio rappresentano questa o quella varietà del parlare, e
tra questi noto con asterisco le persone di cui mi valsi per consuetudine;
' Vili. 99.
^ Sai.viuni, La Lettura, 1900. 719.
=• SVS, 97.
* Meki/i, l nomi rotuami delle stagioni e dei mesi. 'Vox'ino, 1903 ;>«.*.*.
"* Et. Roni., 475. Piii precisamente della Saletta, che è una delle frazioni
di Lemie.
* Recentemente in BDR, I, 6.
" GG., I, 718.
208 'r.Tiiicini,
j(li iiltri t'iiiono iiit-i'iTo^at i mumki ìi liiiif^o e sp(!Hso .soniiiiiiii. ninniti; jicr foii-
trolliirc! i fenomeni pii'i importiiiili. 'Putti i HOfif<^((tti sono untivi di Us8o<(lio
o tli fiiiiiigUa usH(i<^lieHe. Il mimerò fra parentoai indica la loro c.ik nel 1909.
Piazzette. — *A. Antonio Costa (7K). Si r(U',i) in f^iovrntii a lavorare in
pianiirii, ma da pili di un drccnnio non si muovo dal paese. E int(dligenti.s-
simo o rispomle assai beni; alle mie domande. 8ia por IVdii elu; )»er la fra-
zione a cui appartiene, rappresenta una delle mie fonti piii iircaiclu'.
B. (Cristina Costa (76), sor(dla, did pre(jedento.
l'ianè. — *C. Unii donna- d'nna ein(|nantina d'anni, che abita stabilmente
ad Usscfflio; l'ho interro<,'ata assai di rado, ma l'ho ascoltata par<!cchie
volto in conv(M-sa'/,ione con altre dmiiie.
Refieuna Secondina (12).
Corlerizio. — D. Cibrario Maiia (51), alber<,'alrice. Visse sem])re ;id Us-
se<»lio e rappresenta un tipo di lingua|^<?io lien conservato, per ipianto nel
suo alborfjo abbia frequente occasione di parlare piemontese.
Cibrario Battista (51), marito dtdia precedente, e i fi^'i:
*E. Teresa Cibrario (23). Non lasciò mai il paese, se non per ])oclii
«ifiorni, e, per quanto «giovane, conserva noi suo parlare nn buon numero di
a.rca.ismi. E una, delle fonti mii,'liori ]iei- prontezza, e ricchezza di voealio-
lario.
Albina (20), Enrica (18), Adele (1 1), Paolina (8), Gaudenzio (16), Lui^'i (14).
*F. Cibrario Vincenzo (64). Kn a lavorare in pianura, ma ora da. un
pezzo non lascia più il paese. Ila un linj^nagfifio già ricco di innovazioni;
interrofja.fo, scivola facilmente n(d piemontese, ma qmtndo racconta (pialche
novella o parla spontaneamente, offre un materiale ricco di voci rare e ar-
(MÌclic, quindi, per chi se ne serva con prudenza, i; una buonissima fonte.
Una donna, d'una cinquantina d'anni: abita ad Usseglio con una figlia
sulla, ventina; (pu-sta fonte fu pili ascoltata, che interrogata.
\'ìll(tri'tl(). — G. " l*in(da „ (40 circa). Ea l'oste ed il carrettiere; vive
sempre ad Usseglio, la moglie ì; di Lemie. Poco intelligente.
H. Giuseppe Eerro-D^amil (46), guida alpina. All'inverno esercita, il
mestiere di carbonaio a Torino, fu pure in Francia a lavorare nelle mi-
niere. Eonte pronta, intelligente, ma. guasta dal conta,tto coi forestieri.
""I. Sua moglie (48), oriunda pure del Villaretto, non si mosse mai dal
paese. Buona fonte.
*L. Gius(!ppe (20), loro figlio, portatore alpino; da ([ualcbe anno ac-
compagna il pa.drc nelle sue emigrazioni. Assai intelligente, rappresenta
assai bone il tipo di parlare che ì; proprio della generazione recente, ricco
di innovazioni morfologiche; il suo vocabolario h poni un po' scarso.
Lorenzo (16), fratello del precedente.
*M. Margherita Costa (78). Fu per parecchi inverni a lavorare in giro
p(d Piemonte, ma da un pezzo non lascia pili il paese. Il marito era delle
II i.arl;ir<- (l'llssc>,'li<. 209
Piazzette. Kisixìndo assai Itcìn- iif^'li inttu-rojjatori, cuiiHcrvii nel suo liii-
jifiia>:f}^i() molti t ratti arcaici n possiede un vocabolario assai rircn.
Suo lìj^lio (;{5).
Sua nuora (8^)), delia l'ciiinTa.
N. \ M.iiiii l-'crro-Barci (70 cii-ra). l''u a, servizio coinè cameriera nel-
l'Italia meridioii;ilt' e all'estero; da multi anni era tornata staldlnu-nte al
paese. Qualche tratto arcaico.
*0. tiiuseppe Ferro-Lelio (72). Fu molti anni a la vorare all't^stero. Ora
dimora slal)ilmeiite ad llssef^lio. Tipo di lin^'uaf,'^ào poco (irndro.
M(ir!/(>iir. - P. (;il)rario detto l'crosiit (4.'"i), oste.
*Q. Sua moglie; buona fonte, assai intellij,'fnl(', Il linf^nia^xi" di am-
l)idue è di tendenza, arcaicizzante.
R. Maria Cdn-ario (SO), nativa, dcdla l'erinera, abbastanza pronta indie
risposti', e una fra le fonti di lin<,'iia;,'.,'io pili arretrato.
S. Un uomo di circa sessanl 'a imi, di professi(jiH! aj^'indla io. Si reca, tilt t i
}^li anni al [laese, ma sta a luiinu, dove cDinive con j^ente «Iella vai
(irande. Il suo liiif^iiaf^j^io ollic i|ualclie I iuta ai(ai<a.
Da fpie.ste fonti raccolsi il mio materiale, sia valendomi ili iiiti-rrof^atorl
diretti, sia sorpr«ind(Mido forme e parole india, conversazione spontanea. Nel
in'ocedere nella mia raccolta, procurai di porre in opcna tutti (piej^di accor-
<:^iinenti che la metodologia su<,'f.,'eris(;e, cercando il'ottenere, con vari mezzi,
forme spontanee, controllando sempre mia risposta coH'altni, e soprattutto
facendomi un concetto (diiaro del valore di cia-<iiiia fonte.
Resterebbi! ora da precisare come l'insieme didle mie fonti rappresenti il
complesso del linffuajifLfio usse;?lios(^ md suo procedere di ^generazione! in
f»enerazioiie, nel suo variare da bor^Mta a liorgata; ina, di ciò si discorrerà
])iii opportunamente nel capitolo destinato a tali variazioni '.
§ 6. Ahbrcviazioìii delle opere |)hì NpeNHO cilate. Per i nunieroHi
scritti che non formano libro a si', rimando sempre dirtd.tameiite alla rivista
o alla raccolta in cui sono c<iiiti:nul,i, adottando le si<^de indicate dal linllitin
(le Diiili'clt>to(/ie roimiiie.
Faccio eccezione soltanto per gli studi del Ni<,'ra, del Morcsi e de]
Salvioni, a cui in questo lavoro dovrò rifarmi continuamente. Per solito
rimando ai vari volumi di questa Hirisfa, indicandone semplictimente il
numero d'ordine.
Beitr. = A. .Mis.sai-ia, Bcitniy ziir Kunde dir nurdildliinisi hm Miindarlin.
Wien, \^1?, Cest ratto da DAk Wien).
' \^ Appendice I, dove sarà |)iir<' dato un complemento a questa list,a
delle fonti, la quale risale all'entate d(d I90!i.
210 Terracini,
Biondelli ^ B. Biondelh, Saggio sui dialetti Gallo-italici. Milano, 1853.
Bridel = Bkidel, Glossaire da patois de la Suisse Romande. Lausanne, 1866
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Cerlogne = Ceklogne, Dictionnaire da ^^rt^oì's Valdótain, précède de la
petite grammaire. Aoste, 1907.
Cibrario = L. Cibrakio, Memorie storiche. Torino, 1868.
Charbot = Patois du Dauphine', 1" partie : dictiomiaire ine'dif de Cii&iiitOT ;
2" partie : dict. inédit d'HEcxcR Blanchet, publié(s) pour la première
fois sur le manuscrit originai par H. Gariel (Bibliothèque histor. et
littér. du Dauphine, t. lY).
Costantin. = A. Cost.vnti.v et I. Désoumaux, Dictionnaire saroyard. Paris-
Annecy, 1902.
Devaux = A. Devaux, Essai sur la langue valgaire da Dauphine septen-
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Duret = DcRET, Grammaire savoi/arde p. p. Koschvitz. Berlin, 1893.
Einfùhr. = W. Meyer-Lubke, Einfitìirung in das Stndium der Romanischen
Sprachirissenschaft. Heidelberg, 1909^.
Essais, Essais'- = A. Thomas, Essais de philologie fran^aise et provengale.
Paris, 1899. Nouveaux essais... 1904.
Et. Rom. = Etudes romcines dédiées à Gaston Paris. Paris, 1891.
Fenouillet ;= A. Fenouillet, Mémoires sur le patois savoyard. Annecy, 1903.
Frances. = L. Francesetti, Lettres sur les rallées de Lamo. Turin, 1823.
Fr. Gr. = W. Meyer-Lubke, Historische Grammatih der Fransosischen
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Herzog = E. Herzog, Neufranzosische Dialekttexte. Leipzig, 1906.
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Gè. == R. Renier, // " Gelindo „, ecc. Torino, 1896.
Gill. Atl. Vali. = J. GiLLiÉitoN, Petit alias phone'tique du Valais roman
(sud du Rhòne). Paris, senza data.
Hàfelin = Haefelin, Abhandlungen iìber die romanischen Mundarten der
Sildwestschweiz. Jlrste Abt. : Die Mundarten des Kantons Neuenburg.
ZVglS. XXI, 289, 481.
Hàfelin- = Haefeun, Les patois romans du canton de Fribourg. Leipzig, 1879.
Horning = A. Horxixg, Die Behandlung der Lateinischen Proparoxytona
in den Mundarten der Vogesen und in Wallonischen. Beil. z. Programm
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Il parlare d'Usseglio 211
Jaberg = K. Jabeuo. Ueber die assoziativen Erscheintoiyen in (ìer V erbai -
flexion einer Sudostfranz'ósischen Dialektgruppe. Aarau, 1906-
Jaccard = H. Jaccard, Essai de toponimie. Lausanne. 1906 (Meni, et docum.
p. p. la S. d'hist. de la Suisse rom., 2^ S., VII).
It. Gr. = W. Mkyeu-LùiìivK, Italienische Grammatik. Leipzig, 1890.
Iserlohe = H. Iseiu-ohe, Darstellung der Mundarf der Delphinatischen
Mysterien. Dissert. Bonn, 1891.
Lara. = C. Salvioxi, Lamentazione metrica sulla passione di X. S. in antico
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rimanda ai vari volumi colla semplice indicazione: 1, li. III.
Mor. = G. Morosi, L'odierno linguaggio dei Valdesi di Piemonte. AGlt, XI
(per paragrafo^
Odln = A. Odix, Phonologie da patois da canton de Vaud. Halle, 1881.
Odln- = A. Odix. Elude sur le verbe dans le patois de Blonag. Halle, 1887.
Papanti = Papaxti, / parlari d'Italia in Certaldo. Livorno, 1871.
Par. = Parabola del Bioudelli nel dialetto di Ussegliu (Biondeli.i, 525).
Pipino Gr. = ^I. PuMNo, Grammatica piemontese. Torino, 1783.
Pipino V. = M. Pipino, Vocabolario piemontese. Torino, 1783.
Puitspelu = X. PuiTSPELi", Dictionnaire étymologiquc du patois de Lyon.
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Roussey == Cu. Rousset. Glossaire du patois de Pournois. Paris, 1894.
Schàdel = B. Schaedel, Die Mundart von Ormea. Halle. 1903.
S V S. = C. Salvioni. Appunti sul dialetto di Val Soana. RlLomli, S. II,
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Urtel = H. Urtei,, Beitraye zar Kenntniss des Neuchateller Patois. 1. Vignoble
und Béroehe, 1897.
V S. = C. NiGKA, Fonetica del dialetto di Val Soana (Canavese). AGIt, III, 1
(per paragrafo).
Zalli ^= C. Zalli, Dizionario piemontese-italiano-latino-francese. Carma-
gnola, 1830.
Zimraerll = Zimmerli. Die deutsch-franzosische Sprachgrenze in der Schweiz.
Base!, 1895-9.
Ecco inoltre le sigle dei paesi pili spesso citati (cfr. carta li): Cer(esole),
N'o(asca), Gro3c(avallo), Chial(amberto), Mezz(enile), Tra(ves), Ce(res) Ala,
Mondr(one), Balfme), Viti, C s. G(iovanni), Le(mie), Uss(eglio), Chio(monte),
Nov(ale3a), Ve(naus), Momp(antero), GiagUione), For(esto), S. Di(dero),
Mo(cchie\ Chia(vrie). Cond(ove), Me(ana), Grafvere), S. Gio(rio), Villar
(Focchiardo), Vafiesi, Val G(ioie\ Co'azze), Rub(iana\ Mompel(lato).
Arcliivio glottol. ir.'il , XVII. 15
212 Terracini,
FONOLOGIA
A) Descrizione dei suoni e trascrizioni. "
Il dialetto possiede all'incirca le medesime serie di suoni che
il piemontese ; riservandomi di farne in appendice una pili mi-
nuta descrizione col sussidio del metodo grafico, ne do ora qualche
notizia, che meglio spieghi il valore delle mie notazioni.
I.
VOCALI
Nelle gran varietà di vocali che segnano i principali gradi
delle serie palatina e velare, le gamme deWe e dell'o sono pili
ricche di sfumature che quelle dell'i e dell'in ; nella serie labio-
palatina, invece, anche dell'a^ manca, almeno come tonica, qualche
varietà larga. Nella serie palatina la gamma dell'e tonica è più
ampia che in toscano, poiché e ed e sono, Tuna leggermente pili
chiara e l'altra decisamente piiì chiusa dei suoni corrispondenti
toscani ; la serie labiale è invece pili ristretta : pili chiuso l'o,
pili aperto l'u. Rispetto al francese, la serie labiale e labio-
palatina sono più larghe. Lo schema delle vocali, comparato
Il parlare d'Usseglio 213
col toscano e, per le labio-velari, col francese, può essere ap-
prossimativamente rappresentato cosi ^ :
tose. / i frane, il n tose.
/ ., ii
il) i
(«) ^ («)
[tv) frane, (e (.<?)
; ce 0
0
tose, e
tose, e ' (oe)
o tose.
a a
a
Premessi questi riferimenti generali, passo ad esaminare som-
mariamente ciascuna vocale, avvertendo che i segni diacritici
hanno naturalmente un valore relativo: p. es. notai aperta o
chiusa quella vocale che sentii più larga o pili .stretta di quel
tipo di ciascuna gamma che, per essere men dotato di caratteri
decisi, può ritenersi come medio -.
o è medio, dinanzi a n prende un colorito leggermente ve-
lare che io in generale trascuro di notare. Di a digradanti verso
^ Cfr. lo avvertenze del direttore di questa Rivista, XVII, p. xxiv e
l'esempio del Malauoli, XVII, 43. Le voeali in parentesi sono instabili e
soltanto atone. I francesi il, m, sono le vocali &\ paru, peu.
^ Poiché la quantità delle vocali è fissa per le brevi, ma variabile per
le lunghe, secondo il tipo della frase, ebbi cura di indicare ogni caso in
cui la vocale può essere lunga, ma non segnai mai la quantità
sugli esempi; la breve è invece regolarmente notata. Pei casi dubbi o an-
cipiti, che pure non sono segnati, v. n. 133, ove si danno tutte le indica-
zioni che concernono la quantità. Per la modulazione delle vocali v. l'Ar-
liendice II. E ovvio osservare che le incongruenze che si potranno trovare
nelle mie notazioni rispondono a divergenze reali che sono tutte studiate
al loro luogo. Nelle vocali atone non distinsi che qualche spiccata varietà di
e e di te; e i u sono lievemente piii larghi delle toniche corrispondenti ;
« postonico è invece un poco più chiuso. Non segnai neppure la nasalità,
per la quale v. sotto.
214 Terracini,
la serie palatale ce n'è di due gradi, tutti e due provenienti
da un antico e: uno all'orecchio suona come a, ma conservò piii
a lungo e forse conserva un'articolazione palatale, perché non
si lascia mai chiudere dal contatto di ?i, l'altro (v. n. 24) varia
di colorito secondo i parlanti da a sino ad à.
e. Oltre alle varietà toniche già segnalate è da ricordare r
atono evanescente che assume sempre un colorito piuttosto chiaro.
ce. È, come si disse, piuttosto chiuso ^ Brevissimo e atono
esiste in molte qualità di varia apertura, da 6 sino ad ìi_, ed
anche di vario colorito palatale : ó, o ; sfumature che nella no-
tazione spesso trascuro, data la loro instabilità e la difficoltà
di coglierle esattamente.
0. Le varietà sono men decise che per e e piuttosto chiuse.
0 ed u esistono, o come particolarità individuali, oppure, in
certe fonti arcaiche, come sporadica pronuncia di u provenienti
da un antico o.
il. È meno palatale e pili largo che il suono corrispondente
francese.
11 dialetto possiede poi un e, identico a quello piemontese,
che generalmente è largo, ma che talvolta può colorirsi in più
maniere, difficili da percepirsi ; sull'analisi di questa vocale
conto di trattenermi più a lungo nell'Appendice IL
Le vocali seguite da nasale in sillaba aperta sono oggi per-
fettamente orali ; in sillaba chiusa ed in finale hanno, come in
piemontese, un grado di nasalizzazione assai ridotto che non
viene mai indicato. La caratteristica delle vocali nasali sta quindi
nel loro colore: a ed ^ sono brevissime, quasi due suoni sfug-
genti; si ha poi ci, e, f ed o: e, /7, v sono lievemente più chiare
delle corrispondenti orali ; esistono infine <}, n nasali, nelle me-
desime condizioni di quelle accennate al capoverso precedente.
' Scrivo sempre ae per i}. V. questo volume, p. xxiv, n* 1.
Il parlare d'Qsseglio 215
II.
CONSONANTI
Do per ora un cenno generale sulla forma, il luogo e le zone
di articolazione delle consonanti. Lo studio palatografico dira poi
pili precisamente come l'articolazione si modifichi secondo la
posiziono della consonante nella parola e nella frase.
a) Continue.
a) Vibranti.
l. E prepalatale, ma accompagnata a vocali palatine diviene
dentale.
/•. È nettamente prepalatale.
^) Nasali.
n. È dentale.
il. Se è preceduta da consonante diversa da una dentale, o
se è finale, si articola colla base della lingua rialzata verso il
palato molle. Quanto pili la vocale è palatina, tanto pili il luogo
dell'occlusione è avanzato ed il contatto della lingua col palato
è maggiore ; per i e per e^ esso diviene completamente palatale
od interrotto solo assai brevemente nel centro, in modo da dar
luogo quasi ad una semi-occlusione. Se segue invece una den-
tale, n, per quanto indebolita, par conservare l'articolazione
dentale.
in. Non perde mai. neppure in finale, la sua articolazione
labiale.
216 Terracini,
n. È nettamente alveolare; il contatto della lingua col pa-
lato è poco ampio.
y) Spiranti.
s e f. Per l'articolazione della fricativa la lingua lambe il
palato cogli orli, lasciando un discreto spazio libero al centro
ed avanzando solo fino alla regione prepalatina.
f, V. Sono labiodentali ; v deve essere articolata assai legger-
mente, data la facilita con cui, in certe condizioni, passa a u
bilabiale.
L E articolata ai lati del palato, che al centro rimane larga-
mente libero: la sua zona varia alquanto secondo la posizione
nella parola.
u. Come in italiano.
b) Esplosive.
p, b. Nulla da notare.
t, d. Nelle varietà più deboli di queste consonanti la punta
della lingua tocca spesso i denti superiori ; altrimenti esse sono
completamente alveolari ; d è lievemente più avanzata di t.
k, (/. Sono articolate ai confini tra il palato molle e il duro;
in contatto con una vocale palatina l'articolazione subisce uno
spostamento in avanti, assai maggiore ai lati che al centro.
è, g. Per quanto non vi corrispondano etimologicamente; sono
identiche alle corrispondenti piemontesi. 11 contatto col palato,
assai più ampio naturalmente che per t e d, data però la natura
di questi suoni, è relativamente ristretto, poiché non oltrepassa
mai la regione prepalatina.
/ e f? interdentali sono limitati alle Piazzette (e. Introduzione).
Nella generazione media e giovane (v. App. I) l'interdentale sorda
è sostituita da h. L'articolazione si è indebolita, la lingua non
Il parlare d'Usseglio 217
si spinge pili sino ai denti e, rimanendo piatta nella bocca, leg-
germente arcuata alla base, produce l'aspirazione.
Per le tendenze di certi gruppi ki^, (ji, ^''^'^if, ecc. v. Appen-
dice II ; sull'origine e l'antichitci di r, I, ?, e, v. App. I.
Nel complesso del suo sistema di suoni, Usseglio segue stret-
tamente il grande gruppo a cui appartiene, le cui tendenze si
possono riassumere cosi :
P Una tendenza alle articolazioni rattratte che sì mani-
festa nel colorito palatino assunto da alcune vocali, e nella for-
mazione delle consonanti rattratte, delle quali ora solo tre so-
pravvivono, n e e, (], ma che un tempo erano più numerose,
poiché tutti i nessi con e lianno in origine dato luogo a rattratte
che pili tardi si sono variamente risolte.
2*^ Una tendenza a dare grande preponderanza e lunghezza
alla tonica, a detrimento delle atone, v. n. 133.
3" Una tendenza all'indebolimento delle consonanti in sede
debole, che provocò i noti fenomeni di nasalizzazione, di pala-
talizzazione, ecc. — Un indebolimento, certo pili recente, pro-
dusse lo scempiamento delle consonanti lunghe, v. n. 1.52'', l'avan-
zamento di .V a /. e lo spostamento in avanti nell'articolazione
delle esplosive.
B) Note di fonologia storico-descrittiva.
Per la grafia e la nomenclatura, seguo il sistema di
questa rivista. Credetti opportuno tenermi abbondante negli
esempi; quando il loro numero mi parve nuocere all'equilibrio
dell'esposizione, lasciai nel testo tutti quelli che, per apparte-
nere a gran parte del territorio romanzo, mi parvero pili sicuri,
registrai in nota i restanti.
218 Terracini,
Talvolta un etimo latino è preceduto dal segno <C (da leggersi
" derivato da „), quando occorra significare chiaramente che in
realtà la voce volgare non ha nulla da fare colla latina, ma è
una semplice formazione romanza.
I.
VOCALISMO
Sintesi fonetica del vocalismo tonico (•'•).
(i) Parossitoni. — P In sillaba aperta tutte le vocali rag-
giunsero il loro pieno sviluppo, che si manifesta colla lunghezza
e col dittongamentq; se il dittongo oggi non compare che in
scarsa misura, ciò deve attribuirsi a ragioni secondarie ; 2*^ In
sillaba chiusa sono notevoli le tracce di dittongamento presen-
tate dalle vocali larghe; in posizione ^ è invece da osservare
il grado di riduzione cui le vocali chiuse poterono giungere.
Sia in sillaba aperta che in sillaba chiusa, la distinzione delle
vocali romanze si è conservata: esse, tenendo conto delle ana-
logie che i loro esiti presentano, si possono raggruppare a
questa maniera :
i u ; e O ; e O ; a.
h) Proparossitoni. — La vocale si sviluppa generalmente
come nei parossitoni, cosa naturalissima in una regione dove
* Le condizioni speciali di questo dialetto mi hanno consigliato a non
abbandonare il consueto ordinamento analitico del vocalismo tonico; ma
per porre in rilievo tutto quanto v'è di omogeneo nello sviluppo delle vo-
cali toniche intonando il mio lavoro al nuovo sistema sintetico giustamente
propugnato daj direttore di questa Rivista, premetto all'analisi di ciascuna
vocale questa sintesi fonetica del vocalismo tonico.
^ Pel senso che io do al termine 'posizione' v. la nota del n. 1.
Il piirlare d'Usseglio 219
la prosemitonica cadde abbastanza presto; i casi contrari sono
tutti dovuti ad un ritardo della caduta ; si ha allora lo sviluppo
proprio della vocale in posizione: cfr, le osservazioni fatte a
proposito di trèfe ecc. n. 192. (jitva n. 31'' e 91, kndn n. 192,
teise n. 42; cfr. pure hcrh'i n. 92.
e) OssiTONi. — Di antica data è il nien pieno sviluppo
di certe vocali, trovatesi di buon'ora in finale assoluta:
non ho da ricordare che il caso di prò ecc. v. n. 31''. Le vocali,
invece, che si trovano semplicemente in sillaba finale, mani-
festano una tendenza opposta: esse sono pili piene che alTinterno,
ciò si vede assai bene nei casi di e o ì u in posizione: v. n.3, 11,
24-7, 34-5. Inoltre la finale preferisce la vocale larga, quindi ei
diviene (>7 n. 18, es'^""^^ diviene e^ n. 44 ; o tende ad o n. 56 ed
eh diviene fin n. 29. E ancora in finale che o patisce palataliz-
zazione n. 35 e che o ha per continuatore «' n. 55; questa po-
sizione, dunque, favorisce lo sviluppo di elementi palatali.
d) Influsso di consonanti: 1'^^' Influsso di liquida: eccet-
tuato il caso di e v. n. 24, r, quando chiude la sillaba, rende
chiara e lunga la vocale precedente: quindi da e si ha er n. 45,
da o, or n. 56'', ds, o, r»- n. 33'', da lì, or n. 13. Meno perspicuo
è invece l'influsso di /. che si esercita soltanto su e, riducendolo
ad (■' n. 46 :
2° Influsso di palatale: a) Una palatale seguente non
esercita la sua azione che su pochi casi di e e di o in po-
sizione n. 27, 35 ; / allarga per dissimilazione le vocali della serie
velare: koit n. 54. /loij n. 32, fr<iitn n. 14; ,s '■""*, al momento
attuale non manifesta sulle toniche la sua azione palatalizzante
v. n. 187; tutt'al più è da notare che e ed e danno in questa
condizione sempre un (< ; /?) Una palatale precedente assi-
mila le vocali chiare, rendendole più palatali: a passa in e,
n. 65, et in t n. 21 e «^ in e n. 27.
3" L'influsso di labiale può ritenersi nullo: v. n. 4.
2'20 Terracini,
4" Influsso di nasale. Lo studio delle vocali dinanzi a na-
sale in sillaba aperta è uno dei problemi più interessanti
della fonetica ussegliese, che non può risolversi, se non colla
comparazione estesa ad un territorio abbastanza vasto; antici-
pando ciò che a suo tempo spero di dimostrare (P. II), dirò che
gli esiti attuali rappresentano un'antica vocale nasalizzatasi par-
zialmente pel contatto di n e di m, e quindi ritornata orale.
Questa nasalizzazione ha effetti analoghi a quelli prodotti dalla
vicinanza di una consonante doppia, e in realtà per alcun tempo
la consonante ebbe il valore di una vera doppia : v. l. e. Infatti
resistono e si mostrano pieni a e o^ per quanto quest'ultimo si
oscuri in h n. 68, 58; si comportano invece come in posizione
tutte le altre vocali: v. n. 5, 15, 36. Ma alla serie delle vocali
piene viene questa volta ad aggiungersi l'esito di e, il cui dit-
tongo resistette a qualunque riduzione, n. 28, ed a sottrarsi
l'esito di e che si confuse con quello di i, v. n. 42. Ciò prova
che la nasalizzazione si piodusse in epoca relativamente tardai
In finale, n, divenuto fortemente faucale, esercita una più
sensibile azione sulla vocale con una serie di fenomeni che
possono ricondursi tutti a casi di palatalizzazione : il turbamento
' Ove pei" qualche accidente non intervenga la progressione s'ha la vo-
cale piena : ndvlne indovina, pìtip pettina, traslne ecc.. dune, dilnu, kumc
da precedenti done koinè che sono ancor vivi come arcaismi (v. App. I): cfr. Par. :
con come (19). I casi di consonante doppia sono troppo scarsi e incerti per
darci, come ci si attenderebbe, l'esatto parallelo dei casi di sillaba libera:
bend (capanna), v. § 3 dona, madona, per vero tutte e due voci di poco uso
(cfr. l'esito di gm). Rimane l'enigmatico snii sonno. Esso si presenta nei
dialetti franco-prov. con doppio vocalismo: o ed e. Cfr. SVS, 37. Devaux215.
ALF(B) soinineil, e P. II per le nostre valli, dappertutto abbondano le forme
ridotte, sovente analoghe, se non simili, a quelle di o chiuso, si che vien
fetto di pensare alla forma italiana : sonno GG, I, 668, pei particolari della
questione v. P. II.
11 parlare d'Usseglio 221
di a 11. 69, la chiusura di i_e in i n. 48 ed infine lo scompiamento
di e/ in e n. 28 ^
In sillaba chiusa s'ebbe, come pili antico e largo effetto, la
confusione tra e ed e. tra o ed o -. S'ha poi da notare il pili
recente turbamento di a n, 7») ed infine il recentissimo turba-
mento di e n. 30'', che per ora è limitato a qualche varietà
della posizione finale.
Il contatto della nasale ha pure l'effetto che i dittonghi
tendano assai a ridursi: ai in e v. n. 131 ei in i, oi in o; e che
alcune vocali. (/ ed ^, subiscano pili facilmente l'influsso delle
consonanti palatali : v. n. 70, 80".
e) INFLUSSO DI VOCALE. Iato. DITTONGHI. — Lo studio sulla
sorte di una tonica, venuta in contatto con una vocale o una
semivocale, fu posposto, per ragioni di chiarezza, allo studio
delle afone v. n. 119 sgg.
Siìif/ole vocali toniche.
I ed U.
Sia in sillaba aperta che in sillaba chiusa sono lunghe ;
ma in posizione" presentano turbamento e riduzione.
' Nelle vocali estreme non si ha turbamento alcuno. Ma, almeno per ti,
non escludo ch'esso un tempo vi sia stato e che la vocale si sia oscurata
di recente : l'indizio è oti'erto da nilh di fronte a noena: dove uno schiari-
mento forse ci fu, poiché, oltre che dalla nasale, esso poteva essere pro-
dotto dalla palatale precedente, v. n. 15.
Dinanzi ad ìh la vocale ora è piena v. n. 214. Ma tracce di un antico
turbamento s'hanno nell'estrema brevità ancor conservata da ii in fihn,
piatibn pavimento e nel passa^^gio di pritn a prilin: n. 4.
2 Cfr. SR, V, 98.
' Nello studiare le vocali toniche, distinguo i casi di sillaba a p e r t a [l]
222 Terracini,
i — [I] 1. In sillaba aperta l : dire, rire, vira, yan/iva gen-
giva, skrire; dif dice, rit ride: -ile restii fil della schiena, fil,
niril aprile ; via vivo, ni nido : inf. e parfc. della II con. : drilmi,
miiri, visti
[IIj 2. In sillaba chiusa ^n'-s-Za, rista canapa \ r/ò-Ci accesa '-.
[Ili] 3. In posizione, come dimostra la comparazione 3, si
produsse originariamente un turbamento, segui pili tardi un rein-
tegramento della vocale, ma all'interno di parola il turbamento
cagionò la progressione d'accento : fin figlia, lantin lenticchia,
vini vigna, salitisi salciccia, reci ricca e inoltre stisi goccia
V. § 3 *. In finale la vocale reintegrata può essere, secondo i
casi, di lunghezza assai varia, v. n. 133: //V, -iclu; ambiìrii^,
saoil pungiglione, ecc. ; trankuil, kiipis nuca, iskrit, rik ^.
Evoluzione condizionata". — 4. Per influenza di labiale si
da quelli di sillaba chiusa [II] e. trattando di quest'ultima, per le vocali
che han tendenza a ridursi, separo i casi di forte posizione [IH], do-
vuta a nessi palatali e a doppia, da quelli in cui la chiusura è dovuta ad s,
a liquida, ad X, a r doppia (Mi servo dunque del termine 'posizione' in
un senso piìi ristretto dell'ordinario). Considero infine l'influenza della
nasale [IV]. Del resto mi permetto ogni liberta nell'ordine dell'esposi-
zione, purché spicchi chiara la storia complessiva di ciascuna vocale.
' K. 8103.
- < *v i V i s e ò NiGRA, ZRPh, XXVII, 345, e Salvioni, Mei. Chabaneau, 539.
3 I, 39 e P. II.
* Inoltre t^eràt n. 1. da *Vìllar, che probabilmente presuppone un *vela
villa. In fì.kà argine, mikd pagnotta, skrità scritta, il tui-bamento è dovuto
alla pronuncia forte, quasi doppia, della consonante, trattandosi di voci di
provenienza straniera. V. la questione trattata al n. 230. Nelle parole assai
recenti, o dove per ragioni di analogia non avviene progressione (v. n. 230).
si ha ì : ahguila, distise-, pii^e morde, v. § 3.
" Lo schiarimento in malen, che è pur voce del pieni, rustico, è recente :
si tratta di una voce importata da poco, come attesta il femm. niaìina.
^ Sotto il termine di evoluzione condizionata raggruppo quegli esiti i quali,
pel palese ed immediato influsso di particolari condizioni, li distinguono
dall'esito di ciascuna vocale, che chiamerei cai-atteristico. È ovvio osservare
che non mi valgo di questo termine se non per pura comodità di esposizione.
Il parlare d'Usseglio 223
ha ti in priim (sottile), ma questa voce veramente deve discen-
dere da *prèiH formatasi a cagione della nasale (v. sotto). Non
rimane che vosf (visto) della Par. '.
[IV] Influsso di nasale. 5. In sillaba aperta, all'interno, s'ha
un trattamento analogo a quello di posizione, v. n. o : ptrim'i, {ia-
lina, spina, mcijina, matinà - ; ìinu'i, prima, siìntà cima; la per-
sistenza di i prova ch'esso nasalizzandosi non s'era di molto
schiarito, si che si comportò come un i protonico v. n. 94*.
6. Ciò ha un buon parallelo nel trattamento in finale dove
pure non si ha turbamento: camiii camino, kriii. vcjiii vicino,
Kìn vino, fmii^ faina: -inu heifiii. cat'iii. 7. In sillaba chiusa
la vocale è pure intatta : /' : kiitfe, sìiik cinque e vini ■' venti.
u, I 8. In sillaba aperta è ir. part. in utu: />fl^/? battuto,
pulii potuto, l'ui'i venuto, vulà voluto, kril; pijì, sii. fii, kiil, fiij :
piife pulce.
Evoluzione condizionata. — 9. D'influsso di labiale ^ si ha
pure qui il diffuso esempio, frì'fuhi patata. 10. Influsso di /• :
tinfii.ra tintura, mondiirà macinatura (v. ij :3), mifiird misura ; la
comparazione ci mostra che si tratta di una vocale anticamente
schiarita e turbata: v. P. IL II fenomeno pare recente e limitato
al suff. lira ^, quindi si ha: diir duro, iskiir scuro, iniir, siki'ir,
' Cfr. Co. viisf. La forma ussegliese non è chiara, può darsi che si tratti
di un prodotto ibrido, dovuto all'incrocio di vist con icfX che oggi ~e la
forma piti corrente di questo participio ; non e escluso però un passaggio
di vist a vii^t, voest. per cui v. n. 14. Per siibi^r, fischia, cfr. 1, 3ó.
^ Ancora eiminà, feisinà, kiifinà.
^ Cfr. Moì-fband, 234 sgg.
' I, 58.
' Di questo turbamento esistono tracce pili o meno larghe in qualcuno
dei paesi da me esplorati: ad es., restando costanti e distinti i tipi duru
e -atura, si ha: a Viii : ini/ije'ra, tinta^'ra, vit'''ra ; Momp. mifìlra, S. Di :
mi/(eJa, sintoeT'a; Ven. h ^il/unì ; insomma schiarimento e brevità della vo-
cale, qualche lieve traccia di lunghezza nella consonante a S. l>i. e con-
224 Terracini,
diìra, fskilra. u (Jilre bestemmia, piira, fg'dre rigoverna cura t,
filfilre 3* p. tira un filo.
[II] 11. In sillaba chiusa il: biisci ^ festuca, riìsci * scorza,
siisci fuliggine ^, g'àst^ gusto, partiis buco, ils uscio. | III] 12. In
seguente spostamento d'accento. A Dompierre turbamento e spostamento
sono limitati ad -ura : ZRPh, XIV, 447 ; così pure nei " Mélanges Vaudois ,;
ZFSL, XXXV, 19 ; a Friburgo : ZRPh, XXIV, 233 ; a Val d'Illiez (Vallese) :
RDR, II, 298 (qui si ha m-Uz^ra e hyild^ra, con accento oscillante tra la
Ijrima e l'ultima sillaba, e una serie di tipo hotswoijr^ " croùte autour de
la bouche ^, pètivoì/r^ (ceinture) ; ma in questo secondo caso, come aveva
già visto il CoRNu per gli esempi analoghi della v. di Bagnes : Ro, VI, 383,
si tratta di -atura esteso a qualche esempio di -ura) ed anche nella valle
d'Aosta (stando almeno alle indicazioni un po' vaghe del Ckrlogxe, 10-11).
Inoltre lo Hafelin raccolse a Lignères (Friburgo), dove U = u, djoui-e (jure)
e natoìire ; a Leysin si ha tjjcitarà tintura e forme analoghe a Diablerets
(Basso Vallese), ad^Vo, dz^Ve solo a Leysin: Jaberg, 5,6. Infine lo Zimmerli,
I, t° Vili registra forme di tipo siier sicuro, diier (duro) a Grandval (Jura)
e in qualche altro villaggio vicino, alcuni dei quali hanno pure il femm.
dilp', che compare isolato a Vauifelin e Romont ; nel Vallese poi a Ardon :
dij diirà, schiarimento si ha pure in due comuni dell'lsère : A IjF, 429 n. 912,
921, a Courmayeur ed Aosta.
Eliminati questi ultimi casi dove non si ha turbamento, ma un allun-
gamento analogo a quello studiato al n. 13, scartiamo pure i verbi, che
si possono ritenere col Jaberg come soggiacenti all'influsso delle forme
arizotoniche. Restano gli esempi di -u r a : date le forme piemontesi, è
impossibile amméttere, seguendo il Jaberg, che il turbamento sia l'eftetto
di uno spostamento spontaneo dell'accento : i due termini devono essere
invertiti. La causa poi della vocale turbata e accorciata sta nel fatto che
le forme forti di -ura in questo territorio sono rare e non popolari: cfr.
II, 492 e 466, e quindi pronunziate originariamente colla consonante lunga
V. n. 230. Naturalmente l'importazione di siffatte parole continua, ma esse
sono ormai assorbite in tutto il territorio senza alcun mutamento : per
Uss. V. App. I ; anche Jaberg, 6 n* 3.
i Fr. buche, K. 1673.
2 Ro, XXVIII, 106. K. 8217.
^ K. 9221. Qualunque ne sia l'etimo, si parte sempre da li ; sull'etimo
cfr. le diverse opinioni del Salvioni, XVI, 370, e dello Horning, ZRPh,
XXIV, 557. Il tipo d'Uss. imbroglia ancor di pia la questione col suo s; ma
di tutto ciò al § 8 (v. la replica dello Horning, ZRPh, XXX, 461).
11 pili-lare d'Usseglio 225
posizione si lia briìta brutta; in finale ora la vocale si pre-
senta piena : hriit.
Evoluzione condizionata. — 13. Per influenza di r Vii passa
in èe: la comparazione mostra che questo ce è di natura diversis-
sima dal seguente, perché nei paesi vicini gli corrisponde un
dittongo di tipo m (P. II): cioè r allargò l'ultimo elemento della
vocale, dando origine ad un dittongo: harb ^ furbo, Uerba furba,
po'vga purga, to'rgi - (vacca sterile), e va pur qui buru burro
probabilmente da barn v. n. 177 ; inoltre il rifiesso di ' corto ':
ka'ì't, kd-rta, skoerse ^. 14. Per influsso di palatale seguente
la vocale si allarga in (e: la cosa è chiara nel caso di contatto
con X- che chiuda la sillaba dall'epoca romanza : ?(H (^Hadt)
luccica, ardivif pp. di ((rdadrc reducere serbare il fieno:
fruita, Sd'it asciutto, s<i'Ua, fruita trota, Sa-ifa Susa, e ancora
gli imperf. cong. (v. § 2) faise, unse, sanse; in ceé ^ (grido),
deverbale di iica *huccare, il caso è diverso: la sola circo-
stanza che la vocale era in posizione bastò a provocare il tur-
bamento. V. n. 12. ed a conservarlo contribuì forse pili l'uso
rustico della parola, che il contatto con un suono palatale: cfr.,
infatti, (jil/'i (giugno)^. Per i casi in cui la palatale precede, è lecito
domandarci se essa sia davvero la causa diretta dello schiari-
mento, 0 non piuttosto si limiti a conservare più a lungo uno
stato di cose provocato dalla consonante che segue: nana v.
' Cfr. piena, biirb furbo iGavuzzi).
^ Piein. (Gavuzzi) iurgia (= tilrga), provenz. turgo (Mistral ^= tilrgó). Vi
lieve essere immistione di un'altra base (v. § 3) col taura, postulato in
ZRPh, XXVI, 668.
3 I, 500; XIV, 109; IX, 217; XV. 119; XVI,, 524; XVII, 94 ; inoltre ad Aosta
kicert.
• AGlIt, III, 158.
" Cfr. anche piin, bile, n. 35.
226 Terracini,
n. 230, 15, g(iest (giusto) ed infine la serie hra^sk hraska agro, e
froesf ^ (logoro).
[IV j Influsso, di nasale. 15. In sillaba aperta: ìiìnó, iìnà,
karkiind, skUlmà schiuma; pvìmà: 16. Qui, come per i, la per-
sistenza di ti ha il suo parallelo nella conservazione di il in
finale : Hi/ uno, karkiai, '//Hi/.
E ed 0.
Di queste vocali, una ha in sillaba libera un dittongo discen-
dente, l'altra probabilmente pure lo possedette; in posizione -
esse si turbano e si riducono ^.
[I] e In sillaba aperta l'esito è e^ che può variare da p^ sin
anche ad ei, esso si mantiene in tutte le condizioni che la sil-
laba aperta comporta (per l'origine e le tendenze di questo ei
V. App. I). 17 candeìla, musteila donnola, steila, feila ; k/-eire, heire\
vel, vuìéi, pu/él, savél - peiì pelo; j^eife pesa, tei/a tesa, preifa
^Yes^\ preif "^YQSO, pei/, nieif, ^ ense margunéij; neive; dinanzi
a nasale, all'interno, il dittongo si è pure mantenuto liberamente:
dufeina ecc.^, istreh/a strenna, iiieinii conduco, veina vena - peina;
^ È infatti probabilissimo che r un tempo avesse un'articolazione palatale,
forse pili spiccata, quando era in gruppo ; la stessa cosa però si può dire di s,
V. n. 187 e P. II. Comunque sia, questa serie è in via di perdersi : v. App. I
e n. 11. I paesi vicini non danno esempi che chiariscano la questione, nella
quale bisognerebbe tener conto della circostanza che i vari esempi non
sono nelle medesime condizioni fonetiche e del fatto che uno almeno di
essi: hrcesk-a, è recente (ha il k, inoltre la fonte R. conosce nini).
^' Su questo termine v. la nota del n. 1.
^ Precedono gli esempi di e e seguono quelli di i e di te separati da una
lineetta. 11 medesimo sistema si usa nei §§ seguenti per dividere i casi
di 5 da quelli di ù.
* Inoltre, nuveina, niareina e streinu (v. § 3).
11 parlare d'Ussoglio 227
in tinaie v. n. 2!). — Evoluzione condizionata : Quando il dit-
tongo sia riuscito finale per la caduta alquanto remota di una
consonante, esso si allargò in r//, donde ora eL 18. -etu:
hìiìéi^, pnHuc'l n. 1. Avv/ crede, rei rete, rei ''^ ®' vada pure qui, trel
— del ^^'^^' ^-i t*6ve, nel ii^ve, nel 'nevica, sei sjjte, rei ^'<^<i<?-
19. Quando sia seguito da vocale ^ e/ non muta il suo colore,
i/c/f' pi. bietole, hutei^i, munem moneta, sevi criniera, tneut
taneta ; restano foii'i - pecora, feta, cui fa riscontro il plu-
rale /V (da "Y'^'i'' V. n. 'l'12), e km *cleta. sorta di siepe.
' Questo ( non e un riempitore di iato, ma certo è un elemento del
dittongo che si è consonantizzato dinanzi alla vocale. Tutta la storia di e
in queste condizioni lo dimostra (1, 102); è bensì vero che vai Soana
ha e invece di e» e che tali forme con e ricorrono anche in piemontese
(v. Zalli, fea, miinea ecc.), ma si tratta d'un X caduto tardi, infatti in pie-
montese si ha persino corea correggia (Zalli) dove Vi da gj si produsse
certissimo (efr. Devaux. 29).
- E C"in *c 1 e t a graticcio, che, in questo significato, è recente, Vfiu vedo,
crflu. b''{u, in cui l'apertura della vocale è dovuta all'analogia del n. 18.
Questa serie iri molti altri luoghi si scinde in due serie diverse, di am-
piezza oscillante; questa divergenza dipende senza dubbio piti dal vario
uso delle parole che dalla loro particolai-e struttura fonetica : efr. Lavallaz,
41. Talvolta feta si accorda con altre voci, specie con credo (ZRPh,
XIV, 417 ; ZFSL. XXV, 13 ; Odix, 34-5) ; ma altre volte il suo esito può
essere isolato : p. es. a Friburgo, ZRPh, XXIV, 220. Quanto ad Uss., faui
risente senza dubbio dell'influsso del plurale, certo assai più usato del sing.:
dato *feia-ff'. s'ebbe : 1" *f('a-ff, per influsso del plur. che non aveva nep-
pure da provocare la caduta di l ma solo da aiutarla, perché ci fu un
momento in cui ogni X ebbe tendenza a cadere, n. 222 e App. I ; 2" il
plur. impedì il chiudersi di fea in *fin, ma quando ogni dittongo di questa
specie divenne ascendente, *ff'a passò a fm, donde ft^ld, falci ; - Icld (sorta
di siepe che chiude i recinti delle pecore), (park), si oppone foneticamente
a bieip. È voce diffusa in questo senso nelle alte valli piemontesi ed in
Savoia: ALF(B), 1504, ckiie; siccome vi sono varie maniere di cingere un
par/c, in v. di Lanzo ad es. si fa pure uso di corde e di reti (Ce. filar v. an-
tiquata), klà e probabilmente voce giunta fin qui, insieme al corrispon-
dente modo di chiudere i recinti, dalla vicina Savoia, dove kl'a è normale.
Archivio glottol. ital.. XVII. Iti
228 Terracini,
20. Per influsso di semivocale seguente il dittongo si perde:
yinfvru ginepro, (/cviru, che presuppone *geuru ^ v. n. 132.
21, Dinanzi ad una palatale che precede si hanno i soliti
esempi di ì : eifil aceto, ixils, piei/l piacere, sina cena, siri cera.
[II] In si]l3,ba chiusa: 22. Dinanzi ad s suona e: «rfs^a resta,
kresta, resti (lisca), in finale: Ust ; dinanzi ad 2 è un e che com-
binandosi colla semivocale, forma un dittongo secondario che
subisce le stesse modificazioni del primario : feira fiera -, dreita,
freida, streita; in finale si ha pur qui la vocale chiara: -escit
3" p. pr. ine. : kapél, riisél riesce, vivél, ecc. ^. 23. Se però la
consonante finale persiste, allora i cadde e la vocale, che un
tempo doveva essere breve, si intorbidò e quindi si integrò, al-
largandosi in a: dràf dritto, fràt iveddo, s^7-a^ (stretto) '*, prove-
nienti dagli antiquati drèt, frèt, str'èt: v. App. 1; un esito
analogo ha àst, proveniente da èst (v. id. id.), derivato a sua
volta da *eist^, v. n. 187.
[Ili] Dinanzi a r implicato e nei casi di posizione'' si
produsse, sia in interno che in finale, un forte turbamento
' Il Nigra lo riconduce col fr. givre a *g e 1 i v i t r u m : XIV, 282. Sia
giusto 0 no l'etimo, certo la comparazione coi paesi vicini inostra che si
deve partire da -eivr-.
^ Qui si è nel territorio di feria. Cfr. ALF, 587, foire.
^ Onde le prime persone pure in ei : henedeisu benedico, pafeisii patisco,
serveisu servo.
* Occorre aggiungere: 1° il cong, 3* pars, in àt> *eit: purtàt, fefàt da
purtét, fe/f't, V. § 2 e App. I; 2° cet caduto *c a d e e t u , Salvioni, RlLomb,
XXXVII, 627, 1055; anche qui s'ebbe regolarmente la caduta di i; ma il
passaggio ad a fu impedito dalla palatale che precedeva. V. n. 27.
' E probabile che si debba partire qui da est, li, 207 da cui partono,
del resto, gli esiti provenzali ; cfr. Perxoux, Die Formen des Praesens Ind.
ron Etre, Neuchàtel, 1909, 58, est diede *eist, che in atonia viene rap-
presentato da ist e, sotto-accento di frase, giunse a questo suo sviluppo par-
ticolare, V. n. 240.
* Su questo termine v, la nota del n. 1.
11 parlare d'Usseglio 229
nella vocale ^ All'interno ne segui per solito la progressione
d'accento, alla tinaie un integramento che va da a ad a.
24. berla *pirula feci di capra, fórma, tòrsi treccia, vèrdd
verde, — pcnil pregna-, sèrkiii, circ'lu arnese per caminiiiar
sulla neve ; islà ascella, aoiii, sii secchia, arii orecchia ^ :
-itta: cimistó sottana, piancità pedana, vniltd, ecc. ^ ; inoltre
riipie' rughe; in grepin la vocale piena è secondaria". 25. In
finale : pàs pesce, san segno, spas spesso. — frani fermo, pdt
ped'tu. nàt netto, sdk secco; — ittu: riuld'f sentiero, farkd'f
falco. In questa serie è pure incluso frdsk fresco, che continua
direttamente il piem. fre^ìk o fresk •"'. La vocale turbata o il suo
' Su questo turbamento in piemontese cfr. Schaedel, 19. RF, XI 11, 476,
SVS, 183; IX, 199; XVI. 521; Salvioni, IFRPh., 1, 123 e n'' 1; It. Gr. 92;
a prescindere poi dal Novarese e dai Gallo-italici di Sicilia (cfr. XIV, 447,
e SGIt., V, 84). Gli esempi di turbamento conservatosi alla finale, che io
conosco, sono quelli di Viverone (Mise. Asc, 252), di Biella (RF) e quelli
che riscontrai nel territorio da me esplorato, v. P. Il, e certo, investigando
attentamente la campagna piemontese, se ne troverebbero degli altri.
- Corrispondente dunque ad e, I, 687.
^ Pongo tutte queste voci sotto l'eia e non sotto Tela come fa il Sal-
vioni per vai Soana, SVS, 24; è vero che turbamento e progressione
s'ha tanto da lei a come da i'cla, ma i paesi dove le due vocali han
sorte differente, hanno sempre per: orecchia, pecchia, esiti che risalgono
ad •;. Cfr. Pral. oiirelo, silo, abelo, ma: filo. Mok. 24. Ma a questo modo però
resta inesplicato in v. Soana séji (secchia), dove manca anche la progressione
dell'accento (cfr. pepi pino). Non sarebbe per caso una forma secondaria,
rifatta sotto l'impulso del piem. siici su *seiph. tanto diffuso in franco-prov. V
(Cfr. ALF, 1208. seau).
' Bnisie pustole, Piaste , Traptè', Yalta topon, kartà e fetd fetta.
^ Grepia, cioè, nacque per dissim. da *greipia; questa attraz. di ( è fre-
quente: Vili f/rnp{a, Momp. kreiinpie. V. molti esempì nel Delfinato
iDevaux. p. 319) nei paesi dove -pi si conservò.
'' Deve provenire dal piemontese, perché a Uss. s impuro non produce
turbamento, v. n. 22, e perché è voce poco usata, generalmente soppian-
tata da freddo. Un caso analogo è krùp urto, piem. krèp, cfr. kerpa (crepa),
si tratta di parola tarda.
230 Terracini,
ulteriore sviluppo si vedono invece, quando^ per un qualunque
motivo, la progressione e il reintegramento non poterono pro-
dursi. 26. fòrte frega, sècè egli secca, sèhu io segno, stehe sof-
focare extinguere, strèiie stringere, fèiie tingere, tenu e anche
trèfe tredici, sèfe v. n. 192; sièji soffoca. — Evoluzione condi-
zionata. — 27. Influsso di palatale: Dinanzi ad h, è tende,
da poco, tra i giovani, a rinforzarsi : s'ampene stehu, tene ;
avanti ad un antico V. nei verbi, si ha i, che può essersi for-
mato anche per influsso delle forme afone : ri^e veglia, difvne,
smiie; dopo s (r), in posizione non passa ad à\ set questo, sep
ceppo, analogamente : cet caduto (v. sopra). Dinanzi a */' alla
finale èi. divenne ai che ora tende a chiudersi in ei : artéi
fr. " orteil „ , kunséi, P^'^'^i^ '"^4 miglio, suléi, con cui va cavél
capelli ^
[IVJ Influsso di nasale: 28. In sillaba aperta all'interno
diede e^ v. n. 17. 29. In finale questo ei passò in e: feri, tre/'t, sren
sereno, e ^>j!^f/^ pieno ^. In sillaba chiusa si confonde coli' esito
di e. SOa. All'interno diedero e: kmenda siepe, kili/enta bollente.
^ Casi particolari. — viri v i r i a anello : cfr. Pral. viro, Mor. 22, IG 38,
Beitr. 119, GG. I, 652. — iste's (naeclesimo) è corto d'origine relativamente
recente e va studiato coi piem. iste's, ades; per la questione generale di
questi riflessi cfr. GG, 653, pel franco-prov. : Lavallaz, 43.
Kiiri^a è notevole per l'esito della vocale e per la singolarità dell'accento.
L'ALF, 337 mostra che in generale (Aosta, Svizzera), l'esito di questa voce
corrisponde a quello francese, cioè a quello di -età, quando non sia sop-
piantato addirittura dall'esito francese. Kùrici ha tutta l'aria di essere se-
condai-io e rifatto su un verbo od un sostantivo kiirid che non mi riuscì di
trovare né a Usseglio né nei dialetti affini, ma che, o col significato di
' frustare ', o con quello di ' legare ', ' cingere ', può benissimo essere esistito.
Qualche cosa di simile offre il lionese f Puitspelu) corr/eon che, pur conservando
tutti i significati di coìirroie, par tratto dal v. covrii che ora significa sol-
tanto ' frustare '.
~ Che per taluni è piin ; cioè il dittongo segue la via di ù" pi'imario.
V. n. 48.
Il parlari' d'Usseglio 231
liimentn lamento (1 p. s.), pasieùsi, pidenta, ninde rendere,
spende, stende, tendru, venie: bisogna, divendrit venerdì, sempe,
i/empi esempio, prende, vende, - ehgre inguine, kumt'ise comincia,
Wìuja lingua; ii'tsenihiii insieme. 30è, In finale le cose sono pili
complicate: i vecchi pronunziano distintamente ari, i giovani
un suono torbido che talvolta si confonde con àn, ma che spesso,
se il mio orecchio nOn è schiavo di un pregiudizio etimologico,
è pili palatale, e che io segno: eh. Da questo stato di cose si
deduce che eh tendeva a schiarirsi, ma ad un certo momento si
turbò, come s'era turbato a'n ^ ; nella generazione vecchia, la quale
non partecipò al turbamento, il suono continuò a schiarirsi ; si
ha dunque : baiè'nf, /)endc'iit, kunfè'nt, sènf cento, vènt, santinie ut ;
avverl)i in -ente: mahanè' ìit, jìvoprunnc' )it. suvcnt spesso-, ecc.:
eii, appartenente ad un radicale verbale, segui una via analoga, e
quindi tra i vecchi è a/i; tra i giovani però non si verificò il
turbamento, perché la consonante nasale non era seguita da esplo-
siva. V. n. 181, e quindi, assai presto, assunse un'articolazione
debole, che non ridusse la vocale. Quanto al colore, esso è eh,
né si può dire se si tratti di un oscuramento, pili o meno spon-
taneo, di *an, 0 se l'antico eà per quella parte della popolazione
che si attenne ad ènt non si sia schiarito : istén, peit pende,
speiì, iiféii, — preh, con cui può andare bre'n crusca •'*. Anche
il suffisso -encu mantiene la vocale intatta e larga: ralénk
topon., /H'iii innhré'ik-, hoti.<éiik; infatti qui n, essendo seguito
» Cfr. n. 69.
^ Tra le mie fonti piii arcaiche: dah dente, malkuntith, mH>nant,pro2)> i((-
iiu'int, pilramunt, cani e anche : maniént, Icuntf'iit : questi r , nella fonte A,
i-he ha pure an. possono essere dovuti a uno sforzo iniperfetto di unifor-
mare la propria pronunzia all'è predominante.
" Nei vecchi : rak, spaii, iifdii e brah. Per altri particolari su alcune
recentissime tendenze e pei rapporti col pili antico turbamento di ah,
V. App. I.
232 Terracini,
da k, non aveva, come in tutti gli altri casi, articolazione den-
tale e quindi non agi sulla vocale. Parimente si ha tm {^tens)
tempo, mentre géii gente, e dèh dente si sono probabilmente
turbati per influenza delle forme recenti dèni e gèni, che, dietro
il modello del piemontese, hanno assunta la diffusa finale in cut.
La 1'' pers. plur. ind. che usciva in -emus per tutte le
coniugazioni (v. § 2) ancora nella Par. suona e : niingién (22),
stasén; poi passò essa pure in a/'i ed ebbe proprie vicende,
v. n. 235. L'antica desinenza rimase nelle formule interroga-
tive, protetta com'era dal pronome enclitico: biéhnii? beviamo?
SO e. Per influsso di palatale ^-/V diviene ^V^, in sihdra cenere.
o suona generalmente u in sillaba aperta e chiusa, u in po-
sizione ^
Usseglio appartiene ad una regione in cui il dittongo, svi-
luppatosi in sillaba aperta, si mantiene o si è trasformato in
modo da essere immediatamente riconoscibile 2. Ora ad Usseglio,
nella maggior parte dei casi, si ha ìi, in alcuni 0, in altri ci è
dato di sapere che Vu attuale discende da un 0. Xon bisogna
perciò affrettarci a conchiudere che tutti gli u attuali fanno
capo ad un 0, ma al contrario : siccome i casi di 0, vivo od
estinto, corrispondono a quelli che nei luoghi ove il dittongo è
palese non mostrano dittongo ^, è lecito arguire che alcuni esempi
' Per le oscillazioni nella pronuncia di questo n v. App. I. Pel valoi-e
del termine 'posizione' v. nota del n. 1.
^ Cfr. I, 122. Pel lionese, aggiungi EPat, I, 76; Puitspelu, XXXVIIl ;
cfr. inoltre Devaux, 198-9; (VS), 27, 41 e per Viu. Chial., Momp., P. 11.
■'' La condizione qui è dunque assai diversa dal Piemonte, ove il dittongo
è solo posto per ragioni teoriche, soprattutto per l'analogia col trattamento
di e (cfr. I, 120; BhZRPh, V, 8, 132). Negò il dittongo il Parodi, e le sue
ragioni, se fossero probanti pel genovese, varrebbero anche per il Pie-
monte; ma insomma il Parodi SR., V, 94, sostiene che n in sillaba libera
11 parlare d'Usseglio 233
di u antico possono rappresentare un dittongo, che quasi sicu-
ramente era ou. Anche alla stregua di questo criterio, non è
possibile distinguere tutti i casi in cui s'ebbe dittongo, perché,
come vedremo, nei paesi adiacenti esso ebbe uno sviluppo assai
vario e reso piii complicato da ogni sorta di incroci e di influssi
analogici.
I| 31'Y. In sillaba aperta hanno l'c. -osu '^r////^^/s orgoglioso,
nHhi!< noioso, (jìtitija gioiosa, pluf a pelosa, sprijn \ -ore.
dìdùr, lana-, calùr, lidio-, fiiir, dir; ]>ntre piange, ura ora, nia-
liira — dfure sopra; ula olla ^ sid, sula, hde cola — !/ida; dttva
doga, kiive cova, lum; kii cote. In lupo, niivù nipote. Slh. Hanno o:
1° snor, Sfiora, voce che sta da sé anche in altri luoghi
{V S.28), lora lupa, forma arcaica fossilizzata in un modo di dire :
V. § 3. 2° alcuni verbi in liquida a tema sdrucciolo con accento
spostato: niarinoru mormoro, trimoln tremo, sìikolu cammino stra-
scicando gli zoccoli. '?>^ rimangono de/more (si diverte), lavnre ^ :
in tutti questi verbi si ha o per ragioni analogiche'': essi furono
attratti nella serie verbale con alternanza di tipo : ó-h (v. § 2).
31/a pru ìius noi, ras, ahkur: Vn di questa serie, tutta di voci
semiprotoniche, discende certo da o. di cui s"hanno ancora esempi
in fonti arcaiche (v. A. I). e pure ad o risalgono i proparossi-
toni : ìjuLHi giovane, rul rovere, dufe dodici ^. — Evoluzione
può benissimo risalire ad o piuttosto che ad un dittongo, perché anche in
sillaba chiusa s'ha ora n, che pure non discende da un dittongo. L'esempio
di Usseglio, che certo si ripete anche altrove, sta a provare che si può
avere da fonti diverse un esito solo, o per essere pili precisi, due esiti
assai simili, perché il primo ii è certo assai pili antico del secondo, inoltre
è lungo, mentre l'altro in parecchi casi è breve.
* Mkveu-Lììbke, Einfilhr. 100.
^ Il primo di questi verbi potrebbe anche aver o, I, 220. Lo pongo tra
gli esempi di o solo a cagione del piemontese da/mnra.
' Cfr. però anche il n. 153.
* Pei proparossitoni cfr. VS, n. 26, 21. Pau. f/iornn. (12).
234 Terracini,
condizionata. — Influsso palatale. 32. Si ha oscillazione tra
ò ed r>: kroif) voi/, iioif noce; -ori a: dcanoiri 'dipanatoio'
arcolaio, inesoiri falce messoria.
[IIJ In sillaba chiusa l'esito fu 0 che, quando non fu tratte-
nuto, 0 trasformato da condizioni speciali, si oscurò in u. 33a. Di-
nanzi ad s'""*- kmsta crosta, kiisfe costa, musei mosca, susta ri-
paro; ma: mostu insegno; qui o si conserva, perché si tratta
di un verbo in condizioni analoghe a quelli del n. 31rt. 33è. Di-
nanzi a *u: dus dolce, kuge corica, mii/e mungere, pus polso,
skide ascolta. 33c. Seguito da palatale, esso oscilla tra o ed o:
cfr. n. 32: v'è la serie con nasale: goitta giunta, poiita punta,
traponta (trapunta) coltrone, isponfa ^ polmonite, vanta unta, kont
conto ^, pont punto, tutti casi dove / cadde di recente, v. n. 185.
33c?. Dinanzi a liquida si ha o, spesso ó, probabilmente pro-
venuto da quel *uo cui fan capo gli esiti dei paesi vicini, v. P. II ;
morii faccia 3, diskorii (discorro); lorf^ lorda, bork° bifurcu tronco
forcuto, f/orti, torta, foni, aiiforiiu inforno, forum, ars orso, korhe
curva, farci forca, borsa, destarbe (disturba), kart (cortile), rarp,
sekórs — arlu orlo — hintórn contorno, intoni, tome ritorna, torna
(di nuovo) ; inoltre : kolp, porpa polpa ; dove la liquida da un
pezzo non chiude pili la sillaba, s'ha u : trns torsolo — sufni zolfo.
[Ili] 34. In posizione*^ gli esiti attuali fan capo ad a che
' Pieni, punùt, Bridel: epoin, s. m., questa forma e l'ussegliese provano
che nella voce savoiarda: epoyntes, si ha un vero prefisso e non un artic.
plurale agoflutinato, come pensa il Desormeaux, RPhFP, XX, 76.
^ Questa voce deriva o è in relazione con *c o g n i t a r e, sulla cui diffu-
sione nell'Italia settentrionale e sul cui significato si occupò a più riprese
il Salvioni, XIV, 213; SVS, 184; hosii è piemontese, quanto all'o cfr. it.
bosso e I, 146.
3 K. 6389, 642.5.
' K. 5750.
5 K. 1378.
" V. la nota al n. 1 sul significato di questo termine.
11 jìarlare d'Usseglio 235
dovevci essere una vocale brevissima e, almeno all'interno, torbida.
All'interno essa produsse progressione d'accento; in finah^ rimase
assai breve, ed è ormai (juasi completamente discesa ad a. Per
le ultime tracce di <> v. App. I. All'interno: bìdà bottiglia, ruià
rotta, tuia tutta, muta \ bh^^d betulla, ki(})d coppa, ru1xu rocca,
pilpó poppa, buci bocca. riisA rossa, brus'c' pustole-, iiiufà muffa'';
quando non si potè produrre la progressione, si ha ò^ piuttosto
chiuso : iJiJotQ gocciola, ijbrote bruca \ e ijoiit congiungere.
vone ungere ; ma ìhcq tocca : non credo che si possa trovare
una spiegazione l'onetica di questa differenza ; è invece chiaro
che tutti questi esempi si reggono su analogie morfologiche
di vario genere, v. ij 2. In finale: lìii'ik moccolo, pH!< pozzo.
ras rosso; n'it rotto, rftt rutto, silt sotto, tns tosse, fid tutto;
-ucclu: f/f/«/W ginocchio. /"///'/, S{.'/7J^'^/, serpillo. 35. Per influsso
di palatale in finale oltre a pilli '", si ha kii/f cuneo e biìc ciuffo
(pieni, b/ic) ; o, conservato dalla natura della consonante se-
guente, passa ad w: ws orcio, ontit'ii da "^oufó/n autunno •".
' K. 6:S21.
'" K. 1604 e incerto se qui o con n : silpà. K. 9271. Inoltre : L-nda (gomito)
V. n. 192.
3 K. 6336.
* Cfr. prov. hroìd germoglio, brouta, cAhroitfa. germogliare, brucare (Mi-
stkal\ serie distinta da brDust, broitstd (t'r. brouter). v. § 3.
^ Se non si tratta addirittura di u. Cfr. XVI. 119; X, 446. In lun (cfr. pel
colore della vocale SVS, 30) l'incontro col nesso palatale è relativamente
recente. Cfr. Par. Inng (5).
^ Che si tratti di u e non di (7 dotto è provato dal fatto che in tutto
il Piemonte ii è sconosciuto: cfr. Mkulo, 1. e, 66; che si tratti di au-
tumniu non crederei: tal base, non molto diffusa, si trova in regioni
lontane dal nostro territorio (Merlo, 1. e , 68), d'altra parte m n non di-
viene mai «in autumnu; infine una forma come quella di Monipel:
utnifi [ma g'ùn (giugno) dice che in qualche paese si deve partire da olti].
Bisogna pensare che si ha da fare con una jiarola, che non e popolare nel
lessico romanzo (cfr. Meulo, 58\ che si è diffusa tardi e (juindi corre facil-
236 Terracini,
Metafonesi cagionata da / finale si lia in dripi^ due e natural-
mente in foeifi tutti ^
[IV] Influsso di nasale S6 j^èrsuna , trema . 37 In finale era
un 0 che, fatta rarissima pronunzia arcaica, ora suona u ^: mun
mio, tiiìì, sìDi, -one cardini cardone, fìsiim pazzia, nuiì nome,
pèrfùìì prigione, tifùn tizzone, cjcdùn fiori del salice, Mariihì Ma-
netta. 38. Sono qui confusi gli esiti di o. La Par. ha o che ora
suona U\ brunda fronda, f/iinfie gonfia, rihidula, sunyu sogno;
rmuju rumino, nmte rompere, niiinfe, travunde inghiottire, ungia,
uììfe sìin/i sugna; fnììf fondo, rnmd rotondo, pimf ponte, —
umbra, kulùmp, pjimp. Ma la Par.: anconta (21), donc (32),
abondan (18).
E 0.
Queste vocali in posizione^ non si abbreviano: in sillaba aperta
e chiusa presentano tracce, antiche e recenti, di dittongazione.
mente il pericolo di essere stroppiatas L'esito di tipo utóin (o tituh) è diffuso
nelle v. di Viù e di Susa (v. P. Il), a Mathi (Canavese) : utoe'n, a Pral e a
Neu Hengstett (Mok. n. 43) e inoltre si estonde alla Savoia: oift-fl» S. Paul,
eutwan a Sannjens (cfr. Costantin e ALF automne), e per la Savoia siara
sicuri che autumnu è venuto di recente a soppiantare ima voce più
antica di cui rimangono tracce: cfr. Merlo, p. 79. L'insolito n finale fu
dunque soggetto a stroppiature ; mentre le regioni finitime lo conservano
meglio (Francia e Piemonte), questo territorio lo assimilò imperfettamente,
palatalizzandolo in vario modo, o modificandolo in altra guisa; (cfr.: dant
danno, Gilvant e otqnt, VS, 135).
' L'alternanza tra tut e toeiti, diffusissima nel franco-prov., prova, se pur
ce n'è bisogno, che la vocale il di fili in piem. e loinb. è dovuta all'ana-
logia del plurale, dove è prodotta dalla metafonesi, come sosteneva il
Salvioni contro la nuova base proposta dal Niora (Ro. XXXI, 526, AGIt,
XVI, 600).
'^ V. App. 1., Par. ton (27i, porsion (12).
^ Su questo termine v. la nota del n. 1.
Il parlare d'Usseglio 237
e. Questa vocale solo in alcuni rari casi presenta le tracce
evidenti di un dittongo, altrimenti l'esito attuale è e. In esso
consuonano esempi di età ben diversa, come risulta dalla loro
diversa diffusione e distribuzione geografica (v. P. Il); sani mia
cura d'indicare sin d'ora, per mezzo di cenni comparativi, quelli
che sono relativamente più recenti.
[I] L'esito comune è e : 39. fevra febbre, lere leva, levra lepre,
pera pietra, par pera palpebra ', Perù Pietro, arkarìsél arcoba-
leno, fel, (/d gelo, ainél: pr piede, dapé vicino, ^rt'i/>(' treppiede.
Pei proparossitoni che non sono popolari, cfr. App. I : invera.
— Dinanzi a r la vocale s'allarga: erf^ era, ier ieri-.
Condizioni e tracce del dittongo. — 40. Influsso di palatale:
des dieci è recente: tale si dimostra per la consonante conser-
vata ^, né la cosa è strana, perché in queste valli la serie dei nu-
merali perse già qua e là molti dei suoi rappresentanti antichi ; i
composti giìiù' 19, giwt 18 (jisét si spiegano assai bene partendo
da "^'die che, trasportato in atonia, ha palatalizzato la consonante ^ ;
anche pes peggio, che si presenta senza dittongo, come voce non
popolare, in moltissimi luoghi [W II) è recente; lo stesso si
può dire di lef legge e le/e ; intìue antér, anffri (intero) è un
' È pur forma piemontese e valsoanina ; del re.sto palpetra è di tutta
l'Alta Italia (Beitk., 85). Il piemontese ha però anche parp/ila e Val Soana
parpejra; ma parpeila è probabilmente una contaminazione di parpera e
di peil pelo, fenomeno abbastanza naturale, se si pensa che in piemontese
anche le ciglia si dicono parpeile. Allora può darsi che parpejra sia forma
secondaria, nata da parpeila per assimilazione projifressiva, o prodotta dal-
l'incrocio con parpera.
• Pel dittongo v. 1. 174.
^ In queste valli, nei riflessi di decem, la condonante finale suol ca-
dere; cfr. Vili : diia, (ma kmef croca) \ del resto la forma (jiire't prova che
a Usseglio la consonante era anticamente caduta.
* Infatti non si può pensare ad una palatalizzazione di d dinanzi al sem-
plice /, perché e fenomeno sconosciuto a Uss. e in tutti i dialetti af6ni.
238 Terracini.
esempio fittizio, v. n. 215. Per le probabili tracce di dittongo in
meu, mei, v. n. 119. L'i di niie, necat (annega), sin' secat
(miete), probabilmente non è che il prodotto analogico ^ delle forme
atone, v. >^ 2-. 41. Influsso di nasale: si ha i che la compa-
razione mostra essere il prodotto di un *ie precedente ^, tinUy
' E se l'ipotesi Ji quest'analogia potesse essere esclusa, non per questo
risulterebbe cIk; / proviene da un *ifi- Bisognerebbe poter essere sicuri
che i è il prodotto diretto di g intervocalico, seno rimarra sempre la pos-
sibilità che i sia un semplice effetto di iato.
• Inoltre miste mestiere, gie/a chiesa, silmiteri cimitero, ciré fi (ciliegia),
tutte queste voci, ma specialmente l'ultima, si mostrano, o per ragioni
lessicali o per aspetto fonetico, recenti o non popolari.
•^ Io ritengo che sia bastata la risonanza nasale a chiudere il dittongo.
Il Salvioni (SVS, § 159), per le forme analoghe di Val Soana tin, tenes,
tint, t e n e t ; rih, vini, osserva che l'i " è il prodotto di ,/e/, seguito forse
da n HieJHH con ;7 della prima persona vieùo „. Ma min mio (V>S, 12),
ciii (cane), ci dispensano dal dover ricorrere a tal trapasso complicato, contro
il quale milita un argomento negativo non trascurabile : la 1" persona in ge-
nerale subisce l'analogia della 2* e 3''', piuttosto che imporla ; ne offre nu-
merosi esempi Usseglio (v. n. 18, 22), e par che si tratti di una tendenza
generale secondo quanto rilevò il Jaberg, 54. Le carte dell'ALF {je viens,
vieni, tieni) non illuminano molto la questione, solo dimostrano che i alla
2* e S'^ persona non è frequente nella zona franco-prov. : ora, poiché nelle
valli piemontesi esso, al contrario, prevale, vien naturale di attribuirlo alla
pronunzia faucale propria del Piemonte. Lo stesso vale per cìiìen ALF, 277,
mien 853, e bien. Poiché credo che si debba porre in questa serie anche
hi'ti. Il Salvioni lo esclude, dicendo che si tratta di parola proclitica (1. e,
§ 12), ma in protonia e -\- n tende a schiarirsi, né mai si chiude. Un bel-
l'esempio di e nasale in proclisia ci è dato dai riflessi di rem; ora, nei jiaesi
dove rem = rieti sussiste, trovai e, ma non mai i : Co. jv». Me. ren. Del
resto le forme proclitiche di bene esistono in franco-prov.; ma sono di
tipo heii, come quelle di moum sono di tipo meh; min e l^ih sono sem-
plicemente un ulteriore grado delle forme dittongate ; infatti i siti che
presentano questa riduzione, la presentano pure per chien. Questo per
V. Soana ed Uss.; quanto al bin piem., se si potesse dimostrare che non è un
francesismo, potrebbe esser benissimo ritenuto come il resto di una remota
dittongazione; e non è il solo, cfr. P. II.
Il parlare d'Usseglio 239
tifi tiene, vinii, vin viene, hin bene, kiùn (cfr. pieni. la .■^muna kuen
la settimana ventura). Esiti analoghi a questi si hanno natu-
ralmente in sillal)a chiusa da palatale : 42. pes ' petto, let,
teise tessere '^, mej mezzo, mefijórn, sej ; ma questi due sono
esempi tardi ; il ])rimo, infatti, presenta anche la / e del resto
sfugge alla serie anche nei paesi che dittongano, v. P. II ; pel
secondo si possono fare le stesse considerazioni che per des ;
infine pina pettine da * pipnio, in cui la nasale chiuse per tempo
il trittongo''. V. n. 41. l'arinu'nte dinanzi ad un gruppo palatale
si ha f. 43. /»f/ meglio, rf/ vecchio, ven ; ideile venga, ipiie tenga:
peji pezza ed anche i pili tardi presi prezzo e dcsprefie (pi. f.).
[II-Iir| 44. Dinanzi a s suona é\ festa festa, fnesta finestra,
tuìììpesta grandine, testa, resjxi, vesta abito, i-espii sera, reste rimane.
In finale si allarga p't'tst, dijioiést disonesto, uuést che influì su
nnesta. 45. La li(|uida allarga la vocale in e: bera scoiattolo,
sere: chiude, tera terra; erba, dimerku mercoledì, nierìii ixìqy\o, perd
perde, s^rv cervo, termu pietra di confine (termine), rese versa,
^ Mancano qui tracce dirette di dittongazione, come s'aveva per decem;
qualche prova però soccorre qui, ad es. la vocale chiusa e la scomparsa di X
in let e pes, la brevità delhx vocale in Vet, prove che saranno discusse al
loro luogo (P. II).
- Qui, trattandosi di un proparossitono che non ridusse la vocale mediana,
il dittongo probabilmente non esistette mai. Cfr. Me., ove il dittongo per
solito vive tuttora, ttise.
^ Il Salvioni parte da *pej[t]nó (SVS. 65), cioè pare supporre *pejno senza
trittongo, ma su et la nasale non agisce (v. n. 17) o, se agisce pel concorso
di speciali condizioni, non provoca la progressione d'accento : cfr. l'esito
di leni (lesinai, da *leizna. v. Soana lena. Quindi fnnu va spiegato come il
francese pigne. Cfr. I, 157 ; il trittongo si chiuse per tempo a cagione della
nasale. Del resto tracce del trittongo, in questa voce, compaiono nei dia-
letti svizzeri iLavall.vz. § 69; Odix. § 56) e in un gran numero di forme sa-
voiarde: peno a Thones,;^HO a Lechaux (Annecy) e a Montagny (Tarantasia),
péne a Albertville, che presentano l'esito caratteristico di i innanzi a nasale
(Costantini; cfr. anche ALF, 989, e RDK. II, 266.
240 Terracini.
perei pertica, diirért aperto, yei'p gerbido ^, kaét't tetto, Inrérn
inverno, serp serpe, ves verso, Incérs rovescio. 46. -ellu : bel
bello, éa^jg'/, lambél labbro- e /j«?Z pelle, bela bella, fniela donna,
stela astella ^. 47. In altra posizione e (od e) sia all'in-
terno che in finale: m'asetit mi siedo, prese, pressa fretta;
bek becco, set sette.
[IV] Influsso di nasale. 48. Nei casi in cui dittonga, di-
viene r. vin, Un, bln, v. n. 41, dove non ha dittongato è |: mm
mio, V. n. 119. In sillaba chiusa ebbe il medesimo esito di e
v. n. 30.
* Cfr. SNPost. a ce r bus.
- Oscuro è filami fi a g e 1 1 u, correggiato che compare anche a No. e Le.
È difficile pensare a scambio di suffisso con -o 1 u, perché questo è assai più
raro che -ellu. Una parziale labializzazione di l non ha esempio in alcuna
di queste vallate. È invece notevole che a Bessans e Lanslebourg, proprio
dall'altra parte di quel gruppo di monti cui fan capo le valli della Stura
e dell'Orco, compaia pure l'elemento labiale : flavel (Costantin), di cui si
possono trovare tracce sin a CerneuxPéquignot (Neuchatel) fyàvé, Sembran-
cher ;uèit a Conthey (Vallese) ed'avé (cfr. Jeanjaquet : Le fléau et ses parties
dans la Suisse Romande, BGIPSR-, IV, 36). Sulle origini di questo r, se esso
si connetta col flavel bergamasco, registrato dal Lorch, Altbergamaskische
Sprachdenkmcilern less., o se sia un grado ulteriore delle forme senza semi-
vocale che troviamo a Nendaz flaei e in altri luoghi del Vallese e di nuovo
a Lanslebourg presso Bessans (ALF, 580 fléau), nulla saprei dire. Non credo
sia il caso di pensare a qualche incrocio con fi ab ellu, che, per quanto
io so, non assume mai questo significato (Non ne trovo neppure alcun esempio
in Meyer-Lubke, Zar Geschichte der Dreschgeriite, Worter und Sachen I e
neppure in ZRPh, XXXIV, 257, sgg.). Comunque sia, a Uss., dove ogni /re pri-
mario e secondario si è ridotto a o?, è possibile, immaginando un facile tur-
bamento di a atono, passare da *flavel a fi^fl per una trafila sul tipo *flovel,
*flilel, *fiuel. Anche a Lemie, dove il dittongo si conserva aperto con maggior
tenacità, tale trapasso non è impossibile, del resto bisogna tener presente
che siam dinanzi a parola usa a fare lunghe emigrazioni e a subire forti
mutamenti. Cfr. Giixiéron, RPhFP., XXI, 186.
^ Cfr. Caix, Studi di etim., 546.
11 parlare d'Usseglio 241
o. Fatto caratteristico nella storia di questa vocale è la luaii-
<
canza attuale di ogni dittongo e la scarsità di esito con ele-
mento palatale (f. Questo cp compare in una serie di voci che,
se non è sempre chiara dal punto di vista storico e fonetico,
è importante perché si conserva fissa per una certa estensione
geografica, molti paesi rispondendo ad te con dittonghi di tipo
ne (sui rapporti tra o, a- ne v. P. II) K [\]. 49. In sili, aperta,
come esito comune, si iia un (>: -ola: l/nsola nocciuola ^, ecc.,
)noh( mola, jiiola ascia, sola suola, skold scuola, ro/e vola,
dal lutto; ììor(( nuora, <(nfora fodera, domi adopero, prora prova,
provu, froiK. pjorc piovere, ho bue, ditjó giovedì, (j'mó dicia-
nove, no nove, plot piove, r<m vuole, pon può, e prima di i^ si ha
per solito o: koire cuocere, /.'o/ cuoce, -o/- hoc, dijloni slogo.
Si ha dunque uguaglianza perfetta tra la serie che in pieni, e
in alcuni dialetti alpini suol presentare a^ e quella che negli
stessi paesi, ed anzi in territori ben pili vasti, offre la semplice
vocale labiale, cioè il suff. -ola -K mola, sola, roh ^ e infine skola.
Tracce del dittongo palatale. — 50. Tra gli esempi seguiti
da r alcuni hanno esito palatale ; precisare di pili è impos-
sibile, perché ciascun esempio si trova iu condizioni speciali:
ìin'er muore (ma v. sotto), il diffuso sarà sorella, for fuori, kor
cuore '\ 51. Per influsso di a assai antico è pur palatale la dif-
' Per la storia di o particolarmente nel franco-prov. : [, 184, 192, 198, 208.
- Virole vaiuolo, riisiole rosolia, kusairqla grillotalpa, l-ornola.
^ SVS, 31.
* Che del resto toccano ben più larga questione. Ct'r. 1.'219.
' Siera è un metaplasma forse recente; può anche darsi che neppure il
tema sia molto antico in questa regione, nella quale esiste qualche traccia
del tipo sor or e: v. il materiale riunito dal Fankhauser, RUK, 11,284, e
per l'Alta Italia dal Salvioni. RILomb., XXX, 1508, inoltre Co : srcn- nuier
può subire l'analogia della 1' persona ; for è in semiatonesi ; I-or può essere
un adattamento recente di kcer, piem.; sulla poca popolarità di questa
parola cfr. RF. XIV, 488.
242 Terracini,
fusa serie : f(e fuoco, (Jw giuoco, lo- luogo, alla quale sarei tentato
di aggiungere <pf, che potè pure essere assai presto in contatto con
un t< 0 M M la medesima spiegazione può servire per róe rotulu
alone (I, 339) cioè '^'rau, ma mi mancano elementi per sapere
se la parola è antica (esiste in vai Soana: ré). 52. Restano
nwu, na^oa (nuovo -a). Il maschile presenta spesso ce (v. P. II), e
può aver influito sul femminile; ma \'u conservato, come in pieni,
(v. n. 217), ci impedisce di classificare senz'altro questo esempio
insieme ai precedenti. bZa. Influsso di palatale. Se essa precede,
l'esito è palatale: non c'è da considerare che -iolu arshupJ usi-
gnuolo;/?//}/'/ fag'moìo, peiri/'l paiuolo, /m.wnenzuolo. 536. Influsso
di palatale seguente: « /vW (con) deve lo sviluppo diverso da
-oi alla diversa posizione nella frase. Come per e, la sillaba chiusa
comunque da palatale off're esiti analoghi. 54. In interno di
parola il contatto con un elemento palatale, sia /, sia un nesso,
non produce alcun eff'etto: la vocale oscilla tra o ed ó: koita
cotta, roida : koisi coscia, piogl pioggia; anoje ^ annoia, foli foglia,
dispoie spoglia, moi^e immolla, ron voglia ^. 55. In finale le cose
sono assai diverse: la sevie '■'"'^if è intatta: vo/f, ko/t"\ pei quali si
dovrebbe tener conto dell'influenza che possono esercitare le forme
^ Cfr. Fr. Gr., 75. Voretzch, Zur Geschichte der Diephtho)igiening iin Aìtpro-
vemalisclten. Halle, 1900, p. 56. — Io penserei dunque che la vocale finale,
come si conservò in fo{k)u, si sia conservata anche in o v u (cfr. Einfììhr,
131\ novu, donde si giungeva facilmente a *Oìi, *noH\ s'aveva dunque
una serie alquanto diversa da quella di tipo n o v e m. Per la discussione
di questa ipotesi v. P. II.
^ Di questa parola e delle seguenti s'ode pure la pronuncia q.
^ E ancora groii (piera. grceifi) guscio e ploii buccia; quest'esempio è forse
recentissimo : questo territorio conosce quasi esclusivamente una formazione
con suff. in -alia; i)laii che non è ignoto neppure ad Usseglio (cfr. ALF,
993, peltire) ; si tratta dunque del pieni. pla>i(t (per cui v. più sotto) adattato
alla fonetica locale sul tipo foeifi = foii. In fine: doit garbo doctus,
NiGUA, XIV, 364, ma v. Salvioni, Ro. XXXII, 281. che ricorre a d ù e t u s.
Il parlare d'Usseglio 243
femminili, dato che si ha nn-f; ma questa parchi, in molti paesi che
trattano questo gruppo allo stesso modo di Usseglio, consuona
col resto della serie : v. P. II ; d'altra parte i riflessi di noe te,
dato il loro uso in formole di saluto ed il significato avverbiale
di ieri sern, assumono spesso una forma tutta particolare ^
I casi che seguono sono invece generali : (i-f otto, pa4 poi,
ankoei oggi; f<jel foglio, //rz/'a^^ trifoglio, m(H a molle, cp/ occhio,
«vW, pa'i posso: -oclu, ('(Oidiiom canapulo, PÌ<i'X^- Infine una
serie di verbi, di cui alcuni in io (v. § 2): 1" p. dnn-it apro,
dneinu dormo^ kroevn copro, mreru muoio e li'a'hi (colgo), colle
rispettive 3^ pers. drmi, drcem, ìuoer, kccL Azione di palatale a
distanza s'ha in cergu orzo, e nel diffusissimo a'il '.
[I[-III 56a. In altri casi di sillaba chiusa si ha o: iiostii,
rgstu ; monde: macinare, mnuta macinata, pQ[iu pollice : role rotola.
56(5). La liquida vuole innanzi a sé un ó : forse, katorf/^ quat-
tordici, korda, liorda 'ritorta' legame, por;'^ (porta, 3^ P- s.),
amporte, torfe torcere, torci torcia; fori, korp corpo, mors morso.
mort, sort, torf : dinanzi ad /: fol matto, koì, niof. 57. In altri
casi di posizione si ha sempre ó che muta leggermente di
valore secondo la collocazione nella parola e la natura della
consonante. (>: fos fosso, (jro grosso, grosa, os osso; krosi ^;
dinanzi ad esplosiva, par che suoni un po' più largo alla finale :
' Cfr. ALF, 696, hier ati soir. Mo. accanto a ntiet ha net. Irregolarità in
questa voce, attribuite ugualmente a fenomeni d'uso, si hanno a Dompierre
e a Hérémence. ZRPh, XIV, 438; Lavallaz, 54. A Val d'Illiez (Yallese)
si ha nivi ma hwuna ni, a ni, RDR, II, 289. Confronta Dauzat, Phonétique
hìstorìque dn patois de Vinzelles ( Aiivergtie) , Paris, 1897, p. 75, e infine I, 192.
■' Per pioeX cfr. Parodi, XVI, 118; canduvce'i ha in tutto il territorio un
esito analogo. Cfr. il piemontese plagia di cui si è parlato or ora e v. § 2.
* Herzog, Streitfragen, p. 104, e Haberu, ZRPh, XXXIV. 47. Per quest'a-
zione della palatale a distanza cfr. I, 193.
* K. 2614, gruccia.
Archivio glottol. ital., XVII. ,17
244 Terracini,
sóku zoccolo; -ot e suoi derivati: hriota bricciola, marmota
ca'pote tagliuzza, rangole rantola ; ceirót capretto^ ^l'iop, guhlò't
bicchiere; infine krot n. 1, e sgp zoppo
[IV] Influsso di nasale. In sillaba aperta e chiusa si ridusse
ad ù : 58. huna, sune suona. ^ munia monaca ; dinanzi ad m la vo-
cale è rimasta o, senza traccia di nasalizzazione ; ma si tratta di
una serie che non si può contrapporre a quella di n, perché è
composta soltanto di om ^ e di voci non popolari, f/omit vomito,
sforni. In finale : biiù, trun tuono. Per la sillaba chiusa v. n. 38-.
Esso mantiene intiera la sua stabilita e la sua lunghezza anche
in combinazione coi suoni più corrosivi, e persino in posizione
conserva, quando l'intonazione della frase si presti, una lun-
ghezza notevole, che ne forma la principale caratteristica.
[I] 59. In sillaba aperta suona a : fare, frare, mare, pare ; sieda
cicala; fam ; negli imperfetti: alavè, munfave, vesave; nei casi di
finale: tnal, sai; eiram rame, fam, iam letame; naf, amar, arar,
outar altare; kal^ tal; amai uguale_, canavàl seme di canapa.
^ Non si può staccare dall'obliquo omu h o m i n e , tanto diffuso in Pie-
monte e nel territorio franco-prov., dove già da tempo il Gauchat dimostrò
che per ragiolii di fonetica esso è tardo: ZRPh, XIV, 440. Il mantenimento
di 0 in questa serie può dunque esser dovuto, non alla natura di ni, ma
all'età recente delle parole che la compongono. Questa ipotesi è avvalorata
dal fatto che in altre regioni questa serie si divide tra o ed ìi : cfr. la di-
vergenza di esiti in genovese di cui il Parodi cercò una ragione fonetica :
SR, V, 99, e i casi di homo, -ine, stomachu oscillanti insieme a
monachu tra o ed u, cui accenna lo Hettmayeu, RF, Xllf, 652. Si tratta
dunque di voci recenti che, come accade sovente, si assimilano più o meno
facilmente alla serie antica con ».
- L'elemento nasale di n oscura la vocale in befun che s'ode insieme
a bf/òn bisogno.
11 purlare d'Usseglio 245
60. Negli infiniti la caduta di r non lasciò alcuna traccia
sulla quantità o sul colore della vocale, parimente la posizione
tinaie nel participio, sia maschile che femminile, non ca-
gionò alcun effetto specifico, quindi infinito e participio consuo-
nano perfettamente in timbro e in lunghezza: ala, cifd, munta,
larà. Nelle medesime comlizioni si presentano le finali -a tu
e -ata nei sostantivi: fkt fiato, j)r((, fondala grembiulata, fucafd
frustata, <Jiir/ià giornata, Iritd siero, piana traccia del piede,
ru/'('( rugiada, travà ; parimente istà estate, ardita eredità, inoltre
la 2-'' pers. plur. -atis: /sfa state, /)nrtd portate, con cui con-
suona l'imperativo 2^ pers. plur.
[II-III] 61. In sillaba chiusa : lard, j)arf, lar<]i, maska strega,
caste guasta, suast corda e in posizione: vahè guadagna:
niiirali muro, sunaii sonaglio, br((s braccio; ^/>-6(/ò' erba tagliata,
foudalds. liimasi chiocciola, s'a/ìrabie si arrabbia, (/abia gabbia;
maladu; maci macchia, vaci mucca, spala ; piai, sak, strak stanco.
Evoluzione condizionata. — Importa notare l'indifferenza pres-
soché completa di a dinanzi alla semivocale di qualunque
provenienza, in sillaba libera e chiusa. 62. Dinanzi ad ^: se
segue vocale: braie calzoni, braie urla,, piala frassino, saiii salio
esco. In dittongo: <v/( va, /"e//, y/ira maggio, mah sai qua, hn\k;
pùiirr piacere, aiva acqua, falsi fascia, </raisi grascia, laisu
lascio, als asse, palais, lait latte, fait fatto, ficiire puzza, mairu
magro. 63. Ancor qui va la solita schiera di ariu pri-
mario: a/ì-i aia, kiair chiaro, kiaira n. 1. skiaire vede, qiair
ghiaieto, yyai/-rt paia ^ 64. Dinanzi a //: lait lago, fan faccio,
' Le considerazioni svolte in questi ultimi anni, con argomenti indipen-
denti e disparati, dal Thomas e dal Salvkjm, Musmjiab., 640 ; RlLomb, 1908,
881, giustificano il considerare come popolare l'esito di questa serie
di voci. Quanto a tumaii-i tomaia (forme analoghe si trovano a Le., Me.,
V. Soana (SV, 5) e in piemontese), bisogna pensare ch'essa non designa
246 Terracini.
faggio, sa /( esce, salit, vatj vale; cennula v. § 3, fauìa tavola;
(tutu altro, aut alto, cctu caldo, l^an calcio, sante salta^ caìisr
calzG; faiis falso.
Influsso di palatale precedente. Siam giunti al fenomeno
che è la maggior caratteristica del gruppo dei dialetti affini a
quello di Uss. ; esso tuttavia nei sostantivi appare ancora
più incerto e più complicato di quel che non soglia, e nei verbi
è addirittura scomparso. Quando fu tocco dalla palatale, l'esito di a
e esattamente parallelo a quello di e. 65. cévra capra, ceire
cadere, cete compera, e, seguito da nasale, chi cane ; cw (cade)
qui come altrove è rifatto su /V/V v. § 2 casi caccia, cat gatto,
iscala scala, cabérf n. 1. casis- consuonano cogli esiti degli altri
paesi delle valli di Lanzo; ca, che in piemontese non ha riscontro
ed è certo da lungo tempo ridotto a prefisso di nome locale ^ par
veramente attestare che qui la tendenza a rendere a palatale
fu men piena che altrove, ma in altre di queste voci vi deve
essere di mezzo una larga e forse antica corrente piemontese:
infatti nelle valli di parlata più arcaica, qua e là, or l'una
or l'altra si ritrova turbata-. Rimangono: kd casa, kar)i carne,
kar caro, gabm gabbia, gal gallo, gaina (catino), che sono pure
cosa di origine antichissima, potrebbe quindi trattarsi di voce seriore;
inoltre è parola a cui non è accanto una corrispondente a tema sem-
plice, che permetta di sentirne la finale come un suffisso. 11 Thomas per
l'appunto nota che le derivazioni dotte di -ariti {rontraire) sono fatte sul
suo sviluppo normale.
* Cfr. Flechia, SFR, IX, 700. Si potrebbe obiettare che esso è in posi-
zione protonica da lungo tempo; ma dove si turbò questa voce mostra uno
sviluppo che, almeno in origine, è proprio della tonica. ALF, 278 : cìiez nous.
^ Ciò accade specialmente per i riflessi di e a 1 1 u, P. Il : cosi al di là dello
Alpi l'influenza francese ha già messo in scompiglio l'area di cattu e di
capti a con a turbato, mentre in scala e *a e e a p t a r e il turba-
mento, non mancando in francese, si conserva dappertutto (cfr. ALF, chat,
oliasse, échelle, acheter e Devaux, 112).
11 parhiro cVUsseglio 247
coinuiii a tatta la valle e di pili recente e sicura importazione
piemontese. Al medesimo stadio appartiene, in tutta la valle, la
serie: iiiarkà, pifità \ 66. Attualmente gl'infiniti dei verbi di
1" con.; i participi e tutte le forme verbali, dove ricorre a tonico,
non si distinguono in alcuna maniera dall'esito cui non precede
palatale: dia vegliare, òe//(f baciare, ///ò'alasciare, sA-Zó-òv? accor-
ciare, fi ila giocare, sui asciugare, nii/i(/à mangiare, kìi(]à coricare,
runt/ii ruminare, scà seccare, luca toccare, sha segnare ^ ;
sostantivi in ata: brasa bracciata, biluì pappa bollita, pausa
panciata, ra/(d ragnatele, kar/à careggiata, kiihd cognato ; la
2'* pers. dell' ind. plur. //isà lasciate, minfjà mangiate, s'eiià se-
gnate, travah'i, vaila guadagnate; e l'impf. ind. kumehsavu co-
minciavo, cousavìi alzavo, miiìfjavu, anvartukioii, (jilavu, trava-
iava ^. Dare per originaria la mancanza di un esito palatale è cosa
arrischiata, sia per la posizione geografica di Uss. (v. P. II), sia
perché la pahitalizzazione si manifesta in altre condizioni, e specie
nell'atonia, abbastanza forte ; d'altra parte la topon. offre un
ultimo residuo della condizione antica nel n. 1. Marcushì (Piaz-
zette, Marcufim)^ certo composto con *calceatu o *calceata^.
^ 1 riflessi di pie tale non palatalizzerebbero, del resto, neppure se fos-
sero popolari, come non palatalizza all'atona freida, n. 80.
- Sulla storia di questi infiniti in palatale v. Gauchat, Ro. XX VII. 278
e p. ir.
^ E ancora : d-spui/t, disfi/i stigliare, baid sbadigliare, authrasd, ausa,
kuman-id, inasd, hrti/d bruciare, d'fluid, sunfjd sognare, hergd v. § 3,
caryd, anfungd sfondare, rangd aggiustare, driicd cadere, p'èsid, knncd insu-
diciare, iii'd gridare, fica ficcare, /varagà starnazzare, band bagnare, tira,
vird (cfr. LwALLAz, § 52; ZRPh, X TV, 4:121. A maggior ragione: raskid,
stranjid, vitidd, rida aiutare, infreidd.
' La prima parte non mi è chiara (v. Jaccard, 259, Maréchauchée, Chauchet-
hvtrais); ma per la seconda non v'ha dubbio alcuno : il termine di chaussée,
applicato, come è il caso nostro, a pascoli, è frequente in Svizzera, cfr.
1. e 78, e tmsìà, a Moutier (.Jura), BhZRPh, IV, 39.
248 Terracini,
Una tendenza del parlare ussegliese può spiegare, fino ad un
certo punto, questo livellamento nei verbi della T* con. : il dia-
letto ripugna dai dittonghi discendenti, quindi la vocale dell'in-
finito, giunta ad la, come nei paesi vicini (v. P. II), sarebbe
presto* passata a ui. Questo a sua volta sarebbe stato facil-
mente distrutto dalla tendenza, pure forte nel parlare ussegliese,
a sopprimere il primo elemento dei dittonghi ascendenti, che la
consonante precedente^ per sua natura prepalatale, era d'altra
parte assai propensa ad assorbire.
Tuttavia il ritrovare condizioni analoghe in paesi ove questa
spiegazione non vale (v. P. II), persuade a vedere in questo man-
cato turbamento un livellamento prodotto dalla grande serie nor-
male dei verbi di I ^ ; ma un livellamento di questa fatta deve
essere promosso da cause particolari, altrimenti esso nei dia-
letti franco-provenzali non sarebbe cosi raro come realmente è:
queste cause si cercheranno con più agio nella P. II.
67. Suff. -ariu. Parimente occorre la comparazione per giu-
dicare qual valore abbia l'esito del suff. -ariu, che è il mede-
simo, sia dopo palatale^ sia dopo altra consonante. Esso suona
al maschile e e al femminile eri: l'esito dell'atona vuole che
si postuli *eiri, e, a sua volta, la caduta dell'i mostra che la
vocale era chiusa e simile all'esito di e v. n. 39, 65: gene gennaio,
huvé astuccio della cote, murU mortaio, tU telaio, prime primo,
i^^a/fri tessitrice, ecc. preceduti da palatale: èer^f pastore,, cusé
scarpe, giasé ghiacciaio; ciriferi ciliegio, bergeri e i topon.:
vaceri, ramaseri.
[IV] Influsso di nasale. 68. In sillaba aperta. All'interno ora
suona (i: lana, smana, rana; -ana: funfana, friistana frustagno -,
^ L'analogia si esercitò anche sull'atona: 2* pars. sing. imper. minga, fiica.
^ Ancora gahsana genziana, hustana trave, phirana salamandra.
11 parlare d'Usseglio 249
69. In finale esso suona breve, assai vibrata e con spiccata tinta
palatale à\ dmàn domani, gran, niàn, pan, ripiàn ripiano. 70. In
sillaba chiusa è pure passato a à breve. Il passaggio è recente,
infatti la Par. non ne ha ancora traccia: àfn^ida ansa, ànka anca,
caute canta, dinànde chiede; grànda, karànta, piànta, scànke
straccia, tirànta tesa; hmpiila, càinha gamba,, tàni/Ht fossa. In
finale fmììk fianco, biciùk (bianco); gerundio 1^ con.: hnlànt bal-
lando. Se segue consonante palatale, s'ebbe invece è: hieiici
bianca, frengi frangia, meiigi. niengu manico, pmìc/ pedana.
250 Varia. — Malagòli,
-v j^:eòx a.
i.
L'ARTICOLO MASCHILE SINGOLARE
nel dialetto di Piandelagotti (Modena).
Il Parodi nelle sue note Intorno al dialetto d'Ormea ^ ha
fatto una rassegna delle parlate gallo-italiche, finqui note, in
cui si hanno due forme per l'articolo maschile singolare, se-
condo la diversa consonante iniziale del vocabolo seguente, e
ha ricordato gli autori che segnalarono il fenomeno. Possono
aggiungersi all'elenco del Parodi i dialetti in generale della
zona alta e media dell'Appennino modenese, i quali, come ac-
cennava il Pullè nella descrizione sommaria dei Dialetti del
Frignano -, hanno ben tre forme di articolo maschile singolare,
secondo i suoni consonantici che seguono. Io esporrò qui i casi
nei quali ho trovato l'una o l'altra forma d'articolo nel dialetto
di Piandelagotti (Alto Frignano).
Si ha:
1) al (che è la forma più comune dell'articolo nei dialetti
emiliani) davanti a dentale e a palatale: al tenpe'-'' il tempo,
^ Studi romanzi, V, p. 112.
^ L'Appennino modenese, p. 727 ; Rocca S. C'asciano, Cappelli, 1895.
^ Indico con « la vocal 6nale semimuta che ha suono evanescente, indi-
stinto (Cfr. la Prefaz. a questo volume àoìV Archivio, p. xxv).
L'articolo maschile singolare, ecc. 251
al tm il tuono, al di il dito, al nafe il naso, al zio ; al ciéle
il cielo, al tjuvc il giogo ;
2) e, davanti a labiale e a velare : e pra il prato, e pa il
pane, e ho il bue, e brache, e ninnie il monte, e flciske il fiasco,
e fiìlmine, e fa'cjf. il fuoco, e ol il vino ; e kapelle il cappello,
e kà il cane, e (jalle il gallo, e (java la paletta ;
3) H, davanti et /, r, s e s: u lave il lupo, u lette il ietto,
u lànpane il lampo, u re ', u rìfe il riso. // ramine il i-aine ;
u sàie il sole, tt sasse il sasso, u sale, u saninie lo sciame,
H sturnelle lo stornello.
Che questi vari riflessi di ille sian dovuti, come nel piemon-
tese e nel ligure, a fonetica sintattica sembra certo per la con-
siderazione che i medesimi nessi hanno trattamento analogo
quando si trovano in mezzo di parola:
Infatti:
1) L resta, davanti a dentale o a- palatale : èlle alto, al-
tezza -, altre altro, altare, saltare, kàlde, skaldare, skalzàre
' metter a nudo i piedi ', vmse venne, tense tenne ; kalclìia. calce,
salcicca salsiccia ;
2) L -f labiale o velare si palatizzò in ^: àipa alpe, a^ha
alba, àjbiire albero, aihurl' alberino, ìnaha malva, saivàre sal-
vare ; kaikare calcare, kàike qualche, kajkosa qualche cosa,
Bulgare Bulgarelli (cognome) ;
3) Per l, r. nulla a formola interna. Solo per .s trovo false
falso, salsa, pùnse polso, voci entrato probal)il mente tardi nel
dialetto e semidotte.
A compensarci di tali lacune vengono i riflessi di ille pro-
' U re, insieme con el re, si legge in una delle due versioni che per
Fiumalbo offre il Rapanti, p. 295.
' Con e s'indica l'alterazione velare di e, suono più chiuso di w: e l'esito
normale di lat. •;• T in sillaba chiusa, a Piandelagotti (Ved. Prefaz. a questo
volume t\(i\V Archivio, p. xxvii).
252 Varia. — Malagòli,
nome e aggettivo dimostrativo, che a Piandelagotti corrispon-
dono esattamente a quelli dell'articolo ':
1) Dav. a dentale e a palatale : al duna egli dona, al tenta,
al nèca e' nevica, al zappa, al ciga egli urla, al gilra egli giura;
kal tdpe quel topo, kal dulure quel dolore, kat nuinnie quel nome,
kal zilkkare quello zucchero, kal cergtte quel cerotto; kal cjuvriQtte
quel giovinotto ;
2) Dav. a labiale o a velare : e passa egli passa, e bevve
egli beve, e munta, e ferma, e va, kuand a e viste ' quando io
lo vidi ', e kamlna, e </ a egli ha ; ke purceUe quel porco, ke
hìitere quel burro, ke mrjtdre quel mezzadro, ke furmàje quel
cacio, ke vedre quel vetro, ke kìege quel cuoco, ke gatte quel gatto ;
2) Dav. a /, r, s e s: n lava, e m' a ditt k' u ridde '^m'ha
detto ch'egli ride ', a u so ' Io so ', u samma; ku ladre, hi rudu
quel rotone, ku sàlge quel salice, ku stivale quello stivale.
Osserva il Meyer-Liibke - che l'Emilia, se ha qualche esempio
di palatizzazione di l -\- cons. nel romagnolo e nel bolognese, si
sottrae invece al fenomeno di / vocalizzato in n. Gli esempi
addotti sopra allargano il campo in cui si svolsero entrambi i
fenomeni.
E notevole che, mentre in dialetti piemontesi e liguri si ha
principalmente u da l dav. a dentale e a palatale, e l mante-
nuto o r dav. a labiale e a velare, — nell'Alto Appennino mo-
denese, per contro, l si conserva sempre nel primo caso, si
ha X i^sl secondo, e u solo dav. a liquida e a s, s '^.
^ Nel romagnolo, invece, come notò il Mussafia, l'articolo davanti a con-
sonante è sempre e, laddove il pronome è in certi determinati casi )i.
Coincidono, e suonano e dav. a ogni consonante, l'articolo e il pronome
nella parte orientale dell'Appennino reggiano che confina col modenese.
"2 Itaì. Gramm., § 233 ; Grundriss^, p. 708.
^ U dav. a r, l si riscontra anche nell'ALioNE (Arch. Glott., XV 417), e
nel Gelindo, dove è o molto cupo (Misceli. Scherillo-Negri, p. 44).
L'articolo maschile sint^olare. ecc. 253
Come si spiegano, qui, z trattato come dentale, e s, 5, all'op-
posto, messi alla pari con le liquide?
Alla prima parte della domanda si potrà rispondere che il
fenomeno si svolse in un tempo in cui z sonava ancora ty, e
anche oggi, probabilmente, z lassii tiene il timbro di t nel mo-
mento dell'implosione \ come par dimostrato dalla nuova voce
bàlzarr ' valzer ' e dalla differenza che osserva tuttora il dia-
letto nell'uso dell'articolo dav. a z o &, s, s iniziali in parole
di recente introduzione {al lavajh' lo zabaione; u socaiista,
li stokafìsse).
Pili difficile si presenta la seconda questione della parità di
trattamento fra s, .s- e le liquide. Sebbene gli esempi di rap-
porti fra liquide e sibilanti e di scambi fra queste non man-
chino nella storia dei linguaggi antichi e moderni, non esclusi
gl'italici e i viventi dialetti della penisola e delle isole nostre, —
m'accontenterò qui di segnalare il fatto, riservandomi di par-
larne, come a luogo più opportuno, nello studio complessivo
della interessante fonetica piandelagottese, a cui attendo.
Tramontato da tempo, nel dialetto di Piandelagotti, sembra
il fenomeno della palatizzazione di / dav. a labiale e a velare,
come ci dicono i sincopati piilga pulce, salgàda *silicata, elkare
leccare, eloare levare e simm., e i letterari Palmlna, Alfredo,
Adolfe. Elvira, ecc. La triplice forma dell'articolo resta però
sempre, come abbiamo già accennato, anche davanti alle parole
di nuova introduzione. Nello stesso modo è rimasto nel roma-
gnolo l'art, e in ogni caso.
Per quest'art, e da *el il Mussafia, quantunque avesse già
notato nel romagnolo alcuni casi di palatizzazione di ^ -|- cons.,
* Ciò non implica che il suono sia composto; come tale non è, secondo
la dimostrazione del Goidaxich (Miscellanea Hortis, p. 938 e seg.), il tose, z,
al quale somiglia molto la consonante piandelagottese corrispondente.
254 Varia. — Malagòli. L'articolo maschile singolare, ecc.
pensava a una vera e propria caduta della consonante finale.
Non so se ora l'illustre e compianto uomo sarebbe stato del
medesimo parere. A me par più naturale l'ammettere che, tanto
nel romagnolo quanto nel piandelagottese, da *el si avesse *ei,
donde, in proclisi, e\ e questo e, nato probabilmente anche nel
territorio studiato dal Mussafia in determinati casi, si sarà
esteso là, per analogia, a tutti gli altri.
Quanto ad al da ^el, si tratta di una riduzione pure normale
a Piandelagotti, come ci attesta, fra le altre, la voce salgada,
citata sopra.
E i piandelag, rumatisme reumatismo, Ugenia Eugenia, benché
d'origine dotta, ci dicono che ancora vive lassù, o viveva re-
centemente eu-^ in u^.
Giuseppe Malagòli.
II.
P. G. GOIDANICH
vocalismo di buono, bello e bene
in proclisi nel toscano.
[A questa piccola indagine fui indotto dalle indicazioni dei lessicografi,
spece del Petrocchi; e l'obietto principale di essa era di riferire questi dati
per pili rispetti tanto curiosi, e sistemarli. A complemento, in parte a con-
trollo, delle indicazioni del Petrocchi, ho voluto chiedere, per lettera infor-
mazioni sui dati lessicografici ad amici toscani, e qualche interrogazione
diretta quando ho potuto volli fare io stesso ; i risultati di quest'investi-
gazione furono pur essi curiosi, e in parte inaspettati : le risposte, alle
volte coincidono con quelle del Petrocchi, alle volte sono conformi in ge-
nerale, disformi in particolari, ma sono altra volta anche del tutto nega-
tive ; anche il grado del restringimento di hon in proclisi è vario fra per-
sona e persona e talora è difficile a cogliersi la differenza da chi non abbia
un orecchio molto esercitato.
Converrebbe indagare con cura la diffusione geografica di questi feno-
meni in Toscana, studiare le differenze tra individui e fra ceti nel grado
di restringimento ; ma questo potrebbe fare uno che in Toscana avesse
soggiorno abituale, non potrei fare io. I dati raccolti bastano, mi pare, a
porre nella lor giusta luce i fenomeni e a segnarne approssimativamente
i confini; e spero che i risultati ottenuti incoraggino qualche studioso che
viva in Toscana a completarli.]
T. — NESSI SINTATTICI
A. — Buono.
1. Informazioni lessicografiche.
Nel periodo letterario premanzoniano non si ha nessuna no-
tizia d'altera/^ioni qualitative di hnonn in proclisi. Es. buoìi
256 Varia. — P. G. Goidanich,
(/ionio, buona notte, ecc. I lessicografi anteriori al Petrocchi
danno siffatte forme senz'osservazione di sorta.
Nel Petrocchi invece troviamo come forme della proclisi:
I buon, bugno, buona, bugni, bugne; II bgn, bgno, bgna, boni, bgne;
e III b()n [bona, 1 volta].
Bugn, bugna ecc. (I) sono le forme tradizionali letterarie.
Bon, bgna, ecc. (II) sono forme vernacolari del toscano mo-
derno.
Si domanda: in quali condizioni s'è generato il bon, la cui
esistenza, se non erro, nessuno degli studiosi ha mai rilevato?
Dagli esempi che il Petrocchi allega in gran massa nel dizio-
nario grande appare chiaramente che il bon s'è ristretto nello
schema accentuativo v^ -^ ed è rimasto largo nello schema ^ ^ j..
Ecco la lunga lista dei fatti :
(/) v^ -i : Bon core, {di) bon core (tre volte), [di] beni animo;
bon omo (4 v.), bonomo (2 v.) [ma bgn omaccio e bgn fìgliolo\,
bon diaooìo |ma bgn diavolaccio^, bgn prete, bon libro, un bgn
pranzo, un bgn esito, un bgn paio (d'ore), un bgn poco, anche
plur. sono un bgn pochi, bgn anima (2 v. es. mio padre, bgn
anima), la bgn anima [di mio padre, 2 v.), bgn animo (2 v.), bgn
tempo (2 V.), (di, a) bgn' ora (4 v.), (di) bgn occhio (2 v,), {di) bgn passo,
bgn p)eso (2 volte ; ma bgna misura), bgnsensg, bgn (/iorno (4 v.),
bgn di (2 v.), bgn anno, bgii capo d'anno [ma bgna sera, bona
notte (3 v.); anche: lo piantò li e bòna notte e simm.], bgn prò
(2 V.) [ma bgn appetito\, a bgn conto, in bgn dato (in quantità).
b) ^ ^ -l: Bgn costume, bgn proponimento^ bgn intenditore,
bgn omaccio (v. sotto a), bgn figliolo (v. s. a), bgn diavolaccio
(v. sotto a), bgn cavallino, bgn cavallo, bgn maestro, bgn cant((nte,
un bgn impiego, nn bgn partito, bgn a nulla (2 v.), hgìi a poco,
bgn e caro (2 v.), bgno e caro (2 v.), bgn ((ppetito (v. sotto a),
il bgn marito fa la bgìia moglie (prov.).
Si notino anche : bona sera e gli altri citati s. a. e ancora
11 vocalismo di buono, hello e bene in proclisi nel toscano 257
essere in bona luna, far hoiut vita, come esempi di nessi con
hono, bona, boni, bone\ i quali sono una massa.
Tale cumulo d'esempi obbedisce dunque chiaramente alla
legge: Vo d i boìi in proclisi diventò stretto in
p r 0 t 0 n i e a, restò largo in a n t i p r o t o n i e a o i p e r-
p r 0 t 0 n i e a.
Né l'esattezza della legge è infirmata dai pochissimi casi discor-
danti. In bau capo, che s'ha nel diz. grande accanto a bnn capo di
faiiiiglia, bon essere (ib.) e bon yiorno (diz. picc), io penso che
non si tratti di deviazione dalla norma, ma di sostituzioni oc-
casionali di bo)i del vernacolo ai baon dei tuttora sussistenti
buon giorno, buon essere [raro: Jion essere e buo)i essere io stesao
che Benessere, Petr.]. Bona volontà resta un po' dubbio, veramente,
perché si trova registrato cosi: Bona volontà. Uomo di bòna
volontà. Di bòna vohmfà è lastricato l'inferno. (ìli esempi distrug-
gerebbero il valore della glossa. S'aggiunge pili sotto " un bon
affare „. Io sarei poco disposto a vederci un errore di stampa '. Il
' ■' Bedauerliche Versehen „ lamenta nel Petrocchi il Hecker in un suo
diligente studio C Zur Aussprache des Italienischen , in ASNS Bd. CXXIl,
p. 93 e 94). Io nego che nei pili dei casi imputati a svista dal H., di svista
si possa parlare. Non bisogna fermarsi alle glosse o a singole glosse.
Apriamo p. es. il Dizionario grande a novecento che il H. pone appunto fra
i " bedauerliche Versehen ,. " Novecènto, num. Nòve centinaia. ...IV
dremo, se si campa, che saprà fare il novecento. § Deriv. Nove cent uno,
Novecentosèi, ecc. e gli ordin. Nove e, ente s i m o , Novecentes i ni o
primo, ecc. Lo stesso è sempre nei dizionari e nel Vocabolarietto di pro-
nunzia per novecento, ottocento, settecento. Questa costanza garantisce l'esat-
tezza del P. [Anche l'interessante contrasto fra (nove) e e nt ano , (nove)-
e etitót t 0 e (nove) cento due, tre, quattro, ecc., 'sul quale nessuno
ha richiamato l'attenzione e che forse e di ragione antica, come ve-
dremo altrove, è costante nel P.]. Si potrà trattare in alcuni casi di pro-
nunzie pistoiesi 0 comunque non generali in Toscana, magari in altri di
pronunzie individuali o incostanze individuali, ma ' le sviste ' possono es-
sere pochissime.
258 Varia. — P. G. Goidanieh,
Petrocchi è molto corretto; a gran stento sono riuscito a sor-
prenderlo in fallo: c'è un doppio (legittimo?] e un ore sotto
* sonare ', un sòr ho visto anche, ma non riesco pili a rintrac-
ciarlo. Sarei più disposto a vedere in bon affare uno sconfina-
mento analogico.
I fatti dal Petrocchi riferiti subito mi parve non potessero
esser revocati in dubbio. Si badi bene: il P. butta li nel diz. grande
quattro fitte colonne d'esempi, senza avere il pili lontano sen-
tore d'una legge che li governi ; alla rinfusa, in continua vicenda,
vi si trovano forme con o e con o in modo che, chi tenti vederci
dentro un po' chiaro, sulle prime rimane stupito e disorientato ;
appunto data questa assoluta obiettività del Petrocchi, sull'at-
tendibilità delle sue informazioni non si può dubitare un mo-
mento. D'altra parte il doppio esito ò o è in razionale persua-
sivo rapporto di effetto e causa con gli schemi ^ ^ -^, ^ -!- :
subito prima dell'accento si sorvola sulla vocale nel toscano,
l'antìprotonica è invece sorretta da un accento secondario che
meglio ne garentisce l'entità espiratoria.
E i dati del Petrocchi ricevettero nuove conferme, e dene-
gazioni, ugualmente autorevoli. Questa inconstanza lungi dal
disorientare ci conduce a un risultato nuovo : il Petrocchi ci dà
la pronunzia popolare pistoiese; questo è certissimo; inoltre,
con la riserva dovuta alla scarsità delle mie informazioni, si
può dire che con Pistoia vadano d'accordo anche le province
di nord-est (anche altre caratteristiche differenziali dal fiorentino
hanno comune il pistoiese e il pisano col livornese) ; il feno-
meno pare invece sconosciuto nel centro e a sud. Ma ecco le
informazioni nuove.
2. Informazioni nuove.
Antonio Rafanelli, professore di lettere, nativo di Pistoia e
domiciliato a Pistoia; concittadino del Petrocchi e perciò fonte
Il vocalismo di buono, hello e he)ie in proclisi nel toscano 259
importante. Le sue risposte al mio quistionario coincidono mira-
bilmente coi dati del Petrocchi. Eccole: Basta avere un po' di
b 0 n s e n s 0 per capirla; lo diceva anche, il babbo b o n a n i in a ;
sicuro che è un bon omo; in fondo, era un bon omaccio; [^bono-
mini nel senso di " operai „ d'opere pie è sconoscintoj ; la pagai
poco, ed ebbi b o n p e s o ; Hf(( tranquillo che quel mercante da
xeìnpre bona misura; bon prò a tutti. Arrivederci e bon
appetito; se rai là, t'accetteranno certo di bon core; su di
bon a il i m 0 , che diavolo.'; è un (jran bon figliolo; va
bene, ma non puoi negare che fosse un b o n diavolo; era
stato sempre un bon diavolaccio; per Bacco, se ci fecero
un b o n p r a n z o ; almeno le sue cure avessero un b o n esito;
compralo, fai un bon affare |il K. corregge, dunqne, come
lo Zaccagnini, secondo la chiara norma, questo esempio che nel
Petrocchi era anormale]. Bon dì e ben venuto.'; a far
quella salita ci vorrà almeno un bon paio d'ore; sicuro, è
un bon poco che sto qui ad aspettarti ; hai bon tempo e
perciò puoi farlo ; domattina alzatevi di bon o r a ; m casa non
lo vedevano di b o n o e e ìi io; se vai di bon passo non ci
metti più di due ore ; bon g i o r n o, signori ; bon giorno e
b 0 n a n n o ; gli scrisse due righi per augurargli il bon e a p o
d ' a n n o; intanto, a bon co n t o, rendimi quelle due lire ; [ ** in
bon dato non è dell'uso, ma stretto di certo „ R. | ; badan molto
anche al b o n e o s t u m e; chiedigli perdono e fa un bon p r o-
p 0 n i m e n f 0 anche per Vavvenire ; a b o n i nt e n d it o r poche
parole ; hai un gran bon cavallo; che bon e a v a 1 1 i n o !
era un bravo e bon maestro; tutti lo credevano un bon
prete; compralo pure, è un bon libro che t'insegnerà molte
cose; ebbe un b o n i m p i ego; gli si offrì un b o n partito e
si decise ad accasarsi ; bada, son bon a poco e te lo dico in-
nanzi; era bon e caro, ma guai a provocarlo; è un bon ma-
rito. — Il li. finisco col dichiararsi sicuro d'avermi dato sin-
Archivio fjlottol. ital.. XVII. ' Is
260 Varia. — P. G. Goidanicli,
cera la pronunzia sua " che è quella che tu mi chiedevi „; che
negli altri è difficile coglierla ^.
Guido Zaccagnini, professore di lettere, anche lui, come il Ra-
fanelli, nativo di Pistoia e dimorante in Pistoia; altra fonte molto
importante, dunque. Conferma in modo sorprendente le indicazioni
del Petrocchi; riconferma non solo la doppia pronunzia in hon
giorno e hgn g., ma anche in bona volontà., bona v. ; corregge
bon affare in bgn affare [bon capo manca nella lista speditagli].
Itala Goidànich, mia moglie, dì Lari in provincia di Pisa.
Più interrogazioni a distanza di molti giorni. Coincidenza sor-
prendente nelle sue risposte: corregge bon affare in bon affare; ha
bon sempre in bon esito, bon prete, bon libro ; una volta bon ap-
petito. Per il resto coincide perfettamente col Petrocchi. La dif-
ferenza fra i due o è ben sensibile, ma anche \'o antiprotonico,
p. es. di bon figliolo, è meno aperto del tonico di bono predicato.
Augusto Mancini, della Facoltà di lettere di Pisa, di Livorno,
ma dimorante da molti anni a Lucca, dove vive, per ragioni
politiche, molto a contatto col popolo. Interrogazioni orali. Dif-
' Mi pare anzi interessante [anche in riguardo alle investigazioni per
il futuro Atlante dialettale italiano ; io credo che ciascuna regione dovrebbe
avere investigatori regionali] riferire integralmente la sua dichiarazione :
" In bocca di gente analfabeta o quasi il colore della protonica difficil-
mente si afferra; e ciò perché la forza del suono si concentra tutta sulla
sillaba accentata, di guisa che per le altre — specialmente per quella che
è subito prima dell'accento [nb] — non rimane che una debolissima emis-
sione incapace quasi di colorir la vocale; d'altra parte se tu fai divider
loro le sillabe dell'espressione si mettono sull'avviso e fanno una confusione
del diavolo. I letterati o pseudo-lettorati poi non hanno valore perché la
loro è una pronunzia ibrida da fare scappare i cani. Insomma, credo d'averti
dato la vera pronunzia : certo t ho data la mia, che è quella che tu mi
chiedevi „ — [Un sistema consigliabile per l'audizione delle protoniche,
quando s'ha da fare con persone intelligenti, sarebbe quello di farle bal-
bettare 0 tenere a lungo queste sillabe].
Il vocalismo di buono, belìo e bene in proclisi nel toscano '261
fereiize dal Petrocchi: bon core, hon omo, òou libro, hon pranzo,
hon esito, bon paio, b<^n passo, bon peso, h^n senso; ha dato bori dia-
volaccio, chiesto subito dopo boti diavolo, ma bon diavolaccio
chiesto indipendentemente pili tardi, pur riconfermando bon dia-
volo; l'esempio vale a spiegare i trapassi per analogia, dei quali
sani da vedere uno nel bona ser(( dato dal Mancini accanto a
bona nafte, con piena sicurezza entrambi. Il M. dice boii aìino
ma a differenza del P. bon capo d'anno, che, direi, è pili giusto,
trattandosi si può dire d'un caso d'iperprotonesi. Anche in lui
la differenza tra o ed o è ben sensibile.
Luigi Falcucci, professore di lettere nella Scuola Tecnica
di Pisa. Scrive : " Ho segnato la pronunzia che mi sembra
d'usare io stesso ordinariamente. Ma, riflettendo ho molta in-
certezza. Mi sembra che talune parole pronunziate a voce alta
abbiano una vocale [e od o) larga, pronunziate a voce bassa
l'abbiano stretta. Inoltre io. livornese, ma abitante da dieci
anni a Pisa, non so se segno la pronunzia di questa o quella
cittci, nei singoli casi. Infine mi sembra che le classi sociali in-
feriori abbiano qui (a Pisa) pronunzia diversa dalle altre e pre-
cisamente pili stretta, in generale „. Le indicazioni del F. sono
importanti anche come mira d'un'indagine avvenire. In parti-
colare egli ha : boìi anno, bon capo, ma bon capo d'anno, bona
notte accanto a bona sera (rie. il Mancini) ; come sicuramente
stretti egli ancora dà : di bon animo, di bon' ora, di bon passo,
bon essere; spesseggiano gl'interrogativi; ciò, vale a dire, in :
bon esito, un bon paio, bon anima, un bon poco, bon peso, a b(jn
conto, di bqn animo e anche in bon intenditore, bon e caro, il
bon marito, bon affare. Ora si noti che io non avevo comunicato
affatto al F. le indicazioni del Petrocchi: e si osservi che, a
parte lo scrupolo dell'interrogativo, i suoi dati coincidono nella
sostanza con quelli del Petrocchi ; i segni sopra indicati di larga
e stretta sono stati fatti da lui.
262 Varia. — P. G. Goidanicb,
Lorenzo Cecchi, professore nell'istituto Tecnico di Livorno,
livornese. Buona fonte. Conferma i dati del Petrocchi.
Filippo Rosati, vice-direttore della Scuola Normale Universi-
taria di Pisa, ma fiorentino; per lettera nega che una differenza
di bon e hon in proclisi esista.
Lina lieve differenza l'ho riscontrata invece nell'ispettore scola-
sticO; Benedetti, lucchese, ma dimorante in Firenze; anche il pro-
fessore Cortese, napoletano, insegnante di pedagogia in Firenze,
presente a quelle interrogazioni, avvertiva per es. in hon' anima
un 0 piìi serrato del comune o aperto, un o medio. Di questa
differenza il Benedetti non mostrava di aver coscienza; essendo
egli occupatissimo non potei insistere fino a convincernelo.
Angelo Bruschi, ora bibliotecario della Marucelliana, fioren-
tino, vissuto sempre in Firenze, dunque per il fiorentino fonte
preziosa. Non conosce nella sua parlata forme con o e non fa
alcuna distinzione fra Yuo di bnon giorno e buona notte.
A. Del Punta, distributore alla Braidense, fiorentino. Nessuna
differenza fra o protonici.
G. Livi, sopraintendente del r. Archivio di Stato in Bologna,
di Prato. Da me udito: conosce o protonici di media ma sempre
uguale apertura.
R. Nasini, professore dell'Università di Pisa, si dichiara " se-
nese „ ed è nativo di Santafiora (Arezzo). Nessuna differenza.
Un grossetano, di cui ignoro il nome, interrogato da me in
treno, non avvertiva differenze tra i vari o protonici e a me
pareva che fossero tutti di media ma uguale apertura.
L. Scaffai, segretario dell'Istituto di Studi superiori in Firenze,
nativo d'un paesello tra Pistoia e Firenze. È, per certi rispetti,
una fonte interessante. Nella sua parlata abituale egli conosce
la forma buon non la forma bon, e pronunzia ora buon ora
buon presso a poco colla solita vicenda, Viceversa sempre h^n. Si
tratta di differenze minime, che lo Se. non avvei'tiva da sé,
Il vocalismo di buDiio, bello e bene in proclisi nel toscano 263
ma avvisato da me finiva col riconoscere. Egli pronunziava
dunque alquanto diversamente buon giorno da buona notte, buon
omo (anche bonomo) da buon maestro, buon anima da buQn a
nulla. Devo dire che mi parve pronunziasse contro la norma
anche buon cavallo e buon cappello. Ma non ebbi teini)o di veri-
ficare con esempi improvvisi quanto queste forme fossero sin-
cere 0 se fossero determinato da casi normali con o pronunziati
subito avanti.
Un empolese, di cui non ricordo il nome, addetto alla Braidense,
da me udito. Conosce forme con o stretto (es. bon giorno), ma le
forme con o largo sono in gran prevalenza; dice buon {sic} prò.
Riassumendo e integrando per discrezione i dati che ho potuto
raccogliere e ho riferito, mi pare che le vicende e le condizioni
qualitative di buono in proclisi nei nessi sintattici si possano
definire cosi: il Petrocchi riferiva la pronunzia di Pistoia, dove
bon -i diventò bon -i, mentre bòn ^ -l resta inalterato; la To-
scana par divisa per questo fenomeno in tre zone: una gravi-
tante a destra d'Arno che con Pistoia s'accorda; l'altra a sinistra
che al pari di Firenze non conosce il fenomeno; e una terza
intermedia con dati poco spiccati o irregolari o scarsi ; ulte-
riori determinazioni non sono possibili che sul posto ;
il grado di i-estringimento di questi o è vano tra classe
e classe sociale; ed è anche vario il numero dei nessi in cui
questo restringimento è sentito ; non mancano gli sconfina-
menti analogici ;
quelli che nella pallata abituale hanno bon, usando la forma
letteraria buon, non devono di solito farvi sentire alcuna diffe-
renza qualitativa : cosi spiegherei come il Petrocchi dia nel
diz. piccolo buon passo, buon senso, buon prò con uo largo, e nel
dizion. grande bon passo, bon senso, bon prò con o stretto; o,
detto in generale, che egli non distingua due uo mentre distingue
cosi accuratamente due o di proclisi, uno stretto, uno largo ;
264 Varia. — P. U. Goidanicli,
nella zona intermedia, coloro clie hanno nella parlata abi-
tuale no, pare distinguano tra un uo stretto, o almeno medio,
di protonica e un uo di antiprotonica largo o piìi largo del pro-
tonico e forse meno largo dol tonico (Scaffai e l'Empolese).
[Sarebbe interessante, per la pratica, estendere l'indagine a
molti fra coloro che in Firenze hanno ancora nella pronunzia
abituale ì'uo ; per poter cioè stabilire se, come tipico della parlata
letteraria, s'ha da raccomandare un uo protonico con o di media
apertura; io credo sia cosi] ^.
Al contrario di buono, bene e beilo non soffrono nei " nessi
sintattici „ alcuna alterazione qualitativa. Non solo dan vocale
larga i lessici, ma anche le persone udite hanno un e largo,
bello, chiaro. — Scelgo fra gli esempi alcuni nessi bene stretti,
che sono i meglio critici: a) Tu ài visto un bel inondo; ài fatto
un bel colpo; ài un bei dire, un bel fare; è un bel matto; darsi
bel tempo; un bel tacer non fu mai scritto; un bel si, ini bel no;
Un bel nidla; b) ben altro; picchiar ben bene, ben riuscito, ecc.
Che buo)io e bello, bene non abbiano sorti parallele non deve
fare, s'intende, meraviglia. Anche senza uscire dalla Toscana,
qui no ha perduto il primo elemento del dittongo, mentre ie lo
conserva ^.
' Sia qui ricordato clie un o di grado medio in sillaba disaccentata in
italiano indicava già il Josselyn. Solo, sia detto anche di passata, il Josselyn
ebbe il torto di assumere come soggetti delle sue esperienze italiani di
pili province, mettendosi nell'impossibilità di distinguere i vari clementi
costitutivi di pronunzie individuali.
^ La sola parola, che si trova in condizioni fonetiche se non identiche
TI vocalismo di buono, beilo e bene in proclisi nel toscano 265
II. — I COMPOSTI.
A) Buono.
liuonamano, biwnacogìia, buonamorte, buonaluìia.
La Crusca preferisce le forme bonamano, bonaroglia, bona-
mortp a buouaniano. ecc. ; ossia dalla forma buonamano, ecc. ri-
manda il lettore a bonamano, ecc.; non conosce buonalana.
Il Higiitini. tanto in ll.-Fanfani, Voc. della lingua parlata,
quanto nel Dizionarietto di pronunzia, ha solo forme con o.
Il Petrocchi ha forme con no, con ò e con ó e forme coi due
termini scritti disgiuntamente. In particolare:
Buonamano nel Diz. grande, al piano inferiore nella glossa.
Bonamano nel Diz. grande nella glossa a suo luogo e s. v. Buono ; e anche
nel Diz. piccolo a suo luogo nella glossa.
Bgnumano come equivalente vivo del citato Buonamano e nell'esempio nel
Diz. picc. e nel Vocabolarietto di pron.
Bona mano accanto a Bonamano nel Diz. grande alla glossa.
Buonavoglia manca.
Bgnavoglia Diz. gr. nel piano inferiore, come termine storico nel significato
di rematore mercenario non forzato (citato è il Fanfani ; ma c'era già
nella 4:" impressione della Crusca). — Diz. gr. tre v. e in tre significati
in cui la parola è viva.
almeno analoghe a buon bon, e don. Ho voluto dunque indagare un po' anche
su questo punto; con risultati curiosi : il Petrocchi ha " don e pop. don ,;
il Rafanelli confermò il mio sospetto che si trattasse di doppioni sintattici
dipendenti dalla varia accentuazione della parola seguente come in bon ;
I. Goidànich ha sempre don, il Cecchi livornese id. ; Giulio Lazzeri, altro
livornese, professore all'Accademia Navale, sempre don ; il Bruschi ha
sempre don (" Sarebbe un'affettazione Va stretto che non ho mai sentito
né dal popolo né dalle persone colte „) ; il Nasini sempre don; il Kosati
ha sempre don, ma dev'essere un pisanisuio. Infatti l'area di dcpi par che
coincida con quella di bon ed è quanto era da aspettarsi. Per la pratica
sarà da adottare e insegnare la pronunzia don.
266 Varia. - P. G. Goidanich,
Bqnavoglia, nel Diz. picc. e nel Voc. di pron.
Bona voglia, nel Diz. gr. in un esempio nel significato di ' scioperato ' (n'alio
stesso significato in altro esempio ib. bonaroglia).
Buonamorte Diz. gr. piano inf. Ricordato un es. del Fagiuoli nel senso di
' prediche sulla buona morte '. Buonamorte anche nel piano superiore,
però con rimanda a Bonamorte.
Bqnamorte Diz. grande nel senso di funzione religiosa; Diz. picc.
Bona morte Diz. gr. nella glossa accanto a Bqnamorte.
Buonalana manca.
Bqnalana Diz. gr. (2 volte).
Bònalana Voc. pron.
Bòna lana Diz. gr. nella glossa accanto a Bqnalana.
Le forme coWuo sono proprie della lingua letteraria antica.
Ma a questo periodo si attribuiscono dalla Crusca, anzi si con-
siderano come di questo periodo meglio proprie, le forme con o.
Sennonché queste forme con o, attribuite al periodo antico, non
hanno alcun fondamento storico. Io passo in rassegna le fonti
anche per dimostrare nello stesso tempo che si tratta di com-
posti relativamente recenti.
Di bonainano la Crusca non dà alcun esempio ; il Tommaseo ne ha tre
(P. Nelli, a mezzo il '500, Varchi, Fagiuoli), tutti con no. Nella 4* impres-
sione della Or. buonamnno manca. — Di buonavoglia da la Crusca due
esempi, del Buonarroti nella Fiera e del Fagiuoli, che il Tommaseo scrive
staccati; anche nell'accezione di 'rematore mercenario' non forzato, buona
voglia è termine storico. Il Tommaseo aggiunge agli esempi della Crusca
altri due dell'Allegri e del Chiabrera, scritti buonavoglia coir»o ; e coW'ho
è anche l'esempio aggiunto dal Conti di buonavoglia nell'accezione di
'scioperato'. La 4* impressione della Cr. ha buonavoglia come term. stor.
Di buonamorte la Cr. e il Tomm. danno un esempio del Fagiuoli; il Tomm.
aggiunge : Confraternita della Buona morte (staccato), e staccato è il ter-
mine anche nel senso di funzione religiosa aggiunto dal Conti {Buonalana
manca nella Crusca) ; nel Tomm. s. v. lana è dato un esempio del Serdo-
nati (a mezzo '500) dov'è scritto buona lana.
Le forme con o non hanno dunque alcuna base storica. Anzi
esse traggono origine da un equivoco storico-filologico. Cioè, a
i
Il vocalismo di buono, bello e bene in proclisi nel toscano 267
pag. XXI della prefazione al 1° voi. gli Accademici esprimono
l'opinione " che il dittongo uo non sia sostanziale nel vocabolo,
ma vi stia solo a fissare un accento aperto sulla vocale o „, e
che perciò in sillaba atona diventa ozioso. Noi sappiamo che le
cose non stanno cosi; in questi casi Vko andava rispettato e la
Crusca ha assunto in questo caso, senza accorgersene, forme
vernacolari reputandole per equivoco forme letteraiie legittime.
Lo stesso arbitrio, di accomodare tutti questi uo protonici
della lingua scritta in o, commisero il Rigutini e il Fanfani ; e
si badi : la deterniinaziono di " Vocabolario della lingua par-
lata „ non li scusa perche essi non ammettevano la forma ver-
nacolare bòno fra le forme della lingua letteraria; e dal punto
di vista della storia della lingua tanto vale dire ò <> n a voglid
quanto ' questo libro è b o h o '.
Queste forme con o — per le quali si determina, e si capisce
facilmente, anche il P. nel diz. di pronunzia — sono, come
ho detto, le forme della fase attuale di evoluzione del dialetto
toscano, in origine forme vernacolari; ciò si dimostra coi fatti
storici alla mano.
Ho detto che le forme come boiuilana ecc. sono forme ver-
e
nacolari. in origine; e ho aggiunto " in origine ^, perché per
la diffusione dell'equivoco dei lessicografi sono ormai entrate
anche nella parlata colta. Il bibliotecario della Marucelliana,
Bruschi, che disdegna le forme con o in bono, bon, ecc., mi
dà invece appunto come forme sue individuali e come proprie
delle persone colte in Firenze: bo>tal<nìa, ecc.
Che cosa sono poi mai le forme con o boìiamano. ecc. date
dal Petrocctii? I fatti sopra citati escludono che si possano ri-
teneie forme antiche. Esse sono invece sorte per un doppio
equivoco : ossia in primo luogo furono presupposte come proprie
dt.'lla lingua letteraria antica le forme con o date dalla Crusca;
e in secondo luogo vennero lette tali forme con quella prò-
268 Varia. — P. G. Goidanic-h,
nunzia che di loro sarebbe stata propria se fossero antiche! In
seguito, come s'è visto, il P. ha abbandonato queste forme
con 0.
Per riassumere, avendo in mira anche la pratica della pro-
nunzia, possiamo dire : buonalana, ecc. sono le forme sole usate
nella lingua antica, e sono tuttora consentite ; alla lingua let-
teraria appartengono ormai, sebbene entratevi per un equivoco,
anche le forme bonalana, ecc. ; le forme honaìana, ecc., doppia-
mente equivoche, vanno scartate.
Coi criteri che siamo venuti acquistandoci van giudicate anche
le forme varie di buonòmlni e di bìiongustaio, buontempone.
Buonomini erano un'antica magistratura di Firenze. In questo
senso lo riporta la Crusca e con questa grafia ^ Mal fanno il
Rigutini e il Petrocchi a sostituire la grafia Bonomini anche in
questo senso. Ma Bonomini vive tuttora a Firenze come nome
d'un istituto per i poveri vergognosi. In questo senso la forma
volgare bonomini va rispettata come una forma storica ; e trat-
tandosi di nome proprio non sarebbe consentito usare qui il
dittongo. Il P. da \'o stretto per Bonomini. Secondo quanto ab-
biamo detto tale forma sarebbe foneticamente legittima a Pi-
stoia ecc. ; e la forma con \'o sarebbe qui analogica, una rico-
struzione.
La Crusca ha buongustaio senza esempi, e non conosce buon-
tempone. Il Tommaseo, del primo non conosce esempi anteriori
al '700 e precisamente ne allega uno del Fagiuoli e l'altro di
0. Targioni Tozzetti ('800) ; registra buontempone, ma senza
esempi, dall'uso vivo dunque. E interessante venir mostrando
' La quale è importante anche perché è un buon esempio di riduzione
antica del dittongo in proparossitoni.
Il vocalismo di buono, bello e bene in proclisi nel toscano 269
che i pili di questi composti sono recenti, perché si giustifica
meglio come la coscienza della composizione persista.
Il Rigutini e il Petrocchi scrivono dovunque queste forme con
Vo, che il Petrocchi vuole stretto. Ma anche con ì'o largo s'odono
dovunque in Toscana ; l'oscillazione dipende appunto dal fatto
che i parlanti ora hanno, ora no, coscienza della composizione;
ma le forme con g sono foneticamente legittime. — Il Bruschi
e il Rosati dicon proprie di Firenze ògìiomini, bQugustaio o
buongustaio, bgntempone o buontempone', e saran da preferire.
B) Bello e bene.
La sola fonte scritta a cui possiamo ricorrere per il colore
éeW'e di bello e bene in composizione è il Petrocchi; per le altre
viene a mancarci anche l'indicazione che si aveva per buono
nel dittongo.
Ora il P. è quasi sempre in modo incredibile incostante nel-
l'indicazione della pronunzia per questi composti, ma non pos-
siamo non credere di avere davanti a noi dati sinceri perché
le mende sarebbero in questo punto in folla, mentre il Petrocchi
è, ripeto, quasi sempre esattissimo.
I fatti sono questi :
a) Sempre e stretto in: bennato, begliuomini (pianta), bel-
limbusto {Benavere, non registrato dal Petr. in diz. picc. e in
voc. di pron., è dato con e stretto in diz. gr.).
b) Ora e stretto, ora e largo in: bellumore, benessere, bene-
stare, benandata, benuscita, benestante, beninteso, benportante, ben
veduto, benvisto, benvenuto, benvolere, benvoluto'.
e) Sempre e largo in: bentrovato, bentornato, benarrivato, benal-
zato, (il) benservito, benaccetto, benamato, benallevato, benaugurato,
benpensante, benportante (fino in benemeritol), bellosguardo, bella-
vista, belvedere, belladonna.
270 Varia. — P. G. Goidanieb,
Per mostrare a qual grado arriva l'incostanza negli esempi
indicati sotto è, riferiamo i fatti:
Belliiinore si trova nei Dizionari grande e piccolo ; ma nel Dizionario
grande stesso, sotto Bello, si rimanda a bèllumore ; e bèlluinore "e nel Voc.
di pron.
E benestare, nel Diz. grande nella glossa è benestare (stretto) o bène stare,
ma negli esempi (2 per ' approvazione di spese ' ecc., 3 per il ' vivere tran-
quillo e riposato') costantemente benestare; benestare e anche nel Diz. pic-
colo ; invece benestare (stretto) o bène stare nel Voc. di pronunzia.
Benessere e ben essere nei Diz. gr. e picc. alla glossa e nel Voc. di pro-
nunzia ; nel Diz. gr. benessere si ripete ancora 3 v. e 2 v. sotto essere ; ma
una volta si trova negli esempi anche benessere.
Benandata (mancia) nei Diz., ma benandata nel Voc. di pr. Nel Diz. gr.
anche dare il benandato a un seccatore che c'esca di torno.
Benestante sempre nei Diz. gr. e picc. ; nel gr. in un esempio anche
benestante. Nel Voc. di pron. manca.
Beninteso nella glossa e in due esempi nel Diz. gr. : beninteso ib. in un es.
e nel Voc. di pronunzia : beninteso e ben inteso.
Benportante nella glossa del Diz. gr. ; ma nell'es. e in Voc. di pronunzia
coll'e.
Benveduto e benvisto nel Diz. gr. alle glosse ; coll'f stretto anche in due
esempi ; ben veduto nel Diz. gr. sotto Benvisto ; nel Voc. di pron. benveduto
e benvisto.
Benvenuto nel Diz. gr. alla glossa e in sei esempi, nel Voc. di pr., nel
Diz. picc. alla glossa, ma qui nell'esempio solo ben venuto.
Benvolere nel Diz. gr. nella gì. e in un es., e nel Diz. di pron. ; ben volere
in due es. nel Diz. gr. e anche nel Diz. picc.
Benvoluto Diz. gr. v. benvolere nell'esempio ; benvoluto alla glossa e nel
Diz. di pron.
Questi i fatti. Sulla sincerità dei quali anche il lettore sarà
ora convinto che non si può portare il menomo dubbio. E anche
si sarà persuaso che non è possibile neppure tentare una
sistemazione fonetica; tutto dipende, come abbiamo già av-
vertito, dal modo come uno al momento in cui parla concepisce
la parola, se come parola semplice o come parola composta ^
^ Il Hecker non ha inteso bene queste condizioni, onde stranamente nega
Il vocalismo di buono, bello e bene in proclisi nel toscano 271
Questa spiegazione viene in fondo additata dal Petrocchi stesso
per due modi : collo scrivere queste parole congiunte e disgiunte,
e coll'ammettere come possibili anche le pronunzie : bmcmer'ito,
hmpìacito, benevolmente.
Ho detto che qui la vocale stretta non è un fatto di ragion
fonetica; e insisto su questo concetto. Non si tratta già, come
abbiamo visto nel § I per buono, bón, di un fenomeno vero e
proprio di evoluzione fonetica intervenuto in fase recente del
volgare toscano : si tratta invece di un adattamento puro e
semplice di queste parole a schemi fonetici preesistenti: è, vale
a dire, una norma fonetica costante che le vocali disaccentate
si pronunzian strette; nessuna parola semplice le si sottrae ^
E veniamo alla diffusione del fenomeno per trarne anche qui
una conclusione pratica. E da notarsi :
1. che non solo il Bruschi e il Rosati ma anche lo Zaccagnini.il
quale per o era vicinissimo alla pronunzia del P., conosce solo e
aperti; 2. che il P. da nel suo Vocabolario di pronunzia stretti solo:
bennato, benessere, bellimbusto, begliomini; 3. che proprio quasi
solo - in queste parole ora uno ora l'altro dei miei informa-
tori hanno vocale stretta; 4. che non c'è uno di questi infor-
matori che vada d'accordo in tutto col Petrocchi e che essi
sono in parte fra loro discordi. Ciò appare dal quadro seguente:
l'esistenza di forme frequenti o anche generali in Toscana, come le ricor-
date nel testo o ferrovia, termominerale, plenipotemiario e sim.
' Giova porre in rilievo che mentre le parole prese dal latino o dal-
l'italiano antico hanno e ed o larghi se tonici, in sillaba disaccentata anche
in queste parole s'ha e ed o stretti.
^ Il Falcucci solo dà beninteso con un punto interrogativo, il Cecchi, si-
curo sempre, ha benessere, e anche benestare ; gli altri larghi. Il Lazzeri ha
larghe tutte queste forme.
bennato
e
e
benessere
e
?
bellimbusto
?
e
begliomini
€
e
272 Varia. — P. G. Goidanicli, Il vocalismo di buono, bello e bene, ecc.
Petrocchi Rafanelli I. Goidunich Mancini Scaifai Empolese Falcucci
e — e ' f
e e e e
e e e e
belluomini e od e — e
Come si vede, dunque, le indicazioni del Petrocchi sono esatte
ma non hanno valore assoluto; in generale prevale la pronunzia
larga. Pili precisamente : anche queste forme con e, che il Pe-
trocchi ci dà, sono proprie di Pistoia e in parte della regione di
bon, ossia, là certe forme analogicamente alterate hanno acqui-
stato una relativa stabilità in un dato posto, e da tal posto
hanno avuto una certa diffusione ; Firenze invece è rimasta
estranea e alla tendenza analogica e alle infiltrazioni di forme
singole.
Quanto alla pratica, è questo uno dei casi in cui non c'è
dubbio di scelta ; si tratta d'un innovazione, cui Firenze non
partecipa, d'un innovazione sottodialettale; per di pili, queste
forme non sono d'uso generale in nessuna parte di Toscana ;
perciò la pronunzia larga dovrebbe essere adottata e insegnata,
anche per queste quattro parole : benessere, bennato, bellimbusto,
begliomini.
P. G. GOIDANICH.
Sarre (Val d'Aosta), agosto 1911.
* Nato bene, di buona famiglia.
Angelico Prati 273
ETIIMIOLOa-IE
hdiilo (a Lévieo treiit.), con signiticato uguale al ven. hiyo'lo.
Risale a bajulu, come altre forme affini (cfr. Schneller, Die
roni. ^^ollx•SìHìnul.. p. 112); ma qui voglio rilevare che, mentre
nel contado di Trento e fino in villaggi prossimi a Lévieo
(pron. loc. Léceyo). vive il derivato ba(]ilo'm, haiilo'm, -o'n, in
questa citta e in qualche villaggio vicino s'a il primitivo sopra
citato, che cede poi il posto, a poca distanza, al ven. bigo'loy
di cui è data qui appresso l'etimologia.
beta (furi.) ' frequentare, praticare '.
La spiegazione datane dal Salvioni, " Arch. Glott. „, XVI^
p. 219. che cioè beta sia ' abitare ', trova piena conferma nel
valsuganotto, in cui, con identico significato, si usa abitar. Ed è
notevole la diffusione di abitare in questo senso, in quanto si
tratti di voce dotta.
biga' lo (ven.) ' arnese di legno arcuato per portar sulla spalla
due secchie od altro alle due estremità '. Biyolànte è detta
l'acquaiola a Venezia.
La voce manca al veron.. che in suo luogo a J'érla^ come il
rover. a \érla da gerula (cfr. Schneller^ Die rom. Volksmund.,
p. 112).
Dell'etimologia di biyo'lo si sono occupati recentemente, com'è
noto, r Ascoli, " Arch. Glott. „. XV^ p. 326, 401, e il Salvioxi,
'■ Krit. Jahresber. il. die Fortschr. d. Rom. Philol. ,,. VII, i,
274 Ano-elico Prati,
p. 147; " Romania „, XXXVI, p. 224-226; " Studj Romanzi „,
VI, p. 49, n. , il primo riconducendo questa voce ad un b i -
gaulu, il secondo ad un *bajo'lo, da metter quindi in-
sieme con bajillu. Al Salvioni è però sfuggita la difficoltà
principale contro il suo etimo, cbe è data dalla vocale accen-
tata: Vó largo in biijolo è costante anche in quei dialetti ve-
neti, nei quali, come nel valsuganotto, il suffisso -o'iu, giusta
le condizioni fonetiche locali, è reso da -o'io. Potrebbe quindi
sembrare pili plausibile il * b i g a u 1 u pensato dall'Ascoli. Sen-
nonché, contro le etimologie dell'Ascoli e del Salvioni, adduco
ora un fatto, il quale, alla sua volta, scioglie definitivamente
la quistione. Nella Valsugana si usa chiamare l-o'lo de akiui o
semplicemente ko'lo le due secchie (dial. séci) d'acqua portate
col bigo'lo.
Anche nel trentino, a cui è estranea la voce bigg'l, si usa
indicare con ko'l de akua il carico di due secchie d'acqua por-
tato col baiilo'ni (v. Ricci^ Vocab. trent.-ital., s. v.). Il Cesarini
Sforza scrive: " Noi diciamo Portar en col d'acqua, intendendo
per lo più o una bigoncia, o due secchi „ ^
Bigo'lo non è dunque evidentemente che kq'lo premessovi il
hi, che c'è in bigoncia ecc., ed è da supporre che un tempo con
ko'lo si sia designato il recipiente con cui le donne attinge-
vano acqua e che, venuto in uso il bigo'lo colle secchie, si abbia
pure applicato il nome ko'lo alle due secchie portate col bigo'lo.
Kg' lo trova poi un riscontro nel collus ' urceus bibendi, vel
napus ' del Du Gange.
Bigg'lo è dunque il continuatore di un * b i e o 1 1 u e la forma
hicollnm del lat. mediev., che il Salvioni^ " Romania „, XXXVI,
p. 225, n. 1, riporta dal Nardo, è pienamente giustificata ed a
'" L. Cesarini Sforza, Altri latinismi trentini, Strenna Trentina letteraria
€ artistica per l'anno 1894, Trento, 1893, p. 67.
Etimoloj^ie 275
il suo corrispondente nel bicollo del vocabolario italiano (Tom-
maseo-Bellini, Petrocchi), di significato uguale a quello della
voce veneta.
L'Ascoli. " Ardi. Cìlott. ... XV, p. 326, osservava che biijolo,
quale un composto di bi-|-gaulu, a una corrispondenza nel
furi, hujinz da b i ■ e o n g i u, che si riferisce allo stromento in
quanto esso porti i due congi. La corrispondenza rimane quindi;
solo che a g a u 1 u va sostituito e o 1 1 u . Un altro caso del
passaggio del nome del recipiente all'oggetto, che lo porta, cioè
al bigo'lo, è offerto da hrentóla, che è appunto il nome del higo'lo
nel distretto di Sténico (Stének) (Trento) \ ma che in origine
dovette designare il recipiente, con cui si portava l'acqua,
prima che fosse adottato il bigo'lo.
bìzarùj (levent., lomb.) ' cinghie della gerla '.
Il Salvioni, " Zeitschr. f. Rom. Philol. „, XXII, p. 466; " Krit.
Jahresber. „, V, i, p. 137; " Romania „, XXXVI, p. 225-226,
lo deriva da bajulus, ma tale etimologia trova un ostacolo
nel valsug. fifarq'j («-) ' a cavalluccio ', che non andrà al certo
disgiunto dalla voce lombarda.
cinquantare.
Giulio Bertoni, " Zeitschr. f. Rom. Philol. „, XXXIV, p. 204,
riporta questo verbo dal vocabolario modenese del Muratori, col
significato di ' vagabondare ', ed osservando che i quartieri di
Modena per il passato eran detti ' cinquantine ', spiega cinqiian-
tare come ' passare da una cinquantina a un'altra, girandolare,
vagabondare '.
Questa spiegazione mi pare ben poco convincente, e poi va
* La persona, da cui ò la voce, è di Seo. Ignoro quale territorio abbracci
brentóla.
Archivio glottol. ital., XVII. , 19
27€ Angelico Prati,
osseryato che cinquantare è voce ben dififusa. Essa compare, nel^
l'alta valltì della Brenta, nella forma />inkyantàr e con un si-
gnificato che forse permette di connetterla colla voce modenese.
È cioè u«ata ed valore di ' brigare, darsi molta briga, affan-
narsi, 'darsi molto pensiero, stillarsi il cervello', ja frasi come:
a no véo tanto a ^inkuoMcur no; sa ndarétu tante a / /== cosa andrai
tanto a cinquamtare! (Corrisponde .dunque, pel senso, a hapilàr,
ehe è va ci -11 are (Parodi, " Romania .., XXVII, p. 19.7-198).
ìSi noti quindi l'analogia. Sia poi ricordato il venez. cinquantàr
' ciarlare stucchevolmente ' (Boerioi), che pure non si staccherà
da ^mJcum'ddr, e il tose, cinquantare..
cjàf'o (ven.), ^ós (trent. ecc.) 'impuntura '.
Dal ViDossicH, " Zeitschr. f. Rom.Philol. „,XXX, p. 203-204,
vien derivato dalla voce longobardica gahayium, gagium, col si-
gnificato di ' siepe ', per la somiglianza tra la disposizione degli
stecchi di una siepe e i punti dell'impuntura. AH' etimo del
Yidossich si oppone un grave ostacolo di ordine fonetico: in
gà/'o non si à cioè un /' da - ; contro di esso sta appunto il - di
ga^o da gahagio ^. V. i nomi locali veneti citati dall' Olivieri,
" Studi Glott. „; III, p. 167-168, e confr. trent. gaz 'terreno
boschivo ' contro gas, gaf'ét ' impuntura '. Poi è da osservare
che se gahagium nel longdb. ebbe il significato di ' siepe ', esso
almeno nel Trentino e nel Veneto significò generalmente ' selva ',
'bosco '. Confr.: " Arch. Trent. „, XVITI, p. 238, s. gazius, gaztis;
ScHNELLER, TiroUsche Namettforschimgen, p. 80 ; id., Beitràge zur
Ortsnamenkunde Tirols, III, p. 59, ov'è pur detto che gahagium
' Trovo la forma gaza (plur.) già in documento del 974 [Monumenta Ger-
maniae historica: DiplomaCum regiim et imperatorum Germaniae tomus II;
V. indice); in un doc. del 994 (v. ivi) è rammentata una silva Gaio, l'o-
dierno Gazo (Verona).
Etimologie 277
nelle leg. ìamjob. eclidum Rothari (319) a il significato di ' s.elva '
e che nelle desiynationes comunium civitqtis Trideìiti del 1339 s'a
f/azutn site huscum. V. poi il Du Gange, che da le forme gagitm,
(jazium, gajum ' silva densissima ', e per la Toscana il Bianchi,
" Arch. Glott, ^, IX, p. 400, n. 2. Si rammenti anche il non,es
HJagar ' guardaboschi ' (Battisti, Die Nonsb. MmuL, p. 20). Ri-
marrebbe ancora da esaminare quale rapporto di somiglianza
possa esservi tra la forma di una siepe e quella dell'impuntura,
ma quanto fu detto sopra basterà, credo, per provare Tincom-
patibilita tra il gà/'o e il gd-io. Osservo che di gà/'o s'era anche
occupato lo ScHNELLER, Die rom. Volksmund., p. 145 '.
Upóìì (lomb.) ■ pigro, tardo '.
Il Salvioni, " Arch. Glott. ", XVI, p. 174, lo connette col
ted. Lippe, notando che tra noi manca il primitivo. Ora avverto
che abbiamo pur questo, poiché nella Valsugana vive Iìjmi ' fan-
nullone ', applicato tanto a persona, quanto a cane randagio,
che vive a ufo. Meglio che a lippe, questa voce risalirà al-
l'ant. ted. 1 i p p a = ant. frane, li/je (Kortixg^ 563o). Confronta
frane, lijjpe, lippu, lippée. Qui spettano anche i trent. f'iipja,
f'lipj(/m ' lernia, ghiotterello, delicatuzzo ', f'iipjar ' mangiuc-
chiare, piluccare ', che lo Scthneller, Die rom. Volksmund., p. 189^
derivò già dal ted. Lippe.
Iq'ra (ven., trent., parm. ecc.) ' pevera '.
Su vari significati assunti da lo'ra nel venez., nel veron., nel
trent.. rimando ai rispettivi dizionari del Boerio, di Patuzzi-
Bolownini, del Ricci.
' Nella Valsugana gufo non è voce di schietto uso popolare. S'usa per lo
pili indicare con gàfo, gaf'eto l'impuntura fatta a macchina. L'impuntura a
mano esattissima è detta strapohtln, quella meno esatta ihdriopo'nto.
278 Angelico Prati,
Per questa voce si a da escludere la derivazione da u t e r ,
pel motivo, che nel trentino il d non scompare, come nel ve-
neto. Da u t e r si avrebbe una forma con -dr-. Confr. infatti
lo dm < 1 u t r a ^. Per lo'ra si può solo ammettere 1 ti r a ' ori-
fìzio di sacco 0 d'otre, sacco od otre ', etimo dato dal Pieri,
" Studj Romanzi „, I, p. 44-45, e dallo Schneller, Die rom.
Volksmund., p. 153 ^.
Da lo'ra derivò il valsug. orélo ' imbuto ', giudic. urèi (Gartner,
Die judic. Mimd., p. 880), nònes orél (Battisti, Die Nonsb. Mund.,
p. 90). Il trentino a lorél (Ricci), come il veronese a loro'to e
il veneziano loréta. In quanto al regg. lodra, il Bertoni, V,
suppone giustamente che si tratti di un incrocio di lora con
u t e r 3.
^ Confr. Carlo Battisti, La traduzione dialettale della Catinia di Sicco
Polenton: ricerca sull'antico trentino, estratto à?i\V Archivio Trentino, an-
nate XIX-XXI, Trento, 1906, § 76, p. 184.
-;— al luogo di -dr- compare in kare'ga <*cathèdra4"C|uadriga,
nel nònes invece kjadrie'gja (Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 103). S'à poi
-dr- > -r- in alcuni nomi locali da * q u a d r ù v i u e in Corano (Cava-
lése) <*quadranu (confr. il Quadrati de Ruwen del 1393, presso Walgau
nel Vorarlberg, citato nella " Zeitschr. f. Rom. Philol. ,, XXXIV, p. 199).
V. le mie Ricerche di toponomastica trentina, " Pro Cultura, Rivista bime-
strale di Studi Trentini ,, I, suppl. 2°, Rovereto, 1910, p. 48-50, ove è pur
citata Calcedranica (anno 1184), oggi Kalzerànega (Lévico). Ma si tratta
generalmente di nomi locali di territori prossimi al veneto o da esso in-
fluenzati.
Nel valsuganotto -tr-,-dr-^ -r- è fenomeno alquanto frequente. Confr. :
marina, parino, paro'h- ànara; kitare'lo, skttdra, skuaràr, fore'ta, patàro (da
*petàdro, confr. tose, petardo) ' piccola mina ' ecc.
^ La supposizione che lo'ra nel trentino sia voce importata non avrebbe,
beninteso, alcun fondamento. V. d'altronde le considerazioni del Bertoni nel
lavoro qui appresso citato (p. 13), sulla antichità di lora nel Veneto, nella
Lombardia, nell'Emilia.
^ Giulio Berto^'i, Le denominazioni delV " imbuto „ nelV Italia del nord:
ricerca di geografìa linguistica, Bologna-Modena, 1909, p. 9.
I
EtimoloK'io 279
marUja, marlgo (ven.) 'sindaco, capo del connine; cursore co-
munale' (confr. ScHNELLER, /)ie ?-ow. Volksinund., p. 289; " Ardi.
Glott. „, XVI, p. 310).
• Il Salvioni, " Krit. Jahresber. „, Vili, i, p. 145, ritiene clie
marigo, -a sia un estratto da marigola, matricola. Il ' niariga ' sa-
rebbe ' quel dela marigola ', colui che tiene e dirige la mari-
gola: e anche egli pensa a marigola venuto a diro ' comunità',
poi 'ehi rappresenta la comunità' (cfr. i due valori del lat.
magistratus e di podestà). E nella " Romania „, XXXVl, p. 226,
n. 6, egli cita mariga quale esempio di primitivo estratto dal
derivato ^
I documenti medievali veneti permettono di approfondire
meglio la quistione dell'origine di niùriga e di marigola. In un
documento infatti del 1264 - è fatto cenno della Regula <(• Ma-
dricha de Strigno (ù de Villa, due paesi questi della Valsugana.
Come si vede, qui si a la voce Madricha non nel significato di
' sindaco ', ma in un significato affine a regola, ossia di giuris-
dizione regolare. Confr. anche Guido Suster, " Tridentum „,
III, 1900, p. 66. Nei documenti medievali compare pure la voce
marigancia, marigantia, che, nel suo significato più largo, indicò,
almeno nel Vicentino, l'amministrazione del comune, che consi-
steva nella nomina dei decani, dei consiglieri, dei giurati, dei
canipari, dei saltari ; stabiliva le guize, le leggi, i tributi, le
multe, le pene. A capo stava il marigo. V. Angelo Dal Savio,
Il diritto vicentino nei secoli XIII- XIV , " Atti della A ccad. Olim-
* Nelle S/ji</ol(ttiire venete, " Revue de Dialectol. Rora. ,, U, 1910, p. 95,
il Sai.vioni connette con martga il poles. man'igola 'regina delle api'. E
da notare che maru'golu nel trentino è il nome della mantif> religiosa e
marùgola nel rover. è la cavalletta verde (Azzolinf, Fooaè.). Dato l'etimo del
Salvioni, ci aspetteremmo *madriì'goh( nel trentino.
* GrusKPi'E Andrka Montebello, Notizie storiche, topografiche e religiose
della Valsugana e di Primiero, Roveredo, 1793, p. 33 dei documenti.
280 Angelico Prati,
pica di Vicenza „, 1908, p. 176; SchneIler, Ter. Nam., p. 101,
n, 1. Confr. anche G. Andrich, Note sui comuni rurali bellunési,
" L'Ateneo Veneto „, Anno XXVIII, Voi. Il, p. 263-264, e, per
la Valsugana, Suster, 1. e, p. 65-66. In un doe. del 1218 è
fatta menzione, oltre che della marigancia, anche della supertna-
rigaficia. V. " Boll, dèi Museo Civico di Bàssano „, VII, p. 83.
Mariga, Madricha risale evidentemente a un * m a t r i e a (cófìfr.
ScHNELLER, Tir. Natii., p. 100), per matrice ' registro, cata-
logo ' ^ e da questa base si dipartono marigantia e marigola. In
quanto a la forma marìegola, il Salvioni (" Krit. Jahresber. „, VII,
I, p. 123) osservò già che Vie sarà dovuto a riegola. Confr. purè
Ugo Levi, / monumenti più antichi del dialetto di Chioggia, Ve-
nezia, 1901, p. 53. Pel suffisso di marigantia, confrontisi cofh-
munantia (Du Cange).
Per mafigo pensò già lo Schneller, Tir. Nam., p. 101, ad
un *matricus. Si noti ch'esso compare nella forma maricus
in carte di Treviso, dì Aquileja, del Cadore, degli anni 1199,
1282 ecc. (v. Du Caiige). Cosi pure la forma marigancia, mari-
gantia ricorre già in documenti del 1273, 1285, 128&, 1302
{Tir. N'am., p. 101, n. 1; " Tridentum „, III, p. 65). Si tratta di ,
esòinpi di -tr-'^-r- interessanti di fronte a Madricha del 1294 -. I
marùbjo (ven.) ' cipiglioso, austero, burbero '.
Il Salvioni, " Arch. Glott. „, XVI, p. 310, suppone che abbia
* A proposito è interessante il sapere che nella valle di Fieme (Trentino)
fu usata la voce Quadernollo per 'Carta di Regola '. V. Saetori-Montecroce,
" Zeitsclirift des Ferdinandeuras fur Tirol und Voràrlberg „, HI. Folge,
36. Heft, Innsbruck, 1892, p. 30.
* In un doc. del 1181 coin^are la voce siipramaricus, pél cui significato
V. Ottone Brentari, Storia di Bussano, Bassàno, 1884, p. 189, n. I, ove si
spiega pure marigancia. V. anche Vergi, Codibe Eceliniàiw, p. 515. A p. 96,
arino ilSS, trovo la forma marigus. Lo Schneller, Tir. Nam., p. 101, e il
Brentari, 0. e, p. 141, danno anche la forma riièi'igo.
Etimologie 2&1
d+^tto prima 'amaro', risalendosi certo alla jyianta niarrti-
b i u m , che a un gusto acre, e cita esempi di scrittori allu-
denti al sapore amaro del marrobbio.
Credo che la cosa stia diversamente e a ritener questo mi
induce il fatto che nel va-lsuganotto nKo-ùhjo dice ' ravido, rozzo,
greggio ' e, per traslato, s'applica anche a persona di modi poco
gentili.
merlhì (furi.) ' mucchio di tiene o strame ecc. '.
11 Salvioni, " Zeitschr. f. Hom. Philol. ,., XXXIV, p. 388, a
pensato che possa essere un *nt,edlin, da mede <:C m e t a , A
p. 404, in un'aggiunta, osserva però che è pure da ricordare il
ven. marela. Merlin non a infatti nulla eh© fare con meta,
eome, oltre che la voce marehi qui citata, lo prova il valsug.
marélo ' mucchio di fieno '. Nel valsuganotto réla, che non è na-
turalmente che maréla con la sillaba iniziale scomparsa ^^ indiea
invece il lungo e sottile mucchio di fieno '\ che si fa rastrel-
lando. Si confronti ancora il trent. marél ' mannello, covoncello,
ciocca ' (Ricci).
nihja ; niola (ven.).
Il NiGRA, " Arch. Glott. „, XV, p. 502, volle spiegare il pieni.
nivn, can. nicìd ' nuvolo ', ven. pad. nìhia ' nebbia ' con un *nifnd-
{*nih'l-), metatesi di ntibd-. Ma per tale metatesi; il Salvioni,
" Kiit. Jahresber. „, \l\, i, p. 138, osserva che s'avrebbe avuto
* Per casi analoghi v. Sai.vio.vi, " Romania ,, XXXI, p. 287; " Arch
(iloti. ,, XVI, p. 224, s. dòrie; Viuossich, ivi, p. 368. Una sillaba iniziale,
che cade spesso, pare sia appunto ma-. Conff. ancora tose, tóbhio, da
marrobbio (Pieki, " Arch. Glott. „, XV, p. 188).
- Nel 15.59 è ricordato un Paidiis Nicolai/ BrusamareUi de Rozio (Vicenza)
(Desiuhrio Rf.ich, Notizie e dononpnti su Lavorone e dintorni. Trento, 1910,
p. 177),
282 Angelico Prati,
né-, non ni-. Egli perciò appoggia ivi la spiegazione, che di
nivu ecc. diede il Meyer-Liibke, e ritiene che in ìilhja invece Vi
sia per effetto del j, come nel padov. celtbrio cervello {*cerébno).
Ora, il Meyer-Lììbke, Rom. Granim., I, p. 77, osserva che i per u
davanti a labiale si presenta nel moderno prov. nivol, ìiivu,
pieni, nirul, furi, niul, e con questi mette anche ven. niola,
milan. nivola, pav. nivol. La spiegazione del Meyer-Liibke non
può naturalmente valere pel ven. niola ' nuvola ' e la spiega-
zione del Salvioni, se può valere per nihja, non vale invece per
niola. Il Pieri, " Studi Romanzi „, I, p. 46, al contrario postulò
una base * n i b ù 1 a , che darebbe al certo ragione di tutte le
forme qui sopra citate. Ma se si volesse separare dalle altre
forme dell'alta Italia i ven. nihja e niola, per questi si potrebbe
ricorrere a n è b u 1 a , da cui nihja per via di *neb'la, niola
per via di *nevola ^ Si noti in proposito il ricorrere nell'ant.
ven. di 7ieola, nevola col valore di ' nuvola '. Confr. " Arch.
Glott. „, XVI, p. 314; ViDossiCH, " Studj Romanzi „, IV, p. 123,
ove si riporta innevolato ' annuvolato ', e v. la bibliografia ivi
citata. Notisi pure vicent. inéola ' annuvola ', accanto a inibia,
inihiarse.
pistérno, jmstérno (ven.) ' bacio '.
La prima di queste due forme è propria della Valsugana.
Nella parte più orientale però di questa valle e nel Canale di
Brenta è in uso la seconda forma. Risalgono ambedue a un
lat. *posteriiu. Conh\ j^osteme 'di dietro' nel Glossariiim
del Du Gange. Pistérno procede molto probabilmente da un
*pestérno, ottenuto, a sua volta, da *j)ostérno per assimilazione^
e dovrà il suo i all'influsso del s. Conh. vahug. Lisandro' Ales-
' Si ricordi Val di Nievole (Lucca), nel 1027 Nehuìa {Mon. Gemi. ìiist.
Dipi., IV). V. anche Schnkller, Tir. Nani., p. 217.
Etimologie 283
Sandro '. V. Parodi, " Areh. Glott. „, XVI, p. 189, ove si cita
il genov. Lmindrii. Nel valsugauotto c'è pure l'aggettivo ]n-
sternivo, detto di luogo poco o punto soleggiato.
sugane (furi.) 'maga, strega'.
Il SALVioxr, " Revue de Dialectol. Rom. „, TI. p. 91, n. 2,
crede che sai/àne sia aiijnana, con s- dovuto al sinonimo stria o
al salràn. Anche nel " Giorn. Stor. della Letter. Ital. ... XXIV,
1894, p. 267, aveva espresso l'opinione che un incontro delle
' aquane ' coi ' silvani ' si presenta forse in sa(/(hie. Pili ovvio
mi pare il ritenere che sagóne sia il lat. s a g a n a ' strega ',
con immistione di *aquana, Cfr. aganas ' fate dell'acque '
(" Arch. Glott. „, IV, p. 334) e v. anche sagana nel Du Gange ^
f'mara (ven.) ' malinconia, malumore, uggia, paturne '.
Il Salvioni, " Arch. Glott. .,, XVI, p. 310, avendo occasione di
accennare al male della /'/Hf/>T/, interpreta /'?«(??y^ come 'madre',
ricordando il mare 'nausea' del Cavassico. Malgrado quest'ul-
timo, mi par migliore la connessione con ven. /'wr/ra ' incubo ',
su cui V. G. Bastanzi, Le superstizioni delle Alpi venete, Treviso,
1888, p. 8-9, p. 36-40. Confr. teut. mara (femm.) o mahr
(masch.) ' incubo ', frane, caucheniar ' calca-mara ', ingl. nightmare
'mara della notte' (Flechia, " Arch. Glott. .., II, p. 10, n. 3;
KoRTiNG^, 5934). Il Bastanzt, p. 40. osserva pure che nell'illi-
rico Mara significa ' fantasma '. Andrà con questa voce il ven.
Maràntega, per cui v. Bastanzi, p. 3, e Cesarixi Sforza, " Tri-
dentum „, III, p. 135-136, e fors'anco Marainèo.
' La derivazione di aiguana da *aqnana fu data dallo Schneller, Z)i>
ro»i. Voìksinund., p. 106; ma è da notare che fu poi da Ini abbandonata,
per connettere quel nome nientemeno che cogli Eu>junei\ {Tir. JVaw., p. 2).
Per (lifjnana, v. tra i tanti che se ne sono occupati, Levi, Francesco di
Vannozzo e la lirica nelle corti lombarde, Firenze, 1908, p. 3C0.
284 Angelico Prati,
spianzofe (f)o1es.) ' splendore '.
Lo z sarebbe dovuto, secondo il Salyioni, " Revu'e de Dia-
leetol. Rom. „, II, p. 96. alla immissione del tema del presente
di splendere. E splendeo disposato a qualche altra
voce rivedrebbe egli pure nello spiando * lampo ', di cui il Mus-
SAFiA, Beitrag, 56. Io aggiungo che nel polesano spianza signi-
fica comunemente ' cosa che sprizza ' e che spianzàfe, ébanzare
le strade vale * inaffiarle '. Sole a spianze son poi detti i ràggi
crepuscolari (" Riv. Geogr. Ital. „, XV, p. 42-43) i.
Voci italiane derivate dal lat. b a d i u .
Con questo aggettivo vanno assai probabilmente connesse al-
cune voci di vario significato, ma tutte esprimenti uno stato od
una qualità intermedia: il color baio sta, come si sa, tra il rosso
e il bruno; esso indica ctunqne una qualità intermedia. Eb-
bene, le parole seguenti offrono casi artàloghi, che fheritàno di
essere ben considerati.
baiiéo (tose.) ' verdastro, verdone '.
baiiésco (tose.) ' bassotto '.
baiig'tto (tose.) agg. ' Dell'ova cotte col guscio, fra sode e te-
nere; malaticcio; poco pratico in una scienza, in un'arte e sìitì.;
un po' alterato dal vino '.
baig't (trent.) ' bazzotto {uovo), anco per brillo ; senza opinione
propria, anfibio, né carne, né pesce ' (Ricci).
bacto (valsug.) ' mezzo secco ' (detto del fieno), ' mezzo asciutto '
(della biancheria spiegata, ecc.). Anche bacTg'fo.
Non so poi se t) a d i u entri pure in bang'ffìa (tose.) (confr.
KoRTiNG^, 9233), in quanto possa indicare una vivanda né soda,
né li^aida,. spagn. bazofìa ' avanzi di tavola mescolati insieme '.
^ Gonfr. veron. spjàhso, ì-tpjàhsdr, spjahsàda; spjahslf'o 'lampo' (confr.
ven. scahtifo), spjahsì/'àr, vicent. fbianzare ' aspergere ', spianzo ' lampo ',
spìandore.
Etimologie 285
B a d i u formerebbe cosi un interessa'nte parallelo con v a r i ii ,
di cui la nota fondamentale è ' che non sta fermo, sia in un
colore, sia in una posizione, sia in un periàiero '. Confr. Parodi,
'^ Romania „, XXVII, p. 209-212.
Sulla base * m a r - di maro' ha ecc.
Il NiGRA, nel suo studio sulla Metatesi, " Zeitschr. f. Rom.
Philol. „, XXVni, 19t)4, p. 3, ammette senz'altro l'equazione
veron. mdrogna = ir. moraine. Invece il SalVioni, " Areh. Glott. a,
XVI, p. 311, occupandosi dell'ant. trevis. maruogna ' malttanaj,
ipocondria; scoria, gente di rifiato', osserva òhe questo secóndo
significato si riannoda direttartientè c6tì quello del ven. marogna
* scoria, rosticci del ferro, calcinaccio ' e connette la voce con
' madre '. Anche il Vidossich, " Zeitschr. f. Rom. Philol. „,■ XXVII,
p. 750, fa risalire triest. moróha, ven. maroha ad uri * m a -
t r 0 n e a e cita a confronto madre del tino == fecciai, madre del-
l'olio = morchia. Neil' " Archeografo Triestino „ del 1905, p. 156,
egli aggiunge però che, secondo il Lol-ek, va pure confrontato
maroka e crede che questo non sia altro che un incontro di
mar- con barocco nel significato di '' golfo', strampalato, scor-
retto '. Riguardo a mdróka ' ciarpame ' il Vidossich, " Zeitschr.
f. Rom. Philol. „, XXVII, p. 757, espresse pure il parere che
forse sia da mettere con marame (tose.) ' rifiuto di mercanzia,
di cose; gran quantità di cose o di p'ersone '.
Maro'iia non può risalire a un * m a t r o n e a , perché nel
trentino ne sarebbe derivato *madrona : confr. madréln, ma-
drlna, ven. maréla, marina, maréiia. E ih proposito si noti che
la forma marogha è attestata pel trentino già in documento
del 1297 (SciiNELLER, Tir. Nam., p. 95). Migliore è sicuramente
la spiegazione che di maro'na, maro'ka dà lo Schnellek, Tir.
Nam., p. 95; Beitràge, II, p. 96, al quale rimanda giustamente
anche I'Olivieri, " Studi Glott. „, III, p. 172, a proposito del
286 Angelico Prati,
ven. marogna ' muricciolo a secco '. Quegli ammette cioè che si
abbia da partire da una base * m a r - col significato di ' sasso ';
'masso'; 'lungo mucchio di sassi o di macerie'. Qui raduno
alcune voci che, anche a mio credere, si rannodano a tale base.
marogn (bergam.) ' macigno, pietra grossa da murare ' (vedi
ScHNELLER, Tir. Xcim., p. 95).
maro' ha. Nel trent. significa ' maceria, macia ', nel veronese
' muriccia, muro a secco ', nel giudic. maro'nya ' mucchio di
sassi ' (Gartner, Die judic. Mund., p, 862). Marogna, o il plur.
Marogne {le-) ; compare pili volte nella toponomastica trentina
e veneta, quale nome indicante luoghi sassosi. Si veda lo
ScHNELLER, 1. c, e SÌ ricordino il Corno di Marogna nel gruppo
del Cablone presso il Lago di Garda (Brentari, Guida del Tren-
tino, III, p. 166) e le Marogne, grossi e neri massi nella valle
dell'Astego (Brentari, ivi, I, p. 322). Anche le Marogne e Ma-
rognóle citate dall'OLiviERi, 1. e, dovranno più spesso il loro-
nome a delle frane, a delle congerie di sassi. Da maro'na de-
rivò nel trentino f'maronà, che vale ' rovinato, malandato, spec.
in salute, malazzato '.
maro'k. Nel trentino significa ' sasso ; roccia ; balordo, babbeo '.
A Lévico maro'ko e marokéto son titoli comuni, motivo pel quale
son detti marokéti gli abitanti di quella città. Nel giudic. maro'k
'sasso sciolto' (Gartner, 1. e). Lo Schneller, 1. e, n. 1, cita
anche il verbo smaroccarse ' gettarsi sassi ' ^ Maro'k ricorre
spesso nel Trentino come nome locale. Confr. Schneller^ 1. e,
ov'egli osserva che -o'k qui è una forma aumentativa, che trova
un interessante parallelo in Preòk, da préa < p e t r a , nome
del più gran masso degli Slavini di Marco (Rovereto) e di un
campo presso Pedersano, Confronta ancora
^ Anche TAzzolini a smaroccar ' prender a sassi '.
Etimologie 287
maro'kolo o marùgolo (veron.) 'rocchio, grosso sasso''.
maty'ka. Nella toponomastica trentina equivale a maro'k. Sia
ricordato il sassoso deserto delle Maroche nella valle della Sarca
(Brentari, Guida cit., Ili, p. 95-96). Nel piem., nel lomb., nel-
l'emil.. nel romagn. significa ' marame ' (confr. Schneller, Die
rom. Volksmuud., p. 154-155; Flechia, "Ardi. Glott. „ . II,
p. 367), nel veron., oltre ' marame, robaccia ', anche ' infred-
datura ' (cfr. nìdrantega ' rantolo; raucedine ').
Il suffisso -l'vu in sostantivi veneti.
Il Mkver-Lìibke. Roììì. Grani)»., Il, p. 541, espresse l'idea che
il ven. kortlvo provenga dal franc.-provenz. cortiu-!<. Il ViDOSSicir,
•• Zeitschr. f. Rom. Philol. „, XXVII, p. 757, lo riterrebbe in-
vece succedaneo di un * e o r t i 1 i u , da confrontare col calabr.
kurtiginju. Fa maraviglia che si metta in dubbio la presenza
del suffisso -ivo in kortio, kortivo. rover. kortif. Alla spiegazione
del Vidossich non solo s'oppone la difficoltà di ammettere per
tutto il territorio veneto, in cui il detto nome ricorre, la ridu-
zione di -liiu a -IO, ma anche il fatto che nei documenti me-
dievali kortìo compare nient'altro che nella forma curtivum; ^qv
■esempio, in un documento valsuganotto del 1285 si legge: in
' Forse è da vedere il primitivo *mar- in alcuni nomi locali, quali la
Mar presso Lavi's e il Lago della Mar, non molto lungi da Trento. 11 sopra
■citato Corno di Marogna è vicino al Passo di Val Mara. V. anche Bren-
tari, Guida cit., 1. p. 147; II, p. 5. Per la voce mara, che allude a sco-
scendimenti di suolo, nel Cadore, v. Marinelli, " Riv. Geogr. Ital. ,, Vili,
p. 163, 164, ove. nella nota, è ricordato un gruppetto di case Mare, si-
tuato in regione, ove sono frequenti gli scoscendimenti di suolo. Sempre
in questa famiglia di nomi locali Io Sohnki.lkr, Beitriige, II, p. 100, vor-
rebbe comprendere pure VaYa\ Morobhia presso Bellinzona e il monte Mar-
montana, che e in fondo ad essa. Dal Salvioni la Val Moróbbia vien invece
derivata dal nome della pianta marrubium (" Boll. Stor. della Svizzera
Ital. ,, XXII, p. 94).
288 Angelico Prati, Etimologie
curtivo (MoNTEBELLO, 0. c, p, 39 dei doc.) e cartivum a pure il
D|U Ca<nge, con un esempio degli statuti cadorini. Ma kortio non
è l'unico esempio di sostantivo in -lyu. Nel yalsuganotto,
accanto ad esso c'è kampio ' pascolo di monte ', che è natural-
mente il campivum dei documenti medievali valsuganotti. In un
doc. del 1289 -(Montebello, p. 41, 42), ohe pare scritto apposta
pel caso nostro, s'incontra Campegio e Campivis. Ecco dunque
il continuatore di *iCampiliu di fronte al continuatore di
* e a m p i v u ! Con questo vanno il trent. kampigol, nella Carta
Militare anche scritto Campivolo, cador. cianipigol, pari a ciampé
'ripiano intorno ad una casera' (" Riv. Geogr. Ital. „, Vili,
p. 166), e il neme locale Campivet presso Lizzana (Rovereto),
citato dallo Schneller, Ti?-. Nani., p. 31 K
Angelico Prati.
' 111 un doc. del 1005 trovo anche il sostantivo casalivum [Man. Germ.
hist., Dipi., Ili, p. 714, riga 1.5).
Àt^
lì. TERRACINI
IL PARLARE ITUSSEGLIO
(Conthiuazioue, vedi Puntata secon(/a).
Uittotif/hi primari.
71. XV.. E o: cofa, ora vento, (/ojf gioia, pofe, deskiou dischiude,
poni, sfrqfe froda, tqr toro, kio chiodo — big, biova azzurro -a,
lobm teirazza, rqbn. rqbu rubo.
72. AE. Risponde all'esito deHa vocale aperta in arkahsél (ar-
cobaleno); della chiusa in p'èr/it' pregna.
73. OE. feh fieno, peiìia pena.
Vocali atone.
L'evoluzione complessiva delle vocali atone è parti-
colarmente atta a dare un'immagine chiara ed immediata della
posizione occupata dalla parlata di Usseglio e dei paesi finitimi.
Le postoniche continuano nettamente le tendenze diffuse ol-
tr'alpe, e, soltanto nelle mediane, assumono un aspetto del tutto
peculiare. Nelle protoniche invece, il dileguo delle vocali della
serie palatale, ove le condizioni delle consonanti Io favoriscano,
si protende fin qui dalla pianura piemontese.
Aivhivio glottol. ital., XVII. -29
290 Terracini.
Vocali finali.
Finali primarie. — A ed I si conservano, le altre vocali si sono
dileguate, secondo le note tendenze del gruppo gallo-romano.
76. A: aiva acqua, freida fredda, bela bella; il suo colore è
medio; quando per la progressione dell'accento divien tonico,
esso non soffre intorbidamenti, come accade altrove : liinà' luna,
feisina fascina^.
77. I: si conserva nel plurale dei pronomi e degli aggettivi
determinativi, il suo mantenimento si riduce dunque a un feno-
meno morfologico che sarà studiato a suo luogo: i, n gli, si
quelli, sii questi; nel pronome interrogativo : -/ -il li ; nel nume-
rale : daH due, e poi : toeitl tutti, nosti nostri, vosti vostri,
nufauti noi, vufauti, fanti molti, jwM, kali quali. Tranne in toj^z,
manca naturalmente ogni traccia dell'influenza di è sulla tonica.
78. E (e, e, t). Come esempio del generale dileguo, noterò,
oltre ai propaross, di sincope antica: mait (madia), vàrt (verde),
gli avverbi: In'n lontano, dvànt prima, pilr pure, tari tardi 2.
79. U. Si può particolarmente notare : il dileguo dopo alcuni
nessi: lark largo, orm olmo, verni verme; nei proparossitoni
la cui mediana si è conservata, la serie -anu -inu v. n. 92,
la serie -ulu: tcm (arcaico iaid), bèru agnello^, soku zoccolo,
diau diavolo.
^ Ahki'i (ancora) è il noto caso di forma disaccentata. Cfr. Fr. Gr., 38;
It.Gr., 108: ara' (adesso *a h 0 r a) rappresenta la forma tonica. Su una
analoga alternanza, rinnovatasi a Uss. in età ben più recente, v. n. 230.
- Per una serie di avverbi coll'a piemontese, e per forse, adai/i, kaifi,
V. P. IL
3 NiGRA, XIV, 356.
li parlare d'Usseglio 291
E V o 1 11 z i 0 11 e e o lui i z i o n a t a ^
80. A, Nel'e note serio con palatale, questa vocale
suona attualmente i, un i che à tutti i caratteri di chiarezza
corrispondenti a quelli che abbiamo visti per a. Sull'età rela-
tivamente recente di alcuni tra gli esempì citati e sull'inter-
pretazione complessiva del fenomeno v. P. 11 : })ncì' bocca, forai,
musei, set secca, raéi-; diine/Kjl domenica, lari/i hirga, inoltre
pIq<jì pioggia -^ casi; cinsi dolce, /jesi pezza, pùisi piazza, risi' ar-
riccia, smensi sementa, voisi aguzza, meifnnasi, topon., Ulinasi
lumaca, ecc. soutisì' salciccia, (jalust' pala § 3 ^- suiifi sugna ^;
falsi, koisi coscia"; cuinifi camicia"; tiiii' tigna •^: a^ii ugo, fon,
P'fiii -'^1} -ella, fiiì' figlia, veii vecchia; -alia: bataU, nrit'
orecchia, ai-ij' ape, lantlif' , /)lou buccia'^; airi aia, boiri botro.
^ Sul valore di quest'espressione cfr. p. 222, n'"^ 6. Parimente, per semplici
ragioni d'ordine pratico, si usa in questo lavoro il termine : analogia.
"^ Bi^ehci bianca, eoe i boccia, hau'ci § 3, brqci chiodino {^\Qva..broha),fresci
fresca, lavehci valanga, piehci pedanca, ranci rauca, recl' i-icca, resci lisca,
siisci fuliggine, sakoci tasca, mésci mescolata, perei pertica.
^ Car(/i carico, nargi sargia, twnji sterile, mengi manica, drilgi, forgi fucina.
* Istisl' goccia, krosl gruccia, kiihsi ' acconcia ', v. § 3, kusi zucca, musi
mazza, marsi marciume, pasiehsi, tersi' treccia, trasi traccia, e infine fatisi,
V. n. 209.
^ Màii/i manza, fiii/i fiducia.
'' Graisi grascia: è deverbativo in ingriisa, l'aggettivo è gras-a. 11 mede-
simo in V. Soana, SVS, 59.
' Ramii/i lucertola I a e r i m u s i a , REW, 4826.
* Borni cieca, corni sorda, kargni carogna, mimtdhi montagna, runì'
rogna, scani (seccagione), e anche leni lesina.
^ Daii falce § 3, iscaii scaglia, Uii slitta § 3, groii guscio (piem. grveia),
mali maglia, inoltre boii blatta, piem. boia, cfr. XVI, 366.
292 Terracini,
V. § 3, e -oiri, v. n. 32*^ ; -eri, v. n. 67, neiri nera, con cui s'ac-
cordano: siri cera, viri viria anello ^
81. Infiiisso di S. — -as, desinenza del femminile plurale,
suona e, proveniente da un precedente *es: ale ali, candeiìq can-
dele, korne corna, ispale spalle, ungie unghie, àhsuìe anse '-'.
Quando risulti accentato per la progressione, conserva sempre,
come «, la sua brevità, e anzi l'intensità spesso notevole del-
l'accento l'intorbida leggermente: avije' api, loutè' allodole, mie'
me mie; -as 2=' pers. ind. pres. e imp, è pure e o più sovente e:
poì'te porti, sante salti, raiisc alzi, vousave alzavi. Quanto ai rap-
porti e allo oscillazioni fra e ed e v. App. I.
Conservazione di e e di ii. Si mantiene la distinzione tra
E ed U che il trovarsi in un parossitono, o dopo un acconcio
^ Non sarà privo d'interesse notare sin d'ora che il turbamento pala-
tale non solo non raggiunse certe serie che sono ovunque intatte, come
quelle di tipo: se\a (seta) e ungici, o i part. di 4* con. in i/f, e non toccò la
serie c^^P^ : tPtita tinta, dreita dritta, /"atVa, roi(?rt vuota, ,90;(<rt ('giunta' rap-
pezzatura), intatta in tutto il mio territorio, ma risparmiò anche alcune
voci isolate che qua e là assumono la vocale turbata: furmia' (formica),
aiva acqua, gavia catino, grepi^a. Sull'incipiente decadenza di questa finale
V. App. I. Sull'interpretazione generale di questi fatti v. P. IL
- E fore, forma che registrai accanto al più comune /or, che sarebbe la
l'orma sviluppata in proclisia. Cfr. ALF (382): dehors: foras è evidente
per la Provenza e parte della Svizzera. — Non si à alcuna differenza se pre-
cede una palatale: cause calze.
Infine -at (S'' pers. sing.) > p. In I, 136, questa uscita viene spiegata
coU'analogia della 2* pers. La vocale intatta sopravviverebbe ancora a
Facto : 2" cant, 8" cante (cioè = a). Ma questa conservazione di a è qui pro-
babilmente illusoria. Infatti l'imperfetto indie, à cantai per ambe le per-
sone e d'altra parte -as del femra, plur. suona e. Queste oscillazioni sono
casuali e dipendono soltanto dal fatto che, come il Morosi (XII, 57) espli-
citamente afferma, si tratta di un suono " appena percettibile ,. — È pro-
babile dunque clie questo e, nel territorio franco-prov., sia dovuto a una
riduzione della vocale dinanzi all'insolita consonante finale che, in questa
regione, fu, od è, cosi tenace. Cfr. Ro. XXX, 267.
11 parlare d'Usseglio 293
gruppo consonatico, salvaguardò dalla caduta ^ 83. Si à quindi e:
P, nei prò parossito ni : negli infiniti: fare, beire, dire,
vivre'~\ nei sostantivi: larfe resina, pi'tfe pulce, runfe (ronce);
nella serie dei numerali: luìfe undici, dufe dodici, trèfe tredici.
2", in gruppo con r: pare padre, mare madre, frare fratello, sempe
(sempre) ; e un'antica conservazione attestano pure i numerosi
metaplasmi dalla 1" alla 2-'' deci., v. § 2 ='. 84. u. V\ nei pro-
parossitoni: (tiitrii altro, ba'rtt burro, cenuu cioè cenévti,
V. n. 231, giìievru ginepro, tendrit tenero, cairn molto, vespu sera,
e i pili recenti: funnagn formaggio e a'rgu orzo, v. n. 147 ; 2°, nei
parossitoni terminanti con un grui)po consonantico : /?o.s^//,
vostn^, ansembni insieme, serknV circ'lu, merlu, orlii, snii sonno ^,
horiiu cicco, ;;/o/-u viso", sufigu sogno '^.
85. Rimangono: airu agro, maini magro. Perù Pietro, di fronte
a ìieir nero, antér intero. Nei primi la conservazione dell'» ha
doppia ragione: il nesso e forse la non grande antichità di
' I. 313-14, Fr. Gr., 117.
- Il pronome femm. plur. If, cioè *1(>J i 1 1 a s , quand'è enclitico ed appog-
giato ad un infinito, si comporta come un proparossitono ed assume un e
finale di risonanza: ?«j»t(/a//e mangiarle, ^wrtó//è, sai'///i' schiacciarle; e andrà
pur qui ricordata la conservazione della vocale nei pronomi enclitici : /»a-
sate ammazzarti, urvfise arrivederci, buf/ase muoversi, piatine piacermi.
^ Inoltre d/iire sopra, cfr. SVS, 59 e kume (come).
* Sono recenti: snist (sinistro), poco usato, kat (quattro), sicast (corda). Cfr.
Valdese suàtre. Mor. 97.
= Fr. Gr., 117, 1, 313.
* Poggia certo su un nesso o su una doppia antica: mutrus o murre
K 6425, 6390; né saprei se bormu (pustola) sia da registrare qui ; c'è pure
nel Lionese : bornio (Puitspelu), ma potrebbe trattarsi di -'ulu, cfr. pivo
pioppo.
^ Tra le voci recenti, citerò qui, come le piti frequenti, oltre a miindu
(cfr. p. e. ZRPh. XIV, 64), i meno diffusi menu (anche piem. : il dialetto pre-
ferisce : pa tcint, cfr. ALF (867), moins e pegu v. n. 166; per maladii, kudi'i'
(gomito) V. n. 193.
294 Terracini,
queste voci^ Su integru influì, come è noto-, -ariu. Quanto
a neh', la storia di questa voce richiederebbe l'esame di
tutto il territorio romanzo; mi limito ad osservare che esiste
qualche motivo per credere che le forme con dileguo della vo-
cale finale, in piemontese e in francese sieno recenti e secon-
darie^. 86. Dove e intervocalico cadde prestissimo,
ti si conserva: lau lago, fan faggio, fait faccio, diìi dico. Alla
serie sono probabilmente da aggiungersi : f(f fuoco, e goe giuoco
in cui H si sarebbe contratto colla tonica, v. n. 51; la serie
con caduta : ami, fi * (fico) è recente °.
^ Peni è un nome proprio, airu e maini sono ritenuti recenti anche dal
Meyer-Lubke {Fì\ Gr., 197), mentre un tempo ne aveva tentata una spie-
gazione fonetica, 1, 494.
- Cfr. in VS : caupjer e iiitjer: pure in altri paesi da me esplorati, in ge-
nerale, integru subì', o parzialmente, o interamente, l'influsso di ariu.
Il medesimo avviene a Roaschia : Mèi. Chab., b21. Cfr. I, 494. Notiamo che
l'analogia di -ariu era potente in grazia dell'uguaglianza a cui eran giunte
foneticamente le forme femminili (interi, homìeri, ma non era completa,
perchè la finale di antrr non potè mai esser sentita quale suffisso, e quindi
l'aggettivo potè essere attratto dalla serie -ariu, ma anche in parte
rimanerne sempre distinto, si da non seguirla nel suo ulteriore destino,
cioè, per ritornare ad Uss., nella perdita di r.
' Dell'antica forma *neiro in Piemonte e paesi dipendenti avrei queste
tracce: neiro in V. Soana (VIS, 78); in Val Maggia neiru (il trovare colà
pure Cpìvu [piem. caii-] che il Mevek-Liìbkp; collega col fenomeno pili vasto
di ti conservato nel ladino [I, 315] rende meno probante questa traccia,
ma non ne distrugge il valore). In Sicilia, a Nicosia, troviamo, accanto a
maigni, aigriì, anche neirù. Che la vocal finale sia sparita non ci deve me-
ravigliare; anche mairi in Piemonte à ora la concorrenza di mair, fatto,
coll'introraissione del femminile, su cair (chiaro) e rair (rado). A S. Fratello
si à la stessa cosa: ieir agro, nair, v. Salvioni, MIL, XX, p. 278. Quanto al
francese, non so se alcuno si sia occupato di ncAr; cfr. però Uutel, 21, che
giunge alle stesse conclusioni. Cfr. anche RILomb, XLIA'', 827, n*" 1.
* Ami e ami/ sono poco usati; il termine corrente è kamhrada. 11 fico è
pianta sconosciuta a Uss.
^ Sulla conservazione della vocale finale nella P p. s. dei verbi, v. § 2.
Il parhu-e d'Us.<e,q-lio 295
87. Finale secondaria. Nasale, '^'e : fraisa frassino, piala
acero, fiuva giovane, -na -ne. Si tratta di un *m che alla fi-
nale si schiari in un e quindi si denasalizzò. — u'Aa. 3* plur. ind,
*-uììt diede un con tendenza alla denasalizzazione, v. n. 213.
88. Liquida. La mediana si è solo conservata in voci d'ori-
gine recente (v. App. I) di cui preva {^prever prete) è la più
assimilata.
Mediane postoniche.
La vocale indistinta, a cui possiamo ritenere che si siano ri-
dotte tutte le mediane postoniche \ è in generale atta a dileguarsi
pili facilmente delhi vocale finale; ma naturalmente qui, come
in tutto il territorio franco-prov., la sincope avvenne tardi ,
quando la consonante sorda^ che seguiva, era già sonora. Inoltre,
conseguentemente alla posizione geografica di Uss. e del suo
gruppo, la tendenza a mantenere la vocale di cui risente già, per
quanto in limitata misura, tutto il gruppo franco-prov., qui si
accentua notevolmente : in alcuni casi essa si estende a serie
intere di voci ed è abbastanza facile rilevare come il manteni-
mento sia secondato dalla natura delle consonanti vicine; in altri
casi si tratta di voci rare e foneticamente isolate; dovremo
inoltre segnalare i numerosi e diffusi esempi di vocale conser-
vata in parole entrate tardi nel vocabolario romanzo.
Prescindendo dalle voci in cui la sincope dovette essere an-
tichissima -, i vari riflessi della mediana sono i seguenti : 89. Se
segue esplosiva: a parte cenàu canapa ^, si à monta m o 1 i t a
^ Fr. Gr.. 120. e, per la questione dell'». 121 e BliZRPh. XXIV, 86 .s^g.
- I, 313,531. Vi apparterrebbero : yàt p e d' t u , cfr. XVI, 460, nni netto,
e forse nerkiu, grlu, m^rlu, dei dito: Fr.. Gr., 119.
^ Conservato in tutto il dominio franco-prov. ; ALF (234), chanvre.
296 Terracini,
(macinata), voit -da vuotò ^; — nieììyi manica, dumengi domenica;
grànijl ' grange'-. Numerosa la serie appartenente ad uno stadio
meno antico, come è confermato dalla storia della consonante,
se pure non si tratta d'importazioni recenti: dumestici domestica,
mimia monaca 3, 7iaGe pi. natica e perei '^ pertica, erblg erpete; -ayu
-aticu, V. n. 147. In anùi anitra, lànipia lampada, gavia ga-
bata (catino) la mancata sincope non è certo da attribuire ad
una maggior resistenza di a. Perle due prime son da confrontare
gli esiti francesi^, per l'ultima v. n. 146.
90. Quando segue /•, la postonica cede (A) solo là dove la con-
sonante precedente favorisca la sincope, o perché si nasalizzi, o
perché si riduca ad una semivocale, o perché formi un gruppo
esplosivo assai resistente: quindi, dinanzi ad esplosiva semplice e
in gruppo, dinanzi a n semplice ed a v. La mediana invece ri-
mane (B), quando preceda h oppure un gruppo con n o con sibi-
lanti e fricative ^. Ecco gli esempì : A : ardceire serbare, koire, loeire,
piaire piacere, heire, ceire cadere, kreire, skrire, veire, pioiire pio-
*■ Può però trattarsi di un deverbale di viiidà vuotare.
^ Forgi fucina è un francesismo, cfr. piem. forga, il tipo antico è : favérga
(Devaux, 64): cosi arrmgi rivincita (piem. avvenga), non è che un adatta-
mento di revanche.
^ Cfr. nel Delf. moni : Devaux, 63, 2 : piem. mìmici.
* Siccome in questo territorio la sincope suole avvenire quando la con-
sonante della sillaba finale è già sonora, è pili prudente ritenere perei un
esempio illusorio, si tratta di partici (piem.) che palatalizzò il t, donde perei.
Cfr. infatti, su questa voce, Horning, 24 ; Gierach, BhZRPh. XXIV, 145. Lo
stesso è di nace che nei paesi di questo territorio dove ha più profonde
radici, suona nage. Cfr. v. Soana : domehco SVS, 75.
^ Lampe, atte, Fr. Gr., 121.
^ Questa classificazione, la quale, salvo deviazioni che vedremo a loro
luogo, può ritenersi come caratteristica di tutta la parte occidentale del
nostro terr., è analoga a quella stabilita dal Meyer-Lubke (II, 128) per i
verbi valdesi.
Il parlare d'Usseglio 297
vere, vivre, rmtte rompere (^^runtre ^), baie, perde, respunde, stende.
Tra i sostantivi : dimerka mercoledì, divendru venerdì, autni,
poru povero, sindra cenere, toidru tenero, cespn sera. B : seme
cerner e, kreise crescere, kunoise, naise, teise, rese essere, mufe
mungere, sporfe sporgere, ankorfe, torfe, volte ungere, sirèiie strin-
gere, stl'fie extinguere, tene tingere. 91. Segue fé: il dileguo
ha luogo, del resto favorito in ogni esempio dalla consonante
che precede, v. n. 90: <iife ^adiacens masserizie, larfe larice,
pdf e, dnfe. 92. Segue nasale: se la vocale finale è a, si à na-
turalmente la sincope: kareima (quaresima); se segue un'altra vo-
cale, l'esito è vario: a pinìì' (pettine) si contrappongono fraisa
frassino, pkiui acero e guva giovane-. 93. Segue /: agùi'^ aquila,
stn^biun stoppia, che presuppone ^strobùi, sella segala, pei quali
V. n. 192; ma con -uhi si ha ii: amputa lampone, infida patata,
sò'kide pi. zoccoletti ; soku zoccolo, tavic tavolo. La parlata con-
* Per la caduta di r in alcuna di queste voci v. n. 143.
- guva e fuori di questione, poiché anche nei paesi a sincope costante,
essa manca sempre in questa parola; si tratta di parola tarda, come sono
tardi ingre pi. inguine, hndre (lendine): cfr. Lavallaz, 165; R.. XXV, 82;
HoRNiNG, 1. e.
Quanto a piftia che s'oppone a pinh' e alle serie del n. 90, l'aversi qua
-anu e non -inu non può spiegare questa differenza, v. sopra. Mi li-
mito per ora ad osservare: 1° che qui il caso è assai diverso dal n. 90: là
si tratta di serie numerose per le quali la conservazione della vocale non
dipendeva tanto da condizioni fonetiche, quanto dalla tendenza a sistemare
le due desinenze dell'infinito -re ed -e che da Sud e da Nord s'incontrano
in questo territorio; nel nostro caso, abbiamo invece due voci isolate:
' platano ' e ' frassino ', che per solito vanno d'accordo, v. P. Il e ALF (611):
frène (478), érable, o in un senso o nell'altro (a Momp., p. es., che tratta
la sincope come ad Usseglio, ambedue queste parole sincopano); 2° l'acero
non è dappertutto noto : o, come a Me., s'à piatane, oppure ancora, come a
Ven. e a Nov., paesi di sincope costante, s'à plair, venuto dai villaggi
vicini.
^ Sincope tarda: v. P. II, e Giekacii, 1. e, 108.
298 Terracini,
servò intatti questi parossitoni e ne tentò una riduzione sol-
tanto quando precede v: cenaula, v. § 3, tàula^.
Vocali protofiiche'^.
94. U dà // ; passa in /, specie nel racconto rapido, soltanto
l'articolo maschile ^, assai più di rado il femminile : ///, ina,
dovunque altrove si à // : amprumà prendere a prestito, filma,
gi'ira, s iskiiréj^ s'oscura, lumia t pupilla, ruim'ir; sciirsà accor-
ciare, ilici agugliata, iìcà urlare, hrilskà't acidulo ; per i casi di
analogia sulla touica v. § 2. 94". I. Al solito si mantiene :
dilibìs lunedi, fini, prime primo.
95. A. In ogni caso suona a: farina, savur sapore; karkun
qualcuno, rastél rastrello.
96. E. La debolezza dell'articolazione, se segue una conso-
nante semplice, è divenuta tale che esso, più che vivere per
forza propria, obbedisce intieramente alle contingenze dei suoni
che lo circondano. Se segue una liquida, il dileguo è di regola :
dia della, dre dietro, dràt diritto, fré febbraio, pia pelato, idoii
buccia, pliicd piluccare, prasd colpo di pietra, tle telaio, vlii vel-
luto, vreri (impannata); notevoli: tren terreno, sra (serrare), di-
nanzi a doppia. Quando precede occlusiva il dileguo è comune:
bve bevete, d beire, d fare, dii degli, din {^dedin) dentro, dmàn
domani, dmànde chiede, dne, dvànt davanti, t se tu sei, dve
dovete, dfember dicembre; ma, specie tra i vecchi, s'odono esempì
in cui sopravvive un soffio vocalico : befón bisogno, pefà pe-
sare, pekd peccato, tenaie (tanaglie) accanto a tnaie, teneia ta-
* La sincope ricorre nel diffuso berla , v. n. 24.
^ Tratto insieme tutte le protoniche, salvo a considerare in paragrafi a
parte ciò che hx medi a n a e 1' i n i z i a 1 e offrono di speciale.
^ Oltre ad imur, assai diffuso : Mor. 68.
Il parlare d'Usseglio 299
neta\ fenu accanto a fN/i. Pure in altri casi il dileguo è
normale, sebbene soffra qualche ritardo per alcune combi-
nazioni in cui entra una nasale ; fnesta, funi finocchio, sca
seccare, sìuenni, sua segnare, suor, snist sinistro, sta seduto,
stàiifa. stnnhp)\ mi, rfin vicino, v. n. ICS, ma si oscilla tra mna
e mena, inoltre snnNìiìi, senèrra (senapa); se segue .s, la vocale si
conserva: mosoiri falce, vesì' vescica-. 97. 0. Assai pili resistente
della vocale palatale, conserva il suo colore labiale e suona n,
disceso recentemente da un o, di cui è traccia nella Par.:
pors/óii (12), trova (32). lo (passim); dwià dato, knnoise, pmrd,
suléi, ridéi. farnél •'.
Evoluzione condizionata.
Influsso di liquida. 98. In sillaba liberai, conservatasi
pili a lungo perchè in iniziale o in protonica iniziale, passa ad a, di-
nanzi ad ;•: arain rame, aris riccio, tararéla^, aricinti'^; dinanzi ad /:
maìfù' (pieni, inal'èfu larice) e gala gelato. 99. In sillaba
chiusa, entra in considerazione quasi soltanto, *f che dà indif-
ferentemente ar, ér ed er^. Su questa vicenda (v. App. I) ci
' Per questo e, cfr. Horning, ZRPh, XXXII, 28.
- Per casi speciali di conservazione v. inoltre i n. 102, Ilo.
^ Le consonanti lunghe non cagionarono speciale riduzione, se si eccet-
tuano forse le esplosive labiali, dinanzi alle quali pare che la vocale si sia
ridotta tanto da passare ad il. cfr. piem. uss. piipà poppare (il pieni, kupa.
[uss. kiipu ' coppa 'J sembra attestare che il piem. pilpa ' poppa ', trasse la
vocale dalla forma arizotonica e non viceversa), ed a Castellinaldo (Alba)
s'à anche l'dbjà cialda XVI, 531, e inoltre dinanzi ad ))i, che aveva un
tempo il valore di doppia: csld. sfrilinrl, piem. fihnrnf fomento, VS., 15,
fri'uiu'nt.
* T e r e b e 1 1 u , K. 94G0.
'" K r a n t , con accento mutato nella formula inteiTOgativa.
^ Si tratta del ben noto fenomeno descritto in I, 366. Nella Par. il tur-
300 Terracini,
basti per ora sapere che il grado fondamentale è probabilmente
quello che si trova per solito in questi dialetti ^ : ar od èr, di cui er
e una riduzione. Do gli esempi, distribuendoli a caso nelle tre
serie : arbds erbetta, harléc letto^ boie mardere pi. (stercorario),
markà mercato, parfils buco, sarni'i scelto, sarvagu selvaggio^
varvele cardini ^ ; hèrlik diavolo, h'èrlike lecca, pèrdund perdo-
nato, pèrdii, vèrga vetta del coreggiate, sèrpe ut-, pèrdund, serpài
serpillo, serveisii io servo, servela cervello, servagli; per pre-
senta tutte le tre fasi: par, per, per; per le forme sotto in-
flueuza della tonica v. § 2. Le altre vocali, come risulta dagli
esempì che diedi pili su, non presentano turbamento di sorta
tranne che in : garbi'// (can. gerbis) > e o r b i s (sorta di gerla) ^.
100. cons -{- r -\- voc. La vocale si turba in modo analogo al
caso precedente ; a ciò s'accompagna in molti casi il passaggio
di r alla fine della sillaba ; il colore del suono vocalico e la
posizione reciproca dei due elementi varia, a quanto pare, secondo
la condizione dell'accento, e forse la natura della consonante se-
guente, senza che sia possibile precisare meglio le cose ; alter-
nanze come : pèrnà'n, prm ; ferina , frèni paiono provare che
l'atona preferisce veramente '^°"^ voc r^*^"*. Qui pure e è al so-
lito il pili turbato: antèr nióif trsLmoggìa^, disfèrnd sfrenato,
fèrtd fregare, . kèrpd crepare, pèr//ì' pregna, pèrfùn prigione.
bamento è indicato dall'assenza della vocale : prché (27), prdii (32), srvitù
servitore (17).
i Cfr. Pral. Mor., 50; v., del resto, P. II.
~ K. 10096.
' Mocch. gllrhih. Del resto, tutto il territorio da me esplorato ha forme
con e od a che si estendono a qualche villaggio della Savoia: ALF (B. 1598) :
hotte: cfr. Kr^h^i^ a Val d'Illiez, RDR, II, 306. — Si ha fiinnià' (formica),
voce che in questo territorio (cfr. Val d'Illiez, 1. e. e Momp. frémic) ha per
solito la voce turbata ; la forma attuale è quindi probabilmente una forma
rifatta, e non è forse la sola, v. P. II.
* K. 9706.
Il parlare d'Usseglio 301
pi'niàn prendiamo, spèrmi spremere, skèrvase geloni, tèrsi' treccia '.
Nelle vocali diverse da e, i casi sono assai più rari : pcrfùn (ma
V. n. 112, n,), bèrhi prugna. strèhhYn (stoppia), esempi diffusis-
simi ; tarla saltellare-, barnafiu paletta^, ferpa (gualcito) S voci
tutte isolate o poco usate. Tuttavia, anche quando la vocale
appar piena, sembra che r preferisca aver l'elemento vocalico
avanti a sé: diìrm'i. dilrrl pili frequenti di drilnii, driivi allato a
dram, dra-u.
Influsso di palatale precedente. 101. Per a, la diffe-
renza delle condizioni fonetiche è pili che mai insufficiente per
classificare la divergente distribuzione degli esiti, i quali in parte
sono comuni a più varietà franco-provenzali e sino al francese ''' ed
in parte costituiscono delle particolarità locali, senza che si possa
sempre stabilire in quali casi si tratti di voci decisamente re-
centi''. Le voci che palatalizzano anno i in sillaba aperta:
' Alcune voci però, sebbene in atonia, anno cous,-- fitrèOiuh stoppia, trafà%
(trifoglio) che forse risente l'influenza di tre o di fra-; sfrana <strena,
stranila starnutire, trampa temperare, e anche <ra/»i7w, tutti in contatto con
nasale; inoltre trimolii triinuld (tremo), ove si à incrocio con un'altra base,
V. § 3; per l'analogia nei verbi v. § 11, cfr. inoltre I, 576.
- Si dice delle vacche. Cfr. Costanti.v, turala étre en chaleur. demaiider
le taureau, v. § 3.
^ Mou. less., p. 368, p r u n a t i e u .
^ Cfr. fr. frajìper e Mok., 50. Cfr. REW, 3173.
^ I, 361. Fr. Gr., 114.
° Sia sin d'ora (v. P. II) osservato che, .se alcune di queste voci possono es-
sere sostenute dalle toniche corrispondenti, cfr. SVS. 57, e sopi-attutto se
qui siamo proprio all'estremità del territorio di a palatale, conviene pure
non dimenticare che questa sua irregolare distribuzione si connette col fatto
che le voci in e a iniziale sono in parte isolate o mal coerenti tra di loro :
infatti alla finale, dove le numerose desinenze assonanti come -usi, -aii of-
frivano un .saldo punto di appoggio, la forma palatale si è diffusa con ben
maggior conseguenza.
302 Terracini,
cinds cagnaccio, ciudi 'canale' torrente, civré capraio', cilniifi
camicia, cimista gonnella, ma: halur calore, Camus camoscio, §a-
vela fr. Javelle, cavhì't (v. i? 3, fr. cheoìlle), cavnh cappio, ò'éf/^e sca-
lino, camìh camino, (jaUna gallina, cacék capello-; in sillaba
chiusa, detratti i casi in cui la palatalizzazione non suole avve-
nire-^ s'à: dinanzi a esplosiva: cita comperare, ma capei, capela
cappella: dinanzi a doppia nasale ^ camìnu (cammino), che è assai
' E heirót, civrót capretto.
' Questi cinque ultimi sono relativamente recenti, intatti compaiono con
una vocale palatale qua e là nei villaggi di parlare affine: v. P. II; cavt'i
del resto è certo un nuovo venuto, perché qui siamo nel territorio di pnl.
Cfr. ALF (270) : cheveux. Inoltre cenci' u canapa.
3 Cioè i casi di qt^cons^ au^ons^
'* an'^"'^^ non si turba, se non in un solo caso: Par.: cinta {2h). Come giudi-
care questo, di cui io, per quanto cercassi, non ho trovato nel dialetto vivo
alcuna conferma? Per solito a, dinanzi a nasale, non palatalizza che al-
l'estremo confine nord del franco-provenzale, in una regione assai lontana
dalla nostra (Precisamente in ima sottile striscia, che dal nord del dip. del
Rhòne, va in direzione di NE attraverso ai dip. del .Tura e Doubs sino alla
punta estrema della Svizzera occidentale. Cfr. khY, chambre, chandelle,ecc....^.
Deve dunque trattarsi di un fatto seriore. Esso appartiene ad una voce
verbale: è lecito quindi ritenere che abbia subito l'influsso della forma
tonica centu, forma antiquata, quasi sparita dinanzi a càntu, v. App. 1. Dunque
quando an si turbò in ah, dopo palatale, esso ebbe tendenza a passare in
eh, che a difi'erenza di ";(, v. n. Ili, potè esercitare qualche analogia sul-
l'atona : cfr. Mez. sceh/cu, centu, scehkà, canta. Co. centu (ma canta). Questo
passaggio pare ristretto solo a verbi ; se si pensa che la forte espirazione
che è particolare ad ah si è formata in origine sotto particolari condizioni
dell'accento di frase, a cui per un pezzo sfuggirono i verbi, v. n. 236, la
cosa non à nulla di strano: sotto accento secondario alla forza prevalsela
colorazione palatale ; centii poi, come voce isolata, spari pili tardi facil-
mente ; quanto alla vocale di cinta essa à un discreto parallelo nel ben
più diffuso minga che un tempo dove essere in alternanza con *mengu,
cfr. SVS, 56.
L'Ascoli e il Salvioni considerano invece cinta come un caso di turba-
mento antico, AGIt, Vili, 101; Lettura, 715.
Il parlare d'Usseglio 303
recente' e cenaida (collare)-; cosi dinanzi ad r: scer})! ^, ma,
canjà caricare, cardàn cardone, carbihì, scarvà sfondare, scar-
butà sgarbugliare, e case/ a cacciatore. 102. e: si conserva pieno
e tende a chiudersi sino a i: gelàs geloso, gene genn&.io, ginevru
ginepro. geniU ginocchio.
Influsso di palatale seguente. 103. .Se segue un
gruppo palatale, e-, dopo essere divenuta ;;, s'è, per lo più, ridotta
ad i: Una tingevo, ampirìnf ; riia vegliare, v. n. 123. Per a
l'azione della palatale può considerarsi nulla, non avendosi il
che nel diffuso kiìhù (cognato), oltre che nel diffusissimo ìcaU
(cucchiaio): kunoise, bucì't/'ì, gukhi, dif^puhì. 104. Influsso
di ^ La vocale precedente assume un colorito palatale; dinanzi
alle vocali estreme i ed il, la semivocale tende a cadere o ad
essere assorbita; essa oscilla, massime nel discorso rapido,
dopo i; dopo il la caduta è quasi la regola. V. App. I. — ai
passa in ei * donde tende ad e/ e conseguentemente ad /. heisà
abbassare, eidà aiutare, feisa, feisina fascina, feisla ' fiscella ',
nieislàs mascellare, ngreisà ingrassare, beifà baciare, eifil aceto,
feifoel fagiuolo. peirml paiuolo, pieifi piacere, ve.irole, leità <^ latte,
§ 3, pieinéi n. 1. Come esempì di U aggiungo: tiisùii tizzone,
stihi [sta isi) questa, inilfùii casa, fmìlfà stemperare (macerare),
(lì-gih-nii sciupone (pieni, fgairé), lilbat colostro, liigi'i laggiù,
riirola, fiiirà puzzare, e con i\ bri/là belare, v. § 3, difiót adagio,
isld' ascella, ivagu inondazione, ^riVré <C attractu attrarre in
trappola; — ìnijénìc fieno maggese. Per l'influsso della tonica
' Infatti ò anche esempì con k, del resto il verbo è poco usato.
- *cannabula REW, 1600.
-'<carpire v. §3, REW, 1711, ALF (B 149.5), c/jwrjoie à esempì con f
soltanto in paesi del Piemonte (982, 985, 986) ; è dunque probabile che, sia
nel verbo che nel sostantivo, la palatalizzazione sia seriore e costituisca un
semplice caso di metafonesi analogo a quelli del n. 112.
* Già la Par. (13j à sfjheirà. 11 colore della vocale oscilla tra et ed et.
304 Terracini,
V, § 2. 105. ei segue la medesima sorte di ai : einiinà' emina ^,
eisàrt topon. *exartii, lei/àrd < lacertu ramarro, meisuna
spigolare, meisuneri lucciola, ed anche Hi fard ramarro, slrràs ri-
cotta, tiilà't pannolino, tiiso'u tessitore ; e con dileguo ; rish'i m
segatura, tisioiri tessitrice, tifi'm tizzone, silài {*seilai), stisi (questi) ;
viiù, kriiu credevo. — n: dìfii't diceva. 106. oi, di qualunque
provenienza, è ora ai: kflifenta bollente ^, tilirou mestolo (pieni.
tuiré rimestare) ; dalla fonte M ebbi ancora : twifim ' toison '.
107. il di qualunque provenienza, rimane il : siisià (sing. soeise)
— iism aveste, fiisia foste, miird maturare (cfr. wair maturo).
108. Influsso di 5^°"*. Se ne anno tracce solo per e e per
di pili limitate ai prefissi is- e dis-. Per is- v. n. 187. Di dis,
si anno tre riflessi i quali fanno capo ad un *eis donde is ;
quindi, come all'iniziale is, da s*^""*, è quasi scomparso, n. 187,
cosi all'interno, in molti individui (v. App. I) is scende in es
che a sua volta può adagiarsi in es. Cfr. nella tonica la suc-
cessione est est ^. Distribuisco gli esempì nelle tre varietà :
1" difviià svegliato, discarbutd sgarbugliare, diskoru discorrono,
difgaite sbrigati, difdóit sbadato, di/gala fondere, difgrilnà sgra-
nare, difliml slogato, dispiai dispiace, distisà spento, distakà;
2° despieifì dispiacere, despiipd, desviid, respùnd risponde, def-
■mentia ; 3° desponi, deskoru, deskuatd scoprire, defmentià dimen-
ticare, restii filo della schiena, respondii risposto, destorbe di-
sturba.
109. Labializzazione. Per il contatto di una consonante
labiale, s'à buon numero dei soliti e diffusi casi di ii<C_i: ariìva
* Mor. : ejmino = n. prov. esmino.
~ kunisu deve essere il riflesso della forma in -esc, che a Usseglio manca,
ma è frequente altrove e anche in Piem., cfr. Gè., 13, n" 3.
^ Questo indebolimento di /, sebbene in condizioni un po' diverse, si trova
anche in f/e feji't (faceva), che rappresentano un attenuamento di fì/e' fì/it.
Cosi *vei/iii vicino, diede vi/iti, donde il più frequente t>fÌH.
Il parlare d'Usseglio 305
arrivato, dilrmùgi domenica, cìlmìfi camicia, di'nnerku mercoledì,
lilmasi \unvaca. prilmu' primavera, siimà' cima, silmiteri cimitero;
< a ed e si à u: fnin faginu faina, luinentà lamentare,
dumentre mentre, duvìl dovuto, nnvn nipote, jmvreri pepaiola.
fi compare in vicinanza di alcune consonanti, v. n. !)7 n-': (i)>ibiiri
ombelico, giimeisu gemo, riciivut ricevuta, pilpui pipita, inoltre
in iiirfl v. n. 132 e diivii. 110. Contatto d\ n. AU primario.
Detratti i casi che sono in alternanza secondaria colla tonica :
arpufa riposato, godìi goduto, rìcha rubato, kiiienda, diskiiivà
schiuso, )iufk( nauseato, restano: urU' (orecchia) di fronte a lauta
(lodoletta). oltre a outd'd (autunno), e i'nfél, dai quali esempi, per
motivi di vario genere, non è possibile trarre altra conclusione,
se non che all'afona si mantennero fin qui le tracce del dittongo
aperto '. 110. aii secondario, dà sempre ou, che nel discorso ra-
pido diventa u : cousinà' calce, coHderi, cause scarpe, discousà, fondai
grembiale, fausta falcetto, oiitàr altare, soutà saltare, sautis't', ma
anche fudàl grembiale, sufd saltare; cosi dati (Par.) dallo, don,
du: ali allo au u. Pei casi di analogia v. § 2. ou naturalmente
li: knt'el coltello, pusa pulsare spingere, slcuta ascoltare.
Influenza di nasale. 111. Per a, il, ii nulla da osservare;
a mantiene ordinariamente il suono pieno: ca/ideila candela, canta
cansihì canzone, pianta ])ìa,ntare, lanihél labbro — i si conserva:
linddl limitare, lins'oel lenzuolo — e per esito caratteristico à an\
kuiuansd cominciare, gansana genziana, lantijc' lenticchie, mantun
mento, pandiì appeso, sahsiia sanguisuga, randii reso, santit,
sfandia distesa, trahcà cagliare (piem. trihké), vandia' venduta,
faiifice gengive, tampesta, trampd temperare ; per i numerosi casi
analogici v. § 2 -. — ein dà in: rinsa risciacquare, sintura cintura,
^iw^rtra' tintura ; ain dà iìn in kiìntd cognitare raccontare.
^ Cfr. le stesse oscillazioni nel Dell', Dev.. 116, ••fr. Atlas (;i56): alouetle.
"^ Ve inoltre una serie con in: intér accanto ad anter: rinf/rasi('i, invérn,
V. App. I, che sono forme recenti e non correnti.
Archivio glottol. ital., XVII. , 21
306 T.n-mcini,
Influsso della tonica. 112. Assimilazione. Diffuso è
il noto passaggio di u ad il quando la tonica seguente sia i ^ ;
bi'iii bollire, driiml dormire -, kiifi cucire, riisti arrostire, silfri
soffrire, tHsi\ r/(//^g rosicchia, (/iimite vomita ; an/wrc?/ sbalordito,
amwwr^/ intirizzito ; fuori dei verbi: è/ó-c?/s immondizie (<^*burd,
§ 3), kilnii coniglio, filpin pentola, iirdi ordito, urina orina ;
diivn {*duv- *dev-) ^ (briciole) ; analogamente : arpenti pentito, per
scerpi V. n. 101, per visti (vestito) v. n. 108. 113. Gli esempì di
assimilazione* propriamente detta sono scarsi: si tratta
di una e, serrata, in generale, fra consonanti che facilitano
il suo passaggio ad un'altra vocale: cam'm canapa più frequente
di cenàu, panas coda, ' pennacchio ', strana ' étrenner ' (v. n. 17),
tìifilrd (piem. tefiiré) (tendere), oltre ai diffusissimi (jalà gelare,
sarà chiudere, v. § 2.
114. Le PROTONiCHE SERIORI, cioè quelle risultate dalla pro-
gressione dell'accento, seguono in tutto le tendenze delle altre
protoniche, ii: briita, skiiima schiuma, Ze<«a', ima' una — i: fika
1 Cfr.: XVI, p. 530; SVS, 82; RDR, II, 305, 309, e RILomb, XLIV, 822.
Dal Vallese e dalla v. d'Aosta questa inflessione si protende dunque, attra-
verso il Piemonte, sino all'Emilia e la Toscana, cfr. XVII, 122. A Val
d'Illiez la metafonesi avviene solo per o dinanzi ad /, ce, a Valtournanche
per e ed 0 dinanzi ad i, u, u. Ma è opportuno notare che per e la metafo-
nesi a distanza è sempre aiutata dalla vicinanza immediata d'un suono
palatale, cosi almeno appare dagli esempi citati dal Merlo: dzis'i' gésir ;
vis'i V a e i V u , tzimis'9 ' camicia — /?^w phaseolu, mirjà' miroir
deiis'ii' " giaciuto ^.
^ drill, krill, drlunl possono avere Vii dalFce delle forme toniche, v. § 2.
^ Cfr. Mise. Asc , 85. E pu/ineri (gruppo di stelle) > ^piifln pulcino.
■* Quanto alla dissimilazione, non vi sono da ricordare che esempì
di lunga data e di vasto territorio : arlogu, barbuta, mannurà, rlmid, semune
summonere offrire ; ma tofoire forbici, piem. te/oire.
Il i^arlare d'Usseglio 307
argine, (jalinà', prima prima, siìna cìwva. — e: ^;rwsia' pustola, /eM'
fetta, karta carretta, palla paletta, feisla fiscella, ferma ferma,
spesa spessa, l'Crda verde ; ma, vicino ad una consonante pala-
tale: piancita pedana; Unì' tigna — ■ u: tuta tutta, ruta rotta,
kupa coppa; la palatale non manifesta alcun influsso: ruht', bucV .
Iniziale. 115. in generale il destino della vocale non
cambia \ se non che e, non costretto dalla consonante prece-
dente, appare come vocale piena nei casi già visti al n. 98. Tra
le af eresi sono da notare: difU/t adagino, legrià' allegria, loufa
allodola, rive giunge, stela scheggia, risi' ricciuta, sa-it asciutto,
sas/'n assassino, si, ki, che prendono il sopravvento su isi e iki,
l'aferesi del prefisso a nei verbi: skiitd, takà, masd uccìdere, cita
comprare, sui (asciugare), ecc., tutti casi, del resto, comuni nel
loro complesso all'Italia settent. - ; per le aferesi che conservano
ancora il loro carattere sintattico v. n. 231 ; una vera aferesi
è pure il dileguarsi di i dinanzi ad s implicata, v. n. 187.
116. Come prostesi, non sono da ricordare che: vauf alto,
voHsd alzare, vaàs acuto, rane, vont unto, cwi^ avuto e vese es-
sere, cfr. n. 231.
117. pROTONiCA INIZIALE (semiatona). Male si distingue dal-
l'atona iniziale; lascia tuttavia, per qualche indizio, trasparire
ch'essa è pili resistente. Nella pronunzia di des- (v. n. 108) cre-
detti di poter stabilire che alcuni degl'individui i quali oscil-
' anrl, un^ì; i/g'p; unest, urtici, udàr.
* Inoltre l'art, femm. na, e i piti diffusi: yiefa, (jrrp terreno incolto,
ìefna lesina, sunfi sugna; riìa eruca, vesku vescovo; rU'ndida rondine,
louta (allodola), notevoli perché rappresentano l'estremo punto settentrio-
nale cui giunse l'aferesi cisalpina. Per le parole non popolari App. I.
S'ànno infine le solite aferesi dei nomi proprii: Ddgifa, Nis Agnese, Tona.
Degna dinotala conservazione in: af^id rovente, aresta resta, ari's riccio;
inoltre avantd diventare.
308 Terracini,
lano tra es ed es, preferiscono es per la protonica iniziale :
desplelfi (dispiacere), ma despknt (dispiace) ; definià (svegliato),
ma despoiìi spoglio, ecc., tuttavia nella massa delle mie fonti tal
vicenda non si lascia distinguere nettamente. — Parimente, se-
condo alcune fonti, il passàggio di ei ad « sarebbe dapprima
avvenuto in semiatonia, secondo l'alternanza: peirài pnruld't.
Per maggiori particolari v. App. I. — Nel dileguo di e, si nota
qualche maggior ripugnanza: semnà (seminare) presso f<ì)ie/nu se-
mino, sepultiira sepoltura; grumisél (gomitolo) attesterebbe il trat-
tamento di ^'"' r, proprio della tonica ^. Inoltre, benché non man-
chino labializzaz. come .s/n>u7f ri (cimitero), s'àcjw/sM' (gonnella),
che resistette meglio di cilmifi (camicia); infine la semiatona ini-
ziale à la forza di assimilare l'atona mediana: v. n. 118.
Protonica mediana. 118. Vi si osserva la legge di Darmsteter,
ma in esempì ormai scarsi e di diverso valore - : niilapé mil-
lepiedi, muntòu -atore, filwiri -atura ^ ; — iìféj uccello, aptit ap-
petito, marmlin mignolo ^ phingùh merlo acquaiolo <C più m-
bicare, sante sentiero, lindcH limitare, § 3, smana settimana,
sarvela cervello^: — nianà * maina, m ansio nata bimbo, eida
aiutare. Se segue r, è da notare che anche a sincopa, certo
dopo essersi mutato in e: Verà't topon. < *villare*^. Si à pure
sincope, forse in parte analogica, v. § 2, nei condizionali di
tutte le coniugazioni: muntru, cantru, vudrn, rìfrù, caprù, vindrn,
^ V. n. 100 e nota.
~ Alcuni, p. e., anno il loro corrispondente nelle postoniche, inoltre :
'ntanà fr. ' entamer ', cargo caricare, sfungà sfondare, kUntà raccontare, kxcd.
^ V. n. 128-9. Mi mancano esempì preceduti da palatale, poco o nulla di-
cendo pasco' u pescatore, caso' a cacciatore, ficanas ficcanaso.
* AGIt, II, 366.
^ In grumisél gomitolo glo miscelili, la vocale si conservò grazie
alla palatale, cfr. Pral. grilmej^é'l.
* murtrat mortaretto (piem. murtare't).
TI parlare d'Usseglio 309
nmrif, ecc. Ma. quando la vocale è divenuta mediana per deri-
vazione recente, e questo è il caso pili frequente, allora il suo
trattamento è uguale a quello della protonica interna: soltanto
e dilegua: martlà, lìflu't, linnlat pupilla, meislas dente mascellare,
bierlòt (< buderi) ruscello; pieinéi, candccel canapule ^ ; per le
altre vocali : camhriìuì't stanzetta, fariurrl cassa della farina,
matiné primaticcio, kartiiìié carrettiere, mbaritnà < barii/i (am-
massare), quando addirittura non s'abbia manifesta influenza delle
toniche. S'à pure qualche caso di assimilazione alla semiatona:
ììKdadisiìUì, tararla succhiello, aiicdhna (< viUm) velenoso. Ad
una specie di assim. è da attribuire l'epentesi di tartare accanto
a tartrr (nome di un flore).
Contatto di elertienti vocalici.
119. Iato primario-. Dinanzi a vocale estrema: e-j-i diede
il dittongo iei che, mentre sopravvive nei paesi vicini, qui si do-
vette contrarre in //, di cui una traccia indir, è nella Par. sii suoi,
forma fatta su *ìtì,ii miei, v. § 2, e un altro vestigio s'à nei pronomi
plur. odierni: )ni/(, tiri, siri, a parte V/ì preso dal sing. v. § 2 ; g -\- Z2 :
meli mio; per questa mancanza di dittongo che ricorre a:iche
altrove, v. § 2. Da o + " si ebbero i soliti to so; o-}-/ , diede
l'esito corrispondente a vocale chiusa in doei^ due f. doe ^.
Dinanzi ad a: o -\- a:\-A, vocale discese ad i in me a, che diede
con progressione d'accento mia'; e -|- a , con lo stesso risultato,
via via; assai piti importante, geograficamente, è il manteni-
' Da />À<'Ìf"i *cenéu. Se fossero derivati latini conserverebbero traccia
di a.
- Cfr. I, 276, Einfuhr., 109, e Goidànich, BhZRPli, V, 158.
' dOe coìVo conservato perché in proclisia; cfr. n. 97.
310 Terracini,
mento di seie siam-siat:o-|-a ty,a, syià' (e plur. tue' sue): in
iato secondario ti {<Co) non soffre progressione, v. n. 127, quindi
è legittimo supporre che le due voci stiano sotto la parziale in-
fluenza di mia' ^
Iato secondario. Un vero iato non sussiste che in pai/
(paese), se no esso si espunge con procedimenti di pili maniere.
a) 120. Quando si tratti di due vocali uguali o simili, il iato si
evita per contrazione: 1" coll'atona precedente: vel vitello, trénf
tridente, vane guadagna; 2° coll'atona seguente: /"f pecore (*/t'^)
part. fem. di 1^ sing. e y>\ui\, purf a e minga, 2* plur. di l-"* con.:
canta.
^) Se la prima vocale è una tra le estreme delle tre serie,
essa passa alla semiconsonante omofona : n, /(, /. Nel discorso
lento, che è il normale, u ed ^ hanno fortissima tendenza a svi-
lupparsi in uv, iiv; nel discorso rapido-, o quando la finale sia
una breve, è preferita la semiconsonante semplice. l°L'atona
precede. 121. w -]- tonica: afnva infocato, fìivd't frusta, fnrhì
faina, kmvenda siepe, sinrist corda, ma ruà't filatoio, kiià't ' co-
detta' pecora. 122. il -\- tonica. Si forma un nesso più instabile
del precedente: biivél budello, diiverta,kii verta, ìHÌivànda<muta.re,
silveri cibaria, gilà (giocare). Di contro a questi numerosi
esempì s'à ska'la (scodella) ^ e certo si deve a forti ragioni di
analogia se altri uè non si contrassero; un caso analogo è pro-
babilmente il già discusso fioel, n. 46 ; iì, in pronunzia rapida,
tende a passare ad i: sporadicamente in miianda (cascina) e
^ i-\-a. Il suffisso -ia diede naturalmente *«': shiidrià' scnàQvìdi, ustarijì'
osteria, Uhgìria' biancheria.
^ Su alcune peculiari cristallizzazioni di questa alternanza v. n. 235. Per
tutti gli spostamenti dell'accento che accompagnano il iato v. n. 229.
^ Questa contrazione è diffusa in molte parti del Piemonte, efr. p. e.
Salvioni, Mèi. Chah., 534.
Il parlare d'Usseglio 311
sempre in shì (asciugare). 123. * -{-tonica passa ad «. che è
suono assai più stabile dei precedenti: buda, difi^ot adagino,
(lied ditale, dinud Natale, fiiifi fiducia, nUl n\diO, pini t 'pedone'
pantofola, rhmt. sia segare, sias, suda ; di U c'è qualche esempio ^,
0 come pronunzia individuale, o perché sia voce esclamativa :
la dlnin ! \\ diavolo!-. 2° Se l'atona segue, essa attira su di
sé l'acL-onto : in questo caso, la nuova tonica essendo breve,
V. n. 183 B, la semiconsonante suol di rado sviluppare una vocale.
124. i-j-atona: partja siìrtifi ; pUpifi pipita, urthi , funnia',
dm dico. 125. // + atona : k-rM', patanua (nuda), e con epentesi :
uva' uva. riiva eruca. La serie dei partic. in -ut a esce in ni: di-
vidi a' , kresia , ricuvia, turfia . mia. Il nesso Uà è certo insta-
bile e tende comunque a risolversi ; pare però che qui, piuttosto
di avanzare verso m, come in Svizzera •\ secondo particolari
condizioni fonetiche, esso obbedisca a condizioni morfologiche;
infatti l'unico modo di spiegare la divergenza tra il trattamento
dei sostantivi e dei participi è di supporre che in questi ultimi
la risoluzione precipiti perché è facilitata dalla analogia dei p.
in -ita; però anche l'epentesi che subentra nei sostantivi, non-
ostante la brevità consueta della tonica, è indizio dell'instabi-
lità del nesso: negli aggettivi poi la conservazione di uà fu
pure agevolata dall'influenza del maschile (v. § 2).
y) Quando la vocale che precede è chiara, se è tonica, si man-
tiene tale, se è atona, attira su di sé l'accento. P Se l'atona
^ Naturalmente si à j'i, intatto se proviene da W : aviPi', cavixùn, caviieri,
fìil', lantiif, muriiicn, siti', siiidi; s'à tuttavia qualche caso di alternanza con
ì: sii accanto a siil', o di assorbimento pressoché fisso: i(riì' : certo la na-
tura della consonante precedente ha la sua parte in questo divergenze.
- 0 perché obbedisca all'analogia del dittongo discendente : niii'i, niiiivp
fatto su nii^e.
■' In Svizzera il passaggio ad ( si propaga seguendo la natura della con-
sonante che precede : .Tabkkg, 92.
312 Terracini,
segue, colle vocali palatali combinate tra di loro e con a si svi-
luppa un ^^, se invece una delle due vocali è labiale, si ha un v:
126. braie brache, ^/«ia {*piaien) acero. Inoltre, lo stesso accade
nei casi in cui non avvenne progressione d'accento, sne sega, nii^e
e nel suff. ia delle parole importate da poco: angnnim, kanamiia,
kulumna. 127. lab.-\-n: ìotxi [luva) lupa, rona {ruva) ruota, duva
doga, gmve gioca, che diviene in pronunzia rapida ga'U.
127*. a-\-u si confonde col dittongo au da *al, quindi si ha
semplicemente: fau faggio, vau, lau, fan faccio-.
2^ Quando l' atona precede, essa si assimila parzial-
mente alla tonica, conservandosi tuttavia sempre più chiara, si
che à forza di attrarre a sé l'accento; la tonica si muta nella
semiconsonante corrispondente ^. Tale riduzione accade solo per «,
almeno a Usseglio gli esempì contrari possono tutti spiegarsi
come casi di analogia. 128. 1° a -|- ^ (e) : " -aticcio „ : sanéis, sur/éis
^ Che ad un dato momento parve indebolirsi : are. : véii, cren per véi^u ;
ma fu tendenza presto tramontata, di cui resta una sola traccia : ft, v. App. I.
^ Ma i due verbi divengono nel discorso lento: fava, vul-u, perché la finale,
cioè la desin. della 1''^ p. s., conservò fin quasi ai nostri giorni il suo va-
lore di 0.
Resta: defioi^ii, defloiii, dejluià (slogare), che è caso unico; il piemontese ha
dàjluu, dàflué; è forse un esempio di % diretto continuatore di g'i Del resto
v'è chi non esclude che un iato ove entri una vocale labiale, possa colmarsi
con jt. Cfr. Salvioni, XVI, 366. Un caso men grave è aiasin callo, Delf.
agacin (Chabrand).
^ Una di queste trasformazioni fu accennata dal Nigra, VS, 38 e poi la
loro storia fu ripresa dal Salvioni (IX, 250, JFRPh, I, 124, 129, e quindi, con
assai maggiore ampiezza, in RlLomb., XXVIII, 522 sgg., e SVS, 1055^), il
quale pure afferma che il fenomeno avviene solitamente con a, e infatti,
degli esempì contrari che cita, molti ritiene egli stesso come ingannevoli.
Sull'intima ragione di questo spostamento è da consultarsi Goidànjch,
BhFRPh, V, 170 e specialmente 177, 179. Per la sua estensione geografica
cfr. 1,598; //. Gr., 154 e P. II.
11 parlare d'Usseglio 313
sorgiticcio, taiéis (fr. tailìix), >nist da *ineisf maestro ^ cet ceta
*cadectii caduto-a, v. n. 27. ;y'^ radice e ceina catena-.
128". 2'* a -|- /( -atura: lavimri, skhipa'lri^ mnir-a mi\t\ivo--à,
()(em-na jajunu, vocis-i^, cen ago, bunkc baduccat, daànn '^ ;
tvW avuto, scrv saputo. 129. a ^-o : oiitni ad ultra, nra '-> [che
piesuppone *óura v. n. 2o<>), -atoi-iu (confuso cou atore):
tulon, laviiron, niùnton, rafoH, ecc., oifsf agosto.
129''. Nel iato delle atonc s'ànno vicende analoghe a quelle
studiate: làmpui lampada, munla monaca, plana pedata, kuertd
coperto, meisina medicina, per alasin (callo) v. n. 126 n'\
Sorte ulteriore dei dittonghi. — Ora che nel
corso del nostro studio abbiamo avuto occasione di passare in
rivista gran parte dei dittonghi, sia che essi nascano per lo
sviluppo di alcune vocali: n. 14, 22, 27, 32, sia che si produ-
cano per colmare il iato: v. n. 121 sgg., prendendo in conside-
razione anche quelli sorti dalla vocalizzazione delle consonanti:
n. 154, 155, 162, 180, 184, possiamo esaminare in una breve
sintesi qual sorte essi abbiano incontrato.
130. I dittonghi ascendenti e trittonghi di for-
mazione assai antica si sono tutti semplificati ; quelli invece
' Voce quasi sempre in atonia. Cfr. Goid., 1. e.
- Che, data la costanza del fenomeno, non c'è ragione di espungere, seb-
bene non sia esempio probante, potendo il dittongo essere nato anche dalla
sola tonica. Salvio.m, 1. e, 527. Per cadectu: SVS, p. 1055^.
^ Quest'esempio a Usseglio può parer dubbio perché voeis potrebbe essere
*uis con t' trattato come in francese (aiguiser) e con aferesi di a. Ma in
Val Soana dove ii in tal posizione non si schiarisce (cfr. fiijre fuggire,
V. S., 40), si à euP, dunque si tratta di a + u. Il medesimo dubbio si à
per oejit (ago); quanto a rce,( veduto, 6«i bevuto, li ritengo analogici, v. § 2.
Per*baduccare: RlLorab , XXXVII. 530.
* .Salv., 1. e, 522, d e -|- a * u n a .
■' La Par. à aiìra (32) ; ma l'accentuazione potrebbe essere semplice-
mente una mala restituzione del Bioudelli.
314 Terracini,
prodotti da casi di iato restano^ v. n. 121 segg. ; si notò
soltanto in uè una tendenza alla contrazione, n. 122 : inoltre
nin (niente); infine se ad un dittongo in ^ precede una conso-
nante palatale, o palatalizzabile, questa assorbe facilmente la
semivocale: mija {*vulia) voluta, kumpana compagnia, San Gan
san Giovanni.
Nei dittonghi discendenti, in generale il dittongo si con-
serva sempre aperto e discendente. Tuttavia: \° se il dittongo
è nasale s'à riduzione o contrazione: senta santa, kont, n. 38c,
sintura ; 2° negli altri casi la vocale tonica può subire qualche
leggera modificazione, l'atona è soggetta regolarmente a pala-
talizzazione e labializzazione, v. n. 104, mentre la semiconso-
nante, in certe circostanze, è soggetta al dileguo.
131. eoe -\- i. Già vedemmo come si mantengono ai, el, oi^, o?ù
L'espunzione della semiconsonante s'à nei seguenti casi: 1° Nei
diffusi esempì in cui la vocale può forse rappresentare la contra-
zione di un antico dittongo ascend. : lèt, pes (petto), ai ^ ; 2" Si à ri-
duzione di el ad e se segue esplosiva, n. 23; 3^ Quando la vocale
sia fortemente palatale-: -aria =eri; viri, siri, pèrnis, cfr. il
fatto analogo nelle atone, n. 104^. 132. voc-^-u: l'unica com-
binazione che rimanga intatta è aii, v. n. 64, 127°, 180 — hi
passa ad aii: cenau da *cenèim *ceneu; au il, dau dal (Par.) —
*eìi diede oei: ga>iru, v. n. 20 e n. 178, pmr'^ pavore (128").
1 I, 160 e P. IL
^ Da notare pela (padella) accanto a i)eila.
' M è raro, perché dinanzi ad i passa ad ce, v. n. 13; ma, conservato per
influenza della forma atona, espunse la semivocale in miine (muggisce) ; iis
(uscio) è certo una forma recente venuta dal piemontese, cfr. a Pral., us ac-
canto a iljs.
* Su questo tema e le sue forme cfr. : RILomb., XXXVII, 533 ; Mise. Asc,
253; Gè., 59; AGIt., Ili, 12; XVI, 542; IL Gr., 154. Il passaggio ad X din-
Il purlare d'Usseglio 315
— Dopo una vocale palatale, n divenne « , vedi n. 128", e cosi
pure u, in esempì con r: v. n. prec. e ceiiy'd capretto, iiin'l
(aprile). Dopo vocale labiale, u k forte tendenza al dileguo: al-
l'interno: rol{\ SK.krole scuote *corrotulat, poyn pollice, ^«o^,
pìorf (piovere), accanto all'arcaico ph'h-e ; si mantiene meglio
assai ou, prodotto da regressione: oiist, l/'ióiifra., v. n. l'iS'* ; in
finale pure, il dittongo resiste : j^Q^à PUÒ, rou. man macina.
Quantità delle vocali.
133. Nel parlare ussegliese le differenze di quantità sono
assai sensibili per le parole che portano l'accento di frase, la
sola posizione in cui la quantità si possa considerare come fissa,
poiché nell'interno della frase, le lunghe, che sono la principale
caratteristica del dialetto, vengono di molto abbreviate e quasi
abolite. Nel discorso normale ogni lunga è almeno doppia di
una lunga italiana \ essa non à solo per caratteristica la mag-
giore durata, ma pure l'accento biverticato, ascendente o discen-
dente a seconda del tono della frase.
A) In finale di parola suona lunga:
nanzi ad r è diffuso in Provenza e nelle terre finitime: Devaix, 99;
^fo}■., 197"''''''; Mei. Chab., 535; del resto non è tendenza neppure ignota
al Piemonte, RILomb., XXXVII, 533. Manca però ad Usaeglio, e sarebbe
difficile dirne la ragione, l'esempio più comune della serie che è a d h o r a.
Inoltre, accanto al piii comune e recente gineiTu (ginepro), (jùìdciru.
'■ Dovrei dunque scrivere ogni vocale lunga — ', ma, per comodo, la in-
dico col solito segno. Per le varie contingenze dell'uso e la grande varietà
dei parlanti, le mie indicazioni anno naturalmente un valore relativo; è
pure certo che le lunghe non sono tutte di ugual durata, specialmente
quando si tratti di sillaba chiusa, ma trascurai d'indicare queste differenze
perché l'esattezza, in gran parte di questi casi, non può essere che illusoria.
316 Terracini,
1° Ogni vocale in finale assoluta: canta, pe, durmJ^, grd^
Ut, fCe, saii'i ;
2° Ogni vocale a) dinanzi a liquida semplice o seguita
da consonante : bel, foudcd, kol, ko, fèr, fOrt, kuérc ; b) dinanzi ad
una sibilante sonora: nàf, iskiif, naìTcf; e) dinanzi a sibilante
implicata: brwsk, post.
B) Sono invece decisamente brevi:
1° Tutti i nuovi ossitoni provenienti da progressione,
V. n. 230 ;
2° I vari risultati della contrazione di ^"'^^ : fèfau,f rat, ecc.,
V. n. 21, let, (et, ncet, v. n. 42-3, 55.
3° Le vocali che divennero toniche per regressione di
accento : casott , muntòu, oust; men costante è la brevità colle
altre vocali.
C) Dinanzi ad altre consonanti, e son quelle che sogliono
fare posizione forte, l'uniformità di trattamento è rotta: a, o, e
(provenienti da a e p) reagirono da gran tempo sulla lunghezza
della consonante e sono lunghe. Invece ii i ti a (<C ci) (cioè, in gran
parte, i riflessi di o e i u) sì mantengono in una brevità assai
facilmente percepibile ; questo stato di cose si conserva abba-
stanza bene colle consonanti esplosive ; colle altre, special-
mente con s, la forza della vocale comincia a reagire, si che,
accanto alle brevi, le ancipiti non sono rare; a) bas, cevrg't,
f nudala s, andà'ii, fos, gràs, mat, òs, sàk, sft ; /?) cìik, grnp, giln,
mak, pàs, piis, riis, san, spàs, tiis, di lunghezza incerta luh
lontano.
D) Dittonghi : la lunghezza si regola sul colore odierno
delle vocali :
^ Ikl è invece rarissimo e suona per solito breve; ciò dipende semplice-
mente dal fatto che l'accento di frase, in generale, non posa sulla parti-
cella.
Il parlare d'Usseglio 317
lo voc j^ j-^jj qualunque provenienza, protetto o no da conso-
nante) : a, e, 0 sono decisamente lunghi : cinai, kói, Ira, vel, vóis,
vóit, ecc., le altre vocali sono, o brevi o ancipiti: avos' i, parte' i,
sarpenfe'l, purfe'i (2" p. cong.), «e/, ecc., fìl, l/^nn'i ;
2" Nella combinazione con u la vocale è lunga: cau,
katju.
E) Quanto alla nasale, dinanzi ad m, la vocale è trattata
come al ì^ C: fdin, film. Con n è lungo soltanto e: fcii, ìnéu, tèli.
S'à ancora: /m; le altre vocali sono prevalentemente brevi, ma
spesso ancipiti : hiìn, respnh, vìii viene, cV'i, matì'n. à e brevissimo,
V. n. 69 : pan. Quando segua consonante, allora la vocale nasale
s'ode inedia e spesso lunga, meno, s'intende; a e e: frilnt., j)Ont,
pfint, trèni.
II. Nell'interno della parola le condizioni di lunghezza sono
analoghe a quelle della finale :
A) biireri. farci, mare, milabi, piOre, poru, purga, rista, sUcra,
tórfe. ùra, vesta.
B) fase faccia, fon, pan. vén, presa, roba, sàpie sappia, tene
tenga, rene venga, fmHa. Dei casi di brevità non si può dare
esempio, perché essi, in generale, produssero la progressione
d'accento, v. n. 230; ma nei verbi ove questa fu impedita, si à:
sèce; le vocali velari anno invece acquistato una certa lunghezza:
tace, véne (ungere).
C) Nei dittonghi: e/ è di quantità instabile, ma piuttosto
breve: hfire, kreire, sereina; per gli altri mi manca nmteriale
sicuro.
D) In sillaba libera, davanti a nasale, si à oi-a la lunga,
quando non intervenne la progressione d'accento: biìna, g((iisàna,
ci'cina pigna, sina. cena, v. n. 61. In sillaba implicata, è alquanto
lunga: kiìifènta, arvèngi, lungi, bif/ìci, la lunga si sente special-
mente bene in pónta, v. n. 74, è invece decisamente breve cut :
piànta.
318 Terracini,
III, Propa Tossito ni. Dei più antichi non è da discor-
rere, essi si confondono coi parossitoni ; ciò accade pure ai pro-
parossitoni più recenti ciie perdettero la finale o sincoparono:
limófna, siibì, tosi ; ma ove invece si conservino, siano essi an-
tichi 0 recenti, la tonica è sempre nettamente breve : — veiestu?
vedi tu? sq'kule zoccoli, hi' siila, ti'vula, gerbula, pi' nula, - as^te
siediti; e tra i più recenti: merica America, veduva ^ Quanto alle
atone, non feci in proposito osservazioni speciali : quando sono
in sillaba aperta, esse possono apparire più lunghe della tonica,
se questa è breve: Yiscma ,rlfiit, vita, ecc.
^ Anche v_duu. V. per questa brevità e per la quantità in generale delle
voci importate di recente, App. 1.
Il parlare d'Usseglio 819
II.
CONSONANTISMO
1° La posizione forte: Consonanti semplici — Gruppi — Palatalizzazioni
seriori — Consonanti lunghe.
2° La posizione debole: a) Intervocaliche (Nessi con palatale, cons. semplici;
stato delle consonanti nei proparossitoni prima della sincope) — b) Con-
sonanti in chiusura di sillaba (Conservazione, assimilazione, palataliz-
zazione) — e) Consonanti finali (Finale latina, finale romanza).
I. — Posizione fovte^.
In questa sede ogni consonante al solito tende a conservarsi
e su di essa poco o nulla possono i suoni vicini.
Consonanti semplici. — Non offrono cosa desrna di nota.
' Ordino le consonanti, secondo che sono in posizione forte (iniziale, ini-
ziale di sillaba) o debole (intersonantica, chiusura di sillaba e finale) giusta
la distinzione e la terminologia introdotta dal MErER-LiiBKE [Fr. Gr., 149)
pel francese e adattatissima al tipo delle nostre parlate. Pel sistema di
consonanti da cui parto, cfr. pure Fr. Gr., 148. — Il conson. di Usseglio può,
nelle sue grandi linee, essere assunto come tipo per le parlate delle valli li-
mitrofe ; questo tipo, assai piìi che quello del vocalismo, coincide con quello,
ben noto, dei dialetti di pianura; ò tuttavia, anche in questo caso,
abbondato nella descrizione, iDcrché il lavoro possa dare un'ampia testi-
monianza di quale sia lo stato attuale d'una parlata rustica piemontese.
[Veramente il parallelismo di risoluzione nei casi di posizione debole manca
spesso, e in altri territori ancora più che in questo. Onde un siffatto ordi-
320 Terracini,
135. Esplosive: teise tessere, forta forte; dei dito, couderi
caldaia; pel pelle, vespu sera; heire bere, erba erba; koire cuo-
cere, iskur scuro; i/gote sgocciola. 136. Fricative: savéi sa-
pere,/orse forse ; fare: r^s verso, servgm/ servire. 137. Liquide:
lana; rire ridere. 138. Nasali: naise nascere, seme cernere;
maini magro, furmià' formica.
139. Spirante prepalat. sorda (ti , ci, ce, ci>>^')^ Giunto a 5,
stadio attestato ancora nella Par. da un solo esempio : iscl (qui),
il suono, per influenza del piemontese, fu sostituito dalla sibi-
lante dentale s. Ma alle Piazzette esso rimase incolume e
giunse a fi interdentale ; / a sua volta è ormai quasi com-
pletamente evoluto verso h. Per la storia dell'invasione pie-
montese e per i rapporti di P con h alle Piazzette v. App. I e
P. II: san isi questo, sèni cento, serM cercare, serkiu circ'lu,
serne cernere, sere cervo, servela cervello, sè/j/m <; e i p p u § 3,
sina cena, sindra cenere, siri cera, s'mla cicala, suda cipolla, sink
cinque, sinkànta, siimn cima, cousma calce, diisi dolce, cousà cal-
namento non è da seguire. Qui è accettato per la necessità dei richiami
alle altre parti. Opportuno forse potrebbe essere trattare insieme solo il
consonantismo iniziale e quello interno dopo consonante. Tuttavia una no-
terella sintetica in calce alla trattazione basta per orientare sulla coinci-
denza di risoluzione nei vari schemi fonetici e sulle ragioni intrinseche o
dinamiche, generali o individuali, antiche o recenti delle coincidenze stesse ;
e non dovrebbe mancare. L' impraticità e l'impraticabilità della sistema-
zione qui adottata (mi permetto di dirlo, salvo ogni rispetto per l'egregio
collaboratore), risultano evidentemente dalla lettura dei paragrafi che
seguono relativi alle " Consonanti lunghe ^, ai " Gruppi con palatale „ e
agli elementi in " chiusura di sillaba „. P. G. G.].
*■ [Ricostruzione ipotetica, anche per il francese. Fi: Gr., § 152. Sui
gradi intermedi dell'evoluzione di questi elementi regna la massima incer-
tezza. E il voler vederci chiaro è impresa disperata; infatti i tre argo-
menti su cui possiamo fare la ricostruzione (l'ortografia antica, il paral-
lelismo, la geografia dialettale) sono tutti e tre mal sicuri: l'ortografia
antica non sappiamo certo quali realtà fonetiche ci celi (ricordiamoci che
Il parlare d'Usseglio 321
zare. cause, house scarpe, kiimansà, (jansana genziana, nose nozze,
pesi pezza, cousa alzare, Unsa-l lenzuolo ^
140. Spir. prep. sonora (d|, j, gè, gi > j). All'iniziale è di-
venuta un'esplosiva: //: (jala ge\a.re, fjansana genziana, ijarnd ger-
minare, gènf gente. ()est gesto, genui ginocchio, gibneisu io gemo,
digo giovedì, gas giaciglio, gal già, gene gennaio, genevra gi-
nepro, gonta innata, ga'sta giusta, gcein digiuno, giiu giugno,
giìre iurat bestemmia, r//rm giovane; //or« giorno, gii giiì. All'in-
terno, rappresentato, per vero, da non molti esempì, l'esito è /
(Piazzette ci. v. App. I): ganfiva gengiva-, ìnufe mulgere, sunfi
sugna, màùfi manza ^, sporfe, uiife (ungere) e, in gruppo secon-
dario: linfe undici. di>fe. tr'cfe^.
Gruppi. — 141. (,)V. La piena preponderanza dell'elemento
ancora dura il dissidio fra dotti suH'analisi di '(' e ~I); il parallelisino tra
elementi affini, per es., di Uè) e f){e), o dello stesso elemento in condi-
zioni fonetiche diverse, effettivamente manca; in varie regioni si anno ri-
sultati definitivi effettivamente diversi, diversa dunque dev'essere stata la
via che ad essi condusse, ma in (juale momento, anzi in quanti momenti,
non ci sarà mai dato in verun modo di scoprire. P. G. G.].
* éahsàn canzone, casi caccia, casa cacciare, farsi forza, pasùnsi pa-
zienza, penitphsi penitenza, pita'nsi pietanza, puhsu'n spillone, rinsu risciac-
quare, sperànsi speranza.
- Se non si tratta di assimilazione, cfr. Mor. 136 : (jijncjro.
' REW, 5289.
* Sulla serie interna e sul suo stato precario, cfr. RDR, 11, 341 (dove è
da osservare al Fankhauser che il suono (l a Val d'illiez non è proprio
soltanto dei numerali, ma si à pure nelle forme di mulgere: mucido,
muacté, § 255). — La differenza tra l'esito interno e l'iniziale è recente, es-
sendo quest'ultimo venuto da poco dal Piemonte, come dimostra la compa-
razione coi paesi vicini, v. P. II. Ed anche in Piemonte ;) è tutt'altro che an-
tico, i testi mostrando fino al XVI sec. una grafia corrispondente a %• Quanto
alla differenza, presentata dal franco-prov. tra x iniziale e ì, (ci) interno,
che può portare un contributo importantissimo all' intricata stona di questi
suoni, V. la trattazione nella P. II.
Archivio glottol. it.al., XVII. . __ 22
322 Terracini,
velare forma una delle pili appariscenti note del parlare :
kal quaglio, kai/i quagliato, kal quale, hànt quando, kareima qua-
resima, kat quattro, karànta quaranta, kntorfe quattordici, kinfe
quindici, karkiln qualcuno, kaifi quasi, karkofa qualcosa, skard sci-
volare, skaroiri (sega per squadrare), oltre a iki qui e kei quieto^.
All'interno: Paske Pasqua, paské pascuariu, v. § 3 ■'^, sinkànta
cinquanta,
142. W. All'iniziale ora è labiodentale nella gran maggio-
ranza dei casi: vairu guari, vaìià guadagnare, vardd guardare,
vari guarire ^, vindu (arcolaio) ^, e naturalmente vasta guastare,
vespa vespa. Si oppongono: gi'ce't n. 1. e usciolino, fr. " guichet „,
fgicà occhieggiare e gina, ' guigner ', che son pur piemontesi.
All'interno si à : Unga lingua, oltre a lingagu dialetto, ad ingre
inguine e sànk sangue.
143. ''°°^R. Intatto: hras bracciO; fraisa frassino, frceifairxitta.;
apre (dopo). In sillaba postonica, a differenza del piemontese,
resiste assai bene : cpvra capra, dovru adopero, fevra febbre. Ma r
accenna a perdersi, come in piemontese, in certi gruppi, special-
mente se precede s: anta altra, fnesta finestra, mnesta minestra,
musta mostra, nosta nostra, hate battere, jyerde perdere, naite rom-
pere e nella Par.: anconta incontro (20). La stessa tendenza ad
alleggerire un gruppo consonantico produsse il rinculo di r in :
trampà, distrampà temperare,
144. <^o°s.L La liquida si palatalizza; in ogni caso l'esplo-
siva rimane intatta, anche se è una velare: ^/a/a platano, ^/asi
piazza, p'ieina piena, piove piovere, pril, bieie pi. bietole, biànk
* Per Ietta (lasciare) cfr. Mei. Chabaneau, 533.
- SVS, 156 e paskia't n. 1.
^ varnd (custodire) è forse semplicemente un adattamento del piem.
gìirrne' {' governare ').
* Sull'età della serie iniziale, v. P. II.
11 parlare d'Usseglio 223
bianco, bm azzurro — fiit fiato, fìànk fianco, fieira puzzare — kid
chiave, kiair chiaro, kiapé <k\-ài^ petraia, k'iapin zoccolo, kio
chiodo, kioei, ' glui ' (v. § 3). kiutét n. loc. (prov. cloi) v. § 3,
kmenda < clan de re siepe — glàs ghiaccio, giasé, gkfa chiesa,
e all'interno: dublà piegare, strehiìin stoppia, gunflà, serklii'
cerc^hio, nnghi e aghi aquila.
Palatalizzazione seriore. — K, G -}- A i. Diede e e g;
sull'origine e l'età relativa di questi suoni v. App. e Parte II,
ove puro, studiando la potenza espansiva di questo fenomeno,
avremo agio di discutere l'antichità delle singole serie di esempì
e le voci che gli sfuggono : locali alcune, comuni altre ad un
vasto territorio -.
145. camtn camino, càmha gamba, camp campo, caìnùs ca-
moscio, Cdìuìeila, i'dntà, caute cantheriu. corbun, cardi'in cardo
selvatico, cargà caricare, casi caccia, Castel, cat gatto, cau caldo,
cause calze, cavùn cappio, ceina catena, ceire cadere, cecra capra,
cenau canapa, c/;i cane, cofa cosa, ciuiiifi camicia; iscala, iscoudd
scaldare, scarvd sfrondare; bue/' bocca, bienci bianca, musei
mosca, rauci reca, forbì forca; sca seccare, mucà smoccolare,
fica ficcare, pescar, tncd toccare, raci mucca, roci n.l. 146. galind',
gali variegata, gartc ' gai-retti ', § 3, gol (piacere), largì, lungi,
V. inoltre gli esempì del n. 190 -^ Corre parallela la palatalizza-
^ Sulla cronologia di questa palatalizzazione cfr. I, 409, e Fr. Or., 163, e cfr.
Bartoli, Mise. Hortis, 898, 914 [Ma quanto alla propagazione delle altera-
zioni fonetiche in genere, non posso non ricordare la mia ferma opinione
che per essi anche sunt certi denique fiiies... Rimando per la questione a
BhZRPh, V, p. 20-50 e 65 segg. P. G. G.].
- Su k e g conservati v. per ora RDR, II, 321, Lavali.az, p. 104.
^ Inoltre: Caliìr calore, cumula tarma, cambra, cambrinà't, capei, capéla
cappella, caroni, carbux sudiciume v. § 3, casou cacciatore, castani, couSe'
scarpe, caviifi't, cave'x — iscai^i scaglia, scerpi v. § 3 e n. 101, scarpifà cai-
324 Terracini,
zione di / in epoca pili tarda ^: ossia: 147. gallorom. : -adego:
putagu minestra, ragii erratica-; 07'gii orzo ^ ; smìffu sogno.
148. In voci d'origine germanica: driìgi sterco*.
149. Questo processo di palatalizzazione si continua tuttora
sporadicamente : dì > g in gicet diciotto, gisét diciasette, ghu't
dicianove; — nl'^n: i soliti ;ió"»a nessuna e /ii« niente; è più
tardo iimte, accanto a niente; — // : iani letame, va»ió spargere il
letame; — s'r. unico esempio, alle Piazzette: pu secchia; — ti:
non à gran tendenza a mutarsi in e: briistia strigliare, brustiou
cardatore di canapa, besti bestia, dumestia, ma accanto a mnstla :
mascà ^ masticare e perei pertica.
150. Influsso di palatale precedente, in, assai se-
riormente, dà /ì: Uni lesina <C *leina e, in gruppo secondario,
mahà bimbo " *mei)ià.
Fenomeni vari. 151. Di nessuna importanza i diffusi casi
pestato, scalahruh calabrone; ansacà insaccare, viscó accendere, stamhuscà
bussare, dru'eà cadere, plilcà piluccare, ilcà gridare, trancà andar a male
(oltre a ìcucà, marca); siisci fuliggine, i«sci tesiuca, brgci chiodo, pù nel pon-
terello, larehci valanga, bauci (Prov. banco), — è/n'^ó/ frazione di un paese,
e gaun giallo.
^ Fr. Gr., 162. Cfr. il riassunto della questione esposto dal Gierach in
BhZRPh, XXIV, 133-7.
- V. § 3 e BGIPSR, IX, 61.
3 Cfr. Haberl, ZRPh, XXXIV, 47 ; Bartoli, RDR, li, 482 ; Fr. Gr., 162.
* Recentissimo prestito e poco usato è aiigagà ' engager '.
^ Il Salvioni, SVS, 97, spiega il suo mahcjer da m a s [ t i ] e a r e (cfr. il
fr. màcher). Ma masticare, in questi paesi non è di grande uso. V. Parte li,
quindi probabilmente non è che un adattamento di mastice' piem.
^ Questo passaggio non tocca ei primario e neppure pinti' (pettine) e
vinu {*vieitiu : vengo). Ma siccome in questi ultimi casi secondari la pa-
latalizzazione altrove si verifica spesso (cfr. P. II e SVS vie- tieno), cosi il
fatto che negli esempì citati i deriva da */ deve ritenersi casuale.
Il parlare d'Usseglio 325
di insonorimento che quasi tutti si ritrovano in piemontese ;
alcuni anzi appartengono a parole recenti \
152. Il passaggio di V in i- è qui rappresentato da: heru
agnellino, he^ra viverra, kuròd curvare, kurbas corvo.
Consonanti lunghe. — Un trattamento analogo a quello in
posizione forte anno le consonanti lunghe, risultanli da una
doppia latina, o da un gruppo romanzo. Esse mantengono in-
tatto il loro punto d"articolazione e non più di cinquant'anni fa
la lunga doveva essere comunissima. Anzi un tempo tale lun-
ghezza era certo assai sensibile perché vi è direttamente col-
legato il largo fenomeno della progressione dell'accento ; ma più
tardi, dopo una vocale piena, la lunga s'abbreviò, dopo una vo-
cale ridotta intervenne la progressione e la lunga, divenuta
protonica, si ridusse rapidamente. Attualmente il dialetto sfugge
dalle lunghe: quelle che gli vengono dal piemontese come tebi
tiepido, e il suff. -età tendono ad abbreviarsi (App. I): anche la
lunga, che si forma nelle parole dotte ^, non à grande resistenza
(v. id.). — Quanto alla pronunzia lunga di alcune sonore interso-
' Battici bottega, gabici gabbia, gatùh fiori di salice, gavd togliere, (jdviiin
catino, giirg'u coltello per scavare il legno > e u r a r e , fgatà; in vicinanza
di r: harnagu v. n. 100, herhì' pruna, garafqna colofonia, fharìhi spaurire
(ZRPh, XXVIII, %An),/garunó.
Sono da notare particolarmente : gidifici e gì'epici greppia k r i p p i a ,
che per solito mancano in questo territorio e glih campanello (piem. sclhi
Ga.). Si conservano sorde: càmba gamba, cat gatto e scàrbutd sgarbugliare.
Per tor/e (torcere) v. AGlt, XVI, 541, e cfr. Meyer-Lubke, Fr. Gr., 287.
La Provenza conserva la sorda, v. ALF, 1316, tordre.
- Parodi, R, XXVII, 198.
^ Sulla doppia origine delle lunghe nell'Italia settentrionale e sulla loro
pron. cfr. P. Il e AGIfc, XVI, 333. XVII, 51; Salvioni, Fonetica del dialetto
della città di Milano, p. 157.
326 Terracini,
nantiche, caratteristica del franco-prov. i, essa, che del resto
in questo territorio lasciò poche tracce, v. P. II, sporadica in
mo?u (muso), costante in bèrìt (agnellino), che è un caso unico,
probabilmente voce infantile ; cfr. inoltre bcerii. Con estrema
conseguenza l'allungameuto delle nasali si manifesta invece
nella progressione d'accento di tipo : cousinà', pnimu , ma questo
caso, per la particolar natura della consonante e per la sua
più ampia diffusione geografica, deve andare, in parte, distinto
dal comune allungamento delle intersonantìche, v. P. II e
n. 133 E.
Casi seriori sono: din {*de din: fonte F.) fr. dedans. Ma per
solito è esso pure din. Inoltre vèrà'f (vili are -|- it tu) n. 1.
nniJ^iì (morirei).
153. tuta tutta, muta motta, buta bottiglia, i/gote sgocciola, 2^ ni t
piatto; pìipà' poppa, capei cappello; rusa rossa,, grosa grossa;
pula pollo, spala spalla; tren terreno, tera terra; snìi sonno, pana
asciugare; per e, v. n. 145.
IL — I*osi»ione debole.
A) Intervocaliche,
Gruppi con palatale. — Alle intervocaliche schiette faccio
precedere i nessi con palatale perché la maggior parte di essi
qui, pur differendo spesso dalla posizione forte, mostrano una
resistenza assai maggiore delle intervocaliche semplici e si com-
portano colla vocale in modo affatto analogo alle lunghe, cioè
fanno posizione.
154. T' (ti ci). Diede il medesimo risultato che in posizione
i RDR, II. 331 sgg., e anche RILomb, XLIV, 828, ed ora BZRPh, XXYIIP, 1 18.
Il parlare d'Ussoglio 327
forte : 0' (Piazzette / li) : (tmbusq'u imbuto, distisó spegnere, pus
pozzo, vceis acuto acutius, v. n. 128^; — aris riccio, amhrasà
abbracciare, bras braccio, fusulà't fazzoletto; gkts ghiaccio, g'iasé
ghiacciaio, gas giaciglio, -aceu -a, arhàs erbetta, ramasi gra-
nata, salitisi' salciccia, ' -aticcio ' tai^eis fr. tailUs^. Appartengono
ad uno stadio più recente, secondo la distinzione dello Horning-:
atija attizzare, palais palazzo, lìaWsot palazzina, tifihi tizzone ^.
155. S' (x sce ssi sti). Conservatosi sordo, anticipò un /
e si dispalatalizzò : fraisa frassino, isla ascella, koisi coscia,
leisà lasciare, nieislàs mascellare, teise tessere, teisùii tasso;
disnidù disceso, feisà, falsi, fais fascio, feisina , feisla fiscella,
knnoise, hreisf crescere, naisc. riisld ' ruisseler ' v. § 3. beisà chi-
' E anche siisi' (piem. stisa) goccia, e krosi gruccia.
-' ZRPh, XXIV, 552; XXXI, 200; cfr. anche ciò che dice il Meyer-Lììbkk,
Fr. Gr., 156. Né mi pare che le osservazioni espresse dall'HAUERi., ZRPh,
XXXIV, 39, valgano ad infirmare la costruzione delFFIoiiNiNc; piii soddisfacente
di quella deU'HEuzoG, Sireitft, 81. L'Haberl pensa che in francese la pro-
nunzia sorda di ti sia limitata a quelle parole che, venute dal tardo la-
tino delle scuole, eran pronunciate con consonante lunga. Non è mio com-
pito entrare in questa questione, ma e ovvio osservare che qui la pronunzia
lunga di ti à ben pili larga ragione: è la pronunzia propria di questo e
di altri nessi palatali che si conserva ancora in italiano (per ti in parti-
colare V. da ultimo JFRPh, XII, 123), e che in francese dovette lasciare la
sua ti'accia appunto nella sordità della consonante, cfr. Fr. Gr., 152, 161;
questa lunghezza è poi, meglio che in francese, attestata dall'abbreviamento
di alcuna delle vocali precedenti nell'Italia sett. (cfr. " Annali delle Univ.
Toscane „, XXX, 18 sgg. ; RDR, II, 487) e, più vistosamente ancol-a, nel
gruppo di parlate di cui stiamo occupandoci.
^ Per la sorda in palais, nais (macero) v. n. 211. m^sa (macerare) è un
deverbale recente, al di là delle Alpi avendo sempre la sonora: segnalo
poi la presenza di /XiVyì fiducia, è«r6//baftb, (ies^jrf/X? dispetti; barbi/, REW>
948, manca nei glossari dei dialetti limitrofi d'oltralpe ; fiii/i non è che il
fiil/u piem. e recente ZPPh, XXXI, 210; desprefie ritrae del piemontese
anche forma femm. plur., udii despreifxc, ma qui il primo X non ha ragione
etimologica, v. n. 220; hitiff^ (dispetti) è un francesismo recente.
328 Terracini,
nare, graisi grascia, ingrisd, misimà spigolare, niisuneri lucciola^;
sulla sorte ulteriore del^^ v. n. 131 ^.
Labiale ^-^. L'esito preponderante e probabilmente assai
antico è quello colla labiale conservata; ma è evidente, per
ragioni di fonetica e di lessico, che buon numero di esempi
è recente^. 156. pi: grepki (n. 24, 221) greppia, piulà't
ascia*, sapìQ sappia. 157. bi: rahia rabbia, kambià cambiare,
iQÒia terrazzo. 158. vi: arbi alveu truogolo, gabia gabbia,
salvia salvia, leti Hevia slitta^, piogi pioggia, oltre a Unger leg-
giero. 158^. mi: sungu, sungà sogno, -are.
159. N' (ni, gn). Diede n, che lascia sulle vocali prece-
denti le consuete tracce della sua lunghezza: bèrni pruna, mun-
talli montagna, nini rogna, pèrni' pregna, ki'ai cuneo, san segno,
aneli kìinà.
La palatalizzazione di n in contatto con i è ancora viva, seb-
bene essa conduca diffìcilmente alla completa fusione dei due
suoni: kumunùn comunione, minili minio, munici monaca, iiniùn
unione, ventai veniale.
160. L' (ci, gì). Diede H' che ora suona ^. Di V è qualche
vestigio nella Parabola ^ ; ora è sparito anche nei vecchi : pi,
^«ì' figlia, /"o/j foglia, A-rt// cogliere, ninui molli a re, me/ miglio,
' E beisiìn (buisson) d'origine incerta. REW, 1430.
- Conta poco pàs (pesce); esso si estende a tutta la regione, ma siam cosi
prossimi al territorio di poisson che con ogni probabilità si tratta di voce
abbastanza recente. Cfr. Atlas (1052).
■'' Trattandosi di serie scarse e non omogenee, rimando alla P. II l'in-
terpretazione dei casi con palatale.
* NiGRA, XIV, 96 ; REW 4035.
^ V. § 3. Qualunque ne sia l'etimo, le forme in -gi dei paesi vicini ci
dicono che si deve partire da -viii e il derivato ìpivunà ci mostra che la
forma primitiva era *leivi.
« Par. figl (19, 21), muragli (14), gli (gli) (29).
11 parlare d'Usseglio 329
mei meglio, pan paglia, tracahì lavorare i; m, veii, ^'"^icla: aciiì'
ape-. L'incontro secondario produsse: meda meliga. 161. Diffusa
fin qui dal Piemonte la scarsa, ma ormai veccliia serie in e:
ma'ci macchia, u'cada occhiata, speè specchio, kucdr cucchiaio di
stagno, rrc, forma secondaria, accanto a ye/ ^.
162. R' (ir, r j) : -aria, -o r i a, v. n. 80 ; inoltre : peira'l paiuolo,
viri, ghiera, siri cera.
S' (si, ce, ci). La spirante palatale, dopo essere divenuta
sonora, si ridusse come la sorda corrispondente, n. 1 55. 163. Bei/a
baciare, heijin bacio, camiji camicia, fiifa^l fagiuolo, mei/un,
n. loc. 164. eifinél acino, il/il aceto, kroij croce, kufél cuce,
kiiifenta bollente, Ufàrd ramarro, pai/ pace, pleifl piacere, liifél
uccello, re fin vicino; sul trattamento ulteriore di i v. n. 13L
165. L (di,, gj,, j) : aìiole annoia, iida aiutare, (/o/ gioia, kùria
correggia, inka-i^ oggi, mal maggio, miiénk maggese, sani (as-
saggiare) e, con dileguo dinanzi a vocale labiale: 70/// digiuno '^.
166. (gè, gi). Oltre a rei re e del dito: freida, reida, mail
madia, mal, y^^f^^él iam magis (di nuovo) e, con dileguo dinanzi
' E ancora a^ aglio, biii^i bollire, gniàrt ghiotto, iscaii scaglia, kiinséi^,
m'X miglio; carbux, vertùi.
^ du^i falce, cari^ibì cappio, kiii^e' cucchiaio, rii/iu rosicare, truiù't.
'■'' Vec e già quasi una forma antiquata ; quanto a spec, esso giunge sino
in Moriana, cfr. a Bonneval, RPGR, I, 178, s;jè<c^ (specchio); macula poi
e voce limitata al Pieni., cfr. ALF (1275) tàche. L'esito in e pel Piem. fu notato
dalI'AscoLi, in AGIt, 11, 123, cfr. XVI, 534, lo rilevava poi il Nigka. Mìsc.Asc,
254: maca, duca, ucada, ucaj, spece, kavicc, a Viverone, paese prossimo al
territorio monferrino, dove e 1 dà ^ che si assordisce in finale {Gè., § 39);
ma il monferrino non spiegherebbe se non i casi di finale ; questo e non
fa che riprodurre l'italiano echi- sul modello: ca?* ^^ chiave.
* 11 riflesso di e 0 (io) si ridusse ad X 0 i: X ck (io ò), / vavu (io vado). —
Mancano basi per sapere se questo i si distingua per una maggior forza di
resistenza da quello del n. successivo, come crede di ]ioter stabilin- per il
francese il Mevek-Lùhkk, Fr. Gr., 161.
330 Terracini,
aie u: disia rivelare >> sigillu, fwm faina, misi *meisf,
maestro ^
Pef (Piazzette ^;('f7) peggio e mef, me fa (Piazz. mecl) sono l'as-
similazione dei piem. mef pef derivati alla loro volta dall'ital..
i rappresentanti antichi di peius e medius mancando in
tutto questo territorio, v. P. IL
Nesso con labiale. 167. Il suono QV si risolse in iv:
aiva acqua, ii-a(]u inondazione. Jleivd liquefare, a'nràl uguale.
Consonanti semplici. — Secondo il destino comune a tutto il
grande sistema cui Usseglio appartiene, delle continue, le so-
nore rimangono immutate, le sorde divengono sonore; delle
esplosive, le labiali si riducono a v, le altre scadono sino a di-
leguarsi.
168. R. Nulla di notevole: heire bere, sora sorella, ^Mra pa-
rare. 169. candeila candela, suUL 170. N. Anche quando segue
la tonica, presenta un'articolazione dentale : anél anello, huna
buona, dufeina dozzina, farina' farina, liina luna, persnnà' per-
sona, Sina cena, 171. M: fiimd fumare, prime primo, rama
ramo. 172. Y {v eh)-: guoa giovane, kiavà chiudere, avéi avere,
avurfd abortire, fava fava, kuve cova, fanfiva gengiva ^.
173. F. Dei rari esempì di f intervoc. ricorron qui: iravunde
transfundere inghiottire^ e i composti: bork -a bifurcus
(ceppo forcuto). Ma: fra fai trifoglio, pèrfith (profondo), casi assai
diffusi^. 174. S: cofa cosa, ispifa sposa.
* E forse fi(x4, fi a g e 1 1 u v. n. 35.
2 Cfr. Einfilhr., 130.
^ Imià' 'lisciva'. Il termine proprio in questi paesi essendo bilia, P. Il,
la voce è recente e piemontese; per il dileguo di v in questa parola cfr.
Malagoli, XVII, 160.
* Cfr. XII, 487.
^ trafóei è forma piemontese diffusa pure sulla montagna provenzale,
Il parlare d'Usseglio 331
Esplosive. 175. P. Scade in r la cui storia si confonde
con quella del /• dei n. precedenti : drana dipanare, vini rivn.
175''. L'esplosiva dentale giunse al dileguo ^ : /^^//n'/ budello,
ceiìia catena, dnd ditale, din'i/d Natale, lìueir maturo, ìind nuo-
tare, r hìitd voionAo, stramba sternutare, tnnuud mutare -atore,
V. n. 128'^; p/rt/a acero, -ita, -u t a v. n. 124-; diskniva dischiu-
dere, lauta' lodoletta; mndà' midolla, pijvl pidocchio; krìia cruda,
patanud' nuda; ceire cadere, kreir<\ reirc, vau vado ^. 176. L'e-
splosiva velare è giunta ora parimente al dileguo: (JHà gio-
care, )U('( annegare, pia' piega, nrtkt ortica, ruva eruca, sia
asciugare, shla cicala ; lint legato, oust agosto, dava doga,
fall faggio S ecc., v. n. 86.
177. Dent.': frare fratello, mare madre, pare padre, par-
p^ri palpebra, pn-a pietra, vreri impannata >> v i t r u, karen,
anfora fodera. Da nesso secondario: bo'ru che nella vocale schia-
rita lascierebbe intravedere l'antico raddoppiamento subito da
questo nesso. 177''. Velare '' : oltre a ;?<"/>• nero : fkiire puzza
e airu agro, maira (magro), dove però la vocalizzazione può
essere assai recente •''. 178. Lab.'': rerra. fé vr a. Urrà; ijinerru.
ALF U326). trèfìe; per profundu esiste in Francia, in Provenza e nel
Vallese anche la forma senza f. Dappertutto però è facile constatare che la
parola è sotto l'influenza di fundu. Cfr. ALF (1095). [Profondo è spesso
letterario, e popolare come aggettivo fondo. P. G. G.].
^ Se pure la cosidetta semiconsonante omorganica di iato non deve essere
interpretata come un resto diretto della consonante latina : cfr. la nota a
de/lum n. 127 e v. RhZRPh, XXVUl", 125.
- Inoltre biida betulla, icim letame, iskcela scodella, bXr'i' pl- bietole, 'faifi'
pecora, si in criniera, ^jm/j̫' pipita.
' Fiii/i fiducia, Inmpia lampada, mei fina, jntnei pedana, 2)iiinà pedata,
peila, tr&nt (tridente].
* Inoltre: ufiid infocato, de/luià slogare, .s(f< seccare ; rcei.sj acuto, te i/ ago,
braifi brache, mania, buteia, ai^asiii callo, seila segala.
' Cfr. fr. aigre, maigre, Fr. Gr., 197. ALF (793), innigre, e per il piem. :
332 Terracini,
Detratti : driii aprire, kriii coprire, pig^-fre (piovere), beJre, skrire
scrivere, oivre vivere, forme verbali per le quali v. § 2, pam ^
povero e yveiru {^(Jevni) rappresentano la tendenza a passare a u,
insieme a ceirót capretto e nin'l aprile; sull'interpretazione di
questi fatti v. P. II.
B) Chiusura di sillaba.
Nella chiusura dì sillaba, giusta la tendenza del grande gruppo
di cui fa parte Usseglio, l'articolazione della consonante perde
d'intensità in vario grado : le liquide conoscono dileguo e voca-
lizzazione, le nasali conservano, almeno in parte, la loro artico-
lazione, le labiali esplosive si assimilano alla consonante se-
guente, le velari, e in parte anche s, si palatalizzano.
179. R. Conserva generalmente la sua forza; solo dinanzi ad s
si à il dileguo, la vocale però mantiene pronunziatissima la lun-
ghezza ed il colore che le provenivano dalla vicinanza dell'r:
artós r et or su v. § 3 invés bacio, vés verso, través traverso,
vesd versare. Si à tuttavia ors (orso) e forse (cesoie), parole
isolate e ormai antiquate e poco usate ^ ; persi (pesca) che
a Uss. è voce affatto straniera ^, forse (forse) che certo è pure
un acquisto recente ^, come probabilmente è borsa (borsa).
V. valses. aigru (citato in RILomb. XLIV, 826) e le forme delle colonie sici-
liane, MILomb, XXI, 278.
' Cfr., per ora, le analoghe condizioni del Delfinato (Devaux, p. 317-325),
pure là in pauperu e piovere, cioè nelle voci con -o, la semicon-
sonante si estende a nord più che in altre parole.
- ors si usa soltanto pili in similitudini: u bruire kiim n ors (urla come
un orso), forse ha la forte concorrenza di tofoire che in molti altri paesi à
già soppiantato addirittura la vecchia parola.
' In questo territorio, cfr. ALF (987) pèche e P. Il, prevale il tipo femm.
pesa ; persi è piem. e pare assimilarsi in pesi là dove la pianta è coltivata :
Chian., Co., Giagl. e VS., 120.
Non mi consta che fòrsit si estenda al di là delle Alpi ed anche
Il parlare d'Usseglio 833
180. L. Segue l'esito comune al frati co-prov. e al piemontese:
si vocalizza dinanzi a consonante dentale, passa in r dinanzi
a consonante labiale e velare ^ ; per la sorte dell'in che ne nasce
nel primo caso v. n. 132; aut alto, fauda (falda) grembo, faus
falso, kutél coltello, niìife mungere; oltre la serie d'incontro se-
riore: kucà coricare, niotide macinare e moida macinata: 2V}{iu
pollice, pnfc pulce, san (esce) da '^saut sali t. rau vale, von vuole,
moli macina. Ma : karkiìn qualcuno, karkofa qualcosa, karke
qualche, fnrkd't falco, karkavpn ' cauchemar ' ; arbùrn v. § 3,
arp alpe, inarpa, arhènd' pernice, barma', orva^, orm olmo, par -
ppri' palpebre, savvafiu selvaggio, scarra sfrondare, vorp *.
181. N. Nasalizza debolmente la vocale e si faucalizza di-
nanzi a consonante che non sia dentale °: piànta, sinf sente,
rcnf vento: ma altrimenti: hlenci bianca, r/unfìa gonfia, pànsi
pancia. 182. M. Come n, nasalizza debolmente la vocale e con-
serva davanti a labiale la sua articolazione labiale: nsembin in-
sieme, sempe sempre; siinijn sogno, ten da '"^Hens tempo e. in
incontro secondario : lindàl ' limitare ', rìuuja ruminare, ninfe
' ronco ' ''.
183. Le labiali esplosive si assimilano alla consonante
in piemontese è recente (cfr. for'i^e, farse, farsi) e per solito sostituito da
altre espressioni.
* I, 480.
- REW, 912; BDR. ITI. 12.
3 K. 1029S.
* Nelle parole entrate tardi nel lessico e tuttora poco usate, / si con-
serva: soldi V. App. I, e kolj), che nella sua accezione normale non è d'uso
corrente, essendo preferite espressioni come: duna ih pust'in, tapd. Cfr. Tap-
poLET, BGIPSR, V, 3.
^ Sono le condizioni piemontesi, per cui v. il Flechia, AGIt, XIV, 118 e
lo ScHAEDEi,, p. 55; Gel., 44.
•^ Ma talvolta il prefisso {a)n- e sentito come tale e allora si ha : npi?n,
e anche hmilrtì, senza assimilazione. Cfr. Ili, 37, n* 1; Gel., 1. e.
334 Terracini,
seguente, senza offrir nulla di notevole; cita comperare, krota
cantina, krgt n. loc, ìvU rotto, .'^/ìt sotto, skrit, skrita , kaski cassia,
V. pure n. 193 e role rotola, sinana, pina pettine. 183''. In
mn e ni'n si à pure l'assimilazione: antanà 'entamer'. clan
danno, danà damnare, v. § 3, garna germinare, snii sonno. A
questa serie, per sé scarsa, si oppongono il diffusissimo fniela ^
donna e semnà, smeinii (seminare), voce che, al confine col Pie-
monte, è spesso senza sincope - ; per outa^ii autunno v. n. 35,
skaìi (sgabello) è certo venuto recentemente dal Piemonte -^
184. K. La solita riduzione ad h. arseita re se et a secondo
fieno, dreita, fait, fnieita frutta, koit cotto, lait latte, streita stretta,
sadt asciutto, franta trota. Sono da aggiungere i nessi seriori
dei proparossitoni : ardwire v. § 3, freida, koire, loeire luccicare,
mait madia, pkdre, reidii^. 185. nd diede *int, Vi in contatto
colla vocale ebbe poi vario esito, v. n. 130.
S. Dinanzi a sonora, s'ebbe il passaggio ad i il quale poi subì
vario destino ; dinanzi a sorda generalmente troviamo un s, ma
' Cfr. ALF (547-8), femelle, che à dappertutto m.
- Cfr. VS, 143 e ALF (1216), punti 987, 985, e per il fatto analogo nel
delf. cfr. Devaux, 215. E si pensi del resto, che tutto questo territorio co-
nosce ' gag net''' per 'seminare'. Ricordo poi dannagli peccato, I, 526 [/"w^-Za
potrebbe essere imprestito recente e in semita recente la sincope. P. G. G.].
^ La vecchia parola era sda, cfr. P. Il e ALF (479) escaheau.
* Ma le serie di quest'esito sono alquanto indebolite dal fatto che la
semivocale spesso, nei casi studiati al n. 131, si combina colla vocale pre-
cedente: cet caduto, dil detto, fràt freddo, istrà't stretto, Ut letto, oét otto,
nìjét notte, />fs petto, /jinr/ pettine, «sA.v/<. Quanto alle parole recenti v. App. 1.
Percorse più recentemente l'ultima parte di questo mutamento il verbo
di/gagase (sbrigarsi), nell'imperativo, che per lo più suol essere: di/gaite
(Cfr. XVI, 540, n" 5). — L'esito in e, che non manca di rappresentanti, nep-
pure nel piemontese comune e che è proprio della montagna provenzale,
non mandò fin qui che un solo esempio : barle'c (giaciglio di paglia nella
stalla), v. § 3.
II parlare d'Usseglio 335
in eerte condizioni s'ànno invece evidenti tracce di palataliz-
zazione le quali, insieme ad argomenti di ordine geografico,
V. P. IT, fanno supporre che 5, forse in misura ben più vasta
di quanto ora non sia dato accertare, si avviasse, seguendo
il processo di palatalizzazione che gli è consueto', verso il di-
leguo, ma ad un certo punto fosse reintegrato per l'influsso
deWs piemontese che, come vedremo, si è fatto sentire su una
larga zona del nostro territorio, 186. san De n. 1. s. Desiderio,
dina, eimina , kareitna, hiii lesina, maria bimbo. 187. besti bestia,
Castel n. loc, fnesfa finestra, tiostìi nostro, testa capo, vesta abito ;
vesjHf vespa, vespii sera; fraskeri^ v. i^ 3, paske pasqua; musei
mosca. Lo sviluppo in i, lo si à invece dopo un e prot., quando sia
contenuto nei prefissi *es- e des- > is-, dis-, oltre che in est.
Di questa voce abbiamo due esiti ; tonico àst, atono ist, v. n. 240 ;
ora l'unica base che concilia queste due forme è *eist (cfr. fràt
freddo e ci/i'u vicino). Abbiamo quindi un punto sicuro per eli-
minare ogni possibile dubbio sull'/s'""* che troviamo all'iniziale.
Che si tratti dell'antichissima prostesi non è possibile - : in
tutto il territorio limitrofo essa si è indebolita in e, quando,
come accade in Piemonte, essa non sia addirittura sparita ;
d'altra parte siamo proprio al confine di un territorio ^ dove,
in queste condizioni, si k ei'^°"% ài cui è quindi legittimo vedere
nel nostro is una contrazione. Le medesime considerazioni val-
' Fu già osservato che e, dinanzi ad s'-<^«so«-, è sempre chiuso, v. n. 22, 44.
Un altro argomento darebbero: aresta (resta), resci (lisca), kresta (cresta),
piem. kresta, reska (e per ciò posi aresta in questa serie), pei quali si po-
trebbe supporre che la vocale non si sia turbata perché .9 fosse assai pili
debole che in piemontese. Ma si tratta d'un numero troppo esiguo di
parole, che può essere stato seriormente attratto dalla serie del n. 22.
- I, 383.
^ Cioè a buona parte della v. di Susa : v. gli esempì, pei comuni limi-
trofi a Uss., in Et. Ro»i., 484 e P. II.
336 Terracini,
gono, a maggior ragione, pel prefisso dis: l'antica fase in pala-
tale si rifugiò dunque in una frequentissima forma verbale ed in
due serie, ricche di esempì e dotate di forte coerenza. Iscala,
iskaìi, iskàmpi slancio, iskm'p, iskccìa scodella, iskrit, iskilr, isjxili
pallido, ispala, ispoìa, iskg't scheggia, istan stagno, ispùf sposo,
istagùn. Istà, istala, istreina, istreita, istrilmant. Vero è che la
vocale è ora in forte pericolo di scomparire, v. n, 234 e App. !■''.
Per dis- v. es. al n. 108. I prefissi conservano naturalmente la
loro consonante, anche dinanzi a sonora: difluia slogato, difdóit
sbadato, ifmq'rt pallido.
Consonanti nei proparossitoni e gruppi secondarii. — Le
consonanti dei proparossitoni, venute a contatto per caduta della
mediana, sogliono comportarsi come un nesso antico : la prima
segue, come è noto^ i destini della posizione debole, la seconda
quelli della posizione forte; ma qui c'importa vedere in quali
condizioni le consonanti si trovavano quando s'incontrarono e
come si comportino nel caso che formino nessi che non avemmo
ancora occasione di esaminare ; coglierò poi l'occasione per far
cenno dell'esito di incontri secondari, anche se non siano pro-
dotti in proparossitoni.
In generale la seconda consonante di un proparossitono,
quando avvenne la sincope era allo stato di sonora ^
188. CE: uw/(? undici, c^w/e dodici, ruhfe 'ronce', piìfe pulce,
piifineri < pullicinu gruppo di stelle. Alle Piazzette si à et.
189. T : eidà aiutare, disàndu sabbato, lindai 'limitare', moudarà'
< molerò macinatura, voida vuota, ouidà vuotare. 190. C:
bèrgé pastore, pvimgmi merlo acquaiolo, dmmngi domenica,
* V. la trattazione, per vero assai sommaria, del Gieuach, BhFRPh,
XXIV, 165. Per la valutazione dei casi qui descritti v. P. II.
Il parlare d'Usseglio 337
(jmnyi granica, maùyi manica, c'a^v/^f caricare, >/« >///(/ sfondale,
runfjà ruminare; oltre a bìKja muovere, minfià mangiare, ku<ja
coricare. Tra i casi di consonante sorda sono importanti, per
quanto non sia possibile stabilirne il valore, kuba che s'ode ac-
canto a kugà e imut monta moli tu; enta (lammendo) e sa«^e^
(sentiero), esempio questo affatto secondario: per altri casi recenti
V. n. 89. — - 192. Per ciò che riguarda la prima consonante
del nesso v. nn. 178. 180, 182, 183. 184, 185, 186. 193. Si à il dif-
fuso scadimento a sonora in : «///« aquila, strèbfjrn stoppia, kubià
accoppiare. 193^. Sono poi notevoli: tre/e tredici, sè/e (sedici),
dove la vocale turbata mostra ancora che d assimilato ad /aveva
prodotto una lunga: resta kudu (gomito): è assai inverosimile
che qui la consonante lunga possa rappresentare l'antica assi-
milazione di hf: il territorio franco-provenzale tratta sempre la
vocale di cu Iti tu come in sillaba libera 2, quindi può darsi che
ad Uss. e nel territorio vicino kodo sia voce recente, rifatta o
sul francese 0 sulle parlate limitrofe, e pronunziata, come tutte
le parole straniere ^, colla consonante lunga.
194. Assestamento dei nessi. — Nei gruppi in cui l'esplosiva
era preceduta da una sonora questa, secondo il solito, dileguò :
disàndu sabbato, sfungà sfondato, pninyun. 195. Fuori dei pro-
patossitoni, accade il medesimo nei gruppi prodotti dalla caduta
della vocale dinanzi ad ò- finale, di cui v. gli esempì al n. 200'*,
' Sante è da porsi coll'ital. fientiero, proviene cioè, attraverso il Piemonte,
dalla Francia. ALF il218), sentier, mostra, col gran numero di surrogati, come
la voce non abbia nell'uso solide radici; non mancano tuttavia forme con d.
- Cfr. SVS, 42; Lavallaz, p. 58; Odin, p. 136; ALF (330) coude.
^ Mor. ÌA-i: kudde, e. a Pral. la consonante lunga, tranne che dopo f,
conservandosi solo nelle parole recenti, questo esempio è contro e non a
favore dell'antichità della doppia. Quanto a vialadu (malato), Pral. maladde,
V. P. II.
* A Qsseglio set finali sono ormai caduti da tempo, e le forme cui
Archivio glottol. ital., XVII. vH
338 Terracini,
Con nasale, nel gruppo nst, )i andò perduta, oltre che in
kustà costare, meste (mestiere), in miistà (mostrare) ; pel gruppo
net V. n. 185. 196. Nei nessi con nasale e liquida si anno le
solite epentesi: divmdru, venerdì, monde macinare, sindra cenere,
tmdru tenero, aldrù andrei, tindn'i terrei, oindrù verrei, vudrù,
cambra, kamhrada amico, nsemhiu (insieme), inoltre : canduvwl
{*canvóe{} canapule ^. Un altro gruppo da cui il parlare rifugge
è la combinazione di '^'^"* ri che ricorre frequente specialmente
nel plurale del condizionale; il gruppo si risolve con la voca-
lizzazione d'uno dei due elementi, in generale dell'r ^ : kèriu cre-
devo, pareriàn parremmo, sterkin staremmo; per alcuni invece
dell'*: kriiti credevo, kapriid capireste, pwr^nw ])orter este, vudrimn
vorremmo. Se no, i nessi formatisi per dileguo recente sono tutti
tollerati: tlé, nfld insudiciare, dfember, sèninà, rahlà trascinare,
dabfùn bisogno, pustmùn (postema) e in qualche futuro di forma-
zione recente: alrài, parlrài. Non resta che ricordare pisflofd
fontana (< pisn) e laihà't {lait -f- bei) colostro.
C) Consonanti finali.
Finale latina, — - 197. L, R: kor cuore, amél miele, fel fiele,
e inoltre, con ovvie trasformazioni, nsemb'iii. 197^*^ M. Si con-
servò passando a ìì, v. 238. 198. C. Scadde a /: 'U-«V, -ol'^
-hoc, lai là.
avevano dato origine anno ceduto ad altre (pei verbi v. § 2), tranne che per
gli esempì sotto citati. Ma la Par. à chèi jor (13); che è forse fase poste-
riore non di gorn ma di *yort o *gorts.
^ Se pure qui non vi fu immistione di candeila, v. § 3.
- Cfr. XVI, 545. — Non riscontrai traccia di palatal. < s dopo esplosiva,
come in piemont., se non in ce (nonno\ che è direttamente piem.: cfr.
Salv., RlLomb., XXVII, 1582; AGIt, XVI, 536 e App. I.
11 parlare d'Usseglio 339
Il dileguo di X e ^ è, eonforinemente all'uso franco-prov., assai
recente e non ancora intiei-anionte compiuto ^ 199. T. In atonia
è scomparso: finire, miyif/in'e, vulace; dopo la tonica invece si man-
tiene: o^ pers. cong. fèfut, purtà't; 3^ pers. iud. imp. hll't, difjf't,
fefi't, ecc., inoltre i presenti: dit, plgt, skrif, vit. Ma quando t sia
preceduta da una semivocale di qualunque origine o da ?i, essa à
nna forte tendenza à cadere, quindi : 3*^' pers. bei, krei, nel, dispiài,
fai ku/iói, nai; sali, vali, poli, vou; S'* pers. plur. ind. e cong.:
c'antxin, fè/h'in, purtàn, inoltre: vin viene, .s'i;i. Un. 200. S. È
ridotto a poche tracce, v. n. 238 : caduto completamente nel plu-
rale femminile e nel 2^ pers. dei verbi. Caduto negli avverbi :
(jil, sii e in pni e din. Anche il dileguo dell's di diversa ragione
flessionale è quasi completo: si ìi ancora a/(ova); — entrato in
composizione colla consonante precedente si palatalizzò - e si
mantenne: pes petto, dimdrs martedì, dilibij (Piaz. pej), ecc.) :
ma ove segua it, è ora dileguato: dhì, yen, ten e fiin (fondo) ^
che tra i vecchi è ancora ftinf.
Finale romanza. — La tinaie romanza oggi appare conser-
vata, sia nelle consonanti semplici, sia nei nessi ; questo asse-
stamento si presenta con un'estrema conseguenza ed è, in gran
parte, recente, v. n. : 210, 211 n'\ 215, 23G, e App. I.
A) Gruppi. I nessi palatali non si risolvono, come accade
altrove, ma conservano lo stesso esito che anno all'interno di
' Quanto alla cronologia del dileguo, è da notare che già la Par. sembra
conoscere il medesimo stato di cose : beicavi (14), donave (16), ma conrnit (32).
Per le ultime traccie di t dopo i v. App. I. Dopo n, la caduta è pure re-
lativamente recente, posteriore certo, di molto, all'assestamento della fles-
sione interrogativa: cantanti? mingànti? e vinte'l?
• SVS, 130. Cfr. il fenomeno analogo in provenzale: I, 565; R., Vili, HO,
e pel Delfinato Iserloiie, p. 36; per le tracce in franco-provenz. RDR, li, 313,
e Dkvaix, 161.
^ IT, 15.
340 Terracini,
parola. 201. *s: bros braccio (Piazz. hra^)^ panas coda, § 3,
■pus. 201"'^. *f/, preceduta da w, si fonde in n (cfr. n. 149): tèìi
tinge, strèn, viin, Imi lontano. 201^'. li: (/ibi, liln, piih; anzi
un n che sia preceduto da i tende ad assimilarglisi : gcein suona
spesso gceiri (digiuno) e autwh, da *oin, v. n. 35. 202. /: si con-
serva sempre quale / : ambiirn ombelico, suléi sole, fil figliO; 2^if''i
pidocchio, genui ginocchio.
203. '■'"*« N. Compare in ogni sorta di esempi: forn, gorn,
inférn, Ì7ìvé>'n, karn, korn, nfóni (intorno) assieme a cui può an-
dare: gaun giallo. Lungo^ si conserva dentale: bran crusca^ (seb-
bene oggi s'oda già bren), ma Gan Giovanni. 204. ^''"^M. Si
conserva: orm olmo, vèrni verme, Viérm Guglielmo. 205. <^^'»«V.
Suona sempre sonoro: nerv nervo, serv servo. 206. '""«L o lunga:
kgl, mal, serpìil serpoWo, rei vitello, -ellu: bel-. 207. '^'"'^R. In
gruppo finale, a maggior ragione che all'interno, si dilegua: kat
quattro, misf maestro, v.less., parasi padrigno, suast corda, v. § 3,
ma si tratta quasi certamente di piemontesismi ^. Forse alla posi-
zione finale è da attribuirsi la metatesi di r, quando sia in con-
tatto con una sonora: drccni dorme, dr<en apre, frìim fermo, triis
torsolo, cfr. n. 144'^. 208. '^""^S : oes verso, ars orso; ais. fais
fascio; bas, gras; rus, tus tosse, os osso; invece gì'o e trai-é,
accanto a através, e apre (dopo). Ma il primo offre un esito par-
ticolare anche altrove^; per gli altri ^ v. n. 238. 209. Notevole
^ REW, 1284, e, assai men comuni, dan danno, an anno.
- grii^ grillo e cavri^ sono semplicemente dei plurali, v. § 2 e SVS, 103.
^ Se fossero voci vecchie, avi'ebbero 1'» di appoggio.
"• I, 576, AGIt, XVI, 547.
" Nel e. di Vaud e a Dompierre : ZSPh, XIV, 437, e nel Vallese: Lavallaz,
p. 54. Si tratta del resto d'un aggettivo che è quasi sempre in posizione
enclitica e che, per di piìi, in parte di questo territorio, ricorre nel fami-
gliare e infantile : pa grò' nonno, ALF, (663), grand pére.
^ Il Salvioni, SVS, 131, dubita che siano gallicismi.
Il parlare d'Usseglio 841
la palatale in fans falso, femm. f<aisi (Piazz. fan/>), pus polso
(Piazz. pufi), che vanno spiegate come la finale primaria del
n. 200 K
210. Esplosive. Compaiono regolarmente; le sonore di-
ventano sorde: briif, ceiro't capretto, koit, lei, moti, sort, stràt
stretto, nrp alpe, serp, park, suk; — biunt, frai, f/rànt, guiart
ghiotto, maif, r'nint, tari, vdrt: — gu'p gobho, kulump colombo,
piiimp piombo; — luììk. hirk. marénk, sànk. ma s'ode pure so-
vente la sonora, v. n. 236. Alla semivocale il par accompagnarsi
la mancanza della consonante: au alto e cait caldo.
B) Consonanti semplici. — 211. S. In generale esso suona
quasi sonoro, cioè, per meglio dire, l'orecchio lo percepisce come
ad un grado di mezzo tra ^ e /-: fiif, naf, <jdùf, nuiuf, rif, p'tif,
taioiiéif^- nunf mese, pei/ peso; noi/, colf, kroif (croce) e colla
sorda palàis, nais n. 154 ^. Ma prei preso, arpréi e rei (radici) ^.
^ Si risale cioè a *ts ; questo passaggio, presupposto da faup, i)u/>, sembra
qui ristretto alla finale. Gli esempì contrari del Fankhausek, RDR, II, 313,
0 risalgono ad un gruppo in dentale : mopervè n. 1. Montsalven.f. o sono agget-
tivi femminili che anno un corrispondente maschile, p. e. : niuà {*mu>àf>) muàpa
m u 1 s a, sq^plvwp n. 1. S a 1 s a a q u a , od anticamente erano in finale
ixé'-'pa , pulsa, cfr. Pral. puor-'ì ; per sepàle n. 1. cfr. le grafie: seplftales,
sempsales (Jaccard, 427), non resterebbero che 'efebei o (insieme), epsnavthi n. 1.
{En Solanville). Quindi sarei dubitoso se il caso sia da paragonare col fe-
nomeno piìi ampio dei dialetti italiani. It. G., 238.
- Sulla pronuncia di questo s, cfr. BGIPSR, X, 52. Nei paesi vicini (P. II
e 1. e, 56) s primario finale è generalmente sordo, di qui il sospetto che la
varietà semisonora provenga dal Piemonte e quindi la conferma che queste
finali sono recenti (v. sotto).
^ Mensu, tavolo da fornaio.
* Che sono stati attratti da fain, ais, ai quali corrisponde la sorda piem.
V n. 209.
■^ py'i e arprr'i^ Par. préi (20) {preis, n. 17, è una svista) sono l'indizio iso-
lato di un fatto cosi importante che, anticipando la larga trattazione che ne
faremo a suo luogo, v. App. 1 e P. II, è opportuno darne fin d'ora la spie-
342 Terracini,
212. N. Riuscito finale, nasalizza la vocale precedente e diviene
faucale. Il vario grado della chiusura faucale dipende dalla
vocale che precede (v. App. II) : pan, gèn, hun, vin, ciii cane.
Ed anche quando n riesca finale per l'occasionale dileguarsi di
una vocale nel corpo della frase, segue la stessa via: pin pet-
gazione particolare. Pre\ non può distinguersi dalle altre parole per ragioni
fonetiche perché tutta la serie con un simil dittongo discendente possiede
la consonante, neppure saprei trovare qual particolare influsso analogico
abbia potuto produrre la caduta di s. — Per voci foneticamente analoghe
a quella di cui ci stiamo occupando, secondo l'ALF (1090, 868, 984). la
caduta di .s fin. secondario, nelle località piemontesi, si presenta nel se-
guente modo :
pris viois noix pcì/s
Oulx (972) _ _ _ _
Maisette (982) _ _ _ _
Aosta (975) — s — —
Courmayeur (966) — s — —
Ayas (987) — s s —
Chàtillon (986) — s — s
Champorcher (985) — s s s
Bobbio (992) — s altra forma s
(Il trattino indica la mancanza della consonante finale. — Pris fu do-
mandato in: ...pris ìin moineau, pris une purge, in posizione antivoc. dunque;
nulla di strano quindi che ad Ayas si abbia anche una risposta con .<;).
Pel nostro territorio il risultato è analogo. Nei paesi di parlata arcaica,
la consonante manca o fa appena capolino ; man mano che ci avviciniamo
alla pianui'a, gli esempi senza consonante fin. si fanno sempre più scarsi,
finché nei p. 985, 992, come a Uss., si riducono solo al caso di pris. Da
questa distribuzione geografica è lecito arguire che s finale, come proba-
bilmente altre consonanti, in questi paesi e ad Usseglio era caduta o ten-
deva a cadere in ogni parola (certo qui ad aumentare la confusione è
entrata in giuoco anche l'alternanza di frase, v. n. 238), ma poi, poco a
poco, fu reintegrata per infiltramento piemontese, a cui sfugge per ultimo
preso che in piemontese non ha corrispondente. Quindi ad Uss. il si-
stema dell's finale è in gran parte, o in tutto, un prodotto relativamente
recente. Si tratta, come ognun vede, d'uno dei tanti casi che il Gauchat
Il parlare d'Usseglio 343
tina, rafun (ragiona) < pine, rafioic, v. n. 2:>S. 213. Se la
finale è atona, n si ridusse ad una risonanza faucale clie oggi va
tacendo^; per la generalità dei parlanti il fenomeno si è già
definì di régresision linguistique. cfr. Festschrift zitm li. Neupìtilologentage in
Ziirich, 1910. 335 sgg. — Quanto a rei^ (pieiu. reis), il mio territorio per solito
à .s: ma, ad es.. anche a Co.: rr (ma kroef). Dato che la parola è per solito
usata al plurale, qui la finale fu coinvolta colla caduta di s desinenziale?
[Sono lieto che questa mia nota ora venga ad accordarsi colla più ampia e
bella trattazione dell'argomento, data ultimamente dal J.a.berg, BGIPSR,
X, 67 -sgg. ; essa risponde poi implicitamente alla domanda che egli si pone
a p. 74].
* Ma la Par. ha ancora giòran (12). La f'aucalizzazione di n finale e la sua
caduta si compi più presto in Piemonte che nel Canavese e nei dialetti
della montagna piemontese: in quest'ultima regione la vocale non è mai it
come in piera., ma bensì', anche quando sia già caduta la consonante, e od a.
11 territorio che non à w si può bene delimitare coll'aiuto del Biondelli
(v. V. 12. 16. 17). Esso comprende tutta la montagna provenzale (Oulx, Fe-
nestrelle, Oncino, Sampeyre, Acceglio, ecc.) e buona parte dell'alto Cana-
vese: S. Bernardo (Ivrea), Pavone, Yistrorio, Strambino, S. Giorgio, Castel-
lamonte, Valperga, Pont. Locana. Le deviazioni di alcuni luoghi, come
Lanzo, Caluso, Ivrea, Settimo Vittone, Sparone, sono certo dovute, in parte
a influsso del torinese, le cui caratteristiche s'infiltrano nei centri maggiori,
e in parte a vezzo dei singoli traduttori: ad es.: a Lanzo e nei suoi imme-
diati contorni: gnvàn, vennn, voshn, fìlan sono le sole forme che io ò udito.
Pel piem. cfr. It. Gr.. 274; AGlt, XV, 413; Schaedel, 35; Gè., 44. 11 Gia-
comino, sulla scorta delTAscoLi, pone i gradi : eh oh (») e attribuisce l'oscu-
ramento della vocale alla tinta faucale dell'». Su questa spiegazione faceva
le sue riserve il Salviuxi, .TFRPh, VII, 156. Ma il canavese, ed anche il
genovese, sta a dimostrare che la pronunzia faucale di n non tende ad oscu-
rare la vocale: anzi piuttosto la schiarisce. Sarà quindi meglio dire che la
vocale era eh, come è naturale, trattandosi di una semiatona, e che, caduta
la consonante, la vocale si appianò in u. La grafia dell' Alione, on, e una
semplice grafia arcaizzante ed etimologizzante, in luogo di o che è pure
rappresentato, cfr. Vegievo (Vigevano), p. 396 e v. n. 38; cosi i testi gen. anno
coutemporaneamente en ed e, XV, 8 [Io propendo per la spiegazione del
Giacomino, inquantoché con essa il fenomeno viene dichiarato come un
semplice fenomeno di assimilazione, che naturalmente non è inevitabile,
ma ovvio. P. G. G.].
344 Terracini,
compiuto, V. App. I : pkiki acero, fruisci frassino, guva giovane -na
(arcaico nan cioè fi-en) e le 3^ pers. ind. pres. e imp.: mingu,
portu, veni, cantavii; il dotto ordin à, a sua volta, tendenza a
passare a ordin, cfr. n. 203. 214. M. È generalmente labiale :
aram, fam, jam letame, prim , dm^, om , film, grilni. Ri-
mane: min (nome), pili raro di fronte a mi, il quale è già a sua
volta arcaico e soppiantato da noni piemontese - ; è forse un
resto isolato di pili antica fase, d'altronde ricorre quasi esclusi-
vamente in frasi sul tipo: u Vaiit nu..., e quindi può essersi
svolto in condizioni speciali di frase, in protonia per esempio -^j
per mezzo della quale ci si spiegherebbe ad un tempo e la na-
salizzazione di m e la successiva caduta di n.
215. R. In generale si conserva: calùr, kar, kuli'ir, iskiir, intér,
milr muro, suor; neir, kidir, giàir ghiaieto, poeir paura; ed il
contatto col piemontese e, per alcuni aggettivi, l'analogia del fem-
minile devono contribuire vigorosamente a questo mantenimento,
infatti la caduta si manifesta in due intere serie morfologiche :
-ariu ^ : hèrgé, paské ; e -oiu: casóu, rafóu e in una voce isolata
quale : osi (vero), per cui valgono le osservazioni che abbiamo
fatto testé per prel. Per le serie verb., v. n. 238. Il dileguo è
pure costante in sillaba atona: kunoise conoscere, preva prete.
216. L. In generale appare ben conservato: arkansél, dal lutto,
' K. 8267 : s agi m en.
- Il Meykh-Lììbke (II, 15) giudica non di Val Soana come una forma no-
minativale *nohs. [Anche potrebbe essere avvenuta un'assimilazione del -m
al n-].
^ Per la denasalizzazione dei monosillabi v. I, 550. Un esempio di dileguo
in protonica ci viene conservato dall'enclitica nah che sempre perde la
vocale : s na vai, (se ne va), ma sempre la mantiene nella formola tonica
di richiamo vinàh isi (vieni qui).
^ La serie -ariu è però già caduta anche in piemontese, trascinata ve-
rosimilmente da quella omofona dell'infinito.
Il parlare d'Usseglio 345
fondai, linsà'l, kiil, mal, peil, pai. Cadde invece nel sufi', uhi:
sol-ì(, fan, ecc., v. poi n. 238.
217. V. Si dilegua: malsad << soave inquieto, v. § 3, kia
chiave, tra trave, nel neve, bo bove, dù/o', no novo; in na^u e
hit tu cattivo, viti (vivo), si conservò, aiutando probabilmente il
femminile; sono del resto voci recenti. 218. K e G caddero
prima della vocale finale, v. n. 170. 219. T 1) si dileguano.
220. Di ASSIMILAZIONE A DISTANZA UOU Ò cllO Ìl diffuSO Ciicà
(succhiare), ma come processi assimilatorì si possono ritenere
qualcuno dei casi di insonorimento all'iniziale, v. n. 151, come
pure le note e diffuse ^ epentesi di un >i in angunikt agonia
ansi'n assenzio, pèrmansèmitl prezzemolo, trumpina fr. trépigner ;
cfr. inoltre : strèhluh stoppia. Assai più interessante l'attrazione
di un / fatta da un altro / organico : rilslole ' rougeole ' :
despreifie sul pieni, dasprej le e reism, reism, rilsltìm su resnz
(sega) che certo è voce recente, v. § 3. 221. Dissimilazione
A DISTANZA si à: di nasale in liquida in esempì diffusissimi :
darniatjìi, kulumui economia, ihgre inguine, Imdre lendine, lin-
sola nocciola, marmlin mignolo, nxrànta novanta, rn'ndula ron-
dine, vilém veleno, anvinima. Di liquida in nasale : pì'nula
(pillola), e scambio di liquide, pure in casi assai noti : amhurli
ombelico , fleirà ' flairer ' fragrare, scalabnm calabrone,
grumisél gomitolo, infine: rul rovere, piuvana (salamandra), dove
aiuta ' piovere ' -. xld una tendenza dissimilatrice sono da attri-
buire (jrepla per greipia e aghi (aquila) ^, nonché la caduta di una
sillaba in trì'fule pi. patate, tusnina tosse canina, karveli incubo
' Epentesi largamente diffuse; v. pel pieni. Flkciua, III, 152; e Fr. Gr.,
yOó sgg.
■' XVI, 543; IL Gr., 283; SVS, 189.
•* Per grepia v. n. 24, per agia cfr. Chiom. eglo, Monip. egla, Pral. ajglo.
346 Terracini,
{karkaveii), karkofa, e alcunché di simile è avvenuto in ramilfi
lacrimusia; infine il diffusissimo à'mpida lampone.
L' accento.
Ambedue gli spostamenti delTaccento storico : quello per iato
e quello in cui le vocali non sono in contatto, spostamenti che,
sebbene non totalmente, anno in comune il medesimo ampio
territorio, si riscontrano ad Uss. in una forma tale che si
presta ad essere descritta come la forma tipica di codesti fe-
nomeni. Per la loro estensione e diffusione geografica v. P. II.
229. Spostamenti per iato. — Nel iato primario si à ià
<C la, yà <C uà, V. n. 119. Nel iato secondario si à progressione
d'accento soltanto dopo // ed z, v. n. 124, mentre /( si mantiene
tonico, ma quando avvenne la progressione, suonava ancora q\
per la regressione v. n. 128. 230. Progressione in cui le vocali
NON sono in contatto ^ Una prima serie d'esempi ne aveva dato
il Nigra per v. Soana, poco più tardi fu ritrovata in Savoia dal
Gilliéron che, primo, che io sappia, la studiò senza tuttavia ve-
nire ad un risultato definitivo. Sui materiali forniti da questi
suoi predecessori, riprese la questione il Meyer-Liibke ; egli, per
quanto vedesse la grande analogia tra i fatti che accadono in
Savoia e i casi di vai Soana, era restio dal considerarli insieme,
perché, mentre in Savoia la sillaba tonica scompare addirittura,
in vai Soana, essa, per quanto fatta atona, è quasi sempre rap-
presentata da una vocale piena, si che egli fu condotto a supporre
che essa fosse reintegrata per influsso pedemontano. Prescindendo
da questa difficoltà, egli enunziava la seguente regola. " e, i, o,
* SVS, 183; I, 596-8; Gilltéron, Mei. Renier, 292 se
Il parlare d'Usse^ijlio 347
" et rt primitifs suivis de plusieuis consonnes sont ubre'gés et
" peuvont perdre l'accent a la suite de eet abrègement. Agisscnt
" à la manière de plusieurs consonnes, non seulement ;//, II, mais
" ancore une // ou une m simple sur un i et un //... Il y a lieu
" de croire qu'entre luna et lilnà, il y a eu une forme inter-
" médiaire: Ima „. Il Salvioni completò la serie valsoanina ed
aggiunse larghi esempì da Barbania (Can.) mostrando come tal
progressione sia viva in tutto il Canavese ed abl)ia un'eco nel ter-
ritorio di Mondo vi. infine, esaminata la teoria del Meyer-Liibke,
vi oppose le seguenti obiezioni: 1', la vocale non può essere
restituita per influsso pedemontano perché la regione pedemon-
tana dove giace la vai Soana offre, come s'è visto, gli stessi
fenomeni di questa; 2°, che nel Canavese, come nel resto del
Piemonte, una sola vocale appare turbata, V'è, in certe condizioni,
e che questa é, se promuove in Canavese (cioè a Barbania)
vr.dà, non influisce su térca sempre a Barbania. Quindi con chiude :
" Date le quali circostanze e tenuto conto degli scarsi materiali
^ che stanno per ora a nostra disposizione, la vicenda cisalpina
" si può descrivere pressapoco cosi: c'era un e tonico, assai tor-
" bido. il quale, appunto per questo, mal poteva reggere lo scettro
" della parola, che perciò potè passare alla vocale finale, dando
" luogo a doppie pronunzie come sare})bero vérda e verdà, e
" grazie alle quali s'arrivò da una parte al definitivo vrda e
" dall'altra al non men definitivo térca. Nel periodo d'oscilla-
" zione tra vérda e rerdà, pili altre categorie di nomi furon da
" queste oscillanti forme insieme travolte „. Ammette poi che,
per la vai Soana in particolare, si tornasse pili tardi, senza in-
fluenza piemontese, ad e schietto. Ma il materiale che io andai
raccogliendo pel Canavese e per le valli i)iemontesi, offrendo un
aspetto pili semplice e pili chiaro di quello valsoanino, permette di
ritornare, con qualche modificazione, alla teoria del Meyer-Liibke.
Per chiarezza raduno qui tutti gli esempi che potei raccogliere a
348 Terracini,
Uss. : feisla, islà', mesa', spesa', berla , ferma , pèrni', sèrkiii' , tèrsi',
vèrda , rupie ^, sci', tèpà' ; -itta hr usta' , e Imista , fausta , y arte' ,
lolita , piancità' , Piaste ,Valta n.l., oiulte ; malfu ; aviu; mnndiiè' ,
kilt' , sii', uriX' , kavesì'; arbenà' , bena, hekà' , snn' — istisl' , solitisi' ,
tini'; fili', lantiii' , reci' ; arinna, eiminà' , farina' , feisinà' , galina ,
kiifinà', iscina, matinà' , mei/ina , spina, sinà' , Urina', vfinà';
lima', siimà', priima ; fika, mikà', skrità' , vita'; bruse , rusa ,
niufà'; miMà' , pilla , buci , biita , kiipa, mutà',pHpà', rukà', tuta ;
kudii , gallisi' - — nini' , persuna, tunuì', briita, silka, bèrnì' —
moudiirà', mi/ t'irà', Ulna', Una, karkiina . Ora per tutti questi casi,
abbiamo visto a suo luogo come la consonante facesse posi-
zione forte ^. Quanto a vita , briita', mika , kudn', tintiira,
mifiira , abbiamo la consonante lunga perché si tratta di parole,
iu varia guisa, recenti ^. Ora, sia in un caso che nell'altro,
vedremo che il contatto con una cousonante lunga fu capace
di render brevi o turbate alcune determinate vocali ; nel nostro
territorio s'à ancora qua e là questo stadio : le vocali turbate
corrispondono esattamente a quelle che ad Uss. patirono la
progressione, salvo dove agirono cause seriori; il turbamento
è manifesto per è, i, li, men chiaro per u, dove s'à piuttosto
un'insolita brevità della vocale^. Risulta ad ogni modo stabilito
che con quest'ordine di fatti è strettamente e direttamente con-
* Alterno, apposta plurale e sing.
~ Piena, galossa (Zalh) pala.
^ 3, 5, 12, 15, 24, 34, 36.
* Cfr. Haberl, ZRPh, XXXIV, 35 sgg. ; Mor. § 68 e la bibliogr. data al
n. 153.
" Valga per ora, come documentazione, quanto fu detto al n. 10 (p. 223, n" 5)
sulla progref?sione del suffisso -urà' e gli esempi ivi addotti. — Qui pure i
dati di fatto contraddicono all'ipotesi espressa dal Jaberg, p. 7, che, in ^na,
la regressione dell'accento abbia preceduto il turbamento.
Il i)arliire d'Usse^lio 349
nesso lo spostamento deiruecento che in aU-uni luoghi si ritrasse
sulla sillal)a iniziale, in altri, e sono i |»iìi, passò sull'ultima.
Per solito, come a Usseglio e nel territorio adiacente, a P>ar-
bania e in generale nel Canavese (v. P. II). tutte le vocali tur-
bate, 0 comunque brevi i, non poterono mantenere l'accento ; in
altri luoghi su questa ragione fondamentale condizioni seriori
riuscirono a prevalere, in qualche caso, a detrimento - della pro-
gressione ; rara ■' invece, ed in forma affatto incipiente, la ten-
denza ad allargare questi limiti ; dappertutto poi ragioni mor-
fologiche, specialmente ove si trattava di desinenze, o comunque
di suffissi, anno agito in vario senso, da poco poi l'influsso del
piemontese* à mantenuto o reintegrato l'antico accento in
qualche voce o serie di voci. Per lo studio geografico di questi
fatti V. P. 11.
Un caso speciale ^ è urd' (adesso) ; esso proviene da aura,
V. n. 128''. un simile proparossitono con una tonica cosi breve.
' Per Uss., V. n. 183 C; por il resto del territorio e per le ref^ioni adia-
centi, cioè la Savoia, la Svizzera, il Piemonte, v. P. II.
^ Cfr. P. II. Ad es , a Coazze la serie con ii sfugge alla progressione e
cosi pure in Savoia, mentre in Svizzera cedono talora solo le nasali. Per u
si rifletta alla sua maggior resistenza anche in protonia.
•^ VS, SVS, 183. Sorpassano la norma ussegliese: fetneld ' femelle ', Ma
(bella) e in generale -ella; ma ognun sa che la liquida è tra le più
tenaci a rimaner lunga, nulla di strano quindi se è riescita a turbare
questo e; ìetrà lettera, w//có (vescovo), sehtd sono tardi adattamenti dei
piem. : litra, veslcu, sesta e cosi pure probabilmente : madonà (suocera) l'evó
(vedovo); come primi casi di una maggior estensione resterebbero: ficimà
(fiamma), cvenà (capanna). Cosi a Lanslebourg {Mei. Renier, 299) la jiro-
gressione raggiunge : mòtaùé, tanè (castagne) e ornò uomo.
' Al piem. è p. e. dovuto il terCa rilevato dal Salvioni a Barbania ; si
tratta infatti di una parola assolutamente fuori dell'uso popolare.
'" Su arbena (pernice bianca) e la sua formazione: Micrlo, AAT, 1907. p. 7
(dell'estratto). Qui proviene dalla Savoia.
350 Terracini,
e che, per solito, à un'importanza secondaria nella frase, è di
per sé dotato di un accento debole ed oscillante, donde la
nascita di due forme : ora (che è localizzata a Margone) ed
ara' , che originariamente dovevano formare tra di loro alter-
nanza : ura sarebbe la forma forte e si trova anche in paesi
che non conoscono la consueta progressione d'accento ^.
^ Infine è pur bene tener conto che lo Chabaneau e, assai pia recente-
mente, il Dauzat segnalavano in provenzale numerosi casi di progressione
d'accento nelle voci in cui, per qualche ragione fonetica, si allunghi la to-
nica finale; il Dauzat classificò e studiò il suo caso dal punto di vista-delia
finale, ma dagli esempì che porta (Dauzat, Géogr. Phonétique, Paris, 1907,
p. 56-7), si vede che questa progressione avviene solo quando alla tonica
vi sia una vocale capace di intorbidarsi, e proprio appartenga a quella
serie che ritroveremo torbida nella nostra regione. E anzi a Vinzelles vi
sono alcuni casi di regressione d'accento che il Dauzat esplicitamente at-
tribuisce ad un turbamento della tonica e che rientrano completamente
nel caso nostro. Il compito mio si limita ad indicare le condizioni del
fatto ; perché l'accento muti per progressione piuttosto che per regressione
(ciò accade per solito oltr'alpe, ma non ne mancano esempi sin nel cuore
del Piemonte : XVI, 542, n* 4), perché in altri paesi la tonica torbida riesca
a sostenersi sono questioni ancora da studiare. Certo la spinta alla pro-
gressione deve dipendere non soltanto dalla poca energia dell'accento (in-
vocata dal GoiDÀNicH, BhZRPh. V, 177) ma anche dalla varia forza con cui
la doppia era articolata. [Non vedo come l'osservazione del Terracini valga
a correggere il mio giudizio. Al 1. e, vale a dire, io dicevo : " Tutto in-
sieme considerato (spostamenti accentuativi in sillaba, progressioni e re-
gressioni d'accento di parola) si vede che in questa regione la differenza
accentuativa tra tonica e atona era ridotta ad una quantità imponderabile,
dimodoché ogni pia piccola causa, fra questa anche naturale maggior massa
di espirazione, poteva sconvolgere V accentuazione primitiva o della sillaba o
della parola „. In sostanza, mi pare si dica la stessa cosa: C'è una causa
fisiologica comune a tutte queste alterazioni, ossia la riduzione, in condi-
zioni determinate, della tonica ; e c'è una causa concomitante (non in tutti
i casi né in tutti i luoghi la stessa) che avvia lo spostamento in un senso
0 nell'altro. — Certo, aggiungo anche, lo spostamento accentuativo non è
un fenomeno necessario, inevitabile : e si capisce come in alcuni paesi non
sia avvenuto, pur dandosi condizioni fisiologiche identiche. P. G. G.].
11 iniihiro d'Usseglio 351
A Usseglio l'antica tonica è trattata come un'atona qualunque;
lo stesso accade in v. Soana, dove >; turbato tuttavia si distese
in (? e si conservò, quando la natura delle consonanti vicine lo
permetteva, cosi come si conservò e prò tonica '. Ci si può poi
domandare se ogni tinaie è atta a ricevere il nuovo accento :
per (ir, per i ed u non vi può essere dubbio, e siccome persino è,
al plurale, prende assai regolarmente l'accento -, si deve con-
chiudere che se e è rimasto atono, ciò è dovuto, come infatti
vedremo, a ragioni estrinseche.
Vediamo ora i principali casi in cui non si ha la progressione,
pur verificandosi le condizioni fonetiche pili favorevoli. Alternanze
quali: fiirketa, furkefà' ci avvertono che molti casi di progres-
sione mancata sono dovuti all'inllusso recente del piemontese,
il quale à una certa importanza perché minaccia intere serie di
suffissi, v. App. I. Quanto agli altri casi, tolto ìicrna che de-
riva da '^nhena -^ kunie che è voce semiatona e si spiega come
ora, essi sono tali che alla loro spiegazione entriamo nel campo
della morfologia: trc'/e, diife furono trattenuti dagli altri termini
della serie; e similmente i verbi mantennero l'accento sul tema:
frdu fi'ego, sèce secca, semi segno, i/gote gocciola, r(y)U rogna,
tube tocca, filme. Analogamente manca nei verbi anche la pro-
gressione cagionata da iato : niie annega, sile sega, tramite sposta,
231. Progressione in propar. di sincope recente : cènan canapa;
per smeinu semino ^, marmóru mormoro, v. § 2 e App. I : per
la progressione in forme verbali : purtàn (portino) v. § 2; resta
' Cfr. VS, n. 6B.
~ È vero che si tratta di semplici plurali, ma nel Canavese s'à : Mathi
sner (piem. sener), Coassolo snar (cenere).
^ Cfr. Par. ttidn nessuno (16).
* [Semino dev'essere plii antico e di ragione analogica, perché ad esso
deve attribuirsi la conservazione di mn in semnà. P. G. G.J.
352 Terracini,
quella delle forinole interrogative di 3* plur. ind. pres. purtànti,
Manti bevono.
Appunti di fonetica sintattica.
Una forte corrente livellatrice, arrestando quasi completamente
il movimento che tendeva a dare ad ogni schema sintattico
una sua cadenza fonetica e quindi alle singole parole un accento
mobile, à fatto si che le parole anno conservato, per qualunque
posizione nella frase, l'accento che loro è proprio quando sono
in finale, cioè l'accento antico ^ Per una conseguenza diretta
di tal fatto i vari elementi di una parola, o almeno i più vistosi,
tendono fortemente ad assumere una forma stabile, che per solito
è quella finale, di frase ; eccettuate quelle voci che, per il loro
ufficio, si trovano soltanto all'interno di frase; ben pochi quindi
sono i casi in cui l'antica alternanza viva tuttora.
la.
Fonemi iniziali e finali in contatto.
231*^. Una vocale finale, quando nel corpo della frase sia
seguita da un'altra vocale: 1° si apostrofa, se è atona: malva
la mia acqua, mispufa la mia sposa, Ifavii u fan le api fanno,
la vac e mime la vacca muggisce, por oni pover' uomo, e dop e
s ast e poi ella s'è, boek isi bada qui ; 2° una delle due vocali [/,
^ A Uss. le ultime tracce di un'accentuazione mobile, che pure è abba-
stanza viva in punti più arcaici del territorio, s'ànno con qualche parola
ossitona per progressione, ma non in tutte e non sempre : p. e. fii}' ma
sa fiii lei ; hutà' ma bitta ruta', sa bùia ikt.
Il parlare d'Usseglio 353
(e). u\ può ridursi ;i semiconsonante; ormai ciò accade soltanto
quando si tratti di particelle strettamente collegate alla parola
che segue : // ere che era, gii a, ki m {ke emi che avete), Ili atti
lassii, ankn asé ancorché ; /// ónta lassù — sta ls/\ mh'Kjd hi (mangia
qui), ala vanta (andar lassù) ; 3'^ se la seconda vocale appartiene
ad un prefisso, essa può essere assorbita; presentano ancor oggi
un'alternanza: a) e pre (e dietro), ala pre. ma: in fi'rmansìvn
apre (un folletto dietro); /5) il prefisso an-: i est ankur tm (c'è
ancor tempo) di contro a: e nrece (e invece), resta nchrrm'ia' (l'i-
masta addormentata), u / ere nkn (c'era ancora). Hasta che la
parola precedente termini per un elemento vocalico debolissimo
o per una liquida o nasale, perché s'abbia l'aferesi : (jainéi nkaminà
di nuovo avviati, lai npendc' nt la penzoloni, te seer nté ku siiti?
dove sono le tue sorelle y. e vin n sai viene in qua ^
232. Se segue una consonante ^ ed f cadono : a prend sa mare
prendere sua m., e / er d'isduri c'erano dei signoi'i ; e quindi
spessissimo in: for, senip e nei verbi: nn masan ko nù {niasave)
uccideva anche noi. la tapini din lo buttava dentro, u port
lai, u saut gii. Ancora si assorbe n finale, quando sia preceduto
da v: mingau [mingavu), kl eu fait che avete l'atto. 232 ''. Se
precede m, un /• iniziale diventa bilabiale: la tiinda {'■indn), In
nènf il vento, cfr. n. 121.
233. L'incontro di una consonante con una consonante, oggi
alla finale (v. n. 288) non produce quasi più elementi mobili,
air iniziale, casi di alternanza s'ànno solo colle continue so-
nore; so precede una consonante s'à allora quello sviluppo di
nn elemento vocalico che è di cosi larga estensione geografica
' Quanto all'aferesi di tipo ialcur ^ stxiir voscuro), mi iiianeano elementi
per dire se essa in origine sia dovuta all'incontro con una vocale prece-
dente: da casi come mispufa parrebbe che l'aferesi debba avere un'altra
ragione, v. App. I.
Archivio glottol. ital.. XVU. 24
354 Terracini,
e che a Uss. si appalesa recente, poiché esso è conseguenza del
non antico dileguo della vocale protonica. Il caso di r è il pili
diffuso di tutti ; ma qui la prostesi ha ormai perso ogni carattere
sintattico ed è fissa: ardoeire, arkordu, arkiUd rinculare, artós
ritorto, arpenti, ni' arposu mi riposo, arpréi (ripreso) ; assai meno
stabili i casi di ^ : u s ast alvd (s'è levato), ma falli Iva, anche
un piccolo soffio vocalico s'ode dinanzi all'articolo femminile //;
per le altre consonanti ^ la prostesi è rara : ti i ast avnil è ve-
nuto, mun avfin il mio vicino, ke t " mandé che tu mi mandi,
t" mi regàUstu? me lo regali?
Ih.
Azione dell'accento secondario della frase
SULLE semiconsonanti E SULLE VOCALI,
Sebbene a Usseglio la frase non abbia di solito, come altrove,^
una grande rapidità, accade pur qui che, in certe parti della
frase, l'accento secondario sia cosi debole che alcune sillabe pas-
sino come indistinte, quasi come se gli organi accennassero ad
articolare i vari suoni, ma non compissero interamente il loro
movimento. Per la sua stessa natura il fatto non può essere
descritto interamente, appena se ne può accennare alcune parti-
colarità che concernono specialmente l'eventuale assorbimento
delle semiconsonanti. 234. 1° aUt (aveva), sa'tit (sapeva), possono
divenire ait, sai't, eli selt, e quindi con attrazione dell'accento
cit, seit ; 2" s'à pure, ma raramente 2, vuiii volevo, punì potevo.
^ Cfr. I, 367. Pel piemontese la bella descrizione del Nigra, Miscellanea
Ascoli, 252-3.
- Raramente, perché l'analogia vuole che si conservi la consonante te-
matica.
Il piirlarp (.l'Usseglio 355
accanto a vìiliii. puìnì ; o" la consonante opentetica di iato, se è
V postonica, può sparire: i vacu ma i niu e turnu (vado e torno),
per altri casi analoghi v. n. 121 ^gg.\ -l*^ nel discorso rapido ac-
cade sovente che un dittongo in / perda la semiconsonante ^ : a la
ver parél à veduto [vai) cosi, u siuì sfat lai sono stati {siait) la,
av(v IJ (iute colle (civcef) altre, / <?/ jjoer ke piot ho paura (paeir)
che piova, a kor d'celi a cuocere {fedire) dell'olio, iira hnk isi
bada (bwika) qui, hu^ka ke cai. bada [bmka) che cade.
-Ma dobbiamo ora vedere alcuni avanzi di fenomeni che si
connettono pili direttamente coH'accento secondario -. La minore
forza dell'accento faceva si che la vocale avesse una sorte ana-
loga a quella dell'atona: 1" perché soggiaceva pili facilmente
all'influsso di suoni vicini; 2" perché, come pili breve, presen-
tava uno sviluppo meno avanzato. 235. 1" al diventa ei ed e.
L'esempio migliore è: aica, ma: èva sé«to (acqua santa) ed èva grani
n. 1. ; se ne anno poi numerosissimi esempì nei verbi : ìl .s fe'i shar
(si fa signore), u fei niente, e fé ìiin, t ve ko fi, e [et la naf, / e
perdu; la laisn di fronte a: l/i lesa niìì'-^: assai meno frequente
è il passaggio di aa- ad ou- e sempre limitato al verbo, t fon
(jamtl (ti faccio di nuovo), urna vm <Ja belc pr ki (me ne vo giii di
qua). Pili rara ancora è la contrazione di ei in i: avàii ke s-ié
mat'dì (cioè seie) avanti che sia mattino, e venie ke sii juisà (deve
esser passato).
236. L'esempio pili perspicuo di questo genere si ìi nella
^ Cfr. la medesima tendenza in sillabe protoniche, v. n. 131.
"' Cfr. I, 626, che dà parecchi esempì pel franco-provenzale. La miglior
trattazione che io conosca sulla fonet. sint. è quella del Gauchat, Fest.
Morf., p. 210 sgg. Per fenomeni analoghi in dialetti italiani BhZRP, V, 14;
AGIt, XVI, 484; in Francia cfr. .JFRPh, 1908, I, 23, e RPhFL, XXII, 114.
Per tutti i minuti particolari e la cronologia di questi procedimenti v.
App. I.
^ Par.: V H trova (24), i t' è mai (29), so feit sa (30).
356 Terracini,
storia delle nasali. In sillaba finale aìt tende a turbarsi in htì ',
ma perché ciò accada, occorre, almeno per i vecchi (v. n. 239),
che la sillaba sia sotto l'accento principale di frase. Eccone al-
cuni esempì: bceiìca si d' pdii guarda qui del pane, ii l a tanti li
cavéi biànk, san kì vulà'h (ciò che vogliamo); ma invece: { almi
gii prendili andiamo a prenderlo, i se tanta sfràka.
IL
L'analogia nella fonetica sintattica.
Questo stato di cose fu, come dicemmo, da lungo tempo tur-
bato dall'estendersi delle forme proprie della finale di frase;
questo livellamento si palesa in due strati di fenomeni sovrapposti
o, per essere pili precisi, esso, continuando tuttora ad esercitare
la sua azione, modifica ed allarga continuamente l'opera sua. In
un primo periodo essa incominciò ad agire sui sostantivi, la-
sciando da parte i verbi, che per la loro funzione sintattica
sono quasi sempre in interno di frase; in un secondo periodo
esso colpisce anche i verbi. Non è possibile descrivere separa-
tamente i due casi, tanto essi si compenetrano l'un nell'altro.
Un'altra causa di complicazione è data dalla confusione che av-
viene tra la posizione preconsonantica e la prevocalica, ciascuna
delle quali si è fossilizzata, secondo che l'occasione la favoriva,
237. Sorte della vocale : 1^ una vocale finale tende a non apo-
strofarsi 0 non modificarsi dinanzi a vocale anche quando sia
legata abbastanza strettamente alla parola che la precede nella
frase: mi if masti io ti uccido, n'auta ava'i un'altra insieme, daine
^ Includo anche gli esempi di -an <C -e m u s per cui v. sotto e n. 30 h.
Il parlare d'Usseglio 357
u cii'i dai al cane, hiniK a yavame ' ; 2" una vocale finale tende
a non elidersi dinanzi a consonante: kum^, dih'i mi come io dico,
nì'lve: Ih patn'in giunge il padrone; 3" la prostesi d'una semicons.
è divenuta ormai costante in ocel avuto, oottsa alzare, oìi't otto,
v<eis aguzzo, voile ungere. 238. Consonanti finali. 1", ìì. Mantiene
anche dinanzi a vocale il suono faucale. tranne che nell'articolo
lìiast-liilc ninni: 2". )n.. I casi di jiduzione a faucalo non oltre-
passano quelli dei pronomi sempre protonici, niuiì, fufi, siin e
forse nini nome (v. n. 214) -; :V\ r. Ormai i casi in cui /• si perde
son tanti che sorpassano il dominio della fonetica sintattica;
certo la caduta nei verbi precedette quella dei sostantivi perché
l'una è ancora da terminare, l'altra è completa da un pezzo
(v. n. 215). A dar però testimonianza (Udl'antica alternanza re-
stano le combinazioni coll'enclitica: pnrtani portarlo, yrujjuru,
butani e qualche rarissimo caso sorpreso in fonti arcaiche: vicer,
baiar, arlerarse, dei quali uno raccolsi, conservato in condizioni
sintattiche legittime: d'arih'i.r a ka (di giungere a casa). 4", l,
v. n. 216. La labializzazione à luogo soltanto nei pronomi: «, su
<^'^el, '^sel'^*eH, "^'seii^au, sali (nella Par.), ou sgu; e nei
composti doli gli; ma col pronome interrogativo, che può essere
finale, si conserva: 'nt istél? (dov'è?) Nel pron. dim. esiste pure
una forma prevocalica, usata indifferentemente : sai om e sai
brar oin; il pronome pers., dinanzi a voc. invece à: ul, ni. 5*^, s.
La sua conservazione dinanzi a vocale è rigorosamente osservata
nell'articolo; l' piànte di fronte a // isteile, '1/ urie', df iscale,
sul/' ispale. Ma nei sostantivi la forma prevocalica è scomparsa
completamente e anche cogli aggettivi pronominali / è men
saldo ^ : sef queste, mef, tef, sef, dof (due) resistono abbastanza
* Par. : ala a cà (28).
- Par.: con fana come farebbe (19).
' Parrebbe fare eccezione il pronome pers. t'emiii. plur. i 1 1 a s che è
358 Terracini,
bene, ma sono pure normali: do urie, te urie ; tante/ poi può
ritenersi forma antiquata. Al contrario niif e vuf, conservatisi in
grazia alla combinazione nuf anti, vuf auti, son generalmente
usati anche in finale ^ Alla fonetica di frase si deve poi ricorrere
per spiegare la caduta di s in grò e atravé, n. 208. 6". Esplo-
sive: della caduta dell'esplosiva s'ànno ormai poche tracce: tu
lu goni- (tutto il giorno), ma minga tììf, cosi tro e trop, tar e tart,
e nei verbi: san ku difiit (ciò che diceva), ma fefii paré'i (faceva
cosi), e pio ììku nin (non piove ancora), ma ormai le forme piene,
specialmente fra i giovani, sono le più comuni. Per le esplosive
sonore le forme assordite descritte, al n. 210, sono ormai spes-
sissimo soppiantate dalle forme sonore: hhdard n. \., praijird
n. 1., gilnrd sudicio, lilfdrd ramarro, va'id, fard, sààg, lord (in-
tontito). Ma se era preceduta da n, d'una più tenace caduta
dell'esplosiva sono prova diretta, nella Par,: agiàn ghianda^ (1^).
rispondén rispondendo (29), e p'òrfnn (subisso) nella fonte F. Ora
l'alternanza si è fissata : i sostantivi hanno la cons. : kont, fnoit,
pont, punt, kànf, dvànt, veni, kuntè'nt e anche fefà'nt, dèskurà' ttf ,
mentre la caduta si è ristretta ai verbi: reh, preti, ispéii, ufén,
run, rèspim, fun (fonde), oltre a nin niente. 7°. Il fenomeno
visto al n. 234 si è fossilizzato per jjq' (poi) e pel pronome -u- h o e.
239. Pure tatti i casi registrati al § Io sono in via di disso-
luzione. 1° 1 dittonghi ai ed au possono rimanere tali quali anche
se la parola non abbia, pel posto suo nella frase, alcuna forza
d'accento: v ai vcrd in bel biiléi (ho visto un bel fungo), san ku fai
Perù (che fa P.). — 2° L'alternanza tra an e àù pei sostantivi veri
sempre l/e, anche in finale: j;Mr/a//(' (portarle). Ma qui la vocale d'appoggio
formatasi dopo l'insolito nesso consonantico salvò / dalla caduta.
* Ma la Par., in finale: a vu (18, 21).
- Par.: chèi gior apre (13) v. n. 195.
'^ Cfr. però Mèi. Chabaneau, 534.
Il parlare d'Usseglio 359
e propri non esiste pili, s'à dovunque l'esito di pausa ^ — 3" Casi
di forma interna cristallizzata: a) nella 2^ pars. pi. del cong. e
neir infinito : ?/, per non essere queste forme mai in pausa, non
s'allargò in «/ od el ; b) asé assai e avm (con) di fronte ad
-o/ -h 0 e -.
240. L'esempio pili complicato dell'incrocio di queste diverse
tendenze è dato dalla storia di est^. La forma da cui si deve
partire è *eisf. v. n. 187, da cui discendono foneticamente e si
incrociano analogicamente tutte le forme attuali.
Secondo la varia condizione delle parole e dell'accento nella
frase si à :
all'interno (forma debole) : [a] (prevoc.) nf istél? (dov'è?) —
[b] (precons.) n / i hin (non c'è) ;
che nel discorso rapido divengono (forma debolissima) :
|c| u M a ka (è a casa) — [d] ul brau (è buono).
In finale, sotto accento (forma forte) : [oj] u i èst (c'è), che
ora suona generalmente : [e./] u i <1st, n. 23 ;
sotto accento, ma dinanzi ad una pausa secondaria : [f ] si
k/i l è (sf che c'è) — ki ke ì n ? (chi è ?).
Ma all'internO; sono ormai pili frequenti le forme analogiche
e recenti : [e'i| est neh- (è nero), da cui: [e"i] e rat (è rotto) ;
e mort (è morto), — je'oj ni ast ala (è andato); a iast brut {è
brutto).
Il punto di partenza per l'invasione delle forme finali nell'in-
terno di frase, sono stati (v. App. I) quei casi in cui all'interno
' E anche nella desinenza verbale l'alternanza tra -an ed nn e ormai
arcaica. V. App. I.
- Sempre tonico perché compare solo come pronome interrogativo in
affisso.
^ Cfr. BGIPSK, X. 58.
360 Terracini,
l'accento veniva a poggiare con particolare forza sul verbo, op-
pure quelli in cui alla finale non seguiva che una piccolissima
pausa: ciò è provato dall'esistenza delle forme [f] che sono
vere e proprie forme preconsonantiche che non possono essere
nate in finale assoluta. Avuta cosi una via aperta, la forma
finale accentata entrò all'interno una prima volta quando era
(come è ancora per alcune fonti arcaizzanti, v. App. I) èst che
si allargò in est e soggiacque in parte di nuovo alla fonetica
sintattica prendendo, secondo i casi, le forme ef, e; àst invece,
importato all'interno più di recente, non subisce più alcuna
modificazione.
(Continua). B. A. TerracixNi.
GIULIO BERTONI
PEK LA STOHIA DKL DIALETTO DI MODENA
(Note etimologiche e lessicali)
Il pensiero si rinnova incessantemente, e eoi pensiero si rinnova la
lingua. Molti vocaboli scompaiono, ed altri sono ad essi tosto sostituiti
per virtù dell'energia creativa del nostro spirito e per le necessità d'ogni
ora. Ma nei dialetti, col trionfo della coltura e col pi'evalere delle let-
tere, sempre più manifesto appare un fatto doloroso, su cui molti eru-
diti hanno richiamata l'attenzione del pubblico: le voci perdute vengono
surrogate bene spesso dalle corrispondenti letterarie ; e la sostituzione
si compie con tale e tanta facilità ora mai, che le naturali facoltà crea-
tive si direbb)éro quasi paralizzate, se le confrontiamo con ciò che erano
per il passato. In altre parole, la parte pivi genuina e preziosa dei dia-
letti, quella che può esser detta depositaria della vita e della storia
delle nostre regioni, si disperde e scompare a poco a poco, sopraftatta
dall'invadente letteratura. E vocaboli meravigliosi per purità, pei- evi-
denza e perspicuità e quindi per bellezza si staccano dalla memoria
degli uomini, piombando nell'oblio.
Chi dice più a Modena oggigiorno adracà per "debole, mal fatto di
corporatura „ ? Eppure, questa .splendida voce " adarcato, cioè : curvo,
come arco ., viveva, vegeta, sino a poco tempo fa. Ora è in procinto
di scomparire, di fronte alle intrusioni letterarie. E il vocabolo aìirvrl ^
' È singolare questo vocabolo in causa del r, che si trova bene nella
mia fonte (un vocabolarietto ms. del sec. XVIII), mentre ci si aspetterebbe
aliict. Cfr. frane, aloiivi, prov. alohit. Potrebbe essere che si trattasse di un
eiTore di copista. L'ital. ha allupato.
362 G. Bertoni,
" goloso „, desunto con vivace imagine da " lupo ,, non è foi'se ancor
esso scomparso? E se apriamo alcuni antichi glossari, esistenti mano-
scritti nella Biblioteca estense e vergati da mani dei secc. XVII-XVIII,
quante mai parole ci si affacciano ordinate secondo l'alfabeto, che sono
o perdute o invecchiate o che stanno per disparire ! Eccone qui alcune * :
anguanen, vitello d'un anno [efr. tose, uguanno, unguantio, e amnnotto],
che ormai non s'ode che nelle campagne; appiffiar, dare ad intendere;
arhuttin, ciabattino; arghensia, orgoglio; argutUirsi, rannicchiarsi; asioì,
fanciullo irrequieto; assaigà, nvàì fatto, sbilenco; attavanà, uomo incol-
lerito; araclgh^ delirio; avrodgh, acerbo; avanzón, maggese; halaran, ga-
glioffone ; bdscar, essere scilinguato ; begra (anche ora hrgra) ; hezìa, trave
piccola per i tetti; her^ cernecchio [cfr. Sciiiighardt, " Zeitschr. f. rom.
Pliil. „, IV, p. 126]; huja, lite, confusione; hiirdana, befana; hnrdnal,
grossa trave; cherchnela, moto disuguale; deiiia^ piega (endema); dnevd,
uomo svogliato ; dsmim, soverchia delicatezza ; elza, carretta per la neve,
senza ruote ; frangerla, burla ; fraza, brina grossa [ferr. fraza] ; gargan-
filli, vari ornamenti e impropri che le donne pongonsi talvolta sul capo ;
gargatton, gola, gozzo ; gherzola, allegria, eccitamento ; ghirigai, gran-
dezze, allegrezze; gliirra, cosa da niente; giavra, bufera; gorgia, alle-
grezza ; imhulgiar, intascare, cioè " imbolgiare „ ; inarniintirs, incorag-
girsi ^ ; mìicat, delicatuccio; mlichen, carezze; munzria, cosa da niente;
oriatiar, vagare; oxhnbox, scartafaccio; prizzar, cercare minutamente;
2)scoJa, vino sul fondo ; regn (star regn), stare contento a qualche ca-
rezza; sacAe», pulcino [che non à a vedere con sacm-^9i«?j«/to, pipistrello,
a Calvi, Corsica, Forsyth Major, " Zeitschr. f. roman. Phil. „, XVII, 158
e ScHucHARDT, ib. XXIX, 226]; sagradona, gran fame; sbarzolaj, tristo,
derelitto ; sburbar, urtare ; scagaborda, paura ; scalancoìi, ineguaglianza di
* Le trascrivo con la grafia che trovo nei vocabolari, senza emendamenti,
quando non ò potuto raccogliere la voce dalla bocca di nessuna persona
da me interrogata. È da notarsi che V -ar degli infiniti era pronunciato,
già al tempo dei nostri vocabolaristi e molto prima, -cir, mentre essi scri-
vevano -ar per influsso dotto. Rispetto anche qui l'antica grafia. E così
scrivo e, o, senza segno speciale, quando mi manca il corrispondente nel
dialetto moderno.
- L'od. modenese ha skmintirs, " sgomentirsi „, il cui -hit- è passato a
inarmintirsi^ " inanimirsi „. Si ha n in r per dissimilazione (moden. ««ma).
Per la storia del dialetto di Modena 363
piain» in una strada, o buco ; scadzar, beffare (scarhón, beffardo) ; acavìissoH,
pezzo di legno e si dice dei denti guasti; schi/ihìn. persona macilenta;
sconpiizl, uomo a cui nulla piace; sfalzou, bilenco; spndacc, fessura;
sgalliar, togliere, involare; sgamaiffo)/, pezzo di vincastro {sgamaittunar,
percuotere con vincastro) ; sgavdagnà, storto ; sguaitar, guardare di na-
scosto * ; sguarnì, guancia (sostituito da massèla) ; smareng {andar a
smareng), vagare oziosamente' ; spargujar, disperdere; spartora, ordigno
di legno, entro il quale s'impasta il pane: strahaìdar, disperdere;
surhlóìì, gofì'o; tolfa, astuto; tragondr, inghiottire; zancada, angolo;
zanr/iion, incivile; zarabigh, miseria estrema; zarzagìa, frammento di
veste logora; zirra, cosa da niente, ecc., ecc. *.
Questi e altri molti vocaboli, già scomparsi o sul punto di scompa-
rire, caduti ormai in disuso e al di fuori purtroppo del ristretto patri-
monio dialettale delle nuove generazioni, meritano attento studio e
e.ianie. Alcuni hanno il loro etimo evidente; altri possono dare occa-
sione a ricerche svariate. Mi sono jìroposto di illustrarli, come posso;
e ciualche saggio ho già dato nella " Zeit. f. rom. Phil. „, XXXIV, 203
e XXXV, 67. Ora, offrirò qui allo studioso alcune nuove noterelle, alle
quali altre farò succedere in questa rivista o altrove. E non mancherò
di registrare talora alcune voci ancor vive, che mi paiano degne di con-
siderazione.
Ago'in. Voce scomparsa*, con lo scomparire della cosa. Era,
Vcxjohì, una piccola moneta, cioè T'" aquilino,,. La parlata mo-
derna non à, per aquila, che la voce letteraria; ma l'ant. mo-
' D'origine non modenese, ne emiliana, in causa di if.
• [11 Banohikui (1626) cita anche come bolognese marengo, '" errabondo „.
Sarà da ramingo [P. G. G.].
^ Aggiungo : grenga, " orlo , ; gJtnen, " scimiotto „ ; paragiuiìit, '" regalo ,
(è lo spago, paragnante) ; sgraslar, " voce delle galline prima di fare l'uovo , ;
sghigna, " allegria ,. Queste voci mancano al vocab. del Maranesi.
'" Quando, nelle linee che seguono, si parla di voci scomparse o anti-
quate, senza indicazione alcuna, sappia il lettore ch'esse sono state attinte
ai ricordati vocabolari inediti modenesi del sec. XVIII esistenti nella
R. Bibl. estense (cod. Càmpori K, 1, 15 e " Arch. Muratoriano ,, filza 44, n. 22).
364 G. Bertoni,
denese dove avere il termine *aguia, attestato nell'ant. dialetto
di Bologna ^ Oggidì si sente àgola nell'Ap. emil., accanto a
aquila, e colà si anno nomi locali, come le Asolare, la cui base
è appunto : aqu(i)la. Da *agoia, aguia proviene agoìn, che rin-
vengo in un doc. dell'a. 1349 (" Arch, Not. di Modena „,
Memor., 1349, n. 44) : " libr. dosento di modenese in aghuini
" vedi „, e in un altro atto dell'a. 1384 {Memor., ad ann., n. 412):
" SI lasso a la Lena mia moiere fiola de Rigo di Omondo la
" dota soa chi è L. doxento d'agoint „. E più sotto: " si lasso a
" mia madre Madona Zecha fiola chi fo de ser Rolandim da Co-
" stregnan la dota soa chi è L. cento d'agoiin „. Lo Zanetti cita
da un testo del sec. XIV gli aguglini ^ e Cecco Angiolieri ricordò
due volte (son, XLI e LXXVII, ediz. Massèra) l'aquilino ^.
Alino'v. E il grido che si ode nelle campagne modenesi quando
il 31 dicembre si brucia, come si dice, l'anno vecchio. Abbiamo
nel nostro termine nulla più che ani-nov, con dissimilazione di >i
ia l, e con un -/, che è assai interessante. Cfr. tose, capi-f-uoco.
Brof, -a, voce contad. per " amoroso, -a „. Si sente accanto a
mrof e qui non è citato che per l'occasione, che offre, di met-
tere in evidenza un bel caso di epentesi di h tra m-r (moden.
amhrq'f' , anibrólla (^= *amrolla, midolla, con "-d-^' in -r- ■* come
in ant. bologn. e march, marona), piac. canibràs, cani erare -j- se),
con successiva perdita di ìh all'iniziale (in quanto Va- cadde
perché si agglutinò all'articolo nella forma femminile). Il ter-
mine hrqf va, dunque, con il pur moden. hrenda {= mhrenda,
mrenda). Da notarsi è anche, in questa voce, lo scadimento
* C. Ricci e Bacchi della Lega, Diario del Nardi, p. 187.
^ Zanetti, Monete e zecche d'Italia, Bologna, 1779, T. II, p. 418.
^ 0 discorso di agoìn in Rev. de dial. roin., Ili, 184 ; ma ne ò parlato colà
troppo brevemente.
* [Forma italica? P. G. G.l.
Per la storia del dialetto di Modena ^!6.^
dell'o protonico. Si vedano: 1'ia(;noi,i. Foììef. /k/dh., p. 40; Ma-
LAGÒLi, Dilli, di XovelL, p. 91, e il mio Dinl. di Modena. § 82
(p. 35) '.
Amonovar. preparare. Questo vocabolo si trova in una lauda
scritta in un cod.. che porta la data del 1B77 (" Si' se de' nnw-
' Ji § 82 del mio lavoro giovanile sul dialetto modenese (lavoro alquanto
iuiperfetto, ma non inutile) potrebbe essere facilmente arricchito con
altri casi di dileguo, come cròi, cercine; póin dógn (= Icdugn). cotogno;
knósser, conoscere, ecc. Questi sono esempi già conosciuti, grazie ad altri
studiosi. Si aggiunga fguzz, " uomo ardito, lesto ,, che rinvengo negli ant.
vocabolari, dalla base foai. Mi sia lecito, poi, citare la forma tnós.^er,
accanto a knóssct-, con un k- in t- dinanzi ad n, come avviene, dinanzi
ad »ì. in moden. tméiii. Né voglio trascurare di avvertire che una storia
degli incontri consonantici nelle varietà emiliane, sarebbe quanto mai
preziosa e ricca d'insegnamenti. Non è qui il caso d'insistervi; ma non
v'à dubbio che alcune risoluzioni meriterebbero d'essere definitivamente
studiate, come apparirà dai seguenti cenni, pei quali mi valgo delle
osservazioni di chi mi à preceduto. P] per cominciare con una gagliarda
risoluzione, ricorderò il mant. àvida, pipita (= ^hrida, *pvida). ove abbiamo,
in fondo, lo stesso fenomeno (cfr. Ascoli. Arch. 11, 402, che cita il romgn.
dhu (== b'ru) e dbeTi da ft'r-, *v'r-, moden. bdeù) che troviamo nel carpigiano
dinnèl, piccolo imbuto, accanto a bvinèl, grande imbuto da botte. Dato un
sV/, in moden. si ha spesso la metatesi, mentre in bologn. si attiene la ri-
soluzione g (p. es., moden. dfmi'fdeg, d/miudgav. l)ol. (jininfilì'v), risoluzione
che è parallela a quella di e per z (ì). Tuttavia, in un caso, per lo meno,
il moden. à g, come il bolognese, cioè in giva (= *d''/'iva, diceva), boi. geva.
Ma si à sempre a Modena fdgrazia, non mai ggrazia (Bologna). Interessante
è anche nel modenese yV- in sf, sia in sferna, già conosciuto come un vero e
proprio sverna, foraggio invernale (" Krit. .Tahr. „ IX, 117), sia nel n. pr. Sfera
" Severi „. Da avvicinarsi a questo fenomeno è naturalmente spr- in .*/"?•-
in sfronhatù (a spron battuto), " di corsa „. Ad età tarda (posteriore, ad
ogni modo, di molto a ci da ti) è da ascriversi rt'l in ri nel sost. marletta,
saliscendi dell'uscio ,, come credo, da *niartelletta, se non forse da menda,
come da altri si è pensato. Diffìcile è decidere fra le due ipotesi.
Tornando all'epentesi, dirò che l'incontro di m-l non dà luogo a nessun
fenomeno Cfr. modenese inh'iun, melone [mentre gr. flÀojcjy.oj (= fiÀojay.o))].
366 <i. Bertoni,
nocare „) ^ ed io mi domando se non convenga correggerlo, sen-
z'altro, in amanomre, poiché V-a- par garantita dall'ant. moden.
amnnva'r " preparare „. Nel Vocah. portatile ferrarese-ital. di
F. Nannini (1805) si legge, a p. Io-i: " marnar [voce del con-
tado], apparecchiare, allestire, ammannire, apprestare „. L'etimo
è quello di " ammannire „ cioè gemi, manvjan, divenuto *{«/«)-
manevire (con e inserto, mentre nv = nn in toscano) e poscia
*amanovire, *amaìiovare (di qui il nostro amonovar con assimi-
lazione, se non si voglia ammettere la correzione proposta) e
poscia amanva'r -.
Ancjne, plur. anni. Cito questo vocabolo che trovo in un do-
cumento della prima metà del sec. XIV ^, perché è un bell'esempio
di -a (da -nnj) ; oggi si dice an per influsso del singolare, più
usato, e della forma letteraria. E invero rimasto pan {=-- panni)
nella parlata attuale, per la ragione ch'esso era ed è spes-
^ È il cod. dei Battuti di Modena, da me edito nei " Beihefte , della
" Zeit. f. rem. Phil. „, n" XXI.
'■■' [Io penso che amanovar sia la riduzione a fonetica letteraria A^Wamani^ar
dialettale. P. G. G.].
^ II documento è dell'anno 1330; ma si trova inserto in uno latino del 1340
{Memoriale dell' Arch. Notarile, a. 1340, n" 1469): "In Mile trexewto trenta
" die undexe de zugno eo Nicolo tiolo chi fue de meser Andrea bom de la
" contrada de santa maria madalena confesso ch'e ò apudo e receuuto da
" Andrea de la Mol^a da Modena fiorin doro quatromilia per caxom de depo-
" sito e per^o prometo eo Nicolò per mi e per le mie herede al dito Andrea de
" rendirli li diti fiorin fin a dexe a n g n e proximi chi denno uignere pa-
* gando per anno per rata fiorin quatrocento fin a eonipie pagamento suto pena
" de uinticinque fiorin per cascum termine ch-ello uolexe et eo no atendexe zoe
^ de darli li dtcti dinari e perfo eo si obligo tuti li mei ben mobili] et i»Mmo-
" billi se questa scrita no sta ben eo prometo de cun^arla al seno del sauio
" soe. Eo Nicolo soure scrito confesso che la dita scripta e bem scrita de
" mia man sÌ9elata del meo sÌ9ello co» eira uerde e de questo si è teste-
" monie Guido ^wondam ser Bondi de la capella de sancto Archa[n]9elo da
" Bolongna e magistro .Jacomin fiollo de Rigo da Monformoso da Uer^e de
" la capella de sam Doni et Peyolo di HomeijO da Reyo et al. ,.
Per la storia, del dialetto di Modena 867
sissimo usato al plurale. I pan indicano, infatti, nella forma,
plurale, 1'" abito „, il '' vestito ., . Si cfr. aucora ant. nioden, laa,
burattino, cioè lanni, sempre per influsso di un i.
Arami)-. Voce antica, non pili in uso, tradotta per " captare „.
Questo vocabolo è assai prezioso, perché è venuto alla lingua
parlata dal linguaggio dei tribunali. Non lo credo, però, indi-
geno. Credo, invece, che rappresenti un ant. frane, prov. raniir,
aramir (eatal. aremir): ma non saprei opporre argomenti deci-
sivi a chi volesse derivarlo dirottamente dal gemi. ìiramjaìi.
Xel francese, questo verbo si presenta con accezioni diverse :
" garantire, affermare con giuramento, assalire in un duello di
giustizia e assalire in generale ,,. La bataille araìiiie fu dapprima
la '• prova del duello ., e poscia divenne, per generalizzazione,
la battaglia, senz'altro, aspra, feroce. Si capisce perciò, dal
punto di vista semasiologico, che gli antichi vocabolaristi ab-
biano dato ad aramir l'accezione, alquanto indefinita, di " cap-
tare , K
Arhittiìi. Voce antica: ciabattino. Si collega, forse, col triest.
rihoto ('■ forte di suola .. terni, dei calzolaj, Vidossich, '' Zeitschr.
f. l'oman. Philol. „, XX VII. p. 749) al verbo " rivoltare ,,. Si noti
che gli antichi testi modenesi del sec. XVI ìmno hotfa per
" volta ., -.
' [La difficoltà del significato scomparirebbe colla ipotesi della continua-
zione diretta. V. Fick-Tori- s. hram: " ost fries. remmen franimenl ' fest-
binden ', ndl. reitimen ' hemmen sperren \. P. G. G.j.
- [Reboto è assai diffuso nel nord-est d'Italia e vuol dire non " forte di
suola, ma, per dirla col Pikona s. ribòtt, " quel pezzo di cuoio a mezza-
luna che si pone dentro o fuori della parte deretana della scarpa o .stivale,
in corrispondenza del calcagno „, oppure coU'Ungarklli s.arbùt " quel pezzo
di cuoio che veste internamente il quartiere della scarpa fino ad una certa
altezza,,. Al mio paese, Lussinpiccolo d'Istria, si dice r/fto^rt. Ora a Ferrara,
secondo il Feuki, arhòla vuol dire topixi ; il passaggio da toppa a " forte „
368 Ct. Bertoni,
Argliensia. Voce antica: " orgoglio „. Deve essere nient'altro
che argój, orgoglio (gemi. i(r<jdli). mutato in argensia (leggi: -sìa)
con sostituzione di -enzia a -oj. Si pensi al pur raoden. skifénzid.
schifo.
Asiól, fanciullo irrequieto. È il senso che a questo termine
è dato dai vocabolaristi del sec. XVIII.
Il vocabolo non à più nell'odierna parlata il senso datogli
dagli antichi glossari. Dirò anzi che oggidì afiól è adoperato
soltanto nella locuzione aver V afiól " non fermarsi mai „. Ma
TEmilia conosce bensì afiól col senso di " vespa, tafano ,. (Nigra.
Bomania, XXXI, 511), e noi possiamo facilmente credere che al
significato di " fanciullo irrequieto „ abbiano insieme concorso
la prima locuzione e la seconda accezione qui registrata.
Oggidì dicesi comunemente afì (bologn. afei. ven. afégo). che
à piuttosto il senso di " frenesia „ e che verrà da un "^aslli/i
(boi. e ven., da.asllÌH combinato con aquiliu, cfr. Salvioni. " Arch.
glott. „, XVI. 599), mentre afiól sarà stato il rappresentante di
un afiliolu. Piuttosto che indugiare su questo vocabolo, studiato
già dal Nigra in un articolo che lascia poco da spigolare ai
successori, converrà richiamare l'attenzione dei lettori sopra
un'altra voce registrata negli antichi vocabolari e degna d'es-
sere qui messa in evidenza per affinità di significato e anche
per non udirsi ormai più. Si tratta di attavanà (da tavàn, tafano)
che ebbe il senso di " uomo in collera, veemente „. Si capisce
di leggeri come e perché.
Béqa. ape. La voce héga non si rinviene nei testi antichi, nei
non solo è ovvio, ma in Toscana questo pezzo di cuoio si chiama effetti-
vamente " toppone „, V. Pktrocchi. Onde arbutin vorrebbe dire " rattoppa-
tore di scarpe ,. L'ipotesi è pienamente confermata dal fatto che a Parma
arhotf significa ' scarpa rattacconata „ e c'è anche il verbo arbotear " rat-
tacconare , (Malaspina). L'etimo di rebofo, -n appare, dunque, tutt'altro.
P. G. G.].
Per la storia del dialetto di Modena 369
quali si trova avifta (Lancillotto) o anche av (pron. de). La nostra
regione rispondeva i)erciò. in antico, alle condizioni a cui sono
rimasti molti dialetti; aveva, cioè, come molte parlate setten-
trionali e centro-meridionali, la base ape, {-a) : settentr. av, èf
(Flpjchia. " Arch. ... U. 36, n. 1). sardo: <(be, sicil. la}>a, ven. ara
(cfr. (tpa e lapa nel " Tosco- venetianischer Bestiari us „, edito da
Goldslaub e Wendriner, p. 18), lomb. contad. appia, lapjna, ecc. K
Notiamo ancora che all'alba del sec. XVIII esisteva ancora in
moden. ar ((Vi-), perche il glossario di E. P. Gherardi registra
ancora: al ìeugr (da " locoro ., ricavato da " locora „) doc egl
av fan al md, melario. Questa constatazione non è priva d'im-
portanza, perché ci permette di concludere che héga è un voca-
bolo di tarda formazione, e tale da doversi ricongiungere con
un termine romanzo e da non derivarsi direttamente da una
base latina "-. Non ò improbabile che esso, prima di soppian-
tare del tutto la forma legittima av, abbia avuto a sostenere
con questa una lotta (le cui fasi ci sfuggono) ■', già finita, ad
* Anche a Mn^gia : ava (" Arch. „, XIII, 332). Da " ape „, con suffisso,
si ebbe avitto, e con altro suffisso : piem. avija, coni, arie, novar. aviyji,
valin. viffa, tose. 2^e'cchiu. Anche ape, adunque, come altre parole, ebbe bi-
sogno di un suffisso per sottrarsi alia naturale erosione a cui vanno soggetti
i vocaboli di una sola sillaba romanza (cfr. frane, soleil, rermeil, corbeil, ecc.).
Inutile ripetere (ho già discorso di questo fatto nel mio lavoro Denom.
dell'imbuto, Modena. 1909, e vedi ora sopra tutto Schuchakdt, Cose e iniì-ole,
Congr. di etnogr. ital., 19-24 ott. 1911. p. 4) che il suffisso non dà . al
vocabolo il valore di un diminutivo, ma va considerato come un'aggiunta
per salvare il vocabolo dalla precitata erosione, causa di disparizione. 11
suffisso, in simili casi, è spesso un'aggiunta romanza, come nel frane, essette,
ape, ove -ette fu aggiunto ad es, che ancor vive (Pas-de-Calais e altrove) a
lato al prov. frane, aheille. Vedasi ora, per le forme romanze di " apem ,
.Jdd, in ' Arch. f. d. St. d. n. Spr. u. Lit. ,, CXXVll, 418.
* Vedasi il mio articolo: Per la geografia lingmstica,ìl[o(\ew.\,\^l\ (M)ep.
di St. P. ,, voi. VII).
■' Questa lotta era cominciata, per lo meno, a tempo del Muratori, perché
.sebbene i vocabolari da lui posseduti registrino ar, è certo ch'egli conosceva
anche bega (Cfr. Antiqu. ital. diss. 33, s. Bigatto).
Archivio glottol. ital., XVII. '25
370 G. Bertoni,
Ogni modo, al tempo del Galvani, il quale unicamente cono-
sceva héga.
Come accade quando un nuovo termine riesce, per varie ra-
gioni, a scacciarne un altro di nido, il genere di quest'ultimo, se
ciò sia possibile, passa in eredità a quello. Di qui risulta che
héga altro non sia che un heg, baco, usato nella forma femmi-
nile {bega), di formazione romanza, a sostituire àv o dea. Il pro-
blema etimologico va imperniato perciò, a mio parere, su Mg
e non già su héga ^ E a questo proposito, nulla si potrebbe
fare di meglio che rimandare ad alcune lucide pagine del
Flechia, " Arch. glott. „, II, 36 sgg., nelle quali, con molte e
buone ragioni, si propone, a spiegare heg, la forma *bombex, da
porsi accanto al gr. homhyx.
Col nostro héga, siamo adunque dinanzi a un caso di abban-
dono etimologico; e non sarà inutile ricordar qui che la sosti-
tuzione è stata diversa dal modenese, nel parmigiano, dove
si à: vrespa, ad indicare l'ape. Altre sostituzioni : in certi luoghi
della Francia, sopra tutto della Francia orientale, si ha monche
à miei, o anche moìichetfe, mourJtofte (nel Nord : ntouche à laui o
à Ioni, ovvero bourdoti, oppure essaim, sciame, il tutto per la
parte) e in rumeno: albina {da, alrus, alveare, Puscariu, Wb. 59).
L'idea di " baco ., poteva facilmente estendersi, oltre che al-
l' " ape „, ad altri animalucci, qualora un suffisso o un qualsiasi
altro segno distintivo fosse venuto ad impedire ogni confusione
tra i due o più oggetti. Cosi, a Modena, il grillotalpa è chia-
mato bega zucchera e a Parma è detta bèga mora la " xilocopa
violacea ,, e héga jdousa la larva della " litosia carniola „ ^
^ La forma va tenuta distinta dal prov. beco, sia che si accetti per esso un
etimo celtico (Meyer-Lììbke, " Zeitschr. f. rom. Philol. -, XXIX, 403) o meglio,
come a me pare, l'etimo dello Chabaneau (lat. w.s/>«), Gramm. lini., p. 116.
^ Interessante è poi la voce bixati (lomhrixi ouero bixati), da una forma
di. plurale, che trovo nel ms. ital. 2151 (Re Daxco, Natura di falconi) deUn.
Bihl. Naz. di Pariori.
Per la storia del dialetto di Modena 371
Bìiì'dana. befana. Sulle vario denoiiiinazioiii della Befana si
potrebbero fare utili o curiose ricerche, cosi su ((nelle derivanti
dalla base greco-lat. Epifania, come sull'altre di origine diversa.
In pili luoghi dell'Ap. euiil., dicesi Buffatjua, che altro non sarà
che epifania (con / in a certo per influsso labiale), e in altri luoghi:
Befania e befana. La stessa base abbiamo negli engad. Bavani
e Boagna e in prov. lìnfaìiia e fi', (a. lor.) Bruvenie. Notevole
è poi che il provenzale abbia hroìifoioìii', bn'foKni/', boufanié, gri-
founìé " biuit de la tempète, mugissement de la mer agitée
(Mistral) ., , forme che sono state acutamente spiegate dal
Thomas, Mèi. d'éfgm., p. oS, movendo dalla medesima base, e
che ricordano le feste rumorose dell'Epifania, non ancor morte
oggigiorno.
Il nostro bardana à altra origine. Si riannoda, cioè, ad un'altra
base, i cui derivati nei parlari dell'Emilia e della Lonibardia
anno il senso di " spettro, visione, apparizione „. Nel moden.
borda à il significato di " larva „ e di " Befana ,, (Galvani);
in milan. bordoeii vuol dire: orco, befana, ecc. Curioso è poi
che, con altri suffissi, si abbiano denominazioni per animali,
come milan. bordoc, baco da seta, tic. burdaca, lombrico, bologn.
burdigon, moscone. In piacent. bordlein significa " piccolo fan-
ciullo „, quasi " diavoletto „. Ricorderò infine il lomb. borda,
maschera, e l'ant. moden. scagaborda, paura ^
* [Sono voci diftu.se in una zona assai larga. Bordello, ragazzo, è sconfi-
nato anche nel contado pi.stoiese (Petrocchi), hnrdel è dato per il romagnolo
dal Mattioli, e m'è noto come proprio della Romagna marittima (Viserba^
della Rom. del piano [bqrdel) e dell'alta Romagna toscana (S. Sofia, bordfì).
— Superfluo ricordare l'ital. bordello e il ven. bordel. — A Bologna s'à
barda, spauracchio. Orco, Befana (Ungakelli"); dall' Apennino bolognese
(alta vaile del Lavino) m'è noto borda, spauracchio di bimbi e propriamente
la donnola ; bQrda, Befana, spauracchio, è dato dal Mattioli anche per la
Romagna. P. G. (t.].
372 G. Bertoni,
Burdnal, " trave „. Si trova nei testi modenesi del sec. XVI
ed è registrato anche nei vocabolari del sec. XVIII. Siamo di-
nanzi a una derivazione da burdus =^ " asino „, da mettersi ac-
canto al bergam. bordunàl, burdunàl, " alari del fuoco, sostegni
delle legna nel focolare „ : cfr. piac. brmdnal, com. brendenaa,
piem. brande e vedi per queste formazioni, Richter, Die Bedeu-
tungsgeschichte der roinan. Wortsippe " bur{d) „, Wien, 1908, p. 10.
Il passaggio di senso da " bestia da soma „ ad " oggetto che
porta, sostegno „ , non è tale da stupire nell'ordine semantico.
Ricorderò il frane, sommier, che à appunto il senso di trave,
soprattutto in vallone piccardo, normanno, ed è passato persino
nella lingua letteraria e rimanderò il lettore alle ricerche del
Meringer sui nomi del " Feuerbock „ (" Indogermanische For-
schungen „, XVI, 136) e dello Jud sul frane, poutre C" Arch. f.
das Studium d. neueren Spr. u. Lit. „. CXX, 1908).
Bufgàt, majale. Al vocabolo modenese (e ferrarese) conviene
mettere accanto, com'è naturale, il mantovano bofgàt, vene-
ziano busegdt, majale. Siamo dinanzi a una voce formatasi col
suff. -aftif, usato soprattutto in nomi di animali (p. es. cerbiatto,
lupatto, orsatto. ecc., Meyer-Lììbke, R. G., II, § 506), sicché bufgat
sarà un hif-{i)c-att{ó). La base del vocabolo avremo conservata
nel prov. e fr. bouso, -e (piem. busa, sterco) e un primo derivato
sarà bousic " ver de terre ,., e poi bousigà " fouiller la terre (en
parlant des pourceaux) „, bousigadou, " groin de porc ... Il piem.
à buseca " budellame di animali „ e buse " letamaio „. L'Italia
settentrionale à poi bufigàr -dr, in cui sentivasi, per lo meno
in gran parte del Nord, la parola buj] bufo, buco. E hifigàr è
rappresentato in Toscana da bucicare, bugicare (che proverranno
dal Nord), e infine bugigattolo.
Crém, radice piccante per salsa. Va col piem. creìt e non è
altro che il ted. kraen, che è passato anche al francese.
Cròi, cercine. Voce antiquata, ancor viva nelle campagne. E
Per la storia del dialetto di Modena 373
un bel continuatore di ^corolliunt, dal quale potrebbesi ora to-
gliere l'asterisco, perchè la sua esistenza è attestata dalla forma
greca y.oQO?Mov. rinvenuta recentemente nei papiri greci egi-
ziani da C. Wessely, Die latein. Eleni, in der GraziUit der dgyp-
tischen Fapirusurkunden, in " AViener Studien „. XXIV (1902),
p. 99 sgg. Il senso dove essere quello di " piccola corona „.
Cfr. coroijlio, coruoylio e vedine ora Pirson, Krit. Jahresb., VII,
(I), p. 61. • •
Elza, carretta per la neve, senza ruote. Voce scomparsa. Pur-
troppo i vocabolari non ci dicono nulla sulla natura di e-, sicché
non potremmo sapere, sulla loro unica scorta, se esso rappre-
senti un a (che volge pure a a seguito da Z -|- cons.), ovvero
un e. Tutto ciò che si potrebbe dire, si è che esso non continua
un e, perché in questo caso i medesimi vocabolarietti settecen-
teschi hanno ei (p. es. beiga ziiccherd, " grillotalpa „).
L'ipotesi che il vocabolo si riannodi al ted. hals (cfr. aussière
in " Dict. gén. s. hauss. „). con intromissione di " alzare „, va
scartata. Meglio pensare che si tratti di helriuìn, -d (per gli
ital. ahaia. (dzana, " corda da tirare alla riva il battello „,
cfr. Salvioni, " Zeitschr. „. XXIII, 516), sul quale la voce " al-
zare „ potrebbe, in fin dei conti, aver fatto sentire la sua effi-
cacia. Ma, a ben guardare, l'etimo Jielciuni (si pronunci allora
cls'i) ' è il solo che si presenti accettabile. Bisogna ammettere
che in realtà il vocabolo adoperato ad indicare la fune sia pas-
sato a designare addirittura la carretta per la neve. Si cfr. il
romagn. pardyJiir (perticarius) per " aratro „. Abbiamo anche
qui un'estensione di significato da una parte al tutto ^.
^ [Che si tratti di originario è, è posto fuori di discussione dal boi. e ferr.
ìlza (Ungarklli e Ferreri); vive la voce anche nell'alta valle del Lavino
dove si à elza. P. G. G.j.
■ Nella ■* Cronica modenese , dello Spaccini, edita recentemente {Montim.
374 G. Bertoni,
Garù, gheriglio di noce. Voce che può dirsi antiquata e in
via di scomparire.
Di essa à discorso, con l'usata maestria, lo Schuchakdt in
" Zeitschr. „, XXIII, 193. Egli cita, insieme a molte altre forme
dell'Alta Italia (da ricavarsi da *carilium, *cariolum, *carolum,
*carellum) il regg. garù, il boi. garoi, l'imol. garei, il mirand.
garù, il moden. garóll, garói e gari'i. Oggidì la sola forma
usata, ch'io sappia, è garól, benché il Maranesi abbia accolto
anche garù nel suo vocabolario ^ Il più antico esempio di gcn'>'(
mi è dato da un inventario di farmacia, conservato nei " Me-
moriali „ dell'Archivio notarile di Modena, dell'a. 1327. In questo
inventario, la forma è stata latinizzata per garidu, com'è fatto
chiaro dalla frase (n. 93): " Decem et septem ììhrsis de gartitis
" de mandoUis „. La cosa meritava d'essere notata-, come me-
rita altresì d'essere registrato un altro vocabolo, per indicare
" malescio „, che rinvengo in un vocabolarietto manoscritto del
sec. XVIII e che non trovo nei glossari a stampa (Reggianini,
di St. Patria, XVI) si legge (p. 104): " tutte le lelze ,. Lo Spaccini appar-
tiene ai secc. XVI-XVII. In tale periodo viveva dunque, accanto a elza, la
forma lelza con artic. agglutinato.
^ Il mod. ant. garoi potrebbe essere una bella forma di plurale (sìng. garól),
dato che non venga da una base in -iu, passata al singolare (cfr. cavi, ca-
pello e fotti, fungo, cioè " fungio , come si ode nell'Appennino emiliano
[e in molti altri luoghi]). La voce guru si comincia a sentire verso Reggio
(Rubbiera). Il dial. bolognese ha anch'esso, come aveva il mod., il sing.
garoi. [Il boi. è propriamente garoiì che l'U. scrive garojj. La voce è pe-
netrata anche nella Lucchesia, v. " Arch. ,, XII, 129. P. G. G.].
^ Conosco due inventari di farmacia nei Memoriali, l'uno dell'anno 1305.
l'altro del 1327. Vi noto: eira {od. sira, cera); ?Jiro (od. pir); un " carnerius
de lana „ (od. laza, accia); un " libra Riquilicie „ (od. Lucrezia, liquerizia):
un " teragnol „ (od. tragnól, terraneolu-, vaso di terra cotta); un " doìdus ,
(od. cóld, chiodo); parecchie " zangolle „ (od. zangìa) e un turtuì-oliis, imbuto
(oggi: bvitu'l), del quale ho già discorso nel mio citato studiolo: Denomin.
delViinì)uto nell'Italia del Nord, p. 9.
Per la storia del dialetto di Modena 375
Galvani, Maranesi) : (/aì';/((Jóìi, su cui è da vedersi ancora lo
ScHUCHARDT, " Zeltsclir. ... XXIX, 324.
(rlterzola, allegria, buon umore. Termine ormai scomparso.
Questa voce è anch'essa unicamente registrata, ch'io sappia,
nei lessici del sec. XVIII. Va col verbo arghia'r, eccitare, lomb.
(lìit'r:/ir ^ con uguale significato (a. alto-ital. agrecar).
Si ttatta d'una formazione col suffisso -olii e il significato
sarà di " piccolo eccitamento „, quindi: " allegria „. L'antico
lombai'do aveva agrt-ro (" Ardi. gì. „, XII, 885), col senso di
" ressa, impeto .. Per Ver di (jheriola (si può con tranquillità
scrivere ^- -). si confronti ferzos. a lato a freza, nell'ant. mo-
denese (testi del sec. XVI).
(rrannnarh/h, " uom che per piccola cosa si corruccia „. Voce
scomparsa. E evidentemente il lat. (jrammalicKS, sui cui riflessi
à dissertato di recente lo Schuchardt, " Zeitschr. f. rom. Fhil. „,
XXXI, 8-51. In testi pavani, gremega è " irata .. (" Arch. „,
XVI. 306) e nelle Egl. trevigiane abbiamo Me gremeghe '" queste
pettegole „ (op. e 1. cit.) ^.
Incaììocdr, mangiare avidamente. E un derivato di " canna „ nel
senso di " gola „. ormai scomparso. Proviene da in-cann-occ-are.
Qui mi sia lecito aggiungere qualche parola su canna e in questa
occasione sulla voce ferr. canaca. Questa voce si legge nell'in-
ventario del corredo da sposa di Anna Sforza (1491): '• La 111.™*
*• M.' Anna di hauere che portò da Milano tucte le infrascripte
" zoglie perle zuielli <-anache colane ut infra „. Occorre chia-
' Cfr. ora Salvioni, Romania, XXXTX, 436. Negli antichi vocabolari trovo
anche aghi-zar, senza metatesi. Attribuisco la medesima origine al lomb.
(jhrezà, eccitare, che trovo in Zaccaria, Elem. gemi., p. 555. Zaccaria pensa,
senza ragioni convincenti, a una derivazione dal germanico.
- [Infatti la voce che è viva nell'alto Lavino è colà sgarrala- P. G. G.].
•' 11 pist. à ancora gramatico, * elegante „. E per altre derivazioni da
gramatica, vedasi Sciutiiaudt. op. cit., p. 11.
376 G. Bertoni,
mare a consulta i seguenti vocaboli, con i quali il nostro ter-
mine è imparentato: napol. cannale, " collare „ e " collare del
campano „ ; abr. canacche, " collana „ ; lomb. ven. trent. cana-
vola, cannóola, candida, canavra ; bresc. trent. cammgola, " col-
lare da pascolo „. Siamo, come à visto il Nigra, Nomi romanzi
del collare degli animali da pascolo, in " Zeitschr. „, XXVII, 129,
a una base " canna „, che ebbe ed à realmente il significato
di gola (cfr. ital. tracannare, calabr. cannarotu, ghiottone). Sol-
tanto bisognerà ammettere che i suffissi siano diversi e cioè:
1. Suff. -ale: napol. cannale (cfr. ital. bracchiale).
2. Suff. -bulli: cannatola, cannaola, cannagola. ecc. Quanto
all'alternativa di v e g, si confronti biscia-bora " ad arco di
serpe „ (su cui ancora Nigra, " Arch. glott. „, XV, 295) e ant.
moden. biscia-boga (vocab. del sec. XVIIl) ^ Da un cannaoola
derivò, parmi, il canava " collana „ dell'Inventario del Palazzo
Piccolomini (sec. XVI) per via d'un raccorciamento, forse perché
-ola fu preso per il suff, -uhi. Del resto, la voce dove viag-
giare con la cosa e sarà, in più luoghi, un termine importato.
3. Suff. -accu : a. ferr. canaca ; abr. canacche. Su questo
suffisso -accu, si cfr. Meyer-Lììbke, Rom. Grani., II, § 499, il
quale scrive: " zweifelhaft ist, ob auch ein -accu, {-eccu, -occu,
-uccu) anzusetzen sei „. Ma il -e- attesta bene in canaca il
suff. -accu (e non -acu). E lo stesso suffisso che si à nel moden.
skirac, " scojattolo „ e nel ferr. travaca, ital. trabacca. Cfr. anche
HoRNiNG, " Zeitschr. „, XX, 336.
Curioso è che il nostro inventario registri, accanto a canaca,
un " collane „, che ne è, come a dire, la traduzione. Ciò può
* Questo boga presenta un problema, perché, foneticamente parlando,
potrebbe derivare àiinnhauga, "' anello , (Bruckner, " Zeitschr. „ XXIV, 65),
ma trovandolo insieme a " biscia „, meglio vale pensare alla forma lat. boa,
bora, ' serpe „. Non è improbabile che la derivazione tedesca valica per il
Per la storia del dialetto di Modena 377
far pensare che anche a Ferrara il vocabolo non sia stato indi-
geno, ma sia venuto con l'oggetto ^ Tuttavia, su ciò non con-
viene insistere, per le molte dubbiezze, in cui ci si trova avvolti,
per mancanza di dati.
4. SufiF. -occK. Ant. modcn. incanocdr, di cui si è già
parlato.
Lénca, qui vicino, qui presso. Voce ancor viva nelle cam-
pagne: spiegata (Salvioni. " Kom. „, XXXVI, 230) da *ilU)ì<iue.
La ricordo per aver occasione di citare il franco-prov. enqua
(liTnqne), che va con la voce modenese e con parm. krnka,
!r>ìca.
Linzdr, tagliare. Vocabolo ancor vegc^to oggigiorno.
Il crenion. à nhizà, " tagliare ., e il mant. nizzàr. La base,
come vide già il Mussafia, Beitrac/, 1()9, è initiare, con un lo-
gico trapasso di significato. Con ìùzzà, ninzìir si connette limar
lomb. boghe, "catene,, che abbiamo anche in Villani: bove, catene dei
piedi. E può essere che le due forme si siano fuse insieme, dando luogo
cosi a un onieotropo. L'ant. fr. ha bau, "braccialetto ,, certamente da una
forma germanica.
^ Del viaggiare dei vocaboli, con le cose che designano, da un luogo
all'altro, il linguista (è cosa ormai da tutti riconosciuta) deve fare gran
conto. Mi si consenta di riprodurre qui le seguenti linee dello Juu. alle
quali non si può non sottoscrivere: ''Die meisten Monographien lebender
■* Mundarten fussen in ihrer Darstellung auf dem Prinzip, dass die Laute,
" Formen und Worter das Produkt einer bodenstiindigen ununterbrockenen
" Eiitwicklung vom Lateinischen bis zum heutigen Tage darstelien. Wer
"" beobachtet, wie gewisse Lauterscheinungen wandern, wer vor allem in
" der Wortgeschichte der Wortwanderung auf Schritt und Tritt begegnet,
" wird nicht iimhin dazu kommen, dcm Prinzip der autochthonen Ent-
■" wicklung schwere Bedenken entgegenzustellen. Jedes Wort solite, bevor
■* ihra in einer lautlehre Aufnahme gewilhrt wird, genau auf sein Alter,
" scine Verbreitung, scine Geschichte, scine Bedeutung gepriift verden ,
C Revue de dialectologie romane „, II, p. 106). Parole giustissime, non v'à
dubbio; ma quanto di rado e attraverso a quante dif6coltà si può mai
tracciare la storia di un vocabolo !
'ola G. Bertoni,
nel quale avremo un n- in l-, ovvero, se meglio piace, un "^inziir
munito di un /- prostetico dovuto al pronome ille usato con le
forme di 8=' pers. Cfr. piacent. leimp = " implere „ e moden.
lansdr, ital. ansare. In quest'ultimo esempio, /- potrebbe venire
dal sost. lans " ansimo „, ed essersi, in fondo, propagato al
verbo dal sostantivo con l'articolo concresciuto. Si tratterebbe
di uti influsso esercitato sul verbo, a sua volta, dal deverbale '.
Aggiungo che gli ant. vocabolari danno anche lem " inconìin-
ciato a esser rotto „.
E giacché sono a parlare di initiare. mi si conceda di dire
che non mi pare accettabile la base mifiii per ììézz. Negli an-
tichi vocabolari nezz si trova adoperato per indicare i frutti
guasti nell'espressione madur nezz e a me sembra molto pro-
babile che iiézz debba il suo n- a una dissimilazione, per trovarsi
originariamente dopo madur. S'io ò ragione, bisognerebbe ritor-
nare alla base mitÌK ^.
Ludreft, imbuto. Voce scomparsa a Modena, ma ancor viva
' Credo, infatti, che il mod. latifi sia un deverbale. Non lo metterei, perciò,
col Meyek-Lubke, Roin. Efym. Wb., n° 5909. con ital. ansia, fr. ainse ecc.
da * anxia ,.
^ [Prendo l'occasione di dire che la difficoltà di riconnettere mezzo a
mitili per Ve si supera molto facilmente pensando che la forma volgare non
risalga al latino urbano, ma al rustico o all'italico, e non risalga a indeur.
niltio- ma a meitio-. Infatti, mentre nel latino ei si riduce ad I, nei dialetti
italici e nel Lazio stesso esso dà è: es. pel. rfes, " dives „, voXsc. deue, dirò
0 divae, se sepis si siqids, umbr. deveia ecc., e per il dittongo e per la dif-
fusione del vocabolo nella indo-europeità occidentale e quindi nell'Italia
antica ricordo l'acelt. inditli, moeth, " tener „. Né offre difficoltà il suffisso
se si ricorre ad una forma rustica; mìtis apparterrebbe all'antica declina-
zione ijio e nel latino urbano sarebbe passato alla declinazione in -i-, nel
rustico a quella in -io-. Anche l'infrequenza del vocabolo in latino è un
indizio di rusticità ; altrettanto vale per il significato. Quanto al nesso
madur nezz ricordo il matiirior et mitior di Cicerone [Brut. 288) che dimostra
questo accostamento dei due aggettivi molto ovvio. P. G. G.].
Per la storia flel dialetto di Modena 379
nel reggiano, a cominciare da Kubiera. Serpeggia ancora qua
e là per le colline al Sud di Modena. Nel mio lavoro sulle
" Denominazioni doU'imbnto „, già citato, ò sostenuto che, data
la presenza di ìiidrì^tt a Heggio e della medesima base nel tren-
tino, e dato il vocabolo tìirturolus in testi del sec. XIV, occorre
ammettere che l'odierno bvinèl è di formazione recente. Xon
sarà inutile aggiungere che i glossari antichi (secc. XVII-XVIII)
ci fanno assistere alla lotta fra bvinèl e ludrUt registrando i
due vocaboli, come modenesi. Registrano, altresì, lodr d'oli, cioè
" otre da olio„.
Miarcìia, " acquerugiola „. Voce registrata negli antichi vo-
cabolari, poco 0 nulla usata oggigiorno. L'etimo ne è quanto
mai semplice. Siamo a un '" migliarina ,,, quasi: piccoli granelli
di miglio, piccole goccie d'acqua. Nel dial. odierno, la voce nii-
gli<tre)ìit è adoperata per designare i piti fini pallini da caccia
[che è anche dell'ital. migliarini o migliarola. G.J.
Mlichén, carezze. Vocabolo antiquato. Quanto all'etimo, penso
che esso sia germanico, forse m. a. ted. smeicheln, donde,
con metatesi, ^smleichen, cioè *smlicar, *mlicar. Per tal modo si
spiegano nilichen e nilicatt, delicatuccio, dato, pur esso, dagli
antichi vocabolari.
Xusanra, usanza, abitudine. Voce scomparsa (sec. XIV). Degna
d'essere notata questa forma, in causa del suo n- derivato sia
dall'articolo indeterminato una, sia da i» {in imaìira), sia infine
da una presonanza di -ii-. Essa si trova entro il pili antico do-
cumento in volgare modenese, che si conosca (1326) '. (^ui si
' t.,!ue.sto documento è ancora inedito, sicché non siiiacerà allo .studioso
ch'io qui lo riferisca per intero, per quanto non presenti fenomeni di <,^ran-
dissiuio interesse o novità {Memoriale, 1326, n" 3177): " A nome de deo
Amen. In mille . CCC . XXVJ . indictione nona die de Martedie XVIIJ . del
mese di Noue|^nijl)re. Miser frae petro de Rauarino de la cinq»((Htina de sancto
380 G. Bertoni,
ricordano alcune voci italiane come ninferno, nabisso, naspo, e
sopratutto il bologn. nuvvla, ugola (Gaudenzi, p. 33), e nebbi
michele. Et eio Nicliolo scr/pto de sota fiolo de dito frae Petro de uoluwtae
coHsentimento e cowmandameHto de quello frae Petro meo patre et chada
uno de nue in luto sewmo cowtenti e confessi auere abiuto e receuuto et
a nue interamente essere dae e numera in deposito e per chaxone de de-
posito da Ghydino fiolo chi foe de meser Ghyrardino da Trebanello libr.
sexanta de m. in una parte et in una altra parte libr. tressento trenta
de m. le quae tuta fate quantità de pecunia lo dito frae Petro et eio Nicholo
predito de uoluntae consentimento e comiaandiimeuto dello dito frae Petro
meo patre et chadauno de nue in tuto sollennemente obligandone a lo dito
Ghydino sen^a alcuna essen^ione de rassonne oe de facto per sie e per le
soe resse re9eua«do prometemo dare e restituire al dito Ghydino a ugne
soa uoluntae in la cita de Modena de Ferrara de Vinesia e de Verona
et in ugne altra citae e logo la o elio ne conuegnisse nue o alcuno de
nue. E renun^iemo alla e9ecionne de no auere abiu e receuuto interamente
le dite q«antitae de pecunia e chadauna de quelle e no auere prometue
le soura scripte et infrascWpte chonse tuta fate al benefficio de le none
fonstitu^ion alla pistola del diuio Adrianno et a ugne altro ayturio de le9e
de raxonne e de nusan9a. E per oseruare fermamente le soura scrtpte cose
tute si obligoe lo dito fra Petro et eio Nicholo soe fiolo de soe uoluntae
consentimento e cbomandamento e chadauno de nue in tuto a lo dito Ghy-
dino tuta fate gie nostre bene mobie et iwmobie. Fate e prometue fonne
le soura scr/pte chonsse per lo dito frae Petro et per mie Nicholo soe fiolo
de soa uoluntae e consentimento e cowmandamento in la citae de Modena
a la tauola d-An9Ìllino die An9Ìllino chambiatore presente lo dito An9Ìllino
meser Mateo die Bergon9Ìne e Cichino neuoe del dito An9Ìllino. Eio Ni-
chelio perdite fiolo del dito frae Petro nodare sichomo nodaro de uoluntae
e commandamento de quolo [V -o- è chiaro] frae petro le soura scr/pte
chonse tute promesse insemellemente a lue et in tuto e questa carta e
sc?*iptura scripsse cunt la mia man de soa uoluntae e cowimandamento per
ch'elio no sae le9ere ne scriuere e per malore ferme9a si 1-oe sagiellae
cum lo meo sagiello ut patet in instrumento scripto per Nicholaum filium
Petri de Rauarino not. ut idem Nicholaus et Ghydinus de Trebanello mihi
not. dix. Actum in pallatio Comunis Mutine pres. test. Mateo de SoUario
Petro de Sighicijs et alijs „. Nel " Museo lapidario , di Modena esiste una
lapide sepolcrale di Gherardino Trebanello, padre di Ghidino. Da essa
(n" CXXVI) si impara che Gherardino morì nell'a. 1320.
Pei- la storia dol dialotto dì Modena 381
(ebulus). per lasciar da banda il diffuso nescire. nuscire " uscire „
in cui Vn avrà diversa origine e perciò diversa ragion d'essere,
l^er queste forme di p.rire con n preposto, mi limito a riman-
dare al Salv., " Studj di fìlol. rom. „. VII. 78 e 238 e a ricordare
il luccli. nentrare. in qualunque maniera lo si voglia dichiarare ^
Per il vocabolo uusanra. si potrebbe anche pensare a un lusanra,
con l'articolo concresciuto, divenuto poi Nusioira per dissimila-
zione nella combinazione ì(t lunarini ; ma forse non v'à bisogno
di ricorrere a questa supposizione.
Pfjnon, mucchio di covoni. \^iene dal dial. rustico (ancor vivo)
p^gna. '* mucchio di paglia , (kit. innea), cosi chiamata per la
forma conica, che i contadini le danno, contro la neve e la
pioggia. Per la stessa ragione della foima dell'oggetto, l'en-
gadin. e il berg. anno i>iù<i " stufa „ e forse a pinea va richia-
mato l'ital. picpiatfa.
Pitacòja. " tiritera monotona e noiosa „. Tale è la definizione
del Galvani, sotto pittacòja (p. 371), ma la pronunzia è natural-
mente pitacòja, come è scritto, (ili antichi glossari danno invece
picatoja, " suon di voce noiosa e affettata ,, . Siamo dunque di-
nanzi a un nuovo caso di metatesi reciproca. Avevo pensato
dapprima che convenisse muovere da una radice picc- (cfr. frane.
picotei\ con diverso significato, si badi), intendendosi che i ri-
petuti e insistenti suoni della voce siano stati paragonati a un
picchiettio monotono e noioso. Ma l'isolamento, in cui veniva
a trovarsi il nostro vocabolo e insieme le difficoltà di spiegarlo,
mi davan forti ragioni di dubbio.
Preferisco la seguente dichiarazione, che riconosco soggetta
anch'essa a revisione. E noto il vocabolo tàccola, gazza nera,
proprio anche del Veneto ; e cosi' nel Veneto, come in Toscana,
' Regi.stro anche, per quel che può valere, il moden. narunz, arancio
'^ven. nar(tnzci\.
382 G. Bertoni,
usasi tacolàr{e), eoi senso di " chiaecliierare, cianciare „, Non è
improbabile che pitacoja rappresenti un incrocio, per così dire,
di pica e di taccola e risalga quindi un pitaccóUa, che propongo
non senza molta esitazione. Che i derivati di " gazza „ abbian
servito a rappresentare i concetti di " strida, urli, grida „, è
cosa che non sorprenderà nessuno. Cfr. frane, cajoler = jacoler
" crier comme un geai „ (Nigra, " Zeitschr. „, XXVIII, (U2) e
si pensi al termine modenese (di provenienza, quasi certa-
mente, lucchese) syajent (stridulo), da gaglia, gaja (emil. ga;a).
Frizzar, cercare avidamente. Vocabolo ormai scomparso. Sara
da *pretiare e si arriverà al significato di " cercare minuta-
mente „ attraverso a quello di " desiderare „. Cfr. in portogh.
precar " desejar „. Se il mio etimo è giusto (e confesso che mi
è impossibile darne un giudizio sicuro, trattandosi d'un vocabolo
cosi isolato), si tratterà di -zz- e non di -zi- e Vi rappresenterà
10 scadimento di e.
Ro'ra, rovere. È qui notato unicamente per presentare un tv-
in /'. Si confronti l'emil. lontéra da vlontera.
Séss, sterco bovino. È voce di tutta (o quasi tutta) l'Emilia.
11 Malagòli, Bial. di Novellara, p. 68, dopo aver cavato ziza
(siza) da suctiat, scrive: " Di qui probabilmente, anche sis
regg. ziss (Vocab.) " sugo di letame „. Cfr. dal lato semasiolo-
gico tose, succhio „.
Per me, non v'à quasi dubbio circa l'origine germanica di
questa parola, su cui è da vedersi Bruckner, Charakteristik der
gennan. Elem. ini Italietiischen, p. 11. L'emil. séss non deve
essere considerato, certo, cosi isolato; ma va congiunto col
ven. skitàr " imbrattare „ (detto del pollame) e scìnto " sterco
di gallina „. Cfr. scito nel Sidrac otrantino (" Arch. glott. „,
XVI, 68) e abr. scito, " diarrea „. Le forme col t, come à ben
visto il Bruckner, fanno pensare a una derivazione gotica
{;'^skeitan); mentre quelle con ss si palesano d'origine longo-
Per la storia del dialetto di ÌModena 383
barda. V. anche Schneller, Dk roitKni. Volksmund . in Sildfirol,
184. Tuttavia, il suono ò'- potrebbe servire ad appoggiare an-
cora un'ipotesi diversa: che cioè la forma emiliana risalga al
" mittelhochdeutsch ., cioè a un periodo in cui il nesso sk- era
del tutto scaduto a se. Dei vocaboli penetrati in italiano dalle
lingue germaniche, mi occuperò di proposito in un volume spe-
ciale, dedicato all'arduo soggetto. Mi limito perciò a questi
pochi cenni, che non anno altro scopo che quello di inhrmare
l'avvicinamento pi-oposto, del resto in forma dul)itativa e pru-
dente, dal Malagòli, cosi benemerito degli studi sui dialetti
emiliani.
Syangajol. pezzo di legno o di ferro. Voce antiquata, che
manca (come tutti i vocaboli qui citati) nell'infelice vocabolario
modenese del Maranesi. Che questa voce sia strettamente im-
parentata con ganyel ^= ganghero, è cosa che a me pare evi-
dente. Tuttavia, occorrerà spiegarne la formazione. Ganyel, come
l'ital. ganghero, proviene da *canehalus (gr. y.dyxaÀO(^), mentre
il moden. *sgangaj. donde sgangajol, non potrà venire che da un
*canchalius, cioè da un derivato col suff. -ius. ('fr. il pur moden.
pój (pulliu) e 2^iij'">i"-
Sileff, rottura o taglio sul volto. Voce antiquata. Quanto alla
seconda parte di questo vocabolo -teff, che abbiamo anche in
sberleffe " vestito slabbrato (ant. vocabolari) e schiaffo „, ricor-
derò il valt. k'ff. verzasch. liffión, ciarlone, gen. lerfu, labbra,
che si riattaccano direttamente all'ant. ted. '^'left\ leff'ur (" Zeit.
f. rom. Phil. -, XXIX, 343). E quanto al si-, credo ch'esso sia
derivato dal termine silàc, d'origine pur germanica (v. Zac-
caria, 440) e indicante pili ])r<)priamento (a differenza del vo-
cabolo italiano scilacca. " colpo, percossa „) il segno lasciato
dalla percossa. E non sarà male aggiungere che anche sgahuff
" schiaffo dato con la man rovescia „, registrato anch'esso uni-
camente dagli antichi glossari, potrebbe risultare dell'incrocio
384 G. Bertoni,
di due voci: buff (cfr. ital. buffetto) e s//a- derivato dall'antico
raodien. sgamaitonar " percuotere con vincastro „, il quale a sua
volta viene da uno sfjamaitón " pezzo di vincastro „, che trovo
pure nei citati glossari. Il pensiero ricorre al prov. gamait,
gamach, colpo, percossa, genov. gamaito, colpo, gamaitar, per-
cuotere (Flechia, " Arch. „, Vili, 355). In modenese, sgamnitón
(Du Gange ha gamadus, -acta, III, 469), in causa di it deve
essere considerato come un vocabolo importato. Cosi il gamaito
di Bonvesin.
Spargiijar, spargere. Questa voce non si ode più. Potrebbe
essere, anch'essa, un incrocio di due vocaboli: '' spargere „ e
vujar, arvujar (od. arriijar), rivoltare, involgere, quasi " invo-
gliare „. Non mi nascondo che il vocabolo si presta ad altre
possibili spiegazioni, ma assai meno probabili.
Tein, coperta di un carro. A questa voce, che oramai più
non vive e che mi è data unicamente dai soliti vocabolari sette-
centeschi, occorre mettere vicino le forme ferr. tievi " coperta „,
tiìnar " coprire „ ; parm. timar " coprire di tenda i carri ville-
recci „ ; mantov. timhi " arnese posto sulle culle per proteggerle
dalle mosche „ ^
Il Flechia (" Arch. gì. „, II, 56), a proposito del moden. at-
timar, registrato dal Galvani, aveva riconosciuto la necessità di
ricorrere alle altre forme emiliane, ricordate qui sopra, per ispie-
gare il verbo modenese; e aveva proposto, come etimo, te[g]anìen,
per quanto, foneticamente parlando, ci si possa domandare se
la voce non derivi piuttosto da un *teginìen -ine (cfr. moden. lini
" legumi „, la cui base sarà bene Hegimine)^^.
^ Ad Ascona (Canton Ticino) è detto te'm il legno che unisce nel mezzo
gli archi che sostengono la tenda in una barca.
• Lini, legumi, è dato dal Galvani (p. 98), ma oggidì non esiste più. Che
si tratti di un plurale metafonetico, a me pare cosa sicura. Sull'alto ital.
Zf)H, legumi, si veda Salvioni, " Zeit. f. rom. Phil. „, XXII, 474.
Per la storia del dialetto di Modena 385
{A)trasacc, alla peggio. Registro anche questa voce datami
dagli antichi vocabolari e rispondente all'ital. i)) trasatto (prov.
atrasait. ivAwc. entresait), c\oh in transactu, per ragione della
finale -àc(\ mentre ci si aspetterebbe -at. Si tratta del suff. -acni,
che à preso il posto della finale organica e originaria -at. Non
ò alcun dubbio circa la pronunzia dura di questo -e ^ {-ce), perché
la palatalo è espressa dai nostri glossari per cch{i) (p. es. fu-
tecchia, vino insipido e molto acquaticcio) ^.
Zentiir. lombrico. Voce registrata dal Maranesi. Abbiamo o un
* cinturo ,, 3 (cfr. mod. ziìiturém), o forse un' apoplogia : zetit -\-
[z{n]tur, " cento cinture „. L'animaletto sarebbe stato cosi chia-
mato in causa delle sue molte strie. Si ricordi, per casi ana-
loghi, gì' ital. millr' piedi, mille gambe, ecc. Tuttavia, di questo
etimo non mi sento punto sicuro, per il fatto che occorrerebbe
ammettere che il plurale femminile fosse divenuto un sing.
masch., cosa possibile, del resto, ma eccezionale. Mi auguro che
altri proponga qualcosa di meglio. Per adesso, mi attengo alla
prima supposizione.
E bastino, per ora, questi pochi cenni. Mi riprometto di ri-
tornare presto sull'argomento, appena sfiorato, e di dare altri
contributi allo studio del dialetto modenese, giovandomi di testi
e glossari antichi. Intanto, un grande scoramento ne assale,
^ [Esiste il vocabolo a Bologna e in Romagna e a Ferrara (Ungakei.li,
a ter/àc; Mattioli, a tarsach; Ferri, id. ; Azzi, a trasacch). Il Mattioli dà
anche la forma a tarsat. La Goronedi Berti dà anche tarsach che ò inteso
qui anch'io. Ricordo che l'espressione esiste anche nel napoletano [aìì'an-
trasatto) e nel Molise (Cremonese) P. G. G.].
^ Questa voce non suona oramai più che sulla bocca di qualche vecchio.
Citerò, a riscontro, il lomb. fotigia e il ven. foticia, rimandando allo
ScHucHARDT, " Zcitschr. f. rom. Phil. „, XXXI, 2.
■' Quanto a -ur per -ara, vedasi " Arch. „, XII, 394.
Archivio glottol. ital., XVII. 26
386 G. Bertoni,
quando pensiamo ai tesori perduti e quando vediamo sfuggire
inevitabilmente alle nuove generazioni i bèi termini natii, che
fiorirono sulle bocche dei padri e che avvizziscono e muoiono,
a poco a poco, senza quasi lasciar traccia, umili resti (e pre-
ziosi) della nostra ricchezza lessicale più vera e genuina.
Si pongano sotto gli occhi, non dirò a un linguista, ma a un
curioso qualunque di dialettologia, queste voci perdute, o in
procinto di perdersi, salvate da antichi vocabolaristi, e si vedrà
che un medesimo sentimento si farà strada nell'animo dei let-
tori : qualcosa di noi scompare, con i nostri vocaboli, qualcosa
di intimo e domestico, che non possiamo non invidiare alle ge-
nerazioni passate. Esaminando alcune delle vecchie parole, ca-
dute in disuso, ci avvediamo che un'unità lessicale, più salda
e compatta di ciò che ora accade, avvinceva l'una all'altra le
nostre regioni, nelle quali ancor sopravvivono, qua e là, pa-
recchie voci abbandonate per sempre dal popolo modenese. Chi
dice più, per " vinco „, vinz, adoperando un bel plurale passato
in funzione di singolare? Chi usa mai più a Modena il voca-
bolo hebia, per " discorso lungo e noioso „ ?. Oggi lo si sente
invece nel Veneto e in Lombardia e anche altrove ^ E così :
hios^ solo (ted. bloss); frua, " frutto delle vacche ^ ^; inghirola^
vaso da dar da bere alle galline^; clehs, cioè " eclissi „ per
indicare una gran quantità (p. es. di uccelli) ^ ; dsesa, cioè " di-
scesa „ per " infreddatura ,; ngofta, niente: gaihola, " intrico „
^ Vedansi ora le belle ricerche dello Schuchardt, " Zeitschr. f. rom. Phil. ,,
XXXI, 646.
^ Vivo ancora, per lo meno, nel Veneto.
■' Cfr. piem. iyhera e lighera, boccale, brocca d'acqua.
* Voglio ricordare qui, in nota, il termine bolognese schnebbi, fi-otta, infi-
nità, quantità. Trovo questo vocabolo nell'UNGARKLLi (p. 244), il quale
aggiunge che forme più antiquate ne sono sclebbi e, presso gli scrittori
dial. del sec. XVII, clìbi. La Coronedi-Bkrti dà anche le forme deb e clebs
Per la storia del dialetto di Modena 887
[cfr. milan. (jaboìa, aftaraccio; cjaholar, gabbare]; (jaiìì^ furbo
[milan. gaijnon, furbaccio] ; impajulada, donna che à partorito ' ;
iìidnUl, sorta di salame [romagn. (nulnighi, salsiccia matta,
Salvioni, Nuove post., s. indHcfilis\ ; ìiiazzaglar, andar vagando
[ital. mazzacidarc. frane. inacìiecoider\ ; pgmu\ goffo |ital. gnucco,
perfido, caparbio] ; j'j?ra«//a, favola ; teiga, baccello, thcca (ven.
tega); lattai', mobiglie di poco valore, zisor, forbici (cesoie),
zibega, " noni che poco vede e dicesi anche di uom risentito „
[ital. cibeca, Horning, " Zeitschr. „, XXI, 453], ecc., ecc. — sono
tutte voci che in modenese furono (e più non sono) adoperate.
Alcune vivono ancora umilmente nelle campagne e risuonano
nei casolari pili lontani dal rumore della vita cittadina; altre
sono ancor floride, per fortuna, in alcune parlate (nelle quali
sono state notate e studiate da altri eruditi), sia nel Veneto,
sia nella Lombardia, sia nel Piemonte, sia infine in qualche parte
dell'Emilia e della Toscana. Fuiono un tempo proprie anche di
Modena e percorsero ininterrottamente gran parte dell'Italia,
mentre oggidì fan capolino qua e la, come poveri avanzi d'una
rovina ineluttabile e continua -.
con lo stesso significato, forme olie erano, dunque, anche proprie dell'ant.
modenese (sec. XVII).
L'etimologia che dà fra parentesi I'Ungarelli non si può prendere in con-
siderazione ed è inutile citarla qui. Si tratta certo di una parola dotta o
semidotta, come è mostrato dalla conservazione di ci in cleb(s) e cUbi, cioè:
edipais. Con l's- rinforzativo si ebbe sclebn, sdebb o scleh (a cui fu aggiunto
un -i di appoggio come in altre voci, p. es. ligàmbi " soga, corda „). Poi
il gruppo sd- divenne skn- con riduzione di l a n (donde sdinebbi), ridu-
zione che ebbe luogo per essersi ormai chiusa la norma della palatalizza-
zione di d.
^ Cfr. a Bellinzona pajolanca, puerpera. S.^lvioni, " Studj di tìloi. rom. ,,
VII, 231.
- Le linee, che precedono, erano già state scritte e inviate alla direzione
dell' " Archivio , quando incominciarono a comparire le prime puntate del
* Rom. Etym. Worterbuch , di W. Meyer-Liibke. Al n" 618, il M.-L. ha
388 G. Bertoni,
ricondotto alla base arciis il verbo regg. adrakà'rse " schwacli werden „
(cfr. il nostro adraca' da noi dichiarato in identico modo) e al n° 487 egli
ha data la stessa nostra etimologia (evidente, del resto, e tale da presen-
tarsi subito al pensiero) per il moden. alino'v. Giacche ho la penna fra le
mani, mi si consenta di spendere qualche parola sulla voce moden. i^iu'd
" aratro „, della quale parecchi si sono occupati, senza tuttavia esaurire
l'argomento. Due etimi sono stati proposti: l'uno, come si sa, è lat. jyhiit-
strum, l'altro è il lang. (aated.) plòvus, plóviim (Bruckneb, " Spr. d. Lang. „,
p. 210). Se esaminiamo la questione dal punto di vista geografico, vediamo,
a parer mio, rischiararsi la derivazione di questa voce, in modo da potersi
dire che l'etimo langobardo, generalmente accettato oggidì, abbia per sé
le maggiori probabilità. Infatti la voce piod, con naturali varianti fonetiche,
si trova estesa per una plaga, o area, in cui potente fu l'influsso langobardo.
Già a Medicina (Bologna) dice-si piò (a Bologna la voce pia è ora in lotta
con aì'à S aratro) e piò si ode sino a Mantova, a Castiglione delle Stiviere
(piò) e a Sabbioneta (piò). A Bondeno di Ferrara piò. Anche a Cento si ha
piò. A Mirandola j)iò e ara. A Vignola p/o't. La forma ^j/oV con o' comincia
nel bolognese e abbraccia il modenese e il reggiano. A Sant'Ilario si ha
ancora piód. Verso Parma la vocale è aperta: jnòd (il Malaspina registra
anche piced). A Colorno si ha piò e a Borgo San Donnino piòdla. Un'altra
area, che per il passato dovè formarne una sola con quella emiliana, è
costituita dal bergamasco piò (a Treviglio e dintorni osadèl, Mussafia,
" Beitr. „ 220, n. 5). Nel bi-esciano, trovo piò a Verolanuova, a Orzinuovi
e a Salò (quivi la voce piò è in lotta con un vocabolo recente: " giraifa ,) '.
La nostra plaga rappresentante il tipo plòvu è limitata all'Est da voci
quali pardghir (romagnolo), versar (veneto), è solcata dal tipo arci (lombardo),
confina all'Ovest con sciloira, sloira (piemontese) ^, e costituisce una bella
testimonianza dell'influsso langobardo nell'Italia del Nord^. Il ^j/o'rf ha real-
mente una forma analoga a quella di un " Ari , tedesco quale si può vedere
in A. ScHDLTz, " Deutsches Leben im 14. n. 15. Jahr. „ fig. 215 e in Meuinger,
' Ara dovrebbe designare l'aratro a doppia orecchia e pia l'aratro con
una sola orecchia, ma ormai dicesi spesso ara per pia.
- Anche a Gandino e a Osio Sotto (Bergamo) si ha pio'. A Bormio :
aradèl.
^ Per queste voci, Foerster, " Zeitschr. f. rom. Phil. , XXIX. 1 sgg. Qui
vadano alcune giunterelle. Anche a Fermo: la pertecara (l'aratro). E ^jer-
ticaia anche a Benevento. A Bardolino (Verona): baró/olo. A S. Vito:
gudrsena. A Magenta (Milano) scilòria. E cosi ad Abbiategrasso. Per le
forme istriane, derivate dal gr. ÒQyavov, vedasi G. Meyer, "Alb. Wb. „ 370.
* La diffusione del vocabolo parla infatti per l'origine longobarda di esso.
Per la storia del dialetto di Modena 389
"* Indog. Forsch. „ XVI, 184. Quivi (p. 185) è data anche una riproduzione
della forma primitiva dell'aratro usato in Emilia. — Finirò con qualche altra
nota. Moden. begra. G. Meykk, " Indogerm. Forsch. , VI, 116 mette insieme
derivandole da baca ' Beere „, le voci bresc. berg. com. mant. crem. milan.
bagola, mirand. bagula, pav. bagol, regg. begra, moden. begla, begra " harter
krot von Tieren, bes. Schafen, Ziegen, Hasen, nnd Strassenkrot ,. Certo,
non si può staccare, senz'altro, la voce modenese e reggiana dal gruppo di
vocaboli alto-italiani citati dal Meyer, ma, per il rispetto fonetico, occorre
fare un'osservazione: e cioè, che l'è dell'Emilia non si concilia con !'« delle
altre forme. Ci si aspetterebbe, in ogni caso, ci (o a dirittura a). Bisogna,
parmi, ammettere che il termine emiliano provenga da un incrocio di badila
e di pìciila (mod. pe'gla) per ispiegare Ve. Non credo poi che il cremon.
baghetto ' Dudelsack , vada messo con il precitato gruppo di vocaboli.
Andrà invece con le diifuse forme, derivate da un aated. mago " ventriglio „,
dell'Italia settentrionale, quali magón, maghétt, borsa del denaro, ecc. —
Un altro vocabolo registrato dai citati ant. glossari è avrodgh, " acerbo „.
Credo che sia nient'altro che abrotonum (cfr. per il suff. il gali, abrotega,
Meyer-Lììuke, Roìh. Et. \V., 39). Al gusto acre dell'abrotano si dovrà questo
nuovo signiBcato e questa nuova accezione aggettivale del nostro vocabolo.
Si pensi, per un fatto analogo, al ven. marùbjo " austero, burbero , da un
niarrubiuni, pianta, com'è noto, di sapore amaro. Prati, " Arch. glott. ,,
XVII. 280.
390 Anarelico Prati
ETIIs/dlOLOa-IE
Alla raccolta di etimologie, pubblicata a p. 273-288 di questo
volume \ fo seguire quest'altra, riguardante pure specialmente
voci vènete e trentine.
Cito con B. E. W. il dizionario etimologico romanzo del Meyer-
LUBKE.
abbdkkje (abruzz.), abbakkjo (roman.) ' agnello ', abbdkkju (Su-
biaco, Roma) 'agnelletto' (" Studj Romanzi „, V, p. 266); ab-
^ A p. 284 (riga 3 dal basso) è stato stampato, per errore, ba^:[^o'ffia invece
di bailo'ffia. Del pari il 1294 a p. 280 (r. 3 dal b.) è da correggere in 1264
e l'indicazione P, dopo Bertoni, a p. 278 (r. 3 dal b.ì va omessa. Il richiamo
alla n. 2 nell'articolo merlln, a p. 281, andava alla fine di esso. Riguardo a
httxxQ'ffi'^ è da notare che la forma ba^lx^ffia del Dizion. scoi, del Petrocchi
è errata. Nello stesso, sotto basóffia e sotto bafina, si rimanda a ba^xóffa e
questa forma compare pure nel Dizion. unit\ del medesimo autore [Baz-
zòffia e dato anche dal Rigutini coU'o largo; e cosi si pronunzia a Firenze.
P. G. G.].
Circa a niQla (v. sopra, a p. 281-282), va rilevato che anche I'Ascoli,
" Arch. Glott. „, II, p. 440, ammetteva che il bellun. néola (anche ti-evisano)
' nuvola ' derivi da quell'antico ^nibulo, sinonimo di nàbilo, che si riflette
pur nel furi, nini, pieni, nivu ecc.
Si aggiunga ancora il li vinai longh. niol.
Relativamente al vicent. f'bianzàre (v. sopra, a p. 284, n.), cfr. il rover.
f'bjanzar 'spruzzare', di cui v. Schneller, Die rem. Volksmund., p. 175.
V. sbianz, sbianzaa, sbianzar nel Vocab. rover. e treni. dell'AzzoLisi e sbianzo
nel Dizion. venez. del Boerio. — A p. 273 aggiungi il poles. bitdre.
Etimologie 391
bacchio (lucch.) 'agnello morto'; hàcclno (lucch.) ■agnello gio-
vino ' ^ : h'tco (Agnedo, valsug.) ' montone ' e la voce con cui lo
si chiama.
Per quanto so, non era stata finora avvertita la presenza di
questa voce nell'alta Italia ed è perciò un fatto importante il
tiovarla nelli' Alpi, anzi tale da far senz'altro respingere la
connessione con abbacchiare, ammessa dal Pieri, " Arch. Glott. „,
XII. p. 127. ed accolta dal Meykr-Lubke, B.E. IT"., S74. Contro
la quale sta pure il significato comune della voce, poiché il
solo lucch. abbacchio indica l'agnello morto, mentre le altre voci
citate denotano l'agnello vivo. Xé la forma aòbarcJiiato di un
vecchio doi'umcnto lucchese, addotta dal Pieri, à tal forza da
far accettare la sua spiegazione, poiché pel lucch. abbàcchio po-
trehbe tutt'al pili ammettersi la contaminazione di abbacchiato
con \u\*uvàccìiio av-, come osservava il D'Ovidio, *• Arch. Glott. „,
XIII. ]!. 882-383, 0 che. insomma, bacchio abbia subito l'influsso
di abbacchiato e ne sia risultato ablxh-cìiio. In quanto a bacchio
il Pieri, " Arch. Glott. „, XV, p. 14(»-141, k pensato ch'esso sia
forse il participio accorciato di bacchiare, come abbàcchio lo sa-
rebbe di abbacchiare, facendo però la supposizione che bacchio
equivalga ad ' agnello morto '. Ma, soprattutto dopo quanto s'è
osservato, non occorre dire come tale spiegazione sia inam-
missibile.
Non rimarrebbe dunque che ammettere, seguendo il Caix, Sfudj
di etim.,^. 127, la derivazione da un *ovaculu (cfr. oviciila:
Korting^, 6764), accettata dal Bianchi, " Arch. Glott. „, IX,
p. 400, e per la quale propendeva anche il D'Ovidio, 1. e. Il
Meyer-Lubke, nella Ital. Gramm., p. 302, dal canto suo, notando
' Il Fani-ani, Vocah. dell'uso tose, accoglie abacchio (fiorent.) e abbacchio
(mont. pisi.) ' agnello morto ; agnello di latte
392 Angelico Prati,
che il suffisso -àcchio in nomi di animali indica i giovani ani-
mali, citava appunto ad esempio anche abbacchio.
Pel valsug. baco confronta bàia ' ovatta ', triest. cdta (Vi-
DossiCH, Studi sul dial. triest., N. 33) ^.
agoz (trent.) ' avvoltoio '.
Il Meyer-Lììbke, R.E. W., 235, lo trae da aeguptius 'ne-
riccio'; come da aegyptius si derivano altre voci da lui ri-
portate. Ma aeguptius avrebbe dato "^go'z, non ago'z, che fu
invece rifatto su agola <i aquila, come del resto aveva già
notato il Salvioni in questo " Archivio ,,, XVI, p. 222, n. 5.
L'-o'z può avere qui tanto valore accrescitivo, quanto spregia-
tivo. Cfr. kano'z ' grosso cane ' e v. Salvioni, " Studj di Filol.
Rom. „, VII, p. 223, § 419.
Con àgola, agolàx!, agolàz ecc. s'indicano nel trentino varie
spece di uccelli rapaci diurni. V. Azzolini, Vocab. rover. e treni.;
Ricci, Vocab. trent.-ital., p. 6, 518; Erardo Cogoli, I suffissi
-us^ -aceus ed -anus nel dialetto trentino, " Annuario degli
Studenti Trentini „, XV, Trento, 1908, p. 107; Piccolo pron-
^ Alle Tezze (valsug.) il huco è detto ho'co, che è pur voce di richiamo.
La voce comune nella Valsugana per chiamare i montoni e pq'ci (sing. pg'co)
o paci, per chiamare le pecore jìo'ce. Queste parole rammentano il solandro
ho'c (Ossana. Termenago, Pejo), bo'c (Vermiglio) (Battisti, Zar Sulzb. Mund.,
p. 222, n. 7), engad. bóc 'becco' e il bregagl. bue 'manzo', ticin. (Val
Verz.) bo's, bo'sa 'vacca', levent. bq's, arbed. />»((.$, p^sa ' vitello ', alessandr.
huci, piem., pav. hocin ' vitello' (Jud, " Bull, de Dialectol. Rom. ,, 111, p. 16),
lomb. po's, voce con cui si suol chiamare il vitello (Salvioni, ' Krit.
Jahresber. „, V, i, p. 130). Secondo che osserva il Jud, 1. e, pare alquanto
difficile la connessione di queste voci indicanti il vitello con bóc (engad.)
'becco'; tuttavia, pel jiassaggio di un nome da un animale all'altro, anche
molto diverso, v. i casi accennati dal Nigha, " Arch. Glott. „, XIV, p. 357,
e dal De Gregorio, " Studi Glott. „, ITI, p. 267. Tra i nomi derivati da
*burrìccu {R. E. W., 1413) notisi il poles. briko 'montone'.
11 tertoto bn'co potrebbe rappresentare l'incrocio di baco con po' co.
Etimologie 393
tuarìo per f/iovani insegnanti della scuola popolare, in forma di
dizionarietto delle voci più coinuni del dialetto trentino, Trento,
1909, p. 2-3; G. Marcht, ]Sote e osservazioni intorno (di' avifauna
tridentina, Trento, 1907, p. 35-43.
anyonàra (veron.), angondda (Borgo, valsug.), nyond (Castel-
novo, valsiig.), gonaa (Strigno, Agnedo, Tazze, valsug.), angonàda
(nònes; Tères agonada) (Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 21, 107),
angonado (Hahi, solandro) (Battisti, Zur Sidzb. Mnnd., p. 232)
' gugliata '. Tra il nònes e il valsuganotto sta il trentino con
iicdda {iica ' ago ') ^
Il Meyer-Lììbke, R. e. ir., 130, mette erroneamente coi tose.
agora, agoràjo, hicch. gorata ecc. il veron. agonaro, che è un
errore per angondra.
Questa voce e quelle di altri dialetti, sopra citate, dipendono
da ii{v\iì\\'^acóìie, da cui il venez., triest., lomb. agón ' agone,
aiosa ' (pesce) ecc. {R. E. W., ivi), trent. agoni ' cheppia, sar-
dina (di lago) ' ecc. -.
Per l'inserzione del n confronta veron., vicent. angiiàna (Oli-
vieri, " Studi Glott. „, 111, p. 158; R. E. W., 573), nònes ahgdna
(Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 133), angonia, che non avrà
subito l'influsso né di ango'sa, né di angor {R. E. W., 291),
donf'éna, dotì;éna 'dozzina' (Vidossich, " Arch. Trent. .,, XXIV,
p. 170), :,in~dnia.
baccello (tose.) ' citrullo, semplicione ' ; baccella (tose.) ' donna
di poco criterio '.
' Anche il veneziano à i/ucàda, oltre di reta, come à gu'c(t, oltre di d(/o.
• A meno che non si tratti di un caso quale si presenta nel valsug.
bupan/la, di cui v. pili avanti, e nei verbi osconar (feltr.). l-risionàr (trent.),
che avranno però forse una ragione particolare.
394 Angelico Prati,
Il Pieri, " Arch. Glott. „, XV, p. 140. deriva baccèllo, ch'egli
definisce per 'uomo sciocco e da poco', da un *bacèllus =
bacelus (iàxì]Àog 'stolto^ (confr. Forcellini e Georges, s. ba-
ceolus). Il Meyer-Lubke, R. E. W., 864, lo ritiene tutt'uno con
baccèllo ' bacca della fava o d'altre piante '. ma non esclude
che forse possa dipendere dal lat. bacoolus ' baggeo, uomo
inetto' (869).
Se si pensa però ai significati assunti dai tose, baggiano
{R. E. IV., 885)1, fagig'lo e faloppa {R. E. IF.. 3173), l'identi-
ficazione della voce in quistione con baccèllo ' bacca ' è ben evi-
dente. Si ricordi anche il valsug. tèga ' fagiolo ', che, quale
titolo, vale ' minchione, semplicione ".
Una voce interessante e che qui torna pure acconcio di ram-
mentare è j)anegàle, panegalo'n, che nel valsuganotto indica
' uomo di alta statura e tutto d'un pezzo, e buono a poco ' e
nel trentino (panegàl) vale ' minchione, grullo, babbeo '. La voce
trova spiegazione nel tirol. penegàlen (plur.), che designa il car-
toccio della spiga del granturco e del miglio. Cfr. anche il vo-
cabolo panigales, che compare nello statuto di Riva del 1274,
§ 36. Si tratta dunque di un *p ani cai e. V. Schneller, Die
rom. Volksmund., p. 272 ; Battisti, La vocale A tonica nel ladino
centrale, estr. dall' " Archivio per l'Alto Adige „, I, II, Trento,
1907, p. 54 ^.
Riguardo a bacig'cco (mont. pist.) ' semplicione, troppo bono ',
che à accanto bachig'cco (pist.) ' grullo, minchionaccio ' e che,
secondo il R. E. W., 869, è dovuto all'incontro di baccèllo con
* Cfr. pure i cognomi Ba:i^àni, Ba\^ane'lla, Bai:{ane'lli, che non possono
derivare da abbatianus, come vorrebbe lo Schneller, Tir. Nani., \). \\,
274, 275, ma da banana, hagàna ' baccello ', come pensa E. Lorenzi, Saggio
di commento ai cognomi tridentini, Trento (1895), p. 25-26.
^ Il nònes à pangjàl ' gambo del miglio '.
Etimologie 395
sciocco, l'AscoLi, *• Ardi. Glott. „. VII. p. 598, ci vedeva un
-occo derivatore di voci dileggiative.
Per corbèllo poi, pel quale pure si dubita [R. E. W., 2224),
si noti che nella Valsugana s'usa famigliarmente f>Hto o pt^sto
dcjla salata (che à tanti di buchi) per ' testa sventata, sme-
morata * ^
hakar (Tezze. valsug.) ' ansare '.
^ Altra i-agione à il modo di dire Lg'dete, pesto, ke_l mùneyo l_e' roto,
che si rivolge a persona, la quale si loda e che non è buona da nulla.
[Tutte queste denominazioni anno un'origine molto salace. Per i nostri
volghi è comune il denominare gli ' sciocchi ' col nome delle pudende, le
quali poi un po' per eufemismi, un po' per effetto di sbrigliata fantasia,
anno un'infinita varietà di nomi. Cosi corbello ' sciocco ' e corbellare che il
M.-L. riconnette (con ingenuità di cui è irresponsabile, ma che fa sorridere)
a corvo non sono che eufemismi di una parola che... comincia per co- e
finisce per -gitone (!) e del suo derivato in -are (nell'esclamazione si dice :
Corbezzoli !, come caspita! per altra parola incominciante percrt-; e cospetto!
è un compromesso eufemistico tra le due parole su ricordate); e ' cesto della
salata ' in Valsugana sarà un eufemismo di ' testa di cavolo \ a sua volta
eufemismo per ' testa di ca... '. Cosi fava à, per similitudine, un significato
sconcissimo e si dice in linguaggio da trivio di un ' testa di cavolo '. Quale
sia l'origine di 'baccello', 'baccellone'' e sim. per 'sciocco', lo indica chia-
ramente l'espressione ' baccello da vedove ' che si trova nelle Rime Piacevoli
dell'ALLEGKi (176): " Egli ha ben del baccel Da redove chi va a mettersi in
gogna... ,. Attualmente nessuno pensa pili all'immagine oscena e s'usano
questi termini, anche da persone dabbene, con tutta ingenuità. Un'origine
siffatta anno, pili o meno direttamente, senza dubbio veruno, baggicmo (da
baggiana, fagiolo), fagiolo, e i trentini sopra citati desunti dal nome del
'cartoccio della spiga del gran turco'; inoltre bietolone (perii fittone della
bietola), e citrullo (dal nap. cetrulo, ■* Polecenella cetrnlo „) cetriuolo, e il cin-
quecentesco jìustricciano ' sorta di pastinaca ' e ' stupido '. Forse anche me-
lenso e melensaggine si riconnette a melanzana {/-leÀdv&iov'^); certo appar-
tiene alla suesposta categoria di forme l'antico j^'-'tronciano 'melanzana' e
'sciocco'. Tutt'altra origine à il vcn. ri/demela; l'ital. mellone indica 'stu-
pido ', per metafora attinente alla grandezza della testa (cfr. zucca, zuccone);
da un vi/demelon si sarà rifatto un supposto primitivo vi/demela. P. G. (4.].
396 Angelico Prati,
Confi", lat. bacchari 'infuriare; correre, andar intorno'.
Notisi poi che nel valsuganotto hakàn vale ' risata rumorosa ',
f'bakanàr ' ridacchiare, sgricchiare '.
bàli (trent.) — dei fagiolini più vicini alla maturità che i
fagiolini verdi e che pur mangiansi intieri, baccello e seme.
È voce che trova un bel riscontro nel valsug. hàd:o e che va
ad ingrossare la famiglia, alla quale appartiene il ven. haf'o'to,
trent. ha^Qt, tose, bano'tto ecc. V. a p. 284 ^
bacilo' jo (portar a-) o p. a belo'jo o a bilo'jo (trent.), p. a pi-
faro' le (Borgo, Castelnovo, valsug.), p. a ff'arq'j (Strigno,
Agnedo, valsug.) ' portar sulla schiena '. Colui che vien portato
si tiene colle braccia al collo e pone le gambe ai fianchi di
chi porta ^.
Qui sopra, a p. 275, osservavo che la base bajìilu, propu-
gnata dal Salvioni per il levent. (lomb.) bif'arù} ' cinghie della
gerla ' trova un ostacolo nel valsug. ff'aro'j [a-]. Ora va no-
tato che nella stessa Valsugana, come si vede sopra, vi corri-
sponde pure la forma pif'aro'le (a-) e che vi compete non il si-
gnificato di ' a cavalluccio ', ma quello sopra indicato ^.
^ Aggiungi anche poles. haxàn ' biondo, bastardo ' (di animale bovino) e
baxóto ' mediocre, ordinario '.
^ 11 Ricci non registra che a bèi dio, sebbene a harjlq'jo sia d'uso comune
a Trento. Nel Friuli si dice porta a sdke buràke.
^ Avevo tradotto a fi/' aro' j con ' a cavalluccio ', indotto dal fatto che il
Ricci traduce cosi il trent. a belo'jo. Ad ' a cavalluccio ' corrispondono a
kavalo'z (trent ), a kavaìim (Ala, trent.), a kuvaìg'io (valsug.), ih kopare'la
(veron.), a kopetefds (triest.: Vidossich, Studi sul dial. trìest., N. 70) ecc.
La voce veronese ricorre nel proverbio, pure di Verona: Mejo uh so'ldo
de kojo'h in skar'se'la ke maldni in kopare'la. V. C. Pasqualigo, La lingua
rustica padovana nei due poeti G. B. Maqama e Domenico Pittarini, con
cenni su alcuni dialetti morti e vivi e prot^erbi veneti raccolti, li ediz.. Verona,
1908, p. 142, in fondo.
Etimologie 397
Alla connessione di pif'nro'le, A/'"'TV con bajulu fanno
ostacolo non solo le consonanti iniziali, ma anche il /' '.
Sicuro derivato di bajulu è invoce il trent. haiilo'jo. Confr.
bdiilo, bctiilo'm a p. 27:> di questo volume. La forma belg'Jo
risale a questa base per via di bajl-. Le due forme trovan ra-
gione nel fatto che nell'alta Italia alternano appunto bai- e baj-
(Salyioni, " Studj Romanzi „, VI, p. 49, n.).
In belo'jo ci fu, con tutta probabilità, immistione di htH. in
quanto l'esser portati a belo'jo è un divertimento pei ragazzi.
Questa immistione pare cosi naturale, che l'Azzolini scrive in-
fatti a bellojo e il Ricci a bèi òio~. Non tanto chiara riesce la
seconda parte della voce, poiché nel trentino ci si aspetterebbe
se mai un *belg'j. Si dovrà quindi pensare alla scherzosa intru-
sione di o'jo ' olio ', forse anche astraendo dal fatto che questa
voce possa alludere all'agevolezza, alla facilita, con cui va avanti
chi vien portato. Notisi che il Ricci registra a bel dio pure
sotto òio e sarà da rammentare la frase nàr, éser home l^o'jo
' scorrere agevolmente, sdrucciolare, venire, andar giù com'olio,
come un olio ". Cfr. pure il caso del bologn. a zopp gallétt (bresc,
mantov. galzópp) 'a pie' zoppo' (Nigra, " Arch. Glott. „. XIV,
p. 360).
L'i di bilq'jo è dovuto al / e questa sarà una forma, che non
s'è risentita dell'influsso di bel.
* I casi di f ili luogo di et son molto rari nel valsuganotto. Cfr. def'uh
(trent. delilm). Da addur qui non è stralafene 'stillicidio' (trent. strale-
ari 'grondaie')- V. Schnelleu, Die rom. VoUcsniund., p. 193-194,196-197;
Nigra, " Arch. Glott. ,, XIV, p. 381.
Il r si spiegherebbe naturalmente per dissimilazione. Cfr. valsug. busa-
rg'lo ' bussolo, bòssolo, bussolotto ', da cui fu estratto hu'suro.
Il h del levent. bi/'aràj, dato che questa voce si connetta coi valsug.
pif arale, f^farq'j, si potrebbe spiegare da quel hi duale, di cui v. Salvioni,
" Romania „ XXXVI, p. 225-226.
- E quindi da avvicinare strettamente ad a bel ufi ' a bell'agio '.
398 Angelico Prati,
bivi (trent.).
Con questa parola, sfuggita tanto all'Azzolini quanto al Ricci,
nel contado di Trento si chiamano le pecore o le capre. La voce
rimane invariata anche se si- chiama un singolo animale e talora
la si fa seguire dalla voce sai, cercando cosi di farsi meglio
intendere colla promessa del sale.
Il trent. hiri va dunque aggiunto a quei nomi indicanti il
montone o la pecora, raccolti dal Jud, " Bull.de Dialectol.Rom. „,
III, p. 13, n. 5, e dal Meyer-Lubke, R. E. W., 1049.
ho'lga 0 biUga o bulgara (valsug.) 'valigia' ^ bo'lga, hil-^a (trent.)
' bolgia, bisaccia ; valigetta, bolgetta, otre ' ; f'bo'lda (Strigno,
Agnedo, Tezze, valsug.), f'bq'à:a (Castelnovo ; Borgo f'bq'f'a),
f'bq'-a (trent.) " seno, spazio tra il petto, il ventre e la ca-
micia, e anche d'altre parti, ove il vestito fa qualche bolgia ';
/'boga (nònes) idem ; boga (Val di Ledro, lomb.) ' gran ventre '
(ScHXELLER, Die rom. Volksmund., p. 118).
Il Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 51, dal quale tolgo il nònes
f'bg'ga, fa provenire questa voce dal trent. f'bo'- a e la deriva,
non si sa in che modo, da un *boculu per biiculu. Egli ri-
manda ivi erroneamente al Salvioni, " Boll. Stor. d. Svizzera
Ital. „, 1897, 13. A p. 146 del volume qui citato (XIX), si parla
di una voce bògia, nome di un recipiente, senza però alludere
all'etimo.
Le voci riportate vanno aggiunte a quelle raccolte nel R. E. W.,
1382, ed alle quali sta a base il gali, biilga 'saccodi cuoio;
valigia '. Non credo affatto però, come ivi si ammette, che il
tose, bolgia ecc. e le corrispondenti voci dell'Italia settentrio-
' Indica una sorta di valigia, fatta a cerniera, usata specialmente in
addietro, nella Valsugana. Ma poi si è applicato il nome bo'lga, bùlga o
bùlgara anche ad ogni valigia di forma moderna.
timologie o99
naie provengano dal frane, bougc ' valigia ', bensì deriveranno,
come ammetteva il Flechia, " Arch. Glott. „, IT, p. 329, da un
*bulgea. V. anche Korting, 1638. Il valsug. bulgara dovreb-
b'essere un * b u 1 g u 1 a.
branda (veron.) ' acquavite '; mbrauiìa (valsug.) ' ubbriaco '.
Dipendono da braxdi/, acquavite. Si deve però trattare di
voci d'importazione affatto recente. La voce valsuganotta fu
probabilmente importata dalle persone, che si recano in paesi
tedeschi, sia pel servizio militare, sia per lavorare. 8'usa anche
scherzevolmente mbrandaf>jo'n per ' sbornia ', per indicar la quale
c'è un grande assortimento di vocaboli e, come il toscano à
briaca, ciacca, mo'nna, baila, sfo'ppa, colta, lucia (pist.), ber-
tuccia ecc., il valsuganotto à cuk((, anela, aìieUta, baia, lio'ka,
/'borda, hombola, sto' ma, J'bréndola, pjombHa ecc., e per ' ub-
briaco, brillo, alticcio ecc. ' mbrjago, érto, hlnco, nvinà, o'nto,
f gédolo, Co'ko, cùko, bercèto. J'gardà, storno, beQrd, tagd fora,
strambelà ecc., le quali voci non si saran certo maravigliate
nel veder aggiungersi ad esse anche mbrandafijo'n e mbrandd.
bruééla (valsug.), brilséla (trent.), brù^éla (nònes) ' bitòrzolo,
bolla, pustoletta '.
Il Battisti, Die Nousb. Mund., p. 101, riconduce questa pa-
rola all'alto ted. ni. broz (Korting, 1588). Tale etimologia, che
non è al certo scevra di difficoltii, è sicuramente da escludere.
bruééla non è invece che brùskolo ' fignolo ' con altro suffisso,
cioè un *bru scélia. In quanto . a brùskolo, che nel veneziano
à accanto a sé anche brùsko, v. il R. E. W., 1342. Anche il
ven. brufolo, rover. f'brùfol, d'ngual significato, su cui v, il
li. K. W., 1373, nel veronese à allato brufél.
All'alto tod. m. broz, alto ted. ant. proz ' bottone (di fiore) '
lo ScHNELLER, Die roiiì . VolksmiDid., p. 177, faceva risalire, pur
400 Angelico Prati,
dubitando, il rover. f'hró^a ' bolla, pustola ' (venez. bro'/'a, val-
sug. brg'dta), come altri fecero pure risalire a detta base il tose.
brg'zza ' bolliciattola, bernoccolo' (Korting, 1588), ma lo Schneller
non tenne conto che in /'bró;a c'è una sonora. Le due voci paiono
dunque irreconciliabili ^
dego'ra (ven., milan., pav.).
Per questa voce ed altre affini v. Olivieri, " Studi Glott. ,,,
III, p. 192; E. E. W., 2509, 2714. Contro la derivazione da
decolare o da decùrrere (Salvioni, " Zeitschr. f. Rom.
Philol. „, XXII, p. 469) sta il nome locale fiamazzo Dugója,
che, in causa del j, non si potrebbe spiegare che da un *du-
coria (Prati, Ricerche di topon. treni., p. 52, 61). V. anche,
qui sopra, i novell. dugéra (v. dugaia nel Vocab. ital.) (p. 76,
N. 83), dugél e ant. dugaleris (p. 164, N. 239), e sia ancor no-
tato il solandro dilgàl ' canaluccio di scolo o d'irrigazione ' (Bat-
tisti, Zur Sulzb. Mund., p. 214) ^.
delàéore (valsug., veron.). È usato nelle frasi éstre, ésar (veron.
ééar), ndar (veron. andar) in d. per ' esser rovinato, andare in
rovina, in sfacelo: esser in brandelli, cadere a pezzi, esser tutto
sconquassato; esser malandato in salute '. Anche trent. (v. Ricci).
Suppone un lat. *de lapsus, -oris 'rovina'.
engartjar (trent.) 'arruffare; scarmigliare; intralciare, intri-
care; ingarbugliare, scompigliare, confondere '; gartjo'm ' arruffio,
arruffamento ; garbuglio, viluppo, confusione \ tilt eiì g. ' un ruf-
fello '; def'gartjàr ' strigare; ravviare; sgrovigliare; sbrogliare ' ;
^ 11 Petrocchi scrive bròzza, ma bì'Oxxoloso ' bitorzoluto '. Non cosi il
Fanfani, che scrive pur questo con zz. Per l'ètimo v. anche il R. E. W., 1347.
■^ V. ancora Bertoni, " Atti e Mem. d. R. Deput. di St. Patria p. le Prov.
Moden. ,, s. Y, v. VI, p. 187.
Etimologie 401
ngjii rtji'ty (nònes merid.), ngjatjùr (alto non.) ' strappare, strac-
ciare '.
Lo ScHNELLEK, Die roììi. Volksmund., p. 139, scrive che en-
ijartjar pare derivi da *i n e rat i care, svoltosi ladinamente! E
una spiegazione impossibile, per la quale, non si saprebbe citare
un caso parallelo. Il Meyer-Lììbke, ^. È'. TF., 2303, pone invece
efigarfjar, def gartjdr insieme con incatricchiàre (pist.) ' arruffare
e annodare i capelli ', scatrlcehiàre ' strigare ', scatrlccliio ' pet-
tine lungo da scatricchiare ' e col furi, ingredea, derivandoli da
e rati cu la. Ma per la voce trentina c'è l'ostacolo del t intatto
e soprattutto della riduzione insolita del c'I.
mgartjar non va sicuramente staccato dal veron. ingatejar
' intrigare, aggrovigliare ', def'gatejàr ' sgrovigliare ', venez. inìca-
figdr ' scapigliare, rabbuffare, arruffare; sparpagliare, scompi-
gliare ', mantov., ferrar, ingatjar ecc., dei quali v. il lì. E. TF.,
1770, b. Il /• della forma trentina non sarà dovuto a crati-
c u 1 a, ma si tratterà di un r inserito, come in altri esempi
dell'alta Italia^ (Salvioni, " Krit. Jahresber. „, IX, 1, p. 102),
oppure verrà da gr citar.
Anche le voci nònese, che il Battisti, Die Nonsh. Mund.,
p. 99, 100, derivava da *incratiare, e che il Vidossich,
- Arch. Trent. „, XXIV, p. 169, scartando naturalmente que-
st'etimo, spiegava dall'incontro di grattare con graffiare -, vanno
colla voce mantovana ecc., sopra notata, che à pure il signifi-
cato di 'strappare' [E. E. W., 1770, b).
' Naturalmente non va tra essi il veron. ecc. fbiirtar ' spingei-e, urtare ',
che è il prodotto di fbutar -j- urtar.
■ Nel caso bisognerebbe che il nònes, oltre yratàr, possedesse pure una
forma corrispondente al toso, graffiare. Il nònes possiede invece /grufar,
che, certo per errore, diviene zgràfj^r nell'indice della Konsb. Miind. del
Battisti, mentre slipjà, s/t/yS?- divengono, nel medesimo, slipù, stipar.
Archivio slottol. ital., XVII. -^7
402 Ans^elico Prati,
fiaméro (valsug.) ' letamaio, concimaia '.
Lo ScHNELLER, Die voni. Volksmund., p. 146, il quale riferisce
la forma gemerò, che potrebbe però essere una delle tante forme
erronee da lui accolte, non avendo io rinvenuto nella Valsu-
gana che gaméro, ne dà una spiegazione da far strabiliare. Egli
lo spiega cioè da un con-cimero, da concime, come se, anche
ammettendo che si tratti di voce importata, ad un e toscano
possa corrispondere un g in un dialetto veneto !
Ma (jaméfo è naturalmente voce indigena e popolare se altra
mai e corrisponde esattamente al loamaro, ledamér di dialetti
vicini e al tose, letamajo. Soltanto che nel valsuganotto il pro-
cesso di riduzione non s'arrestò alla fase ìea-, ma da questa si
passò a *lja- e di qui a ga-, come da *ljévre si venne a géore
(Grigno, Tezze gévre) ^ Accanto a gaméro si à il raro leàine
' letame '. Cfr. anche leamare ' concimare ' di un documento val-
suganotto del 1296 e. (" Tridentum „, III, p. 1.57). Le voci d'uso
comune sono grdm e ngrasàr.
Pel fenomeno, che si presenta in gaméro, cfr. ancora il nome
del torrente vicentino go'lgra <Z ìjo'lgra ' Leogra ' (Olivieri.
" Studi Glott. „, III, p. 55, n.) e il genàrdo ' Leonardo ' di Tjéfdo
(forma letteraria Tèsero) in Fieme.
Il fenomeno è il medesimo, per il quale si ottengono karal-
géro, pidgéro, f'baìgàr ecc., quantunque, per esempio, il vene-
ziano presenti questo fenomeno (Boerio, p. X) [per riprodurre
il tose. r. G.] ^, ma mantenga invece il Ij- (Vidossich, Studi sid
dial. triest., N. 6).
Il caso del valsug. gaméro, nel suo complesso, è probabil-
' Cfr. anche il raro yeva <C *lje'va ' leva '. Ed un altro caso otFre goe'la
'vacca incarognita', se dipende da *1 i o b a 'vacca', di cui v. Jud, " Bull,
de Dialectol. Rom. ,, III, p. 1.5-16. Il Ij- rimane invece in Ijohfàhte.
"^ [Io ritengo invece tale spiegazione come affatto impossibile. Prati].
Etimologie 403
mente unico nel veneto. Simile è il caso di néro (Grigno, Tezze,
valsug.), /idra (vicent.) 'nido', da *indariti (Nigra, " Ardi.
Glott. „, XV, p. 291) ^
kaììierél (trent.) ' cessino, bottino, pozzo nero '.
Va col lomb. Jcàmer ' cesso " (Salvioni, " Studj di Filo!, llom. „,
VII, p. 220, § 387).
kan'if'a (valsug.), k((r<ha (trent.) ' fuliggine, che si raccoglie,
formando incrostature, nella gola del camino, della stufa ecc.' ;
kalùj'ene (ven.). htliì-em o kariì]em (trent.), kari'Kjcìì (milan.) ' fi-
liggine '.
Lo ScHNELLER, Die rom. Volksìnund., p. 129, dice che carazza
compare nella Val di Non. in Gardena e anche in parte del
Tirolo italiano nella forma apparentemente accorciata razza,
cosa che non risulta dai vocabolari dell'Azzolini e del Kicci ^.
Il Battisti, Catinia, § 61, p. 168, cita il trent. karii~em tra
gli esempi di -Z- ^ -r-. Ma aggiunge che il r potrebbe pure
esser dovuto ad un incrocio di caligine con aerùgine. Anche
il Meyer-Lììbke, R. e. W.. 1516, ammette che kalùf'ene ecc.
abbia la vocale di ferrugo, a erugo. Io penso invece che si
tratti di scambio di suffisso, cioè di -ugine al luogo di -Tglne.
V. anche Battisti. Die Nonsb. Mund., p. 59.
^ Il rover. (non trent.) agnaro ' nido ' (Azzolini) è alquanto strano, ]>re-
sentando -aro invece di -«'r (Verona e Trento : -dr). La vocale finale man-
tenuta fa pensare ad importazione dal finitimo vicentino. La voce carat-
teristica rover. e trent. è nif (anche trevisano) (plur. nivi). A Verona nio
'nido', nid'so, niaro'l 'uccello di nulo ', niu o nkida 'nidiata', nel veronese
meridionale nial (plur. niàj), nel veronese orientale n!o e niàro. Cfr. anche
trent. koanìf, vicent. kkaganàro, veron. skaganàQlo, valsug. kkeganio ecc.
' scria '. V. pure rover. gnaso ' snidato ' (Schneller, Die r. V., p. 105).
^ rara ' fuliggine ' riporta il Battisti, " Px-o Cultura „, I, p. .S60, da
Soràga (Fassa).
404 Angelico Prati,
Il trent. karilieni avrà il r da karma, che non sarebbe che
karàf'a con immissione del suffisso -àza < -acea. E karàf'a,
alla sua volta, risulta forse dall'incontro di kalktene 'fuliggine'
con raf'a 'resina; ragia', ossia sarebbe quasi un 'resina di
fuliggine '. Il paragone tra la karàf'a e la raj'a corrisponde
bene ^ L'Azzolini (rover.) à anche scarauzem.
kjàiizàja (Castelfondo, nònes), spece di ciglio d'un campo, ecc.
Questa voce, coll'antico nome locale Chauazzaie, corrisponde
ad un *capitiaria (Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 115, 149. n.).
Cfr. la forma kjavazara, pure addotta dal Battisti a p. 74, ult.
riga. Invece il trentino à un kavezàja ' capitagna ', che non può
essere che da un *capitialia. V. Schneller, Tir. Nani., p. 37,
ove si citano pure alcune antiche Cavezagne della Val Laga-
rina, che trovano riscontro nel valsug. kavpóna < *capìtianea,
poles. cavezàgno (?) -. Cfr. anche valsug. kavafiàle, che vale anche
' capitagna ' ^. A le Tezze (valsug.) compare kaveana, nel vicen-
tino cavelàgna e cavedagna (" Arch. Glott. .,. XVI, p. 296, n.),
nel triestino pure kavedóna (Vidossich, Studi sul dial. triest.,
N. 97) *capitanea {R. E. W., 1633). E v. i venez. caveàgna
e cavazzàl nel Boerio.
[A R. E. W.. 1633. va aggiunto che kavdana è anche proprio
' Se per karàfa non valesse questa spiegazione, allora si potrebbe sup-
porre che karàza sia kariixem con suffisso -àza invece di -u^eni e che karàf'a
sia *kavàpa con intrusione di ràf'a. Ma, perché oltre a karàza non com-
pare pure *kalàza'i Si noti che karàf'a, nel valsuganotto, indica la rèsina
di certi alberi, per esempio dei ciliegi, ed anche la cispa. Inoltre, nel ve-
neto, compete pure a questa voce il significato di ' favo '. Si tratterà di
ràf'a, preceduta da quel kal-, di cui si occupò il Nigra, " Arch. Glott. ,,
XIV, p. 272-277, 360-362. Sara quindi cosa diversa karàf'a ' fuliggine ' V
'^ Arrigo Lorenzi. Geonomastica polesana : termini geografici dialettali rac-
colti nel Polesine, " Rivista Geografica Italiana „, XV, Firenze, 1908, p. 160.
•■' Cfr. Olivieri, " Studi Glott. ,, HI, p. 162.
Etimologie 405 '
(li gran parte dell'Emilia. L"ita,\. capitagna è invece un à . £Ìq.
del Lastri {Corso d'dgric, Firenze, lSOl-03 ... " tesiate o capi-
f<(;/)ìe ^ ...), ed è evidentemente la traduzione di cavedngna. Ca-
red(((jna usò recentemente anelie il compianto nostro Pascoli,
ma essa è e resta voce non italiana. L'Ungarelli, Voc. Boi.,
dà come proprio dell'Emilia anche ' capezza^ina ' non so donde
tratto. P.(t. (t.].
kokondrla o kokombrln (valsug.), kutumhrlne (abrnzz.) ' ipo-
condria '. V. anche trent. skokonibrij'ja.
Questa appartiene a quella serie di voci di origine lotterai-ia,
la cui trasformazione non è che uno storpiamento della forma
originale. In kokomòr/'a fu immesso ombria, che à con ipocoìulria
un ceito legame ideale.
Si ricordi, tra gli storpiamenti, quello subito dal ' sugo di
liquorizia (liquirizia, legorizia) ', lai. volg. Ucuritia (Nigra,
" Studj Komanzi „, III, p. 98), che nella Valsugana divenne sugo
de Gorlfija, a Trieste zùkoro de Gorizia (Vidossich, Studi sul
diaì. triest., X. 115 /»), a Modena sùg ed Lukrézia (Bertoni,
■ Zeitschr. f. Rom. Philol. „, XXXIV, p. 207), ecc. \
11 Vidossich, 1. e, nota pure il triest. ondar su per bitrio
{sub arbitrio) e sieno rammentati i valsug. kavalaria ripa ' ca-
vallerizza, circo equestre ', f'lavag(/n ' zabaione ', che fu avvi-
cinato a f'iavago ' lavacchio, guazzo fatto per terra ', rof apila
(veron. rof'ipilja) ' risipola ' {R. E. IF., 2911), altomobile 'auto-
mobile '. V. ancora, pel veneto, le parole raccolte dal Pasqua-
i.iGo, La lingua rust. padov., p. 66, il quale però, non seguendo
i criteri scentifìci, ne accoglie anche di quelle, che non presen-
tano storpiamento alcuno, ma solo trasformazione fonetica.
' Nel trentino è detto volgarmente me'rda de djàQl^ che il Ricci dà come
voce fanciullesca.
406 Angelico Prati,
Ad esse va aggiunto il vicent. riist. saltafizefe, che ricorre in
una poesia del Pittarini, pur da lui riportata a p. 94. Cfr. ve-
ronese mntificHHr, valsug. santifìfijétur ' santerello, santificètur ',
lomb. santìfìcétih' ' pinzocchero, bacchettone ' (Salvioni, " Studj
di Filol. Rom. „, VII, p. 221, § 393) i.
Il Salvioni, nelle sue Osservazioni carie sui dialetti meridio-
nali di terraferma, " Rendic. d. R. Ist. Lomb. „, s. II, v. XLIV,
1911, p. 781, vorrebbe spiegare l'abruzz. kutumhr'me puramente
con trasformazioni d'ordine fonetico, ma, dato il valsug. ho-
komhria, le due voci non saranno da giudicare in modo di-
verso -.
koìnpà'n de (trent.) ' come '.
Cfr. kompà'n ' compagno, uguale '. Il veneto, in suo luogo à
il caratteristico konfà. kofa o fa.
kuarn (veron.) ' brània ' [quara nel dizionario veronese di Pa-
tuzzi e Bolognini).
Da *koàra. da ko'a, nel significato di ' striscia di terreno ' ^.
^ Si ricordi pure il trent. Ucarmq'niha 'fisarmonica'. Una variazione
scherzosa, ma non di parola importata, è il veron. a ptsego manifìko ' a
spizzico, a miccino ' (valsug. a lyipego menùpego). [È un'espressione comune
veneta, cfr. Boerio, s. piceyo. G.].
Curiose sono le alterazioni che subisce il sale di Cavlshad sulla Ijocca
del popolo. Nella Val Lagarina e divenuto sai de casba, de càrpem, de casbak,
de calasbar, de gaspa, de graspa, de frasca, de Gdsjìer, che raspa, da raspar,
de scarpa (Conci, " Pro Cultura „, II, p. 364). Si aggiunga anche il tàrtaro
me'diko (trent.) ' tartaro emètico ', ecc. ecc.
^ Dalle Tezze (valsug.) ò la forma kuJcumbrle (plur.).
■'' [Si tratta di nient'altro che di quadra ; cfr. piacent. " Qitàdar di' art, u di
giardèin : quei pezzi di terra in un orto o giardino, ove si coltiva una sola
specie di verdura, o di fiori „ (Foresti); ferr., id. (Azzi, Fehki) ; romagn.
quadrila 'proda' (Mattioli); bologn. ^'««arféren ' quadro ',' spartimento delle
risaie', quadenuer 'imporcare', disporre il terreno a porche, mettere a
Etimologie 407
liìììd (trent.) ' parte scema dell'uovo, vuoto tra il guscio e la
chiara '.
Il Salvioni. ■' Homania „, XXXI, p. 285; " Ardi. Glott. „,
XVI, p. 313, n. 2, spiegò questa voce dal lat. lacuna. La sua
etimologia fu accolta dal Battistf, Cafhna, ^ 69, p. 175, n. 3,
ed io credetti di trovare ad essa un riscontro nel nome locale
Rovere della Lima (Mezzolombardo, Trento), in un documento
del 1391 Roveredo ahnia. che intorprotai come un robo return
ad la cuna m, essendo posto il villaggio cosi' nominato vicino
ad un'insenatura dell'Adige. V. i miei Xorni locali del Trentino,
" Rivista Tridentina .., IX, Trento, 1909. p. 171-172. Nella
•• Pro Cultura ,, T, p. 154. il Battisti però osservava che Luna
non è il risultato legittimo di lacuna, ma di un prestito
di antica data, derivante da questo etimo. V. anche il mio
articolino Sìdl'oriyine del nome locale Rovere della Luna, " Pro
Cultura .,, [. p. 403-404. Bisogna notare che ci sono non
pochi luoghi trentini detti Limar, che trovano liscontro nel
li/nare o limaris ' locus in portu. ubi naves fluctuantes ser-
vantur. Gali. Bassin, a forma lunae lunatae seu crescentis ' del
Du Cange. Questa voce deve appunto aver indotto il Battisti
a dare la spiegazione accennata, che però ora pili non mi pare
accettabile, perché non c'è una base sicura per ammettere l'im-
portazione di luna nel trentino, comunque sia da considerare la
voce limar.
Convien quindi riconoscere che la scomparsa del // secondario
costituisce un ostacolo insormontabile contro l'etimo del Sal-
vioni. Nessun riscontro certo a tale fenomeno offre il dialetto
trentino e nella toponomastica trentina s'incontra appunto la-
porche (Ungarelli). L'etimo di ' quaderner ' ' quaderen ' è cosi chiaro, che è
evidente che il vocabolo e pas.sato alla significazione di ' imporcare ",
'porca' col mutare del .sistema di coltivazione. P. G. G.].
408 Angelico Prati,
giina, non *luna. Cfr. la Laguna nel comune di Cave'den (Vez-
zano, Trento).
La lilna dell'uovo si può invece spiegare agevolmente da
luna, essendo essa di forma rotonda e credendo il popolo che
essa sia maggiore o minore, secondo che la luna cresce o cala
(RiccAMBONi, " Riv. Trid. „, X, p. 243), cosa che non m'era nota
quando ammettevo la derivazione di luna da lacuna.
V. anche i derivati di luna, notati nella " Revue de Dia-
lectol. Rom. „, II, p. 167, N. 137, e il trent. liitiéta, tose, lunétta.
li'ipja (trent.) ' bùbbola, lipupa '.
Non può essere riduzione di *u pupilla, perché, nel caso,
ne sarebbe venuto Hiibja. Cfr. ko'bja < còpula, sto'bja < stu-
pii la (Battisti, Catinia, § 57, p. 164). Deriva invece, come in-
segna il nònes bo'bja (Battisti, Die Xonsb. MtincL, p. 54), da
un *upupea, con dileguo del -v- <C -p-, come in altre voci
trentine (Battisti, Catinia, § 70, p. 178) e con la fusione del-
l'articolo col nome ^ h'il è dovuto forse al j, come nel veneto
kubja, ma nel trentino esso sarebbe una rarità.
Più probabile che in lilpja si palesi la tendenza ad imitare
la voce della bubbola, come nel ven. puita, suita quella della
civetta (Salvioni, " Arch. Glott. „, XVI, p. 226. n. 1, 295).
Si noti che nel trentino la bubbola è pur detta, piira (v. Ricci),
da piirar, perché quest'uccello emette lamenti, che danno l'illu-
sione di gemiti umani 2.
manéipdr (veron.) ' sciupare, guastare, rovinare '.
' Oppure il primo p cadde per dissimilazione da quello seguente.
^ Anche nella Valsugana si chiama pura. Il nome comune è però biibola
(emil. hàhla), per cui v. Flechia, "Arch. Glott. ,, II, p. 326. Il Malagoli,
qui a p. 188-189. riporta il novell. gdxn pàpla, spece di gazza, che manda
un grido mesto.
Etimoloù^ie 409
Kisultora forse dall'unione di nurn con desipà)', d'ugual signi-
ficato. Cfr. tose, nianiinéttere, manométtere. Il valsuganotto, ac-
canto a d('/>ip(n', à mapipar ^ Per depipar v. Fi.echia, " Arch.
Glott. ,, II. p. 341 2.
marendél (plur. mareìidjvj) (tìani.) ' mucchio di fieno sul prato '.
Va messo con niarHo (valsug., vicent.), d'ugual significato e
di cui s'è detto sopra, a j). 281, ove si accenna a qualche altra
voce appartenente a questa famiglia ^. marendél è \n\ derivato
in -edél-^ di un primitivo *mar-, che dev'essere quel medesimo,
da cui dipendono maro'na, ìnaro'k ecc. e su cui v. qui a p. 285-
287^. Il passaggio di significato da *mar- "masso' a quello
di ■ mucchio ' trova rispondenza nel ven. mota (Jud. " Bull, do
Dialectol. Rom. „. Ili, p. 11. n. o) 'colle, cumulo di terra;
mucchio [anche gran mucchio di fieno nel fienile) '.
imita [deventdr-) (valsug.) ' impazzare (del latte) ', ed altro.
Rappresenterà la via inversa, per cui, nel toscano, da impaz-
zare ' addensare '. da aequa pazza si giunse a pazzo ' matto '.
' mazzipdre anche nel polesano, che à pure malmétare.
' [S'aggiuno^a il ven. mast ruzzar ' schiacciare, sgualcire '. Il manoitiettere
italiano è forma analoga, ma sorta in un ambiente non popolare. P.G. G.].
■^ Il venez. nMre'la non significa 'bica' (Salvionf, " Zeitschr. f. Rom.
l'hilol. ,, XXXIV, p. 404), ma equivale esattamente a mare'lo. Ne deriva
marelàr(e) ' abbarcare il fieno '. In quanto a re'la, si noti che l'Ascoi.i, " Arch.
Glott. „. I, p. 349, cita relè (plur.) di Moéna (Fieme), che interpreta per
' distese di fieno '.
' Per la terminazione -ede'l v. Salvioni, ' Arch. Glott. ,, XVI, p. 303-304, n.
In marende'l si avrebbe quindi inserzione di n promossa dal m iniziale.
' Riguardo a marn'ka e da avvertire che, secondo Cesakk Battisti, ' Tri-
dentum ,, VII, p. 22, equivale a ' distesa ragguardevole, con inclinazione
costante, di massi e pietrame dispersi irregolarmente a collinette, dighe,
spianate e vallicelle '.
410 Angelico Prati,
Per altre fLiiizioui di inaio nel valsuganotto cfr. : kàruc mata
'escrescenza carnosa'; nomi di piante: alhora mata 'pioppo,
alborella ', kaétenéro niato 'castagno d'India' {kaéténa mata il
frutto), à(/o niàto (Castelnovo), ' zafferano de' prati ', Pimo'na mata,
spece di viburno ^ ecc.; nomi di uccelli: rondala o rjo'ndola mata
' balestruccio ', perùpola mata ' cincia azzuri-a '. Cfr. poi kavaléta
falsa ' mantis religiosa '.
Tra i nomi di oggetti c'è karo maio 'traino, treggia'. Tra i
nomi locali una Rivatnàta in quel di Bieno (Strigno) -.
Qualche volta, per denotare spece di pianta od altro rara o
non comune s'usa merikan ' americano '. Cosi l'uva isabella, detta
altrove nel veneto ìUì fragola e a Trento iìa fraga, nella Val-
^ Cfr. anche trent. bri/' a mata 'ceppatello cattivo' (fungo).
- [Matto si dev'essere diiiuso dall'Italia di nord-est; infatti nel Piemonte è
poco comune (Zalli): nell'Italia meridionale si à pazzo (negli Abruzzi
solo mattetà, mattijà, Finamoke, evidentemente importati) ; in Toscana />azeo
e matto, come tante altre coppie, s'incontrano e coesistono. Matto à valore
di vano, scemo, abnorme, falso, in tutta la regione veneta e nella con-
tigua; BoEiuo : monea mata 'che non sia battuta nella zecca pubblica e non
sia dei metalli e del peso legale'; pelo mata 'lanuggine'; carne mata ' carne
morta'; pena mata 'il primo piumino degli uccelli'; maio si dice al mio
paese (Lussinpiccolo d'Istria) delle frutta 'annebbiate'; e diciamo pure
mato dei metalli preziosi d'infima lega; friul. (Pirona) aur matt, angle mate
' irregolari ' ; il milan. à anche matt in entrambi i sensi; e cosi pure il ferr.
(Azzi): carti, or, arzent, ram, muneda ; il bologn. (Ungarelli) pàil màt ; si dice
inoltre qui Idiren mata, or màt, miinàida mata che I'U.ngarelli non registra,,
tanto in città quanto in campagna; passando in Toscana troviamo ivi pure:
carne matta, pelo matto della lanuggine dell'uomo e della pelurie degli
uccelli; jic^t'xi matta à il Boccaccio; ora si dice anche gamba inatta, piede,
braccio matto 'che serve male'; della lingua letteraria sono o furono casa-
matta, carro matto 'specie di carro senza sponde per trasportare grossi pesi '
e fuoco matto (quasi 'fatuo') (D. Baktoli) ' fuoco artificiale '. — Determinata
COSI l'estensione geografica e il doppio valore costante del vocabolo pos-
siamo con maggiore sicurezza fare un passo ulteriore, tentare cioè un'eti-
mologia che soddisfi un po' meglio del niaditus 'madido' dell'OsTHOFF. Ad
Etimologie 411
sugana si chiama ùa merlkihni '. Nel tientino son comunemente
detti of'éj merikuni gli uccelli, che non si sanno identificare,
e nella Valsugana ò udito denominare botlro ìncrikàii il buiro ve-
getale, venuto recentemente in rommercio col nome di 'Ceres'.
nieriija (niasch.) (ven.).
Cosi si denominava un tempo, in alcune province venete, il
cursore di un comune. V. Boekio. s. v., e Schnkllkr, Die rom.
Volksmimd., p. 239, ove si cita questa voce anche dal furiano,
col significato di * capo comune '.
Discorrendo, in questo volume, dei ven. mariga, mar'igo, nin-
ri'gola, marit'gohi, ò riferito pure la forma merigo, a p. 280, n. 2.
Ora va aggiunto che essa risale a un anteriore mayricus, atte-
stato da documenti (Andrich, " L'Ateneo Veneto „, a. XXMII,
V. Il, p. 264). Anzi l'Andrich. citando la forma volgare meriga,
osserva che murico è forma meno usata. Egli connette la voce
con maior. come già lo Schneller, 1. e, pensò a major(de)-vico.
V. anche a p, 270, 274-275 del lavoro dell'Andrich, che, a p. 264,
riporta l'antica forma iiKirùtnra. Cfr. muriganfìd, murigancia., qui
a p. 279, 280.
Nel caso, moiga, merigo, sarà il prodotto dell'incontro di itui-
una forma metto (mettaios) risalgono i celi. airi. >nefa vigliacco,
metacht viltà, rarmetanne nos perdidit, mir. methu perire, perdi, deficere,
labi, a m a t a i 0 s gli airi, in-inadae ' sine causa , mudw vano, iiiadach
(gì. cassa), madaigim frustor ; e a forme analoghe, il gr. /.idiuiog, ftckìji',
uaiì'i 'errore trascorso', un derivato del quale ftuiu^co significa ' esser stolto '.
A questo s'aggiungeva il petroniano piane niatus suni. E avremo dunque
una base greco-illiro V-italicoV-celtica met/mat col significato fonda-
mentale di ' deficiente ", da cui si spiegano facilmente tutti gli altri affini.
Al fidcuiog già altri aveva pensato, e fu abbandonata la via che mi par
giusta perchè lo si volle riconnettere a menilrì. P. G. G.].
' Altra ragione avrà merihhia 'funicolare'.
412 Angelico Prati,
r/r/rt <; *matrica con major, da cui il frane, «wir^ ' sindaco,
podestà' (Kokting, 5812).
Pel passaggio del significato da nuirUja ' libro del comune ' a
' sindaco ' ed a ' cursore comunale ' si confronti ancora il veron.
d kaneva ' il cantiniere '.
opilàr (Agnedo, valsug.) ' premere, opprimere ; assediare con
chiacchiere '.
Lat. oppilare 'chiudere, serrare, oppilare ' (Korting, 6705).
piziil (trent.), piziól (triest.), pizyél (nònes) ecc. ' cece '.
11 ViDossiCH, Studi sul dial. triest., N. 16, n. 7, domanda se
possa essere pisum + cicer (*ciceolu). Il Salvioni, " Arch.
Glott. „, XVI, p. 233, annotando il furi, j^^c?/^ [= piciul) ' ceci ',
l'ant. veron. pdzoli, il venez. pezzolo ' cece ', l'ant. bellun. peznoi
[pezzuoli) ' ceci ', alla n. 2, osserva che, per l'etimo, può forse
servire il provenz. becudeu, d'uguale significato, pensando, d'altro
canto, al lomb. pizza ' beccare '.
La base si ritrova invece nel trent. piz ' polpa (della noce) ;
mandorla, seme (di frutto racchiuso in un nocciolo oppure del
fagiolo) ', da cui dipenderà il pur trent. pizàtol ' dadino (forma
in cui, per certe cotture, si taglian le rape ecc.) ' e ' biscottino,
buffetto '.
ràges (trent.) ' grande schiamazzo ' ; ragos (trent. rust.) ' bron-
tolone, criticone '.
La prima voce, sebbene usata a Trento, non compare nel vo-
cabolario del Ricci, ma è invece ricordata da Agostino Perini,
Statistica del Trentino, II, Trento, 1852, p. 631. V. anche Bren-
TARi, Guida del Trentino, I, p. 147,
Comunque sia da spiegarne la terminazione, essa, insieme con
rago'é, dipende dalla medesima base, da cui il ven. ragar{e), mi-
lanese raggà, che il Flechia, " Arch. Glott. „, lì, p. 381, traeva
Etimologie 413
da *ragùlare. V. anche D'Ovidio, '' Ardi. Glott. „, XIII,
p. 439.
rrf/((tàr (venez.) ' fai- a gara, gareggiare, competere, fare a
ruffa raffa ' ; rar/afdr (ant. ven.) 'disputare, litigare' [R. E. W.,
2893) ; regata (venez.) ' gara di barche ' (v. Boeuio !) : <( regata
(valsug.) ' a gara ' ; fiayatar. f>agatarse (valsug.), di senso uguale
a regatar e detto tanto di cani, di gatti ecc., quanto di uomini,
che si contendono qualche cosa o che altercano. Il venez. re-
gata passò, com'è noto, nel toscano, che à anche la forma
re gatta.
Queste voci vanno induhhiamcnte con inkatigàr ecc., cui ò
fatto cenno al hi voce trentina engartjar ecc.. col tose, gatti-
gliare, (/attiglidrsi ' leticare, pungei'si di continuo volgarmente e
per cose da nulla' ^ Risalgono quindi a cattu {R. E. W.,
1770), l'animale, che è, si può dire, il simbolo della contesa,
della baruffa.
Non chiaro è il / del valsug. pagatàr. Si avverta, in ogni
modo, ch'esso ritorna in Pavargdr ' confondere, frammischiare ;
delirare, farneticare ', veron., venez. savarjàr, vicent. savarjàre,
manto V.. trent. zavarjàr, regg. zacarjér, romagn. zavarjà' ' far-
neticare, vaneggiare '. Cfr. svariamento ' farneticamento ', sra-
riato di mente ' fuor di sé ' (Petrocchi ; Schneller, Die roni.
Volksmund., p. 214). È voce questa, come si vede, non di svol-
gimento popolare. Da rilevare è che nel valsuganotto si mani-
festa il significato primo della parola, nel quale il verbo è
transitivo.
sagrine (furi.) ' maga, strega ', agdnis, sànas.
^ Nel toscano v'è pure raggattinure ' metter ancora le unghie addosso
(del gatto).
414 Angelico Prati,
Sopra, a p. 283, è stato detto come sagàne risulti dall'in-
contro di sagana con *aquana. Qui ricordo la Buse de lis
Aganis, piccola cavità nel colle di Ragogna, e il Foran (' caverna ',
foramen) des Agunis o di Sanas, a monte di Prestento (Civi-
dale), descritti da G. B. De Gasperi nei " Mondo sotterraneo „,
VII, Udine, 1911, p. 78, 68. Interessante è la forma Sdnas, quale
riduzione di sagana.
séf'la (trent.) ' balestruccio ' ; sef'lom ' rondone '.
Come lo sforPélo (valsug.) ' fagiano di monte (tetrao tetrix) '
ebbe questo nome, per la forma della sua coda, fatta a for-
cella, come il halestruccio (tose.) ebbe il nome dal balestro, come
il ffdcino (lucch.) ' balestruccio ; rondone ' lo ebbe dal falcino,
per la sua coda falcata o ad arco rientrante (Pieri, " Studj
Romanzi „, I, p. 40), cosi la séf'la e il sej'lo ni ebbero il nome
dalla séj'la ' falcino ' (Schneller, Die roni. Volksnmnd., p. 181) ^
Con séfla potrà esser connesso il venez. si/' Ila ' rondine ',
sif'iléta ' rondinella ' ? Il Boerio, oltre sisìla, riporta la forma
cisìla, che trova giustificazione nell'antico cesila, pur da lui re-
cato wqW Appendice ^.
Il Meyer-Lììbke, R. e. W., 2446, seguendo il Mussafia, Beitrag,
^ Ai casi sopra ricordati sarebbe forse da aggiungere quello del dar-
danc'l, dàrdan (lomb.), dàrdano (ven.) ecc. ' rondine riparia ', tdrter (trent.)
' balestruccio ; rondone ', tàrtaro (valsug.) ecc., in quanto questi nomi di-
pendano da dardo (Pieri, "Studj Romanzi,,, I, p. 40), rispettivamente da
tart (alto ted. ant.), ma tale dipendenza non pare molto sicura (7?. jE7. W.,
2475). Il NiGEA, " Arch. Glott. ,, XIV, p. 283, pensava ad altra origine.
Il falcino e la sefla sconsigliano poi ad ammettere la derivazione da
dardo, alludente alla velocità dell'uccello, come supposero lo Schneller,
Die rom. Volksmund., 204, e il Salvioni, " Krit. Jaliresber. „, V, i, p. 133.
- Il Salvioni, " Arch. Glott. „, XVI, p. 313, n. 1, annotando la forma me-
tatetica silizin (Grado, ven.), adduce a confronto un ven. slsila, il quale non
sarà che un errore. Si ricordi poi la Val Cesilla (Zismón, Brenta).
Etimolo^ne 415
p. 124. deriva l'ant. ven. zesihi, il iiiod. veiiez. sìfiln, il l'uri.
si/ile, e, con diverso sut'tisso, l'ant. vicent. crsiola, il padov.
sifiold, dal greco cypselos 'rondine riparia", ma aggiunge
che quest'etimo è dubbio, perche da esso si aspetterebbe -s-,
non -/'-.
sif'ilit potrebbe essere un *sicella o ancor meglio un *siclle^,
che poi avesse preso 1'-^: da éésola ' falce ' <C *sicTla -. E, per
l'iniziale, cfr. il valsug. /'Jr/'la ' falcino ', che, pel dittongo, ri-
chiama il non. siéf'la (Battisti, D'w JS'oiisb. Miii/cL, p. 37), sol.
siéf'do (Battisti, Zur Sulzh. Miind., p. 226, § 18). 11 (taktner,
" Zeitschr. f. Bom. Philol. ,.. XVI, p. 343, n. 3, si occupò este-
samente di un gruppo di forme, che egli ricondusse a si ci la,
e per la forma nònesa osservava, che, come pare, allude a
secare^". Ma il valsug. P}(^J'l<i e le forme venete citato, am-
messo che risalgano alla base proposta, presentano una diffi-
coltà nella consonante iniziale. PjéJ'la farebbe pensare all' in-
flusso di caedere, o, meglio, di *caesare {R. E. II'., 1473),
anzi si penserebbe ad un *caesrila, da confrontare col tose.
ceféllo (Meykr-Lììbke, Eiiifiilininy -^ p. 160; R. E. IT., 1474) e
per sif'iìa ad un *cTsella o ad un *cTsTle^, per cedola a wn
*c a e so la.
•Sennonché f'jf^f'ln può essere forma dissimilata di un anteriore
*sjéf'la. Infatti in un documento volgare valsuganotto del 1506
* Cfr. 'falcile -falcetto' {B. E. W., 3157).
^ Il s di se'sola è dovuto ad assimilazione, come notò il Vidossich, Studi
sul (hai. triest., N. 86 è.
•^ Notisi che il Mkykr-Liìbke, " Ardi. f. d. Studium d. Neueren Spr. u.
Liter. „, CXXIV^, p. 382, tende a spiegare il tose, segolo 'pennato' da
seijùre. Per segolo cfr. pure Jin. ivi. p. 399. E v. Mkyer-Luiìke, Einfiihrung-,
p. 128, ove è da correggere segala in se'golo.
* Beninteso che, nel primo caso, l'i sarebbe prima comparso nelle forme
derivate sif lieta, silizln, e di i{Ui' in siftla.
416 Angelico Prati,
s'incontra la forma sicsle (plur.) \ cosa che però non prova
molto. Un caso uguale offre il rover. ceslom, accanto a seslom
' rondone ' (Azzolini). Cosi pure il Marchi riferisce la forma
zeslóm {Note e osserv., p. 52).
Anche il nome del passero à dato alquanto da pensare.
Cfr. ven. éélega, selegàto ' passerotto ', triest. selegato, poles. zé-
lega o zélga, wsdsug. h'iega, ant. ven. celega, vegl. célka; ampezz.
Cìlja, trent. zélega, romagn. zélga ' passera mattugia '. Cfr. anche
vicent. selegàre ' uccellare '. Tra i nomi locali connessi con
questa voce si rammentino Zelegàre (Torrebelvicino, Vicenza) e
un antico Ciligofo (Conegliano, Treviso) del 1252 (Olivieri,
" Studi Glott. „, III, p. 139). V. ScHNELLER, Die rom. Volksmvnd.,
p, 130; MussAFiA, Beifnig, p. 123; Ascoli, " Ardi. Glott. „, X,
p. 93, n.; ViDossicH, Studi sul dial. triest., N. 83 6; Bartoli,
" Revue de Dialectol. Rom. „, II, p. 477; R. E. W., 828, 1802.
Per il costume di vita e di nidificazione, come si sa, il pas-
sero si avvicina assai alla rondine ^. Ora, che éélega ecc. sia un
*silica, metatesi di *sìcila, da cui il trent. òv^/'/a? In quanto
alla consonante iniziale, essa tenderà fors'anco ad imitare il
cicaleccio del passero. In tal modo si spiegherà pure Rilega
(valsug.). La forma triestina (v. Vidossich, 1. e.) e, forse, pure
il gravose siliziii potrebbero aver conservato il s- originario.
^ Si legge nella carta di regola di Dospedale (forma letteraria O.y^eda-
letto), scritta dal notaio tasino Gasparin Granello (Maurizio Morizzo, Docu-
menti risguardanti la Valsugana, 111, N. 2687 dei manoscritti della Civica
Biblioteca di Trento, p. 9).
Per l'antico trentino il Battisti, Catinia, § 11, p. 109, riporta le forme
sexula, sexola, sesia.
• Anzi alle Tezze (valsug.) la Rilega e appunto la rondine, che è detta
zélega anche altrove (G. Bastanzi, Le superstizioni delle Alpi venete: le su-
perstizioni delle Provincie di Treviso e di Belluno, p. 212). Nell'emiliano in-
vece ze'lga indica il montanello, che è pure un passeraceo.
Etimologie 417
Ma di queste spiegazioni di sij' Ha e di stHegu son io il primo
a riconoscere la non grande probabilitèi. Io le espongo quale
mero tentativo e spinto dal bel caso, presentato dal tren-
tino è<:f'la.
èldjar{e) (ven.) ' seccare, importunare, annoiare, crucciare ' ;
sidjo ' seccatura, importunità, fastidio, cruccio ' ; éidjà (valsug.)
* spossato, affranto '.
Il Boerio, oltre a queste forme, cita anche assediar, s/'diar e
assedio, .^rdio e il Salvioni, '• Ardi. Grlott. „ , XVI, p. 195, ri-
cordando pure il monf. sidiése ' affaticarsi ', pone a confionto il
tose, jwrre l'assedio ' importunare, infastidire '.
Conviene tuttavia osservare che nel trentino c'è zidjór ' dar
noia, far venir l'accidia; importunare, seccare', zidja 'stizza,
cruccio', zidjo's 'stizzoso: di malumore; accidioso, uggioso;
piagnucolone ', forme che non posson ragguagliarsi con assèdio,
bensì con accidia [R. E. W., 90), che, anche pel senso, vi corri-
sponde benissimo. Cfr.. nello stesso dizionario del Boerio, acidia
' accidia, fastidio con tedio del ben fare ', acidiarse ' seccarsi,
stufarsi, venire a fastidio o a noia ' (da leggere as/dja, asi-
djàrse). 1 ven. sidjàr{e), sidjo rappresentano probabilmente l'in-
contro di sédjo ' assedio ' con accidia, avendosi nel valsuganotto
sidjai', sidjo e non ^pidjar, *Pldjo, che sarebbe il prodotto del solo
accidia. Anche il roveretano à sidùki, sidiar.
Nel valsuganotto sidjo o sldja vale anche ' inedia ' e si pre-
senta in tal modo un caso inverso del tose, inèdia, che venne
a significare anche ' noia tremenda ', ed analogo invece al sicil.
iniciaciti • inedia, sofferenze ' (cfr. ant. tose, misacjio ' disagio ')
(De Gregorio, " Studi Glott. „, IH, p. 254).
Il veronese a il verbo sorir o insor/r ' infastidire, indispet-
tire, dispiacere ', sorlrse ' arrabbiarsi, indispettirsi ', vicent. m-
sorire ' mortificare ', che non è certamente cosa diversa dal-
Arthivio gloitol. ita!., XVII. 23
418 Angelico Prati,
l'ant. ven. insorire 'venir fame', che il Salvioni, " Romania „,
XXXIX, p. 449-450, seguito dal Meyer-Lììbke, R. E. TF., 2918 a.,
deriva da esfirìre.
Anche qui si à dunque un altro riscontro per il passaggio di
significato, sopra avvertito ^.
stadél (trent.) ' piolo, regolo ' ; stavigi (sing. sfavUjo) (valsug.)
' due legni, un po' ricurvi, che stanno infissi verticalmente ai
lati del carretto a mano e che trattengono il carico '.
Andranno coi tose, asticcig'la, asticéllo: il primo s'appalesa
come un derivato in -adél (Salvioni, " Arch. Glott. „, XVI,
p. 304, n.) di asta. Cfr. si^Za < *astella [E. E. W., 740). Il
secondo risulterebbe dall'unione del primo con avégo (valsug.)
* pernio '. L'/ e causato dall'z finale {staiigi). Ma quest'unione è
poco probabile.
Un incontro invece con cavicla [R. E. W., 1979), malgrado
nel valsuganotto sieno numerosi i casi di c'\ > g, sarebbe
escluso dal fatto che si à appunto kavico (Tezze kaica), non
"^kavigo, a meno che un tempo non s'avesse nella Valsugana
questa forma.
In avégo (rover. aguéj) <C *aquìleu {R. E. W., 127) ^ si nota
la riduzione di -ku- in -o-, quale compare pure nel venez. véla
' gugliata ', da *akiiétta (Vidossich, Studi sul dial. triest., N. 33) ^.
* La voce ìnsorio s'incontra pure nel Contrasto del matrimonio de Tuogno
e de la Tamia, stampato nel 1519 (Pasqualigo, La lingua rust. padov.,
p. 5, n.).
- Per Vequileus di una glossa, cui accenna il Pascal, " Studj di Filol.
Rom. ,, VII,p. 246, n., v. D'Ovidio, " Arch. Glott. „ XIII, p. 391, n.
^ Cfr. anche ven. hef'evego 'pungiglione' (Nigra, " Romania „, XXXI,
p. 508; " Arch. Glott. ,, XVI, p. 598; R. E. W., 1057).
Per ave'ta, ve'ta non è quindi da supporre un *àvo a e u (Salvioni, " Arch.
Stor. Lomb. „, s. III, v. XVII, p. 365-366). Il veneziano à infatti ago (non
*àvó), ma ve'ta.
Etimologie 419
Anche nel nònes ricorre avéj (Battisti. Die Xou^h. Mund.,
p. 133).
f'ianfrar (veron.) ' divorai'e, pappare, mangiare avidamente '.
Deve star a base di questa parola quel leffur (alto ted.
ant.) ' labbro ', che tante tracce lasciò nell'alta e nella media
Italia. V. Battisti, Lk roculc A, p. 83, n. ; Salvioni, " Arch.
Glott. .., XVI, p. 174; Parodi, ivi. p. 108. n. 1. Il Salvioni,
1. e, adduce, tra l'altro, il crcmon. lifrokaa ' pacchiare '.
In f'ianfrar s'immise evidentemente f'ìapar, di senso uguale.
E non sani quindi da pensare all'influenza di lài:ro. In quanto
all'inserzione del ii poi, sia rammentato il triest. f'ianbrar ' slab-
brare ' (ViDOSSiCH, Studi ì<ul diaì. triest., N. 115/).
J'ihìfjo (più coni, f'iinfja) o f'niììfjo (veron.) ' lezioso, smor-
fioso, pieno di lezi, di vezzi, di smancerie"; f'ihnpjo 'schifil-
toso '; f'iimpjo, f'iimpjom (trent.) 'smorfioso, schizzinoso; sdolci-
nato; delicatuzzo '.
f'I'tnfjo è l'incrocio di f'ninfjo con f'itntpjo, che, alla sua volta,
è l'incrocio di J'iimega, J'iimegin (veron.) ' biascino ', f'iimegon
' biascione, biascicone ', f'iinugar ' biasciare. biascicare, biasciuc-
care ', Ihiff/o o f'Umego (valsug.) ' schizzinoso ', con la base ch'è
nel trent. J'Upja ecc., di cui v. qui a p. 277, e che ricorre
anche nel sicil. lippiàri ' Jeccucchiare, assaggiare, gustar legger-
mente checchessia ' (De Gregorio, " Studi Glott. ... Ili, p. 276) ^
Per f'ninfjo, f'ninfo ecc. v. Vidossich, " Aich. Triest. .,. XXX
(s. Ili, V. II), p. 146; Cesarini Sforza, " Tridentum .., Ili, p. 152-
' Alla prudenza nell'ammettere dei germanismi nell'Italia meridionale
à accennato recentemente anche il Salvioni, " Romania ,, XXXIX, p. 468,
ma nel caso di lipindri credo che non ci sia da esitare molto a collocarlo
colle voci dell'alta Italia, cui s'è fatto cenno.
420 Angelico Prati,
153, ove son raccolte parecchie forme dell'alta Italia. A propo-
sito dì spuséta, cui accenna il Vidossich, v. spuzét nel vocabo-
lario trentino del Ricci ^.
Per il n di /'ninfa cfr. f'ìianfo (venez.), nanfo (valsug.) ' che
parla nel naso ' -.
Per i rapporti e i cambiamenti di significato cfr. ciò che
scrive il Vidossich, 1. e, con ciò che scrive il Salvioni, " Arch.
Glott. „, XVI, p. 174.
tarando (valsug.), tarant (trent.), farànz (rover.), sarànto (scritto
zarànto nel Boerio) (ven.), cirànt (furi.) ' verdone '.
Lo ScHNELLER. Die rom. Volksmund,, p. 204, diede di taranz
una spiegazione da far il paio con quella di (jaméro (v. sopra).
Egli interpretò taranz come d'arancio, pel colore dell'uccello!!
Il Salvioni, " Arch. Glott. „; XVI. p. 313, n. 1, lo cita, al
contrario, come una forma metatetica, basandosi sul ven. za-
rànto, friul. cirant '^. Ma non si tratterà di una metatesi in
taranz, visto che il dialetto di Trento à tarant e il valsuga-
notto tarando, che s'allacciano col tose. (?) taranto ' rigògolo ', che
è ricordato, a proposito del nome di un pesce (rover. tarantél),
nella " Revue des Langues Romanes „, LUI, p. 52 ^.
'■ Nel suo primo significato, spilze't indica ' chi veste con soverchia ricer-
catezza, frustino, paino ' e c'è perciò chi lo spiega dal ted. sich putzen
' acconciarsi, farsi belio '.
^ Cfr. sicil. nanfara ' voce nasale per raffreddore ' (De Gregorio e Sey-
BOLD, " Studi Glott. „, III, p. 242). Cfr. il n. pers. Gnanfum di un doc. padov.
del 1183 {Cod. Ecel., p. 85).
^ Il Salviowi cita taranz come voce trentina, ma a Trento si dice tarànt.
La causa dell'inesattezza andrà cercata nelle rom. Volksmund. dello Schnel-
LER, ma è un grave errore il tradurre con ' trentino ' il wàlschtiroliscìi di
quest'autore ! Si farebbero, in tal caso, passare come trentine delle schiette
voci venete o lombarde !
* Non so però donde il Barbier fils abbia quella voce.
Etimologie 421
Se farànto, farànt è un *tarantu, taranz non potfa essere
che *tarantiu (cfr. tose, avvolto' jo e i numerosi derivati di
*pulliu: Meyer-Lubke, Roìh. Gramin., II, § 403) e forme do-
vute a metatesi saranno invece sarànlo, ciranl. \\ valsug. tarando
si spiegherà per dissimihxzione ^
trame (venez.) ' pianello. androne'; ^m>M6y/r (vicent.) ' striscia
di terreno tra due filari di alberi '.
Il Salvioni, " Romania „, XXXI, p. 294, indotto dal mi-
randol. (emil.) tràmad ' androne tra alberi ' ecc. -, deriva pur
il venez. trame da tramite, piuttosto che da un *tramen,
tra m i n i s.
Ma al Salvioni evidentemente non era allora noto il vicent.
trùmene, che ci riconduce appunto a quest'ultima base, alla
quale risaliranno pure i nomi di Trami (Terrazzo, Verona),
Borgo Trami (Keana, Udine), Tramón (Villabartolomèa, Verona)
(Olivieri, " Studi Glott. .,, UT, p. 200), Tramin (ted.; ital. Ter-
méno (alto Adige) (Prati, Ricerche di topon. treni., p. 39-40, n.).
Per lo scambio di -es, -itis con -en, -inis (limen : limes ;
termen : *termes ecc.) v. Ascoli, " Arch. Glott. „, IV,
p. 400 ; Mever-Lìieke, Roììi. Gramm., IT, § 16 ; Einfiìhrioty^,
p. 166=^.
^ Forse è la medesiìna voce il nome della stirpe signorile dei Tarcmten
del villaggio Tirol, che in un documento del 1394 compare coinè Turandi,
forma che vi è tradotta col lat. Scorpiones. E lo Sciinkller, Beitriige zar
Ortfinamenlcunde Tirols, II, p. 28, n. 3, ricorda l'antico nome tirolese dello
scorpione : der turnnt, torunt, il quale gli pare un partic. pres. dell'alto
ted. ant., alto ted. m. taren ' danneggiare, nuocere '.
- Anche il Lorenzi, " Riv. Geogr. Ital. ,, XV, p. 163, nota la voce emi-
liana (Massa, Ceneselli) trdmad, indicante ciascuna delle pezze di terra
coltivabile, in cui è suddiviso un fondo.
^ Qn *trlmen sembrerebbe proprio supposto dal veron., vicent. trlme,
poles. in'itio ' porca '.
422 Angelico Prati,
Per ciò che riguarda il significato si confronti bhm (veron.)
' filare di viti '. V. i nomi locali veronesi Bine-lónghe, Ottohìne
e, d'altro lato, Binastróva \ via di Verona, ora scomparsa (Oli-
vieri, " Studi Glott. „, III, p. 147. 203, 154). Cfr. Uncdo (poles.)
presso il Lorenzi, " Riv. Geogr. Ital. „, XV, p. 159 2, e v.
ScHNELLER, Tir. Nani., p. 16.
uéfa (sost. e agg.) (trent.) ' uva lùgliola '.
E detta ita Imjndega, ogadega nel veneto [ulgadega nel valsu-
ganotto), luljdmt o luvjdna nel veronese. La forma trentina, de-
rivata per -ense. à riscontro in ila gostéf'a 'uva agostina'
{R. E. W., 786); ma per designare altre piante o frutti, che si
seminano 0 nascono o, rispettivamente, maturano in agosto, si
usa gostarlJl.
Il dileguo del j da Uefa trova un caso parallelo nel nome
del villaggio della Val di Non Timi, in antichi documenti Tul-
lienum ecc. (Prati, Ricerche di topon. treni., p. 59).
Riguardo alla scomparsa della consonante iniziale è forse op-
portuno ricordare il ven. uljana, ulgàna (anche fassano), fiam.
olgana ' Giuliana ' '^.
visciola o bisciola (tose), vlsola (venez., poles.. veron., trent. ecc.);
vérla (valsug., vicent.);, sorta di marasca.
Il Meyer-Lììbke, R. e. W., 1433, accoglie visciola e vérla
sotto byssìnos 'rosso', cui attribuisce pure il significato di
' visciola '. Egli osserva tuttavia che la forma vérla è affatto
incomprensibile.
^ Veron. rust. stro'o, trent. strof ' buio ' (Ettmayer, " Rom. Forsch. „, XIII,
p. 631).
■ Il Mazzucciu à invece binon ' androne '.
^ RicARDo Rasmo, Piccolo saggio sul dialetto di Fietirme, Venezia, 1879 (v. il
dizionarietto).
Etimologie 423
Dov'essere invece nel vero chi ritiene che v/sola, rhciola ri-
salga all'alto ted. ant. wihsela (Korting, 10392), ted. mod.
Jì'eiclt.sel, come ammette il Parodi, " Romania ,,, XXVII, p. 235, n.,
che cita il ted. rixeìa.
Oscuro rimane invece rérla, che è troppo lontano da cisoia,
per crederlo d'uguale origine. Si noti che Alessandro Citolini
usò nella sua Tipocos»n(t. \'enezia, 1561, la forma venda, indi-
cante una sorta di ciliegia (v. Petrocchi, e Tommasi:o e Bellini).
V. anche i nomi locali veneti raccolti dall'OLiviERi, " Studi
Glott. ,,, III, p. 139, sotto vérla, spece di uccello, ma che si con-
netteranno meglio con véì'la, frutto.
Voci derivate da ervilia 'cicerchia'.
Dal nome di questa pianta, che nel toscano è rappresentato
da rovigìia, rubiglia o robfgfid (D'Ovidio, " Arch. Glott. .. , XIII,
p. 414), sorta di pisello, mont. pist.: orhtglia, spece di pisello
salvatico che fa fiori rossi, nel valsuganotto da broéf/a ' vi-
lucchio', nel trentino da g7-èfe o erbéj 'cicerchia', nel lombardo
da arbéj, nel nònes da arbm, nel solandro da roao't (Battisti,
Zur. Snlzh. Mund., p. 233), ecc. (" Studj di Filol. Rom. „, VII,
p. 192) \ deve dipendere un altro gruppo di voci, che denotano
' aggrovigliamento, arruffamento ' e sim., alle quali diede ori-
gine, con tutta probabilità, la pianta in parola, che meglio di
tante altre porge l'idea dell'aggrovigliamento. Raccolgo quindi
sotto la base intestata alcune voci, alle quali si potranno ag-
giungere poi altre.
rovejar (veron.) ' arruffare, tramenare, aggrovigliare, sconvol-
^ Nella Valsugana si dice broe'ga anche a persona, che avviticchia.
Ad ervilia, anziché a r u 1) u s>, può risalire liorei/liàru (Brossanvido,
Vicenza) (Olivikki, " Studi Glott. „, III, p. 12b).
424 Angelico Prati,
gere, metter sossopra; strizzare, avvolgere malamente, alla rin-
fusa, abbatuflfolare '.
rovejo'to (veron.) ' grovigliolo ' ; rovejaménto ' arruffio ecc. ;
sconvolgimento '.
groéjo o grovéjo (veron.) ' aggrovigliamento, aggrovigliatura '.
inroegare ^ (padov.) 'arruffare, aggrovigliare', iiìroegàrse (rifl.)-,
(jroéga (Tezze, valsug.) ' garbuglio, viluppo, aggrovigliamento,
arruffio '.
ingroigàr (ivi) ' arruffare, aggrovigliare, ingarbugliare '.
nroagàr (valsug.), come sopra.
roàgo (valsug.), come groéga ^.
rovegdr (venez.) ' avviticchiarsi ' (della vite, dell'ellera e d'altre
piante che, salendo, s'appigliano).
rooigliare (tose: sec. XVI) 'svoltolare'.
groviglia, grovigliola (tose.) ' filo troppo torto, che si aggro-
vigliola '; grovigliolo ' nodo, grovigliola, che appare nel tessuto '.
aggrovigliare, aggrooigliolàre (tose.) ' avvolgersi o arruffarsi (del
filo e sim.) '.
Il NiGEA, " Arch. Glott. „, XIV, p. 277, fa risalire groviglia
a un *carabiculu, da caràbu 'granchio', in quanto questo
dà l'idea di cosa raggomitolata, aggrovigliata.
Ma, anche astraendo dal trapasso di significato, questa base
è incompatibile colle forme venete, da gran parte delle quali
si deduce che il g in groéjo, groéga, groviglia è prostetico, pel
' Al polesano, che à roéga 'piselli; vilucchio', è propria la forma /«ro-
dare, rogare ' involtare ', rogón, rogo'to ' batuffolo ; involto '. Cfr. kontàrse
' ardire, osare ' di fronte al valsug. Jcoentór.
^ Anche i verbi seguenti s'usan pure riflessivamente.
^ L'rt è naturalmente subentrato prima in nroagdr, da cui fu formato
roàgo. Cfr. valsug. kkavapàr (111 pers. indie, pres. skavafia), e, d'altro canto,
kega 'spacconata; spaccone', he' gola 'cacherelle', da A-p^rój- (HI pers. indie,
pres. kega), htorcgdr [hto'rega] (metat.) ' rivolger parole per infastidire ' ecc.
Etimologie 425
quale fenomeno, oltre i noti esempi toscani, cfr. venez. yrànsjo
' rancido ' '. trent. grdspola (valsug. ràèpa) 'ingolla'.
Sui nomi veneti della lumaca e della chiocciola.
Mentre nel veneziano e nel veronese la lumaca è detta lii-
)ìià(/a -, nel valsuganotto, nel vicentino, nel polesano e nel tre-
visano vive la interessante forma luméya, alle Tezze, nell'estre-
mità orientale della Valsugana, e nel padovano linif</a. 11 ve-
ronese, oltre lunuuja, a Umàèo, mentre nel trentino il lihnàz è
la chiocciola.
L'Ascoli, " Arch. (jlott. .,, X, p. 92, n. 2, togliendo dal di-
zionario padovano e veneziano del Patriarchi la forma limèga,
osserva: " L'accento contrasterebbe con la qualità della vocale,
e saremmo spinti alla ricostruzione: llme<ia = limaca ., . Ma
egli avrebbe risparmiato questa osservazione, se avesse saputo
che la voce suona appunto liméf/a.
Di recente à proposto due spiegazioni il .Salvioni " Revue de
Dialectol. Kom. „, II, p. 94-95, il quale pensa o ad estrazione
da lianeghéta, lumegón o a sostituzione del suffisso -éga <i -àtica
ad -aga. La prima spiegazione va esclusa senz'altro, mentre è
sicura la seconda, che, come nota il Salvioni. trova un appoggio
nel venez. pedenéga ' pastinaca ' ^.
' Molfett. gréngete, napol. granente, calaln*. grànritu (Merlo, " Revue de
Dialectol. Rom. „, 1, p. '2ó3, n. 2). 11 Mkulo li spiega tlairincrooio di 'grasso '
con ' rancido '. che però non pare giustificato.
" La forma lunuìga ricorre pure nel polesano (Lokknzi. '' Riv. Geogr. Hai. ,,
XV, p. 151).
^ Cfr. Ijresc. pa^itenà'ìeuhe (trent. invece pestenàgu ; (xìstenàkn h natural-
mente forma dotta). Col furi. rubì"jhe 'orbacca', di cui Salvioni,!. c, n. 3,
cfr. Vorhaiga, citata da E. Lorknzi, Saggio di comm. ai cogn. trid., p. 69, N. 12,
che non dice però a quale parlare es>a appartenga.
Diverso suffisso à pure il nònes limo'c ' chiocciola '.
426 Angelico Prati,
Inoltre essa trova la più bella conferma nell'antica forma
lumaiga, riportata dallo Schneller, Die rom. Volksìmind., p. 45,
e nel rover. liiinàjga ' lumacone ignudo '.
Dalle forme sopra citate si vede come in parte del veneto
compaia la forma con / [liniéga, limóso), ma pili comune è quella
con u [lìonégo, liimaga). Questa fu spiegata coll'influsso di lume,
come hi f érte, luf'érta ecc. coll'influsso di li[l'e, ma, nel nostro
caso, non si sente bene la ragione di tale influsso, quantunque
vi sieno dei casi, in cui una voce subisce l'influsso di un'altra,
anche senza che tra esse corra alcun legame di significato.
Si confrontino, in ogni modo, i nomi locali Lumignàno (Lon-
gàre, Vicenza), nel 1013 Litniniano, Liimiàltu (S. Maria in Stelle,
Verona), nel 1213 Limeaìto (Olivieri, '' Studi Glottol. ... Ili,
p. 83, 141), Lunìiàgo (Grezzana), nel 1182 ecc. Li- (ivi, p. 66).
Nella Valsugana vige la superstizione che la lumaca sia la
generatrice delle chiocciole, motivo per cui è anche detta ìnàre
de^i bìipi, ove la chiocchiola è detta bupo.
Ed ora ai nomi della chiocciola.
In Tasino, valle del Grigno, affluente di sinistra dell'alta
Brenta, la chiocciola s'addimanda ico'f'o, voce che ritorna a Grigno
e alle Tezze (valsug.) e che, partendo da qui, abbraccia una zona,
la quale, attraverso il trevisano, arriva fino nella provincia di
Venezia, per esempio a Portogruaro. Questa voce ricorre anche
in Primiero {sco's), nel bellunese [scós o schs), a Predazzo (pron,
loc. Pardàc\ (Fieine) [scds], al Col de S. Lucia (Livinal Longo)
{scittóis: Schneller, Die roy». Volksniund., p. 248). E poi da ri-
levare che nella Valsugana, cioè in un territorio, ove non vive
la voce éco'/'o, se si fa astrazione dalla sua estremità orientale,
è invece comune la frase ndàr a éco'f'i per ' andare qua e là
oziando o facendo cose di poca importanza, di poca fatica, e
svogliatamente; far un mestiere di poca utilità, di poco conto ;
perder tempo '.
Etimologie 427
Nel tasino, a Griglio, alle Tezze. in Primiero, nel trevisano a
' chioccioletta ' corrisponde èco/' èia. nel trevisano e a Porto-
gruaroa nclie scof'éto ^
Lo ScHNELLER, Die roni. Volk^mund., p. 248, riguardo a questa
voce, osservava che non si adattano né lat. clausum, né
e odi le a, nella forma diminutiva italiana chio'cciola.
Il Salvioni, " Zeitschr. f. Hom. Philol. „. XXII. p. 477, alla
sua volta, derivò il bellun. écùs da *elrisu 'chiuso' ed allo
ScHucHARDT, ch'ivi, XXIX. p. 225, impugnava la sua etimologia
dichiarandosi invece per la base co eh le a, il Salvioni, " Krit.
Jahresber. „, IX, I, p. 109, rispondeva che vorrebbe sapere la
giusta pronunzia dell'o di scóf'o, per riaffermare che vi si tratti
di clan su; ma aggiungeva che un o' potrebbe giustificarsi da
un compromesso tra ' schiuso ' e ' schioso ', per la via che è
additata nell'" Arch. Glott. ,, XVI. p. 441 -.
Il tìam. scòs però esclude questa spiegazione e richiede ap-
punto una base con ò'.
Xel veneziano, nel polesano e nel triestino la chiocciola porta
il nome di bovolo, nel polesano anche bógolo, in parte del vi-
' Un Ponte del Sciós è in Primiero (Bkentaki, Guida del Tre)iti}io. il,
p. 222) e un luogo detto Sciosavara (pron. scof'avàra) e vicino a Primolan
(Canale di Brenta), nome di formazione non chiara.
- Ivi si cerca di spiegare il lucch. ecc., e'ito ' alto ' per influsso di e'}-to
(cfr. vicent. ih'to ' alto ', che e pure frequenti.ssimo nel Pozzo di S. Patrizio
(ed. Griou); Salvioni, " Giorn. Stor. d. Letter. Ital. „ XXIV, p. 269) e IV'
da un compromesso tra 1'*? di aito e Ve' di e'rto. Si tratterebbe dunque di
un caso, in cui " l'incontro tra due forme o due voci s'attua in una vocale
(la tonica) che risulta essere un compromesso tra le toniche delle due voci
inuontrautisi , (' Romania ,, XXXVI, p. 234). Nel caso di sco'/'o bisogne-
reblje ammettere l'incrocio di *c 1 u s u con clan su anche per spiegare
il --/'-, perché da clan su verrebbe *s'co'so (cfr. kg'sa, posddu; cfr. l'ant.
vicent. chiosso "capanna': R. E. W., 1973). V. Ascoli, '" Arch. Ulott. ,, XVI,
p. 182-183.
428 Angelico Prati,
centine pure bagolo o bugolo. Nel veronese, essa si denomina
hogóìì (anche mantovano), in parte della Valsugana (Bieno,
Strigno, Agnedo) bì'q^o. Oltre il confine veneto ricorrono le forme
budìia e buanél nel fassano (Schneller, Die rom. Volksìmmd.,
p. 124), a Moéna (Cavalese) bavanol (" Ardi. Glott. ,,, I, p. 349),
bodnol nel fiamazzo, bunjijl nel giudicariese.
Tra i derivati si notino i venez. bovolón ' martinaccio ', bovo-
Uto, il veron. bogonéla, i valsug. bupanéla ' chioccioletta ', bupéra
' luogo, ove si allevan le chiocciole ' ^
bÓL-olo vale anche ' vortice, mulinello, ghirigoro ', a bòvolo ' a
spira ', imbovoldr ' inanellare '. A Concadirame (Rovigo) si dicono
bcvolénti i vortici fissi dell'Adige, che producono escavazioni
nell'alveo (Lorenzi, " Riv. Geogr. Ital. „. XV, p. 79). E cfr. il
nome locale Bovolénta (Pàdova) (Olivieri, " Studi Glott. „, III,
p. 102), Buvolenta nel 1183, e Buvolento (a. 1180), Biihulento
(a. 1184) nel Trevisano (Vergi, Codice Eceliniano, p. 87, 73, 91).
8i ricordino poi i due nomi locali Booolare, l'uno presso Lùsia
(Rovigo) e l'altro presso Ignago (Vicenza), e, da bogo'n, Bogonél
(Negràr, Verona) (Olivieri, " Studi Glott. „, ITI, p. 133) 2.
Nel valsuganotto .skdla a bupo è appunto la scala a chiocciola,
nel veronese ékdla a bogo'n. Alla frase valsuganotta, sopra ri-
' V. anche poles. bo;/ón, hogonuzzo, hoifonélu (Mazzucchi).
' Bogonél potè essere in origine un soprannome. V. i casi elencati a
p. 111-113 dairOLiviERi, ivi. Cosi il valsug. bupo è nomignolo di persona
piccola, intiera e lenta nel camminare. Nell'antico tasino s'incontra la
forma bovolin. In un documento del 1394 son nominati i seguenti Tasini :
Martinellus BovoUni, Bovolinus Jolnmis, Bovolinus Mori, Martiniis Boroìini,
Andulfus BovoUni Lande, Bovolinus TamburUa (leggi Tamburlo, che ])erdura
tuttora), Petrus BovoUni, Morus BovoUni (Montebeixo, p. 82, 83 dei doc). Due
di questi son anche notati dal Cesarini-Si-orza, " Arch. Trent. „, XXVI,
p. 80 (riga 1), p. 92 (r. 4 dal b.), ove sta, per errore, Boroìini per BovoUni.
In Tasino oggi vive il cognome B(')Volo.
Etimologie 4'29
cordata, corrisponde pure, ove la chiocciola è detta hi'ipo, la
frase ndar a bi'ipi o ndàr a ht'ipi ko^l Pésto o ko^hi fo'rka. e nel
veronese c'è andar a hogo'ni ' perdere il tempo in frivolezze '.
Il veronese à pure tempo da bogoni ' tempo piovigginoso '.
L'etimologia di bòvolo ecc. di recente fu oggetto, come si sa,
di una discussione alquanto lunga, di modo che, si può dire,
essa possiede una piccola letteratura. V. infatti Salvioni,
" Zeitschr. f. llom. Philol. „, XXII. p. 4(i6 ; " Romania ,.. XXXI,
p. 276-277: " Ardi. Glott. „, XVI. p. 597; Nigka, " Arch. Glott. ..,
XV, p. 279; " Zeitschr. f. Uom. Philol. „, XXVII. p. 341-342;
ivi, XXVIII, p. 104; ScHucHARDT, ivi, XXVIII. p. 319-320.
Prima di toccare delle spiegazioni proposte per le voci in
quistione, è necessario di rilevare che esse indicano proprio la
chiocciola, non la lumaca, come scrissero molti, citando le ri-
spettive forme, e cioè lo Schneller, Die roìu. Volksmund.,
p. 124 1, l'AscoLi, " Arch. Glott. „, I, p. 349, il Gartnek, Die
ìndie. Mìind., p. 847, I'Avogaro, Appunti di topon. ceron., p. 30,
il ViDossiCH, " Zeitschr. f. Kom. Philol. „, XXVII, p. 752, il
Salvioni, 1. e. il Meyer-Lììbke. R. E. TF.. 1225.
L'errore, almeno in parte, risale ai vecchi vocabolaristi, come
il Boerio e l'Azzolini, ma questi danno però, accanto a ' lu-
maca '. anche ' chiocciola ', quale traduzione di bòvolo, rispet-
tivamente di lumaz. Del resto, basta leggere i due articoli
bòvolo e lumàija nel dizionario del Boerio, per convincersi ch'egli
intende alludere, nel primo caso, alla chiocciola, e basterebbe
il nome scientifico, da lui dato, per togliere ogni menomo
dubbio. Riguardo al triestino il Vidossich gentilmente m'informa
che bòvolo significa appunto * chiocciola ', non ' lumaca ', com'egli
aveva asserito nel 1. e. e come riferisce il dizionario del Ko-
hognol e hucKjìia li traduce però con ' martinaccio '.
430 Angelico Prati,
sovitz ^ Sul fatto che il bòvolo è la chiocciola e non la lumaca
insistette già il Nigra, " Zeitschr. f. Rom. Philol. „, XXVIII,
p. 104, ma ò creduto bene di riaffermare la cosa, perché non
si continui a ritenere erroneamente il contrario -.
Lo ScHNELLER, 1. c, riferendosi alle forme giudicariese, fia-
mazza e fassana, le deriva da baca.
Il Nigra trae bòvolo da bova 'serpente', a cagione delle
spire del guscio della chiocciola. Ma questa etimologia è troppo
poco convincente.
Da preferire è l'etimologia, propugnata dal Salvioni ed ac-
colta dal Vidossicb, dallo Schuchardt, dal Meyer-Liibke, da
bove, in quanto il bòvolo ecc., colle sue cornette, richiama
^immagine del bue. Veramente il Salvioni si riferisce alla lu-
maca, dato l'errore or ora avvertito, ma ancor meglio il nome
di ' bove ' si adatta alla chiocciola, tanto per la sua forma.
^ Infatti l'invocazione, che il Vidossich riporta (v. qui sotto), non potrebbe
esser rivolta alla schifosa lumaca, ma al mollusco, che el va, el va, el se
tira drio la kà e ch'è, per molti, un cibo ghiotto. Com'è noto, vi fu chi usò
lumaca invece di chiocciola e, quindi, scala a lumaca, per scala a chioc-
ciola (v. Petrocchi) e questo fatto adduceva lo Schuchardt contro il Nigra,
il quale osservava che nel veneto i nomi delle due spece son ben distinti.
Ma se vi furono scrittori, che confusero la chiocciola con la lumaca, tale
confusione non à né può aver luogo invece tra il popolo della campagna.
Anche riguardo a Trieste il Vidossich mi osserva ch'egli non potrebbe
escludere che in città, dove certe nozioni si confondono e sono poco precise,
si sia usato bòvolo per ' lumaca '.
[Lumaca e lumacotto si chiamano rispettivamente la 'chiocciola' e la
'lumaca' in Romagna, nell'Emilia e in Lombardia (p. es. Brescia); altrove
in Lombardia, pur esistendo lihnagot, lilmaga, à entrambi i significati. P. G. G.].
^ Anche nella " Romania ,, XXXIX, 1910, p. 452, n. 4, il Salvioni, no-
tando che il gergo parm. à bògol ' orologio ', che in altri gerghi è chia-
mato pure lumaca (nel tose, piìi com. chiocciolo' ne), osserva che hògol (leggi
bùgolo) è la voce veneta per ' lumaca '.
Etimologie 431
quanto per le sue quattro eorna, di cui le due posteriori posson
ricordare le orecchie del bue ^
Rimane però ancor da vedere se il risultato di un *bovulu
s'accordi ovunque colle condizioni fonetiche locali. E in riguardo
al valsug. hi'ipo, cui corrisponde bu nella cantilena, che gli si
rivolge, e che si ode pure alle Tezze, ove la chiocciola è detta
scq'f'o, come si è visto sopra. Vii può esser prima subentrato
in bupanéla; esso trova pure riscontro nel vicent. hnciolo. In
quanto al p, esso offrii'a un curioso caso di assimilazione par-
ziale progressiva ^.
' So di profani di linguistica, che si fanno alta maraviglia dell'etimo-
logia di bòvolo da b ò v e. Ma che dire quando coloro stessi, cui essa ri-
pugna, ])ropongono etimologie le pili inverisimili e stravaganti ?
Alle quattro corna della chiocciola alludono molte delle diffusissime
cantilene, che i ragazzi sogliono rivolgere ad essa. Cfr. : hn. bu, kuafro
kqrni bi'tta su: tino mi, uno ti. mio la ve'ca de Sandorl (Valsugana); scós,
scós, scofe'la, bùia fora i ktiutro ho'rni: uno a mi, uno a ti, uno a^a ve'ca,
ke te lì mori ecc. (Primiero); bitta, bitta kater ko'rn ecc. {Fassa.) ; /nék, /nék,
bitta for kffater kórn : un a mi, un a ti, un a^a gala da Kauré ecc. (Li-
vinai bongo); limite, limdc, biita for i to kuafer kornjój ecc. (Giudicàrie);
bitta, bitta, kornjt'd, kaatro kg'rni kornjt'jj : un per mi, un per ti, un per la
vfiCa da Karifid ecc. (Rendena); ecc. V. Catoni, " Pro Cultura ,, 11, p. 362.
Di Trieste il Vidossich, " Zeitschr. f. Rom. Philol. „, XXVII, p. 752. ri-
ferisce la seguente : bòvolo, bòvolo mostra i korni. >fe no te mazarò. te bti-
tarò Sui kopi, el babàu te manarà. A Portogruaro {portogrue'r) si dice :
scò/'o, scol'eto, bitta fora l to korneto, seno' te mii'so, seno' te kòpo.
[Aggiungo, fra le tante varietà, questa birichina di Bologna: ^lutmeija,
lumcega, fecca fora trai (var. qiiater) koren — Onna par me, onna par te —
E qu l'cetra k'ai avanza la dai a tò nucré ^. P. G. G.j.
- Nel valsuganotto il bue è detto bg' (plur. bg'J).
Qui in nota voglio tuttavia accennare alla possibile connessione di bò-
volo ecc. con bg'vo (valsug.) ' cavo, vuoto nell'interno ', allusivo alla cavità,
formata dal guscio della chiocciola, e si ricordino i numerosi gusci vuoti,
che si trovan nelle strade di campagna. Il valsug. bg'vo va messo accanto
alle altre forme dell'alta Italia, riportate dal Salvioni, " Arch. Glott. ,,
XVI. p. 291-292 (v. anche Malagoli, qui sopra a p. 92, 96), risalenti a
432 Angelico Prati,
A Dospedale, villaggio vicino ad Agnedo, nella Valsugana,
alla chiocciola spetta il nome di korào'lo, che ritorna nel vi-
centino, per esempio a Schio, e che accenna quindi alle corna
dell'animaletto. Cfr. maced. càrnas ' lumaca ' [R. E. TT., 2240) {?j.
Ma pare che la chiocciola veneta non si sia accontentata di
tutti questi nomi, poiché essa a Trieste assunse anche quello di
kago'ja, a Rovigo e Fasana (Istria) kuguja, kagùja, derivante da
un *coculia (Schuchardt, Boni. Etym., II, p. 31; Vidossich,
Studi sul dial. triest., N. 58; R. E. W., 2114). A Capodistria è in
uso kogola secondo gentile comunicazione del Vidossich.
Nella Valsugana occidentale infine si trova il lumazo, lumàso
(Borgo), lumàpo, forma che continua il trent. liitnàc o liimaz, da
1 1 m a e i u ^
ciriga (vicent.) ' chérica, chiérica '.
11 Salvioni, " Rendic. d. R. Ist. Lomb. ,,, s. II, v. XLIV,
p. 776-777, annotando, accanto a questa, alcune forme del-
l'Italia meridionale, del Lazio e della Sardegna, presentanti
pure r/'-^. osserva che la ragione di esso non andrà cercata
nella pronunzia itacistica dell' 7^ di kXijqixóq,, poiché non si ca-
pisce come esso compaia solo nel sostantivo femminile, e non
nel maschile clericus. Perciò aggiunge che 1'/ avrà diverso mo-
*b o e u per vocuus (Parodi, " Romania „, XXVII, p. 229). Nel valsuga-
notto *b 6 e u avrebbe però dato *hq'go, onde converrà forse supporre un
incontro con e o u ' cavo ' (Meyer-Lììbke, Einfiihrung', p. 139, R. E. W., 1796),
che non darebbe però ragione dell'o'. Alle Tezze si à invece la forma bq'fo,
che sarà stata avvicinata o confusa con bo'fo (valsug.) ' gonfio (nella faccia) '.
' Una Val del Ltimazzo c'è in Sella, presso Borgo di Valsugana.
In Fassa, per esempio a Sorapera, e nel Livinal Longo è diffuso fnél
< Schnecke (ted.) -\- fnt'k ' molle ' (?). V. anche Schneller, o. e, p. 251.
- Il a. E. \V., 1985, non riferisce che l'ital. chierica e kirka ' cresta ' di
riazza Armerina (Sicilia).
Etimologie 433
tivo, a seconda dei luoghi. Per la forma vicentina egli pensa
o all'influsso delle rizàtone o a quello di un *ctrigo, che fosse
determinato dal normale plurale metafonetico *cirìfi.
Ma al Salvioni è sfuggito il triest. cirika, di cui parla il
Vidossich nella sua bella descrizione del dialetto triestino (N. 7).
Egli scrive: '^ Strano è cirika {= chierica) con i. Si pensa a
influenza della palatina e dell'i di penultima. È però voce im-
portata .,. Quest'ultima spiegazione trova appoggio nel venez.
arsiniko ' arsènico ', addotto dal Vidossich stesso, nell'alto ital.
domiìiika ' doménica ', " certamente voce dotta, ma penetrata
realmente nell'uso come lo provan più dialetti dell'Alta Italia „
(Salvioni, " Boll. Stor. d. Svizz. Ital. „, XXVI, p. 90) i e nel
nome di persona miniko, minika, minigo ' Domenico ', forme che
anno allato i popolari ménego, rispettivamente mének, come do-
minika à allato il popolare doménega.
Tanto minigo, quanto ciriga non sono forme popolari, come
prova 1'/ postonico. Il g è analogico -. La circostanza che ac-
canto a ciriga non compaia pure un *cirigo non sani che ca-
suale. Essa sarebbe anche di ostacolo alla spiegazione del Sal-
vioni, se questa fosse ammissibile.
goéla (valsug.) ' vacca incarognita '.
Il JuD, " Bull, de Dialectol. Hom. „, III, p. 14-16, recente-
mente à attirato l'attenzione sulla parola, designante la vacca,
loha, lóbeli, lobi dei dialetti tedeschi della Svizzera e del Vo-
ràrlberg, oggi spesso usata per chiamare il bestiame da mun-
gere nell'aia della cascina, che trova riscontro nel lioha della
Svizzera francese e dell'Albania. Efj:li osserva inoltre che nella
' Dal veronese il dizionario di Patuzzi e Bolognini riporta solo rfom5«tca.
^ Per analogia di cerego fu formato il recentissimo ceregàli (col l man-
tenuto !) ' clericali '. che si ode alle Tezze (valsug.).
Archivio glottol. ital., XVII. 29
434 Angelico Prati,
Svizzera, nella Catalogna e in Germania dalla vacca, dalla pe-
cora, dalla capra ecc. prese il nome la pina, che serve di gio-
cattolo ai bambini, i quali la attaccano ad una cordicina e se la
tiran dietro, a guisa d'una vaccherella, oppure vi ficcano quattro
stecchini, che devon rappresentare le gambe dell'animale. Eb-
bene il Jud rileva l'evidente e interessante connessione di lobi
(diminut.) ' pina ' con loba ' vacca ' del Vallese tedesco e di
lioba ' vacca ' con lioba ' pina ' della Gruyère (Svizzera), che ri-
torna nella Savoia, ove però la vacca non è detta ìioba, per
quanto si sa. Ricorda ancora loba ' pina ' della Muntogna (Hein-
zenberg) e della bassa Engadina, aggiungendo che resta poi a
vedere, se le forme dell'Italia alta lava, lava ' pannocchia del
granturco ' (Salvioni, Postille) non debbano essere accostate al
grig. loba.
Come sopra ò accennato, in una nota alla voce (janiéro, da un
*lioba potrebbe dipendere il valsug. (joéla, voce che, dato il tra-
passo di significato testé avvertito^ ritornerebbe nel rover. gioel
' tùtolo ' (Azzolini). Dalla * pannocchia ' al ' tùtolo ' è breve il
passo. Si tratterà di voce non antica nel roveretano e penetra-
tavi dal veneto, visto anche ch'essa à allato le voci corrispon-
denti f'gaf'otol (anche di Trento) e mof'egot. La voce zigotol
equivale invece, stando all' Azzolini, a ékartg'z ' foglia, cartoccio
del granturco ', mentre nel vernacolo di Trento vale ' tùtolo '.
Rimane da far ricerche ancora nel veneto, per rintracciare la
presenza della voce in parola, che forse farà capolino anche
altrove in Italia.
gracatélo (Pieve, tas.), ravatélo (Castelnovo, valsug.) ; ékart'uja
(femm.) (Tozze, valsug.) 'slittino ferrato, per scivolare sul
ghiaccio'; skarugdr (ivi) 'slittare, sdrucciolare'.
E supponibile che gravatelo non si distacchi da ékarùga, che
potrebbe essere da anteriore *skarauga << *skaravùga. Confr. fréla
Etimologie 435
(Tasino, Grigno, Tezze; nel resto della Valsugana fmdélo) e v.
Salyioni, " Arch. Glott. „, XVI, p. ;)14, n.; Olivieri, " Studi
Glott. ,, III, p. 207; Prati, Nomi loc. d. Trent., " Iviv. Trid. „,
IX, p. IS^l, n. 48. La forma raoatélo avrebbe cosi perduto il g-,
fenomeno che si riscontra pure nel valsug. remondélo ' grimal-
dello ' (veron., non. ramandèl^ furi, rimandél: Ascoli, " Arch.
Glott. ., I, p. 526, trent. gramandél), da yariboldéllo (Nigra,
" Arch. Glott. „, XI Y, p. 361) ^
L'origine delle voci in quistione rimane tuttavia ignota. Difficil-
mente sarà da pensare a quel carìibu ' barchetta fatta di vi-
mini e di coio * (v. Du Gange I), da cui lo spagn. càraha, i portogh.
cavavo e caravela, passato nella nostra penisola nelle forme ca-
ravello, caravella, caravella, il galiz. caraheìa 'grande paniera' ecc.
{Pi. E. W., 1672), perché non pare molto probabile che da una
barchetta venga il nome allo slittino, anche considerando che,
per andar avanti e per dirigersi con questo, si adoperano due
legni, i quali potrebbero forse raffigurare i remi. In ogni modo,
non mi sono noti casi analoghi di un tale passaggio di significato.
Ed ora mi si presenta l'occasione di accennare ad un'altra
curiosa voce della stessa Valsugana. I ragazzi ed i giovani usano
e, ancor più, usavano un tempo far galèra, divertimento, che
consiste nello sdrucciolare cogli slittini, mettendo su essi il
ventre all'ingiii. Si radunano in compagnie per far le galere e
sogliono sdrucciolare, tenendo uniti pili slittini.
Qualcuno potrebbe essere spinto a supporre che gaUra, in
quanto indichi una riunione di slittini, sia da *garavéra, con l
dissimilativo e forse con scherzoso avvicinamento a galèra, pena.
La voce sarebbe quindi da porre accanto a gravatelo e a skaruga.
Ad altri pare che l'immagine e il nome possano esser stati sug-
^ Se skaràga non si allaccia con gravatelo, lo si confronti eoi logud.
karràkka 'traino; slitta' {R. E. W., 1720).
i
436 Angelico Prati, Etimologie
geriti dalle galere veneziane, forse al tempo, però breve, della
dominazione di Venezia, che ebbe principio nel 1406 (Montebello,
p. 98, 104; Francesco Ambrosi, La Yalsugana descritta al viag-
giatore, III ediz., Borgo, 1887, p. 23). Ma il veneziano à galia,
non "^galèra.
Angelico Prati.
RETTITI e AZIONE
Nelle Etimologie, che sono a p. 273-288 di questo volume, in causa di un
accidentale mio malinteso, fu stampato s in luogo di s, derivandone cosi
una divergenza tra la sorda e la sonora {/'). Le parole quindi scritte con s
vanno lette come fossero scritte con s.
In questa raccolta di etimologie si è riparato all'errore.
A. P.
I.
\ÌM\ U DliliEIK) liEìflEARIO
ALLA FINE DEL SETTECENTO
Veramente io pensava di non esser più costretto a ritornare
su questo argomento, avendo dato ormai nel primo lavoro sul
dialetto anauniese ^ uno spoglio per quanto m'era possibile esau-
riente delle " nonesade „ dei due poetucoli clesiani della fine del
settecento, Leonardo Ricci e Carlo Siel 2. Confrontando la parlata
odierna di Cles ^ col dialetto di cui si servirono i due rappre-
^ Die Nonsbei-ger Miindart (Lautlehre). " Sitzungsberichte d. K. Akademie
d. Wissenschaften in Wien, phil.-hist. Klasse ,, voi. 160, III.
- Stampate nel Nonahergisches di Boehmer nei " Romanisclie Studien ,, III.
Nel frattempo (estate 1911) il Prof. ft. Bkktagnoi.li ne curò un'edizione
molto migliore nel 2" voi. della bella raccolta : Poesie e poeti de la Val
de Non, Trento, Monauni, 1912.
^ Cles, capoluogo della valle di Non, con una popolazione che negli ul-
timi 60 anni a.«cese da 2571 a 2754, è situato al margine settentrionale del-
l'altopiano che sta sulla destra del Noce, sull'angolo descritto dal fiume nel
punto di confluenza del torrente Novella. Lo scosceso burrone del Noce difficol-
tava le comunicazioni colla valle superiore e coi villaggi sulla sinistra del
fiume. Il ponte di Mostizzòlo che, gettato sul Noce al nord-ovest di Cles,
congiunge la valle di Sole con l'altipiano di Cles, fu aperto nel 1848;
prima della costruzione del nuovo ponte di S. Giustina il " ponte alto „
438 Varia. — Carlo Battisti,
sentanti pili vecchi della stessa, he avevo dedotto che il tipo
più conservativo dell'alta valle avesse subito dai primi decenni
dell'ottocento in poi una notevole restrizione geografica, perdendo
il pianoro desiano che assunse sotto l'influsso del dialetto cit-
tadinesco (trentino) un'impronta evidentissima di parlata di
transizione. In risposta alla prima critica del dott. E. Quaresima^,
cercai più tardi di sostenere la tesi della rapida decomposizione
dell'anauniese meridionale e desiano con dimostrazioni dedotte
dall'esame di singoli casi fonetici studiati nella loro relazione
geografica e storica -. E del resto un po' prima il mio prede-
cessore nello studio dei dialetti trentino-occidentali, Karl von
Ettmayer ^, pubblicando in una dotta recensione appunti del suo
spoglio fonetico desiano fatto su persona molto avanzata in età
e il cui dialetto rappresenta una fase già superata dalle nuove
generazioni, forniva una bella dimostrazione della rapidità con
cui s'effettua lo scadimento dialettale nel capoluogo della valle
di Non. A distanza d'un anno uscirono poi quasi contempora-
neamente il mio saggio sul dialetto solandro ^ e la replica del
dott. E. Quaresima ^ alla mia difesa. Nel primo, che aveva per
soggetto una parlata che rappresenta il prolungamento del tipo
anauniese verso occidente e la sua lotta col lombardo orientale,
cercai di dimostrare come anche in questo dialetto di transizione
la decomposizione idiomatica, dovuta a ragioni di commercio e
allacciava Cles colla riva sinistra del Noce. Presentemente ampie e comode
strade erariali solcano la valle e una ferrovia elettrica congiunge Male
(Val di Sole) passando per Cles con Trento, provocando dovunque la rapida
decomposizione del dialetto indigeno.
* " Zeitschrift fiir roman. Philologie „ XXXIV, 538-559.
- " Revue d. dialectologie rom. „, II, 345-372.
^ " Zeitschrift fiir roman. Philologie „, XXXIII. 596-604.
'• Zar Sulzberger Mundart, ' Anzeiger d. phil.-hist. Klasse d. Kais. Akademie
d. Wissensch. „, Wien, 1911, N. XVI.
'^ " Zeitschrift fur roman. Philologie ,, XXXV, 608-633.
Appunti sul dialetto letterario di C'ies, ecc. 439
coltura, si compia con quella celerità che m'aveva sorpreso nella
parlata dell'altopiano desiano. Di parlai- del secondo non spetta
a me — almeno per quanto riguarda certi metodi " scientifici „.
Ma siccome il dott. Quaresima, per puntellare la sua critica,
comincia coU'asserzione che il dialetto di Ricci e Siel, nati e
vissuti a Cles, " non è desiano „ (e sullo spoglio di questo si
basano appunto molte mie deduzioni sull'evoluzione del tipo
moderno) e vuol dimostrare tale proposizione con prove tolte
anche dalla flessione verbale, trasportandoci quindi pili in là del
semplice campo fonetico che fin'ora m'era aperto, varrà la spesa
di seguirlo davvicino nella sua argomentazione. Per comodità
del lettore, che potrà cosi orientarsi pili facilmente, seguo passo
per passo il raziocinio dt-l mio oppositore, anche li dove non
varrebbe la spesa di fermarsi a chiarire o contraddire.
I. — ■ '' Contro l'opinione del B. sta il fatto che l'usu del dia-
letto dei due poeti pecca d'inconseguenza „. Non so come a me,
che già nel primo mio lavoro notavo fra il resto delle incertezze
nell'uso del dittongo da t;, o, e spiegavo ciò colla supposizione
che " sul finire del settecento sul pianoro desiano era impe-
gnata una seria lotta fra il dittongo e il monottongo „, si possa
rinfacciare seriamente di aver negato ciò che il dott. Quaresima
pensa aver scoperto, né so del resto quale forza dimostrativa
abbia tale obiezione per sostenere la tesi che i due Clesiani non
scrissero nel proprio dialetto. Ci aspetteremmo in ogni modo,
se questa asserzione è diretta a confutare la mia teoria, che le
incertezze linguistiche corrispondano a differenze dialettali fra
le parlate della valle bassa ed alta. Ecco invece gli esempì :
" SiEL 1 1 puesi<i - II 120 puedi, S. I 26 ente hattaje - II 138 'nte
le [terre, S. I 16 dies - Il 67 ('?) des ; S. 1 43 - II 80 ; Ricci
322 dria - S. II 66, 120, R. 523 dre (de retro); R. 90, 361
sarueu - 521 sreu, 455, 523 sarou, R. 25, 318 criangia - S. II 4
440 Varia. — Carlo Battisti,
creanza ; R. 180 fos - S. II 74 fus ; R. 90 sveli - S. II 23 sventa ;
R. 140 efzi - R. 161, S. I 27 età; R. 294 jj%^/a - S. I 55
piazza ; R. 662 scongiurél - 709 scorlal (imper. : -ate -|- illum) ;
R. 640 mostreghe - 710 mossaghi (mostrategli) „. — Ora di questi
i pili, come mostreghe-mossaghi, scongiurél-scorlàl, svelt-sveut, fos-
fiis e forse anche i già notati des e dre contro dies e dria mo-
strano (sarebbe troppo facile accatastar qui altri simili esempi)
come il Siel e il Ricci abbiano oscillato fra il loro dialetto e
il tipo letterario trentino : essi sono dunque, proprio contro il
dott. Quaresima, un esponente della forza d'espansione del dia-
letto centrale, tendente con azione secolare a scolorire le parlate
della montagna. Né più conchiudenti sono gli altri casi. Finché
i dialetti altoanauniesi dicono puesi e le parlate della valle
bassa paesi, poes o pos, il piiedi del Siel non può venir giudicato
che rielaborazione del trentino podo. Quanto a piaggia ^ il dottor
Quaresima (che deve sapere come tj abbia dato nell'anauniese r)
avrebbe fatto bene a non sottacere che piaggia è il nome della
piazza del Duomo di Trento:
sulla Piaggia e sul Chianton
fuer in Fiera e sulla Mostra,
. . . sicché il lettore avrebbe capito che piaggia è una ricostru-
zione cervellotica e analogica d'un pizzicagnolo del settecento
ancor digiuno del " pane di nostra scienza „. Il voler poi deri-
vare, sia pur indirettamente, dai doppioni in te . . hattaje - n te le
gerre, criangia-creanza o sareu-sreu (che non è proprio di nes-
suna parlata del corso del Noce e ricorre nel Ricci per riguardi
metrici : Chi no i aves, sreu 'd farne achist) che il dialetto dei
due autori non è desiano, non può venir preso sul serio.
^ Nella scrittura del Ricci ggi può significare anche ce : cfr. piggiol 217 =
picól, hragg 18-t, sgoggìar 161, ecc., e cfr. p. e. gnnghia 174 niikja.
Appunti sul dialotto letterario di Cles, ecc. 441
TI. — Il secondo aforismo del dott. Quaresima è: " nell'in-
tento di scrivere pili contadinescamente possibile, il Siel e il
Kicci commettono delle ricostruzioni sbagliate „. Che ne de-
riva rispetto all'origine pivi o meno clesiana dei testi in que-
stione? Non succede ciò in ogni letteratura dialettale? Ma,
posto che ci siamo, un'osservazione. (ìli esempì portati dal
dottor Quaresima sono quasi tutti presi dalle poesie del h'icci,
non da quelle del Siel. Che sia un puro caso non posso cre-
derlo. 11 dottor Siel si burla in un sonetto ancor inedito ^ delle
poesie e della lingua del pizzicagnolo, suo compaesano. In se-
condo luogo, attenti ad evitare errori per non incorrere nel
rischio di far vedere di non conoscere l'anauniese. In una poesia
del Siel (il quale non aveva punto l'intento di caricare il suo
dialetto), il dott. Quaresima trova sclopp e se ne fa evidente-
mente meraviglia, giacché egli prende come forma corretta e
usuale il sgiopp del Ricci che è a sua volta apertamente un
prestito trentino [scop)). Se il mio indefesso critico avesse sfo-
gliato la Gredner Mundurt del suo maestro Gaktner, avrebbe
trovato a pag. 152 Mlop ; se egli si fosse curato dei dialetti
altoanauniesi, saprebbe che sklop è ben vegeto nella valle su-
periore. Facciamo tesoro anche di questo esempio, che dimostra
lui pure la lotta fra trentino ed anauniese sul pianoro di Cles
all'epoca dei nostri due autori.
III. — Certamente, se gli argomenti del dott. Quaresima fos-
sero tutti di questo calibro, non varrebbe la pena di occupar-
sene. Ma il terzo appartiene a quelle quistioni " che piti han
di felle ., e che meritano d'esser osservate più davvicino.
1'^ " Alcune forme dimostrano che il dialetto (di questi testi)
non può essere una fase anteriore della moderna parlata di
* Ora pubblicato dal Beutagn(ii.li, Poesie e poeti, il. 27.
442 Varia. -- Csirlo Battisti,
Cles „. Esaminiamo uno per uno gli argomenti: 1° " le desi-
nenze del condizionale -rsdn, -rsdu . . che al presente sono limi-
tate alla riva destra del Novella e a Ilumo, e cui corrispondono
nell'anauniese medio -àsen, -ésen, -Isen e -àso, -éso, -tso, rispet-
tivamente -nesen, -rwso „. Ma il confine moderno tracciato dal
dott. Quaresima è semplicemente inesatto, -rsón, -rsau sono
usuali anche sulla sinistra del Novella e io posso documentarle
per Fondo, Sarnonico. Ruffrè, Don, Ambiar : più al sud, pur
mantenendosi la stessa accentuazione, subentra assimilazione di
rs a .s.s- che ebbi ad avvertire p. e. a Malgolo. Ma v'à di pili.
Verso sud-ovest simili desinenze passano i confini dell'alto anau-
niese e ritornano nei verbi monosillabi a Rumo, Bresimo, Livo
e Cagno, dialetti coi quali arriviamo proprio nelle vicinanze
immediate di Cles ^ Anzi pili al sud di Cles, a Vigo, notai in
un mio breve soggiorno (5 anni or sono) asg'n (avremmo) - che
sembra per lo meno non escludere che una raccolta sistematica
di forme verbali nella valle inferiore possa riservar delle sor-
prese interessanti. Non occorre insistere del resto sul fatto che
le forme -ncsen, -rreso (risp. rcesef) sono quelle che negli ultimi
decenni anno conquistato il Trentino occidentale e rappresen-
tano un compromesso colle cittadinesche -résern, -rése. L'impor-
tazione anche nel desiano non può che essere recente.
2° " Cosi pure forme quali nin (veniamo), nit, niim, invece delle
quali l'anauniese centrale adopera soltanto nidén, nidé, nideva „,
Ma basta un'occhiata ai Sulzberger Wòrter del Gartner, per
trovare a Cagno (appartenente con Cles al medio anauniese)
nin, nivi, ìlio [pag. 18] (forme che di qui serpeggiano per quasi
tutto il solandro), e al Nonsbergisches del Bóhmer per ritrovare
' Zur Sìtizberffer Mmidart, 51 seg.
^ ffiavenr'ssen dato dal Beutagnolli, o. c, 111, 338, per Vigo è evidente-
mente un neologismo.
Appunti sul dialetto letterario di Cles, ecc. 443
le stesse e simili {ni>i, ///x, nia) all'estremo confine orientale del
sottogruppo superiore. Anzi diversi chilometri pili al sud di Cles
raccolsi ni», allato a nidhi, irnm, a Spor minore. L'estensione
geografica di niìi e simili rafforza la supposizione che non molti
decenni fa tali forme siano state estese alle parlate di tutta
la valle.
3" " Del pari sono esclusivamente anauniesi-superiori forme
come regJii, j)oleu, poleva, didés, dideo, didé, dif, nadé, dodés,
fadeo, dighieo, seti (per son ' io sono '), citeu (anaun. centr. kois
'raccoglie') „. Ciò è semplicemente falso, giacché né poleit {po-
leva), né le forme con d irrazionali sono altoanauniesi. Al con-
trario. Nel dialetto di Bresimo. che appartiene al gruppo cen-
trale, notai le due forme con / già nel mio primo lavoro
[Xonsherger Mundari. § 146), ma non le trovai nell'alta Anaunia,
d'accordo anche in questo coll'eloquente silenzio del Boehmek
e del Gartner. Invece ebbi forme con d non etimologico in dtr,
far, nar, Mm-, dar, trnr in diversi sottodialetti solandri ' anche
nel perfetto [fndn, stadfl, dadéi^, fiidél, garél, nadéD e, per chi
pensi che il solandro forma come un prolungamento dell'anau-
niese centrale verso ovest, tal fatto non è di poca importanza -.
Ma questo il dott. Quaresima all'epoca della sua replica non lo
poteva ancor sapere. Lo strano è come gli siano sfuggiti il fikU's
di Rumo e todéo, nidén, nidéo a Cagno e Cuneo (due villaggi
l'uno al nord e l'altro al sud di Cles, entrambi appartenenti a!
tratto centrale), che sono forme verbali portate nelle tabelle
flessionali del Gartner. E ancor pili strano è come gli siano
^ La distribuzione geografica di tali forme verbali nel tlialetto solandro
è molto eloquente: soltanto i dialetti pia conservativi delle valli laterali
e della montagna mantengono il d, mentre i paesi lungo la strada maestra
hanno già assunto le forme trentine.
^ Vedi gli esempì a pag. 454 della Nonsherrter Mundart.
444 Varia. — Carlo Battisti,
sfuggiti todén e nidén dati dal Boehmer non solo per Cuneo e
Pali (tratto centrale) ma anche per Cles! Aggiungo qui altri
dettagli: Andalo (sui confini meridionali dell'anauniese) todén,
nades, dide's, Vigo (angolo sud-est della valle) todén, todés, fadén,
nidén. Tiriamo la somma : a Cles, dove oggi le forme solite sono
dizéo, feo, ci sono resti delle forme con d analogico che dimo-
strano (assieme alla distribuzione geografica delle stesse nella
valle bassa) come l' importazione di dizéo e feo sia recentissima.
Quanto al vecchio desiano polén, accanto al quale c'è sempre stato
podéii, la spiegazione non è difficile. A Cles, dove c'era toìén e todén,
l'influsso di volén ha potuto crear quella forma laterale polén
che à fatto perder la bussola al dott. Quaresima. — Ma c'è
ancora un altro falso scientifico da correggere : l'assei'to che
veghi ' vedo ' sia soltanto anauniese superiore. La qarela nonesa
sora la partison del Palù de Ttien, Tassid e Cles^ sincrona al
Ricci e al Siel e scritta in un dialetto del pianoro desiano
à reghia III 3, che si legge comodamente nella solita raccolta
del Boehmer. E un'eguale falsità costituisce l'accenno a dighieo.
Come mai il dott. Quaresima, le cui fonti per la teoria delle
forme sono fin qui pur troppo soltanto il Gartner e il Boehmer, non
à visto nel secondo didgo per Cuneo, nel primo diges, 2« plur. dio
(più giusto e didjo) per Cagno? Lo stesso si dica per l'impera-
tivo dit che il Gartner porta per Cagno ^ e che io trovai a Livo,
Bresimo e in tutta la vai di Sole, e per sen ' sono ' che è anche
proprio ai dialetti di Cagno (Gartner), Vigo, Livo, Bresimo
e Male. Dunque le forme " esotiche „ trovate dal dottor
Quaresima nei due testi localizzano il dialetto appunto al
pianoro desiano, dimostrando una volta di più che l'evo-
luzione recente del desiano, in quanto esso s'apparta dal-
^ Eguali forme (digest, d/'geu, digén, dlgen, diga, dit) porta ora il Ber-
l'AGNOLLT, 0. e, HI, per Vigo, nell'angolo sud-est della viille di Non.
Appunti sul dialetto letterario di Cles. ecc. 445
l'anauniese settentrionale, è dovuta all' influenza del dialetto
trentino.
IV. — Quantunque non eroda clie le due ultime argomenta-
zioni del dott. Quaresima possano logicainonte infirmare la mia
tesi, mi sembra necessario far seguire alle stesso un commento.
Che il dialetto dei due testi non sia eguale, io, che .sempre
ammisi che la dizione del Dr. Siel è meno rozza e pili trentina,
sottoscrivo ben di cuore, tanto pili che l'osservazione del ma-
teriale linguistico del dott. Quaresima porta appunto alla solita
conclusione che alla fine del settecento nella parlata del capo-
luogo di Val di Non ferveva quella lotta fra il dialetto indigeno
e la parlata centrale trentina che causò il tipo linguistico sbia-
dito del pianoro di Cles e della parte inferiore della valle. Ecco
le differenze dialettali fra i due clesiani, secondo il dott. Qua-
resima :
P " Ricci fa uso frequente del dittongo ie da e „ (porta
13 esempi di dittongo contro 4 di monottongo in identiche
condizioni), " mentre in Siel il dittongo è più raro {dies, cJiia-
drieghia, ralie(jret, contro remedi, [radei, glesia, mei, pei, aucei,
ìeuri, mister) „■ Non si tratta quindi di due evoluzioni diverse
nei due autori, ma dell'eventuale prevalenza di uno dei due tipi
dialettali. Ora, siccome ogni statistica à da esser esatta, non
dimentichiamo ia<C'e in esito romanzo in Siel, p. e.: dria I 484,
de ria I ."i^. Degli esempi senza dittongo, non tutti poi sono
convincenti. L'antico desiano potrebbe aver avuto monotton-
gazione di ie<ÌQ^ quando precedeva palatale; nel qual casosi
avrebbe una facile spiegazione per auggei di Ricci (553), tanto
più che la riduzione di ^'^Vg a ^"^e non è del resto interamente
ignota a singole varietà dell'alto anauniese. Ma in ogni modo
non ò per ora motivo di ritirare l'osservazione già fatta nella
Nonsberger Mundari (29 n. 2) : " in Siel è -^ i dà sempre ei.
446 Varia. — Carlo Battisti,
mai tei {f radei I 33, 4, pangei II 80, aucei II 64, 1, varnei II
152, 4. mei II 141, 2) con perdita per dissimilazione del primo
elemento del trittongo ; cfr. anche leuri II 67, 1 (da anteriore
lieuri) ,,. Con ciò combina il fatto che gli unici casi in cui
nel Ricci non troviamo dittongo corrispondono esattamente
a questa tendenza ; augcjei 553, puttei 695, pei 627, prendi 536.
Una conferma di non poca importanza trovo nella circostanza
seguente. All'anauniese sup. ie corrisponde e nella valle bassa
e nel moderno desiano. Dunque un iei alto anauniese dovrebbe
qui suonare ei, mentre ei non può essere che da un anteriore iei
con perdita del primo / che risale ad un'epoca in cui la mo-
nottongazione non era ancor subentrata nell'anauniese infe-
riore. Chi prenda in mano la tavola I della Nonsberger Mundart e
studi il confine di -èllu > él, che con leggere modificazioni com-
bina con quello di -èlli^g'i, vedrà come esso attraversi il pia-
noro sulla destra del Noce, passando proprio alle porte di Cles.
Le incertezze non del Siel, ma del Ricci che scrive miei 567 e
fradiei 647 confermano la supposizione che il confine di ei <C id
sia stato un secolo fa press'a poco eguale al presente. Fino a
qual punto alle oscillazioni fra iei e ei nel Ricci abbia contri-
buito -òli > iei < ieui non m'è per ora possibile di stabilire. Dopo
ciò veniamo agli altri esempi, mister II 145i è un doppione di
mistiér anche nel moderno alto anauniese ; al Siel fu suggerito
dalla rima con sincer. — glezia è evidentemente vocabolo chie-
sastico ; se poi il dott. Quaresima avesse consultato il para-
digma ecclesia dell' Ettmayer {Loìtih.-lad., 491 seg.), avrebbe
visto che forme senza dittongo compariscono non solo nell'alta
valle (Cavareno, Corredo, Tres, S. Zeno), ma che a Cles stesso
troviamo glezia colla vocale aperta che contrasta al solito
monottongo da ie > e. Se dunque nell'uso del dittongo c'è
oscillazione, essa c'è in eguali circostanze in entrambi i testi,
e c'è però non in modo da ammettere che i due clesiani abbiano
Appunti sul dialetto letterario di (,'le>;, ecc. 447
preso capricciosamente ora forme dalla valle superiore, ora dal
proprio dialetto. La controprova non ò difficile, e mi sembra un
po' strano che non ci abbia pensato il mio indefesso contraddittore,
Carlo SiEL, che presenta le oscillazioni già studiate fra e ed ie, dà
regolarmente ne per ò, fatta eccezione per la 3* pers. cond. che
ricorre alcune volte come ou per motivi di analogia flessionale
che avrò da studiare altrove. Siccome l'estensione presente dei
dittonghi da è, 6 > 'lé, né {iió) e la medesima, io non posso se non
riaffermare che l'uso coerente del dittongo da o nei due clesiani,
il predominio assoluto del dittongo da e e la regolarità nella
mancanza del dittongo in ei dimostrano come l'uso linguistico
di iCf uè sia in questi testi tutt'altro che arbitrario, abbia anzi
la sua base nell'antico dialetto di Cles.
2° La seconda constatazione del dott. Quaresima non è né
sincera, né giusta. " Kicci adopera come vocale atona derivata
da u, r, l in dittonghi soltanto u (p. e. auter, sautàr, maridaH,
clan], Siel adopera invece di frequente o (pleo, io, taola, fadeo,
difjhieo, coleo) „. Qui il conto non torna in nessun modo. Delle
due nonesade del Siel, stampate dal Boehmer, mi limito alla
seconda per non accatastare esempì : il lettore potrà farsi in
ogni modo un'idea della tendenza linguistica del Siel dalla lista
seguente: ante 462, auter 38i , 129i , autra 1294, 79i, 9O1.3,
autre 8I2, lOoi. autri BGj , 94i , ISSc,, aufsu 93i, auza 892,
chiau 7o4, 1424, santa IO84, taida 7O2, taidada 53i , chiausa I483,
chiauzerast 190, faussità 93, aucelloti 661, hrau 3I2, 7I4, fan IIO3,
fìdau 903, laghiau 148i, recordaii llOi ; sventa 23i, neu 282,
eu 342, 37i, 99^, 1252, seu 34i, feu 984, poleu 962, vorreu 1253,
fareuWò^, entendeu dh^, vedreu 28^, cognereu AS^, taidsseu 9i)i;
niu 964, 3^ pers. cond. ueu : p. e. crezerueu 26i , sarueu 204,
vorrueu ^Zi^-z '• Dunque la forma solita anche per il Siel è u :
' Per v'> u cfr. p. e. gaitreu nel primo dei due sonetti (v. llj editi dal
Bertag.nolli, 0. e, II, 27.
448 Varia. — Carlo Battisti,
tutti due questi autori stanno quindi di nuovo in opposizione
al desiano moderno che in questo caso à o e concordano invece
coU'anauniese superiore. Ma che il moderno o sia sul pianoro
desiano posteriore al principio del novecento lo dimostra l'uso
conseguente di « nella Qarela : chiuu U, antri 122, l^a, ìi^,
anzar I2, auton 61, veghiau 83, laghiau 62 ; breu 84, eu IO2, I24,
I62, podeii 64, direu 81, ghiattereu 152, cogniereu II4, plan-
giereu II4. Ancor tre decenni dopo Siel e Ricci, il desiano
B. Tommazzolli adopera regolarmente «, cfr. p. e. : autàr II 13,
dausina II 6, fausa I 10, autre II 10. 14, autrament II 35, ghiau
III 14, hrau III 13, neu II 7, -atis -|- vos >> aw, -etis + vos
> éu, -itis-}- vos > iu. Anche in questo caso ì testi del prin-
cipio dell'ottocento dimostrano chiaramente come il desiano
abbia mutato alcuni tratti caratteristici dell'anauniese nel se-
colo scorso,
3*^ " Il Ricci presenta un perfetto tire, succede, ricevè, 'inpro-
visè, lavorè, perfetto che è sconosciuto al Siel come al dialetto
moderno „. Giustissimo, ma sarebbe forse più esatto il comple-
tare la constatazione dicendo come anche il Ricci ricorra di
solito al perfetto composto e non presenti altre persone verbali
del perfetto che la terza nei cinque casi riferiti, il che fa pen-
sare a resti fossilizzati che ora sono scomparsi interamente dal-
l'anauniese e stanno con i perfetti in -de di di verbi monosil-
labi nella parlata solandra di Peio ^ a dimostrare l'esistenza
del perfetto latino nel bacino del Noce. Ma dai 5 perfetti del
Ricci ad ammettere l'influsso dell'alto anauniese ci corre:
converrebbe dimostrare che il perfetto scomparve nella valle
superiore più tardi che a Cles, mentre il testo più antico del
dialetto della valle superiore, le feste sopratofiane (1828)^, non
à esempì di perfetto latino, ma ricorre alla solita perifrasi.
' Sulzberger Mtmdart, 53.
'^ BoEHMER, NoHsbergisches, 40 seg.
Appunti sul dialetto letterario di Cles, ecc. 449
4° Nemmeno l'ultima argomentazione del dott. Quaresima
mi sembra convincente : " Il Ricci sopprime alle volte la desi-
nenza del plurale e perfino quella della prima pers. nel verbo :
tante gran schiopetadagg, cient taulagg, ai pra, tanti matt, cìiiastiel
(plur.), pe (plur.), 'm figìi (mi ficco), egh dmand (gli domando).
Non cosi invece il Siel „. Noto ormai qui come questi casi siano
eccezionali di fronte al mantenimento pressocché costante dell'i
del plurale e sarei tentato di far restrizioni circa gli esempì di
sostantivi. Chiastiel 587 è evidentemente un errore di stampa,
giacché il plur. di -eli u suona nel Ricci costantemente ci o iei.
Non essendo la lettura chiastiel richiesta dalla rima, il verso
sarà da migliorarsi in ed sti fìeudi, ed sti chiastiei '. Fé allato a
pìn risp. pel e la solita forma accorciata, comunissima anche
nella parlata cittadina, e non so dimenticare l'eguaglianza del
sing. e plur. in alcune varietà dell'alta valle di Non {piei^
Dambel, .Sarnonico) e solandre (Peio el, i jjiei, solandro sup.,
Male e Rabbi pe sing. e plur.) che ricorda quella ancor pili co-
mune nel bacino del Noce del sing. e plur. b(n, biiei. Il plur.
pra è " regolare „ in tutto il solandro e s'estende di qui al-
l'anauniese (di tipo " desiano „) di Barné, Bevia, Baselga, Livo
e Cagno ; al sud dell'altipiano desiano trovo pra ad Andalo e
Cavedago, ma non so se qui v'abbia influsso della parlata di
Molveno e delle Giudicarle inferiori ; esso manca in ogni modo
all'anauniese settentrionale che dice prudi. Ma con Livo e Cagno
arriviamo ben vicini a Cles e sia che il confine di pra (plurale)
abbia subito una modificazione nell'ultimo secolo, sia che la vi-
cinanza dello stesso abbia avuto una ripercussione nella parlata
del capoluogo, il pra del Ricci non sorprende.
' E que.'sta sembra essere appunto la lezione della prima stampa trentina,
perché il Bektag.nolli, Poesie e i)oeti, li, 22, porta Chiastiei senza nessuna
variante.
Archivio glottol. ital , XVIl. ' 80
450 Varia. — Carlo Battisti,
L'ultimo esempio che richiede una spiegazione a parte è ìuait
nel verso tanti matt dal Confalon. L'uso moderno, non so, pur
troppo, se di tutta la valle o solo della mia parlata (Fondo) è
corrispondente a quello dei vecchi testi clesiani : Mi mati, na
kjabia et mati, contro i-e mat da ligjar o sti mat da l ùa, dal che
ne derivo che in posizione tonica abbiamo la forma regolare,
mentre in posizione atona troviamo quella accorciata. Restano
due esempì di plurali senza i (e) il cui tema esce in e: taulagy
e schiopetadagg ^ legati in rima col nome locale Chiampìagg. Non
sono esempi unici, perchè trovo anche stragg (514) ' stracci '
e impagg (516) ' impacci ', sfuggiti allo zelo del dott, Quaresima:
i quattro casi sembrano indicare una tendenza a sopprimere la
vocale palatale atona dopo il suono e — tendenza che io finora
non riscontrai in nessuna varietà moderna dell'anauniese o del
solandro.
Quanto alla mancanza dell'i atono finale come esponente della
prima pers.^ non è difficile indicarne la ragione. Il Ricci non
conosce per regola altra forma per la prima pers. che la desi-
nenza in i (foggiata sull'i di ai = ò) ; cfr. p. e, tiri 105, ghiotti
119, senti 209, prieghi 603, pieghi 619, confidi 672, sjìieri 698,
vegJn 33, spetti 37, urti 109, dighi 400, 507, 694, sicché vorrei
trovar una giustificazione di figh e dmand in motivi metrici,
stando il primo in rima con Vigh 373, e richiedendo il verso
nel secondo l'apocope: E mi:'l scusia, egh dmand' perdo)i. Mr
che il Ricci, per assecondare bisogni metrici abbia usato forme
proprie alle parlate settentrionali è inammissibile, perché nel-
l'anauniese sup. l'i di prima persona (tolti i soliti verbi mono-
^ La caduta (o l'assorbimento) dellV del femm. plur. è qui eccezionale e
determinata evidentemente da motivi differenti da quelli per cui s'ebbe nel-
l'anaun. sup. quale plur. di fj^eja- fu^i,. In questo caso si tratta di sosti-
tuzione della formii del plur. masch.
Appunti sul dialetto letterario di Cles, ecc. 451
sillabi) è ancor più saldo che nell'an. inferiore, non avendo le
parlate dell'alta valle ohe puesi, diyhl e fiifgi. Che poi il Siel
non conosca simili esempì potrebbe trovar una facile spiegazione
nella circostanza che nelle poesie di quest'ultimo la prima pers.
ricorre molto di raro. A me il fich e dinand sembrano però forme
individuali dal Ricci costrutte con processo proporzionale secondo
la prima pers. senza i dei monosillabi. Nell'anauniese sono ge-
nerali do7t, von, fon, sto» coniati sullo stampo di son. Nella
vicina Val di Sole appartengono anche a questo tipo din ' dico '
e t(rn ' tolgo ' \ forme che almeno nell'alta valle di Non sono
sconosciute. Ma la formazione della prima pers. senza la desi-
nenza analogica i à agito in altro senso p. e. nel solandro sup.,
pur esso di regola fedele all'/ della prima persona, provocando
qui in di''''' un tipo monosillabo in k che continua attraverso il
camuno fino a Poschiavo : cfr. nel solandro di Ossana, Ver-
mislio, Peio ro''* ^o^*, éto'''''', fo'^'^, .so^* (con oscillazioni so'^'^ come
forma laterale di sae). Ne deriva quindi che (su parti del terri-
torio in cui l'i dell'ausiliare s'estese a quasi tutti i verbi) di'''' o
non riceve questo / finale o lo espulse ben presto. F, con d/k
vanno toek e pceé, voci che ricorrono in tutte le parlate da Bre-
simo a Cagno (varietà anauniese-clesiana), quindi al confine occi-
dentale dell'alto anauniese. Anzi il Bohmer ^ dà pos proprio
per il moderno desiano e il Gartner trova un caso analogo
in t(es, dis (1^ pers. pres.) nel sottodialetto di Tres. Nei mono-
sillabi v'à dunque oscillazione, non nell'alto anauniese ma nel
solandro e nelle parlate della vai di Non media, spiccatamente
a Cles e dintorni, e di queste incertezze si valse evidentemente
il Ricci, quando, stretto dal bisogno, coniò i suoi due figh
e dmand.
* Gartner, Sulzberger Worter, 19.
' NoHsbergisches, 81.
452 Varia. — Carlo Battisti,
V. — "I tratti alti anauniesi del dialetto del Ricci e del
SiEL sono tanto più strani, in quanto che un altro desiano,
Don Bartolomeo Tommazzoli, soltanto 35 anni più tardi adopera
nelle sue poesie un linguaggio che differisce punto o poco dal
moderno desiano „. Facciamo i conti un po' meglio. La differenza
più saliente nel vocalismo tonico è la dittongazione di ie, ite,
cui la parlata presente di Cles oppone, come s'è visto, e, a\
Orbene, con Siel e Ricci combina non solo il Tommazzoli
che, ad onta della pietosa bugia del mio contraddittore, à
traccie di tió (dunque della fase intermedia fra ne e <r) :
tueur II 12 — si legga tnce'r — e fuorse IT 11, vueul II 3, 11,
IH 10, vucei II 11, fueur-fuca'r I 11, ma anche il desiano
Scaramuzza e il baron Cristiani, nativo dal vicino Rallo,
e, quello che più importa, la famosa Qarela che risale pur
essa a quest'epoca e dà nueu i^ e fuer oo. Nel vocalismo atono
la diversità fra Ricci e Siel e la parlata moderna consiste nel-
l'uso di u << 1, V, u (cles. mod. ó) e anche in questo caso il
Tommazzoli e la Qarela vanno d'accordo coi vecchi testi
clesiani, dimostrandone la giustezza nell'uso del patrio dialetto.
Che se poi il dott. Quaresima afferma che il Tommazzoli non
à esempì di e, i protonici svolti ad a, ciò dimostra come egli
non ne abbia letto abbastanza attentamente le poesie; cfr. p. e.
ahrei III 14, anvidia III 45 o anche 7'ason III 25, che in vista del
basso anauniese refòn ^ sembra appartenere a questo gruppo-
E (non sarebbe forse più necessario di ripeterlo) anche la Qarela
va di nuovo d'accordo con tutti i vecchi testi del pianoro desiano :
manestra 9^, fanestra 9-2, chiavazzare I53. Del consonantismo il
dott. Quaresima non dice nulla ; ci sarebbe forse da sfruttare
l'osservazione arguta dell'Ettmayer- il quale dalla grafia ^^m dei
* Cfr. Ettmaykr. Lombardisch-ladinii^ches, paradigma 160.
' " Zeitschrift fur rom. Philologie „, XXXIII, 599.
Appunti sul dialetto letterario di Cles, ecc. 453
testi antichi conchiude ad una pronunzia ^^a per il desiano an-
tico, — pronunzia che dal capoluogo di Val di Non scomparve
soltanto nell'ultimo decennio. Riguardo ai verbi, abbiamo visto
pili sopra come stiano le cose. Riguardo allo stile pili che al
lessico {" il Tommazzoli „, dice il dott. Quaresima, " non à
espressioni apertamente altoanauniesi „) non nego che esista
davvero una differenza profonda fra lui e p. e. il Ricci. Il Tom-
mazzoli, il pili infelice fra i tre poetastri clesiani lin qui esa-
minati, non à avuto nemmeno il buon senso d'adattare le forme
stilistiche alle esigenze pili elementari del vernacolo. Un poeta
che adopera costruzioni come queste : d'arme en gran mucyhiel
II 5, Chelle aufre tutte lacchi da na banda II 7, Ed cJieste tutte
ainicghie oppur sorelle II 7, Dei preti 7 vedeva che come i euvi \ I è
segnr fatti dalla testa ai pei 11 IO, De santa Glesia semper con-
danadi II 12, . . el tederà giust chel \ Che V a vist dei Abrei
quel general II 13, Ed ca famosa Glesia, ed chel autar \ Che Veca
Salomon fat fabrichiar, ecc. ; un poeta che scrive in dialetto nella
forma convoluta della canzone, che à come muse pretesche (e
di che risma I) acribia teologica e bile clerico-politicante, un
simile " autore , non potrà valere sicuro come fonte lessicale
per Io studio d'un dialetto. Ma forse il dottor Quaresima vuol
canzonare il pubblico della Zeitschrift f. rom. Phil. e me pure . .
e allora è meglio non reagire.
Insomma io credo di dover asserire ora più chiaramente che
mai che i due poeti clesiani del settecento a noi noti, L. Ricci
e Carlo Siel, scrissero proprio nella loro parlata clesiana ge-
nuina. Che nel capoluogo di Val di Non siano subentrate nel-
l'ultimo secolo delle evoluzioni che produssero uno stacco sen-
sibile dal tipo pili puro dell'anauniese settentrionale, è un fatto
che non può far stupire chi abbia studiato la forza assimilatrice
della parlata centrale di Trento. E mi sia lecito chiudere la mia
454 Varia. — Carlo Battisti,
anticritica con un passo del prof. Ettmayer ^ : " Tirando la
somma dallo studio del B. e da queste mie brevi aggiunte, ne
derivo in modo certissimo che dalla fine del settecento in poi
il dialetto di Cles si spoglia gradatamente ma costantemente
del suo carattere anauniese e si assimila alla parlata di Trento,
divergendo in egual misura dal dialetto più conservativo della
valle superiore „.
Carlo Battisti.
1 • Zeitschrift fur rom. Philologie ,, XXXIII, 604.
II.
I COGNOMI MONOSILLABICI IN ITALIA
È mia intenzione di redigere un Dizionario Storico- Etimologico
dei Cognomi Italiani e vi sto da anni attendendo. Intanto son
venuto pubblicando varie monografie su questo argomento K
Poiché i cognomi monosillabici sono da noi, tra il serio e il
faceto, associati coll'idea dei Cinesi, i quali si chiamano Ciang,
Uang, Li, Ciao (questi i più frequenti, come da noi i Bianchi,
Rossi, ecc.) e con altri monosillabi, a puro titolo di curiosità
ricordo ch'essi ammontano a 1678 nel Lessico dell'Imperatore
K'ang Hsi (1662-1723).
Sarà certo per molti una sorpresa il leggere la lunga lista
di cognomi monosillabici che esistono in Italia.
Nell'elenco che segue, la 1^ colonna indica che i cognomi
sono propri della regione ivi indicata e la 2* colonna che si
riscontrano nelle località ivi specificate, senza che a me consti
se di esse sieno indigeni o se vi sieno avventizi.
' Il presente è il sesto saggio. I precedenti sono : I. Antichi cognomi
biellesi, Biella, Testa, 1909. - II. Il comporto verbale tiell'Onom. Rai., Torino,
Artigianelli, 1910. - ili. / cognomi longobardi in Italia, Torino, Artigianelli,
1911. - IV. Gli Italiani del Levante {cognomi italo-levantini), in ■■ Rivista
Coloniale It. „, 1911. - V. Israeliti italo-lerantini, in " Kiv. Colon. It. ,, 1911.
456
Varia. — Cesare Poma,
Bill
Balp .
Bar . .
Bard . .
Bax .
Bech . .
Bens . .
Beri . .
Di Beri
Bès . .
Bet . . . .
Bez . . . .
Bic ....
Bich ....
Bin ....
Bix ....
Blan ....
Blé ....
Bo, Bó . . .
Boch ....
Bof . . . .
Bon ....
Bor ....
Bosq ....
Bot . . . .
e Martiner-Bot
Boz . . . .
Bradi
Bran ....
Pianezza e Tarantasia
sec. XVIII.
Val d'Aosta.
Torino.
friulano o veneto.
Clavières, circond. Susa
friulano, G. C.
Valtournanche.
Aosta.
Torino.
Piemonte, Liguria.
Belluno,
veneto.
Torino.
Moncalieri, XV.
Biella.
Torino.
Roveredo in Piano, pr. di
Udine ^
Bré ....
Brin piemontese o ligure ?
Bari.
Torino.
Torino.
Napoli.
Milano.
Torino.
pr. Rovigo.
Bologna.
Torino.
Bianzè (Piemonte).
Torino.
Milano.
' Con queste iniziali segno alcuni cognomi friulani — di Tricesimo e
dintorni — cortesemente fornitimi dal Prof. G. Costantini, friulano, resi-
dente a Firenze.
^ Per i cognomi friulani ho avuto la cortese collaborazione del Prof. An-
gelo Bongioanni, della Biblioteca Comunale di Udine, al quale rendo qui
le debite grazie.
I cognomi monosillabici in Italia
457
Bruti ....
Bus ....
But ...
yCoda-^^ Gap .
CéC^) . . .
dia, Chd .
Chió ....
Chuc ....
[Dal] Gin . .
Gis ....
Glaps. .
Cler ....
Gloz ....
[Dal[ Go
0 [Dal\ Gó .
Gol ....
Col ....
Goss ....
Cougn
Grop ....
[Gremmo-\ Cunt
[Dal] Dan . .
Decq ....
Dho ....
Din ....
Do ....
DJ ... .
i)o/ ....
Don ....
Torino.
friulano, (J. C.
Biella '.
piemontese.
Aosta.
friulano o veneto.
Torino.
Gressoney, Trento.
lonib. -veneto.
sardo.
Torino.
Friuli.
valdese.
friulano, G. C.
Biella.
friulano o veneto.
Roccaforte Mondovì .
piemontese, Medioevo.
Lósine, prov. Brescia.
Aosta.
Bezzecca (Trentino),
pr. Potenza.
Torino.
Torino.
Cagliari.
^ I cognomi " abbinati „ sono frequentissimi, ad es., nel Biellese, per di-
stinguere le famiglie che portano a dozzine lo stesso nome. Il secondo nome,
0 " additizio ,, è in origine un soprannome che col tempo diventa parte
integrante del cognome, come si può vedere dal confronto dei seguenti
cognomi dell'Alto Biellese : famiglia Pozzo * cesrin „ ; Viana " capitani , ;
Ferraris * baste „ ; Falla " isef , ; Orso " maniet „ ; Falla " doublé „ ; —
e Magnani-Ghisò (forse da un'antica rassomiglianza con Guizot); Sella-Bart
(da Uberto o Alberto) ; Mazzia-Picciot (piccolino) ; Valz-Gris ; Fiorio-Plà
(pelato); — e con completa fusione: Tosolsiw (Toso il signore).
458
Varia. — Cesare Poma,
Dre, Dré . .
Bianzè, prov. Novara —
Maglione, pr. Torino.
Dró
Mathi Canavese.
Duch
Torino.
[Di] Fani . . .
friulano o veneto.
Fé
Brescia.
Fer
Torino. — Trovasi già
nel Codex Astensis,
s. XIII.
Fin . . .
Flick
Folz, Foltz . . .
Fra, Fra . . .
Torino.
Fré
lombardo - anche a Ver-
celli e Biella.
Fruc
Friuli - ove pure Friicco.
Frus
Gal [Selva] . .
Gatt
Biella.
Gè, Gei . .
Ghé
veneto ?
Ghi
GJio, Ghó . . .
Gin
Glech
Gnech ....
prov. Belluno.
Goi .
Goss
Gou ....
Granz
Grech ....
Grem ....
piemontese, come Gremo
e Gremmo.
Grenc ....
Grep {de Grepis).
Gri
Carmagnola, s. XV.
Giis
friulano, G. C.
Inz
Torino.
Torino.
dalle Liste elettorali di
Torino, se non sia er-
rore di stampa per Friia
(anche Femia).
Milano.
Torino.
Torino, Milano.
Napoli.
pr. Udine.
Torino.
Torino.
Milano — cfr. Gramo a
Torino.
Torino.
Torino.
Torino, Napoli.
I CQornomi monosillabici in Italia
459
Jacch
Jans
Job
Jon
Jop
Josz
friulano.
Piedicavallo, Alto Biell."*
Lctus
Torino.
Lerz
Lin
l)atrizi veneti.
Lojjs
Mas
Napoli.
Mei
Mels
Mens
piemontese (Chieri), come
Meiisio e Menzio.
[De] Min . . .
Mo
veneto.
Ponderano (Biellese) —
Valdiiggia.
Mor
Moy
Torino.
Milano.
Mrcich ....
Mu
Mus
friulano, G. C.
Mus, Muss .
il 1" in
2« a
Val d'Aosta, il
Torino.
Nan
Nari, Di Nart
0 Di Nard . .
in pr. Belluno il 1"; il 2"
e il 3" friulani o veneti.
Nel ....
Chieri.
Khs
valdostano
anche friulano, G. C.
Pech . .
Napoli.
Pench ....
Pens
Torino.
Pes
sardo.
Pez
friulano.
Pie, Pick . . .
Pin
piemontese.
Piò
Piz
friulano, G. C.
Piene
s. XVI, valdesi.
460
Varia. — Cesare Poma,
Po
Poch
Poi
Pons
Pont
Poy
\ Prd .
iPrat.
Prie .
Prin .
Pro .
Pron .
Prot .
Quar .
Ram .
Rap . . .
Ras, Raso .
Re . . .
Rech .
Rem [-Picei]
Rho . . .
[Perin-] Riz
Riz . . .
Rock . . .
Rol . . .
[Da] Ronchi
LRos
ìRos [-Sebastiano].
[Motto-] Ros . .
Roul
Roulph . . . .
piemontese.
Palazzolo-Canavese ; a
Suno il cogn. Poi pro-
nunziato coU'o stretto
come il piem. pui, pi-
docchio.
piemontese.
friulano, G. C.
Napoli : menzionato da
Gennaro Grande, Ori-
gine dei cognomi gen-
tilizii nel Regno di Na-
poli, Nap., 1756, p. 293.
piemontese,
pr. Belluno.
Biella.
friulano, G. C.
Torino.
piemontese.
friulano o veneto :
donde la forma nobili-
tata D' Aronco.
Torino.
Ivrea.
friulano, G. C, pronun-
ziato Roul.
Saluzzo.
Torino.
Torino.
Torino.
Torino.
Civitavecchia.
Torino.
Torino.
I cos'Homi monosillabici in Italia
461
lioz ....
Torino.
Bh ....
Torino.
Sa
Sad
Cerrione (Biellese).
Sant
friulano, G. C.
Sarg
Shuelz ....
friulano.
Scé
Napoli
Schips ....
Cellino Abruzzese.
1
Screm ....
Udine.
Sed
eogn. israelita.
Si
Sisinnio Si, famoso bi-i-
gante sardo.
Sirch
S. Pietro al Natisone —
Slavo, secondo
prof.
A. Bongioanni.
Som
Moncucco Torinese.
Sjja
Venezia, XVI.
Squi
sardo.
Srd
Torino.
Stem
in Marin Sanudo,
Steno K
per
Sfra
Idem.
Alghero.
Tarn
Friuli : ove anche
Tami.
Tha
Torino.
Tin
Verona.
Venezia.
Tis
Todi
Ton
veneto.
Tos
piemontese.
Toz
Trai
Viggiano
Trech ....
friulano, G. C.
Troti
1 fam. i)atrizia di Venezia.
Anche a Meano,
pr. di
Torino.
1
' Questa illustre famiglia veneziana, in cui Steno era anche n. p., non
prese il nome né da Costantinopoli, né dalla Germania, come vollero i ge-
nealogisti — ma, s' intende, semplicemente dalla forma dialettale di Stefano.
462
Varia. — Cesare Poma,
Tur
Val
Valz, Valz-Blin .
piemontese.
Alta Valle d'Andorno.
Vratn ....
Zan
veneto.
Zar
Zen
veneto.
Zers
Udine.
Zin
veneto.
Zir
Zó
lombardo ?
Zoi
friulano. Il prof. A. Bon-
gioanni lo crede slavo.
Zon
veneto.
Zoz
Friuli.
Zìiz
Friuli : ove anche Zuzzi.
Livorno.
Napoli.
Israelita ?
Altri .si potrebbero aggiungere, nel Medio Evo : e mi limiterò
a ricordarne alcuni che figurano nel Codex Astensis:
Henricus Buz de Rupecula.
Henricus Clas, credendarius Albe.
Rivacius Cor, „ Carli.
Jordanus Cot {Cotiis, de Coto), Alba.
Viglezonus de Gos (" de , forse indica filiazione).
Jordanus Max, cred. Alb., dal n. 1. Max, Maxium, ibid., ora Masio.
Jacobus Paz, 1191.
Ogerius Rat, credendarius Albe.
Goslinus Rie, Chieri, XII.
Nicolaus Sac : efr. cogn. Sachus, Saccus, ibidem.
Non presumerò di dare di tutti la spiegazione : nulla di più
facile in questa materia del fabbricare delle ipotesi, mentre la
vera etimologia è da ricercarsi storicamente. Nulla di più scon-
certante del trovare poi che l'origine è assai diversa da quella
che linguisticamente dovrebbe essere ; qui, si sa, domina sovra-
namente il capriccio del vezzeggiativo, delle contrazioni o stor-
piature.
I cognomi monosillabici in Italia 463
Mi limiterò ad esporre come i cognomi monosillabici appar-
tengano a diverse categorie :
1) Una gran parte dei cognomi monosillabici derivati da
nomi propri o comuni appartengono all'Alta Italia, dei cui dia-
letti locali le forme tronche sono proprie. Ad esempio, i se-
guenti :
fìech, da becco (capro), ed è il cogn. Becìius in A. Eatti, A Milano
nel 1266; cfr. il cogn. Scannahecchl in mio op. sui Comp. verbali.
Bens, da Benso, di origine teutonica.
Bi'ft, da Berti (Alberto o Uberto, ecc.).
Bo, Bó, da bove, come Codebó, Massaio, Cacakahó.
Boti, da Bono.
Bos(j, da Bosco.
Bot, da Botto.
Braih, da Bracco.
Bnin, da Bruno.
(Cap), da Capo.
Cha, Della Cha, da Casa.
Cime, da Cucco.
Cougn, da Cugno.
Cunt, da Conte.
Dal Co, Dal Co, da capo, come Coblanclii, Coyrosso, Colongo —
Codebó, Codeleoncini, Codelupi e Codeliippi, de Chodeporcis (Pia-
cenza, Xni), de Codagìiellis (Bologna, XIV) — Codronchi che
seri ve vasi Code ronchi nel s. XVII, ecc.
Fré, ferrajo, come Fervè e il lombardo Fare.
Gal, Gallo.
Gatt, Gatti.
Gnech, Gnecchi.
Grech, Greco.
Grep, Greppi.
Job, De Job, Jop, frequenti in Friuli : da Giobbe. Cfr. il veneziano
San Joppo per Giobbe. — Il cogn. Joppi fu da Ascoli (A. G. I.,
I, 510) risalito a Jovio — per il quale intendeva egli Giobbe?
Moj piemontese di Mauro, come San-Mó per San Mauro, località
presso Torino. In Cod. Ast. le forme Jacobus Maìtr in dee. 924
e Mucius de Mo in dd. 268 e 479.
Pie e Pirli, Picco, Pico.
464 Varia. — Cesare Poma,
Poi, Polo, forma veneta di Paolo.
Pons, Ponzio.
Pont, da ponte.
Priì, Prat, Prato, Prati.
Rech, dal n. p. niedioevale Erecco che era dei Torriani, ecc. : infatti
Erecco della Torre trovasi anche chiamato Rech o Rechus de la
Turre.
Riz, riccio, ricciuto.
Rock, Rocco, Rocchi.
Rol, significa " rovere „ in piemontese : donde le forme italianizzate
Rolle, Rolla.
Roiilph, da Rodolfo (v. il mio op. sui Cogn. Longoh.) ; uguale origine il
prof. A. Bongioanni assegna al friulano Roul.
Spa, spada : e infatti questa famiglia era pure detta Spada. Anche in
Cod. Ast. un Gmllelmus *S)?a^ cred. Ast, 1309.
Stì'a, strada : dalla qual parola vien pure il cogn. Stratta nel Canavese.
2) Alcuni sono d'origine francese:
Blan, verisimilmente lo stesso che Blanc.
Cler, „ „ „ „ Clerc.
DucJì, è probabilmente il cogn. Due, Moncalieri, XV (in lat. de Dti-
cibiis), e frequente tuttodì in Val d'Aosta. — Ducco, a Torino,
è prob. una erronea italianizzazione del precedente ; e infatti tro-
viamo nella stessa Moncalieri un Cristoforo Ducco, arcidiacono
di Torino verso la fine del 1600. Ma Ducco, cogn. di una fa-
miglia nobile della provincia di Brescia, à prob. una diversa
origine.
Gri, prob. per Gris.
Pin, a Biella è ancora pronunziato alla francese, come in Dupin
(del pino).
3) Altri sono d'origine locale, e del monosillabismo del nome
locale incombe la spiegazione a chi si occupi di toponomastica.
Tali sono :
Bard e forse Bar, dal forte in Val d'Aosta.
Bré — dai nn. 11. Bré, Breo, ecc., dell' It. Sup. (da pra?dio ? Flechia,
A. G. L, Vili, p. 334).
I cognomi monosillabici in Italia 465,
Col, da qualche n. loc. da colle.
Dò, eogn. della prov. di Brescia, da Dò in Val Camonica, ora Ono.
Il p. Gresforio da Val Camonica, nella sua Storia di quella Valle,
Venezia, 1698, menziona *• Ono, chiamato Dò „.
Mas. Non mi consta di quale regione sia questo cognome e se perciò
sia da avvicinarsi ai nomi locali Mas in Friuli, che probabil-
mente derivano da " mansum „, come n. 1. Mas in Francia (cogn.
Mas Latrie,. ecc.) — o se sia semplicemente aferesi di Tommaso,
come pare lo sieno i cogn. spagnuoli de Mas e Deìmas, e come
lo è il n. p. Mas Scharra in doc. 62'J Cod. Ast.
Mei. È nome di un Comune in pr. di Belluno.
Mels. Così si chiama una fraz. del comune di CoUoredo in prov. di
Udine.
Ma, da Comune in prov. di Brescia.
Nus, come eogn. valdostano, da Comune di quella Valle ^
Po, antica fam. di Torino, detta de Pado nei documenti del s. XIV.
Bho, scritto anche Po nel s. XVII, e in latino de Rande, da Comune
in pr. di Milano, come Darò, formato colla congiunzione " da „,
cfr. Daffr/iìo (pieni.), Baccomo, Dadomo. ecc.
4) Una buona parte di cognomi d'una sola sillaba è fornita
dai vezzeggiativi di nomi propri; o da contrazioni e storpiature
degli stessi -.
Bin, da Albino? cfr. friulano Bina = Albina (Prof. A. Bongioanni).
' Nelle più antiche carte medio evali Xua e detto Niims, Nuns, Notois,
cioè ad Nonum (lapidem, ab Augusta Praetoria) — e non da Nucetum come
volle il Casalis nel Diz. degli Stati Sardi (P. Massia, Intorno all'etimo del
n. l. Charvensod, Aosta, 1909).
- In tutti i dialetti dell'Alta Italia son numerosi i monosillabi a cui si
ridussero i nomi propri, o, come li chiama il Prof. Bongioanni, i mozziconi,
dei quali egli cita i seguenti per il Friuli : Bros (Ambrogio), Chiù (Gioac-
chino). Loi (Eligio), Mas (Tommaso), Mio (Emilio), Nard (Leonardo o Ber-
nardo), Neil (Daniele), St/f (Giuseppe), StÌ7i (Agostino), Suald (Osvaldo), Zors,
Zuarz, Uarz (Giorgio) *.
In Pieni. Fé per Pietro, nei Canti popolari editi da C. Nigra, ecc.
* Cfr. ni. Sanyìturzo (Oividalo del Friuli) - San Giorgio.
Archivio glottol. ital., XVII. ' 31
466 Varia. — Cesare Poma,
Bran. Il suddetto prof, suggerisce Dahran, che si riscontra, non però
frequentemente, in Friuli per Ildebrando, mentre il prof. G. Co-
stantini lo crede da Abramo.
Dt'é, Dre, verisimilmente da Andrea.
Do e Dró. Un cognome veramente aristocratico — se per aristocrazia
s'intenda l'antichità d'una famiglia — è Dró, sopravvivente nel
Canavesano, ma nel medioevo portato da una delle famiglie princi-
pali di Rivoli, signora del Castello di Bruino. In un documento
pubblicato da Datta (Principi cVAcaja, voi. 2°, p. 172) " Guillelmus
Dro ex dominis Bruyni „ è tra i nobili del Piemonte che pre-
stano omaggio a Filippo d'Acaja li 4. VIII. 1346. Ivi pure, p. 29,
un documento del 1295 " actum apud Ripolas in domo Jacobi
Drodonis „. Viene dunque questo bel cognome da un n. p. teu-
tonico Brodo, Drodone, che — quantunque manchi in Forste-
man*n, Altdeutsches Namenhuch — deve essere una variante ita-
liana di Drudo, Drudone, radice drudi.
Ecco perché ritengo che da Dodo, Dodone — nomi frequenti
nel medioevo in Italia — venga alla stessa stregua l'antico co-
gnome piemontese di Do : " in Ponte presentibus henrico do et
petro do de ponte ., (atto 8. VII. 1286, in A. Tallone, Regesto dei
Marchesi di Saluzzo, p. 495) e " Item de Villafrancha dns lohannes
Do „ in atto Giaveno 1286, presso Datta, op. cit., p. 22. — Dal
diminutivo Dod-idus i DodoU di Chieri e Casale, sec. XVII.
Fé, per fede, dal n. p. Bonafé, Bonafede. Infatti il cogn. Fide, Milano,
1266, in A. Ratti (o. e).
Nart, da Bernardo o Leonardo (Prof. A. B.).
Prin, Pron, Prot, da Perinus, Peronus o Perotus, forme popolari di
Pietro, molto frequenti nei documenti medioevali del Piemonte.
Tin, probabilmente dal friulano Tiri per Valentino, home molto fre-
quente perché di un santo locale.
Tron, lo storico cogn. di Venezia , da Trihunus, che fu dapprima
2iome di dignità nei primi secoli della Repubblica, e indi vi fu
usato come nome proprio '.
* G. MoNTicoLo, in M. Sanudo, Vite dei Dogi, RR. II. SS., fase. 3-4, p. 213,
nota 6. Nel sec. XII la forma era già Trumis : in M. Sanudo è Trum, pi.
Troni: la forma Thronus del. sec. XVI è puramente umanistica e basata
su una falsa etimologia. Come n. p. un " Truno , Memmo in un doc. 1084.
Dal composto Trum-Dominico il cogn. Tradonico. — Tron, cogn. piemon-
tese, deve aver tutt'altra origine.
I cognomi monosillabici in Italia 467 -
Zan, da Zane, veneziano antico per Giovanni.
Zen, Zeno, dal n. p. bizantino Zeno o Zenone.
Zoìi, da Azzonus.
5) Parecchi sono d'altra origine forestiera:
Bran, è anche ritenuto dal prof. A. B. una possibile corruzione del fre-
quente cogn. austriaco Braun.
Claps, è il cogn. austriaco Klaps.
Cloz, è un vezzeggiativo tedesco di }\ikolaus : cfr. cogn. olandese Klotz.
Lops, è evidentemente lo spagnuolo Lopes, Lopiez.
Moi-. Occorrerebbe di sapere a che regione appartenga, per dire se sia
il cogn. austriaco Moltr frequente — o una forma dialettale di
Mauro o moro.
Sa. Questo cogn. si trova già in un Giovanni Sa^ d'oltre monti, indi
stabilitosi a Ponderano presso Biella, frequentemente ricordato
nelle Storie del Santuario d'Oropa per aver riavuto li 9 marzo 1001
dalla Madonna la lingua che eragli stata recisa da briganti, come
lo ricorda tuttodi una lapide in quella Chiesa. Egli è ivi detto
di Chambéry : ma Sa non è cogn. francese : cfr. piuttosto il co-
gnome portoghese Sa de Menezes.
Saa. E cogn. d'origine spagnuola. Si ricordi ad esempio il gesuita e
teologo Emanuele Saa, autore degli Aphorisml confessariorum,
Barcellona, 1609.
Schips. Sta verisimilmente per *de Schipis, e sarebbe identico col co-
gnome italo-albanese Schipa, proveniente dalla stessa radice da
cui il nome etnico " skjipetàr „ albanese, e " skjip „ la lingua
albanese.
6) L'origine di alcuni altri cognomi è oggetto di congetture
pili 0 meno fondate :
Brin. Al pari dei piem. Brino, Brini, è con tutta verisimiglianza con-
trazione del n. p. Berinus che si trova ad esempio in Codex
Astensis per Berrinus, checché poi significhi la frequentissima
radice piemontese Berr — .
Cìiió. Cfr. Obertus de Clodo, Genova, 115S, collocato da Parodi (A. G. L,
XIV, i) tra gli esempi di o = an, quantunque non spieghi che
cosa egli intenda per *Claudo.
468 Varia. — Cesare Poma,
Coss. Secondo il prof. Bongioanni, piuttosto che da ■'•Ticoss {Articutins,
vezzeggiativo del n. p. teut. Artuicus — donde il cogn. lomb.
Ticozzi), verrebbe da " coss „ canestro, analogo quindi ai co-
gnomi Canestrini, Cavagnari, Zearo — oppure da " eozz „ corto,
scodato.
Dho. È probabilmente contrazione di Behó, Dahó (Milano), dei quali
ignoro l'origine.
GM. Nella Valle dell' Olobbia, torrente tra Cerrione e Salussola nel
Biellese, v'è una località denominata Molino del Glie : ma il
cogn. Ghé parrebbe invece lombardo o veneto ; e sarebbe per av-
ventura apocope del n. 1. Ghedi in pr. di Brescia ? ' Cfr. infatti
il cogn. Deghé.
Ghi. È forse lo stesso che il saluzzese Ghio, dal n. p. franco-provenzale
Guy. come Ghione, Ghioni, Ghiotti, piemontesi, da Ghionus o
Guyonus e Guiotus, frequenti nei documenti medioevali di quella
regione (v. il mio op. su Ant. cogn. hiell., sub de Ghigliono).
Mens. La deiivazione da Clemens suggeritami dal prof. A. B. è da esclu-
dersi, perché in piemontese non si usa un n. p. Cleméns.
Pez. Secondo il predetto prof., è cognome della Carnia e significa abete:
come Pezze, Pezzei, da nomi locali significanti bosco d'abeti.
È però anche possibile che venga in via diretta dal cogn. ted.
Petz, il cui vezzeggiativo Petzel à, secondo il sullodato professore,
formato il cogn. friulano Pécile. Egli inoltre ritiene che da
" pez „ venga anche il n. 1. Ampezzo (Impegg, Dimpegg).
Pio. Era latinizzato Pìodins : Gio. Michele Piò (Plodius), bolognese,
autore domenicano, entrato in religione nel 1589, e morto verso
il 1644.
Prò. Essendo cogn. di Civitavecchia, ove trovasi anche Proto, è proba-
bile che sieno sinonimi, derivanti entrambi da antica dignità bi-
zantina '" e appartenenti quindi alla categoria dei cognomi " pro-
fessionali „. Ma siffatti mozziconi si prestano a varie soluzioni,
quando si rifletta, ad es., che il n. 1. Proh, nel Novarese, medioev.
Petrorium, viene da Pnetorium !
' " Lociis nuncupatus Ghede , negli " Annales Forolivienses „, in RR.
II. SS.
• Ancora alla fine del sec. XV esisteva in Sicilia il Magistrato dei Proti,
o Protato, che amministrava le comunità dei Giudei fino alla loro espul-
sione nel 1492. Cfr. i cogn. Proto, Prota, frequenti a Napoli.
I cocfnomi monosilliiliici in Italia 469,
Qiiar, viene dal prof. A. Bongioanni interpretato " quaglia „.
Re. Re e le forme latine Regis, de Rege, de Regibus, sono cogn. fre-
quenti in Piemonte, ove fino al 1700 non vi furono Re e ove
(quindi, non potendo significai-e " vassalli o servi del Re „, trag-
gono la loro origine dall'uso medioevale dei " re , di brigate,
di cui spesso nelle cronache medioevali *. — In Toscana, Re
fu n. p. : Messer Re de' Rossi, Pistoja, s. XIII : ma la onomastica
toscana è di natura ben diversa da (juella dell'Alta Italia.
Rem. Fu cognome anche in Francia, e fu portato da una famosa bal-
lerina che sposò Le Normant d'Etiolles, vedovo di M""' de Pom-
padour. Le cattive lingue dissero allora che essa era stata cosi
notoria che Le Normant, dopo aver avuto il re di Francia per
rivale, stava per aver come tale il pubblico intiero, e girava la
seguente quartina :
Pour réparer miseriam
Qua Pompadour fit à la Franco
Le Normant, plein de conscience,
Vieni d'épouser Rem publicam.
Ru. Forma italianizzata di Roicx ?
Shueìz. A detta del prof. Bongioanni, è sinonimo dell'altro cogn., pure
friulano, Bolsi — da " bolso „.
Sed. Coll'isr. Sed entriamo nel largo campo delle ipotesi. Steinschneider,
in Jewish Quarterly Revieìo, XI, 620, tra i nomi arabi degli
Ebrei ha il n. p. (751) Shet, riu , con esempi del 1285, 1444, ecc.
e chiede : " è questo nome, che occorre nel Medio Evo rara-
^ Ad esempio, negli Statuti di Biella pubblicati da Pietro Seli,a, I, 66,
§ 345 : " Item statntum est quod aliqua sponssa que vadat extra bugellam
que non habeat plures L libris in docte non teneatur dare ' regi ' nisi
sol. V. pp. . . . Et de omni quantitate teneatur ' rex ' dare sponse terciam
partem ... Et si qua sponsa perveniret extranea ad hospicium in Bugella,
quod dictus 'rex' nec ejua sequaces nihil habere debeant... Et qui contra-
fecerit, soluat 'rex' sol. LX et quilibet de familia sol. XX pp. „.
Veggasi anche il § 369 — ed è assolutamente esclusa l'ipotesi suggerita
dal Prof. F. Gabotto, sia pure " per eccesso di scrupolo critico ,, che " si
tratti del re d'Italia in genere o di re Enzo in particolare „, n. 3, a p. 327
del fase. XXXIV, iii Bibl. Soc. St. Sub., Gli Statuti di Biella secondo il
Cod. originale del J24ó.
470 Varia. — Cesare Poma,
mente, in tempi recenti mai, l'ebraico Seth o un nome arabo
(derivato da <y^>^ o ^ó-./jw) '? „ — 0 (chiederò io) è l'antico
cogn. isr. Sid, che sopravvive tra gii Ebrei di Smirne sotto la
forma Sidi'ì^. Steinschneider^ ibidem, XI, 317, cosi di quello
parla: " 459 — "'iT, propriamente òJU/'j, Sayyid, Signore: ma
gli Ebrei di Spagna, ove quel nome di famiglia occorre nel s. XIII,
lo pronunziavano probabilmente Ihi Sid „. E la Jewish Ency-
clopcedia : " Sid, da parola araba per signore, nobile, è un co-
■ gnome frequente tra gii Ebrei levantini „, come in Serbia, Bul-
garia ; e menziona un Samuel ben Sid, emigrato dalla Spagna
al Cairo nel 1492.
Srd è certamente contrazione del cogn. Sara (Vigone), di cui pure ignoro
la spiegazione, e la cui forma italianizzata è Cerrato (Torino).
Tos, biellese, tanto da sé quanto nei cognomi Giglio-Tos, Giììio-Tos e
Gilitos, da " tonsus „, allusivo alla foggia di capigliatura al-
l'epoca dei Longobardi : v. il mio op. Antichi cognomi biellesi,
sub cogn. Tonsus, s. XIV. Un Petrus Tonsus era tra i membri
del Collegio dei drappieri di Biella in detto periodo {Stai, di
Biella, editi da P. Sella, I, 263).
Zerz. Su questo cogn. friulano dall'apparenza arcigna, il prof. A. B.
mi scrisse come segue : " nel dialetto di Barcis (Val Cellina,
distr. di Maniago), varietà molto interessante del Friulano occi-
dentale, zers è aggettivo e si dice del latte andato a male^ e
forse, per traslato, si dice pure di persona poco trattabile. Così
il piem. gnech ; e nel dialetto di Mondovì er (acre) : era si dice,
ad esempio^ di una donna bisbetica. Sempre nel dialetto di Barcis,
zers è anche sostantivo ed equivale al friulano medio (di qua
dal Tagliamento) zerb, zerf, zerv, zarf, zarv (acerbo) = colostro,
ossia il primo latte della vacca dopo il parto ,.
Non sono entrato in maggiori particolari nella spiegazione
dei cognomi, perché per V Archivio Glottologico la Onomatologia
HT , Sidi, mio signore.
I cognomi monosillabici in Italia 471
è piuttosto una ospite che della ospitalità non deve abusare,
che una persona di casa che vi abbia diritto di soggiorno.
Spiegherò solo ancora ciò ch'io intenda per V aristocrazia dei
cognomi che ho menzionata a proposito di Dró. Accade talvolta
d'incontrarsi — ed il curioso è che ciò generalmente succede
in famiglie di contadini — in cognomi che sono eccessivamente
rari e che rappresentano un nome proprio — generalmente teu-
tonico — che da molti secoli è totalmente uscito dall'uso gene-
rale. Tali cognomi sono quindi sicuro indizio di antichissima
origine, e sono una probabilissima presunzione di un'antica di-
stinzione gentilizia, decaduta nel corso dei secoli e perdutasi
nell'oscurità delle campagne. Come esempio di siffatta aristo-
crazia dei cognomi ò citato in Cogn. Longob. in Italia i bei co-
gnomi piemontesi Sicbaldi e Ariolfo che rivelano l'indubbia ori-
gine longobarda negli umili contadini che oggidì li portano :
ma è notevole che, almeno in Piemonte, alcuni dei più rari, e
quindi presumibilmente dei più aristocratici cognomi, sono for-
mati da metronimici d'origine teutonica, cioè da nomi di donna
che nemmeno nel Medio Evo non furono molto comuni e che
da secoli sono, per cosi dire, praticamente estinti. Tali sono i
cogn. pieni. Imoda, Pressenda {Presenda, Pessenda, Psenda), Tu-
berga, ecc., e di siffatti metronimici mi propongo di trattare in
un prossimo articolo, se ai Lettori l'argomento interessi e se la
Direzione me lo consenta.
Biella.
Cesare Poma.
IH.
GLOSSE DI OASSEL, n« 114
{deunis : deohproh).
La parola deunis è naturalmente il vocabolo romanzo, il quale
ricalca precisamente la voce germanica, come anno veduto il
Diez e il Thomas, Quest'ultimo, anzi, proponendosi di ritor-
nare sull'argomento (e mi auguro che questo mio cenno suoni
come un desiderio, se non come un modesto invito, all'insigne
filologo francese) à scritto : " ancien prov. trehuc (encore vivant,
" en particulier dans la Creuse) et Tane, frangais frebti... dé-
" signent une sorte de jambière. Je consacrerai peut-ètre quelque
" jour une étude speciale à ce mot qui figure dans les gloses
" de Cassel {deurus: deohproh) et que Diez a commentò sans
" connaìtre les formes romanes que je viens de rappeler, mais
" en dégageant bien son origine germanique „ ^.
Evidentemente, deurus deve essere pronunziato devrùs ^ devrucs
(cfr. le stesse Glosse n° 106: pis = pics) e non resta soltanto in
Francia, ma anche nel valt. tratich; trajùch " scarpe; stivaletti
lunghi di panno „ ; ons. treviis, vallantr. travls " calze senza pe-
duli „, borm. trosc " brache „. voci tutte citate dal Salvioni,
Romania, XXIX, 552, al quale, pili che l'etimo, premeva di sta-
^ Thomas, Nouv. Essais de phil. fran^aise, Paris, 1905, p. 364.
Varia. — G. Bertoni, Glossa di Cassel 473
bilire che trerus e frosc sono resti di plurali usati al singolare
(come a%'viene nel tipo (ont'/, amico) ' .
La voce b. latina è tuhnigns (Paolo Diacono, Hid. Lnng., 4, 22)
e tiibrucns (Isidoro). Abbiamo anche fuòroces rei brace citato da
M. Heyne, Korpeì'fiege inid Kleidiuig bei den Deutschen, Leipzig,
1903, p. 261. Le vpci romanze (come trahic, trebu, traudì) mo-
strano che \'ò di proh aveva una pronunzia chiusa, se era reso
meglio che da un o [tiibroces], da un u -. Il vocabolo deohproh
significò " rivestimento della coscia „. S'intende, perciò, che il
fr. frebu abbia il senso di " gambale, jambière „, con una leg-
gera mutazione di significato. Con o senza metatesi di r ^, devrus
e trabìtc trehu traiich risalgono il primo appunto a deohproh, i se-
condi a theobruch. In broch abbiamo il celt. braca passato in
Germania (an. bróck, as. brùc, aated. bruoh) e ritornato poscia
coi dominatori, dopo essere stato assoggettato alle norme fone-
tiche germaniche. Schrader, Reallexicon, 379, pensava invece
che la voce fosse originariamente teutonica e fosse penetrata
nel celtico; ma la ragione geografica, chi studi la sopravivenza
del vocabolo braca sopratutto in Francia (Francia del Sud — e
si noti che il gotico non ebbe il nostro termine — ) '^ e in Italia"
(Italia superiore), sta contro la sua opinione.
G. Bertoni.
* Vedasi anche Monti. Voc. d. dial. della città e diocesi di Como, p. 341-
" La questione è complessa e la studierò in un mio lavoro già quasi
pronto sugli elementi germanici nella lingua italiana. Mi limito a citar
qui Bri-ckner, S'pr. d. Lang., Strassburg, 1895, p. 93.
^ Thomas, Op. e 1. cit., ricorda, come altro esempio, *tibre in trib». Alle
voci da lui ricordate, si aggiunga (senza metatesi) il termine (^Dihrum del
Cod. Cajet. (" Arch. glott. „ XVI, 26).
* Il termine primitivo braca, scacciato di nido, è rimasto infatti nel Sud
e nell'Estremo Nord-Ovest della Francia. Vedasi la e. XI di Jabkr(ì, Sprach-
geographie, Aarau, 1908, p. 14. Anche laddove fu soppiantato da pantalon
è potuto sopravivere in accezioni speciali (p. es. svizz. rom. brai/ette).
474 Varia. — G. Bertoni, skuncin
Skuncin, calzerotto.
Questa voce vive nell'Ap. emil. (sezione, in cui e più vocale
palatile volge al suono toscano). Avendosi a Pievepelago la forma
skuón (meno diffusa, se le mie informazioni son giuste, di skuncin),
si capisce di leggeri che skuncin ne provenga, essendo quasi uno
*sku{v)oncin, "^skuuncin, skuncin. Quanto poi a skuón, credo ch'esso
altro non sia che uno scofone ^ Il Du Gange registra scofones e
scoffones, calzatura ; ma che la base sia scof- con un f, e che scof-
fones^ dipenda da qualche analogia (p. es. cuffia), mi par mo-
strato dall'afr. eschohier "cordonnier„ ; escoherie, escoerie, scoherie
" métier de celui qui travaille le cuir „ e dal n. di fam. Schohier.
G. Bertoni.
*■ 'MussAFiA, Beitrag., p. 203.
^ Sainéan, " Zeitschr. f. rom. Phil. ,, XXX, 317, dice che scofones e scof-
fones hanno basi diverse. C'è anche una radice seaf-. Questo scaf- con in-
flusso di scarpa e di calza diede l'abr. scarfuole zoccoli, il lomb. scalfiti, ecc.
IV.
GLI ELEMENTI VOLGARI DELLE CARTE PISANE
FINO AL SEC. XII
Appunti fonetici e morfologici.
Le raccolte esaminate per questi spogli sono le seguenti:
1. Primaziale dall'anno 930, marz. 6
2. R. Acqu. Cappelli ... „ 1015
3. Olivetani „ 10B3, genn. 15
4. S. Paolo all'Orto .... „ 1042, niag. 30
5. S. Michele degli Scalzi . . „ 1048, die. 26
6. Pia Casa di Misericordia . „ 1053, ag. 15
7. Nicosia „ 1054, ott. 25
8. S. Lorenzo alla Rivolta . „ 1057, apr. 23
9. R. Acqu. Coletti .... „ 1065, feb. 5
10. S. Anna „ 1086, marzo
11. S. Marta „ 1099, ott. 3
12. S. Martino „ 1104, giugn. 24
13. Deposito Franceschi Galletti „ 1111, marz. 6
14. Deposito Bonaini, framm. se-
colo XI e „ 1113, apr. 7
15. S. Bernardo ..... „ 1165, giugn, 9
16. Spedali riuniti: Diversi . , 1185, genn, 12
476 Varia. — A. Trauzzi,
I. Aiipunti fonetici.
I. Vocali toniche. — 1. l dì sillaba libera passato ad e: iuxta
pesam (Pisani) S. Mich. 1153, et uno carro cum boi de feno tracio
a fittele nostro ibid. 1109 ^ 2. ? di sillaba libera e di posizione
in e: recepio Prim. 1148 giugn. 13, ubi dicitur canpo di pero
S. Mich. 1078, u. d. pero ghiandarinus Prim. 1167, fede de albithi
ibid. 1142, selva longa S. Mich. 1047 mag. 22, ughi da selva
lunga Capp. 1113, sancii andree de la selva Col. 1151, in car-
r aria stretta S. Mich. 1104, in via carrareccia S. Lor. 1169 e 1170.
3. è di sillaba libera talvolta passato ad i ^. Accanto a -eto
di sterpeto mortelo S. Ann. 1086 marzo, trovasi innanti fagito
S. Mich. 1032 nov. 7. 4. e di posizione si incontra cambiato
solo nella frequente frase: per anc cartula vindo et trado
S. Mich. 1029 e altrove 3. 5. e, oe di sillaba libera in ie'.
positam a piede di metefa S. Lor. 1115, filius qd. alfieri S. Mich.
1118 nov. 7 e cosi guarnieri Oliv. 1139 e S, Lor. 1172; dav. a
muta -}~li<iu.: ecclesie de sancto pietro S. Paol. 1127, carra due
de fienum S. Ann. 1163. 6. o oscilla fra o ed no: buoso e
buosoni Prim. 1167, buon-accorso S. Lor. 1169, libi raffaione mu-
raiuolo Col. 1156, castelli veclani u. d. rosaiuolo Prim. 1132^ uno
carro cum boi S. Mich. 1109, bona-donna S. Lor. 1157, in loco
u. d. dolia vechia S. Mich. 1136. 7. Ti in o: u. d. a le croci
S. Mich. 1120, sopra castello ibid. 1164, filia soperchi ibid. 1158,
rosso S. Mart. 1109, ferramosca Prim. 1168. 8. gr. v in i:
iohannelli grilli S. Mich. 1154. 9. Turbamenti: carra due de
fienum et de pensionerio et de affictum S. Ann. 1163, alegreta iug'
* [False scrizioni].
- [F. s.]. 3 [F. s.].
Gli elementi volgari delle carte pisane fino al sec. XII 477
Capp. 1123, ufjolini cicciandentis Prini. 1187, uscione ad opus
ospifalis ibid. 1168, ad riscum ipsontm Oliv. 1170, d. porche lunghe
Prilli. ÌÌS2, Ughi da selva lunga Capp. 1133. 10. Si mantiene
regolare la forma bovi e boi: abraciabovi Frinì. 1172, ianni de
mardtde mangiabovi Bon. 1 1 ()7, et uno carro cum boi S. Mieli. 1 109.
11. Nella dittongazione trovo: u. d. loro S. Lor. 1133, in
casale lorenzano S. Mieli. 1114. caracose S. Lor. 1164, ai quali
aggiungo moroui /il. b. m. albuci ibid. 1047.
II. Vocali atone. — 12. fori porta inthoarfhe Col. 1065 feb. 5
accanto a fora civiiate pisa Oliv. 1093 nov. 2.
13. post, è in i: in calci S. Mieh. 1087 apr. 8, giaìini S. Lor.
1169 e COSI pure iìinanti fagito S. Mich. 1032 nov. 1, tardivieni
S. Lor. 1171. 14. prot. e in i: sterpeto S. Ann. 1086 marzo,
signorelli Prim. 1132, a la rivolta S. Mich. 1031 e 1091 ag. 20,
valdiserkio S. Lor. 1156, positum a piede di meteta ibid. 1155,
capi di birri costorius ibid. 1152. Ih. ja dì jamiar/iis: idiis
gennarii S. Mich. 1037 gennaio 6, genuarii ibid. 1109.
16. semiprot. -i- dav. a nas.: gerardi modane S. Mich. 1103 e
altrove, o dav. a r: petia de terra u. d. albari ibid, 1080 marz. 18.
17. sincope della semiprot.: bonadonna S. Lor. 1157, finocchi
ibid. 1149, jmrlatorio isti monasterii S. Mich. 1164, vinee vede,
in loco vedano S. Lor. 1131, fìlia conti ibid. 1166, de moneta de
luca soldi vinti ibid. 1057 apr. 23, soldos ibid. 1152, odo soldis
S. Paol. 1127. A questi aggiungo anche: de loco lombardia
Oliv. 1112. 18. au di augustus m. è ridotto ad a: mense
agusto S. Mich. 1037 genn. 6 e altrove, così agustinus ibid. 1097
ott. 31. 19. Il di januarius consonantizzato : idus gennarii
S. Mich. 1037 genn. 6; la forma coll'iato: enrigo maestro
S. Ann. 1164 e l'epentesi popolare arduiuini Prim. 1166.
20. Per monasterio si anno le due forme monesterio S. Mich. 1041
marz. 18 e monastario sancii pauli S. Ann. 1111. 21. Ci sono
478 Varia. — A. Trauzzi,
gli anelli di congiunzione tra il lat. populiis e il volg. pioppo:
in campo pioppo S. Mieli. Wh'ò, piopio Prim. 1132. 22. Epen-
tesi col nesso cons. + r: et socera mea ricìielda Col. 1151 ; epitesi
in ideste S. Mieli. 1077 die. 1 e melUore ibid. 1153.
III. Consonanti iniziali. — 23. j- mutato in y : idus gennarii
S. Mich. 1037 genn. 6, genuarii ibid. 1109, u. d. a la giunca
Capp. 1143, gianni S. Lor. 1169; e- in g-: pipini gatahlance
Prim. 1168, non abemus ingumborare ncque stringere S. Mich. 1075
lugl. 22; w- e gii: guerri fìl. b. in. rnstichi Prim 1082 apr. 20,
guardarope S. Mich. 1153. 24. e- av. o mi sembra mutato
nel tose, h' nei casi: prasina iug. fil. homici (= comici?) Oliv.
1138, fil. qd. orrad (=corrad?) ibid. 1122. 25. Turbamento
di l in r: bernardi qd. rosignoli Prim. 1132. 26. e- av. e, i
passato a s: in fìnibus calci u. d. sceppato Oliv. 1093 ag. 30, al
quale corrisponde uno sporadico in simiterio S. Lor. 1161, come
è sporadico un scito loco vada Prim. 1153 mag. 15. 27. ^^
in ghi: u. d.pero ghiandarinus Prim. 1167; bl- in bi: gattabianca
constd ibid. 1143.
IV. Consonanti mediane. — 28. -b- in -v-: prope ecclesia sancii
liveri 1 S. Mich. 1029 feb. 23 e 1035 die. 28, cavalli de pagani
S.Ann. 1039, £^e movile' S. Mich. 1058 giugn. 20. 29. -e- si
risolve nella fricativa s in sillaba tonica: in loco u. d. pratoscella
S. Mich. 1091 apr. 2 e Col. 1154, pilaoisciìii S. Lor. 1171, de
albiscina Oliv. 1162, torscellus fil. q. neri ibid. 1158 2. In sillaba
atona talvolta in s: in consistorio publico S. Lor. 1170, in wisi-
gnano S. Mich. 1096 sett. 6, se pure quest'ultimo non debba
risalire a un bisinianus. 30. Il segno -e- avanti a, 0, u e
* [False scriz. ?].
- Torsello ?
Gli elementi volgari delle carte pisane fino al see. XII 479
spesso espresso graficamente col eh come av. e, i, il che mi
induce con qualche probabilità a credere che Vh stia a rappre-
sentare quel segno di aspir. del tose. If di amih'o ; quindi si po-
trebbe vedere un segno della pronuncia in polo sa/icfi nicholai
Oliv. 1126, cileclio S. Marta 1148, in locho et finibiis S. Mich. 1047
mag. 22 ; se non che ogni congettura rimane confusa da esempì
come questo: egho S. Mich. 1097 ott. 31 e simili. 31. -lc- in
-<j- : bottega Oliv. 1170, rolandini epic. segafino iiocatus S. Lor. 1137,
desingnatas logas S. Mich. 1077 die. ì, arrigo S. Lor. 1170, en-
rigo maestro S. Anna 1164, enrighi S. Mich. 1073 sett. 20 e
S. Ann. 1104 genn. 7, oderrigo S. Paol. 1127, tederigi ibid. e
S. Mich. 1120. 32. -t- in -d-: strada pluUica S. Lor. 1133,
gerardi modane S. Mich. 1103. 33. ^> in -h-: bottega Oliv. 1170,
34. -b- in -V- tavernario S. Mich. 1070 feb. 5, tavernarn
S. Lor. 1173, sancti sauini S. Mich. 1029 feb. 23. 3.5. -j- da -g-
dileguato: enrigo maestro S. Ann. 1164. 36. Consonanti sem-
plici in proparossitoni : -p- in -r- : ugonis poveri dicti Oliv. 1171 ;
-g- dav. e, i, dà il risultato^: lejtimos pedes S. Mich. 1037
genn. 6, posidere lejbus ibid. 1058 giugn. 20, pajnam ibid. 1073
giugn. 9, quadrajnta ibid. 1078 sett. 1, libras quinquajnta ibid.
1075 lugl. 22. ai quali possiamo aggiungere: septuajesinio ibid.
1078, triesimo Oliv. 1139, penam arientum optimum S. Mich. 1075
lugl. 22, penavi arienti Prim. 1120, subtrajendi ncque minaandi
S. Mich. 1078.
V. Nessi di consonanti. — 37. Mediano -se- (già s) av. e, i
ridotto talvolta ad s: bernardi q. rosignoli Prim. 1132.
38. -et- dà -tt-: in earraria stretta S. Mich. 1104, iohanni rettori
Prim. 1146, ripafratta S. Ann, 1086. La fusione già avvenuta
può vedersi anche nelle ricostruzioni : millesimo optuagesimo nono
' [j dev'essere scrizione pregi].
480 Varia. — A. Trauzzi,
S. Mieli. 1089 giugn. 29, mense obfubrisS. Lor. 1156. 39. Evo-
luzioiiG di -X- av. 0 dopo vocale scura in ss: gerardi bianche cosse
S. Lor. 1164, sesaginta Prim. 1072 lugl. 26, mentre dav. a
voc. chiara si risolve in s: rollandi scilinguati S. Lor. 1163.
40. -m -\- n- in n?? : de onnibus rebus ^ S. Mich. 1032 nov. 7.
ex onnibus casis ibid. 1058 giugn. 20, benedicta iug. fil. donnucci
ibid. 1058 sett. 2, Ubi onipotenti deo Bon. sec. XI, bonadonna
S. Lor. 1157. ah onnis homines S. Mich, 1029 febbraio 23.
41. -p-]-t- in -tt-: in loco q. d. ceraselo setembris S. Lor. 1165,
e in questa ricostruzione: libras uiginti de obtimum argentum
S. Mich. 1032 nov. 7. 42. n -\- r dà rr: herrigo Prim. 1166,
curradus S. Mich. 1032 nov. 7. 43. -cr- diventa -gr- : alegreta
Capp. 1123. 44. -ci- anche da ti in kkj o in kj, se dopo
conson.: in loco u. d. dolia uechia S. Mich. 1136, signa inanuni
tiecchi Col. 1154, coì'te tiecchia ibid. 1156, in loco et fìnibus nouac-
chio Prim. 1145, finocchi S. Lor. 1149, uia cava u. d. nouiccio
ibid. 1173, filia soperchi S. Mich. 1158, ualdiserkio S. Lor. 1156.
u. d. scandicio dòmini dominichi S. Mich. 1029 feb. 23. E forse
influenza straniera: prope eglesia sancii cristofani Prim. 1048
giugn. 23, eglesie eglesia ibid. 1053 mag. 15. 45. -pi- in ppj
nella ricostruzione centupplum S. Mich. 1031. 46. -bl- in bbj^-.
in loco il. d. al fobbjo Col. 1151, <i le stabbje ibid. 47. nj, IJ
in n, V : posita in romagna Prim. 1131, rangneri S. Mich. 1119,
in lugnano ìhìà. 1087 apr. 8, uignacanti ibid. 1138, tignoso
Prim. 1140, in compagnia Oliv. 1170, signorelli Prim. 1132.
48. Notasi quasi sempre rafforzamento av. st, se (s), gn {ti),
gì {V), Ij (r): ugonis busstaldi Prim. 1168, sub exisstimatione quales
tnnc fuerit Oliv. 1126, pisscina S. Mar. 1120, finihus cossciaula
Prim. 1132, ecclesia sancii angneli ei sancii andree S. Mich. 1029
* [Pronunzia toscana del latino anche adesso].
Gli elementi volgari delle carte pisane fino al sec. XII 481
marz. 11, rengnante donino nostro cumrado ibid. 1029 feb. 23,
archangnelis ibid. 1031, desingnatas logos Prim. 1042 gemi. 15,
congnux mea S. Mich. 1058 giugn. 20, singnorello ibid. 1060
genn. 22, singnorectiis ibid. 1075 lugl. 22, finibiis colingnola
ibid. 1077 die. 1, desingnatas logas ibid. 1077 e 1078, ojìeruit
singnorecti ibid. 1078, pungnano S. Ann. 1086 marzo, congnita
ibid.. mangnanus Col. 1087 mag. 22, ra«^^/i Film. 1116, in loco
lungnano S. Ann. 1123, m. d. ningnalia Prim. 1145, singnorelli
Bon. 1156, rogala honfìlgliis Oliv. 1116, honfilgli ibid.; in loco
II. d. comunalgla S. Mich. 1137, bìdglafaua Bon. 1156, finibus
cirilgìano S. Lor. 1166. Accanto a questi ultimi si hanno: cornil-
liano S. Mich. 1087 apr. 8, in ualle de sinallia S. Lor. 1155 ^
49. Yóc. r/ in ce e z: hracciacurti Prim. 1143, duodecim
bracciam et mantilem de braccia quatuor Col. \Iq\, in uia carra-
reccia S. Lor. 1170, fazo islam carta Bon. sec. XI, 50. vóc, di
in g, gg e z: ospitio sancii f rigiani S. Lor. 1133, apud sanctum
frigianum ibid. 1165, in poggio di meteta ibid. 1155 accanto a
polo sancii tiicolai- Oliv. 1126, in loco et finibus mezana ibid. 1075
ag. 30 S. Mieli. 1029 feb. 23. 51. vóc. ri in /: //. d. cafajo
S. Mich. 1080 marz. 18. 52. vóc. ti dà ce: benedicta iiig.fil.
donnucci S. Mich. 1058 sett. 2 accanto a marlinnzo ibid. 1153,
Ma spessissimo vóc. ti e ,<?/ danno la risoluzione 5-: uberti de pa-
loscio S. Mich. 1129, rainerio de paloscio S. Lor. 1155, que d.
[terra] boccarisci Oliv. 1126? partem que fuit de artenisci Col, 1151,
filli de latiscia S. Mich. 1153, guido giierriscio Prim. 1161, aìi-
greta de benetusci S. Lor. 1157. Lo stesso avviene in sillaba
tonica: felicita q. montisciani S. Lor. 1057, in terra contisciana
S. Mart. 1148, turrisciani Prim. 1170. Del vóc. si oltre dedi ei
' [Varia scrizione].
^ [In parte almeno, V. s.].
Archivio glottol. ital., XVII. 32
482 Varia. — A. Trauzzi,
camisciam duodecim bracciam Col. 1151 e anihrosci S. Mich. 1080
marz. 18, trovasi anche in loco q. d. ceraselo setembris S. Lor. 1165,
carecto f. q. fasciauli Prim. 1127 e rcuiKcci de fasciano ìhìd. 1135
accanto a posita in fasiano S. Lor. 1131, sciano e asciano
S. Mich. 1078. 53. Un'altra risoluzione del vóc. // è th. Gli
esempì sono numerosissimi, dei quali i più notevoli: guatha-
mater S. Mart. 1120, uetìiio Col. 1154, sancii pauli de largetha
S. Lor. 1166, bonitìio Prim. 1072 lugl. 6, uuinitho S. Mich. 1091
apr. 2, heritho index ibid. 1105, fede de albifhi Prim. 1142 e
Oliv. 1146, nos opitho atque berinkerius S. Lor. 1162, in terra
iiiculi berothi Prim. 1112, in terra lambertl et rothi Oliv. 1126,
gothilongi S. Lor. 1163 accanto a sancti martini de guatìiolongo
S. Maur. 1167, e conseguentemente nella sillaba ton. dei deriv. e
alter.: <dbithonis S. Mich. 1125 die. 3, albithelU ibid. 1147,
heuthonis ibid. 1106. Lioltre, in casi, in cui il ti è preceduto da
liquida: castagneto ìi. d. pinthali S.Ann. 1123, in terra benthonis
Prim. 1146, iohannis q. pontili saraceni S. Lor. 1162, in terra
soarthe Oliv. 1162, in fori porta inthoartha Col. 1065 febr, 5,
in nieìise martho S. Ann. 1086 marzo. Finalmente anche quando
si tratta di consonante rafforzata: posita in carraria a le battile
S. Mich. 1130, rainaldi de abrutthi Prim. 1165. Al fenomeno
dello d- credo si riferisca la s,CY\ti\ìvsi fezerici Prim. 1166, kinzica
ibid. 1187 accanto a kinthica Col. 1133. 54. -Lsti dà s nel
deriv. uscione ad opus ospitalis Prim. 1118. 55. -icons. e/ dà
ci come eccezione: terra bellancia S. Mich. 1128. 56. ±tti dik
ce: caccia bertrahimi S. Mich. 1125 die. 3. 57. -^ cons. ti^ dà
z\ casale lorenzano (deriv.) S. Mich. 1114. 58. Per i nessi di
tre e più consonanti trovo solo il trans- passato già a tì'a- :
per trailer so S. Mich. 1046 feb. 27.
VL Consonanti finali. — 59. Casi come i seguenti, nume-
rosissimi: maritaui malasoro fìliam meam Col. 1151, ubi liabita
Gli elementi volgari delle carte pisane fino al sec. Xll 483-
guilielmo S. Mart. l\09, pagano e gerardo S. Mieli. 1097 ott. 31,
campo iaculi que mihi ohueni ibid. 1079 ag. 22.
VII. Fenomeni singolari.— 60. aggeminazione: bottega OWy.
1170. 61. dissimilazione: petia de terra ii. d. albari S. Mich.
lOSO niarz. 18, pelegrini ibid. 1073 sett. 2, ospicium pauperum
et pelegrinorum ibid., bernardi q. rosignoli Prini. 1132. 62. pro-
paginazione: piopio Priin. 1132. donde in campo pioppo S. Mich.
1153; strata plublica S. Lor. 1133, donde cum uno lato in aia
plubica S. Mich. 1029 feb. 23. 63. epentesi di n: in nobis
remdere debeamus Co]. 1098 giugn. 17. 64. scambio sporadico:
adkulino cicala Oliv. 1148. 65. dell'alterazione dei nomi propri
ho notato, oltre forme come enrigoni, uaidogni, uuidigni S. Ann.
1086 marzo e simili, anche gianni S. Lor. 1169, iaìini S. Mich. 1128
e iannelli Prim. 1145 ei più interessanti rainerius f. b. m. corbi
et geppa S. Ann. 1087 ag. 22, meneo (domeniro?) Capp. 1110.
IL Appunti tìiorfoJ Offici.
Vili. Nomi. — 66. Le tre classi dei sostantivi del volg. ap-
paiono chiaramente. La prima classe: apsque nostra-m persona-m
S. Mieli. 1041 marz. 18, qìà percurrit nsque ad uia plubica
ibid. 1096. per anc cartata uindo et trado ibid. 1029 feb. 23,
anc cartula licellarii Col. 1067 mag. 27, fazo islam carta ad onore
de omnes homines de pisas Bon, sec. XI, duo paria de galline
bone S. Mich. 1109, finibus u. d. a la leona ibid. 1118 nov. 7.
67. La seconda classe: in loco qui ìiulgo dicit casali ustorius
Oliv. 1126?, libras uiginti de oUiinu-m argentu-m S. Mich. 1032
nov. 7, et guarentauerimus tunc obligo ibid. 1089 genn. 26, et
uno carro cum boi de feno tracio a finele nostro ibid. ÌÌQ9, prope
loco nominatus a la rivolta ibid. 1031, per singulum anno Col. 1098
4S4 Varia. — A. Trauzzi,
giugn. 17. Già entrati in questa classe anche i nomi in -us
della III deci, lat.: aliquando tempo Prim. 1048 giugn. 13, tenenfes
ambas capitas cuni uno lato S. Mieli. 1029 feb. 23, cuni uno lato
in nia plubica ibid., da uno capo... da alio capo Prim. 1042
genn. 15, tenentes tino capo cum ambas lateras S. Mich. 1058
sett. 2, capi di birri costorius S. Lor. 1152. E quelli della IV
deci.: quas in sua manu-m tenebat S, Mich. 1083 sett. 8.
68. La term. -a dei n. della 11-^ e della IV"* deci, si fissa anche
nel volg. : duodecim braccia-in et mantilem de braccia quatuor
Col. 1151, braccia-curti Prim. 1143, carra due de penimi S. Ann.
1163, desingnata-s loca-s Vrìm. 1042 genn. 15, duo paria de gal-
line bone S. Mich. 1109. 69. Abbondano le forme plur. in -ora
specialmente di pesi e misure, che assunsero talvolta nel sing.
la forma in -oro: d. a le campora S. Mich. \\2^, panora Prim.
1146, qiie est stariora duo et panora quinque S. Mich. 1158, est
modiora duo Prim. 1166, ingressura-s sua-s Col. 1067 mag, 27
e S. Mich. 1079 ag. 22, ibid. 1065, latera-s Prim. 1073, uno
capo cum ambas latera-s S. Mich. 1058 sett. 2. Ridotto al sing.
solidos quinque per starioro S. Mich. 1103, jser quolibet starioro
S. Paol. 1127. 70. Della terza classe dei sost. volg. cito solo:
fazo islam carta ad onore de omnes homines de pisas Bon. sec. XI,
ad palude S. Mich. 1106, cum boi de feno tracio a pnele nostro
ibid. 1109, ioanni de mardtde mangiaboui Bon, 1167, abraciahoui
Prim. 1172, u. d. a le croci S. Mich. 1120. 71. L'aggettivo ci
dà pochi esempi: trovo ngonis poueri dicti, dove l'agg. poueri è
già passato al tipo buono.
IX. Pronomi. — 72. Personale a forma atona: detisalvi S. Paol.
1154. 73. Relativo: u. d. campo iaculi que miìii obueni S. Mich.
1079 ag. 22.
X. Articolo e Preposizione. — 74. Art. determ.: in loco u. d.
la iunca S. Mich. 1130, ille secunda petia de terra u. d. scandicio
Gli elementi volgari delle carte pisane tino al sec. XII 485
ibid. 1029 feb. 23. ab odierno die in antea illus abbas ibid. 1058
sett. 2, lagnale le burelli S. Paol. 1154. 75. Prep. de, di:
petia de terra, ovunque, pede de monte 8. Mieli. 10i)9 ma.rzo, eaj)i
di birri costorius 8. Lor. ì\^2,positunt a piede di niHeta ibid. 1155,
ualdiserkio ibid. 1156, anido dauro S. Mich. 1078, sancii and ree
de la selua Col. U51, filii de la liscia 8. Mich. 1153, indice mar-
ciano de la con... Bon. sec. XI, gerardo del bianco ibid. 1156,
rainucini del casciaule S. Bern. 1165, d. sedio del maspra 8, Mich.
1104. 76. Prep. <(-. de una casa que est posila a uasignano
Prim. 1U72 liigl. 6, terra que dedit in feo a grillo ibid. 1073
gemi. 26, sancii petri q. d. a uincnle S. Mich, 1037 genn. 6, in
loco q. d. a la giunca Capp. 1120 marz. 23, ibid. 1143, ii. d. a
la Icona S. Mich. 1118, a la petralba ibid. 1099 ag. 4, fìnibxs
calci u. d. a la inora, ibid. 1109, in ferra boticoni martini a la
barba Oliv. 1138, d. a la petra Prim. 1132, projte loco nominatus
a la rivolta S. Mich. 1031. Esempi del piur. : prope loco q. d. a
le grotte 8. Mich. 1029 marz. 11, finibus a le eorti ibid. 1097
ott. 31, in loco u. d. a le debbia 8. Mart. 1101, u. d. a le croci
8. Mich. 1120, a le piale ibid. 1129, d. a le campora ibid., ìi. d.
a le fiirche Oliv. 1146. 77. Prep. da: da uno capo e da alio
capo Prim. 1042 genn. 15, terra da ulireto 8. Mich. 1097 ott. ol,
aghi da selva lunga Capp. 1133, ildebrandi da scorno 8. Maur. 1148,
insti da la vectula 8. Lor. 1163, campo da le lopie Col. 1120,
berno dal pero S. Mich. 1097 ott. 31, campo dal fraso ibid.,
iohanni dal Cerro Col. 1120. 78. Altre preposizioni con sign.
del volgare: cum uno lato in terra et cimiterio Col. 1067 niag. 27,
in fori porta inthoartha ibid. 1065 febr. 5, posila in fore porta
Oliv. 1125, de fore porta 8. Mich. 1104, per traverso ihìd. 1046
feb. 27, positum a piede di meteta S. Lor. 1155. 79. Artie.
indeter. : ìina alia lentia 8. Mich. 1083 sett. 8, ciim uno lato
ibid. 1029 feb. 23, de iiada de una casa que est posila a uasignano
Prim. 1072 lud. 6.
486 Varia. — A. Trauzzi,
XI. Numerali. — 80. carra due de fìenum S. Ann. 1168. due
petioìe S. Mieli. 1106, seminatura stariorum tres ibid. 1080 marz. 18
e 1105, de moneta de luca soldi vinti S. Lor. 1057 apr. 23, in
loco quarantula S. Mieli. 1097 ott. 31, uinea in quarantula ibid.
1120, cento porche Priin. 1110, quatuor centosS. Mieli. 1125 die. 3.
XTI. Verbo. — 81. fazo istam carta ad onore de omnes homines
de pisas Bon. see. XI. 82. cogitare potè est S. Mieli. 1114.
83. Pres. ind.: mira-in-viso Bon. \\^)^, par a- sacci ibid., ianni
de mardule mangia-boi ibid, 1167, ahracia-boui Prim. 1172, uhi
hahita f/uilielmo S. Mari. 1109, guarda-in-f rancie Oliv. 1160, in
casa punge-lnpi ibid. 1162, mette-foci Sped. riun., tardi-vieni
S. Lor. 1171. 84. Fut. perifr. : non aheo agere ncque cattsare
Prim. 1072 lugl. 6, non abemus ingumborare ncque stringere
S. Mich. 1075 lugl. 22. 85. Perf. : campo iaculi que miJti
obueni S. Mieh. 1079 ag. 22. 86. Gong. : tibi de-ti-salvi
S. Paol. 1154. 87. Inf. : nec suhtragere ncque mimiare S. Mich.
1075 lugl. 22. 88. Partieip.: a la rivolta S. Mieh. 1031, fun-
dato et edificato ibid. 1058 seti. 2, occistis fuit et moritus sine
lingua ibid. 1119.
XIII. Altre cose notevoll — 89. Composti: francardi f. q.
bellomi S, Mich. 1096, a la 2)^i^^ci,lba ibid. 1099 ag. 4, in loco
dicto puntarsi ibid. 1103, terra di malaparuta Col. 1120, sigmtm
manum malatacca Oliv, 1126, malanocte ibid. 1160, sassi q. d.
malemusche Prim. 90. Terminaz, notevoli: -ura : seminatura
stariorum tres'S. Mich. 1080 marz. 18; -alia: u. d. ortalia Prim,
1082 apr, 20 ; -ilia: unam petiam terre de mandrilia S, Mich, 1153 ;
■ate: et est moggiate duo S. Lor. 1155, 91. Dimin, : paparini
Prim, 1082 apr, 20, morelli, boncianelli, granelli S. Mar. 1120,
u. d. a uimentella Capp. 1133, sono campanelle Sped, riun,, gui-
toncini Prim. 1112. 92. Parole o frasi nuove o di nuovo
Gli elementi volgari tlelle carte pisane fino al sec. XII 487,
signif.: filio b. m. helitie S. Mieli. 1029 feb. 23, ego ghisla mulier
baldiiuìi ibid. marz. 11, uuilla mulier hrioii ibid. lOSà inarz. 12,
calmangiarii uocati Oliv. 1158, S. Lor. 1165, gerardi mangiadoris,
gottifredi mangiareUi S. Lor. 1170, cum uia amdandi et regre-
diendi S. Mich. 1047 mag. 22. uia andandi et regrediendi Col.
1067 mag. 27, dederimt parabolani S. Mari. l\^^^ per parabolani
et ÌKSsionem Oliv. 1116, Ugolini cicciandentis Prim. 1137, u. d.
burgo sancii petri S. Mich. 1120, guarentare ibid. 1114. causa-
nerimiis et intentionauerimus Bon. sec. XI, inibrigare Col. 1065
feb. 5, de lite et briche Prim. 1116, coito porche ibid. 1132, porche
lunghe ibid., facio finem et dationeni ibid. 1150, est iiocitata sancte
Cristine S. Lor. 1152, spondimns ììos nobis coniponere predictam
nieam uenditione in dupluni in ferquido loco S. Ann. 1122, in
dupluni in ferquidem loco sub exisstimatione qtiales tunc fuerit
Oliv. 1126, in ferquido loco Prim. 1127, in ferepiidis locis,
S. Mich. 1129.
Modena, gennaio 1913.
Alberto Trauzzi.
V.
UNA DENUNZIA DI ESTIMO
in volgare pistoiese del secolo XIII.
Fra le pergamene sciolte del secolo XIII, che il cav. Giovanni Livi,
direttore dell'Archivio di Stato di Bologna, ha accuratamente raccolte e
ordinate *, ve n'è una classificata fra quelle della Porta Piera che mi
pare singolarmente importante soprattutto dal lato linguistico.
Ne farò una succinta illustrazione storica, lasciandone l'illustrazione
linguistica a chi ha speciale competenza in tale genere di studi.
E un'ampia pergamena, alquanto guasta disgraziatamente in pili punti,
ma non tanto che non si possa ricostruire nella sua integrità il docu-
mento che essa contiene. Una società di mercanti pistoiesi, che dai Me-
moriali apparisce aver esercitato in Bologna fino dal 1265 il mercato
della vendita di panni *, oltre che quello pivi lucroso del prestito, era
stata gravata dal comune di Bologna più di quello che comportassero
le rendite del suo traffico. Sinibaldo d'Iacopo, Franchino e Sinibalduccio
di Boldo chiedono di essere posti all'estimo di Porta Piera, e non pivi
a quello di Porta Ravegnana a cui erano stati assegnati prima, quando
era ancor vivo Boldo Franchini che conmierciava in compagnia di Si-
nibaldo lacopi. Fanno seguire una lunga lista di debiti e crediti della
società, fatta con cura minuziosa.
^ Mi piace di rendere pubbliche grazie al Ch.° Cav. Livi d'avermi indi-
cato questo interessante documento, e d'avermi prestato valido aiuto nella
trascrizione di esso.
* In uno spoglio che per altri miei studi sto facendo dei Memoriali del
secolo XIII ò potuto vedere assai di frequente partite di compre e vendite
di questi mercanti da questo anno in poi.
Varia. — G. Zaccagnini, Una denunzia di estimo, ecc. 489
Il documento, pregevole anche dal lato paleografico 2'erché è in jier-
fetta scrittura mercantile, non ha data ; ma, poiché in principio vi è
detto che Sinibaldo d'Iacopo e Boldo Franchini erano stati " astimati ,
nella cappella di S. Michele di mercato di mezzo " per lo quartieri di
porta Ravegnana dal tempo di messer Pacie in eia „, ed è stato trovato
fra le carte che portavano la data del 1296-97, si è assegnata quella
data anche al presente documento.
Quella data è confermata anche da alti'c ragioni. Messer Pace, di cui,
come abbiamo detto, si fa menzione fino dal principio della carta, è
quel messer Pace de' Paci che fu uomo assai reputato al suo tempo e
di cui quindi è possibile trovare qualche utile notizia negli storici bo-
lognesi. Infatti il Glùrardacci ci fa sapere che fu fatto dottore di legge
nel 1276, dei Sapienti per la guerra nel 1288, anziano nel 1290 e nuo-
vamente de' Sapienti nel 1296 '. Come si vede, egli fu negli uffici del
Comune presso a poco negli anni a cui rimonta il nostro documento.
Ma tra gli atti Yivivatì nei Memoriali del 1296 è un documento che toglie
ogni dubbio : quello stesso " Ottovrino di ser Merchatante d'Ottovrino „
che è uno dei debitori della società pistoiese, vi ajjparisce nel giugno
cosi indicato: " Dominus Octovrinus domini Merchadantis Octovrini
cap. sancti Bartoli porte Ravegnane emancipatus a dicto suo patre ex
istr. Guillielmi Petri^oli Doxii not. , ^.
Se costui nel giugno del 1290 era già stato emancijjato dal padre
suo, noi dobbiamo ritenere che questa emancipazione sia avvenuta poco
prima, probabilmente in quel medesimo anno, e quindi il nostro docu-
mento non può rimontare a un tempo troppo lontano dal 1296, perché
alloi'a non si vedrebbe la ragione di quella precisa indicazione. E sic-
come verso la fine del nostro documento è detto che i mercanti pistoiesi
erano " obrichati di dovere dare a messer Guido di Belviso livre
ce bon. a diciesette di gienaio che viene ,, dobbiamo ritenere che il
documento sia anteriore al gennaio del 1297.
Ma negli stessi Memoriali del 1296 è un altro documento ^ ancora più
' Della Historia di Bologna, lib. IX.
^ Arch. di Stato di Bologna, Meinonali del 1296 del notaro Palamidesse
di Michele Scalami, e. 75.
' Ivi, nel Memoriale di Gerardo di Ferrario. e. 35.
I
490 Varia. — G. Zaccagnini,
interessante, che ci fa anche capire in quale occasione quei mercanti
erano stati gravati. Frate Egidio d'Iacopino di Saragozza, depositario
generale del comune di Bologna, dichiara d'aver ricevuto 90 libbre di
bolognini dal banchiere Bongiovannino di Michelino, il quale era stato
incaricato di riscuotere per il éomune una prestanza di due denari per
libbra e una tassa di sei per libbra imposta da messer Pace de' Paci.
In forza dunque di questa imposizione di messer Pace erano stati gra-
vati anche quei Pistoiesi venditori di panni. E, poiché questo documento
porta la data del 29 maggio, ed è seguito da altri in cui si tratta della
riscossione della stessa tassa e che hanno la data del giugno \ è giuo-
coforza ritenere che il nostro documento debba essere stato fatto poco
dopo il giugno del 1296 ^.
Ecco qui nella sua integrità il documento :
Die martis vigesimonono madij Frater Egidius de Saragoeia q. luco-
bini, generalis depositarius comunis Bon. fiiit confessus et conteniptus
habuisse et recepisse a domino Boniohannino domini Michelini campsore
prò comuni Bononie ellecto ad recipihendum et coligendum j^f'^stanciam
duorum denarioriim bon. prò libra et coìlectam sex denariorum impo-
sitam cttilibet et singulis extimatis a tempore domini Pacis de Pacibus
et sociorum a tempore dicti domini Pacis cifra noningentas livras bon.,
qiias idem dominus Boniohanimis habuit penes ipsuni de dieta- 2>restancia
et collecta recejyta. Ex istr. Guido nis domini Lanbertini de Sutufunti
not. ìiodie facto Bononie in cambio, p>r^sentibus Tomaxino magistri Osepi,
lacobo de Mancolini, Filipo domini Bitini de Zovenzonibus, GuiUielmo
de Blanchncis, Petra de Cacitis, lohanino fratre Deyìay de Sala et
Palamadexio de Scalami s testibus.
^ A e. 36 frate Egidio dichiara d'aver ricevuto da Bongiovannino di Mi-
chelino 845 libbre di bolognini per la riscossione di quella stessa tassa, e
in testa il documento porta la data " die martis quinto lunii ,. Una stessa
dichiarazione fa poco pili oltre Gardino de' Pegolotti e sempre nel mede-
simo mese di giugno.
* A conferma di ciò si osservi che, a proposito d'un credito che avevano
con messer Pellegrino de' Simonpiccioli, dicono che questo credito era per
una carta " fatta di giugno ,.
Una denunzia di estimo, ecc. 491
Questa denuncia cFestimo dunque è assai pregevole innanzi tutto perché
è una delle più antiche che, scritte in volgare, provengano dalla Toscana:
quelle fiorentine, per esempio, sono dei primi del secolo XIV. Inoltre
in altre carte l'estimo è fatto dagli officiali del comune, qui invece è
fatto dai denunziatori medesimi, che sono dei ^mercanti privi di ogni
istruzione letteraria. È quindi uno schietto documento del ])iù antico
volgare pistoiese.
In qualche punto mi sembra di sentire l'influsso del volgare bolognese,
come, per esempio, in quell'espressione che ho sopra ricordata: " dal
tempo di messer Pacie in eia „ quell" ^ in eia „ accenna evidentemente
a un influsso della forma bolognese ^ in yà „ ; ma non voglio adden-
trarmi in un esame linguistico del documento che con maggior profitto
degli studiosi intendo riserbare ad altri. Ho voluto soltanto rilevare
ciuesto influsso del volgare di Bologna in questo documento schietta-
mente pistoiese, perché dalla lettura di esso si capisce che coloro che
lo stesero dimorarono a lungo in Bologna, ed era (juindi jiaturale che
qualche traccia delle particolari forme del dialetto bolognese rimanesse
nella loro scrittui'a. E che essi dimorassero in Bologna si desume chia-
ramente dalle parole con cui si accenna agli altri consoci pistoiesi
" i quali non abitano in Bolongna^ no ci stanno „, e più ancora dal fatto
che i due che sembrano essere stati i capi della società, Sinibaldo d'Ia-
copo e Boldo Franchini, sono detti " cittadini di Bolongna „.
Guido Zaccagnini.
[Giugno 1296 -gennaio 1297]. Aucuivio i»i Stato di Bologna
Pergamene di Porta Piera.
Chonciosia chosa che Sinibaldo lacopi e Boldo Franchini cittadini di
Bolongna della chapella di San Michele di mercliato di mezzo fosero
astimati nella predetta chapella per lo quartieri di 2^orfa Ravennana
dcd tpnpo di messer Pacie in eia, adomanda Franchino per sé e Sini-
halducio suo fratello, sichome figluoli ed erede del detto Boldo Franchini 5
p per Sinibaldo lacopi volere essere astimati nella ditta chapella di San
Michele del merchato di ìnezzo ])er lo quartieri di porta Santi Fedri e
dicie lo ditto Franchino che lo chapitale della stazione di che 'l ditto
492 Varia. — G. Zaccagnini.
Boldo era chondiicitore, si era di Sinibaldo e dì Baldo e de gli altri suoi
iO chonpangni pistoresi e che del ditto chapitale lo ditto Boldo suo padre
molte prestanze fede e sovenimenti a nostri amici bolongnesi, i quali
anchora ne deno dare, e di tali aviamo tolto terra, vingna, chasamento,
cììonie di sotto li ne divisero, é diete che al ditto Sinibaldo e Franchino
e Sinibalducio ne tocha de le ditte credenze e terra e vingna e chasa-
15 menti e buoi ditti di sotto Ir/ quinto di chatuna e no più, nonistante per
che l'obricho dicha in Boldo e da Uni fosero richonosciuti li servisgi e
che Valtre quatro ^jar^i debono tornare a lloro chonpangni pistoresi i
quali non abitano in Bolongna, no ci stanno.
Anco dicie lo ditto Franchino ched elli e Sinibalducio suo fratello e
20 Sinibaldo lacop)i * olUn la parte che delle credenze di sotto tocha
loro e della terra e vingna e chasamento e buoi tanto ancho in panni e
ne Valtre chose della stazone che cholle credenze montano in tutto lo
chapitale l. CCCC bon. e questo denonzano per volere astimare chon
tutto che molti aoiamo mesi che no deno dare che mai no credemo avere
25 e dal primo estimo fumo tropo gravati che da Pistoia non è stimato
Sinibaldo e Boldo che l. CLXXXXVl s. di che valUoìio l. CLVJ bon.
Ser Rinbalducio de' Bardini de' dare livre due, soldi quindici, de'
quali ne tocha a Franchino e Sinibalducio, fillioli ed erede di
Boldo, e a Sinibaldo lacopi lo quinto Z. xj bon.
30 Bonghirardo notaio di laconio Bonghirardi de' dare livre trentatré,
soldi diede bon., delli ani e piii di sei, tocha lo quinto l. vi, s. xiiij bon.
Ser Alberto boninsegna da Fieso de'' dare gran tenpo è livre qua-
tordici, soldi tre bon., per lo quinto loro . . . l. ij s. xvj d. vij
Zacharia Ghagiola de' dare più d'otto ante soldi ventitré, lo
35 quinto .§. iiij rf. vij
Guilielmino da San Giorgio de' dare più di sedici anni C livre,
otanta sette soldi, due bon., lo quinto ..../. xvij s. viij d. v
R Imo da Panagho de^ dare gran tempo è livre tre, soldi diede bon.,
per lo quinto s. xiiij
40 Piero de' dare buon tempo è soldi venditi (sic) due
per lo quinto ò\ iiij d. vj
' È impossibile leggervi una parola per corrosione della carta: così s'in-
tenda in tutti i punti ove lascio una breve lacuna.
Una denunzia di estimo, ecc. 493 '
Piero d'agusto de dare di rimanete livre quatro, soldi diede, come
carta per ser Bonghirardo net. e a bando .«. xviij
L'eredi di messer Tomaso Tincarari de' dare livre tre. . . . s. xij
Bartolomeo di donna Palmiera de' dare soldi venticinque . . . s. vj 45
Lofredo di Manno di Fieso de' dare livre ventiuna, soldi diciotto,
del quale avemo uno chasamenfo a Fieso in paghamento i>er sen-
tenza di messer Alberto Bonachatto, stimolo l. xvj bon. s. iij d. iiij
Donna Bina da Fieso de' dare livre tre, soldi diede bon . . s. xiiij
Ser Lorenzo merci ad ro de' dare livre V, soldi didotto, den. V bon., 50
è Ilo quinto s. ii\ d. viij
Zerardino da Marano de' dare di rimanente livre nove, soldi qua-
tordici bon. d'una carta di CL livre ch'avemo sojìra di lui, è Ilo
quinto l. i, s. xviij d. x
lacomino del Mulina ro de' dare livre nndidbon. e'n de' carta per 55
ser Gherardo Dentarne, è Ilo quinto /. ii s. iiij
Ser Polo de' Chorvi p)^^' ser Fillipo de' Chorvi de' dare livre sesan-
tatrr, soldi \\, den. ITJ bon., è Ilo quinto . . . l. xij .^. I, d. iij
Fillip)o lustignano e Fazio sarto deno dare livre cinque bon., è Ilo
quinto ò'. XX 60
Tja rede di madonna lacomina Bona, sorella di messer Guidotto,
de' dare livre diciasette, soldi didotto bon. di rimanete d'una
carta, è Ilo quinto /. ij, s. xi, d. vij
Giiiglelmo Guido Giani de' dare livre ottantuna, soldi otto, den.
sei hon. per rimanete d'una carta, è Ilo quinto l. xa;] .s. v. d. viiij 65
Gherardo de' Gongi de Chastel Francho de' dare di rimanete livre
una, soldi dodici bon., è Ilo quinto ^
Piero da Chapugnano e Micìielazo deno dare soldi trenta bon., è
Ho quinto s. \j
Ser Piero da Chapugnano j^f'^ditto de' dare livre sette e soldi 70
diede bon. di rimanete d'una carta, è Ilo quinto . . . l. i, s. x
Michelazo da Chapugnano de' dare livre otto bon. . . . l. i, s. xii
Mattiolo e Guiscartino de' Rinovati da Fieso de' dare livre tre,
soldi diede bon. carta j^er ser Simo Martini /. xiiij
Jacomudo de' Malavolti de' dare livre cinque, soldi otto l. i, .<?. i, d. viij 75
' Manca la cifra del quinto.
494 Varia. — 6. Zaccagnini,
Rolando Ranponi de' dare livre otto bon. di rimanente . l. i. s. xii
Nicholò di ser Michele da de' dare livre diede bon . . . l. ij
Mellino Lattieri de' dare livre cento cinquanta, soldi quatro bon., è
Ilo quinto l. XXX
80 Guercio de' Zovenzzoni de' dare livre tre bon s. xij
Monta l. cxij, .5. ij, d. x bon.
Messer Pellegrino di Simon Piciolo de' dare di rimanete d'una
carta di livre seicento bon. fatta di giugno in ottantaquatro livre
sesantaquattro bon., è Ilo quinto ........ l. xij, s. xvj
85 lacomo di Ferro sarto de^ dare livre tre bon. è lo quinto . . s. xij
Gnidotto di Bertelli da San Giovanni de' dare di rimanete d'una carta
di l. xj, s. xviij bon. livre quatro, soldi tre et è lo quinto s. xvj, d. vij
ChoUozzo de' Tincharari de' dare livre cinque bon. è Ilo quinto . l. i
Venedicho di ser Michele d'Arivero de' dare livre diede bon. . l. 11
90 Messer Martino Spagnolo de' dare livre undici, soldi quatro bon.
l. II, s. iiij, d. X
Messer Beritola de' dare livre cinquanta, soldi otto bon., è Ilo
quinto l. ^, s. ì, d. viij
Franciesco Giesadello de' dare carta per ser Zerardo livre quin-
95 dici /. iij s.
Giliolo di Manello livre tre, venti sette soldi, \d.^^ diede bon., è Ilo
quinto l. \, s. i
Giambono della Romegia de' dare livre ventidue, soldi diciotto bon., ed
elli lasciò in suo testamento l. xxv bon., è Ilo quinto l. iiij, .s. xi, d. viij
100 Lanfrancho e Bartolomeo pillidaro de' dare livre cinquanta bon.
per rimanete d'una carta di livre settantotto fatta per ser Ghe-
rardo Dentarne, è Ilo quinto ^. x
Dalfino di Chastello de' dare di rimanete livre cinque, soldi sette bon.,
è Ilo quinto l. i, s. i, d. i
105 Ottovrino di ser Merchatante d'Ottovrino de' dare livre ventiotto,
soldi otto bon., e 'n de' carta per ser Bongherardo not., è Ilo
quinto l. V, s. xiij, d. vij
Ser Matteo de' Malgierini de' dare livre quatro, soldi quatordici bon.,
è Ilo quinto s. xviij, d. x
110 Messer Bondie challonacho di Santa Maria Magiare de' dare livre
trds diede bonnto a,.,e eil Ilo qui s. xiiij
Lunghino e Ridardo deno dare per rimanete di pisgione di tre
Una denunzia di estimo, eco. 495 ,
anni, di che acemo carta sopra loro di livre cinquanta per anno,
lirre trentasette hon., è Ilo quinto /. vij, .s. viij
Matteo di ser Simo de' Chorvi de' dare licre tre, soldi dodici hon., 115
è Ilo quinto 6-. xiiij, (/. xi
Madonna Agnesina de' dare livre ventuna, soldi diciesette hon.,
è Ilo quinto Z. II, .s'. vij, d. mj
Ser Rodaldo Lamandina de' dare licre trentatre, soldi sei hon.
l. U], s. xiij, d. ij 120
lacomo sarto nostro oste de' dare livre otto hon l. i, s. xij
Giovanni Osherghieri de' dare di piscione livre nove hon. l. ii, s. xvj
Maestro Bene sarto de' dare di piscione soldi trentotto hon. . s. xvj
lacomo (jiuboniero de' dare di piscione soldi venti hon. . s. vij, d. vij
Vittorio sarto de' dare di pisgione soldi venti hon s. iv 125
Donna Sopercìiia dalla Crocie de' Santi ne de' dare livre cin-
quanta hon. avende (sic) carta per ser Gherardo Dentarne, è Ho
quinto /. X
A verno una vingna nella guardia di Bologna posta a Chasara,
la quale stimo xvij tornadure per livre xxv la tornadura, 130
l. ccccxxv hon l. lxxxv
Avemo ne la guardia di Piumacio xxviij hifolche di terra che
avemo in paghamento de' heni da f. Venante da Tizzana, stintole
l. LXXXX l. XVIlj
Avemo uno paio di huoi a Gioadicha che ci tien lo filiolo di ser 135
Alherto Boninsengna, stimoli l. xxiiij l. m], d. xvj
Amideo di ser Amideo medicho ne de' dare di rimanete d'una carta
di livre cento hon., i quali achatamo per lui dalli Sthuli ed a
lloro ne demo per lui in xv mesi di prò l. xv hon., ohrichamoci
in suo serviselo e noi ricievemo da llui una carta delle ditte 140
cento livre. Resta a dare l. xlv hon., è Ho quinto ..../. vmj
Ser Balduino de Chorvi ci de' dare i quali aviamo achatati per
lui ed ohrichatoci per lui nel simile chaso ed avemo ricievuto da
llui una carta d'una sua vingna dal Farnedo ed a lini medesmo
Vavemo abitata per l. x ho7i. l'anno, tanto quant'eHi ne potrà aren- 145
dere i ditti denari e tutte volte che i ditti denari ne rèndrà, sì
Hi dovemo rendere la ditta vingna e disfare la carta e darli a
chi avere li de' da noi l. e, s. vi, (/. iij hon. è Ilo quinto
l. x\, s. 1, d. iij
496 Varia. — G. Zaccagnini,
150 Ser Baldiòno soprascritto ne de' dure l. \\\i\, s. v bon., i qìiuli
noi avemo achatati per lui, e noi ne siamo ohrichati ad aìtrni
ed elli per nostra sichurtà ne fede carta d'una certa parte del
forno suo di Borgìiadello e dici e la carta livre trentadue hon.
fatta per ser Ghiherto di Guid olino not., è Ilo quinto l. vj, s. vnij
155 Ser Ghirardo de' Chorvi ne de' dare eh' avemo achatati per lui nel
simile modo ed obrichatocine ad altrui e per nostra sichurtà rCà
fatto una carta di livre cento venti, soldi diciesette hon. e un'altra
parte ne de' dare l. vij, s. iij, d. viij, sì che monta l. cxxviij
e d. otto bon.^ è Ilo quinto /. xxv, s. xij, d. ij
160 Ser Martino da Neso ne de' dare livre quatrociento cinque, soldi
otto, d. sette hon., de' quali siamo ohrichati per lui di dovere dare
a messer Guido di Belviso l. ce hon. a diciesette di gienaio che
viene per una scritta di mano di Franchino sugielata dal suo su-
qiello, per la quale noi li siamo tenuti i\ri\ livre cento hon. Xe
165 paghamo per lui a Nieri Cretnonesi jier j^f^sqtia magioì-e cento
cinque livre, soldi otto e d. sette. Ne paghamo per lui in Firenze
per panni de la filliola sono per la dota di Saviola sua filli ola :
le ditte dusgiento cinque livre, soldi otto, d. sette bon. achattamo
per lui ne la maniera ditta di sopì'a e non de carta l. lxxxJ, s. i, d. v
170 Avemo ancho in jMnni e ne l'altre chose che ne la stazone sotto per
Sinibaldo lacojn e per Franchino e Sinihalducio livre novanta,
soldi dodici, d. tre hon., per la loro parte . l. lxxxx, s. xij, d. iij
Monta in tutto questo che troviamo sichom'è scritto di sopra e da
rietro p)er singholo /. dxlvj^ s. ij bon.
175 Dovemo dare per Amideo di messer Amideo, chom'è scritto a rietro
che gl'achatamo per lui l. xlv hon., viene lo quinto . . . l. viiij
Dovemo dare per ser Balduino de' Chorvi, chom'è scritto per l. e,
s. VI, d. iij hon /. XX, .s. i, d. iij
Dovemo dare j^er ser Balduino soprascritto, chom'è scritto l. xxvij,
180 s. V hon /. V, .s. viiij
Dovemo dare per ser Gherardo de' Chorvi sojjra scritto l. cxxviij,
d. viij bon l. xxv, s. xij, d. ij
Dovemo dare j'je/- ser Martino da Neso, chom'è scritto nella soma
delle quatrociento cinque l. e soldi livre dusgiento cinque, soldi
185 otto, d. vij bon /. XLJ, s. i, d. v
Dovemo darea messer Guido di Belviso per ser Martino da Lleso (sic),
ave nostra scritta sugiellata l. ce bon., è Ilo quinto ..../. xl
Una denunzia di estimo, ecc. 497
Dovemo dare a Dosalo ed a Bartolo da Imola l. xviiij hon., è Ho
quinto /. iij, s. xvj
Dovemo dare a fideli chomisari di madona Achiara I. v, s. xi hon. 190
/. I, s. ij, d. ij
Monta quello che dovemo dare altrui livre CXLVJ, s. ij hon.
Resta quello che truovo dovere avere, ahatutto quello che truovo dovere
dare, sichom'è scritto per singholo ^>er la parte di Sinihaldo lacopi e
di Franchino e Sinihalducio di Boldo in tutto è l. ecce hon. 195
Boldus extimatus in cajìella Sancti Michael is de foro niedii cec livre
Sinihaldus lacojn extimatus in eadem rapetla lxxx livre.
SPOGLI. Forme equivoche per l'ortografìa del docu-
mento. — • elli, delli -f- voc- e dalli [Schali) vanno letti elTi, deVl'i
daVri, cfr. valliono (r. 37), fillioli (r. 40) ; anie non è amie ma
anni è. v. p. questa costruz. sotto; credemo r. 34, rideremo 183,
de7no 182, avemo, passim, sono perfetti; forme di presente in
-émo non mancano, v. sotto ; sono tutte perfetti le forme in -amo :
achatamo 181, 221, 230 obrichamoci 183, paghamo 215, 218.
Tolte queste pericolose tentazioni ed illusioni restano inte-
ressanti le forme qui riferite.
Vocalismo: ùìf^"^ ) on'^°"'^ : denonzano; — astimati, che appar-
tiene forse al nucleo di forme es*^""* s ) as di cui si conservano
ciascuno, diciassette e s'ànno, in tempo antico assempro, sostituiti
da forme più dotte o d'altra parlata ; ma potrebbe anche essere un
caso di prostesi; qui ricorre, per converso diciesette (1 v.) acc. a
diciasette (4 v.) — pilliciaro\ — Amideo; — nonistante; — Agusto;
— Dalfìno ; — retiti una, venti otto — uno paio ; — prostesi :
arendere; — adomanda; — rendrà; — diede (frequente); —
quartieri; — il com. challonaco.
Consonantismo: Suoni conservati : diatuno; ched -f- yoc. ; ben.
per bon[ogniniJ solo in sigla; — rinforzam. anormali: ohricho,
Archivio glottol. ital.. XVII. 33
498 Varia. — P. G. G., Spogli
Guiscartino; consjyonsy..^ ohrichn; — -&r-)-vr-: livre, Ottovrino;
ti-)z: statone acc. a stazione, denonzano; -n -\- cons. omesso:
no più, no ci stanno, no deno, no credemo ; Simo de Corvi, Simo
Martini, acc. a Simon Piccioli; rimanete, quasi sempre acc. a
rimanente (1 v.).
Forme: merciadro; pistovesi-, oltra; ancho; — erede {^\m\),
eredi (sing. o col verbo al sing.? r. 58; la rede femm.) ; — Porta
Santi Pedri ; — aviamo (compromesso tra abbiamo ed avemo) ;
pres. ind. in -emo: avemo r. 71, avemo ricievuto, avemo afitata,
dovemo (r. 229, 232, 234, 238, 242, 245, 247, 249) ; denno (indie),
debono (cong. v. 22) ; ditto preditto quasi sempre per detto,
predetto.
Sintassi: aviamo achatati per lui ed obrichatoci, obrichafocine;
più d'otto ani è e sim. (cfr. " Arch. „ XVII, 62, § 55) ; avemo afitata
tanto quant'elU (per tutto il tempo che, finché) ne potrà aren-
dere; e tutte volte che (ove) i ditti denari ne rendrà, si Ili
dovemo... dare a chi avere li de' (li de' avere) da noi (r. 190 sgg.);
dei quali ne tocha; e sian ricordate anche le forme comuni:
stimoli, stimolo.
Lessico : tornadura di terra, bif alche di terra, abatutto ' detratto '
(di moneta).
Fonetica settentrionale: eia ' qua' ; S. Pedri, Farnedo e sim.,
merciadro, forse denonzano.
P. G. G.
APPUNTI BIBLIOGRAFICI
Romanisches etymologisches Wijrterbuch, di W. Mkyer-Lubkk. Heidelberg,
1911. di>^p. l-III. Appunti di A. Prati.
In quest'opera, destinata a facilitare (,'randemente le ricerche d'etimo-
logia, spesseggiano, cosa che si nota troppo di frequente in pubblicazioni
tedesche di linguistica romanza, forme errate, che saranno molte volte do-
vute allo stampatore, ma che si sa esser quasi sempre gravi e dannose,
tanto pili ch'esse passano poi in chi sa quanti altri scritti.
Naturalmente è del tutto sbagliata la trascrizione, adottata dal Meyer-
Liibke, di ts e dz persino per le voci venete! Ma anche si avvertono non
poche incoerenze. Cosi al N. 2435 si trova citato il veron. tsezeno, al
N. 573 il veron. sigar, al N. 1244 il veron. boasa. Si tratta dunque della
medesima consonante scritta in tre modi diversi, e sempre nel medesimo
dialetto. Al N. 277 non si sa perché pel veneto sia stato scritto ùrzare e
pel veronese invece aUlzaro, e al N. 707 sparezo (ven.) e al N. 795 invece
orese (ven.). Anche i significati, dati dal Meyer-Lubke, molte volte non
sono giusti.
Raccolgo qui le correzioni degli errori, da me avvertiti, nella lettura del
R. E. W.. riguardanti quasi esclusivamente i dialetti veneti e il trentino,
che di altri non ò tenuto conto che in casi rari. Ma, anche entro questo
limite, la mia revisione non è però per nulla completa'. Per le forme
corrette uso beninteso il metodo di trascrizione di quest' " Archivio ,.
^ A p. XX il Meyer-Lùbke pone Erto nel Tirolo, mentre è invece nel
distretto di Maniàgo (Udine). A p. xix accoglie la forma tedesca ^i<c/iens<é-i?j
per Livinàl Longo (alta valle del Cordévole), mentre per Ampezzo (ted.
Hayden) (alta valle del Bòite) usa la forma italiana. Bisognerebbe quindi
togliere anche questo divario. Persino il Nigra, ■* Arch. Glott. „, XV, p. 505,
n. 2, scrisse Buchenstein e, invece, Ampezzo. Curioso il caso della Hùrlimann,
Die Entivickìiing des lat. a q u a, p. 36, che riferisce un yega per Bu-
chenstein, rimandando al Gartner e all'Altón, e un i'ga per Livinallungo,
rimandando all' ''Arch. Glott. ,, 1. p. 372!!
500 Appunti bibliografici
17. Veron. olàna (anche roveretano) (non olano), olanàr l'albero. — Oi. Ven.
garbo (non garh) ' agro, brusco, aspro, acido ' (non ' amaro ')• — ^~5. Rover,
(non trent.) gujàda. — 130. Romagn. égor ' ago' {rìoiiegur) ("Ardi. Glott. „,
XVI, p. 447); veron. afigonàra (non agonaro). — 231. Ven. grq'tolo, venez.
ihgrotlo ' stentino, mingherlino ' (non ' malaticcio ') ; ingrotio da^l fre'do
' intirizzito '. — 2^1. Ven. ahgonla (non angunia). — 334. Triest. ('diga (non
alega). — 376. Padov. otiàro (non onar). — 439. Ven. cinara (non ('mera). —
462. Trent. Uin^a (non lansa), venez. Icm/'a o (tn/'a. — 515. Vicent. v('<ria
0 verta ' primavera ' (non vierta), venez. re'rta. — -578. Ven. agy^àpo, aguciso
(non agatso) 'guazza, rugiada' (non 'acquazzone'). — 793. Venez., poles.
re'co (non reca) ' grappolino ', veron. re'ca d^ua; vicent. recq'to (non re-
ceto), valsug. regolo, venez. recotfh de ita, rece'to *. — 839. Trent. do (non
alt) * trisavolo '. — 884. Veron. b('ijto (non baita). — 888. Il trent. balilo'ìn
(non bazilom) non indica le cinghie della gerla, ma à il significato del ven.
higo'lo, che corrisponde al bicollo del Vocab. ital. (v. sopra, a p. 273) ~. —
944. Veron. barbi'so'l (non barbitsnl). — 986. Ven. f'badag('tr(e) ("Ardi. Glott.,,
XIll, p. 414) (non zbacccr) ' sbadigliare ', veron. f'bah'ir (trans.) ' socchiu-
dere, accostare ' (l'uscio, le persiane); (intrans.) ' sbadigliare ', \>o\qs. /'bacare.
E V. Schneller, Die rom. Yolksmund., p. 173. — 999. Trent. f'bo'o (non ho)
{■pÌMv./'bq'vi) (" Tridentuni ,, III, p. 119, n. 1), ' piattola', h('io (non zhao) ' sca-
rafaggio ', rover. bào (fanciull.) ' pidocchio '. — 1027. Ant. trevis. (non ant.
bellun.) d'un bel zegner ^. — 1064. Vi è citato un trent. biete, che non si trova
nel Ricci, che registra invece erbai-ava ' carota rossa'. — 1113. Bellun. brónt
(non brando) (" Arch. Glott. „ XVI, p. 290). — 1114. Il trent. brg'z indica un
forte veicolo a due ruote tirato da buoi, il quale serve a condur giù dal
monte legnami o lettimi variamente attaccati allo .scannello. — 1118. Ven.
f'bì/'egàr(e), triest. f'bifigàr (Vidossich, Studi sid dial. triest., N. 93) (non
zbidzegar). — 1139. Ven. hihjàr{e) (non biviar). — 1225. Vi si citano l'ital.
' II venez. reco'to vale ' avanzo '. Ma rece'la non significa ' grappolino ',
come il triest. rince'la (Vidossich, Studi sul dial. triest., N. 42) ; rece'la
de^l^àgo fe detta la cruna.
^ Singolare è il fatto che della forma bicollo non si sia accorto nessuno di
coloro che si occuparono, di proposito o solo per incidenza, del ven. bigq'lo
(Ferrari, Nardo, Mussafia, Ascoli, Nigra, Salvioni, Vidossich, Meyer-Liibke.
Schneller).
^ V. "Arch. Glott. ,, XVI, p. 288. Il Meyer-Liibke non à evidentemente
tenuto conto della rettificazione del Salvioni, ivi, p. 245, secondo la quale
VEgloga da lui pubblicata spetta al trevisano, non al bellunese. Il mede-
simo dicasi di scatturar (1665), casonciè (^1738), cessar (1851), ecc.
Appunti bibliografici 501
bòvolo, il veron., ven. bogun 'lumaca'. Si deve correggere: ven. bòvolo o
bagolo, veron., mantov. bogo'n ' chiocciola '. V. quanto si è detto sopra. —
1250. Trent. bq'rer (non borar) 'scovare, levare, snidare ' (non 'spingere').
— 1329. Yeron. rg'sko, trent. rg'sk o rg'sko 'rospo' (non 'rana') (" Arch.
Glott. ,, XV, p. 505). — 1333. brok non può essere del valsuganotto, per il
semplice motivo che esso presenta un troncamento estraneo a questo dialetto.
Sarà voce d'altro luogo. Anche nel ' Literaturbl. f. Gemi. u. Rom. Philol. ,,
XXXI, col. 283, il Meyer-Liibke riporta la parola broc, senza però dire donde
la abbia. — 1361. Ven. bupoh'i, bu'soh'i (non botsola) ' ciambella ; pasta dolce '.
Il Boerio reca anche il termine antiquato bozzolào. — 1385. Trent. borr'l
(non burel). — 1396. Veron. bung'h 'bubbone, fignolo, gavòcciolo' (non
' spinta '). — 1429. Trent. bote'r (non liiitér), ven. botlro o bidlro (non bitter),
veron. botje'r o butje'r, hnbotjert'ir. — 1515. Venez. (non ven.) A;«Ze^fV, padov.
kalegàro (non kalegar). — 1527. Triest. l,non trent.) skalonu; triest. skalòna
(Vidos.sich, Studi sul dial. triest., Ì^.ZZ), veron. skalg'na 'disdetta, sfortuna '.
— 1563. Ve riportato l'ant. vicent., triest., ven. kampielo e si rimanda al
Vidossich, Studi sul dial. triest., (N. 6). Ma dal Vidòssich si apprende
che kampje'lo ' piccola piazza tra case ' è soltanto veneziano, non triestino,
e che l'antico vicentino aveva campeelo (non campiclo). forma usata anche
da Marin Sanudo, cui corrisponde il bellun. kampedél '. kampje'lo risale a
e a m p u s nel significato di ' luogo piano ' (v. campo nel Boerio). come il
kampi'o (valsug.) ecc., di cui v. qui sopra a p. 288. — 1568. Nònes kjunàla
(non kyanel) 'mangiatoia' (Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 61). — 1666. Ven.
gave'ta (non gaveta) ' spaghetto '. — • 1683 Trent. g('(rz (non gardz) (plur. gàr:^!)
' tralcetto giovane, tallino '. — 1686. Ven. gardelih (non gardelino). — 1833.
Padov. serne'ga (non cernega). — 1907. Trent. ciganijla, ziganola (non .sù/a-
ùola) 'carrucola, girella; nottolino; gancio'. — 1938. Padov. serkàre (non
tserkar). — 1975. Trent. care'l (non zarel) ' paletto (della catena delle mu-
raglie); serraglio, chiave (d'un arco)' (non ' bastone '), /"'^«r/Z 'spauracchio
(scagliabile delle uccelliere); bastone, randello, mazza'. — 2011. fp. 162,
li col.). Bellun. kciis ' chiocciola ' (non ' lumaca '). Y. sopra. — 2031. Trent.
kong'ser (non kaùoser). kano'ser è forma propria di una parte del nònes
(Brésimo, Ambiar, Dòn) (Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 87). — 2033. Rover,
(non trent.) kortif (v. sopra, a p. '287), solandro koriì'ff (Battisti, Zur Sulzb.
Muìtd., p. 21.S). — 205i. Trent. of skolobjn o skolo'bi (non ovo skolobiù). —
2114. Istr. kuguja, triest. kagq'ja ' chiocciola ' (non " lumaca '). — 2361. Veron.
kq'goina (non kugema). — 2381. Veron. korte'l (non kortielo). — 2462. Veron.
' V. Olivieri. ".Studi Glott. ,, 111, p. 161; Salvioni, "Arch. Glott. „, XVI,
p. 304, n.
502 Appunti biblioj^rafici
fgàlmara (non zgàlmera). — 2810. Ven. dq'/'e {non doge). — 2812. Vi si legge
un treni, verca ' orbettino, anguis fragilis \ che non so da quale fonte abbia
avuto il Meyer-Lubke, ma che, se autentico, trova un bel riscontro in ht'sa
f'g]k.i'ipa * d'ugual significato, abbracciante una zona ristretta della Yal-
sugana orientale, limitata ad occidente e ad oriente da orbarq'la e con-
trastante il terreno a hlsa o'rha, in Tasino bisa da un^q'co. — 2819. Rover,
(non treni.) y'i^-anrt?* 'ire a zonzo' ecc., f'beàna (non splecina). V. Schneller,
Die rom. Volksmund., p. 174. — 2918 a. Ani. ven. inaorire (non insorir)
'venir fame' (non 'essere affamato, aver fame') (" Romania ,. XXXIX,
p. 449-450: v. sopra, alla voce sidjarie) ecc.)'. — 8173,2. Treni, folopo'm
(non falojìpone).
Non ò fatto che correggere forme e significati erronei ^, senza natural-
mente rilevare le numerose omissioni di voci, che pur avrebbero dovuto
comparire nel R. E. W.. come, per citarne qualcuna, il ven. kq'rìiola ' cor-
niola ' il veron., treni, kornàl 'corniolo', treni, kornala 'corniola', il ven.
ko ' quando ', in cui già il Boerio riconobbe il lai. e u m *, il sol. gìì/'e'Iq,
non. gi*f'e'la (Romàl, Tergiovo gùsl'ma), fiam. glìf'e'la, bellun., ven. giif'e'la,
furi, gu/iéle, istr. aguféla ( *a e u e è 1 1 a (118). Spesso son riferite certe forme
da dialetti, che abbracciano talora un piccolo territorio, facendo cosi quasi
credere che esse siano proprie solo del dialetto citato.
Al N. 424. per esempio, vien riportato l'ampezz. ónieda, forma che è però
anche fiamazza e trentina; àgola 'aquila' ricorre in bona parie dell'alia
Italia, ecc. Talvolta son citate come antiche forme che conducono vita
ancor florida, quali, ad esempio, is)kone'r{e) (2192), de/'Iegucirie) (2542), ecc.
Ma su queste mancanze del R. E. W. non occorre insistere, sapendo che
è annunciata la prossima pubblicazione di un vocabolario etimologico ita-
* Appunto il ven. /'gyke'ì-f>o, f'g]!k^'rso, treni, f'gyk^'rz ecc., esclude la deri-
vazione del tose, gue'rcio, lucch. fbe'rcio, da *e x v e r s i a r e, proposta dal
Pieri. " Studj Romanzi „, 1, p. 50.
^ Com'è noto, i dialetti veneti piti schietti, ossia il vicentino, il padovano
e il polesano, conservano V-e dopo r anche nelle parole piane. Di questo
fatto non tiene conio il Meyer-Lubke. Dando voci venete, convien quindi
scrivere, ad esempio, bni'skàr{e), kontbinnr(é), intendendo cosi di alludere
tanto a quei dialetti veneti, che mantengono V-e, quanto, rispettivamente,
a quelli, che lo perdettero.
^ Al N. 746 è tradotto erroneamente con ' disgrazia ' il tose, male'atro-
Nel veneto vi corrisponde malàh^ nel valsuganotto anche deli'to.
* La voce arriva sino nella Valsugana e manca al trentino, che à invece
kuande ke.
Appunti bibliofjruBci 503
liano. composto dal Salvioni. In esso l'uso della lingua italiana permet-
terà pure, in eerti casi, di dare con maggior esattezza i significati di voci
dialettali.
Per quanto riguarda alcuni ètimi, accolti oppure respinti dal Meyer-
Lùbke, ò avuto occasione di far cenno sopra. Qualche altro appunto lo
aggiungo qui.
91. Vi son raccolti i derivati di a e e r , -e r i s e di *acre. Alla
prima base spettano tose, acero, bologn., parm., bergam., bresc, treni.,
veron. ó/er, romagn. cì/ar, ferrar, ars. Alla seconda lomb. (iger, arbed. àgru,
val^ug. figaro (Tezze figro), trevis., vicent. agro, bellun. 'igre, agr^la e obwald.,
garden., livinal long., cador. tijer, furi, ójar, ticin. àjru, triest. aire, che il
Cavalli. "Arch.GIott. „, XII, p. 373, e il Yidossich, Studi sul dial. triest.. N. 215,
considerano come una reliquia furlana nel triestino. È però da notare che il
Battisti, La vocale A, p. 34, N. 132, p. 70-71, ammette per le forme ladine
centrali, da lui riportate, la base *a e e r u con sviluppo parallelo a quello
di face re e di fracidu, che dà nel fassano fre't. Una parte delle
forme ladine risalgono certo ad una base *acru (confr. Unterforcher,
" Zeitschr. d. Ferdin. ,, 111. F., 36. H. p. 374; Schneller, Beitrage, III, p. 64;
Alton, Beitrage zur Etimologie voti Ostladinien, Innsbruck, 1880, p. 25), ma
per altre non sarà da escludere la spiegazione del Battisti, che forse vale
pure pel triest. aire (confr. furi, vui^jt (*vocìftu).
Per le forme risalenti ad *a e r u v. Salvioni, " Boll. d. Svizzera Ital. ,,
XI, p. 215; ivi XX, p. 38-39; ivi, XXIII, p. 84-85 '; " Arch. Stor. Lomb. „
s. IV, V. I, p. 376; Meyer-Liibke, Einfìihrung^, p. 135; Prati, Ricerche di
topon. trent., p. 35; " Pro Cultura „, I, p. 447; " Revue de Dialectol. Rom. ,,
V, p. 91-92.
111. Per venez. sol'ir (non atsolar), vicent. insulare, valsug. risolar, veron.
ih'solar, trent. ehzolàr, ecc. ' allacciare, annodare ' (non ' infilare '), ven. de-
solarle), valsug. denpolar, trent. de'szohir 'slacciare' (non 'sfilare'); venez.
so'lo 'cappio', valsug. /o?«>^, trent. zolim 'ganghero', valsug. />ole'ta, trent.
zollila 'gangherella', zo'la "fermaglio'; zolàr 'gabbare', ^o/o^rt ' gabbata '
V. Salvioni, " Rendic. d. R. Ist. Lomb. „, s. Il, v. XLIV. p. 774-775, che
propone un *azzallare{=allazzare) -\-*asolare (confr. ven. a/'ola. a/'ole'ta
' maglietta; cappietto '). Di un incontro con *a e i o l a r e non si vede bene
la ragione, malgrado quanto osserva anche il Flechia, * Arch. Glott. ,,
III. p. 173-174.
i'S'.'i. Pel trent. iia ne's ' buona a nulla, una cempenna ', romagn. né/a,
' Pel nome di Àgher fUssola) v. Revelli, '' Riv. Geogr. Ital. ,, XV, p.2l6, n.3.
504 Appunti bibliografici
ni/eha 'ragazza ingenua', veron. ne/a 'donna melensa e fiaccona', triest.
/né/ula ' scriatello ' (Vidòssich, Studi sul dial. triest., N. 33, 74) v. quanto
osserva lo stesso Vidòssich nell' "Arch. Triest. ,, XXX (s. Ili, v. II), p. 157,
ove si esprime il dubbio circa la connessione di queste voci col nome per-
sonale Agnese '. Il Meyer-Lubke traduce malamente le voci trentina e ro-
magnola con ' persona stupida '.
659. Il trent. arme'la ' collare del cane ' (v. Ricci) risale non ad a r -
milla, ma ad un *armèlla. Cfr. anche annella (Petrocchi).
1098. Per venez. bagolar ' tremolare, ondeggiare ', veron. b. ' oziare ',
b. da^l fredo ' tremare ' trent. b. ' tremare (per freddo o per paura), rabbri-
vidire ', nònes, triest. ecc. b., valsug. baboldr, v. Parodi, " Romania ,, XXVII,
p. '203, che li connette con v a g u (*v a g ù 1 a r e). Né per la voce vero-
nese sarà da pensare a vacare 'essere in ozio' bensi a vagare.
1913. Il veron. se'hgo ' macigno, masso, sasso '. se'nga ' roccia, dirupo,
scheggione ', bresc, cremon. séng non possono naturalmente derivare da
cilium -\- cinnus bensi da cingili u, come poi ammette lo stesso
Meyer-Lubke al N. 1928. V. anche i nomi locali riportati dall'Altón, Bei-
trage, p. 31, e dall'Olivieri, " Studi Glott. ,,I1I, p. 162-163.
197i. Il ven. ce/' ara deriva da e 1 u s u r a (Salvioni, " Revue de Dialectol.
Rom. ,, I, p. 100), non da clausura, che avrebbe dato, nel caso, *ce-
.h'ira.
Angelico Prati.
Romanisches etyinologisches Worterbnch (Sammlung romanischer Elementar
u. Handbùcher hgg. von Wilhelm Meyer-Lubke, IH. Reihe: Worter-
biicher 3.) von W. Mkyek-Lubke(A — *melikokkus, pp. 1-400), Heidelberg,
C. Winter, 1911, in-8°.
La pubblicazione d'un'opera come questa, in cui si assommano tante ri-
cerche compiute negli ultimi decenni entro il campo delle lingue neolatine,
sveglia una serie di problemi di capitale importanza, la cui discussione
esorbita dai limiti della presente rassegna. Ma fra questi problemi, alcuni
si riallacciano si strettamente alla natura della magistrale opera, dataci
dal Meyer-Lubke, che non sarà giudicato fuor di proposito lo spendervi in-
torno qualche parola.
Uno fra i molti difetti che si potevano rimproverare al vocabolario del
^ Vi avrà a fare il trent. /ne' gol 'piccino; pochino' ?
Appunti bibliografici 505
Korting (sul quale il nuovo libro del Meyer-Lùbke getta come un'ombra di
sepolcro) era, come si sa, questo : che, registrata una base, se ne davano i
succedanei romanzi senza tener conto sufficientemente di altre basi even-
tuali assunte, per una o per altra ragione, ad indicare la medesima idea
0 la medesima cosa. Ne veniva che il lettore non era informato della grande
ricchezza creativa delle lingue romanze; mentre un rinvio opportuno ad
altri numeri del vocabolario avrebbe spesso colmata questa grave lacuna.
Il Korting dovè avvertire, egli stesso, questa mancanza, perchè accodò alla
prima edizione della sua fatica una specie di " indice logico „ compilato
dal dr. F. Pabst e soppresso, senza ragione, nelle due successive ristampe.
Prendiamo un esempio. Sotto la base làcèrtà * si trovavano ricordate le forme
(e soltanto le forme letterarie) che ne derivano, con alcuni rimandi al
Diez 186, al Flechia Ardi. Ili, 160 e al Caix Studi 380. Ma le altre basi,
che i popoli romanzi prescelsero ad indicare la " lucertola „ o il " ramarro „,
accanto alla voce classica latina, non erano punto ricordate, né con un ra-
pido cenno, ne con un nudo rinvio. L'informazione riesciva, così, imperfetta,
monca, incolore. L'indice del Pabst, che sovveniva in parte, richiamando il
lettore, sotto " Eidechse „, ai nn. 4664 (langùrus) e 7384 (sèps), oltre che al
n. 4613 (làcèrtà), fu malamente sacrificato e il vocabolario del Korting ne
sofferse non poco. Non v'ha dubbio che l'opera del Meyer-Liibke rappre-
senti anche su questo punto (e si tratta di un " punto , che dà luogo a
una questione di principio) un grande progresso. Rinvìi nei nuovo glossario
etimologico non mancano. Tuttavia, convien riconoscere che avrebbero do-
vuto essere molto più numerosi. Si direbbe che l'autore si sia giovato di
rimandi sopra tutto quando v'erano dubbiezze e oscurità di varia natura
sugli etimi e che non abbia elevato questo provvido sistema d'informa-
zione a legge generale. Così, sotto hedera (n. 4092) non si rinviene che un
rimando a inguen (etimo dubbio di bergam. ekna, ellera), mentre altre basi,
oltre hedera, designarono nel romanzo la medesima pianta. Nei dial. della
Francia occidentale, a ragion d'esempio, ricorre il vocab. hrou (ant. fr. broust)
che mostra di essere d'origine germanica (germ. hrustjan, germogliare) e
all'Est vi abbiamo la voce tàrét e tàrétr (provenienti, non v'ha dubbio, da un
terrestre)-. Altre volte, senza bisogno di rinvio, sarebbe bastato un semplice
cenno. Se apriamo la carta dell' Atlus linguistique dedicata a lune, vediamo
* Trascelgo di proposito questo esempio, perchè ora il lettore può rife-
rirsi, per maggiori informazioni, a un mio articolo : Denominazioni del
^ ramarro „ in Italia, in Romania, XLII, 161 sgg.
' A Lovere (Bergamo) si ha Uem (infl. di " ulmu „), a Val Cavallina
hùjlam (infl. di ' ciclamen ,), a Bremlnlla e a Zogno Ima, a Trescore Bai-
l
506 Appunti bibliografici
che nel Nord la " luna , e chiamata semplicemente e suggestivamente la
" bella , (Nord: 295 bèi; Pas-de-Calais 283 bèi, ecc. 284 bèlloen, ecc.) — il
che mi fa credere che lion. benalilna provenga, con assimilazione, da bela-
lilna, — sicché un cenno su bellus (n. 1027) entro l'art, dedicato a luna,
non sarebbe stato nocivo ^ Insisto su ciò, perchè un vocabolario è tanto più
vivo, quanto meglio riesce a dare un'idea dell'energia e sorprendente ric-
chezza delle lingue e anche perchè un tal pregio si può ottenere con mezzi
assai semplici e facili. I risultati, che ne provengono, sono invece di grande
rilievo e importanza. Anche qui, mi varrò d'un esempio, fra i molti che si
potrebbero citare. Sotto limaceus e Umax (nn. 5043 e 5045), il Meyer-Lùbke
ha raccolto diligentemente le varie forme romanze, ma dai suoi due arti-
coli non si desume che per il mezzogiorno esiste un'altra base (manica) ad
indicare la * lumaca ,., a cui era opportuno rinviare per le considerazioni
che ne scaturiscono, chi si faccia ad esaminare l'estensione e partizione
geografica dei due vocaboli. L'Italia del Sud e il Portogallo hanno la se-
conda base, che compare pure in Ispagna (cai. nap. maruzza: sic. marozzu
' insetto simile alla lumaca „ ; irp. manica; port. e spagn. marisco e vedi
Schuchardt, Zeitschr. f. rom. Phil, XXVIIJ, 322), mentre al Nord la rad. mar-
non compare. Passando per gli Abruzzi, guizza per le Marche e dà gli
ultimi tratti nel lucchese, dove, combinandosi con " lombrico „, a quanto
pensa lo Schuchardt, e presentandosi con altro sutf., -ica, dà ìammarìca.
Questa partizione di limar e marnca non deve essere, a parer mio, .senza
ragione. Nel secondo di questi vocaboli non dobbiamo forse vedere una
voce latina. Si tratta di un vocabolo, dirò così, troppo esclusivamente me-
neario ninola. A Valdagno (Vicenza) èrina, a Spresiano (Treviso) èrola.
A Sarzana (Genova) énera. Ad Ampezzo (Udine) erla. Nel Friuli anche
contrève, condrede (sulla qual forma, Schuchaudt,. " Zeitschr. f. rom. Philol. „,
XXXI, 34). In Piemonte dicesi hrasabosk. a Palazzolo suU'Oglio (Brescia)
ligabosk.
^ Un altro esempio. Con alcuni rinvii sotto il n. 602 (aratnim), si poteva
mettere lo studioso in grado di orizzontarsi subito circa le varie denomi-
nazioni romanze. Per quanto concerne l'Italia, ecco qualche esempio: " vedi
plotitm (deriv. germ.) [e quivi, a suo luogo: più a Brescia; piód nell'Emilia
(pia a Bologna) sino a Bondeno di Ferrara, piovina nell'Istria] ; vedi eulte)-
[e quivi, sempre a suo luogo: cantra in Valtellina]; vedi perticarius [e
quivi: pardghìr nella Romagna], ecc. ecc. Anche, sempre a ragion d'esempio,
per " arcolajo „ molte sono le basi (Mussafia, Beitr., 146, n. 2). Vada qui
qualche giunterella al Mussafia : a S. Croce sull'Arno alcolaja ; turnel anche
nel bresciano (Palazzolo). A Montieri si ha filatoio; a Orvieto inwnmeratoro;
ad Apricena vinnilo ; a Stilo ninnulu, a Giovinazzo e a Taranto : macènua.
Appunti bibliografici 507
ridionale, per essere tale. Compare in greco moderno sotto la forma di
[.laQÌaTa ed è d'origine ignota '.
Una seconda osservazione, che non è più di " principio ,, farò all'illustre
autore: ed è di non aver cavato da quella miniera, che si chiama AtUts
linguistique de la France. tutto ciò ch'essa poteva e doveva dare. Parlavo
teste di Umax. Ora. tenendo conto della e. 770, c'erano da mettere in evi-
denza parecchi tratti notevoli e degni d'essere accolti in un così cospicuo
e importante vocabolario etimologico delle lingue romanze. Erano da no-
tarsi le forme prov. liindonk, limàou e con metatesi reciproca milliaoiik (con
un l palatile, che pur dopo la metatesi risente ancora gli effetti dell'?) e
altre forme francesi come likorh, loch, ecc. La voce, che domina nel N.-O. e
kalhììctron (con il noto elemento ka(l)-). Anche uno sguardo alla e. 758 {leu-
tuie) ci convince che V Atlas non è stato sempre, con pieno profitto, utiliz-
zato. Forme come e»<i7/(o (830): dentilho {S\0'.-t dente per ragioni fonetiche,
mèndil (111) -\- )nenta avrebbero potuto essere citate, insieme al diffusissimo
nentille, con vantaggio. I]gli è vero che non presentano difficoltà quanto
alla loro etimologia, ma i fenomeni, che in esse si palesano, sono abl>a-
stanza interessanti, per renderle degne di figurare, in un glossario etimo-
logico, accanto al lett. lentille.
A dire il vero, io temo di far l'impressione <li chi troppo pretenda da
un'opera tanto vasta e complessa e, per la sua stessa natura, sempre in-
completa, a malgrado di quante cure si vogliano diligenti e continue; ma
queste mie pretese vanno troppo compagne a un senso di profondo rispetto
e di ammirazione per l'insigne autore, per non apparire inspirate a quel
desiderio di perfezione che rende l'incontentabilità scusabile nella critica.
Onde, mi permetterò di presentare qualche breve osservazione intorno un
articolo del vocabolario, che ho tra mano, giovandomi dei materiali di cui
posso disporre. E come ho avuto occasione di incominciar questa rassegna
con la citazione della voce hicerta, così mi si conceda di prendere, come
esempio, per l'appunto questo vocabolo -. Ecco fra i molti succedanei e rap-
presentanti romanzi, alcuni italiani da aggiungersi alla lista del M.-L.
(pp. 347-348). Tra le forme strettamente etimologiche, quanto all'-y della
' Meriterebbero d'essere altresì studiate alcune forme meridionali del
" pipistrello „ che pajono riattaccarsi al gr. vv/.ieQCòa (Forsyth Major,
Zeitschr., XVII, 148 sgg.), come taddarita, ecc. Anche qui siamo a un filone
meridionale assai esteso e importante.
- Delle denominazioni del " ramarro , ho già parlato nel cit. articolo in
Romania, XLIl, 161. Qui mi limiterò ai problemi sollevati dalle denomi-
nazioni della " lucertola ,.
508 Appunti bibliografici
sillaba iniziale, il M.-L. cita soltanto i pieni, lazerta, zalerta e il tose, agerto.
Ma l'-rt- l'aiutatosi in -»- ben presto, come vedremo, per ragioni analogiche)
si trova nelle forme di molta altra parte d'Italia. Così, ad Eboli (Salerno)
abbiamo lacerto, a Napoli: laceri^, a Ruvo di Puglia lacèrt. Nel Tirolo me-
ridionale laif'rt (accanto a Uzérlqla e lusrrdola). Per l'incrocio di Incerta
-{-lancia, si notino a Fresinone: lancèrta, a Velletri: lancèrta (Crocioni,
Dial. di Veli, p. 74), ad Alatri: lancèrta, ecc. ecc.
Bisogna poi tenere distinte le forme con lu- da quelle con li-. Le prime
sono molto più diffuse di quelle originarie con la-, il che costituisce un
carattere di antichità. Si può anzi porre, con tranquillità, accanto a lacerta
una forma *Uicerta (e vedine Merlo, Zeitschr. f. rom. Phil., XXX, 14), rap-
presentata, si può dire, in tutta Italia dalla Lombardia alle Puglie, salvo
nei luoghi, dove, a un dato momento, spuntò una nuova base e si ebbe
una nuova creazione. In Incerta si ha influsso di luce. La " luce , — per
ragione degli occhietti vividi — fu sentita per la lucertola anche nella
Svizzera romanda dove si sente a Ormont-dessus il vocabolo luizér e a
Séprais éyeùjer, accanto al più diffuso latìternèta (e linterna si ha anche in
certi luoghi dell'Italia centrale), accanto a gremilhéta. Il M.-L. riconduce,
non so con quanta ragione, quest'ultima denominazione a lacrimiisa (che
si trova nella Francia del Sud). Quanto a me, non posso che riconnettere
la voce al verbo gremilhé " brulicare ,,. Arrischierei che ci si abbia la radice
di " grumeau „. Le forme con li- non si trovano soltanto nel Veneto, ma
sono sparse qua e là, p. es. Ampezzo: lìjeltra; basso Friuli: lifiarte; Udine:
Rìfinrte; Feltre : isèrta; Sulmona: r i scie r tei e ; Monteleone: li certa ; Nicasivo:
licerta; Palmi: licerta; Monteleone: liticerta, ecc. Da lancèrta -\-licert a pro-
verranno: can. lingerta, Subiaco: lingestra, ecc. Non è possibile dire se da
lucertella o da lacertella derivino le forme di Castelnuovo (Garfagnana) : cior-
ièlla, Pievepelago: giortella e ghiortella e anche ortella; Carrara: zorteda.
Avremo poi influsso di rafente o di argento sopra lacertella in pavull. ra/en-
tèlla, Montecreto: i-a/enf ella, Ciiìna,tta : ar/intella, Sestoìa : ar/enf èia. Incrocio
di ortella e arfintella a Fiumalbo: orte/illa e a Riolunato: ordfella^. Notevole
^ In gran parte del Veneto, si muove dalla base ho'r adoperata per il
" ramarro ,. Si à, così, horétola a Oderzo, a Treviso e Este: hurétola; a Spi-
lirabergo: burigola e a Portogruaro berigola e birigola, ecc. ecc. Il Nigra
e lo Schuchardt anno dati altri esempi. Ad Albenga si à poi: brigua e a
Savona sgrigna. Per continuare con altre basi, citerò a Castrovillari (Co-
senza) surigghia. Si à serpéfedde ad Altamura, in Sicilia sirpuzza e serpón-
chiola a Bovino (Foggia), dove lacerta si usa per la " salamandra ,. Ad
Oneglia, la " lucertola „, il " ramarro , e la * salamandra - sono detti tutti
Appunti bibliografici 509
è a Fano la dcMiominazione di raganèììa, che viene dal diffusissimo racano per
ramarro ,, il quale al Nord è chiamato, come si sa, ghéss o ghézz e anche
ligih-, Utgót\ ecc., a cominciare dal Veneto giù per la Emilia, e parte della
Lombardia sino alla Liguria, e al Piemonte'. Ghésa è localizzato intorno a
Novara e più al Nord e potrebbe costituire un'area secondaria sopra ligi'o- '*.
Nella sezione settentrionale del Veneto si ha bo'r, che non può disgiungersi
dalle forme friulane sbo'rs, sbors, sbg'i-f, delle quali non parlo perche ne à
già discorso, da suo pari, lo Schuchardt "^ Venendo a racemo. Io abbiamo
a Sulmona, abr. ràchene, velletr. rago, SuBiaco: racano (Lindstrom, Verna-
colo di Siibiaco, p. 289); Fondi: rdgano; Fano: raganacé; Jesi: ragano;
Isernia (Campobasso): ràchino; ad Assisi: rclgano, roicone, ragannccio ; Fos-
sombrone (Pesaro) : règn. Ad Agnone si à rócauo, sino a Siena e ad Arezzo
vive ràcano, il che ci mostra che ramarro e voce di formazione seriore,
circondata com'è da altre diverse o ciò dà ragione, sino a un certo punto,
della singolarità del suff. -arro.
Dai parecchi esempi citati, si vede che attraverso le continue creazioni,
sopravvivono qua e là i termini antichi e che le nuove denominazioni anno
un'evidenza, che dovettero avere, ma che non anno più per noi, le più ve-
tuste. Si pensi, per avere un'idea della perspicuità degli appellativi recenti
(quando alla loro creazione non si sia opposto il linguaggio letterario, im-
ponendo la forma dotta, che è caso purtroppo frequente), si pensi, dico, ai
nomi della " libellula „, che in parte dell'Emilia è detta spulaft da " spola „
e in non pochi luoghi dell'Italia del Nord e del centro è chiamata cava-oéc,
caa-ceucc, cava occhi, dal suo splendore nel sole. E altrove è designata con
l'appellativo di " frate , o anche di " sposo ,.
]\Iolte di siffatte formazioni sono (non già latine) romanze. E come tali
skerpión (scorpione). Nel genovese, la " lucertola „ è chiamata anche le'sina;
a Rovereto (Ttqìxìo) bise'rdola (biscia + lucertola); Nasca (Como) : lizzìrpula;
a Bassano : bisórbola; verban. bissópola, ad Ascona : lo'pra; Valle Anzasca :
rnpola. A Concordia : rigida. Confusione con la " salamandra , si à in parte
del Veneto (mar issandola). Notevole poi a Rigoleto (Udine) la forma frasca.
' Rimando ancora al mio articolo citato, p. 161 sgg.
^ Ad Està: endegóro; Porto 'Folle e dintorni: ìióguro, Mantova lii'gh^r;
Bozzolo: lingór; Clusone (Bergamo): biligiirt, ecc. A Mirandola: ?tagiidr ,
Guiglia: lufgor, ecc. Vadano queste forme ad aggiungersi a quelle già note.
La denominazione marfincózz (da " Martino ,) è secondaria. E così quella
di salarrone (è il nome della " salamandra ,) a Stigliano (Potenza) e
sajittuni a Nicastro e altrove nell'Italia meridionale, e ferr. magardss.
' Zeitschr. f. n>,n. Philol, XXVlll. :i21.
510 Appunti bibliografici
dovranno essere ri?guardate alcune altre, che, a giudicare dall'opera del
M.-L., parrebbero antiche, mentre potrebbero essere a dirittura moderne.
Così, si legge a p. 151, n. 1904: cicindela 1. " Kleine Lampe „, 2.
" Leuchtwurm , e si danno per il secondo significato i seguenti due esempi:
venez. sezandeìa, chiogg. sezendelo. Ma se si nota che il primo significato è
il solo diffuso (ant. ital. cicindello, genov. sezendé, lucch. cincindello{ro), ecc.),
mentre il secondo è localizzato su brevissimo territorio della Romania, po-
tremo aff'ermare che il senso di " Leuchtwurm „ non fu forse proprio al
lat. volgare, ma spetta ad epoca già romanza e si .sviluppò per uno di quei
passaggi 0 metafore che sono un " momento , e possono essere, come a
dire, una rapida meteora nella storia dei dialetti. Altre volte, invece, la
metafora piace perchè risponde quasi a un bisogno dello spirito e il nuovo
significato si può propagare e può finire con sopprimere il primitivo e ori-
ginario. Talora, un fenomeno, che può essere romanzo e non proprio del
latino volgare, à indotto il M.-L. a creare una base, della quale non c'era
strettamente bisogno. Sotto *arniculus (p. 44, n. 663) si legge: lucch.
arnecchio. Ma io mi chieggo se qui non si abbia che un esempio di gemi-
nazione distratta (da anniculus) sviluppatasi su breve territorio sì che
il vocabolo possa schierai'si con quelli del n. 481 : nap. annikkye, abr. nnekkye,
tess. tiec, ecc. ecc.
La distribuzione delle basi latine, basso-latine, celtiche, germaniche e
via discorrendo in ordine alfabetico è una dura necessità in un vocabolario
etimologico, ma dà una idea tutt'altro che esatta della evoluzione e degli
arricchimenti delle parlate neolatine. Tutti quei vocaboli distribuiti sullo
stesso piano, costitutivi di ciò che chiamiamo " latino volgare „, non rispon-
dono alla realtà delle cose, in quanto dobbiamo rappresentarceli come in-
trodotti in tempi diversi, a notevolissima distanza l'uno dall'altro. La par-
tizione geografica può qualche volta valere a farci distinguere un'antichissima
base da una meno vetusta. Qualche altra, i dati storici possono venire in
nostro aiuto. Se si considera, a ragion d'esempio, che nella sola penisola
iberica si anno rappresentanti di un *halsa (n. 917), come cat. bassa, port.
baìsa, spagn. balsa, si è indotti ad ammettere ragionevolmente che la radice
ne sia iberica. Considerando poi che le voci d'origine celtica mostrano
d'essere sopravvissute, oltre che in quella meridionale, anche nella Francia
settentrionale (si pensi, ad es., al frane, charme), vien fatto di dubitare
della celticità del vocabolo *balma, grotta, che si trova in Lombardia, Ge-
nova, Piemonte, Francia S.-E. e guizza sino alla Guascogna senza uscire da
questo territorio, com'è dimostrato anche dalla toponomastica (p. es. Barme,
Barmettes, ecc.). Si fa strada nell'animo il sospetto che non si tratti di un
Appunti bibliografici 511
vocabolo d'origine celtica ^ Questi ed altrettali problemi dovrebbero essere
non soltanto accennati, ma studiati e approfonditi. Qui mi limiterò a
scegliere un altro esempio, per il quale la storia ci soccorre con i suoi
lumi. Si dubita se l'ital. flotta venga dal frane, flotte o dallo spagn. lìvta;
ma se si osserva che l'a. frane, flotte aveva il senso di " moltitudine „ e
che i primi esempi della voce in Italia figurano nel Ramusio (I, 135,
186. 138, ecc.) e in. iscritture del ".jOG e "600 volgarizzate dallo spa-
gnuolo e se si considera che soltanto in età tarda il frane, flotte assunse il
significato di " armata navale „ e in un'età in cui è difficile ammettere un
influsso francese sull'italiano, ci si sentirà disposti a ritenere il vocabolo
italiano di origine spagnuola (cfr. Zaccaria, Iberismi in Italia, p. 84). Non
meno arduo è lo studio dei trapassi di accezione, perchè il linguaggio, an-
teriore alle nostre grammatiche e ai nostri schemi e sistemi, si vendica
talvolta degli eruditi, facendo balenar loro delle parvenze di realtà, nelle
quali l'animo si riposa forviato e illuso. Come tener sempre il debito conto
di quegli elementi interiori, vari e multiformi, che vanno ognora compagni
alle manifestazioni umane'? Come pretendere di scoprire sicuramente e in-
terpretare gli avvicinamenti che la mente del popolo può avere scorti fra
oggetto e oggetto e idea e idea, giungendo a comparare cose che a noi
paiono disparate e lasciando nella parola la traccia durevole di codesti
raccostamenti ? '.
Ma per non correre il rischio di troppo divagare, verrò ora a qualche
punto speciale del nuovo vocabolario e limitandomi soltanto a poche po-
stille, noterò a proposito di acer, acrns (n. 92) che a Dompierre si à, per
* ciliegia ,, il derivato grèta (= agreta) e che uno speciale formaggio della
Savoia è chiamato, almeno a Ginevra, cgroìi.
' È quasi impossibile precisare donde esso possa venire. Recentemente,
ne à toccato Jud, Ball, de dialectologie romane, III, p. 12, n. 1.
^ Qualche esempio di accostamenti e di scambi non sarà qui fuor di posto.
Ricorrerò all'ALFr. Dalla carta n. 1372 (ivr luisant) si apprenderà che la
lucciola è chiamata in alcun luogo col nome del " baco da seta , [ver à
soi, 409, 423) 0 anche del " grillo „ igriyó, 7) o del ^ lombrico , {ver de
terre, 359), e dalla carta n. 683 (hanneton) si ricaverà, a ragion d'esempio,
che il maggiolino è chiamato in piii luoghi " cicala „ o anche " tafano ,
oppure "ape, (nn. 887, 729, 697; 898, 779, 991; 690; ecc.). Vedremo cosi
nella carta 1198 (.tauterelle) essere la cavalletta designata col nome di
* cerva , {biche, 510, 511, 521) o anche di " capra , [tsahra, 812 e v. 946, 947)
0 col nome di " gallo , {kok d'aout 270, 192, ecc.) o di " gatto , dei prati
(185), ecc. ecc. E nella stessa denominazione toscana " cavalletta „ non ab-
512 Appunti bibliografici
N. 119. Tra i derivati di acucuìa, va anche il vales. (eudhio, erba ri-
gida terminata in punta e pungente. Sulla Livenza, l'agorajo oltre che agariòl
(veneto) è chiamato anche j>enariòl. Nel modenese: gncciaról.
N. 277. Ven. arctiva (a S. Stino) è chiamata l'erba dei rivali (derivato
da urger, per agger). La forma urger trovasi, com'è noto, in basso latino.
N. 310. In documenti ferraresi del sec. XV aleve (*alupu) sono le guardie
di un libro.
N. 331. ulbìis. Nel catalano e guascone uubat {alhàt) è detto di un fan-
ciullo morto in tenera età, grazie al vestito bianco, con che vien seppellito.
Millardet, Ree. de textes d. ano. diul. landais, p. 258.
N. 382. ulter. Già in doc. tose, del sec. XIII si trova la forma antro
assai diffusa oggi nel centro d'Italia.
N. 409. umhiture. Nel " Riman. toscano del Libro di Ugufon da Laodho „,
abbiamo la forma minar {nn^^ nd). Fra i derivati è curioso il composto
ven. casandronu, donna che va nelle case di tutti.
N. 424. amita. Va ricordato il novar. (campagne) amìu, che verrà da
un *amda, con d in l per assimilazione nei casi in cui la parola aveva
l'art. Vumlu.
N. 430. unqylus. Nell'Emilia è chiamata sculàmpia una scala pivi grande
delle altre.
N. 447. *andago. Emil. anquunu (anzi che undana) per influsso, a quanto
penso, di ancu (cfr. bologn. uncarola).
N. 462. Nel neuchat. unvert avremo un incrocio di lucerla con *unguitt>«
(Tappolet, Bidl. d. Gloss. d. Patois de la Siiisse romande, li, 7). A Dompierre
lanvoiié (Gauchat, p. 54).
N. 476. animai. Da notarsi la metatesi mutua nel regg.-em. minà'l,
majale.
biamo noi la prova d'una somiglianza che l'uomo scorge nella locusta col
cavallo, sia per il saltare, sia per la conformazione della testa? E se essa
è chiamata sàja in Valtellina e sajòtru nel Canton Ticino non avremo anche
qui a vedere fissata nella denominazione stessa la proprietà principale
(quella del saltare) del medesimo animaletto? La serie di siffatti avvicina-
menti, che sono attestati dai termini impiegati dal popolo, è infinita in
ogni categoria di cose ; ma nei nomi degli animali e delle piante il feno-
meno di che ci occupiamo, può essere pili facilmente riscontrato e studiato.
Si prenda, ad es., la carta faìnes dello stesso Alias. Si vedrà, per dirla con
lo Gilliéron, che * les hètres portent... des glands, des chàlaignes, des noix,
des noisettes ,. Sono cose ben note; ma non inutili ad essere rammentate
a questo luogo.
Apiiunti bililiogriitici 513
N. 462. Emi], oif/ni. Al n. 574 il moden. è inghiroìa.
N. 618. rimlicaziont' ZRPH. XXX, ol4 non è esatta. A Oderzo l'arco-
baleno è detto arco cdesle e a Guiglia (App. raoden.) afk carderia.
N. 646. arillus. 11 Mever Liibke, ritornando su questo vocabolo nella
Zeitschr. f. roiu. Phil., XXXVl, 599, si è chiesto, a ragione, se questo arìllus
bielle glosse altro non sia che una voce romanza meridionale rappresen-
tante areiDiìa. arinnla (ci'r. moltett. arinrìc). In ogni modo, si può citare
anche il nap. agrill^,'ia.v. gril'le per il loi'O g-. Secondo me, vi à contami-
nazione con grano. Si pensi al march, centr. granìello, spagn. granaja.
Non sarà discaro sapere che nei Sinoninia (sec. XV) accodati a un ms. del
Circa Insfnns salernitano e desunti certamente da più antichi glossari
(Camus, L'opera salernitana " Circa Instans „, p. 51 sgg.) si legge : arilloriim
i. se))icn urae. articolo che il Camus non ha riprodotto fra «luelli da lui
trascelti e pubblicati. 11 nap. agri/le. h accanto (a conferma della nostra
supposizione) la voce arillc (Bonaparte, Trans, of the Phil. Sue, 1882-84,
p. oli), lì molf. arini'Ii; ha nel vocabolarietto di R. Scardigno (1903) il
senso di " piccola membrana che avvolge il seme „. Va duncjue con ital.
ariUo, frane, arille, spagn. arilo, -a, (lort. arillo " Samenhtilse ,. 11 criterio
geografico parla in favore di quest'ultimo significato, quando si voglia sta-
bilire la priorità dei due sensi : " Kern der Weinbeere „ e " Samenhiilse „ ;
e non pare che si possa risalire a due etimi distinti. Sicché riesce dubbia
l'ipotesi del Meyer-Liibke su arenala, e la voce arillus rimane oscura.
N. 791. aareolus. Svizz. roni. loriol (Bridel).
N. 857. 'babbìis. È da notarsi nella Corsica meridionale la forma bahbuziii
per dire il " patruus ,, il " barba , di altri dialetti ital. settentrionali. Su
barba, vedasi Jud, Arch. f. d. Sf. d. n. Spr. n. Lit., CXXI. 96.
N. 964. *barros. Questo numero va ora arricchito delle voci acutamente
studiate da Jud, Bull. d. dial. romane, III, 13. Accanto all'ossol. valm.
hrénsciol " ginepro „ (ant. ticin. berenzum) si ponga brinscet " ginepro „ in
Val Verzasca.
N. 1029. A proposito del bologn. handiga, non voglio dimenticare che
la ■* refezione che si dà in fine di lavoro ai muratori „ e detta a Pievepelago
ganzega [Scoltenna, 1883, p. 75).
N. 1111. bini. A S. Stino bina è una " coppia di pani ,.
N. 1161. Nelle montagne emiliane, il " pane senza companatico , è
chiamato biosso e anche biuscio (infl. di biascicare).
N. 1199. bombus. Nelle Marche bombarella è una specie di chiocciola
(tose, marinella).
N. 1261. Da notarsi l'ant. a. ital. braci " grida „. Arch. gì., XV, 50.
N. 1438. 11 baco da seta in certe parti del Veneto è pur chiamato
cavalier.
Archivio glottol. ital., XVII. 34
514 Appunti bibliografici
N. 1461. caecm. A Courtisols (Marne) la " talpa , è detta sieu (vedasi
Rolland, Faune pop.. I, 10). A proposito della idea di " cecità , attribuita
a ragione (e talvolta a torto) ad animali, mi si conceda una breve digres-
sione sulla voce ven. marissorbula. Questa voce mi viene da Monselice
(Padova). Quanto al secondo elemento {òrbuln), è chioTo che esso si deve
alla falsa credenza della cecità nella salamandra, credenza che ci dà la
chiave per ispiegare — più che le denominazioni mii. cercarla, valsass.
scer varia, bresc. sercala, le quali tutte potrebbero non condurci a caecus
(Nigra, Arch. ylott., XIV, 269), ma rioonnettersi con coni, cercagrisa e Val
di Scalve cercafnlie (Salvioni. Krit. .fahresbericht, V, I, 1.32) — la designa
zione sguèrscia che la salamandra ha nel bergamasco. Si pensi al termine
bissòrbnìa che la lucertola ha in qualche luogo del Veneto e anche altrove.
Pure la lucertola è stata creduta cieca. 11 primo termine mariss- si con-
nette 0 a maras 'vipera,* (Nigra, Z. f. rom. P/i., XXVIII, 644) o alle
denominazioni malissandra, mala lissandra (Parma), marassandola (Mantova),
maùsandra (Oderzo) già studiate da altri e risalenti a .salamandra con me-
tatesi reciproca di s - m e affievolimento della semipostonica. La voce
marissorbula e dunque un incrocio assai interessante. Qualche altra deno-
minazione della salamandra, che non trovo studiata o registrata, darà
qui in breve : a Rocella Jónica (Calabria) salamlda ; a Gerace sahimida, a
Lanciano (Abruzzi) tarandelle, a Gubbio capoccioni. A Bav,zano (Bologna) e
chiamato salamandra un pesciolino dei fossi ^.
N. 1471. A S. Stino: ce/ara, piccolo podere.
N. 1525. Mi chieggo se anche il friul. cadope, codope " tartaruga „ non
vada richiamato a ^KaÀónovg " forme en bois pour fabriciuer des chaussures „
con influsso di " piede , che avrebbe mantenuto il -p-. Ma vedendo che la
" tartaruga „ è pur detta cope, vien fatto anche di pensare che in cadope
si abbia un qualche incrocio con il lat. cappa. In ogni modo, mi par diffi-
cile che abbia ragione il Jud [Bull, de dial. rom., IV, 60), il quale vedrebbe
^ Si noti che il Bdxapartk, Trans, of the Phil. Soc, 1882-84. registra
magrasio " salamandra „.
' Quanto a snlamida, .si tratterà di vocabolo greco. Morosi, Arch. glott.,
XII, 83. Hanno parlato delle denominazioni della " salamandra , il Salvioni,
Z. f. rom. Ph.. XXllI, 528; Krit. Jahreéb. cit., V, 132; il Vidossich, Z. f.
rom. Ph.. XXVll, 614; XXX, 205; il Nigra, id., XXVIII. 5, e Arch. glott.,
XIV, 269; XV, 274, 277 ; e lo Schuchardt, Z. f. rom. Phil., XXX, 716. Nella
Svizzera romanda e in qualche dial. dell'Est della Francia la salamandra
è detta tà, ed è curioso che questo tà in qualche altro dial. francese de-
signi la " courtilière „ o grillotalpa.
Appunti bibliografici 515
in codojx' una parola, diciaui cosi, preromanza. Questa voce richiederebbe
uno studio approfondito. Nel Du Gange, H, 36. leggo una definizione di
calopedcn che mi par dia ragione della somiglianza che il volgo avrà notata
con la tartaruga: " calcei lignei quorum ])ars interior lignea est, superior
vero coriacea „. Nel Veneto si sente anche codòpa.
N. 1566. Canva. cantina, anche nel Canton Ticino (p. es. a Gnosca).
N. 1599. A Cannobio chiik (canape). A Modena (■((naréin, lisca.
N. 1640. 11 moden. carcdol andrà col tose, ijarédeno. sen. g(wédano con
-n in ■/. non potendo foneticamente riallacciarsi bene a cupitulu. La base
ne sarà dunque "capitmu.
N. 1649. Regg.-emil. gavarióì, viticcio.
1681. Trovo (acc. plur.) carcossi(>[8\ " faretra , in un docnmcnto mode-
nese {Mem. a. 1347, II, n, 137).
N. 1703''^'*. A Milano, Como, Ascona e in altri molti luoghi della Lom-
baniia e del Canton Ticino il grano turco e chiamato Carlón dal nome di
Carlo Borromeo. Cfr. Spitzer, Die XanienfjebKiig bei neu. h'nlfur/t/ìaìizcn
(Worter u. Sachen. lY). p. 145.
N. 1744. Da notarsi nel Valais tsah'lnii (chàtelain), " juge de paix,
élu par le suff'rage universel ,.
N. 1764. Cadilo, chiudenda di stecconi, a Pievepolago.
N. 1S06. Accanto a ital. poscigno, lucch. porcenu, ecc. si ponga l'alto
veneto: pnssiùada " merenda delle veglie „. Il bellun. à possén " frutta
secca „. Vedo poi che.Jud, Areh., CXXIV, 406, cita un eng. craschigner, ch'egli
dichiara da un cras-ceniion.
N. 1915. A Bologna è chiamata zeinlabi<f/ra, la cimice salvatica del
legno.
N. 1932. A S. .Stino signnr " ammiccare „, con immistione di sigino».
N. 1933. Anche a Reggio-Ein. zcTi, cenno.
N. 2009. Veneto sett. kitker, il noce.
N. 2047. collibertus II trattamento irregolare di o- nel fr. cuilvert,
cHÌvert dipenderà dal fatto che il vocabolo è in Francia d'origine straniera.
Fu importato dall'Italia.
N. 2209. A Gnosca (Canton Ticino) co'bio e ' pariglia „. L'-o si spiega
per assimilazione alla tonica. Siamo in territorio dove il fenomeno e
normale.
N. 2345. A Ferrara è chiamato grmtón il torso di una mela. In gene-
rale, in P'.milia la voce è ruigun.
N. 2365. Deriverei da un exicu)curbncea l'emil. sgarbaza, erba cattiva
di un campo.
N. 2384. A Parma: r»/f(.srw, fuoco fatuo, befana. E se ne veda Salvioni.
Romania, XXXVI, 231.
i
516 Appunti bibliografici
N. 2386. In qualche luogo del Veneto, vive un copara o coperà ^= con
(cum + pariu -f ad). Cfr. nel Cavassieo pera, apera, trev. pera, friul.
parie, insieme, unitamente. E vedasi Salvioni, Cavass., II, 384.
N. 2429. S. Stino: co'defjo, erba da levar via.
N. 2552. demorare. Il senso di " divertirsi , (se demornr) e ben noto
anche in ant. provenzale. Cfr. Levy, Petit dict. s. v. Anche demor (Arn.
Daniel, XV, 18: Beutat, joven, hos faitz e beh demorz) ebbe il senso di " di-
vertimento „.
N.' 2562-3. In ant. moden. è attestato denzicare (cioè : *dentiare = den-
ticare), aver male ai denti.
N. 2618. A Finale b inteso dester (dexter) detto di un tappeto in
cattivo stato.
N. 2632. A San Stino: disdo'pera. giorno di lavoro.
N. 2714. A Modena: sdugaro. Se ne veda Bertoni, U)t ìiiioro dociini.
volg. moden. del sec. XIV (1353), p. 13.
N. 2719. dolatoria. Nel Veneto: daldora con dissimilazione.
N. 2738. A Gorduno (Canton Ticino): induminghi, domenica.
N. 2839. La voce modenese è veramente armufena'r, non già armazem.
N. 2883. equa. Yàlìée àe io-ag: figa (con un y proveniente dall'art, les).
N. 2913. Regg.-Em. lesca (vedasi: Reggianello, p. 29).
N. 3121. In parecchie parti del Veneto: f rabica, fabbrica.
N. 3143. A Lille: flaia/ne. Vedasi Thomas, Romania, XXXVI, 123.
N. 3178. A K,eggio-Em. è detta fama (" fame „) una malattia che di-
vora il grano (la " volpe ,).
N. 3239. A San Stino vive, allato a (emina, la forma fq'mena.
N. 3248. Moden. fle'nga, una carta da giuoco senza alcun valore.
N. 3268. A San Stino: fresine, fuscello.
N. 3400. Ad Ascona (Canton Ticino) sono chiamati " fochi „ i zolfanelli.
N. 3478. A Gorduno la " fragola „ è detta frung' (immistione di fungu'i).
N. 3625. La forma moden. a me nota è veramente gultn non giiltun.
N. 3684. Macerat. giardile, giardino.
N. 3768. ghit (non gtt) come appare dalla carta canard deWAtlas.
N. 3823. Nel Cavassieo: gorz " sassaja „.
N. 4056. arpyón, " ergot (du coq) ,. Juret, Patois de Pierrecourt, p. 73.
N. 4092. Cant. de Vaud: taira (Bridel: leirein); regg. le'dra (con ^ con-
cresciuto come, pure a Reggio, lam, amo). Notevoli neir^^/«s le forme nen
da leu (con assimilazione). A Gorduno e altrove nel C. Ticino: teiere, plur.
i leleri.
N. 4114. Ginevrino: loirie " héritage „.
N. 4145. Gorduno : limdru. Siamo in territorio, in cui la finale si assi-
mila alla tonica.
Appunti bibliografici 517
N. 41G1. A Concordia: ingttaiu'n, vite giunta ai rami di un albero a
cui è " sposata ,, come si vuol dire,
N. 4252. A San Stino : chiviló " c[ui „ (cfr. lucch. quiviliio(/o). Ad Ascona
accanto a un chilo c'è un lainò (certamente, per dissimilazione, da ìnilò).
N. 4496. Ant. neuchat. entrhes " consulation juridiqne auprès de la
court de justice „. Bull. d. Gloss. d. P. de la S. Rom., V, 15.
*inrentnare. Farmi attestato da forme come envalé, " empoisonner „
nella Francia orientale.
N. 4570. Yiar. diaccio, manico del timone. Pieri, Zeitschr. f. rom. Phil.,
XXV IH, 180.
N. 4624. Accanto al berg. zijenics, era da citare il pur Ijerg. zikrnek.
A Taranto: frascianìiiparu (con immistione di ■* frassino ,). Per altre deno-
minazioni del " ginepro , vedasi Trans, of the Phil. Society, 1882-84, p. (2j sgg.
N. 4738. A San Stino si a camat, con assimilazione di o a ad a-ù.
N. 4817. Svizz. rom. Ihjtjie-vat.'ìd (" allaite vaehe ,) "e chiamata, fra altri
nomi, la " salamandra ,.
N. 4837. Ferve la disputa se {scieiir de) long vada, o no, riattaccato a
ant. a. ted. ladò " Laden „. Cfr. Romania, XL, 442. Credo che vadano rial-
lacciate all'etimo tedesco soltanto le voci della Francia orientale e della
Svizzera francese, come laroii, laon. lan (Inonnerie " nom vaudois du chateau
d'amour „\
N. 49::;5. Cfr. Sehuchardt, Zeif.schr. f. rom. Phil., XXXIV, 333-4.
N. 4978. Montagne emil. ghiendna, col solito influsso di " ghianda ,.
N. 5097. Oggidì a Modena si dice unicamente logre'tt, lugrétt, che attesta
bene un logh^r (locora).
N. 5118. Agg. l'ant. a. ital. luìtano.
N. 5135. Ven. làgro; Tesino: dugarin.
N. 5138. Tose, ciana re " dir male ,.
N. 5158. In parecchi luoghi, nell'Alta Italia, il " lombrico , è chiamato
unicamente " verme ,.
N. 5162. A Modena : himinaról e anche lufnól, abbaino. A Mirandola
numinaról (Voc. di F. Lolli).
N. 5247. major. Frign. Rimazo (rivus major). 11 M.-L. à escluso di pro-
))osito le voci toponomastiche; ma ci si può chiedere s'era proprio il caso
di escluderle tutte, anche quelle che provenendo da speciali nomi comuni
trovavano già la loro naturale base nel vocabolario. Forme come Avriga
(.\prica), Braja ecc. avrebbero potuto essere citate.
N. 5250. A Balerna (Canton Ticino) sono cliiamati giUstrei i '' mirtilli ,
(detti ludrión ad Ascona). Nella Svizz. rom. una specie di formaggio è detta
mai/intse.
518 Appunti biblioj^rafici
N. 5277. Trovo mantana " levatrice , nel Vocab. modenese del Reggia-
nini, 1827.
N. 5312. A San Stino: mci/ont'ra, stia delle galline.
N. 5362. A Bologna è detto mare' il " veggio „ o scaldino. Per " ma-
rito „ in quasi tutta l'Alta Italiasi adopera, come in Fx-ancia {Atlas, n. 814\
il vocabolo homo.
N. 5881. Marte in beh ! è a Bologna il nome del giuoco della " mosca-
cieca ,.. Ad Ascona è detta nallamartén la " cavalletta „.
N. 5434. A Mirandola: maitinada; a Modena: mantina'da; a PavuUo
smoitinii'da.
N. 5469. Moden. la me'ln; Gorduno: l'amer o la mer^.
Con saggio pensiero, il M.-L. à tenuto conto degli " incroci ,, ai quali
risalgono in gran parte i perturbamenti delle così dette norme fonetiche.
Queste " norme , agiscono piìi sulla massa dei vocaboli nel loro complesso,
che sopra singoli esemplari, dei quali molti per varie ragioni richieggono
particolari chiarimenti, sia perché sovrapostisi a vocaboli indigeni, sia perché
sottomessi alle grandi e multiformi energie dell'analogia. Lungi da noi
l'idea di escludere, come insussistenti, i principi fonetici. Noi atìermiamo
soltanto ch'essi non si possono applicare ciecamente in ogni caso e che
anno una portata o una forza pili generale che particolare, in quanto l'evo-
luzione nelle lingue, come nella natura, non à luogo nell'individuo ma nella
serie o complesso degli individui. Spesso accade che un esemplare, foneti-
camente parlando, può essere spiegato in due o più modi, mentre le ragioni
storiche e geografiche sovvengono, là dove la fonologia da sola è incai^ace,
a mettersi sul retto sentiero. Dall'accordo soltanto della fonetica con la
storia e la geografia scaturiscono le rette e sicure etimologie. E il M.-L.
s'è attenuto a questi principi con magistrale aggiustatezza. Mi si permet-
terà di scegliere un esempio atto, a mio vedere, a dimostrare come gl'in-
dirizzi fonetici abbiano bisogno degli aiuti della storia o della geografia
per toccare spesso la verità. Tutti sanno che (4iov. Flechia ha ricondotto
a una base roragìn[n) l'ital. frana. Foneticamente parlando, nulla di grave
' Una notevolissima recensione dell'opera del M.-L. è stata pubblicata
dallo JiiD xiQWArch. f. d St. d. n. Spr. u. Lit., CXXVII, p. 416 sgg. Una
rassegna d'insieme è stata scritta dal Salvioni, Deutsche Literaturzeitung,
XXXIII, 5-13, del quale sono anche da vedersi le importanti aggiunte negli
ultimi fascicoli della R^viie de dialectologie romane. Nell'ultima puntata
di esse, il Wagner à fatto varie interessanti jiostille per quanto concerne
il sardo. Per il francese, e preziosa la recensione del Thomas, in Bomatiia,
XL, p. 102 sgg.
Appunti bibliografici 519,
si può opporre a questa etimologia. Ma se si nota che nella toponomastica
si hanno forme come Fraginu, Freina. ecc. (sec. XV) e anche Forcella forada,
Petra forada, Forum (foramen), ecc. (cfr. Unterforcher, Zeitsclir. f. rom. Phil.,
XXXIV, 197), ci si sentirà disposti a ricorrere a un foragin(a) da /orare, perchè
-anche questa base b foneticamente accettabile. Basti questo esempio, fra i
molti che si potrebbero addurre, a mostrare, se ce ne fosse bisogno, l'utilità
di estendere le ricerche alla storia e alla geografia per controllare, pesare,
indagare ogni etimo. Su questo principio à picchiato e ripicchiato da anni,
con alta autorità, lo Schuehardt. Gode l'animo nel vedere che il vocabolario
etimologico del Meyer-Lubko, destinato a segnare una data nella storia
delia nostra disciplina, conferma in maniera incontrovertibile i nuovi prin-
cipi linguistici, già bene intraveduti, del resto, e in certo modo propugnati,
dai grandi maestri: dal Diez e dall'Ascoli.
Ma una critica non è... una critica, se non finisce con qualche minuzioso
appunto. Noterò dunque che nella trascrizione dei suoni l'opera del M.-L.,
]3ur mantenendosi sempre molto al di sopra del vocabolario del Korting,
lascia alquanto a desiderare, forse perché l'autore non à potuto ogni volta
controllare con la pronunzia locale la voce attinta a un testo o a un glos-
sario. Talvolta, il rinvio bibliografico non e esatto per evidente errore tipo-
grafico e talvolta le indicazioni Libliografiche non appajono complete, benché
sempre importanti e numerose. Ma questi sono piccoli nei, che non riescono
gran fatto a scemare l'alto valore del novissimo vocabolario etimologico
romanzo.
Friburgo (Svizzera) nel Settembre del 1912.
Giii.K) Bertoni.
CENNO NECROLOGICO
EMILIO XEZ: A^
Mentre s'era iniziata la composizione di questo terzo fascicolo, non per
nostra causa poi di tanto ritardata, cessava di vivere il 30 marzo 1912, in
Padova, Emilio Teza.
Era nato a Venezia il 24 settembre 1831; e visse gli ottant'anni della
sua vita, per il suo nobilissimo spirito, ottimamente; per la scuola, le let-
tere e la scienza italiana, bene.
La fonte più ricca della sua felicità fu lo studio: e a questo, gli agi^
la morigeratezza e una tempra nervosa d'acciaio gli consentirono di dedi-
carsi interamente e assiduamente fino all'estremo.
La sua resistenza alla fatica intellettuale fu veramente meravigliosa. S'al-
zava abitualmente alle sei e subito era al lavoro : né l'a.bbandonava, se non
per quel tanto che le occupazioni accademiche e le necessità della vita
materiale ne lo distogliessero, fino ad ora tarda di sera. Pur dopo i pasti
conservava alacri le forze. Ricordo che in una visita improvvisa fattagli
pochi anni or sono a Padova ad ora tarda, dopo la sua cena, lo trovai nel
santuario della sua biblioteca intento a leggere un testo filosofico indiano;
e da un amico, sentii che l'aveva visto comporre versi elegantissimi dopo
un pranzo. Firenze, che d'estate è una insopportabile fornace, pareva fosse,.
un tempo, la sua villeggiatura; quando chi poteva ne scappava, vi veniva
il Teza, quasi come un messaggero della canicola. Mi ricordo quando era
studente all'Università di Pisa, e anch'io solevo per ragioni di studio pas-
sare l'estate a Firenze, d'avervelo incontrato tutti gli anni; e pure nelle
giornate in cui era più brucente il sole e l'aria afosa, irrespirabile, egli ap-
pariva arzillo ed alacre al lavoro, davanti a catasta di libri, alla Nazionale.
Cenno necrolosico su Emilio Teza 521
Per una si ijiodigiosa attività, aiutato da una rara tenacia di memoria,
egli potè t'ormarsi in tutti i campi della filologia un'erudizione che non
aveva l'uguale.
Dotato d'un gusto letterario squisitissimo, volle e potè conoscere tutte
le letterature, antiche e moderne, e gustarne le svariate forme ed espres-
sioni del bello. E con pari interesse segui gli atteggiamenti del pensiero
filosofico dei popoli civili.
Ma anche la conoscenza di lingue senza letteratura e l'erudizione lette-
raria occuparono sempre il suo spirito insaziabilmente curioso, e in certo
modo vago di far pompa di notizie peregrine.
Come tipo di scienziato può essere definito un curioso geniale.
La sua produzione filologica e critica, fu abbondantissima, ma sparpagliata
nei eampi piii disparati della filologia, come la sua cultura. Si potrebbe
forse, 0 senza forse, esprimere il rammarico ch'egli non concentrajse in
un campo determinato l'attività sua prodigiosa; ma per non correre il
rischio d'essere fraintesi da chi non lo conobbe e far credere che troppo
scarsa utilità l'opera sua abbia apportato alla scienza, è doveroso rilevare
che la sua produzione non aveva nulla del dilettantismo, ch'egli era una
mente sobria, ordinata, scientificamente rigorosissima, cosicché la sua pro-
duzione, che nel suo complesso supera certo quella di moltissimi specia-
listi, per dignità intellettiva resta a pochi seconda. Egli stesso s'era, in
certo modo, definito col motto: Labore et inconsfantia, che si leggeva sulla
porta del suo studio.
Riguardano la dialettologia italiana, per quanto io conosca, dei suoi
scritti, i seguenti: Alcuni versi inediti del Patecchio, Giornale di Filologia
Romanza, voi. I, p. 233 seg. ; Inforno alla voce 'gomena' e alle sue affini.
Atti del R. Istit. Veneto di Scienze, Lett. ed Arti 1903-4, p. 967 segg.. Intorno
alla voce 'ghetto' ib. 1903 4, p. 1273 segg.; ìlncenzo Bellando, Versi vene-
ziani nel '500 di un Siciliano, Atti e Memorie della R. Accademia di Padova,
p. 87 segg.; Appunti di agricoltura scritti da un roìitadino ib. 1894, p. 45 segg.;
Del vocabolo 'babbagigi', ib. 1891-2, j). 367; Intorno al Vocabolario di Nic-
colò Valla da Girgenti. Padova 1900; Un maestro di fonetica italiana (Giorgio
Bartoli), in Studj di filologia romanza, voi. W, p. 449 segg.
Quel che fu nella scienza, il Tkza fu anche nella scuola. Questo singo-
lare nomade della filologia vi spargeva a piene mani la più rara e nobile
522 Cenno necrologico su Emilio Teza
semente, passando poi subito a campi inarati, senza attendere di raccogliere
lui il frutto dei tesori di dottrina cli'egli vi profondeva; perciò un maestro
non fu chiamato; ma pure conviene qui ricordare che insigni furono i suoi
meriti, anche per la scuola, specialmente nei primi tempi della sua atti-
vità. Costituita l'Italia nostra in nazione, soprattutto per le discipline filo-
logiche, mancavano uomini che potessero essere chiamati all'insegnamento
superiore; e allora potè lo Stato trovare nel meravigliosissimo uomo un
professore di sanscrito e di filologia indoeuropea*; e potè ricorrere anche
lo Stato sempre ai consigli e all'opera sua in concorsi per lingue e lette^
rature dell'Oriente e dell'Estremo Oriente. Della quale sua multiforme me-
ravigliosa funzione noi tanto pili, mi pare, dobbiamo serbargli gratitudine,
perché tale nostra fiduciosa pretesa e sicura fiducia nella potenza assimi-
latrice dell'ingegno suo potè forse contribuire a disperdere le sue forze e
a distoglierlo dalle grandi sintesi.
Delle lettere italiane fu cultore appassionatissinio e della nostra lingua
conoscitore sagace e profondo. Aveva egli (ricordo con compiacenza un di-
scorso con lui sul rifacimento berniano deW Orlammo Innamorato) chiaro il
concetto^ anche da uomini insigni misconosciuto, dell'assoluto predominio
della toscanità nella nostra lingua letteraria, cosicché non dovesse la lingua
letteraria nostra paragonarsi al tipo tedesco, sibbene al tipo francese; e
ricordo anche, com'egli mi esaltasse la virtìi di selezione e di precisione
lessicale, che aveva su non Toscani la convivenza coi Toscani. Nello stile
fu personalissimo e ò motivo di credere che due modelli contribuirono a
plasmarglielo ': Tacito e il Tommaseo, di cui egli era un appassionato ammi-
ratore. Scriveva con molta eleganza anche versi originali; ma a lui, se l'opera
postuma non ci riserba sorprese, le patrie lettere debbono soprattutto esser
grate per molte versioni metriche da lingue straniere ignote alla grandis-
sima maggioranza anche dei colti.
Con lui non ebbi mai lunga consuetudine; perciò poco potrei dire del
suo carattere morale. Rigidissimo, senza macchia, fu certo, e a me parve
singolarmente buono, attabile, cordiale, e modesto anche. Ricordo che una
* Fu infatti eletto professore ordinario di " Filologia indoeuropea „ nel-
r Università di Bologna il 2(3 sett. del 1860.
Cenno necrologico su Emilio Teza 523
volta, vantandogli io la sua protligicsa tenacia di memoria, egli mi disse :
" Oh, creda pure, che anch'io, per le lingue che mi sono meno familiari, provo,
dopo lunghi abbandoni, un certo stento a riprenderne la correntezza nella
lettura „. E un'altra volta, parlando con lui dell'Hiibschniann, e vantandogli
affettuosamente la conoscenza che lui pure aveva del difficilissimo armeno
(conoscenza testimoniata da varie pubblicazioni), si schermi dicendo che:
" I mechitaristi, quelli si, conoscevano l'armeno perfettamente „. Della sua
modestia ò anche da altre parti noti/io ; era piuttosto restio, so, a inviare
copia delle sue pubblicazioni agli amici non direttamente interessati, e di
qualche poesia gli fu addirittura carpito il manoscritto per la pubblica-
zione. Altri lo disse altezzoso; ma si anno non pochi esempì del come nel
mondo degli eruditi sorgano le leggende; e devo credere che qualcuno fu
troppo pronto a trarre conclusioni generali sul suo carattere da qualche
incidente attribuibile alla tensione nervosa d'un momento di cattivo umore.
Per la nobiltà del suo spirito, depone in ogni modo nella maniera jnu
sicura la sua vita tutta spesa per lo studio, e l'aver prodigato tutto il suo
per costituirsi una libreria filologica privata d'inestimabile valore ' e l'averla
generosamente lanciata in retaggio alla maggior biblioteca della sua Venezia.
Ed ebbe anche sempre l'animo acceso di caldo amor di }>atria e sempre
fiera coscienza d'italianità. Alle riserve degli stranieri sulla vigoria della
nostra stirpe si ribellava energicamente. E ancor ci risuonano nell'orecchio
e nel cuore commosso i versi composti allo scoppio della guerra libica,
e alla sua modestia pur essi strappati per la pubblicazione da un amico,
che furono gli ultimi suoi : versi zampillati freschi e vivi dal suo cuor di
patriota, frementi il fremito di vita nuova che commosse i petti di tutto
il poi)olo nostro in quell'ora indimenticabile.
P. G. G.
^ Secondo un inventario quantitativo fatto da Carlo Frati, per il trasporto
della libreria teziana da Padova a Venezia occorsero 292 casse.
INDICI DEL VOLUME^
P. G. GOIDAMCII
I. — Suoni.
VOCALISMO
I. Vocali t4»iii<'li<'.
1 . Sintesi fonetiche.
1. Nov. : a) Evoluzione in parossitoni in sillaba scoperta 53; /3j in sillaba
coperta 56 n.° 39 ; y) in proparossitoni 60 n."46; S) in ossitoni 62 63;
e) in iato 63 n.'^ 60. 65; C) influsso di nasali 66 n." 65, 67 ; 71 n.» 71 ;
>ì) influsso di r l 72 73 n.° 74, p. 75 n.° 81 bis ; d') di palatali che seguono
la tonica 82; i) di palatali che precedono la tonica 77 n.° 89; k) influsso
di labiali 90 ; À) metafonesi per i finale atono e per -i in iato 79.
2. uss. : a) In parossitoni in sillaba scoperta; /J^ in sili, coperta con accento
conservato; ^•) coperta con accento talora spostato ; /V in pi"oparossitoni
ridotti a parossitoni : y-) in proparossitoni rimasti fino a tardi tali ;
ò^j in ossitoni di data antica, ò~) e di data meno antica ; e) per influsso
di nasale, ^) di liquida, ì]) di palatale seguente, d-) di inalatale prece-
dente 218-22], 309segg. ; i) di labiale 222 223.
^ Mia costante preoccupazione nel i-edigere quest'indice è stata di far
risparmiare tempo e noia dei riscontri ai consultatori, offrendo loro, fin
dove era possibile, il modo dell'orientazione o dell'inforniazione imme-
diata dall'indice stesso. All'uopo mi è parso necessario, indicare sempre il
dialetto cui il fenomeno o la voce appartenevano, e il piti delle volte ri-
ferire il significato delle voci o anche la ragione del riferimento. Anche
ò mirato a dare un'esposizione analitica e sistematica insieme delle materie
trattate nel volume.
526 Indici. — 1. Suoni
2. Evoluzione dei singoli elementi.
P Evoluzione legata alla condizione della sillaba:
A: in parossitoni scoperti: nov. è 54 (75); uss. à 244 — in parossitoni
coperti : nov. à 56 ; uss. à 245 — in proparossitoni : nov. uss. = ])ar. cop.
60 ; 218 (nov. 8 75) — in ossitoni : nov. a 62.
E: in paross. scop. : nov. */e > e 55 ; uss. e 237 — in paross. cop. : nov. è 57 ;
uss. e 239 — in propaross. : nov. = paross. cop. 60 — in ossitoni :
Nov. id. 62; uss., in esito assol. prim. e second. *ie> e 237; est,
_ vari esiti 228 235.
E I : in paross. scop.: nov., kust. èi 39 54, urb. e 54 55; uss. ei et 226 —
in paross. cop. : nov., uss. = E 57, 228 — in propaross. : nov. ^ E (e 75) 60
— in ossit. : nov. = E (62) ; uss., in esito assol. prim. e second., ai > ci
227 ; + nas., e (per ei) 230.
/ : in paross. sco]). : nov. X 55 ; uss. 7 222 — in paross cop. : nov. i 59 ;
uss. l 218 — in propaross. : nov., uss. = paross. cop. 61, 222 — in ossit.:
nov., urb. i. RusT. e 63 63 n. 1 ; uss. l (dav. ad elem. turbante reinte-
grato) 222.
0 : in paross. scop. : nov. o 55 ; uss. o 241 — in paross. cop. : nov. g 59 ;
uss. o 243 — in propaross. : nov. = paross. cop. 61 — in ossit. : nov. o 63.
0 U : in paross. scop. : nov. ^= 0 55, 56 ; uss. il 232 — in paross. cop. : nov.
ò 59; uss. = par. scop. 234 — in propaross.: nov. = paross. cop. ò 61
(o 75) ; uss. 0 !> u 233.
U : in paross. scop.; nov. à 55; uss. ti 223 — in paross. cop.: nov. ti 59;
uss. = paross. cop. 224 — in propaross. : nov. = paross. cop. 62 in
ossit. : Nov. = paross. cop., propar. ; uss. ù (con voc. piena, davanti ad
elem. turbanti) 223. 225.
2° Evoluzione condizionata dagli elementi contigui:
a) Influsso di nasali (Sintesi: nov. le voc. anno un doppio grado
di nasalizzazione ; e, o, i, u sono lunghe e strette in sillaba scoperta di
paross. e in sillaba cop. davanti a w-[- sorda; sono brevi e larghe dav. m,
in proparossitoni e dav. a h -j- sonora 43 50 66 67 ; uss. in epoca re-
lativamente tarda la voc. si nasalizza ma poi ridiviene orale ; la nasale
produce gli effetti di consonante lunga meno che in e e 220) :
A: NOV. a; ci" 66; uss., scoperta à; se fin. à 248 249; cop. «, precedendo
palat è 249.
>-' - ^ _ _ ^
E: NOV. ^= E l 67; uss. scop. i (fj 240; cop. = EI.
E 1 : NOV. e; e 67 ; uss. scop. ei 226; se fin. e .230 ; cop. f 231, pimi da
pieino (pettine) 239.
Indici. — I. Suoni 527
/: xov. ì ve); V 70: uss. scop. i con spo^tam. d'acc. : in sili. cop. l con
acc. mantenuto 223.
0: Nov. = 0 L 67 ; uss. scop. ti, mantenendo Tace. 244; in sill.co]). o u 236.
Ò U : NOV. o [a) ; o 6~ ; uss. k con progr. d'acc. 23G.
U : .NOV. H\òi; Il 70; uss. scop. /( con ])roffi-. d'acc. 226.
b) Influsso di palatali:
b^J Palatale seguente:
xov.: dav. a ò'( e ;•( trattamento di sillaba scoperta 76; o^' > oj 77;
in VCL, URCL o 77 (come nel tose); elj'>ij 77; enj ^ [n 72.
uss.: A : ARIU> er 24S.
È: "ie > è 237 239.
È 1: + Ij, ii 230, in fine : *ei > ai, ei ; e 4- nj *e > p 230.
Ò : g, (e (specie in fin.) 242 243.
UNCT: ont (con o ed g) 234.
() f ' -j- pai. : di fin. fi, oc 235.
U + 1 : rp/ 225.
b-) Metafone.si :
css. : 0 : oerzii, ceeli 243
U + / > il + / 806.
NOV. : a) + nas + pai. :
E I {-Y pai. sorda) : t , (-|- pai. son.): ? 71 72.
U (-+- pai. son.) : ù 72.
/?; 4- -I, . . . -i :
£■/ (non E): in sili. scop. *, in sili. cop. i 79 80.
Ò U (non oj : in sili. scop. ù, in sili. cop. n 80 81.
U^) Influsso di palatale precedente:
NOV. : solo e in / 77 e Giunte a p. 72 73 219.
uss. : A, in e (dav. a nas. i) 246 303 n. 8.
EI in i 228
Ò in ce 242
U in » 225 226.
(9 Influsso di liquida:
A : NOV. è (^ par. scop.) 73 ; uss. fi 237.
È: NOV. « 74; uss. 7- 239.
f^/: NOV. ft = par. scop., {e} 74 e Giunte; us.s. è, con progr. d'acc. 229.
528 Indici. — I. Suoni
/ : Nov. I 74.
Ò : NOV. 0 74 (o 248); uss. o 243, rv 241.
Ò U : NOV. (/ (= par. .scop.) (o) 74 ; i;ss. o 234.
U : NOV. « (^ par. scop.) (w) 75; uss. o? 225; in -ura, proi:;-r. 223.
d) Influsso di labiali:
A : NOV. ina > ino (?) 79.
A': Ar. EMIL., KNGAD. 371.
/ : NOV. fuhja 78 ; uss. priUn, ror'st 223.
0 : xov. o& > ob 78.
0: NOV. o>K (in singole voci) 79.
U : NOV. trifola 78 ; i;ss. tri' f ala 223.
fy) Influsso di 1 ab i 0- V el a r i :
0 : uss., per u, op 241 242.
fj Fenomeni vari in finale secondaria:
NOV. : -ELLI, RUST. e per ej 63.
uss. : (le vocali in fin. sono più piene e larghe e più soggette a palatizza-
zione 219).
A : + -h, à 249.
E: -^st, e 239; f ^- w"^'"^- ^ f -^ w™''^- 231 232.
E : -e-> ai, ri 227 ; est > est 228 ; ESCFF > ri 228 ; *eìt > et àt 228 ;
e + elem. turb., a, fi 229 (dopo palat. e 230) ; f -|- (^ ^ (*'> ^' 230 ;
e + nas. e (da ei) 230 ; e, e -{- nas'=°"' > ah, (i giovani) eii, en 231 232.
I: non turbato 222 223
0 : -j- elem. turb., o pili largo che all'interno; o -\- n^ aAa) 242;
+ X > oei 242 243.
0 U : + elem. turb., a: -{-\Mi\., n, a' 235.
U : non turbato 224 225 ; pai. + a + n, il 221 n. 1 : » + w turb. 221 n. 1.
g) Iato {primario e secondario:
NOV. : 63-66.
uss.: 309-318.
hj Le vocali davanti ad elementi turbanti nell'ussEGLiESE :
A : à ; -\- nas. à.
E : ^ II, e ; -\- altra cons. e; + nas., ditt., i, è 238 239 240.
ÈI: e, 0 progress.; se fin. a 220; -|- nas., ei, in fin. è 226 230.
7: i, se mediano, con progressione 222 223.
0: T>,o; ~\-lì. o; ^-i, 0 o ce; + m, u 243 244.
ludici. — 1. Snoni 529
à U: *u (turbato) >o, ò o progress.; se fin. (y) u 234 335 236.
U : ii, se mediano, con progress. 22.5 226.
0 Nov. E .s p o s i z i 0 u e complessiva dei casi particolari
in cui non si riscontrano applicati i principi evolutivi
fonetici del v o e. tonico 81-i)6.
Dittonghili tonici.
AU: xov. o; {gì); {oh): ossit. ó (ma Po, ko) ; <iv of 96 97: uss. ò 289.
Af: da as, nov. ?; [ai] 98.
APJ: xov. ? 54; rss. ? 289.
OI-J: U.SS. -- E 289.
Sorte dei ditt. ncH'iss. 313-315.
II. ^'«M-alì 4lis:i<'<-<Milate.
1. I n i z i a 1 i as s 0 1 u t e.
Nov. : aferesi in verbi e avverbi; in unu una; in nomi per fusione col-
l'artieolo 104 105 106 — voc. + r, l, iii, n, aferetiche o no, secondo la
fonetica sintattica 106
an- +gutt. > in 106 107
r— >■ a-, i- 107.
uss. : aferesi in verbi, avverbi e nomi 307 — di t- in /V"''^- 336 — alter
nanze m fonetica sintattica 353
.MANTov , MoDEX. : afercsi in iniziare v. Lessico.
2. I n t e r n e di prima s i 1 1 a b a.
a) Semitoniche ( '-) :
xuv. : conservate in paradio:mi accentuativi mobili e nel pref. dis- 124 125
— in altri casi come le atone.
uss. : resistono di pili ; dis > d'^s ; ei >• ii, ; e > f ; ru- conservato ; /'" id.
307 308 — del resto come le atone.
b) Atone (- -) :
A- : xov. di reg. intatta 107 125 — dileg. in frasi scherzose 108 ; dileguo
apparente ib.
uss : di reg. intatta 298; '^ons.,.^^ [^ «r 301 (talora non avviene la me-
tatesi 301 n. 1) - (pai. -f ) a in i (a) 301 302 303 - a +X> ei, ti, i 308
— « 4- lab. in u 305.
E- : NOV. sincope in sili. scop. del dial. 109 (125) — e- in posiz. 109 110
(125 126J 1- liq., u IKJ 115 (126) — cons. + re -}- cons.-,,er 110 (126)
Archivio glottol. ital., X\'I1. 35
530 Indici. — 1. Suoni
— en -f cons-, in (en), an 111 (126) — vedi Prostesi — dopo palat. i [e]
115 (n. 163 464) 116 (126) — dopo lab. iuist u 115 (126) — secondario,
in i 115 117 118 — re cop. > «r nov., per anal. di re- scop. 117.
u.ss. : -f liq., dileof. 298: ser. 307 t-rr, dileg. 298 — + esplos. e
e dil.298 — + nas. e e dil. 299 h s, f - (seriore) + liq., a 299 —
er cop. > «r, ér, er 300 — cons. -\- re, er 300 — pai. -j- ^> e, i 303 —
e + pai., è > i 303 — e ^- i> ei, ti, i 304 — dis- > dis, des, drs 304
— e-\- iab. i« ; ii 305 — e + « cop. > aii 305 {arpentl 306) — «« > f« 305.
J-i: NOV. resta 118 127.
uss. resta 298 ; seriore 307 — ì + lab., ii 304.
0- : NOV. scop. diieg. di reg. 119 120 — cop. resta 121 — e» -|- cons. —/
in u 122 128.
MODEN. : dileg. 364 364 n. 1.
uss. : 0 > u 299 ; ser. 307 — cons. -)- ro, er 301 — o -t- pai., di so-
lito it [kilna, kiiià) 303 — o -\- i^'> ili ; oei 304 — oin^uni 305.
U-: NOV.: resta 128 124.
uss. : ii, resta, di reg. 298 ; seriore 306 — Un > in, nel disc, rapido 298
— ril second. > tir 301 — «(> U 304 — u -{- cons. -|- / in ii 306.
3. Mediane p r o t o n i e h e (p o s t s e m i t o n i e h e - — '-).
NOV. — A~: cade in sili. scop. di derivati da parole con postoniche me-
diane dileguate o ridotte (stonieg stomgl'n) ■ — se preced. da gruppi di
cons. resta {organi n) 129 — se seguito da r, resta 129 — resta in ogni
altro caso 129.
-E-: in sili. scop. cade 130 — in sili. cop. resta 131 — er, el'> (al so-
lito) ar al 131 — cons. -(- re > (al solito) er 132 — in der. da nomi
in -er, e od i 131.
-I^ : resta 182.
-0- : scop. si perde 132; conservato in parole recenti 133; ii 133; cop. o 133.
-U-^: resta 133.
U.SS. : le antiche si perdono, meno a 308 ; però ar- > er- > ;• 308 — le
mediane per derivazione recente si conservano meno e 309.
4. Mediane p o s t o n i e h e.
NOV. 1. Se la voc. finale rimane la postonica si perde, tranne se preceda
gruppo di conson. e segua sorda. — 2. Se la vocale finale è dileg. la
mediana appar conservata divenendo o davanti ad l, e davanti ad altra
cons. — 3. In fonetica sintattica le forme come iever perdon la fin. dav.
a conson., anche la mediana dav. a voc. 132-135. — 4. Si conserva la
mediana m parole recenti in -ola. Cronologia di tali fenomeni 136.
Indici. — T. Suoni 581 ■
uss. Si ililejTiiano o restano secondo le consonanti che seguono o l'antichità
della parola 295-298.
5. Finali,
o j S 0 r t i 0 r d i n a r i e :
-^1 : xov.. uss. resta 99, 290.
-E. ~AE, -È-ì , -AS. -ES. -IS: xov. diieff. 101. "
-È, -È-ì: uss. dilcg. 290.
-l: Nov. si assimila alla conson. antec. ; uss. conserv. 290.
-Ó, -0 l\ U: NOV. dileg. 108; - f7 trss. dileg. 290.
;3) Evoluzione condizionata e casi ji a r t i e o 1 a r i :
-A : xov. kàiuer, fnester, inaesfer Rnfinin simm., pih ' piena ', vqd ' vuota ',
s7)r 'suora', or 'ora' 99 100; uss. dopo pai. / 291, conserv. 292 n. 1.
-AS: NOV. dileg. 101; uss. e (2. sing. e), 3' 292, 292 n. 2 ; femm. plur. e
292 n. 2.
-EU. -lU: xov. -i 101.
-E, -0 : xov. in -/ 101 102; uss. conserv. in propar. o dopo nessi conson.
{neh-, (Inter: ami. fi 'fico', lau 'lago' sim.) 293 294 e nn.
-EX, -ER : uss. > -a 295.
Ditt<>iig]ii atolli.
Nov. AC: prim. o second., o\ ol ; al; aumento > rust. arme'nt; it ; av, <if
138 139 — EU: e, o 139 - AI: i 189 - OE (second.): 7, 140.
uss. AU : u, Oli, u(i); second. oii e nel disc, rapido u 305 — OU: u 305.
Vocali atoue iii iato.
yov. A: di reg. conserv.; ai: oj, ai', a, i ; -n a- > -« ; -o «- > -o 139 —
E '■ J ; Je proton. >• /; eì' > al', a-\-e- > aj- ; -\- e o- "^ o — 7: conser-
vato — 0: oi^oi, ìli: od ^ o/i : -o-[-o>o — U: conserv. 140.
uss.: voc. uguali, contratte 310 — A: a -^ i > éi 312; a-\-é> e, (e/) 813:
a-f-il' > oe'i 313; « + ó > oii, u- 318 — /; i-^à ecc. > ià ecc., e
Ha ecc. 811 ~ U -\- voc- > iw-, w 310 — Ù -\r voc- > ilv-, n 810.
Fonetica sintattica.
NOV.: aferesi. cfr. Vocali iniziali; parti e. prono m. 112 113 114:
prostesi, V. Fenomeni spec. ; con trazione di -a a- 85 ; assorbi-
mento d e 1 r a 1 0 n a 139.
532 Indici. — [. Suoni
uss. : Trattazione speciale: voc. apostrofata; semiconsonanti zzata :
assorbita; aferesi ; apocope; rw > -w ; -a v- '> u u; ar (ormai stabile)
da r- ; al (meno stabile) da /- ; con altre consonanti la prostesi è rara
352 353 354.
Eflt'etti della posizione debole di fjase : semiconsonanti dileguate; iti per
li^ìi ; dittonghi monottongati ; an non diventa àti ; fenomeni analogici
354-60 ; pronome femm. -l/[e) 293 n. 2, 357 n. 3.
TOSO. : e in proclisi rimane ; in qualche composto, come benessere, s'à spc-
radicamente sulla destra dell'Arno e, ma non per effetto di un ristrin-
gimento normale, si per effetto dell'analogia sulle protoniche di poli-
sillabi non composti, 269 seg. ; altrettanto va detto di honalana e sim.
265 seg. — 0 > 0 in bon proclitico nella formula bon- di contro a g
nella formula bon — '- [bon-, ma hon — '-) e proprio del pistoiese; Firenze
non conosce il fenomeno ; con Firenze s'accorda la Toscana sulla sinistra
d'Arno, con Pistoia quella sulla destra; e v'è una zona intermedia con
dati poco spiccati o irregolari o scar-^i 255 sg.
Feuoiiieiiì sj^peeiali.
Aferesi. V. Voc. iniz.
Prostesi: nov. di a dav. r, /, «, ni in fonet. sintatt. Ili, di e davanti
d, m, f, s, V, g 112 — uss. di v 307.
Apocope: di -«, nov. 100.
Sincope. -V. Vocalismo atono.
Assim ilazione : NOV. a -^ >■ e -e 108 ; a -ó > o -o 108 ; a-u^u-àl08;
0 ■é'>e -è 122; a -e - > a -a- 131 132; a -i-^ a -a- 132; a -el>
e -é 125 ; e, i -à ~> a -à 125 ; e a- > e -e- 127 ; e -a - y> a -a - 132 ;
e -i- > i -i- 118 ; i -o- > o -o- 118.
uss. : e -a > a a; e -il l> ii -\- il 306.
Dissimilazione, nov. : a -«>*<> -a 125 108 ; e -e- \> a -e 115 ; o -ó >
/ -ò 123.
uss. : o -ó >• a -ó 306 n. 4.
Contrazioni di vocali uguali: uss. 310; v. Fonet. sint.
Epentesi di iato: nov. 65 e 65 n. 3 — uss. 310 311 312.
<|naiitità e Accento.
Quantità delle vocali: uss. ogni lunga è almeno doppia dell'italiana.
V. Accento di proposizione. Particolari: 316 317 318. Grande varietà fra
vocale e vocale, e tra parlante e parlante 315 n. 1. — \ov. Particolari:
142 143 144.
Accento di proposizione e esclamazioni: aj nov. 1. Acc. protratto
Indici. — 1. Suoni 53U'
nell'enfasi in esclamazioni 146; 2. Kl quis allungiito in enfasi 89;
3. Varia lunghezza delle vocali in esclamazioni 144. — isy. 1. Biverti-
cato ascendente o discendente a seconda del tono della frase 315;
2. Alternative dipendenti da fonetica sintattica 352 n., 350; 3. Epentesi
in esclam. 311.
li) Accento di sillaba: nov. 42 e v, Acc. di proposiz. ; lo spostam.
favorito dalla maggior massa di espiraz. delle voc. 145 146. — uss. 1. V.
Acc. ili prop. 1 ; 2. Accento protratto: in iato primario : la'>i(ì, ««>■««;
in iato secondario, dopo iì ed / 311; 3. Accento ritratto a!7>éi 312;
aii' > *Vo<, aó >• do 313.
y) Accento di parola: .\ov. 1. Accento ritratto : negl'inf. in •&)'€;
nella 1" e 2-'' plur. dell'inip. indie; nel nome bàìer 146. — 2. Accento
protratto: in prcs. siiig. e 3 pi. per ragioni analogiche; in siiig. voci
letterarie 146; in ha/al !k 'basilico' 132; in hote'r 'burro' 55.
uss. 1. Protratto in verbi pro])arossitoni 223 351. — Progressione
meccanica e ragioni di essa 312 n. 3, 346-351, 350 n. ; etìetti dell'anal.
356-360 ; alternative, v. Acc. di prop. 2.
Efletti <lell'eiila!i>i.
Nov. .S'è" ' SI '. nksé ' cosi ' per sì, ak-si 89 ; kl ? per ki '^ ib. ; Cij o àj e sim. 144 ;
Nov. CONTAI), vja' ì 'via!', per hjò '. torsvó ! ' servitor suo' 146. — i;ss. Ih
diiàu ! ' il diavolo ! ' per lu diau ! 311.
CONSONANTISMO
Cousonauti iniziali.
J. Tolti i casi di palatizzazione, e casi particolari, ordinariamente,
conserv. a xov. 147 ; rss. 320. — li. Palatizzazione: 1. h- {-\- e, i) >
NOV. z 147; uss. s, onde: p e h (piazzette), s (uss.) 320; g- (+6, i), (e j-)
> NOV. 7^ 148; uss. g 321; 2. ka-, ga-'> uss. ca-, ga- 323. — III. Casi
particolari: nov. uss. k> g\ p>b 148, 325 n. ; v->b 148, 149,
325 n. 1, 325; nov. ;/- > k-; 2> > ^-; ''- > .9"; s- >2; g- >g- (lett.); j- J-
(lett.); «->n- 148, 149. 150, 151: uss. .s- > «.s- {< eis) 325.
Ciii'uppi <*uii!iionaiitici inixìalì originari.
a) esplos -{- R- : uss. intatti 322 ; nov.: 1. di solito intatti. 152. 2. Casi
particolari: KR-> gr-, SK- > sg, PR- > br- 153 325 n. 1 {skl- > gì-
325 n. 1). — i3) S+esplos-- nov. 1. D i solito intatti 152; 2. (' ;i s i
534 Indici. — I. Suoni
particolari: SP- > sb- 154, 3'2ò n. 1 ; nov. fb- > fr 154 ; — uss. >
is-\-esiìl. (s + ^s^jZ.) 335. — y) SC (+ e, /): nov. s (germ. SK-> sJc-)
153. — DJ(>j): NOV. :^ 153, uss. f/ 321. — d^ IF- GU-: nov. .^ry- 153
(.9- 154), uss. V- {g- sporad.) 322; ZW-: hoy. /gv- 153. - e) QU-: uss.
A-- 322; NOV. QU''>kv, QV''> k- 154. — 0-) '^""■L.: uss. > cohs. +i
322, 323 ; nov. 1. *kj *gj > e, <j; *pje-, *pji, "pji'i>pe-, pi-, pu-\ kinc'r;
2. del resto, conK.-\-j 155, 156.
Cousouauti inediaiic iuterrocaliclie.
a) '""Cons.: nov. 1. Di regola: intatte 162, 163, 164, 165; 2. .s (da s e
k') > (-s) / 163, 164 ; uss. s >/; /?> ""=■ Cons. a') Fenomeni comuni
a nov. e uss.: 1. Uguali fenomeni in parossitoni e proparossitoni 166,
366; 2. Le sorde, esplosive e continue si riducono a sonore; 3. Tendenza
pili 0 meno spiccata al dileguo {dileguo di V in ' lisciva ') ; 4. Le continue
à; r, M, N, L, E, di solito, intatte, 159 segg. 330 segg. — ^9 Feno-
meni individuali delle due parlate: 1 . Palatali K' G' :
Nov. / --, 165, 168, 166, 169, uss. if, i 329 — 2. Dilegui: a~) uss. generale
di esplos. dent. e guttur. 331. 331 n. 1,2, 3,4; parziale dav. /, il, ce 329,
330 n. 1. — /3^; NOV. sporadici: di D- 162, 163, 167, 168; in striga
165 (antico in k' g' 168, 166, 169); di V (primario o secondario; prima
in protonica, poi in postonica; oscillazioni) 160, 161, 162; 160 n.2. Giunte ib.;
167. — Fenomeni particolari: nov. -V- > -g- 161; ■G-~>-v-
165, 168.
C'Ousouaiiti Iuii$;Iie latine.
uss. 326 (nov. 190).
Gruppi eoii!«oiiantioi latini luediaiii.
A. Gruppi ili cui le cousouanti appartenevano a sillabe diverse.
I Sorte dell'ultima consonante: 1 . In generale, prece-
dendo esplosiva, sibilante, nasale, liquida, Vulfima consonante è trattata come
in princijno di parola o come consonante lunga. 2. Casi particolari:
CT> e, nov. rari es. 171, 172, uss. 1 es. 334; -SA"-: nov. uss. s 173, 327;
uss. dopo -n -r, gè-, gi- e di-, gì-, trattati come dopo vocale: r? /'o21;
invece kl, gì come in principio di parola 323; anche la risoluzione di -GU-
in lingua ecc. non corrisponde a quella di guardare.
II Sorte della 1* consonante e continuazioni di tutto
il gruppo^: I. "P'^'- '"''• T, D, S, nov. uss. si dilegua la 1%171, 173, 335 (di
' Sono indicate talora, per maggiore chiarezza, in parentesi quadre.
Imlici. — I. Suoni 535
-hd-iivss. nones.): II. ''p'°'- s""-T, D, S, aow 1. dilei/uo [t, d, s]; 2. e (rari
esempì) o Jt o *Jt > t {tee, kvàc; (juajté'r; frùt, pet ' mammelle delle bestie
171, 172, 178); uss. 1. / [//, i(f, ìs], alle volte / diìeguato [t, d, s]\ 2. e solo
in harle'c ' o-iaciglio di paglia nella stalla' 334, 334 n. 4, 329, 327, 314;
XCT L-ss. *int>nt 334; XT: nov. -st- 173; III a) s-.»" ,''<■"'■. i"'- ; .^ov.
intatto [sp, st, sk] 172; il suff. bis -\- L- > beri- 180; sp, s/i;>i;ss. sp, sk;
in s -\- t s'à a uss. is onde: 1. dopo tonica .%•. 2. dopo atona is 335; b) -SK'-:
Nov. « 172, 173, uss. ÌS, s [is, s] 327; e) S' TJ: gli stessi risultati che SK':
Nov. 184 uss. 327; d) SSJ u.ss. id. ib.; IV .Y^o.... . i NS>s: nov. (uss.)
/' 173; 2. X" ''"'"''"" : NOV. h, con maggior nasalizza-/, delle voc. pi-ec. 173;
uss. a) jN''''^'"'-, intatta; b) X"" "^ ''""'■ n. con debole nasalizzazione della
voc. prec. 333 (da NG' ecc., ii/ecc. v. sopra); M'""" : l.Y. M N: nov. n forte
174. uss. ;( 334; ili'"''-: nov. h [l'ip, >ib], uss. //( [iiip. >nl>] 333 (nel prefisso
aii conserv. n 333 n. 6); VI. R'""^ : nov. intatto [rt ecc.] 174; uss.: 1. li' dileg.
[s]; 2. R "'•" ""■" in/atto [rt ecc.]; VII. /y'"'" nov. 1. intatta [/t ecc.]; 2. ('ter,
tòpa 175, 176; uss.: 1. IJ""- > u [at\. 2. L'''- '''''■>;• [rp, rt] 182.
PiANOKLAGoTTi : L""" : 1. / (H" (/('«^ uio mcu tanca, compresa .^ o jxil.) resta;
2. ì {-r hth. 0 reì.)'>i; 3. l{-\-iiq. o .s«i.)>«; questi fenomeni sono
antichi; *ei ed *<•» proclitici da il le passano, normalmente, ad i<; anche
l'articolo e del rom.\gnolo è passato per la trafila di ei, ottenutosi in al-
cuni nessi e poi estesosi per analogia 250 seg.
B. OiMippi latini in cui due consonanti sono iniziali di sillaba.
I^'^'-'L-: 1. NOV. trattate come in principio di parola [-/>;-, ■/',/-, -fj-. -e, •//-].
Casi particolari: nlcuni esempi di .; per CL TL GL 177, 178,
179, 180; kubja 177; 2. uss. al '■""' CL ecc., come in principio ili parola
[-A-j., -gì-, ./-i-] 323 ; b) '""'PL > 1. hi. 2. ri (mancano esempì di -Id- e -fi-);
voc.YL '""CL>i 323, 329, 329 n. 2 (Esempi di "e 329, 329 n. 3). II
cor.s -^y. Q]y Q][r. ^.qv. pre-edendo cons. e voe. > k[-\- i, e), (/(+<?), kv- e
k{-\-a) 180; uss.: preced. rons.'> k, </ 321, 322; prered. voc.>iv 330;
TU'. .VIF NOV. t, n 180; (uss. non trattato). — Particolarità: nov.
niaiivl'h, konthiov ecc. 180, 181. — III Nessi di """ ./ (e GN): a) Nei nessi
di due consonanti, per solito. f/oy>"> cons. o roc. lo stesso e.s/7o [meno : 1. da
'"■ TJ, DJ NOV. nella nota serie in scarsi esempì / e j \)in- z e -; 183, 184;
uss./ per s 327 e ib. n. 1,2; 2. da ■"-• VJ > nov. bj ; ,-. per ri, certo estraneo)
uss. bi,x (i. certo estraneo) 186, 326 e Giunte a p. 322 seg.; 3. """= RJ
> nov. uss ir 187, 329; '='"" R/ nov. r?;/ 187 (per u.ss. ciò avviene
f^olo in nessi secondari 338); 4. uss. '"''■G'J>i 329, <•""' (9'J>/ 321;
5, '"" SJ> nov. /, uss. i/; ■="" .S'/> nov. .<t, uss. (.s]. b) In iiarticolare : LJ
nov. j r/'f>rust. ija 181), uss. l' > i 328 n. 6-, 329; tkknt. l' > *j >
536 Indici. — I. Suoni
dileguo, 422; NJ (GN) nov. uss. n 182, 328 e Giunte a 182; K'J
Nov. z 182, uss. (*•».?, piazzette/, h 320, 327, 327 n. 1; G'J nov. ì 183;
rss. "" G'J> i,""" G'J>/ B2d, 321; TJ mv. z, vss. s 183,327; DJmv.
l ij V. sopra), uss. i 185, 329; PJ nov. />/ uss. -pi 185, 328; 5.7 nov. bj,
uss. èi; FJ NOV. vj (-1?), uss. i p- ò» (v. sopra) 286, 326, 328; MJ nov. ?«/
186; RJ NOV. »• er/ (v. sopra), uss. ir [eri] 187, 329 338; SJ sov. / s, rss.
i/is (v. sopra) 187, 329, 327; IV •^''"■' /? : nov. .wno trattate come le inter-
vocaliche, di regola {TR, DR>dr; FR, BR>vr; CR, GR> gr 176
177); solo rr s p o r a d i e. > r 177 ; uss. ''""i? > -r-; "'-i^ > -ir (forse con
vocalizz. rec^i; ^"^'-R > -rr- 331 (322) (nella trattazione, sommaria, al n. 135
mancano esempì di '*""'■ ^""-72) ; carte thevjsank TR > dr e -?•- 280; vaesug.
IR >dr> r 278 n. 1; moden. rr> r 382.
C. (inippi di tre consonanti con particolare ri.soinzioiie.
1. -MNJU-: nov. ni 182, u.ss. ng 328, 333; 2. STJ-: nov. u.ss. .s 184, 327;
3. -NDJ-: nov. >? (uss. mancano es.) ; 4. in """^ +'''"' .R, uss. perde r 322'
e Giunte a n. 143; in «<"". + '«'' jj^ recessione di ;• ib.
Oi'iippì ooii»»oiiaiiti(*i romanzi.
I. NOV. In principio di parola, non meno che all'interno, i gruppi
consonantici romanzi rimangono intatti con queste restrizioni: 1. sorda -\-
sonora esplos. b, d, g o sibilanti {/, .i [non v, né ^J) diviene sonora', sorda -\-
altra sonora (r, j, r, l, m, n, n) resta sorda (i casi di s>y" in questi nessi
sono analogici); le precedenti ,fo«o/-e e inoltre, v ^ sorda di vengon sor^??:
[Es. pd^bd ecc.; kv^Jcv, ma vt'>ft; sn<^sn, anal. /« ecc.]. 2. dj'> g
(e non ,~ come da DJ); 3. vnir > hir, " vdlv? „ :> dlv? ,, " vdì! „ > " rii.' „ ;
4. tnbr-^br-; 5. dilegui di «- m fonet. sintattica; 6. gjf;^ p per analogia
di parola, 156-158. — In mezzo di parola. La stessa norma di
assiin. di sorda ^ sonora & viceversa. Inoltre: 1. ■ndc-'> -ngv- (contad.) 190
" mr „, "«?•„>" nbr „ ndr 189; 2. dileguo della mediana in «/Is, /è(?,
hbd, fgn, rts, iitz, nib;, 189. Del resto, conservati i gruppi di esplosive [Ipt,
rpt ecc.), ìis, ni, mn e esplos. -\- l (pi, Id ecc.) 188, 189.
II. uss. In genere: conservati; ma: in cons.-\-r, di solito, epentesi:
eri^, 0 rii; -mr-, -nr-, con epentesi, > inbr-, -ndr- 338; -Ir- > -Idr-, e poi
per dissimilazione, Id {ud), Giunte a p. 338 : ngn'> ngr 345; nst'> st
338; wò(? sim > nd; ki, pi^^ gi, 1% 337; if-\-cons. son.'> i, con riduz.
di in a w 335; rs > s 332; vr > vr, nr, r 332; n +i> ni e n 328, 324;
raram. li, ni, si in i, n, s 324; ^ in 'diciotto' ecc. 324.
III. MODEN., VALSUG., viCENT. -nni> -lì 326 scg. ; ni -\- voc. second.^n 403;
VALSUG. le 4- voc. (in nessi tardi) > (/ 402.
Inilici. — 1. Suoni 537
C'oii!iiouaiiti raflor/.ate.
xov. 158, 190, off. 51 : rss. 826.
C'oiiiiioiiaiili <lvl>oli. naturali. IV»rli.
Nov. 51. 52. 190. 191. 192.
Consonanti finali latine.
I NOV. nei j'OÌisUlahi, dileguati' 193; nei iiioiiosiUaìji, 7': dile//. 193; D :
i(J. ih.; A': ili. il».; e u ni - > ìrnii ; s n ni > son ; j a ni > ;/< ; non: nò.
)i- : e 0 r > k-ò r : meloni?/; fé !>/"(;/ 193 e Giunte; S, X> -i >
dih'ff. 193.
II uss. : -L. -R conservate; -iW>«; -C>/'; -7", dopo atona, scompare;
dopo tonica, resta. f>e non prcced. dd n o i; «; -S, se effetto di as/tini. coìta
conson. prec, resta; ma anche in questo caso scompare precedendo n [va^no
in fan/, antiq. 'fond'i'i: consenato in a's 'uova'; altrove scomparso-
338, 339.
Condonanti liliali roiiianzc
xov. -t. di r e f,' o 1 a , *d '> dile pio. — S'à -d in alcune voci, per analog'ia
di paradiji^ma, e -d o -t in prestiti dall'italiano; da *//. *-dd-, co)is.-^t,
•d > -f. d: -iti, -nfi>c {-di 2. pi. con^. ; A""'/ per /.y?~ eufeni.) 193, 194;
-n : a) in baritoni, n; h) in ossitoni, h.
rss. I Grniìpi: -in "> in, n; -nn '> n (non h); ''^'"'R '> dileguo, in alcuni es.
metatesi (frdm 'fermo' ecc.); '^""^ S> conscrrato, mn grò 'grosso' apr/
'dopo', trave' acc. ìmI atiav/s; vw/:/.. faup 'falso', j)up 'polso'; le Mp/rt-
sive sonore '^ sorde; 11 Consonanti semplici: .s intermedio tra / e .*;, dile-
guato in pochi es. ; n l> n ; doj)0 atona, dileguato (ordin dotto i; -m, di
regola "> in; min, un ' nome ' ; -r dileguato in -a r i u, -o r i u , in v è r u,
in sillal>a atona; l cade nel suff. -u 1 u ; v si dilegua meno che nei tre
aggettivi nceu, katiu, via prestiti ree.; t d dileguati 839-345.
Fonotlva Kinlattica.
xov. 97, 196, 197; uss. 357-360.
Fen<»iii<Mii s|><M'i:ili.
Aferesi: wir- > modkn. òr 364; /- scomparso in luìjana sìm. trk.nt., vr.x.
422; aferesi di ma- 2bl e 281 n. 1.
Aplologia: .moukx. zenlùr da zent zintur ' lomljrico ' 385 e Giunte.
.538 Indici. — li. Forme
Prostesi: di l- in nov. lah.^fr ' ansare ' ; di v- in xov. coxt. rcsscr ' essere '
60, 152; di ij- ital. e dial. 424; di r- uss. 307.
Epentesi: nov. stànbi da stabulu; mr, nr > nbr, iidr, »ir > moden.
nibr 864; in nessi di nas. o liquida, uss. 338; in cons. -\- r^ uss. 338; di (,
u, il uss. 310; di w nov. 65 66; angonara per agouara ecc., vkron. valsug.
ecc. 393; cremo.n. tiinzar 878; mookn. ìinzar, lem ib.
Attrazione; nov. prT^da, adr?', f<'rr?'r ' febbraio ' 176. iìitre'g 177 ; piopa
'polpa' "càp 'cappio' copa 'coppia di pani' 177; punòl.-a 179.
Propagginazione: kadrèga nov. 163.
Assimilazione: nov. ihsè'na per i>iz- 173 ; gangola per gondola 174 ;
vernizéi 175 ; bis -|- ^ >• beri 180 ; volg. ninzT/ ' lenzuolo ' per lihzo' 151 ; ar-
zehze'r ^lev arfenzè'ì' ÌQò; vrer -pev vler 'volere' ln9: tHriróìa pev tal- (v.
n. 183); parziale regressiva: valsuc;. btipo 43 1 .
Dissimilazione: nov. laìikl'n ' tela di Nankin ' ; nov. rust. liiminr'r ' no-
minare ' 151 ; NOV. pjole'r plorare, s/ijiirì'r e x p r u r i r e ; senze'ht lucch.
zen^ala; nov. cont. erbol 'albero' 170; nov. vele'n, nov. cont. IcoloDiia,
(lucch. holiimia); nov. rumela ' nocciolo ' ' "animella ' 170; Vizèhz per Vinz-
173: Malgarija, fulffra, Gei t vada, Bljbra 'Barbara', kvac'e'r 175; flanella
> (anela 156; r -r > l -r: nov. cont. litra't, Ungrazfe.'r, Ungerà 'ringhiera'
152; ofmarl'h 152; nov. iibje'r per tribjer 178; sorkadéi ' piccolo solco ',
frabaìà' (dal frane.) e con dileguo fabula' 176; dba per bbii 158; r jier-
duto in ;v.(7, rzg, str in iiiq/g'e.'r, a^da'v, orkesta, l in Vé[(]fer ge/inì'n [pre-
stito?] 189; nm'>n 188. uss. ldr> Id 338; di nas. in liquida e di liq.
in «as. 345. moden. n-n>l-n 364; n-n>l-n 378; An- kiH>(n, tm.
MANTOv. ROMAGN. CARPitì. bo~>(lr 364 u. 1. VALSUG. taranfo ^ tarando 420.
R a f f 0 r z a. m e n t i : nov. Iconfallnu (aat. g u n d f a n o) 148. moden. _/?; > .«/"
364 n. 1.
A 1 1 e n u a mento: mouen, spr- > ftfr- 365 n. 1. ma v. 154; rtl > ri 365 n. 1.
vietatesi: smeiclieln > sìiiìeicìien moden. 379; /'(/ > moden. dj
364 n. 1 ; vexez. faranzo > zaranto 420.
II. — F" o r m e.
Pilliti!!»!!)!, -a (in nomi di mestieri) nov. 100.
-a e e u. -ale, -b u 1 n, -oceu in derivati da canna 'gola' 375-377.
-a n t i a in yen. mariganlia, conuinaiìtia 280.
-e n t i a in ant. moden. argliensia, attuale argoj 'orgoglio' 368.
-?/-'ese', in nomi derivati da toponomi nov. 54.
Indici. — II. Forme 539
-0 1 u .MOD. ecc. gevxola ' iillégria ' 375.
-a t i e u in Nov. marzàdcg ' niarzuolo ', nia'y^àdog ' nia^j^gese ' 60.
-a 1 1 u in MOD. ecc. hnfgùt 372.
-i e e u in xov. skofi'z 'bruciaticcio', ?v'r«i'^ -— *(in)verniccio 59.
-ì e 1 a non -Tela in a u r i e 1 a ecc. 229 n. 3
-/(VI, in *bi(/ir(itto ~-~ >iOD. bii/i/àf o72.
-tu in Tiov. bran'fu' 'l.iravuia' 63.
Scambi di .s u i't'i s s i e conta m i n a z i o ii i : -a e e o per la termi-
nazione -aetu>-a//o in mod. ecc. {a]trasacc 375 385 n. 1; -accio per
-one in nov. o/iiàz, e nnic'r, su sonic'r, ' omaccio ' 57 57 n. e (iiunte; -atica
per -a e a in vicext. ecc. ìiim/f/a 425; -e s, -itis per -e n ■ i n is 321;
Iculu uculu per Tculu -i t u 1 u in nov. k((v['c. cont. kan'ic 89.
fni'l, arri'l su badi'l bari'l (T 1 I u) e vie; *« per -il'o, -lo; ni per -il'o,
■Uin per -''nìe. aza ]ier -ecco 90.
l'rclìssi: bis "^ ber nov. 110; Prefisso def!- nov. desfjc'r 'sgonfiare' 178.
S e a m b i o di pre per jjro nov. 122.
Articolo. Art. e on e r e sci u t o : nov. Idiis ' ansamento ' 66; lisies 'lo stesso'
55; leska 'esca' 58; thknt. ìilppn 'upupa' 408; moukn. ant. Ze/^rt 373; con
II- per /- ANT. MODKN. iiKsdiizK ccc. 380 381 e 381 n. 1.
A f e r e t i e 0 per l'illusione d'articolo: nov. oìtbn'f ' lombrico '
55; jàd'ja 'lugliatica' 60 valsig. orcio cet. 277: .s- aferetico in l'Riri.. lis
(s) Aganis 414.
XoiiK'. C a m b i a m e n t o di genere: nov. dgàiìta ' tegame ' 66 ; stropa
59; kòtmu e o 1 1 u m u 61 ; falò 'faggio' 57 : vincfer ' minestra' 58 ; modkn.
heria 370.
-a analogico, per e in s o s t. fé m ni. : nov. fiàro ' scure ' 56.
Analogia di lu. su f. nov. 90; di s i n g. sul p 1 u r. xov. /;^'rf)fra ' barba-
bietola' su bedrcvi 130. rss. grii 'grillo', card 'capelli' 13. — Ca mbiam.
di declinazione: nov. s o r i c u. vex. m a t r i c a. — No m. s i n g. :
sor ' suora ' nov.: valsoax. >ìon V) ' nome ' 344 n. 1. — Casi obliqui
LAT. voLG. core, fé le. mele v. Giunte a p. 63. — P 1 u r. femm.
in -/ dai nomi ed agg. in -a nov. 101. — P e m ni. p 1 u r. d e 11 ' a r t i e,
pron., n u m. : uss. l' cons.-, //' voc- ecc. 357 358.
Pronomi. Pron. person. uss. 1" p. i. i 329 n. 4; i>akm. mi, ti, modkn.
Die e tè, REGG. me e ine té, xov. me e ti 64 n. 1 ; te te nov. kust., ti
' id. ' NOV. RUST. e UKiJ. ; mi nella frase Yè un mi si, mi no nov. antiq.
62; ti ' tu. te' t i b i xov. 64; mcg, ieg, seg nov. ' meco ' ' teco ' ' seco ' 54;
Z'^ pers. uss. ni, ni; vu e ro ' voi ' nov. 64. — Pronomi |) ossessi vi:
540 Indici. — II. Forme
xov. tua sUa, toa iova, tui sui 65; mw sing. e plur. maseh. (letter.) 63;
uss. muh, tiih, sun 357. — Pronome pleonastico -lo nov. 103.
— Dimostrativi, uss. -l > -l, -u 357. — Particelle prono-
minali: loro trattamento in fonetica sintattica, xov. Ili 112 113 114
197 293 n. 2.
Sfuniorali. xov. trentedùf ecc. da trenV e dù 130; nov. do 'due' femmin.
65; uss. doe proclitico 309 n. 3; tre 'tre' femmin. \ov. 65. — Prestiti,
frequenti nei numerali v. Giunte p. 120; uss. kaf 'quattro' 293 n.
Verbi. Suff. -occare 375.
Presente indicativo. Analogie di rizotoniche su rizatone : nov.
86 115 118 120 122 125 127; anal. recipr. di kred ved hev e kreder ecc.
87; anal. di consonanti: nód, ntìd ecc, (con -dì .su altre forme con -d- 193;
peka per beka 'becca', su j^kèr 149; armàne'r su armah 170 {inkanfr
su kana) 170; té fa t a e e a t, ìu/a 1 u e e a t, pjèfa p 1 a e e a t suH'inf. ecc.
183; NOV. v''g, stn.g, tràg analogici su fàg e dig 82; dì dicis 165; nov.
analogia d'indie, pres. 1 plur. sul cong. esortativo 81 e Giunte; su sumus
81; uss. 3 sg. -a t > e 292 n. — uss. Progress, d'acc. in verbi, d'indole
analogica 351 e 351 n. 4. Forme analogiche di 1" sulla 3* persona:
uss. 227 n. 2; analogia di 1" sulla 2" e 3'"' e non viceversa 299, 3 n. 3;
anal. di ton. sulle atone 314 n. 3; est: sue alterazioni fonetiche e
analogiche in fonetica sintattica, 359 360; 3 pi. ind. pres.: progres-
sione d'acc. in formule interrogative 352. — C o n g i u n t. 2. pi. in
-di NOV. 194; fàga ecc. su diga 164. — Imperfetto: nov. anal. d'iraperf.
di P su quella di 2"" 81; 1. e 2. pi. propaross. sull'analogia delle altre
forme 87 90 146; 2 plur. dell'imperf. (ind. e cong.) e dell'aor. in -i 102.
— Perfetti: nov. tòs, vos 'tolsi, volsi' 188. — Futuro: Noy. badrd
acc. a hadarà su vedrà 130. — Infiniti: nov. Inf. in è' re '^ -ere 146;
viver su vìv 90. — u.ss. caduta dell'r 357. — Participi: nov. Participi
(e gerundi) di l'' rifatti su quelli di 2* 81 82; Partic. sul perf. nov. dU,
niis 87 ; Forma debole per forma forte : df metjf acc. a di_s mi_s ' detto
messo ' ib.; {a)rkjót part. di {a)rkojer 109 — uss. Analogia dei participi in
•ùta su quelli in -ita 311. — napol. divertite per dirertente.
Avverbi, nov. sover 'sopra' 56; sot e sota 'sotto' 19. — Avverbi in -a
NOV. 100; — atque sic, iniamó, quo modo est, ad p a s s u m
est, ad V i e i n u, hinque cet. : v. Lessico.
Elsclamazioiii. nov. 62, 63, 98, 144, 146. uss. 811.
Indici. — III. Lessico
541
III.
Lessico.
abbakkip, bakìcip lucch. ecc.. v. o v a-
c u 1 u .
abitar valsiij^., 'frequentare, praticare'
< letter. abitare, v. friul. beta'.
*a e 0 n e, veron. angonara (e siui.) " i,ni-
Sliata' 393 iV. però voi. XYIII).
a d-p a .s s n me s t (V), nov. rus^t. antiq.
(1 jmsé "poco lontano, poco fa' 62.
a d - V i e i n u, nov. arfi'h 118.
a fì/aroj valsng., v. h'L\<irìij.
aiyoìa Ap. emil.. v. .s. aquila.
ago'z trent. ' avvoltoio ". v. a quii a.
aguej rover., v. sotto a q n i 1 e u.
*agiiia, agoin mod. ant., v. s. aquila.
a li 0 r a uss. o'ra, urei' 349 350.
aksé nov., v. s. atque sic 130.
a la fé nov. antiq. ' atte ' 62.
aliHor -aioà.. v. sotto annu e Giunte.
angonara veron. sim. ' gugliata ', v.
*acone.
annu nioden. rust. aliiiq'r ' grido che
s'ode quando si brucia l'anno vec-
chio ' 364.
«H!-r/ nov. ' nipote ' 55 òSj, (per anvó).
a p e ant. niod. av (àv), avitta; in suo
luogo ora bega da beg col genere di
ape; parmig. vrespa; derivazioni con
suffissi ed altre denominaz. in vari
dialetti 370.
appietto lucch. e sim. 177, 177 n. 2.
aquila trent. ago'z ' avvoltoio ' 392.
aquila, moden. attuale aqniìa, ant.
*agiiia: Ap. emil. agoìa, n. 1. Ap.
Agolnre, ant. moden. agoi'n, aguini,
agtiglini 'aquilino (moneta)' 364.
"a q u i 1 e u "> valsug. arego , rover.
agile' j 41S.
ant. moden. araniir, v. brani.
aì'bott e simm., v. reboto.
arskoder nov., v. r e e s e u t e r e.
arrè's nov. ' r e v e r s u ' (per \'p) 87.
arruU skararii'lt nov. (per Vii) 79.
a/iol cinil. 'tafano' ; moden. aver Vofiol
' essere irrequieto ' ^ ant. moden.
afiól 'ragazzo irrequieto'; cfr. moden.
attarana 368.
*a s t e 1 1 a > trent. stade'l ' piolo re-
golo ', valsug. stavigi da ktade'l -\-
avego ' pernio ' 418 (V. voi. XVlll).
atque sic nov. aksié 130.
a trattare simm. ant. moden. ecc., v.
in t r a n s a e t u.
attarana {taràn ' tafano ') moden. 368.
a u t u m n u 235 ii. 6.
av (av) mod. ant. v. s. a yi e.
ave'go valsug , v. s. aquile u.
aritta mod. ant., v. sotto a p e.
bacchari , valsug. Tezze bakdr ' an-
sare ' 395.
baccello e sim. ' sciocco ', di origine
oscena 895 n.
b a d i u >• tose, ba^eo ' verdastro ',
ba.i;esco 'bassotto', ba'-otto trent.
balot 'bazzotto ecc.': valsug. bac/o
' mezzo asciutto, sim. ', bactqto; tose.
baiigf/ia 284.
bainco lucch., v. bgt.
baiulu trent. barjlo 'arnese di le-
gno arcuato per portar due secchie
642
liiilici. — III. Lessico
od altro alle estremità' <C lat. b a-
iùlu; deriv. bagilom, hai^ilg'in, o'n
273 ; — nov. 'bà:{ol 109.
baiulu, con esso non valsug. a pi-
farole 396.
baiulu, V. hi\aruj.
hakar valsug., v. b a e e b a r i 396.
hàler ' ballotte, castagne lesse ' nov. 60.
bacfo, hadoto valsug., v. b a d i u.
baiàna nov. ' pelle di castrato con-
ciata ' 66.
6rtì;itrent. ' fagiolini già quasi maturi \
cfr. ballotto 396, 284.
bà-iilo, ba~Jlo'in, -g'n trent., v. ba-
iulu.
bà^ol nov., V. baiulu.
baigt trent., v. b a d i u.
bai^ieo, ballesco, ballotto tose. v. b a-
d i u.
baiigffia tose, v. b a d i u.
bang a gemi, 'anello' 376 n. 1.
begra nov. 'fanghiglia' 61.
beta friul., v. valsug. abitar.
bega moden. da ' baco '-{- ape 370
Befana; base pifània: Ap. emil.
Buffana, engad. Boagna ; base p i-
fania: prov. Brefania, ant. loren.
Bruvenie: > prov. bronfounié bré-
foHiiié, boufanié, grifounié ' bruit de
la tempéte ' 361.
Boagna engad., v. Befana.
Brefania prov., v. Befana.
bronfounié prov. ecc. Befana.
Bruvenie ant. loren., v. Befana.
Buffami Ap. emil., v. Befana.
biiaruj levent., lorab. 'cinghie della
gerla'; cfr. valsug. pfargj (a) 'a
cavalluccio ', non da baiulu 275.
bicollo ital., V. bigg'lo.
b i e 0 1 1 u , V. bigg'lo.
b i g a u 1 u non >• bigg'lo 275.
bigg'lo venez. (trent.) (signif. == baiilo)
< mlat. bicollum, e questo da
mlat. collus ' urceus bibendi vel na-
pus ', conservato in trent. kgl de ukua
'bigoncia' o sim.; ital. less. bicollo
(signif. = bd'ilo, v.) 273 seg.
bgi nov. ' malazzati ' lucch. bainco 109.
bledcg nov. ' solletico ' 61.
b 1 a s t i m a r e nov. bjastmè'r.
boàza nov. 'sterco di bove' 57.
bg'fo valsug. ' cavo ' e ' gonfio ', v.
431 n. 2.
boga dal nès nov. ' narice ' 55.
bokro'l nov., v. b u e e a r i o 1 u.
bolin nov. < balin -\- boca 110.
borda moden. 'larva, Befana', milan.
bordve ' Orco befana ', Apen. bologn.
borda 'donnola, spauracchio di bimbi'
ecc.; lomb. borda 'maschera' ant.
moden. scaraborda ' paura ' ; — milan.
bordoc ' baco da seta ', tic. bardana
' lombrico ', bologn. burdigàn ' mo-
sconi'; — piacent. bordlein 'ragaz-
zetto ' (diavoletto), pi.st. rust. bor-
dello ' id. ', romagn. bordel ' id. '; —
tose, bordello ' lupanare ', venez. bor-
del 'chiasso (strepito)' 311.
bordel romagn., v. borda.
bordello ital., v. borda.
bordlein piacent., v. borda.
bordoc milan., v. borda.
bordce milan., v. borda.
bordiinól, burdunal bergam., v. burdu.
boiiso, -e prov. fr., piem. busa 'sterco';
-[- suff. -ico, icco; bousic 'ver de
terre ', piem. buseca 'interiora' ; prov.
bousige ' grufolare (del porco), bou-
sigadou ' groin de porc'; ital. sett.
bu/igar 2> tose, bucicare, bugicare,
bugigattolo; -{- suflf. atto:vaoàen., ferr.
ecc. bofgàt sim. ' porco ' 372.
Indici.
III. Lessico
Ò48
boiisic prov., V. bonso.
boHsigd prov., v. boitsu.
boìi^igadoii prov , v. botiso.
bofè'r nov. ' burro ' 55.
botalo ven. ecc. ' chiocciola ' da bove
430 0 da bóvo (valsug.) ' cavo, vuoto
nell'interno ' 431 n.
brentóla trent. sigiiif. == bacilo, bigolo.
b r e v i s >•? nov. /brcrcd ' di poca con-
sistenza ', versici, fbrécilc e fbri;>ito
60 e 60 n. 2.
byòk nov. ' ronzino ' 59.
hrijka nov. 'brocca' (vaso"* e 'ramo
d'albero ' 59.
buona, buanel lass. , fiamni. boanòl.
bidijol 'chiocciola' 428.
b u e e a r i 0 1 u bokro l ' beccuccio ' nov.
bitcicare, bulicare tose, v. bonso.
bugigattolo tose, v. boicio.
bunjul fass., v. bitana.
buonalana ital. non ancora conosciuto
dalla Crusca 265.
burdaca ticin., v; borda,
bitrdighn bologn., v. ìjorda.
burdnul ant. moden., v. bnrdu.
hurdu ' asino ' > ant. mod. burdnul
' trave '; bergam. bordunal, burdtniàl
' ahiri ' ecc. 372.
biqye'ra vaL«ug. ' chiocciolala ' 48.
bwpo valsug. '^chiocciola' 431.
busol nov. 'bossolo' (per \'u) 79.
bufa piem., v. bouso.
bufeca piem., v. bou-^o.
bu/gat mod. ferr., v. bouao.
bu/igar ital. sctt., v. bonso.
bu^triga nov. 'lavoricchia' 115.
brinel moden. ' imbuto ' recente 379.
b y s s i n 0 s gr., v. risciola.
canestro tose, v. cesta.
e a n g e 1 1 a r i u per cane-, nov.
kanilè'r 173.
canna ' gola ' -f- sult'. -occare: ant.
mod. incanocciir ' mangiare avida-
mente'; -|- sufi', -all', -buia, -acca:
naji. kannale ecc. ' collare ', o ' col-
lana ' 375 n. 1.
capiti a r i a nones kjavozara, kjàu-
zaja 'ciglio di un fondo'; ^c a p i-
t i a 1 i a trent. karezaia e sim. e a •
p i t a n e a venez. careagna e sim.
404, nov. kavdàna 159.
ca])oticu (-pp-) nov. luipòleg 'grosso'
moden. capòilig 61.
*c a r a b i e u 1 u non etimo di grò-
viglia.
cassu nov. kns (detto di ravanel-
li) 57.-
cattn ven. regata sim., valsug. pa-
gata r 413.
cavajno ital. (less.) mont. pist., Inceli,
mont. XIV; origine settentr. di ca-
ragno e cavagna XV.
cavadura nov. v. e 1 a v a t u r a.
ceragia lucch., v. ciliegia.
cerchiale lucch., v. correggiato.
' cercine ' lucch. cei cino, corallo, succa-
poro XVII.
cerino lucch. ' torcetto ' XVII.
cessone lucch. 'ficcanaso' X\MI.
cessi lucch. ' segreti ' XVII.
cesta. Ricchezza e precisione di ter-
mini del toscano ]^er questi arnesi
{paniere, /laniera, corbello, corbella,
canestro, corba, catino) XII seg. Di-
verso 0 impreciso significato di pa-
niere fuor di Toscana e nel linguaggio
letterario di fonte non toscana: l^ol.
panirèin ' cestino ' (da bimbi), ' cor-
bello'; paniere 'cesta' in Gherar-
dini ecc. Termini dialettali : boi. ecc.
544
Indici.
III. Lessico
kordg, lioriìga; piem. ecc. havan, /ca-
vana, kavano, kavano.
Céfer e cF/a nov. 86.
chiavatura alucch., v. eia v a t u r a.
'ciliegia' lucch. ceragia XVII.
cinquantare: mod. 'vagabondare'; rie.
Val di \òì:G\\i'<\pinknant(ir 'brigare'
sim., venez. cinquaìitar ' ciarlare '
276.
cinta uss. ' cantare ' (per 1'/) 302 n.
cirant frinì., v. sarmito.
e I a V a t 'i r a alucch. chiaiatitra ' ser-
ratura', nov. cavadura ' id. ' 156.
e 1 e t a uss. kia ' sorta di siepe ' 227
227 n. 2.
e 0 e h 1 e a 427.
*c 0 e u 1 i a triest. kaggìa istr. kagi'ija
hìujHJa (capod. kogola) 432.
<5 0 d i e e nov. skodfa ' assicella o
stecca del ventaglio ' 61 e n. 2.
e 0 1 1 u s, V. bipolo.
corbella, v. cesta.
corbellare eufemismo 395 n.
corbello ital., v. cesta.
e 0 r b i s, V. garbili.
e 0 r 0 1 1 i u m {koqoààIov) moden. cròi
'cercine ' 878.
corolla lucch., v. cercine.
' correggiato ' lucch. cerchiale XVII.
covelle, V. kvel.
e r e p a e u 1 a nov. skervàca crepaccio
nel terreno 55.
■d e e e m (uss.) 237 n. 3.
*delapsus, oris valsug. veron.
e's'ar in delatore ' esser rovinato
ecc.' 400.
f's'ar in delas'ore. veron. valsug.. v.
*d elapsus e Giunte a p. 400.
distru't nov. ' strutto ' 59 < ' strutto' +
' distrutto '.
' divertente ' nap. divertite,
domila nov. ecc. (per Vi) 90.
e r V i 1 i a : 1. nomi di pianta 423 ; 2.
parole indicanti ' aggrovigliamento '
423 424 425 e Giunte.
esclwìiier afr. ' cordonnier ". v. scofones.
faup uss. Piazz. 'falso' (per/) 341 n. 1.
f e t a uss. faià, plur. fé 227 227 n. 2.
' ficcanaso ' lucch. cessone XVII.
fi^tel uss. ' fi a g e 1 1 0 ' (per Vce) 240.
forni?' nt nov. (per Vo) 114.
finela uss. ecc. (per m) 384 n. 2.
fór uss. (per Vg) semiatono 241 n. 5
292 n. 2.
forsìt (sua estensione) 332 n. 3.
f r a g i u m nov. fra.-è'r ' combaciare '
183.
fra-e'r nov.. v. fragium.
fìignza nov. (per Va), v. Giunte a
pag. 123.
furmià uss. 300 n. 3.
g a h a g i u m, g a g i u m longob., non
>■ venez. gn/'o 276 seg.
gavagna ital. rust. XV.
ganiéro valsug. = letamaio 402.
garbin uss. (per gorbin) < e o r b i s
(per l'ar) 300.
gher;ola ant. moden. 'allegria', vivo
nell'Ap. lìologn. /'garbala 375 375
n. 1.
gos'te'/'a treni, 'agostina' di uva; go-
.s'tarol d'altri frutti 422.
graisi uss. 'grascia' deverbativo di
ingriisd 291 n. 6.
Indici. — UT. Lessico
545
gramnuuìgh moti, ant., v. g' r a in m a-
t i e u s.
g r a m m a t i e u s ant. moden. grant-
ìuadgìi ' irritabile ' pist. gratiuitico
' elegante ' 375 375 n. 2.
gravatalo tas., valsng. rai-dtelo ' slit-
tino ' 434.
grepia uss. (diss. da greipìjA 229 ii. •'>.
grifoiinié prov., v. Befana.
grò uss. 'grande' (per Ys) 340 n. 5.
groe'jo veron. " aggrovigliamento '. val-
sug. itigroigar ' arruffare ' ecc. v.
e r V i 1 i a.
groviglia, aggrovigliare ecc. tose. v.
e r V i 1 i a.
grumisfl uss. (per i conserv.) 308 n. 5.
Il e 1 e i u ni ■ alzaia ' ant. mod. elza
[lelza), Ap. bologn. elza, bologn. ferrar.
llza ' carretta per la neve ' 373 373
n. 1, 2 e Giunte.
*ii i n q u e, *i 1 1 i n q u e (*e e e u-h i n-
q uè) ])rov. enqua, moden. ant. e rust.,
parm. lenka. parm. kenka 377.
hram german. 'hemmeri' ant. moden.
aramir 'captare' 367 n. 1.
incanoccur ant. moden., v. e a n n a.
initiare mantov. nizzàr, cremon.
ninzar, moden. Z/w2r«V tagliare; ant.
lenz ' incominciato ad esser rotto '
378; nov. linzè'r 111.
integru"! -ariu 294 n. 2.
in t r a n s a e t u (con suff. -acca) ant.
moden. («) trasacc, bologn. a ter/ah
romagn. a tar/ak, ferrar, id. a tarjdk
e a trasàk 385 385 n. 1.
in',amó nov. rust. già. 63.
jabó nov. antiq. e volg. ' ohibò ' 63.
Archivio glottol. ital., .WII.
•/.uyyaP-oii , moden. *s ganga j (dal
plur. V. Giunte) > fgangaiol 383.
kagoja triest. ' chiocciola ' v. *e n -
culi a.
kagiija istr., v. *c 0 e u 1 i a.
kalìl'cni tre ut., v. karaj'a.
kamerel trent. 'bottino', 403.
kanavìi'l nov. per kaitvu'l <i*/,an(i/>i'(l<'
+ A-'7y,rt 129.
kaimalc na|)., v. e a n n a.
kapòleg nov., v. e a p o t i e u-
karaj'a valsug. tront. kalH:^e»t, karilie»!
rover. skarau~em 403, 404. 404 n.
karlo'l nov. ' garzolo ' 55, 148.
kas, v. e a s s u.
kat uss. ' quattro ' prestito 293 n.
kavah piem., v. cesta.
kia uss., V. e 1 e t a.
kjàuzaja nones 'ciglio di un fondo'
kj ava zar a sim. v. e a p i t i a r i a sim.
kógola istr. 'chiocciola' v. *coculia.
kql trent., v. bigqlo.
komé nov. quomodo est 63.
k()r uss. cuore (per l'ò) 241 n. 5.
kordg ])o\., nov. hjreg e kòrga, v. cesta.
kornqlo valsug., vicent. ' chiocciola '.
kor/ih nov. ' cuore del cavolo ' 130.
kuara veron. ' brania ' piac. quùdur
' aiuola ' ecc., v. q u a d r a.
kuguja istr. ' chiocciola', v. co culi a.
kuprd'l nov. per knparql 130.
kvel nov., ant. ital. ' covelle ' 58.
1 a e u n a, non >• trent. ìiina 407.
1 e f f u r aated., veron. f'ianfrar ' di-
vorare ' 419.
ìeii *levia uss. ' slitta ' (per (0 328.
lenz moden., v. i n i t i a r e.
1 e g e r e nov. rust. le;er ' scegliere '
60.
36
546
Indici. — III. Lessico
linzfir raoil., v. i n i t i a r e.
li}}a valsug., V. lomb. lipoh.
lipe ant. frane, frane. li/>pe, lip]}ée, v.
lomb. lipón.
lipóh lomb. ' pigro, tardo ', valsug.
h'pa ' fannullone ' > ant. ted. lippa
--ant. fr. lipe frano, lippe, lippée;
cfr. trent. f'iipja, ^'lipjg'm ' lernia
sim. \/'Hpjàr 'mangiucchiare' 277.
1 i p p a ant. ted., v. lipoh.
1 0 1 i u , nov. a]loJ<fr ' render ottuso '
(per una credenza popolare) J51.
lo re' l treni., v. 1 ù r a.
loréta venez., v. 1 n r a.
lorq'to veron., v. 1 ù r a.
*1 u l'e s e ' lugliola ' (uva) > trent.
ne'/' a ; altre denomin. venete 422.
] u r a ven. trent. parm. ecc. Iq'ra 'pe-
vera ', da 1 ù r a ' orifizio di sacco '
ecc., non da ùter; derivati: val-
sug. ore'lo, giudic. urèi, nònes ovel,
trent. lore'l, veron. ìorg'fo, venez.
loréta 211 seg.
lu'ljaìia, lìiljana veron. (uva) 422.
luna trent. ' parte scema dell'uovo ' da
1 u n a, non da lacuna 407.
lilsia' uss. ' lisciva '. (per v) 330 n. 3.
m a i 0 r, v. merigo.
mah'sipar veron., ' sciupare ' da desi-
par ' id. ' -|- man (?) 408.
*mar- 'sasso, sim.' bergani. ìnaron
'macigno, sim.'; trent. margna 'ma-
cia ', ver. ' muro a secco ', giud. nia-
rq'nya ' mucchio di sassi ', Marognc
(top); ivQiìi. f'mnronà 'malandato,
anche in salute ' triest. morona.
venez. marogna ' scoria, sim. ', ant.
trevis. maruogua 'scoria ecc.'; —
trie.st. maroka ciarpame, trent. ma-
ro'k ' sasso, babbeo ', giudic. marok
' sasso ', fmaroccarse ' gettarsi sassi ';
topon. trent. Marg'k, Maroche; piem.,
lomb., emil., romagn. maroka ' ma-
rame'; ver. ' id. e infreddatura'
286 e Giunte a p. 247.
mara, mahr germ. , illir. mara
> ven. /'mura ' incubo ', ' uggia ' ;
tìiarantegn, marameo 283.
maramèo, v. mar a.
marantega ven., v. m a r a.
marela venez., v. meta.
marelo valsug., v. meta.
marende'l fiammaz. 'mucchio di fieno',
cfr. mare'lo p. 409.
ma riga, -o, marigola ven., v. ma-
tri e a.
marona, marg'k trent., v. *m a r- .586.
margka lomb., v. *m a r.
maroka piem., v. *mar-.
margka emil., v. mar.
marun bergam., v. *m a r- 286.
margna veron., v. *m a r 286.
marogna venez., v. *mar. 286.
marg'nya, margk, fmarokarse giudic,
V. *m a r- 286.
marriibiu non etimo di ven. ma-
rubjo ' burbero ' cfr. valsug. maruhjo
'ruvido' 281.
maruhjo ven., v. m a r r u b i u.
maruogna trevis. ant., v. *m a r- 286.
maruhjo valsug., v. m a r r u b i u.
manvjan germ., ferr. manrar, ant.
moden. amanvur, letterarizzato ama-
novàr 366 366 n. 2.
*m a t r T e a per m a t r i e e !> valsug.
ant. Mudricha ' giurisdizione rego-
lare', ven. marlga 'sindaco'; deri-
vati : marigola (non viceversa), doc.
mediev. trent. marìgantia ' ammiui-
Indici. — III. Lessico 54*7
strazione del i-omuiie ". — mari- >iìn:cn- crem., v. i ii i t i a r e.
cus (in carte di Treviso ecc.). ven. «/—///• niantov., v. i n i t i a r e.
ntaritjo 279 seg. e Giunto s. mari- nocet nov. iwj 55.
e u s. nuda (per Vu), v. Giunte a png. 123.
vKiffo. sua geojjrafia 410 e v. m e t (t)
ni a t.
, . , • , o)iì''r nov. dispre". di ' uomo ' su so-
ui a t u r 1 0 r et miti or, moden. /»rt- ' .
, ofio " """'■ ' «omaro ', v. (iiiinte a p. 90 n.
dìtr ììczz o9b. . '
.,• ohbriiiol nov. *u m li i 1 i e u I u 61.
m e n s u, v. taumcij.
i' V , opilai; valsufj. v. o i) p i 1 a r e.
inerujo veu.. -a cursore d un com. ^ > n < i
^' . /^ • , , • . oppi la re > valsug. opildr ' oiMìri-
> lìiai/rifDs ( > m a i 0 r -(- m a t r i e a) ' ' ni i i
mere sim. ' 412.
ore'l nòne.s, v. I ù r a.
orelo vaisug., v. 1 vi r a.
0 V a e u I u > lucci), ahhakkip, halckip
ecc. 390.
411 412.
ììicìiin i'riul., v. mota.
inertedi' nov. (per Ve), v. Giunte a
p. 120.
mèta non > friul. nurìiii ■mucchio
di fieno 0 strame ecc.'; cfr. venez.
marela, valsug. mare'lo ' id. ', vela panicrr ital., v. cesta.
con aforesi 281. panii'iii IpoL, v. cesta,
ni e t i u s italico rust. (ant. celt. >noHh pal])etra 237 n. 1.
'tener') ital. mezzo 378 n. parpejra <C parpeila -(- pai-pera Val
base celt. -ital. sett. met(t) mat > Soana 237 n. ].
matto 411 nòta. pàs nov. 'appassito' 57.
miliu. modon. miarcna ' acqueru- jìatàja nov. 'lembo interiore della ca-
giola ' (anticp); ital. mit/liaroìa, )i>i- micia' 57.
gliarini 'pallini' >■ modem, miglia- papyrum nov. ^wrp/T< ' sala' (pianta
rena 'id. ' 379. palustre) 55.
min uss. 'mio' (per 1'/) 238 n. 3. perticarium. romagn. pardghìr
niist us^■. "maestro' (atono) 313 n.l. 'aratro' 375 e Giunte.
>«//c7(é'« moden. antiq simm.. v. sm ei- pczuoi abellun. ' ccci ' 412.
cheln. pezznli ven. ' ceci ' 412.
mìlna nov. 'parlar melHfuo' 109. picii'd friul. 'ceci' 412.
morona. niaroka triost., v. *m a r 286. p i n e a. moden. rust. pe'na 'mucchio
inufc nov. 'spuntato', lomb. moìk- 79. di paglia', ant. pnon 'mucchio di
maka nov. ' vacca ' e * stufa ' 79. covoni '. engad. berg. pina, ital. pi-
maiiger e moiiger nov. ' liirichino '. 79. naila 381.
niìi'ilra e mostra nov. 79. pe'na mod. rust., v. pine a.
pina engad. berg., v. j) i n e a.
pinatta ital.. v. p i n e a.
nàdra nov. 'anitra' 85 e Giunte. piz trent. ' polpa ', /j/Voi ' cece ', triest.
nh/ar nov. 'nero' 88 (per 1"/). piziol nònes j)/^"^ '/, ' cece ' ecc. 412.
Archivio glottol. ital., XVII. 36*
548
Indici. — III. Lessico
piziól triest. ' cece ' 412.
pizoli ant. ver. ' ceci ' 412.
jnzol trent. ' cece ' 412.
piziie'l nònes ' cece ' 412.
pìik nov. ' colpo dato di -scatto con le
dita', regg. krik ' id. ' (onomatopee)
155.
pnon mod. ant., v. pine a.
pgleg nov., mod. pòles 'perno'; pglga
(femm.) 'ramo novello dell'annata'
61.
jìòles moden., v. pgleg.
piiàza nov. ' uccello di molte penne '
109.
*p retiare ant. moden. prizzar ' cer-
care avidamente ' 382.
prizzar ant. moden., v. p r e t i a r e.
Profundu, spesso letterario 331 n. 1.
pumol nov. (per Vu) 79.
puntactione punta/o n nov. 'te-
nesmo, spinta ' 183.
punta/ò'h nov., v. punctatione.
pup uss. Piazz. ' polso ' (per/) 341 n. 1.
*q u a d r a veron. kuara ' brania ' ,
piac. quàdar di' ort ecc. e sim. 406 n.
q u 0 m 0 d 0 est nov. koiné 62.
*ragulare, v. rages.
rdges trent. ' grande schiamazzo ; rust.
ragos' ' brontolone ', milan. raggd<i
*r a g u 1 a r e 413.
raggd milan., v. rdges.
raskè'r nov., v. r a s i e a r e.
*rasicare nov. raskè'r 'raschiare'
179.
reboto ital. seti {*rebotto) 'forte di
scarpa', lussinp. ribota, friul. ribott,
bologn. arbót; ferrar, arbóta 'toppa'.
parmig. arbott ' scarpa rattacconata ',
arbotear ' rattacconare ', moden. ar-
butin 367 367 n. 2.
*r e - e X s e u t e r e nov. arskoder ' detto
delle ova che si fanno covare per-
ché ne esca il pulcino ' 61.
regata ven. ecc. sim., v. e a 1 1 u.
vela valsug., v. meta.
*r e s e e a nov. re/ga ' sega ' 60.
re/ga nov., v. reseca.
ringavagnare ital. (dant.), sua oblitera-
zione XVI segg.
ro/epila. rofi^pola nov. •< rofa -\- erefi-
pela 127.
rovigliare tose. ' svoltolare ', veron.
rovejar ' arruffare sim. ', rovejg'to
' grovigliolo ' ecc., v. e r v i 1 i a.
sugane friul. ' maga, strega ' <C s a-
g a n a 4~ a q u a n a 283 ; Aganis (da
lis {S)aganis) Sdnas 413 414.
s'aranto ven., friul. cirant ' verdone '
da taranzo per metat. e non vice-
versa 421.
fberlanza nov. ' altalena' da bilanza
-^fhurte'r, v. Giunte a p. 183.
fbjàvid nov. ' sbiadito ', a. ital. biavo e
biado 60.
fbreved nov., v. brevi s.
fbre'vile, fbre'vito versigl., v. brevis.
scalfÌH lomb. da s e a f - -j- calza 474.
scaraborda ant. mod.^ v. borda.
scijol nov. ' zufolo, fischio ' (per l'i) 78.
s e 0 f 0 n e s (s e o f f o n e s) mlat., pie-
vepel. sk.HÓn, Ap. emil. skuncin ' cal-
zerotto'; afr. eschoJiier, escolierie sim.
474.
s'cof tìammaz. ' chiocciola ' (richiesta
base con ò) 426 427.
' segreti ' (sost.), lucch. cessi {= recessi).-
XVII.
Indici.
III. Lessico
.^49
s'è lega venez. ' passero ' e simm. 41(3.
sciHìia uss. (per ìim) 334 n. 2.
sei- nov. 'siero' (per 1'.?) 86.
a'ef'la trent. ' balestruccio ', 'xc/'lom
' roiuIoiK' ' da s'e/'la ' falcino '. Forse
la stes.sa origine à il venez. s'i/ila
414 seg.
sera e rfra nov. ' apri '. Analogia re-
ciproca 86.
sess, mod. v. s k e i t a n.
fgabiiff inodeu. ant. ' manrovescio ' ■<
ì>iiff (ital. buffetto) -f- sgainaitotiar
' percuotere con vincastro ' 383 seg.
fgangaiol moden., v. '/.dyy^aÀog.
si aksi', nov. acc. a se aksé (per Vi) 89.
sidjàr[e) ven. ' seccare ecc. ' s'idjo ' sec
catura ecc. ', valsug. sidjà ' spossato,
affranto ', probab. < " assedio ' +
■ accidia ' 417.
sileff moden. ' rottura o taglio sul
volto ' <C siine ' segno di percossa '
+ ?f/f (labbro) 388.
si/Ha venez. ■' rondine ', v. s'ef'la.
skaranzem rover., v. kuraf'n.
skaruga valsug. specie di slittino 434.
skeitan german. ' imbrattare ' moden.
sess ecc. 382.
skervàca nov., v. ere p acuì a.
skod/a nov.. v. codice.
skgka nov. ' cassa del cocchio ' 59.
skuncih Ap. emil. ' calzerotto ' , v.
s e 0 f 0 n e s.
skuón pievepel., v. s e o f o n e s.
flanfriir veron. ' divorare ecc. ' da
1 e ff u r 4" f'iapur ' divorare ' ecc.
419.
_/l7s nov. ' liso ' (per 1'^) 90.
f'iinfjo, flinfja,fninfjo, veron. veron.
trent. f'Umpjo ' smorfioso e sim. '
419.
fui (ir a ven., v. ra a r a.
s m e i eh e 1 n ni. a. ted.: moden. antiq.
mlifhén ' carezze ', mlichen. nilicatt
■ delicatuccio ' 379.
■oiieimi uss. ' semino ' (per la ]irogres-
sione relat. antica) 3.51 n. 4.
fmoUdeg nov. 'viscido' 61.
sHH uss. 'sonno' 220 n. 1.
soiìià'k nov., ital. ' sominacco ' (specie
di cuoio) 07.
s 0 r i e u nov. soreg 168.
sotìx'k nov. ' colpo dato sotto il mento '
57.
sotkopa nov. (sotto coppa) ' vassoio ' 59.
spargiijnr vaoàQ.n. < ' spargere' -\- a r-
vìijdr 384.
spender nov. ' s])andpre ' •< spandere -\-
spendere 83.
spianta poles. ' cosa che sprizza ' ecc.
< s p l e n d e 0 -\- altra base 284.
sjnaniore poles. < splendore +
splendere 284.
sprer nov. 'guardare attraverso le uova
per conoscere se son fresche' 109.
sprok nov. ' stecco ' 59.
stadel tre:it. ' i)ioIo, regolo', v. a-
stella.
stavigi valsug. 'due legni per soste-
nere il carico di carretti '. v. a-
s te Ila 418.
sucraporo Inceli., v. cercine.
SHt-sorer nov. per si)t-s. da su 122.
t a b u 1 a r i u nov. toU'r ' madia ' 82.
turando valsug. qcc. , \. karanto; con d
da taranto per dissimilazione.
tau mei/ uss. mensa "tavolo da for-
naio ' 341.
tee nov. in gras tee 'grasso zepjio '
aret. ' tecchio ' ecc. 58.
tegimen moden. ant tem ecc. 3s4.
550
Indici. — III. Lessico
iem moden. ant., v. te gì m e n.
tolè'i' nov. * madia ' t a b u I a r i u 82.
' torcetto ' lucch. cerino XVII.
trame venez., v. traaien.
*t r a m e n voiiez. trame ' androne ',
vicent. tramene ' striscia di' terreno
ecc. ', Trami ed a. n. 1. 421.
tramene vicent., v. tra m e n.
trìd nov. ' trito ' 55.
tridla nov., v. t r 1 1 u 1 a.
tritula nov. tridla 61.
tubrugus tnbrucus m. lat., germ.
d e 0 b p r 0 h, g'I. Cassel deurus {de-
vrus\ ant. prov. trebuc, a. fr. trebu,
vaiteli, traùch ecc. 473.
turirola nov. *t a b u 1 a r i o 1 a (per
1'/) 130.
pagatàr valsug., v. cattu.
urèi giudic, v. lura.
rallva nov. detto di terra 'di valle ' 55.
*v a 1 1 e s i a n a nov. valf^na ' erba di
valle' 187.
verd nov. (per l'è), v. Giunte a p. 73.
visciola ecc. da aat. w ì h f? e 1 a non
da b v s s i n 0 s ' rosso ' 422.
V 0 e u u s 431 n. 2.
voest uss. (per Vce) 223.
vrespa parmig., v. sotto a p e.
ve nov. per i^e ' vedi ' 87.
w ì h s e l a, aat. v. visciola.
Cognomi monosillabici iu Italia,
V. l'elenco p. 456 segg.
Toponimi.
Ap. erail. Agolare. v. a q u i 1 a 364.
nov. La Barkesa 58.
Nomi loc. ven. da bovolo ' chiocciola ',
' vortice ' 428 427 n. T.
nov. I Brufè' 54.
nov. Fàvreg Fabbrico 60 e 60 n. 1.
trent. Marogne, Margk, Maroche, v.
*m a r- 286.
frinì. Foran des Sànas 414.
frinì. Buse des {s)Aganis 414.
n. 1. in prov. di Modena Stà~a 185.
Trami, v. t r a m e n.
Nomi loc. ven. connessi meglio con
verla ' visciola ' che verla uccello
423.
Note lessicologiche.
Neoformazioni: Nomi, v. Suf- Nomi di frutta 422.
fissi e cfr. Lessico s. boàza, boga, Specializzazioni di signi-
canna, cattu, mllna, pnàza. kg- fi e a t i : v. e 1 e t a, horfin, kame-
gettivi: cfr. Lessico: s. valica, vai- rei, quadra.
yana. Verbi : cfr. Lessico sotto spr^r, Voci sorte per credenze po-
canna. polari, costumanze: v. Less.
Nomi di a n i m a I i : V. Lessico s. s. 1 o 1 i u, a n n u.
ape, borda, bouso, aquila, o v a- T r a s 1 a t i ornitologici i n n o-
culu, chiocciola, sefla, selega. mi di cose 126 n. 1.
Indici.
III. Lessico
551
Appellativi pei- 'sciocco' di
origine oscena 395 n.
E n fé m i s m i 395 n. ; v. munt/ef e
tìiongiT 79.
0 n o ni a t o p e e, v. Less. s. pUh.
Nomi e soprannomi da 'chioc-
ciola' 428 n. 2.
Accorciamenti vezzeggia-
tivi di nomi n. 106.
T r a s 1 a t i diversi:
■ abitare ' > ' frequentare '. ' ])raticare '
273.
'alzaia' > "traino'; 'pei-tica' > 'aratro'
373, ma v. Giunte a p. 378.
nov. ihgus ' schifo ', angustia 59.
' americano ' per ' raro ', di pianta od
altro 410 411.
'deriv. di aquila ' > 'varie specie di
uccelli rapaci diurni ' 392.
' bestia da soma ' > ' oggetto che
porta, sostegno ' 372.
'befana' > 'rumore della tempesta'
V. befana 361.
'Befana'>'spauracchio, maschera, baco
sim., ragazzo, chiasso, lupanare',
baco, estensione del termine a vari
insetti nell'Emilia 370.
ex pian are nov. ftpjaiìc'r l'ihsoni
' avverare il sogno '.
' e r V i 1 i a ' > ' aggrovigliare '.
'chiocciola' e 'lumaca' confuse 425
430 n. 1, 2.
' chiocciola ' > ' spira ', ' vortici ' 428.
' andar a chiocciole ' > ' perder tempo '
429, 426.
'tempo da chiocciole ' > 'tempo pio-
vigginoso ' 429.
bove > bòvolo ecc. ' chiocciola ' 480.
bovolenti (Rovigo) ' vortici dell'Adige '
428.
nov. ingahjaneri'f ' del cielo che s'an-
nuvola' da gabjàn 'balordo' 186.
' gazza ' > ' strida ' sim. 382.
got ' grasso ' (agg.) gluttus nov. 59.
valsug. far galera ' slittare ' 435.
'inedia' > 'noia' e vicev. 417, 418.
levare, nov. alvnrola 'striscia di
cuoio che lega le corna dei buoi al
giogo ' 156 n. 2.
spàiit in l^ijt spfiitf. ' cotto tanto da di-
ventare una pappa ' nov. 66.
nov. karcsfer ' scapestrato ' 58.
"luna' ' jìarte scema dell'uovo' v. Less.
s. luna.
nov. inód \ar7'r al luodì ' aver mezzi ';
mot a mot ' ammodo ' 55.
inatto > ' deficiente, falso ' ecc. 410 n.
* miglio ' > ' aquerugiola ' ' pallini ',
v. less. s. m i 1 i u.
mumji'r ' biascicare ' nov. 186.
molli o : nov. fmoju ' ranno già usato '
182.
navàza ' mestato io ' (dalla forma spe-
ciale) nov. 57.
' p i n e a ' ' mucchio di paglia ' v. less.
8. pine a.
nov. arj'ì'm ' reame ' cosa ritenuta rara
e preziosa da chi la possiede 66.
nome del recipiente > nome dell'og-
getto che lo porta 275.
nov. arfjadfr {rifiatare) > sfiatare (di
tubi e canne) 178 e Giunte a 178 e
a m a r i e u s.
tapfr ' levar via abbondantemente
schegge dal legno per assottigliarlo'
>• 'mangiare abbondantemente' 178.
' sterco ' -|- suft'. > ' interiora ', ' verme ',
' ])orco ', ■ grufolare ' v. s. bufa (bouso)
372.
' toppa ' > ' forte di scarpa ' (tose, e
ital. sett.), V. less. s. r e b o t o.
'tafano' > 'irrequieto, in collera',
V. less s. afiol. ,
552
Iiiilici. — III. Lessico
nov. triiit ' di aspetto soflerente ' 59.
' scuotere ' > ' metter a covare ' v.
less. s. r e - e X s e u t e r e.
nov. simjg't ' nome popolare d'una ma-
lattia dei baniltini nei jirimi mesi di
vita' 186.
nov. vina in senso metaforico ironico
' abitudine che altri prende a pro-
prio comodo e con nostro fastidio '
182.
nov. veder gaz ' leggero strato di ghiac-
cio sulle strade che rende pericoloso
il camminare' 182.
nov. tibjer ' battere il grano ', certo
scherzosamente per il ricoi'do di
tibja (l'osso) v. Giunte, !> ' darsela a
gambe ' 178.
Analogie di parola.
1. Analogie in derivati dalla stessa
base :
nov. pjunt^h per pu»nn su pjuma 155.
nov. skefni'c ' mingherlino ' su skcren
' scarno ' 108.
nov. termir 'tarmare' su ternili 'tarme'
108.
2. Analogie su schemi fonetici:
nov. bote'r ' burro ' sulla serie con iniz.
bo- 124.
nov. dorbèr ' pascer d'erba ' per i piti
comuni iniz. dor- 117.
nov. ece.*desOTes<Ì9, sulla serie con des-.
nov. d/éva ' diceva' per di/éva su vdeva
ecc. 118.
nov. rust. fermaciRfa su fermlr sim. 125.
nov. parole di tipo 'imbriago', sulla
serie con in -^ cons.- 106.
nov. koriqf ' curioso ', sulla serie con
iniz. ko- 124.
nov. incastrar 'incastrare' per carè'r
sim. 173.
nov. luDiàteg (con t per d) sui letterari
stomàtik sim. 167 (cosi parm. sal-
rateg 167 n.).
nov. paìmò'h ' polmoni', sulla serie
con jmI-^ 123.
nov. pikme'r (per 2^'tiner), dalla serie
con km 158.
nov. skerpio'h ' scorpione ', sulla serie
con iniz. sker- 122.
nov. ì-e- cop. in ar per anal. dei re-
scop. 117.
nov. fnester ' storta ' sulla serie degli
fti- legittimi 158.
3. Analogie di parola su singola pa-
rola :
nov. boliln ' pallino ' del giuoco, [anche
' boccino ' Cr.] < *balin -|- boca [boc-
cino] 110.
nov. distrn't ' strutto', -[- ' distrutto ' 59.
nov. e/l'l 'asilo' su e/iji 'esiglio' 108.
nov. farabidà'n, ' parabolano ' -|- ' fa-
rabutto ' 149.
nov. gàvra 'neve gelata a granuli'
< g 1 a e i e s -(- g 1 0 b u 1 u s 1 56.
nov. volg. krihzipi acc. a kininzipi e
prinzipi, ' principio ' + ' comincio '
153.
nov. kanavu'l \)ììy kanviil, -\- kana 129.
nov. numòfla su pantòfla 158.
veron. mans'ipar 'sciupare' da des'ipar
' id. ' + man 408.
ven. nierigo 'cursore', mayricus
+ m a t r i e a 411 412.
nov. meriedi' su merkordi' 125.
valsoan. parpcjra, lìarpeila -\- purpera
237 n. 1.
nov. pertsemen ' prezzemolo ', su seni-
na 169.
Indici.
111. Lessico
5,53
nov. rcKleìa, (/rateila + rete (v. però
11. 164).
nov. ratjajì' ' roco ', su ràsk ' ra-
schio ' (?) 153.
nov. rofi'pija, ro/i'pohi <C 'ro/a [rosolia]
4- ' erefi polii ' 129.
nov. rcrjr>' ' ravioli ' su reni revjnf 108.
frinì, sagana ' )na-ga ', s a g a n a 4-
a q nana 283.
nov. venez. sarak-a da ' salacca ' -f-
• sardella' lti9.
nov. fherlàhza ' altalena' da ' bilancia'
-\- fbiirfèr. V. Giunte a pag. 183.
lonib. scal/in da scaf -\- " calz-.i ' 474.
nov. sera 'serra' e rera ' a])ri ', ana-
logia reciproca 86.
nov. ed sfronlntta. da ' sprone ' -\-
' sfrohbla' 154 ima v. 365 n.).
moden. ani. /(fabiiff 'manrovescio' da
buff ' manrovescio ' + Jìjainaitonar
' percuotere con vincastro ' 383.
venez. siiijdr ecc. v. less., ' assedio '
-|- ' accidia ' 417.
moden. fle/J" rottura, taglio sul .volto '.
.-filar ' segno di percossa ' -f- leff
•labbro' 383.
nov. spender ' spandere ', da ■'spandere
-j- spendere 83.
valsug. stavigi ' stanghe da cairetto '
ecc. < stadel ' piolo ' + are'go ' per-
nio ' 418.
310V. sternà'c acc. a slcerni'c ' mingher-
lino ' fn. 159), su stente' 153.
nov. siU sorer ' sottosopra ', per .swf 122.
nov. vaUjrja ' valanipa ' 'vampa' +
■ baldoria' 174.
nov. veiitè' per lente.' ' allentato ' +
' vento ' [o ' ventre '?] 152.
nov. »ìO rfrda ' guarda un pò ', su
' vedere ' 158.
nov. zirela, *iirellu ' girella ' -\- cidella
150.
regg., piacent. -^o ])er ^^or jugu su
bo ' bove '.
nov. sjìjor/ìtiè'r {con / i)ev 'J su urfinè'r
e sim. 166.
Prestiti frequenti nei n u -
m e rali, v. 349 n.4, Giunto a p.l20.
Prestito germanico dal cel-
tico ritornato in veste g e r-
in a n i e a in F r a, n e i a 470.
Parole dialettali in itali a-
no: caragno xiv, capitagna e care-
dagna 405.
B a s i a. i t a 1 i e h e rustiche, v.
Less. s. m e t i u s. nov. zigì'la, ma-
rola 163.
Basi italiche sett., v. Less. s.
mar, mrft'mat, miikjtnok, piz.
Basi g r e e h e : v. [jPSS. Befana, bla-
sfi»ìare. b/>f?r, bg.'-sino.-i, y.dyy.aÀog,
y.oQoÀÀioì'.
Basi germaniche: v. Less. s. ga-
h a g i u m. h r a ni, 1 i ]) p e. m a n-
V j a n, m a r e, s m e i e h e 1 n, s k e i-
t a n, b a u g a. \v ì h s e 1 a.
Parole f r a n e e.<i e proven-
zali: V. Less. sotto Befana, bouso,
lipón, s e 0 f 0 n e s.
Voci citate da antichi testi
modenesi, 361 362 363 363 n
374 374 n 375 375 n 2 886 387.
Pi i e e h e z z a e precisione 1 e fi-
si e a 1 e toscana in termini
per cesta, v. Less. s. cesta.
Prudenze nelle ricostruzioni
di forme di latino volgare,
v. ("iiunte a m arie u s (v. Lessico)
e a pag. 178 nov. arfjadc'r.
Storpiature di voci dotte
405 406 406 n. 1, 2, 3.
Prestiti con ]) a r t i e o 1 a r e r i-
554
Imlici.
IV. Varia
soluzione fonetica: nov. 58
60 61 62 63 n. 72 78 79 88 84 85
e Giunte, 86 87 88 89 90 91 92 98
94 95 96 97 98 101 107 108 109 105
116 117 118 119 128 e Giunte, 128
130 182 133 134 185 139 142 143'
144 145 150 161 155 156 159 160
161 162 165 166 167 168 169 170
173 175 176 177 178 179 180 182
183 184 185 186 187 1S9 194.
uss. : 222 n. 4, 5 227 n. 2 229 n. 3-
235 n. 6 238 n. 2 244 n. 1 245 n. 1
246 247 247 n. 1 293 n. 4, 7 293
n. 1 296 n. 2, 296 n. 4 297 n. 2
202 n. 2 805 n. 2 314 n. 3 315 327
n. 3 328 n. 2 829 n. 8 880 380 n. 8,
5 882 332 n. 2 388 n.4 834 e 286-7
n. 884 n. 2 3.84 n. 4 837 .887 n. 1,
8 888 n. 2 849 n. 5.
IV.
Varia
Trascrizioni fonetiche. Le modificazioni
apportate al sistema precedente-
mente in uso nell'Archivio consi-
stono in sostituzioni di alcuni
segni e in aggiunte di segni
nuovi. Le sostituzioni furono
determinate da questi motivi: 1. dal
desiderio della coerenza e conse-
guentemente della maggior chia-
rezza (ogni qualità fonetica vuol es-
sere rappresentata sempre da un
solo segno : per es. alla serie e 9 si
e sostituita la serie e n; alla serie,
complicata e, ce, o, u si è sostituita la
serie coerente e semplicissima, u^, ce
oe, ne; e cosi via); 2. dal desiderio di
accostarsi ai sistemi di diacrisi più
comunemente seguiti, per avviarci
ia tal modo all'unità nel sistema di
trascrizione; cosi ad es. alle serie
(• g e y furono sostituiti e tj e g e
ad (> n furono sostituiti eo; 3. dal
desiderio di una maggior precisione
(cosi r/dei nostri antichi [v. Giunte]
rimesso in onore dal Petrocchi fu
sostituito ad sol, perché l'apice è
comunemente inteso come un segno
di palatizzazione). In particolare le
sost'tuzioni apportate sono:
0 per Q
e, 0 per f, o
f' per (e
i, Il per è, u
n' , ae , qe , ce per e, oe , o, ù
h per n
e g, e g per e g, e g
Aggiunte di s e g n i n u o v i :
Pur essendo partigiani della parsi-
monia nell'uso dei segni diacritici
(p. xsxv), alcune aggiunte erano in-
dispensabili; e sono: e (v. p. xxv 4.
n. 2); z e X (perché elementi uni-
tari) ; si è accresciuta la facoltà d'in-
dicare all'occorrenza, in modo coe-
rente, la varia apertura degli ele-
menti vocalici (abbondantissimi nei
nostri dialetti), e di distinguere pre-
Indic-i.
TV. V;iria
555
cisamentc i vari gradi della rattra-
zione 0 palatizzazione [per l rattratto
di 1" grado viene proposto, per ra-
gioni tipografiche, T (v. Quadro si-
nottico p. xxxii)]. — In tutte le pro-
posto di segni nuovi siamo stati
guidati anche da preoccupazioni este-
tiche XXIV 2. n. 1, xxvii.
Qualità fonetiche, che vanno notate
nelle vocali xxiii.
Rappresentazione sinottica del sistema
vocalico XXVI seg.
Rappresentazioni sinottiche delle dif-
ferenze tra la pronunzia presa come
modello e la dialettale xxxv, 43. 45.
Zone d'articolazione e parte della lin-
gua articolante: la divisione degli
elementi fonetici jier ((uesti due ri-
spetti deve essere fatta in modo di-
verso in un sistema generale di fo-
netica e nella descrizione de' dialetti
singoli XXXI.
Quadro sinottico degli elementi fone-
tici XXXII seg.
Analisi di elementi fonetici: 1. o pili
larghi dei toscani esistono in parec-
chi idiomi stranieri e anche in parec-
chi dialetti italiani xxiv. — 2. ' Ve-
larizzazione ',' palatizzazione ' e 'na-
salizzazione ' vanno comprese nella
categoria delle ' alterazioni organi-
che ' ed anno un sistema omogeneo
di diacrisi xxiv. — 3. u{^= ii largo)
rappresenta un ' diverso grado di
apertura ' non una ' velarizzazione '
di H XXIV 2 n. 2; da ciò l'abbandono
del segno i'i. — 4. Anche u disac'
cantato può essere nel Mezzogiorno
musicaim. evanescente xxv 4 n. 1. —
5. L'è velare inglese, e del piem. /■«/<«,
ì' diverso da f^ (evanescente) e da una
specie di a il), n. 2. — G. Fricative
laringee forti e leni in italiano;
xxviii n. 2. 1 nota. — 1. e ij e y,
elementi ra/trafti (o schiacciafi). non
se>nioccIi(sifi XXVIII seg. 3. nota 1
[v. Correz.]. — S. Divisione degli ele-
menti iHntniiitanci. per la ' q ii a l ita
dell' espi razione' in esplodivi e
schiacciati e dei coiitinìti in
spiranti liquidi e nasali /> ii r i e
.s- e II i a e e i a t i xxxiv E. — 9. ^ e ,7
rattratte apicali alveodentali xxx,
xxxii u. 19. — 10. Posizione artico-
lai iva non fissa di e <"/, e ij xxx. —
11. Le "forti' uìipol. sono 'sonore'
xxxiv (e V. Giunte). — 12. ì''"""- con
articolazione palatale (V), uss. 226.
— lo. d (sordo) tedesco merid. in
voci recenti, apereepito come t 148,
153.
Per la storia e la critica della nostra
lingua letteraria contemporanea. —
1. Che un temperato manzonianismo
sia il tipo di lingua letteraria meglio
conforme all'origine e allo sviluppo
storico della lingua nostra p. in seg.,
17 seg.; meriti del D'Ovidio nell'il-
lustrazione di questo concetto iir,
16 seg.; l'origine e l'evoluzione della
nostra lingua letteraria essere più
simili alle condizioni francesi che
alle germaniche ix seg.; essere que-
,sto anche l'elfetto delle condizioni
geografiche e ."-toriche della Toscana
e di Firenze viii seg.; [condizioni
geografiche e storiche che anno con-
tribuito allo stabilirsi del toscano
come lingua letteraria, x n.]; le dif-
ferenze lessicali tra il linguaggio
della, Firenze colta e la lingua let-
teraria ridursi a tjen jKjca cosa xii.
556
Indici.
IV. Varia
— 2. Contro l'ideale manzoniano di
lingua due tendenze si notano nella
nostra letteratura contempor., tra-
scinanti, l'una agli arcaismi, l'altra
ai dialettismi, iv seg. ; raecuniula-
zione di arcaismi come partito stili-
stico per la riproduzione di ambienti
storici antichi essere un alessandri-
nismo, una superflua preziosità, vi ;
essere poi vizioso, contro la natura-
lezza e il buon gusto, l'uso affettato
degli arcaismi anche nelle didascalie
e nelle parti liriche di un'opera
d'arte, ib.; ma le fonti degli ar-
caismi, autori antichi e lessici, non
essere neppure scevre di pericoli
d'errore sia contro la proprietà, sia
contro la purezza, v seg., xvii, xx ;
l'uso dei dialettismi non solo è con-
trario all'indole della nostra lingua
letteraria, ma può dar luogo ad oscu-
rità 0 ad equivoci vii ; il rifuggire
dai dialettismi è un effetto della
-comune diffusa opinione della quasi
pura toscanità della nostra lingua,
XIII seg. ; ma, conforme all'indole e
alla storia della nostra lingua, de-
vono considerarsi dialettismi anche
quelli entrati nelle regioni margi-
nali di Toscana o le differenziazioni
spontanee di queste dalla lingua
antica e toscana centrale xi seg.,
XVII. — ■ 3. Uno studio della lingua
letteraria contemporanea dev'essere
<li necessità analitico ; l'ideale man-
zoniano di lingua vien proposto come
criterio di classificazione e di valuta-
zione dei fatti. Per gli arcaismi do-
versi badare alla purità e alla pro-
prietà, per i dialettismi all'estensione
.loro geografica xviii seg.
Sintesi linguistiche: loro importanza
in ricerche morfologiche e di geo-
grafia dialettale xxxvi seg. — rum.
xtèa-steaii^a ib. e v. Giunte — muglis.
buòna ib.
Dittongazione: uss. tir^uer 225. In-
dizi di ditt. : nov. da ó 56, Giunte a
pag. 56, 245; da a e ó -{- r, l 73 n.;
di ei ié 52 n. 1; uss. da d u 232
239 n. ], ?..
Tendenze fisiologiche dialettali: nov.
45 seg., uss. 217.
Progressione d' accento determinata
dalla maggior pesantezza della to-
nica nov. 146, uss. 350 n.
Regressione linguistica 342 n.
Prudenza nei giudizi intorno alla pro-
pagazione dei fenomeni fonetici 323
n. 1.
Difficoltà di ricostruzioni fonetiche
preistoriche 320.
Oscillazioni di forme ridotte e non ri-
dotte che dipendano dalla varia con-
dizione civile dei parlanti o degli
uditori, da tendenze estetiche o fa-
coltà fisiologiche dei parlanti, Giunte
a p. 160 n.
Discorso lento, uss. 312 n. 2.
Quantità. Gran varietà nella lunghezza
delle vocali fra singoli parlanti, uss.
315 n. 1.
Fatti fonetici irregolarmente diffusi in
voci isolate o malcoerenti fra loro
301 n. 6.
I termini ^coperta' e 'scoperta'' a de-
signare sillaba 0 vocale 'complicata'
e ' libera ' v. Giunte.
Compromesso tra voc. ton. di due voci
incrociate 427 e il n. 2.
Bibliografìa: Reggiana p. 29 seg.; No-
vellarese 31 seg. ; Ussegliese 205 seg.
Indici.
IV. Varili
557
Fonti scritto: loro valore per lo studio
dei dialetti nov. e uss. 29 n. 1 e 2,
30 n. 3. 31, 32. 206.
Fonti orali : per Novellara 31 ; per Us-
seglio 207 .segi?.
Notizie topografiche e .storiche: sul
coni, di Novellara 34 seg ; sulle valli
della Stura di Lanzo.' il Piano d'Us-
seglio e Usseglio 199 seg.
Schizzi cartografici: del Coni, di No-
vellara e d. sue divisioni linguistiche,
32: del Pjano d'Usseglio 201 ; delie
valli della Stura di Lanzo e della
Dora Riparia 202.
Rapporti culturali e commerciali: a
Novellara 38 seg. ; a Usseglio, col
Piemonte 204 seg.
Conoscenza del dialetto illustre della
regione: a Usseglio 205; conoscenza
dell'italiano a Usseglio 205 ; del fran-
cese ih. 205.
Confini linguistici : di Novellara 37
segg. : loro dipendenza da condizioni
topografiche attuali o antiche e in-
sieme da condizioni amministrative
e commerciali a Novellara 37 segg.;
a Usseglio 200; gli A]ìpennini luir-
riera naturale contro l'invasione to-
scana in Romagna IX.
Segni diacritici per convenzione omessi.
NOV.: segni per distinguere l'aper-
tura delle vocali diverse dal toscano;
per indicare la nasalità delle vocali
43; per indicare il timbro delle na-
sali; per indicare e più largo davanti
ad ;•; per indicare a disaccentato;
per indicare le vocali brevi 44. —
US3. omesso il segno della nasalità e
delle vocali lunghe p. 213 n. 2. (In
particolare sulla natura fonetica dei
vari elementi dei due dialetti si con-
sultino le pag. 41-52: 212-217).
Sistemazione dei fatti fonetici 226 n. 3,
221 n. 3, 218 n., 298 n. 2, 319 n. 1,
322. Giunte.
Varietà dialettali: nel coni, di Novel-
lara, 40; forme rustiche nei bassi
strati di jìopolaz. della città e l'orme
cittadine fra contadini a Novellara
40.
Commistioni dialettali: a Novellara.
40; a Usseglio 207 seg.
Confini fonetici : nel reggiano: di d, o,
il da ((, u, lì; di en da in, di ìt-
da 0-, di .s' rattratto, di ei da e, ì
38, 39.
Toponomastica : Sul nome di Novel-
lara, 36.
Forme arcaiche sconijiarse o ancora
vive nell'uss.: 231 n. 2. 3 233 n. 4
235 n. 5 236 e 236 n. 2 302 n. 4
312 n. 1 313 n. 5 328 n. 6 329 n. 3
338 339 n. 1 359 n. 1.
Note com])anìtive di fonetica franco-
prov. 220 11. 1 223 n. 5 227 n. 1, 2
228 n. 1, 3 229 n. 3, 5 2:in n. 1 232
n. 2 234 11. 1 235 n. 4 236 n. 1 237
n. 1. 3. 4 238 n. 3 239 n. 3 240 n. 2
231 n. 5 243 n. 1 292 n. 2 293 n. 4, 6
294 n. 3 295 n. 3 297 n. 2; id. piemon-
tese 229 n. 1 232 n. 3 234 n. 2 235
n. 6 237 n. 1 238 n. 3 246 n. 1 294
n. 3 299 n. 3 300 n. 3 311 n. 3 313
n. 3 314 n. 4 322 n. 2 340 n. 5 342
seg. n. 343 n. 1 346 seg. 349 n. 2. 3.
Influsso della lingua letteraria sulla
fonetica dialett. nov, 110, 111, 117,
131.
Influenza del piem. sulla fonetica uss.:
321 n. 4 e Giunte, 341 n. 5 342 n.
349 228 n. 3 23b n. 3.
558
Giunte
Proiuniziii deiritaliano. Il Petrocclii è
esatto nelle sue indicazioni della
pronunzia, ma segue la pronunzia
pistoiese o la propria 257 e, in ge-
nere, 255 seg. Come proprio della
pronunzia letteraria, secondo la pro-
nunzia dei pili esatti fra i colti a
Firenze, s'àn da raccomandare: buon
in proclisi (con iio di media apei--
tura), buonalana o bonalana, bìtongn-
staio 0 bongustaio e cosi via negli
altri composti di buona buon ; e. in
bello bene nei composti (es. bellumore,
begliuomini, benestante, benvenuto) ; bo-
naniano, honaroglia, bonaniorte sono
entrate nel linguaggio letterario
per efìetto di un equivoco storico-
filologico della Crusca e d'altri les-
sicografi, accanto a buonamano ecc.
266 seg- — Bonominì per Buono-
mini nel senso di ' magistratura '
antica è errato 268. — basoffia v.
390 n. 1.
Testi. Antico moden. .S66 n. 3 379 n. 1.
Pistoiese del sec. XIII 489 i^eg;":.
Forme ortografiche equivoche in testo
antico pistoiese 497. Suoni, forme,
sintassi, lessico, fonetica settentrio-
nale in detto testo 497 seg.
False scrizioni in testi lat. pis. mediov.,
V. le mie postille a p. 479 segg.
Suoni e forme romanze in dette carte
476 seg.
Cantilene alludenti alle quattro corna
della chiocciola, 431. — Giuochi,
nov. 144.
I due poeti clesiani del settecento a
noi noti, L. Ri e ci e C. Siel, scris-
sero proprio nella loro parlata cle-
siana genuina. Nell'ultimo secolo
sono subentrate nel capoluogo di
Val di Non delle evoluzioni che pro-
dussero uno stacco sensibile dal tipo
pili puro dell'anauniese settentrio-
nale, per effetto della forza assimi-
latrice della parlata di Trento 437
segg.
Notizie statistiche e topografiche su
Cles (Val di Non) n. 3.
G i u n t e.
Ortografia italiana. Allo scopo di venire ad un'intesa per una sistemazione
dell'ortografia italiana e un'integrazione del nostro alfabeto era sorta
fra noi una florente Società Ortografica Italiana. Feticismo dei conserva-
tori, inerzia e discordie degli innovatori, forse qualche errore di tattica,
anno arrestato il bel movimento, e, speriamo, diiferito l'esecuzione del-
l'intero programma a tempi migliori. La S'. 0. I. intanto, secondo i suoi
intendimenti, aveva promossi seri studi e discussioni sui problemi del-
l'ortografia comune. Conforme ai risultati di tali studi è appunto l'orto- "
gratia comune adottata nelFultimo fascicolo di questo volume. Ossia: s'è
Giunte 559
adottato y accento acuto per indicare vocale strotta accentata (<' ó ! a) ;
Vaccento grave per indicare vocale accentata larga (« e ò); s'è soppresso
il ./ fra vocali; s'è adottato -/ per il plurale dei nomi e le 2" sinjjfolari di
verl)i in -io con i semivocale, ed -//, con ( vocnle (cioè qnundo tal desi-
nenza è preceduta da muta e liquida; i Toscani di pronunzia scolpita pro-
nunziano fastidi, suicidi, ossia fastidij, suicidai, ma atrii. findaslrii [e forse
propri, obbrobri, ])rocedendo sillaba con altro «gruppo di muta e liquida.]);
s'è soppresso 1'// anche nelle forme del presente di 'avere', scrivendo ò
ài (f anno; e s'è adottato l'uso di distinguere coH'accento omonimi come
seguito da seguito e di segnare l'acconto sugli sdruccioli poco frequenti
0 spesso erroneamente pr'Uiunziati (\'. Bollettino della Soc. Ort. Jfal. ili;
Bologna 1912).
Complicato, per attributo di vocale o sillaba 'chiusa o coperta da conso-
nante' non è di buon conio italiano; 'complicato' implica sempre un
viluppo, un intreccio, di più parti di una cosa; e s'usa quindi come epi-
teto d'ordigno o d'aliare: in un senso non comune, ma affino, fu usato
dal Forteguerri, come epiteto di mani: " con le mani fra loro compli-
cate ,, (Ricciard. 2o. 12), che la Crusca interpreta por " intrecciate ,.
Non essendo i-accomandabili i termini " aperta „ e " chiusa „ che, se
attribuiti a vocale, risultano equivoci, si possono consigliiiro i termini
scoperta „ e '^ coperta ,., traduzione l'ultimo dell'opportuno termine te-
desco " bedeckt ,.
a pag. xxiii. () preferito e od o, come sogni ordinari di vocale larga, ad
f o perché sono ]V\n comunemente usati.
a pag. XXIV V. 1. cp andava tolto di mezzo, perché è piti ntto a ra])proseii-
tarci un a palatizzato (per cui ci serve (i], che non un e di seconda
apertura.
a pag. XXXIV v. 11. Se non erro sono stato io il primo ad osservare la so-
norità delle forti meridionali: il Bartoli che. i-redo, primo ne jnirlò ebbe
l'osservazione da me.
a pag. xxvii. Non mi pare abbastanza noto che i segni /" e ;, per distin-
guere s sordo da .v sonoro, furono proposti da Giorgio Bartoli e dal Gigli.
a pag. XXVIII. V di 'figlio' doveva avere l'apice sovrapposto; non essendosi
potuto avere il segno dalla tipografia, nel Quadro sinottico si è adottato
/' per la rattrazione di 2° grado e V (raro) per la rattrazione di 1" grado.
a pag. xxxvii. Dall'articolo del Puscariu non apparirebbe in mode del tutto
chiaro che la quistione di principio relativa a sleà fosse stata da me
per primo risolta; ma da una corrispondenza di quel tempo coU'illustre
collega desuino che tale priorità fosse per lui fuori di discussione e fosse
pertanto superfluo il dichiararlo.
560 Giunte
a pa<?. 56, 245. È ben notevole il fatto che tanto a Nov. quanto ad Uss.
da A coperto s'abbia fi; è questo un indizio di anteriore dittongazione,
a pag. 63, nura. 59. A me non par dubbio che s'abbia a partire da core,
mele, fé 1 e anziché da e o r, m e 1, fé 1.
a pag. 72, 73. Evidentemente, anche per ragioni comparative, in zlì-a ecc.
i è dovuto alla pahitale, cfr. p. 77 seg. ; ed / ìw inr è dovuto, pure certa-
mente, a metafonesi, v. 79 segg.
a pag. 73. Se, come mi pare, è giusta la sistemazione relativa dei già pro-
parossitoni, ?-frrf dovrebbe essere sorto nella forma rèrt.
a pag. 81. Meglio credere che l'indicativo si conformasse al congiuntivo
esortativo,
a pag. 85. Senz'altro saran prestiti nàdra, hàgol, bcibla.
a p. 90 n. omèr ' omaccio ' sarà su nomè'r.
a pag. 120. nonàhta, novanta, dq/e'nt meglio si spiegheranno come ]>restiti,
assai frequenti in genere anche nei numerali.
a pag. 128. In fugàza, viidè'r ecc. sarei piii propenso a veder una traccia di
una tendenza c[ui estinta a mutare o- secondario in u- (v. il n. 167 e rie.
il fatto che si à il simile in e secondario divenuto i, p. 117). E qui an-
drebbe anche nudc'r 'nuotare', onde ìiuda (p. 83).
a pag. 125. mertedi' può essere anche per effetto di assimilazione, come
mostrano gli esempì che succedono ib.
a pag. 154. i/irlànda e /ffelf n. 210 andrebbero come esempì di gji> ff
alla fine del n. 211.
a pag. 160 n. Spesso oscillazioni di forme ridotte e non ridotte dipendono,
più che dal tempo del discorso, dalla varia condizione civile dei parlanti
0 degli uditori e da tendenze estetiche individuali ad una maggiore o
minore precisione di eloquio, e anche da facoltà fisiologiche, acustiche o
articolative, dei singoli.
178 nov. arfjader ' sfiatare ' per ' rifiatare ' deve considerarsi come una
sprecisione volgare; reflatare non c'entra.
178 nov. tibje'r ' trebbiare ' sarà venuto al significato di ' darsela a gambe ',
certo per l'avvicinamento scherzoso a tibja. l'osso.
a pag. 182, n. 291. A quelli di -ni- si aggiungano i riflessi di -//«- : ;v7n,
pun, ecc.
a pag. 186. nov. /herlàhza sarà da ' bilancia ' -\~fbnrfh-.
a pag. 218 seg. Alla sintesi fonetica va aggiunto anche l'influsso di w; cfr.
p. 243.
a pag. 219. Influsso di liquida: si devono ancora ricordare le sorti del
suff. -ii?-a, di -e scop. e di o + r; e inoltre di o -[- il 243, parallele a
quelle di e -\r !l 240.
(TÌiinte 56 1
a pag. 219. Alla sorte degli O.^sifoni si a.a'giniis^'iìno i fenomeni ricordati
ai nm. 22, 28. 39, 51. 57, B9.
a pag.229. uss. ;> >• 6: hérhi p imi a (ara. 2-1), non è citato nel consonantismo.
a pag. 247 n. 4. Nella prima parte di Ma/cusi(i si tratterà di mar, di
cui a p. 286.
a pag. 253. Per giustificare che / si comporti davanti a :: come davanti a
momentanea dentale non occorre far risalire il fenomeno della velariz-
zazione di l davanti a dentale e sibilante all'età di ti; né è esatto attri-
buire al " timbro „ della consonante, si invece all'articolazione della con-
sonante la sorto varia, che à davanti ad es^a una/; come ò detto alti-ove,
l'articolazione di z e in genere delle " rattratte , nel lembo interno
dell'" attacco „ è simile (non uguale!) a quella di una dentale momen-
tanea " estensiva ,: perciò / viene a trovarsi con e in un contatto presso
a poco identico che con t d r.
a i)ag. 289. mari cu s (trevis. ecc.) venez. niarij/o. Non è necessario pen-
sare a un matricus; potè un volgare nmriat o n,arir/a divenir inarico
0 iiìan':/o e assumere nelle carte latine la veste latina m<(ricHs 280. Si-
mili prudenze dovrebliero aversi molto pili frequentemente che non
avvenga ora.
p. 290, 2. 13. Aggiungi, per la metafouesi, dwi, come si rileva da p. 236 r. 1.
a pag. 321. geiievni è (jhievrn a pag. 331 e 315 n. e (jiìi<rir(i ]i. 315 n.
a p. 321 n. 4. Cfr. l'analoga differenza di formula iniziale ed interna nel prov.
a pag. 322, 328, 329 n. 2. Non è esatto dire (n. 144) che nella formula
cons. -\- 1... " in ogni caso l'esplosiva rimane intatta, anche se è una ve-
lare ,.. Infatti: 1. di contro a piaia 'platano' ecc., con pi-, .si anno, al-
l'interno, dubiti 'piegare' strebiuii 'stoppia' (p. 323) con -hi- e caviuh;
e V e t ' 1 u, a V i e ' 1 a ecc. danno rei{i) aviiì' ecc. Considerando poi
ca'plu (*cap'lòne) > Cavitai p. 329 n. 2 (scritto cuKuh p. 323; giusto?),
può sorgere il sospetto che l'esito indigeno di voc. -\^ P.I, V.T sia
stato f'X (i.) e che tutti gli altri esempì con /;( e hi di p. 328 e 323
siano accattati ; certo ciò vale per gahia ; e anche per grepia (v. nm. 24,
221 e 825 n. 1) non vi sarebbe difficoltà veruna ad ammetterlo.
a pag. 320. La risoluzione di gii- (ijuardarc) non corrisponde a quella di
-ngu- {lingua); per parecchi fatti analoghi la disposizione della materia do-
veva essere un'altra, jier es. quella proposta negli indici cfr. 319 n. 1.
a pag. 832 n. 140: il dileguo di ;• s'à, a quanto appare dagli esempì, solo pre-
cedendo consonante a dent.-\-r; con -mpr- si avrebbe propagginazione
{trampà per tampra).
a pag. 828, 329 n. 1. mol tiare e bull io andavano qui po.sti nella
trattazione della ' posizione forte '.
:>62 Giuiile
il pag. 328. Labiale-|-X- Contro il sistema adottato dairantore qui sono
posti insieme schemi postvocalici e postconsonantici.
a pag. 338. NCT non è un gruppo secondario.
ib. Idr > Id (ììioiidc ' macinare ').
a p. 373. A proposito di piza 'alzaia' >■ 'carretta per la neve' è notevole
anche il mutamento di genere che s'accompagna al mutamento di signi-
ficato. E forse pili che d'una sostanziale modificazione dei significati, dalla
parte al tutto,, sì tratterà di un passaggio di significato da una specie
all'altra di ' traino '. In pardplùr (> *p e r t i e a r i u s) ' aratro ' non deve
trattarsi di un'estensione di significato dalla parte al tutto; peiiicariuni
deve essere stata una denominazione di una specie di aratriiin.
a pag. 385. Per zentuì- preferirei l'ipotesi dell'aplologia.
a pag. 383. sgangaj (e cosi parecchie altre forme) può essere dal piar, piut-
tosto che da un supposto e a n e a 1 i u s ; in ogni modo qui sarebbe da
pensare, se mai, ad un diminutivo y.ay%aÀCov.
a pag. 400. Converrebbe ricercare meglio se ie'sar in) deìas'ore non abliia una
origine scherzosa.
P. G. G.
a pag. 364. alino' v, v. 01. Merlo, Note etimol. e lessicali, in Atti d. R. Accad.
d. Se. di Torino XLII (1907), p. 298.
G. Bertoni.
Dopo dego'ra (p. 400, r. 6) va omesso " milan., pav. „, poiché quanto dico
nell'articolo si riferisce alla voce veneta (fissata nella toponomastica), in
quanto indica ' canale ' ecc. — La perùpola mata (valsug.), p. 410, non è
la ' cincia azzurra'', ma la ' cincia minore' romagnola. — ve' ria (p. 422 sgg.)
è data dal R. E. W., 1433, quale voce del vicentino e del cremonese, ma
non mi risulta da nessun'altra fonte che essa spetti a questi dialetti. Il
R. E. W. va usato cori circospezione. — Si avverta ancora che il d nelle
parole valsuganotte è da correggere in d.
Angelico Prati.
EF^RAXA.-COKRlGE
a». Ili, r. 3: XXX, I. XXXX; vii, r. 14: pratica, 1. ragione pratica ; p. xi,
r. 6 : d'uno, 1. da uno; p. x, r. 6: fiorentino, 1. Fiorentino; p. xii, r. 3:
soluzione, 1. selezione; ]i. xv, r. 8 da sotto: cacagloncm, 1. raraglonem ;
p. xxvir, nello schema dei scij^ni diacritici delle vocali nella serie degli w
sono tre w per «;, sfuggiti alla mia corta vista ; ib. : r per e ; p. xxvm,
r. 14 : — indica eleDienli gutturali in senso largo, 1. — indica ecc. ; )). xxiv,
r. 14 e 15: intorno ad un asse, 1. sopra un asse; intorno ad assi, 1. sopra
assi
. 32, r. 27 : 1883, 1. 1833
. 56, r. 15 : dial. a, I. dial. a
, : i, 1. i
V K '■ U, 1. U
. 62, r. 1 : n. 223, 1. 226
. 66, r. 1 : i u. \. i u
. 68, r. 17 : -in, I. -7-n
. 78, r. 5 : fali.stra, 1. falistra
. 83. r. 2: slepa, \. J'iepa
. 87, r. 3 : II, 1. II, 367
. 95, r. 18: -ù, 1. -n
. 132, r. 8 : nia:;aiigi», 1. maraìigl'h
159, r. 3 : j^roparossitoni, 1, parossitoni
. 183, r. 15 : fàza ' faggio ', leggi fàia
. 219, r. 4: n. 91, 1. n. 92; r. 11 : n. 11. 1. n. 12; r. 13: 50, 1. 57; ib. a
nm. 44, aggiungi nm. 22; r. 14: 29, 1. 30V)
, 221, r. 2: 28, 1. 29
273-288 : per gli -i in luogo di s in queste pagine, v. la [ìettififiizionc
a p. 436.
, 280, r. 8 dal 1).: 1294, 1. 1264
281 : per la nota 2" a merlin, v. p. 390 n. 1.
330, r. 15 : 169, aggiungi L.
350, r. 9 da sotto : fra questa, 1. fra queste
430, r. 5 da basso : dopo imnaga va tolta la virgola.
431, r. 9 da sotto: kfJren, 1. koren; qu l', I. qid' : r. 6 dn sotto e al-
trove : qui, 1. qui
479, r. 12 d. sotto : risultato, 1. risultato .;'
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