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Full text of "Archivio glottologico italiano"

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ARCHIVIO 

GLOTTOLOGICO  ITALIANO, 


FON  DATO 


C4.    I.  ASCOLI 

NEL     1873,     OKA     CONTINUATO    SOTTO     LA     DlltKZIOXK 

DKI, 

Prof.    P.  G-.  GOIDÀNTOH 

Ordinario  di  fjlottologia  nell'Università  di  Bologna. 


VOLLME  DKCIMOSETTDU) 


0 


TORINO 

C'n«a     Kditrioe 

EKMANNO     LOESCllKK 
1910-1911-191:3 


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Riservato    ogni    diritto    cii    proprietà 
e    di   tradiazione. 


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Torino  —  Stabilimento  Tipografico  Vikcknzu  Bona. 


SOMIVIARIO 


Prefaràone     ............      l'aij.        i 

Fu\ni;es(o  D'Ovidio,  L'oninipnionizione  ili  drazindio  IsaÌK  Ascoli,  con 

unii  "  Nota  sulla  questiono  della  lingua  ,   di   P.  (ì.  (Joidànum         ,  1 

—  —  Commemorazione  di  Costantino  Nigra      .         .         .         .         .         ,21 
(nu.sKiTK    M.M.Ac.ÒLi,   Studi    sui    dialetti    reggiani,  con    uno    schizzo 

cartografico  del  Comune  di  Novellara      .......       '29 

—  —  Studi  sui  dialetti  i-eggiani   {Continuazione)       .  .  „      147 
Benvenuto  Tkuka.cini,  li  parlare  d'Usseglio,  con  2  schizzi  cartografici         ,      198 

Varia  : 

I.    Giuseppe  Malagòi.i.  Lai'ticolo  maschile  singolare  nel  dialetto  di 

Piandelagotti  (Modena) ,  250 

li.   P.  G.  GoiDÀNicn,   11   vocalismo  di  buono,  bello  e    bene   in    proclisi 

nel  toscano         ...........  255 

Angelico  Prati.  Etimologie  .........  273 

13.  Terracin'i,  ri  parlare  d'Usseglio  {continuazione)       .         .         .         .         ,  289 

GirLio  Bertoni,  Per  la  .storia  del  dialetto  di  Modena        .  .        ,.  361 

Angelico  Prati,  Etimologie „  390 

Varia  : 

I.  Carlo  Battisti.   .Appunti  sul   dialetto  letterario  di   Cles  alla  fine 

del  settecento      ..........        j,     437 

II.  Ce.sahe  Poma,  I  cognomi  monosillabici  in   Italia  .         .         .         .         ,     455 

III.  G.  Bertoni,  Glosse  di  Cassel,  n°   114 ,472 

IV.  Alberto    Traizzi,    (ìli    elementi   volgari  delle  carte  pisano   finn 

al   sec.  XII  .         .         .  .         .         .         .  ,     475 

V.  G.  Zaccagxim,   l.'na  denunzia  di  estimo  in  volgare  pistoiese  del 

secolo   XIII 488 


Sommario 

Appunti  bibliografici: 

Angelico  Prati,  Romanisches  etymologisches  Vorterbuch  .         .     Pag.  49E 

G.  Bertoni,  „  „  „  .         .         „     505 

P.  G.  GoiDÀNicH,  Cenno  necrologico  su  Emilio  Teza  .         .         .        ^     520 

Indici  del  volume  (P.  G.  Goidànich)    .......         ^     525 

P.  G.  GoiDÀNicH,  Postille  a  p.  B19  320  321  328  843  844  350  351  368 
364  366  367  868  371  873  374  375  378  381  385  390  395  402 
404  406  407  409  410  411  430  476  478  479  480  481  497  498. 

—  Schizzi  cartografici  p.  32,  201,  202. 


Quando  assunsi  l'incarico  di  dirir/ere  /'Archi vio  Glottologico 
Italiano,  solenìie  dimoro  mi  parr^-  che  a  tesser  l'elogio  dell' Ascoli 
r  del  XiGRA,  (/('/  (/rande  Maestro  di  noi  tutti  e  del  geniale  diplo- 
matico e  reputato  scrittore  anche  di  cose  linguistiche,  poco  prima 
scomparsi,  fosse  incitato  il  senatore  Francesco  D'Oddio,  l'attuale 
decano  ^  degli  studi  glottologici  italiani.  E  l'illustre  uomo  consen- 
tiva che  qui  comparissero  due  discorsi  commemorativi  da  lui  detti 
nella  sua  qualità  di  Presidente  dell'Accademia  dei  Lincei.  Sono, 
come  m'arrertiva  il  I/Ovidio,  discorsi  venuti  di  getto;  ni"  Vini- 
provvisazione  no)i  ha  nociuto  certo  alla  sicurezza  dei  giudizi  ;  né 
potevi  nuocere  in  un  uomo  com'è  il  D'Ovidio,  di  sicura  dottrina 
e  di  prontissimo  ingegno.  i)i  lui  che  aveva  goduto  di  una  diuturna 
intrinseca  comunione  spirituale  coi  Commemorati. 

Ancora  aggiungo,  <(  evitare  qualsiasi  equivoco,  che  io  assunsi 
questa  direzione  di  jfienissimo  accordo  col  Salvioni,  che,  con  tanta 
sapienza,  aveva  diretto  il  voi.  XVI. 


^  Del  D'Ovidio  potrei  penuettermi  di  dirmi  scolaro  anch'io,  perché  seb- 
bene io  non  sia  stato  alla  sua  scuola  da  lui  ebbi  sapienti  consigli  e<l  aiuti 
nel  mio  primo  lavoro  di  glottologia:  "  I  plurali  in  ci  e  chi  nel  romanzo 
toscano  ,. 


Archivio  glottol.  ital.,  XV'II. 


PREFAZIONE 


A  Pio  Rajna,  fior  d'intelletto  e  specchio  di  virtù, 
celebrandosi  il  A'A'A'  annirersario  del  Suo  insegnuìnento. 


I. 

Per  la  critica  e  per  la  storia 
della  lingua  letteraria  contemporanea. 

I. 

Non  senza  nostro  gran  conforto  possiamo  ora  riconoscere  che 
nella  pratica  della  lingua  letteraria,  ed  anche  nei  criteri  sulla 
delicata  questione  intorno  ad  essa,  molto  s'è  progredito  nel 
nostro  paese  da  cinquant'anni  a  questa  parte.  Ciò  fu,  è  quasi 
superfluo  ricordarlo,  per  l'opera  immortale  del  Manzoni  e  per 
la  fortunata  concorrenza  di  condizioni  e  fatti  politici  e  letterari 
dell'Italia  nuova  ;  ossia  :  per  l'unità  politica,  l'assecondamento 
dei  Toscani  (anche  di  quelli  in  apparenza  ricalcitianti).  il  diffon- 
dersi della  cultura,  la  diffusione  della  stampa  quotidiana  con  la 
pleiade  di  giornalisti  culti  e  geniali,  l'opera  sana  e  geniale  di 
critici,  come  il  D'Ovidio,  la  produzione  sempre  miglior»'  «li  lessici 
e  di  libri  scolastici. 


IV  Archivio  Glottologico  Italiano 

Parimente,  a  nostro  gran  conforto  possiamo  dire  che  mai  come 
in  questa  nostra  età,  per  effetto  della  rinnovata  coscenza  nazio- 
nale, è  stato  alto  e  diffuso  il  culto  della  lingua,  e  ciò  fu  ed  è 
per  il  nobile  duplice  scopo  di  raggiungere  la  precisione  verbale 
e  di  non  permettere  l'impoverimento  o  portare  un  arricchimento 
lessicale  della  lingua  nostra. 

Ma,  dopo  questa  confortante  constatazione  è  pur  lecito  asserire 
che  il  progresso  non  fu  generale  e  che  ora  anzi  ci  troviamo 
dinanzi  a  una  grave  crisi,  sia  nelle  teorie  sulla  lingua  lette- 
raria, sia,  per  conseguenza,  nell'uso  pratico  di  essa. 

Io  voglio  perciò  richiamare  in  discussione  il  gran  problema 
della  lingua  letteraria  e  trattarlo  e  cercare  di  risolverlo  secondo 
il  mio  modo  di  vedere,  secondo  che  le  mie  deboli  forze  me  lo 
permettano.  Ciò  faccio,  qui,  perché  dalle  considerazioni  che  andrò 
esponendo  uscirà  quasi  spontaneamente  indicato  e  disegnato  un 
programma  nuovo  di  studi  per  l'avvenire. 


* 


Considerando,  nella  nostra  letteratura  contemporanea,  l'istru- 
mento  dell'arte,  la  lingua,  il  fatto  che  più  impressiona  è  il 
dover  riconoscere  qua  e  là  che  lo  studio  assiduo  dell'espressione 
trascini  poi  anche  cospicui  ingegni  all'amore  dell'espressione  per 
l'espressione  o  per  la  peregrinità  di  essa.  Dal  qual  difetto  do- 
vrebbe l'artista  rifuggire  per  la  religione  dell'arte  sua:  perché 
non  solo  ogni  so^'ta  di  maniera  è  la  negazione  dell'arte,  ma 
anche  una  sola  forma  usata  per  il  vezzo  che  s'è  detto,  come 
ha  turbato  la  serenità  dell'  intuizione,  così  guasta  la  percezione 
e  il  godimento  anche  di  un  meraviglioso  concetto  poetico. 

Ma,  passando  da  questa  considerazione  generale  d'estetica  a 
considerazioni  più  precise  di  lingua,  due  tendenze  possiam  dire 
che  si  notino  nella  nostra  letteratura  contemporanea,  trascinanti 


Prefazione  v 

l'una  agli  arcaismi  l'altra  ai  dialettismi  ;    e   lo   fonti   degli    ar- 
caismi sono  due,  i  lessici  e  gli  scrittori  nostri  antichi. 

Che  se  noi  volessimo  darci  una  ragione  storica  di  questi  fe- 
nomeni 0  condizioni  letterarie  non  ci  sarebbe  difficile  ricollegare 
le  tendenze  dialettizzanti  allo  spirito  dell'opera  del  Manzoni  e 
la  tendenza  arcaistica  aihi  vigorosa  reazione  del  Carducci  contro 
i  manzoniani.  Ma  su  queste  ed  altre  cause  che  han  determinato 
le  condizioni  attuali  qui  non  è  luogo  d'insistere  ;  essendo  l'in- 
tendi mento  di  questo  discorso  quello  di  notare  fatti,  e  implici- 
tamente od  esplicitamente  suggerire  rimedi. 

Lasciando  delle  cause,  dirò  che  né  le  fonti  degli  arcaicizzanti 
—  lessici  e  autori  antichi  —  sono  sempre  di  vena  limpida  e  pura, 
né  la  corrente  dialettale  scevra  del  tutto  da  perigliosi  gorghi. 

I  lessici  dovrebbero  avere  un  ordinamento  non  disforme  ideal- 
mente dai  musei  in  cui  le  opere  sono  via  via  disposte  secondo 
l'età,  le  scuole  e  i  maestri,  e  in  varia  luce  secondo  il  pregio  loro  ; 
dovrebbero  avere  cioè  i  lessici  un  ordinamento  filologico  nel  più 
lato  ed  elevato  senso  della  parola,  ossia  non  solo  storico,  ma 
stilistico  e  artistico  ;  ora,  tali  requisiti  li  suggerisce  e  gl'impone 
il  genio  dell'età  nostra  ;  invece  molti  dei  nostri  lessici  si  basano 
su  raccolte  antiche  di  materiali  messi  insieme  con  curiosità  di 
glossatori.  Perciò  andrebbero  consultati  dai  nostri  scrittori  con 
le  piii  prudenti  cautele. 

Ne  meno  scevre  di  pericoli  per  i  ricercatori  di  tesori  lessicali, 
sono  le  nostre  scritture,  spece  le  più  antiche.  È  un  grave  e  può 
essere  funesto  inganno  quello  di  credere  proprio  dell'italiano 
antico  quanto  è  in  quelle  scritture  disforme  dalla  lingua  attuale  ; 
vi  è  una  parto  che  fu  viva  ed  è  pronta  a  tosto  risorgere  al 
soffio  vivificatore  dell'artista,  ma  vi  ha  anche  una  parte  inca- 
pace e  indegna  delhi  resurrezione  ;  sono  provenzalismi,  france- 
sismi, latinismi  o  forme  italiane  imprecise  che  spece  gli  artefici 
minori  di  quel  tempo  usarono  alle  volte  per  inerzia  intellettuale 


VI  Archivio  Glottologico  Italiano 

0  per  poco  di  vigore  dell'intelletto;  deficenze  delle  scritture 
antiche  di  cui  non  (jaudevano  neppure  gli  uomini  di  quell'età  ; 
forme,  che,  o  nacquero  morte,  o,  per  mancato  suffragio  dell'uso, 
presto  morirono. 

A  questo  proposito  dirò  che  va  pericolosamente  invalendo 
presso  i  nostri  scrittori  l'abitudine  di  tradurre  in  linguaggio 
antico  0  creduto  tale  (o  in  dialetto)  l'italiano  di  personaggi  di 
età  antica  o  di  provinciali  che  s'introducono  a  parlare  in  opere 
d'arte.  Il  qual  partito  non  è  certo  nuovo  ;  fu  usato  questo  non 
poche  volte  anche  in  terra  nostra,  da  Plauto  al  Manzoni  :  ma 
con  juicio.  Secondo  il  canone  dei  moderni  (il  cui  juicio  in  ma- 
teria veramente  è  così  poco  che  l'affettazione  degli  arcaismi 
passa  dai  loro  personaggi  per  uno  strano  contagio  anche  alle 
parti  didascaliche  o  nell'espressione  individuale  lirica  dell'opera 
loro)  dovrebbero  parlare  in  latino,  greco,  tedesco,  francese,  e 
magari  in  tedesco  dei  Nibelunghi  e  in  francese  della  Canzone 
di  Rolando,  i  personaggi  delle  opere  letterarie  che  avessero  per 
teatro  quelle  regioni  e  per  attori  uomini  di  quelle  età.  Se  cosi 
avesse  creduto  di  dover  fare  Dante  noi  avremmo  invece  di  una 
Divina  Commedia  semplicemente  una  commedia.  Giovanni  Pascoli, 
per  dir  d'un  grande  modernissimo,  ha  saputo  esprimere  in  schietta 
lingua  nostra  le  sue  alte  mirabili  ispirazioni  classiche  dei  Poemi 
Conciviali.  Gli  alessandrinismi  invece  smorzano  la  fantasia  del 
poeta,  non  infiammano  il  cuore  dei  lettori  ;  l'espressione  verbale 
non  è  che  la  manifestazione  poetica  dei  fantasmi  artistici,  a 
quel  modo  che  il  divino  linguaggio  universale,  la  musica,  ne  è 
la  manifestazione  musicale. 

Non  meno  pericolosa  è  la  fonte  dell'espressioni  dialettali.  Si 
sa  come  si  giustifichino.  Si  dice  :  l'arte  dev'essere  l'espressione 
sincera  genuina  immediata  dell'intuizione  artistica.  E  sta  bene. 
Ma,  se  è  vero  che  l'essenza  dell'arte  sta  nel  suo  contenuto  ideale 
di  bellezza,  non  è  men   vero   che   essa    ha   nascimento   solo  ijer 


Prefazione  vn 

divenire  nn  fatto  sociale  e  solo  nella  società  trova  il  suo  respiro 
di  vita  ;  il  poeta  solo  quando  non  ò  contento  dell'opera  sua  ne 
fa  sacrifizio  e  dispettoso  sacrifizio  al  Dio  del  Fuoco. 

Onde,  dell'arte  dialettale  in  genere  si  potrebbe  dire  che  la 
ristrettezza  dell'ambiente  politico  quasi  inevitabilmente  porta  a 
restringere  l'orizzonte  artistico  e  che  una  grande  concezione 
artistica  spontaneamente  e  quasi  inevitabilmente  porta  l'artista 
a  scegliere  tra  due  parlari  ch'egli  possieda,  quello  che  è  d'uso 
universale  nel  paese  nel  quale  egli  vive.  Mutate  le  proporzioni, 
lo  stesso  va  ripetuto  delle  espressioni  singole.  Le  più  belle  in- 
tuizioni poetiche,  le  più  genuine  espressioni  di  esse  resteran 
mute  alla  nazione  quando  alla  più  parte  di  essa  sfuggirà  il 
valore  del  vocabolo  e  con  ciò  il  valore  del   fantasma  artistico. 

Vi  è  poi  anche  una  pratica  che  consiglia  a  non  attingere 
vocaboli  a  fonti  diverse  da  quella  onde  scaturì  lidioma  nazio- 
nale :  vocaboli  etimologicamente  affini  od  identici  si  trovano  ad 
avere  un'accezione  diversa  in  diverse  regioni  d'Italia  ;  onde 
ove  invalesse  il  vezzo  dell'espressioni  dialettali  si  finirebbe  a 
una  Babele. 

Ma,  contro  le  immistioni  dialettali  nella  lingua  letteraria  vi 
è  nel  nostro  paese  una  reazione  generale,  e  così  forte  che  da 
inesperti  vengono  evitati  anche  vocaboli  di  uso  italiano  perché 
son  ritenuti  propri  solo  del  dialetto  ;  e,  sia  detto  di  passata,  io 
credo  che  in  questa  eliminazione  non  entri  affatto  come  causa 
la  rettorica,  credo  ch'essa  provenga  da  un  nobilissimo  sentimento 
estetico,  da  ripugnanza  verso  le  forme  ibride,  sentimento  natu- 
rale anche  se  in  molti  svegliato  solo  dall'educazione,  sentimento 
che  è  una  delle  tante  manifestazioni  della  genialità  del  paese 
nostro.  — 

Più  delicata  è,  o  pare,  a  primo  aspetto  la  quistione  sui  diritti, 
per  dir  così,  delle  varie  regioni  toscane  a  contribuire  alla  costi- 
tuzione  del   patrimonio    linguistico    nazionale    e    del    grado   di 


vili  Archivio  Glottologico  Italiano 

nobiltà  di  esse  in  fatto  di  lingua  in  confronto  al  dialetto  fio- 
rentino. 

Io  ho  detto  nella  nota  aggiunta  all'articolo  del  D'Ovidio  (p.  16), 
che  la  quistione  della  lingua  è  quistione  eminentemente  pratica 
che  risolve  caso  per  caso  l'illuminato  arbitrio  dell'artista  ;  che  solo 
di  tendenze  si  può  parlare  e  consigliare  quella  che  nella  pratica 
abbia  sortito  l'effetto  migliore.  Ora  quando  si  tratta  o  di  ar- 
caismi 0  di  dialettismi  non  toscani  l'esercizio  di  una  geniale 
selezione  è  o  abbastanza  facile  o  molto  facile. 

Bisogna  invece  dire  che  quando  si  tratta  di  dialettismi  toscani 
la  quistione  del  si  può  o  non  si  può  deve  apparire  necessaria- 
mente insolubile  ;  e  insolubile  credo  anch'io  ch'essa  sia  empiri- 
camente ;  ma  una  pronta  chiara  spontanea  risoluzione  ne  avremo 
appena  posta  la  discussione  su  un  fondamento  scientifico.  Se- 
guendo lo  stesso  metodo  critico  che  ho  già  adottato  nello  studio 
delle  coincidenze  fonetiche  in  territori  neolatini  {Orig.  Dittong. 
Boni.,  p.  28  sgg.,  126  sgg.,  186  sgg.)  e  nella  classificazione  dei 
dialetti  italiani  (/è.,  p.  128  sgg.),  io  metto  a  fondamento  anche 
dello  studio  della  nuova  questione  la  considerazione  delle  condi- 
zioni geografiche  e  storiche  della  Toscana  ;  e  questa  mi  porta  alla 
risultanza,  secondo  me  chiarissima,  che  la  prevalenza  del  fioren- 
tino da  una  parte  e  l'inferiorità  delle  altre  regioni  toscane  dal- 
l'altra in  fatto  di  dignità  di  lingua  fu  ed  è  una  conseguenza 
fatale  appunto  delle  speciali  condizioni  geografiche  e  storiche  di 
questo  paese. 

Giace  Firenze  nel  bel  mezzo  della  Toscana  e  al  suo  territorio 
fan  corona  continua  per  estensioni  pressocché  uguali,  da  sud 
ad  ovest  e  a  nord,  l'Aretino,  il  Senese,  il  Pisano,  il  Lucchese  ; 
ad  est  serra  il  territorio  toscano  sopra  Firenze  l'Appennino, 
geograficamente  ed  etnicamente,  ma  Firenze  soverchia  la  bar- 
riera orografica,  nelle  valli  del  Santerno,  del  Senio,  del  Lamone, 
del  Eabbi,  del  Konco,  del  Savio. 


Prefazione  ix 

Al  principio  del  medio  evo  la  parte  appennina  di  questa  re- 
gione aveva  avuto  una  certa  unità  politica  ;  a  partire  dall'ori- 
gine del  comune,  e  piìi  vigorosamente  dal  '200  in  poi,  andò 
Firenze  estendendo  la  sua  signoria  sulla  rimanente  Toscana  ; 
a  metà  del  '500.  il  '  Ducato  di  Firenze  '  possedeva  un  territorio 
corrispondente  alle  attuali  province  di  Firenze,  Arezzo,  Siena, 
Grosseto,  Pisa,  Livorno.  Solo  nel  1817  il  Ducato  di  Lucca  ve- 
niva aggregato  alla  Toscana. 

Basta  aver  esposto  così  queste  condizioni  geografiche  e  sto- 
riche perché  il  problema  della  nostra  lingua  letteraria  sia  ra- 
zionalmente risoluto,  come  una  conseguenza  fatale  delle  condi- 
zioni storiche  e  geografiche,  a  favore  del  fiorentino. 

Il  territorio  di  Firenze,  come  è  chiaro,  era  circondato  da  nuclei 
etnici  omogenei  che  lo  difendevano  da  ogni  parte  con  barriere 
unuine  ^  contro  le  forti  immistioni  dialettali  :  a  sud  contro  gli 
Umbro-romani,  e  a  nord  contro  i  Rivieraschi  e  i  (Tallo-italici. 
A  est,  dove  il  fianco  toscano  del  fiorentino  non  era  coperto 
da  tali  barriere  etniche,  s'alzava  la  barriera  naturale  dell'Ap- 
pennino, così  potente  impedimento  in  questa  parte  alle  infiltra- 
zioni dialettali  che  la  Romagna  toscana  è  rimasta  linguistica- 
mente romagnola,  non  ostante  che  l'edificazione  di  Firenzuola 
rimonti  al  1332  e  l'acquisto  di  Rocca  San  Casciano  al  1382. 

Mentre  così  Firenze  era  difesa  da  barriere  etniche  omogenee 
o  da  barriere  naturali,  la  sua  supremazia  politica  sulle  altre 
regioni  toscane  doveva  inevitabilmente  esercitare  anche  sugli 
altri  dialetti  una  potente  azione  assimilatrice,  spece  nel  lessico. 
Fi  così  in  effetto  si  veniva  creando  fra  noi,  all'opposto  di  quanto 
un  genio  ebbe  ad  affermare  e  molti  poi  a  ripetere,  una  condi- 
zione linguistica  simile  non  a  quella  della  (Germania,  ma  a  quella 


V.  Ditlonjaz.  roin.  1.  sopra  cifc. 


X  Archivio  Glottologico  Italiano 

della  Francia  ;  Firenze  era  divenuta  la  Parigi  della  Toscana,  il 
fiorentino  la  sua  '  Ile  de  France  '.  e  il  Toscano,  fatto  così  vasto, 
la  lingua  nazionale  d'Italia  ^ 

Tutt'altra  era  ed  è  la  condizione  di  ogni  altra  provincia  to- 
scana, che  tutte  le  altre  province,  e  piìi  precisamente  le  pro- 
vince di  Arezzo,  Siena,  Pisa  e  Lucca  non  sono  confinanti  che 
a  due  a  due  fra  loro,  né  ebbero  lungamente,  od  hanno  l'una 
sull'altra  alcun  diritto  di  supremazia  :  quindi  era  reso  difficile, 
per  queste  sfavorevoli  condizioni  geografiche  e  storiche,  il  sor- 
gere di  un  compatto  nucleo  dialettale  che  potesse  lottare  vigo- 
rosamente e  vittoriosamente  contro  la  forza  invadente  e  sover- 
chiante  del  fiorentino.  Inoltre,  e  questo  è  ciò  che  più  importa, 
ai  loro  margini  o  meridionali  o  settentrionali  erano  esse  regioni 
in  contatto  con  elementi  dialettali  eterogenei  dal  toscano  ;  onde 
non  solo  la  possibilità  ma  l'inevitabilità  dell'immistione  dialet- 
tale in  queste  zone,  spece  poi  ai  margini  settentrionali  del 
Lucchese,  dacché  Lucca,  come  s'è  ricordato,  è  aggregata  alla 
Toscana  appena  dal  1847. 

Da  ciò  risulta  chiaro  che  un  non  toscano,  il  quale  venisse  dal 
proprio  paese  circostante  in  uno  di  questi  territori  marginali 
della  Toscana  e  ivi,  com'è  inevitabile,  trovasse  consonanze  per- 
fette tra  forme  sue  native  e  l'adottiva  e  per  tale  coincidenza 
giudicasse  italiana  una    tale   forma,    cadrebbe    senza  volerlo   o 


*  Nel  parallelo  si  potrebbe  seguitare  con  parecchie  altre  considerazioni. 
Io  scelgo  di  nuovo  argomenti  storici  e  geografici.  Quando  l'astro  dei  mag- 
giori Trecentisti  cominciava  a  illanguidire  al  fulgore  del  classicismo,  Firenze 
invece  restava  in  auge  :  i  Fiorentini  erano,  come  li  aveva  definiti  Boni- 
fazio Vili,  il  quinto  elemento  del  mondo.  D'altra  parte  la  posizione  geo- 
grafica della  Toscana,  l'essere  nel  centro  d'Italia,  doveva  fatalmente  por- 
tare che  essa  fosse  come  il  cuore  di  nostra  lingua;  un  Settentrionale  e  un 
Meridionale,  per  dirla  in  breve,  capiscono  bene  o  assai  bene  un  Toscano, 
fra  loro  s'intendono  poco  o  affatto. 


Prefazione  xi 

saperlo  in  una  serie  di  equivoci  storici  ;  perché  con  argomenti 
di  geografia  dialettale  si  può  spesso  dimostrare  che  la  discon- 
tinuità tra  il  toscano  centrale  e  i  suoi  margini,  e  la  continuità 
tra  queste  zone  e  i  territori  alloglossi  non  dipende  già  da  obli- 
terazione avvenuta  nel  centro  della  regione  di  una  forma  antica 
italiana,  ma  d'uno  sconfinamento  di  una  forma  })ropria  di  dia- 
letti non  toscani  contigui  in  territorio  geograficamente  toscano  : 
insomma  :  i  confini  geografici  e  i  confini  dialettali  non  sempre 
coincidono  :  il  tale  o  tal  altro  vocabolo,  la  tale  o  tal  altra  forma 
non  hanno  acquistato  il  diritto  di  cittadinanza  toscana  per  aver 
colonizzato  un  piccolo  segmento  di  territorio  geograficamente 
toscano  ;  non  <3'è,  per  es.,  tra  un  dialettismo  emiliano  e  un  dia- 
lettismo emiliano-lucchese  alcuna  dift'erenza  di  nobiltà. 

Cotali  differenze  tra  dialetto  toscano  e  italiano  comune  sono 
tanto  più  notevoli  nel  lucchese  che  altrove,  in  quanto  la  sepa- 
razione politica  del  Lucchese  rendeva  men  frequenti  che  altrove 
i  rapporti  civili  col  Fiorentino  :  e  sono  più  sensibili  qui  le  dif- 
ferenze, in  quanto  i  dialetti  del  nord  sono  ben  più  dissimili 
anche  per  il  lessico  dal  lessico  toscano,  e  quindi  italiano,  che 
non  siano  i  dialetti  centrali  non  toscani. 

Ma  la  stessa  causa  storica  ora  detta,  della  tarda  annessione 
del  Lucchese  alla  Toscana  produceva  anche  un  altro  genere  di 
differenze  dialettali,  ossia  differenze  per  creazioni  spontanee,  e 
non  per  accatto.  Ora,  anche  e  soprattutto  su  tali  forme  riesce 
incerto  ogni  giudizio  ove  si  tratti  la  quistione  empiricamente  : 
posta  invece  in  campo  e  in  onore  la  ragione  storica,  ecco  come 
si  dimostra  spontaneamente  eterogenea  dal  toscano,  e  quindi 
dall'italiano,  luna  e  l'altra  forma,  anche  se  sorta  entro  i  confini 
geografici  della  Toscana. 

Vero  è  che  anche  nel  Fiorentino  s'è  andato  creando  un  dia- 
letto plebeo  che  per  certe  sfumature  fonetiche  e  sintattiche,  piìi 
che  verbali,  divt-rge  dal   linguaggio  letterario,  dalla  lingua  che 


XII  Archivio  Glottologico  Italiano 

il  fiorentino  colto  o  non  userebbe  mai  o  che  solo  userebbe,  con 
baldanza  da  parigino  d'Italia,  in  scritture  non  togate  od  acca- 
demiche :  qui  la  soluzione  è  ovvia,  tanto  agevole  che  essa  av- 
viene di  fatto  ed  è  inutile  indugiarsi  a  raccomandarla.  Ma  le 
differenze  lessicali  tra  la  lingua  dell'uso  nelle  persone  colte  di 
Firenze  e  la  lingua  letteraria  sono  cosa  poco  più  frequente  che 
meraviglie,  quali  l'anello  ...  di  Gige  (a  buon  intenditor ...,  pa- 
role oscure  !)  od  altre  simili  preziose  rarità.  Eppoi,  ciò  che  è 
proprio  del  toscano  centrale  e  oggi  è  disforme  dalla  lingua 
letteraria  sarà  letterario  domani.  È  fatale  che  sia  così  ;  vuol 
cosi  il  buon  fato  della  lingua  nostra  e  della  nostra  nazione. 


II. 


Tanto  per  fare  un  esempio  io  ricorderò  qui  vari  sinonimi  di 
cesta.  L'esempio  potrà  parere  un  po'  curioso  ;  e  devo  dunque 
aggiungere  che  mi  ci  son  fermato  perché  mi  offriva  modo  di 
riconsiderare  praticamente  il  problema  da  tutti  i  lati  con  molta 
brevità.  Il  toscano  ha  anche  per  arnesi  come  cesta  una  ricchezza 
di  vocabolario  veramente  singolare.  Eccoli  : 

Paniere,  arnese  di  vetrici  generalmente  bislungo  con  un 
coperchio  o  due,  ma  per  lo  più  senza,  e  con  un  manico  {panie- 
rino, panierone,  panieretto). 

Paniera,  specie  di  cesta  chiatta  e  bassa  di  vetrici  {panie- 
rina,  panierona,  panieretla). 

Corbello^  recipiente  di  stecche  fatto  a  campana  ma  colla 
bocca  meno  aperta  e  quasi  della  stessa  larghezza  del  fondo. 

Corbella,  corbello  grande. 

Canestro,  paniere  fatto  di  stecche. 

Canestra,  specie  di  paniera. 

Corba,  cesta  bislunga  di  vimini  o  di  stecche. 


Prefazione  xin 

Cesta,  arnese  grande  con  sponde  alte  fatto  di  stecche  di 
castagno  per  portarci  dentro  roba  ;  arnese  dove  si  trasportano 
o  si  tengono  coperti  i  polli. 

Cestino,  arnese  col  quale  s'insegna  camminare  ai  bimbi. 

La  lista  è  volutamente  incompiuta,  per  il  nostro  scopo  es- 
sendo sufficente  il  materiale  riferito. 

Passiamo  gli  Appennini.  11  '  cestino  '  dei  bimbi  si  chiama  in 
provincia  di  Bologna  paniron,  a  Bologna  anche  paniraun  ;  pa- 
niraun  chiamano  a  Bologna,  per  es.,  anche  la  '  cesta  da  viaggio  ' 
a  uso  di  baule  :  chi  dicesse  in  Toscana  d'aver  messo  il  bimbo 
nel  panierone  -ìdiVQhhe  ridere,  e  farebbe  spalancare  gli  occhi  dalla 
meraviglia  chi  raccontasse  di  non  viaggiar  piìi  con  tante  valigie 
come  prima,  ma  di  metter  la  roba  da  viaggio  in  un  panierone  ; 
un  bolognese  non  si  perita  di  chiamare  panierone  anche  il 
corbello  :  s'egli  mandasse  dal  corbellalo  toscano  a  comprare  un 
*  panierone  ',  la  serva  gli  porterebbe  a  casa,  invece  del  corbello 
per  la  spazzatura,  un  gran  paniere. 

Parimente,  un  bolognese  del  contado  che  usa  cordg,  cordga, 
corga  per  il  toscano  cesta,  farebbe  ridere  il  toscano  cui  egli  chie- 
desse un  cordico,  una  cordica,  per  chiedergli  una  cesta  ^  E  cosi 
andando  la  nostra  lingua  diventerebbe  la  piii  allegra  del  mondo. 

Ma,  ripeto,  è  comune  e  sicuro  giudizio  di  tutti  gl'Italiani  che 
codesti  vocaboli  comuni  al  toscano   e   ai   dialetti    s'abbiano    da 


'  Un'idea  della  confusione  che  c'è  nel  bolognese  in  questi  termini  si  può 
averla  dalla  definizione  che  il  solertissimo  Ungarelli  dà  di  cavagn  e  di  cordg, 
cordga.  *  cavagn,  canestro  di  vimini  manicato  „,  mentre  il  canestro  non  è 
mai  fatto  di  vimini  ma  di  stecche  ;  "  cordg,  cesto,  sorta  di  paniere  senza 
manico  ,  ;  il  paniere  non  è  mai  senza  manico  ;  la  possibilità  di  vedere  qui 
solo  una  definizione  non  felice  è  esclusa  dalla  definizione  di  cordga,  ib. 
*  Cordga  =  Paniere  :  specie  di  gabbia  cilindrica  formata  di  vimini  ,  :  come 
si  vede,  qui  si  dà  addirittura  come  corrispondente  di  corga  in  italiano  Pa- 
niere, mentre  dalla  definizione  risulta  che  è  una  cesta. 


XIV  Archivio  Glottologico  Italiano 

usare  nell'accezione  in  cui  si  trovano  presso  i  Toscani,  e  che  non 
s'abbiano  da  usare  termini  dialettali  quando  il  toscano  ha  per  lo 
stesso  concetto  un  termine  suo  proprio. 

Istruttive  in  altro  senso  e  per  più  sensi  ci  saranno  un'altra 
serie  di  parole  esprimenti  concetti  simili  a  '  cesta  '  :  cavagna, 
cavagna,  capagna,  che  troviamo  in  dialetti  toscani  o  addirittura 
nel  vocabolario  italiano. 

Caoagno  fu  portato  nei  lessici  italiani  dal  Gherardini,  che  lo 
trasse  da  rime  burlesche  di  Messer  Bino  \  La  Crusca  pruden- 
temente non  l'accolse  ;  sì  altri  vocabolaristi  ;  e  il  Manuzzi  lo 
definisce  '  cesta,  paniere  ',  il  Fanfani  e  gli  altri,  idem. 

Mentre  sempre  i  Toscani  distinguono  con  precisione  la  cesta 
dal  paniere,  questo  cavagno  non  sarebbe  '  ne  carne  ne  pesce  '. 
Basta  per  metterci  in  sospetto.  D'onde  è  tratto  questo  cavagna? 
'  Paniere  in  genere  ',  dà  anche  il  Petrocchi  come  significato  della 
voce  nel  linguaggio  letterario,  e  poi  aggiunge  di  suo  :  '  term. 
mont.  pist.,  cesta  per  fieno,  foglie,  polli,  ecc.  '.  Nel  dialetto  vivo 
significa  dunque  '  cesta  '.  Nel  lucchese  montanino,  in  Val  di 
Lima,  s'usa,  secondo  le  indicazioni  del  Nieri  {Voc.  Lucch.),  anche 
cavagna  e  significa  '  cesta  da  portare  in  capo  '  ;  e  rimanda  il 
Nieri  a  capagna,  che  è  definita  '  cesta  tonda  e  fonda  molto  per 
portare  roba  grossolana  come  concime,  foglie,  erba  e  simili  '. 
11  Nieri  da  me  interrogato  mi  rispose  che  la  voce  è  in  uso 
nel  territorio  di  Castelnuovo  di  Garfagnana  ;  che  nel  piano  co- 
munemente si  chiama  cesta;  l'Anon.  Fior.,  nel  commentare  quel 
bruttissimo  "  la  speranza  ringavagna  „  dantesco  [Inf.,  XXIV; 
in  rima  !  Si  rie.  Parodi,   Boll.  Soc.  Dant.,  Ili),   dice  :   "  gavagne 


^  È  Giovai!  Francesco  Bini  vissuto  nella  P  metà  del  '600  e  autore  di 
pochi  capitoli  berneschi.  Visse  fuori  di  Toscana  e  fece  i  suoi  studi  a  Carpi 
dove  avrà  anche  conosciuto  il  cavagno.  Le  notizie  predette  le  ho  attinte 
dal  Mazzuchelli. 


Prefazione  xv 

sono  certi  '  cestoni  '  che  fanno  i  villani,  sicché  '  ingavagnare  ' 
non  vuol  dire  altro  che  incestare. 

Il  toscano  comune  ha  dunque  per  questo  termine  dell'Appen- 
nino 0  una  denominazione  sua  propria  o  meglio  il  mezzo  di  de- 
signare esattamente,  secondo  il  suo  genio  linguistico,  l'oggetto 
simile  ma  non  del  tutto  conforme  a  quelli  in  uso.  Dunque  in 
questo  caso  nessuna  necessità  di  ricorrere  alle  forme  dialettali. 

Ma  questi  stessi  esempi  ci  servono  a  illustrare  altri  due  fatti 
che  sopra  si  sono  ricordati  :  i  pericoli  dei  vocabolari  e  la  non 
coincidenza  tra  confini  geografici  e  linguistici  della  Toscana. 

Donde  è  venuta  sull'Appennino  lucchese  e  pistoiese  questa 
famiglia  di  nomi  ?  I  settentrionali  lo  sanno  :  dal  nord.  Proba- 
bilmente il  centro  dell'irradiazione  fu,  almeno  per  l'Italia  ^  il 
Piemonte,  perche'  qui  cacagn  e  cavagna  sono  d'uso  generale  anche 
cittadinesco,  quindi  devono  avere  un'età  più  antica  ;  in  Lom- 
bardia s'usano  pure^  ma  non  nel  Veneto,  neppure  a  Verona  più, 
quindi  la  Lombardia  si  trova  alla  periferia  di  questa  '  isoglossa  ', 
e  nell'Emilia  è  pure  usata  la  voce,  ma  è  contadinesca,  non  cit- 
tadina. Sono  dunque  cacagno  e  cacagna  nomi   dialettali   che  di 


'  In  francese,  è  sfuggito  ai  linguisti,  c'è  cabas  collo  stesso  significato  di 
'  cavagne  '  ;  il  Du  Gange  ha  cabassio,  cahassiis  '  piscina,  corbis  '  ;  qui  credo 
anche  fr.  cabaret;  cabas  e  cabaret  per  ragioni  fonetiche  paiono  imprestiti  dal 
sud;  e  se,  come  credo,  cabas  e  cabaret  sono  etimologicamente  connessi  con 
'  cavagna  ',  il  centro  d'irradiazione  di  questa  base  sarebbero  le  Alpi  occi- 
dentali. In  Romagna  '  cavagliene  '  significa  il  '  pagliaio  con  lo  stollo  '  :  in 
uno  statuto  perugino  citato  dal  Du  (Jange  si  trova  cacaglonem  accanto  a 
faldatam,  che  vale  'fascio',  e  corbellatam.  Io  credo  quindi  che  una  certa 
relazione  con  '  cavagno  '  l'abbia  anche  il  '  cavagliene  '  ;  \\l'  potrebbe  essere 
per  dissimilazione  :  sarebbe,  in  origine,  il  '  contenuto  di  un  cavagnone  '  ;  con 
tutto  ciò  mi  par  difficile  che  il  vocabolo  abbia  avuto  vita  a  Perugia  proprio, 
per  considerazioni  di  geografia  dialettale;  conviene  notare  che  il  passo  ri- 
ferisce multe  comminate  per  furto  d'uva,  varie,  secondo  l'entità  del  furto  ; 
e  dice  che  chi  n'avrà  rubato  un   cavagliene,    una    faldata,    una  corbellata 


XVI  Archivio  Glottologico  Italiano 

poco  hanno  scavalcato  l'Appennino  ;  sono  vocaboli  dialettali 
stranieri  alla  Toscana  su  territorio  toscano,  inquilini  non  citta- 
dini toscani.  Anche  nella  loro  condizione,  fonetica,  capagna  e 
gaoagna  portano  il  marchio  dell'ibrido. 

Ma  v'ha  di  piìi  :  '  il  cavagno  '  è  in  tutta  l'Italia  settentrionale 
sempre  manicato,  è  nient'altro  che  '  il  paniere  '  ;  e  la  cavagna, 
almeno  in  Piemonte,  non  è  altro  quasi  che  un  cavagno  con  due 
manichi,  il  cestino  per  la  spesa;  passando  l'Appennino  per  giun- 
gere su  territorio  geograficamente  toscano  son  divenuti  equiva- 
lenti a  cestone,  cesta.  Onde  in  realtà  coll'usarli  mentre  si  pre- 
tenderebbe di  arricchire  la  lingua  si  aumenterebbe,  più  che  la 
lingua,  la  confusione  :  col  bel  costrutto,  per  il  sollecito  autore, 
d'esser  dileggiato  dagli  stessi  provinciali  possessori  del  tale  o 
tal  altro  vocabolo  per  quel  ricordato  senso  estetico,  che  è  la 
ripugnanza  verso  le  forme  ibride. 

Veniamo  ai  vocabolari.  La  voce  cavagno  fu  pescata  fuori  dal 
Gherardini  ;  il  trovarsi  come  un  ànac,  eìq.  in  un  rimatore  bur- 
lesco non  può  consentirci  ancora  di  usarlo  in  scrittura  seria, 
neppure  per  la  rima,  non  ostante  il  ringavagna  dantesco  che  — 


pagherà  dieci  soldi  di  multa.  Ora,  supposto  che  tali  misure  fossero  state 
uguali,  siccome  l'uva  si  compra  a  misure,  ma...  si  ruba  approssimativa- 
mente, era  inutile  riferire  tutti  quei  termini  per  indicare  poi  una  mi- 
sura unica  ;  e  se  indicavano  misure  diverse  la  multa  sai'ebbe  anche  stata 
diversa.  Onde  io  credo  che  con  quei  vari  termini  si  riferiscano  denomina- 
zioni di  misura  di  capacità  presso  a  poco  uguale  in  uso  in  una  o  in  altra 
0  in  una  terza  regione  del  territorio  perugino  ;  e  il  '  cavaglione  '  potè  essere 
stato  in  uso  presso  gli  Appennini;  nel '300  quasi  tutt' Umbria  era  soggetta 
a  Perugia.  —  Parimente  non  credo,  e  di  nuovo  per  ragioni  di  geograBa 
dialettale,  che  sia  indigeno  il  '  caragnu  '  in  Sicilia  ;  l'avranno  portato  i 
Gallo-Italici  ;  ciò  confermerebbe  il  fatto  che,  come  appare  dal  confronto 
del  Vocabolario  di  Piazza  Armerina  con  gli  altri  tutti  di  Sicilia,  presso  i 
Gallo-italici  il  vocabolo  è  piìi  vivo,  piìi  ricco  di  derivati,  ed  ha  il  signifi- 
cato piemontese. 


Prefazione  xvii 

per  virtù  di  selezione  I  II  fatto  è  degno  di  nota  per  i  nostri 
grandi  contemporanei  —  non  t'n  mai  ripreso.  Di  piìi  la  defini- 
zione che  vocabolari  danno  di  caragno  è  inesatta.  'Cesta'  e 
'paniere'  sono  due  oggetti  assolutamente  distinti  in  italiano; 
la  confusione  nel  caso  presente  è  provenuta  dal  fatto  che  il 
Gherardini  non  aveva  nel  suo  dialetto  la  voce  paniere  e  quindi 
non  era  in  grado  di  conoscerne  esattamente  il  signiticato  ;  dal 
Gherardini  l'inesattezza  passò  poi  al  Manuzzi  e  agli  altri.  Ecco, 
dunque,  che  senza  uscire  da  questa  famiglia  di  vocaboli  noi 
possiamo  dare  un  esempio  dei  ])ericoli  che  preparano  i  vocabo- 
lari a  studiosi  non  guardinghi. 

E  pure,  senza  uscire  da  questa  famiglia  di  vocaboli,  possiamo 
dar  un  esempio  delle  differenze  avutesi  per  elaborazione  spon- 
tanea del  vocabolario  italiano  tra  lucchese  e  il  toscano  centrale  : 
il  '  cestino  '  da  bimbi  si  chiama  così  non  solo  a  Firenze  ma  anche 
a  Pisa  :  a  Lucca  non  più  così,  ma  eestone. 

E  se  stessimo  a  sentire  i  Lucchesi  ne  sentiremmo  delle  belle. 
Dalle  due  glosse  che  immediatamente  precedono  la  glossa  '  ce- 
stone '  impariamo  che  i  '  ficcanaso  '.  i  '  pettegoli  '.  o  '  pettego- 
loni  ".  0  '  entranti  ',  come  si  chiamano  nella  Toscana  centrale, 
coloro  che  raccolgono,  come  si  dice,  le  '  ciarle  ',  i  '  pettegolezzi  ', 
le  '  chiacchiere  ',  coloro  che  ^  s  immischiano  '.  '  mettono  il  naso  ' 
nei  '  segreti  ',  nei  '  fatti  ',  negli  *  affari  '  degli  altri  (qual  ricchezza  I), 

si  chiamano  '  cessoni  ',  perchè  mettono  il  naso  nei degli  altri. 

A  scanso  d'equivoci  conviene  ricordare  che  '  cessi  '  vuol  dire 
*  recessi  '  ;  ma  via  I...  Eppure,  l'esempio  non  è  cercato.  Non  tutti 
sono...  così  I  Ma  intanto,  sempre  nella  stessa  colonna,  troviamo 
cerae/ia  e  ceragio,  cerchiale  per  '  correggiato  ',  cercino  per  '  cer- 
cine'.  e  accanto  ad  esso  nella  glossa  per  'cercine'  pure  co?'o//o 
e  sacca  poro,  cerino  per  '  torcetto  '.  Mi  par  che  basti. 

Così  seguitando  non  sarebbe  difficile  raggiungere  i)resto  il 
grande  ideale  di  faie  della  lingua  nostra  la  lingua  più  babelica 

Archivio  Klottol.  ital.,  XVII.  u 


Archivio  Glottologico  Italiano 


e  divertente  (o  '  divertita  ',  come  correggerebbe  subito    un  na- 
poletano) del  mondo. 


III. 


A  che  questo  lungo  discorso,  qui  ? 

Certo  non  per  fare  il  parallelo  al  Proemio  dell'Ascoli  ;  tali 
atti  d'immodestia  non  sono  nelle  mie  abitudini. 

Ma  l'Archivio  vuole  d'ora  innanzi  occuparsi  non  solo  di  que- 
stioni dialettali,  ma  anche  di  questioni  attinenti  alla  lingua  let- 
teraria e  promuovere  intorno  ad  essa  studi  scientifici,  metodici 
e  sistematici  ;  a  questi  studi  il  mio  discorso  ha  voluto  essere 
come  un'introduzione  ;  ha  voluto  cioè  mostrare  i  vantaggi  che 
da  studi  scientifici  sulla  lingua  possono  derivare  anche  all'arte  ; 
la  quale  deve  disdegnare  ciò  che  fu  ed  è  ibrido  ;  non  si  tratta 
di  purismo  ;  gli  spilliti  aperti  devon  fare  buon  viso  a  voci  e 
dialettali  e  straniere  per  esprimere  cose  o  concetti  che  non 
abbiamo,  o  che  in  Toscana  non  hanno  ;  ma  piìi  oltre,  no  ;  non 
si  tratta  di  purismo,  si  tratta  di  unità,  il  che  vuol  dire  perfetta 
organicità  di  vita. 

Il  mio  discorso  ha  dunque  voluto  essere  un'introduzione  a  un 
programma  di  studi  metodici  e  scientifici  sulla  nostra  lingua 
letteraria  contemporanea. 

Il  mio  programma  è,  subito,  e  sicuramente  tracciato  e  pre- 
cisamente definito  cosi  :  esame  analitico  delle  opere  pubblicate 
dopo  la  proclamazione  del  Regno  d'Italia  dal  punto  di  vista  del 
lessico  (eventualmente  della  grammatica),  e  sintetico,  con  oppor- 
tuni esempi  illustrativi,  degli  atteggiamenti  del  periodo  ;  esame 
dagli  stessi  punti  di  vista,  delle  effemeridi  pubblicate  a  Roma, 
Palermo,  Napoli,  Bari,  Firenze,  Bologna,  Venezia,  Trieste,  Mi- 
lano, Torino,  Genova,  Cagliari  e  in  altri   centri  minori  di   vita 


Prefazione  xix 

provinciale,  durante  la  prima  decade  della  nostra  èra  italiana 
e  durante  la  prima  decade  dei  cinque  decenni  successivi. 

La  data  della  proclamazione  del  Regno  d'Italia  è  scelta  non 
solo  per  la  solennità  e  santità  sua,  ma  insieme  e  principalmente 
perche  dal  benedetto  anno  s'inizia  quel  nuovo  vigor  di  vita,  quel 
meraviglioso  risveglio  di  ogni  attività,  che  ha  dalle  basi  rinno- 
vata la  nostra  vita  politica,  economica,  sociale,  intellettuale  ; 
da  quell'anno  per  la  grande  rapida  diffusione  della  cultura^  per 
la  intensità  e  moltiplicità  delle  discussioni  quotidiane,  è  comin- 
ciata anche  un'era  nuova  per  la  nostra  lingua. 

L'esame  della  stampa  quotidiana  a  decenni  d'intervallo  e  dei 
centri  principali  di  vita  nazionale,  è  proposto  per  la  considera- 
zione che  essendo  redatte  le  effemeridi  currenti  calamo  e  da  un 
nucleo  di  persone,  sono  assai  bene  atte  a  dimostrare  per  ogni 
luogo  nel  ceto  superiore  il  grado  di  conoscenza  e  di  diffusione 
della  lingua  e  delle  movenze  del  periodo  ;  in  questo  genere  let- 
terario potremo  meglio  che  in  ogni  altro  studiare  le  tappe  del 
progresso  trionfale  della  riforma  manzoniana,  gli  influssi  dei 
manzoniani,  della  reazione  antimanzoniana,  in  parte  anche  della 
tendenza  arcaistica,  e  i  progressi  della  cultura  in  fatto  di  lingua. 

Gli  studiosi  che  volessero  assumere  il  Compito  di  questo  esame 
lo  limiteranno  od  estenderanno  per  città  non  per  epoche,  uscendo 
dai  limiti  locali  solo  in  rari  casi  ;  cioè  per  seguire  le  evoluzioni 
linguistiche  di  qualche  giornalista  geniale. 

Quest'accenno  mi  porta  anche  a  toccare  della  prudenza  che 
occorre  nel  servirsi  delle  fonti  giornalistiche  ;  i  giornalisti  viag- 
giano. Tuttavia  lo  stabilire  la  paternità  per  lunghi  periodi  delle 
singole  parti  del  giornale  e  con  ciò  la  provenienza  degli  scrit- 
tori è  men  diffìcile  di  quanto  a  primo  aspetto  non  possa  parere. 
per  i  ricordi  vivi  del  recente  passato  ;  e  molto  frequentemente 
poi  si  troverà  affidata  a  paesani  la  cronaca  cittadina,  che  è 
anche  la  più  copiosa  e  limpida  vena  di  fatti  linguistici  tipici. 


XX  Archivio  Glottologico  Italiano 

L'esame  del  lessico  anche  negli  autori  deve  essere  di  necessità 
analitico  ;  il  dire  :  il  tale  autore  propende  agli  arcaismi  o  ai  dia- 
lettismi, è  dir  poco  e  poco  chiaro  ;  bisogna  dimostrarlo  ;  di  più, 
non  è  raro  il  caso  che  uno  stesso  autore  sia  gravemente  affet- 
tato in  un'opera  e  naturale  in  un'altra  ;  di  più,  queste  ricerche 
oltre  che  a  giudizi  sintetici  sugli  autori  devono  mirare  ad  uno 
studio  ragionato  completo  del  lessico  nei  nostri  giorni. 

Dal  discorso  che  precede  è  pur  chiaro  il  metodo  che  s'ha  da 
seguire  in  queste  ricerche. 

Se  la  fonte  lessicale  (ed  è  anche  questa  molto  più  facile  a  ri- 
trovarsi che  non  si  crederebbe)  è  antica,  bisogna  esser  sicuri  del 
vero  significato  della  voce  nella  fonte,  esser  sicuri  che  l'autore  an- 
tico non  abbia  usato  il  vocabolo  in  un'accezione  che  non  gli  era 
propria  e  da  che  fonte  l'abbia  esso  attinta  ;  bisogna  considerare 
se  lo  stile  dell'antico  convenga  con  lo  stile  del  passo  moderno. 
I  vocabolari  registrano  per  es.  anche  voci  di  conio  individuale 
dei  nostri  autori  comici  ;  per  assumere  di  tali  vocaboli  bisogne- 
rebbe per  lo  meno  che  la  situazione  drammatica  del  moderno 
fosse  identica  a  quella  dell'antico  ;  e  sarebbe  poi  sempre  un'imi- 
tazione di  cattivo  gusto. 

I  vocabolari  d'arti  e  mestieri  sono  pure  pericolosi,  perché 
ibridi  per  aver  fonti  diverse  di  tempo  e  di  luogo  ;  qui  anzi  è 
quasi  tutto  da  fare  col  sussidio  di  studi  di  geografia  dialettale 
moderna,  ossia  dell'estensione  che  hanno  oggi  in  Toscana  certi 
vocaboli. 

Se  invece  la  fonte  lessicale  è  moderna  è  da  indagare  la  geo- 
grafia dialettale  del  vocabolo,  da  ricercare  eventualmente  il  suo 
corrispondente  nella  Toscana  centrale. 

E  tanto  per  gli  arcaicizzanti  quanto  per  i  dialettizzanti  bi- 
sogna concludere  su  questo  dilemma  :  se  una  ragione  dell'arte, 
come  l'amore  della  precisione,  o  se  non  invece  il  capriccio  del 
momento,  l'amore  della  singolarità  o  la  pigrizia  e  la  non  cono- 


Prefazione  xxi 

scenza  del  vocabolo  propriamente  toscano  abbiano  indotto  l'au- 
tore ad  usare  della  voce  fuori  d'uso  e  non  in  uso. 

Nello  .studio  della  collocazione  delle  parole  e  degli  atteggia- 
int'iiti  del  periodo  si  dovrà  naturalmente  per  amore  di  brevità 
esser  parchi  di  esempi,  ma  confortare  la  frequenza  di  certi  schemi 
osservati  con  citazioni    dell'opera,   dell'edizione  e  della   pagina. 

Queste  indagini  sul  periodare  devono  avere  esse  pure  in  mira 
due  fatti  diversi  :  uno  di  natura  linguistica,  l'altro  di  natura 
stilistica. 

La  stentatezza  del  periodare,  il  fare  latineggiante  (il  che  si- 
gnifica non  italiano)  nella  collocazione  delle  parole  e  simili  difetti, 
sono  oggetto  della  critica  linguistica. 

Ma  s'incontra  qua  e  là  nei  nostri  autori  anche  nel  periodare 
quel  fatto  strano  sopra  notato  a  proposito  del  vocabolario  :  che 
il  periodo  di  maniera  s'adoperi  anche  colà  dove  non  può  essere 
consentito  ;  così,  per  es.,  se  le  reticenze  sono  consentite  nel  dia- 
logo non  sono  più  consentite  nella  parte  espositiva  che  intra- 
mezza il  dialogo  nell'opera  stessa,  in  quella  parte,  cioè,  dove  la 
persona  dell'autore  è  quella  di  un  osservatore  obiettivo. 


Io  sono  convinto  che  studi  siffatti  sulla  lingua  e  lo  stile  del- 
l'ultimo cinquantennio,  oltre  ad  avere  un  valore  scientifico,  sto- 
rico e  filologico,  dovranno,  perché  destinati  ad  una  cerchia  larga 
di  persone  eulte,  apportare  un  benefizio  anche  al  magistero  del- 
l'arte, abituando  gli  autori  a  un'autocritica  con  i  ragionari  scien- 
tifici assolutamente  sicuri,  che  sopra  si  sono  esposti. 


Quando  questo  programma  fosse  compiuto  altri  io  ne  verrei 
proponendo  sulle  età  via  via  precedenti.  Questo  sistema  di  prò- 


XXII  Archivio  Glottologico  Italiano 

cedere  a  ritroso  nel  tempo  cominciando  dall'età  attuale  mi  pare 
quanto  mai  utile  a  un  sicuro  orientamento  e  un  potente  stimolo 
alla  curiosità  :  appreso  per  una  documentazione  continua  quel 
che  linguisticamente  siamo  e  come  siam  venuti  alle  condizioni 
presenti,  sarà  chiaro  e  bello  l'abozzare  le  fortune  varie  della 
nostra  lingua  in  tuttltalia  fino  al  suo  nascimenlo. 

Il  desiderio  d'eseguire  la  prima  parte  del  programma  qui 
sopra  delineato,  non  implica  che  io  abbia  a  non  accogliere  scritti 
maturati  sulla  lingua  di  età  precedenti.  Anzi  il  2°  fascicolo  si 
inaugurerà  proprio  con  uno  studio  sulla  lingua  del  Foscolo,  e 
il  3°  probabilmente  con  un  alti'o  sulla  lingua  dell'Ariosto. 


Queste  indagini  linguistiche  richiedono  non  soltanto  grande 
diligenza  ma  anche  non  meno  grande  acume  e  garbo  d'ingegno; 
e  occorre  alla  sua  rapida  esecuzione  uno  stuolo  d'artieri.  Perciò 
io  mi  rivolgo  specialmente  ai  miei  colleghi  letterati  e  filologi 
moderni  perché  vogliano  avviare  a  questi  delicatissimi  studi 
quelli  dei  loro  scolari  che  più  sembrano  ad  essi  portati. 

E  prego  poi  tutti  coloro  che  volessero  farsi  collaboratori,  per 
questa  parte,  nell'Archivio^  di  avvertirmi  dei  propositi  loro,  in 
modo  che  io  possa  organizzare  il  lavoro  comune  ;  e  avvertire 
eventualmente  l'uno  o  l'altro  dei  volenterosi  che  un  tale  o  tal 
altro  lavoro  già  sia  stato  intrapreso  da  altro  studioso. 


Prefazione 


IL 
indicazioni  e  trascrizioni  fonetiche. 

Sono  stato  lungo  tempo  in  dubbio  se  fosse  opportuno  conser- 
vare intatto,  0  mutare,  e  quanto,  il  sistema  grafico  deW Archivio, 
rattenuto  con  forza  dalla  sua  nobile  tradizione,  e  spinto,  non 
meno  fortemente,  al  ritoccare  e  all'innovare  dagl'inconvenienti 
di  varia  natura  che  in  esso  riscontravo  ;  ho  finito  col  prendermi 
la  responsabilità  di  mutare  per  questa  ragione.  Io  adopero  nei 
miei  scritti  e  mi  valgo  nella  mia  scuola  di  segni  alquanto  di- 
versi e  seguo  anche  nell'analisi  e  nel  giudizio  degli  elementi 
fonetici  criteri  alquanto  diversi  da  quelli  deW'Archirio  ;  onde 
sarebbero  venute  a  esservi  in  me,  per  questo  contrasto,  due 
persone  diverse  :  il  direttore  del  periodico  e  l'insegnante  ;  il  che 
era  per  lo  meno  curioso. 

1.  Le  vocali. 

Nelle  vocali  si  devono  notare  queste  qualità  :  il  diverso  grado 
di  apertura,  le  alterazioni  organiche  (palatizzazione,  velarizza- 
zione,  nasalità),  la  musicalità  e  la  quantità. 

1.  //  diverso  grado  di  apertura  viene  spesso  indicato  or  con 
segni  sottoposti,  or  con  segni  sovrapposti.  Per  coerenza  del  si- 
stema noi  adopreremo  sempre  segni  sottoposti.  E  precisamente 

useremo  : 

-rr  per  vocali  strette  di  2"  grado, 

'  V  n  ••  )t       -'^ 

—  ,,         „       intermedie, 

—  „         „       larghe  di  1"  grado, 

__  9„ 

Come  unità  di  misura  si  sceglierà  possibilmente  la  pro- 
nunzia toscana. 


XXIV  Archivio  Glottologico  Italiano 

Nota.  —  L'Ascoli,  ueW'Archiriu,  adoperava  9  ed  e  per  gli  e  ed  o  stretti 
di  primo  grado.  È  un'incoerenza  che  conveniva  evitare.  Per  IV  (e  largo  di 
secondo  grado)  l'A.  adoperava  w.  Per  o  largo  di  2°  grado,  non  c'era  nel 
suo  sistema  alcun  segno.  Questa  limitazione  nella  serie  degli  o  era  deter- 
minata veramente  da  considerazioni  teoriche  ;  ossia  i  fonetisti  della  prima 
metà  del  secolo  scorso  osservarono  che  la  grandezza  dell'angolo  orale  era 
minore  nella  parte  posteriore  del  palato  che  nell'anteriore,  onde  nella  serie 
-palatina  la  gamma  vocalica  era  teoricamente  più  varia  che  nella  posteriore; 
ma,  in  fatto,  in  parecchi  idiomi  stranieri  ed  anche  in  parecchi  dei  nostri 
dialetti,  si  trovano  o  più  larghi  che  non  sia,  per  es.,  Va  del  toscano  '. 

2.  Le  alterazioni  organiche  le  indicheremo  sempre  con  segni 
sovrapposti.  E  precisamente  useremo  : 

_2_  per  focale  celarizzata, 

_i_     .,         .,       palatizzata  di  1°  grado ^ 

j^    „         ,,        nasalizzata. 

Nota  1.  —  Per  ragioni  estetiche,  per  evitare  cioè  troppi  punti  intorno 
ad  una  vocale,  si  segneranno  con  a-,  y  le  vocali  o  il  strettissime  ;  e  in  man- 
canza di  meglio  adoprererao  <i  è  i  ,  a  r  i  per  indicare  vocali  meno  o  più 
velarizzate;  il  criterio  è  legittimo  pei'ché  quanto  più  codeste  vocali  sono 
larghe  tanto  sono  meno  velari  e  viceversa. 

Nota  2.  —  Alcuni  (e  tra  questi  l'Ascoli)  segnano  con  <t  un  u  largo.  Non 
è  consigliabile  questa  grafia  perché  il  segno  —  viene  adoperato  per  indicare 
la  velarizzazione,  mentre  in  u  velarizzazione  non  c'è  aifatto,  né  ci  può  es- 
sere, essendo  o  ed  a  (i  termini  fra  cui  sta  in  mezzo  n)  già  vocali  velari; 
tra  u  e  questo  "  '*  „  passa,  in  altri  termini,  la  stessa  differenza  che,  per 
esemiMO,  passa  tra  e  ed  e  ^  ;  dunque  il  segno  proprio  d'un  a  largo  è   «   od   ". 


^  Noto  ancora  questo  :  probabilmente  l'Ascoli  con  (?  volle  indicare  un  o 
tendente  ad  w,  come  e  voleva  significare  e  tendente  ad  i;  ossia  erano  » 
ed  —  nella  sua  mente  simboli  fonetici  ;  anche  così  l'incoerenza  non  era 
evitata  perché  il  segno  -^  di  p  o  non  era  più  un  simbolo  fonetico  ma  un 
simbolo  dell'apertura  (una  retta  rispetto  a  un  angolo  è  per  così  dire  aperta). 
Il  sistema  ch'io  propongo  è  più  semplice  e  piii  compiuto. 


Prefazione  xxv 

Paiono  questo  minuzie,  ma  non  sono  ;  anzi  la  retta  comprensione  di  questi 
fatti  implica  la  comprensione  o  no  di  una  buona  parte  delle  alterazioni  del 
vocalismo. 

Nota  3.  —  La  confusione  dei  criteri  nei  segni  adoperati  daHMrc7(//'/o  si 
rivela  anche  in  '',  che  nessuno,  che  non  lo  sapesse,  sarebbe  indotto  a  giu- 
dicare un  elemento  intermedio  tra  o  ed  ii  o  tra  "  't  „  ed  ?,  ma  giudiche- 
rebbe un  "  n  ,  stretto. 

3.  La  nasalizzazioìie  la  segneremo  con  : 

.^  se  di  1"  grado,  e,  ove  occorresse,  co)i 

^  "  9^ 

4.  La  miisicaìità.  Vocali  evanescenti.  Parecchi  idiomi  (per  es., 
dei  nostri  dialetti,  i  meridionali)  presentano  in  sillaba  atona 
vocali  poco  chiare  di  timbro  :  il  fenomeno  dipende  da  un  an- 
ticipato ritorno  delle  corde  vocali  allo  stato  d'inerzia.  Tali  con- 
dizioni si  segnano  con  : 

o    [per  vocali  evanescenti^ 

Nota  1.  ^  Nel  mezzogiorno  non  solo  i  e  o  u  sono  evanescenti  ma  anche  a, 
che  dovrebbe  pertanto  segnarsi  con  i(. 

Nota  2.  —  DellV-  si  dava  ncW Archivio,  1,  p.  xliii,  questa  definizione  : 
■*  è  la  vocale  cosidetta  indistinta,  specie  di  o  volgente  ad  o,  che  si  ode  con 
particolare  frequenza  nell'inglese  „.  E  difatti  si  trova  usata  f;  per  la  fi- 
nale ^  napolitana  ;  è  usata  con  valore  di  vocale  simile  ad  o  (in  Archinio. 
I.  364);  e  finalmente  anche  per  IV  tonico  del  piem.  fetta  e  simm.  Ora  questi 
tre  elementi  non  hanno  proprio  nulla  a  che  fare  fisiologicamente  l'uno  con 
l'altro:  il  primo  essendo  un  elemento  sordo  o  semisordo,  il  secondo  un  ele- 
mento labio-palatino,  il  terzo  un  elemento  velare  o  labio-velare;  la  grafia 
il'd  primo  dev'essere  dunque  ;?,  nel  secondo  cf  e  simm.,  nel  terzo  e. 

5.  La  quantità  : 

^     segno  della  breve, 

^       ^  «       lunga, 

— ■',  -    ',   — :  segni  di  idtralunga.  Es.  (v',  a',  a'- 
Caratteri  piccoli  :  segni  di  brevissima.   Es.  a. 


XXVI  Archivio  Glottologico  Italiano 

Nota.  —  Ordinariamente  per  convenzione  s'intende  breve  ogni  vocale  non 
fornita  di  un  segno  di  quantità. 


2.  Ttfnjpresentazione  sinottica  del  sistema  vocalico. 

Tale  rappresentazione  si  fa  in  due  modi.  Nel  primo  s'usa  un 
triangolo  col  vertice  in  alto  e  le  vocali  a  u  i  ai  tre  angoli, 
come  si  vede  qui  : 

a 

Il  i 

Poi  si  collocano  tra  (/  ed  >i  le  vocali  velari,  tra  «  ed  i  le  pa- 
latine, tra  M  ed  i  le  turbate  di  tipo  ii  e  in  mezzo,  diagonal- 
mente, le  turbate  di  tipo  o.  È  il  sistema  adoperato,  per  es., 
daW Archivio  Glottologico,  che  è  esposto  nel  voi.  I,  a  pag.  xlti. 
Io  preferisco  ed  espongo  anche  nella  mia  scuola  un  altro  si- 
stema, simile  a  quello  adoperato  anche,  per  es.,  dal  Passy,  e 
formato  da  un  angolo  col  vertice  in  basso  e  la  vocale  a  al  ver- 
tice, e  le  vocali  i  ed  u  in  alto.  Questo  sistema  è  molto  meglio 
rappresentativo  perchè  la  vocale  a  è  la  piìi  bassa,  cioè  pronun- 
ciata colla  lingua  piatta  o  quasi  sulla  base  della  bocca,  e  le 
vocali  i  ed  u  sono  le  vocali  pili  alte,  cioè  pronunziate  colla 
lingua  più  innalzata  verso  la  regione  palatina  o  la  regione  ve- 
lare. Così,  dunque  : 

i         u 


Le  vocali  turbate  non  occupano  mai  un  lato,  ma  le  colloco 
tutte  dentro  i  lati  dell'angolo  e  parallelamente  ad  esso.  Ecco  il 
sistema,  colle  modificazioni  dei  segni  diacritici,  sopra  proposto  : 


Prefazione  xxvii 

Vocali  norm.  Alterazioni  Alterazioni       A'ocali  nomi, 

palatine    /        y    palatine  velari   i'         ii    velari 

/■         //  >' 

i         H  n 

o        iv  a 

e         (e  e  g 

e         (V  o 

e         (V  o 

p  ir  (j 

a  n 

il     a 

a 

Le  vocali  di  tipo  /.  ''  sono  state  ancora  poco  studiate  nei 
nostri  dialetti. 

Di  e  è  ricco  il  Piemonte  e  vi  hanno,  credo,  almeno  tre  va- 
rietà :   e  (largo),    r  (mediano),  e   (stretto). 

3,  Sef/ìii  diacritici  delle  consoncinti. 

Per  base  si  prende  l'alfabeto  latino  arricchito  di  segni  di  altri 
alfabeti  o  anche  di  elementi  alfabetici  latini  muniti  di  segni 
diacritici. 

Per  una  ripugnanza  estetica  contro  le  forme  ibride  io  tendo 
ad  escludere  più  che  sia  possibile  le  forme  imprestate  da  altri 
alfabeti. 

I.  Segni  semplici.  I  segni  semplici,  senza  alcuna  indica- 
zione, hanno,  meno  che  nei  casi  espressamente  indicati,  il  valore 
che  in  italiano  ;  sono  :  p.  h,  m,  f,  i\  {w,  bilabiale,  all'inglese), 
t,  d.  s,  f,  z,  ,;.  n,  r,  l,  k,  ;/,  h  (fricativa  laringea). 

Nota  1.  — /e  -^  sono  gli  'esse'  e  'zeta'  sonori  di  rofa,  \^ero.  Per  tali 
elementi  si  suole  adoperare  s'  o  z  o  simili  segni,  lo  consiglio,  invece, 
l'adozione  di  /  e  -;.  (lunghi,  all'antica),  perché  gli  apici  di  s'  e  z'  possono 
ingenerare  l'equivoco  che  si  tratti  di  elomenti  palatizzati  (v.  sotto).  L'Ascoli, 
dal  voi.  XI  dell'  "  Archivio  Glottologico  italiano  ,  in  poi  aveva  adottato  il 
segno  !j  per  indicare  la    gutturale    davanti   ad   /   ed  e   (per  es.   in    rifihi   e 


xxviu  Archivio  Glottologico  Italiano 

righe);  il  segno  mi  pare  superfluo  in  scritture  che  sono  come  questi  studi 
dialettali  destinate  a  un  pubblico  ristretto  di  specialisti. 

Nota  2.  —  Fricative  laringee  sorde  n'abbiamo  noi  in  italiano,  nelle  escla- 
mazioni ;  e  sono  di  due  gradi:  farti  e  ìeni;  forti  in  ])rincipio  di  sillaba: 
es.  ha,  ha,  ha!  (rappresentazione  fonetica  di  una  risata);  leni  in  fine:  es. 
ali.  oh  (v.  sotto\ 

Ma  molti  suoni,  che  pur  nei  nostri  dialetti  troviamo,  manca- 
vano al  latino  :  per  questo  abbiamo  bisogno  di  segni  diaciitici 
speciali. 

1,     —  -1.  indicano  elementi  lari)tget  (spiriti). 

Nota.  —  Per  esattezza  converrà  adoperare  nella  trascrizione  delle  escla- 
mazioni oh,  ah  la  grafia  o\'  a\',  viceversa  17/  per  ha,  ha,  ha  e  simili;  all'// 
potrà  essere  sostituito  anche  \i,  ecc. 

2.     -:-  indira  elementi  gutturali  in  seìiso  largo. 

Cioè  :  r  uvulare  (francese  e  dell'Alta  Italia)  :  h  gutturale  del  toscano  : 
la  h'asa  ;   n  di  boi.  matenna,  lìiai'l-aiìt,  piemont.  cadeniia  e  simm. 

Nota  1.  —  Conviene  non  confondere  Vh  gutturale  coWh  laringeo  (11  modo 
piìi  facile  per  noi  di  aver  nozione  di  questo  elemento  laringeo  è  di  chiudere  la 
laringe  e  farvi  produrre  degli  scoppietti!  [esplosive  laringee]  ;  cosi  si  abitua 
il  senso  muscolare  a  cjuesti  elementi  la  cui  produzione  è  subcosciente  ;  e 
si  può  mettersi  in  grado  di  riprodurli  in  altra  lingua  e  distinguerli  chia- 
ramente dagli  elementi  omogenei  gutturali). 

Nota  2.  —  ^  e  (}  possono  essere  riservati  ad  elementi  velari. 

Mancavano  al  latino  tutta  la  serie  degli  elementi  rattratti. 
Noi  con 

(3.)     — '  indicheremo  la  rattrazione  di  1"  grado, 

9» 


Esempi:  ital.  selce,  urge,  asa  'ascia',  friul.  iase  'la  casa',  el  gai  'il 
gatto  ',  ital.  anello  '  agnello  ',  fìi'o  '  figlio  '.  Ci  sono  inoltre  nei  nostri  dia- 
letti degli  elementi  appena  appena  schiacciati. 

Nota  1.  —  Chiamo,  come  è  ben  noto  dalla   mia    Orig.  d.  Ditt.  Romanz., 


Prefazione  xxix 

elementi  rattratti  tutti  quelli,  palatali  o  no,  che  sono  formati  con  una  par- 
ticolare forma  di  articolazione  della  lingua  per  la  quale  essa  per  così  dire 
si  accartoccia. 

Ho  studiato  fisiologicamente  e  sperimentalmente  questi  elementi  fonetici 
in  uno  scritto  clie  doveva  esser  parte  di  queste  note,  ma  che  poi,  per  la 
sua  mole,  ho  creduto  ad  esse  sproporzionato  :  e  l'ho  destinato  al  volunu' 
miscellaneo  che  sarà  pubblicato  in  onore  del  primo  cittadino  della  mia 
Trieste,  in  onore  di  Attilio  Hortis. 

Questi  elementi  furon  detti  ripetutamente  anche  di  fresco,  composti,  e 
furono  anche  definiti  semiocclusivi.  Non  sono  né  l'una  né  l'altra  co.sa  ; 
sono  elementi  momentanei  rattratti  o  schiacciati  secondo  che  li  si  consi- 
deri dal  punto  di  vista  della  forma  dell'articolazione  o  della  qualità  dell'espi- 
razione. Caratteristica  articolativa  di  essi  elementi  è  che  l'articolazione 
della  lingua  non  avviene  intorno  a  un  asse  longitudinale,  come  negli  ele- 
menti estensivi  (t,  k.  ecc.\  ma  anche  intorno  ad  assi  piìi  o  meno  traversali; 
della  rattrazione,  dicevo,  abbiamo  tre  gradi  a  seconda  appunto  del  grado 
di  convergenza  degli  assi  di  articolazione  ;  onde  possiamo  parlare  di  rat- 
tratte  laterali  (nei  primi  due  casi,  :  — '  — )  e  di  più  fortemente  rattratte. 
cioè  rattratte  latero-frontali  e  frontali  (nel  terzo  caso,  :  —). 

Nota  2.  —  Per  ii  si  scrive  spesso  h.  Per  ragioni  sistematiche,  di  coerenza 
nella  grafìa,  è  consigliabile  l'uniformità  dei  segni  diacritici  per  elementi 
omogenei. 

4.  ~T-  serve  ad  iiidicure  elenieidi  inrertiti  Hai.  merid.  e  insuì. 

Nota.  —  Questi  elementi  furono  chiamati  anche  linguali,  cacuminali  o 
cerebrali;  nessuna  di  queste  denominazioni  va  ;  è  equivoca  la  prima,  insulse 
le  altre  ;  siccome  questi  elementi  e  i  palatali  hanno  comune  il  luogo  del- 
l'articolazione, conviene  distinguerli  per  la  forma  dell'articolazione,  chia- 
mando 'rattratti'  questi,  quelli  'invertiti'. 

5,     |)  e  (ì  servono  per  le  spiranti  intirdentali. 

Nota.  —  Questa  forma  del  d  si  potrebbe  prenderla  a  modello  per  indi- 
care coerentemente  altri  elementi  spiranti  che  non  abbian  altra  notazione 
speciale  precisa:  così  per  il  e  intervocalico  fiorentino  (per  es.  in  tf/t'Ci),  per 
un  r  uvulare  spirante,  per  una  g  spirante  gutturale  sonora  (simile  a  g),  per 
il  g'  rattratto  di  2°  grado  clie  s'ha  in  tedesc.  tage. 


Archivio  Glottologico  Italiano 


5.  Quadro  sinottico  degli  elementi  fonetici. 

Osservazioni. 

1.  Sul  luogo   d'articolazione   degli  elementi  fonetici.    Zone  d'ar- 
tieola/ione. 

Prima  di  esporre  in  un  quadro  sinottico  le  notizie  che  ho 
riferite  o  che  sono  implicite  in  quanto  precede  voglio  ancora 
premettere  alcune  osservazioni. 

Un  luogo  stabile  dell'articolazione  non  l'hanno  veramente  che 
gli  elementi  non  linguali,  ossia  gli  elementi  laringei,  uvulari, 
labio-deìitali  e  labiali.  Invece,  e  ciò  è  appunto  per  la  grande 
mobilità  dei  muscoli  linguali,  non  un  punto  fisso,  ma  una  zona 
d'articolazione  hanno  tutti  gli  elementi  linguali  ;  e  precisamente 
queste  zone  possiamo  dire  che  sono  quattro  :  una  gutturale, 
un'altra  mediopalatina,  una  terza  palato-alveolare,  una  quarta 
alveodentale. 

I  dentali  possono  essere  predentali,  dentali  e  postdentali  ; 
alveolari  addirittura  mi  paiono  ì  t  d  in  parte  del  lucchese  e  forse 
in  altre  regioni  di  Toscana.  Il  simile  va  detto  delle  spiranti  s,f  e 
della  nasale  n.  Altrettanto  si  dirà  di  2;  e  ~  e  di  Ji  e  d  (che  ap- 
partengono tutte  quattro  alla  categoria  delle  rattratte  :  rattratte 
apicali  z  e  ,7,  apico-marginali  j)  e  d). 

In  modo  analogo  nella  zona  del  prepalato  e  degli  alveoli  si 
estendono  le  articolazioni  e  </,  e  y.  Per  es.  il  Lenz  ritiene  che 
e,  g  si  pronunzino  più  indietro  di  e,  g  ;  l'Ascoli  il  contrario. 
Hanno  ragione,  nella  loro  analisi  personale  ^,  tutti  e  due,  ma 
assolutamente  è  vero  che  tanto  e,  g,  quanto  e,  g  non  hanno  un 
punto  fisso  d'articolazione,  ma  una  zona  d'articolazione.  La  dif- 
ferenza fisiologica  caratteristica  di  essi  è  data  da  una  diversità 
dell'articolazione,  non  dal  luogo  dell'articolazione  stessa. 


'■  L'analisi  dell'Ascoli  mi  fu  confermata  vera  da  un  amico  friulano,  il 
prof.  Cosattini,  noto  insegnante  di  Liceo  e  libero  docente  a  Roma  ;  io,  sul 
palato  artificiale,  ho  ottenuto  tracciati  coincidenti  (v.  il  mio  scritto  citato). 


Prefazione  xxxi 

Delle  liquide,  l  può  essere  dentale  e  alveolare  e  prepalatale 
(anche  mediopalatale)  ;  r  prepalatale  e  alveolare.  Anche  le  in- 
vertite possono  essere  tanto  alveolari  quanto  palatali. 

Dal  complesso  di  queste  osservazioni  risultano  due  conclu- 
sioni :  che  in  un  sistema  generale  la  divisione  secondo  il  luogo 
dellarticolazione  non  si  può  fare  che  con  approssimazione  e  per 
zone  piuttosto  ampie  :  e  che  viceversa,  nella  descrizione  dei  dia- 
K'tti  attualmente  parlati  si  deve  ben  osservare  e  descrivere  mi- 
nutamente la  posizione  di  ciascun  elomento.  Onde,  in  un  sistema 
generale  noi  dividiamo  gli  elementi  fonetici  glosso-palatali  in 
velo-palatali,  medio- palai  ali,  palato-alreolari  e  alveo-dentali  ;  e  nei 
sistemi  particolari  useremo  invece  secondo  il  bisogno  tutte  quelle 
minute  indicazioni  che  abbiamo  detto  ;  ossia  aggiungendo,  per 
ragione  mnemonica,  anche  gli  elementi  non  linguali  :  1)  laringei  ; 
1)    uvulari  ;     3)    relari,   gutturali,   pregutturali    (medio- palatali)  ; 

4)  medio-palatali  :    5)    (medio-palatali)  ,    prepalatali ,    alveolari  ; 

5)  al  vola  ri,   post-dentali,    dentali,    predentali  ;    6)    labiodentali  ; 
7)    intf-rdentali  ;  8)  labiali. 

2.  Parte  della  lìngua  interessata  alla  produzione  degli   elementi 

fonetici. 

Gli  elementi  post-palatali  sono  sempre  dorsali,  mentre  i  pre- 
palato-alveolari possono  essere  tanto  dorsali  quanto  apicali, 
articolati  cioè  col  dorso  o  con  la  punta  della  lingua.  Anche  una 
divisione  in  dorsali  e  apicali  non  si  può  adottare  in  un  sistema 
generale  ;  ma  di  queste  condizioni  bisogna  invece  tenere  esatto 
conto  in  un  sistema  speciale.  Sono  di  necessità  apico-coronali 
o  apico-marginali  ^  .;,  |)  d.  Di  queste  modalità,  per  non  render 
troppo  affastellato  e  quindi  poco  perspicuo  il  quadro,  non  teniamo 
conto  in  esso. 

3.  Dell'espirazione  negli  elementi  fonetici. 

Anche  per  questo  riguardo  qualche  appunto  va  fatto. 

Nella  distinzione  e  classificazione  degli  elementi  fonetici  dal 
punto  di  vista  dell'espirazione  si  .sogliono  tener  presenti  questi 
dati  :  Al  Vie  dell' espira  zioìtc  :  -  Bj  Durabilità  ;  -  C)  Energia  ;  - 
D)  Musicalità  dell'espirazione  ;  -  E)  Qualità  dell'espirazione. 


Archivio  Glottologico  Italiano 


QUADRO    SINOTTICO 


DEGLI 


ELEMENTI    FONETICI 


Senza  articolazioni  d.  lingua 


Vibranti 


laringi;  E 


Estensive 


velari"    . 
*  gutturali 


VELO-PALATALI 


pregutturali     . 
medio-palatine 


di  1°  grado 


di  1°  grado  . 


MEDIO-PALATALI 


Rattratte 


2° 


^    .    3° 


Invertite 


Vibrante 


Rattratte 


i  latero-apicali 

(  apicali.     .     . 


Estensive 


Vibranti 


Rattratte  marginali 


INTERDENTALI 


Senza  articolazione  della        )  laiuo-uentali 
lingua I 


MOMENTANEE 


esplosive 


forti 

e 
sorde 


leni 


*  Semivibrante  ;  le  parentesi  indicano  clie,  se  la  tipografia  li  possedesse,  adoprerei  se{ 

attraversati  da  una  linea  come  il  (I  interdentnlo. 
^  Per  le  esplosive  di  questa  categoria  s'userà  eventualmente  q,  y. 


Prefazione 


CONTINUE 


N  A  f 

A   I.  1 

«j  II  A  L  1 

liquide 

1! 

pure         schiacciate 
'  leni  e  sonore 

spir 

iui-e        schiacciate 
leni  e  sonore 

forti 

e 
sorde 

ire 

leni 

e 

sonore 

- 

—  ,   /• 

)• 

semi-vibr. 

n 

ir 

(.7) 

n 

V 

n 

r 

r 

i 

1 

(^) 

(x) 

n 

'      !      ^ 

l 

i 

l>  if)         <ì 

/■ 

tu 

['■\ 
vibr.   liti). 

'/  0" 

"•  {y) 

schiacciate 


forti 


(e) 


^   leni 

e 
sonore 


vocali 


leni  e  sonore 


0  ,     o 


a  * 
7  .    e 


h'  (g'ì 


J" 


a  "  .     >(  ,    a 


e ,   1 ,    0,   u 


*  Con  articolazione  della  lingua. 
Questa  serie  può  essere  più  avanzata  e  le  altre  che  seguono  piìi  retrocesse  ;  per 

semplicità  io  mi  limito  a  dare  un  tipo  solo. 
Senza  articolazione  della  lingua. 


XXXIV  Archivio  Glottologico  Italiano 

A)  Tenendo  conto  delle  vie  dell'espirazione,  si  possono  di- 
videre gli  elementi  fonetici  in  orali  e  nasali  ; 

B)  e  della  durabilità,  in  momentanei  e  continui  ; 

C)  e  della  energia  dell'espirazione,  in  forti  e  leni  (L'energia 
dell'espirazione  va  di  pari  passo  con  l'energia  dell'articolazione). 

D)  Secondo  l'intervento  o  no  delle  vibrazioni  delle  corde 
vocali  gli  elementi  fonetici  si  dividono  in  sordi  e  sonoì-i.  Ele- 
menti sordi  "sono  per  solito  i  forti,  sonori  i  leni,  ma  questa 
coincidenza  non  si  ha  sempre.  Sono  sonore  le  forti  napolitane, 
per  es.  nella  parola  '  Napoli  '  (Sono  sorde  le  leni  del  tedesco 
della  Svizzera  e  dell'Austria). 

EJ  Ma  anche  alla  qualità  dell'espirazione  va  badato.  Per 
essa  noi  dobbiamo  distinguere  gli  elementi  fonetici  in  esplosivi 
e  schiacciati  (che  corrispondono  ai  momentanei),  e  in  spiranti, 
liquidi  e  nasali,  puri,  e  spir.  liq.  nas.  schiacciati  (che  corrispon- 
dono ai  continui).  Ossia  alla  forma  speciale  dell'articolazione  che 
concorre  alla  produzione  degli  elementi,  detti  per  l'articolazione 
rattratti,  corrisponde  anche  un  timbro  speciale  che  i  nostri  an- 
tichi grammatici  chiamarono  schiacciato.  E  un  timbro  spiccata- 
mente diverso  da  quello  degli  altri  elementi  esplosivi  o  degli 
spiranti,  liquidi  e  nasali,  e  va  quindi  definito  con  un  nome;  né 
si  dica  che  i  nomi  contan  poco  ;  io  penso  invece  che  l'aver  de- 
finito ugualmente  '  esplosivi  '  per  es.  il  A;  e  il  e  sia  stata  forse 
una  delle  principali  ragioni  per  cui  tanto  s'è  stentato  a  inten- 
derci sulla  natura  degli  elementi  rattratti  ;  i  quali  sono  sì  mo- 
mentanei, ma  esplosivi  niente  affatto. 

Segni  diacritici  per  VesiHra^ìoìte, 

~f~  può  servire  ad  indicare  elemento  fonetico  più  energico  che  il  corri- 
.spondente  italiano  ;  e 

■="  viceversa,  un  elemento  fonetico  meno  energico  ; 

— '"  indica  sonorità  in  elemento  forte  ; 

— "  indica  sordezza  in  elemento  lene. 

Nota.  —  Con  r  segnerò  Vr  di  parte  della  Liguria  e  del  Piemonte. 


Prefazione  xxxv 

Vocali  hi  fimrjioìte  di  coiisonanti  e  rie. 

~^    indica  voo.  in  lunz.  di  consonante. 
TT         ,        con?;.  ^        ,        f    vocale. 

Es.   1.  -    {■    di  piede,-  >(  di   luo^o,    lì  di  fr.  lid  ;  -   2,  specialmente    per   le 
liquide  e  nasali  sonanti. 

Osservazione  1.  —  Nella  pratica  della  trascrizione  fone- 
tica in  opere  a  stampa  è  consigliabile  la  maggiore  possibile 
parsimonia  di  segni  diacritici  :  ciò  soprattutto  per  ragioni  di 
economia  ;  d'altra  parte  osservazioni  sulla  natura  fonetica  degli 
idiomi  studiati  fatte  una  volta  per  sempre,  al  principio  dello 
studio,  bastano  ad  evitare  qualunque  equivoco  di  lettura.  Fac- 
cianio  un  caso  speciale  :  le  nasali  sono  per  solito  omorganiche 
alle  consonanti  che  seguono.  In  tal  caso  è  inutile  l'uso  dei  segni 
speciali  :  la  pronuncia  dell'//  nelhi  parola  '  ancora  '  non  potrà 
essere  incerta  anche  se  non  si  segni  1';?,  come  si  dovrebbe,  con  n. 
Supposto  che,  per  es.,  Vn  sia  gutturale  anche  davanti  a  dentali, 
anche  in  tal  caso  basterà  un'avvertenza  preliminr.re  per  togliere 
ogni  dubbio  sulla  sua  pronunzia. 

Osservazione  2.  — ■  Rapjiresentazioni  sinottiche  delle  diffe- 
renze tra  la  pronunzia  presa  come  modello  e  la  dialettale.  —  Ho 
detto  sopra  che  per  convenzione  attribuiamo  agli  elementi  alfa- 
betici il  valore  fonetico  che  hanno  in  italiano,  quando  nulla  sia 
avvertito  in  contrario  ;  negli  elementi  che  mancano  all'italiano 
il  segno  avrà  il  valore  di  quel  dialetto  che  si  sceglierà  come 
tipico.  A  dinotare  sinotticamente  queste  differenze  io  consiglio 
di  procedere  nel  modo  che  è  seguito  a  pag.  43  e  45  di  questo 
volume.  Ossia  :  le  vocali  toscane  o  comunque  paradigmatiche 
consiglio  di  scriverle  dentro  i  lati  dell'angolo  o  del  triangolo  in 
carattere  tondo  e  fuori  le  dialettali  in  corsivo  ;  nelle  consonanti 
si  segneranno  in  carattere  tondo  quelle  consonanti  che  si  pro- 
nunziano come  nell'italiano,  in  corsivo  quelle  che  si  pronunziano 
diversamente  ;  fra  parentesi  quadre  son  collocate  le  consonanti 
toscane  che  mancano  nel  dialetto. 

Questi  quadri  sinottici  suggeriranno  spontaneamente,  eloquen- 
temente, agli  studiosi  la  sintesi  delle  condizioni  fisiologiche  del 
proprio  dialetto. 


XXXVI  Archivio  Glottologico  Italiano 

III. 

Le  sintesi  linguisticlie. 

Nella  mia  modesta  attività  scientifica,  e  fino  dai  primordi  di 
essa,  mi  sono  proposto,  come  una  ragione  e  una  via  sicura  nel- 
l'indagine glottologica,  questa,  delle  sintesi  linguistiche  ;  e  il 
metodo  l'ho  trovato  utile  per  me  e  per  la  mia  scuola.  Mi  spiego 
chiaramente  in  che  esso  consista.  Supponiamo  che  s'abbia  da 
fare  una  ricerca  storica  nel  campo  morfologico  di  una  lingua  di 
cui  si  conosca  il  periodo  attuale  o  l'ultimo  periodo  storico  e  di 
cui  si  conosca  anche  approssimativamente  per  la  comparazione 
con  altre  lingue  affini  il  periodo  originario,  e  s'ignorino  invece 
i  periodi  intermedi  ;  si  supponga  inoltre  che,  come  suole  avve- 
nire, l'ultimo  periodo  sia  molto  discosto  dalla  condizione  primi- 
tiva. In  tali  condizioni,  molte  forme  singolari  possono  avere  piìi 
d'una  interpretazione,  possono  reputarsi  continuatrici  di  forme 
originarie,  o  analogiche  sull'una  od  altra  forma  storica  o  pre- 
istorica. Ora  in  ricerche  di  questo  genere  si  procederà  a  casaccio^ 
assolutamente  come  a  tentoni  nel  buio,  se  non  si  terranno  ra- 
zionalmente presenti  alla  memoria  tutti  i  paradigmi  e  via  via 
le  inevitabili  vicende  di  tutti  essi  insieme,  prodotte  man  mano 
dalle  mutazioni  dei  paradigmi  singoli  in  conseguenza  di  altera- 
zioni fonetiche  della  lingua  che  si  studia.  Io  ho  seguito  questo 
metodo  nel  mio  studio  sul  Perfetto  Latino  e  molti  anni  dopo  in 
quello  dei  pronomi  rumeni  ;  in  entrambi  i  casi  mi  fu  facilissimo 
orientarmi;  e  a  proposito  del  Perfetto  e  aoristo  latino  ho  visto 
che  più  d'uno  di  coloro  che  dopo  di  me  ne  han  trattato  han 
dato  di  forme  singole  interpretazioni  visibilmente  insostenibili. 
Ma  di  ciò  altrove. 


Prefazione  xxxvii 

Pari  e  molteplici  benefici  si  ottengono  anche  in  ricerche  fo- 
netiche dal  metodo  sintetico. 

Per  esso  è  riuscito  all'umile  scrittore  di  queste  righe  di  ri- 
solvere definitivamente  la  tanto  dibattuta  questione  di  steà-stmua 
nel  rumeno  ;  dico  definitivamente,  perché  applicando  la  mia  legge 
potè  il  Puscariu  chiarire  in  modo  piano  e  semplice  anche  qualche 
altra  forma  dialettale  rumena.  E  parecchie  altre  quistioni  fone- 
tiche ho  potuto  facilmente  risolvere  io  collo  stesso  metodo  in 
Oriy.  d.  eliti,  rom.  Io  non  mi  assoggetterei  alla  pena  di  citar 
me  stesso  se  non  mi  accorgessi  che  questo  metodo  non  è  seguito 
quanto  dovrebbe  essere.  Cosi  all'interpretazione  che  io  davo  del 
muglis.  hiióìia  e  simm.  uno  che  potrebbe  esser  mio  maestro,  con 
severità  e  sicurezza  da  maestro  infallibile,  opponeva  che  il  huória 
dovesse  invece  riputarsi  una  continuazione  di  un  hójna  ;  il  che 
assolutamente  non  può  essere,  perché,  considerando  in  sintesi  il 
vocalismo  della  sezione  orientale  del  ladino,  apprendiamo  sicu- 
ramente che  una  ritrazione  d'accento  mai  s'ebbe  colà  in  sillaba 
mediana. 

Lo  stesso  metodo  è  di  grande  aiuto  e  lume  anche  nelle  ri- 
cerche fonetiche  di  geografia  dialettale.  Avviene  che  in  territori 
limitrofi  e  linguisticamente  affini  s'abbia  d'un  dato  elemento  fo- 
netico antico  una  risoluzione  identica  :  in  questi  casi  s'è  caduti, 
secondo  me.  nell'illusione  (e  si  continua  a  cadervi),  che  si  tratti 
di  una  propagazione  del  fenomeno  d'uno  in  altro  territorio.  Ora, 
come  io  ho  mostrato  nel  citato  libro,  Orig.  d.  ditt.  rom.  (v.  in- 
dici), che  ancora  una  volta  mi  permetterò  di  citare  (e  il  Meyer- 
Lubke.  colhi  sua  benovolenza,  in  Einfilhrung-,  p.  207,  mi  dà  una 
mano  a  prendere  il  mio  coraggio  con  due),  in  questi  casi  bisogna 
porre  attenzione  contemporaneamente  a  questi  vari  fatti.  In  primo 
luogo,  se,  considerando  in  .sintesi  le  alterazioni  fonetiche  di  una 
data  regione,  il  fenomeno  che  si  supponeva  di  propagazione  non 
risulti  invece  con  tutta  facilità  l'effetto  della  disposizione  erga- 


XXXVIII  Archivio  Glottologico  Italiano 

nica  dai  parlanti  un  dato  dialetto  ;  secondo,  se  l'alterazione  co- 
mune, come  per  es.  un  l  da  le  od  ei  non  appartenga  al  genere 
dei  fenomeni  particolari  ^  ;  terzo,  se  le  condizioni  geografiche  e 
storiche  consentano  che  s'immagini  una  cos'i  forte  immistione 
dialettale  che  anche  la  fonetica  d'intere  regioni  abbia  subito, 
per  l'imitazione,  un  piìi  o  meno  grave  mutamento. 

In  base  a  queste  considerazioni  io  venivo  a  tener  distinti 
(1.  e,  pag,  128-152,  186-190  e  196,  sotto  la  rubrica  '  Sistema- 
zioni dialettali  '  ^),  nella  Penisola  i  seguenti  gruppi  dialettali  con 
evoluzione  fonetica  indipendente:  Gallo-romanzo,  Ligure-romanzo, 
Illiro-roìnanzo,  Toscano,  Italo-romanzo  (da  dividersi  questo  in  due 
sezioni  :  l'una  settentrionale,  l'altra  meridionale).  A  questa  di- 
visione io  m'atterrò  anche  nella  sistemazione  degl'indici  del- 
V  Aì'cJùvio. 

■■i: 

L'Archivio  sarà  largo  di  ospitalità  a  studiosi  di  ogni  tendenza  ; 
e  sarà  libera  palestra  anche  a  discussioni  serene  e  garbate  sia 
intorno  a  principi  metodologici  fondamentali  della  glottologia, 
sia  intorno  a  quesiti  particolari. 

Né  rifiuterà  ricerche  di  fonetica  sperimentale,  purché  condotte 
con  prudenza.  La  qual  prudenza  (come  ho  cercato  di  dimostrare 


'  Denominazione  che  sostituirei  a  quella  (un  po'  lugubre  !)  di  '  accidente 
generale  '.  E  anche  qualche  altro  termine  un  po'  pesante  e  poco  italiano 
andrebbe  abbandonato;  come,  per  es.,  quello  di  sillaba  complicata,  che  fa 
pensare  a  chissà  quali  mai  complicazioni.  Si  può  benissimo  dire  della  vo- 
cale :  vocale  stretta  e  larga;  e  della  sillaba  :  aperta  e  chiusa;  ne  mai  certo 
alcuno  potrà  esser  tratto  a  confondere  fra  loro  i  termini  '  vocale  aperta  ' 
e  '  sillaba  aperta  '. 

-  Cito  anche  quest'ultimi  due  passi,  dacché  nel  primo,  per  menda  tipo- 
grafica, nell'enumerazione  dialettale  fu  saltato  il  '  ligure-romanzo  '  ;  il  danno 
non  può  esser  certo  grave,  perché  l'enumerazione  era  la  conclusione  di  venti 
pagine  di  ragionamento. 


l'ret'aziouf 


nel  mio  citato  studio  sulle  rattratte)  consiste,  lo  si  ricordi  bene, 
soprattutto  in  questo  :  di  esser  ben  persuasi  che  i  piìi  begli  istru- 
nienti  di  fonetica  sperimentale  sono  il  nostro  orecchio  e  il  nostro 
senso  muscolare. 


* 


Alla  fine  di  ciascun  volume,  o  anche  prima,  secondo  l'oppor- 
tunità, verrò  pubblicando  una  bibliografia  ragionata  di  scritti 
riguardanti  i  dialetti  italiani  ;  perché  tale  rassegna  riesca  age- 
vole e  completa  prego  gli  studiosi  d'inviare  alla  direzione  del 
giornale  (Bologna,  via  Toscana,  50,  già  F.  P.  S.  Stefano,  50), 
possibilmente  in  due  esemplari,  tutte  le  pubblicazioni  che  cre- 
dano interessanti  per  ['Aì'chivio. 

In  appendice  a  questa  rassegna  sarà  dato  cenno,  di  regola 
col  solo  titolo,  anche  di  opere  estranee  al  campo  dialettale  ita- 
liano, che  alcuni  autori  lianno  cortesemente  inviato  ed  altri  vor- 
ranno inviare  in  seguito  alla  direzione  del  giornale. 

Alla  direzione  stessa  si  manderanno  anche  gli  articoli  oi'igi- 
nali  da  pubblicarsi. 

P.    (j.    (jOIDÀNIClI. 


FRANCESCO    D'OVIDIO 


COMMEMORAZIONE 


GRA.:ZIA.DIO     I3A.IA.    /\3COLI 


Lo  vidi  l'ultima  volta  sei  mesi  prima  della  sua  morte,  in  una 
occasione  solenne:  all'Accademia  dei  Lincei,  nella  tornata  cui 
annualmente  intervengono  i  nostri  benamati  Sovrani.  Ancora, 
da  quella  fronte  cosi  spaziosa,  da  quegli  occhi  cosi  vivi  ed  acuti, 
da  quella  faccia  ispirata  che  soleva  rivelar  sùbito  un  uomo  af- 
fatto straordinario,  traluceva  in  parte  l'antica  virtù;  e  il  corpo, 
che  non  fu  mai  prestante  ed  era  divenuto  gracile,  non  sembrava 
però  soverchiamente  prostrato  dagli  anni.  Ricordo  anzi  che  in 
quella  seduta,  per  volermi  cedere  un  posto  ch'egli  suppose  mi 
fosse  riservato,  si  condannò  a  star  più  d'un'ora  in  piedi,  con- 
dannando me  ad  un'ora  di  rimorso;  che  dipoi  die  luogo  a  una 
vera  compiacenza,  di  vederlo  tuttavia  cosi  immune  da  senile 
stanchezza.  Ma  ohimè,  già  poche  settimane  appresso  una  ben 
altra  stanchezza  lo  sopraffece  quasi  a  un  tratto,  lo  assalì  nella 
rocca  stessa  di  quel  suo  prodigioso  organismo  ;  che  non  solo  egli 
fastidi  ogni  cibo,  non  solo  ebbe  di  rado  la  forza  di  levarsi  dal 
letto,  ma  si  senti  quasi  sempre  incapace  d'ogni  lettura  anche 
lieve,  e  lo  scriver  anche   poche  righe  divenne  per  lui  un'ardua 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  1 


2  Francesco  D'Ovidio 

impresa.  Quale  strazio  non  dev'essere  stato  il  suo:  sentirsi  venir 
meno  le  forze  dell'intelletto,  proprio  di  quell'intelletto  ch'era 
stato  sempre  cosi  esuberante,  così  lussureggiante,  così  irre- 
quieto; del  quale  aveva  tante  volte  provata  in  sé  la  gagliardia 
e  quasi  l'ebbrezza.  La  sua  lunga  vita,  di  rado  trascorsa  fuor 
della  casa,  o,  al  più,  nella  scuola,  nelle  biblioteche,  nelle  acca- 
demie, non  era  stata  che  un  continuo  lavoro  mentale.  A  questo 
dava  gran  parte  fin  della  notte;  a  questo  non  rinunziava  pur 
quando  qualcosa  lo  sospingeva  a  forza  lontano  dalla  sua  dimora. 
Finanche  il  conversare  era  di  solito  per  lui  un  parlare  in  iscritto, 
con  quelle  sue  lettere  così  faconde,  briose,  sottili,  o  talora  im- 
petuose; in  quei  suoi  caratteri  fini,  precisi,  elegantissimi.  Sen- 
nonché una  vita  tanto  felice  per  doni  di  natura  e  di  fortuna  si 
terminò  col  peggior  degli  spasimi:  assistere  con  perfetta  luci- 
dità di  mente,  con  intera  consapevolezza,  allo  spegnimento  d'un 
genio,  del  proprio  genio  ;  scorgere  nelle  ultime  ore  un'  ironia 
crudele  di  tutto  il  proprio  passato.  I  pochi  amici  che  poteron 
vedere  le  scarse  lettere  ch'egli  a  grande  stento  vergò  in  quei 
mesi,  ove  dalle  righe  scomposte,  attorcigliate,  s'intravedeva  pure 
lo  sforzo  di  raggiungere  l'antica  nitidezza,  si  sentivano  strin- 
gere il  cuore. 

Ma  il  cuore  ci  si  rallarga  se  pensiamo  a  ciò  che  quest'uomo 
potè  fare  in  prò  della  scienza,  e  ad  onore  della  risorgente  cul- 
tura italiana.  Di  una  disciplina  nata  e  cresciuta  oltralpe,  in  cui 
l'Italia  risicava  di  rimanere  lungamente  novizia,  recettiva,  egli 
acquistò  in  breve  da  sé  tal  padronanza  da  poter  discutere  alla 
pari  co'  maestri  stranieri,  da  far  udire  con  rispetto  e  simpatia 
la  voce  d'un  Italiano  nella  gran  conversazione  europea,  special- 
mente germanica.  Quella  voce  sonò  dapprima  con  accento  ita- 
liano, poi  talora  nella  lingua  stessa  di  quei  maestri,  la  quale 
egli  aveva  così  familiare  da  poterla  usar  in  cambio  della  propria. 
Fu  creduto  alunno  di  qualche  Università  germanica,  mentre  non 


^ 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  3 

s'era  mosso  dalla  sua  Gorizia,  l'oi  di  mano  in  mano  assorse  a 
tal  levatura,  che  dai  dotti  tedeschi,  e  dai  dotti  d'ogni  paese,  fu 
ascoltato  e  salutato  come  un  maestro,  come  un  grande  maestro. 

La  sorte  gli  fu  benigna.  Unico  figlio  maschio  di  famiglia  do- 
viziosa, se  ebbe  la  sventura  d'ignorare  le  carezze  paterne,  poiché 
il  padre  discese  nel  sepolcro  poco  prima  che  il  figliuol  suo  nel 
16  luglio  1829  vedesse  la  luce,  ben  conobbe  le  carezze  materne, 
e  potè  senza  contrasto  assecondare  il  suo  genio,  finir  col  dedi- 
carsi tutto  agli  studii  linguistici.  Una  difficoltà  gli  poteva  venire 
dal  fatto  che,  per  ragioni  particolari  della  famiglia  sua  piìi  an- 
cora che  per  una  ripugnanza  comune  allora  a  molte  agiate  fa- 
miglie israelitiche,  egli  non  fu  inviato  alle  pubbliche  scuole;  ma 
gliene  derivaron  più  vantaggi  che  danni.  La  scuola  giova  qual 
preparazione  alla  vita,  ed  in  quanto  costringe  a  reprimere  in 
sé  gli  scatti  d'un'indole  che  sia  sensitiva;  e  giova  d'altra  parte 
a  infonder  l'abito  dello  studiare  con  metodo,  l'amore  della  dot- 
trina severa  e  faticosa,  l'aborrimento  della  superficialità  dilet- 
tantesca. Ma  di  questo  secondo  beneficio  l'Ascoli  non  aveva 
bisogno,  tanto  il  suo  intelletto  era  naturalmente  temprato  al- 
l'ordine, alla  disciplina,  al  rigore  metodico,  all'austerità,  alla 
profondità.  I  libri,  ch'ei  predilesse  conformi  a  tali  sue  innate 
disposizioni,  bastarono  a  educargliele  e  raffinargliele  ;  e,  come 
l'agiatezza  gli  permise  di  possederne  pre'sto  molti,  cosi  la  lon- 
tananza dalle  scuole,  ove  i  più  veloci  son  pur  costretti  a  ral- 
lentare un  po'  il  passo  per  la  compagnia  dei  dammeno,  gli  die 
l'agio  di  leggerne  moltissimi.  E  cosìi  potè,  a  sedici  anni,  venir 
fuori  col  suo  saggio  sull'affinità  del  friulano  col  rumeno,  senza 
che  da  uomo  maturo  avesse  poi  a  vergognarsi  di  quella  precoce 
e  ingenua  primizia. 

Tuttavia,  di  precocità  vera  e  di  spontanea  prontezza  d'in- 
gegno ei  non  voleva  vantarsi.  Trentaquattr'anni  or  sono  mi  di- 
cova seriamente  che  da    natura  egli  aveva  sortito   un  ingegno 


4  Francesco  D'Ovidio 

tardo,  ma  insieme  una  volontà  forte,  tenace,  con  la  quale  aveva 
superato  gli  ostacoli  di  quella  tardità,  e  perfino  ottenuto  un 
maggiore  sviluppo  dei  suoi  ossi  frontali.  Curiosa  esagerazione, 
senza  dubbio;  e  nessuno  vorrà  credere  che  fosse  mai  stato  di 
tardo  ingegno  quell'uomo  che  eccelleva  anche  per  l'impeto  del- 
l'argomentare, del  ribattere,  del  motteggiare.  Pure,  in  tali  con- 
fessioni d'uomini  avvezzi  a  scrutar  gli  altri  e  sé  medesimi,  vi 
suol  essere  un  lato  vero;  e  qui  c'è  che  non  solo  era  proprio 
strapotente  in  lui  "  la  virtù  che  vuole  „,  ma  altresì  alla  nativa 
precocità  e  alla  prontezza  erano  state  e  furon  sempre  di  freno 
la  non  meno  nativa  tendenza  al  riflettere  lungamente,  al  pro- 
vare e  riprovare,  e  lo  zelo  della  perfetta  precisione,  l'estrema 
ripugnanza  a  lasciarsi  mai  cogliere  in  fallo,  la  riverenza  quasi 
religiosa  verso  i  maestri  e  gli  anziani  della  scienza,  la  timi- 
dezza dell'autodidatto  non  ancor  consapevole  di  tutto  il  suo  de- 
stinO;  e  più  tardi  la  molta  ritrosia  a  deporre  qualche  opinione 
che  avesse  lungamente  mantenuta.  Certo,  dal  connubio  appunto 
del  facile  intùito  con  la  lunga  meditazione,  dell'ardire  con  la 
prudenza,  dell'estro  con  la  pazienza,  vengono  i  più  squisiti  frutti 
della  ricerca  scientifica,  ed  anche  dell'arte;  ma  è  certo  del  pari 
che  nell'Ascoli  quelle  opposte  qualità  giunsero  di  grado  in  grado 
alla  loro  fusione  definitiva,  e  che,  s'egli  fosse  morto  poco  dopo 
i  trent'anni,  avrebbe,  sì,  lasciato  un  bel  manipolo  di  svariati 
saggi  di  glottologo  e  di  sanscritista  ed  ebraista,  da  attestare 
la  promettente  energia  d'un  ingegno  largamente  dotto,  severo, 
giudizioso,  acuto,  ma  non  da  far  indovinare  in  tutto  e  per  tutto 
il  maestro  sommo  ed  originale  che  in  effetto  poi  fu. 

Ai  lettori  italiani  poteva  inoltre  dar  qualche  sgomento  lo 
stile  un  po'  artificioso,  e  la  lingua  che  in  un  tal  quale  abuso 
di  forme  eleganti  o  poetiche  rivelava  l'uomo  educato  principal- 
mente alla  lingua  dei  libri.  Gliene  rimase  sempre  uno  strascico, 
ma  ciò  non  gl'impedì  di  finir  col  crearsi  uno  stile  originalissimo, 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  5 

possente  anche  per  la  dicitura,  e  che  da  quello  stesso  colore 
un  po'  insolito  e  personale  traeva  sovente  efficacia.  Argutissimo 
com'egli  era  nella  conversazione  o  nel  carteggio,  di  rado  però 
consentiva  a  sé  o  agli  altri  l'arguzia  nell'esposizione  della  ve- 
rità scientifica,  ma  alcuni  di  quei  motti  a  cui  pur  trascorse  son 
potuti  divenir  celebri;  come  poi  di  frequente  usci  in  immagini 
grandiose  e  scultorio,  dense  di  pensiero  non  men  che  felici  di 
espressione.  Per  di  più,  toccò  in  gran  parte  a  lui  di  plasmare  la 
terminologia  e  il  fraseggio  tecnico  italiano  per  una  scienza  nuova 
all'Italia,  e  riuscì  nell'impresa.  Che  se  talvolta  sarebbe  forse 
stata  desiderabile  una  maggiore  scioltezza  e  semplicità  nelle 
formule,  ed  un'italianità  men  ricercata,  pili  consona  all'uso  vi- 
vente, nel  tutto  insieme  fu  grande  l'effetto  ch'ei  conseguì  col 
fermare  un  linguaggio  scientifico,  e  col  sedurvi  o  costringervi 
gli  altri  glottologi  italiani.  Ed  egli  fu,  a  modo  suo,  uno  scrit- 
tore, un  singoiar  fabbro  e  maestro  di  stile. 

Allorché  il  1861  salì  per  la  prima  volta,  a  trentadue  anni,  la 
cattedra  S  i  suoi  maggiori  titoli  erano  :  alcune  traduzioni  dal 
sanscrito  classico  e  vedico,  con  molte  eruditissime  chiose  glot- 
tologiche, filologiche,  mitologiche  ;  la  trattazione  ortodossa,  e 
dico  ortodossa  rispetto  alla  nuova  scienza,  di  punti  capitali  di 
filosofia  del  linguaggio,  e  della  storia  degli  studii  orientalistici 
in  Europa:  l'esposizione  occasionale,  ma  didatticamente  precisa 
ed  esatta,  di  generali  e  particolari  verità  etimologiche  ignote 
allora  in  Italia;  una  confutazione  stringente  e  dottissima  dei 
sogni  d'un  padre  Secchi  su  un'iscrizione  pseudo-ebraica  incavata 


'  11  ministro  Mamiani,  nel  1860,  contemporaneamente  alla  nomina  del 
Carducci,  destinava  pure  a  Bologna  l'Ascoli  per  le  Lingue  semitiche,  ma 
egli  non  le  ritenne  le  più  confacenti  ai  suoi  studii  e  preferì  esser  destinato 
a  Milano  per  la  cattedra  di  Linguistica  e  lingue  orientali;  il  qual  titolo  si 
mutò  poi,  col  regolamento  Bonghi,  in  quello  di  Storia  comparata  delle 
lingue  classiche  e  neolatine,  dall'Ascoli  stesso  suggerito. 


6  Francesco  D'Ovidio 

nella  cattedra  alessandrina  di  san  Marco  conservata  in  Venezia  ; 
una  confutazione  sapiente  del  tentativo  del  padre  Tarquinj  di 
deciferar  l'etrusco  con  l'ebraico  ^  V'aggiunse  subito  quel  primo 
volume  di  Studj  critici  ^,  ove,  correggendo  una  parte  degli 
svariatissimi  ma  insufficienti  Studii  linguistici  del  Biondelli,  dis- 
sertava sull'origine  delle  forme  grammaticali,  spiegando  la  strut- 
tura anche  della  lingua  cinese,  di  cui  aveva  già  altra  volta 
trattato  in  ispecie  per  la  sua  scrittura  ideografica;  dava  saggi 
di  dialettologia  italiana,  mirando  già  al  sardo  o  a  dialetti  me- 
ridionali, e  fermandosi  con  raffinatissima  analisi  sugli  avanzi  di 
parlate  rumene  nell'Istria;  toccava  delle  colonie  straniere  in 
Italia,  insistendo  soprattutto,  con  conoscenza  non  superficiale 
benché  di  seconda  mano,  sulle  loquele  e  i  costumi  albanesi  ;  e 
infine  analizzava  in  modo  nuovo  molti  elementi  dei  gerghi  o 
lingue  furbesche  dei  malandrini  di  Spagna,  di  Francia,  d'Italia, 
di  Germania  e  d'altri  popoli  ancora.  Tre  doti  o  atteggiamenti 
caratterizzano  codesta  prima  fase  giovanile  dell'Ascoli,  dovuti 
insieme  e  alle  condizioni  generali  della  linguistica  in  quel  tempo 
e  alle  qualità  sue  personali:  la  stretta  adesione  della  linguistica 
alla  filologia  sanscritica,  la  quale  era  stata  il  precipuo  lievito 
della  nuova  scienza;  una  certa  guardatura  sintetica  e  filosofica, 
onde  la  glottologia  mirava  di  continuo  all'etnologia  e  a  tutte  le 
questioni  circa  le  origini;  uno  spaziare  per  favelle  diverse,  scor- 
razzando signorilmente  pur  fuori  del  dominio  più  strettamente 
da  sé  coltivato.  I  glottologi  d'allora  eran,  per  cosi  dire,  glotto- 
logi a  larga  base;  il  che  portava  facilmente  al  dilettantesimo 
i  novizii  e  gli  uomini  superficiali,  ma  dava  agli  studiosi  scrii  e 


^  Quest'ultima  nelVArckivio  storico  italiano,  il  resto  nei  due  fascicoli  di 
Studj  orientali  e  linguistici  del  1854  e  55. 

*  Che  costituiva  il  terzo  e  ultimo  fascicolo  degli  Studj  orientali  e  lin- 
guistici. 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  7 

profondi  una  larghezza  di  sguardo  oggimai  invidiabile.  L'Ascoli 
v'aggiunse  la  tendenza  a  scrutare  anche  i  viventi  vernacoli  del 
proprio  paese,  la  qual  non  era  di  tutti,  e  in  ispocie  non  era 
dei  linguisti  dediti  alle  lingue  antiche. 

A  tanta  molteplicità  di  cognizioni  e  d'ispirazioni,  cui  lo  allet- 
tavano l'esempio  oltremontano  e  prima  o  poi  la  compagnia  di 
insigni  connazionali,  era  tornata  propizia  per  luì,  oltreché  la 
vacanza  dalle  pubbliche  scuole  e  da  ogni  ufficio  o  professione 
negli  anni  giovanili,  la  stirpo  medesima  e  la  città  nelle  quali 
era  nato.  In  uno  Stato  il  piìi  largamente  e  penosamente  poli- 
glotte, in  una  terra  di  confine  ove  l'italianità  era  sotto  il  do- 
minio del  linguaggio  tedesco  e  premuta  dalle  favelle  slave,  in 
una  famiglia  italiana  (che  ripeteva  le  sue  origini  da  un  Gia- 
cobbe di  Ascoli  Piceno)  ma  di  sangue  israelitico,  ei  si  trovò,  quasi 
diremmo,  a  cavaliere  di  piìi  stirpi  e  di  più  lingue;  ond'ebbe 
ogni  incentivo  ed  agio  a  studiar  presto  lingue  parecchie,  e,  quel 
ch'ei  soleva  dire  cosa  utilissima  per  l'avvenire  di  ciascun  dotto, 
di  tipo  diverso.  Così  l'Italiano  amantissimo  della  lingua  di  Dante 
venne  presto  in  possesso  della  lingua  di  Lutero;  cosi  dall'estremo 
angolo  orientale  dell'italianità  potè  tender  lo  sguardo  ai  dia- 
letti della  Penisola,  e  voltarsi  anche  verso  la  regione  balcanica  ; 
COSI  il  giovane  sanscritista  semita,  che  si  trovava  in  casa  la 
Bibbia,  potè  fin  dal  principio  rifar  proprio  l'idioma  dei  suoi  an- 
tichi patriarchi,  e  per  quella  via  affacciarsi  alla  gran  distesa 
del  mondo  semitico.  Il  glottologo  è  tutt'altro  che  il  poliglotte, 
e  del  confonderli  che  molti  fanno  ei  soleva  sdegnarsi.  Il  poli- 
glotte può  non  esser  un  glottologo  :  spesso  anzi  non  lo  è,  o  nella 
stessa  sua  facilità  al  pratico  apprendimento  delle  lingue  può 
trovare  un  inciampo  a  divenirlo.  E  per  contrario  può,  aggiran- 
dosi in  un  campo  limitato  o  anche  ben  ristretto,  chi  possieda 
il  metodo  ed  abbia  spirito  d'osservazione,  riuscir  glottologo  va- 
lente. Ma  è  pur  vero  che  la  conoscenza  effettiva  di  molte  lingue 


8  Francesco  D'Ovidio 

fornisce  al  glottologo  un  più  largo  campo  d'osservazione,  la  ca- 
pacità d'acquistare  un'esperienza  più  ampia,  e  quindi  più  chia- 
roveggente, della  probabilità  o  possibilità  di  certi  procedimenti 
ideologici  0  fonetici.  Senza  dire  che  altro  è  lo  stato  presente 
della  glottologia,  stato  tranquillo  e  di  perfezionamento,  e  altro 
quello  degli  anni  in  cui  si  maturò  l'intelletto  dell'Ascoli,  nei  quali 
era  recente  la  scoperta  di  fatti  grandiosi,  che  soprattutto  si 
doveva  alla  comparazione  di  tante  lingue  tra  sé  remote  di  luogo 
e  di  vicende. 

Comunque  siasi,  nel  punto  stesso  che  il  suo  novello  ufficio 
didattico  invitava  l'Ascoli  a  raccogliersi  nel  campo  indoeuropeo, 
e  che  in  effetto  egli  vi  si  applicava  con  quel  pertinace  ardore 
che  era  così  tutto  suo,  gli  sorrise  una  speranza:  di  ritentare, 
con  ben  altro  accorgimento  e  sodezza  che  non  si  fosse  fatto  fin 
allora,  la  dimostrazione  di  quel  che  egli  chiamò  il  nesso  ario- 
semitico,  cioè  di  provare  la  possibilità  teorica  e  la  positiva  pro- 
babilità che  la  preistorica  favella  ariana  da  cui  uscirono  tutti 
gl'idiomi  indoeuropei,  e  la  preistorica  favella  semitica  da  cui 
uscirono  gl'idiomi  semitici,  in  una  fase  ancor  più  preistorica  si 
appuntassero  in  un'unica  favella  ario-semitica,  potendo  le  enormi 
differenze  che  nell'età  storica  distinguono  le  due  famiglie  pro- 
venire da  sviluppo  ulteriore  e  divergente  dopo  un'antichissima 
separazione.  A  tale  assunto  lo  sospinse  l'alta  ambizione  di  ran- 
nodare le  due  grandi  e  nobili  famiglie  delle  lingue  flessive,  e  i 
due  più  cospicui  rami  della  razza  bianca,  così  attigui  per  le  loro 
sedi,  così  intrecciati  insieme  per  vicende  storiche,  per  mutui 
influssi  di  civiltà,  di  pensiero,  di  religione;  e  ve  lo  confortava 
un  impeto  di  sentimento,  quasi  una  smania  di  realizzare  in  un 
passato  sia  pur  remotissimo  quella  fusione  di  due  nature  ch'egli 
sentiva  in  sé,  e  in  altri  suoi  correligionarii,  benemeriti  alunni 
della  coltura  europea.  S'infervorò  del  terribile  tema:  ne  scrisse 
nel  Politecnico  due   belle   lettere   al   Kuhn  e  al  Bopp,  diede  al- 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  9 

l'Istituto  Lombardo  altre  pagine  acutissime,  le  difese  più  anni 
dopo  in  una  specie  di  proemio  al  secondo  volume  degli  Studj 
critici  uscito  nel  1877.  Ma  ebbe  il  dolore  di  veder  accolte  con 
diffidenza  le  sue  argomentazioni,  con  fastidio  o  scetticismo  la 
sua  tesi.  Essa  gli  crebbe  la  nomèa,  anche  fuor  della  cerchia 
degli  specialisti;  ma,  se  tra  questi  non  gli  tolse  il  credito,  e'  fu 
solo  perché  del  posseder  il  buon  metodo  egli  aveva  già  date  e 
venne  sùbito  ridando  prove  manifeste  in  ricerche  più  positive  o 
in  speculazioni  meno  ardite.  Del  resto  gli  toccò  leggere  in  più 
d'un  libro  a  lui  caro,  come  le  sue  ricerche  avessero  keinen  ivis- 
senschaftlichen  Werth.  Or  io  son  ben  lontano  dall'arrogarmi  di 
sentenziare  sulla  tesi  stessa,  ma  quel  che  mi  par  giusto  e  utile 
notare  è  come  fosser  dure  e  esorbitanti  cotali  parole  rispetto 
alla  qualità  delle  sue  argomentazioni.  Giacché  egli  non  pretese 
di  raccostare  senz'altro,  direttamente,  ingenuamente,  con  voca- 
boli 0  forme  del  sanscrito  o  dell'indoeuropeo,  vocaboli  o  forme 
dell'ebraico  o  del  semitico,  ma  procede  suppergiù  come  fa  il 
matematico  che  prima  d'operar  su  frazioni  diverse  le  riduce 
allo  stesso  denominatore.  Nella  così  detta  radice  trilittera  della 
parola  semitica,  ritenuta  da  molti  irreducibile,  egli  metteva  in 
rilievo,  in  questo  o  quell'esemplare,  un  nucleo  fondamentale  e 
un  elemento  ascitizio;  mentre  dall'altro  lato  nella  radice  indo- 
europea, scrutando  a  modo  suo  la  natura  dei  così  detti  deter- 
minativi, e  reputando  la  formazione  dei  temi  nominali  anteriore 
a  quella  dei  temi  verbali  (ciò  che  in  materia  sì  disputata  gli 
era  ben  lecito),  argomentò  che  in  uno  stadio  quasi  primitivo,  di 
semplici  radici  con  sviluppo  nominale,  l'ario  e  il  semitico  po- 
tessero essere  stati  una  favella  sola,  e  credette  di  sorprendere 
più  d'un  rudere  della  prisca  e  recondita  unità.  Possono  dunque 
tali  indagini  giudicarsi  d'esito  incerto,  d'indole  perigliosa,  e  re- 
putarsi anche  fallite,  ma  non  si  può  dire  ch'ei  vi  s'avventurasse 
leggermente,  e  come  chi  pretenda  gettarsi  "  per  l'aere  a  volo  „; 


10  Francesco  D'Ovidio 

poiché  egli  procedette  invece  di  analisi  in  analisi,  e  come  chi 
tenti  giungere  alla  vertiginosa  cima  d' un'alpe  facendosi  via  via 
con  la  zappa  gli  scalini  nel  ghiaccio. 

Ma  fu  pur  bene  che  ritornasse  a  scalare  men  fiere  altezze, 
riducendosi  definitivamente  nel  territorio  ariano:  che  fu  ed  è. 
per  infinite  ragioni;  e  il  miglior  campo  della  scienza  glotto- 
logica, e  la  specola  da  cui  essa  rimira  le  altre  famiglie  lingui- 
stiche 0  gli  spinosi  problemi  della  classificazione  delle  lingue 
del  globo,  dei  possibili  loro  rapporti,  della  natura  e  della  genesi 
del  linguaggio  umano.  Or  la  glottologia  ariana,  tra  il  secondo 
e  il  settimo  decennio  del  secolo  decimonono,  per  l'opra  geniale 
del  Bopp,  che  aveva  splendidamente  dimostrato  con  la  com- 
parazione la  fratellanza  degl'idiomi  indoeuropei;  per  il  lavorìo 
profondo  del  Grimm,  che  aveva  tessuta  la  storia  delle  favelle 
germaniche  dal  gotico  ai  vernacoli  moderni,  e  ricostruita  la 
preistorica  unità  protogermanica  ;  per  il  lavorìo  non  meno  pro- 
fondo, luminosamente  sereno,  del  Diez,  che  aveva  accompagnato 
il  latino  in  tutti  i  suoi  riflessi  nelle  lingue  letterarie  neolatine  ; 
pei  lavori  dello  Zeuss  sul  celtico,  dello  Schleicher  e  del  Miklosich 
sullo  slavo  ;  per  l'energia  del  Pott,  fecondo  etimologo  e  promotore 
d'una  fonologia  pili  severa  ;  per  l'applicazione  piìi  precisa  e  piìi 
delicata  della  glottologia  al  campo  greco,  fatta  in  molteplici 
opere,  anche  scolastiche,  dal  lucido  e  cauto  spirito  di  Giorgio  Cur- 
tius, anch'egli  piìi  rigoroso  fonologo;  per  l'applicazione,  assai  men 
fina,  ma  pure  accurata,  fattane  dal  Corssen  al  latino  e  agli  altri 
idiomi  italici  ;  per  la  deciferazione  che  l'Aufrecht  e  il  Kirchhoff 
avevan  fatta  dell'umbro  e  il  Mommsen  dell'osco;  per  la  dialet- 
tologia greca  abbozzata  dall'Ahrens;  per  il  lessico  protoariano 
abbozzato  dal  Fick;  per  l'assidua  collaborazione  di  tanti  dotti, 
tedeschi  in  ispecie,  ma  non  tedeschi  soltanto,  i  quali  sarebbe 
lungo  l'accennare:  la  glottologia  ariana,  dico,  aveva  già  oltre- 
passato l'èra  delle  grandi  scoperte,  della  ricognizion  del  terreno. 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  11 

della  invenzione  sostanziale  dei  metodi  ;  aveva  anzi  trovato  nel 
celebre  Conipendium  dello  Schleicher  la  sua  sistemazione.  Una 
sistemazione,  s'intende,  più  o  men  provvisoria,  com'è  naturale 
in  ogni  scienza,  e  piìi  che  mai  in  una  scienza  come  la  nostra, 
che  ha  una  materia  più  indefinita  di  ricerche,  più  elastica,  ed 
oscilla  tra  l'osservazione  naturalistica  e  il  rifrugamento  storico, 
tra  la  rigida  precisione  matematica  e  la  necessaria  deferenza 
al  fatto  inaspettato;  ma  insomma  una  sistemazione,  solida,  per 
più  rispetti  incrollabile,  e  una  sosta  trionfale.  Rimaneva  ora 
l'opera  dello  spigolare  dov'altri  aveva  mietuto,  di  mietere  campi 
secondarii  da  cui  altri  aveva  solo  spiccato  qualche  frutto,  come 
i  viventi  vernacoli  e  vecchie  carte  polverose;  l'opera  del  ras- 
sodare, del  correggere,  del  riesaminare,  del  meglio  appurare  i 
fatti,  del  meglio  scrutarne  le  ragioni,  del  raffinare  i  metodi,  e 
del  secernere  gli  acquisti  o  le  indagini  positive  dalle  elucubra- 
zioni più  o  meno  speculative,  credute  dapprima  verità  più  o 
meno  acquisite,  concernenti  soprattutto  i  gradi  stessi  e  modi 
di  formazione  del  preistorico  linguaggio  protoariano.  In  una 
parola,  l'opera  del  compimento,  dell'esplorazione  accessoria,  e 
della  critica. 

Tra  codesti  epigoni,  continuatori  e  critici,  l'Ascoli  tenne  un 
posto  veramente  cospicuo  :  col  volumetto  intorno  all'idioma  zin- 
garesco (Zigeunerisches)  :  con  le  molteplici  monografie  o  le  di- 
scussioni sintetiche,  raccolte  nel  secondo  volume  degli  StudJ 
critici;  con  la  prima,  e  pur  troppo  ultima,  puntata  dei  Corsi 
di  glottologia,  che  insomma  si  riduce  a  una  monografia  sulle 
gutturali  indo-greco-italiche,  e  sui  suoni  che  le  precorsero  nel- 
l'indoeuropeo ancora  indiviso;  con  l'Archivio  glottologico;  con 
sporadiche  pubblicazioni.  Tn  tutte  si  segnalò  per  la  diligenza 
nell'inventariare  i  fatti,  nel  raccogliere  e  vagliare  le  prove,  nella 
novità  ed  acume  delle  intuizioni,  nella  vigoria  del  raziocinio  e 
del  dibattito,  nella  precisione  delle  conoscenze  e  delle  idee,  nella 


12  Francesco  D'Ovidio 

piena  informazione  delle  ricerche  altrui,  nel  rispetto  per  la 
scienza  tradizionale.  Più  particolare  di  lui  fu  il  rifuggire  dalla 
pubblicazione  sparsa  o,  com'ei  diceva,  molecolare,  di  ritrovati 
0  congetture  singole,  etimologiche  o  altro,  e  dalle  ipotesi  but- 
tate lì  senza  sviluppo,  abbandonate  disputationìbus  homìmim. 
Non  gli  piaceva  se  non  di  darle  fuori  coordinate,  sistemate,  ra- 
gionate, anticipatamente  difese  contro  le  obiezioni  prevedibili; 
e  che  l'ipotesi  scendesse  in  campo  armata  di  tutto  punto,  co- 
razzata, scortata  da  un  drappello  di  fatti  o  ipotesi  congeneri- 
Più  ancora  particolare  gli  fu  il  non  saper  facilmente  rassegnarsi 
a  entrar  in  un  campo  speciale  da  semplice  ospite  od  alunno 
degli  specialisti,  o  da  semplice  comparatore  che  all'occorrenza 
sbirci  qua  e  là  fidandosi  alla  guida  di  coloro.  No,  si  trasferiva 
armi  e  bagagli  in  quel  campo:  perfetto  ellenista  se  discuteva 
col  Curtius,  perfetto  latinista  se  disputava  col  Corssen,  perfetto 
indianista  se  trattava  delle  risoluzioni  pracritiche  di  nessi  fone- 
tici sanscriti,  perfetto  romanista  se  riesaminava  o  continuava 
le  dottrine  del  Diez  e  discuteva  coi  più  celebrati  discepoli  di 
lui.  Questo  soprattutto  sbalordiva  gli  altri  studiosi,  gli  molti- 
plicava il  credito  e  l'autorità;  ed  era  la  sua  compiacenza,  e  ad 
un  tempo  talvolta  la  sua  malinconia.  Da  ultimo,  volendo  pub- 
blicar lui  le  Glosse  iberniche  del  manoscritto  ambrosiano,  ebbe 
a  divenir  anche  celtologo  insigne.  Non  dubito  che  quanto  egli 
potè  menare  a  termine  di  codesto  laborioso  assunto  non  abbia 
dovuto  accrescere,  al  solito,  la  sua  gloria,  e  giovare  assai  agli 
studii  celtologici.  Oso  dire  soltanto  che  il  nuovo  carico  ch'ei 
s'impose  nocque  un  poco  agli  studii  romanzi,  e  in  quanto  ebbe 
un  tantino  a  rallentare  in  essi  la  sua  mirabile  solerzia,  e  in 
quanto  l'assuefazione  a  scioglier  penosi  enigmi  celtici,  a  scovar 
cose  recondite,  ce  lo  rese  men  proclive  a  contentarsi  del  vero- 
simile, che  nel  campo  romanzo  è  molto  più  visibile  e  tangibile, 
0,  come  a  dire,  a  fior,  di  terra.   Ce  lo  rese  più  propenso  a  va- 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  13 

gheggiar  lui  procedimenti  ascosi,  come  la  sua  etimologia  dell'av- 
verbio indarno  o  non  pochi  sospetti  fonetici  e  morfologici  troppo 
sottili;  ovvero  ad  accogliere  con  soverchia  indulgenza  macchi- 
nose costruzioni  come  quelle  di  un  rimpianto  filologo  toscano, 
e  con  soverchia  diffidenza  dimostrazioni  discrete. 

Ma  questo  non  è  il  luogo  ne  il  tempo  di  arrisicar  critiche. 
Noi  non  possiamo  ripensare  senza  orgoglio  d' Italiani,  e  senza 
tenera  gratitudine  di  seguaci,  l'inesauribile  vena  del  suo  in- 
gegno, e  la  sovrabbondanza  di  dottrina,  di  operosità,  di  pazienza, 
onde  nella  voluminosa  serie  àeW Arcìmio  illustrò  da  sé  tanti 
soggetti  e  sciolse  tanti  problemi,  e  condusse  tanti  studiosi,  vecchi 
e  giovani,  a  lavorare  in  modo  più  concludente,  sobrio,  fecondo. 
Tra  le  altre  sue  infinite  benemerenze  v'è  che  contribuì  a  trarre 
Giovanni  Flechia,  di  diciott'anni  piìi  anziano  che  lui,  a  uscir 
da  quel  suo  singolare  lavorio  inedito  dell'accumular  fatti  dia- 
lettali innumerevoli  e  sapientemente  vagliati,  tenendoli  in  serbo 
per  un  libro  che  non  si  risolveva  mai  a  comporre  :  candido  e 
ingenuo  adoratore  e  acuto  scrutatore  e  assiduo  predicatore  del 
vero,  a  cui  nessuna  smania  di  fama  e  di  mondani  acquisti  era 
di  sprone. 

Mentre  l'Ascoli  con  febbrile  attività,  ma  senza  sospetto  di 
possibili  rivoluzioni  in  una  scienza  che  sembrava  ben  ferma  nei 
suoi  cardini,  badava  alla  propria  fucina,  gli  giunse  a  un  tratto 
lo  strepito  d'una  scuola  nuova  sorta  in  Germania,  che  fu  detta 
dei  Neograminatiei.  e  che  inculcava  parecchie  riforme  nel  metodo  ; 
e  principalmente:  che  le  leggi  fonetiche  s'avessero  a  ritener  non 
suscettibili  di  vere  e  proprie  eccezioni  nell'ambiente  indigeno 
di  una  data  lingua  o  dialetto,  sicché  si  dovesse  più  francamente 
ricorrere  a  considerare  o  come  imprestiti  da  altre  lingue  e  dia- 
letti, o  come  deviazioni  prodotte  da  spinte  psicologiche,  quale 
l'analogia,  gli  esemplari  fonetici  ritenuti  fin  lì  come  un  capriccioso 
allontanamento  dalla  rispettiva  legge:  e  che  convenisse  rivolger 


14  Francesco  D'Ovidio 

maggiore  studio  alle  lingue  e  vernacoli  viventi,  applicando  poi 
senza  scrupolo  alle  lingue  antiche,  e  ai  periodi  remoti  della  loro 
formazione,  procedimenti  non  guari  diversi,  non  meno  pronti  alle 
deviazioni  analogiche.  L'Ascoli,  come  il  Curtius,  come  lo  Schu- 
chardt  ed  altri  ancora,  rimasero  un  po'  urtati  da  simili  ingiun- 
zioni. L'Ascoli  che  aveva  impreso  l'Archivio  soprattutto  per 
istudiare  i  dialetti  italiani,  che  aveva  tanto  contribuito  ad  assodar 
il  rigore  di  molte  leggi  fonetiche,  che  con  le  sue  speculazioni 
sulle  gutturali  protoariane  aveva  tanto  giovato  a  schiarirne  gli 
ulteriori  sviluppi  apparentemente  capricciosi,  e  così  resultava 
anche  in  parte  l'autore  indiretto  e  quasi  inconsapevole  ^  della 
novella  dottrina  sul  vocalismo  protoariano,  per  la  quale  si  tor- 
nava ad  ammettere  l'esistenza  dell' e  e  dell' o  brevi  al  modo  greco 
in  cambio  dell'unico  a  breve  alla  maniera  indoirana,  insorse  con 
la  Lettera  glottologica  del  1881  ^  e  con  altre  dell' 86.  Sbollite 
le  dispute,  si  venne  facendo  sempre  più  chiaro,  come  anche  il 
limpido  e  sereno  spirito  di  Delbriick  riconobbe,  che,  se  dall'un 
lato  i  nuovi  grammatici  avevano  ecceduto  nel  tono  di  quelle 
ingiunzioni  e  in  qualche  precipitosa  applicazione  dei  loro  pre- 
cetti, dall'altro  i  vecchi  maestri  eran  davvero  stati  più  d'una 
volta  ritrosi  a  ricorrere  all'analogia,  proclivi  ad  ammetter  ecce- 
zioni fonetiche  senza  rendersi  sempre  esatto  conto  se  le  tenes- 
sero per  vere  eccezioni  capricciose  o  per  anomalie  solo  appa- 
renti e  bisognevoli  di  apposite  spiegazioni  :  non  avendo  insomma 
una  piena  consapevolezza  della  portata  dei  principii  che  la  nuova 


^  Cfr.  Corsi,  ecc.,  pp.  42,  46,  49. 

'  La  quale  non  era  a  me  diretta,  come  fu  creduto,  e  suppongo  fosse  un 
discorso  che  per  mero  espediente  assumesse  la  forma  epistolare;  né  è  da 
confondere  con  un'altra  lettera  che  davvero  mi  fece  l'onore  d'indirizzarmi 
il  1887. 


Commemorazione  di  Graziadio  Isaia  Ascoli  15 

scuola  adesso  inculcava.  Fin  dove  l'Ascoli,  che  giustamente  ri- 
vendicò a  se'  la  parte  di  precursore,  si  attenesse  poscia  di  fatto 
al  canone  che  la  riforma  neogrammatica  avea  reso  piìi  fermo, 
sarebbe  lungo  e  inopportuno  il  dire.  Certo  il  suo  spirito  gagliardo 
restò  sempre  fecondo  di  nuove  verità  particolari  e  generali,  e 
mantenne  la  sua  incontestabile  autorità.  La  raccolta  in  unico 
volume  di  tutti  quegli  sparsi  lavori  dell'Ascoli  che  non  son  com- 
presi nei  suoi  libri,  né  in  questo  suo  monumentale  Archivio,  e 
alcuni  dei  quali  egli  avrebbe  esitato  a  ristampare  (voglio  dire 
i  Saggi  ario-semitici,  quel  vero  gioiello  che  fu  l'articolo  Lingue 
e  nazioni,  la  Lettera  glottologica  dell' 81,  l'articolo  sulla  genesi 
del  superlativo  greco  in  -tato-,  e  cosi  via),  molto  gioverebbe  per 
la  storia  della  scienza  e  per  quella  di  tanto  scienziato.  In  alcune 
pagine  d'un  tal  volume  si  avrebbe  la  riasserzione  di  quel  prin- 
cipio ch'ei  proclamò  e  applicò  tanto,  della  efficacia  degli  incrocia- 
menti etnologici  nella  formazion  delle  lingue. 

Disse  un  giorno  lo  Schuchardt  non  esser  l'Ascoli  l'uomo  di 
una  scienza,  ma  l'uomo  della  scienza,  e  che,  se  non  può  imma- 
ginarsi la  glottologia  senza  l'Ascoli,  ben  può  immaginarsi  l'Ascoli 
senza  la  glottologia.  Infatti  si  penerebbe  poco  a  indicare  piò 
d'una  scienza  fìsica,  o  d'una  disciplina  morale  o  storica,  in  cui 
è  da  creder  ch'egli  avrebbe  certamente  brillato  o  grandeggiato. 
Tuttavia  errerebbe  chi  gli  ascrivesse  in  effetto  la  versatilità, 
nel  senso  ordinario  di  questa  parola,  cioè  come  una  disposizione 
che  conduca  a  ondeggiare  con  più  o  men  d'efficacia,  in  modo 
più  0  meno  felice,  con  la  piena  ammirazione  o  con  la  mezza 
riprovazione  degli  altri,  fra  discipline  affini  o  disparate.  Da 
questa  seducente  non  men  che  pericolosa  e  affannosa  molte- 
plicità egli  s'astenne,  e  fu  tanto  fido  alla  scienza  sua,  da  potersi 
in  un  altro  senso  affermare  che  l'Ascoli  senza  la  glottologia 
nemmanco  si  potrebbe  immaginare.  Fu  versatilissimo  e  niulti- 
latere  entro  l'ambito  della  sua  scienza.  Di  rado  assai  e  di  fu^a 


16       F.  D'Ovidio,  Comaiem.  di  G.  I.  A.  —  Goidànich,  Nota  al  prec.  art. 

cedette  ad  altre  tentazioni  \  e  di  poco  sconfinò  dai  limiti  del  suo 
regno  pur  quella  volta  che  più  resta  memorabile,  cioè  quando 
nel  proemio  deìV Aì-chivio  oppugnò  la  dottrina  del  Manzoni  sulla 
lingua,  di  recente  riaccampata  dall'immortale  poeta.  L'Ascoli 
aveva  per  lui  un'ammirazione  grandissima,  e  a  lui  accennò  con 
ossequio  senza  pari.  Ma  nel  combattere  alcune  parti  della  tesi 
manzoniana  fu  ardente  e  solenne.  Trascorse  bensì  oltre  il  segno, 
ma  l'esagerazione  sua  giovò  a  neutralizzare  un'opposta  esagera- 
zione manzoniana,  e  l'Ascoli  finì  con  l'annuire  presto  quasi  del 
tutto,  in  teoria  e  un  po'  anche  in  pratica,  a  chi  propugnò  una 
dottrina  intermedia  e  conciliativa  f.  Anche  la  sua  lettera  sulla 
Colonna  infame  e  un  piccolo  capolavoro. 

Morì  a  Milano,  ch'era  divenuta  la  sua  seconda  patria,  il  21  gen- 
naio 1907.  Con  lui  la  scienza  perdeva  uno  dei  suoi  campioni  pili 
formidabili,  l'Italia  uno  dei  suoi  figli  piìi  gloriosi.  Ci  parve  come 
se  un  monte,  specola  e  baluardo  della  nostra  cultura,  ci  si  fosse 
repentinamente  sprofondato  dinanzi. 


*  Non  si  dimentichi  il  suo  bel  libro  sulle  iscrizioni  giudaiche  del  cimi- 
tero di  Venosa,  e  la  dissertazione  sulle  monete  peleviche  del  Museo  di 
Napoli. 

Francesco  D'Ovidio 


t  II  D'Ovidio  certo  qui  deve  alludere  ai  suoi  proprii  scritti  sulla  questione. 
Il  primo  fu  l'articolo  Lingua  e  dialetto  inserito  nella  "  Rivista  Filologica  „ 
di  Torino  nel  1873,  pochi  mesi,  cioè,  dopo  la  comparsa  del  Proemio  del- 
FAscoIi,  e  ristampato  nei  Saggi  critici  del  1878,  insieme  con  un  altro  articolo 
relativo  alla  Questione  della  lingua,  e  con  uno  studio  sulla  Lingua  dei  Pro- 
messi Sposi.  Quest'ultimo  poi  fu  il  nucleo  di  uno  splendido  libro,  che  ha 
avuto  due  redazioni  diverse  e  l'onore  di  quattro  ristampe,  l'ultima  delle 
quali  porta  il  titolo  :  Le  correzioni  ai  P.  S.  e  la  questione  della  lingua, 
Napoli,  Pierro,  1895.  Sono  queste,  scritture  d'una  straordinaria  finezza  filo- 
logica, vei-amente  geniali,  che  chiusero  esse  definitivamente  la  controversia 


P.  G.  Goidànicli,  Nota  sulla  (luestione  della  lingua  17 

della  lingua  letteraria  sollevata  dal  Manzoni.  Questa  rivendicazione  mi  pare 
doverosa.  Com'è  apparso  anche  pubblicamente  in  più  d'un  elogio  dell'Ascoli, 
in  elogi  anche  dovuti  ad  uomini  per  dottrina  e  ingegno  preclari,  s'è  venuto 
insinuando  nelle  menti  di  molti  (per  una  certa  confusione  tra  quanto  era 
vitale  e  quanto  era  eccessivo  e  non  accettabile  nel  Proemio)  il  giudizio,  o 
il  pregiudizio,  che  sia  stato  l'Ascoli  a  dire  allora,  sulla  questione  della 
lingua,  la  parola  definitiva  ;  e,  con  tal  giudizio,  si  viene  a  togliere  al 
D'Ovidio,  molto  ingiustamente,  un  merito  insigne. 

Chiarirò  brevemente  il  mio  pensiero. 

Tutta  la  controversia  s'aggirava  sul  quanto  debba  la  lingua  letteraria  del 
nostro  tempo  attingere  alla  lingua  dei-  libri  e  alle  vive  fonti  del  toscano 
parlato. 

Il  Manzoni  aveva  formulato  il  principio  che  a  tipo  di  lingua  letteraria 
si  dovesse  assumere  la  favella  delle  persone  colte  di  Firenze.  Una  tale  for- 
mula non  ei-a  scevra  di  pericoli  ;  e  ben  lo  si  vide  quando  il  Manzoni  stesso 
(con  molta  moderazione,  frenato  dal  suo  genio  sulla  china  d'un  errore),  e 
(senza  siffatta  moderazione,  e  quasi  direi  ingenuamente)  alcuni  suoi  seguaci 
si  diedero  ad  applicarla.  Contro  queste  esagerazioni,  per  qualche  parte 
inevitabili,  della  teoria  manzoniana  s'era  levato  con  gran  foga  l'Ascoli, 
sostenendo,  molto  giustamente,  che,  se  Firenze  era  stata  culla  della 
lingua  nostra,  da  sei  secoli  questa  era  divenuta  la  lingua  nazionale,  e  agli 
Italiani  colti  non  poteva  non  ripugnare  d'abbandonare  forme,  vocaboli, 
costrutti,  ormai  sanciti  da  quest'uso  secolare,  per  ridursi  ad  assumere  la 
parlata  attuale  di  un  municipio  ;  e  che  a  ciò  avrebbe  portato,  inevitabil- 
mente, l'adozióne  della  formula  manzoniana. 

A  questa  parte  critica  della  dottrina  dell'Ascoli,  imperitura,  non  ostante 
qualche  esagerazione  della  realtà,  fece  plauso  il  D'  Ovidio  sìibito,  per 
il  i^rimo. 

Ma  vi  era  nella  dottrina  del  nostro  maggiore  glottologo  un'altra  parte 
che  il  tempo  ha  già  dimostrato  caduca  ;  e  per  questa  parte  il  D'Ovidio 
dissentì  sùbito  dall'Ascoli,  per  restare  col  Manzoni.  Ebbe  cioè  l'Ascoli  (in 
conseguenza  del  luogo,  del  tempo  e  del  modo  in  cui  s'era  formata  la  sua 
cultura)  della  dignità  della  lingua  scritta  un  concetto  e  un  culto  esage 
rato;  e  questo  culto  lo  portò,  giova  ben  rilevarlo,  ad  un'aperta  antitesi 
anche  contro  la  tendenza  del  Manzoni  ad  avviare  la  prosa  italiana  se  non 
al  battesimo,  almeno  alla  confermazione  (il  vocabolo  quadra  anche  fuoiù  della 
metafora)  dell'uso  parlato  ;  ciò  desumiamo  non  solo  da  tutto  il  contenuto 
della  seconda  parte  del  Proemio,  ma  più  precisamente  da  periodi  come 
questo  :  "  Ma  ciò  non  istoglie  punto  l'artista  dal  chiedere  affannosamente, 
e  senza  mai  mostrare  alcuna  esitanza^  che  di  Toscana,  o  da  Firenze,  deb- 
bano a  furia  farsi  uscire  legioni  intiere  di  maestri  elementari,  i  quali  si 
spargano  a  educar  tutta  l' Italia;  egli  vuole  alle  Alpi  un  apostolo  qualunque 
della  pronuncia  e  della  frase  fiorentina,  laddove  l'Europa  dice,  che  l'Italia 
politica  e  pensante  debba  piuttosto  far  calare  gli  Alpigiani  nel  circondario 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  -2 


18  P.  G.  Goidànich 

di  Firenze,  a  diffondervi  la  lincrua  della  penna  „  (p.  xxx).  Reputava  l'Ascoli, 
per  ricordare  e  servirci  di  due  efficaci  suoi  confronti,  del  tutto  sconveniente 
all'Italia  l'ideale  francese,  l'ideale  della  lingua  insegnata  a  tutta  la  nazione 
da  una  capitale  linguistica,  e  conveniente  invece  a  noi  l'ideale  tedesco, 
ossia  quello  di  una  lingua  senza  capitale  linguistica  e  che  vive  e  si  muove 
e  si  unifica  semplicemente  per  effetto  d'una  coltura  molto  attiva  che  stringe 
insieme  milioni  d'uomini  a  conversare  tra  sé  di  continuo  con  la  penna  e 
con  la  voce.  Ciò  avrebbe  consigliato  l' Italia  a  non  curarsi  menomamente 
della  Toscana  e  di  Firenze,  ad  aspettarsi  la  piena  unità  della  lingua  uni- 
camente dalla  diffusione  e  rinnovazione  della  coltura  italiana,  dalla  spon- 
tanea attività  degli  scrittori,  dal  loro  affiatarsi  sempre  più  fra  loro  nelle 
idee  e  quindi  nelle  parole.  Lo  studio  del  toscano  avrebbe  avuto  soltanto 
un  fine  storico  e  dialettologico,  e  per  tal  fine  sarebbe  stato  largamente 
favorito  dall'Ascoli  e  dall' "  Archivio  „,  ma  non  già  un  fine  pratico  e 
letterario. 

Ma  la  riforma  del  Manzoni,  nelle  sue  parti  essenziali,  trionfò,  non  ostante 
l'antitesi  dell'Ascoli,  per  queste  ragioni. 

Solo  dopo  la  correzione  dei  Promessi  Sposi  divenne  il  Manzoni  un  teorico 
della  lingua.  Anche  allora,  per  la  sua  teoria,  fu  egli,  non  bisogna  dimen- 
ticarlo, altamente  benemerito  degl'Italiani;  perchè,  rinnovato  ed  accre- 
sciuto per  l'autorità  del  suo  nome  il  concetto  della  dignità  del  linguaggio 
toscano  e  fiorentino,  egli  promosse  lo  studio  della  lingua  viva,  e,  per  così 
dire,  aperse  alla  nazione  anche  la  miniera  dei  vocaboli  per  designare  gli 
oggetti  materiali  e  le  attività  della  vita  quotidiana  e  delle  arti  minori. 
Ma  veramente,  per  se  stessa,  la  sua  formula  semplice  fu  un  eccesso. 
La  quistione  della  lingua  è  quistione  eminentemente  pratica  e  complessa, 
che  risolve,  caso  per  caso,  l'illuminato  arbitrio  dell'artista;  solo  in  generale 
di  tendenze  si  può  parlare,  e  consigliare  quella  che,  nella  pratica  del- 
l'arte, abbia  sortito  l'effetto  migliore  ;  laddove  la  formula  semplice  porta 
inevitabilmente  a  preferenze  e  ad  esclusioni  per  un  giudizio  preconcetto, 
che  possono  anche  riscontrarsi,  a  ragione  meglio  veduta,  in  opposizione  alle 
esigenze  dell'arte  e  della  storia.  Sennonché  la  riforma  del  Manzoni  ebbe 
origini  e  sostanza  ben  piìi  geniali.  La  correzione  dei  Promessi  Sposi  non  fu 
cioè  l'applicazione  di  criterii  ricavati  come  conclusione  da  un  esame  della 
questione  della  lingua  fatto  astrattamente,  come  era  avvenuto  nel  passato, 
né  fu  l'effetto  d'un  gusto  letterario  personale,  d'una  maniera  del  grande 
Lombardo  ;  ma  fu,  all'opposto,  il  portato  geniale  dell'esperienza  che  egli 
andava  facendo  su  se  stesso  :  che  la  consuetudine  con  Toscani  culti  gli 
veniva,  come  per  incanto,  sveltendo  e  perfezionando  lo  stile,  e  perfezionando, 
come  per  incanto,  in  séguito  a  prudenti  selezioni,  distinzioni  ed  accresci- 
menti, l'espressione  linguistica  dei  suoi  fantasmi  artistici.  Il  Manzoni  seguì, 
dunque,  nelle  correzioni  del  romanzo,  effettivamente  solo  la  tendenza  ad 
avvicinare  la  lingua  scritta  alla  fonte  sempre  vivissima  e  vivificatrice  della 
lingua  parlata.  E  trionfò,  non  per  alcun  precetto  stabilmente  seguito,  ma 


Nota  sulla  questione  della  lingua  19 

perché   il  genio    l'aveva    ispirato    e    poi    guidato,  con  mano  quasi  sempre 
sicura,  nell'esecuzione  del  suo  piano. 

Gl'Italiani  che,  ammirati,  lessero  e  rilessero,  leggono  e  rileggono  il 
romanzo,  ravvisarono  e  ravvisano  in  esso  appunto  (senza  curarsi,  o  magai'i 
senza  saperne  di  teorie)  il  geniale  modello  della  prosa  nuova,  della  prosa 
sola  rispondente  ai  molteplici  bisogni  della  multiforme  e  sempre  più  intensa 
vita  artistica  e  civile  della  nazione. 

Fra  le  opposte  esagerazioni,  in  cui  erano  incorsi  da  una  parte,  nella  sua 
teoria  e,  specie  negli  ultimi  tempi,  un  po'  anche  nella  pratica,  il  Manzoni, 
dall'altra  parte  l'Ascoli,  tenne  il  giusto  mezzo  il  D'Ovidio.  Ebbe  il  D'Ovidio 
come  prima  di  lui  nessuno  mai,  una  visione  sicura  e  netta,  da  filologo 
grande,  delle  condizioni  storiche  ed  attuali  della  nostra  lingua  letteraria  ; 
ebbe  egli  anche  da  natura  uno  squisito  senso  d'arte;  perciò,  quando,  tutto 
animato  di  grande  riverenza  per  i  due  sommi  maestri,  si  diede  a  conci- 
liarli, potè  portare  nell'acuta  controversia  la  nota  della  moderazione  e  del 
semplice  buon  senso,  la  nota  giusta,  insomma  ;  e  si  fece,  per  così  dire, 
l'interprete  tranquillo  e  spassionato  del  latente  pensiero  dei  più.  Gioverà, 
a  conferma  del  mio  giudizio,  riportare  qui  alcuni  memorandi  suoi  periodi, 
commentarli  con  due  parole  e  accennare  di  volo  alle  altre  sue  benemerenze 
in  questo  campo.  "  Il  Manzoni  e  l'Ascoli  si  sono  regolati  tutti  e  due  sulle 
vicende  storiche  della  nostra  lingua,  per  determinare  la  nostra  condotta 
presente  rispetto  ad  essa  ;  ma  il  Manzoni  ha  considerato  troppo  esclusiva- 
mente la  condizione  dei  primi  tre  secoli,  in  cui  Firenze  ebbe  la  dittatura 
letteraria  sull'Italia,  e  l'Ascoli  ha  guardato  troppo  esclusivamente  ai  suc- 
cessivi tre  secoli  in  cui,  cessata  quella  dittatura,  l'attività  lettei'aria  è  stata, 
bene  o  male,  di  tutta  l'Italia.  Ma  la  nostra  stona  abbraccia  tutti  e  sei 
quei  secoli  ;  e  se  negli  ultimi  tre  secoli,  che  son  la  storia  più  prossima  a 
noi,  le  nostre  condizioni  rassomigliano  a  quelle  della  Germania,  nei  primi 
tre,  che  però  sono  ancora  strettamente  collegati  alla  nostra  coscienza  pre- 
sente, rassomigliano  a  quelle  della  Francia.  Se  dunque  non  si  può  prescin- 
dere dai  tre  ultimi  secoli,  e  quasi  saltarli  a  pie  pari,  restituendo  artifi- 
cialmente a  Firenze  una  dittatura  già  deposta,  come  voleva  il  Manzoni, 
non  si  può,  dall'altro  lato,  non  guardare  un  poco  anche  adesso,  come  a 
modello,  a  quella  che  fu  per  i  primi  tre  secoli  la  Parigi,  o  almeno  l'Atene 
d'Italia.  Se  nessuno  in  Germania  "  discerne  la  culla  della  lingua  „  e  se  neanche 
i  dotti  si  mettono  ivi  alla  "  ricerca  del  preciso  angolo  della  patria  tedesca  „ 
da  cui  scaturì  la  prima  fonte  della  lingua  di  Lutero,  di  Klopstock  e  di  Kant, 
in  Italia,  invece,  tutti  sappiamo  bene  quale  sia  stata  la  culla  della  nostra 
lingua,  tutti  indocti  doctique,  sappiamo  che  la  prima  sua  fonte  è  scaturita 
dalla  patria  di  Dante  e  di  Machiavelli.  E  come  questa  differenza  così 
grande  non  avrebbe  a  determinarne  una  altrettanto  grande  nel  modo  che 
dobbiam  tenere  nel  provvedere  alle  sorti  della  nostra  lingua?  E  poiché 
tanta  parte  dell'uso  fiorentino  presente  coincide  con  l'uso  del  fiorentino 
antico,  che  alla  sua  volta  è  tanta  parte  dell'uso  letterario  italiano  attuale. 


20  P.  G.  Goidànich,  Nota  sulla  questione  della  lingua 

la  conoscenza  dell'uso  attuale  di  Firenze  non  ci  aiuterà  ad  acquistare  più 
pronta  e  più  precisa  la  cognizione  dell'uso  letterario  ?  „  —  In  queste  tran- 
quille parole,  che  si  leggono  a  pagg.  210-211  del  libro  del  D'Ovidio  qual  era 
nella  redazione  del  1880,  sta  tutto  il  nodo  della  questione.  In  un  colloquio 
coll'Ascoli  sarebbe  insomma  il  D'Ovidio  venuto  a  dire  :  Ben  vengano  gli 
Alpigiani  a  Firenze  a  diffondere  con  la  dottrina  la  lingua  della  penna,  ma 
la  prima  cosa  che  dovranno  fare,  dal  primo  giorno  che  saran  calati  a 
Firenze,  sarà  di  sturarsi  ben  bene  gli  orecchi,  non  per  stenografare  coi  loro 
scritti  la  conversazione  colta,  fiorentina,  ma  per  liberarsi  da  mille  provin- 
cialismi, ai'caismi,  barbarismi,  affettazioni,  pregiudizi,  spropositi,  e  per 
assimilarsi  quel  tanto  di  toscano  non  ancora  accomunatosi  all'Italia  che 
meriti  e  giovi  di  esserle  accomunato  !  —  Difendendo  questo  criterio  mez- 
zano, così  dagli  eccessi  del  Manzoni,  e,  più,  dei  manzoniani,  come  da  quelli 
dell'Ascoli  ;  difendendolo  in  teoria  e  applicandolo  a  molte  questioni  spic- 
ciole di  lingua;  trasportando  in  lingua  alla  buona  e  in  termini  discreti  il 
Proemio,  da  un  lato  molto  solenne,  e  dall'altro  molto  polemico,  dell'Ascoli, 
che  poca  presa  avrebbe  avuta  di  per  sé  sui  letterati  non  glottologi  ;  traen- 
dolo  a  conclusioni  molto  più  temperate,  ove  della  teoria  e  della  pratica  del 
Manzoni  si  sceverasse  il  buono  dall'eccessivo  :  liberando  una  buona  volta 
i  diritti  storici  del  toscano  dal  vecchio  incubo  dell'avversa  testimonianza 
di  Dante,  mercè  una  nuova  interpretazione  della  Volgare  Eloquenza; 
insomma,  accorrendo  dovunque,  in  questo  campo  della  quistione  storica  e 
teorica  e  pratica  della  lingua,  ci  fosse  un'esagei-azione  da  reprimere  o  una 
verità  da  rilevare,  il  D'Ovidio  ha  reso  un  servigio  che  è  pretta  giustizia 
il  riconoscere.  Chiunque  consideri  con  serenità  e  senza  ingiusti  oblìi  la  fuse 
letteraria  che  qui  s'è  delineata,  dovrà  necessariamente  convenire  che  il 
D'Ovidio  chiuse,  da  storico  della  lingua  e  da  critico  artista,  la  controversia 
sollevata  dal  Manzoni,  non  l'Ascoli. 

Quanti  mi  conoscono  e  sanno  pertanto  l'ossequio,  la  venerazione  e  l'af- 
fetto grande,  che  io  ho  nutrito  immutabilmente  e  professato  per  l'Ascoli, 
non  potranno  avere  neppure  il  sospetto  che  io  abbia  qui  pensato  a  meno- 
mare in  alcuna  parte  la  grandezza  della  sua  memoria;  la  gloria  sua  non 
è,  né  sarà  mai  meno  fulgida  se  gli  si  attribuiscano  solo  gì'  infiniti  meriti 
ch'egli  ha  acquistato  nella  scienza  per  sé  e  per  l'Italia.  Ho  parlato  per 
ver  dire;  utile  è  sempre  dire  il  vero;  e  doveroso,  anche  se  dolga.  Ma  le 
parole  del  D'Ovidio,  che  l'Ascoli  aveva  finito  coU'aderire  in  teoria  alle 
idee  sue,  come  illumineranno  molti,  rassicurano  l'animo  mio;  e  foi'se 
ancora  il  grande  spirito  del  Maestro  dall'Alto  benevolmente  mi  sorride,  di 
quel  sorriso  indimenticabile  d'una  volta,  quando,  or  sono  molti  anni  e  io 
facevo  i  primi  passi  della  poca  via  nella  scienza  che  ho  poi  percorso,  bat- 
tendomi una    mano  sulla  spalla,  mi  disse:  macte  pner ! 

P.  G.  G. 


FRANCESCO    D'OVIDIO 


COMMEMORAZIONE 

PI 

COSTANTINO     NIGR/\ 


La  morte  di  Costantino  Nigra,  avvenuta  a  Rapallo  nella  notte 
del  P  luglio  1907,  arrecò  gran  dolore  a  tutti,  ma  ninna  sor- 
presa a  quanti  l'avevan  visto  negli  ultimi  anni  invecchiare  ra- 
pidamente, e  negli  ultimi  mesi  star  sempre  con  un  piede  nella 
fossa.  Non  aveva  ben  toccato  gli  ottant'anni,  e  per  più  rispetti 
pareva  atto  a  trascorrerne  parecchi  altri  ancora,  ma  un'infermità 
cardiaca  e  l'indurimento  delle  arterie  gli  minavano  l'esistenza. 
In  una  notte  a  mezzo  il  dicembre  del  1906  il  suo  cuore,  quel 
gran  cuore,  aveva  quasi  cessato  di  battere,  e  solo  gli  sforzi 
disperati  dei  famigliari  e  dei  medici  riuscirono  a  richiamarlo  in 
vita.  Pur  era  tanta  la  gagliardia  della  sua  fibra,  che,  recatomi 
io  ansiosamente  a  vedere  s'egli  avesse  superata  l'altra  notte, 
lo  trovai  cosi  ben  vivo  da  venirmi  incontro,  con  volto  ilare, 
col  suo  solito  fare  amabile,  amichevole,  cavalleresco;  e  da  in- 
trattenermi per  piti  d'un'ora  leggendomi  una  celebre  poesia  d'un 
celebratissimo  poeta,  chiosandola  con  singolare  vivacità.  Sen- 
nonché pochi  giorni  dopo,  durante  le  feste  natalizie,  quando  la 
dipartita  sembra  piìi  amara  pel  contrasto  tra  il  fato  d'un  uomo 


22  Francesco  D'Ovidio 

e  la  comune  gaiezza,  ei  si  trovò  di  nuovo  sospinto  a  un  passo 
dalla  sua  fine,  e  tutta  Italia  allora  lo  seppe  e  ne  trepidò.  Che 
se  ancora  la  solerzia  altrui  e  l'ingenita  vigoria  sua  valsero  per 
sei  mesi  a  soffermarlo,  com'ei  diceva,  nell'anticamera  della 
tomba,  non  poterono  più  restituirgli  l'umore  antico.  Lucido  restò 
sempre  il  suo  intelletto,  lesta  e  fida  la  memoria,  elegante  la 
loquela,  aperto  il  cuore  ai  piìi  gentili  affetti  ;  ma  ei  sentiva 
come  il  vivere  fosse  per  lui  niente  più  che  un  arduo  problema 
da  risolvere  ad  ogni  ora,  ad  ogni  momento.  "  Colei  che  per  certo 
futura  portiam  sempre  vivendo  innanzi  all'alma  „ ,  ei  se  la  ve- 
deva assisa  al  fianco,  pronta  a  ghermirlo  ;  e  di  rado  al  posto 
di  quel  tetro  spettro  si  collocava  la  larva  della  speranza.  Da 
ultimo,  staccatosi  da  quella  Roma,  che  non  dovea  più  rivedere; 
navigando  pel  mar  Tirreno,  fulgido  de'  suoi  più  bei  colori  estivi, 
verso  la  ridente  spiaggia  ligure  ;  parlando  con  tenerezza  patrio- 
tica  alla  ciurma  della  regia  nave  che  lo  aveva  portato  a  quella 
spiaggia;  posando  sopra  essa  il  piede,  —  si  senti  come  rina- 
scere, gli  parve  di  aver  ricuperato  forze  che  credeva  irrepara- 
bilmente perdute.  Ma  era  come  l'estremo  guizzo  della  grande 
fiamma  che  si  spegneva. 

Però,  se  fu  malinconico  il  tramonto  della  sua  vita,  se  l'esordio 
n'era  stato  ben  modesto,  la  vita  stessa  fu  fortunata  assai.  Nato 
a  Villa  Castelnuovo,  nel  circondario  d'Ivrea,  l'il  giugno  1828, 
a  vent'anni  s'arrolò  nell'esercito  durante  la  guerra  d'indipen- 
denza; e  dopo  la  guerra  lasciate  le  armi,  si  laureò  subito  in 
legge,  e,  per  concorso,  fu  addetto  al  Ministero  degli  Esteri.  Di- 
venuto segretario  particolare  del  D'Azeglio  e  poi  del  Cavour, 
l'ingegno  vivo,  il  carattere  saldo,  il  senno  precoce,  il  garbo  del- 
l'uomo di  lettere,  la  singolare  bellezza  dell'aspetto  così  maschio 
eppur  così  leggiadro,  richiamarono  l'attenzione  di  quei  sommi; 
il  secondo  dei  quali  non  dubitò  di  elevarlo  in  pochi  anni  a  uf- 
fici sempre  più  alti.  Il  Cavour  scrisse  una  volta  come  il  Nigra 


Commemorazione  di  Costantino  Nigra  23 

avesse  più  ingegno  di  lui.  Fu  una  di  quelle  esagerazioni  ma- 
gnanime a  cui  l'uomo  di  genio  trascorre,  ma  per  un  certo  ri- 
spetto non  era  un'esagerazione:  il  Nigra  aveva  anche  nei  mo- 
menti più  dolorosi  una  calma  e  una  padronanza  di  se,  che  il 
bollente  ministro  gli  avrà  qualche  volta  invidiata.  Certo,  chi 
legge  le  note  diplomatiche,  i  dispacci,  le  lettere  confidenziali, 
che  il  Nigra  inviava  da  Parigi,  vi  scopre  immancabile  rettitu- 
dine di  giudizio,  sobrietà  perfetta  di  stile,  intuizione  pronta, 
animo  risoluto,  tatto  squisito,  conoscenza  profonda  degli  uomini 
e  delle  cose,  serenità  senza  freddezza,  zelo  senza  smanie:  tutto 
quello  insomma  che  rende  prezioso  un  informatore  e  un  consi- 
gliere, e  ne  fa  quasi  uno  strumento  di  precisione,  o  una  bussola 
che  in  qualsivoglia  tempesta  ti  addita  il  polo.  Neppur  la  febbre 
delle  speranze  e  delle  angosce  patriotiche  valeva  a  farlo  tra- 
scendere in  eccessi  di  ottimismo  o  di  pessimismo  ;  come  d'altra 
parte  neppure  la  sua  grande  intimità  con  quel  paese,  con  quella 
capitale,  con  quella  corte,  dov'egli  era  tanto  festeggiato  e  pre- 
diletto, bastava  a  fargli  mai  guardare  le  cose  da  un  punto  di 
vista  che  non  fosse  strettamente  italiano.  Il  pericolo  degli  am- 
basciatori assai  bene  accetti  al  paese  presso  cui  sono  accredi- 
tati, è  che,  se  dall'un  canto  col  favore  che  vi  godono  riescono  a 
richiamare  sulla  loro  patria  condiscendenze  straniere  che  altri- 
menti non  si  avrebbero,  dall'altro  però,  col  divenir  troppo  do- 
mestici al  paese  in  cui  vivono,  risicano  di  veder  qualche  volta 
più  con  gli  occhi  del  sovrano  o  del  governo  straniero  che  non 
con  gli  occhi  proprii  o  della  nazione  che  gli  ha  inviati.  Quel 
pericolo  il  Xigra  lo  seppe  schivare,  che  restò  sempre  autonomo, 
sempre  indipendente  da  passioni  o  ubbìe  francesi:  non  ingrato 
alla  benevolenza  francese  e  imperiale  verso  l'Italia  e  verso  la 
persona  sua,  ma  non  mai  accecato  dalla  gratitudine.  Un  gran 
personaggio  .di  Francia,  commemorandolo,  disse  ch'egli  era  com- 
piacentemente arrendevole  negli  accessorii  e  inespugnabile  nella 


24  Francesco  D'Ovidio 

sostanza,  ritroso  a  promettere  quel  che  non  fosse  sicuro  di  poter 
mantenere  e  fermissimo  nel  mantenere  quel  che  aveva  pro- 
messo. Fu  detto  ch'egli  fosse  un  affascinatore,  ed  è  notevole  a 
questo  proposito  l'affetto  vivo  che  l'imperatore  Francesco  Giu- 
seppe ebbe  negli  ultimi  anni  pel  nostro  rappresentante,  che  pur 
aveva  cominciata  la  sua  carriera  di  patriota  col  buscarsi  nella 
battaglia  di  Rivoli,  da  caporale  dei  bersaglieri,  una  palla  au- 
striaca nel  braccio  destro.  Ma  di  quel  suo  fascino  nessuno  si 
dolse  mai,  poiché  nessuno  egli  ingannò  ;  anzi  una  delle  piìi  se- 
ducenti sue  attrattive  era  appunto  la  lealtà  incrollabile. 

L'Italia  aspettava  ora  di  legger  alla  fine  tutto  il  racconto  dei 
cinquant'anni  della  sua  vita  diplomatica,  nel  quale  si  sarebbero 
rinnovati  tanti  ricordi  di  giorni  ansiosi,  di  audacie  sapienti,  di 
sforzi  eroici  di  prudenza  e  pazienza.  Delle  sue  Memorie  ei  par- 
lava come  d'un  libro  già  compiuto  e  limato,  qualche  tratto  ne 
aveva  già  donato  al  pubblico,  di  altri  aveva  concesso  che  qualche 
amico  facesse  uso,  o  gliene  aveva  egli  medesimo  dato  lettura; 
e  lasciava  solo  intendere  di  volere  o  ritardata  o  postuma  la 
pubblicazione  del  libro  per  ragioni  di  convenienza  cortese.  Ma 
nel  settembre  del  1906,  preso  da  non  so  quale  sconforto,  mi 
accennò  il  proposito  di  darlo  invece  alle  fiamme;  ed  io  natu- 
ralmente mi  adoperai  a  remuovernelo  ;  e  vogliamo  ancora  spe- 
rare (anzi  un'attestazione  dell'Artom  relativa  agli  ultimi  mesi 
della  vita  del  Nigra  ce  ne  dà  quasi  la  certezza)  ch'egli  non 
sia  stato  così  crudele  con  l'opera  sua.  La  quale  aveva  fra  gli 
altri  questo  gran  pregio,  che  d'ogni  cosa  arrecava  possibilmente 
le  prove  autentiche,  i  documenti  ineluttabili,  si  da  riuscire  una 
storia  prammatica  del  nostro  risorgimento  e  di  altri  grandi 
fatti  europei,  assai  più  che  una  rievocazione  di  reminiscenze  e 
impressioni  personali. 

Ma,  oltre  il  resto,  oltre  le  tante  ragioni  di  gratitudine  che 
abbiamo  verso  il   Nigra  come  cittadini,  una  ve   n'è  che   più  ci 


Commemorazione  di  ("ostantino  Nigra  25 

tocca  e  come  cittadini  e  come  uomini  di  studio,  la  quale  più 
vuol  essere  propriamente  richiamata  qui.  A  lui  dobbiamo  se 
anche  l'Italia  può  vantarsi  d'essere  stata  alcuna  volta  rappre- 
sentata da  un  ambasciatore  della  specie  dei  Niebuhr  e  dei 
Bunsen:  di  uomini  cioè  che  all'abilità  diplomatica  unirono  l'abi- 
lità e  la  fama  di  dotti,  rappresentando  del  proprio  paese  non 
solo  la  potenza  e  la  fortuna  ma  la  sapienza  e  la  scienza,  non 
solo  il  valore  pratico  ma  il  valore  ideale.  E  dico  di  dotti  veri 
e  proprii,  non  di  dilettanti  piìi  o  meno  imbevuti  di  dottrina  o 
d'arte,  alle  cui  velleità  intellettuali  si  applaude  sol  perchè  sono 
un  dipiìi,  e  perchè  si  considera  il  bene  che  alla  schietta  arte  e 
alla  seria  dottrina  può  pur  derivare  dai  gusti  dilettanteschi  di 
un  personaggio  mondano.  No,  il  Nigra  è  stato,  oltreché  un 
poeta  valente,  un  filologo  diligentissimo  e  un  glottologo  dav- 
vero. Se  si  fosse  consacrato  unicamente  agli  studii,  la  suppel- 
lettile dei  suoi  volumi  o  monografie  sarebbe  pur  bastata  ad  as- 
sicurargli un  posto  cospicuo  fra  gli  studiosi  italiani  e  fra  i  dotti 
d'Europa;  tanta  è  la  molteplicità  della  dottrina,  la  precisione, 
l'accuratezza,  l'acume,  la  curiosità  indagatrice,  la  limpidezza  di 
pensiero,  che  brilla  nelle  sue  pagine.  Certo,  nella  pienezza  stessa 
delle  informazioni,  come  nella  pazienza  indefinita  delle  ricerche, 
ed  in  altre  virtìi,  si  scorge  manifestamente  lo  scrittore  vissuta 
in  alte  sfere,  a  cui  tutti  i  mezzi  di  studio  erano  accessibili,  e 
che  non  lavorava  sotto  il  pungolo  delle  necessità  professionali; 
ma  fu  semplice  dono  del  suo  spirito  quello  scrupolo  di  esat- 
tezza e  di  chiarezza,  e  altri  pregi,  diciam  così,  didattici,  che 
senza  dubbio  avrebbero  all'occorrenza  fatto  di  lui  un  cattedratico 
di  prima  riga. 

La  celebratissima  raccolta  dei  Ccntti  pojtolari  del  Piemonte  è 
un  modello  del  genere,  un  monumento  imperituro.  Tra  letteraria 
e  filologico,  tra  adorno  e  severo,  è  il  volume  sulla  Chioma  di 
Berenice,  ov'è   ripubblicato   criticamente  il   testo   latino,  e  tra- 


26  Francesco  D'Ovidio 

dotto  bellamente,  e  v'è  discussa  con  molta  finezza  la  versione 
e  il  commento  del  Foscolo  ;  come  un  ottimo  proemio  vi  oltre- 
passa anche  i  limiti  dell'unico  carme,  anzi  per  piìi  rispetti  ab- 
braccia tutta  la  materia  catulliana.  La  metodica  esposizione  del 
Dialetto  di  Valsoana,  che  trent'anni  fa  arricchiva  uno  dei  primi 
volumi  deìV ArcJiivio,  conformandosi  agli  schemi  austeri  di  questo, 
è,  come  disse  il  Rajna,  "  testimonianza  insigne  d'una  coscen- 
ziosità,  docilità,  tenacia  scientifica,  che  sarebbero  degne  di  lode 
in  chicchessia,  e  che  in  un  uomo  posto  in  così  alto  grado  e  oc- 
cupato in  così  gravi  affari  sono  addirittura  mirabili  „.  Il  Nigra, 
che  negli  anni  giovanili,  a  Torino,  tra  il  primo  fervore  degli 
studii  sanscritici,  vicino  al  Gorresio  e  al  Flechia,  aveva  amo- 
reggiato ei  pure  col  sanscrito  e  con  la  linguistica  comparativa, 
nel  decennio  posteriore  al  1870  s'era  volto  agli  studii  celtolo- 
gici,  di  cui  l'Italia  era  tuttora  digiuna,  salvo  qualche  bell'ac- 
cenno del  Flechia.  Un  po'  l'esempio  di  quest'ultimo  e  la  gene- 
rale astinenza  degli  altri  dotti  italiani,  un  po'  il  trovarsi  egli 
ospite  della  più  celtica  fra  le  nazioni  neolatine,  un  po'  il  con- 
cetto ch'ei  s'era  formato  della  ripartizione  e  propagazione  dei 
canti  popolari  in  Italia  e  negli  altri  paesi  romanzi,  —  dal  qual 
concetto,  come  ha  rilevato  il  Rajna,  era  invitato  a  fermar  lo 
sguardo  sul  substrato  celtico  delle  regioni  cisalpine,  transalpine 
e  transpirenaiche,  —  lo  indussero  a  divenir  celtologo  valente: 
quale  si  mostrò  nel  1869  colle  Glossae  hibernicae  veteres  codicis 
taurinensis,  e  poi  con  gli  articoli  nella  Bevue  celtique,  e  colle 
Reliquie  celtiche  del  1872.  Di  lì  s'accingeva  a  passare  alle  Glosse 
Iberniche  del  manoscritto  ambrosiano;  ma  l'Ascoli  volle  atten- 
dervi lui,  e  il  Nigra,  che  sapeva  trattar  con  le  grandi  potenze 
anche  d'ordine  intellettuale,  vi  rinunziò  di  buon  grado.  E  per 
la  trafila  della  ricordata  monografia  sul  dialetto  di  Valsoana, 
passò  più  di  proposito  agli  studi  neolatini  e  dialettologici,  ai 
quali  del  resto  e  l'Ascoli  stesso  e  il  Flechia  e  gli  altri  glotto- 


Commemorazione  di  Costantino  Nigra  27 

logi  italiani  si  venivano  sempre  pili  stringendo.  Accumulò  te- 
sori di  ricerche  etimologiche,  e  di  recente  li  smaltì  neìV Archivio 
glottologico,  nella  Romania,  nella  Zeitschrift  fiìr  romanische  Phi- 
lologie.  Fu  una  sequela  di  pagine  ove  molto  materiale  di  studio 
è  adunato,  molte  verità  sono  acutamente  scoperte  ed  efficace- 
mente dimostrate,  molte  ipotesi  sottili  e  ingegnose  vengono 
messe  in  campo.  Talvolta  son  troppo  sottili  o  ingegnose,  e^ 
mentre  applicano  a  rigore  le  leggi  della  fonologia,  non  riescono 
persuasive,  non  han  l'aria  della  verosimiglianza;  tal  altra  volta 
le  leggi  stesse  della  fonologia  vi  son  intese  in  modo  non  abba- 
stenza  rigido,  con  una  libertà  che  ricorda  più  antiche  fasi  della 
scienza  glottologica.  Sennonché  un  carattere  notevole  hanno  le 
ricerche  del  Nigra  quando  son  applicate  a  vocaboli  indicanti 
oggetti  materiali,  piante,  animali,  cose  di  caccia,  industrie  e 
costumi  villerecci:  a  base  della  speculazione  idiomatica  v'è  la 
cognizione  realistica  delle  cose;  una  cognizione  esatta,  precisa, 
minuta,  della  quale  i  piìi  degli  etimologi  sentono  in  se  il  bisogno 
senza  poterlo  appagare.  Egli  è  che  il  Nigra,  qual  uomo  di  mondo 
ed  esperto  di  tanti  paesi,  aveva  avuta  l'opportunità  di  bene 
apprender  le  co.se  innanzi  di  scrutarne  i  nomi;  e,  vissuto  nella 
puerizia  e  nella  prima  gioventù  tra  i  monti  e  i  campi  del  suo 
Canavese,  aggirandosi  tra  gli  umili,  umile  in  parte  ancora  egli 
stesso,  come  aveva  raccolto  con  amore  l'eco  dei  canti  del  po- 
polo, così  ne  aveva  osservato  i  costumi  o  i  mestieri,  e  s'era 
affiatato  direttamente  con  la  natura.  Il  gran  signore  ch'egli 
era  divenuto,  e  il  buon  borghese  di  campagna  ch'egli  era  stato, 
cospiravano  ora  a  illustrargli  i  nomi  delle  cose. 

Un  altro  studio  lo  attirò  da  ultimo,  riconducendolo  all'ama- 
tissima regione  nativa.  Scorse  con  infinita  pazienza  gli  Statuti 
latini  del  vecchio  Piemonte,  per  rintracciarvi  i  riverberi  lati- 
neggianti  di  voci  dialettali,  ossia  il  primo  apparir  di  queste 
sotto  le  simulate  spoglie  della  bassa  latinità.  Questo  lavoro  in- 


28  F.  D'Ovidio,  Commemorazione  di  Costantino  Nigra 

teressantissimo  lo  donò  agli  Atti  del  congresso  storico  subal- 
pino, ed  è  già  tutto  in  istampa:  speriamo  venga  presto  a  luce. 
Il  Monaci  ne  corresse  con  lui  le  prime  bozze;  come  con  pia 
sollecitudine  riordinerà  le  altre  carte  scientifiche  lasciate  dal 
Nigra. 

Ultimamente  egli  s'era  volto  con  zelo  e  affetto  sempre  più 
intenso  agli  studii,  e  pareva  cercare  in  questi  la  ragione  del 
continuar  a  vivere  e  quasi  una  seconda  gioventìi.  Dopo  aver 
tanto  veduto  e  oprato,  dopo  un  così  lungo  per  quanto  splen- 
dido esilio  dalla  patria,  vagheggiava  di  trovarvi  un  lieto  e  non 
ozioso  riposo.  Il  Sovrano  presso  cui  rappresentava  l'Italia  non 
si  sapeva  rassegnare  a  vederlo  partire,  il  Sovrano  d'Italia  non 
si  sapeva  rassegnare  a  lasciarlo  tornare;  ed  egli  s'arrendeva  a 
così  alti  voleri  e  a  così  alti  doveri,  ma  in  cuor  suo  non  bra- 
mava che  il  ritorno  alla  patria  :  il  ritorno,  se  non  forse  "  a  così 
riposato  e  bello  viver  di  cittadini  „ ,  certo  "  a  così  dolce  ostello  „ , 
Una  parte  della  degnamente  accumulata  ricchezza  aveva  spesa 
nell'acquistare  una  casa  a  Roma  ed  una  a  Venezia.  Tra  queste 
due  città  anelava  di  poter  venire  a  dividere  gli  anni  suoi  estremi. 
Roma  e  Venezia!  Quanta  poesia,  e  quanta  storia,  v'era  in  fondo 
a  questa  predilezione  !  Predilezione  quasi  simbolica  :  come  s'egli 
avesse  voluto  prender  ben  bene  possesso  delle  due  città  tanto 
desiate  ne'  suoi  anni  giovanili.  Roma  e  Venezia,  il  sospiro  del 
patriota  e  del  diplomatico,  erano  ora  il  sospiro  dello  stanco 
vecchio,  avido  di  requie,  d'un  pacato  rifugio  dopo  una  vita  ful- 
gidamente avventurosa.  Ma  in  ciò  la  sorte  fu  a  lui  e  a  noi  cru- 
dele: poco  più  che  due  anni  lasciò  a  lui  godere  la  patria  final- 
mente ricuperata,  e  a  noi  la  gioia  di  veder  tra  noi  aggirarsi 
il  reduce  glorioso,  l'alunno  di  Camillo  Cavour,  il  vivente  simu- 
lacro dell'età  eroica,  che  par  tanto  lontana,  della  nuova  Italia! 


STUDI  SUI  DIALETTI  REGGIANI 


FonolooTia    del    dialetto    di    N'ov^ellara, 


INTRODUZIONE 

§  1. 
Oggetto,  ragioni  e  fonti  di  questo  studio. 

Mi  propongo  —  se  mi  basteranno  il  tempo  e  le  forze  —  di  offrire 
una  descrizione  generale  dei  dialetti  della  provincia  di  Reggio  nell'Emilia, 
intorno  ai  quali,  se  non  mancano  notizie  particolari  e  preziose,  sparse 
nei  lavori  del  Flkchia,  dell'AscoLi,  del  Meyer-Lubke,  del  Saltioni, 
del  Parodi  e  di  altri  insigni  glottologi,  fa  pur  sempre  difetto  una  trat- 
tazione compiuta  e  sistematica,  a  cui  si  oppose  finora  la  scai'sità  del 
materiale  linguistico,  raccolto  e  vagliato,  per  tutti  i  punti  del  territorio. 
Infatti,  tranne  lo  scarso  e  confuso  Vocabolario  reggiano  del  1832  S  i 
saggi    e    le  notizie,  talvolta  incerte,  del  Biondelli  '    e   dello  Zucca(;xi 


'  Reggio,  Tip.  Torreggiani.  —  È  anonimo;  ma  dalla  bibliografia,  che 
è  nel  Biondelli,  p.  463  (v.  nota  seguente),  sappiamo  che  ne  fu  autore  il 
doti.  Gio.  Battista  Ferbari.  Per  i  criterii  con  cui  fu  compilato  (p.  XI)  non 
Berve  che  imperfettamente  al  glottologo. 

^  Saggio  sui  dialetti  gallo-italici,  Milano,  Bernardoni,  1853,  pp.  203,  205- 
206,  234,  247-294,  388-402,  468.  —  È  inesatto  il  Biondelli  quando  afferma 
che  manca  al  reggiano  il  dittongo  fi  (p.  203);  e  son  molto  dubbii  i  guastal- 
lesi  gallénna,  canténna  (p.  206). 


30  Malagòli, 

Orlandini  [Raccolta  di  dial.  ita!.,  Firenze,  Tofani,  1864,  pp.  173-185), 
le  poche  versioni  della  novella  del  Boccaccio  nel  Papanti  *,  alcune  rac- 
colte di  Ca)Ui  popolari  non  estese  pur  troppo  a  tutti  i  luoghi  della 
provincia  *,  un  elenco  dei  nomi  reggiani  delle  principali  piante  (C.  Casali, 
1  nomi  volgari  reggiani  delle  principali  piante  nostrali  e  di  quelle  esotiche 
più  comunemente  coltivate  o  note,  Keggio  Emilia,  Tip.  Artigianelli,  1905), 
e  pubblicazioni  di  letteratura  dialettale,  ristrette  alla  città  e  a  qualche 
paese  più  importante,  noi  non  abbiamo  ancora  di  molti  comuni  e  fra- 
zioni dell'alto  e  del  basso  reggiano  documenti  che  ci  permettano  di  sta- 
bilh-e  l'entità  specifica  e  l'estensione  dei  fenomeni  dialettali.  Si  aggiunga 
che  anche  per  i  punti  dei  quali  abbiamo  qualche  testo  o  ragguaglio,  ci 
manca  quell'accurata  analisi  e  trascrizione  dei  suoni,  che  è  necessaria  al 
glottologo  ^. 

Non  comincio,  come  potrebbe  parere  più  conveniente,  dal  dialetto  della 
città,  per  due  ragioni:  la  prima,  che  non  essendo  io  del  capoluogo  della 
provincia,  ho  stimato  più  sicuro  prendere  a  base  del  mio  esame  quello 


*  1  parlari  italiani  in  Certaldo,  Livorno,  Vigo,  1875,  pp.  381-387  e  568. 
Le  versióni  sono  nove:  una  per  Brescello  di  D.  Borrettini,  una  per  Cor- 
reggio di  G.  E.  Fantuzzi,  due  per  Guastalla  di  6.  Aldrovrandi  (dialetto 
urbano)  e  di  A.  Franceschini  (dialetto  campagnòlo),  una  per  Novellara  con 
annotazioni  di  L.  Rossi,  una  per  Poviglio  di  E.  Pellicelli  e  due  per  Reggio 
di  P.  Viani  (letterale)  e  di  B.  Catelani  (più  libera).  Ma  i  comuni  del  reg- 
giano sono  quarantacinque  ;  e  anche  nelle  frazioni  di  uno  stesso  comune 
vi  sono  varietà  dialettali  non  trascurabili. 

^  La  più  ampia  è  quella  curata  da  G.  Ferraro,  Canti  popolari  della 
provincia  di  Reggio  Emilia,  Modena,  Vincenzi,  1901,  pp.  115  (Estratto  dagìi 
"  Atti  e  mem.  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  per  le  prov.  moden.  „, 
S.  V,  v.  II)  :  è  preceduta  da  qualche  nota  di  fonologia  e  di  morfologia. 

^  Nel  Vocab.  regg.,  per.  es.,  non  si  distingue  che  un  o  aperto  e  un  o 
chiuso,  e  si  confonde  Vo  di  sóga  '  fune  '  con  quelli  di  són  '  suono  '  e  sónn 
'  sonno  ',  che  son  ben  diversi  ;  cosi  dicasi  degli  e  di  sUt  '  salto  ',  sècc  '  secchio  ' 
(uso,  s'intende,  la  grafia  dell'autore)  e  dì  sécch  '  secco  ',  seva  '  siepe  '.  Vi  si 
segna  poi  col  medesimo  accento,  nonostante  l'avvertenza  a  p.  XI,  Vi  di 
caiHisa  e  di  frtzzer  'friggere',  che  nell'una  e  nell'altra  parola  ha  colore 
e  lunghezza  differente.  —    Anche    il    Ferraro  (op.  cit.)  scrive  senza  distin' 


Studi  sui  dialetti  reggiani  31 

fra  i  dialetti  che  conosco  meglio  nelle  sue  peculiari  caratteristiche,  cioè 
il  novellarese,  che  è  il  mio  dialetto  nativo  e  di  cui  do  qui  lo  studio 
della  fonologia  '  ;  la  seconda,  che  a  raccogliere  e  a  vagliar  materiale 
riguardante  più  specialmente  il  dialetto  della  città  attende  già  da 
tempo  il  i)rof.  A.  Catelani,  il  quale  non  può  tardar  molto  a  soddisfare 
la  legittima  aspettazione  degli  studiosi,  pubblicando  una  copiosa  rac- 
colta di  osservazioni  e  di  fatti,  frutto  di  lunga  esperienza  e  di  amorose 
ricerche  nelle  carte  dell'Archivio  di  Stato  di  Reggio. 

Le  mie  fonti  furono  principalmente  orali  :  oltre  la  conoscenza  che  ho 
io  stesso  del  dialetto,  rinfrescata  ogni  anno  dalla  dimora  per  qualche 
tempo  nel  paese,  mi  giovarono  assai  le  informazioni  e  gli  schiarimenti 
fornitimi  al  bisogno  dai  parenti  e  dagli  amici  cortesi,  ai  quali  tutti 
mando  vive  grazie  della  cooperazione.  Né  tralasciai  di  raccogliere  per 
l'interesse  linguistico  e  folkloristico  qualche  tradizione  popolare,  di  cui 
do  alcuni  saggi  nel  testo  e  nell'appendice. 

Non  mi  mancarono  tuttavia  interamente  le  fonti  scritte,  che  negli 
ultimi  tempi,  oltre  il  saggio  di  versione  già  citato  (p.  30,  nota  1),  ap- 
parvero in  opuscoli  e  in  periodici  parecchie  composizioni  dialettali  e 
altre  miste  di  dialetto  e  di  lingua  letteraria.  Eccone  il  breve  elenco, 
nel  quale  non  ho  compreso  alcune  scritture,  che,  sebbene  pubblicate  a 
Novellerà  o  mandate  di  là  a  giornali  di  fuori,  sono  opera  di  autori  non 
novellaresi  e  presentano  caratteri  ibridi  e  malsicuri. 

1.    La    Madonna   dia    Fossetta  ahhandoneda   [sonetto]   di   F[elice] 
V[ezzani],  nel  n.  4  del  giornale  "  La  Rana  „.  [Questo  giornale  si  pub- 


zione  alcuna  :  fog  p.  20,  cgnosser  '  conoscere  ',  bon,  ib.  ;  créder  p.  23,  lei» 
'  liso  '  p.  18;  2>''^*'t'/>?  '  presepio  '  p.  19  e  (seder  '  tessitore  '  p.  21;  risga  p.  13 
e  (irlichl  'reliquie'  p.  19;  e  per  la  ^  e  per  Vs:  zendra  p.  24  e  zél  p.  25, 
stricch  e  siafi  p.  28.  —  I  medesimi  inconvenienti  si  riscontrano  nella  pub- 
blicazione del  Casali,  il  quale  veramente  non  si  propone  di  esser  utile  ai 
linguisti,  ma  ai  botanici. 

'  Spero  mi  sarà  perdonato  se  qua  e  là  farò  qualche  osservazione  che 
in  una  trattazione  compiuta  dovrebbe  trovar  jiosto  nella  morfologia,  nella 
sintassi  o  nel  lessico,  e  se  abbonderò,  per  chiarezza,  nella  spiegazione  dei 
vocaboli. 


32  Malagòli, 

blicò  a  Novellara,  a  liberi  intervalli,  negli  anni  1886  e  1887:  fu  edito, 
il  primo  anno,  dalla  Tipografia  novellarese  Ruozi,  e,  il  secondo,  dalla 
Tipografia  legale  di  Bologna]  ; 

2.  Consilli  e  ferrovia  [versi]  del  medesimo,  nel  num.  5  del  citato 
giornale  ; 

3-5.  La  Mmiicipaleìde  [canti  narrativi  in  lingua  italiana  con  fram- 
menti dialettali]  dello  stesso,  nei  nn.  9,10  e  11  del  giornale  predetto; 

6.  Per  al  sposalizi  ed  la  signorina  Antonietta  Righi  con  al  sgnor 
Eugeni  Nasi,  fati  al  gioren  XXX  avril  1887,  Filiz  Vezzani  al  dedica 
a  la  sposlina,  Bologna,  Azzoguidi,  pp.  4; 

7.  Il  trionfo  della  culinaria  di  Poetastro  Poetastri  [polimetro,  misto 
di  lingua  e  di  dialetto],  Reggio-Emilia,  Tip.  Operaia,  1888; 

8.  Al  maravii  d^Anvalera  nella  fiera  di  beneficenza  di  Poetastro 
Poetastri  [sestine],  in  "  Nebularia  „  numero  unico  ;  Reggio  nell'Emilia, 
Tip.  Operaia,  1892. 

A  queste  composizioni  ne  aggiungo  un'altra  un  po'  meno  recente  e 
inedita,  favoritami  da  un  amico.  È  anonima  e  rozza,  ma  credo  oppor- 
tuno pubblicarla  nell'appendice,  perché  non  trascurabile  sotto  l'aspetto 
linguistico,  e  anche  come  indice  dei  sentimenti  sociali  di  una  generazione 
già  tramontata. 

Più  addietro  nel  tempo  non  rintracciai  nessuna  fonte  scritta  dialet- 
tale. Le  cronache  novellaresi  del  secolo  passato  e  dei  precedenti  (la  piti 
vecchia,  del  Battistoni,  risale  al  1675)  nulla  offrono  di  importante  da 
questo  lato,  perché  tutte  in  lingua  letteraria.  Altrettanto  dicasi  delle 
Memorie  storiche  della  Contea  di  Novellara,  ms.  in  tre  volumi,  opera 
del  can.  V.  Davolio,  di  cui  si  ha  a  stampa,  per  cura  del  Litta  (Milano, 
Ferrarlo,  1883),  una  prima  e  imperfetta  redazione,  ripudiata  dall'autore  '. 

Qualche  orma  di  dialetto  meglio  si  scorge,  sotto  la  vernice  latina  o 
italiana  più  antica  e  incerta,  nel  Liber  statutorum  Novellariae  del  1608, 
stampato  in  Novellara  nel  1611,  nei  Monumenti  aggiunti  alle  Memorie 


'  I  mss.  delle   "  Memorie  stor.  ,  e  delle  cronache  sopra  ricordate  si  con- 
aervano  in  Novellara,  parte  presso  il  Municipio  e  parte  presso  privati. 


IIVIO  glottOlOfpCO    fÙtlKOIO,     voi,,    a  vii,    t^UNT.    1, 


Keggioli 
COMIINK      DI     RKGOlOlii 


Campagnol 


Cadelbos«ro  soUo  i^ 


/    ~ 
IJjujiiolo/Afi  piano 


Sfili 'Avm  oarlo«jrHri<*<) 

COMUNE   DI   NDVELLARA 

e 

divisioni  linguistiche 


REGGIO 


.-Strade  princip  Confine  di  g. 

>~CorBÌ   d'acqua    »      di      < 


^M\ 


studi  sui  diiiletti  reggiani  33 

istoriche  di  Novellava  del  padre  Pier  Maria  da  Modena  S  in  rogiti  e 
carte  dell'Ufficio  d'acque,  e  finalmente  in  inventarli  e  scritture  dell'Ar- 
chivio Comunale  che  rimontano  al  secolo  XY  '  :  di  questi  ultimi  docu- 
menti, tutti  inediti,  inserisco  nell'appendice  qualche  saggio,  non  ispre- 
gevole  fors'anche  per  la  storia  del  costume.  Per  la  scarsità  degli  elementi 
dialettali  genuini  che  si  possono  riscontrare  in  simili  carte  antiche, 
—  intorno  alla  lingua  delle  quali  son  da  ripetere  le  osservazioni  già 
fatte  dal  Salvioni  sul  Belcalzer  ("  Rend.  Ist.  Lomb.  ,,  S.  TI,  XXXV, 
p.  957  e  segg.),  sui  testi  lodigiani  pubblicati  dall'Agnelli  ("  Giorn. 
stor.  d.  lett.  it.  ,,  XLIV,  p.  423)  e  dal  Savj-Lopez  sul  napoletano  ("  Zs. 
£  rom.  Ph.  „,  XXX,  pp.  26-32),  —  non  è  possibile  stabilire  su  di  essi 
la  storia  dello  svolgimento  della  nostra  fonologia  :  ce  ne  serviremo  per 
trovarvi  spesso  la  conferma  dei  fenomeni  che  sono  propri  ancora  della 
fase  presente  del  dialetto. 

Di  mediocre  importanza,  sebbene  non  trascurabile,  la  toponomastica 
locale,  quasi  interamente  d'origine  recente. 

Le  fonti  dottrinali  verranno  citate  ai  luoghi  opportuni  ^.  Mi  preme 
però  di  esprimer  qui  subito  la  piìi  viva  riconoscenza  al  professore  Pietro 
Gabriele  Goidànich,  che  mi  fu  guida  amorevole  e  sapiente  in  questo 
studio. 


*  Anche  queste  "  Memorie  „  sono  inedite:  ne  ha  una  copia  il  Municipio. 

^  Sono  raccolti  in  filze  sotto  il  titolo  comune  :  Rogiti  e  scritture. 

^  Due  interessanti  studi  dialettali  emiliani  :  Piagnoli,  Fonetica  parmi- 
giana riordinata  e  accresciuta  delle  note  morfologiche  per  cura  di  A.  Boselli, 
Torino,  Tip.  Salesiana,  1904  (p.  83);  Bertoni,  Il  dialetto  di  Modena,  Torino, 
Loescher,  1905  (pp.  xiu-78),  videro  la  luce  e  mi  furono  noti  dopo  che  avevo 
già  presentato  questa  mia  dissertazione  all'Università  di  Pisa  (nov.  1904\ 
Dico  ciò  non  per  vane  dispute  di  priorità,  ma  perché  mi  pare  che,  là  dove 
sia  stata  fortuita  coincidenza  nell'osservazione  di  fatti  (cosa  non  difficile, 
trattandosi  di  dialetti  affini)  o  nell'interpretazione  di  essi,  acquistino  mag- 
giore  valore  di  attendibilità  i  nostri  comuni  risultati. 


Archivio  glottol.  ital.,  XVII. 


34  Malagòli, 

§  2. 
Notizie  topogralìche  e  storiche  sul  Comune  di  Novellara. 

Novellara  (v.  schizzo  cartografico)  confina  a  nord  coi  comuni  di 
Guastalla  e  Reggiòlo,  a  est  con  Campagnòla  e  Correggio,  a  sud  con 
Bagnòlo  in  piano  e  a  ovest  con  Cadelbosco  e  Guastalla.  È  un  grosso 
comune  agricolo  che  ha  una  superficie  di  ettari  5596,8768  e  una  po- 
polazione, secondo  il  censimento  del  1901,  di  7886  ab.,  di  cui  1582 
nell'interno,  e  il  resto  diviso  in  otto  frazioni  rurali,  dette  Ville,  nel 
modo  seguente:  Borgazzo,  ab.  1060;  Reatino,  ab.  901  (a  questa  villa 
appartiene  il  Bettolino,  gruppo  di  case  che  topograficamente  e  linguisti- 
camente se  ne  discosta,  come  vedremo);  aS'.  Michele,  ab.  546;  Boschi, 
ab.  874  ;  Valle,  ab.  345  ;  S.  Bernardino  (W  Terreni  novi,  ab.  1073  ; 
S.  Giovanni  della  Fossa,  ab.  806;  5'.  Maria  della  Fossa,  ab.  699.  Le 
prime  cinque  ville  sono  più  vicine  e  più  saldamente  unite  al  capoluogo, 
col  quale  formano  un'unica  parrocchia;  le  ultime  tre  più  lontane  e  stac- 
cate, con  chiese  proprie. 

Avanti  il  nono  secolo  non  si  ha  memoria  di  questa  terra,  che  era 
situata  quasi  nel  mezzo  dell'antico  Campo  Rainieri,  circoscritto  tra  l'Enza, 
il  Po  e  la  Secchia,  sotto  Reggio  a  cui  apparteneva,  in  una  pianura 
paludosa  (Davolio,  Mem.  cit.,  I,  p.  6).  Pare  fosse  dominata  da  Signori 
longobardi,  tra  i  quali  la  tradizione  cita  (Davolio,  loc.  cit.)  Gherar- 
daccio  Malapresa,  Alboino  de'  Reatini,  che  ricorda  il  nome  di  una  delle 
frazioni  detta  sopra,  e  Sirone  de'  Siri,  da  cui  ripeterebbe  la  sua  deno- 
minazione un  possesso  rurale  nel  Comune,  chiamato  anche  ora  la  Sirona. 

Ritornata  Novellara  sotto  il  dominio  di  Reggio,  vi  rimase  fino  al- 
l'anno 1371  in  cui  Feltrino  Gonzaga,  signore  della  città,  cedette  questa 
a  Barnabò  Visconti,  riserbandosi  il  territorio  di  Novellara,  che  d'allora 
in  poi  formò  uno  Stato  a  parte  (Tirabosohi,  Dizion.  topograf.,  stor. 
degli  Stati  estensi,  II,  p.  150,  Modena,  Tip.  Camerale,  1825;  Davolio, 
1.  e). 


.studi  sui  dialetti  reggiani  35 

In  quei  primi  tempi  Novellura  coraprendevii  cinque  ville  :  Borr/azzo 
(in  questa  era  il  nucleo  dell'abitato,  che  fu  poi  il  paese:  il  nome  non 
è  che  una  eattiva  italianizzazione  del  dialettale  Bor;/az  '  borguccio  '), 
Reatino,  S.  Michele,  Boschi  e   Valle. 

Quest'ultima,  che  anche  ora  è  la  trazione  meno  abitata,  t'ormava  una 
sola  palude  con  le  valli  di  Reggiòlo  e  di  Guastalla  ;  e  le  acque  vi  sta- 
gnavano per  modo  che  l'unico  mezzo  ai  commerci  da  ([uesta  parte  era 
la  navigazione  (Davolk».  op.  cit.,  I,  p.  7).  Di  questo  stato  di  cose  ci  è 
ancora  testimonio  un  fondo  rustico  che  chiamasi  //  Porto,  al  limite 
sud-est  della  villa.  Un  po'  piìi  tardi,  cioè  nella  seconda  metà  del 
sec.  XV,  si  cominciarono  a  bonificare  i  terreni  a  nord-ovest,  antico 
letto  del  Crostolo  :  si  formò  così  una  sesta  quadra  detta  de'  Terreni 
noci,  ove  poi  furon  fabbricate  case  e  mandati  abitanti  da  donna  Costanza 
Gonzaga  (Davolh»,  I,  p.  162),  ed  eretta  la  Chiesa  di  S.  Bernardino 
{Ih.,  p.  176). 

Ultime  vennero  a  lar  parte  della  contea  le  ville  di  .S'.  Giovanni  e 
S-  Maria,  che  Reggio  contrastò  ai  Gonzaga,  — ■  insieme  con  una  terra 
limitrofa,  S.  Tommaso  della  Fossa,  —  fino  alla  prima  metà  del  sec.  XVI 
{Ib.,  p.  72  e  segg.).  Di  qui  il  nome  di  ville  reggiane,  che  dura  tuttora 
a  cj[ueste  frazioni  (quella  di  S.  Tommaso  fa  parte  presentemente  del 
comune  di  Bagnòlo  in  Piano),  e  le  diflferenze  dialettali  che  accemieremo 
nel  paragrafo   quarto. 

Spentasi  nel  1728,  per  la  morte  del  conte  Filippo  Alfonso,  la  discen- 
denza maschile  dei  Gonzaga  di  Novellara,  il  feudo  passò,  nel  1737,  al 
duca  Rinaldo  I  di  Modena  (Tiraboschi,  op.  cit.,  II,  p.  151);  e  subì 
d'allora  in  poi  le  vicende  dei  ducati  estensi,  modenese  e   reggiano. 

Fu  capoluogo  di  un  mandamento  che  comprendeva  anche  i  comuni 
di  Campagnòla  Emilia,  Fabbrico  e  Rio  Salicéto;  ora  è  sotto  la  giurisdi- 
zione della  pretura  di  Guastalla,  al  cui  circondario  appartiene  ammi- 
nistrativamente. 


36  Malagòli, 

§  3. 
Sul  nome  Novellara. 

Le  forme  più  antiche  del  nome  della  nostra  terra,  quali  appaiono  dai 
documenti  pubblicati  dal  Tiraboschi  (Memorie  stor.  niod.,  Cod.  dipi..  I, 
p.  127  ;  II,  p.  98  ;  III,  pp.  10,  16,  23  ;  Modena,  Società  Tipografica, 
1793-1794),  sarebbero  Nuvelare,  Nuvelariae  (stato  in  luogo),  Nuhilaria, 
Nebularia.  Nelle  scritture  e  negl'inventarii  del  sec.  XV,  indicati  sopra 
(p.  38),  la  forma  volgare  è  Nnvolara,  la  latina  Niwlariae  e  Nuvolariae. 

In  un  diploma  d'investitura  del  20  maggio  1518,  di  cui  esiste  copia 
neir  Ufficio  d'acque,  si  legge  Novellariae,  —  forma  che  trionfò  sulle 
altre  negli  atti  pubblici,  come  è  provato  anche  dal  Liher  stafutonim, 
e  che  diede  origine  alla  comune  italiana  Novellara. 

Il  dialetto,  ora,  dice  Anvalera,  che  può  esse)'e  la  normale  risoluzione 
così  di  Nuvelara  o  Nuvelaria  come  di  Nebularia  (con  derivazione  se- 
midotta) o  Novellarla. 

La  piti  comune  spiegazione  etimologica  del  nome  è  da  nuhila  o  nebula, 
per  la  natura  del  luogo  basso  e  soggetto  a  nebbie.  Solo  il  padre  Pier 
Maria  da  Modena  (Mem.  cit.,  I,  p.  9)  mette  in  campo  l'ipotesi  della 
possibile  derivazione  da  un  nome  di  famiglia  Nivelli,  che  non  dice  donde 
abbia  desunto.  Se  non  proprio  un  cognome  Nivelli,  un  nome  di  persona 
Novellus  (De  Vit,  Onomasticon,  IV,  729  ,  Prato,  Tip.  Aldina,  1887) 
potrebbe  allettarci  come  probabile  origine  del  nostro  nome  di  luogo  ;  ma 
la  considerazione  che  molti  altri  nomi  di  paesi  e  villaggi  del  territorio 
si  rieonnettono  a  condizioni  locali  (cfr.  i  citati  Campagnòla,  Fabbrico, 
Rio  Salicéto,  Cadelbosco,  Boschi,  Borgazzo,  Valle)  ci  fa  propendere  a 
ritenere  piìi  probabile  la  prima  opinione.  E  fra  le  due  basi  nilbila  o 
*nnbùla  ("  Ardi.  Glott.  „,  XV,  505)  e  nebula, —  se  non  si  voglia  ammet- 
tere una  coesistenza  di  entrambe  che  parrebbe  attestata  dalle  antiche 
forme,  —  sceglieremmo  più  volontieri  l'ultima,  riflettendo  che  le  parole 
imparentate  con  nilbila  non  pèrdono  né  modificano  nel  dialetto  no- 
vellarese  il  primo  u  (cfr.  nuvolóh,  nuvolina,  nnvole'r  *  annuvolare  '  e  si- 


Stiuli  sui  dialetti  reggiani  37 

mili).  Anche  dal  lato  semasiologico  nehula  parrebbe  convenir  meglio, 
essendo  frequenti,  e  a  maggior  ragione  quando  più  aequa  vi  stagnava, 
le  nebbie  in  questa  terra,  che  era,  come  abbiam  visto,  il  lembo  reggiano 
iiiù  basso.  Si  aggiunga  che  non  mancano  nomi  locali  da  nehula  in  zone 
limitrofe,  dove  non  se  ne  hanno  per  contro  da  nìlbila  ^ 

§  4. 
Confini  linguistici  e  varietà  di.alettali. 

Il  dialetto  novellarese  ci  oifre  uno  degli  ultimi  limiti  settentrionali 
della  nornuile  palatizzazione  di  a  in  e:  pèf,  meder,  parler,  parie , 
Ip'germa,  sélva,  érk,  ecc.  *.  Si  può  dire  che  il  confine  linguistico,  segnato 
con  una  linea  turchina  sullo  schizzo  cartografico,  coincide  qui  esatta- 
mente 0  quasi  col  confine  amministrativo  comunale,  poiché  dove  co- 
minciano i  comuni  di  Guastalla  e  di  Reggiòlo,  si  ode  subito  la  con- 
servazione di  a  in  ogni  caso,  fuorché  per  -ariii  che  dà  anche  in  questi 
territori  -er  (n.  83). 

Solo  un  breve  tratto  del    comune    di  Novellara,  su  cui  è  un  piccolo 


'  PiKRi,  Toponomastica  illustrata  delle  valli  del  Serchio  e  della  Lima 
(Siippl.  per.  all"'Arch.  Glott.  „,  disp.  V),  p.  184.  —  Si  potrebbe  pensare 
anche  alla  base  novellu;  per  cui  vedi  Pieri,  op.  cit.,  p.  96,  Salvioni,  Giunte 
ital.  alla  Romanische  Formenlehre  del  Me>/er-Liibke  (Studi  di  fìlol.  romanza, 
voi.  VII,  fase.  19,  p.  228)  sotto  il  n.  479  (505).  Dovrebbe  intendersi,  in  tal 
caso,  locus  novellis  arboribus  consitus.  Ma  quest'ipotesi  ha  contro  di  sé,  finora, 
la  mancanza  di  una  forma  Novellaria  nei  più  antichi  documenti.  —  11 
prof.  Tito  Zanardelli  mi  suggerirebbe  una  derivazione  da  ebulu  'sambuco'; 
ma  se  per  ne  bui  a  abbiamo  attestazioni  di  forme  volgari  semidotte,  queste 
ci  mancano  affatto,  che  io  sappia,  nei  nostri  territori  per  ebulu,  da  cui 
si  aspetterebbe  anche  da  noi  una  risoluzione  con  è/  come  nel  bolognese 
nebbi. 

■^  Sia  detto  fra  parentesi  che  per  questo  fenomeno  il  novellarese  segue 
in  tutto  il  reggiano,  tranne  per  le  seguenti  voci  :  lasa  '  lascia  ',  altari,  se- 
mari,  /calamari,  insalata,  a/ma,  che  a  Reggio  suonano  con  e  :  lèsa,  alter, 
somè'r,kalame  r,  insulèta,  sfma;  al  contrario  il  reggiano  ha  persuader,  persuas 
(Vocab.)  di  fronte  ai  novellaresi  persvèder,  persrè's. 


38  Malagòli, 

gruppo  di  case  detto  il  Bettolino  (v.  §  2),  al  contine  con  Reggiòlo, 
appartiene  linguisticamente  a  questo  ultimo  Comune  col  quale  ha  più 
frequenti  e  comodi  contatti.  Col  confine  di  a  coincide  pure  quello  di 
0  da  ó  e  di  u  da  u,  che  si  odono  nei  territorii  di  Guastalla  e  di  Reg- 
giòlo S  ma  sono  affatto  sconosciuti  nel  nostro. 

Queste  notevolissime  differenze  nel  vocalismo  tonico,  a  cui  altre  se 
ne  aggiungono  nel  vocalismo  atono,  nel  consonantismo,  nella  morfologia, 
nella  sintassi  e  nel  lessico,  fanno  sì  che  il  distacco  fra  il  nostro  dialetto 
e  quello  dei  due  comuni  di  Guastalla  e  Reggiòlo,  pure  appartenenti  alla 
provincia  di  Reggio,  sia  sentitissimo;  tantoché  son  detti  da  noi  mcn/- 
tovani  i  dialetti  di  quei  due  Comuni,  in  contrapposizione  al  novellarese, 
campagnolese,  correggese,  ecc.,  che  alla  lor  volta  vengon  chiamati,  dai 
nostri  vicini  di  Reggiòlo  e  Guastalla,  modenesi,  comprendendosi  con 
questa  denominazione  tutto  ciò  che  faceva  parte  dell'antico  ducato  di 
Modena  e  Reggio. 

Il  confine  con  Guastalla  è  segnato  soltanto  da  un  fosso,  detto  ap- 
punto Fossa  di  confine;  ed  è  curioso  (il  fatto  ha  riscontri  anche  altrove) 
udir  parlare,  in  case  poste  a  brevissima  distanza,  il  dialetto  novellai-ese 
o  il  guastallese,  secondo  che  ci  troviamo  di  qua  o  di  là  del  limite  in- 
dicato. Dal  punto  di  vista  storico  è  però  da  notare  che  a  questo  punto 
si  aveva  una  volta  un'estesa  palude  (v.  §  2)  che  teneva  ben  distinti  i 
due  territorii,  appartenenti  a  Stati  diversi  ;  ciò  spiega  bene  l'origine 
della  diversità  del  linguaggio. 

Ma  come  si  mantiene  ora  la  differenza  dialettale  nonostante  la  vici- 
nanza e  i  contatti  che  pur  non  devon  essere  rari  fra  gli  abitanti  del- 
l'una e  dell'altra  breve  riva  ?  Ciò  dipende  dal  fatto  che  le  terre  di  là 
dalla  Fossa  di  confine  appartengono  a  proprietarii  guastallesi  o  sono  am- 
ministrate, per  conto  dei  più  lontani  proprietai-ii,  da  agenti  di  campagna 
di   Guastalla;   cosicché    i    contadini  che   le    coltivano  sono   in  continua 


'  Anche  questi  territori,  dunque,  insieme  con  Luzzara,  altro  comune 
della  bassa  provincia  reggiana,  sono  da  ricongiungersi  per  queste  caratte- 
ristiche ai  dialetti  settentrionali,  come  è  già  stato  detto  (Meyer-Lùbke, 
*  Grundriss'„,  I,  707),  di  Mantova,  Mirandola,  Piacenza  e  Voghera. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  39 

necessità  di  rapporti  con  quelli,  senza  contare  che  sono  anche  scelti 
nella  maggior  parte,  com'è  naturale,  in  quel  comune.  Il  fenomeno  in- 
verso avviene  per  le  terre  e  la  gente  di  qua  dal  confine,  nel  comune 
di  Novellara. 

Più  semplici  e  chiare  son  le  condizioni  dalla  parte  di  Rcggiòlo:  cjui 
non  i-ontinuità  di  luoghi  colti,  ma  vasti  tratti  di  terreno  soggetto  a 
frequenti  inondazioni,  senza  case,  coltivato  a  risaie,  e  un  corso  d'acqua, 
il  Bondeno,  d'una  certa  larghezza  e  importanza,  con  alti  argini.  Fa 
eccezione  solo  quella  lingua  di  terra  su  cui  è  il  Bettolino  (vedi  sopra), 
congiunta  senza  interruzione  al  territorio  iiovellarese  ;  ma  questa  lunga 
e  magra  striscia  di  terreno,  sfornita,  com'è,  di  case,  tranne  all'estremità 
nord,  viene  a  foi'mare  in  realtà,  come  abbiani  visto,  una  linea  di  sepa- 
razione, anziché  di  unione  con  Novellara. 

Da  tutti  gli  altri  lati,  le  differenze  dialettali  coi  Comuni  limitrofi  son 
molto  minori  :  ci  si  presenta  qui  un  campo  più  omogeneo,  dove  non 
son  bruschi  e  radicali  passaggi,  ma  quasi  sfumature  di  toni,  poco  av- 
vertite da  chi  non  sia  del  luogo. 

A  levante,  il  confine  con  la  vicinissima  Campagnòla  ci  offre  subito 
una  differenza  nella  evoluzione  di  /  -^  n  che  nel  campagnolese  si  man- 
tiene en,  nell'o  protonico  che  diventa  »,  —  fenomeni,  del  resto,  non 
ignoti,  come  vedremo,  anche  ad  alcune  parti  della  campagna  di  No- 
vellara, —  e  nel  suono  di  s  leggermente  rattratto  e  più  vicino  al 
nostro  z  del  dialetto.  Quest'ultima  particolarità  va  scomparendo  verso 
mezzogiorno,  dove  il  comune  di  Campagnòla,  agl'inizi  della  così  detta 
Fossa  Mana,  che  serve  di  confine,  s'addentra,  a  guisa  di  cuneo,  nel 
nostro  territorio.  Continuano  però  sempre  le  risoluzioni  ///  )  en  e 
0-  )  u-  ,  proprie  anche  del  correggese.  A  sud  e  a  sud-ovest  la  maggior 
differenza  ci  è  data  dal  dittongo  ei  da  P,  ì,  in  sillaba  finale  libera.  Ho 
riscontrato  come  limite  ultimo  di  questo  fenomeno,  che  ha  il  suo  mag- 
giore svolgimento  verso  Reggio.  —  dove  ogni  è,  t  passa  di  norma 
ad  ei,  —  la  linea  ti-aeciata  in  rosso  sullo  schizzo  la  quale  distacca 
le  ville  di  S.  Giovanni  e  S.  Maria  e  una  piccola  parte  meridionale 
della  villa  Boschi  dal  campo  dialettale  strettamente  novellarese,  in  cui 
tale  dittongazione  è  ora  affatto  sconosciuta. 


40  Malagòli, 

Terremo  a  fondamento  della  nostra  esposizione  il  dialetto  del  paese 
0,  per  così  dire,  la  parlata  urbana  delle  persone  che  sono  fra  i  30  e  i 
60  anni,  notando  via  via  le  differenze  delle  varie  frazioni  rurali,  che 
possiamo  distinguere  in  tre  gruppi  :  il  primo  e  piti  ampio  (che  indiche- 
remo con  I)  comprende  il  Borgazzo,  Reatino,  S.  Michele,  Valle  e 
Boschi-Nord;  il  secondo  (II),  S.  Giovanni,  S.  Maria  e  Boschi-Sud;  il 
terzo  (III),  S.  Bernardino.  Quando  una  forma  non  sarà  propria  di  una 
determinata  frazione,  ma  comune  a  tutta  la  campagna,  faremo  precedere 
o  seguire  ad  essa  cont.  o  camp.  Le  forme  proprie  solo  de'  vecchi  in- 
dicheremo con  antiq.,  e  qua  e  là  accenneremo  le  più  giovani  e  quelle 
del  linguaggio  infantile. 

Inutile  forse  aggiungere  che  le  distinzioni  suddette  son  da  intendere  con 
la  dovuta  discrezione:  non  mancano,  anzi  sono  frequenti  com'è  facile  com- 
prendere, anche  nel  popolo  che  abita  il  paese,  specie  nella  classe  dei 
braccianti,  che  ha  quotidiani  rapporti  con  la  campagna,  varietà  rustiche  ; 
come,  per  contro,  si  odono  talvolta  in  bocca  di  contadini,  massimamente 
tra  i  giovani,  suoni  e  forme  proprie  del  dialetto  dell'interno. 

Chiudo  questa  introduzione  con  una  avvertenza  che  sarà  opportuno 
ricordare  quando  ci  troveremo  davanti  a  fenomeni  qualche  volta  discor- 
danti tanto  da  sembrar  effetto  di  leggi  fonetiche  quasi  opposte.  Il  nostrO' 
è  territorio,  come  abbiam  visto,  di  confine  :  non  apparirà  strano  quindi 
che  il  dialetto,  come  avviene  nelle  così  dette  zone  grige,  presenti  più 
che  altrove  vocaboli  o  serie  di  vocaboli  che  escono  dalla  sfera  dell'in- 
fluenza reggiana  e  si  spiegano  come  imprestiti  dai  paesi  vicini. 


studi  sui  dialetti  reggiani  41 


FONOLOGIA 


A.  —  Condizioni  fonetiche  del  dialetto. 
Trascrizioni. 

I. 
VOCALI 

1.  Il  nostro  dialetto  possiede,  facilmente  ^  percepibili  da  un 
orecchio  esercitato-,  ventidue  vocali  ^  di  cui  quattordici  orali 
pure  e  otto  nasalizzate. 

2.  Di  queste  ventidue  vocali,  dodici  sono  più  o  meno  strette: 

ò  ,     o ,     If  ,     « ,     ti ,     M  ,     e ,     e ,     i ,      l,     ì ,     ì; 


^  Ciò  va  detto  soprattutto  delle  toniche.  Per  le  atone  in  genere  è  da 
avvertire  che  la  qualità  loro  non  appare  così  ben  distinta  come  nelle 
toniche  a  cui  vanno  appaiate,  rimanendo  esse  nell'ombra  per  la  mancanza 
di  quello  spicco  che  dà  alle  toniche  l'accento. 

-  Io  ho  cercato  di  supplire  con  l'orecchio  e  con  gli  altri  mezzi  pratici 
suggeriti  anche  dal  caposcuola  della  fonetica  sperimentale,  il  Rousselot 
[Principes  de  phonétiqice  expérimentale,  Paris,  Welter,  1902,  p.  41),  alla  man- 
canza di  strumenti  di  precisione,  nel  determinare  la  natura  fisiologica  dei 
suoni. 

'  Per  alcune  altre  sfumature  dell'e,  forse  non  senza  importanza  per  gli 
effetti  che  posson  produrre  nell'evoluzione  dei  suoni,  ma  su  cui  gli  orecchi 
non  son  d'accordo,  sarebbe  necessario  condur  la  ricerca  con  gli  apparecchi 
registratori  perfezionati  di  cui  si  servono  i  laboratòri  sperimentali  ;  diver- 
samente c'è  il  pericolo  di  cader  nell'arbitrario  e  nel  soggettivo. 


42  Malagòli, 

dieci  più  0  meno  larghe: 

& ,     d ,     à  ,     g ,    g ,     e  ,     è  ,     0  ,     0  ,     o  ; 

soii  quindi  in  maggioranza  i  suoni  stretti,  non  però  come  in  altri 
dialetti  emiliani  *. 

3.  Riguardo  alla  quantità  abbiamo  tredici  vocali  lunghe  : 


a  ,     (l ,     g ,     è ,     e  ,     é ,     ì ,     »,     0,     o  ,     o ,     u  ,     i<; 

e  nove  brevi  : 

h  ,     e ,     e ,    1 ,     t  ,     0 ,     6  ,     u  ,     ù  ; 

di  qui  una  pronunzia,  in  genere,  più  strascicata  che  non  nel  to- 
scano, la  quale  si  riverbera  anche  nella  pronunzia  locale  del- 
l'italiano letterario.  Per  maggiori  particolarità  sulla  quantità 
delle  vocali  si  vedano  i  nn.  188-190. 

4.  L'accento  qualitativo  delle  vocali  lunghe  è  diverso  da  quello 
delle  brevi.  Nelle  prime  è  meno  vibrato  che  nelle  ultime,  e, 
dopo  un  breve  aumento  d'intensità,  va  gradatamente  affievo- 
lendosi : 

r-,  ' — 

le  ,     grós  ; 

ha  dunque  movimento  prima  leggermente  ascendente,  poi,  in 
prevalenza,  discendente.  Nelle  seconde  è  fin  dall'inizio  più  vi- 
brato, e  si  mantien  uguale,  se  pure  non  aumenta,  nel  breve 
tempo  della  durata  della  vocale,  che  cessa  bruscamente  come 
troncata  : 

le  ,     ros. 

5.  Sempre  sotto  l'aspetto  fisiologico,  è  da  notare  che  dei  tre 
atti  di  cui  consta  ogni  articolazione,  cioè  l'attacco  o  entrata  in 
azione,  la  posizione  e  l'abbandono  ossia  il  ritorno  allo  stato  pri- 


•  Notiamo  qui,  una  volta  per  sempre,  che  la  parlata  campagnuola  tende, 
in  generale,  ad  allargare  tutte  le  vocali  ;  vedi  anche  i  nn.  56  nota  1,  70. 
Cfr.  per  un  fenomeno  analogo  "  Arch.  Glott.  „,  XVI,  486. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  43 

mitivo  \  il  primo,  nelle  brevi,  è  rapidissimo  e  desta  quasi  l'im- 
pressione d'ano  spirito  forte,  e  così  pure  l'ultimo,  che  si  compie 
in  silenzio;  lento  invece  è  Vattacco  nelle  lunghe,  quasi  da  averne 
l'impressione  di  uno  spirito  debole,  e  più  lento  ancora  Yabhan- 
dono,  durante  il  quale  continua  il  suono  della  vocale. 

6.  I  vari  gradi  di  chiusura  e  le  varie  gradazioni  di  timbro 
delle  vocali  del  dialetto  e  i  rapporti  loro  con  le  condizioni  to- 
scane possono  essere  rappresentati  sinotticamente,  in  uno  schema, 
nel  modo  che  segue  : 

\  i  tose.  tose,  u  X 

i\  /u 

\  e  t03C.  tose.  0  /' 

•^  \  e  tose.        tose,  o  /o 


f 


/ 


,  tose.  , 
\  a  / 

5 


7.  Per  utilità  mnemonica  e  per  facilitare  la  composizione  ti- 
pografica, si  tenga  presente  quanto  segue  : 

1.  Tutto  le  vocali  accentate,  che  hanno  un  segno  corrispondente  alle 
toscane,  sono,  come  appare  dallo  schema,  più  basse  e  più  aperte  delle 
toscane.  Questa  osservazione  generale  ci  dispenserà  dall'adoperare  segni 
speciali  a  indicare  continuamente  tali  differenze  fonetiche  del  nostro 
dialetto  dal  toscano.  Le  vocali  e,  o  sono  larghe,  ma  un  po'  meno  di 
tose,  e,  g. 

2.  Parimente  non  segneremo  la  nasalità  nelle  vocali  ;  perché  le  vocali 
sono  nasalizzate  solo  davanti  a  nasale.  Notisi  fin  d'ora  che  la  nasalità  aumenta 
d'un  grado  davanti  a  n  velare  (n.  29). 


'   ROUSSELOT,   op.  cit.,  p.  334. 


44  Malagòli, 

3.  La  nasalità  altera  sempre  il  timbro  delle  vocali.  Ma  anche  qui 
potremo  dispensarci  dall'uso  di  segni  speciali,  perché,  come  si  vede  dallo 
schema,  queste  alterazioni  avvengono  sistematicamente,  cosicché  le  vocali 
strette  si  allargano  alquanto  e  le  larghe  (a  compreso)  alquanto  si  restringono, 

4.  è  s'allarga  alquanto  davanti  ad  r,  divenendo  è;  poiché  un  tal  è  non 
s'ha  in  altra  condizione,  anche  per  esso  adopreremo  e. 

5.  Le  vocali  disaccentate  saranno  segnate  semplicemente  coi  segni  a,  e, 
I,  0,  u  ;  s'avverta  però  che  a  in  sillaba  disaccentata  è  «  e  che  tutte  le  altre 
sono  larghe  come  le  toniche  corrispondenti.  L'o  protonica  è  un  po'  più 
larga  e  meno  breve  di  o  tonico.  Cfr.  n.  167. 

6.  Solo  le  vocali  lunghe  sono  segnate  ;  le  altre  s'intendono   brevi. 

8.  Liquide  e  nasali  sonanti.  —  Allo  stato  presente  il  dialetto 
nostro  non  ha  liquide  e  nasali  sonanti  ;  ma  deve  averle  avute 
in  una  fase  anteriore.  Ciò  è  indiscutibile  per  le  sillabe  proto- 
niche. Per  esempio,  anvo  '  nipote  '  non  ha  già  dato  atievg  e  poi 
anvo  :  la  fase  precedente  è  stata  sicuramente  un  fìvo  ;  si  con- 
fronti questo  caso  con  quello  di  nafer  '  fiutare,  annusare  ',  da 
nff  '  naso  ',  dove  non  ci  fu  sincope  di  protonica  e  non  s'ebbe 
la  sonante,  quindi  nemmeno  la  prostesi  di  a-.  Lo  stesso  si  dica, 
per  esempio,  di  arfer  '  rifare  ',  di  contro  a  rafor  '  rasoio  ', 

Può  essere  oggetto  di  discussione  se  anche  in  sillaba  posto- 
nica si  debba  credere  che  siano  esistite,  in  tempo  anteriore  al 
presente,  liquide  e  nasali  sonanti,  per  esempio,  in  pèder  '  padre  ', 
férom  '  fermo  '.  Il  Piagnoli  (pp.  46  e  segg.)  considera  Ve  posto- 
nico di  pèder  e  l'o  di  ferom  epentetici,  come  le  vocali  posto- 
niche in  selov,  Ureg.  Ora,  per  ferom  non  si  può  venire  a  una 
decisione,  giacché  ferm  ci  dà  una  sola  sillaba.  Ma  per  pèder  è 
molto  meglio  immaginare  la  trafila  pèdre,  pèdr,  pèder,  che  non 
l'altra  :  pèdre,  pèdere  jjèder,  poiché  queste  epentesi  pare  apparten- 
gano alla  fase  più  moderna.  Voglio  però  notare  che  il  compianto 
Piagnoli  veniva  a  trovarsi  in  contradizione  con  sé  stesso,  perché 
egli  ammetteva  che,  per  esempio,  in  crédere  si  perdesse  prima 
la  postonica  e  poi  la  finale  :  ammesso  ciò,  \'r  di  credr  diven- 
tava necessariamente  sonante.  Cfr.  Meyer-Lììbke,  It.  Gr.,  §  116. 


Studi  sui  dialetti  reggiani 


45 


IL 


CONSONANTI 


9.  Gli  elementi  consonantici  del  dialetto  considerati  in  sé 
stessi  e  in  rapporto  con  le  condizioni  toscane,  si  possono  rap- 
presentare sinotticamente  con  lo  schema  che  segue  : 


Luogo  dell'  articolazione 


Labiali 

Labiodentali 

Dentali  :  predentali    .     .     . 

,         dentali     .     .     .     . 

,         postdentali  .     .     . 

Pi'epalatine  :  alveolari    .     . 

,  postalveolari 

Mediopalatine 

Postpalatine  :  pregutturali 

,  gutturali  .     . 

velari  .     .     . 


MOMENTANEE 


sorde    sonore 


CONTINUE 


Fricative 

' 

- — - 

Vibranti 

sorde 

sonore 

f 

V 

s 

/ 

z 

x 

l 

r 

H 

j 

[l'J 

[h] 

Nasali 


In  carattere  tondo  sono  segnate  quelle  consonanti  che  si  pronunziano 
come  nell'italiano,  in  corsivo  quelle  che  si  pronunziano  diversamente  ;  fra 
parentesi  quadre  son  collocate  le  consonanti  toscane  che  mancano  al 
dialetto. 


Tendenze  fisiologiche  del  dialetto. 

11.  Tre  tendenze  fonetiche  hanno,  in    parte   contemporanea- 
mente, in  parte  successivamente,  prodotto  le  condizioni   fonetiche 


46  Malagòli, 

del  dialetto  :  una  è  la  tendenza  alla  rattrazione  ;  l'altra,  forse 
concomitante  alla  prima,  la  tendenza  all'attività  del  velo  pala- 
tino; terza,  la  tendenza  a  un  allentamento  dell'articolazione  con 
un  conseguente  appianamento  e  una  spinta  in  avanti  della  lingua. 

12.  La  prima  tendenza  si  manifesta  già  nelle  vocali  con  l'o- 
scuramento di  a  in  e  in  sillaba  tonica  e  in  à  in  sillaba  para- 
tonica  ;  nel  consonantismo,  a  tale  tendenza  sarà  da  attribuire 
la  rapidissima  palatizzazione  dei  nessi  ki,  ke,  Ix,  m,  ri^  si,  sk' 
(ora  lo  stadio  della  palatizzazione  è  in  questi  ultimi  tre  nessi 
già  oltrepassato),  e  la  palatizzazione  di  H,  gì^  secondari  da  kl,  gì. 

13.  La  seconda  tendenza  è  manifesta  nella  nasalizzazione 
delle  vocali  davanti  a  n,  nella  riduzione  di  n  a  n  e  nella  ri- 
duzione di  r  apicale  a  r  uvulare. 

14.  Dalla  terza  tendenza  provengono  le  alterazioni  caratteri- 
stiche sopra  indicate  sinteticamente  nelle  vocali  e  quelle  che 
indicheremo  ora  in  /,  d,  n,  k  g,  z  ^,  l,  ni^  {f  v)  e  nelle  continua- 
trici  delle  consonanti  lunghe. 

Descrizione    fisiologica    delle    consonanti. 
a)   Esplosive. 

15.  ^  e  ò.  —  Cominciando  dalle  esplosive,  differenze  note- 
voli non  ci  offrono  le  labiali  {p  e  b). 

16.  t  e  d.  —  Troviamo  invece  nella  pronunzia  delle  dentali 
{t  e  d)  la  lingua  più  bassa  e  con  la  punta  tra  i  denti,  cosicché 
si  può  dire  che  abbiamo  qualcosa  di  mezzo  tra  le  dentali  vere 
e  proprie  e  le  interdentali. 

17.  k  e  g.  —  Più  rilevanti  sono  le  differenze  nelle  gutturali 
{k  e  g).  K  e  g  sono  da  noi  articolate  al  palato  duro,  non  mai 
al  molle,  quindi  non  sono  vere  '  gutturali  ',  come  nel  toscano, 
ma  pregutturali  ;  l'articolazione  si  avanza  poi  gradatamente  verso 
il  palato  medio  e  anteriore  nella  serie  ku  gn,  ko  go,  ka  ga,  ke  gè, 
ki  gì. 


Studi  sui  dialetti  recrgiani  47 

18.  e  e  //  sono  i  corrispondenti  etimologici  di  Au  yi^  toscani, 
come  s'è  detto  ;  a  differenza  dei  e  §  toscani,  che  sono  articolati 
verso  il  centro  del  palato,  i  e  §  emiliani  sono  dorsali  si,  ma 
prepalatini. 

h)    Continue, 
a)  Fricative. 

19.  z  e  .^.  —  Gli  emiliani  z,  sordo  e  sonoro,  sono  (come  os- 
servò il  prof.  Goidànich  già  nel  suo  corso  di  glottologia  del  1902-3 
all'Università  di  Pisa)  parecchio  diversi  dai  toscani  :  gli  z  to- 
scani, sordo  e  sonoro,  sono  momentanei  e  alveolari,  gli  emiliani 
invece  dentali  e  continui  ;  ossia  per  la  pronunzia  dei  nostri  z  e  i, 
la  punta  della  lingua  tocca  i  denti  ai  lati,  ma  non  presenta  pili 
alcun  ostacolo  nel  mezzo,  dove  s'è  formato  un  piccolo  canale, 
attraverso  al  quale  passa  il  fiato  senza  interruzione. 

20.  s  e  f.  —  Per  la  pronunzia  della  fricativa  s  nei  nostri 
dialetti,  l'articolazione  è  meno  serrata  che  nel  toscano,  la  punta 
della  lingua  è  abbassata  verso  i  denti  inferiori,  la  parte  mediana 
di  essa  è  pili  bassa  che  per  z,  minore  il  contatto  e  la  pressione 
contro  i  denti,  e  si  ha  un  leggero  arrotondamento  delle  labbra: 
di  qui  una  spiccata  differenza  di  suono  sibilante,  che  presso  di 
noi  è  pili  grasso,  per  così  dire,  e  rotondo. 

21.  Manca  alla  nostra  parlata  la  fricativa  palatina  s,  sosti- 
tuita in  ogni  caso  da  s  [sena  scena,  us  uscio,  kersn  cresciuto): 
questa  mancanza  si  spiega  per  il  fatto  dell'articolazione,  la  quale, 
a  cagione  del  ribassarsi  del  nmscolo  che  determina  l'ostacolo 
orale,  venne  a  coincidere  con  quella  di  s  ^  Per  questa  tendenza 
che  s'unisce  all'altra  —  propria  essa  pure,  come  vedemmo,  del 


'  Il  difetto  si  avverte  anche  nella  nostra  pronunzia  dell'italiano  :  voci 
come  sciabola,  coscia,  lasciare,  suonano  in  bocca  ai  più  di  noi  sjn'bola, 
kqsja,  lasjàre. 


48  Malagòli, 

nostro  organo  vocale  —  di  spostare  d'un  grado  in  avanti  l'ar- 
ticolazione delle  consonanti,  avviene  che,  specie  nel  popolo,  sia 
dell'interno  sia  della  campagna,  si  confonda  spesso  anche  la  fri- 
cativa del  tipo  z  con  quella  del  tipo  s,  la  quale  per  tal 
modo,  insieme  con  la  corrispondente  sonora  /  {mp'fer  macero), 
sostituisce,  si  può  dire,  ogni  sibilante. 

22.  f  e  V.  —  Queste  due  fricative  nella  nostra  pronunzia,  se 
non  son  più  labiodentali  come  nel  toscano,  non  son  nemmeno 
ancora  bilabiali  come,  forse  un  po'  troppo  arditamente,  asserisce 
il  Meyer-Liibke  per  il  v  nell'emiliano  ^  :  i  denti  superiori  e  il 
labbro  inferiore  hanno  sempre  parte  nell'articolazione,  ma  il  loro 
contatto  è  piìi  leggero  che  nel  toscano.  Il  fatto  che  abbiamo 
molte  parole,  in  cui  si  trovano  accanto  una  nasal  dentale  e  f 
o  V  {anvo  nipote,  infèren  inferno,  ecc.),  e  nemmeno  una,  dove 
queste  fricative  seguano  a  una  nasal  labiale,  ci  riconferma  che 
son  sempre  più  vicine  alle  labiodentali  che  alle  bilabiali.  Per 
la  non  molta  distanza  tuttavia  da  queste  ultime,  si  spiega  la 
facilità  del  trapasso  nel  nostro  dialetto  dalla  semivocale  u  alla 
consonante  v  e  secondariamente  a  f  {kvafer  quattro,  kàvfa  causa, 
flaff  flauto)  K 

23.  j.  Nulla  di  notevole  per  J,  che  è  spirante  palatina  sonora. 


^  Italienische  grammatik,  Leipzig,  Reisland,  1890,  p.  113.  L'illustre  roma- 
nologo  si  basa  sulla  parola  psiga  vescica,  dove  il  t;  a  suo  avviso,  sarebbe 
diventato  p  davanti  a  s,  e  non  f  come  era  da  aspettarsi,  per  concludei-e 
che  V  nell'emiliano  è  bilabiale  ;  ma  l'esempio  addotto  non  ci  par  decisivo 
per  le  seguenti  ragioni  :  1)  Anche  Vf  di  fsiga  avrebbe  potuto  essere  bila- 
biale (cfr.  greco  cp)  ;  2)  Il  p  di  psiga  potrebbe  essere  da  un  b  anziché  da  r. 
cfr.  n.  198,  Parodi,  Rom.  xxvir,  222-2'23  ;  8)  Nel  dialetto  reggiano,  secondo 
il  Vocabolario,  si  ha  anche  rsiga,  che  potrebbe  essere  però  una  grafia  let- 
teraria modellata  sull'ital.  '  vescica  '  ;  4)  Nei  moltissimi  casi  in  cui  il  pro- 
nome atono  di  2"  pers.  plurale  viene  a  trovarsi  in  proclisi  davanti  a  s,  si 
ha.  f  e  non  p:  af  so  dir,  non  mai  ap  so  dir,  per  av  so  dir  '  vi  so  dire  '. 

-  11  fenomeno  si  ripete  nella  pronunzia  locale  dell'italiano  :  Evropa,  vqmo, 
Làvra,  làfto  per  '  Europa,  uomo,  Laura,  lauto  '  e  simili. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  49 

P)  Vibranti. 

24.  /.  —  Come  fu  già  osservato  dal  Josselyn  ^  questa  con- 
sonante nell'emiliano  è  dentale,  a  differenza  del  toscano,  umbro, 
romano  e  siciliano,  dove  è  prepalatina.  La  lingua  ha  la  sua 
punta  contro  i  denti  superiori  e  tocca  gli  alveoli  :  la  pressione 
è  più  debole  che  per  t  e  d. 

A  ogni  l'  toscano  corrisponde  da  noi  un  J,  che  sarà  da  con- 
siderare anche  qui,  come  nel  parigino  odierno  -\  un'ultima 
tappa  di  un  antico  /    romanzo. 

25.  r.  —  Quanto  a  r,  noto  che  l'articolazione  è,  per  noi,  al- 
veolare. 

Si  riscontra  anche  nel  nostro  dialetto,  oltre  la  vibrante,  la 
varietà  fricativa  di  ;•  ^,  specialmente  in  posizione  finale. 

y)  Nasali. 

26.  >n.  —  Nella  pronunzia  di  m  il  contatto  delle  labbra  è 
più  leggero  che  in  h  e  p;  la  lingua  nella  stessa  posizione  piatta 
e  con  la  punta  aderente  ai  denti  inferiori,  come  nelle  altre 
labiali. 

27.  )i.  —  Parallelamente  a  ciò  che  si  vide  per  le  altre  den- 
tali, anche  nell'articolazione  di  n  si  pone  la  punta  della  lingua 
più  avanti  e  più  in  basso  che  nel  toscano,  appoggiandola  contro 
i  denti  superiori. 

28.  Nasalità  di  m  e  ».  —  La  qualità  nasale  del  suono  deìVm 
e  dell'»  è  più  spiccata  che  nelle  corrispondenti  toscane,  e  si  av- 
vicina un  po'  più  al  tipo  francese,  com'è  naturale  in  territorio 
i^allo-italico. 


'  Op.  cit.,  p.  88. 

*  RoussELOT,  op.  cit.,  pp.  616-617. 

^    JOSSBLYN,    op.  cit.,    p.  87. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII. 


50  Malagòli, 

29.  n.  —  N  originariamente  anteconsonantico,  m  davanti  a 
labiale,  sia  in  sillaba  tonica  sia  in  protonica,  prendono  un  suono 
velare  (w)  ^  :  bànk,  mmca,  kànta,  kanter,  tenp,  tenprilnza,  ecc.  — 
Il  medesimo  suono  si  ha  quando  n  semplice,  non  ni,  viene  a 
trovarsi  in  fin  di  parola  ossitona  :  kcin  cane,  piln  pane,  rem  rane 
(ma  kan  canne,  pan  panno,  ram  ramo). 

Per  questo  n  la  punta  della  lingua  non  tocca  i  denti  superiori, 
ma  s'appoggia  alla  base  degl'inferiori,  e  l'avvicinamento  avviene 
nel  palato  molle  :  l'occlusione  non  vi  è  completa  e  si  ha  così, 
come  dice  il  Josselyn  2,  un  suono  intermedio  fra  vocale  e  con- 
sonante che  ci  rappresenta  una  tappa  dell'evoluzione  compiutasi 
nel  francese  per  la  vocale  nasale.  Non  essendo  però  totale  da 
noi  la  caduta,  come  nel  francese,  della  consonante,  la  indichiamo 
sempre  anche  nella  trascrizione. 

Coll'w  velare  s'accompagna  un  aumento  ossia  un  doppio 
grado  di  nasalizzazione  della  vocale  precedente,  più  spiccata 
nella  campagna  che  nell'interno  del  paese.  Per  altre  particola- 
rità dell'evoluzione  storica  di  voc  -\-  n  finale  v.  n.  314. 

30.  n.  —  Il  contatto  del  dorso  della  lingua  col  palato  medio 
nella  nostra  pronunzia  di  ti  e  meno  forte  che  nel  toscano,  tan- 
toché un  orecchio  poco  esercitato  potrebbe  confonderlo  con  ni, 
da  cui  differisce  e  per  la  posizione  della  lingua,  più  spianata 
nell'ai  e  con  la  punta  alla  base  dei  denti  inferiori,  e  per  il 
luogo  dell'articolazione. 


^  Cfr.  Meykr-Lùbke,  Gramni.  d.  l.  r.,  I,  §  389;  Parodi,  Rom.,  XXII,  p.  314; 
Salvioni,  Studi  di  fil.  rom.,  v.  Vili,  p.  162;  Josselyn,  op.  cit.,  p.  96  e  segg.; 
Panconcelli-Calzia,    op.  cit.,  p.  43  e  segg. 

2  Op.  cit.,  pp.  99  e  174. 


Stiuli  sui  dialetti  reggiani  51 

c)  Consonanti  lunghe  (doppie  o  forti). 

31.  Anche  nei  nostri  dialetti  le  consonanti  possono  aver  varia 
lunghezza.  La  semplice  intervocalica  è  più  breve  che  nel  to- 
scano, tantoché  ne  è  più  facile  lo  scadimento  ;  e  alla  iniziale 
e  alla  postconsonantica  manca  poco  per  aver  il  grado  di  forza 
dell'italiano.  Abbiamo  in  certi  casi  di  sincope,  delle  conso- 
nanti lunghe  quasi  quanto  le  doppie  toscane  e  pronunziate  in 
mezzo  di  parola  con  la  parte  implosiva  nettamente  appoggiata 
alla  sillaba  precedente  e  con  l'esplosiva  alla  seguente  {nied'dnr 
mietitore):  le  consonanti  poi  che  corrispondono,  in  determinate 
condizioni,  all'aggeminata  italiana,  son  di  poco  più  lunghe  di 
una  consonante  toscana  scempia.  Si  hanno  cosi  nel  dialetto 
quattro  diversi  gradi  di  forza  o  lunghezza  delle  consonanti  :  il 
tenue,  il  naturale,  il  forte  e  il  rafforzato  (1.  radeva,  2.  kelda, 
3.  fréda,  4.  med'dgr).  Diciamo  qui  qualcosa  della  natura  fisio- 
logica di  questa  lunghezza  delle  consonanti,  riserbandoci  di  trat- 
tarne particolarmente  ai  luoghi  opportuni. 

Il  suono  della  consonante  può  essere  più  o  meno  forte  e  con- 
tinuato secondo  che  si  eserciti  una  maggiore  o  minor  pressione 
degli  organi  che  hanno  parte  nell'articolazione  e  secondo  la  mi- 
sura della  durata  di  questa.  Lo  sforzo  fisiologico  maggiore,  che 
si  rende  necessario  per  la  consonante  lunga,  va  a  detrimento 
della  lunghezza  della  vocale  che  le  sta  avanti  e  con  cui  è  silla- 
bicamente congiunta  ;  ne  viene  che  a  una  consonante  lunga  pre- 
cede sempre  una  vocale  breve.  Nello  stesso  modo  e  per  la  me- 
desima legge,  che  potrebbe  dirsi  di  compensazione  dello  sforzo 
fisiologico,  un  allungamento  della  vocale  porta  sempre  con  sé 
l'indebolimento  della  consonante  che  segue. 

Di  quest'ultimo  fatto  ci  offrono  testimonianza  nel  nostro  dia- 
letto voci  come  Qt  otto,  gn^s,  lat  latte,  in  cui  essendosi    allun- 


52  Malagòli, 

gata  la  vocale,  si  affievolì  la  consonante  ^.  E  del  rapporto  in- 
verso sono  esempi  mil  mille,  vila  villa,  sut  asciutto,  ecc.,  dove 
sì  mantenne  la  consonante  lunga,  ma  si  abbreviò  la  vocale.  Come 
corollario  di  quanto  si  è  qui  detto,  è  da  notare  che  se  nell'en- 
fasi la  vocale  ordinariamente  lunga  viene  pronunziata  in  modo 
vibrato  e  rapido,  la  consonante  che  la  segue  subisce  essa  stessa 
una  trasformazione  e  diventa  lunga  nel  senso  da  noi  spiegato  : 
Val  inpika!  *  Vatti  a  impiccare!  '.  Se  avviene  invece  che  ci  fer- 
miamo con  la  voce  alterata  dalla  passione  sopra  una  vocale 
breve,  la  consonante  non  muta  natura,  perché  ci  è  sempre  forza, 
per  la  qualità  dell'accento  sulla  vocale  breve,  di  aumentare  l'in- 
tensità della  voce,  cosicché  la  consonante  seguente  mantiene  la 
sua  lunghezza,  se  pure  non  l'accresce  :  Bntut  inbrojon  ! 


*  Il  nostro  dialetto  si  distinguerebbe  in  questo  dagli  altri  dell'Alta  Italia 
che  "  scempiarono  la  doppia  originaria,  pur  conservando  breve  la  vocale 
accentata  „  Pauodi,  Rom.  XXII,  p.  314  (cfr.  anche  Arch.  Glott.,  XVI,  333); 
se  pure  non  debba  ammettersi  che  il  fenomeno  dell'allungamento  della 
vocale  tonica  in  pii,  grgs,  sdk,  ni^4  e  simili,  col  conseguente  indebolimento 
della  consonante  che  la  segue,  sia  particolare  del  nostro  dialetto  e  poste- 
riore alla  generale  riduzione  della  consonante  doppia  latina,  per  cui  anche 
noi  abbiamo  sft,  rgs,  ecc.,  con  una  consonante  che  è  poco  più  lunga 
della  scempia  toscana. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  53 

B.  —  Note  di  fonologia  storico-descrittiva. 

I. 

V  o  e  A  L  I  s  :m  o 

1. 

Vocali  toniche. 

a)     P  A  ROSSI  TONI. 

1)   Evoluzione   in   sillaba  aperta. 

32.  Nelle  vocali  toniche  in  sillaba  aperta  e  in  posizione  de- 
bole delle  parole  primitivamente  parossitone,  troviamo,  oltre  alla 
confusione  quasi  generale  romanza  di  lat.  P  i,  e  ò  ìi,  la  sempli- 
ficazione seguente: 

lat.       a       è  e  1       i       o  5  ù       a 
dial.     è  e  1  5  u 

Come  si  vede,  gli  esiti  di  lat.  e,  ò  si  fusero  con  quelli  di  P  ì,  ó  il, 
si  palatizzò  a  ^  e  si  ebbero  tutte  vocali  lunghe.  (Per  il  tratta- 


*  Contro  il  Bertoni,  che  giudica  questo  fenomeno  assai  tardo  (op.  cit., 
p.  20;  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXIX,  215),  v.  Goidànich,  Origine  d.  ditt.  rom.,  p.  43  ; 
Salvioni,  Jahresb.  IX,  I  114.  —  La  fusione  degli  esiti  di  (5,  ò,  u  in  sillaba 
libera  si  ha  anche  fra  i  dialetti  toscani  nel  viareggino  e  nello  stazzemese, 
Pieri,  Dial.  d.  Versiglia,  n.  11  (Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXVIII).  Questa  confusione, 
come  quella  di  e,  s,  ì,  dev'essere  recente.  Che  da  noi  anticamente  è  fosse 
distinto  da  «  ?  è  provato  da  forme  come  ajé',  II  aje'i-  se,  II  s'èi  n.  35, 
tri  n.  60''"'  (di  contro  a  se,  le  n.  60),  mincu,  ziuga,  gramina  n.  71  e  72.  Al- 
trettanto si  dica  di  vu  n.  61*''8  di  fronte  a  ho,  ihkq,  ecc.,  n.  61,  per  l'antica 
distinzione  di  ù  da  7)  u. 


54  Malagòlì, 

mento  particolare  delle  vocali  toniche  davanti  a  nasale  e  a  r,  / 
V.  nn.  65-81^^^). 

33.  A  :  greda  'graticcio'  era  te,  fèda  'botta'  Salv.,  "  Nuove 
postille  „  in  Rend.  d.  R.  Ist.  Lomb.  S.  II,  t.  XXXII,  s.  *fata, 
okleda  '  urlo  canzonatorio,  abbaiata  ',  Flechia,  Arch.  Glott.  Ili 
158,  Salv.,  Arch.  Glott.  XVI  373,  -fc^a  = -ata  {kaMèda,  lo- 
dèda,  ecc.),  -f':=-atu  -ati  -atis  {kantè\  lode',  1  Brufè'  nome 
locale,  cfr.  Flechia,  Atti  d.  R.  Accad.  d.  Se.  di  Torino  XXVIII 
43-46,  ecc.),  -iè'=-tat  {karite  ,  verite,  ecc.,  n.  238),  fré  frate, 
le  lato,  bèda  bada  (verbo)  cfr.  n.  101,  ^jf^a  paga,  lèg  ^  lago, 
béva  bava,  kèva,  lèva,  rèva  rapa,  nèiv  nave,  cèv  chiave,  rè/ raso, 
pèf  pace,  nèf  naso,  kvèfi  quasi,  vèf  vaso,  sèi  sale,  mèi  male, 
-f7  =  -ale  [kanè'l,  nimè'l  'maiale',  ecc.),  èia  ala,  skèla; 

nièder  madre,  pèder ,  kinèder  comare,  lèder  ladro,  Jèdra, 
skvèdra  squadra,  tsèder  Arch.  Glott.  I  407,  fitèder  '  affittuario  ', 
mièder  mezzadro  Rom.  XXVI  303,  mèger  magro,  èger  agro, 
sègra  sagra,  kèvra  capra. 

34.  E  :  med  miete,  nega,  lev  '  polmone  degli  animali  macel- 
lati '  lève,  c?g/ dieci,  tera  'fila  di  pani  attaccati'  (e  anche  'di 
fieno  '  :  trèr  a  tera  cont.),  cfr,  afr.  tiere  e  v.  anche  Salv.,  Rend. 
d.  R.  I.  L.,  S.  II,  XXXV  961,  Parodi,  "  Dialetto  tabbiese  del 
sec.XVII„,72,  Spezia,  tip. F, Zappa,  1904:,  jer  acca  ajer,  D'Ovidio, 
Arch,  Glott,  IX  53  ;  inter  intero,  preda  pietra,  adre  dedre 
dietro,  cfr.  n.  160.  Pèder  Pietro,  fever  febbre.  —  Con  ae:  sèv 
siepe,  zel  cielo  e  v,  anche  n,  122, 

35.  É,  I,  è:  afe  aceto  II  a/èi  Introd,  §  4,  seda  seta,  réda 
rete,  beda  beta  Korting^  n.  13^2,  monéda,  meg  meco,  ^f^  teco, 
se^  seco,  tega  baccello,  botega,  sev  sébu,  -éya=-ebat  (pareva, 
taf  èva,  ecc),  rev  refe,  -f'/=ense  (paef,  gvastalef  guastal- 
lese,  berslef  brescellese,  kastelnovef  castelnovese,  f aver  gè  f  fab- 


*  Per  la  sonora  finale  qui  e  altrove,  v.  n.  316. 


studi  sui  dialetti  reggiani  55 

bricese,  raiole  f  reggìolese,  ecc.),  tela,  kandéla,  -et'  =  ere  {parer, 
tafer,  ecc.),  spera,  stadera. 

Y:  se  sete  II  sei  Introd.  §  4  S  sfréga  'frega',  nev  neve,  ^^fZ 
pelo  ;  veder  vetro,  poleder  puledro.  Come  r  vien  trattato  anche  tj  : 
pavèra  'sala'  (pianta  palustre)  che  si  riconnette  a  papyrum 
o  papyria,  cfr.  ven.  pavera,  Arch.  Glott.  I  177  n.  3  e  sen. 
papeio,  Fanf.  "  Uso  tose.  „  ;  v.  però  qui  pavarlna,  n.  178;  e  ora 
anche  Guarnerio,  Rend.  d.  R.  I.  L.,  s.  2%  XLI,  pp.  399-400. 
Qui  venga  anche  il  semidotto  hote'r  '  burro  ',  per  il  cui  accento 
è  da  vedere  ciò  che  è  detto  di  altre  parole  consimili  in  Goidànich, 
"  Or.  d.  ditt.  rom.  „,  p.  171. 

36.  I:  Vida  vite,  ^rìc?  '  sminuzzato,  trito ',  -Ic?a  =  Ita  {fìnlda, 
ku/ìda,  ecc.),  amig,  fig  fico,  fadìga,  mlga  mica,  zìga  *clcat, 
spiga,  intriga  ;  vlv  vivo,  riva,  vallva  detto  di  terra  '  di  valle  ', 
o/iòriy"  '  lombrico ',  dlf  òxce,  -7;'  = -Ire  [finir,  kufir,  ecc.),  mira, 
pi,  fila,  -f/ =1-1  le  {sutll  sottile,   kortil  cortile,  ecc.). 

37.  0  :  vod  vuoto,  niòd  acc.  a  mot  (la  prima  forma  nella  frase 
aver  al  mòd  '  aver  mezzi  ' ;  la  seconda  nella  locuz.  avverb.  a 
mot  '  ammodo  ')  v.  n.  316,  fgg  fuoco,  kóg  cuoco,  boga  dal  nèf 
*  narice  ',  Salv.,  Arch.  Glott.  XVI  292,  log  giuoco,  prova  prova, 
nóv  nuovo,  ov  lat.  volg.  Qvo,  nof  nuoce,  mar  muore,  fora  fuori 
(così  anche  da  *f  orat  '  buca,  fora  '),  sòr  suora,  voi  vuole,  spòla 
spola,  -ò7  =  -6lu  [fjòl  figliuolo,  taro'l  'tarlo',  Salv.,  Rend.  d. 
R.  I.  L.,  s.  II,  XXXV  970,  karigl  garzolo,  ecc.)  ;  dróva  adopera, 
cont.  krgv  copre. 

3^^»^    Ò,  0.  0  :  anvg  -  nipote,  dóga  con  o  greco  Arch.  Glott. 


'  In  questo  dittongo  è  da  vedere  la  ragione  per  la  quale  abbiamo  nel 
nostro  dial.  se  e  a/è'  (v.  sopra)  anziché  s(,  aff.  come  sarebbe  da  aspettarsi 
negli  ossitoni,  cfr.  nn.  53-58.  Anche  adre  n.  34  presuppone  un  antico  dit- 
tongo, che  sarà  stato  té. 

'  Il  femmin.  anvoda  potrebbe  spiegare  il  masch.  anvo,  che  avrebbe  dovuto 


56  Malagòli, 

XVI  119,  -o'/=:osu  [permalof,  famof,  golò'f,  ecc.),  ro/ voce, 
mar  '  gelso  '  (ma  mora  *  frutto  nero  del  rovo  ',  ved.  Zs.  f.  rom, 
Ph.  XXX  444),  ora,  -or  =  ore  {amó'r,  dolor,  ecc.),  sol  sole. 

li  :  jwda  pota,  cont.  lov  urb.  igg  n.  242,  Igv  lupo  e  lòva  '  fame 
insaziabile  ',  króf  croce,  nò/  noce,  nora  nuora,  gola  ;  sóver  sopra, 
lódra  utre  Kort^  9936. 

38.  Ù:  -ùda  =  -ut 'à  (èa^r/c?a  battuta,  vriìda  voluta,  nuda  ve- 
nuta, ecc.),  muda  muta,  skùd  scudo,  riìd  *  terriccio  '  rudus  Kort.*: 
8187,  Sìlg  sugo,  suga  asciuga,  riìga  n.  153,  Ifif  luce,  fùf  fuso, 
fgùra  scure,  dùr  duro,  madtir  maturo,  kul. 

2)   Evoluzione  in  sillaba   chiusa, 

39.  Per  le  vocali  toniche  in  posizione  dei  già  parossitoni  ab- 
biamo gli  esiti  che  seguono  : 

lat.       a       eei       i       o       oii       il 
dial.     a  e  i       5         o         u 

Si  fusero  qui  soltanto  lat.  è  é  t,  rimanendo  distinte  le  risoluzioni 
dì  ó  e  dì  ó  lì  ;  a  restò  intatta.  Si  hanno  tutte  vocali  brevi, 
tranne  per  i  riflessi  di  a  e  di  o,  dove  la  lunga  sarà  l'indizio  di 
una  dittongazione  precedente  i.  (Per  le  voc.  dav.  a  nasale. -[-  cons., 
v.  nn.  66  e  sgg.) 

40.  A  :  Davanti  a  consonante  aggeminata  :  grap  ait.  grappo, 
-at  =  suff.  -atto  [huràt  buratto,  zavata  ciabatta,  pnata  *  pentola  ' 


essere  anvó  secondo  il  n.  57  :  forse  il  -d  di  anvgd  cadde  assai  tardi;  il  par- 
migiano lo  conserva  ancora.  Ma  forse  anche  qui  si  ebbe  prima  un  dittongo, 
come  s'è  visto  per  a/e'  n.  35  in  nota. 

*  Vedi  GoiDÀNicH,  Oriff.  d.  ditt.  rom.,  p.  18  e  segg.  Conseguenza  del  dit- 
tongo sarà  stato  anche  l'abbreviamento  della  originaria  consonante  lunga 
che  seguiva  alla  tonica  in  esempi  come  gr^s  e  sim.  v.  n.  31. 


Studi  sui  dialetti  rcfif^iani  57 

II.  165,  ecc.),  znpa  zappa,  kvater  quattro,  sak  sacco,  vdka  vacca, 
somdk  ait.  sonimacco  (specie  di  cuoio),  stufa  basso  lat.  staffa 
Zaccar[a,  "  L'eleni,  gemi,  nella  ling.  it.  „,  Bologna,  Treves,  1901, 
s.  V.,  bris  basso,  gnis  grasso,  2^<''^  passu  (nome)  e  anche  'ap- 
passito '  (agg.),  kas  cassu  '  vuoto  '  detto  di  ravanelli.  Aro- carro, 
(/('tra  da  yalla  n.  310,  vai  valle,  kavùl  cavallo,  baia  palla. 

Coi  nessi  di  co)is.'{-u  e  cons.-\-i,  tranne  W  e  si  che  si  ri- 
dussero anticamente  a  consonante  semplice  r  e  s,  e  non  forma- 
rono perciò  posizione,  v.  nn.  82  e  sgg.  :  sapja  sapiat,  abja 
habeat,  gabja  cavea,  akva  &cqua,  làz  lat.  volg.  laciu,  braz 
braccio,  -az  ^=  -Siceu  [fdàz  staccio,  tenptiz  tempaccio,  oìiiZlz 
'  onione  '  \  navàza  '  mestatoio  '  dalla  forma,  che  ha  nelle  nostre 
campagne,  di  una  piccola  nave,  boUza  *b  o  v  a  e  e  a  '  sterco  di  bue  ', 
el  vinazi  la  vinaccia,  ecc.),  spnza  spatiat,  m;  radiu,  fa^a 
*fagiu  (con  cambiamento  di  genere),  aj  aliu,  paja  palea, 
tnaja  tenaglia,  patàja  '  lembo  inferiore  della  camicia  ',  cfr.  Salv., 
St.  d.  fil.  rom.,  VII  234. 

Con  ogni  altro  nesso  consonantico,  primario  o  secondario,  che 
non  sia  r  o  l  complicato  (v.  nn.  74-81^'^):  kata  captat,  cfr.  it. 
*  acjcatta ',  kasa  capsa,  bak  'passo',  baka  da  bake'r  'metter 
piede'  (cfr.  *bad[i]care,  Parodi,  Rom.  XXVII  199),  lat  latte, 
fàt  f  a  e  t  u ,  maca  m  a  e  [u]  1  a ,  skervaca  *c  r  e  p  a  e  [u]  1  a  '  crepaccio 
nel  terreno  ',  kaska  casca,  aftna,  nas  nasce,  sas  sasso,  lasa  (ma 
II  Irsa,  cfr.  Introd.  §  4),  rask  *ras(ijcu. 

41.  E,  E,  I.  e:  set  sette,  let  letto,  pei,  sotbék  '  colpo  dato  sotto 
il  mento  ',  Kort.^  9206,  vec  vecchio,  mej  meglio,  mei  mezzo, 
pe-  peggio,  vesta  veste,  vrespa  vespa,  tenpesta  '  grandine  ',  testa 
'  capo  '  e  anche  '  mattone  '  nelle  frasi  mur  d'una  testa,  ed  do 
test  e  sim.,  festa,  fnester  finestra,  tes  tesse,  jìeza  pezza,  ^er«  terra, 
gcera  guerra,  fer  ferro,   pel  pelle,  rastél   rastrello    e  '  cancello  ' 


'  In  senso  spregiativo   si  usa  oinf'r  '  omaccio  ',  cfr.  Papanti,  383. 


58  Malagòli, 

rastellu  Kort.^  7795  rastellis  Lib.  statut.  p.  202,  kvel  ait. 
covelle  ^  -él  =  -eWu  {kapél,  morél,  Emanuel,  Samuel,  ecc.).  — 
Con  ae:  presi.  (Per  è  dav.  a  r,  Z  +  cons.  v.  nn.  74,  76,  e  dav. 
a  l'i,  sL,  n.  84.) 

è:  tee  tetto  e  meno  coni,  teg"^,  Salv,,  Rend.  d.  R.  I.  L.  S.  II, 
XXXV  964,  PiAQN.,  n.  113,  tega  teglia,  te^a  I  e  II  '  fienile  '  tezia 
Lib.  statut.  p.  152,  leska  esca,  kres  cresce,  stela  stella  e,  se 
non  son  da  considerare  piuttosto  voci  dotte  o  semidotte,  cont. 
lukela  loquela,  cfr.  Salv,,  Arch.  Glott.  XVI  373,  kverela  acc,  a 
cont.  kvarela  querela,  dalle  forme  latine  in  -ella,  Stolz,  Hist. 
Gramm.  d.  lat.  Spr.  „,  I  509.  (Dav.  a  n,  si,  n.  84.) 

/:  krepja  greppia,  fred  *frig[i]du  D'Ovidio  o  *frTjdu> 
frijdu,  Meyer-L.,  "  Einf.  „,  §  94,  p.  109,  sek  secco,  stret  stretto, 
oreca  orecchia,  seca  secchia,  strega  striglia,  adés  adesso  Arch. 
Glott.,  XIV  269,  Meyer-L.,  Grob.  Gr.,  I^  653,  listés  lo  stesso 
(avv.),  veza  vici  a,  treza  treccia,  met  mette,  -et  =  -ittu  [povrét 
poveretto,  kavrét  capretto,  ecc.),  les  lesso^  spes  (avv.).  La  Bar- 
kesa  n.  di  un  fondo  rustico  cfr.  ven.  barchessa  Salv.,  St.  d.  fil.  r., 
VII  218,  7;es  pesce,  peska  pìscat,  kvest  questo,  kresj)  crespo, 
breska  Kort.^,  1578,  mesca  mischia,  mnester ^  minestra,  fnester 
sinistru  nel  senso  di  '  storta  '  per  uno  sforzo,  una  caduta  o 
sim.,  kavester  '  scapestrato ',  s^e^a  'scheggia'  *astìlla  Kort.^ 
9*02,  putél  '  ragazzo  '  putillu  Ascoli,  "  St.  crit.  „,  II  101  nota, 
kvel  quello.  (Dav.  a  r,  ^  +  cons.  v.  nn.  74,  77;  dav.  a  ?7  n.  84; 
dav.  a  U  n.  88.)  Con  y,  ^es  gypsu. 


^  Ved.  ora  per  queste  e  altre  forme  consimili,  Merlo,  Zs.  f.  rom.  Ph., 
XXX.  450  sgg.,  XXXI,  161  e  sg. 

^  Si  usa  anche  come  aggiunto  di  '  grasso  '  :  gras  tee,  gr&sa  teca  '  grasso 
zeppo  ',  acc.  a  gràs  teg.  In  questo  significato  si  connette  con  lucch.  tegghio 
aret.  tecchio  serav.  teizo,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXVIII,  190,  a  cui  si  attribuisce 
un'altra  etimologia. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  59 

42.  I:  fihja  fib[u]la,  frit  fritto,  pica  picchia,  stiz  tizzo,  riz 
riccio,  -iz  =  -Tceu  [verniz  *hibernTceu,  skotlz  '  brucia- 
ticcio ',  ecc.),  fis  fisso,  list  visto,  tnst  '  di  aspetto  sofferente  ', 
pista  pTstat,  -ista  =  Tsta,  ;(/  giglio,  vila  villa,  mil  mille, 
spila  spilla.  (Dav.  a  si^  n.  85.) 

43.  0:  scóp  schioppo,  sk-oz  coccio,  strópa  stroppus  (con  cam- 
biam.  di  genere),  ót  otto,  not  notte,  h-Qka  brocca  (vaso  e  '  ramo 
d'albero  '),  hrok  '  ronzino  ',  sprgk  '  stecco  ',  skgka  cassa  del  cocchio 
Salv.  Miscellanea- Ascoli;  90,  oc  occhio,  avrà  òp[e]ra,  haroz 
barroccio,  òs  osso,  grgs  post.  pos[i]tii  se  pure  non  è  dall'ita- 
liano, kQsta  còsta,  voster  vostro,  noster,  kosa  coscia,  kol  collo. 
(Dav.  Q.  r,  l  -\-  cons.  nn.  74,  79  ;  dav.  a  U  n.  88  ;  dav.  a  W 
nn.  82,  86.) 

44.  (),  U.  0  :  k/ios  acc.  a  konós  conosco  (semiletterario),  mostra 
mo[nlstrat,  kosta  co[n|stat  Kort.''  2450.  (Dav.  /•,  l  compi, 
nn.  74,  80;  dav.  a  n  nn.  82,  87.) 

ù  :  stopa  s  t  u  p  p  a ,  kopa  '  coppa  '  parte  di  dietro  del  capo, 
sotkopa  sottocoppa  '  vassoio  ',  got  '  grasso'  (agg.)  *gluttu  Kort.^ 
4285,  fot  futuit,  koììdót  condotto,  soi  e  sofà  sotto,  sangót  'sin- 
ghiozzo' *singluttu,  boka  bocca,  aiók  'sciocco'  cfr.  pisano 
locco,  ros  rosso,  agóst  '  agosto  '  Merlo,  "  Stagioni  e  mesi  „,  p.  10, 
grosta  crosta,  losk  1  uscii  'guercio',  most  mosto,  cont.  irìgós 
'schifo'  angustia,  poz  pozzo,  tor  torre,  boi  bollo,  boj  biillio. 
(Dav.  a  r,  l  compi,  nn.  74,  80.) 

45.  C:  put  e  puta  ^  chi  invecchia  senza  contrar  nozze',  sui 
asciutto,  distrut  strutto,  tut  *tQctu  (?)  Nigra,  Rom.  XXXI  526, 
V.  però  Salv.,  Arch.  Glott.  XV'I  600,  giica  'ago'  a]cuc[u]la  ^, 
vhic  vilucchio,    suca   succhia,    luz   luccio,   giiza    '  affila,   arrota  ' 


'  Il  regg.  góccia  sarà  per  contro  da  *a\cùc{u\la.  E  se  pare  strana  la  doppia 
base  proposta,  si  potrà  pensare  per  il  nov.  guca  a  un  effetto  di  metafonesi 
n.  96,  0  a  un  influsso  della  velare  precedente,  cfr.  n.  186 


60  Malagòli, 

a]cutiat,   hiÀst   busto,  gust   gusto,  muse   muschio,  riisk  'spaz- 
zatura' ruscum  Lib.  statut.  p.  31. 

h)  Proparossitoni. 

46.  Le  toniche  delle  voci  originarie  proparossitone,  sia  in 
sillaba  aperta,  sia  in  posizione,  sono  trattate  come  quelle  dei 
parossitoni  in  sillaba  chiusa,  v.  n.  39  : 

47.  A:  In  sili,  libera  o  in  posizione  debole:  sales  salice, 
sjHìres  '  asparagio  ',  caoga  chiavica,  fbjàvid  '  sbiadito  '  ait.  biavo 
e  biado,  -àdeg  =  -a  ti  cu  {marzadeg  '  marzuolo  ',  ma^adeg  '  mag- 
gese',  konpanCideg  companatico,  salvàdeg,  volàdga  volatica,  jadga 
'lugliatica';  —  Favreg  Fabbrico  ^ 

In  posizione  :  trcipla  trappola,  pasra  passera,  baler  (masch.) 
'  ballotte,  castagne  lessate  '  ;  letterari,  àkvila  aquila,  Paskva 
*Pascua  KoRT.3  6893. 

48.  E,  É,  I.  e:  névola  semidotto  '  ostia  '  ne  bui  a  cfr.  genov. 
nege  Arch.  Glott.  XV^I  159,  jiegra  pecora,  lever  lepore,  teved 
tiepido,  fbreved  'di  poca  consistenza'  se  connesso  con  brevi s 
Salv.,  Misceli. -Ascoli  78,  v.  però  Rom.  XXX  570  *,  re/ga  '  sega  ' 
reseca;  le:;er  cont.  'scegliere'  ma  nell'interno  soltanto  'leg- 
gere', nespol  nespolo  ;  peten  pettine,  eser  essere  cont.  reser 
n.  204,  presja  '  fretta  '. 


*  Il  primo  documento  storico  in  cui  appare  il  nome  di  questo  comune, 
che  faceva  parte  del  mandamento  di  Novellara,  è  del  772  (Tiraboschi,  Cod. 
dipi.,  IT,  85;  Davolio-Marani,  Storia  di  Fabbr.,  Modena,  Toschi,  1897,  p.  14). 
In  esso  è  ricordata  la  chiesa  di  Santa  Maria  de  Fabrega.  Del  946  e  del  948 
son  poi  due  altri  documenti,  citati  dal  Davolio-Marani,  Ib.,  17,  nei  quali 
si  parla  di  terra  e  di  corte  in  Fabrice.  La  forma  volgare  col  v  è  attestata 
da  un  diploma  del  1050  (Dav.-Mar.,  op.  cit.,  p.  21).  —  Quanto  a  jàdgu  si 
veda  anche  Piagn.,  p.  45  nota  2. 

'  Con  signif.  quasi  uguale  si  ha  fbrévile  e  sbrevito  nella  Versilia,  Pieri, 
Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXVllI,  187. 


studi  sui  dialetti  reggiani  61 

é:  tredes  tredici,  sedes  sedici,  indeves  '  malazzato  '  Ardi.  Glott. 
II  351,  cereg  chierico;  —  de/da  *dè-excitat. 

T:  tseved  *dissipidu,  -edeg  =  -ìtìcu  [bledeg  'solletico'  cfr. 
n.  19S,  fmoledeg  'viscido');   vefkov  vescovo. 

Qui  ci  sia  lecito  porre  anche,  per  il  colore  della  tonica,  begra 
'  fanghiglia  '. 

49.  I  trulla  'tritolo'  '''tri tuia,  rider,  fideg  G.  Paris  e 
L.  Havet,  Misceli. -Ascoli  41-63;  Schuchardt,  Zs.  f.  rom.  Ph. 
XXV  615,  onhrigol  *umb  ji]  liculu,  higoj  'spaghetti'  (v.  anche 
n,  274) ,  skriver  scrivere,  vipra  vipera  (semiletter.). 

50.  0  :  fódì'a  fodera,  limofna  elemosina  ;  kotma  e  o  1 1  u  m  u  (con 
mutam.  di  genere),  tgseg  ^  tossico,  kóreg  (masch.)  cesta  rotonda 
di  vimini  intessuta  fittamente  sotto  cui  si  collocano  pulcini,  pic- 
cioni e  sim.  cfr.  mil.  kòreg  Salv.,  St.  d.  fil.  rom.  VII,  p.  222,  e 
korga  (femm.)  cesta  pure  rotonda,  fatta  di  rami  d'albero,  che 
serve  per  portar  erba,  paglia,  ecc.,  poleg  moden.  pòles  Galvani, 
"  Gloss.  modenese  „  374  '  perno  '  v.  n.  317  con  cui  fosse  andrà 
polga  (femm.)  ramo  novello  dell'annata. 

Qui  probabilmente  anche  kapoleg  '  grosso  '  moden.  capòdeg  per 
il  quale  postulava  il  Galvani  222  capoticu,  che  darebbe  ?;  e 
non/):  forse  *cappoticu  (cfr.  Kort.^  s.  *cappo?)  e  il  reg- 
giano -l-  potrebbe  essere  analogico  su  pgleg  e  polga  ? 

51.  0,  U.  ó:  dodes  dodici,  skodfa  ^  '  assicella  o  stecca  del  ven- 
taglio ',  soreg  sorcio,  knoser  acc.  a  konoser  cfr.  n.  44. 

u:  kodga  cotica,  arskoder  re -ex  cu  ter  e  detto  delle  ova  che 
si  fanno  covare  perché  ne  esca  il  pulcino  ;  hókola  buccola. 
niokol  moccolo. 


'  Solo  nella  frase  :  ain^'r  kme  l  toseg,  che  si  dice  di   cosa  molto    amara. 

^  Da  còdice  non  da  caudice  come  ha  il  Bert.,  Dial.  d.  Morf.,  n.  43, 
che  è  costretto  poi  a  giustificare  l'irregolarità  con  una  supposta  influenza 
di  cùtica. 


62  Malagòli, 

52.  U:  suer  e  cont.  suver  n.  223  nota,  nuvol  nuvolo  ;  inìcuien 
incudine  n.  252,  mina  ruggine,  rusteg  rustico. 

e)    OSSITONI    IN    VOCALE. 

53.  Ricompare  qui  la  fusione  degli  esiti  ài  e  è  ì,  ò  6  u,  come 
in  sillaba  libera  dei  parossitoni,  ma  il  colore  e  la  quantità  della 
vocale  sono  quali  si  riscontrano  di  preferenza  in  sillaba  chiusa, 
cioè  e,  o;  e  così  i,  u:  a  dà  à.  Si  hanno  dunque,  di  norma,  tutte 
vocali  aperte  e  brevi. 

Questa  regola  vale  solo  per  gli  ossitoni  originari  in  vocale  o 
in  consonante  che  siasi  dileguata  senza  lasciar  traccia,  e  per  gli 
ossitoni  secondari  derivanti  da  parossitoni  sincopati  in  fonetica 
proposizionale  dove  avevan  funzione  di  proclitici.  Per  altri  os- 
sitoni secondari  v.  n.  35  nota,  n.  37^*^  nota,  nn.  60-62,  n.  150. 

54.  A:  dà  dat,  sta,  va,  fa,  sa,  kantara  canterà,  farà',  ecc. 
(per  a  ha;  v.  n.  100);  là  ili  a  e,  za  'qua'  ecce-hac;  frahala 
falpalà  Arch.  Glott.  XV  284  ;  kà  casa,  abbreviazione  sintattica 
avvenuta  in  proclisi. 

55.  E,  E,  I:  e  est,  konié  come  quo  modo  est,  cont.  anti- 
quato a  pasé  'poco  lontano,  poco  fa  '  *ad  passum  est  (?),  cont. 
pe  piede,  v.  però  anche  n,  62  (urb.  pe  n.  60)  ;  —  me  m  e,  se 
se,  n  e  III  te  (urb.  e  I  ^i  n.  60)  té  ^;  —  ve!  esclamaz.  vide 
n.  Ili,  perké  perché,  fé  nella  frase  a  la  fé!  che  ho  udito  solo 
in  bocca  ad  alcuni  vecchi  'affé!'.  —  E  qui  vadano  pure  kafé, 
kabaré  '  vassoio  ',  kanapé,  gilè  imprestiti,  e  forse  anche  re. 


*  Probabilmente  esistevano  in  antico  entrambe  le  forme  me  e  ie  da  me 
e  tè  acc.  a  mi  e  ti  da  mihi  e  tibi.  Per  mi  abbiamo  la  forma  dubitativa 
fossile,  propria  ancora  di  qualche  vecchio,  mlso  'lo  so  io?',  e  anche,  se 
indigena,  la  locuzione  Ve  un  mi  si,  mi  no  riferita  a  persona  di  carattere 
irresoluto. 


studi  sui  dialetti  reggiani  63 

56.  I:  di  die,  ki  qui,  li  illlc^;  senti',  fini',  ecc.,  senti, 
fini',  ecc.  ;  mari'  marito. 

v-*  —  v^ 

57.  0,  0,  U:  pò  post  2,  però  per  hoc,  mo  mo[do],  antiq. 
e  volg.Jabóf  ohibò!,  cont.  iììiamó  '  già  ';  —  ~o  '  giù  ',  prò  '  gio- 
vamento ',  kroìtaró  canterò,  maìiaró  mangerò  e  sim.  (per  o  ho 
n.  188  a).  —  Per  esempi  con  u  n.  63. 

58.  U:  su  su,  pju  plus  e  i  semidotti  Gefu' ,  viti  velluto,  he- 
ìitu    '  bellezza  ',  hravitu    '  bravura  ',  servitù  ,  ecc. 

d)  Sostantivi  monosillabici  in  consonante. 

59.  Son  trattati  come  in  sillaba  libera:  kor  cuore,  mèi  miele, 
fèl  fiele. 

e)  Iato. 

60.  Nell'iato,  primario  o  secondario,  dav.  a  i,  la  vocale  vien 
trattata  come  in  sillaba  libera  : 

E:  me  mei  (acc.  a  mio,  sing.  e  plur.  masch.,  forma  lette- 
raria fissa),  le  lei.  Iato  secondario:  se  sex^,  pe  piedi.  Per  pU 
V.  n.  207. 

Nelle  frazioni  comprese  sotto  II  si  ha  -é  da  -ei  =  -elli  {frade 
fratelli,  korte ,  he  e  sim.,  di  fronte  a  fradéj,  kortéj,  bej,  ecc.  nel 
resto  del  territorio)  *. 


'  Nella  campagna,  quasi  de,  ke,  le  con  e  breve  e  semiaperto,  special- 
mente nell'enfasi.  Nel  grido  prolungato  con  cui  il  bifolco  arresta  i  buoi 
si  sente  un  le  addirittura  aperto  e  lungo  con  accento  ascendente.  Cfr. 
Arch.  Glott.,  XVI,  486. 

•  Po  e,  sopra,  e  n.  55  potrebbero  anche  spiegarsi  da  *poi,  *ei  in  proclisi. 
^  Sie,  proprio  soltanto  della  villa  di  S.  Bernardino  (111),  è  un  imprestito 

guastallese. 

*  Per  il  reggiano  v'è  da  aggiungere  ai  casi  di  iato  e  QS,  per  cui  il  no- 
vtiUarese  adopera  l'analogico  seii  '  sei  '  su  soh  sono  (1*  pers). 


64  Malagòli, 

gQbis^  E,  I.  e:  Iato  secondario:  tri  tré  (masch.)  per  metafonesi 
n.  95  da  Hrei  >  tres.  Per  il  femm.  tre  n.  62. 

ì:  Unico  esempio  di  iato  secondario  ti  '  tu,  te'  da  tibi  <  */ei 
e  per  metafonesi  ti  n.  95,  abbreviato  poi  e  aperto  in  proclisi  ^. 

61.  0:  Iato  secondario:  ho  buoi,  mA-ó  '  oggi  '  *hodT  Parodi, 
Arch.  Glott.  XVI  129,  ro  vuoi,  fjò  figlioli  e  forse  anche  rad 
>  *voitit  >  vocitu. 

61^^^.  0,  U,  6:  Sempre  in  iato  secondario,  vii  Interno  e  I  plur. 
majestatis  da  vos  <  ^voi  <  *vu,  cfr.  ti  num.  precedente,  e  nii 
usato  solo  in  composizione  :  mièter  noialtri,  a  cui  corrisponde 
vuèter  voialtri.  Nelle  ville  II  e  III  si  ha  vo,  senza  metafo- 
nesi, con  abbreviamento  e  apertura  di  o  che  saran  dovuti  alla 
proclisi. 

U  :  to  tuoi,  so  suoi,  veramente  dal  lat.  volg.  *toi,  *soi,  cfr. 
n.  95,  acc.  a  tuo,  suo  forme  letterarie  fisse  di  sing.  e  plur. 
masch.,  cfr.  mio  n.  60  ;  fa  fui,  lìi  lui  dovuti  a  metafonesi,  poi 
abbreviati  e  aperti  in  proclisi,  laddove  si  conservò  lungo  e  stretto 
dù  *dui,  come  già  si  vide  per  tri  nel  num.  precedente.  Anche 
per  lu  nelle  ville  II  e  III  si  ha  lo,  che  si  potrà  spiegare  come 
vo,  V,  sopra. 

61*®^.  Un  esempio  con  ù  sarebbe  frut,  per  cui  vedi  però  n.  267. 

62.  Dav.  a  u,  e,  si  ha  lo  stesso  trattamento  che  in  finale 
nn.  53  e  sgg. 

Con  u:  me  Papanti,  383,  mio,  to  tuo,  so  ora  soltanto  della 
campagna^  accanto  agli  urbani  me,  td,  so  analogici  sul  plurale 
nn.  60-61  ;  Bertlamé  Bartolomeo  ;  Ri  Rio,  nome  loc.  (Introd.,  §  2) 
*Ri[v]u. 

Con  e  :  cont.  bo  bue  acc.  all'urb.  bo  per  influenza  del  plurale 


^  Il  parmigiano  ha  ti  e  mi,  il  modenese  me  e  tè,  il  reggiano  me  (Vocab.) 
me  (Ferraro)  e  té,  il  novellarese  me  e   ti,  v.  n.  55  nota. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  65 

n.  60  ^  E  qui  pure,  se  non  sarà  un  caso  di  sincope  in  fonetica 
proposizionale  come  al»I)ianì  supposto  nel  n.  '),").  potrà  venire 
cont.  pe. 

Anormali  sono  i  femmiriili  plurali  do  due,  tir  tre  (acc.  a  II 
trf'i,  V.  Introd.,  §  4),  che  presuppongono  uno  stadio  *doi,  trn, 
probabili  neoformaz^ioni  con  -/  analogico,  finale  caratteristica  del 
plur.  femminile,  in  vece  di  do,  tre  da  duae,  *tree,  in  un  periodo 
in  cui  non  aveva  più  valore  la  metafonesi. 

63.  Dav.  ad  a,  abbiamo  i  seguenti  risultati: 

e  diede  i:  ria,  mia  (col  plur.  mii  neoformazione  analogica, 
come,  sopra,  i  femm.  *doi,  trèi),  kria  '  piccolissima  quantità  di 
una  cosa  qualsiasi  '  Kort.='  2592  ;  e,  in  iato  secondario,  stria 
strega.  Anormale  sarebbe  inéa  genia  reveà  forse  entrato  tardi, 
come  i  letterari  Andrea,  Enea,  idea,  I  e  IH  garea  diarrea  acc, 
a  II  garia  dove  si  potrebbe  veder  l'influenza  di  malatia. 

0  diede  o  (aperto  e  breve):  cont.  toa  e  con  epentesi  tova,  cont. 
soa  e  seva  '  tua,  sua  ',  forme  divenute  rare  ^  ;  anche  nella  cam- 
pagna, son  più  comuni  ora  tua,  sua  d'origine  letteraria,  coi 
plur.  tui,  sui  neoformazioni  analogiche.  Nell'iato  secondario,  koa 
acc.  a  A'om  coda,  n.  187,  indoa  acc.  a  indova  ^. 


^  Rimane  anche  nell'interno  la  forma  originaria  nella  locuzione  :  al  ho 
d'or,  riferita  a  persona  molto  ricca,  e  nel  nome  popolare  Re  bo  con  cui 
s'indica  un  monumento  di  Guastalla.  Altrettanto  dicasi  di  me  nella  frase 
deprecativa  salvUnd  al  me  '  sai  mi  sia  '  ;  la  stessa  citazione  dal  Papanti, 
fatta  sopra,  attesta  che  la  generazione  passata  usava  pili  largamente  la 
forma  me. 

^  Torà  resta  nel  detto  :  A  be  'c7>  (ora,  per  influsso  della  scuola,  hi,  ci)  — 
c&pa  V  eft'H  per  i  p?  —  c&pa  V  }Jen  per  la  kova  —  e  menel  fin  a  k'i 
tova  (A  bi  ci  —  prendi  l'asino  per  i  piedi  —  prendilo  per  la  coda  — 
e  menalo  fino  a  casa  tua)  ;  e  sova  nell'altro  :  Tut  i  Jc&ii  skvàsen  la  bora 
e  (Ut  t  iniitco'n  i  vo'len  dir  la  sova  (Tutti  i  cani  dimenan  la  coda  e  tutti 
i  minchioni  voglion  dire  il  loro  parere). 

^  Anche  qui  la  forma  con  -v-  è  secondaria  (si  tratta    di    una    ripristina- 

Arohivio  glottol.  ital.,  XVII.  5 


66  Malagòli, 

64.  I,  U,  nell'iato  primario  o  secondario  con  a  danno  i,  w. 
alsia  '  ranno,  lisciva  ',  salia  saliva  ;  'pua  e  volg.  puva  '  bambola  ' 
tose,  pupa,  stila  e  volg.  stuva  stufa,  uà  acc.  a  uva  uva. 

f)  Influsso  delle  nasali. 

65.  Le  toniche  che  precedono  una  consonante  nasale  hanno, 
oltre  il  doppio  grado  di  nasalizzazione  di  cui  si  parlò  avanti 
nn,  7  e  29,  la  sorte  che  segue: 

66.  A:  rimane  in  ogni  caso,  sempre  lunga  e  leggermente  of- 
fuscata, tanto  in  sillaba  libera  quanto  in  posizione  {à-,  v.  n.  7): 

banana  '  pelle  di  castrato  conciata  ',  kanpfina,  lana,  rana,  sana, 
tana',  kan  cane,  gran  grano,  man,  pan  pane;  — -  arjàm  '  reame  ' 
cosa  ritenuta  rara  e  preziosa  da  chi  la  possiede,  cania  chiama, 
àgama  (femm.)  tegame,  fàm  fame,  ledàm  letame,  sàm  sciame. 

màneg  manico;  anma  anima,  A:ófMi?a  .canapa;  —  gramla  gra- 
mola, àmid  (letter.)  amido. 

and  = -Sindo  [manànd  mangiando,  filànd,  ecc.),  manda,  kanta, 
spànt  nel  nesso  kot  spant  '  cotto  tanto  da  diventar  come  una 
pappa  ',  cfr.  Galvani,  p.  357,  Fanfani,  "  Uso  toscano  „  s.  spanto, 
Meyer-L.,  «  Gr.  d.  ling.  rom.  „  II  §  341,  Salv.,  «  St.  d.  filol. 
rom.  „  VII  214,  panza  pancia,  lans  '  ansamento  '  Arch.  Glott.  II 
52-55,  kastàna  castagna;  —  gàiiha  gamba,  kànp  campo. 

67.  Le  altre  vocali  si  raggruppano  quanto  agli  esiti  cosi: 


zione  della  consonante  anteriormente  dileguatasi,  oppure  di  un  v  epente- 
tico  da  ihdoa  formato  a  sua  volta  con  la  desinenza  -a  degl'indeclinabili 
dalla  proclitica  indo  n.  148),  come  dimostra  il  colore  della  tonica  che  di- 
versamente sarebbe  o.  Il  medesimo  forse  è  da  dire  per  gli  esempi  del  nu- 
mero seguente,  sebbene  per  questi  possa  far  rimanere  incerti  la  man- 
canza di  altri  ù  in  sili,  libera  dav.  a  v. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  67 

E  È  I  che  prendono  un  suono  di  è, 

Ò  Ò  U    .  ,  ,         ,  ,    ò, 

Tu         ,  ,  ,        ,  ,    ì  (7  in  paese  e  UT, 

oppure  „         „  „    è  ò  in  T  e  II. 

Su  questo  diverso  esito  di  i  e  u  vedasi  ciò  che  è  detto  più 
sotto. 

Questi  esiti  <?  ò  ì  a  possono  essere  poi  lunghi  e  stretti,  brevi 
e  larghi,  secondo  la  posizione  della  sillaba  nella  parola  e  secondo 
lo  condizioni  fonetiche  della  sillaba  e  la  natura  degli  elementi 
fonetici  che  seguono.  Si  hanno  : 

1)  Suoni  lunghi  e  stretti  (v.  n,  7): 

[e    è    Y     =     e 

0  ò    vi    =     o  (u) 

1  =     ì  (i) 
fi              =     fi  (?>)] 

a)  in  sillaba  aperta  di  parossitoni; 

b)  in  sillaba  chiusa  (di  parossitoni  e  proparossitoni)  da- 
vanti a  il  -\-  cons.  sorda; 

2)  suoni  brevi  e  larghi  (v.  n.  7)  : 

[e    è   t    =     è 


a)  in  sillaba  aperta  di  proparossitoni  davanti  a  n 

b)  davanti  a  m  ; 

e)  davanti  a  )l    —  cons.  sonora  ^. 


'  Le  stesse  condizioni  in  sili,  chiusa,  con  lievi  divergenze,  furono  notate 
dal  Pi  AGNOLI  nel  dial.  d'  "  Oltr'Enza  ,,,  che  è  il  primo  dei  dialetti  emiliani 
centrali  a  ovest  (Op.  cit.,  pp.  12,  15,  18,  80  sgg.). 


68  Malagòli, 

Sorte  analoga  hanno  anche  gli  p  ù  i  u  imprestati  o  avutisi 
per  evoluzione  condizionata  propria  del  dialetto. 

68.  Esempi:  1.  a)  In  sillaba  aperta  di  parossitoni: 

è,  è,  ì:  ten  tiene,  vén  viene,  Interno,  I,  III  (trtì,  rln  li  n.  89), 
fé'à  fieno;  —  kadena  catena,  véna  avena  e  vena,  zena  cena;  — 
men  meno,  seti  seno. 

ó,  ó,  lì:  bòna  buona,  sona  suona,  bón  buono,  tran  tuono;  — 
koróna,  dona;  -ón  =  -one  -ónu  {p&rfon  prigione,  padron  pa- 
drone, ecc.);  —  són  sum. 

68^'®.  h  fc  et)  Interno  e  III:  -ina  =  -ina  [putìna  bambina, 
ladina  f.  '  scorrevole,  facile  ',  kufìna  cucina  e  anche  cugina, 
galina  gallina,  matìna  mattina,  galavrlna  Saly.,  Jahresb.  V 
132,  ecc.),  -m  =  -Inu  {pufln,  ladln,  kuftn  cugino,  avfìn  vicino, 
avv.,  e  sim.),  Un  lino,  vìn  vino,  bin  '  castelletto  di  quattro  noci 
0  di  quattro  nòccioli  di  pesche  che  serv^e  di  giuoco  ai  ragazzi  '  ; 
—  luna,  fortuna,  un  uno,  nist/n  nessuno,  diiln  digiuno. 

P)  I  e  II:  -ena  [pufena,  ladena,  ecc.),  -In  (pufen,  laden,  ecc.), 
bm,  vén,  béna  ;  — -  Iona,  fortuna,  Valkmgna  '  Valle  Comune  '  nome 
di  un  fondo  in  Villa  Valle  (I),  on,  nisó'n,  dión. 

L'articolo  indeterminativo  è  un  per  fonetica  proposizionale  S 
cosi  il  femm.  una,  che  serve  anche  come  pronome  e  mantiene 
lo  stesso  suono  nei  composti  (nisuna,  kvelkiduna  qualche- 
duna,  ecc.)  2.  Alla  proclisi  si  deve  puie  Vi  di  fin  a  ki  'finqui', 
fin  a  inèj  '  in  gran  quantità  '. 

Non  è  da  tacere  che  se  vivono  rigogliosi  ancora,  nelle  fra- 
zioni indicate,  i  riflessi  -éna,  -en,  -on,  cominciano  invece  a 
esser  rare  le  forme  come  fortona,  Iona,  a  cui  vediamo  sostituirsi 
le  paesane.  Ma,  quanto  a  queste,  conviene  poi  dire  che  il  i-iflesso 


'  Ved.  GoiD.,  Ditt.  rom.,  p'.  7,  nota  1. 

*  Il  pron.  masch.  è  uh  (co'  suoi  composti  nisii»,  ecc.),  perché  frequentis- 
simo il  suo  uso  in  costruzione  assoluta. 


StuLli  sui  dialetti  reg^'iani  69 

originario  fu  aniho  in  paese  -ma,  -?n,  -ona,  -oh,  e  che  gli  -7ìia, 
-In,  -una,  -lift  vi  si  sostituirono  sia  per  influsso  della  lingua  let- 
teraria, sia  per  importazione  dai  dialetti  del  Nord,  i^a  risolu- 
zione antica  -ma  si  ha  infatti  ancora  in  krma  crine,  e  -Un  ci 
è  attestato  dalla  forma  fossile,  frequentissima  nell'uso,  pron 
'  per  uno  '  (Es.  :  un  pò  pron  '  un  po'  per  uno  ').  Cfr.  i  fatti  ana- 
loghi dello  schema  h  -\-  cons.  sorda,  che  più  sotto  si  ricordano. 

69.  b)  In  sillaba  chiusa  davanti  a  /i   !- cons.  sorda: 

e,  è,  ì:  tmp  tempo,  tmpja  trave  del  tetto,  Saly.,  Misc.-Asc. 
92,  dént  dente,  (jent,  meht.  torme  rd,  zent  cento,  vmt  vento,  seni 
sente,  skmmza  *sementia,  pensa,  areni  vicino,  Salv.,  Arch. 
Glott.  XVI  287  ;  -  -  trénta,  denter  dentro,  tmka  tinca,  cont.  antiq. 
Inìka  il  line'',  stn'ik  'rigido,  stecchito'. 

o,  ó,  H  :  konpra  compera,  konier  contro,  mont  monte,  kmit  conto, 
conte,  kónka  conca;  —  pròni  pronto,  jmìt  ponte;  —  dónka 
dunque,  ronka,  /monta  '  scolorisce  ',  Salv.,  '•  Nuove  Postille  „ 
s.  emùngere  ^,  ghza  oncia. 

Di  fronte  all'urbano  poni  abbiamo  nella  campagna  pilnt  e 
anche  Niyramfmia  (l)  Nigramonta,  nome  di  un  fondo  rustico, 
i  quali  esempi  potrebbero  far  ritenere  che  anche  da  noi  un 
tempo  .si  avesse  ì(  da  0'\-nt,  come  nel  dialetto  d'"  Oltr'Enza  ,,, 
PiAGN.,  pp.  18  e  19. 


'  Al  nostro  léhka,  che  ho  riscontrato  anche  nel  contado  di  Campagnola 
<•  che  va  diventando  raro,  fa  bel  riscontro  chenca  *eccu-hinc,  che  trovo. 
senz'indicazione  precisa  di  luogo,  nel  Ferraro,  op.  cit.,  p.  8,  in  uno  degli 
Strambotti  amorosi  contadineschi,  pubblicati  per  la  prima  volta  nel  1S56  da 
B.  Catelani.  A  questi  due  si  riconnettono  certamente  chena  e  lena  di  Val 
di  Magra,  Rkstori.  Xote  fonetiche  sui  parlari  dell'  Alta  Val  di  Magra,  Li- 
vorno, Vigo,  1892,  n.  11.  Ved.,  ora,  anche  Salv.,  Rom.,  XXXVI,  230  e  n.  4. 

^  Da  monte,  secondo  il  Fieri,  il  quale  cita  l'equivalente  italiano  smon- 
tare e  il  contrario  monture  'acquistar  di  vivezza',  che  vorrebbe  veder  re- 
gistrato nel   Voo.  italiano  (Zs.  f.  r.  Ph..  XXX,  30ó). 


70  Malagbli, 

69^'®.  7,  /7  :  zlnk  cinque,  tìnt  tinto,  prlnzip  principe;  —  ùnt 
unto,  :itinta  aggiunta. 

Negli  inventari  del  quattrocento  leggesi  tento  per  '  tinto  ',  e 
anche  ora  dicesi  grenta  '  ceffo  ',  moden.  grinta  Bert.,  "  Dial.  d. 
Mod.  „,  n.  12,  lomb.  grinta  e  grenta  Salv.,  "  Fon.  Mil.  „,  nn.  26 
e  27.  Sono,  questi,  indizi  di  un'antica  risoluzione  conforme  a  ciò 
che  si  osserva  ancora  nel  parmigiano,  Piagn.,  n.  51.  Un  fatto 
analogo  abbiamo  riscontrato  sopra  al  n.  68^^^  nelle  condizioni  di 
sillaba  aperta. 

70.  2.  a)  In  sillaba  libera  di  proparossitoni  : 

è,  ì\  tener  tenero,  :^ener  genero;  —  zener  cenere  e  lettor.  c?o- 
mènica. 

R:  letter.  unik  unico,  letter.  skomu'nika. 

Mancano  esempi  d'altre  vocali. 
b)  Davanti  a  ni  : 

e,  è,  ì:  prem  preme,  inséni  insieme,  rem  remo,  -em  =  emus 
(pres.  tafém  taciamo,  vdem  vediamo,  ecc.  ;  fut.  taf  réni,  vedrém,  ecc.)  ; 
temer  temere,  remol  semola,  n.  199. 

ó,  ò,  h:  om  uomo,  che  serve  anche  per  il  plurale  accanto  al 
men  comune  omen  uomini,  galantóm,  stomeg  stomaco;  poni  pomo 
'  mela  ',  poma  giuoco  fanciullesco,  noìn  nome,  Roma  ;  cont.  som 
sumus  acc.  all'urb.  sem. 

ì  11:  pjrim  primo,  lima  lima;  lum  lume,  La  Fjiima,  n.  di  un 
corso  d'acqua,  fjorii'm  '  seme  del  fieno  con   tutto    lo    spoglio  e 
le  parti    stritolate  del  fieno  stesso  ',  cfr.  lucch.  fìerunie,   Nieri, 
"  Voc.  lucch.  „,  Lucca,  Giusti,  1902. 
e)  Davanti  a  w -[- cons.  sonora: 

e,  è,  t'.  setenher  settembre,  rend  rende,  tenda  tenda,  brenda 
merenda,  n.  219,  kalenda  calenda,  niaréng  marengo,  [a]  veti 
vengo,  [a]  teh  tengo,  manté'n  (masch.)  '  bracciolo  '  della  scala, 
cfr.  piem.  manténa,  Salv.,  S.  d.  f.  rom.  VII  221,  iniéh  ingegno;  — 
vend  vende,  gendni  lendini,  n.  204;  —  ewc?es  endice.  Uh  legno. 


studi  sui  dialetti  regsfiani  71 

ò,  i),  H  :  rispónd  risponde,  skonder  nascondere,  sponda,  sponga 
*s ponga,  dona  domLi]na,  son'^  sòmnu;  —  kodóh  cotogno, 
skaloìia  scalogno,  fgóha  'manovella',  Zs.f.r.Ph.  XXII  517,  Bolona 
Bologna;  —  pjonb  piombo,  tronba,  klonb  colombo,  tóhhola,  tonga 
tunica,  toììd  '  piatto  ',  foiid,  mond  mondo,  dimondi  '  molto  ',  Ardi. 
Glott.  II  340  2,  onda,  gronda,  onhra,  vergoha,  \al\  skonfoha  '  sbeffa 
parodiando  '  *e  x  -  e  o  n  f  u  n  d  i  a  t. 

Nella  campagna  questi  suoni  sono  più  aperti  che  nell'interno, 
cfr.  n.  2  nota. 

Z,  fi:  kvindes  quindici,  ^w^/er  zingaro  ^,  viha  vigna,  gina  ghigna; 
undes  '  undici  '  se  può  star  qui,  bruiia  prugna. 

Metafonesi  davanti  a  nasali  palatali. 

71.  Per  una  evoluzione  conforme  a  quella  compiutasi  nel  to- 
scano, e  da  P,  r  dav.  a  «  -L  sorda  palatale  o  fricativa  succedanea 
si  chiude  in  7:  mlhca  mentula  'pasta  contadinesca  fatta  con 
farina  di  granturco  e  vino  dolce  cotto',  vlnzer  vincere;  e  ri- 
spettivamente in  i  dav.  a  n  ~|-  sonora  corrispondente  :  zijìga 
cinghia,  finger  tingere,  strinier  acc.  a  strenier  stringere. 

Non  credo  che  ciò  si  avesse  davanti  a  gutturale  sonora,  per 
pia  ragioni.  Anzitutto  il  fenomeno  non  s'ha  davanti  a  gutturale 
sorda.  In  secondo  luogo,  vi  sono  voci  popolari  con  e  ben  si- 
cura e  generale  nel  dialetto  nostro  :  renga  aringa,  berléng  '  stra- 
vagante '  detto  di  persona  cfr.  it.  '  berlingare  ',  paterlenga  in- 
fruttescenza di  rosa  canina  e  di  altra  specie  del  genere.  Casali, 


*  Femminile,  se  astratto  [KroiU'r  da  la  son  'cascare  dal  sonno'):  ma- 
schile, se  concreto   (fer  un  son  '  fare  un  sonno  '). 

-  Su  quest'avverbio  ved.  ora  anche  Bkrt.,  Dial.  d.  Mod.,  n.  44  nota  ; 
Salv.,  Rem..  XXXVI.  233  ;  M.-L.,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXXI,  730.  Per  conto  mio, 
penserei  sempre  a  un  di  mond,  a  cui  si  aggiunse  l'-i,  per  analogia  su  altri 
avverbi  con  questa  terminazione. 

'  Queste  voci  che  parevano  strane  al  Piaongli,  n.  54,  p.  83,  rientrano 
pienamente  nella  regola. 


72  Malagòli, 

Op.  cit.,  p.  26,  che  possono  ritenersi  resti  antichi,  cfr.  Par., 
Arch.  Glott.  XVI  115.  In  terzo  luogo,  accanto  a  fiaminga  abbiamo 
fìdmewja.  Le  voci  lingua,  stringa  potrebbero  benissimo  essere  un 
imprestito  letterario;  stringa,  anzi,  poteva  tanto  piìi  insinuarsi 
che  c'era  stringer  da  strenier. 

71^'^.  In  quarto  luogo,  anche  o  si  chiude  solo  davanti  a 
palatale. 

Abbiamo  infatti:  uni  ^^S^^  all'aia  sugna,  munì  munge.  Imìia 
'lombo  di  maiale',  Flech.,  Arch.  Glott.,  II  361,  Salv.,  Rend.  d. 
R.  I.  L.,  s.  2^,  v.  XL,  p.  1055,  unga  unghia  K 

72.  Pili  forte  spinta  alla  metafonesi  ebbe  è  (non  ò)  dav.  a 
/.*  da  n/:  gramina  gramigna,  kolmina  '  comignolo  ',  lomb.  kol- 
mé/ìa,  Salv.  "  Post.  „,  s.  culmen,  frih  *ferrineu  detto  di 
scarti  di  mattoni,  rifiuti  di  fornace,  tì-ih  acc.  a  fren  '  orcio  di 
terra'  trigno  trigni,  sempre,  negl'inventari  del  quattrocento, 
kodrih  '  cotennoso  ',  cont.  fina  mucchio  di  paglia,  fufiha  '  in- 
ganno',  Asc,  Arch.  Glott.  Ili  90  \l']arm.iha  'rumina',  nn.  166 
e  307.  Con  è  soltanto  tena  tigna  da  considerarsi  forse,  insieme 
con  tren,  v.  sopra,  imprestito  dialettale. 

La  campagna  ha  anche,  dav.  a  h  da  gn,  sin  di  fronte  all'urb, 
seri  segno;  e  con  a  e,  prina  urb.  prena  pregna  2. 

g)  Influsso  di  r,  l. 

73.  Piccola  è  l'influenza  delle  liquide  sulla  tonica  in  sillaba 
aperta;  grandissima,  in  posizione. 

Per  e  (da  e,  1)  in  i  in  sillaba  aperta  dav.  a  r  son  da  citare 
anche  qui  zìra  cera,  èira  cerea,  Asc,  Arch.  Glott.,  IV  119  e 


*  Così  anche  nel  dialetto  d'  "  Oltr'Enza  ,  Piaok.,  n.  25,  p.  82  ;  nel  pai- 
migiano  invece  ó,  id..  n.  25,  p.  29. 

^  Il  parmigiano  e,  a  quel  che  pare,  anche  il  dialetto  d'  *  Oltr'Enza  „ 
vanno  più  oltre  nella  metafonesi,  Piagn.,  n.  19,  pp.  28  e  81. 


Studi  sui  (liiilotti  ri'^'i^iiini  73 

seg.  nota,  che  potrebbero  però  aver  l'i  per  intiusso  della  palatale 
precedente  n.  89,  slra  sera.  D'Ov.,  Ardi.  Glott.,  IX  03,  v.  però 
anche  S.vi.v..  .lahresh.  I  122,  e  plr  poro  -i  piri  contratto  di  mez- 
zadria del  1496  (moden.  pi>\  regg.  peir,  parm.  per,  boi.  pdir, 
romagn.  pera  Mussafia  n.  30),  esempi  senza  dubbio  importanti 
gli  ultimi  due,  ma  pur  sempre  sporadici  —  forse  resti  di  fase 
anteriore  —  di  fronte  ai  numerosi  -er  =  -ere,  ecc.,  n.  35. 

Quando  al  suono  di  f  da  a  dav.  a  ;•,  v.  n.  7,4:  -(ì' —  -are 
[kantè'r,  lodp'r,  ecc.),  spèra  *exparat  'risparmia'  e  'disimpara'. 

74.  In  posizione  dav.  a  r,  /  +  cons.  abbiamo  il  trattamento 
di  sillaba  libera  per  a,  e.  i,  «?,  u  nei  parossitoni  o  già  tali  ; 
e,  n  danno  vocale  aperta  e  lunga,  che  viene  a  coincidere  per  P 
eoi  riflessi  di  a\^,  e  per  o  con  quelli  di  ó^.  —  Nei  già  proparos- 
sitoni  gli  esiti  di  a,  è,  o  coincidono  con  quelli  dei  parossitoni  ; 
ma  e,  0,  i,  Il  mantengono  gli  esiti  di  sillaba  chiusa  davanti 
a   r,  l  -|-  esplosiva  o  fricativa  sonora  ^ . 

75.  A.  Cfr.  Mever-L.,  "  Gr.  d.  ling.  rom.  „,  I,  §  2.57:  sherpa 
scarpa,  sjèrpa  sciarpa,  bfrba  barba,  pèrt  parte,  nifrs  !  '  via  ',  tèrd 
tardi,  ììièrk  'romano'  (della  stadera)  cfr.  Salv.,  Arch.  Glott.,  XVI 
456,  skers  scarso,  èrs  arso,  nifrz  marcio,  erma  arma,  indfren, 
ScHUCHARDT,  Zs.  f.  r.  Ph..  XXXI  719  (nella  frase  stPr  indfren 
'  star  senza  far  nulla  ') :  —  mniir  martire,  èr^^en  argine,  infrinol 
m  a  r  m  0  r  e. 

èlba  alba,  jH'^pf^  palpa,  félpa  talpa  (in  senso  metaforico)  cfr. 
n.  141,  arbfita  ribalta,  métta  malta,  sèlt  salto,  keld  caldo,  kvelk 
qualche,  mHva  malva,  sfivja  salvia,  èlbi  '  trogolo  '  albio  negli 
antich.i  inventari  alveu,  féls  falso,  kflz  calcio,  deskèlza  avv.  'a 
piedi  scalzi  ',  prima  palma  2. 


'  Per  indizi    di    antica    dittongazione  da  a,  è,  ò  davanti  ad  r,  l,  si  veda 
GoiD.,  Orig.  d.  ditt.  rom.,  p.  201. 

'  Parecchie  di    queste  voci,  come  tilpa,   mPrtir  e  altre  (e  non  solo  con   a 


74  Malagòli, 

76.  E  :  èrba  erba,  pèrd  perde,  vèrs  verso,  fvèrs  '  smisurato  ' 
inveren  inverno,  vèrom  verme  ;  —  pèrdga  pertica,  pérseg  '  pesca  ' 
persica  Lib.  statut.   p.  27,  fèria  'gruccia'  ferula. 

spèlta,  fvèlt  svelto  e  forse  fgèlf  '  furbo  ',  n.  210. 

77.  I,   E:  verd  verde,  zèrha  cerca,  verga,  zerc  cerchio,  veria; 

—  cerga  chierica. 

felter  feltro,  pèlter  peltro  ;  —  melga  melicam  Lib.  statut.  p.  21, 
PiAGN.  p.  53,  felfa  fi  li  ce  Kort.^  3756.  —  Notevoli  cont.  stlrp 
sterpo  stirpe  e  cont.  sk'dfer  accanto  a  urb.  skUter  scheletro  ^. 

78.  I:  filza.  Dall'italiano:  firma,  cirka,  Irma  e  forse  anche 
milza,  smllz  smilzo. 

79.  0  :  pdrteg  portico,  —  fdrbis  forbici,  kvatqrdes  quattor- 
dici. Cfr.  n.  43. 

/volger  '  dipanare  '. 

80.  0,  U:    kart  corte,  fórma;  —  soreg  sor  ice. 

torta  bori  partic.  di  bwtr  (su  morir:  mori?)  '  levar  la  lepre  ' 
cfr.  Jahresb.  VII  I  138,  sord  sordo,  ggreg  gorgo,  góren  giorno  ; 

—  to'rtora. 

volp  volpe,  kglpa,  skolta  ascolta,  kóltra  (femm.)  coltello  del- 
l'aratro, bjglk  bifolco,  sepolker  sepolcro,  dòlz  dolce,  pois  polso, 
kóltim  colmo;  —  sòlfer  siilphure^;  ma  polver  polvere,  folga 
fulica.  E  qui    venga   spolt   nel   nesso   moj  spolt  'bagnato  fra- 


V.  nn.  segg.)  sono  evidentemente  d'origine  letteraria,  dialettizzate.  La  ten- 
denza all'adattamento  dialettale  delle  vocali  in  queste  condizioni  è  supe- 
riore forse  che  in  sillaba  libera. 

*  Il  PiAGN.,  n.  52,  considera  parm.  stirp  sostantivo  deverbale  da  stirpar; 
egli  registra  pure  schìlter  e  schèlter  n.  19,  ma  non  ne  dà  spiegazione: 
forse  dai  plurali  metafonetici  ?  o  per  skllter  si  deve  pensare  all'influsso  di 
qualche  altra  voce  ? 

'  Notò  già  lo  stesso  riflesso  di  lì  dav.  a  l,  r  compi,  nel  parmigiano  il 
Rkstori,  Literaturbl.  f.  germ.  u.  rom.  Ph.,  1893.  pp.  215-217,  n.  17.  Ora 
V.  PiAGN.,  nn.  6,  15,  26,  36.  44,  52,  60. 


Studi  sui  dialetti   re^'sri'Ani  75 

dicio  ',  che  per  il  colore  dell'o  e  per  il  significato  non  si  connette 
col  singolare  participio  toscano  spalto  '  spogliato  ',  intorno  al 
quale  v.  Fanf.,  "  Uso  tose.  ,  s.  v.,  Salv.,  S.  d.  fil.  rom.,  VII  214. 

81.  U:  Voci  dotte  o  semidotte  prese,  nella  maggior  parte, 
dall'italiano:  Rrt  urto,  tùrk,  pRrga;  —  cer/7/VA-  chirurgicu. 

ùltini  ultimo,  pilipit  ;  ma  pulya  *pril[i|ca. 

81'''^.  Le  vocali  toniche  dei  proparossitoni  hanno  di  regola, 
come  si  disse  (n.  46),  il  ti-attamento  di  posizione  ;  però  dove 
l'ultima  consonante  della  parola  era  vibrante  o  nasale,  si  è 
determinata  nella  tonica  un'evoluzione  che  ha  parecchi  punti 
di  contatto  col  trattamento  di  r,  l  complicato  ;  cioè  a  si  tra- 
sformò in  è  ;  è  y,  ò  iì  diedero  rispettivamente  e,  <}  ;  non  soffrirono 
mutamento  e,  ò  ;  e  nemmeno,  a  quel  che  pare.  J,  fi. 

Esempi,  A  :  persvèder  '  persuadere  ',  sPgma  sagoma,  djPvol  dia- 
volo, tevla  tavola,  me  fra  macerat  con  cui  va  mèfer  'macera- 
toio '  e  anche  aggiunto  di  alcune  frutte,  come  mele  e  pere, 
sfarinate,  mPfna  macina,  spr/om  spasimo,  pfeìi  asino  ;  —  iPgerma 
lacrima. 

E  I:  pn-er  pepe,  rjiever  ginepro,  pegla  pTcula,  petegla  pet- 
tegola forse  semidotto  cfr.  n.  164  e,  lefna  lesina,  Steven  Stevna 
Stefano  -a. 

0  U:  iQcen  giovane,  kogma  cu  cu  ma,  orel  orlo. 
Per  è,  0,  l,  f/,  ricordiamo  lever,  fodra,  tridla,  nuvol  e  le  altre 
voci  citate  nei  nn.  48,  49,  50  e  52. 

h)  Influsso  di  palatali. 
1.  Palatali  che  seguonrj  la  tonica. 

82.  Già  si  disse  dell'influsso  di  n,  parlando  delle  nasali  nn.  70 
e  72.  Qui  tratteremo  dell'influenza  dei  suoni  palatizzati  W  sL 
Essi  si  semplificarono  con  la  prevalenza  del  primo  elemento,  di- 


76  Malaj?òli, 

ventando  rispettivamente  r,  s  ^  ;  da  ciò  segue  che  davanti  a  ?-/^ 
.§/  si  riscontra  sempre  il  trattamento  di  sillaba  libera  : 

83.  A.  Dav.  a  n:  per  *pariu,  rra  aia,  -cr  =-ariu  {stér  sta- 
riti in  Lib.  statut.,  p.  21,  stcuri  Invent.  del  15  ottobre  1493, 
'  staio  '  sextariu,  kanpané'r  campanaio,  forner  fornaio,  noder 
nodaro  Testam.  del  1593  notaio,  pkèr  beccaio,  ecc..  coi  fem- 
minili kanpanPra,  f ornerà,  ecc.;  pàsra  kanèra  passero  che  sta 
fra  le  canne  delle  paludi;  :^wfr  gennaio, /eri-f'/- febbraio;  f/wyfra 
*ducaria  '  fogna  '). 

Dav.  a  s/:  èf/basiu,  èrf/a  bragia  germ.  *è/v/s2rt  Meyer-L., 
"  Gr.  ital.  „,  trad.,  p.  123,  v.  però  Zaccaria,  Op,  cit.,  s.  brace, 
ré  fa  *rasia. 

84.  E,  E,  I:  -e:  -g/-  =  -èriu  [meste  r  mestiere,  kalme'r  c(d- 
nierium  Lib.  statut.  p.  20,  '  calmiere  ',  Zambaldi,  "  Voc.  etim, 
it.  ;;,  p.  184  C,  ecc.);  —  zrefa  *cerèsia,  Parodi,  St.  it.  d.  fil. 
class.,  I  397. 

è:  kanfe'r  canthériu  'trave'  Salv.,  Misceli. -Asc,  92,  Pa- 
rodi, "  Dial.  tabbiese  „,  58,  fera  feria;  —  ce/a  chiesa,  Schu- 
CHARDT,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXV  344. 

t:  véra  'ghiera'  viri  a. 

85.  I:  kamlfa  *camTsia,  zernif  {^Xnv.)  acc.  a  regg.  e  moden. 
zernifa  (sing.)  'cinigia'  *cinisia  Meyer-L.,  "  Gr.it.  „,  trad., 
p.  123,  V.  qui  anche  n.  164. 

86.  0  :  mòr  muoio. 

87.  0:  -c?or  — -ter iu  [koridor  corridoio,  stertó'r  strettoio, 
dormidor  '  tempia  ',  ecc.)  ^. 


^  Cfr.  RoussKLOT,  Op.  cit.,  pp.  616-617.  Il  Piagn  ,  nn.  123,  126,  ammetteva 
un'introflessione  dell'i;  ma  come  spiegare  con  tale  ipotesi  la  semplificazione, 
in  protonica?  *Variolu,  *phasiolu,  venuti  a  *vairolu,  *phaÌ8olu, 
avrebbero  dato  vird'ì,  fifò'l  n.  185. 

^  Un  esempio  di  u  dav.  a  r(  si   ha    nel    moden.  bur  buio,  Flech.,  Arch. 


studi  sui  dialetti  reggiani  77 

88.  Vanno  poi  ricordati:  l)  j  da  li^,  che  ha  sempre  davanti 
a  sé  i  per  e,  come  già  dicemmo  della  nasale  palatale  /'/,  n.  72 
—  metafonesi  propria  anche  del  fiorentino  —  e  o  in  cambio  di  o; 
2)  e  da  ci,  che,  parallelamente  a  ciò  che  produce  nel  toscano 
ki,  apre  e  allunga  o  da  h  in  ò: 

1)  f  ^  U:  rnij  miglio  mìlium,  zij  ciglia,  cont.  faìnija  acc. 
a  urb.  faììiia  n.  290  nota,  ^i/a  tilia  'filamento  di  stoppa'. 

6-\-U\  voja  voglia,  foja  foglia,  doja  doglia,  loj  loglio,  ìuoj 
molle  ; 

2)  u  -'-  ci:  inoc  genuc[u]lu  ginocchio,  fnoc  fenuc[u]lu, 
skonio'c  *ex-cornuc[u]lu  parte  superiore  e  sporgente  delle 
gambe  davanti  della  seggiola,  cfr.  regg.  cornòcc  corno. 

Come  noi  toscano,  quest'esito  si  ha  pure  quando  il  nesso  ci 
è  preceduto  da  r:  nwrca  morchia. 

2.  Palatali  che  precedono  la  tonica. 

89.  Alla  consonante  palatale  che  precede  la  tonica  si  deve 
il  cambiamento  di  e  in  i: 

é:  poi  '  pieno  '  acc.  a  pjin  che  vive  ancora  come  sostantivo 
'  ripieno  '  ;  saraflna  '  saracinesca,  cateratta  ',  sarafin  detto  di 
ragazzo  che  non  sa  star  fermo  'irrequieto'  saracènu,  cfr. 
Salv.,  Boll.  d.  soc.  pav,  di  st.  patr.,  TI  208  \  fin  piccola  mo- 
neta —  voce  antiq.  usata  solo  da  qualcuno  nella  frase  un  fin 
brufp'  india  lum  che  significa  '  di  nessun  valore  '  —  sesino  Lib. 
statut.,  p.  234,  sexènu,  Salv.  Rend.  d.  R.  I.  L..  S.  Il,  XXXV 
961,  dove  potrebbe  vedersi  tuttavia,  come  anche  nei  due  esempi 
precedenti,  uno  sca;nbio  di  suffisso;    zh^a    e    eira,  n.  73;    injur 


Glott.,  II,  329  e  sgg.  Il    VockIj.  rci/i/.  non  registra  questa  voce;  a  Novellara 
-si  usa  in  sua  voce  òrba  e  orberà  che  ••^i    ricollegano   a  órbu. 
'   Ora  V.  anche  Piaon..   n.  -54. 


78  Malagòli, 

implere,  tnìr  tenere,  lufir  lucere,  se  non  si  tratta  di  pas- 
saggio di  coniugazione,  v.  però  Salv.,  loc.  cit.,  n.  4  e  note  10 
e  11  ; 

X  :  zif  ceco,  cont.  zìv  cibo  ;  cont.  majister  urb.  maister  maestro, 
falistra  <  */a^i^s^^'f«  <  *falll[v]  istra  ,  v.  però  Flech.,  Arch. 
Glott.,  II  341,  hint  niente,  cont.  slsta  cesta.  Per  pìga  n.  114. 

Qui  aggiungasi  anche  In  da  ì-n  -|-  cons.  in  pazmzja  pazienza, 
kohslnzja  coscienza  (semidotte),  cont.  yinta  acc.  a  urb.  gmt  n.  69. 

E  vengano  inoltre  skìna  se  non  è  da  una  base  con  i,  Kort.^ 
8783,  vln  Un  II  n.  67^;  —  zirol  cephalu  Salv.,  "  Nuove 
postille  „.  . 

i)  Influsso  di  labiali. 

90.  Dell'influsso  di  m  sulla  tonica  precedente  si  è  parlato 
nelle  nasali,  nn.  67,  70  h. 

B  apre  o  in  ó:  «(^ó'è  addobbo,  ^/  Katybi  II  Carrobbio,  n.  di 
un  fondo,  *quadruvin,  gdb  gobbo.  Per  i  letterari  Gob  Giobbe, 
otobej-  ottobre,  v.  n.  188,4- 

91.  Esempi  del  fenomeno  u  +  labiale  =  i,  Meyer-L.,  "  It.  Gr.  „, 
§  78,  sarebbero  qui  trifola  —  più  probabilmente  forse  impre- 
stito lombardo  —  acc.  a  trantufla  delle  ville  I  e  II,  regg.  tar- 
tufla,  e  scifol  '  zufolo  e  fischio  ',  il  quale  però,  oltreché  potreb- 
b'essere  per  il  vocalismo  da  una  base  con  i  (sibilare,  si  fi- 
lar e),  fa  pensare  per  il  consonantismo  a  una  contaminazione 
cnn  fise  fischio  ;  per  contro,  sempre  nu volai 

92.  Fra  le  due  labiali  abbiamo   anche   noi  f'jbja  —   che  po- 


^  Vth  tlh  sarebbero  quindi  spie  del  precedente  dittongo  ie  da  e,  se  pure 
non  si  spiegano  per  effetto  di  fonetica  sintattica  dav.  a  consonante.  Che 
tlH  tiene,  potesse  spiegarsi  come  pin  pieno,  aveva  già  supposto  il  Piagn. 
per  il  dial.  d'Oltr'Enza,  n.  19,  p.  27.  A  fenomeni  analogici  penserebbe  il 
Salv.,  Jahresb.  IX,  I  115. 


studi  sui  dialetti  reggiani  79 

trebbe  pure  derivare  da  *fubila  <  fibula  come  stopja  da  stu- 
pila<  stipula  —  acc,  al  seriore  e  letterario  fibja  proprio 
solo  dell'interno,  dove  però  resta  fuhja  nel  significato  di  '  per- 
cossa ',  cfr.  f velia  n.   182. 

93.  Dopo  labiale  abbiamo  il  diffusissimo  mo  per  ma,  forma 
quest'ultima  assai  rara  e  d'origine  letteraria.  Oltre  alla  pro- 
olisi, Meyer-L.,  "  It.  Gr.  „,  >;  76,  può  forse  aver  influito  su  di 
esso  la  contaminazione  con  mo  da  modo  n.  57,  che  ha  non 
di  raro  significato  leggermente  avversativo   come   l'ital.  '  ora  '. 

94.  Qui  vanno  ricordati  anche  musfra  e  miister  della  cam- 
pagna di  fronte  a  mostra  e  moster  dell'interno,  tose,  mostra, 
mostro,  luccb.  mastra  Nieri,  p.  265,  e  munger  pure  contadinesca 
acc.  a  moììger  più  comune  nell'interno  '  birichino  ',  forse  eufe- 
mismo per  moster  o  contaminazione  di  moster  con  zhìger.  Comuni 
al  paese  e  alla  campagna  sono  muk  (agg.)  detto  di  coltello  spun- 
tato, lomb.  mok  Salv.,  Arch.  Glott.,  XVI  457,  muka  '  stufa  \ 
significato  metaforico  di  *  mucca  ',  vacca,  che  riscalda  Salv., 
ib.,  pumol  '  pomo  del  bastone  ',  busol  bossolo  parm.  bìisel,  Piagn.^ 
n.  30,  arvTilt  rivolto  e  skaravalt  garf.  scaravoUo  Nieri,  Voc. 
luccb.,  Arch.  Glott.,  XVI  467  K 

l)    MeTAFONESI    per    i   FINALE    ATONO    E    PER    -i    IN    IATO. 

95.  Tracce  di  metafonesi  ci  offrono  le  seguenti  voci,  in  cui 
f,  X  (non  e)  ed  ò,  a  (non  ó)  tonici  si  trasformarono  rispettiva- 
mente in  7  e  R  in  sillaba   aperta   e   in  i  e  u  in  sillaba   chiusa 


'  Il  Salv.,  Arch.  Glott.,  XVI,  457,  s.  mustrare  spiega  l'w  di  mustra,  ch& 
si  riscontra  non  solo  nel  lucchese,  ma  anche  in  molti  altri  dialetti,  dalle 
arizotoniche.  Una  uguale  spiegazione  egli  dà  dell'u  di  mucca.  Resta  però 
sempre  a  vedere  come  si  oscuri  o  in  u  in  protonica,  in  quelle  parlate, 
come  la  nostra,  che  hanno  tale  mutamento  solo  in  determinate  condi- 
zìobì,  n.  167. 


80  Malagòli, 

per  influenza  di  i  atono  finale,  caduto  dopo  aver  esercitato  la 
sua  azione  : 

è:  tri  tres  (masch.)  <*trei,  n.  60  ^  -i  -—  etis  {tufi  tacete, 
parf  parete,  ecc.),  Salv.  "  Fon.  Mil.  „,  p.  88,  Meyer-L.,  "  It, 
Gr.  „,  nn.  68  e  392  K 

ì:  di  digiti  che  attrasse  anche  il  singolare,  uguale  per  noi 
al  plurale;  ti  da  tibi  <*tei<*ti,  n.  60. 

In  posizione  :  kvist  questi,  knj  quelli  acc.  a  kvest,  kvej  ana- 
logici sul  sing.  0  semiletterari.  Kavì'  capelli,  esteso  per  ana- 
logia anche  al  singolare  come  c?7,  presenta  la  fusione  di  y  in  i^ 
—  cfr.  0  da  *oj  n.  150  —  che  non  si  ha  in  kvrj,  dove  la 
mancata  contrazione  si  spiega  forse  per  nessi  sintattici  come 
kvij  +  vocale.  Dav.  a  nt,  vìnt  venti,   secondo  il  n.  72  *. 

o:  vii  voi  da  vos  <  roi  <  */'*/,  n.  61. 

ii:  dù  'due'  da  *dui  dui  Carte  del  sec.  XY;  fu  fui  <*/"«< 
n.  61,  In,  lat.  volg.  il]lui<*/u,  ib. 

In  posizione,  cont.  htst  questi  kuj  quelli,  fus  '  fosti  e  fossi  ' 
se  non  è  analogico  su  fu. 

Td  e  si)  '  tuoi  e  suoi  '  non  andarono  soggetti  al  mutamento 
di  0  in  u  perché  derivati  da  un  g  aperto  di  latino  volgare, 
V.  sopra  e  cfr.  n.  61. 


'  Così  anche  con  qualche  riserva  il  Bertoni,  Dial.  di  Mod.,  n.  61,  per  il 
moden.  tri.  Il  Piagn.,  n.  18,  invece  per  il  parm.  tri  pensava  a  trì'a  ;  ma 
non  si  spiegherebbe  in  questo  modo  la  vocale  lunga  del  nostro  dialetto. 

"  Il  Polle,  Appennino  mod.,  p.  722,  si  dice  incerto  se  si  tratti  di  analogia 
sulla  4"  coniug.  o  di  influenza  di  desinenza  caduta. 

^  Il  Piagn.,  n.  19,  vedeva  nel  parm.  cavi,  cav'd  lo  scambio  di  -ilis  per 
-ìllus;  in  tal  caso  noi  avremmo  kai'ij  come  sul^j  sottili,  ecc. 

*  V.  però  ora  Jud,  Die  Zehnerzahlen  in  dea  rom.  Spr.,  Halle,  Niemeyer, 
1905,  che  ricondurrebbe  non  solo  le  forme  italiane  settentrionali,  ma  tutte 
le  romanze  in  genere,  a  un  lat.  volg.  vinti.  Poco  chiaro  ed  esatto  è  il  Juu, 
dove  parla  delle  forme  dial.  bologn.  e  romagn.,  p.  24. 


Studi  sui  dialetti  reufgiani  81 

96.  Esempi  di  metafonesi  per  -i  in  iato  possono  essere  : 
vindlin  vendemmio,  ancora  generale  in  tutta  la  campagna  ^; 
kùiìza  concia,  Salv.,  Rend.  d.  R.  I.  L.  s.  II.  XXXV  961,  kuc  spin- 
tone, kiibi  'covo',  kabja  'coppia'  e  plurale  kuhi  {andè'r  a  kubi  = 
andar  uniti,  a  mucchi),  skufja  cuffia,  kmzi  '  cruccio,  pena  ', 
nìuc  mucchio,  sfriic  '  stocchi  '  resti  della  pianta  del  granturco, 
bue  colpo  di  boccia  per  cacciar  la  palla  dell'avversario.  La  maggior 
parte  di  queste  voci  però  possono  anche  spiegarsi  in  altro  modo, 
v.  nn.   131,   132,   136,  137. 

Per  giica  v.  n.  45  nota. 

Qgbis  Pi-obabilmente  importato  il  raro  armìrta  del  ringrazia- 
mento di  qualche  mendicante  [Al  S/ìòr  l'armlrta!  ■=  Il  Signore 
la  rimeriti!),  per  cui  v.  Mussafia,  "  Darst,  d.  romagn.  Mund.  „, 
nn.  259-260,  Asc,  Arch.  Glott.,  II,  401. 


Casi  particolari  in  cui  non  si  riscontrano  applicati 
i  principi  evolutivi  fonetici  del  vocalismo  tonico. 


97.  Analogie  morfologiche,  a)  In  forme  verbali:  -abam 
della  1^  coniug.  si  fuse  con  -ebam  della  2*  {kantèva,  lodeva,  ecc.); 

-amus,  nello  stesso  modo,  si  fuse  con  imus  fatto  parossi- 
tono  {karitém,  lodém,  ecc.)  oppure  si  foggiò  su  seni  '  siamo  '  da 
*simus,  n.  70  6.  Nelle  varietà  campagnuole  abbiamo  -otn  {kantóni, 
lodóm,ecG.),  sopra  som  sumus,  ib.  ;  -ante-  del  part.  pres.  entrò 
nell'analogia  di  -ente-  e  assunse  significato  di  aggettivo  {san- 


'  Manca  nel  nostro  dialetto  il  nome  corrispondente  all'ital.  '  vendemmia  ': 
■  usato  solo  il  verbo.  —  Il  Piagn.,  n.  116,  a  cui  inmasero  ignote  le  forme 
a  tema  accentato  di  tihjms'r  nell'Oltr'Enza,  credeva  che    fossero    evitate  : 
fra  noi  sono  vivissime. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  6 


82  Malagòli, 

gl'ine  nt  ^,  skotent  '  brucente  ',  taklent  'attaccaticcio',  })lént  '  mor- 
dace '  hrazeiit  bracciante  hracenti  (plur.)  Lib.  statut.,  p.  31,  ecc., 
ÌYSixmQ  kantaiìt,  andànt  '  alla  buona  '  detto  di  roba,  ranpant  'ramo 
di  scale  '  e  alcuni  altri  di  formazione  recente)  cfr.  Meyer-L., 
"  It.  Gr.  „,  §  553,  Parodi,  Rom.  XVIII  592;  -andò,  ugualmente, 
suona  nella  campagna  -end  [trovénd,  sudénd,  ecc.). 

Vàg  vado,  stag  sto,  dag  do,  trag  'mando,  scaglio,  e  sim.'  si 
modellarono  su  fàg  faccio,  che  a  sua  volta  ebbe  il  -g  da  dig 
dico,  V.  n.  317,  cfr.  Asc,  Arch.  Glott.,  I  81,  nota  2,  Piagn., 
n.  9.  Su  queste  voci  si  veda,  ora,  anche  Salv.,  Jahresb.  IX, 
I  114. 

98.  3)  In  forme  nominali  :  -ariu  venne  a  -eriu,  Asc,  Arch, 
Glott.  XIII  463,  Thomas,  "  Nouveaux  essais  de  pliil.  fran9.  „, 
Paris,  1905,  p.  119  e  sgg.:  tolé'r  'madia'  tolero  da  pati  Invent. 
1492,  ta[b]ulariu,  kaldéra  CRÌàaìa,  bugadera  lavandaia  ^,  ecc., 
che  altri  però  spiega  in  maniera  differente;  cfr.  anche  Pieri, 
Arch.  Glott.  XV  182,  nota  3. 

99.  Contaminazioni  :  Grev  '  pesante  ',  cfr.  lucch.  greve,  Nieri, 
Yocabol.,  262,  è  dal  lat.  volg.  *greve  su  lève'^.  —  Élza 
alza,  èlt  alto  (regg,  èlt)  hanno  e  per  è  forse  dalle  forme  rizo- 
toniche del  V.  alvè'r  '  levare  in  alto  '  {leva  'alza  ',  lev  'alzo', ecc.), 
se  non  sono  piuttosto  da  *érctus  che  darebbe  normalmente  da 
noi  e  ^.  —  E  per  a  nella  locuzione  spendr ^akva  '  orinare  '  sarà 


'  Questa  voce  che  è  propria  anche  dell'it.  {sanguinente)  e  che  può  deri- 
vare da  sanguifnojlentu,  Meyer-L.,  Gr.  it.,  trad.,  p.  131,  fa  pensare  alla  con- 
correnza, da  altri  già  supposta,  del  suffisso  -entu-  nella  trasformazione, 
Salv.,  Fon.  Mil.,  p.  49. 

'  Ma  normalmente  bugadera  'luogo  dove  si  fa  il  bucato',  come  aìnéra 
legnaia  e  sim.,  nn.  83,  84. 

^  Per  la  voce  lev  che  vive  nel  nostro  dialetto  e  ci  offre  la  riduzione  nor- 
male di   lève  '  leggei'O ',  v.  n.  85. 

*  V.  però  ora  Salvio.m,  sul  lucch.  èlio,  Arch.  Glott.,  XVI,  441. 


Stuili  sui  dialetti  reggiani  83 

dovuto  a  una  contaminazione  di  spander  col  comunissimo  spender. 
—  Quanto  a  slepa  che  pur  vive  da  noi  accanto  a  scàf,  v.  Salv,, 
"  Fon.  mil.  ,,  p.  52.  —  Il  cont.  nfida  acc.  all'urb.  tióda,  che  si  col- 
lega coll'ital.  'nuota'  natat.  potiebbe  spiegarsi  con  un'immi- 
stione di  ;jr/f/ nudo,  se  non  è  dalle  arizotoniche,  che  non  sarebbe 
fuor  del  probabile  per  la  campagna,  n.  167.  —  Per  pjgla  '  pialla  ', 
V.  Mkyer-L..  "  It.  Gr.  ,,  p.  35  i,  e  per  mòiìk  monco,  D'Ovidio, 
Grnndr.-',  I  049. 

100.  Xroformazioni  :  Z/v/rt,  n.  84,  aléger  *aldcru,  Par.,  St. 
it.  di  HI.  class..  I  395. 

101.  I'ahole  DOTTE,  semidotti-:  e  importate,  a)  Parole  non  as- 
similate, se  non  per  la  caduta  della  vocal  finale  che  non  sia  a 
e  per  lo  scempiamente  delle  conson.  doppie:  ftbit,  Afrika,  drja, 
avdr,  -àbil  {afàbH,  ainàhil,  ecc.),  -tlfjin  [stujndàgin,  inmàgin,  ecc.), 
-flW  =  -ariu  {armari  armadio,  seminàri,  lunàri,  somari-,  inven- 
tàri, iftprejàri,  segretàri,  veterinàri,  kalamàri,  sardlàri  'salaccaio'. 
altari.  Ilari,  ecc.).  akad  accade  con  l'inf.  akàder,  bada  (nella 
frase:  t/iìr  a  bada  =  tener  a  hada),  n.  34^,  bàver,  beat;  kala,  sep- 
pure non  debba  ammettersi  un  raddoppiamento  dell'/,  cfr.  Piagn., 
n.  9  (e  COSI  dicasi  di  regùl,  stivai,  e  per  r  di  bara,  magari,  tara); 
kiitedra.  kàp  (in  alcune  frasi,  come  al  kap  ed  M  =  il  capo  della 
famiglia,  al  kàp  di  leder  —  il  capo  dei  ladri;  torner  da  kàp  ==  ri- 
cominciare, ma  arivè'r  g  ed  ko  —  arrivarci  in  fondo,  n.  142),  làber^ 


'  Non  ci  persuade  il  Piaon.,  n.  63,  che  propone  i)lanula  *plaula:  Vn 
intervocalico  non  cade  nei  nostri  dialetti.  Vedasi  per  questa  voce  anche 
.Salv.,  //  'Hai.  di  Poschiaro,  in  Rend.  d.  R.  Lst.  Lomb.  di  Se.  e  Lett.,  S.  Il, 
V,].  XXXI X,  p.  483. 

■  SoiHf-'y,  in  riin;i  iRan((,  n.  9),  è  un  reggianismo,  Introd.,  §  4. 

^  Il  Mkvek-L  ,  //.  Or  .  pp.  18  e  137,  fondandosi  sul  romagn.  lahar,  am- 
metterebbe nei  dialetti  emiliani  il  fenomeno  -br-  in  -bbr-;  a  ciò  contrad- 
dicono tra  noi  féver,    romagn.  févar  febbre,   fervè'r    febbraio,   Fàvreij  Fab- 


84  Malagòli, 

labbro,  lapis,  màkina,  màgik,  Mag  {I  Re-),  mirakol,  pagina,  rata, 
saker,  skad  con  l'inf.  skader.  stnlt  s  tra  tu  (drappo  nero  disteso 
sulla  bara),  tedter,  tràpan. 

102.  P)  Parole  che  subirono  una  maggiore  trasformazione  per 
il  vocalismo  atono  e  per  il  consonantismo,  ma  conservarono 
inalterata  la  vocale  tonica:  kaliz  calice,  garahàtli  carabattole, 
Arch.  Glott.,  XIV  361,  ràkoli  pi.  femm.  '  ciance  di  persona  che 
non  sa  o  non  vuol  risolversi  '  ^  sabla  sciabola,  /bar  '  sparo  ', 
Salv.,  Jahresb.  1  125,  saraf  '  compagno,  compare  '  se  connessa 
con  Serafico,  Galv.,  *  Gloss.  mod,  „,  402,  Ungarelli,  Vocab.  bo- 
lognese, s.  V.  2. 

103.  Entrano  nella  prima  delle  due  categorie  suddette  o 
nella  seguente  (n.  104)  i  riflessi  di  -aticu  con  -^:  lunatik, 
fanatik,    afmatik,   stomatik,    baljatik.    Per  lumàteg,    ved.  n.  251. 

104.  t)  Importati  da  altri  dialetti,  e  alcuni  dalla  lingua  let- 
teraria, possono  essere  i  seguenti  nomi  di  piante  :  kavol,  frùrol 
(masch.)  '  fragola  ',  insalata,  papaver.  Comune  con  altri  dialetti 
Saba  '  vin  cotto'  sapa. 

105.  Un  piccolo  problema  è  nadra  (femm.)  '  ànatra  ',   nader 


brico  n.  47,  cfr.  n.  280.  Anche  il  Piagk.,  n.  9,  spiegava  parm.  laher  da 
una  base  con  doppia  b  ;  ma  non  citava  poi  questa  voce  come  eccezione 
a  br<^vr,  n.  114.  Per  questo  e  per  altri  consimili  nessi  di  muta -\- r  ora, 
il  Merlo,  Meni.  d.  R.  Acc.  d.  se.  d.  Tor.,  S.  II,  t.  LVllI,  p.  168,  suppone  che 
*  si  tratti  di  due  diverse  pronunzie:  labru  e  labbra,  nate  in  diver.^a 
età  0  particolari  di  diverse  classi  sociali  „. 

*  Insostenibile  l'etimo  rescula,  Ferraro,  p.  16,  per  la  corrispondente 
voce  regg.  ràkel.  Forse  è  da  o]racula,  se  pure  non  è  connesso  con  gra- 
cula. V.  anche  Arch.  Glott.,  XVI,  319,  s.  raccola. 

*  Sotto  la  voce  sarafèr  '  blandire  ',  non  usata  da  noi,  il  Galv.  registra 
anche  sarafadór  e  saì-afén  che  noi,  ora  almeno,  non  abbiamo  :  forse  da 
*sarafin,  ritenuto  diminutivo,  fu  tratto  sar&'f,  ammessa  l'ingegnosa  spiega- 
zione storica  di  queste  voci  data  dal  Galvani. 


studi  sui  dialetti  reggiani  85 

(masch.).  La  stessa  forma  trovasi  nel  reggiano  ^  nel  modenese 
e  nel  parmigiano;  e  vi  corrisponde  am'idra  bologn.  e  romagn. 
Forse  può  considerarsi  voce  semiletteraria,  e  il  trasporto  del- 
l'accento sarà  dovuto  al  nesso  consonantico  dell'ultima  sillaba, 
Muss.,   "  Rom.  Mund.  „,  n.  4,    nota,  Meyer-L.,   "  Gr.  d.  1.  r.  „, 

I,  §  594  ;  oppare  la  forma  nader  fu  ricavata  dall'alterato  nadiyt 
0  sim. 

106.  Probabilmente  non  indigeno  brtcjol  '  passaggio  abusivo  ' 
insieme  col  v.  baglp'r  '  andare  abusivamente  dove  non  sia  strada 
recando  danno',  che  può  riconnettersi  con  bagu  per  vagu 
Par..  Rom..  XXVII  203;  e  così  habla  e  le  altre  voci  con  a  to- 
nico del  V.  hablér  '  chiacchierare  vanamente  ',  imparentato  col 
ferr.  babaràr  che  ha  lo  stesso  significato,  e  coi  frane,  babeler, 
baboler,  babiller,  ecc.   Ivòht.^  1125. 

107.  Anormale  elber  albero,  su  cui  è  difficile  il  giudizio  per 
le  insufficienti  notizie  intorno  alla  quantità  nei  nostri  dialetti. 
Forse  si  deve  ammettere  che  dav.  a  ^  -|-  esplos.  sonora  anche 
a  soggiacesse  alla  norma  degli  altri  proparossitonì  ricordati 
nel  n.  74?  2.  —  Ugualmente  anormale  è  a  'ha'  ha[be]t,  per 
«,  54,  che  provenne  dalle  forme  composte  H'à^acù  '  ha  avuto  ' 
perla  fusione  dei  due  a;  cfr.  per  fenomeni  consimili  nel  ligure 
Par.,  Arch.  Glott.,  XVI  157. 

108.  Esempi  illusori.  —  Sono,  oltre  bey,  Flech.,  Arch.  Glott., 

II,  36-41,  sA-a^/a  scatola  per  cui  il  Salvioni  propone  ^castola, 


*  Il  guastallesrf  invece  ha  nedar  cfr.  inant.  nédar  e  nédrn  Salv.,  St.  d.  fil. 
rom.,  VII  217.  Il  bologn.  ncedra  citato  dal  Bertoni,  Dial.  Mod.  n.  7  è  con- 
tradetto dairUNGAREi.Li  che  ha  unàdra. 

*  Per  l'antichità  della  forma  con  l  nei  nostri  dialetti  v.  Bkrtoni,  Per  il 
volgare  di  Modena  del  sec.  XIV,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXIX  215  (elbore).  A  Parma 
si  ha  dlber,  iirbor  con  vocale  lunga  Piagn.  n.  6  :  è  curioso  notare  come  il 
Piagnoli  non  collocasse  questa  voce  fra  i  proparossitonì  n.  93,  dove  sarebbe 
stata  più  a  posto. 


86  Malagòli, 

lat.  medievale  castulus,  aat.  kasto,  Roni.  XXXI  289,  se  pure 
per  noi  non  è  semidotta,  e  shiz  schiaccio  [skizè'r  cfr.  Inceli . 
schicciare)  se  connesso  col  tedesco  quetschen,  Ardi.  Glott.,  IX  257, 
XIV  396,  XVI  467  K 

È. 

109.  In  vece  di  e  si  ha  e  in  ser  siero  sera,  Meyer-L.,  "  It. 
Gr.  „,  §  36;  e  in  sed  'siedo,  siedi,  siede',  per  analogia  sul- 
l'infin.  propaross.  seder,  eh.  n.  111.  Per  contro  dal  proparossi- 
tono  me  te  re  abbiamo  meder  con  e  in  posto  di  e:  riconosce- 
remo qui  l'analogia  inversa,  propria  p.  es.  del  parmigiano  Piagn., 
n.  94,  o  si  tratterà  di  un  imprestito  dialettale?  —  È  da  ricor- 
dare pure  il  semidotto  Cefer  Cesare  con  e  dav.  a/,  v.  n.  188; 
e  noto  incidentalmente  la  confusione,  avvenuta  fra  noi,  di  cefa 
con  Cefer  nel  motto  Um  barn  cefa  —  '  Mi  dico  libero,  sicuro,  ir- 
responsabile '  (ricordo  del  diritto  d'asilo),  che  in  bocca  di  alcuni 
suona   TTm  catti  Cefer. 

110.  Sera  'serra,  chiudi',  se  non  è  nato  dalla  contamin.  di 
sérat  e  *sarrat,  Meyer-L.,  "  Einf.  „,  p.  143,  sarà  analogico 
sutfra  'apri'  modellatosi  per  la  vocale  tonica  sul  part.  rèrt  aperto 
e  che,  a  sua  volta,  da  sera  avrà  preso  ì'-a  ^.   Vira  invece,  che 


'  Non  è  da  tacere  che  per  skiz  e  skiz7/r  il  nostro  dialetto  esigerebbe  una 
base  con  ì  nn.  42  e  158,  oppure  un  influsso  di  palatale  procedente  n.  89. 
E  inammissibile  una  contaminazione  di  schiacciare  e  schizzare'^  Noi  qui 
osserveremo  che  nel  n.  dial.  si  ha  skizal&kva  '  schizzetto  di  canna  che  serve 
di  giocattolo  ai  fanciulli  '  sanfratell.  schicciarnou  St.  glott.  it.  1  148  e  che 
anche  il  reggiano  conosce  schizzèr  o  scrizzèr  per  '  spillare  con  violenza  di 
liquidi  0  simili  ',  il  quale  significato  può  senza  difficoltà  collegarsi  con 
schiacciare  come  effetto  a  causa  ;  cfr.  '  schiazzata  '  per  '  zaffata  '  nel  Caro 
(Fanfani,  Voc.  it.).  —  Alla  base  con  a  è  tornato  recentemente  il  Pieri, 
Dial.  d.  Versilia,  n.  123  (Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXVIII). 

'  Secondo  il  Gorka,  Fon.  d.  dial.  di  Piacenza,  8,  e  il  Piagn.  n.  75  nota, 
s'ar  sarebbe  un  riflesso  delle  forme  a  desinenza  accentata  sar'àr  ecc.  V.  anche 
n.  164. 


studi  sui  dialetti  reggiani  87 

si  ode  acc.  a  rpra,  avrà  1'/  dall'inf.  rrlr,  e  v'influirono  fors'anclie 
tira,  (jlra  e  sim.  ^  —  ^"Jf'^  '  neo  '  *naevellu,  Flech.,  Ardi. 
Glott.,  II,  ci  verrà  dal  dial.  modenese,  dove  -ellu  dà  -f/,  se 
pure  nou  si  tratta  di  diverso  sufnsso,  —  ArrP's  reve[r]su, 
atrarp's  attraverso,  ripetono  \'P  dall'r  complicato,  n.  74,  caduto 
posteriormente.  —  Per  g  'è'  e  urb.  pe  piede,  v.  nn.  CO  e  62.  Per 
Vangeli,  cont.    Vangeli^  evangeliu,  voce  dotta,  v.  n.  188,4. 

E,   L 

111.  Al  posto  di  è  s'incontra  e  in  kred  credo,  red  veào,  ben 
blbo  per  influenza  degl'intìniti  proparossitoni  kreder,  veder, 
herer,  cfr.  sed  n.  109.  Alla  lor  volta  poi  i  presenti,  così  formati, 
poterono  forse  impedire  l'ulteriore  mutamento  di  e  in  f,  che  si 
aspetterebbe  negl'infiniti  per  la  norma  del  n.  81^^'^. 

Di  fronte  al  regolare  re.  n.  55,  troviamo  rè  esclamazione  meno 
imperiosa  che  sta  anche  da  sé  {re  è  sempre  enclitico,  come  in 
bnia  ce!)\  ma  rp  sarà  probabilmente  un'abbreviazione  di  rPrda 
per  grrrda.   n.  219,  anziché  una  continuazione  di  vide. 

112.  Dit  detto  e  inis  messo  (coi  comp.  finis,  skomis,  promis, 
arin/s,  ecc.,  donde  i  sost.  skomisa  scommessa,  armisa  rimessa,  ecc.), 
sono  analogici  sul  perf.  forte  dis  e  nùs,  cfr.  Par.,  Arch.  Glott., 
XIV'  108,  sostituito  ora  più  frequentemente  dalla  forma  debole 
dfi  e  meti .  —  Analogico  è  pure  Vp  (per  e)  nella  l-"*  e  2-^  plur. 
impf.  jMréren  pareri  *parébamus  *parébatis.  sulla  3=*  e  su 
tutto  il  singolare.  —  Ci  lascia  incerti  strik  (nome  e  verbo) 
'strizzata,  stretto,  stringo',  infin.  strikè'r  da  *strigicare, 
Asc,  Arch.  Glott.,  XIV  338.  Comunemente  si  spiega  l'i  dalle  ari- 
zotoniche: ma  questa  spiegazione,  nei  nostri  dialetti,  urta  contro 


'   '.guanto  a  rrir,  sono  ignote  al  n.  dial.  le  forme  rev,   rever   e    verer  no- 
tate «lai  FiAGN.  n.  84,  p.  44  nota  2,  nel  parmigiano. 


88  Malagòli, 

la  difficoltà  che  anche  Vi  di  strikP'r  ha  bisogno  di  essere  giu- 
stificato, n.  158.  Se  non  si  vuol  ammettere  che  sia  un  impre- 
stito, si  potrà  forse  pensare  a  un  influsso  analogico  dell'i  di 
strinier  e  stringa.  V,  però  anche  n.  164  e. 

113.  Voci  dotte,  semidotte  o  importate.  —  Per  centefim  e  en- 
te simu,  koaréfma  quaresima;  href  ma  y^piG^a  chrisma,^ 
bate/im,  mede/ini,  ecc.  v.  nn.  81^''^;  188,4.  —  Hanno  e  dove  s'a- 
spetterebbe e:  kometa  'aquilone,  cometa',  rei  velo,  rela  vela, 
n.  188,4;  ed  f,  sèro  lat.  sèro  'secondo  e  ultimo  segnale,  data 
con  una  campanella,  del  principio  delle  lezioni  '  ^ 

D'origine  letteraria  son  pure  :  xtfizi,  vizi,  servizi,  n.  150,  liber 
libro,  visc  vischio,  fise  fischio,  drit  diritto,  Meyer-L,,  "  It.  Gr.  „, 
§  56,  alcune  delle  quali  proverranno  dall'italiano. 

114.  /  per  e  si  trova  in  slt  'luogo  ',  che  sarà  voce  lette- 
raria. Si  ha  pure  ì  in  lìga  ligat,  nìger  nero,  plger  pigro,  riga 
probabilmente  dall'italiano,  pìga  plicat  che  può  spiegarsi  per 
la  palatale  precedente,  n.  89,  e  aver  attratto  llga,  essendo  dub- 
biosa, per  noi,  la  spiegazione  dell'i,  Arch.  Glott.,  XIV  218,  dalle 
arizotoniche,  v.  anche  n.  164  a  e  c'^;  ^f(/e/- (forse  anche  «7^er  ?) 
sarà  d'origine  dotta  ^. 

Vìnka  '  piega  '  verrà  dalle  arizotoniche,  dove  Vi  dav.  a  w  è 
regolare,  n.  161.  —  Difna  'desina'  sarà  un  francesismo,  cfr, 
Arch.  Glott.,  XVI  168,  Kòrt.',  3007. 


*■  Il  1°  segnale  è  detto  la  skdla  ;  il  2"  che  suona  mezz'ora  dopo,  al  sero  ; 
il  segnale  dell'uscita  si  dice  al  ftii. 

'  11  PiAQN.  n.  19  suppone  anche  per  Uga  uno  sviluppo  di  ./  :  *ljega  ;  ma^ 
non  dice  su  che  si  fondi. 

^  La  serie  lìga,  nlger,  plger  farebbe  pensare  a  un  influsso  del  g  seguente  ; 
in  tal  caso  sfrega  n.  35  dovrebbe  considerarsi  venuto  dall'italiano.  Ma  tega, 
hotéga,  tìg  da  è,  come  si  spiegherebbero  V  Si  deve  forse  tener  distinto  g  pri- 
mario da  g  secondario  ?  il  primo  solo  avrebbe  prodotto  l'effetto  di  cui 
si  parla  ? 


studi  sui  diiiletti  reggiani  89 

115.  E  per  e  si  ha  in  sflga,  3"  sing.  pres.  ind.  di  salgfr  '  sel- 
ciare '  e  in  tutte  le  forme  rizotoniche  dello  stesso  verho,  che, 
trovandosi  isolato,  subi  probabilmente  l'influsso  di  altri  verbi 
come  salir' r,  salrf'r  e  sim.;  così  sul  modello  saltè'r:  sHta,  ecc., 
si  ebbe  anche  salgp'r:  sèlga^. 

Mélma,  se  da  una  base  con  p  come  fa  supporre  Ve  stretta  del 
toscano  mélma,  avrà  la  pronunzia  aperta  delle  voci  d'origine 
letteraria. 

116.  Scambio  di  suffisso  si  osserva  in  -ic  per  -iculu  sosti- 
tuito da  Tculu  {kavica,  kavih  cont.  kavub  —  altro  scambio  di 
suffisso  —  capi t uhi).  — ^  E  un  italianismo  addirittura  kamél 
cammello. 

!. 

117.  Negli  ossitoni  abbiamo  se  sì  sic  e  aksé  così,  invece 
di  Si.  (iks[,  forse  aperti  nell'enfasi,  cfr.  nn.  56  nota  e  111,  o 
prodotti  dalla  fusione  di  si  e  '  così  è  ',  cfr.  komé,  n.  55,  che  par 
di  poter  riconoscere  in  frasi  fossilizzate,  divenute  oramai  rare, 
come  sié  da  bori!  acc.  a  se  da  bmi!  'così  è  davvero!',  sié  ala 
fé!  'così  è  in  verità'.  L'antica  forma  regolare  si  sopravvive 
forse  in  frasi  come:  a  so  bensì  se!  'so  assai!',  letteralm.  'so 
bene  si  assai  !  ',  a  m  n'inpgrta  ben  si  se!  '  me  ne  importa  assai  !  '  ; 
cfr.  anche  mi  si,  mi  no,  n.  55  nota,  e  sino,  n.  164  6. 

118.  L'I  al  posto  di  i  in  A:/r^  chi?  interrogativo,  usato  in  co- 
struzione assoluta,  si  spiegherà  con  l'enfasi,  per  l'allungamento; 
ma  pili  difficile  a  comprendersi  è  il  restringersi  della  vocale, 
se  si  pone  a  base  il  lat.  volg.  qui,  Meyer-L.,  "  Gr.  it.  „,  trad., 
J?  186,  Zauxer,  "  Glott.  rom.  „,  trad.,   p.  122.  Ammettendo  in- 


'  Anche  qui  il  Piag.n.  n.  7.5  nota,  come  sopra,  per  s'Ira  n.  110  nota,  giu- 
dica l'f  un  riflesso  delle  forme  a  desinenza  accentata  saìg'nr,  salga  ecc 


90  Malagòli, 

vece  la  derivazione  diretta  da  quis,  Bianchi,  Arch.  Glott.,  XIII 
177,  si  avrebbe  regolarmente  prima  kei,  poi  kì  per  metafonesi, 
n.  95. 

Il  part.  masch.  sing.  della  4*  coniug.  come  finì  e  simili,  avrà 
Vi  in  vece  di  i  per  analogia  sul  femminile  finìda,  n.  36  e  sul 
plurale.  —  Il  cont.  lloer  'rifinito'  llb(e)ru  sarà  un  imprestìto 
dialettale  ^ 

119.  Nei  proparossitoni  s'incontra  ì  per  i  in  viver  vivere, 
probabilmente  per  influsso  del  frequentissimo  clv  vivo.  —  Fi- 
nìoen  finivi,  1^  e  2*  plur.  impf.,  sono  analogici  su  finlven,  3^  pers. 
plur.,  e  su  tutto  il  sing.,  cfr.  n.  112. 

120.  Bad[l  (Lib.  statut.  hadilia,  plur.,  p.  75)  badile  batiUu, 
pisano  batillo,  baril  barile,  basso  lat.  barillus,  e  sim.  tirarono 
con  sé  fnil  fenile,  avril  aprile.  Cade  qui  in  proposito  l'adagio 
popolare  comunissimo:  avril,  tilt  i  di  un  haril. 

L'analogia  inversa  avremo  in  fnil,  hadìl,  haril,  avril,  propri 
delle  ville  II  e  III. 

Analogico  su  mil  sarà  pure  Vi  di  domila,  tremila,  ecc.;  questi 
numerali  tuttavia  potrebbero  essere  d'origine  letteraria,  come 
pija  '  pila  ',  n.  188,4. 

121.  Kuniìì  'coniglio',  restin,  Salv.,  Si.  d.  fil.  r.,  VII  216, 
da  noi  puramente  sostantivo  indicante  il  difetto  di  esser  restio 
(p.  es.  ste  kavàl  al  tem  al  restili  =  '  questo  cavallo  è  restio  ')  son 
dovuti  a  scambio  di  suffissi.  —  Altrettanto  potrà  dirsi  di  garul 
'  gheriglio  ',  guajum  guaime,  panaraza  '  patereccio  '  Kort.^,  6817. 

122.  Di  difficile  spiegazione  sarebbe  per  noi  flef  '  liso  ',  se, 
come  la  forma  toscana,  la  lombarda  e  la  genovese,  da  e]lisu, 


*  Il  significato  di  'rifinito'  è  ora  il  più  comune  nella  campagna.  Si  usa 
però  anche  nella  frase  a  lìver  fjè  '  appena  appena  con  fiato  lievissimo  ',  e 
nel  senso  di  '  ultimato  '  cfr.  ait.  liverare,  Utero,  Kort.^,  5561,  regg.  livrèr 
(Vocab.).  Per  altri  riscontri:  Flechia,  Arch.  Glott.,  VII|^,  365;  Salv.,  "  Nuove 
post.  ,   s.  liberti. 


Studi  sui  dialetti   reg^Muni  91 

Salv.,   "  Post.  „,  9,  KoRT.  -.  3231;  regolare  invece,  se,  come  cre- 
diamo, (la  laesu,  cfr.  n.  35. 

123.  Analogici  finém,  sentém,  ecc.,  su  paréin,  dfcm,  oppure  su 
sem,  n.  97,  cont.  //«ów,  serUóm,  ecc.,  ib.  —  Anche  dig  dico,  sarà 
analogico  su  dis  e  dit,  n.  112;  v.  però  Meyer-L.,   ''  It.  Gr.  „,  §  90. 

124.  Kaleiua  '  fuliggine  '  caligine,  —  di  fronte  al  regolare 
kali.^tia  vogherese  Nicoli.  "  Dial.  di  Voghera  „,  n.  44  (St.  d. 
fil.  rom..  Vili),  che  permette  di  supporre  un  originario  *kali-na, 
il  quale  per  metatesi  può  esser  venuto  a  *kalinza  donde  il  ro- 
magn.  kalendza,  —  rappresenta  forse  la  fusione  delle  due  forme, 
l'originaria  e  la  succedanea;  se  pure  non  è  da  pensare  a  un 
mutamento  di  suffisso:  -Tggine  per  -Tgine,  cfr.  ser.  e  stz. 
cdr;/yine.  Pieri.  ''  Dial.  d.  Versilia  .,,  nn.  6-7  (Zs.  f.  rom.  Ph., 
XXVIII)  ;  V.  anche  intorno  a  questa  voce,  Arch.  Glott.,  XVI  435. 

125.  Parole  d'origine  letteraria  sono  :  rifa,  n.  188,  jìipa,  n.  221, 
apf[t  '  appetito  '  n.  153.  remita  '  eremita  ',  ib. 

All'/  si  sostituisce  e  in  rakeia  deformazione  contadinesca  di 
*  rachitide  ',  avvenuta  per  un  fallace  avvicinamento  ai  molti 
nomi  femminili  in  -età  come  la  mojeta  '  le  molle  ',  la  nmrleta, 
n.   171,2. 

126.  XiJ  'nido',  acc.  al  regg.  ni,  se  non  è  da  nidlu,  tose, 
nidio.  potrà  esser  ricavato  dal  diminutivo  nijolln  con  /  epen- 
tetico. 

Ò. 

127.  Cont.  hró  brodo,  invece  di  hro  come  vorrebbe  l'ossitonia, 
dei'iverà  forse  da  un  ^hrod  che  perde  tardi  la  consonante  finale, 
oppure  da  un  dittongo,  cfr.  n  37'^'^  nota.  Nell'interno  si  ha 
brod,  letterario  ^ 


'  Il  PiAGN.  n.  68  supponeva  popolare  il  parm.  brod  e  pensava  a  una  base 
col  dittongo  au  ;  ma  rimandava  prudentemente  al  Meyer-L.  e  all'Asc.  che 
collocano  questa  voce  sotto  ó. 


92  Malagòli, 

128.  Analogie.  —  Vedemmo  già  l'urb.  bo  formato  sul  plu- 
rale, n.  62.  —  Bug  '  vuoto  '  detto  di  occhio,  di  noce,  di  mela, 
di  pera  bacata,  e  metaforicamente  di  azione  o  impresa  mancata 
*bocu,  Par.,  Rom.,  XX VII  229,  e  forse  anche  hilf  '  buco  ',  Salv.^ 
Arch.  Glott.,  XVI  292,  q  fbuf  '  bucato  '  potrebbero  aver  Vii  dalle 
forme  arizotoniche  hugìr  intonchiare,  Jhuftr  forare,  n.  167,  cfr. 
Salv.,  loc.  cit.  —  Il  cont.  tug,  acc.  all'urb.  tog  tolgo,  potrà  pure 
essere  dalle  arizotoniche,  se  non  sarà  da  vedervi  un  influsso 
della  gutturale,  cfr.  n.  136.  —  Kofer  cuocere  avrà  \'o  da  hòg 
cuoco,  kòf  cuocio  e  sim.,  cfr.  n.  134.  —  Pondga  cont.  ptindga 
'  topo  delle  chiaviche  ',  anziché  pondga,  n.  70,  subì  l'analogia 
del  plur.  ponteg  (acc.  a  pgndgi,  n.  149)  dove  il  t  si  dovrà  a  una 
più  antica  fase  *pontk  cfr.  n.  182.  Così,  forse,  da  *lonk  si  spie- 
gheranno long  lóììga  in  vece  di  long  longa  lungo  -a. 

Sèlda  itera  in  sfida  --^  '  non  lavorata  ',  cfr.  Ferraro,  p.  14)  si 
spiegherà  come  l'italiano  saldo:  anche  da  noi  è  usitatissimo  il 
verbo  salde  r  (a  sèld,  te  sèld,  ecc.). 

129.  Nelle  voci  d'origine  letteraria,  cosi  ó  come  ò,  n.  132, 
presentano  ora  5  :  ngta,  stgrja,  memgrja,  Greggri,  mortori  '  fune- 
rale ',  grgen,  non  ^  nonno  e  anche  suocero  ',  con  parecchie  altre 
parole  prese  nella  maggior  parte  dall'italiano.  —  All'urb.  gli 
corrisponde  un  cont.  oli,  fase  più  antica,  n.  188,4;  similmente 
il  cogn.  Davgli  suona  nella  campagna  Davoli.  Anche  ndja  sarà 
probabilmente  d'antica  origine  letteraria,  n.  188,4. 

130.  Son  pure  voci  dotte  con  o  davanti  ad  m:  dgm  duomo, 
dgma  doma,  vgmit  vomito,  kgmod  comodo,  toni  tomo  '  cattivo 
soggetto  '. 


*  La  forma  più  popolare  è  nono'n  :  i  bimbi  non  dicono   mai    non;    però 
sempre  n^na  nel  femminile. 


studi  sui  dialetti  resrgiani  98 

ò,  ù. 

131.  Ò.  Analogie. —  kfinza,  ktic,  di  cui  si  tentò  già  la  spie- 
gazione nel  n.  96,  potrebbero  anche  venire  dalle  forme  arizo- 
toniche kunzP'r,  kuher,  n.  167.  —  Cosi  dicasi  di  muc  e  sfmc, 
con  fc,  V.  per  muc,  Salv.,  Jahresb.,  VII  I  139. 

132.  Forme  dotte  o  semidotte,  e  imprestiti.  —  Troviamo  o, 
cfr.  n.  129,  in  voci  desunte  per  la  maggior  parte  dalla  lingua 
letteraria:  dój)  dopo,  nóbil^  mnhil,  dot,  Saèerdot  cogn.,  devot,  te- 
remót,  zimor  cimurro,  kodiz  codice,  rikgver,  nosk,  vgsk,  glgrja, 
vitijrja,  skritgri,  demoni,  testimóni,  matrimoni,  acc.  ai  piìi  antiq. 
e  cont.  demoni,  testimeli,  matrimoni.  —  Per  otober,  v.  nn.  90 
e  188.4. 

Kubja,  n.  96,  coincide  coll'it.  gabbia  e  potrebbe  anche  essere 
esotico,  come  in  altri  dialetti  settentrionali,  cfr.PAR.,  Arch.Glott., 
XVI  339. 

133.  Se  non  è  un  imprestito  letterario  dall'italiano,  avremo 
anche  da  noi  uno  scambio  di  suffisso  in  paura,  come  nel  to- 
scano. 

Letterario,  d'antica  introduzione,  pare  inkora,  n.  156,  di  fronte 
ad  alora,  finora,  ecc.  ^. 

134.  U.  Contaminazioni.  —  Susor  'chiasso'  sustirru  sarà 
nato  dalla  confusione  con  riimò'r  rumore.  —  Kova  cùbat  e  kon 
(dà-  a  À-O'- ^=:  dar  (le  ova]  a  covare)  dovranno  Vo  forse  a  kova, 
n.  63,  seppure  sulle  arizotoniche  di  kovf'r  non  si  modellarono 
anche  le  toniche  e  il  deverbale  kov. 

135.  Forme  letterarie  e  imprestiti.  —  Son  d'origine  lette- 
raria e  conservano  la  vocale  dell'italiano  o  del  latino  da  cui  son 


'  II  PiAG.v.  n.  30  per  il  parin.  anìcot  a  (inkora)  pensava  a  un  effetto  di 
proclisi  ;  ma  in  tal  caso  come  spiegheremmo  alóra,  finora,  (jva  che  son 
propri  anche  del  dial.  parmigiano? 


94  Malagòli, 

tolte:  subit  acc.  al  più  popolare  subit  con  trasposizione  d'accento 
n.  192,  dubi,  numer,  salamurja  salamoia  (detto  d'ogni  cosa  esa- 
geratamente salata),  furja,  tuguri,  kafaturi  gruppo  di  casette 
rustiche  abitate  da  famiglie  miserabili;  yostra  giostra,  sofer 
soffro,  Modna,  Pullè,  "  Dialetti  del  Frignano  „  in  "  L'Appennino 
moden.  ^,  Rocca  S.  Casciano,  Cappelli,  1895,  p.  713;  sepùlker  la- 
tinismo della  chiesa,  oramai  raro,  acc.  a  sepolker  per  influenza 
della  lingua  scritta,  kiiruv  curvo. 

D'importazione  francese  sarà  forse  fon  tonno.  —  Fon-,  per 
fuiìz  che  pure  si  ode  (Vocab.  regg.),  o  è  un  imprestito  (da  noi 
è  pili  comune  pardarol  prataiolo,  e  i  funghi  mangerecci  ci  ven- 
gono dalla  montagna),  o  è  il  risultato  della  fusione  del  sing. 
~*fong  e  del  plur.  regolare  funi,  ^-  ^*^  ^^  *^^^  avrebbe  avuto  la 
consonante  finale.  Afttin  autunno,  voce  letteraria  anche  nel  to- 
scano, cfr.  Merlo,  "  Stag.  e  mesi  „,  p.  66,  fu  attratto  per  la 
tonica  dalla  serie  dei  nomi  in  -un  come  diùìì  e  simili.  Altret- 
tanto dicasi  di  kolona  columna  che,  isolato,  non  avrà  resistito 
all'influsso  dei  numerosissimi  nomi  in  -gna  come  koróna,  ecc.  ; 
odesi  però  anche,  ma  più  raramente,  kolóna.  —  Presentano  u, 
come  nel  toscano  puh  pugno  e  gruii  grugno. 

Un  imprestito  sarà  falppja  '  bozzolo  vuoto,  incompleto'  se  con- 
nesso con  faluppa,  Horning,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXX,  p.  71  e  sgg. 

136.  Un  problema  di  non  facile  soluzione  è  kfirt  corto.  Sarà 
da  pensare  a  un  influsso  della  gutturale  precedente,  che  po- 
trebbe avere  un  riscontro  in  kubi  *cubulu  o  *cubium, 
Flech.,  Arch.  Glott.,  Il  338,  alla  qual  base  potrebbe  connettersi 
anche  kugel  '  giacchio  '  da  ^kiivel,  v.  però  n.  96,  kuc,  ih.,  kuk 
*cuccu,  cont.  kiir  corre,  kukla  in  barakukla,  Kòrt.^,  5305,  regg. 
còccia,  Casali,  op.  cit.,  kukumra  raro  per  ingurja?  L'ipotesi 
può  sembrare  arrischiata,  e  sarà  più  prudente  ricordare  che 
kiìrt  è  fenomeno  di  esteso  dominio  nell'Alta  Italia,  dove  questa 
voce  è  generalmente  riflessa  come  se  fosse  da  cùrtu,  Asc, 
Arch.  Glott.,  I  500. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  95 

È  anormale  anche  Va  di  /ijoc  *pedric|n)lu  confrontato  con 
]ìioc,  fìioc,  n.  88,  se  non  si  spieghi  per  effetto  della  palatalo 
precedente. 

137.  Presuppone  un  n  di  lat.  volg.  nóz  masch.  {un  bel  noz; 
cfr.  imol.  e  noz,  Salv.,  St.  d.  fil.  rom.,  VII  220),  lat.  class, 
nuptiae,  come  il  tose.  ìigzze;  e  per  contro  postula  un  u  di 
lat.  volg.  ICS  uscio,  lat.  class,  ostium,  Par.,  St.  it.  d.  fil.  class., 
I  438  ;  Meyer-L.,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXV  355,  Sepolcri,  Stud.  mediev., 
I  612  e  sgg.  —  Coincidono  pure  col  toscano  per  la  vocale  to- 
nica mora  '  frutto  della  spina  '  dove  si  ha  contaminazione  con 
moro  da  mauru,  Meyer-L.,  "  Gr,  it.  ,,,  trad.  p.  41,  di  fronte  al 
regolare  mdr  '  frutto  del  gelso  '  e  l'albero  stesso,  spork  sporco, 
contaminazione  con  por  cu,  sjok  sciòcco  ^  ;  krnzi  '  cruccio,  pena  ', 
skufja  '  cuffia  ',  scofia  delle  antiche  carte  che  trova  riscontro  nel 
reggiano  moderno  scóffia  (Voc.)  miic  mucchio;  ved.  per  i  tre  ul- 
timi esempi,  n.  96  e  per  muc  anche  n.  131. 

Ù. 

138.  U  per  u  in  ossitoni.  —  Da  -utu  dovremmo  attenderci 
-r<,  nn.  53  e  58  ;  abbiamo  invece  -u  per  influsso  del  femm.  -ùda, 
n.  38,  e  del  plur.  {batil',  crii  voluto,  hu  venuto,  ecc.),  cfr.  fini, 
n.   118. 

139.  U  per  fi.  —  Parallelamente  a  quanto  si  vide  per  i, 
n.  125,  s'incontra  u  in  pai'ossitoni  o  già  tali  che  devono  consi- 
derarsi dotti  0  semidotti  :  ajut  aiuto,  juta  aiuta,  n.  153,  mut 
muto  ;  konclng  conduco  ;  baul  baule,  tanbur  tamburo  in  cui  po- 
trebbe anche  non  essere  estraneo  al  perturbamento  un  raddop- 
piamento della  liquida,  cfr.  n,  101   e  Piagn.,  n.  02,  o  un  influsso 


'  Il  Meykr-L.  (It.  Gr.,  §  15,  p.  14  ;  trad.  it.  p.  25)  ha  sciocco  con  o  stretto, 
iictn  'tappiamo  dondi'  desunto. 


S6  Malagòli, 

della  labiale  che  precede  la  tonica,  come  parrebbero  comprovare 
le  voci  certamente  popolari  hiira  bure  e  buia  pula,  mur  muro  e 
mul  mulo.  —  Pur  '  pure  '  potrebbe  aver  avuto  \'u  in  proclisi.  — 
Per  uva  e  pura,  v.  n.  64. 

ti  in  vece  di  u  si  ha  in  fiùf  '  dissenteria  ',  voce  dotta.  Quanto 
a  friit,  frìda,  v.  nn.  ^l^^^  e  267. 

140.  /  per  n  si  ha  in  ziza  acc.  a  siza  suctiat,  cfr.  n.  45. 
Di  qui  probabilmente  anche  sis  regg.  ziss  (Vocab.)  '  sugo  di  le- 
tame ',  cfr.  dal  lato  semasiologico  tose,  succhio.  Qui  forse  si  ri- 
connetterà anche  il  nome  di  una  fossa  nel  territorio  del  Co- 
mune, detta  La  Sisa. 

^4Qbis  Notevole  ó  per  v  in  sanhg'g  sambuco  sambucus 
nigra,  dove  si  avrà  forse  un'immistione  di  quella  stessa  base 
con  6  che  abbiamo  posto  per  bòga  n.  37,  per  la  qualità  del 
legno  di  questa  pianta,  vuoto,  come  si  sa,  internamente. 

3. 
Dittonghi. 

141.  Au.  —  Sia  primario,  sia  secondario,  e  questo  di  lat. 
volg.  0  di  formazione  romanza  dà  ó  : 

1)  da  au  germanico  :  roba  rob  rubo,  bot  '  colpo  di  campana, 
tócco  ',  rgst  arrosto,  Bruckner,  Zs.f.rom.Ph.,  XXIV  61  e  sgg.  ;  — 
da  au  latino  :  Iqda,  ggd,  lódla  a]  1  a  u  d  u  1  a ,  pgk  poka  poco  poca,  rok 
raucu  '  rantolo  ',  parer,  kofa,  or  oro,  ora  ombra,  Mondfgr  cogn. 
in  cui  è  da  riconoscere,  in  composizione,  thesaurus  e  mala- 
mente italianizzato    sotto    la  forma    '  Montessori  '  ^,   lot   ed  tera 


'  Di  un  nome  proprio  di  persona  DJor  Tesoro,  usato  anticamente  nelle 
■campagne,  hanno  conoscenza  i  nostri  vecchi,  cfr.  parm.  rf^or  Piagn.  n.  63. 
È  quindi  una  forma  letteraria,  introdotta  dall'italiano,  la  voce  tejò'r. 


Studi  !iui  dialetti  regsjiani  97 

*  zolla ',  Flecu.,  Ardi,  (ilott..  11  :jr)<l  ;  tor  toro,  arsura  *rc-ex- 
aii  rat. 

2)  òka,  paróla,  fola  'fiaba',  troia  trabula  attrezzo  rurale 
a,  foggia  di  grossa  e  pesante  trave  che  serve  ad  ammucchiare  i 
grani  nelle  aie,  anche  '  spartineve  '  formato  con  due  travi^  trol 
lo  stesso  attrezzo  rurale  nel  primo  significato  ma  di  più  piccole 
dimensioni;  —  con  /,  cóld  chiodo,  Bertoni,  "  Dial.  d.  Mod.  „, 
n.  CO  e  nota.  S.vi.v.,  Jahresb.  IX,  I  115,  f/ólfa  gota,  voce  anti- 
quata e  rara  che  vive  però  nell'accrescitivo  comunissimo  goIt<~)'n 
gotoni  '  orecchioni  ',  cfr.  Biadene,  "  Il  libro  delle  tre  scritture  „, 
Pisa,  Spoerri,  1902.  lessico,  s.  v.  ;  Arch.  Glott..  XVI  373  sg.  ;  — 
€  con  n  da  /  dav.  a  dentale  (assimilazione  pai'ziale  regressiva) 
cont.  arpóHset  '  riposati  ',  v.   per  ]'(>,   n.  6!),   e  forse  anche  cont 

*  pieno,  compatto  '.  detto  specialmente  di  noce  (conta)  ben  chiusa 
e  piena,  se  commesso  con  claudere,  cfr.  mant.  tios  cioej'a, 
Salv..  Boni. ,  XXXVI  241  amod.  cliiotisa,  .Salv.,  Jahresb.  IX,  I  116. 

Non  indigeno  forse  tó/)a  talpa,  cfr.  mfita,  n.  75,  pèlpa,  ib. 

142.  Xegli  ossitoni  in  vocale,  al)biamo  r>  in  un  pn^  sost.  acc. 
all'avv.  e  agg.  jmk  (dittongo  primario):  e  o  in  Po,  ho  capo  ^ 
(dittongo  secondario).  Po  forse  potrebbe  essere  forma  d'altro 
dialetto,  e  ko  sorto  in  proclisi. 

143.  Xon  si  ebbe  il  monottongo,  ma  si  trasformò  il  secondo 
elemento  del  dittongo  in  r  dav.  a  sonora  e  in  /'  dav.  a  sorda 
nelle 'voci  dotte  o  semidotte:  kdr/a  coni,  kn/ra  (metatesi), /à/-gr 

*  alloro  '.  M'her  Mauro,  sàrer.  fìaft  flauto  -. 


'  È  da  ricono-scere  anche. nei  composti  a  kofitóìi  a  capofitto,  hoteser  capo 
«l.-l  telaio  e  anche,  punto  dove  fanno  capo  le  paratoie  nei  mulini,  cont. 
kodenf'r  capitale  dato  a  frutto. 

*  11  GoKK.v,  St.  di  f.  rom.,  VI  .">70  distinj^ue  ait-{'li(j>i.  in  cui  si  sarebbe 
sviluppato  un  r  epentetico  dall'»  del  dittongo,  e  (oi  \- muta  che  avrebbe 
consonantizzato  l'*'  con  posteriore  sviluppo  della  vocale  irrazionale  ;  per 
noi,  la  prima  ipotesi  non  sarebbe  necessaria. 

.\itìiivio  Klottol.  ital.,  XVII.  7 


98  Malagòli, 

Il  nome  proprio  Pèool  acc.  a  PPol  Paolo,  dovrà  IV"  a  un  fe- 
nomeno di  dialettizzazione.  — ■  Per  kàrol^  v.  n.  104.  —  Salkraut 
salcràutte,  Petrocchi,  ted.  '  Salzkraut  '  e  '  Sauerkraut  '  è  d'in- 
troduzione recente,  BRUCK^fER,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXIV  67. 

144.  In  jijòd  '  aratro  '  forse  To  è  dovuto  alla  palatale  pre- 
cedente, come  si  suppose  per  p}o(^^  n.  136,  se  pure  non  deriva 
da  una  base  plotum,  che  meglio  converrebbe  anche  perché 
au  dovrebbe  impedire  lo  scadimento  di  ^  a  e?,  n.  226. 

Un  esempio  di  u  si  ha  in  s f ri'if  hodo,  mil.  sfròs,  Salv.,  "  Fon. 
Mil.  „,  n.  63:  deverbale  da  sfru/r'r,  sec.  il  Salvioni,  Jahresb. 
IX,  I  116. 

145.  Ai.  —  Da  -as  diede  f:  dr  dai,  fr  fai,  sf  sai,  str  stai, 
ve  vai,  è  hai,  kantare    canterai,  ase    assai. 

Semidotta  sarà  la  forma  nuj  mai. 

146.  Ai,  che  non  si  distingue  per  suono  da  àj,  si  conserva 
solo  in  parole  letterarie  o  d'importazione  seriore  :  maj  mazzo  di 
fiori  che  si  appende  il  primo  di  maggio  alla  porta  dell'innamo- 
rata, cfr.  alt.  'maio',  Merlo,  "  Stag.  e  mesi  „,  p,  194  nota  2, 
àj!  acc.  ad  àja!  e  aja  !  ahi!,  goàj  guaio,  grcijta  III  aspetta 
n.  267,  Meyer-L.,  "  Gr.  d.  lang,  rom.  „,  I,  §  18,  Salv.,  Arch. 
Glott.,  XIV  234,  nota  2,  Rend.  I.  L.,  S.  II,  XXXV  964,  n.'25, 
sàja,  spàj  nella  locuz.  tirf'r  un  sjmìJ  '  scuotersi  improvvisamente 
per  spavento  o  sorpresa  '  ^  trajer,  ted.  '  Dreier  '  soldo. 

Come  nell'italiano,  baìja  e  demani  demanio,  quest'ultimo  cer- 
tamente dalla  lingua  scritta. 


*  Sarà  da  porre  per  l'etimo    con    spugét  st.  '  spago,  paura  '  Salv.,  Nuove 
■postille  s.  pavor,  Arch.  Glott.,  XV  196  nota  3,  XVI  326. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  99 

4. 
Vocali  atono. 

a)  Finali. 

147.  Caddero  senza  lasciar  traccia  tanto  nei  parossitoni  quanto 
nvì  proparossitoni,  tranne  -a  che  rimase  intatto  e  -i,  primario 
0  secondario,  che  in  certi  casi  produsse  la  palatizzazione  della 
consonante  precedente,  n.  150,  e  talvolta  la  metafonesi  della 
vocale  tonica,  n.  95. 

Nelle  nostre  carte  antiche  troviamo,  per  ricostruzione,  le  vo- 
cali finali,  che  mancano  solo  talvolta  dav.  a  liquida  o  a  n  {fo- 
sadel  fossatello,  fradel,  sol  acc.  a  solo  da  torta  teglia  con  ma- 
nico usata  ancora  nella  campagna,  dove  è  detta  sempre  sfd,  mo- 
/ì'isfer,   lenar  gennaio,  cinturin,  caldarin  secchio). 

148.  A:  ìcànta,  trénta,  dona,  zdpa,  tera,  agonia;  landa  lam- 
pada, kània.  n.  66. 

Casi  particolari.  —  kàmer,  fnester  e  mnester,  acc.  a  cont. 
kànbra,  fnestra  e  mnestra,  contro  falistra  favilla,  n.  89,  balestra, 
lastra,  nostra,  castra,  ecc.,  si  spiegheranno  così  :  fnester  per 
fnvstra  sarà  analogico  sul  plurale  che  è  regolarmente  fnester  ed 
è  più  usato  dèi  singolare  specie  nei  luoghi  abitati;  su  fnester 
si  sarà  formato  kamer  e  anche  mnester.  (Le  due  voci  fnester  e 
mnester  si  trovano  accoppiate  in  un  adagio  comunissimo  : 
O^ììtahè'r  sta^mnester,  o^salter  sta^fnester  =  '  0  bere  o  affo- 
gare ',  letteralm.  *  0  mangiare  questa  minestra  o  saltare  questa 
finestra  ')  ;  oppure,  meglio,  tanto  fnester  quanto  kàmer  e  mnester 
saranno  fatti  analogicamente  su  lecer,  fècer  e  sim.  che  hanno 
uguah'  il  plurale  al  singolare,  laddove  falistra,  balestra,  ecc.^ 
nel  plurale  hanno  i  e  sfuggirono  perciò  all'analogia. 

Majln,    Ma/un,    Nunzjadlii,  Xinln^  Xinon,  Rojinln,  Delln,  la 


100  •        MalagòU, 

Gigin  sono  alterati  femminili  di  Maria,  Annunziata,  Nina,  Ro- 
sina, Adele,  Gigia,  cfr.  Nicoli,  "  Dial.  di  Vogh.  „,  n.  41  ^  Toppino, 
"  Dial.  di  Castellinaldo  „,  Ardi.  Glott.,  XVI,  n.  36,  nota  4,  forse 
analogici  sugli  alterati  maschili  di  nomi  originariamente  fem- 
minili, come  rofin,  rofo  n  '  rosine,  rosone  '  e  simili. 

Piii  nella  frase  a  n  o  jnn  l'finma,  cfr.  lucch.  ìiho  jnen  l'anima, 
Arch.  Glott.,  XVI  400,  sarà  probabilmente  di  ragione  sintattica  : 
si  tratterà  cioè  dell'aggettivo  usato  in  costruz.  assoluta  come 
il  participio  nei  tempi  composti  dei  verbi;  per  tal  modo  si  dice: 
f  ó  ród  la  sàA-n  =  '  ho  vuota  la  tasca',  come  se  fosse  'ho  vo- 
tato la  tasca  '  e  sim. 

Sor  '  suora  '  usato  come  sostantivo,  se  non  è  regolare  da 
soro[r,  può  venire  dalla  forma  apocopata  aggettivale;  il  cont. 
SQva,  II,  potrà  essere  analogico. 

Ór  d  noi  coincide   col    tose,    or    di    notte.    Son    dall'italiano 

e 

kvalunkve  e  konter  di  fronte  al  cont.  kòntra. 

Neoformazioni  analogiche  sono  i  nomi  di  mestieri  in  -a  (frfra 
fabbro  ferraio,  moleta  arrotino,  ecc.)  e  così  gl'indeclinabili  in  -<t 
secondo  la  tendenza  dei  dialetti  dell'Alta  Italia  [soia  sotto, 
laniera  n.  174,  lenka  n.  69,  koma  come  \  deskHza  a  piedi 
scalzi,  a  la  mnfida  al  minuto,  a  V  ingrosa  all'ingrosso,  a  spela 
a  credenza  Ferraro  p.  13,  aùka  acc.  ad  cink  anche  -,  iiidova  n.  63 
acc.  a  indo  ^.  Qui  vengano  pure  gli  agg.  jx/ra  e  despPra  *  pari  ' 
e  '  dispari  ',  fatti  sul  sost.  plur.  pPra,  che  nel  nostro  dialetto  è 


'  Koma  0  Iona  si  usa  in  proclisi  dav.  a  consonante  :  koina  o  kma  dif  ? 
'come  dici?';  ì.-om  o  km'  normalmente  dav.  a  vocale:  kom  o  Zvh'  ?f  fòt? 
'  come  hai  fatto  V  '  ;  komé  nei  paragoni  e  in  costruzione  assoluta  :  home  ir 
'come  te',  komé?  'come'?'.  .... 

'  Quest'ultima  è  la  forma  più  comune  e  la  sola  usata  in  eostruzione  as- 
soluta; ànl-a  si  adopera  prefeiùbilmente  dav.  ai  pi*on.  nie',  ti,  W.  rfi,  Jòr. 

^  Indo  si  usa  solo  in  proèlisi  :  Mc?o  ref  ?  '  dove  vai?'. 


Stilili  sui  dialetti  i-e.i,'giiini  101 

stato  sostituito  dal  sing.  pn',  dove  noi  modeneso  si  ha  pn-u 
anche  nrl  sing.;  cfr.  Salv.,  Jahresb.,  IX   i    11'^. 

149.  -E.  -AE,  -E,  -f.  -AS,  -ES,  -IS  :  hni  bene,  sd,  Inm,  déf, 
jTp-,  dìiKiii  denianc',  ròr  femm.  acc.  all'analogico  cont.  rara 
(o  forse  da  robura?)  'rovere'  n.  18<;  ;  don  donne,  ró/' rose, 
fi  alae,  màc  macchie;  tnrl  tardi;  kant  canti;  fior  fiori,  >^v<ìn 
Giovanni  ;  kred  credi. 

Da  -'.eu,  -^iu  si  ha  i:  (ibi  n.  75,  iiisoni  sogno,  Karóbi  n.  9u, 
<(dr/ì  adagio,  j>rezi  prezzo.  Così,  iifizi,  vizi,  servizi  servizio,  diluvi 
diluvio,  premi  premio,  j^re/epi  presepio,  Vaiif/Pli  n.  110,  dubi 
dubbio.  k(uìbi  cambio  e  le  altre  voci  letterarie  o  semiletterarie 
in  -Ori.  -ori  ecc.  dei  nn.  101,  129,  182.  —  V.  anche  n.  252. 

Hanno  -i  :  i  semiletterari  fiati,  fbafi  '  baffi  ',  usati  anche 
come  singolari  (un  finti,  nn  /bufi),  davanti,  anzi,  difàti  '  di  fatti  ', 
a  ntoniP/ifi,  e  kvrfi,  acc.  a  fcvrf,  che  potrebbe  e.ssere  analogico, 
insieme  col  cont.  farsi  (nell'interno  ora  è  più  comune  il  lette- 
rario forse),  su  adr/i  v.  sopra.  E  analogici  saranno  pure  dakordi 
d'accordo,  inveci  '  invece  '  semiletterari  ;  e  fors'anche  dimondi 
n.  70. 

Letterari  o  semiletterari  saranno  :  lunedi ,  mertedi_,  merkoled[ 
acc.  a  nierkordl ,  (jovedi  acc.  al  cont.  :{obja  che  oramai  vive  solo, 
si  può  dire,  nel  proverbio  campagnuolo  :  ',óbja  insakf'da,  dnienxja 
baiirda. 

Neoformazioni.  —  Si  ha  -i  nel  plur.  femm.  degli  aggettivi  e 
dei  nomi,  pronomi  e  participi  a  cui  corrisponda  un  maschile 
senza  i  finale  :  amlgi  amiche,  padroni  padrone,  ardori  '  massaie  ', 
kantànii,  boni  buone,  katJvi,  dolzi  dolci,  kavali,  niniPli  '  troie, 
maiale  ',  kvisti  queste,  lodèdi  lodate,  finldi  finite,  ecc.,  di  fronte 
ai  masch.  aml<j  amici,  padron,  aidor,  kantànf,  ecc.  Il  problema 
che  offre  quest'  -i  non  è  dei  piìi  facili.  Forse  è  da  vederne  l'o- 
rigine in  unioni  sintattiche  di  aggettivi  davanti  a  nomi  fem- 
minili comincianti  per  vocale:  bonae  alae,  per  il  n.  180,  dava 


102  Malagòli, 

boni  Pi  ;  donde  poi  anche  fi  boni.  Di  qui  si  estese,  oltre  che  ai 
pron.  kvisti,  kvili,  li,  anche  a  parecchi  sostantivi  fenim..  come 
bokàzi  boccacce,  U' germi  lacrime,  (lumi,  skatli  (acc.  a  anom  cont. 
ànimi,  skafol),  pondgi  acc.  a  pgnteg  n.  128,  ecc.,  di  cui  va  cre- 
scendo il  numero  nell'uso  moderno  ^ 

Un  -i  di  nuova  formazione  si  riscontra  pure  nella  2''  pei-sona 
plurale  dell'imperfetto  (cong.  e  indie.)  e  dell'aoristo  :  s'a  kantisi, 
a  kantcvi,  a  kantisi;  ed  è  di  ragione  analogica  v.  n.  313. 

Questi  -i  sorti  in  periodo  romanzo  seriore  non  produssero 
metafonesi  né  palatizzazione  della  cons.  precedente. 

150.   -I:  bòn  boni,  lodr'  lodati,  vlitt  n.  95,  rèn,  veni. 

Resta,  implicato,  sempre  con  l.  talvolta  anche  con  nn  ;  solo 
nella  campagna  in  qualche  caso  con  f  :  kavàj  cavalli,  stivàj, 
nimè'j  maiali,  pf'j  pali;  -ej  =^ -eWì  {vidéj  vitelli,  kastéj,  fradéj, 
bej  belli,  acc,  a  vide'  II,  ecc.  n.  60)  ;  pej  peli,  tej  teli  ;  moj  molle; 
zivoj  cefali  ;  />•?_//  frulli  ;  —  pàìi  panni  li  pagni  Testam.  del  1612 
in  Monum.  agg.  alle  Mem.  del  Padre  Pier  Maria  p.  180  ;  — 
camp,  tue  tutti,  tue  kvanc  tutti  quanti,  e  anche  tuj  in  tuj  dù 
tutti  e  duo  cfr.  pieni.  (Monta)  fiij  Toppino,  Arch.  Glott.  XVI 
530  n.  1. 


*  Il  Bertoni,  Dial.  Mod.,  ii.  129,  tiene  altra  via  :  i^arte  da  un  non  ab- 
bastanza chiaro  sH  dami  da  stae  domnae:  dal  supposto  femminile  sti 
si  sarebbe  passati  poi  alla  forma  assoluta  quisti,  donde  a  gidli  ;  poscia  1'-?' 
sarebbe  "  passato  agli  aggettivi  e  dagli  aggettivi  a  quei  sostantivi  che  ve- 
nivansi  a  trovare  su  per  gii;  nell'identica  condizione  ,.  —  Il  Piagnoli  n.  87 
si  restringe  a  notare  nei  femin.  jilur.  "  una  desinenza  -/,  che  corrisponde 
al  lat.  -ae,  e  si  è  estesa  analogicamente  a  tutti  [nel  parmigiano;  non  nel 
nostro  dialetto  e  nel  modenese]  i  femm.  plur.  passati  alla  1*  declinazione  ,. 
—  Con  la  spiegazione  qui  proposta  riuscirebbe  chiara  anche  la  forma  del- 
l'art, plur.  femm.  dav.  a  vocale:  illae  ala  e,  o  meglio,  col  Salvioni, 
Jahresb.,  I  129,  il(lae)  (il)lae  alae  >  eì^  ~d.  Per  questa  forma  il  Mussafia, 
Rom.  Mund.,  n.  233,  partiva  dall'accus.  femm.  plur.  del  pron.  di  3*  pers.  li, 
senza  dirci,  però,  come  fosse  sorto  1'-»,  sia  in  questo  caso,  sia  nella  desin. 
degli  agg.  femminili. 


Studi  sui  dialètti  reggiani  103 

l\n-  i  plurali  in  -òli  siamo  già  venuti  alla  fusione  di  *-r;/  in  -ò, 
in  tutto  il  territorio  :  fìr>  figliuoli,  fa/fi  fagioli,  ^wrò'  paioli, 
ìna?);<y  '  piccoli  manzi  ',  uj'/i(>'  usignuoli. 

151.  -0.  -0.  -U,  -U  :  dì'P  dietro,  kd/d  canto,  ha))  ])uono, 
òrre  bravo,  kaùtvm  cantiamo,  el.  man  le  mani. 

-()  si  fa  sentire  in  voci  letterarie  o  importate  da  altri  dia- 
letti, come  ::[<>.  mio  n.  60,  tuo  n,  01'"%  Pio,  (rortjo  Giorgio,  Nino, 
Sa fo  IS9,  Dio,  adio  addio,  ffudio^,  per  />io .' esclam.  eufemistica, 
perìfdko  !,  scào  e  cào  non  molto  usato,  tipo,  buio  Salv.,  "  Fon. 
Mil.  „  n.  133,  moro,  ecc.  ;  e  nell'enfasi  :  bravo  !,  eleo  .',  belo  !,  korpo  !, 
sàitgo  !  con  -o  analogico,  unito!  eufem.  per  sàìU/o  !  —  In  vece 
di  -0  troviamo  un  -J  nella  voce  semidotta  Abréj  '  Ebreo  '  cfr. 
n,  280,  che  non  sarà  fors'altro  die  il  plurale,  d'uso  piìi  fre- 
quente, imperfettamente  assimilato  ed  esteso  al  singolare  -. 

Notevole  -lo  particella  enclitica  pleonastica  d'uso  frequentis- 
simo in  frasi  esclamative,  come  l'è  propja  akséjlo  !  =^  '  è  proprio 
così  I  ',  (d  dig  mej.0 .'  =  '  lo  dico  io  !  ',  fai  di  UJo!  =  '  lo  dici 
tu  I  ',  a!  Ir  dì/  lujo .'  =  '  lo  dice  lui  !  '  ed  kredlo .'  =  '  lo  credo  !  ' 
e  simili,  in  cui  si  può  vedere  una  conferma  dell' ili-hoc  po- 
stulato dall'AscoLi,  Arch.  Glott.  XUI  204,  che  da  noi  perdette 
l'accento  nell'enclisi. 


'  Usato  solo  neU'csclamazione  ìcorpo  d'>in  i/udw .',  senza  the  sia  compreso 
il  significato  della  parola. 

'  Il  PiAiiN.  n.  20  vedrebbe  ([ui  un  aftievolimento  dell'-»  in  -/,  oppure 
un'intrusione  di  j  e  successiva  caduta  di  finale.  Nello  stesso  modo  egli 
vorrebbe  spiegare  anche  V-ei  da  -etu  e  il  parm,  set  sebu;  in  questi  casi 
io  vedrei  una  vera  e  propria  dittongazione  che  costituireI)be  la  norma  in 
•sillaba  finale  libera,  come  da  noi  nel  ,i,'ruppo  li  (cfr.  Introd.  §  4). 


104  Malaff()li, 


b)  Iniziali. 

152.  Andarono  soggette  spesso  all'afei'esi,  specie  a-  ;  più  di 
raro  o-,  a-.  Quando  rimasero,  ebbero  lo  stesso  esito  delle  in- 
terne protoniche  v.  nn.  158  e  sgg. 

Il  fenomeno  dell'aferesi  è  determinato  da  varie  cause,  fra  cui 
soprattutto  la  fusione,  come  nel  toscano,  della  vocale  iniziale 
della  parola  con  la  vocale  precedente  d'uscita,  specie  dell'arti- 
colo, e  la  caduta  del  secondo  elemento  del  dittongo  risultante 
dalle  due  vocali.  Nei  verbi  la  fusione,  o  il  dileguo,  avvenne 
probabilmente  in  qualche  forma,  come  per  es.  nei  tempi  com- 
posti con  l'ausiliare  avere  {l'a^faJvTc  =  ha  avuto  ;  l' a^fajvf'rt  = 
ha  aperto),  e  poi  si  estese  a  tutta  la  coniugazione.  —  Per  la 
caduta  di  a-  in  forme  avverbiali,  come  tsadés  '  a  momenti,  fra 
poco  '  letteralin.  '  adesso  adesso  ',  destepó'k  '  poco  fa  '  letteralm. 
'  adesso  che  è  poco  ',  si  potrà  pensare  a  frasi  simili  a  queste  : 
ni  'liira  ^[a]d[e]sjcidés  '  verrà  a  momenti  ',  Ve  aridi;'  via^[a]des- 
tepok  'è  andato  via  poco  fa',  ecc.;  v.  però  anche  n.  155  ^ 

153.  A-  :  cont.  fn-h  fc-rha  cfr.  ser.  cn-bo  Pieri,  "  Dial.  d. 
Vers.  „  n.  122  acerbo  -a,  cont.  petit  (feinm.)  appetito  cfr.  n.  125, 
nime'l  -a  nn.  o3,  149,  150,  rogànt  rogànza  arrogante  arroganza^ 
maraska,  spdres  spaì'frra  spàragio  sparagiaia,  lodla  n.  141,  mo- 
rofa,  Dellna  Deltn  n.  148  Dele,  Delajde,  Nibàl  Annibale,  Xiballù 
Annibalino,  Smsja  Ascensia,  Ntinzjèda  e  Nunzjadrn.  n.  148^ 
renga  n.  71,  sPla  axale,  gnca  n.  45,  badia,  garja  gaggia,  siinia 


*  L'aferesi  è  meno  frequente  nel  nostro  dial.  che   non    nel  parmigiano^ 

piacentino  e  pavese.  Forse  in  antico  fu  più  estesa   anche   fra  noi  ;    ora   si 

tìota  piii  specialmente  nel  dialetto  della  campagna.  V.  anche  la   nota  se- 
guente. 


Studi  i^ui  (lialt'tti  r'^^;ziiiin  105 

11.  71^''^  p'tltnl  '  tabaociiio  '  da  '  appalto  ',  hotnja,  vnm  avena, 
slróìeg.  strohjr'r  '  almanaccare  ',  skolff'r  ascoltare,  skonder  '  na- 
scondere ',  (•/•/;•  aprire,  ìiiaiur  aninianiiiro  preparare,  dahvr'r 
■  aiiiiacquart'  e  annaftìare  ',  clorbf' r  regg.  adarber  (Vocab.)  ' 
•  pascer  d'erba  '  ctr.  it.  aderbare  (Petrocchi)  v.  anche  n.  164^""  i, 
parer  r  apparecchiare,  lapr'r  'allanipare',  iakr'r  attaccare,  drovr'r 
adoperare,  docr'r  adocchiare,  niazr'r  ammazzare,  rivr'r  arrivare, 
h'tjr'r  abliaiare.  sKsiìif'r  assassinare,  in  senso  figurato,  detto  di 
cose,  /}';/•  n.  -iXì,  drakr  '  di  clii  non  si  regge  bene  sulla  persona 
per  vecchiaia  o  debolezza  '  so  da  ad-arcuatu,  fsadés,  destepok 
n.  preced. 

K-.  I-:'  i'r/a  n.  84,  ìiniólnit  n.  ÒO,  VkÌkjHI  n.  110,  ìnikrnuja 
emicrania,  pitiifì,  e  pat'ìji  in  Madam  pataji  '  donna  grossa  ',  rejia 
eresia  cfr.  alucch.  rez)a  Arcli.  Glott.  XVI  4l:>,  rcmitu  n.  125, 
rh  II.  42,  ni(/((  eruca,  sàm  n.  OC»,  s'jt  asciutto,  veskoc  n.  48, 
]'i'ieHÌ  Eugenio,  rutf'r  er u e tar e, yj/^ó*  esibire,  s»yf'r  asciugare, 
splukr'r  ex  piluccar  e  Kort.-'  3455,  stirpe  r  estirpare,  strakr'r 
e  drnk  *  stancare,  stanco  '  Nigra,  Arch.  Glott.  XV  107,  strazP'r 
stracciare,  straceder  '  meravigliare  ',  straraijdnt,  straralir  sdraiato 
Aivh.  «ilott.  Ili  149,  V.  però  anche  Kom.  XXVII  201,  e  così 
tutti  i  casi  di  ex  -^  consonante,  come  nel  toscano.  —  Con  ae-: 
rn\it>i  II.  52,  morojda  cfr.  nioro'tide  Pieri,  "  Dial.  d.  Vers.  ., 
n.  122.  Mijjii  Emilia,  stimi;' r,  reditrr  ereditare  ;  con  oe-,  koìioinia; 
rondanlna  rondine,  taljàn  italiano,  stif/r'r  insti  gare.  cont. 
iioràfit  ignorante,  niz  se  da  initiu  n.  202,  V  -  (ijlT-,  Za- 
(  i  1 1 1  a  -,  st'-  (  i]  s  t'  -,  sto  -  (  i]  s  t  a ,  5/i  -  (  i  |  s  t  i  -,  stel  -  (  i  ]  s  t  a  e 
illae-,  XozT''nt  Xozénta  Innocenzo  -a. 


'  Nel  reggiano  l'aferezi  Ji  a-  par  m^'no  tVoiiu«  n'o,  se  si  giudichi  dal  Vocab., 
dove  troviamo  anche  apparciìr,  apparzìr  nuvoli,  par]}'»-  pareggiare,  «iti- 
itt'inir,  ahtpcr,  atlurtjurr,  (cion-iìr  e  sim. 


106  Malag.'.li, 

0-,  U-  :  i>kiinn'S  imbrunire,  skfir  '  bruno,  buio  ',  hJKd'n'i  '  ostia  ' 
obbiadino  (Petrocchi),  Ardi.  Glott.,  XV  503.  ràkoli  n.  102.  NorP't 
Onorato,  Tornio  Ottorino,  cont.  Dovardln  e  Dovardó'it  da 
Odoardo. 

na-  (una-,  n-  (unu-  [hu  rolla  una  volta,  n  Pier  un  altro)  : 
ciò  avvenne  probabilmente  in  fonetica  di  proposizione,  dopo  una 
vocale:  a  (/'  ('ra^fujna  rolla  '  c'era  una  volta'  e  sini. 

154.  Xon  avvenne  l'aferesi  della  vocale  iniziale  davanti  a 
r,  l,  m,  Il  -j-  cons.:  armàri  n.  11)1,  alhuia,  aùdPda  'avvio'  ih- 
brPga  imbraca,  Anderjih  Andi-oino,  Aiihro  f  Ambrogio.  Tuttavia 
in  fonetica  proposizionale  l'aferesi  o  meglio  la  contrazione  può 
farsi  anche  in  questi  casi,  specialmente  quando  vi.  sia  una 
stretta  unione  fra  le  due  voci,  come  fra  l'ausiliare  e  il  parti- 
cipio nei  tempi  composti  dei  verbi  ;  così  si  ode  /'  e  [aJùdPda 
■*  è  andata  ',  ma  non  mai  ùdP'la  da  sé  come  rPrta  aperta.  —  Si 
ha  prostesi  di  a  in  dPr  ame'iit  '  dar  retta  '  poi'idr  amp'iit  '  far 
attenzione,  '  cfr.  Par.,  Arch.  Glott..  XVI  137. 

155.  In  alcuni  nomi  propri  di  persona  come  lYnn  Tinìin 
Toìign  (Antonio),  SPliim  Salmo  ù  (Anselmo),  si  può  pensare  che 
in  vece  di  aferesi  si  tratti  di  accorciamenti  vezzeggiativi,  cfr. 
Meyer-L.,  '■  Gr.  it.  „  trad.,  p.  141  ;  e  ad  abbreviazioni  di  frasi 
fatte  e  comunissime  si  potrà  pensar  pure  per  le  forme  avver- 
biali deslepok,  tsadés  viste  sopra  nn.  152,  153. 

156.  An  ^  gutturale-  diede  in -\- giittiir.- :  iùgrila  anguilla, 
ingiirja  cocomero,  inko  n.  61,  ìnkora  ancora  n.  133,  ingór  '  ra- 
marro '  Flech.,  Arch.  Glott.,  Ili  160,  cont.  ingós  n.  44.  Il  fe- 
nomeno è  analogico  sui  numerosi  casi  di  in  -\-  cons.-  che  attras- 
sero a  sé  anche  incora  acciuga  ;  e,  più  oltre,  con  altra  vocale 
iniziale,  iiiherjp'g  ubriaco,  cont.  iùgvp'nt  urb.  ungvp'iit,  cont. 
ingoalir  '  render  il  terreno  pari,  uguale  ',  cont.  iùguri  '  auguro  ', 
inkiirPrsen,  inkagPrsen  da  inde-  Salv.,  "  St.  d.  fil.  rom.  ,.,  VII,  2. 
Dav.  a  dentale  intrp'r  Append.  h,  intradi  Testam.  1593  ;  e  dav. 


studi  sui  dialetti  reggiani  107 

a  labiiilo  i)ìj>oIi)ìa  ampollina,  iiifótcrsi')/  inlischiarsene,  inharhajer 
abbarbagliare»;  v.  Asc,  Areh.  Glott.,  Ili  442  sg. 

157.  Ac-  diventa  a-  in  ahréj  alucch.  abreo  ebreo  n.  151,  e 
i-  in  isti''  (masch.)  estate,  cont.  Tneja  Enea,  forse  per  dissimi- 
lazione favorita  da  analogia  di  suono  con  altre  voci  cfr.  Mkyek-L., 
'*  It.  Or.  „,  p.  82:  su  istp' ,  p.  e.,  può  aver  influito  iùvèren  ;  se 
pure  non  si  tratta,  per  entrambe  le  voci,  di  aferesi  incipiente, 
cfr.  Asc,  Arch.  Glott.,  Ili  449.  Mkrlo.  '•  Stagioni  e  mesi  „, 
p.  29,  n.  1. 

e)  In'terne. 

1.   rrotoniche. 
a)  Atoiio. 

158.  Presentano  i  seguenti  riflessi  : 

hit.     a-  »"-     e-^     1  (a\  (je)  ì-  o-^     o-     ìi-  iì- 

dial.  Il-     dileguo  in  sili.  ap.  ;  e-  in  pos.     i-     dil.  in  sili.  ap.  ;  o-  in  pos.    u- 

159.  A-  intatto  :  hadr'r  badare,  pa^r'r  pagare,  samf'r  scia- 
mare. ramP'r  cbiamare,  paner  paniere,  salnm  salame,  palàz  pa- 
lazzo, marnia  -  ;  Raiol  n.  locale  Terra  Bazoli  negli  ant.  docum. 
(da  ra-ji  '  spina  '  V)  malamente  italianizzato  '  Keggiolo  ',  (jrdlna 


'  il  Vocab.  regtj.  ha  anquiìlit,  angùrria  e  ingìir'ui,  arf/tirri  ramarro,  aiicióra, 
iDiì/jólla  e  impólla,  ma  incóó,  imherièg,  tngòss  ;  mancano  le  altre  voci.  Nel 
Feubako  p.  19  trovo  itigxèlla,  inguria,  ingossa,  incora,  inch,  impóllu,  imhas- 
sador,  imburbujar.  —  Per   inde,  in  fonetica  sintattica,  v.  nn.  161  e  162^13. 

'  I  vocaljol.  ital.  del  Rigutini-Fanfani  e  del  Petrocchi  non  fanno  diffe- 
renza di  signif.  fra  aìnarena  e  amarasca  :  nel  nostro  dial.  c'è  ditterenza  fra 
le  due  voci,  che  indicano  due  qualità  diverge  di  ciliege. 


108  Malacfòli, 

gallina  ;  kashfr  cascare,  skaiipr  r  '  campare,  vivere  ',  kante'r 
cantare,  salfr'r  saltare,  Jìanjc'r  allargare. 

Casi  particolari.  —  E-  per  a-  presentano:  seyrr'  'sacrato, 
luogo  sacro  davanti  la  chiesa  ',  cont.  lemmta  lamenta,  cont. 
lentfnia  lanterna,  skerpél  scalpello  per  assimilazione  ;  iermlr 
^  tarmare  ',  skernic  '  mingherlino,  che  stenta  a  crescere  ',  su 
irritili  tarme,  kn'en  Flech.,  Arch.  (ilott.,  Ili  126,  o  skfren 
scarno  ^  ;  rei]}n'  '  ravioli  ',  che  sarà  voce  importata,  su  rrva,  revjo't 
n.  164  ;  e/il  volg.  per  a/il,  voce  dotta,  su  efUi  '  esilio  '  pure 
dotto  ;  skerlàt  scarlatto,  d'origine  letteraria,  per  dissimilazione. 

0~  per  a-  si  ha  in  bolln  '  pallino  nel  giuoco  delle  bocce  ' 
per  effetto  di  contaminazione  di  *bal7n  con  baca.  Foló  per  '  falò  ' 
sarà  dovuto  ad  assimilazione. 

TJ-  al  posto  di  a-  si  ha,  pure  per  assimilazione,  nella  voce 
d'origine  dotta  sutàren  '  persona  che  sta  abitualmente  muta  e 
seria  '  da  Saturnu. 

Maina  manina  s'incontra  nello  scherzo  infantile:  Mnlna  ninlna, 
Ulna  blìna  --  grata  grata  formajlna,  dove  la  sincope  sarà  do- 
vuta probabilmente  al  ritmo  ;  come  riscontro,  ricorderemo  anche, 
per  quel  che  può  valere,  il  mant.  pnin,  Arch.  Glott.,  XVI  376, 
e  il  nostro  pzln  di  cui  al  n.  171. 

Apparenti  eccezioni.  —  ^nèr  è  dal  lat.  volg.  jenuarius, 
Merlo,  "  Stag.  e  mesi  „,  p.  99  n.  1  ;  dko  '  da  capo  '  Gorra,  Zs. 
f.  rom.  Ph,,  XVI  374  avrà  per  base  de-  e  non  da-  ;  sro  sré  ecc. 
'  sarò  sarai  ecc.'  postulano  ugualmente  e~  cfr.  ait.  sera  ecc.  ; 
fbgàz  e  Jbgazer  (piac.  spagass)  '  sgorbio  e  sgorbiare  '  vengono 
da   pix   picis  Flech.,  Arch.  Glott.,  Vili  392  s.  spegazar. 


^  Dobbiam  dire  però  che  skfren  e  raro  da  noi,  e  che  più  di  tinnii  è 
usato  kimoli  'tignòle'.  Per  la  serie  ar-  ^  er- ,  tanto  piìi  notevole  nel 
nostro  dial.  per  quel  che  si  dirà  nel  n.  161,  v.  anche  Arch.  Glott.,  XVI 
527  nota  1  e  qui  pure  n.  171. 


studi  sui  dialftti   reggiani  109 

160.  E-,  1)  La  nonna  è  la  sincope  in  sillaba  aperta  origi- 
naria, 0  divenuta  tale  per  abbreviamento  di  una  consonante 
lunga  (n.  Mie)  o  per  semplificazione  di  un  nesso  consonantico. 
2)  -Si  ha  invece  e-  in  posizione,  sia  pure  debole  : 

1)  cont.  ajrpoiiset  n.  141,  ajrhiit  'rimessiticcio',  (ijrhrha 
'  ribalta  '  ;  -ajrtàj  ritaglio,  rdrra  vedeva,  Jdii  seduto,  Jdaz  n.  40, 
mdem  mietiamo  ;  pfeca  petecchia,  stnùfa  settanta  ;  —  a/rknrdef 
*  ricordati  ',  njrkoji'r  '  "raccogliere  i  frutti  dall'albero'  col  curioso 
participio  ajrkjóf  -,  Ji/o/ia  n.  70,  Jyiira  n.  88,  dijiiin  tegame,  ìmjI 
'  malazzato  '  lucch.  bahico,  bijln,  hgóìì,  bget  da  bèg  n.  108  :  skrr 
seccare,  pl-r-r  *  beccare  "  e  anche  '  beccaio  '  n.  8:>  ;  —  ajrràm 
richiamo,  /geUi  seggetta  (semiletterario)  ;  reni  vecchi  no,  spcèr 
specchiare  ;  —  ajrfp'r  rifare,  ft/r/v''^  rovescio,  a /Irf'r  levare:  — 
bfrr  '  pesare  "  ;  ssanta  sessanta,  psìga  n.  22  nota  1,  ajinsr'l  mes- 
sale, tseved  n.  48  ;  diRn  n.  08''"^:  mrjù  'mezzolitro"  (diminutivo 
ipocoristico),  pzPv  '  rappezzare  ';  —  mjór  '  migliore  "  :  —  ;/;7-  '  ge- 
lare '.  lìdìna  '  parlar  mellitluo  ',  srèù  sereno,  zrejct  n.  84,  sj>rn- 
sperare,  nel  significato  di  '  guardare  attraverso  la  luce  le  ova 
per  conoscere  se  son  fresche  '  (ma  sperf-'r  n.  1G4  e  semidotto  nel 
senso  di  '  aver  speranza'),  breiid(ì  n.  7<>  ;  sìfv  'sellare  "  e  '  sellaio  ', 
vìu  n.  58,  stlPr  '  spezzare  '  (da  stela  =^  astella),  breta  berretta, 
trvz  terriccio  :  —  ajrmHer  rimettere,  dìiiaùda  '  domanda  ',  dwàn 
domani,  skmènza  semente,  tndja  tenaglia,  fnester  n.  148,  wnesfer 
ib.,  aJrnPga  *re-necat,  rjiPver  n.  81'''\  Vm;r  Venerio,  bìih't  be- 
nino ;  pìurii  '  grosse  penne  dei  volatili  ',  pnaza  '  uccello  di  molte 
penne  ",  .sv/ór  signore,  tàem  teniamo. 

2)  vrespr'r  '  vespaio  ',  serpe  ut,  tempesta  '  grandine  ',  cont. 
'erhhut  acerbetta  ;  —  dento  n  'grosso  dente',   dentèda   dentata, 


'   Ct'r.  ttrr/iiiji-r  in   Bo.sklli,    'J'csti  vntirhi  parmensi,  p.  40. 
*  Probabilmente  fu  priiiìa  *ark((Oj''(  (cfr.  coiet  e  o  11  e  e  t  ii ,  Ktinl.  Ist.  Lonib.. 
8.  II.  XXXV97(i).  «londf-,  per  infl.  analog.  (partir,  in  -óf  :   rizotoniclu'\  arkjót. 


110  Malagòli, 

ventàj  ventaglio,  tendina,  verdé'r  verdone  (uccello)  ;  —  perké, 
perkóin,  verge  ni  [ros  renjent  '  rosso  infocato  ")  ;  —  zercer  cer- 
chiare, serjé'nt  sergente;  —  sperei;' rs  perverso,  servir;  —perlina, 
zernir  cernere;  —  des-  da  dìs -\- cons.-  [desfp'r  'sciogliere, 
liquefare  ',  despPra  '  dispari  ',  destò'r  distogliere,  destender  di- 
stendere, ecc.),  bes-  e  ber-  da  bis  (e  ^er'ì)  -[-  cons.-  {beskò't 
biscotto,  berlósh  "^'-hìs  -t-  luscus  K.^  142-i,  berlela  diminutivo 
di  '  lecca  ',  fberloca  '  occhieggia  ',  berlnm  barlume  K.^  1422, 
/berldììza  '  altalena  ',  ecc.)  ;  —  lecrot  leprotto,  levrer  levriere, 
fevrlna  e  ferrefa  '  febbriciattola  ',  zedro/i  '  cetriuolo  ',  Pedrln 
Pietrino,  redrina  vetrina,  dedre    'didietro'  de  d (e) retro  n.  34. 

161.  Tracce  del  mutamento  di  e-  in  a-  dav.  a  liquida  [r,  l) 
si  hanno  in  markc  mercato,  marze  r  mereiaio,  marluza  merluzzo, 
fmarder  smerdare, /wa/'iv'  n.  218.  varsin  piccolo  verso  fatto  con 
la  bocca,  stranfid  con  metatesi  '  starnuto  ',  fvaltln  diminutivo  di 
fvèlt  n.  76,  salvàdeg  selvatico.  Salmo  h  n.  155.  Questi  casi  (altri  ne 
conserva  la  campagna,  come  sanjent  che  si  ode  anche  tra  il 
popolino  dell'interno,  sarpe  fd  e  sim.)  dovevano  essere  molto  piìi 
frequenti  in  antico  e  forse  costituivano  la  norma,  che  è  propria 
di  gran  parte  del  territorio  emiliano  (cfr.  Gorra,  Restori, 
Trauzzi,  Mussafia,  00.  ce.)  :  ora  l'influsso  della  lingua  letteraria 
ne  ha  tolti  parecchi  ^ 

Diversa  è  la  risoluzione  della  formola  atona  cons.  -\-  r  -\-  e  -\- 
cons.,  nella  quale,  avvenuta  normalmente  la  sincope,  si  sviluppò 
forse  dall'r,  secondo  il  n.  8,  er  che  si  conservò  sempre  :  perfon 
prigione,  pergp'r  pregare,  sterjo'ìl  stregone,  terfdj  trìfoliu 
K.^  9734,  sfernì  '  sfacciato  '  (senza  freno),  cont.  pertéitd  pretende^ 
terme  r  tremare,  terfé'M  trecento,  tervela  *fc(e)rebell  u,  kerpjó'n 
accrescitivo  di  krepja  n.  41. 


^  Anche  per  il  pamnigiano  il  Piagn.  p.  o9  n.  1  osservava:  "...  si  deve  al 
diffondersi  dell'istruzione  la  tendenza  a  ristaurare  sull'italiano  eerte  voci, 
come  erheti,  ecc.  ,. 


Stilili  sui  tliali'tti   lOirgiaiii  111 

Proprio  anche  del  nostro  dialetto  il  fenomeno  iit,  -\-  cons.-  da 
.  )t  -{-  cons.-,  del  quale  però  si  hanno  resti  piìi  numerosi  nel 
"  Vocab.  regg.  ,  e  più  ancora  nel  dialetto  parmigiano  cfr.  Gorra, 
11.41  ':  lii'i:i'/,  Carte  ant.  linzoli,  liiìzr'r  'spezzar  il  pano,  le 
ciambelle  e  siin.'  -  *Tnì tiare,  r'u'ikr'r  Flech.,  Arch.  (ilott.,  II  34, 
Minjoii  Mi/i(jii'i  Miiujct  Mi)i(ji}la  (alter,  di  '  Menico  ')  ;  cosi 
sempre  in  proclisi  :  </  i/ì^col  .^  '  ce  ne  vuole  ?  ',  ecc.  ■';  e  forse 
anche  a  questo  modo  si  spiega  /  iti  =  sono,  che  non  si  usa  mai 
in  esito  assoluto,  cfr.  Salv.,  "  Not.  intorno  a  un  codice  viscont.- 
sforz.  ,,  Nozze  Tipolla-Vittone,  1890,  p.  2.")  nota.  Ma  da  noi 
sempre,  almeno  a'  giorni  nostri,  oltre  deiitrda  e  feiìpesta  v. 
n.  prec,  sentir,  ventò/a,  \€ìì~la,  (feiitp'a  '  gentaglia  ' ,  bendàj 
nn.  197  e  286,  per  lo  quali  il  "  Vocab.  regg.  „  registra  le  forme 
con  in,  [Mnsr'y  parm.  pinsdr.  Anche  qui  le  forme  con  en  saranno 
dovute  all'intluenza  dell'italiano.  Hanno  an-,  san<jóf  '  singhiozzo  ', 
l'inbreca  '  embrice  ',  manvln  '  mignolo  ',  *mTnuinu  Arch.  Glott., 
XVI  375.  allato  a  nianiilù  *minuellinu. 

162.  Xella  fonetica  proposizionale,  in  principio  di  frase  o 
dopo  consonante,  le  voci  nelle  quali  avvenne  la  sincope  della 
protonica,  assumono  dav.  a  ;•,  l,  n  queilV^-  prostetico  derivante 
dalla  vocalizzazione  della  sonante,  che  è,  quanto  all'/-,  "  feno- 
meno di  esteso  dominio  e  di  varia  ragione  ^  Meyer-L.,  "*  Gr.  it.  „ 
trad..  p.  7S  :    a/nnn/i   remaneo    e    tutti   gli   altri  esempi  con 


'  V.  oni  PiAG.N.  p.  39  nota  1. 

*  N«?l  *er.  abbiamo  lenzxre  '  atìettare  il  pane  ',  che  il  Pieri  però  ricon- 
nttterebbe  con   lintea,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XX Vili  183. 

'  Non  !^i  ha  nel  nostro  dialetto  la  ripetizione  «li  in  propria  del  parrai- 
piano  il  quale  usa  p.  e.  nin  tot?  dove  noi  diciamo  iii  vot?=nii  vuoi? 
(PiAu.N.  p.  bl  nota  1)  ;  si,  la  riduzione  di  in  in  n  dav.  a  vocale  nel  contesto 
del  discorso:  «/ «' (- .>'*=  ce  n'è  V,  cfr.  n.  162'''»  ;  e  v.  pure  n.  156  per  i  com- 
ixjsti  di  inde-,  che,  considerati  oramai  come  semplici,  vogliono  essere 
accompagnati  dal  complemento. 


112  Malagòli, 

re-  per  cui  v.  sopra  (n.  160);  —  ajlvè'r,  ajlkp'r  leccare,  «jlier 
leggero,  ajlsla  n.  64  ;  —  ajNvP'r  'nevicare'  ait.  nevare,  ajniò' 
ajnvoda  n.  37,  ajntp'r  nettare. 

Secondo  il  Piagnoli  (p.  44),  che  studiò  il  fenomeno  nel  par- 
migiano, si  ha  in  questi  casi  la  prostesi  di  a  e  non  di  altra 
vocale,  perché  "  nel  contesto  del  discorso  la  vocale  che  piìi 
spesso  veniva  a  contatto  con  Z,  n,  r  iniziali  e  li  sosteneva  era 
l'-rt  „  specialmente  dell'art,  femm.  la  e  della  3''  pers.  pres.  sing. 
di  aver  ('/).  Questa  spiegazione  collima  per  l'appunto  con  quanto 
noi  dicemmo  sopra  (n.  152)  per  dar  ragione  dell'aferesi,  ma  ci 
sembra  insufficiente  a  giustificare  il  fenomeno,  che  si  restringe 
alle  sonanti  e  che  per  a]r-,  ajl-  va  forse  connesso  col  muta- 
mento di  -er-,  -el-  in  -ar-,  -al-  di  cui  nel  numero  precedente. 

È  da  aggiungere  poi  che  non  solo  davanti  a  r,  l,  n,  ma  anche 
dav.  a  m  abbiamo  alcuni  esempi  di  a  prostetico.  Questi  sono: 
ajmdaja  medaglia,  ajmsóra  '  falce  messoria  ',  pei  quali  può  va- 
lere la  spiegazione  del  Piagnoli  per  a]l,  ajn,  ajr,  e  ajmsr'l 
(masch.)  '  messale  '  che  resta  piii  oscuro.  Negli  altri  casi  di 
sincope  da  me-,  non  si  ha  la  prostesi  :  nwn'  menare,  ìnrjn  n.  160, 
mima  ib.,  mlm  lucch.  mellone  '  popone  ',  mloìièra  '  campo  colti- 
vato a  poponi  e  a  cocomeri  ',  mnTida  n.  14§. 

Per  (iksé  v.  n.  178. 

Davanti  a  d^cons.  da  de-}-cons.  si  ha  prostesi  di  e-: 
e]d  Peder  '  di  Pietro  '  (forse  dal  frequente  V  e  d  Peder  ^  è  di 
Pietro),  ejdmàù  domani  (forse  da  unioni  come  iùko  e  dmàn  = 
oggi  e  domani). 

Così  davanti  alle  particelle  atone  pronominali  e  avverbiali 
m,  t,  s,  r,  (j,  seguite  da  parola  in  consonante,  si  ha  prostesi 
di  e-  nelle  interrogazioni,  dove  la  particella  è  in  principio  della 
frase  : 

emji-redel  ?  (anche  umji-redel  ?)  mi  crede  ?  ;  ma  dav.  a  voc. 
minhrojel  ?,  ecc. 


stadi  sui  diiilotti  reggiani  113 

et^krcdel  f  ti  ciede  ? 

ekkredel  ?  gli  crede  ?  (Por  ck\  e  piìi  sotto  ef.  da  eg  ev, 
dinanzi  a  sorda,  v.  mi.  217  e  oKi.) 

eskredel  r*  ci  crede  y 

ef^kredel  ?  vi  crede  ? 

ekjx-redel  ?  crede  a  loro  ? 

e(f^v<ì(jja  ?  ci  vado  ? 

egji'Pt  ?  ci  vai?',  ecc. 
162^'"''.  Continuando  il  discorso  intorno  al  trattamento  delle 
particelle  atone  nella  proposizione,  notiamo,  sebbene  non  tutto 
-ia  qui  a  suo  posto,  che  si  ha  : 

1)  te  davanti  a  un'altra  particella  a  cui  segua  parola  in 
consonante  :  te^nì_,kred  mi  credi,  tejkred  ti  credi,  fe^kkred 
gli  credi,  teskred  ci  credi,  ecc.  ;  ma  t_m  ^inhro'j  acc.  al  più 
raro  te   m'   inhroj.  ecc. 

2)  le  per  /  'lo'  dopo  al  'egli':  al^le^vol  lo  vuole,  aljle^kred 
o  sim. 

3)  ne  per  n  '  non  '  dopo  al  :  al^tie^ròl  non  vuole  ;  e  dopo 
a,  {.  te  se  al  ?ie  segua  un'altra  particella  e  a  questa  una  con- 
sonante :  a_ne^g_,n'^e  '  non  ce  n'è  ',  ij>ie^gjn'_àìi  '  non  ce 
n'hanno  ',  te^ne^sjcò  '  non  ci  vuoi  "  (in  questi  ultimi  casi  però 
si  usa  anche  n.  specialmente  se  l'accento  di  proposizione  è 
protratto  di  una  sillaba  :  a^n^y  Jti^&^mlga,  i  _n  ^g  _ìi'  ^dn  ^ntlga , 
te^n^sròjmlga). 

Questo  e  analogico  si  riscontra,  per  comodità  di  pronunzia, 
in  alcuni  altri  aggruppamenti  consimili,  come  sarebbe  sjte^vó^ 
nir  acc.  a  sjt^vo^iiir  '  se  vuoi  venire  '.  All'analogia  si  dovrà 
pure  l'alternarsi  dell'g  con  Va  dav.  a  n  in  principio  di  frase  : 
an^kreder   mlga  e  enjcreder^)nlga  'non  credere';  ma  nel  con- 


'  Il  reggiano  e.stende  tanto  l'uso  di  questo  e  da  servirsene  anche    invece 
di  a  '  io  '  :  e  di_g  per  a  dijf. 

Anhivio  Rlottol.  ital.,  XVII.  H 


114  Malagòli, 

testo  del  discorso,  con  t,  sempre  e  :  te^n^vo  '  non  vuoi  '  :  il  die 
fa  credere  che  qui  abbiamo  la  conservazione  della  forma  pron.  te; 
lo  stesso  potrà  dirsi  dei  casi  di  ìe  accennati  sopra  :  tejinjkred 
(anche  t'^ìon^kred  sul  modello  um^kredet  ?),  tejt^kred,  ecc. 

Un  trattamento  particolare  hanno  le  cong.  se  e  ke  -\-  cons.  : 
esse  restano  intatte  quando  siano  seguite  immediatamente  da 
una  forma  pronominale  tonica  :  se  me,  se  ti,  se  In,  ecc.,  ke  me, 
ke  ti,  ke  In,  ecc.  ;  vengono  invece  sincopate  quando  siano  se- 
guite da  particelle  atone  :  sjt'  jinde!v  '  se  andavi  ',  s^t^vd  acc. 
a  sJte^vQ  (v.  sopra)  rarissimo  sejt^vq,  kji'  jxndéva  'che  andava'. 
Non  si  ha  la  sincope  di  se  e  ke  dav.  ad  altre  parole  comincianti 
per  conson.  :  se  Peder,  se  Vizenz,  se  dmatJna,  ke  Pèder,  ecc.  ;  e 
non  è  nemmeno  d'uso  eliderle  dav.  a  vocale,  se  non  si  tratta 
di  particelle  pronominali  :  s^ jii_vrl  '  se  volete  ',  ma  se  Aiibrof... 
se  Ambrogio...  —  Con  t,  avviene  l'ellissi  del  ke:  a^voj^t^ve/i 
acc.  al  men  comune  aji'ojJ<:eJt^ven  '  voglio  che  tu  venga  ', 
ijdlfenjtjvè^via  '  dicono  che  tu  parti  ',  al^dfij^iìev  '  disse  che 
tu  venivi  '.  Può  farsi  la  domanda  se  qui  si  tratti  d'ellissi  di 
ragione  sintattica  o  fonologica  :  io  propenderei  per  quest'ultima 
spiegazione,  perché  con  nessun'altra  particella  pronom.  si  ha 
l'ellissi  del  ke  nelle  stesse  condizioni  ;  fonologicamente  invece 
non  è  difficile  comprendere  come  in  un  gruppo  di  tre  o  più 
consonanti  potesse,  per  comodità  di  pronunzia,  cadere  quella  di 
esse  che  meno  era  affine  alle  altre,  cfr.  n.  307.  —  Sono  appa- 
renti le  forme  sa  e  ka  nei  dialetti  nostri  per  se  e  ke;  si  tratta 
in  tali  casi  di  unioni  di  s  e  k'  alla  partic.  pronom.  a  :  s'_a__irl 
(v.  sopra)  non  sajvri,  a^kred^k'^a^sia^vera  non  ka^sia^vera. 
Cosi  es  (cong.)  da  e  si,  Salv.,  Arch.  Glott.,  XIV  266  n.,  e  non 
esa  (da  cui  forse  il  consociativo  march,  e  romagn.  sa,  Salv., 
Jahresb.,  IV  163,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXX  81),  è  da  intendere  in 
frasi  come  :  al  g'  era  lu  e  s'  a  g'  era  me,  a  g'  <'  al  sol  e  s'  a 
pjov,  V  e  bel  e  s  V  e  boii,  proprie  anche  del  parmigiano,  v.  Bo- 
SELLi  in  PiA(iN.,  n.  142. 


Studi  ^ui  dialetti  reggiani  115 

163.  Dopo  palatale  troviamo  ij-  in  vece  di  ej-,  parallela- 
mente a  ciò  che  si  vide  per  la  tonica  n.  89,  in  cont.  siston 
urb.  zeston  cestone,  cont.  ìnajistnna  urb.  maistrlna  '  maestrina  '. 

Per  influsso  di  labiale  abbiamo  uj-  per  e]-  nel  cont.  (jnmhjè'l 
urb.  (jrc)tbji;'l  grembiale,  in  muljpga  '  albicocca  '  dove  si  potrebbe 
anche  vedere  una  contaminazione  con  miij  specie  di  frutte  che 
son  qualcosa  di  mezzo  fra  le  susine  e  l'albicocche,  e  in  hustrlya 
'  lavoricchia  '  se  connesso  per  la  prima  parte  con  la  serie  ven. 
bisecar,  piac.  bsuga,  ecc.,  di  cui  il  Xioha  in  liom.  XXXI,  p.  123, 

164.  Casi  particolari:  1)  Tn  sili,  aperta  originaria  o  secon- 
daria, talvolta  si  conservò  la  voc.  atona,  la  quale  o  rimase  e-, 
o  cambiò  colore  trasformandosi  in  a-  dav.  a  r.  l,  in  i-  dopo 
palatale,  in  h-  dopo  labiale,  o  si  assimilò  alla  tonica,  o  se  ne 
dissimilò,  per  le  ragioni  seguenti  : 

a)  Aìudoyia  sulle  rizotoniche  :  metèva,  nieténi  e  sim.  su  meter, 
met,  ecc.,  ce/ina  su  ce/a  n.  84,  letliì  su  lef  n.  41,  redlna  su  reda 
n.  35,  radela  '  membrana  reticolata  che  involge  le  interiora  e 
gli  intestini'  che  avrà  Va-  per  dissimilazione  se  da  *retella 
(normale  invece  Va,  se  si  accetta  l'ipotesi  del  n.  206)  ;  sarè'r  su 
sèr,  Sf;ra,  ecc.  n.  110;  pig{''i\  ^i'9(''t'  su  plya,  llga  n.  114  ma 
v.  anche  qui,  sotto  e,  zivè'r  ait.  cibare  '  mangiare  '  su  z'iv  n.  89, 
zirl'ù  '  cerino  ',  ziro't  '  cerotto  '  su  zìra  ib.  (regolare  zrón  '  ce- 
rone')  ;  didì'/ì,  dido'z,  dido'ìì  su  dì  n.   95. 

b)  Contaminazione  :  sifPrca  cicerchia,  dove  si  avrà  l'immi- 
stione di  slf  ;  sino  '  sennò  '  cfr.  lucch.  iìisinó,  antica  confusione 
della  prima  parte  se  con  si,  oppure  da  spiegare  come  ligè'r, 
lidàin,  ecc.  v.  sotto  e;  cont.  sifoì'  cesoie  (caedo  caesum), 
se  pure  non  va  sotto  i  K.''  2217,  forse  per  influenza  di  cont. 
simf'r  urb,  zimf'r  cimare  ^  ;  himf'ga  M.-L.,  "  Gr.  it.  „  trad.,  p.  64; 


'  In  sijT/r  e  nije/ca  la  sincope  mancata  potrebbe  spiegarsi  anche  per  la 
difficoltà  fonetica  di  pronunziare  il  nesso  zf  o  altro  succedaneo  ;    l'i-    poi 


116  Malagòli. 

iigo'rd  Inceli,  bignrdolo  (Ardi.  Glott.,  XII  128)  '  filo  attorto  a 
più  capi  '  su  cui  potrebbe  aver  influito,  per  somiglianza  di 
figura,  bigol  [bom|byculu  n.  49  ;  zerm'f  '  chùgÌR',  dove  sarà 
da  veder  forse  l'influsso  di  zener  n.  72  e  di  borni'/  cfr.  un.  169 
208  e  294  \ 

e)  Origine  dotta  o  forestiera.  — •  Son  voci  dotte,  con  e-, 
regàl  n.  101,  legitim,  fede'l,  spere  r  n.  160,  seton  setone,  setenber, 
petegla  n.  81''^^  dener  (nel  giuoco  delle  carte:  l'us  ed  denP'r 
=  l'asso  di  denari),  demoni  e  cont.  demoni  n.  132,  demani  n.  146, 
devo't  n.  132,  debà'  cont.  dabà'  per  assimilazione,  Pjemo'nt  cont. 
PJanio'nt  alucch.  Piamente  per  attrazione  della  serie  piìi  nume- 
rosa pja-  {pja/é'r,  pjanièva,  pjaii  pjanl'n,  pjagó'n,  ecc.),  depojit  ; 
con  i-,  diséd  disegno,  dicenber,  minister,  stivai  n.  101,  cikórja, 
civì'l,  ritrai,  bivàk.  Semidotte  posson  considerarsi,  con  a-  dav, 
a  l,  r,  paUgra  pellagra,  niarola  midolla  cfr.  Goid.,  "  Ditt.  rom.  „, 
p.  171  ;  con  la  vocale  atona  dell'ital.  letter.  ma  con  mutamenti 
nella  tonica  o  nel  consonantismo,  zigrla  cicala,  ziveta  civetta, 
zimo'r  n.  132,  pitàfi  e,  per  assimilazione,  patàfi  n.  153,  rizeta 
ricetta  ;  con  i-.  da  palatale  precedente,  Ci/ira  Cesira,  CicUjci 
Cecilia,  girani  geranio;  per  assimilazione,  spidir  spedire,  Fill'f 
Felice,  Kikì'n  Cliecchino,  e  —  lo  dico  molto  dubitosamente  — 
forse  anche  strik/  (perf.)  strikis  (impf,  cong.),  ecc.,  donde  poi 
strikè'r  e  le  rizotoniche   con    i    n.  112  -  ;    per    contaminazione. 


in  vece  dell'e-  sarebbe  dovuto  alla  palatale  precedente.  Ma  noi  non  vor- 
remmo basarci  sulla  ragione  del  nesso  difficile,  che  è  troppo  comoda  e 
poco  plausibile  per  i  nostri  dialetti  i  quali  non  rifuggono  da  incontri  molto 
aspri  0  trovan  modo  di  appianarli  senza  conservar  la  protonica. 

^  Per  una  connessione  col  Inceli,  cenerigia,  v.  Salv.,  Ardi.  Glott.,  XVI 
434  n.  1. 

^  Iti  di  strihe'r  si  spiegherebbe  forse  meglio  da  una  propagginazione 
dovuta  alla  palatale  di  *strigicare  >  *stre\g(i)care  donde,  regolar- 
mente, strihe'r  (cfr.  Gehih  >  Git^h  n.  185). 


studi  sui  dialetti  reggi:nii  117 

ritilra  {-f- fui  ?)  seppure  non  è  un  compromesso  fra  il  termine 
dialettale  regolare  ftrtra,  ora  fatto  raro,  e  l'italiano  letterario 
vettura  con  aftievolimento  dell'^?-  in  i-  ;  e  cosi  potrebbero  spie- 
garsi anche  nisTfù  n.  US'"'*  (invece  di  ajnsiin  sec.  il  n.  162),  cont. 
lidàiH  urb.  ìedùìn  letame,  cont.  lifie')'  leggero  acc.  all'urb.  le<jer 
e  al  più  comune  e  regolare  ajlrjyr,  o  forse  Ufii'r  se  non  si  voglia 
ammettere  l'influsso  analogico  di  pu)(''r  n.  114  '.  Effetto  di  un 
compromesso  con  la  forma  italiana  potrebbe  pure  essere  higón- 
bigoncia.  Con  o-,  abbiamo  roìign  dal  francese. 

Imprestiti  dialettali  forse  detut  sostantivato  per  indicare  '  tutto 
ciò  che  può  occorrere  '  di  fronte  al  regolare  edjtnt  agg.  e  pron., 
e  zigola  cipolla  (cfr.  kavol,  fravol,  ecc.  n.  104). 

164^'"*.  2)  In  posizione  :  meno  numerosi  i  perturbamenti. 
a)  Anzitutto  degni  di  menzione  i  casi  di  re]  -  venuti  ad  ajr-, 
anche  in  sillaba  complicata  e  in  posizione  debole  :  ajrskfida 
riscalda,  i(]rsk<kl  n.  51,  ajrstopja  ristoppia  (v.)  ;  —  a/rkréd  ri- 
crede, ajffreda  '  raffredda  '.  Il  fatto  che  soltanto  re]  -  e  non 
anche  lej-  ne]-  )n,e]-  ebbero  questo  trattamento,  induce  a  cre- 
dere che  qui  si  abbia  un  fenomeno  d'analogia  sui  moltissimi 
composti  con  re-  in  sili,  aperta.  Reste' r  -,  risponder,  rispósta, 
rispfrmi  e  sim.  saran  dovuti  all'influsso  dell' ital.  letterario.  In 
revjot  forma  rimaneggiata  invece  di  ajrvjot  '  piselli  '  sarà  forse 
da  vedere  una  contaminazione  con  rèva  rapa  ^. 

h)  Altre  contaminazioni:  dorbP'r  n.  153  che  avrà  o-  invece 
di  a-  (da  e-  dav.  a  ;•)  per  contaminazione  con  altre  parole  d'uso 
comune  che  cominciano   per   dor-  come   dormi' r   e   sim.  ;  cont. 


'  Nello  stesso  modo  potranno  forse  dichiararsi  i  parm.  ni(/oci,  inìmoria, 
spiranza,  ecc.  nella  Catlenna,  Boselli,  Testi  antichi  parm.,  pp.  60-66,  e  in 
PiAGN.  p.  42  n.  1  ;  e  i  boi.  Dilenna  e  sim.  Trauzzi  n.  62. 

"  Arstar  ò  nella  Catìfnna,   Boselli,   7V.s<i  ant.  parm.,  p.  73. 

'  P«'r  un'altra  ^spiegazione  di  revjv't  v.  Boselli  in  Piagn.  p.  45  nota. 


118  Malagòli, 

sukvp't  (urb.  sekre't)  segreto,  voce  dotta,  dove  potrebbe  anche 
spiegarsi  Y  u-  per  effetto  della  gutturale  ;  cont.  viljo'n  (urb. 
veljoìì)  veglione,  se  pure  non  si  preferirà  veder  qui  un  altro 
esempio  di  aftievolimento  come  in  lidàm,  ecc.  n.  164  e. 

e)  Assimilazioni  e  dissimilazioni  :  visti' r  e  visti  '  vestire  '  e 
'vestito'  (con  e]-  sempre  i  derivati  di  vesta,  come  vestina  e 
sim.)  1  ;  listés  (avv.)  cfr.  tose,  listesso,  seppure  va  qui,  sarà  forse 
l'istés,  dove  l'i-  si  potrà  spiegare  per  dissimilazione,  come  già 
in  iste  ,  cont.  Ineja  n.  157. 

d)  Voci  letterarie  :  dispét,  difgu'st  cont.  defgu'st,  difgràzja 
cont.  def grazia,  bijlàk,  hiJU/ng  per  cui  potrebbe  valere  il  ragio- 
namento già  fatto  su  bigóni  n.  164  e,  mincgn  -  se  non  è  fatto 
su  mirica  n.  70  o  non  cade  sotto  il  n.  161. 

165.  ì-  resta:  plf'r  filare,  ^irf'r  tirare  (^m-  è  da  tra  bere). 
finir  finire,  pileta  dim.  da  pila,  fimo'))  *timone  Par.,  Arch. 
Glott.,  XVI  145,  ridilda  '  risata  ',  fri/o  n  fri  s  io  ne  Arch.  Glott.. 
XVI  145,  grilànda  ghirlanda,  vindlm  n.  96;  'ipiz()n  piccione, 
picer  picchiare. 

Casi  particolari.  —  Boro' ti  mod.  hiròn  '  tappo  '  Arch.  Glott.. 
II  313  e  sgg.  (v.  però  anche  Rom.,  XXVII  222,  Arch.  Glott., 
XIV  294)  è  dovuto  ad  assimilazione  ;  —  avfl'n  vicino  sarà  da 
*vecinu  per  dissimilazione  Par.,  Arch,  Glott.,  XVI  145,  op- 
pure regolarmente  da  una  base  *vìcinu  K.'-^  10146  {Va-  pro- 
stetica  si  può  spiegare  con  la  forma  avverbiale  *ad-vicinuni 
cfr.  Trauzzi,  "  Dial.  boi.  „,  §  51);  —  dfeva  'diceva'  potrebbe 
essere  analogico  su  vdeva  vedeva,  vreva    voleva,   preva   poteva. 

Parola  importata  sarà  pdf»  ■•'pineoli,    frutto   non   indigeno, 


*  Da  visfir,  visVt,  visti  s  e  sim.  si  estese  Vi-  anche  alle  poche  altre  forme 
della  coniug.  dove  non  si  aveva  i  nella  sillaba  seguente:  i-iftéin,  vistema  e 
sim.  —  Vesta  al  contrario  con  vestqna,  ecc.  impedì  l'assimilazione  in  restlna. 

^  Il  dialetto  usa  piii  sposso  e  volentieri  kojò'h 


studi  sui  dialetti  reg<:riiiiii  119 

come  non  è  propria  del  nostro  suolo  la  pianta  che  lo  produce. 
Con  pilo,  ci  si  consenta  di  mandare  anche  piiaia  n.  40. 

166.  0-.  1)  Normale  anche  qui  il  dileguo,  come  per  e-,  in 
sili,  aperta  originaria,  o  divenuta  tale  per  abbreviamento  di 
una  cons.  lunga  o  per  semplificazione  di  un  nesso  consonantico  ^ 
Con  questa  differenza  pero  nei  risultati  che,  essendo  le  parole 
con  0-  in  minor  quantità  di  quelle  con  e-  (si  pensi  soltanto  a 
tutti  i  composti  con  re-),  si  ebbe  per  conseguenza  una  più 
scarsa  diffusione  del  fenomeno,  donde  forse  una  minor  forza  di 
resistenza  all'influsso  analogico  che  assottigliò  ancor  pili  il  nu- 
mero dei  casi  regolarmente  sincopati. 

A/ldcig  ted.  Ludwig  (cfr.  le-^a]l~  n.  162);  —  cont.  «Jrdónd 
acc.  all'urb.  letter.  rotónd  ^  ;  —  pk('n)  boccone  ^  ;  —  kirrta  co- 
perta, kin-ò  coperchio,  gveren  governo,  gvirna  governa,  custo- 
disce, ^vdn  Giovanni,  ajrvma  cont.  accanto  all'urb.  letter.  ro- 
nna  ;  —  plón  pollone  della  vite,  klonb  colombo,  due  volutulu 
n.  45,  ajrìój  se  da  */-o-.  cfr.  sopra  ajrdónd  e  nota,  kmsi  n.  137, 
kroda  *corrotat  Ardi.  Glott.,  II  337-338.  v.  anche  qui  nn.  174, 


'  Il  Plagnoli  non  ammette  un  dileguo  normale  di  o-  nell'emiliano;  egli 
pensa  —  a  torto,  mi  sembra  —  che  si  tratti  di  pochi  casi  sporadici  (p.  13). 
Eppure  gli  esempi  già  addotti  dal  Mussafia  ijer  il  romagnolo  n.  112  nota  1 
erano  sufBcienti  a  stabilire  il  contrario  o  per  lo  meno  a  indurre  in  sospetto. 

'^  Per  ardónd  e  arlój  (v.  sotto)  si  può  ammettere  lo  scanibio  di  re-  per 
)■(>-.  favorito  dalla  dissimilazione;  ma  Aldvtg,  avvina,  armo'r,  «n^Mrt  (per 
\'o-  supposto  in  queste  due  voci  v.  M.-L.,  rid.  it.,  p.  66)  come  si  spiegano 
meglio  che  con  la  sincope?  11  parmigiano  ha  anche  aurei  novello  Piacìn. 
)).  40  nota  2,  p.  45  nota  1. 

■'  11  PiAG.N.,  p.  40  nota  3,  si  domandava  se  in  ^jcon  non  era  da  veder  Tin- 
liuenza  di  pcudu  :  ma  questa,  aggiungeva,  a  maggior  ragione  avrebbe  do- 
vuto agire  su  bocada.  Non  possiamo  consentire  col  Boselli  che  pensa  a 
<lÌ5similazione  (p.  40  nota  3).  Nemmeno  pare  che  si  debba  la  sincope  all'» 
■rimologico,  il  quale  diede  la  vocale  breve  in  sili,  tonica;  perché  si  ha  il 
lilt'guo  anche  con  ó  {blonb.  rive,  kverta,  dmehr^a,  kmùua,  ecc.). 


120  Malagi.li, 

238,  Z/nA:  '  montone  '  se  da*bo-  v.  n.  16!);  —  7'/>«('/ Tommaso, 
kmèder  'comare',  kmdnda  comanda,  cont.  Kmfma  Comune, 
(jnif}}'  vomeriu,  cont.  dmeuf/a  (acc.  al  lettor,  dommika)  che 
vive  solo  oramai  nel  proverbio  r^óhja  ecc.  n.  14!),  e  forse  anche, 
se  da  *ro-,  cont.  ajrmg  r  rumore  e  ajrmiàa  n_.  72,  k'iios  conosco. 
Per  contro,  vedremo  l'influsso  analogico  nell'o-  dei  verbi  con 
l'infinito  bisillabo  tronco,  come  roU'r  volare,  soler,  dolf'r  '  pial- 
lare, dolare  ',  koU'r,  domP' r,  korp' r,  fon;'?',  ecc.  (su  rijl,  vola, 
colen,  ecc.)  :  è  sincopato  soltanto  vrPr  volere,  spesso  proclitico, 
su  cui  si  modellò  /jrer  '  potere  '  K  Nello  stesso  modo  potremo 
spiegare  yoloj  su  gola,  moro'/  e  moro/a  su  amor  -',  korét  coretto 
su  koro,  Poló'n  su  yapoleon,  se  pure  non  son  d'influenza  let- 
teraria ;  pomìn,  pornò'n,  pomera  su  j)om  n.  70,  inolili  su  ìiiola, 
voladga  n.  40  su  vola  voìp'r,  sorela,  sorìna  '  cinciallegra  ',  sorfiza 
'  gufo  '  su  sor  n.  148,  kovTù  codino  su  kova  n.  63,  lovln  lupino 
su  Igv,  rodona  '  grossa  ruota  '  su  roda,  morél  '  paonazzo  ',  moréf 
moretto  su  moro  n.  150,  cont.  nonanta  urb.  novanta  su  ngv  nove, 
novent  su  tiov  nuovo,  do/e  ut  duecento  su  du  do  nn.  61^^^-62, 
podaja  '  pennato  '  su  pòda,  podp'r,  sotàna  sottana  su  sola  n.  44, 
hotàz  {botazo  Inventario  del  1493)  '  bottaccio  '  Cavassico  II  359 
su  bota,  boklìì  bocchino,  bokàza  bokcda  ^  su  boka,  boema  bocima 
su  bóca,  bozeta  '  boccetta,  piccola  bottiglia  '  su  b'oza,  pohister 
*  pollo  '  forse  su  polfin  '  pulcino  '  ;  smoledeg  '  lubrico  '  *molli- 
ticu  su  ìHoj  o  molfin,  solebi  'soffice,  sello'  forse  su  solere', 
niosln  moscerino  su  moska,  sojgla  '  bigoncia  '  su  soj. 


'  Psl  potete,  Rana  11,  non  e  veramente  Jiovellarese,  ma  reggiano  ;  come 
])sèr  potere,  che  si  spiega  pure  in  proclisi. 

^  Il  bolognese  e  il  romagnolo,  in  cui  è  sempre  più  spiccato,  come  di- 
cemmo, il  fenomeno  della  sincope,  hanno  mrnus. 

^  In  bokeda,  sinonimo  di  '  morso  ',  è  sempre  viva  l'idea  di  bocca  ;  invece 
in  pkpi,  sinonimo  di  'pezzo',  si   perdette    la   coscienza  della  derivazione. 


Stiuli  <iii  iliivli'tti   ri'fi'iTÌ,^i,i  ll'I 

Soii  voL-i  letterarie  o  semilettei'ario  o  imprestiti  dialettali  : 
ihxìr'r  11.80.  nioìiPda  moneta,  koronc,  koìoita  n.  l:')'),  roj'óli  ro- 
solio, koììietii  11.  ll:>,  kroriìta  cravatta,  robì'isf,  botp'r  n.  :>'),  po- 
iPiìi r  il).,  Ixodu//  cotogno,  polenta,  botPga  n.  o5  :  kopél  antica  mi- 
sura (li  capacità  capello^  Lib.  stat.  18,  boOj'n  ^  bottone,  dotar 
dottore,  koràin  [cortoiie  Moiium.  delle  Meni,  del  padre  \\  Maria, 
Ilo)  'cuoio'  e  forse  anche  ìiiojp'r-  moglie. 

•J)  In  posizione,  0- resta  sempre:  fonnlg((  formica,  forkp' 
{forcato  Invent.  del  1493)  'forca',  ronklna  'roncola',  morsél 
'  rotolo  di  tela  '  ',  kosfera  '  solatio  ',  koston  'costola  delle  foglie' 
e  anche  '  t(')rsolo  o  fusto  di  certi  erbaggi  come  il  cavolo  e  sim.  ', 
most(U  *  faccia,  mostaccio  '  Cavassico,  II  380,  skoniubja  '  molti- 
tudine '  Flech.,  Arch.  Glott.,  Ili  131,  morfp'l  '  mortaio  '  ;  kodrhi 
n.  7J,  lodrét  '  imbuto  '. 

167.  L'o-  protonico  che  leggermente  differisce  dall'o  tonico 
perche-  meno  breve  e  un  po'  più  aperto  n.  7,5,  è  una  caratte- 
ristica della  nostra  parlata,  specialmente  dell'interno,  che  si 
distingue  dagli  altri  dialetti  reggiani  contermini  (Campagnòla 
e  Correggio)  i  quali  hanno  n-  di  regola;  e  anche,  sebbene  in 
minor  misura,  dalle  varietà  della  campagna,  dove  0-  in  pa- 
rt-cchie  voci  si  oscura  fino  a  diventare  u-,  come  in  pulenta, 
ntu/Pra,  kirnieta,  kuuìjp'  '  sfratto  '  alucch.  cumiato  Arch.  (jrlott., 
XVI  403  (urb.  Z-e/«yr',  assimilazione)  commeatu,  Kìditnt  {nvh. 
Koiip'nt)  Cognento,  villa  nel  comune  di  Campagnòla,  kunslnzja 
■oscienza.  tidPva  (urb.  tolPva)  toglieva,   Tiirln  Torino. 

Alcune  di  queste  voci,  è  vero,  hanno  nella  seconda  sillaba  i 


'   11  ri'>^<,naiio  ha  tlialetizzato  interamente  la  parola:  ptPin. 

'  11  popolo  usa  .spe.sso  dona  per  'moglie'. 

^  In  alouni  statnti  medievali,  torsello  pannot-itm  di-  Fr((nria  (IJai.i.etti. 
Ordinninntti  (iii'imiuri  nell'età  dei  ('oiniini,  in  (ìiorji.  degli  Kconomisti, 
XXIX.  1>7). 


122  Malagòli. 

o  cons.  -\-  i\  e  in  tal  caso  anche  l'interno  osserva  generalmente 
la  regola  che  vale  per  il  toscano  M.-L.,  "  It.  Gr.  ,,,  §  124.  Cos\ 
son  propri  di  tutto  il  territorio  ;  kufjr  cucire,  kuflna  cucina. 
kusln  (ma  cosino  Invent.  del  1494)  cuscino,  buri' r  n.  80,  pulì' 
pulito,  sbuplì'r  acc.  a  scoplì'r  '  scoppiettare  "  Flech.,  Arch.  Glott., 
Ili,  129,  siU'i'l  sottile,  rufij  ^rosicali,  skurjfda  'frustata' 
Pak.,  Arch.  Glott.,  XV  75  s.  scoria  ^  kucp'r  cucchiaio,  che  può 
partire  però  da  una  base  con  u,  M.-L..  '•  Gr.  it.  ,,  trad.,  §  69, 
kucer  '  cocchiere  ',  kii/iff  cfr.  luech.  e  pis.  citgnafo  cognato, 
kiinzer,  kncer,  sfriicr'r  cfr.  però  n.  1-U  ;  ma  roffdu  'piogge- 
rella' regolare  con  o-  se  da  ""ar|  rosata  come  il  frane,  arroser 
inaffiare.  Le  deviazioni  con  o-,  che  iii  simili  condizioni  abbiam 
visto  sopra,  potranno  considerarsi  dovute  ad  analogia  sulla  to- 
nica (p.  es.  scoplì'r  su  scópUi,  kon  it  n.  prec,  no/fu  nocino  su 
no/  n.  37,  ecc.)  o  sui  numerosi  casi  in  cui  rimaneva  regolar- 
mente 0  '. 

168.  Casi  particolari.  —  1)  Scambio  di  prefissi  :  Pre-  per 
prò-  in  cont.  perdilfer  '  produrre',  perfihn  'suffumigi'  seppure 
qui  non  debba  ritenersi  originaria  Ve  nel  prefisso  -.  In  j)reffrfa 
cont.  '  profferta  '  vedremo  piuttosto  un'assimilazione. 

Des-,  per  do-  considerato  come  prefisso,  in  fmesteg  proba- 
bilmente da  *df)nesteg  milan.  desmèfeg  domestico  cfr.  cont. 
fniendger  dimenticare  milan.  desinentegà  Salv.,  "  Fon.  Mil.  ,,, 
p.  137,  ove  non  si  preferisca  vedervi  un'intromissione  di  ex-. 
2)  Contaminazioni  :  Sutsgver  sottosopra  dove  fu  confuso  sot 
con  su  ;  skerpjg'n  scorpione  che,  se  non  è  dovuto  a  dissimila- 
zione, sarà  stato  attratto  dalla  serie  sker-  v.  n.  159;  skudela 
'  ciotola,  tazza  '  ^  da  skud  M.-L.,  "  It.  Gr.  „,  §  139;  cont.  lumina, 


'  S/rijrJa,  forse  un  deverbale  da  skurje'r,  è,  da  noi,  la  '  frusta  '. 
^  Dei  fiori  si  dice  profani,  voce  presa  dalla  lingua  letteraria. 
^  All'it.  '  scodella  '   corrisponde    da    noi,    jjer   il    significato,    tondhia  :    a 
'piatto'  in  genere  tond  dalla  forma  rotonda,  cfr.  it.  'tondo'.     • 


Studi  sui  dialetti  reggiani  123 

dove  è  pure  da  notare  1'/  della  seconda  sillaba,  '  nòmina  '  da 
liiiH  cfr.  n.  :2U3  :  Jufi'f  dal  diniin.  .Iii^lù,  o  dalle  altre  voci  in 
/■?/-,  oppure  dall'it.  '  (liuseppc '. 

11  cont.  palmo  n  polmone  fa  spinto  nella  serie  al-  n.  Uil  per 
influsso  delle  molte  parole  coniincianti  con  pai-  {Palmi na,  palli' n, 
palei,  paUgra,  ecc.).  . 

Piìi  difficili  sono  fìnjaza  'focaccia'  Saly.,  "  Ant.  dial.  pav.  „, 
38,  itujì'r  ait.  '  giucare ',  buràz  'canavaccio'  se  da  burra 
K.'»  1657  e  non  da  biìra  nel  qual  caso  sarebbe  regolare,  p<>»e/a 
regg.  pomellu  '  capocchia  degli  spilli  ',  vudè'r  vuotare,  rudela 
rotella  che  si  stacca  dalla  famiglia  róda  rodhKi  rodona  rodf'r  ecc., 
gudàz  se  dall'aat.  '■'•yoto,  kiiffireii  c<. tliuruu,  ^(/f/r7  budello,  per 
le  quali  voci,  tranne  nidila  dove  si  avrà  forse  un'immistione 
di  nrjr'r  o  niplr'r  ruzzolare,  'rotolare',  si  sarebbe  tentati  di 
ammettere  l'influsso  di  labiale  o  di  gutturale,  se  non  avessimo 
altre  parole  nelle  stesse  condizioni  con  o-.  Sarà  forse  pili  pru- 
dente considerarli  casi  di  contaminazione  o  imprestiti  dialettali  ; 
per  kuti'iren  si  può  pensare  anche  all'assimilazione  cfr.  sutilren 
n.  1. ".'.». 

Avremo  forse  esempi  di  dissimilazione  in  niùzola  *nuceola 
tose,  nicciòla  '  nocciuola  ',  bjólìc  bifolco  da  *huvolcH  cfr.  n.  'XM . 
A  un  processo  dissimilativo  si  potrebbe  attribuire  fors'anche 
pioèl  'goffo,  ingenuo,  bamboccio'  (da  pfiello  >>  */Jorf//o  ?),  se 
pure  non  sia  preferibile  vedervi  una  contaminazione  di  pidél 
n.  41  e  di  pici;' r  "  piviere  '  che  metaforicamente  significa  '  balordo  '. 

Per  skurff'r  (v.)  e  skurton  scorciatoie,  v.  kurt  n.  136. 

169.  L' -  resta:  lufefit  lucente,  lufvfiia  'lucciola'  (quasi 
■  luce  aperta  ')  ',  durf'r  durare,  muroja  muraglia,  hugPda  femm. 


'  Per  rert  'aperto'  v.  un.  110,  152.  tjuesto  nuovo  nome  della  lucciola 
potrebbe,  dunque,  esser  registrato  tra  quelli  nei  quali,  come  notava  il 
Salvi"xi  [Laminjris  italica,    belliuzona.    1892,  p.  1-^,  B\  la  'luce'  è  sempre 


124  Malagòli, 

'  bucato  ',  furata  uncino  per  rubar  l'uva,  fi/mf'r  fumare,  nigfr 
frugare,  kurè'r,  spudè'r  sputare  ;  <)i(stP'ì\  InstrP'r,  puzor  '  puzzo  ', 
hiifàììk  femm.  '  pedignoni  ',  rxtP'r  ruttare,  ruskr'r  in  senso  me- 
taforico '  raccattar  roba  o  denari  ',  sìicp'r  succhiare,  hrauol 
mascli.  '  prugnola  '. 

Casi  particolari.  —  S'incontra  o-  per  u-  in  bofer  n.  35, 
borni'/  plur.  femm.  n.  208,  moden.  burnlja,  probabilmente  per 
attrazione  delle  altre  voci  comincianti  con  bo-  ;  koriP/ f  {Per  al 
spos.  ed  la  s(jìi.  Anton,  ecc.  p.  3)  acc.  a  ktiriof  per  assimila- 
zione oppure  per  intromissione  di  koréin  corriamo  e  sim.  ;  boìign 
bubbone  Arch.  Glott.,  XVI  150,  a  cui  corrisponde  Vo  tonica  di 
bolla  tumore. 

In  formmt  Vo-  par  già  di  lat.  volg.  M.-L.,  "  Gr.  it.  „  trad., 
p.  66,  come  supponemmo  avanti  n.  166  per  arino'r,  arìnina.  brik 
*burriccu.  Per  altre  voci  romanze  con  o-  che  a  queste  ul- 
time potrebbero  ricollegarsi  v.  Nigra,  Arch.  Glott.,  XV  114. 

Per  l'è'-  di  zizer  suctiare  v,  n.  140. 

3)  Seiniatoue. 

170.  Non  avviene  mai  la  sincope  nemmeno  di  e  semiatona 
protonica  nei  verbi  che  alternano  forme  di  questo  tipo  con  altre 
in  cui  la  stessa  vocale  è  tonica.  Si  dice  sempre  refgp'r  '  segare  ', 
s&mnP'r  seminare  (ma  skinTmza  n.  69),  bcfjp'r  Bonvesin  bexeliarr 
Rem.,  XXXI  508  (ma  bfij  'pungiglioni'  Salv.,  «  Fon.  Mil.  „, 
p.  242),  vedréni  vedremo  (ma  vdém  vediamo,  protonica  di  trisil- 
labo), mrdràn  mieteranno   (ma    mdfin    mietiamo),    perché   nella 


la  considerazione  i^revalente,  ma  le  si  associa  l'idea  del  modo  con  cui  è 
prodotta  ed  emessa  :  cioè,  qui,  '  luce  che  viene  aperta  '.  Non  è  da  esclu- 
dere, tuttavia,  un  influsso  di  lacerto,  come  nell'onsern.  litsi'rta  cit.  dal  Sai.v. 
e  nel  vogher.  inserta,  Nicoli,  n.  40. 


studi  sui  dialetti  reggiani  125 

coniugazione  abbiamo  forme  come  y<'f<ia,  smina,  Or/Ja,  veci,  méd. 
Così  nei  deverbali  :  hefjnìa  'puntura',  med'do'r  '  mietitori  '  e  sim. 

Dis-  dav.  a  .s-  non  elide  1'/  in  semiatona  :    desnl'n    e   desnum 

-mortìe  '  {dis  -+-  deriv.  di  scnuo),  desnfda  '  smorfiosa  '  (letteralm. 

'dissennata'):  sì,  in  altre  condizioni  di  protonica:  fsered  n.  48. 

Nel  resto  ie  medesime  sorti  già  viste  sotto  a. 

171.  A--:  pai)arh'  pagherà,  palazon,  kamarer  cameriere, 
tumafàz  '  materasso  ',  tamarazr'r  materassaio  ;  matazol  '  scemo  ', 
qaliii'la  •  pollina  ":  kaiitarn'  cantera,  kanivP'l  carnevale,  kaldann 
secchio  di  ranu'  per  attinger  acqua  |v.  anche  n.  147)  boi.  e 
mod.  calzidrr.   lùnifarfiìia  denominazione  di    una   via  del  paese. 

Casi  particolari  :  fgcrbizr  r  '  strappar  di  mano  sgarbatamente  ' 
avrà  1"'  da  Jyi'rh  sgarbo  ;  Brrtlamc  n.  62,  Bcrtlét  saranno  fatti 
su  Bn'tol  Bartolo  ;  mcrtedl  su  DX^rkordi  cont.  farmacista,  voce 
dotta,  su  firmf' r  e  sim.  :  FersnPra  Frassinara  (nome  locale), 
Jyrrnijf'r  *ex-car miniare  (detto  delia,  lana),  fgf^-bjf'r  'scal- 
fire, sbucciare'  forse  da  *ex-carpulare,  scf/rrstia  sagrestia 
cfr.  se(/rr'  n.  ir)9  si  dovranno  a  processi  assimilativi.  In  cicarf''r 
■  chiacchierare  '  si  avrà  dissimilazione,  con  influsso  della  palatale 
per  Vi. 

172.  \']-~.  1)  In  sili.  ap.  (cfr.  n.  i()0,i):  ajrpjr'r  'accomo- 
dare. rt.-integrare  '  *re-piliare,  ajrblr'  'rivoltato'  in  senso 
materiale  ;  — /danna  '  spazzola  ',  stniàna  settimana  ;  —  /ganti' n 

negatore,  segantino  '  :  —  ajlvadò'r  '  lievito  ',  Ajnralèra  se  con- 
nesso con  nC'bula  v.  Introd.  §  3,  dvmtP'r  diventare  ;  —  aJrsanP' 
risanato.  i>soli'n  pesciolino  :  —  pzln  piedino,  pzPda  *  calcio,  pe- 
data ',  p:agrda  '  orma  del  piede  '  :  —  Flipl'n  Filippino,  plandron 
'  pigrone  '  Mis^,.\kia,  "  Beitr.  „,  s.  pellanda,  pre/mpi  'per  e- 
sempio  '  cfr.  lucch.  prescmpio  Ardi,  tìlott..  XII  125,  dmandp'r 
domandare,  siiorn  n  signorone,  s/iorìna. 

_'i  In  posizione  (il»..  2):   desprr    disperato:    n-ntaji'rt  venta- 
glinu  ;    iiirskli' il    mestoliiio  :   /brrlini/'i'r    '  intravedere  ',    herh-ker, 


126  Malas^òli, 

JberloC(''r,  jbn'lanzòrcs  '  far  l'altalena  '  ;  —  levrotl'n,  zedronzì'n, 
vederjo'l  vetriolo. 

Er,  èl--^àr,  ài--  (cfr.  n.  Ì6Ì)  :  parfgl'n  '  piccola  pesca  '  e 
anche  '  liquore  fatto  coi  noccioli  delle  pesche  ',  kcartorì'n  '  col- 
troncino  ',  mardlent  '  immerdato  ',  cont.  harsalje'r  bersagliere, 
stranx.der,  marmaja  ■'•min(i)malia,  nuoiéta  'saliscendi'  da 
ra  e  r  (  Li)  1  a  ^  salgè'r  '  selciare  ■'  *s  i  1  (i)  e  a  r  e ,  malzarìna  '  granata  ' 
regg.  malgareina  Ferraro,  p.  16,  nmlgàz  '  gambo  seccato  del 
granturco  ',  connessi  senza  dubbio  gli  ultimi  due  con  melga  n.  77. 
—  Cons.  -f-  r  --{-  e  -\-  cons.  (cfr.  n.  161)  :  perfoner  '  prigioniero  ', 
tmnaria  tremarella,  termarlna  specie  d' uva  '  oltremarina  '  ^, 
sfernidàz  '  sfacciataccio  ',  tn'iitn  '  succhiello  '.  —  En  -f  cons.  > 
in  Ar- cons.  (ib.)  :  linzolì'n  lenzuolino,  linzarà',  vinkara. 

Casi  particolari.  —  Per  i  futuri  Ugara,  strikarà'  v.  n.  161; 
ivi  pure,  per  Filizjò'n  accrescit.  di  '  Felice  ',  zigollna  cipollina, 
zigaloìì  detto  di  persona  che  usa  alzar  la  voce  parlando  (da  zi- 
gèla),  fmaroU'  '  sfinito  '  letteralm.  smidollato,  patafjòna  sic.  pa- 
tafia  De  Greg.,  "  St.  gì.  it.  „,  I  138  '  donna  grossa  '  (da  patàf). 
Aggiungiamo  qui  maravia  meraviglia,  halafizì'n  bilancino,  mn- 
rangon  '  falegname  '  M.-L.,  "  Gr.  it.  ,,  trad.,  p.  76,  ziralaka  e 
più  ant.  e  piìi  raro  zir^dspniia  ceralacca  (per  l'i  di  zira  v.  n.  73), 


'  A  giustificazione  di  quest'etimo,  già  proposto  dal  Galvani,  avvertiamo 
che  non  son  rari  nei  nostri  dialetti  i  traslati,  diciamo  cosi,  ornitologici, 
non  ignoti  nemmeno  all'italiano,  a  indicar  cose  che  nella  forma  loro  ri- 
cordano il  collo  e  la  testa  di  uccelli.  Marlefln  o  pasarin  (da  '  passero  ') 
dicesi  da  noi  il  grilletto  del  facile  :  oJceta  (da  '  oca  ')  è  il  nottolino  della 
finestra;  Jgona  n.  70  la  manovella.  11  Chocioni,  Dial.  d'Arcevia,  n.  81,  per 
spiegare  l'arcev.  morUtta,  molto  probabilmente  imparentato  col  nostro 
matieta,  parte  da  una  base  con  doppia  r,  e  richiama  il  fabr.  maria  marra 
che  presenterebbe  il  medesimo  fenomeno.  Non  escludo  in  modo  assoluto 
la  sua  ipotesi  ;  ma  osservo  che  morrétta  potrebbe  anche  essere  posteriore 
e  derivare,  per  assimilazione,  da  morlétta. 

•  Negli  statuti  medievali   "  uva  de  ultra  mare  .,   Balletti,  1.  o. 


studi  sui  dialetti  rcj^giani  127 

supll'  aliiccli.  soppclUto  '  seppellito  '  con  u  per  influsso  della  la- 
biale, tutti  d'origine  dotta  o  forestiera.  Venga  pure  sotto  questo 
numero  scnegóga  '  sinagoga  ",  da  cui  scncgì'h  *  ebreo  '  voce  can- 
zonatoria. —  Sf'tml'n,  letteralm.  '  settimino ',  nato  dopo  sette 
mesi  di  gestazione,  conserverà  IV'  per  influsso  di  set  mPj,  con- 
cetto sempre  presente  alla  mente  di  chi  parla. 

173.  ì  -  ^.  Intatto  :  fìlavàn  fileranno,  tiraràn,piiràn,  pizonzl'n 
piccioncino,  idrolì'n  '  piccolo  pinolo  '  Arch.  Glott.,  Il  814  :  XIV 
294,  timonrla  'carrozza'  cfr.  n.  1G5. 

Perturbamenti.  —  Per  cjìnànt  (sost.)  vicino  v.  n.  1(35.  Il 
cont.  rofcpila  '  risipola  ';,  letterario  '  erisipela  ',  voce  dotta  de- 
rivata dal  greco  Zambaldi,  "  Voc.  etim.  „,  1077  B,  ci  offre 
esempio,  insieme  con  l'urb.  rofljwla,  di  contaminazione  con 
nj/ii  rosa. 

174.  Ò--.  n  In  sili,  aperta  (cfr.  n.  16G,i):  pkonzl'n  hoccon- 
cine  ;  —  kvavtona  '  grossa  coperta  "  ;  —  kiazjon  colazione,  kion- 
hrm  colombaia,  plonziìì  '  polloncino  ',  jplim  regg.  applinè  '  ma- 
lazzato, malescio  '  che  avrà  per  base  un  "^plìn  regg.  pina 
'  tacchino  '  ^  lontra  da  '■^vlontera  n.  21!)  'volentieri',  krodrfr 
"cadere  delle  foglie  e  sim.  '  n.  lOG,  kinandp'r,  kma  dìt't'  n.  148 
nota,  dmatlna,  Tmafg'n,  Tmafét,  cont.  ajrmnr'r  metatesi  di 
numerare  cfr.  Boselli  in  Piagn.,  n.  135,  kiiosTc  conosciuto. 

2)  In  posizione  (ib.,  2):  sfordigc' r  *exf or (i) ticare  fre- 
quentativo di  ^foricare  PiEiir,  Arch.  Glott.,  XV  214,  morfaUt 
'  mortaretto  ',  mostazì'n  '  visino  ',  formigr' r  formicaio. 

Con  Ò--  analogico:  kovara' ,  kolara,  spofarà'  e  sim.  ;  ^po- 
lastrin  ;  hokalon  di  chi  ha  la  bocca  larga  o  sta  a  bocca  aperta, 
hokaròla  *  fango  delle  labbra  '  :  moro/in  e  sotanl'n  '  vagheggino  '  : 


'  Non  sarà  inutiìo  ricordare  il  vocabolo  polj  ine',  da  poUT-h  pulcino,  che 
ha  lo  stesso  significato  di  xyliìik'  ed  è  di  \>\\x  frequente  uso  tra  noi.  11 
Voc.  regg.  non  lo  registra. 


128  Malagòli, 

foraste')-  '  forestiere  '  su  fora,  se  non  è  semidotto  :  sforarf'r 
'  bucherellare  '  *e  x  -  f  o  r  a  e  u  1  a  r  e .  sforacma  specie  di  fungo 
tutto  bucherellato  '  spugnòlo  "  Petrocchi  su  forf'r,  forp'.  Con- 
servato in  voci  dotte  :  komunjo'n,  konotft  connotati,  koronzJua, 
krovatìna,  monedaja  '  monete  spicciole  di  rame  ',  fjovedi 

Con  ìf--  dav.  a  i  o  a  cons.-'rj  (cfr.  n.  167):  kucarì'n  cuc- 
chiaino, ufìigl  usignuolo,  kiifirà'  cucirà,  siiijot  '  sempliciotto  '. 
muner  'mugnaio'  Parodi,  "  Misceli.  Rossi-Teiss  „,  p.  349,  mi- 
dizjon  '  soggezione  ',  (juvidi  Villa  II.  E  i  semiletterari  :  pru- 
cisjon  lucch.  prucissione,  riibinét,  nbdl'r  ubbidire. 

Casi  particolari.  —  Per  vrrtn  vorranno  e  pran  potranno  cfr. 
vrer  e  prèr  n.  166,1.  Cont.  perdu/eoa,  Jmefdgì'n,  skndlot,  fnya- 
zlna,  Tìidlma^  bndli'n,  kuturnl'n,  ^iigarà',  vudarà',  hiirazi'n  son 
paralleli  a  perdilfer,  fmesteg,  ecc.,  n.  168.  Buslg't  bussolotto  è 
fatto  su  busol  n.  9-1  se  pure  non  è  voce  letteraria,  come  ciko- 
lata  cioccolata  dove  \'i  si  spiegherà  per  l'influsso  della  palatale 
precedente,  BarhoU'r  '  borbottare  '  pare  abbia  Va  da  '  barba  ' 
KoRT.^,  1510,  se  pure  non  è  esempio  di  or^ar.  D'origine  dotta 
il  raro  e  cont.  putakef  putacaso  ;  e  semidotto  fors'anche  bozlàn 
'  ciambella  '  lucch.  buccellato,  piem.  bicolan. 

175.  Ù"-.  Intatto:  murajeta,  ?;«<ra/o'«,  ?//<.•//' utensili  ' '""usi- 
bilia,  bugadera  bugadèra  n.  98,  diirara  fiimara  sucarà'  ecc. 
n.  169,  lufira  'rilucerà',  lufiiol  'abbaino'  *luciniolu,  kus- 
todì'  acc.  al  metatetico  kostudì'  custodito. 

Casi  particolari.  —  Anche  qui  bornijlna^  skorjojp'r  acc.  a 
skiirjofer,  formentg'n,  bononzl'n  per  cui  v.  n.  169.  Inpantalp'  per 
inpuntalf'  da  punte  l  puntello  avrà  Va  per  immistione  di  inpale  . 


.Studi  sui  dialetti  resrsriani  129 


y)  Post>emitouic'he. 


176.  Lo  stesso  trattamento,  con  qualche  caso  di  sincopo 
anche  delle  vocali  che  son  conservate  nelle  altre  condizioni  di 
cui  abbiam  già  fatto  parola.  Questa  minor  resistenza  delle 
postsemitoniche  dipendo  dalla  natura  del  loro  accento  pili  debole. 

177.  -A-.  Cade,  in  sili,  aperta,  nei  derivati  da  parole  che 
van  soggette  alla  riduzione  o  al  dileguo  della  prosemitonica 
(n.  182)  :  stoingl' n  diminutivo  di  stomaco,  e  anche  nel  senso  di 
stomaco  debole,  delicato,  come  l'ital.  '  stomachino  ',  Ste/iìina 
Stefanina,  kanrp'r  masch.  '  canapaia  '  (ma  kaìiaviU  '  canapule  ' 
forse  per  immistione  di  kcina  canna).  Himane  però  se  preceduto 
da  un  gruppo  di  consonanti  :  organi' )ì  organetto,  skandalof, 
inbalsconr'r,  orfani' ii  orfanello  ;  oppure  seguito  da  r  :  kainarhia, 
kamaròna,  kamaràza,  kamartint  acc.  a  kaftiùt  march,  di  Pergola 
casanolanti  ven.  pisìient  e  bisnenl  pigionanti  Biadene,  "  Varietà 
letter.  e  ling.  ,,,  Verona.  1896,  p.  65,  detto  dei  braccianti  perché 
vivono  in  camere  o  case  a  pigione  e  differiscono  in  ciò  dai 
mezzadri,  kamare'r,  maskarlna  mascherina  e  anche  '  tomaio  della 
scarpa  '.  maskaro  fi,  pasarlna,  i^asarl'n.  zukarì' ù  .  zuccherino, 
cibare  r  n.  171. 

Inalterato  in  ogni  altro  caso  :  linnagVn  Ixmago't  (da  lumrga), 
okaroù  detto  di  persona  che  sta  con  gli  occhi  imbambolati  e 
con  la  bocca  aperta,  e  anche  "  minchione,  stupido  '  (da  oka), 
scafaro  n  '  che  ha  la  faccia  larga  e  rossa  ',  /irimarola  '  primipara  ", 
ostarla,  sarafì'n  saraflna  n.  89,  paparóca  'poltiglia',  ocalo'n- 
cfr.  ser.  e  pist.  occJnalone  '  che   ha   gli    occhi    grossi  '  (da  ocej 


'  Per  la  denominaz.  di  postsemitoniche  e  prosemitoniche  (n.  182^  v.  Goi- 
DÀNicH,  Kass.  Ijibl.  d.  lett.  it..  1901,  p.  311  e  sg. 

ArcOiivio  glottol.  ital.,  XVII.  9 


130  Malagòli, 

occhiali)  ^  garaplna  '  cispa  ',  tralcaiiof  tracagnotto.  skaravTilf 
n.  94,  kafaturi  n.  135,  patatiYk  '  goffo  '  St.  gì.  it.,  I  138  ;  taraskb'ìì 
detto  di  vino  aspro. 

Casi  particolari.  —  Badrà'  acc,  a  badarci'  è  forse  analogico 
sui  regolari  cedra ,  andrà' .  Non  chiari  kuprol  Flech.,  Arch. 
Glott.,  II  339  e  bokro'l  'beccuccio'  se  da  *buccariolu.  Eso- 
tico zafràn  zafferano.  —  lùtersjp'  '  intarsiato  '  avrà  1'^^  per  as- 
similazione, 0  da  intPrsi  '  intarsio  '  ;  cont.  remetJ/nm  '  reuma- 
tismo '  è  semidotto,  con  -e-  dovuto  ad  assimilazione  ;  turirola 
*ta(b)ulariola  nn.  183  e  260  mutò  probabilmente  dapprima 
r  -a~  in  -e-  su  tole'r  ^  n.  98,  poi  1'  -e-  in  -i-  per  influsso  del- 
Vr  cfr.  n.  73. 

Sono  eccezioni  apparenti  :  tokesnna,  tiremóla,  ziredspàda  n.  172, 
composti  da  '  tocca  e  sana,  tira  e  molla,  cera  di  Spagna  (zirfa] _ 
ed^Spana)  '  (ma  regolarmente  :  tanahTcf  '  stambugio  '  Salv,, 
R.  Ist.  Lomb.,  S.  II,  v.  XXXIX  490,  (jatamu/ia  '  gattamorta  ',  ecc.). 
Bedrèva  '  barbabietola  '  sarà  un  compromesso  fra  il  sing.  *heda 
-|-  rèoa  e  il  plur.  hed  -j-  ri-ci.  In  trenledu,  trentetri ,  ecc.,  kvaran- 
tedti,  zinkvarUedtc . . .  nocantedU,  ecc.  si  vide  forse  trent-e-dn,  ecc. 
cfr.  Par.,  Arch.  Glott.,  XVI  137. 

178.  -E-.  1)  In  sili.  ap.  (cfr.  nn.  160,  i;  172,  i):  med'dó'r 
n.  170;  —  polpton  polpettone,  korptl'n  corpettino,  berti' il  ber- 
rettino, berta  k  luccli.  bertocco  Nieri,  boztìna  boccettina,  kafte  r 
caffettiere  ;  —  bodgl'n  botteghino,  pordgl'n  '  piccolo  portico  '  ;  — 
indcinc'r  *indivinare;  —  korfl'n  'parte  interna  del  cavolo 
e  sim.  '  letteralm.  '  concino ',  aksé  atque   sic  n.  117;  —  kor- 


*  Si  pensi  che  gli  occhiali  fan  gli  occhi  più  grossi.  Do  tuttavia  quest'etimo 
con  riserva,  perché  non  ignoro  che  il  Pieri,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXVIII  165,. 
spiega  il  vocabolo  con  un  mutamento  di  o-  in  a-  da  *occhiol-. 

^  La  turirola  regg.  toUrola  è  una  tavoletta  che  si  pone  sopra  la  madia, 
alla  quale  serve  anche  di  coperchio. 


Studi  sui  dialetti  icggiani  lol 

lòia  "cor rigioia;  —  kanrjer  cancelliere,  Arwr^/f'r  candeliere, 
onbrigol  n.  49,  despKè'  disperato,  porrtn  poverino,  cont.  pi- 
mfcrl'ìì  acc.  a  iirb.  pizakar'i  n  '  beccaccino  '  ;  Armarla,  strenuìp'r 
*  spargere,  versare  '  *e  x  - 1  e  r  m  i  n  a  re,  peiiilna  '  pettine  fitto  ', 
hJìw'I  n.  174. 

2)  In  posizione  (ib.,  2)  :  a/n)iescp'r  mischiare  ;  inredrPda 
\xiveÌY\?ii-A  :  fonnento  n,  arienzp'r  "recentiaro  "risciacquare', 
(irfenUda  '  lucertola  '. 

-Er,  el-'^  -ar,  al-  (cfr.  nn.  161,  172)  :  inniardp',  a/rrasp'r  da 
"arvarser  cfr.  n.  110,  des'salgè'r  disselciaro.  —  Cons.  --- r -^  e -{- 
t.'OHS.-  (ib.)  :  interzP'r  intrecciare,  insterjp'  stregato,  ajrkerdtù  ri- 
creduto. Mancano  qui  esempi  di  en  +  cons.  ^  in   ;-  cons. 

Casi  particolari.  —  Nei  derivati  da  nomi  in  -Pr  si  mantenne 
la  vocale  postsemitonica  per  influenza  della  tonica  della  parola 
primitiva  :  hicerl'n  biceron  su  hÌGp!ì\  panerl' n  su  pané'r,  karnerl'n 
su  karnP'r,  allevo  )i  '  leggerone  ',  Uonerìna  Imnerona  su  l/imPra, 
yralterl'n  da  Gralter  Gualtieri  n.  loc,  ecc.;  poi,  dove  andò 
smarrito  il  ricordo  della  derivazione,  si  ebbe  il  mutamento 
di  -e-  in  -i-  forse  per  influsso  dell';-  seguente:  turirola  n.  177, 
kaldirr/n  '  grossa  caldaia  '  da  kakUra  n.  98  (laddove  kaldarì'n 
n.  171  postula  ancora  l'originario  suffisso  -ariu),  peskiro'n  'pe- 
schiera ',  lamiron  lamierone,  baùdìrola  bandierola  di  ferro  posta 
sui  campanili  a  segnalazione  del  vento  e  anche  in  senso  traslato 
'  chi  è  facile  a  mutar  opinione  ',  paniro'n  '  grossa  cesta  di  vi- 
mini '.  ecc.  Notevole  con  ~a-,  pararlna  '  lente  palustre  '  che 
deve  ricollegarsi  a  jiavPra  n.  35  e  pur  vorrebbe  un  -a-  nella 
base  :  dovrem  pensare  a  un'assimilazione  (v.  sotto  karatl'n, 
marangin)  ?  Nel  mantenimento  dell'  'c-'-  in  alcuni  di  ([uosti  de- 
rivati non  sarà  estranea  l'influenza  della  lingua  letteraria.  — 
Qui  venga  pure  Kaldiràna  n.  di  un  fondo  in  villa  Valle,  pro- 
babilmente CafsaJ  Alderana. 

KrelkidTfn  acc.    a   kcelkdtfn    qualcheduno,    selvadinP' r    acc.    a 


132  Mala^òli, 

selradenè'r  salvadanaio,  cont.  kodinè'r  acc,  a  kodemfr  ii.  142 
nota  1  son  semiletterari,  come  ci  fa  ritenere  la  mancanza  della 
sincope,  e  dovranno  l' i  a  dissimilazione  oppure  all'affievolinieiito 
di  cui  nel  n.  164.  Semiletterario  sarà  taniaràz  n.  171  (più  com. 
strame^;  e  anche  bafaUk  basilico,  con  accento  protratto  n.  192 
e  mutamento  della  vocale  favorito  da  un  processo  dissimilativo. 
Karatl'n  '  specie  di  carrozza  '  ebbe  -a-  per  assimilazione  pro- 
gressiva; così  dicasi  di  ma-angtiì  cfr.  Par.,  Arch.Glott.,XVI143. 
Bjasuger  '  biascicare  '  e  hranzugp'r  '  brancicare  '  furono  at- 
tratti dai  suffissi  verbali  peggiorativi  con  n  cfr.  Par.,  ib..  142. 
In  foraste  r  n.  174  vedremo  sempre  l'influsso  di  fora.  Di  un  as- 
sorbimento di  sillaba  ci  darà  esempio  posjò'ù  ^jio/sejsjo»  '  vasto 
podere  ',  irregolare  anche  per  il  consonantismo  cfr.  n.  31Ò. 

179.  -I-.  Kesta  :  ìwiridl'n  maritino,  f arino  t  '  capo  operaio 
nei  mulini  di  grano  ',  fladiner  '  rendere  agevole  checchessia  ', 
inortiye  '  punto  dalle  ortiche  ',  finirà'  finire ,  jndirà'  pìdire'  e 
così  tutti  i  futuri  e  i  condizionali  presenti  dei  verbi  in  -Tre. 
In  hojra  bojre  bollirà  bollirei  Vi  s'incorporò  nella  liquida  pre- 
cedente. 

Casi  particolari.  —  Sentra  sentre  acc.  a  sentirà'  sentire'  sa- 
ranno analogici  su  vedrà'  redre  cfr.  n.  177  :  morrà'  moi''rè' 
acc.  a  morirà'  morire',  su  rirrà'  virre  .    Per    munè'r  v.  n.  174. 

180.  -0-.  1)  In  sili,  aperta  (cfr.  nn.  166,i;  174,i):  hxsld'f 
n.  174,  tranpela  lomb.  tempella  serav.  trempellone  *  tabella  '  e 
tranpler  'far  qualche  cosa  malamente,  con  rumore'  *tem po- 
ro 11  are  Pieri,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXVIII  190,  pegrtn  'agnello', 
Valkmóna  n.  68^*^,  kogmìna  dimin.  di  kogma  n.  81''*^,  cont.  Bornie 
Borromeo  (nome  di  famiglia),  hohiin  bolognino  Petrocchi  '  mo- 
neta di  due  centesimi,  duetto  '. 

2)   In   posizione    (ib.,  2)  :    inbolge  r    '  intascare  ',    infornfda 
infornata,  berloskin  leggermente  guercio. 

Con  -0-  analogico  :  moro/e  r  '  far  all'amore  ',  balotina  dim.  di 


studi  sui  dialetti  reggiani  133 

halnta  '  pallottolina  ',  insanìjoti  '  singhiozzante,  con  un  nodo  alla, 
gola  ',  (jif(Jolì'n  (jugoloìì  da  (juijol  '  maiale  ',  harozev  barrocciaio, 
tarali')'  '  intarlare  '  da  tarai  '  tarlo  ',  skonfoiirr  n.  70.  Conser- 
vato in  voci  dotte  :  kolonél,  konotr't,  dijono  r,  infjorf'' . 

Con  -II-  :  arntlfr'r  skaraniltP' r  cfr.  ii.  94. 

Casi  particolari.  —  Sembrano  tradire  un'influenza  letteraria 
fdondalp'r  dondolare,  urb,  nuvoli}' n  cont.  mirali)' n  per  dissimi- 
lazione e  con  a  favorito  da  l,  come  in  Atiralfra  n.  1 72,  dove 
ci  aspetteremmo  la  sincope.  E  letterari  son  certo,  con  -a-  per 
Assimilazione,  orfa>i<(trofi,  kamamila,  Salaìngù  per  il  quale  si 
può  pensar  anche  a  una  contaminazione  con  salami}'n  da  salóni, 
marmariir  marmorizzato  con  cui  inclinerei  a  porre  ina  mia  ri' ri 
'  marmista  ',  se  pure  quest'ultimo  non  fu  da  un  '■^lìharmforjarl'H 
che  influì  poi  sulla  postsemitonica  di  marmari;f . 

181.  -U-.  Resta:  madurl'r  maturare,  stranud(''r  n.  172,  fba- 
fiiklf'r  '  baciucchiare  ',  skarugf'r  '  scavar  piccoli  solchi  ',  /jJovu- 
dina  "  breve  pioggia  '. 

Casi  particolari.  —  Per  matlna  v.  Meyer-L.,  rid.ital.,  pp.  72-78. 
Il  cont.  komenjò'n  'comunione,  eucaristia'  avrà  Ve  per  conta- 
minazione con  konfesjon  confessione. 

2.  Postoniche  «fi  propafossitoni  \o  pvoseìnitoniche  v.  ]).  129  nota). 

182.  Considerando  le  condizioni  attuali,  noi  possiamo  distin- 
guere due  casi  : 

1)  È  rimasta  la  vocale  Anale  e  dileguata  la  mediana  che 
non  sia  preceduta  da  un  gruppo  <li  consonanti  e  seguita  da 
consonante  sorda. 

Esempi.  -A-  :  kanra  n.  0<j  cfr.  Muss.,  "  Rom.  Mund.  .,,  n.  Ili, 
kCtmra  camera,  Starna  n.  SV'^'^,  trijrla  trovala,  ^7vn-^^a  trovatela  ; 
Bfibra  Barbara,  landa  lampada  n.  o07,   finefdla    me'stala  ;   ma 


134  Malagòli, 

ftnéfdetla  mestatela  dove  -a-  era  preceduta  da  un  gruppo  con- 
sonantico e  seguita  da  una  sorda. 

-E-  :  -ót'wa  giovane  (femm.),  letra,  vedla  vedila,  ggt'tla  godi- 
tela, Modna  n.  135,  folga,  salvftdga,  fsevda,  mùnga  manica,  husla 
•mento'  TTÙHiòa  Rom.,  XXXI  522. 

-()-  :  kómda,  strólga,  pegra  n.  48,  tràpla,  skdtla  n.  108,  tnia 
n.  81^'®,  fèria  n.  76,  mèrla,  kggma  n.  81'''^,  vedva  *vidu-v-a, 
f vetta  'bastonata'  *vectula  Nigra,  Arch.  Glott.,  XV  299. 

2)  E  dileguata  la  vocale  finale  e  conservata  la  mediana, 
che  spesso  è  alterata  nel  colore,  in  modo  che  si  deve  conside- 
rare continuatrice  di  una  vocale  ridotta.  Presentemente  questa 
vocale  ha  il  colore  di  o  davanti  a  Z,  di  o  nell'interno  e  di  ìi 
nella  campagna  davanti  a  labiale,  di  e  (risoluzione  normale  nei 
numerosissimi  casi  da  -e-,  i  quali  forse  attrassero  gli  altri) 
davanti  a  ogni  altra  consonante. 

Esempi.  -A-  :  Con  e,  come  si  trova  in  tutto  il  territorio  nord- 
italiano,  Meyer-L.,  "  It.  Gr.  „,  §  121,  stonieg  nn.  70  e  177,  sjxìres 
n.  47,  órgen,  orfen,  sahet  ;  —  con  o,  shlndol,  mùndol  mandorle, 
hèlsom  balsamo  ;  —  con  u,  cont.  hPlsum. 

-E- :  Con  e,  dodes  n.  51,  iindes  n.  70,  meter  mettere,  p^ré;»' ^ 
sindeg  .sindaco,  ptrseg  n.  76,  kóreg  n.  50,  perfsemen  rreipocréXivov 
cfr.  nn.  260  e  307,  j^eten  n.  48,  inkuien  n.  52,  salccìdeg  n.  47, 
maneg  n.  66,  ponteg  n.  128,  endcs  n.  70,  tseved  n.  4:8,fbrered  ib.  ; 
—  con  0,  niivol,  debol  semiletterario,  nespol,  remai  n.  70. 

Casi  particolari.  —  Trovel  trovalo,  Ifvel  lavalo  e  sim.  hanno 
Ve  da  ili-  (lava-illu). 

Voci  dotte  sono  Aùgcl  acc.  al  pili  comune  Aùf/il  Angelo  (nel 
diminutivo  sempre  Angili'n)  su  cui  avrà  influito  forse  la  pala- 


^  Non  si  usa  mai  da  sé,  ma  precede  sempre  il  nome  {pqrer  /.-à»"',  povr''oìn)  ; 
il  sostantivo,  o  l'aggettivo  dopo  il  nome,  e  porr/'t. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  135 

tale,  so  pure  non  è  preferibile  partire  dal  diminutivo  spiegando 
\'-i-  di  questo  per  assimilazione,  inutile  iiìposibil,  e  sìm. 

-0-  :  Con  e,  stroleg  n.  153,  lever  n.  48,  komed  comodo,  so- 
nanhir  sonnambulo  e  anche  '  stolto  '.  sòlfer  n.  80  ;  —  con  o, 
mn'ol  merlo.  l)ii\ol  '  bastone  di  sostegno  ',  djrrol  n.  81'''^,  skrìipol 
letterario,  vedov,  ekónom.  Bfrr/om  Bergamo  ;  —  con  n,  cont. 
ekoninn.  cont.  Bèrf/'ìiin. 

Casi  particolari.  —  Òrel  solo  ha  e  in  vece  di  o  per  dissimi- 
lazione. Cosi  pure  stare!  '  stornello  ',  clic  in  origine  doveva  es- 
sere sfore»  n.  263,  ebbe  impedito  il  mutamento  di  e  in  o  per 
spinta  dissimilatrice.  Kfrel  Carlo,  raro  da  noi  die  usiamo  più 
j-pesso  gli  alterati  Karll'ù,  Karlón  e  sim.,  sarà  un  imprestito 
dal  reggiano  dove  è  regolare  -e  dav.  a  /.  È  un  latinismo  tonpor 
'  giorno  di  digiuno  '.  termine  della  chiesa. 

3)  Un  caso  a  parte  è  quello  di  If'gcnna  da  lacrima,  dove 
s"è  avuto  in  sillaba  mediana  r  da  ri  e  quindi  i')-.  Il  Piagnoli, 
pp.  49-r)l,  sull'autorità  del  Mussafia  cita  questa  voce  come  una 
delle  pochissime  in  cui  si  sarebbe  conservata  la  media  postonica 
per  la  difficoltà  del  nesso  consonantico  che  ne  sarebbe  derivato  ; 
ma  tale  spiegazione  sembra  un  controsenso  ^ 

4)  In  fonetica  sintattica  1"-^-  di  forme  come  herer  vion 
sincopato  davanti  a  parola  che  comincia  per  vocale  :  herlc/r^in- 
kora,  ma  hrver  dimondi. 

Questo  per  le  condizioni  presenti.  Ma  quanto  alla  storia  dei 
primi  due  fenomeni,  due  quesiti  ci  si  presentano  : 

U'  In  che  età  è  scomparsa  la  vocale  mediana  dei  proparos- 
sitoni  in  (I.  p.  e.  in  melgd  da  milica? 

2"  Nei  proparossitoni  originari  in  altra  vocale  ridotti  ora 
a  parossitoni  in  consonante,  p.  e.  in    kredrr  da    credere,  sal- 


'  La  forma  con  -r,  ìi';p'ima,  che  si  trova  in  dialetti  emiliani,    può  aver 
risentito  in  tempi  a  noi  vicini  l'influsso  dell'italiano  letterario. 


136  Miilagòli, 

vàdei)  da  sii  va  ti  cu,  s'è  dileguata  prima  la  finale,  oppure  s'è 
avuto  *kmlir,  '*salvad(/o  e  poi  *kredr,  '^sah-adg  e  finalmente 
kreder,  saloddeg  ? 

Quanto  al  primo  quesito,  ricorderò  che  il  Meyer-Lììbke, 
"  It.  Gr.  ..,  §  132,  propenderebbe  a  credere  non  molto  antica  la 
sincope  nell'emiliano.  Ma  nonostante  la  grande  autorità  dell'il- 
lustre romanologo,  io  osservo  che  nessun  documento  noi  posse- 
diamo per  determinare  neanche  approssimativamente  la  data 
del  fenomeno  ;  mancano  infatti  testi  ben  antichi  schiettamente 
dialettali  e  sono  molto  scarse  e  incerte  le  reliquie  del  dialetto 
nei  documenti  latini  medievali  e  nelle  carte  volgari  ;  le  quali, 
anziché  essere  specchio  fedele  delle  nostre  parlate  nei  tempi 
di  mezzo,  riproducono  piuttosto  quel  tipo  di  lingua  italiana 
comune  che  si  era  formato  nella  vasta  pianura  padana  nei 
primi  secoli  della  nostra  vita  letteraria. 

Xoi  dobbiamo  restringerci  solo  a  dati  di  cronologia  relativa. 
E  precisamente  possiamo  stabilire  che  : 

a)  come  mostrano  nieUja  n.  77,  folya  n.  80,  p^Uga  n.  81,  hi 
caduta  della  mediana  postonica  è  posteriore  al  tempo  in  cui 
ebbero  efl:etto  r,  l  -\-  conson.  su  e,  o,  a  ; 

b)  la  sincope  è  posteriore  al  movimento  fonetico  che  portò 
è  a  e  nei  parossitoni  a  penultima  libera,    come   mostra  pegra  : 

e)  la  sincope  di  mediana  è  posteriore  alla  caduta  della 
finale  nei  parossitoni,  in  cui  era  preceduta  da  n.  Infatti  in 
ànma,  kànva  Va  non  va  soggetto  al  secondo  grado  di  nasaliz- 
zazione,  cfr.  nn.  7,  29. 

Quanto  al  secondo  quesito,  ricorderò  che  il  Piagnoli,  nn,  90-98, 
pensava  che  si  fosse  avuta  una  trafila  credere  *kredre  *kredr 
kreder.  Il  nostro  dialetto  presenta  fatti  che  a  tutta  prima  si 
dimostrano  contrari  a  tale  ipotesi  ^.  E  invero,  nella  serie  ponUg 


*  Per  le  voci  col  suffisso    -eru,  -ere,  il  Mussafia  ammetteva  come  norma 


Stilili  sui  iliiiletti  roffiriaiii  137 

n.  12S,  porte g  n.  79,  riiste;/  n.  52,  ìtinàtes  mantice,  /meste;/  n.  168, 
se  fosse  caduta  la  mediana  postonica  prima  della  finale,  si  do- 
vrebbe aspettare  d  e  non  t,  e  in  pn'scij  n.  76,  /'  e  non  s.  \\\ 
secondo  luogo,  come  proparossitono  è  trattato  omoi  '  uomini  ' 
e  non  s'ha  l'assimilazione  delle  consonanti  che  in  *oìnnc  non 
sarebbe  illeu-ittimo  attendere.  Ma  il  vicino  dialetto  modenese 
ha.  per  contro,  ponderi,  pordeg,  mandes,  rròcj,  P<'i'J<'',J,  che  il 
>^ALvroNi,  Jahresb.,  IX  i  116,  cita  a  conferma  della  anteriore 
sincope  di  mediana.  Il  Piagnoli  non  avrebbe  potuto  desiderare 
una  prova  più  persuasiva  della  bontà  della  sua  ipotesi  ;  e  la 
<erie.  in  apparenza  contraria,  del  nostro  dialetto,  si  spiegherà 
probabilmente  supponendo  che  la  sorda  si  sia  ripristinata  o  per 
assimilazione  alla  consonante  finale  nel  periodo  di  tempo  in  cui 
i  nostri  dialetti  rifuggivano  dall'uscita  in  consonante  sonora,  o 
per  influsso  dell'italiano  letterario,  come  si  potrebbe  anche  sup- 
porre in  porteg,  rmteg,  ìiiantes,  fmesteg.  Quanto  a  omcu.  accanto 
a  cui  vive  pure  oìh,  può  darsi  che  si  tratti  di  un'imitazione 
dell'italiano  *  uomini  '. 

182^'"''.  La  sincope  è  un  tratto  così  caratteristico  della  fiso- 
nomia  dei  nostri  dialetti  che  allo  schema  delle  parole  sincopate 
si  adattarono  quasi  tutte  le  parole  letterarie  entrate  nel  dialetto 
in  qualsiasi  età.  Soltanto  alcune  voci  col  suffisso  -ohi,  entrate 
non  molto  anticamente  nel  dialetto,  han  conservato  questa 
forma.  Tali  sono  I/ola,  règola,  kiipola,  pUoIa,  mihola  e.  con 
altro  suffisso  originario,  iliola  Kort.^  10459.  Questa  serie  ha 
poi  forse  portato  a  m'irola,  nécola  che  qualcuno  nella  campagna 


nel  romagnolo  (§  10,6)  che  non  si  avesse  la  caduta  dell' -e-;  eccettuava 
li'ttra,  e  per  gl'infiniti  in  -ere  poneva  innanzi  una  doppia  ipotesi  :  1)  con- 
servazione della  media  postonica  mutata  in  a  davanti  a  parola  cominciante 
per  eonsonante.  e  sincope  davanti  a  vocale  ;  2)  caduta  della  vocale  mediana 
in  entrambi  i  casi  e  conseguente  epentesi  di  a  davanti  a  consonante  (§  107). 


138  MalagJ.li. 

pronunzia  nniia,  nevla,  e  a  spàtola  '  stecca  usata  dagli  speziali  ' 
e  anclie  '  bastone  nella  parte  superiore  piuttosto  piatto  e  a 
forma  di  spada  di  cui  si  servono  i  contadini  per  romper  la 
canapa  ',  che  nel  parmigiano  è  ancora  s/xitla. 


Dittonghi  e  vocali  a  tono  in  iato. 

a)  Dittonghi  atoni. 

183.  ^ii'-.  Primario  o  secondario  diede,  come  in  sillal»a  to- 
nica n.  141,  0-  :  rohp'r  rubare,  ofél  uccello,  oreca  n.  41.  hokè'l 
boccalia  Lib.  Stat.  19  (ora,  sopraffatto  da  ìijer  litro,  ha  soltanto 
il  significato  di  '  vaso  da  notte  '  cfr.  Cavassko,  II  357),  godìi 
goduto,  rtrsorf'r  n.  141,  ^o/f'r  n.  98,  topoi  dim.  di  topa,  pohl'n  e 
poktl'n  dim.  di  pnk,  okì'i'i  oklnn  okchi  n.  172  nota.  Con  n-  ab- 
biamo t/irìrOla  nn.  177  e  260,  regg.  foUrola.  —  Seguito  da  h  si 
era  già  ridotto  ad  (/-  nel  lat.  volg.  e  questa/-  andò  soggetto 
all'aferesi  come  ogni  altro,  n.  153  :  gostrohi  '  agostana  '  detto 
di  febbre,  Gostl'n  Agostino,  skijlta  ascolta. 

Coldl'u  coldoit,  goìton  orecchioni,  cont.  arpoiìsrres  son  paral- 
leli a  Gold,  ecc.  del  n.  141  :  qui  vanno  aggiunti  cont.  skonsèda 
'  grembialata  '  Bruckner,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXIV  65,  gon-ndga 
'  baldoria  ',  con  assimilazione  parziale  di  l  in  n  dav.  a  dentale. 

Con  al-  abbiamo  faldlna  '  imbroglio  "  che  richiama  l'ait.  fralde 
da  f rande,  skalml'r  detto  del  fieno,  del  bucato  e  simili  quando, 
rimanendo  umidi  a  lungo,  s'infocano  e  s'alterano,  skalmana  caldo 
afoso  dopo  una  pioggia  (cfr.  per  queste  due  voci  Pieri,  Mise. 
Asc,  439).  Nel  cont.  armr'nt  acc.  all'urb.  avmJfìit  potrebbe  ve- 
dersi un  al-  venuto  ad  ar-,  se  pure  non  sarà  voce  letteraria 
con  assimilazione  parziale  del  gruppo  rm  in  r)ii. 


studi  sui  dialetti  rei^giiiui  139 

Con  u-,  sfrufp'r  e,  in  proclisi,  kiifa^dit  r'  che  dici  ?  ;  e  con  sin- 
cope, ksajdit  ?  acc.  a  c/fa^dit  'f. 

Anche  qui  il  secondo  elemento  del  dittongo  cambiato  in  v 
0  f  nelle  parole  d'origine  dotta  :  aftT'.ù  autunno  ',  fiaftl'ìi  flau- 
tino. Patii' n  Paolino,  Mavarét  dim.  di  Maver  n.  143,  Av(/usto. 

184.  Eu-  semiatono  diede  e-  nel  contad.  e  semidotto  reme- 
ti/um  n.  177.  - —  E  qui  venga  pure  todésk  ait.  todesco  nap.  f adisco 
berg.  fodesc  che  il  popolo  usa  ancora  accanto  a  tedésk,  forme 
che  hanno  per  base  eo,  eu  Bruckner,  Zs.  f.  rom.  Ph.,  XXIV  68-69. 

185.  Ai-  si  ridusse  a  ^-  in  girov  gemi,  "^r/airo  Bruknek, 
Zs.  f.  rom.  Ph..  XXIY  72,  e,  secondario,  in  Gitan'nì,  Gitàn  Grae- 
tanino.  Gaetano  attraverso  Gejtan'i'n,  Gejtàn  da  Gajtanì'n.  Gajtàn 
che  pure  si  odono. 

Resta  in  <jvajff'r  III  cfr.  fjvàjta  n.  146.  È  illusorio  in  painela 
lucch.  paiuella  '  paniuzza  '  che  si  pronunzia  veramente  pa^inela 
cont.  pajinela  da  pa  gin  eli  a. 

h)  Vocali  atoxe  in  iato. 

186.  Delle  vocali  atone  in  iato  primario  o  secondario  non 
subiscono,  di  regola,  mutamento  «,  n;  o  qualche  volta  diventa  u 
analogamente  a  quanto  si  vide  nel  n.  167:  e.  i  danno  di  norma  J: 

a  :  faìna  forse  letterario  e  recente  acc.  a  fajf/ì  masch.,  maister 
n.  89  acc.  a  màster  in  kapmdster  '  capomastro  '  e  al  rarissimo 
e  volg.  mister  dove  si  ha  assorbimento  dell'rt  cfr.  regg\  niistret 
Ferraro,  17,  ha}'/  'bargigli'  n.  236,  ^Jaf'/  paese.  Si  ha  assor- 
bimento dell'afona  in  fonetica  proposizionale  in  vajt'iùffren^ 
ra^dormì'r,  ecc.  per  va  a  l'inf.,  va  a  d<)r)iL,ecc.;  sonkamé  nvv. 
'sicuro'  da  a   so   aiika    me  letteralm.  'lo  so  anch'io'. 


'   Vini.  Mkri.o,  Sta<j.  e  ìUfsi.  pp.  59  sgg. 


140  Malagòli, 

u  :  può  2  fantoccio,  pn'tna  pure  da  yna  n.  64  e  anche  '  ricotta 
di  pecora  '  Ardi.  Glott.,  XVI  318,  fuét  '  frustino  '  frane,  fouet, 
mièter,  nuPter  '  voialtri,  noialtri  '  da  vii  e  '^)iu  n.  (51^"*^  +  ('t^r. 

o:  moina,  nioinof  'che  fa  moine',  tuì'n  se  da  toga  Salv., 
Rom.,  XXXI  290  \  hoCiza  n.  40.  Contrazione,  in  alcol  per  '  alcool  ' 
e  in  ròr  'rovere'  da   robure  *fovre~^*rovr'^'^rover~^'^roer. 

e  :  galjot  galeotto,  cont.  Galjàz  Galeazzo  (nome  di  famiglia), 
arjàni  n.  66,  cont.  arjé'l  leale,  anj(fl  n.  110,  pjoc  n.  136,  cont. 
vjemensa  veemenza,  cont.  Ijonfdnt  '  elefante  '.  Forse  con  ridu- 
zione a  i,  dopo  J,  in  simito  n  '  smorfie  '  se  da  *simjetoìb  cfr. 
Saixéan,  "  La  création  métaphorique  „,  Bh.  z.  Zs.  f.  rom.  ph., 
1,  p.  90,  cont.  pitànsa  pietanza  se  pure  non  è  direttamente  dal 
francese  '-.  Dav,  a  /  :  retina  pesce.  Dopo  a,  pajfàn,  Gajtón  cfr. 
alucch.  e  apis.  Gaitano  e  v.  anche  n.  prec.  —  Assorbimento  si 
ha  in  Lonerd  Leonardo  cfr.  alucch.  Limardo  Arch.  Glott.,  XVI 
415,  Polo'n  e  Polonzin  n.  166, i. 

i  :  insaljer  bagnar  con  la  saliva,  alsjaza  pegg.  di  alsia  n.  64, 
vjazo'l  viottolo. 

187.  Epentesi  di  iato.  —  Fra  due  vocali  in  iato  si  trova, 
di  regola,  nelle  varietà  campagnuole  del  nostro  dialetto,  svi- 
luppato tanto  in  protonica  quanto  in  postonica  un  suono  omor- 
ganico  di  passaggio,  che  dopo  vocale  palatina  è  /,  dopo  la- 
biale, e,  e,  dopo  la  vocale  neutra  «,  è  determinato  dalla  seconda 
vocale  :  cont.  Andreja,  cont.  ideja,  cont.  ineja  n.  63,  cont.  Ineja 
n.  157,  cont.  tejater,  acc.  a  tjrder  sec.  il  n.  prec,  teatro,  cont. 
Màrija,  cont.  vija,  cont.  zija,  cont.  Dijo  ;  cont.  tova  seva  n.  63, 
cont.  trii'o  siivo  semiletterari  cfr.  n.  61^'^^,  cont.  vuvHer  nuvèter  ib., 


t 


'  Veci,  ora  Arch.  Glott.,  XVI  598. 

^  Di  altre  voci  specialmente  attinenti  alla  mensa  che  sembrano  connesse 
col  francese  abbiamo  già  visto,  —  oltre  pitànsa,  —  dij ne'>'  n-  114,  tòn  n.  135, 
frùt  ìì.  139,  a  cui  si  potrebbe  aggiungere  articok  '  carciofo  '. 


studi  sui  dialetti  reggiani  141 

cont.  fiivét  (urb.  fm't  v.  n.  prec.)  donde  il  diminutivo  fìiftiù  vivo 
anche  nell'interno,  cont.  kova  n.  63,  cont.  DovarcllH  Dovardò'n 
n.  153  ;  cont.  sajeta  saetta,  cont.  majister  n.  89,  cont.  hanU  l)aule, 
cont.   faravòna  '  gallina  faraona  '. 

Nell'interno  questo  suono  intermedio  si  è,  per  influsso  anche, 
probabilmente,  della  lingua  letteraria,  attenuato  nei  casi  che  ora 
diremo  ed  è  scomparso  del  tutto  negli  altri,  tranne  in  pochis- 
sime parole  per  le  quali  mancò  il  correttivo  delle  corrispon- 
denti italiane  con  iato,  come  incova  acciuga,  rovam  ii  striscia 
di  pelle  di  colore  rossiccio  con  cui  si  orlano  all'interno  i  cap- 
pelli e  le  sottane  in  fondo  ;  v.  però  l'osservazione  in  nota  al 
n.  226.  Resta  il  suono  di  passaggio,  ma,  come  s'è  detto,  atte- 
nuato e  assai  lieve  ^  fra  vocale  -r  /.  ''  e  fra  /,  ìi  +  vocale  :  nel 
primo  di  questi  casi  la  presonanza  del  secondo  elemento  ci  fa 
sentire  una  semivocale  appena  accennata,  quasi  un  mezzo  i 
(cfr.  paHnela  n.  173)  o  un  mezzo  u  :  ba^l'f,  Ixi^-nl  ;  nel  secondo 
avvertiamo  la  stessa  semivocale  quasi  come  un  eco  di  i,  u  to- 
nici precedenti:  mi-a,  tu^~a.  Non  abbiam  creduto  necessario  in- 
dicare costantemente  con  la  grafia  questo  leggerissimo  suono, 
parendoci  sufficiente  il  discorso  qui  fattone. 

Di  altri  fenomeni,  analogici  non  epentetici  (Gorra,  St.  di  fil. 
rom.,  VI  503,  511,  575  e  sgg.),  si  tratterà,  per  ciascuno  a  suo 
luogo,  nel  consonantismo. 

6. 
(Quantità  dello  vocali. 

188.  liiferendoci  a  quanto  abbiam  detto  sparsamente  della 
quantità  delle  vocali  toniche  e  afone  nelle  varie  condizioni  in 
cui  avemmo  occasione  di    studiarle,    raccogliamo    e    ordiniamo 


'  Cfr.  per  il  genovese  della  città  Parodi,  Giorn.  st.  d.  lott.  it..  XXY  117 
124. 


142  Malagòli, 

le  norme  principali  che  governano    questa    materia    nel   nostro 
dialetto. 

Vocali  toniche  brevi.  —  1.  Son   brevi,    di   norma,    le   finali 
degli  ossitoni  n.  53. 
Si  eccettuano  : 

a)  a  ha,  o  ho  che  si  spiegherà  come  d  v.  n.  107  ;  ma  nor- 
malmente kantarà',  kantaró  e  sim.  ; 

P)  pò  da  pók  n.  142  ; 

y)  tutti  gli  a  palatizzati  in  e  nn.  33,  145  ; 

ò)  i  continuatori  di  vocali  in  iato  con  -«,  tranne  ti  n,  60^^^**, 
fu,  hi,  cu,  n.  61^'"*  ; 

e)  i  participi  masch.  in  -i,  -u  nn.  118,  138,  e  le  2''  plur. 
dell'indicat.  pres.  in  -i  n.  95. 

2.  Son  pure  brevi,  di  norma,  le  vocali  in  sillaba  chiusa 
dei  parossitoni  o  già  tali  n.  39,  tranne  dav.  a  nasule  A-  cons. 
sorda  n.  69  e  a  r,  Z  complicati  n.  74. 

Escono  dalla  regola  a,  o  latini,  per  cui  vedi  num.  seguente, 
e  o  dav.  a,  ci  e  a  bb  che  dà  o  nn.  88  e  90. 

3.  Anche  nei  già  proparossitoni  è  breve  la  vocale  tonica 
che  non  sia  a,  n  lat.  nn.  46 ,  47 ,  50 ,  oppure  a  cui  non 
segua  nasale  o  cibrante  nelle  condizioni  indicate  nei  nn.  69,  74 
e  81^"-\ 

4.  Per  le  voci  d'origine  letteraria  sembran  da  distinguere 
due  età  :  una  più  antica  nella  quale  ogni  vocale  tonica,  tranne  a, 
fu  breve  cfr.  Meyer-L.,  "  It.  Gr.  „,  §  90  [vel  n.  113,  konieta  ib., 
cont.  Vangeli  n.  110,  pila  n.  120,  manteka  manteca,  vita.  Malga- 
vita  Margherita,  cont.  oli  n.  129,  noja  ib.,  ofober,  Gob,  cont.  ina- 
trimoni,  ecc.  n.  132,  katuba  'grancassa'  [cassa -f- tuba  ?] ,  ajutay 
cont.  Saint  salute,  mut^  luder  ludro,  8.  Luka  S.  Luca,  kondùg,  ecc.); 
e  un'altra  più  recente  in  cui  accettandosi  parole  nuove  dall'ita- 
liano 0  modificandosi,  per  l'influsso  di  questo,  voci  letterarie  già 
esistenti,  si  ha  la  vocale  lunga.  Com'è  naturale,  le  parole  del- 


Studi  sui  dialetti  rci^s^iani  143 

l'ultima  maniera  son  piìi  pi-oprie  dell'iiiterno,  o  avviene  talvolta 
che  la  campagna  ci  conservi  ancora  la  risoluzione  piìi  antica 
{pianeta,  ntcter,  poeta,  vela  [resta  però  vela  anche  nell'interno 
nella  frase  allegorica:  Va  miide  vela  'ha  mutato  opinione'], 
urb.  Vangèli,  Rita,  urb.  oli,  urb.  nója,  urb.  n latrimi) ni,  ecc. 
n.   l-)-,  urb.  salTit,  [ikara  sicuramente). 

Si  conserva  sempre  la  vocale  lunga  nelle  voci  ciotte  o  semi- 
dotte dav.  a  f  :  l'fola,  vi' /ita,  fì'Jika,  tlfik,  r'ijnia,  rlfga  risica, 
centPjim,  batejiìn  n.  118,  (,^?fer  n.  109,  spropó/it,  cern/ik,  rnTifika. 

189.  Vocali  tonichk  li  nciii-^.  —  1.  Son  lunghe  le  vocali 
mediane  derivate  da  penultima  libera,  tranne  è,  7,  a  e  o  dav. 
a  m  n.  70. 

2.  E  sempre  lungo  lat.  à  palatizzato  in  p  in  qualunque 
posizione  venga  a  trovarsi  :  unica  eccezione  Hher  per  cui  v. 
n.   107. 

E  pure  lungo  a  del  dialetto  che  continui  fi,  tranne  negli 
ossitoni  in  cui  resti  finale  :  va,  dà,  fa,  starà'  n.  51.  Per  a  '  ha  ' 
v.  lunn.  pree.  1,  a.  Se  però  agli  ossitoni  in  -à.  si  attacca  una 
enclitica,  questa,  —  sebbene  di  regola  le  encliti-che  non  alterino 
la  quantità  della  vocale  a  cui  si  uniscono,  p.  es.,  tot  '  togliti  ' 
da  to  'togli'  (imperat.)  e  tot':'  'prendi  tu?'  da  fi)  'prendi' 
(indie),  finii  '  finitelo  '  e  finii  .^  '  tìnf  egli  ?  ',  —  fa  riacquistare 
all'rt  la  sua  lunghezza  normale:  vat  vatti  (imperat.),  fani  fammi, 
starai?  'starà'-*'.  11  Parodi,  Arcli.  Glott.,  XVI  157,  spiega,  nel 
ligure,  vaia,  kiimàlu,  ecc.  da  anteriori  va -dia,  kuin-é-éllu,  ecc. 
Tale  spiegazione  non  par  sufficiente  nel  nostro  dialetto  a  chia- 
rire tutti  i  fenomeni  che  ci  occupano  per  due  motivi  :  1)  Perché 
in  condizioni  uguali  non  si  ha  l'ugual  risultato  con  altre  vocali 
cfr.,  p.  es.,  il  citato  finil'i'  e  dil  dillo,  fai?  fu?,  tol  'prendilo' 
da  di,  fa,  to  ;  2)  Perché  non  ci  dà  ragione  degli  allungamenti 
in  dàm  dammi,  dat  datti,  fàt  fatti  e  sim.  di  fronte  a  tom  '  pren- 
diuìi  ',  diin  dimmi,  tot  v.  sopra.    Probabilmente    tra   noi   i    casi 


144  Malacfòli, 

come  *dà)n,  *dàt,  *fàf  vennero  a  trovarsi  cosi  isolati  fra  tutti 
gli  altri  a  mediani  lunghi,  che  furono  attratti  da  questi. 

In  parole  d'introduzione  letteraria  recente  anche  a  mantiene 
la  quantità  dell'italiano  :  per  es.,  Sàfo  nome  proprio  entrato  in 
uso  fra  noi  da  pochi  anni,  di  fronte  a  pitàfi  n.  158,  (]ir(lfa  piìi 
antichi  e  più  assimilati.  Hanno  pure  Va  breve  scào  e  àmen,  àka, 
di  fronte  a  kfimes  camice,  viljàk  vigliacco,   perbàko  !  perbacco  ! 

Jj!^  àj ! ,  àja!,  ajà'!,  ryV/ /  =  ahi  !  si  alternano  secondo  le 
circostanze.  Se  l'esclamazione  è  vibrata,  come  di  sorpresa  o  di 
dolore  acuto  e  improvviso,  si  ha  la  breve  ;  in  caso  diverso,  la 
lunga. 

Restaj  con  à,  gòra  voce  con  la  quale  i  fanciulli  chiamano  i 
singoli  nòccioli  di  pesche  nei  loro  giuochi  ;  e  distinguono  la 
gara  dal  knk  '  nocciolo  più  grosso  e  pesante  con  cui  tirano  '  ^ 
Questa  parola,  che  par  connessa  con  gl'ital.  gara,  sgarrare,  im- 
prestiti francesi,  avrà  qui  la  vocale  breve  per  il  fatto  che,  nel 
gioco,  chi  tira  grida  vibratamente  :  kpk  e  tri  ber  log  e  tri  gara! 
—  a  stag  dal  kpk  e  da  la  gara  ! 

3.  Lunga  è,  di  norma,  la  continuazione  di  lat.  o,  che   per 
la  quantità  ha  quasi,  come  vedemmo,  lo  stesso  trattamento  di  a. 

Si  abbreviò  per  influsso  di  seguente  nas.  -f  cons.  soìiora  n.  70 
e  di  j  da  H  n.  88.  È  dall'italiano  bója. 

4.  Sempre  lunga  è  la    continuazione    di   au.   tranne  '.^m   ko 
e  Po  n.  142. 

190.  Vocali  atone.  —  Nelle  atone.  di  regola  tutte  brevi, 
è  più  difficile  notare  le  lievi  differenze  di  quantità.  Meno  breve 
delle  altre  pare  o-  :  bpter,  tóler,  ecc.  nn.  7,, 5  e  167. 


^  V.  Ferraro,  p.  84,  in  cui  è  brevemente  descritto  il  modo  più  comune 
del  gioco,  ma  non  ne  è  riportata  la  nomenclatura  dialettale,  fatta  eccezione 
del  nome  del  castelletto  di  nòccioli  0  pivi  raram.  di  noci,  regg.  hena,  da 
noi  hm  cont.  bèna  n.  68^^^.  Se  il  castelletto  è  di  tre  nòccioli  dicesi  Jcaraleta, 
perché  il  terzo  nòcciolo  si  pone  quasi  a  cavallo  sugli  altri  due. 


studi  sui  dialetti  reggiani  145 

7. 
Accento. 

191.  Conservato,  di  regola,  l'accento  del  latino  :  kantP'r, 
k(intr'  n.  33,  onbrff  n.  30  ',  /(/{ira  n.  38,  ecc.  ;  con  le  deviazioni 
comuni  anche  al  toscano  e  al  romanzo  in  genere  :  merkoydi, 
fijlexj  ;  fjòl.  inte'r  cont.  intrec/  con  cui  può  andare  karega  n.  232 
Mkykr-L.,  "  Einf.  ...  §  83,  ecc. 

192.  Accento  protratto.  -  -  Frequente  il  fenomeno,  dovuto 
probabilmente  a  ragioni  d'analogia,  dell'accento  protratto  nei 
vocaboli  sdruccioli  d'origine  letteraria,  che,  specialmente  nella 
campagna  e  tra  il  popolo,  son  fatti  parossitoni  od  ossitoni 
secondo  i  casi  :  tribnl,  fribula,  trihnlen  pres.  di  trihnlr'r  '  affati- 
carsi, stentare  ',  fdondala  n.  180,  rizl'n  genov.  rie  In  ricino, 
ìiìangàì'i  mangano,  siihlt  acc.  a  ^libit,  bajalik  n.  178,  falffra 
'  fàrfare  '  Casali,  Op.  cit.,  Nibàl  n.  153  e  i  cont.  e  volg.  hqjita 
capita,  dubita  dubita,  lumì'n  nomino  n.  168,  inyuri  n.  156, 
(lomenika,  Saniùs  Sanctus,  Aùgilns  Angelus,  oramai  rari 
e  antiq.  gli  ultimi  due  anche  nella  campagna.  Aggiungiamo 
a  questi  i  verbi  d'oi-igine  popolare,  che  estesero,  pure  per 
ragio.iii  analogiche,  la  parossitonia  o  l'ossitonia  al  sing.  pres. 
e  alla  3'*  plur.  :  bjasuy,  bjasnga,  bjasiìgen  da  bjasugp'r  n.  178, 
branzTig  ecc.  da  hraùzugp'r  ib.,  cibar  ecc.  da  cicarr'r  nn.  171 
e  177  di  fronte  a  cacra  (nome),  pzlg  ecc.  da  pzige'r  pizzi- 
care cfr.  il  verbo  lucch.  pess'ia  Arch.  Glott.,  XII  124,  cont. 
suiigò'n  ecc.  da  sangon<fr  (ma  regolarmente  fiemen  semino,  mèfen 


'  Anche  l'italiano  —  non  sarà  male  ripeterlo  —  ha  lombrico  non  lóiubrico, 
come  dice  forse,  erroneamente,  qualcuno  non  toscano  e  come  si  trova  anche 
nel  Mkykr-L.,  //.  Or.,  §  ì'>?,  (rid.  ital.  §  92). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  10 


146  Malagbli, 

macino,  straiigol  strangolo,  ba-er  buggero,  che  nel  genovese 
invece  protrassero  l'accento  cfr.  Par.,  Arch.  Glott.,  XVI  161  ; 
dlfn  aret.  e  serav.  di/ino,  akomda  lucch.  pis.  viar.  accomodi). 
All'analogia  dovremo  anche  volg.  brontela  acc.  a  hròhtla  da 
hrohtlè'r  brontolare,  fmuteìa  da  fmutlc'r  ^mugghiare  delle  bestie 
bovine  ',  nei  quali  forse  si  ebbe  Ve  su  mnrtela  da  martlè'r  mar- 
tellare e  sim.;  così  dicasi  dell'/  di  striipia  da  strnpjer  storpiare  e 
doina  da  dopjc'r  piegare  in  modo  da  far  doppio,  checchessia, 
su  sutia  da  sutjer  assottigliare. 

Avrà  avuto  origine  nell'enfasi  il  cont.  vja  !  via  !  {aòidc  ija  ! 
andate!,  ven  rja  !  vieni!),  che  si  estese  poi,  sempre  nella  cam- 
pagna, anche  a  frasi  non  enfatiche  [Ve  ahdè  rja  '  è  andato  via  ', 
ed  foravjà'  '  di  fuori  ').  Lo  stesso  fatto  si  osserva  nell'esclama- 
zione contadinesca  per  bjó  !  urb.  per  bio  !  n.  151,  e  nell'antiq. 
torsvó  !  '  servitor  suo  !  '.  In  questi  casi  il  passaggio  dell'accento 
era  agevolato  dalla  massa  maggiore  di  espirazione  .  necessaria 
alla  pronunzia  della  seconda  vocale,  fenomeno  frequente  nelle 
lingue  romanze  cfr.  Goidànich,   "  Ditt.  rom.  „,  p.  169  e  sgg. 

193.  Accento  ritratto.  —  Ci  offre  esempi  d'accento  ritratto 
la  flessione  verbale  negl'infiniti  seguenti  della  2^  coniugaz.  latina 
in  -e're  che  si  uniformarono  a  quelli  della  3^  in  -ère,  e  riti- 
rarono perciò  l'accento  di  una  mora  :  akàder  n.  101  (cfr.  pis. 
cadere  Meyer-L.,  "  It.  Gr.  „,  §  422),  annàner  rimanere  (cfr.  viar. 
rioìdnere),  an-edres  rivedersi,  goder  godere  (cfr.  vers.  gq'dere), 
persoèder  n.  Sl''^®,  poseder  possedere,  preveder,  proveder,  skàder 
n.  101  (v.  sopra  akàder),  seder,  temer,  veder.  Si  ha  pure  accento 
ritratto  nella  P  e  2^  pers.  plur.  dell'imperf.  indicativo  (feno- 
meno non  ignoto  al  toscano)  :  kanteven  cantavamo,  kantévi  can- 
tavate ;  éren  eravamo,  eri  eravate  ;  avéven  e  èven  avevamo, 
averi  e  evi  avevate,  ecc. 

Tra  i  nomi,  baler  n.  47  presenta  recessione  d'accento  dovuta 
forse  al  mutamento  del  suffisso. 


STUDI  SUI  DIALETTI  REGGIAìNI 


Fonologia    del    dialetto    di    N'ovellara. 


II. 

O  O  N  S  O  X  A  N  T  I  S  M  O 

1. 
Consonanti  e  gruppi  consonantici  iniziali. 

a)  Consonanti  semplici. 

194.  Si  conservano  intatte  le  consonanti  semplici  iniziali  /), 
h,  t.  <l  (lat.),  k  e  g  (dav.  ad  a,  o,  )f),  s,  z,  f,  v,  l,  r,  n,  m:  pe 
n.  60,  parpaja  '  farfalla  ',  bo  n.  61.  ber  '  ciuffo  di  capelli  '  celt. 
barr  ScmicH.  Zs.  f.  rom.  Ph.  IV,  126,  Thurneysen  "  Keltoro- 
manisches  „  45,  M.-L.  "  Einf.- „  p.  48  i,  ti)  n.  61'*'%  dù  ib., 
kPren,  kofa  n.  141,  knna  culla,  gal  gallo,  goder  n.  193,  giisf,  sol, 
za/»'/  •  inciampo  '  alto  ted.  zap  cfr.  Arch,  Glott.  IH  168.  fam. 
furata  n.  169,  roder,  lèder,  roda,  nosfer,  man,  niàt,  matfda  '  atto 
pazzesco'. 

195.  Si  mutano  : 

K-  (dav.  a  e,  i)  in  z\  zmt  n.  69,  zU  n.  34,  zìra  n.  73,  zervél 
cervello,  zener  n.  70,  zér'c  n.  77,  zéna,  zlnk  n.  72,  zima,  zinqa 
n.  71,  ziveta,  zeniif  n.   164  è,  zcdro'n  n.   160; 


'  Per  il  vocalismo  bisogna  ammettere  però  che  venisse  a  noi  da  qualche 
paese  in  cui  avesse  e  e  non  a  :  cfr.  cimr.  bert/n,  Tuurn.,  p.  44, 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  11 


148  Malagòli, 

(j-  (dav.  a  e,  i)  e  j-  in  ^;  lentia  gengiva  ii.  161,  r^nea  n.  63, 
^d  gelo,  icrwr  n.  70,  :^es  n.  41,  ;ó(/  n.  37,  -óy  n.  37^'^,  li'iold 
n.  182^'^  -nPr  n.  159  ^e>2ar  Carta  del  1490,  let  ed  fjòr  '  tallo  ', 
Zemjà'n  n.  307,  ;à  jam  antiqu.  acc.  al  più  comune  e  letterario 
gà,  lUn  giugno,  iijdes  giudice,  iQven  n.  8P^%  inéver  ib.  cfr. 
lucch.  zinepro  Arch.  Glott.  XII  116,  ^vàii  Giovanni  Villa  San 
Zanis  ^  doc.  del  1449  in  Monum.  delle  Meni,  del  p.  P.  Maria 
p.  28,  laniiì  bachi  delle  frutta  cfr.  serav.  giannello  it.  '  baco 
Gianni  '  ; 

d-  tedesco,  lene  sorda,  in  t:  fàis  deutsch,  tartàifel. 
196.  Casi  particolari,  —  K-  scaduto  a  g:  gàf,  gatn'f  (oc  gaffe'/, 
k'  ì  vedn  in  tilt  i  bi'ff=  occhi  come  quelli  del  gatto,  che  vedono 
in  tutti  ì  buchi),  gànba;  gcmber,  garofen;  —  gàbja,  gomet,  gònfi, 
gatabuja,  galera,  galo'n  coscia  Arch.  Glott.  XVI  375  e  408,  ga- 
mela  ^,  garion-,  —  galavrò'n,  galavrlna  garfagn.  calabr-,  golàna 
collana,  galabrii^a  '  nebbia  gelata  '  sec.  l'ipotesi  del  Nigra  Arch. 
Glott.  XIV  275,  garabatli  n.  102,  se  pure  non  è  da  accettarsi 
l'etimo  con  g-  del  Caix  nel  qual  caso  sarebbe  l'it.  carabattole 
un  nuovo  esempio  di  passaggio  da  g  in  k,  gaveì  '  paletta  '  ;  ma 
kubja  n.  132,  kalger  cfr.  it.  '  galigaio  '  venuto  nel  dialetto  a 
significare  '  puzzo  '  ^,  kar^ol  n.  37  vogh.  garso  Nicoli  n.  60,  e 
sempre  e  solamente  kastl'g,  kanel,  koster,  kalzlna,  konbine'r,  ka- 
baré,  cfr.  M.-L.  '  It.  Gr.  ,  §  162.  —  Il  fenomeno  opposto  si  ri- 
scontra in  koììfallna  '  gonfalone  '  aat.  gundfano  che,  come  è  noto, 
ebbe  il  doppio  riflesso  iniziale  di  g-  e  k-  anche  in  altre  lingue 
romanze. 


'  Questa  forma  abbreviata  di  '  Giovanni  ',  che  corrisponde  al  tose.  Gianni, 
si  trova  nello  stesso  docum.  nel  cogn.  Zampetri  e  resta  ancora  in  ^^anandrea 
nome  di  una  famiglia  campagnuola.  Un  soprannome  :^(?n  e  il  nome  di  un 
fondo  £on?(ìnff,  forse  dagli  antichi  proprietari  (Rogito  del  1417:  Bonzangnis), 
ci  ricordano  la  stessa  forma  con  la  palatizzazione  in  più. 

^  V.  però  per  galèra  e  gamela  Arch.  Glott.  XV,  388,  n.  2. 

'  Si  pensi  al  puzzo  che  emana  da  una  '  concia  di  pelli  '. 


studi  Sili  dialetti  reggiani  149 

197.  P-  ridotto  a  h-:  busta;  buia  pula,  benda j  regg.  binda] 
n.  161,  '  pendaglio  '  e  '  bandolo  della  matassa  '.  Per  bòls  e  bledeg 
V.  sotto  V-  in  b-.  —  Del  passaggio  contrario  di  h  in  y;  si  ha 
esempio  in  peka  per  becca  (v.),  dalle  forme  con  j»  secondario 
{pkfr,  pké,  pkfm,  pkém,  ecc.),  e,  secondo  il  Muss.  "  Rom.  Mund.  „ 
n.  220,  in  pcrli'n  '  Berliner  blau  '. 

P-  in  f-  presenta  farabulàn,  semidotto,  per  azione  forse  di 
'farabutto'  e  di  'favola',  cfr.  Arch.  Glott.  XVI  .542  n,  1. 

Per  bfriaìnl'n  romagn.  barzamen,  it.  '  marzemino  ',  Muss.  '  Rom. 
Mund.  „  n.  221. 

197'''^   T-  venuto  a  m-  in  morsel  n,  166,  2. 

198.  T'-  passato  in  b-  :  bacilàìi  '  fatuo  ',  da  aggiungersi 
alla  bella  serie  del  Par.  Rom.  XXVII  197-198,  bakè'r  n.  40, 
bàgoì  n.  106,  bagoli  e  bagolo  h  Par.  ib.  204,  baUt  '  vaglio  '  (donde 
il  v.  baltr'r)  ib.,  barbàj  e  barbajfr  ib.    210,    barhajl'n   barbatli'n 

*  chiacchierino  '  e  fjbarbatlè'r  'chiacchierare',  barbaje'r  e  barbojer 

•  borbottare  '  ib.  218,  barbàs  [tas-]  ib.  217,  barkéres  '  imbarcarsi  ' 
(anche  it.),  '  incurvarsi  del  legname  '  ib.  209,  se  pure  non  è  diret- 
tamente da  bf'ì'ka  barca,  bartadél  acc.  a  bertadél  '  ventricolo  dei 
maiali  e  di  altri  quadrupedi  '  ib.221,  bffja  e  bafjot  '  catino  e  cati- 
nella '  ib.  214.  V.  anche  Xigra  Rom.  XXXI  .521,  befla  mento  Arch. 
Glott.  XVI  431  e  seg.,  befonika  Par.  Rom.  XXVII  223,  bledgfr 
'  fare  il  solletico  '  ib.  216  lucch.  vellicare,  bellicare,  cfr,  però 
anche  Flech.  Arch.  Glott.  II  317-325,  M.-L.  "  It.  Gr.  „  i?  193, 
jtsìga  se  da  *bessfga  n.  22  nota  1,  bols  '  bolso  '  Pieri,  Mise.  Asc. 
427,  bug  n.   128. 

V-  in  g-:  grasùfr  guastare,  cont.  gomitP'r  vomitare,  gmér  ve- 
nie r  i  u  ' . 


'  Per  le  probabili  spiegazioni  del  digradarsi  della  sorda  in  sonora  e  del 
passaggio  di  t-  in  h-  e  in  g-  v.  M.-L.  "  It.  Or.  ^,  §§  162-166,  rid.  it.,  p.  89, 
«•rr.',  I,  676  :  Parodi,  1.  e. 


150  Malagòli, 

199.  S-  in  Z-:  zifla  acc.  a  sifla,  cfr.  il  corrispond.  it.  '  zufola' 
e  V.  anche  n.  91,  zinfonia  acc.  al  più  com.  sinfonia,  zavata  '  cia- 
batta ',  se  da  una  base  con  s-  K-  ^  8338. 

S-  in  r-:  remol  nn.  70  e  182,  dove  si  avrà  contaminazione  con 
romiol  '  cruschello  '  (cfr.  milan.  rozó,  romagn.  ruvzol,  Salv.  Rom. 
XXXI  288,  Arch.  Glott.  XVI  597)  che  a  sua  volta  ripeterà  Vm 
da  si  mi  la. 

200.  Z-  da  y  in  s-  :  sif  cece,  sifèrca  cicerchia,  simes  cimici, 
cont.  sifo'r  n.  163,  per  influenza  assimilatrice  dell's  seguente.  E 
qui  ricordiamo  la  confusione  popolare  fra  z  e  .s  di  cui  si  parlò  nel 
n.  21.  —  Son  parole  letterarie  Céfer,  cifra,  cédola,  ceMefim,  la 
centinàja  '  festa  centenaria  ',  celést,  center. 

Z-  in  vece  di  ~-  si  ha  in  zirela  '  girella,  puleggia  ',  per  contam. 
di  cidella  Salv.  Arch.  Glott.  XVI  296  nota. 

201.  ./-  g-  nelle  parole  venute  dall'uso  letterario,  presenta  due 
diverse  soluzioni  : 

1)  g-:  gasfizja,  gtist  giusto,  gurer,  Girolom  GiromJn  n.  304, 
gè/mi' n  '  gelsomino  '  gesmino  nell'Ariosto  n.  305,  Ganih  Giannino, 
Gè  fu'  n.  58,  gefvit  gesuita,  geht,  giiha,  gudio,  govedi  acc.  a  :Jjhja 
n.  149  ^  Per  gongel  '  sottogola  dei  buoi  che  li  tiene  attaccati  al 
giogo  '  si  potrà  pensare  a  un  imprestito  o  a  un  processo  di  as- 
similazione parziale,  cfr.  Arch.  Glott.  I  303,  508  ^. 

2)  j-  :  in  Juli  Giulio,  Jakom    cont.  Jakum  (deriv.  Jakmì'n, 


^  Il  PiAGN.,  n.  98,  considera  questa  come  un'altra  risoluzione  di  g,  j  ;  che 
non  sia  necessaria  tale  ipotesi  è  dimostrato  dal  fatto  che  parecchie  di 
queste  voci  hanno  in  dialetti  erùiliani  affini  oppure  anche  nello  stesso 
dialetto  la  doppia  forma  con  ~,  normale,  e  con  g,  imprestito  letterario  o 
dialettale  lombardo. 

*  Osservo,  per  il  significato,  che  al  vaiteli,  jòngola,  citato  dall'AscoLi, 
corrisponde  da  noi  arvaròla  '  striscia  di  cuoio  che  lega  le  corna  de'  buoi 
al  giogo  ',  fors.e  da  alvarola  perché  tiene  in  certo  modo  levata  in  alto  la 
testa  dell'animale. 


studi  sui  dialetti  reggiani  151 

Jakììjéf,  Jakmó'n),  Jujéf  ".  168  (deriv.  Jusfì'n,  Jusféf,  Jusfo'n), 
Jè/tis,  latinismi;  cfr.  anche  Trauzzi  n.  90,  e,  sul  modello  di 
questi,  forse  just  '  appunto  '  con  jusfr'r  '  accomodare  '  ^. 

202.  ilf- in  n-:  nespol  da  *unu-mespilu  con  assimilazione 
di  sillaba  Par.  Arch.  Glott.  XVI  864,  se  non  è  assimilazione 
regressiva  parziale,  nica  nicchia  come  in  italiano  M.-L.  rid.  p.  92. 
Non  da  mitiu  Giacomino  Arch.  Glott.  XV  415,  ma  piuttosto  da 
i]nitiu  Pieri  Arch.  Glott.  XII  125.  Salv.  ih.  416,  XVI  458, 
pare  il  frequentissimo  niz  '  livido  "  col  v.  nizir. 

203.  V-  in  /-:  laiìkì'n  '  tela  di  Xankin  '  dissimilazione,  cont. 
lum'nu'f  '  nominare  '  mutamento  dissimilativo  forse  agevolato 
dalla  contaminazione  con  lum  cfr.  n.  168.  - —  In  ajlojcr  '  render 
ottuso,  istupidire  '  detto  di  certi  cibi,  non  crederemmo  neces- 
sario vedere,  come  altri  ritenne,  un  processo  assimilativo,  po- 
tendo il  verbo  derivare  da  loj  loglio,  che,  secondo  un'opinione 
volgare,  produce  un  tal  effetto  se  misto  al  grano  nel  pane. 

V-  in  //-:  nuka,  licikra  cfr.  "  gnucca,  gnacchera  '  M.-L.  "  It. 
Gr.  .,  167,  liif  '  muso  '  con  fòer/ii'f  '  sfacciatello  ',  ma  mìci  e 
nProv  (non  /itid  '  ignudo  ',  nerov  mil.  nerf).  In  ìiint  niente,  nàn 
neanche,  noia  "lungagnata,  storia'  *n  e  ni  ola,  nol(fi'  'lamen- 
tarsi '  si  ha  la  risoluzione  normale  da  ìi  A-  i  -\-  voc.  ^. 

204.  L-  in  n-:  volg.  «m^io' per  assimilazione  da  linzo. 
L-  in  /•-:  cont.  ajrjp'l  n.  186  per  dissimilazione. 

L-  IJ  gici  nel  lat.  volg.  J  -  IJ  :  rjj  giglio,    ma   sempre    loj  n. 
preced.  e  hij  luglio. 
Quanto  a  (jendni  '  lendini  '  non  par  ammissibile  presso  di  noi 


'  Il  PiAGN.,  n.  122,  inclinava  a  vedere  in  JusU'r  una  ricostruzione  come 
in  jtde'r,  v.  qui  n.  295  nota.  Ma  l'ipotesi,  che  egli  esponeva  in  forma  dubi- 
tativa, non  mi  sembra  accettabile.  Ammetterei  piuttosto  una  dissimilazione. 

■  Non  mi  persuade  l'opinione  del  Piagn.,  n.  6-3,  che  vedeva  in  nòia,  nole'r 
una  fase  posteriore  di  fnavle'r  miagolare. 


152  Malagòli, 

un  IJ-endin-  venuto  a  y-  come  nel  veneto  Arch.  Glott.  I  515 
nota:  ci  vedremo  piuttosto  una  contaminazione  con  glande  cfr. 
Voc.  regg.  (jiandla  in  vece  di  geiìdna,  oppure  la  continuazione 
di  un  glendini  avuto  per  dissimilazione  da  *gnendini  *cnindes 
(lendes)  cfr.  gr.  xovideg  Prellwitz  *  Et.  Wort.  „  s,  v.  Per  la 
stessa  dissimilazione  nel  baltico-slavo  Grammont  "  La  dissim. 
conson. „  p.  37. 

R-  in  1-:  cont.  litràf  ritratto  cfr.  valm. /zYra/ Jahresb.  I  126, 
cont.  lirnjrazpfr  ringraziare,  cont.  Ungerà  ringhiera,  per  dis- 
similazione. 

L-  prostetico  si  avrà,  dal  pron,  di  3*  pers.,  in  Jansfr  ansare, 
Salv.  Jahresb.  IX  i  102;  r-  in  cont.  resser  essere,  forse  da  yr' esser 
o  sim.  —  Per  ofmarin  rosmarino,  dove  si  ha  dileguo  per  dis- 
simil.,  V.  Salv.  "  Fon.  Mil.  „  p.  191. 

204bis  Ujj  y.  troviamo  in  venie  '  allentato,  ernioso  '  e  in 
venti'n  '  piccola  ernia  '  ,  per  intromissione  forse   di    veni  vento. 

h)  Gruppi  consonantici  originari. 

205.  Kestano  pure  immutati  i  nessi  consonantici  iniziali, 
tranne  1)  se-  (non  sk-  germ.)  dav.  a  e,  /,  che  si  riduce  sempre 
a  s;  2)  dj-  già  nel  lat.  volg.  j  e  quindi  nel  nostro  dialetto  i 
n.  195,  V.  però  anche  n.  217;  3)  tv-  e  zw-  germ.  ridotti  a  gr- 
e  rispett.  fgv-;  4)  dr-  ted.  che  diede  ir-  cfr.  n.  195;  5)  qu-  per 
cui  V.  n.  211;  6)  i  nessi  di  cons.  -\-  ì-  n.  212: 

presja  fretta,  bràz,  trèv,  drég  drago,  kreder,  krepja  greppia, 
gràfid,  stela,  strèda,  skinkSda  ted.  skinko  K^  8784,  skoka  '  cassa 
del  cocchio  '  Mise.  ling.  Asc.  p.  90,  skèla,  skriver,  skapinela 
'  soletta  '  cfr.  it.  scappino  ^,  speda,  spork,  frè  frate,  fradél,  ivoja 


*  Alla  stessa  base  appartiene  skapin  (m-)  '  in  peduli  '. 


studi  sui  dialetti  reggiani  153 

gemi.  \)ì(r(IJa;  ma,  1)  sena  scena,  sjmza  scienza:  2)  -o  n.  57  (è 
un  italianismo  {joren  giorno:  semiletterario  djèmi  n.  81^'^); 
o)  (jvardè'r,  grindol  arcolaio,  guindolo,  (/vadafìfr,  goaiit,  fivera, 
fgcàhia  e  /gnì/ìiga  svanzica,  cont.  sgoizpr  svizzero,  gvilder  ter- 
mine de'  calzolai  cfr.  Giacomino  Arch.  Glott.  XV  41!»  ;  4)  fràjer 
moneta. 

206.  Casi  particolari.  —  Parallelamente  a  quanto  si  vide  per 
k-,  p-  e  V-  abbiamo  qui 

kr-  scaduto  a  gr-:  gràs,  grata,  gradela,  grup\  —  grosfa  crosta, 
grdnf  '  cvRmpo  \  grespl'n  (pi.)  crespini.  —  Gratella -}- rete  die- 
dero forse  radela,  v.  però  n.  164  :  ragajì'  '  roco  '.  se  connesso  con 
la  radice  garg  K'M169,  avrà  subito  l'influsso  di  ràs^  '  raschio '. 

207.  SA--  \n  fg-:  fgareta  ^B.\(ìtt-A.,  fgurp' r  fh-Kcn.  Arch.  Glott.  Ili 
187,  XVI  449  nota  1,  Salv.,  Jahresb.  I,  \'2h,fgòl  e  f gol  ina  fossi 
di  scolo,  /golf' r  scolare  [v.),  fgonhili  scomiVigìio,  fgalme  derja  mod. 
e  regg,  fgahnédra  '  garbo  '  in  senso  ironico,  fgermjè'r  n.  171, 
fgerhjer  ib..  fgerhizer  ib.  se  connesso  con  *ex-carpere, 
fganp'r  '  masticare  '  Gorra  "  Dial.  d.  Piac.  „  n.  71  Salv.  Bull, 
d.  soc.  dantesca  XII  (1906)  p.  365,  fgihjo  regg.  schibiarola 
'  diarrea  ',  fgar~oh  regg.  scarzón  '  cardo  ',  fgalzarì'ii  regg.  scal- 
zarin  '  cardellino  ',  fgerhlf  e  fgerhelht  scerpellato  Salv.  Aich. 
Glott.  XVI  322,  ed  fgalefiber  '  a  schimbescio  '  Pieri  Mise.  ling. 
Asc.  441  ScHUCH.  Zf.  f.  rom.  Ph.  XXIX  623.  Ved.  per  questa  serie 
Salv.  Jahresb.  I  124-125,  dove  è  pure  registrato /f/ar^a;>'/-  che 
è  anche  del  nostro  dialetto.  —  67-  da  sk-  in  sternàc,  acc.  a  skernic 
n.   159,  forse  per  influenza  di  steiité' . 

208.  Pr-  in  br-:  brina  ;  bnuia  '  prugna  '  M.-L.  "  Gr.  d.  1.  r.  „ 
I  427,  "  Gr.  it.  „  rid.  p.  90,  borni/  n.  169  Arch.  Glott.  Il  330, 
bruff'r  *p(e)rusiare  Arch.  Glott.  XVI  599,  cfr.  però  anche 
M.-L.  "  It.  Gr.  ,,  §  163  n.  ;  rid.  it.  p.  90.  —  Si  ha  kr-  in  krin- 
zipi  volgare  acc.  a  kmihzipi  e  prinzipi,  per  immistione  di  '  co- 
minciare '  dialettizzato  in  komi/ìcp'r. 


154  Malagòli, 

209.  Sj)-  in  fb-  :  /bar  n,  102,  fbare'r  '  sparar  calci  '  Salv.. 
Jahresb.  I,  125.  —  Spr-  in  sfr-  ed  sfronbatiì'  a  spron  battuto, 
forse  per  influenza  di  sfroiibla  frómbola  :  v.  ora  anche  Riv.  di 
tìlol.  class.  XXXVIII  36. 

fo-  in  fb-'.  Jbiìièrsla  Par.  Roni.  XXVII  225;  Zf.  f.  rom. 
Ph.  XXXIII  230,  478. 

210.  W-  gerni.  in  g-  :  ylìiaiida  acc.  al  più  coni,  yrilànda  e 
fgèlf  furbo,  se  connessi  con  ivieren  K^  10389  e  Welf  ^,we\io  (cfr. 

parm.  Castelghelf  Castelguelfo  Piagn,  n.  100);  v.  anche  per /^è^/" 
Salv.   "  Fon.  Mil.  „  n.  280. 

211.  Qu-  dav.  ad  a  dà  kv-  :  kvàfer  quattro,  kvatgrdes,  koa- 
ràfita,  kvèl  quale,  koelkiduii  e  kvelkdfiìi  n.  178,  kvand,  ktàiit, 
kcèfi  n.  149,  koèder,  kvadrp',  koadèrna,  kcadréi  mattone,  kvajo't 
quaglia,  skvàma  squama,  skvaser  '  scuotere,  squassare  ',  Si  ha 
la  perdita  dell'elemento  labiale  in  Kardbi  n.  149  forse  per  im- 
mistione di  kàr  cfr.  Par.  Arch.  Glott.  XVI  340,  o  per  dileguo 
dovuto  a  dissimilazione,  se  pure  non  si  tratti  di  un'antica  ri- 
soluzione normale  in  sillaba  protonica  che  avrebbe  un  riscontro 
in  kager  '  cagliare  ',  dove  si  conserva  ka-  anche  nelle  forme  ri- 
zotoniche. 

.  Dav,  a  e,  i  diventa  normalmente  k-:  kl  chi,  ki  qui,  ke  che,  e 
i  semiletterari  kjet  quiete  -o,  ihkje't  inquieto.  Si  ha  kv-  in  koest, 
kvel  '  questo,  quello  '  acc.  ai  cont.  kost,  kol  ;  ma  proclitico,  in 
funzione  aggettivale,  sempre  kV  om,  kV  èrba  '  quell'uomo,  quel- 
l'erba ',  e,  dav.  a  consonante,  kul  tavll'n,  kla  tevla.  Son  parole 
dotte  kvìht  quinto,  kvestjofi  e  kvestjoner  acc.  a  kvisfjoh  e  kri- 
stjoner  cfr.  it.  questione  e  quistione,  e  cosi  pure  koereìa  cont. 
koarela  n.  41  e  kviiid.es  n.  70.  Benekvìdem,  ko/ikvìbus  '  denaro  ' 
son  pretti  latinismi.  —  Un  esempio  di  Gvi-  ridotto  a  Gi-  ci  offre 
cont.  Gidot  (cognome)  Guidetti. 

212.  Nessi  di  cons.  -\-  l.  —  FI-  dà /y-  :  pjàhta,  pjan~er  e  anche 
pjolr'r  se  da  plorare  cfr.    lucch.  piulare   Pieri,    Arch.    Glott., 


studi  sui  dialetti  reggiani  155 

XV  386  nota  3^,  pjàza  piazza,  pjfga  piaga,  j^J^/V,  js/o/dè  piombo, 
pjovei\  pJQpa  'pioppo'  e  anclie  'polpa  dei  polli,  piccioni  e  siiii.', 
pjii  n.  58. 

L'elemento  palatale  si  fonde  di  regola  in  un  suono  solo  con  e,  i 
seguenti:  jìf'v  pieve-,  plga  u.  114,  pl/'i  n.  89.  Puniazol  *plu- 
inaceolu  cfr.  ait.  pimacciuoìo.  pumazera  '  cuscino  da  piedi  per 
un  letto  grande  '  pumazo  Invent.  1488  regg.  pumazz  (Vocab.) 
stanno  a  provare  la  riduzione  di  pjii-  a  pu-  in  protonica,  pjìtmì'n 
piumino  sarà  probabilmente  una  neoformazione  su  pjunin. 

Plàgas  nella  frase  dir  plàf/as  Voc.  regg.  s.  v.  è  un  latinismo, 
piarlo  r  '  baccano  di  chi  contende  '  forse  un  francesismo  (trober 
in  K-^  7215,  pkdea,  pìik  plico  dall'italiano  letterario  ;  è  onoma- 
topeico j)Uk  '  colpo  dato  di  scatto  con  le  dita  '  regg.  krik. 

213.  Bl-  diede  bj-  :  hjaiik  bianco,  hjr'ca  biada,  bjond,  ed  Jjhjes 
'  di  traverso  '  propriamente  '  di  bieco  ',  hjastmè'r  bestemmiare, 
bjoster  '  rozzo,  privo  di  garbo  '  detto  di  persona,  cfr.  regg.  e  raod. 
biòss  ted.  bloss,  Salv.  "  Fon.  Mil,  „  p.  180,  BJff  Biagio,  bjasP'r 
'  biascicare  '. 

Bèda  bieta  può  esser  tanto  direttamente  da  beta  quanto  da 
una  base  blrt->  bje-  con  assorbimento  dell];  dav.  a  e  come 
già  si  vide  per  pj-<Cj>l-. 

Vengono  dall'italiano  bestemjr'r  aoe.  a  bjasfiiifr  popol.,  blók 
blo3CO,  blaùd  blando  ;  dal  francese,  blilf  '  camicetta  ',  blago  r 
'  chiasso  '. 

214.  FI-  dà  /}■-  :  fJàiH'i  tìamma,  fjàk  tìacco,  fjàsk,  fjp  fiato, 
fjadf'r  fiatare,  fjor,  FjorMza  oramai  solo  nell'adagio  :  A  ne  nilga 
bel  Fjorenza,  ino  l'eJjel^Pjafmza  cfr.  Ferraro  p.  102,  fjok  fiocco 
fjnm  fiume,  fjàp,  Arch.  Glott.  II,  343-344. 


'  V.  ora  Salv.,  R.  J.  L.,  s.  il,  v.  XXXIX,  492. 

*  Il  fenomeno  è  assai  ditìuso  nell'Alta  It.  ;  il  che  serve  a  conformare  la 
teoria  del  Goidànicii  sulla  dittongazione  romanza. 


156  Malagòli, 

Son  voci  dotte  e  semidotte,  importate  dall'italiano,  s]fìa§él 
flagello,  ftós  floscio,  flóta  '  frotta  di  persone  ',  fiati  '  flato,  rutto  ', 
fiema  flemma,  fanela  da  "  flanella  '  con  dileguo  per  dissimilazione. 
Per  flRf  V.  n.  139. 

215.  Kl-  e  skl-  danno  è-  e  rispett.  se-  :  càma  chiama,  càoga 
n.  47,  cnfa  chiusa,  ciìf  '  porcile  ',  cèr  chiaro,  crv  n,  33,  cere;/, 
céfa,  cold  n.  141,  càp  '  branco  di  cavalli  '  ven,  èajM  Salv.. 
Jahresb.  VII,  i,  118,  capa  acc.  al  men.  volg.  kulàta  '  natica  ' 
Salv.,  Arch.  Glott.  XVI  377,  caper  '  acchiappare  ',  cavadùra  a- 
lucch.  chiaoatura  '  serratura  '  :  scgp  schioppo,  scàjìa  schiappa, 
scàf,  scanke'r  '  schiantare  ',  scuma. 

Anche  qui  il  solito  kiner  chinare  che  farebbe  supporre  un  di- 
verso trattamento  di  ci  dav.  a  ì  se  non  fosse  esempio  quasi 
unico  e  non  vi  contrastassero  aff"ermazioni  come  quelle  del 
Bianchi  per  il  fiorentino,  Arch,  Glott.  XIII  177.  Per  skizè'r  v. 
n.  108.  Klement  Clemente,  kliè'nt.  Minia,  klfcs,  klarl'n,  Marina 
son  voci  dotte. 

216.  Gì-  dà  f/-:  gaz  ghiaccio,  ^fra  ghiaia,  yànda  ghianda,  {fot 
n.  44,  gotir  '  ingrossare  del  grano  ',  gàvra  '  neve  gelata  a  gra- 
nelli '  [g  1  a  e  i  e  s  -|-  g  1  0  b  u  1  a?],  gangola  glandola.  Letterari  : 
glórja,  glicerina. 

e)  Gruppi  consonantici  romanzi. 

217.  Frequentissimi  sono  nei  nostri  dialetti  i  gruppi  conso- 
nantici risultati  dalla  sincope  della  vocale  protonica.  Tali  nuovi 
nessi  restano  di  regola  inalterati  :  solo  le  consonanti  sorde  esplo- 
sive 0  spiranti,  quando  vengano  a  trovarsi  davanti  a  una  delle 
sonore  b,  d,  g,  g,  /,  i  si  mutano  in  sonore  esse  stesse  per  assi- 
milazione, e  viceversa  un'esplosiva  o  spirante  sonora  si  cambia 
in  sorda  dav.  ad  altra  sorda. 

E  da  notare  inoltre  che  un  dj  romanzo  non  dà  pili  i  ma  g: 


studi  sui  dialetti  reggiani  157 

popol.  Goni'/  acc.  a  Djonl'f  Dionigi,  (jarea  e  (jaria  n.  63  acc.  a 
urb.  djarea  e  forse  anclie  fjorhl'r  'accecare'  *de-orbare  con 
passaggio  di  coniugazione.  Anche  df  da  lo  stesso  esito  in  gì 
che  si  ode  talvolta  per  dfl  dite. 

Per  esempi  di  gruppi  consonantici  romanzi  v.  nn.  160,  166, 
170,  172,  174.  Aggiungiamo  qui:  1)  per  kr-,  ki'cl  '  covelle  '  n.  41 
col  diminut.  kvlhì  '  qualcosina  '  ;  2)  per  coìis.  -{-  l-,  jihikp'r  piluc- 
care cfr.  spluker  n.  153,  pluk  '  peluzzo  ',  pliza  pelliccia,  blìfi 
bellino  usato  anche  come  sostantivo  in  significato  di  '  balocco  ', 
bledeg  '  solletico  '  e  bledgp'r  n.  198,  Uifga  che  potrebbe  ricolle- 
garsi a  sibilare  —  come  il  corrispondente  ital.  'scivolare' 
Pieri,  Arch.  Glott.  XV  218-219  —  per  mezzo  di  *sTbilicat 
>  *blsilicat  >  Hifliga  >  HUfl(i)ga,  sjfrdfna  M.-L.  "  It. 
Gr.  „  §  304,  skìonge  '  rilassato  per  uno  sforzo  '  forse  da  collu  -{- 
longu,  cfr.  Bonvesin  deslongato  Salv.  Giorn.  st.  d.  1.  it.  XLII  377  : 
3)  per  assimilazione  di  sorda  a  sonora  e  viceversa,  bdrina  pe- 
dana, bdau  '  palancola  ',  b/er  pesare,  gfa  e  ksa  in  fonetica  sin- 
tattica già  ricordati  sotto  il  n.  183,  fdii  seduto,  fbgazè'r  n.  159, 
psv/a  n.  198;  ftiìra  raro  acc.  a  vitùra  n.  164,   spkè  di  bicchiere 

0  piatto  rotto  nell'orlo  'sbocconcellato  ',  fsadés  n.  152  ^. 

Dav.'  a  i\j,  r,  l,  m,  n,  li  solo  e  |x-  o  s-  prostetico  dà  semprey, 
ma  ogni  altra  consonante  mantiene  il  suo  grado  :  fvidp'r  svi- 
tare, fjnstp'r  '  guastare  ',  fregole  ,  flar gè' r,  fnieter,  fnarcè'  '  quasi 
senza  impaccio  di  nervi  e  di  giunture,  snodato,  dai  movimenti 
facilissimi  ',  fìiazer  sghignazzare  n.  307  :  ma  Sver  cogn.  Severi, 

1  s  fan  dP  'ce  li  hanno  dati'  (di  fronte  a:  (ifg'e  pPrs  'ci  ab- 
biamo   rimesso'),  sraja  'imposta',  tlPr  telaio.  smPr  'scemare'. 


*  Per  esattezza  devo  notare  che  dav.  a  s  il  d  originario  par  conservare 
in  alcuni  parlanti  una  tal  quale  sonorità  quando  è  preceduto  dallV-  proste- 
tico di  cui  è  canno  nel  n.  162:  forse  in  tal  caso  si  stacca  un  po'  nella  pro- 
nunzia ed-  da  ciò  che  segue,  per  analogia  su  ed  di  (prepos.). 


158  Malagòli, 

Tmès  n.  166,  snèda  '  quanta  roba  sta  nella  camicia  vicino  al  seno  ', 
snér  segnare,  hios  n.  166  ;  —  fnester  n.  41  e  fnaker  '  macchia  ', 
se  connesso  con  '  segno  ',  saranno  stati  attratti  dalla  numerosa 
serie  di  e]x-  sopra  accennata. 

218.  Si  ha  consonante  rafforzata  iniziale,  per  assimilazione, 
in  bhida  pipita,  hbu  bevuto  acc.  al  pili  raro  dbu,  dissimilazione 
eroica,  come  la  chiama  I'Ascoli  Arch.  Glott.  II,  402  {vheva  Ra- 
panti, Salv.  Jahresb.  I,  127,  non  l'ho  mai  udito;  forse  è  fase 
tramontata,  utile  a  spiegarci  le  altre  due  forme),  ssaUjè'r  acc.  a 
dessalgè'r  n.  178,  ssuplir  da  e:^^  salger  nn.  115,  170,  172, 
ex  -|-  suplir  n.  170,  ssànta  sessanta. 

219,  Cadde  v  iniziale  di  un  gruppo  in  nmi  *veniebat  ecc., 
onde  nir  venire,  ecc.;  in  dlv?  acc.  a  vdw?  'vedete  voi?'  da 
cui  di!  'vedete!'  esclamazione  d'uso  frequentissimo  per  richiamar 
l'attenzione  di  qualcheduno  a  cui  si  dia  del  voi;  in  lontera  n.  174. 

N-  si  dileguò  in  sokvànt  '  alquanti  '  da  '  non  so  quanti  ' 
Salv.  St.  d.  f.  r.  VII,  dove,  se  non  si  voglia  ammettere  una 
caduta  per  dissimilazione,  si  potrà  spiegare  il  dileguo  in  frasi 
come:  i  (j  eren  in  (n)sokvànt  '  c'erano  in  parecchi  ',  /  ìn(n)sokvànt 
'sono  alquanti'.  M-  cadde  in  brenda  n.  70 e  da  *in'brenda 
M.-L.   "  It.  Gr.  „   p.  113. 

In  mo  ifrda !  'ma  guarda!'  Rana  11  si  dovrà  il  dileguo  del 
g-  iniziale  a  contaminazione  con  veder,  cfr,  n.  111. 

Per  fmesteg,  fmendge'r  cont.,  v.  n.  168. 


H 


studi  sui  dialetti  reggiani  159 

2. 
Consonanti  e  gruppi  consonantici  mediani. 

a)  Consonanti  sémplici  esplosive  e  fricative  interne. 

Nei  proparossitoni  o  yià  Udì. 

220.  Ogni  sorda  digrada  a  sonora  {p  scade  a  r,  k'  a  y  )  ;  re- 
stano intatte  di  norma  le  sonore  (è,  già  scaduto  in  lat.  volg.  a  v, 
dii  v;  ()  e  j  [lat.  volg.  j]  scadono  a  .7): 

lat.  p,  bj^^,  f,  t,  d,  s,f,  k,  k',  y,  g,j 
dial.  V,      V,    V,  d,  d,  /,  /,  g,  /,  rj,      ; 

221.  Raro  il  dileguo  in  postonica,  meno    raro   in  protonica. 

222.  -P-:  rèva  n.  33,  riva,  sèv  n.  3,  Idv  n.  87^^^ 

Pipa  n.  125  è  dall'ital.  '  pipa  '  o  dal  frane,  piper  v.  n.  seg. 
(all'ita!,  'piva'  corrisponde  anche  nel  dialetto  piva);  krepa  è 
pure  dall'italiano  v.  n.  seg.,  e  cosi  pepa  'papa'  forma  fissa  che 
non  varia  nel  plurale  cfr.  nn.  60,  61^'^,  151. 

Per  ko  caput  v.  n.  142  e  qui  sotto  -V-. 

223.  -P-:  kvPrta  n.  166,  savor  sapore,  kavt  n.  95,  kavic 
n.  116,  anvù'  n.  37*^'%  kavestcr  'scapato'  capistru,  kavdaha 
capitagna  *capitanea,  kafzè'l  capezzale,  ^at'o?o'w  '  alari  '  lucch. 
capitoni  N1ERI  Voc,  kavdl'n  '  capezzolo  ',  cfr.  lucch.  capiticcio, 
Campodolc.  kavedel  con  altri  suffissi  Salv.  Jahresb.  VII  i  133, 
lovin  lupino,  ravìna  '  piccola  rapa  ',  dvawr  dipanare. 

Coincidono  coll'italiano  e  presentano  h  dopo  l'aferesi,  hotéga, 
ho/ma  bozzima  cfr.  Zamb.  Voc.  et.  s.  v. 

Pipf'r  ricorda  il  frane,  piper  K.'  7179;  è  un  italianismo  kerper 


160  Malagòli, 

crepare  cfr.  n.  prec.  (la  risoluzione  normale  si  ha  forse  in  kéren 
kervèda,  detto  della  carne  molto  stanca  e  dolente  per  lungo 
cammino;  certo  in  skeruaca  n.  40).  In  parpcija  n.  194,  coi  deriv. 
parpajlna,  parjìajo'n,  parpajòla,  l'epentesi  probabilmente  antichis- 
sima dell'r  conservò  il  p,  cfr.  Fiagn.  n,  104.  Per  zujola  da  "^zi- 
cola  V.  n.  227. 

224.  -B-:  prova,  kova  n.  134,  kanteva  cantava,  fèva  faba, 
trèv  trave,  skriv  scrivo,  sév  n.  35. 

Dopo  ciH-,  regolarmente,  roba  n.  141. 

225.  -B-:  tavàn  tafano  tabanu  che  potrebbe  però  andare 
anche  sotto  -/"-,  tavela  'mattone  largo  e  sottile'  tabella, 
lavél,  kovè'r,  aver  avere. 

Vengono  dalla  lingua  letteraria  nazionale  tahàk  tabacco,  robu'st. 

226.  -V-:  kfva  n.  33,  lèva  ih.,  leva  leva,  cèo  n.  33,  cèoa 
*  chiudi  a  chiave  ',  nov,  móv,  ov,  vlv. 

Si  ha  il  dileguo  di  -v-,  primario  o  secondario,  nel  nostro  dia- 
letto: 1)  dopo  II  in  uà  pila  stua  n.  64;  2)  dav.  a  u  in  Ri  n.  62, 
ko  n.  142  e  nella  2*  persona  plurale  dell'imperf.  indie,  {kantèuv, 
tofeuv  e  sim.  acc.  a  kantévuv,  tafevuv  e  kantevi,  tafévi  n.  193,  ecc.); 

3)  nel  suffisso  -iva  dei  nomi  salia,  alsia  lixiva  ^  lentia  n.  195; 

4)  in  ror  n.  186,  bo  camp,  e  bo  urb.  n.  62,  ti  n.  60^*^.  Per 
indo',  V.  n.  63  nota  3  ^. 

227.  -V-:  laver  lavare,  alvè'r  n.  160,  kaver,  l-ard/ò  K.^  2038 
cavagni  Invent.  1493,  nóv  novè'nt  '  novissimo  ',  ziveta. 


'  0  anche  da  lixivia  secondo  promette  di  dimostrare  il  Merlo,  An- 
cora di  dalmat.,  p.  14,  nota  2. 

-  Per  la  caduta  del  v  intervocalico,  più  antica  in  protonica  n.  227  che 
in  postonica,  si  vedano  le  osservazioni  del  Parodi,  "  Giorn.  st.  d.  lett.  it.  ,, 
XXV,  120,  applicabili  in  generale  anche  al  nostro  dialetto;  nel  quale  si 
notano  pure  oscillazioni,  come  nel  genovese,  e,  per  quel  che  a  me  sembra, 
pili  facile  è  il  dileguo  nel  parlare  spigliato  e  rapido  delle  persone  civili. 
Cfr.  anche  Ra vizza,  Psicologia  della  lingua,  p.  102. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  161 

Dileguasi,  primario  o  secondario  in  bonza  n.  40,  boarlna  Zs. 
f.  rom.  Ph.  XXX  297,  paura  cent,  paviìra,  pulna  Arch.  Glott., 
XIV  269,  Hlnn  acc,  a  uvlna,  paó'yi  acc.  al  pili  frequente  paco  ii^ 
uHer  per  uvèter  da  vuvèter  (le  forme  col  v  interno  sono  popolari 
e  campagnuole  v.  n.  187  e  la  nota  al  n.  226),  bai'/  ipo^oì.  baji'/ 
n.  187,  bajela  '  carta  che.  nel  giuoco,  non  ha  valore  contrap- 
posta alla  figura  o  rosa  {fatìt,  regina,  re)  e  ai  kareg  {a$,  dà  e 
tri)',  se  da  bavelle  cfr.  Arch.  Glott.,  XVI  412  S  atìjel  n.  186, 
san  acc.  al  più  comune  savu  saputo,  saém  sai  saeva,  ecc.,  cont. 
sajóm  saji  sajeva  ecc.  da  saver.  Si  ha  pure  dileguo  nelle  forme 
finite  del  verbo  acer  [eni  cont.  om,  l,  èva,  ecc.  pili  frequenti  di 
avém,  ecc.,  da  ^aém)  -  e  anche,  ma  più  raramente  perché  si 
tratta  di  verbo  non  schiettamente  popolare,  in  doeva,  don,  ecc., 
per  doveva,  ecc. 

Aggiungansi  a  questi  esempi  le  forme  Xaolaro  e  sim.  dei 
docum.  antichi  (Introd.,  §  3),  hauto  Lib.  statut.,  p.  234. 

Troviamo  g  al  posto  di  v  in  zigola  n.  164,  spagét  n.  146 
nota. 

228.  -F-:  rev  refe;  e  con  dileguo  stila  v.  n.  226.  Resta  in 
a  uf  '  ?i  ufo'  forse  d'origine  letteraria  K.^  9857,  Ascoli,  Arch. 
<.Tlott.,  X  17,  in  grif  unghia,  cfr.  it.  grinfie  e  il  verbo  nocivo  fgran- 
fiiè'r  dove  concorreranno  forse  \'?i2ii.  grìfan  e  il  lat.  graphium, 
in  kifel  ted.  kipfel  d'importazione  recente,  e  in  nif  e  fbernif 
n.  2<i3. 

229.  -F-:  Potrebbero  qui  stare,  oltre  a  tavàn  n.  225,  ravanél 
Flech.  Arch.  Glott.,  II  373  (contrariamente  Arch.  Glott.,  XVI 
439,  da  rap-  ;  al  qual   etimo  contradice,  però,  il  massese  rafa- 


'  Sec.  lo  ScHUcuAUDT  (v.  K.^  1133)  òrtjeWa  sarebbe  da  ricondursi  a  baca'> 
baga  ;  in  tal  caso  avremmo  dileguo  di  gutturale. 

'  Per  l'aferesi  di  a-  si  ricordi  quanto  si  disse  a  proposito  di  cu,  r}rt,  ecc., 
n.  152. 


162  Malagòli, 

nela),  e,  con  dileguo  del  v  secondario,  hjòlk  bifolco,  bjolka  mi- 
sura di  superficie,  «fuf  stufato,  stìiarola  stufaiola,  tegame  dove 
si  cuoce  lo  stufato;  se  non  sono  preferibili  gli  etimi  con  bop 
originari. 

230.  -T-:  róda,  héda  n.  213,  strèda  strada,  roféda  n.  1G7, 
skurjèda  ib.,  speda  spada,  seda  n.  35,  veda  ib.,  -eda,  -Ida,  -fida  = 
-ata,  -ita,  -uta  [kantèda,  jìnlda,  batfida,  ecc.),  entred  'en- 
trate' intrade  Testam.  1593,  fréda  ierràtsi  fra  da  Invent.  1494. 
Dopo  au-,  lot  n.   141. 

Son  voci  letterarie  kometa  n.  113,  vita  n.  125,  remita  ib,, 
poeta  n.  188. 

Per  le  sorti  di  H,  originariamente  mediano,  venuto  poi  a 
trovarsi  in  fin  di  parola  per  la  caduta  della  vocale  finale,  vedi 
n.  313. 

231.  -T-:  padeUt,  skudela  n.  168,  bìidél  ib.,  badesa,  ladfn 
n.  68'^'%  didè'l  ditale,  badi'l  n.  120,  -dór,  -dura  =  -tore,  -toriu, 
-tura  ifiladó'r,  dormidor  n.  87,  nioldùra  'molenda',  kujdfira 
cucitura,  ecc.),  kadéna,  ledani  n.  164,  kroder  n,  174,  mudp'r 
mutare,  invider  invitare,  padì'r  '  digerire,  macerare  ',  pwder  po- 
tare, podaja  '  pennato  ',  yradela,  fradél,  fadlga,  noder  notaio  no- 
daro  Testam.  del  1592. 

Si  ha  ~t-  nel  suffisso  -tat-:  karite,  mete  ,  novite  ,  redite  ere- 
dità, ecc.  :  si  tratta  di  parole  semiletterarie  entrate  più  tardi 
nel  dialetto. 

Son  voci  dotte  o  semidotte  bote'r  n.  35,  proté^  protegge,  pi- 
tàfi  nn.  153  e  189,  ajufer,  kalamifa,  statil't,  kotò'ì'i,  tniliter,  di 
cui  le  ultime  d'introduzione  recente  dall'italiano. 

Per  -t-  preceduto  da  au-  v.  yoltó'n  n.  141,  2. 

232.  -D-:  nilda^  krilda,  bèda  n.  33,  suda,  ved,  kred  n.  Ili, 
2)jgd  n.  144  e,  con  lieve  differenza  di  significato,  pjoda. 

Dopo  au-,  loda  n.  141,  ggd  ib. 

Cadde,  primario  o  secondario,  in  koa  n.  63,  fé  n.  55,  pe  n.  62, 


Studi  sui  dialetti  reggiani  163 

pe  n.  60,  inko  n.  61,  di  n.  95,  bjèva  se  pure  meglio  non.  si  ri- 
connetta col  celt.  hlawt  Pae.,  Giorn.  st.  d.  1,  it.  XXV  125,  Mise, 
ling.  Asc.  449,  Kom..  XXX  575,  karega  acc.  a  cont.  kadrT>ga 
'  seggiola  a  braccioli  '  xad-éÒQa  >  *catréda  >>  *cadréda  con  pro- 
pagazione  analogica    del    suono   gutturale    dalla  prima  sillaba. 

Quanto  a  zif/Ha  n.  164  v.  (tojdànich,  Rass.  bibl.  d.  lett.  it., 
1901,  p.  311. 

Per  nij  v.  n.   126. 

233.  -1)-:  hadp'r.  si(dr'r,  fdem  e  più  recente  s^'rfcO//  sediamo, 
/deca  e  più  ree.  sedeva,  adés.  Domandano  pure  una  base  con  d 
0  con  /  semplice  il  v.  madoner  '  dipingere  a  mattoni  '  e  mado'n 
mattone,  Voc.  regg.  maddon  K^  5789,  Salv.,  "  Note  lombardo- 
sicule  „,  p.  83. 

Dopo  «u-,  lodém,  yodém,  lodeva,  godeva,  ecc. 

Si  dileguò  in  raif  cont.  rajl'f,  pjóc  n.  136,  ixzin  piedino  (acc. 
a  jiepl'n  alterazione  fanciullesca  con  reduplicazione,  cfr.  Sainéan, 
"  La  cr.  mét.  „,  p.  15),  jizéda  '  calcio  ',  pzagnla  se  da  *pedic- 
cino,  '"pediec/afa,  ^'pt^diccicata  n.  172,  cfr.  Salv.,  Arch.  (Tlott. 
XVI,  376. 

Mnrola  n.  164  è  forse  da  un  italico  tneridla,  Goid.,  '"  Ditt. 
rom.  „.  p.   171 . 

Un  "(/-  di  ragione  analogica,  non  epentetica.  avremo  in  bar- 
tadél  n.   198,  Salv..  Jahresb.  IV  167  e  sgg. 

Apparente  è  l'epentesi  in  dejdo't  à^c^iw  et  octo  Zs.  f.  rom. 
PI)..  XXIII  519. 

234.  -S-:  spofa,  spefa,  nef  n.  33,  nefa  '  fiuta,  annusa ',^;f/(/, 
inoroja  n.   153,  goìo.f.  f'nj,  chf  n.   215. 

Dopo  aii-  si  ha  il  digradamento  a  sonora  in  k^ófa,  forse  per 
attrazione  di  tutti  gli  altri  -/-  intervocalici  '.  Esempio  di  sorda 
conservata  si  ha  nel  cont.  arpóiim  n.   141. 


'  Non  è  da  tacere  però  che  l'esistenza    di    kaa  n.  183    dimostra  un  ant. 
.\rchi%io  glottol.  ital..  XVII.  lii 


164  Malagòli, 

235.  -S-:  spofer,  f grifo' r  se  connesso  coH'aat.  (jnìisÓH  Nigra, 
Ardi.  Glott.  XV  118,  Salv.,  Jahresb.  VII  i  137,  naffr  '  fiutare  ', 
b/èr  n.  217.  moro/e' r,  strujì'r  'fregare'  se  da  trusare  con 
cambio  di  coniugazione  cfr.  Arch.  Glott.  XV  281. 

Si  conserva  sordo  dopo  au-  :  posèda  posata,  e  con  n  nei  con- 
tadineschi orponscr  n.  183,  skonsèda  ib.  Anche  qui  kofi'n  '  co- 
sino ',  kofll'n  '  cosellina  '  da  k^fa  n.  234. 

236.  -^S-'-  l'ffh  ((ff>'('f  '  rifuso  '  detto  di  una  qualità  di  salami, 
perfìlfa  '  filastrocca  mista  di  versi  di  varia  misura  ',  rgfa,  ppv- 
svf'fa  persuasa. 

237.  -S~'-  feffj'rn.  141,  u/Yr,  ro/ìna,  i-njité'r,  sijò'r  n.  164  6. 

238.  -K-  :  spiga,  amlga,  formiga,  miga  mica,  pslga,  bofega, 
tega  n.  35,  brèga  'braca'  K.^  1531,  M.-L.,  "  Gr.  d.  1.  r.  „,  I, 
§  20,  sóga  'fune'  Arch.  Glott.  Ili  143,  K.^  8832,  M.-L.,  ib., 
koga,  ruga  n.  153,  iQga,  Ioga  '  riponi,  nascondi  '. 

Au-  impedisce,  secondo  il  solito,  lo  scadimento:  oka  n.  141,  2, 
pok  póka  n.  141,  1,  rok  ib.  —  Per  la  caduta  di  -k  in  un  pò 
V.  n.  317. 

Analogico  sul  g  normale  di  diga  è  il  g  di  fàga,  sfaga,  vaga, 
tràga,  daga  cfr.  nn.  97  e  317. 

239.  -K-:  pagè'r,  logè'r,  piger,  fgèr  segare,  fbragè'r  'rom- 
pere ',  drago' n  '  gendarme  ',  zigèla,  lumagì'n,  lugànega  lucanica, 
bigó'rd  n.  164  b,  bigóni  ib.,  dugera  n.  83,  dugè'l  fosso  di  qualche 
importanza,  dugaleris  Lib.  statut.,  p.  17  '  persone  addette  alla 
sorveglianza  dei  condotti  di  acque  ',  rofgon  cfr.  garf.  rosigon 
NiERi,  Voc.  lucch.,  magàìia  lucch.  macagna,  Pieri,  Mise.  ling. 
Asc,  424,  Salv.,  Arch.  Glott.  XVI  lOS!  Con  aferesi  giica  n.  45, 
gazè'r  '  arrotare,  aguzzare  '. 


*kosa  venuto  pili  tai-di  a  hqja.  Negli  inventari  del  sec.  XV  si  trova  ora  con 
un  s,  ora  con  due;  ma  da  questo  fatto  nulla  si  può  inferire,  perché  la  ge- 
minazione vi  è  capricciosa;  cfr.  Salv.,  Arch.  Glott.  XII,  384. 


studi  sui  diiiletti  reggiani  165 

Dopo  (tu-,  bokp'l  bau  cai  is,  oketa,  ok'ma,  òko'n  e  sim.  deriv. 
n.  183. 

Son  voci  letterarie  o  semidotte  fekónd  secondo,  Jikn'r,  akù't, 
arkorder  ricordare. 

240.  -K'-:  cont.  nofn  \\\h.  nòf  wóqq,  kdfd  cuocia,  là/a  'luc- 
cichi, sia  lucente';  pff  n.  33,  fonie/  fornace,  dlf  dicit,  onhrl'f 
n.  191  (plur.  e  sing),  cfr.  Salv.,  Rom.  XXIX  551,  i-ertl'fSALY., 
ib.,  555. 

Di  ragione  analogica  di  dicis. 

Kapàza  femni.  di  kupàz  '  capace  '  è  voce  semiletteraria.  Cosi 
Lu'zja  Luca  Luzia  Lucia  cfr.  Luzjan  n.  292  ;  e  v.  anche  il 
n.  seg. 

241.  -K'-;  naif  eia  una  specie  di  pane  a  forma  di  navicella 
{pan  a  nitvfela),  dofe'nt  duecento,  folféì  '  bozzolo  ',  pjaféfr,  avfì'n 
n.  165,  dfeva  dìcews.,  niaf né' r  macinare,  urb.  <(/^"'>-^  n.  l'yò,  l fi/no  l 
n.  Ilo,  J bufine r  'parlar  sottovoce,  ronzare  delle  orecchie'. 

Dopo  au-  si  trova  la  sonora  in  ofél  n.  183  cfr.  gen.  òzéllu 
Arch.  Glott.  XVI  357. 

Arienzfr  n.  178  per  '^'arjenzer  è  dovuto  ad  assimil.  parziale 
regressiva. 

Presentano  la  z  mazél  macello,  rizeta,  rizl'n  n.  192,  d'origine 
non  popolare  e  d'uno  strato  più  tardo;  cfr.  n.  precedente. 

Sono  affatto  letterari  ahecedari  abbecedario,  necesàri  neces- 
sario. 

242.  -G-:  pjèg((  n.  212,  fadlga  fatica,  doga,  ruga,  ligan.  114. 
Si  dileguò  in  stria,  popol.  strija  sec.  il  n.  187. 

Il  cont.  iQv  n.  37^'^  ci  offre  esempio  di  -ugu  in  *-uvu  cfr. 
Arch.  (Tlott.  XVI  358  e  Salv.,  -  Fon.  Mil.  „.  n.  355  K 


*  Il  Voc.  regg.  registra  zo  e  zov  :  il  dileguo  nella  prima  forma  sarà  dovuto 
forse  airinfluenza  del  plur.  bd.  Il  Piagnom  per  il  parm.  z<j  (n.  lOòl  pensava 
a  una  confusione  con   zo    d  e  o  r  s  u  m  ,  che  ci  par  voce  troppo  lontana. 


166  Malagòli, 

243.  -Gr-:  zigè'r  'piangere,  gridare',  ligp'r,  ligàja  '  legaccio 
in  genere  ',  ligành  '  legaccio  '  [liga  -j-  gànb),  higo't  bigotto,  (igóst, 
dogana.  E  qui  venga  mago'rì  magone  Arch.  Glott.,  XVI  409, 

Cadde  in  sferjg'n  stregone,  sterjfr  stregare,  ste^yf  stregato  e 
sim.,  e  cont.  arje'l  n.  186  (l'urb.  reèl  'reale'  è  dalla  lingua 
letteraria).  Per  tui'n  v,  n.  186, 

244.  -(}  ,  -J-:  le\,  frii,  pei  n.  41,  mà.-^  maju  acc.  a  Dtàg 
dovuto  all'influenza  dell'ital.  '  maggio  ',  Per  màj  v.  n.  146. 

245.  -Ci-,  -J-:  a~dò'r  'reggitore,  massaio ',  aZ^^gra  leggeva, 
ru-ne'nt  rugginoso:  drjoie'r  digiunare,  muiàdeg  'maggengo'. 

Casi  di  dileguo  antico  sono  maisfer,  painda  n.  185,  faina, 
raìna  n,  186,  e,  con  epentesi  di  iato,  cont,  fojì'n  Arch,  Glott. 
XYI  444,  cont,  majister,  cont,  pajinela,  sajeta  n.  187. 

Spjovfine'r  '  piovigginare  '  fu  attratto  forse  dai  verbi  in  -finè'r 
come  avfinfr  e  sim. 

Letterari  fugi  fuggito,  regina,  cigilja. 

Nei  proparossitoni. 

246.  Anche  qui  gli  stessi  fenomeni  di  scadimento  e  di  di- 
leguo, tanto  della  consonante  che  segue  immediatamente  la  voc. 
tonica  e  simile,  quindi,  alla  postonica  dei  parossitoni,  quanto  di 
quella  che  precede  la  semiatona  finale  e  perciò  quasi  protonica. 

247.  -P-:  lever  n.  48,  tseved  ib.,  teved  ib.  ;  kànva  n.  182,  veskor 
n.  48. 

Dopo  aw-,  pover  usato  solo  in  proclisi  {pover^djèvol,  pdvr^om) 
cfr.  n.  162  e  nota,  e  per  il  quale  il  Pieri,  Arch.  Glott.  XV  383, 
pensa,  nell'italiano,  a  dissimilazione  ^ 

Semiletterari  lapida,  vipjra  n.  49,  tràpen,  popol. 

248.  -B-:  hever  n.  Ili,  févla  n.  81*^^%  niivol  n.  52. 


*  Per  l'ital,  povero  v.  ora  anche  M.-L,.  Grohers  Gr.-.  676, 


Stiuli  sui  dialetti  reggiani  167 

Notevole  iàhibì'r  'inzuppare,  imbevere  '  da  *imbibere  cfr. 
mil.  imbibi,  sard.  impipiri  K^  4730. 

Sono  dall'italiano  nòbil  n.  132,  cUbol,  debif,  subit,  jtosibil,  inpo- 
sibil  e  bùboli  bubbole. 

249.  -V-:  -ò/;^/^  e  :J}ona  n.  81^'^, /6/rr(?r/  n.  48. 
Dileguo:  siier  cont.  siicer  n.  52.  Per  raltoniarsi  di  queste  e 

di  altre  forme  consimili,  come  nuol  e  niirol  ecc.,  v.  n.  226  nota. 

250.  -F-:  Stévm  n.  81*^'-%  oreves,  indeves  n.  48. 
Letterario  garófen:  non  indigeno  trifola  n.  91. 

251.  -T-:  kodga  n.  51,  arskoder  ib.,  tridla  n.  49,  -adeif -=^ 
-aticu  (sahcìdeg,  voladga,  ecc.)  n.  47,  -edeg  =  -Mie w  {blnleg 
n.  '1\~ ,  fmoìedcg  n.  166).  LiiiiirUeg  'lezzo',  di  fronte  a  salvàdeg ecc., 
potrebbe  avere  il  t  per  ripristinazione  sui  letterari  sfomàtik, 
hidjafik,  ecc.  ^ 

Per  spàtola,  semidotta,  v.  n.  182. 

Si  ha  prosemitonica  finale  in  andit  andito,  romita  cont.  go- 
mita, dove  però  l'i  ci  fa  credere  che  le  voci  non  siano  schiet- 
tamente popolari  -,  gomet  gómito,  che  potrebbe  pure  essere 
semiletterario,  e  cosi  sahH  sabato,  se  non  è  dalla  base  con 
doppia   b,   e   forse  anche  pret   prete  cfr.   n.  SIS'^K 

Letterarie  certo  :  Mbit,  debit  n.  248,  dubita,  kàpita  cont.  e  vol- 
gari dubita,  kapita  n.   192. 

Divenne  fin  da  antico  parossitono  e  non  cade  perciò  qui  ród, 
coda  n.  61. 

252.  -D-:  vedov,  lódla  n.  141,  ledra    hedera,    frba   medga 


VII  medesimo  potrebbe  dirsi  del  parm.  sai  rat  e;/,  su  cui  non  si  pronunzia 
il  PiAGN.,  pp.  48.  nota  1  e  51  nota  2.  11  modenese  conserva  ancora  lutnadct/, 
Maranesi,   Voc.  mod.;  Flkch.,  Arch.  Glott.  II  361. 

•'  La  voce  veramente  popolare  contadinesca  corrispondente  all'ital.  '  vomita  ' 
e  straiigijsa  infin.  >>tranrfOftp'r  extra-  o  trans-  angustiare,  cfr.  ihyós, 
n.  44. 


168  Malagòli. 

'  erba  medica  ',  pedga  '  detto  degli  uccelli  quando  camminano 
con  le  loro  zampe  '  *  p  e  d  i  e  a  t. 

Abbiamo  anche  noi  Viàkuien  n.  52  cfr.  M.-L.  "  It.  Gr.  „  §  311. 

Il  suffisso  -idu  ci  presenta  tre  riflessi:  1)  teced  nn.  48,  247, 
tseved  ib.  e  n.  170,  dove  si  hanno  comuni  la  dentale  iniziale  e 
l'originario  p  dopo  la  vocale  tonica  ;  2)  arànz,  con  a-  prostetico 
dovuto  ad  analogia  sui  arjàm,  arjel  e  sim,,  '  rancido  ',  nu/rz 
n.  75,  come  nell'ital.  ove  da  *randicio,  *mdrdicio  si  ebbero 
*rand'cio,  *mard'cio  e  quindi  rancio,  marcio,  Goid.,  "  Ditt.  rom.  „, 
pp.  149-150  nota;  3)  soli  sglja  'detto  di  mobili  lisci  non  lavo- 
rati con  fregi;  e  cosi  di  stoffe,  tele  e  sim.  ',  rubi  ruhja  ag- 
giunto di  cose  grossolane,  rustiche,  se  da  ruvidu.  —  Italia- 
nismi mdrbid,  torbid,  umid,  sucid  n.  256  ;  francesismo,  secondo 
il  Grober,  flgs,  floscio. 

253.  -S-:  èfen,  efna  n.  81^^  refga  n.  48. 

254.  -5-  :  limdfna  n.  50,  Ufna  n.  81^'^ 

255.  -K-  :  pegra  n.  48,  petegìa  n.  164,  ^^f^Za  n.  81^'^  ;  pèrseg 
n.  76,  kodga  n.  251,  kgreg  e  kgrga  n.  50,  póleg  ib.,  melga  n.  77, 
cereg  cerga  nn.  48,  77,  fideg  n.  49. 

Il  solito  ejài  viaggio. 

Voci  dotte  Jakom  n.  201,  màkina  macchina,  pubìik,  civica. 

256.  -K'-:  méfer  n.  81^^  kofer  n.  128,  mèfna  n.  81^^^ 
Dileguo  antico,  attraverso  g  :  dir,  fèr,  vód. 
Semiletterari  fazil  raro  acc.  a  fàcil  cfr.   mazél   ecc.   n.    241, 

dificil,  lezit  pure  raro  acc.  a  lecit,  sucid  '  sudicio  ',  gràcil. 

Per  -e-  prosemitonica  si  preferisce  la  sorda,  quando  è  finale: 
tredes  ecc.  n.  48,  oreoes  n.  250. 

Soreg  n.  80  sarà  da  *soricu. 

257.  -G-:  frdvoj  (masch.  plur.)  '  fragole  '^  con  r  al  posto 
di  g  anteriore. 


*  Raro  il  sing.  fràrol. 


studi  sui  dialetti  reggiani  169 

258.  -G-,  -J-:  -ìi.ina  da  -ugine  {mina  n.  $2,  f ni, ina  '  ci- 
piglio, brutto  ceffo  '  ferrugine),  kaìeina  n.  124:  ba~ol  'legno 
che  serve  di  sostegno  o  di  appoggio  '  bajulu. 

Esempi  di  antica  caduta  :  di  dito,  mìt  n.  Oó. 
Sono  dall'italiano  stupidùgin,  inìnuf/in. 

b)  Liquide  e  nasali  semplici. 

259.  Le  protoniclie  e  postoniche,  nelle  voci  già  parossitone 
0  proparassitone.  non  presentano  mutamento  alcuno,  tranne 
qualche  raro  scambio  delle  liquide  e  la  più  spiccata  nasalità  di 
m  e  n  accennata  nel  n.  28. 

260.  -L- :  séla,  tela,  :,èla  gela,  i-ola;  nioUn  n.  166,  A-o/ò'/-  co- 
lore, filadfn  moden.  fidlen,  Arch.  Glott.  II  345  ;  melga,  soli. 

Vrer  n.  166  mutò  ì  in  r  por  assimilazione.  Nello  stesso  modo 
turirola  che  presuppone  anche  da  noi  *tolirgla  n.  183,  si  deve  ad 
assimilazione  regressiva.  Su  sardka,  cfr.  ven.  sardca  '  salacca  ', 
avrà  forse  influito  sardela.  Knreg  e  kórga  n.  50  vanno  coll'ita- 
liano  '  coricare  '.  Tega!  per  teJa!  Fleoh.,  Arch.  Glott.  Ili  156 
sarti  dovuto  a  contaminazione  popolare  con  tega  n.  35.  Pertsemen 
n.  182  ci  dà  esempio  di  assim.  parziale  favorita  forse  dall'ana- 
logia dell'w  di  senina.  Qui  sagate'r  '  sciagattare  '  se  connesso 
col  genov.  satd  da  ex-hal-att-are  Par.,  Arch.  Glott,  XVI  355. 
Non  indigeno  marenzjàna  '  melanzana  '. 

261.  -R- :  sira  n.  78,  mèr  n.  33,  fora  n.  37,  Kèrel  n.  182; 
parer.  ìnar[  n.  56,  karln  carino,  cerfg,  tener. 

Mortr'l  mortaio  e  mortalét  mortaletto  saran  dovuti  a  scambio 
di  suffisso,  cfr.  Gramm.  '' Dissim.  cons.  „  132.  Azàl  acciaio  (ma 
azarìn  acciarino)  presenta  /  come  il  venez.  azzale,  l'ital.  acciale 
Petrocchi  s.  v.  (per  la  irregolarità  della  vocale  tonica  v.  anche 
ciò  che  fu  detto  a  proposito  di  kala,  regàl,  stivai  n.  101  ;  ma  forse 
è  un  iniprestito  tardo).  Esempi  di  dissimilazione  sarebbero  pjolèr 


170  Malagòli, 

se  da  plorare  n.  212,  spjurir  *exprurire  donde  il  deverb. 
spjfirn  '  prudore  '.  Senzela  acc.  al  pili  raro  sarabiga  corrisponde 
al  Inceli,  zi'iì.sala  '  zanzara  '.  Sarà  da  un  arbolo^  che  è  forma 
molto  diffusa,  il  cont.  erbol  acc.  all'urb.  elber  n.  107,  e  da 
*argine   ér;m  n.  75,  cfr.  M.-L.,   "  Einf.^,  p.  167. 

Per  malosin  moden.  malussén,  v.  Arch.  Glott.  II  362-364, 
Gorra  "  Dial.   Piac.  „  n.  56. 

Quanto  all'r  di  fogarln  '  focherello  ',  v.  Gorra,  St.  d.  f.  r,. 
VI  587,  Par.,  Giorn.  st.  d.  1.  i.  XXV  127. 

262.  -M-  :  lama,  càma  n.  66,  ràm  '  rame  '  e  '  ramo  '.  ramln 
'  vaso  di  rame  '  rame' r  ramaio,  lumln  '  lumicino  ',  amid  n.  66, 
remol  n.  70,  sègma  n.  81^'^,  àtima  n.  66. 

Pantomlna  o  sarà  dovuto  a  influenza  dei  suffissi  in  ina  e  a 
dissimilazione,  o  verrà  dal  francese.  Anche  da  noi  nata  natta, 
se  da  matta  K^  6015. 

263.  -N-  :  luna,  fina,  lana,  rana,  knna  '  culla  ',  kiineta  '  solco 
per  lo  scolo  delle  acque  ',  skunl'r  '  scolare  ',  grane' r  granaio, 
zener  n.  70,  màneg  n.  66.  E  cosi  in  fonetica  proposizionale: 
li  n^elber,  u  n^oni,  ijn^Africa  (di  fronte  a  mi  in  esito  assoluto, 
n.  68^^^),  cfr.  Par.  Arch.  Glott.  XVI  351. 

L  per  n  in  veU'n,  cont.  kolomia  lucch.  kolumia  Pieri,  Arch. 
Glott.  XII  124  '  economia  ',  con  la  nota  dissimilazione;  in  sforel 
n.  182  provenne  dall'influsso  di  merol.  Per  linzè'r  v.  n.  161.  — 
Armaìier  con  li  dalle  voci  verbali  in  cui  è  regolare,  come  ar- 
niàna,  arman  remaneat,  re  manco;  iiìkanì'  '  perduto  dietro 
qualche  cosa  '  inkani'r  da  kana  Piagn.  n.  124.  Seler  '  sedano  ' 
si  ricollega  col  frane,  celeri  (cfr.  articgk  n.  186  nota). 

R  per  n  si  ha  in  rumela  '  nòcciolo  '  da  *animella  e  in  mar- 
màja  n.  172,  sec.  il  Flech.,  Arch.  Glott.  II  366,  376,  per  dissi- 
milazione. 


studi  sui  dialetti  reggiani  171 

c)  Gruppi  consonantici  latini.  —  Nessi  di  esplosive. 

264.  Xei  nessi  di  due  esplosive  scomparve  la  prima,  ma  si 
rafforzò  di  regola  la  seconda  che  non  andò  quindi  mai  soggetta 
a  dileguo  né  a  digradamento.  Si  hanno  pertanto  i  seguenti 
riflessi  : 

lat.       pt  ,     bt  .     bel ,     d ,     <jd 
dial.      t  ,       f  ,      d  ,       t  ,      d. 

265.  -PT- :  ,«i  n.  41,  rota  rupta,  skrita  (e  cosi  rot,  skrit); 
Aa/f'r  d'uso  frequentissimo  'trovale'  captare  cfr.  it.  'accat- 
tare '  Arch.  Glott.  XII  384-  s.  aattar,  XVI  293,  Cavassico  II,  360 
s.  ctttar,  K^  1904,  zfrr  al  làpis  o  la  pena  (quando  usava  la  penna 
d'oca)  cfr,  Salv.   "  X.  Post.  „   s.  inceptare. 

266.  -BT- :  sot  e  .soto  nn.  44  e  148;  mabifij(,  se  non  è  diret- 
tamente dall'italiano. 

266^'^^  -BD-  :  sudujó'ii  '  soggezione  '. 

267.  -CT- :  fata  e  fnt  n.  40.  dita  e  dit  n.  112,  sufa  e  Mt 
n.  45,  kóta  e  kot  cotta  -o,  làf  n.  40,  ót  n.  48,  ngt  ib.,  fritela, 
bdPda  '  bevanda  fatta  con  semi  di  popone  ',  lafiifiìì  erba  dolce 
che  cresce  nei  campi  in  primavera  cercata  avidamente  dai  ra- 
gazzi, cfr.  Arch.  Glott.  XVI  450-1  s.  lazza;  peten  n.  48. 

Traccia  della  risoluzione  e  da  -et-,  propria  dei  dialetti  lom- 
bardi, si  potrebbe  vedere  nella  voce  comunissima  tee.  se  non 
sarci  da  tt^yahi,  come  propone  il  Salvioni,  anziché  da  tectu  cfr. 
n.  41.  Un  altro  esempio  della  stessa  risoluzione  si  avrebbe  in 
kvùc  (usato,  nel  nostro  dialetto,  solo  nella  locuzione  avverbiale 
sol  kvàc  '  di  nascosto  '),  se  fosse  da  coactu  come  spiegava  il 
Mussafia  "  Rom.  Mund.  „  n.  169  ;  ma  qui  sarà  da  vedere  piut- 
tosto con  l'AscoLi.  Arch.  Glott.  II  402,  una  forma  sincopata  di 
*kuacato  >   kvaCff  part.  di  *ki(acare  >   koacè'r  che  "  sarebbe  in 


172  Malagòli. 

forma  toscana  *covacchiare  "  star  rannicchiato  nel  covo  '  „ .  Noto 
che  presso  di  noi  è  vivissimo  tutto  il  verbo  kimcè'r  nel  senso 
di  '  coprire  '  ^  corrispondente  esattamente  per  il  significato  al 
mil,  quatà  Salv,  '•  Fon,  Mi).  „  p.  234.  Forse  anche  si  potrebbe 
ammettere  una  contaminazione  fra  quest'ultimo  di  cui  rimar- 
rebbe traccia  nel  regg.  qiiatt  quatt  =  quacc  qitacc  (Voc.)  e 
*kvarcè'r  da  kvèrc,  verbo  che  vive  nel  pontremolese,  Restori 
"  Val  di  Magra  „  n.  42,  ait.  coperchiare  cfr.  '  scoperchiare  '  ;  op- 
pure si  potrebbe  supporre  avvenuto  in  kmcp'r  un  dileguo  del 
primo  r  di  *kvarC(j'r  per  dissimilazione. 

Del  riflesso  -jt-  da  -et-  potrebbero  essere  esempi  gcajtè'r 
gvàjta  ecc.,  n.  161,  fràt  nn.  61*®"^  che  presuppone  *frujt  cfr. 
Salv.  Arch.  Glott.  XIV  234  n.  2,  R.  I.  L.  s.  II  XXXV  964, 
n.  25,  pH  da  *pejt  pectu  '  mammelle  delle  bestie  ',  Belcalzer 
peit.  Pei  due  primi  vocaboli  si  può  pensare  col  Salvioni  a  gal- 
licismi cfr.  n.  186  nota;  ci  lascia  incerti  il  terzo  -. 

268.  -GD-:  fred,  se  da  *frig'du    n.  41. 

Nessi  di  esplosiva  con  s. 

269.  S  si  conservò  sempre  ;  assorbì  e,  p  precedenti  e  anche 
k'  seguente  :  testa  (nmr  djnajtesta  muro  d'un  mattone),  festa, 
kvest  cont.  kost,  /esca  '  esca  '  (concrezione  dell'articolo),  vrespa 
vespa,  orespe'r  vespaio,  cont.  vresp  urb.  vesper  '  funzione  reli- 
giosa',  frustfr  'logorare,  frust  '  logoro',  nespml  n.  48;  alsijt 
n.  226,  tasél  '  soffitto  '  sia  che  si  riconnetta  a  taxu-  albero  o 


'  Dicesi  anche  comunemente  fe'r  kvacè'r  delle  bestie  che  si  menano  alla 
monta. 

^  Per  il  mod.  pét,  che  già  il  Flechia  riconduceva  ape  e  t  u  s  Arch. 
Glott.  II  369,  il  Salvioni,  Jahresb.  IX,  I,  115,  pensa  a  *inet  e  richiama  il 
yen.  pieto. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  173 

a  taxilla  '  dado  ',  kósn  '  coscia  ',  lisP'r  lasciare  (che  darebbero 
il  medesimo  riflesso  anche  se  da  *coxia  e  *laxiare).  RksTìki 
'  Cascina  '  nome  di  mi  fondo  rustico  da  capsa  Salv.  Mise. 
Asc.  80-1  cass/Nct  Lib.  statut.  p.  152  ^:  pes  n.  41,  nriscr  nascere, 
kreser  kerseru  ecc. 

Anche  -XT-  vien  trattato  nello  stesso  modo:  busta,  spi^f. 

Nessi  con  nasali  e  con  lk^uide. 

270.  -X -r  fricativa.  -XS- :  me/,  pefn,  hfpr  n.  217.  riduzioni 
di  lat.  volg.  Resta  n  nelle  voci  dotte  o  semidotte  come  peiisp' r 
pensare  e  sim.  Pense'r  pensiere,  Arch.  Glott.  Ili  309  '  nastro, 
cappietto  per  sostegno  della  rócca  '  conserverà  \'n  per  influsso 
di  pendere.  -X(S)G- :  stranglr'r  '•'e  xtran(s)gulare,  se 
non  è  da  transgulare  con  attrazione  di  s  in  principio:  ma 
a  noi  venne  dall'italiano,  come  fa  pensare  il  gruppo  gì  conser- 
vato, cfr.  n.  805.  -XV-.  -XF-  restano  invidja  invéci  (semilett.). 
ihfjé'r.  iiifèren. 

271.  -X -f- esplosiva.  Intatto:  -XC- :  irotik  tronco,  hnihkp'r 
'  abbrancare  ',  maiikè'r.  Col  regolare  passaggio  del  secondo  ele- 
mento a  z  dav.  a  e,  i:  niiz  vince,  ohza  n.  69,  viiizéva.  In  Vize'n: 
\'incenzo  cadde  il  primo  n  per  dissimilazione.  Ihse'hs  mutò  la 
2-  in  s  per  influenza  della  conson.  finale.  Incastri:'' r  '  incastrare  ' 
è  dovuto  all'immistione  di  incoldPr,  carPr  e  sim.  -XG-  :  reUya 
n.  71  ;  vangifr.  L'esplosiva  regolarmente  trasformata  in  ~  dav. 
a  e,  i:  piari;,  piange,  tih.i  tinge,  leniia  n.  226,  iniéu  ingegno, 
finger  fingere,  pjaiiier.  tih~er  n.  71.  Anche  kaà-ilè'r  n.  178,  po- 
stula un  eangellariu  -  che  è  di  lat.  mediev.  Salv.  St.  mediev. 


'  Da  noi  all'ital.  cascina  corrisponde  ka/Pl,  proliabilmente  connesso,  come 
kaf/r  '  cascinaio',  con  case  u. 


174  Malagòli, 

I  420.  E  voce  dotta  Aiujil  di  fronte  al  popol.  Aus^^el  Angelo, 
-NT-:  fant,  -aht  = -ante  [hrigàht,  inoràht,  ecc.);  ìiìht  n.  89, 
polenta;  ahU'g  antico,  tinto' r  (il  e  era  già  caduto  in  lat.  volg,, 
come  in  sàòit,  ùnt).  -ND-  :  cont.  ardo  nel  n.  166,  manda;  mahdè'r, 
vendeva,  tendina,  mondia  mondiglia;  vender,  donda  nella  frase 
dèr  la  donda  '  far  dondolare  '.  In  (jàngola  si  ebbe  un'assimila- 
zione parziale. 

272.  -MN-  diede  n  forte,  e  perciò  non  soggetto  a  diventar 
gutturale  quando  venne  a  trovarsi  in  fine  di  parola:  dona  n.  70 e, 
san  ib.  -GN-  diede  n:  knoser  n.  166  cfr.  lucch.  cont.  cognoscere. 

273.  -MP-,  -MB-  diedero  -np-,  -nb-  :  tmp,  tenpesta,  rónper  ; 
ed  fgalenher  n,  207,  ganbera  gambiera,  fgonbili  n.  207  K^  1641, 
zinbol  xvfi^aÀov. 

Valqrja  '  fiammata  allegra  '  sarà  vampa  o  valampa  Rom.  XXXI 
509  -f-  baldoria,  cfr.  lucch.  caldoria,  Arch.  Glott.  XVI,  435. 

274.  -R  +  cons.-  Resta,  tranne  per  rs  i  casi  in  cui  questo 
gruppo  s'era  già  ridotto  a  s  o  ss  nel  lat.  volg.  M.-L,  "  It.  Gr.  „ 
§  158:  porta,  verda,  skérpa,  herba,  èrba,  orba,  pdrka,  mèrka,  lèrga, 
borsa,  serva-,  martél,  perdeva,  korpét,  orberà  n.  87  nota  ;  niarke 
n.  161,  Jlarger,  fgargajères,  morsél  n.  166,2,  servir,  pò  rteg  n.  79; 
ma  -0  n.  57.  —  Dav.  a  e,  i,  regolarm,,  re,  rg  diedero  rz,  /•;  : 
Arzéi  Arceto  n.  1.,  crzen. 

Sgarbfr,  acc.  a  Jgerbfr,  '  purgar  il  letto  dei  fiumi  e  dei  fossi 
dalle  erbe  '  tradisce  l'influsso  di  èrba.  A  sua  volta  fgèrb  avrà 
influito  su  fgerbizer  nn.  151,  207  e  fors'anche  su  fgerbier  ib., 
dal  quale  è  semasiologicamente  un  po'  lontano  ma  non  assolu- 
tamente remoto.  Un'immistione  di  quest'ultimo,  poi,  e  di  arbU' 
n.  172  potrà  vedersi  in  /gerble  n.  207  ^  Rebeg  '  incubo  '  fu  fatto 


'  Il  Salvioni,  nella  nota  alla  p.  322  del  voi.  XVI  dell'Arch.  Glott.,  cita 
parecchi  casi  in  cui  a  una  riduzione  a  sonora  di  sk-  iniziale  corrisponde 
"  una  riduzione  della  sorda  con  cui  s'apre  la  sillaba  successiva  ,.  Non   so 


studi  sui  dialetti  reggiani  175 

SU  arbgf')'  che  nel  presente  ci  da  rehey  rebc/a  rebyen  e  cosi  in 
tutte  le  forme  con  l'accento  sulla  radice. 

Vermzéj  '  spaghetti  '  pili  comune  ora  che  bigoj  nn.  49,  164/;, 
ha  -;•;;-  in  vece  di  -rm-  (vermicelli)  forse  per  assimilazione  par- 
ziale. A  dissimilazione,  per  contro,  son  dovuti  alzipret  arciprete, 
Malgarita,  falfPra  n.  192,  Geltrfida,  BHbra  Barbara,  e  forse 
kvace'r  n.  267  con  dileguo. 

Per  Palpi/ión  '  Perpignano  '  in  màneg  ed  Palpinàn  '  manico 
da  frusta  di  legno  pieghevolissimo  ',  cfr.  Gorra,  "  Dial.  Piac.  „ 
n.  56.   Per  skrniazffr  Salv..  Ardi.  Glott.  XVI  823  s.  scartezar. 

-R(P)S- :  skPrs  ^excarpsu,  se  non  è  direttamente  dall'ital. 
'  scarso  '. 

275.  -L  -j-  cons,-  Intatto  :  Hta  n.  99,  skòlta,  kHda,  pPlpa,  iflpa, 
èlba,  èlbi,  nifira  n.  75.  bolsa  n.  198;  s<(ltr')%  skoUr'r.  skaldp'r, 
palpè'r,  kaìkàii  calcagno,  bolsir  '  diventar  bolso  ',  Salvaiia  '  ladro 
che  secondo  una  tradizione  popolare  voleva  con  una  fascina 
coprire  la  faccia  della  luna  '  K.^  8712  (si  dice  anche  di  donna 
con  faccia  grossa  e  tonda  come  una  luna  piena),  galbeder,  Arch. 
Glott.  Ili  163,  K.3  4125:  polmo'n,  solfer  n.  80,  poirer  n.  80. 
Dav.  a  e,  i,  regolarmente  Iz,  /;  da  le,  Ig  :  deskHza  n.  148,  kalzH 
calza,  kalzìmt  calce,  svolr^er  n.  79. 

In  salzizlìì,  saizizo'i,  salziza  si  ebbe  assimilazione  regressiva, 
seppure  non  si  parti  da  *sal ciccia.  Mauser  coincide  coH'itu- 


risolvermi  a  collegare  il  secondo  fenomeno  al  pi-imo  come  effetto  a  causa, 
parendomi  sempre  \nù  probabile  l'opposto,  cioè  la  riduzione  della  sorda 
iniziale  a  sonora  per  assimilazione  alla  mediana  (cfr.  i  luoghi  qui  ricordati 
nella  nota  al  n.  198),  tranne  il  caso  in  cui  la  sillaba  interna  sia  disaccen- 
tata, come  dirò  trattando,  nei  mutamenti  fonetici  singolari,  dell'assimila- 
zione. Checché  sia  di  ciò.  non  mi  par  necessario  ammettere  l'assimilazione 
negli  esempi  nostri,  che  sono:  /ffoiibili,  n.  273,  dove  il  b  pan-ebbe  etimo- 
logico, e  i  sopra  ricordati  /garbè'r,  /gerbiz§'r,/gerbjp'r,  fgerbtè'  che,  come  s'è 
visto,  potrebbero  esser  dovuti  a  contaminazioni. 


176  Malagòli, 

liaiìo  '  mungere  '  M.-L.  rid.  it.  §  141,  ed  ebbe  Vn  o  per  assimi- 
lazione parziale  regressiva  o  per  influenza  analogica  dei  verbi 
in  -ngere  (ungere,  pungere,  ecc.)  Gbammont  "  Dissim. 
cons.  T  p.  120.  Hanno  r  al  posto  di  l,  per  dissimilazione,  sor- 
kadél  '  piccolo  solco  '  col  nuovo  diminutivo  sorkadlTu,  e,  per  as- 
similazione, il  cont.  sorkp'r  '  solco  della  stalla  ^ 

Per  Pter  ètra  v.  n.  307  ;  tgpa  n.  141.  —  Dal  francese,  frahalà' 
n.  54  acc.  a  fahala    con  dileguo  per  dissimilazione. 

276.  -CoNS.  -\-  r-.  Nei  nessi  di  cons.  -{-  r,  il  primo  elemento 
vien  trattato  come  le  consonanti  semplici  intervocaliche,  cioè 
le  miste  si  trasformano  in  sonore  e  le  originarie  sonore  restano 
intatte. 

277.  -TR-:  veder  nn.  35  e  318,  pèder  nn.  33  e  318,  mèder 
ib.,  lèder  ib.,  poleder  nn.  35  e  318,  ladra  n.  37^^^;  padrìn,  ma- 
drina, madrina,  zedron  n.  160,  lodrét  n.  166,2. 

Notevole  il  cont.  patron  (urb.  p)adr()'n),  latinismo. 

Prèda  n.  34,  adre  ib.,  presentano  fenomeni  di  attrazione.  — 
E  letterario  mèter  n.  188,4  '  metro  ',  introdotto  recentemente 
dall'italiano. 

278.  -DR-  :  skoèdra  n.  33,  koeder  quadro,  zeder  cedro;  koadrél 
n.  211,  cont.  kadrèga  urb.  karèga  n.  232. 

279.  -PR-  :  kèora  n.  33,  sdoer  n.  37^^^,  .inever  n.  81^^^*,  pèoer 
ib.,  óvra  '  opra'  n.  43  ;  leore'r  levriere,  lecró't  leprotto,  iTìr  n.  153. 

Si  dileguò  il  V  secondario  dav.  a  r  nel  futuro  e  nel  condizio- 
nale di  saver:  sarò  '  saprò  ',  saré'  saprei;  cfr.  aro  ecc.  s.  -èr-. 

280.  -BR- :  fèver  nn.  34  e  318,  Fàvreg  n.  47;  e,  con  attra- 
zione di  r,  fervè' r  febbraio  n.  101  nota  3. 


*  Quanto  al  diifusissimo  kortél  pub  dirsi  ohe  probabilmente  la  dissimilar 
zione  avvenne  già  nel  latino;  cosicché  possiamo  postulare  cìirtellu,  cfr. 
Merlo,  Revue  de  dialect.  rom.,  I  246  n.  3. 


I( 


studi  sui  dialetti  reggiani  177 

Per  laber  v.  n.  101  nota  3.  Otober  n.  188.4,  ithn'j  ii.  157  son 
parole  semidotte. 

Esempi  di  caduta  di  e  secondario  dav.  a  /•  sono  qui  :  arò 
•  avrò  '  are'  '  avrei  '  cfr.  sarò,  saré'  n.  prec,  lira  '  libbra  '  \ 
rór  n.  186. 

281.  -CR- :  mèger  n.  33,  èyer  agro,  alegcr  n.  100,  segrcstin 
n.   171,  segrè'  n.  159  ;  If'genna  n.  81*"'\ 

Sakramént  è  voce  dotta;  cosi  sekre't  n.   164^''*. 

282.  -GR- :  nìger  n.  114,  pìger  ib.,  e  con  successiva  propag- 
ginazione di  >•,  cont.  tntreg  allato  all'urb.  inter  n.  34  semidotto; 
pigro  n,  nigrét  '  nericcio  ',  cont.   Nigramùnta  n.  69. 

283.  -CoNS.  -)-  /-.  I  nessi  di  cons.  -\-  l  hamìo  la  stessa  riso- 
luzione che  in  principio  di  parola  : 

-PL-  :  stopja  stoppia,  dopi  doppio,  opi  oppio  ;  dopjf>'r  n.  192, 
spjanr'r  Vinsoui  explanare  '  avverare  il  sogno  ',  nj)jét  '  senza 
distinzione  o  scelta  '  lucch.  appietto  che,  secondo  il  Pieri,  Zf.  f. 
rom.  Ph.  XXX  295,  viene  da  applic'tu  (applicitu)-.  —  Con 
-MPL-  :  tenpja  '  trave  del  tetto  '  Mise.  Asc.  92,  sMjn  senpja 
'  semplice,  scempio  -a  '. 

Frequente  l'attrazione  dell'-/-  di  -uhi:  pigpa,  cont.  e  ap  {urh. 
ki'ipi)  cappio,  cdpa  '  coppia  di  pani  '  cont.  a  bop  '  a  mucchi  ', 
caper  n.  215. 

Per  kuhja  n.  132,  —  Letterario  kataplafma. 

284.  -BL-  :  siibi  subbio,  term.  de'  tessitori,  nebja^  cont.  fuhja 
n.  92,  sàbja,  tibja  '  grano  o  riso  mietuto  e  collocato  nell'aia  per 


'  Forse  fu  preso  dai  nostri  dialetti  l'ital.  lira.  Diversamente  però  M.-L., 
<Trr.»  I,  678. 

*  E  voce  vexata.  11  Fkkuako,  p.  34,  propone  una  connessione  con  'affatto' 
che  non  persuaderà  nessuno.  Importante  il  riscontro  napol.  ackitte  '  cumulo', 
De  Bartholomaeis,  Ardi.  Glott.  XV,  330  s.  aplittu.  Il  Salvioni,  Arch.  Glott. 
XVI.  461,  la  considera  una  forma  avverbiale:  a  pietto;  il  Pieri,  1.  e,  invece 
un  tipo  participiale  come  presso,  tosto. 


17S  Miilagòli. 

essere  trebbiato  '  tri  bui  a,  cont.  stnnbi  '  la  divisione  nei  por- 
cili per  mezzo  di  steccati'  stabulu  con  epentesi  della  nasale; 
tibjé'r  '  trebbiare,  battere  il  grano  '  e  anche  '  battersela,  darla 
a  gambe  '  con  dileguo  dell'r  della  prima  sillaba  per  dissimila- 
zione cfr.  tihja,  stanhjolin  bugigattolo,  bahjàs  babbione,  sabjg'n 
'  sabbia  grossa,  sabbione  '  sablonum,  Lib.  statut.  p.  24  e  anche 
*  persona  in  abito  da  maschera  '  con  senso  dispregiativo. 

285.  -FL-:  Da  *r efiatare  è  il  nostro  comunissimo  arfjadf'r 
detto  di  canne  o  tubi  che  da  qualche  foro  lasciano  sfuggire  il 
fiato  immessovi.  —  E  preceduto  da  consonante:  infjPr  enfiare, 
desfjè'r  '  sgonfiare  '. 

Anche  da  noi  il  diff'uso  sopjer  non  ben  chiaro  e  che  postu- 
lerebbe una  base  con  -pi-,  M.-L.  G.  d.  1.  r.  I,   493,  K.s  9237  K 

Forse  dal  di  fuori  ronfer  '  russare  ',  per  cui  Par.  "  Dial.  tabb.  „ 
67  e  69^.  Taper  '  mangiare  abbondantemente'  moden.  tafer 
Arch.  Glott.  Ili  155  sarà  probabilmente  metaforico  da  tapp'r 
term.  dei  falegnami  '  levar  via  abbondantemente  schegge  {tap) 
dal  legno  che  si  lavora,  per  assottigliarlo  '. 

286.  -CL-  e  -TL-  :  guca  n.  45,  seca  secchia,  oreca  n.  41,  maca 
n.  40,  skervaca  ib.,  kornac  '  corvo  ',  lentica  lenticchia,  kar[c 
n.  116,  spcèr  specchiare,  parcè'r  apparecchiare,  bacol  e  bacarél 
connessi  con  bac(u)lu,  Arch.  Glott.  II  35. 

Di  riduzione  pili  tarda  sjxda  spalla,  se  non  sarà  un  italianismo 
come  fruì  frullo. 

Senza  sincope  onbrigoì  n.  49  semiletterario.  Per  spàtola  n.  182^"^. 


I 


I 


*  Si  potrebbe  ammettere  *s  u  b  f  1  a  r  e  >  *s  u  p  f  1  a  r  e  >  s  u  p  p  1  a  r  e  V 
oppure,  come  si  ha,  nel  bolognese,  fjqpa  da  plopa,  Flech.,  Arch.  Glott. 
Ili  130,  si  potrebbe  veder  qui  il  fenomeno  inverso,  cioè  *s  u  p  p  1  a  t  da 
sufflat  per  dissimilaz.  delle  due  spiranti  s-/"? 

'^  Per  altri  criteri  nella  spiegazione  di  questa  voce,  v.  Sainkan,  La  créat. 
méf.,  p.  11. 


Studi  sui  dialetti  regj^iani  179 

Notevole  bega  da  sani  '  ape  ',  cfr.  M.-L.  VA.  f.  fom.  Ph.  XXIX 
402-4. 

Presentano  la  risoluzione  -j-  :  rufij  '  rimasugli  '  n.  167.  tndja 
tenaglia,  maja,  inrój  '  involto  '.  sraj,  sràja,  sonàj  '  balordo  ', 
bendàj  n.  197,  se  non  è  una  formazione  alla  buona,  come  opina 
il  D'Ovidio.  Arch.  Glott.  Xlll  412,  e  cosi  dicasi  di  pataja  '  parte 
inferiore  della  camicia',  patajrn;  arrojè'r  'attorcere',  tnajìna. 
Per  formaj  n.  290. 

In  paiióka  '  pannocchia  '  si  è  avuto  l'attrazione  dell'i  nella 
sillaba  tonica.  JSr/s^Y'r  raschiare  sarà  da  *ras(i)care  cfr.  n.  40. 
Paskoìon,  nome  di  un  fondo,  è  da  paskol. 

Per  kunin  n.    121. 

287.  -GL- :  teìja  n.  41,  strega  ib.  ;  kagrres  n.  211,  kagPda 
'  latte  rappreso  ',  kagg'n  grumo,  sterge  r  '  strigliare  '.  —  E  con 
-XGL-:  Uììga  n.  71^'^,  ziiìga  n.  71  ;  zingè'r  '  battere  con  cinghia  '. 

Neklènza  usato  nel  modo  di  dire  morir  ed  neklenza  '  morir 
d'inedia,  di  stenti  "  ha  l'aspetto  di  parola  semiletteraria,  forse 
connessa  con  n  e  g  1  e  g  e  n  t  i  a,  cfr.  ait.  negghienza.  Si  veda  tuttavia 
per  essa  il  riavvicinamento  a  *nidiclu  tentato  dal  Nigea,  Arch. 
Glott.  XV  292.  Gerolifik,  d'origine  dotta,  fu  inteso  e  riprodotto 
imperfettamente. 

Un  esempio  di  -/-  si  avrebbe  in  fhrajf'r  '  gridare  '  secondo 
l'etimologia  del  Flechia,  Arch.  Glott.  II  379  e  sgg.,  se  pure 
non  sarà  direttamente  da  *bragire  >  *brair,  cfr.  ferrar,  sbrair. 
e  con  passaggio  di  coniugazione,  favorito  forse  dall'immistione 
di  baje'r  'abbaiare''.  —  E  qui  venga  raiip'r  'ragliare',  quan- 
tunque non  ben  chiaro  da  *rangulare^  Arch.  Glott.  XIII  439  -. 


*  Che  il  moden.  shrajàr  si  risenta  di  *bragire  ammette  anche  il  Sai.- 
vioNi  in  Jahresb.  TX  i  117. 

■^  Forse  anche  qui  si  partirà  da  *r  a  g  i  r  e  che  diede  *  rat)\  *raj'^'r  come 
pirujer;  poi  per  contaminazione  con  rundìa  *r  a  n  i  o  1  a  strumento  rumo- 
roso, in  ital.  '  raganella  ',  entrò  nel  verbo  il  suono  n. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  13 


180  Malagòli, 

287*^'^  Un  caso  particolare  di  assimilazioiio  parziale  ci  offri- 
rebbe Vs  di  bis-  divenuto  r  in  composizione  dav.  a  l:  herlekf'r, 
fberlocer,  herlósk,  fberlumir,  ecc.  nn.  160,  171,  se  non  si  tratta 
del  prefisso  per-. 

Nessi  di  conson.  -\-  n  {il  atono  in  iato). 

288.  h'u  viene  di  regola  assorbito,  tranne  in  ku,  gu  dav.  ad 
a,  e.  Finale,  dav.  a  -u  di  desinenza,  ha  la  risoluzione  -ov  nel- 
l'interno, -uo  nella  campagna. 

-TU-:  fot  futuit,  foter  fu  tu  e  re,  bàt  batuit,  dove  ili  non 
andò  soggetto  a  scadimento  perché  seguito  dalla  semivocale  che 
esso  assorbì  in  sé. 

-NU-:  màna  manna,  inèr  n.  159,  manarin  '  piccola  accetta  '. 
—  Resta  in  mahvlln,  manvìn  e  anche,  con  epentesi,  mandifìn 
n.  161. 

-KU-  :  Cadde  in  relikja  reliquia,  rèkjem  requiem  ;  restò  in  àkca 
(probabilmente,  lat.  volg.  akkua)  e  suoi  derivati,  Pàskva,  Pask- 
veta  *  Epifania  ',  arkvest  *  rigaglie  '  reqiiestae  degli  antichi  Sta- 
tuti Galvani  "  Gloss.  mod.  „  148.  Notevole  il  cont.  ingvalir  n.  156. 

Tracce  forse  di  una  più  antica  caduta  anche  dav.  ad  a,  e 
(cfr.  n.  211)  si  potrebbero  riconoscere  in  cont.  lukela  n.  41,  zìnk 
che  potrebbe  pure  spiegarsi  in  proclisi  o  per  analogia  su  vìnt^ 
zént  e  sim.,  skonkasé'r  sinonimo  di  skoaser  '  agitare  '  dove  però 
il  gruppo  ku  è  in  sillaba  postsemitonica,  drake  n.  153,  stravakè' 
ib.,  cfr.  Arch.  Glott.  Ili  151.  —  Àkvila  n.  47  è  letterario. 

-GU- :  lingva  n.  71,  sangvétola  mignatta,  sàngov  da  *sangv 
cfr.  PiAGN.  n.  115.  —  Anche  qui  tracce  di  dileguo,  per  gui  almeno, 
in  sangonlna  herba  sanguinaria  'pianta  con  cui  si  fanno 
granate  ',  cont.  sangoner  n.  192  (urb.  sangviner,  semidotto) 
sanguinare. 


Studi  sui  dialetti  rejjsriani 


181 


Per  cons.  -p  u  dav.  a  -u.  citiamo  kontinov  continuo,  vcdor,  cont. 
fridnv  triduo.  —  Di  lat.  volg.  mnrt  :  regolare  antiy  a  n  ti  cu. 


Nessi  di  cons.  +  i 


289.  Mostrano  gli  esiti  indicati  nella  tabella  seguente 


tino  .... 

li. 

ni 

A-'X  ;  ùi 

S  postvoc. 
'  postcous. 

J 

n 

7>     I     n 

tk 


di 


PX 


z;  s{sti)  ■  x."  "  {'idi)      , 


bi  vi  mi  \    ri     si 

f'J    bj  ;  a  ?)    mj      r      J 


290.  -LI-  :  -aja  =  -  a  1  i  a  {invernCtja,  brufnja  '  brusalia  '  l'estam. 
(l»J12j  in  volgare,  Mon.  agg.  alle  Mem.  del  P.  Pier  Maria,  176, 
kamìja,  ecc.  ;  qui  forse  anche  formàja  '  forma  di  formaggio  ' , 
donde  poi  formàj  formaggio,  cfr.  Piagn.,  n.  113),  a]  n.  40, 
mij  miglio,  cont.  sija  urb.  zia  *cilia,  cont.  tija  urb.  Ha  'fila- 
mento della  canapa  o  del  lino  ',  cont.  famija  urb.  famia  \ 
<i"j"ì  f'{h'  ^-  ^S'  ^^y  solium,  loj,  luj:  mojer,  fjgl  n.  150,  fiola 
Invent.  1490,  cfr.  lucch. /"/"o^o,  Arch.  Glott.  XII  116,  sojola,  sojer, 
mjòr  migliore,  nijn-  migliaio  miaro  Invent.  1498,  arpjPres  '  ri- 
pigliar forze,  rifarsi  ',  inpjp'r  '  accendere  ',  pijapés  acc.  a  piapés 
uccello  e  anche  '  rimbalzello  ',  tortjer  attorcigliare,  sufje'm.  192, 
stitjot  ■  scemo  ',  tajòH  '  erpice  ',  postjon  postiglione, ^'fr  agitarsi 
a|siliare,  inafjè'r  'stuzzicare'  Flech.,  Arch.  Glott.  Ili  167, 
NiGRA,  Rom.  XXXI  511  nota.  —  Da  basi  con  doppia  -11-:  hoj 
bull  io  infin.  èoyV  deverbale  boj  'bollore',  bojon  catarro  che 
impedisce  il  respiro   (specialmente    negli    ammalati    gravi)  cfr. 


'  si  noti  anche  qui.  come  già  pei-  -v-  n.  226  nota,  la  caduta  di  -j-  in- 
tervocalico dopo  i  e  si  ricordi  ciò  che  si  disse  a  proposito  dell'epentesi  di 
iato  n.  187. 


182  Malagòli, 

Arch.  Glott.  XVI  488   e  sg.,  fmoj   *ex-mollio    infin.  fmojfr, 
dev erh. fmoja  'ranno  già  usato  '  '.  Per  kavàj,  bej,  ecc.  150. 

Letterari  o  semiletterari:  efili,  konsili,  Milja  n.  163,  ^li  n.  129 
(cfr.  però  Hekzog,  Streitfr.),  konsilje'r,  miljgn. 

291.  -NI-:  teìia  n.  72,  grami/ia  ib.,  vpia  in  senso  metaforico 
ironico  per  '  abitudine  che  altri  prende  a  proprio  comodo  e  con 
nostro  fastidio',  -an  =  — aniu  {kalkàn,  kavàn  Mise.  Asc,  431, 
kanpana,  kavdana  n.  223,  longàna  '  persona  lenta  ne'  suoi  atti  '), 
bruna  n.  208,  kodón  cotogno,  Boloha,  veh  vengo,  teh  tengo,  lun 
'  giugno  '  ;  skóì'  signori,  Tohìn  Tonon  Tonét,  Benamìn,  rono'n 
rognone  rognonos  Lib.  statut.  p.  22,  dal  francese  cfr.  nn.  164  e 
e  186  nota. 

Dopo  consonante,  sornò'iì  '  taciturno,  dissimulatore,  sornione  ' 
se  da  surnia  'uccello  notturno'  Sainéan,  "  La  créat.  mét.  „, 
pp.  116-117;  lor'dó'n,  sinonimo  di  longàna  e  longadó'h,  ma  con 
senso  più  spregiativo,  se  da  una  base  con  -rnì.  Per  pan  n.  150. 

Letterari:  mikranja  n.  153,  demgni  e  le  altre  voci  ricordate 
nel  n.  132;  indemonje;  èrnja  ernia  (raro),  fbórnja  (pure  raro; 
più  comunemente  baia). 

Degna  di  nota  l'assai  diffusa  parola  kerfimgnja  cent,  ker/i- 
monja  '  cresciuta  '  che  si  mostra  d'origine  dotta  anche  per  il 
suffisso.  -MNIU-  diede  -ni;  insoni  n.  150,  da  cui  insonjfref  so- 
gnare. 

292.  -K'I-:  bràz  n.  40  braza  Invent.  1492,  làza  'filo  rinter- 
zato,  spago  ',  gaz  ghiaccio,  veder  gaz  '  leggero  strato  di  ghiaccio 
sulle  strade  che  rende  pericoloso  il  camminare  '  cfr.  frane,  ver- 
glas,  -àz  =  -  Siceii  n.  40,  liiz  n.  45,  treza  treccia,  riz  n.  42, 
skoz  coccio  {pumazo  Invent.  del  1493,  cfr.  n.  212);  lazét  'le- 
gacci delle  scarpe  ',  rizol  term.  architett.  '  modanatura  ',  rizoU'n 


'  Anche  il  nostro  moj  '  bagnato  '  sarà  un  deverbale  ;    invece  ìugl  '  lento, 
sciolto  '  continua  regolarmente    m  o  1 1  i  s. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  183 

'  ricciolo  di  capelli  ',  gazerà  ghiacciaia,  sfazè'  sfacciato,  faznia 
facciata. 

Faca  'faccia'  è  d'orig.  letter.,  cfr.   Piagn.  n.  121. 

Postconsonantico:  kèlz  calcio,  Frànza  popolare  acc.  al  lette- 
rario Franca  delle  persone  civili,  lànza,  fherlànza  'altalena'; 
halanzl'n  bilancino  nel  senso  di  '  traversa  fra  le  stanghe  della 
carrozza'  e  anche  di   'trapezio  degli  acrobati'  n.  172. 

Casi  particolari:  iPfa  taceat,  Ulfa  luceat,  pjì'ja  placeat 
sono  analogici  sull'infinito  e  sulle  non  poche  altre  forme  in  cui  è 
regolare  Yf.  Per  hornl'f  n.  208,  zernif  n.  164  v.  più  sotto 
n.  294. 

Moinón-;  romanzo  è  voce  dotta. 

Semiletterari:  Luzjàri  Luciano  cfr.  n.  240,  Filizjò'n  n.  172, 
fezja  per  cui  v.  Arch.  Glott.,  XVI  443  nota. 

293.  -GI-:  Rei  Reggio,  Kore-  Correggio, /«ì»  faggio  :  ^•or;o^rt 
'  livido  di  battitura  fatta  con  sferza,  razzatura  ',  kor;/r  (masch.) 
'  fune  che  lega  le  corna  de'  buoi  al  timone  ',  fra-il'r  '  comba- 
ciare '  se  connesso,  come  sembra,  con  fragium  (ma  skurjèda, 
probabilmente  non  indigeno,  da  ex-corrigiata  n.  167)  ^ 

Dopo  consonante,  sun-a  n.  71^^^. 

Voce  dotta  rega  di  raro  uso  nel  senso  di  '  sacrato  della 
chiesa'.  Italianismi:  sàg  saggio,  esame;  spuìia  acc.  a  sponya 
n.  70. 

294.  -TI-:  jioz  n.  44,  palàz,  pjàza,  spàza,  niz  n.  202,  sliz 
n.  42,  -eza  =  -\t\2i  {beleza,  kareza,  ecc.).  Sarà  un  imprestito  2Ì- 
ìHf/a  cimasa. 

In  protonica  farebbero  pensare  all'esito  /:  punta/o  ti  '  tenesmo, 
spinta'  ••■punctatione  parola  ben  popolare  e  vivissima,  cont. 
rufn'n   (eh.  partii,  da  ndon  Piagn.  n.    120)  sostiiuito  ora  quasi 


'  Skurj§'da  .sarebbe  irregolare  anche  se  connes.so  con   e  o  r  i  n  m  .  poiché 
in  tal  caso  si  aspetterebbe,  da  noi,  skure'da  cfr.  korim. 


184  Malagòli, 

generalmente  dall'italianismo  ragon  ;  ma  i  due  vocaboli  andranno 
con  quel  filone  a  cui  appartengono  gli  ital.  ragione,  imbandigione 
e  sim. 

D'origine  letterària,:  pazjé'nt,  stazjon  stazione,  s^a^o'w  stagione, 
ruilc'r  ruzzolare  in  cui  la  doppia  z  intervocalica  fu  fatta  sonora. 

Per  -ti^i  ho  solo  èarèz'/ barbitii,  dove  chi  non  voglia 
ammettere  una  particolare  risoluzione,  come  propugna  il  Meyer- 
Liibke  contradetto  in  ciò  dal  Horning,  potrà  supporre  uno 
scambio  di  suffissi  che  pare  già  si  accetti  per  '  cinigia  '  *cinisia 
M.-L.  rid.  it.  p.  123,  Salv.,  Arch.  Glott.,  XVI  434  e  che  po- 
trebbe estendersi  a  borni'/  n.  208.  se  non  si  preferisca  vedere 
per  questa  voce,  messa  in  relazione  con  zerm'f,  l'effetto  di  un 
influsso  reciproco  cfr.  n.  164  b.  Il  medesimo  potrebbe  dirsi  degli 
astratti  in  -ifja  {sporklfja  ali.  a  sporkizja,  magrìfja  ali.  a  nta- 
greza  ^  ingordlfja,  strakìfja  '  stanchezza  ',  brutlfja  bruttezza  e 
forse  pochi  altri),  nei  quali  però  la  terminazione  -ja  e  la  tonica 
lunga  n.  188,  4  ci  obbligano  a  riconoscere  una  prima  origine 
non  prettamente  popolare  ^. 

A  formola  postconsonantica:  mérz,  skgrza  se  or  tea,  -ànza  = 
-antia  {abondatìza,  ecc.),  2>e.^  pezzo,  maz  mazzo,  nóz  n.  137, 
goza  goccia,  kàza  caccia;  kunzer  n.  131,  fmorzer  smorzare, 
strazer  stracciare  e  '  stracciaio  ',  drizer  dirizzare,  linzgl  n.  161, 
inplizadùra  '  impiallacciatura  dei  mobili  '. 

Esiti  particolari  offrono:  -sti-  con  -s-  {us  n.  137,  bisa  biscia, 
cont.  ingós    n.  44,  cont.  strangosa    n.  251  nota,  presja  '  fretta  ' 


'  Anche  magreda,  voce  di  gergo,  dal  nome  di  luogo  Magreda  Macreta. 

^  La  maggior  parte  di  queste  voci  apparterrà  a  quelle  formazioni  alla 
buona,  cui  si  accennò  nel  n.  286.  Resta  però  sempre  da  scoprire  quale  fu  il 
punto  di  partenza.  —  Per  la  dibattuta  questione,  M.-L.,  *  It.  Gr.  ,,  §  247, 
rid.  ital.  §  129,  "  Gr.d.  1.  r.,  II,  §481;  Mussafia,  Rom.  XVIII,  533  e  sgg.; 
Horning,  Zs.  f.  rom.  Ph.  XXIV,  545  e  sgg.,  XXV,  744  e  sgg.;  Bartoli,  Alle 
fonti  del  neo-latino  in  Misceli.  Hortis  (Trieste,  Caprin,  1910),  p.  918  n.  3. 


studi  sui  dialetti  reggiani  185 

semipopolare,  hisollna,  strangosè'r  n.  251  nota,  strusjf'r  'sciu- 
pare' *extrustiare  Flech.,  Ardi.  Glott.  Ili  155  (l'irrego- 
lare^' rende  però  sospetta  questa  voce);  e  -ncti  con  e  in  spuncuìì 
'  punta  '  e  spiinhone  r  '  levar  le  punte  '  e  '  colpire  con  una  punta  ' 
se  piuttosto  non  sono  da  *ex  punct[u' 1  -  cfr.  Pah.,  Ardi.  Glott. 
XVI  388  e  sg. 
Per  i  cont.  tue  e  tue  kvành  v.  n.  150. 

Voci  letterarie:  vizi,  prezi,  servizi  n.  113;  pazje'nt  e  le  altre 
viste  sopra;  besfja,  òstja  cfr.  n.  48;  bestjon,  bestjollna. 

Una  base  diversa  dall'ital.  '  gozzo  '  ha  il  corrispondente  dia- 
lettale ggf  K.3  4237,  4300. 

295.  -DI-:  m-  raggio,  lavéi  laveggio  lavezi  Invent.  1493, 
skeia  scheggia  M.-L.  "  Gr.  d.  I.  r.  „  I  316  (dal  greco),  iner^_  -a, 
/7Ó-ff  poggia,  stài  staggio,  Stàia  n.  di  luogo  in  prov.  di  Modena, 
/"/>m»(^;^  ■  maneggio,  movimento  '  ;  mrjder  n.  33,  po~p'r. 

in  protonica,  parrebbero  casi  di  risoluzione  con  _/:  òajp'r, 
I inanje  r  che  di  fronte  a  fmane^a  potrebbe  esser  esempio  del- 
l'alternativa studiata  dal  Parodi  in  Mise.  Asc,  p.  462  e  segg., 
e  con  caduta  mete  ,  che  però  sembra  parola  dotta  v.  n.  238.  Se 
si  volesse  ritener  questo  l'esito  normale  di  protonica,  potreb- 
bero considei-arsi  />o.-f'r  ^.  Jmane\ament  analogici;  ma  i)i:J;der'i 
Postconsonantico:  ór;,  man~^,  ve)\a\  or~ol  'orzaiolo',  kariol 
n.  196.  Dopo  UH-,  yon;àdga  n.  183.  -NDI-  diede  n:  vergoÀPref 
donde  veryona,  skoiifonp'r  n.  180,  maìier  *mandiare  Arch.  Glott., 
I  78;  pràns  sarà  dall'ital.  jiranzo  pronunziato  con  z  forte. 

Casi  particolari:  imprestito  letterario  noja  n.  188,  4;  di  dif- 
ficile spiegazione  ruja  termine  spregiativo  (su  troja  di  cui  è  si- 
nonimo?). Per  ved,  dovuto  ad  analogia  morfologica,  n.   111. 

D'origine  letteraria:  invidja,  rimedi,  komedja,  pag  T^Q.ggvo\  a jùt 
n.   139,  Jiiter,  juta  ^,  nieridjàna,  udjmza,  stndjp'r. 


'  L'aferesi  nel  verbo  si  spiega  con  ciò  che  dicemmo  nel  n.  152;  la  stessa 


186  Malagòli, 

296.  -PI-:  s«^;Ja  sappia;  in  protonica,  il  solito  ^/^o'n  piccione 
che  sarà  da  noi  un  imprestito. 

Dopo  consonante,  krepja  n.  41  ;  lanpjon  lampione. 

297.  -BI-:  àbja  abbia,  r'àbja,  rahjin  rabbioso,  ahjé'  abbiate 
(imperat.). 

Lunia  n.  70,  lo^a  loggia  sono  gallicismi  Salv.,  Arch.  Glott., 
XVI  600.  Dopo  r/M-,  lubjdn,  ma  sarà  direttamente  dall'ital. 
*  lubbione  '  per  cui  M.-L.,  Grr.-,  679.  Dall'italiano  certamente, 
sogét  e  forse  anche  kanbjè'r  men  popolare  di  mudè'r. 

298.  -VI-:  gàbja  n.  196,  shon-ubja  n.  166,2,  rubi  e  rubja 
n.  252,  cont.  :{obja  n.  149,  kargbi  n.  211,  solebi  e  solebja  n.  166,  i 
*solleviu-  ;  Karubjo  Carrobbioli,  n.  di  un  fondo,  gabjìna  piccola 
gabbia,  gabjàn  '  balordo  ',  ingabjamref  '  detto  del  tempo,  quando 
il  cielo  s'annuvola';  ma  alier  leggero,  se  indigeno  {legér  e 
cont.  liger  sono  letterari  n.  164  e).  D'orig.  dotta,  diluvi. 

A  formola  postconsonantica,  èlbi  n.  149,  albjoll'n  dim.  di  èlbi. 

299.  -MI-:  niumja,  sÙHJa;  mumjer  '  biasciare ',  stmjp'^  'nome 
popolare  di  una  malattia  dei  bambini  nei  primi  mesi  di  vita  '. 

Dopo  consonante,  rispèniija  '  risparmia  ',  risparmjer. 

Bjastéin  *  bestemmio  '  con  l'infinito  bjastìup'r  sembra  postulare 
una  base  con  w  semplice  *blastimare  M.-L.  "  It.  Gr,,  „  §  262. 
In  vindim  n.  96,  vindmer  o  l'i  fu  attratto,  o  si  partirà  anche 
qui  da  un  m  semplice. 

Sparàìia  '  risparmia  '  nel  proverbio  S'paràna  sparcina,  al  djèvol 
la  màìia  '  risparmia  risparmia,  se  la  porta  via  il  diavolo  '  sarà 
da  una  base  con  nj  K.^  8910,  anziché  con  nij  Rom.,  XVIII  603. 


ragione  non  poteva  valere  per  il  nome  (masch.)  che  conservò  Va-,  Non  si 
vede  quindi  la  necessità  della  distinzione  cronologica  fra  il  verbo  e  il  nome 
fatta  dal  Piagn.,  n.  122,  che  pensava  a  una  ricostruzione  del  verbo,  più 
popolare  e  antico,  sul  nome  modernamente  importato.  L'ipotesi  d'un  antico 
*xudè')'  non  mi  pare  che  abbia  finora  nessuna  documentazione. 


Studi  sui  dialetti  ref?giani  187 

(ratamiina   vieii    riconnesso   a   gattaiìtorgita ,    Sainéan,    op.    cit.. 
p.  46. 

300.  -KI-:  era  n.  33,  per  ib.,  -f/-  =  -iiriu  ib.,  véra  n.  84, 
madera  (a-)  detto  della  vite  che  si  lascia  salire  lungo  il  tronco 
dell'albero  ^materia  cfr.  Ardi.  Ulott.,  XVI  455,  fera  n.  84. 
kanter  ib.,  rajo'r  rasoio,  (dvador  '  lievito  ';  /jarol  paiolo  j)arolo 
Invent.  1493^  polaró'l  pollaiolo,  raro'/  vaiolo,  varala  aggiunto  di 
vacca,  dal  colore  del  pelo,  arUa  'stizza,  rabbia',  *hariolia. 

Postconsonantico  resta  e  svolge  davanti  alla  sonante  la  vocale 
irrazionale:  j)rQ'perja  proprio  (acc.  a  própja  dove  si  ebbe  il  di- 
leguo deH'r  per  dissimilazione)  ;  rederjò'l  n.  112,2,  kaverjol  'vi- 
ticcio ',  kaverjòla  capriola,  inberjp'y. 

Voci  dotte  o  semidotte:  mortori,  skrifóri  e  sim.  nn.  129,  132, 
zimiteri  cimitero,  batisfèri,  furja  '  fretta  ',  salamurja  ecc.,  n.  135, 
iitafèrja,  arguri;  ììiaterjH  materiale,  furjof,  fmeniorje  . 

Da  notarsi  Majl'n,  Majoii  n.  148. 

301.  -SI-:  hèf  n.  83,  kamlfa  n.  85,  ce/a  n.  84,  zrefa  ib., 
i?/V^Blasiu;  kaje'r  'cascinaio',  kafél  'cascina'  n.  269  nota, 
hrujer  n.  208,  fafoL  fagiuolo,  perfon  prigione  lat.  volg.  *pre- 
sione.  La  Mafoiì  lat.  volg.  *masione  per  mansione,  nome 
di  una  villa  reggiana  (nelle  carte  topografiche  '  Villa  Masone  '), 
'■'dfàna  '  erba  di  valle  ', 

Dopo  consonante,  arvesa  rovescia,  lànsa  Rns'à-,  arcasè'r  (!'-«- 
attesta  Vr  posteriormente  caduto  dell'etimo  revérs-  nn.  110 
e  178),  kiìlser. 

Dall'italiano,  okajjoit  occasione. 

d)  Gruppi  consonantici  romanzi. 

302.  I  gruppi  consonantici  formatisi  per  qualsivoglia  modo, 
0  venuti  a  noi  dal  di  fuori,  in  periodo  romanzo  son  trattati  nei 
nostri  dialetti  diversamente  dai  gruppi  originari.  Di  regola,  tolti 


188  Malagòli, 

i  fenomeni  assimilativi  di  cui  si  parlò  nel  n.  217  e  che  avven- 
gono in  ogni  posizione,  essi  restano  intatti. 

303.  Xessi  di  esplosive:  polpto'n  n.  178,  asptè'r,  kaptì'n  'ca- 
petto, birba  ',  korptl'n  corpettino,  pokti/t  '  pochino,  pochettino  ', 
hroktlna  dimin.  di  broketa  *  bulletta  '. 

Con  assimilazione  di  sorda  a  sonora  e  viceversa:  ^^or(/97'>i 
n.  178,  Pordgét  Portichetto,  n.  di  un  gruppo  di  case  suburbano, 
pondga  n.  128,  ordfì'iì  orticello,  nfdì'n  uscetto,  ofdi'n  ossetto, 
fafdl'h  fascetto,  afdlna  assicella  (nei  quattro  ultimi  esempi  il 
suffisso  è  dovuto  all'analogia  dei  diminutivi  in  -din,  come  kavdi'n 
e  sim.  ;  cfr.  Arch,  Glott.  XVI  304  n.)  ;  hraktma  dimin.  di  hrPga, 
roptina  robetta;  cfr.  anche  nn.   143,  1G2. 

304.  ì^essi  con  nasali  e  con  liquide:  vens  venne,  tens  tenne 
acc.  alle  forme  deboli  iii  e  fìii^  granlì'n  granellino,  fenina,  semnè'r 
n.  170.  — Quanto  a  -nm-  si  ha  dileguo  di  n  per  dissimilazione 
in  gramostj'n  (gran  mestino),  komanéra  '  con  garbo  '.  Konpju 
'  come  più  '  si  spiega  da  ^koni'  pju  cfr.  n.  273;  e  più  oltre  konjdìr 
'  come  dire,  cioè  '  da  kom' jdlr.  Sperniger  da  '^spetniger  '  spet- 
tinare '  avrei  Vr  invece  del  t  per  effetto  di  assimilaz.  parziale 
favorita  dall'analogia  delle  molte  parole  che  cominciano  con 
sper-.  Cosi  il  A;  di  pikmè'r,  pikmon  sarà  dovuto  alla  maggior 
frequenza  del  gruppo  km  in  confronto  di  Un.  —  T^t  tolto  lat. 
volg.  *toltu,  tos  tolsi,  t'ós  volli  (acc.  a  tolif ,  vri)  son  forse  neo- 
formazioni analogiche.  Per  iog  n.  317.  L-|-conson.  cadde  in 
Gironnn,  Giromon  che  si  tradiscon  però  semidotti  per  l'iniziale 
n.  201,  huni'n  per  bolni'n  n.  180,  muner  n.  174,2,  forse  per 
dissimilazione.  Non  è  da  tacere,  però,  che  tanto  tot,  tos,  vds, 
quanto  Giroml'n,  Giromon,  buni'n,  miine'r.  in  cui  si  parte  sempre 
da  ^  -|"  cons.  preceduto  da  o,  potrebbero  essere  esempi  di  una 
più  antica  e  diversa  risoluzione  di  questo  nesso  ;  cfr.  Salv., 
Jahresb.  IX  i  117. 

305.  Conson.-\-l:  gàia  piipla  specie  di  gazza  che  manda  un 


studi  sui  dialetti  reggiani  189 

grido  mesto.  kapU'r  cappellaio,  iripluK'èref  detto  degli  abiti  quando 
s'insudiciano  ricoprendosi  di  peluzzi  cfr.  pluk  n.  217,  ruplp'r 
'andar  rotoloni',  arblp'  n.  \12,  fgerhle  n.  274,  hahlp'r  chiac- 
chierare, babìiìì  chiacchierino,  sciflfr  cfr.  n.  91,  bernohla  ber- 
noccolo, tirakli  beli,  tirache  '  straccali  ',  petégla  n.  81 '''■'*,  pegla 
ib.,  briglin  '  detto  di  bimbo  piccolo  '  probabilmente  da  lirigela, 
fmutler  n.  192,  iugatl(fr  lomb.  giiigata  *  trastullarsi  ';  sjjadleta 
dia  skràna  traversa  della  spalliera  della  seggiola,  lòdhi  allodola 
n.  141,  svetta  n,  182,  i.  —  Manofia  manopola  sarà  analogico  su 
paMofia. 

306.  Xell'unione  di  m,  n  con  r  si  sviluppò  fra  le  due  conso- 
nanti un  suono  omorganico.  cioè  labiale  dopo  m,  dentale  dopo  n  : 
cont.  kanbra  allato  alTurb.  knmer,  zendrer  ceneràcciolo,  zendràz 
cenerone,  ceneraccio. 

307.  Fra  i  gruppi  di  tre  consonanti  :  rsg,  r^d,  str  perdettero 
r?-,  per  dissimilazione,  in  mofgè'r  '  morsicare  '  donde  poi  ìnofgo't 
morso,  ecc.,  a^jlò'r  aidora  n,  245,  orkesfa  orchestra;  Ui%  ls)n,  VI 
in  Hra  etr  (dav.  a  voc.)  fter  (dav.  a  cons.)  dalla  forma  dissi- 
milata l'altr-  Salv.,  Jahresb.,  IX  I  100  \  e  in  gefmì'n  semidotto 
n.  201;  ììfs,  fbd,  nbd, /gii,  rts,  Mi,  mbz,  la  mediana  in  cont. 
konsf'r  per  kohfsp'r  confessare,  ojdp'l  ospedale,  landa  lampada 
(probabilmente  per  questa  via  :  Hanpeda  >>  'Hanpda  >>  'Hanbda 
da  cui  si  espunse  la  labiale  che  mal  si  reggeva  fra  le  due  den- 
tali, COSI  qui  come  in  konfsp'r,  *ofbdel),  fiìazp'r  n.  217  (da 
fgìiazp'r,  coll'espunzione  della  gutturale  per  la  stessa  ragione 
che  nei  due  esempi  precedenti),  persemen  acc.  a  pertsemen  n.  182,  2, 
piìnza  da  '^pjantza  '  pancia  '  (per  assimilazione,  favoi'ita  in  persemen 
forse  dall'influsso  dell'italiano  'prezzemolo'), /«yawi-fc^r/  cfr.  mant. 
fgambfada  '  camminatura  '  ^. 


'  La  caduta  di  l  dovrebbe    esser    posteriore    al    digradamento   ir  in  dr. 
•  fgamTyf.da,  posto  a  riscontro  con  landa,    c'insegna  che  la  velarizzazione 


190  Malagòli, 

J/ny  trovasi  ridotto  a  mj  m  fgermjè'r  n.  171,  oremjarol^^viQ, 
dell'aratro,  Zemjàn  Geminiano,  esempi  forse  di  dissini.  parziale, 
cfr.  it.  scarmigliare;  per  contro,  armné'r  ruminare  cfr.  nn.  72, 169: 
sconosciuto  tra  noi  il  regg.  mja  per  *  bisogna  '. 

Ndo  diede  ngv  nel  cont.  inguine  r  da  indvinè'r  n.  178  per  as- 
similazione parziale. 

e)  Consonanti  lunghe. 

308.  Vedemmo  esempi  di  consonanti  rafforzate  in  principio 
di  parola  per  effetto  di  sincope  di  vocali  atone  e  di  assimila- 
zioni avvenute  nel  periodo  di  vita  particolare  del  dialetto  n.  218. 
Gli  stessi  fenomeni  si  hanno  anche  in  mezzo  di  parola:  cosi, 
per  es.,  med'dò'r  n.  178,  met'teì  per  {métetel  che  pure  si  usa, 
ma  più  raramente)  '  mettitelo  ',  di  fronte  a  métetla  '  mettitela  ' 
cfr.  n.  182,1,  kor're,  morrà'  cfr.  n.  179,  rat'Unì  letteralmente 
radeffine  '  erba  a  forma  di  radicchio  che  cresce  nel  primo  fieno 
ed  è  cattivo  foraggio  '. 

309.  Dicemmo  già  (n.  31)  che  la  consonante  la  quale  segue 
a  una  vocale  tonica  breve  del  dialetto  è  più  lunga  di  quella  che 
tien  dietro  a  una  vocale  lunga  ^.  Questa  differenza  di  lunghezza  si 
avverte  tanto  nei  parossitoni  o  già  tali,  quanto  nei  proparossi- 
toni  originari,  ma  un  po'  meno  forse  in  questi  ultimi,  e,  per 
contro,  un  j)o'  più  negli  ossitoni  romanzi.  La  grafia  comune,  mo- 


di m  dav.  a  labiale  avvenne  prima  in  sillaba  tonica  che  in  protonica,  tan- 
toché quando  cadde  il  b  in  ''lahbda  il  fenomeno  s'era  giii  prodotto  e  Va 
rimase;  invece  in  *f(jamb\eda  Vin  durava  ancora,  e  quindi  persistette  nella 
forma  ridotta. 

^  Nel  milanese  un  simile  fenomeno  avviene  —  come  attestò  il  Rajna, 
citato  dal  Salvioni  il  quale  confermò  il  fatto  —  dopo  ogni  vocale  accentata 
nei  parossitoni  o  primieramente  tali,  ma  non  nello  stesso  modo  per  ogni 
consonante. 


studi  sui  dialetti  reggiani  191 

dellata  sulla  lingua  letteraria,  usa  per  questa  consonante  lunga 
il  segno  della  doppia;  ma,  come  avvertimmo,  non  abbiamo  in 
tal  caso  nella  nostra  parlata  che  poco  più  di  una  consonante 
scempia  toscana. 

Col  nostro  sistema  di  trascrizione  che  distingue  la  quantità 
delle  vocali,  non  abbiamo  avuto  bisogno  di  un  segno  speciale 
per  indicare  il  grado  differente  della  consonante  che  segua  a 
una  vocale  breve  o  a  una  lunga.  Esempi: 

K:  ì'oka  rócca,  peker  'bicchiere',  hok  bocche: 
róka  ròcca,  pèkes  '  soprabito  ',  pok  n.  141. 

G  :  toya  '  tolga  ',  yeger  pecore,  din  ^^^^  5 

tjoga  scherz.  '  soprabito  lungo  ',  Igger  '  poderetto  ',  fag  '  faccio  '. 
C:  Veca  vecchia,  specer  'lentiggini',  sjìec  specchio: 

maca  n.  U),  fbadacel?  'sbadiglia?',  spnnc  'pennacchio' 
Gr:  tega  n.  287,  stregel  'striglialo',  streg  \ 

Jgiìga,  Jgàget  '  sbrigati  ',  viag  n.  244. 
T:  rita,  ntefer  mettere,  rot  rotto: 

poeta,  bater  battere,  ot  n.  4o. 
D:  freda  fredda,  kreder  n.   Ili,  sed  n.   109: 

frfda  ferrata,  ììieder  n.   109,  krud  crudo. 
P:  pipa  n.  222,  sopieg  'soffiaci',  kop  'tegolo': 

pepa  n.  222,  hapel  '  acchiappalo  ',  fjàp  n.  2l4. 
B  :   (jnha  giubba,  debit  n.  248,  guléb  giulebbe  : 

rihT'ba  ait.  ribeba,  tober  'malescio',  rob  n.   141. 
\' :  iiva,  bn'er  n.   Ili,  sknr  ; 

lava  lupa,  l«;vel  '  lavalo  ',  nr. 
F  :  arbufa  {a  I'-)  alla  rovescia,  Mfel,  Uf  ghiotto  : 

stafii  staffa,  scafoni  'schiaffeggiami',  scnf  n.  215. 
S  :    badesa  badessa,  kreser  crescere,  ros  n .  44  ; 

fnsa  fossa,  nàser  nascere,  os  n.   43. 


192  Malagòli, 

S:    (Manca,  come  nel  toscano,  del  grado  forte); 

rgfa  ròsa,  èfen  n.  81^'%  mf  n.  33. 
Z:   veza  n.  41,  fgvizer  n.  205,  poz  n.  44  ; 

éó^a  chioccia,  strapazzi  '  sgridalo  ',  sk^z  n.  43. 
^:  sA;^:^»  n.  295,  èa^ra  buggera,  i?e^  n.  293; 

Igia  n.  297,  bà^ol  n.  258,  y/a~  n.  255. 
J:   foja  n.  88,  bojer  n.  290,  we/  n.  41  ; 

màja  n.  286,  ^m/er  n.  285,  taj  taglio. 
L:   bela  bella,  seler  n.  263,  fol  'gualchiera'; 

téla  n,  35,  bàler  n.  193,  /o/  fòle. 
R:  fera  'falce  fienaia',  korer  correre,  tor  torre; 

fera  n.  84,  férel  grucce,  tor  togliere. 
M  :  prima,  premer  '  premere,  interessare  ',  noni  n.  70  ; 

cania  n.  66,  kàmer  n.  148,  toni  n.  130. 
N  :  dona  n.  70,  lener  n.  70,  andi'n  '  andarono  '  ; 

bona  n.  68,  Kànol  Cànolo  (n.  loc),  vln  n.  68^^^. 
N:  roda  rogna,  ingoiien  ingoiano,  puh  n.  135; 

bàna  bagna,  armàner  n.  263,  rad  ragno. 

310.  La  consonante  che  corrisponde  all'aggeminata  mediana 
protonica  non  è  mai  lunga  ossia  forte:  bokì'n,  macina  'macchio- 
lina ',  meteva,  afiter,  bodon  detto  di  persona  molto  grossa,  sopjer, 
fjapt'n  '  che  comincia  a  diventar  floscio  ',  pipf'r,  giibl'n  '  giac- 
chettino ',  mufl'r  ammuffire,  rosi'n  '  tendente  al  rosso  ',  pasjd'n 
passione,  pozg't  '  pozzo  nero  ',  gaio'  pustolette  del  falso  vaiolo, 
bojéva  bolliva,  inpolfn  n.  156,  fumer,  ronó'n  n.  291,  ingonè'r, 
torjàz  torrione,  korèva. 

Per  posjg'n  n.  178.  —  Gara,  nella  frase  stèr  a  gara  'stare 
a  galla  ',  insieme  col  verbo  gare'r  '  fare  i  movimenti  necessari 
per  stare  a  galla',  ci  offre  esempio  di  II  venuto  prima  a  /sem- 
plice, poi  a  r.  Forse  il  mutamento  avvenne  per  assimilazione 
nel  verbo,  e  si  estese  poscia  anche  al  no.me. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  193 

3. 
Consonanti  finali. 

aj  «Consonanti  finali  latine. 

311.  Caddero  tutte  nei  polisillabi,  come  nell'italiano  toscano. 

312.  Nei  monosillabi:  si  dileguarono  senza  lasciar  traccia 
-t,  -d,  -A-:  dà  dat,  ke  che,  fa  fac;-m  diede  -n  in  Aw'i  (sempre 
proclitico)  cum,  so/'i  sum  (ma  ;d  jam  come  in  tutto  il  campo 
romanzo);  non  a  formola  tonica  ha  dato  per  riflesso  no,  in 
protonica  di  proposizione  n  [te^n^vojìiìht  '  non  vuoi  niente  ')  ; 
restarono  ->•,  -/  {kòr,  mei,  fel  n.  59);  -s  e  anche  -x  furono  so- 
stituiti da  *-i  che  scomparve  lasciando  chiara  traccia  di  sé  nelle 
modificazioni  per  esso  subite  dalla  vocale  tinaie  nn.  60,  60^'^ 
61'''^  145.  Per  ino  ma,  v.  n.  93. 

b)  Consonanti  finali  romanze, 

313.  -T>*-D.  Si  dileguò  di  regola  il  -f^^-d  rimasto  fi- 
nale per  la  caduta  della  vocale  d'uscita  nei  parossitoni  :  -f '  = 
-  a  t  [u  I ,  -  a  t  i  [  s  ] .  -z'  =  -  i  t  [  u  J ,  -  i  t  [  is  ] ,  4  =  -  u  t  [u]  [kanté',  fnl', 
lata,  ecc.),  istP'  n.  157,  U  n.  33,  se  e  sH  n.  35,  du  n.  58. 

yod  nuoto,  nmd  muto,  vod  vuoto,  med  mieto,  spiai  sputo, 
strantid  starnutisco  conservano  il  -d  secondario  probabilmente 
per  l'analogia  delle  altre  forme  verbali  che  hanno  tutte  rego- 
larmente la  stessa  consonante;  e  tale  influsso  si  sani  esteso  al- 
l'agg.  vód  e  al  nome  stranud,  cfr.   Piagn.,  n.   105  ^ 


Non  vive  da  noi  il  nome  .«/)(<rf;  in  sua  vece  si  ha  il   derivato  spud^tc. 


194  Malagòli, 

Nella  2=*  pers,  plur.  del  cong.  pres.  [kantèdi,  fìnldi)  venne, 
come  nella  l*"*  pers.,  ad  aggiungersi,  avanti  che  la  consonante 
finale  cadesse,  una  vocale,  probabilmente  un  -a,  pronome  per- 
sonale M.-L.,  "  It.  Gr.  „  §,  395,  oppure  analogico  sulla  l-'^  e  o-"* 
singolare:  quest'  -a  che  si  vede  ancora  nel  romagnolo  Miss. 
n.  258  e  che  nel  reggiano  si  trasformò  poi  in  -/,  forse  per  ana- 
logia morfologica  sulla  2*  pers.  plur.  del  pres.  ind.  fini',  tafl'  ecc. 
cfr.  n.   149,  conservò  il  d. 

313^'^  Il  -t  e  il  -d  non  caddero  se  risultati  da  un  gruppo 
consonantico  :  Ictt,  rot,  fred,  ecc.  ;  o  preceduti  da  un'altra  conso- 
nante: élt,  vlnt,  kèld,  vend. 

Per  -e  da  -tti  e  -ntl  v.  n.   150. 

Son  voci  dotte  o  semidotte,  venute  la  maggior  parte  dall'ita- 
liano, con  -t  0  -d  finali:  stèt  stato,  aookft  avvocato,  duket  du- 
cato, papè't  papato,  lU  lite.  niiuM  (di  fronte  al  normale  vender 
a  la  mmlda  'vendere  al  minuto'),  salut  cont.  salut  n.  188,4, 
mut  ib.,  kjet  n.  211,  sekre't  n.  281,  pr^^  n.  251,  apti't  n.  125, 
fòt  vóto;  skud,  veskved  vescovado. 

Si  ha  -t  in  vece  di  .<  in  kat  !  esclamazione  eufemistica  fre- 
quentissima. 

314.  -N.  Resta  in  ogni  caso,  con  suono  dentale  in  sillaba 
postonica:    omeri    n.   182  e,  kànfen  cantano,  kanUven    cantavano. 

Negli  ossitoni  romanzi  acquistò  suono  velare  («)  n.  29.  A 
questa  legge  si  sottrassero  però,  come  osserva  per  il  parmigiano 
il  Piagnoli  (p.  22),  le  pers.  1^  e  2^  pres.  ind.  e  2^  pres.  cong. 
dei  verbi  deboli  in  -né'r,  che  hanno  \'n  dentale  e  conseguente- 
mente un  grado  solo  di  nasalizzazione  della  vocale  tonica  n.  7,2: 
/gran  {fgranè'r),  zen  {znèr)^  don  {donè'r),  son  (sonfr),  avfl'n 
(avfiner),  diùn  {diunè'r).  Aggiungiamo,  per  il  nostro  dialetto, 
che  Vn  dentale  si  riscontra  pure  negli  ossitoni  plur.  femm.  come 
ì'cìn  (sing.  rana),  làn  (sing.  lana),  ecc.,  il  che  prova  che  si  tratta 
di  un  fenomeno    analogico:  nei  nomi,  sul    singolare;  nei  verbi, 


Studi  sui  dialetti  reggiani  195 

sulle  molte  forme  in  cui  si  ha  Vn  dentale  [fcjràna,  fyranP'r, 
fgraném,  ecc.).  Ciò  è  tanto  vero  che  nel  plur.  man,  dal  sing.  ni'tn, 
il  fenomeno  non  avvenne  perché  mancò  la  spinta  analogica. 

Si  ha  nel  nostro  dialetto  anche  il  fenomeno  opposto,  cioè  -n 
per  -n  (da  -nn)  nella  ;>'  plur.  ài'i  hanno,  e  nelle  forme  composte 
del  futuro  {farari  faranno,  niadaràn  mangeranno,  ecc.).  Per  ren- 
dersi ragione  di  questo  fatto  basterà  ricordare  che  da  noi  la  3'* 
sing.  del  v.  avere  è  n  non  à  n.  107  :  la  vocale  lunga  del  sin- 
golare, estesasi  al  plurale,  produsse  l'attenuazione  dell'  -n,  che 
fu  poi  trattato  come  tutti  gli  altri  a  semplici  finali.  Da  àn  il 
fenomeno  della  velarizzazione  dell'w  si  estese  anche  alla  3"  plur. 
dei  pres.  monosillabi  ìn  '  sono  '  n.  161,  dàfi,  fan,  van,  stan,  tran. 

Negli  altri  tempi  si  ha  sempre,  secondo  la  regola,  Vn  den- 
tale: avin  acc.  a  in  '  ebbero  ',  fiin  furono,  din  diedero,  fin  fe- 
cero, kaiitin  cantarono,  ecc.  Per  -ìi  da  -nnì  v.  nn.  150,  195 
nota. 

315.  -M.  Rimase:  kaiìténi  cantiamo,  iiifém  n.  70,  fèroni  n.  8. 
Il  mutamento  in  -n,  che  si  riscontra  nelle  forme  verbali  pa- 

rossitone  romanze  kahteven  cantavamo,  féven  facev.imo,  tafisen 
tacessimo  e  tacemmo,  è  da  attribuirsi  a  ragione  analogica  (sulla 
3"  plurale),  non  fonetica. 

316.  Le  altre  consonanti  son  tutte  trattate  come  a  formola 
intervocalica. 

E  qui  è  da  osservare  che  non  ripugna  al  nostro  dialetto, 
nella  sua  fase  attuale,  l'uscita  in  consonante  sonora:  roh,  ber, 
ved,  méd ,  di<j ,  strecj,  kàg ,  Rei,  tPf,  cij>tì''^e_iùjdi^v~if  (anche 
ajtn'ejdi^vif)  '  mi  pare  '  (cfr.  luech.  Di  viso  Xieri,  s.  v.,  chia- 
naiolo  In  di  viso  ib.),  vertif^.  Si  nota  però  frequentemente  una 
oscillazione  fra  le  due  forme,  come  tei:  e  teq  n.  41,  mod  e  mot 


*  Cfr.  anche   Bkktoni,   Dial.  Mod.,  nn.   103-lO.j. 
Archivio  glottol.  ital.,  XV'H. 


196  Malagòli, 

n.  37;  e  nei  già  proparossitoni -s  ò  preferito  a -/,  n.  256.  Forse 
l'oscillazione  deriva  dal  fatto  che  in  fonetica  sintattica  son  re- 
golari, secondo  i  casi  (si  seguono  anche  qui  le  norme  date  nel 
n.  217),  entrambe  le  forme,  che  si  alternano  poi  in  costruzione 
assoluta;  forse  anche,  l'uscita  in  sonora  tende  ora  a  prevalere 
per  l'influsso  della  lingua  letteraria  che,  per  la  voce  corrispon- 
dente alla  dialettale,  presenta  nella  maggior  parte  dei  casi  la 
sonora  intervocalica,  oppure  per  l'analogia  dei  casi  numerosis- 
simi di  flessione  e  di  fonetica  proposizionale  in  cui  tali  conso- 
nanti son  sonore.  Nella  trascrizione  ho  usato  sempre,  tranne 
per  s  e  z,  i\  segno  della  consonante  sonora,  perché  cosi  pronunzio 
io  con  quelli  della  mia  età  e  coi  più  giovani,  e  anche  perché 
ho  osservato  che  quando  taluno  smorza  la  sonorità  della  con- 
sonante d'uscita,  non  dà  mai  a  questa  veramente,  come  pare  al 
mio  orecchio,  il  suono  della  corrispondente  sorda;  vòd  vuoto, 
per  es.,  non  è,  in  nessuno  di  quelli  che  ho  sentito  io,  uguale 
per  la  consonante  ultima  a  i-ot?  'vuoi?':  par  quasi  che,  nel 
primo  caso,  chi  smorza  il  d  finale  abbia  già  messo,  o  più  esat- 
tamente mantenuto  dopo  la  vocale  tonica,  in  posizione  le  corde 
vocali  per  la  vibrazione  necessaria  alla  pronunzia  di  quella  con- 
sonante sonora,  e  poi  arresti  d'un  tratto  lo  sforzo,  forse  a  ca- 
gione d'una  tendenza  nostra  ad  affievolire  i  suoni  in  fine  di 
parola. 

317.  Cadde  -k  in  un  pò  (sost.)  n.  142,  fenomeno  comune 
anche  al  toscano  e  probabilmente  di  fonetica  proposizionale. 

Il  -ij  di  fàg,  dàg,  oàg,  sfàg,  fràg,  tog  è  analogico  cfr.  n.  238: 
dig,  V.  n.  preced.,  fu  il  punto  di  partenza.  —  In  poleg  n.  50  il  -g 
verrà  da  uno  scambio  di  suffisso  (-icu  per  -ice). 

318.  Nei  gruppi  finali  formati  di  conson.  -\-  sonante  si  svi- 
luppò da  quest'ultima  la  vocale  di  cui  s'è  parlato  nel  n.  8 
[pèder,  veder,  mèder,  lèder,  poleder,  mèger,  fèver,  ecc.).  Una  vo- 
cale  atona    si    sviluppò    pure   nei    gruppi    di  r,  l  -\-  cons.  nas. 


Studi  sui  dialetti  reggiani  X97 

0  vibrante  o  v,  </:  fProin'^,  (doni,  Anscloni,  kère/t,  infPren,  iii- 
vèreUffgren,  grel  Kèrel  stòrti  ii.  182,2,  infrol,  sèrov,  sèlov,  iPreg, 
kàreg,  puleg.  Con  r,  /  -|-  cons.  dentale,  o  p,  b,  k  non  si  lia  mai 
la  vocale  àtona:  pgrt,  Ut,  sèìt,  verd,  tèrd,  kèld,  tcrs  '  tàrtaro  ', 
skérs  n.  274,  bols,  fèls,  kPlz,  kórp,  pHp,  grb,  èrb,  sgèrb,  ])grk, 
pflk,  sglk. 

La  differenza  dell'esito  si  può  spiegare,  per  m,  n,  l  con  la 
nasale  o  liquida  sonante  (cfr.  n.  8),  e,  per  v  e  //,  col  maggior 
grado  di  sonorità  di  tali  consonanti. 

Nelle  enclitiche  pronominali,  in  costruzione  assoluta,  si  in- 
troduce sempre  la  vocale  atona,  per  analogia  forse  delle  forme 
in  proclisi  dav.  a  cons.  (cfr.  nn.  162  e  162^'''),  a^n^so^dlret, 
dJreg,  dlrov;  la^ne^nàn^dadlres. 

319.  Nulla  di  notevole  negli  altri  gruppi,  tranne  la  caduta 
di  -k  preceduto  da  ìì  nel  composto  nàn  n,  203  (da  ànk)  e  in 
pràn  che  corrisponde  press'a  poco  all'ital.  '  pure  '  enfatico  in 
frasi  come:  (^(_y_n' ^e^pràhjtcìhtl  'ce  ne  sono  pur  tanti!', 
(i_(j_n  ji'^praii!  '  ce  n'è  pure!  '  e  sim.,  se  formato  pur  esso  con 
aiik  (quasi  '  peranche  ")  ;  tale  caduta  sarà  da  attribuire  a  fone- 
tica sintattica. 


'  Per  il  colore  della  voc.  atona  vedi  n.  182,  -i. 


B.  TERRACINI 


IL  PARLARE  ITUSSEGLIO 


PARTE   L 

Descrizione  del  dialetto  d'Ilsseglio. 


INTRODUZIONE 

§  1.  Il  presente  lavoro  ha  per  principale  oggetto  la  descrizione  della 
parlata  di  Usseglio,  villaggio  situato  sull'altipiano  che  chiude  la  più  me- 
ridionale tra  le  valli  della  Stura  di  Lanzo  (provincia  di  Torino,  manda- 
mento di  Vili). 

Si  comincerà  collo  studiare  abbastanza  minutamente  la  fonetica  e  la 
morfologia  ussegliese,  fondandoci,  fin  dove  è  possibile,  su  quelle  parole 
che  verosimilmente  appartengono  da  un  pezzo  al  fondo  indigeno  (P.  I, 
le  2);  si  farà  in  seguito  qualche  appunto  a  quelle  voci  del  lessico,  che 
ne  presentino  Toj^portunità  (3).  Eilevato  cosi  ogni  tratto  saliente  del 
pax'lare  ussegliese,  cercheremo  di  chiarirne  la  genesi  e  di  determinarne 
il  valore,  indagando  quanto  e  come  ciascuno  d'essi  si  estenda  nelle  valli 
adiacenti  della  Stura  e  della  Dora  Riparia  (P.  II)  K  Prenderemo  inoltre  a 
considerare  brevemente  il  nostro   parlare  dal  punto  di    vista  dell'evolu- 


^  Per  far  ciò  mi  servo  di  appunti  di  fonetica,  di  morfologia  e  sopratutto 
di  lessico,  raccolti  personalmente  nelle  tre  vaili  di  Lanzo,  nella  valle  della 
Cenischia  e  in  quella  della  Dora  Riparia  che  esplorai  da  Chiomonte,  che 
appartiene  al  dominio  schiettamente  provenzale,  sino  a  Rubiana,  includen- 
dovi l'isolata  Coazze. 


11  parlare  d'Usseglio  199 

zione  più  recente,  tentando  di  distinguere  nelle  varie  tendenze  sorprese 
tra  la  moltitudine  dei  parlanti,  i  fenomeni  che  stanno  per  tramontare, 
o  dan  segni  di  minor  vitalità,  da  quelli  che  invece  s'annunziano  come 
recenti  innovazioni.  E  poiché  tra  questi  dovremo  pure  comprendere  tutti 
i  mutamenti  dovuti  al  novissimo  influsso  del  piemontese,  avremo  modo 
di  investigare  come  il  parlare  indigeno  si  comporti  rispetto  a  questa 
improvvisa  invasione  (App.  I).  Seguirà  un'appendice  fonetica  in  cui  si  darà 
qualche  cenno  sull'intonazione  della  frase  e  si  farà  una  più  rigorosa 
descrizione    dei  suoni  col  sussidio  del  metodo  grafico  (Ari».  II). 

i;  2.  Le  valli  della  Stuia  settentrionale,  o  di  Lanzo,  occupano  la  sezione 
ilelle  Alpi  Graie  che  si  estende  tra  la  testata  del  Rocciameloue  ed  il  gruppo 
delle  tre  Levanne.  Esse  pertanto  confinano  :  a  nord  colla  valle  dell'Orco, 
a  sud  colla  bassa  valle  della  Dora  Riparia  e  colla  valletta  della  Ce- 
nischia;  ad  ovest  lo  spartiacque  delle  Alpi  le  separa  dalla  valle  dell'Are, 
ad  est  sboccano  per  una  stretta  gola  nella  pianura  dell'estremo  Cana- 
vese.  Esse  costituiscono  un  sistema  di  tre  valli,  separate  tra  di  loro  da 
elevati  contrafforti.  La  più  ampia  :  vai  Grande  o  di  Groscavallo,  fa  capo 
alla  Levanna,  diretta  dapprima  da  ovest  ad  est,  nella  sua  parte  inferiore 
piega  alquanto  verso  sud;  in  essa,  nel  suo  ultimo  tratto,  si  innestano 
successivamente  le  altre  due:  la  valle  d'Ala  e  quella  di  Viù.  La  valle 
di  Viù,  la  più  meridionale  delle  tre,  si  congiunge  colla  valle  principale, 
pochi  chilometri  a  monte  del  comune  sbocco  sulla  pianura,  e  si  estende 
solitaria  e  selvaggia  nel  suo  primo  tronco  e  quasi  disabitata  ;  si  allarga 
poi  al  suo  mezzo  in  un'ampia  e  fertile  conca,  sul  cui  fondo  s'adagiano 
le  frazioni  del  comune  di  Viù,  il  più  popoloso  della  vallata  (capoluogo 
di  mandamento),  mentre  in  alto,  sulla  costa  sud,  a  cavaliere  di  un  colle, 
sorge  il  paese  di  Col  8.  Giovanni  che  colle  sue  borgate  si  ijrotende 
sulla  catena  spartiacc|ue,  verso  la  valle  di  Susa.  Dopo  Viù  la  valle  ri- 
torna stretta  e  solitaria;  al  21o  Km.  s'entra  nel  territorio  di  Lemie,  la 
cui  borgata  più  bassa,  Porno,  è  una  colonia  che  la  tradizione  designa 
'  ome  di  bergamaschi  e  valsesiani,  emigrati  qui  nel  XIV  secolo'.  Infine 
la  strada,   superato  un    alto  conti'afforte,  penetra  per  una  breve  stretta 


'   Del  loro  linguaggio,  per  vero  ormai  sulla  via  d'estinguersi,  ho  raccolto 
materiale  che  intendo  presto  studiare.  Cfr.  Cibrariù.   140. 


200  Terracini. 

nel  piano  di  Usseglio.  Questo,  lungo  4  Km.,  è  chiuso  dallo  sperone 
della  Lera,  e  si  divide  in  fondo  in  due  anguste  valli  :  a  nord  quella  di 
Arnaz,  assai  breve,  a  sud  quella  di  Marciausjà  che  fa  capo  al  Roccia- 
melone  (v.  carta  1*)  *. 

A  mezzo  il  piano  si  stende  il  gruppo  principale  del  paese  che  si  sca- 
gliona in  quattro  grosse  frazioni,  distanti  poche  centinaia  di  metri  l'una 
dall'altra  ^.  Più  a  monte,  all'imboccatura  del  vallone  di  Marciausjà,  sorge 
Margùh  e  pili  in  alto,  e  dall'altra  riva  della  Chiara,  ta  Perhieri,  che 
costituiscono  come  un  gruppo  distinto  dal  resto  del  paese.  A  valle  poi, 
proprio  all'imboccatura  del  piano,  si  trovano  le  Piazzette  {Piaste'),  la 
frazione  più  isolata,  che  ha  chiesa  e  scuole  projjrie,  e  fa  in  certo  modo 
vita  a  sé.  E  forse  Fisolamento  era  maggiore  un  tempo,  perché  le  Piaz- 
zette nel  secolo  XVI  ^  facevano  parte  della  parrocchia  di  Lemie.  Si 
comprende  quindi  come  qui  si  sieno  potuti  conservare  alcuni  snoni 
caratteristici  (cfr.  n.  123-4),  perduti  nel  resto  del  paese. 

Infine,  sparsi  a  mezzacosta  sulla  montagna,  specie  sul  lato  sud  e  in 
fondo  alle  due  valli  terminali,  sono  agglomerazioni  di  case  e  abitazioni 
solitarie  per  uso  della  pastorizia  [arp,  muànde)  (v.  carta  II). 

Il  piano  ha  una  fauna  e  una  flora  tutta  appai-tenente  al  genere  al- 
pino *  :  vi  crescono  larici,  aceri,  frassini,  (salici;  mancano  invece  pini, 
castagni  e  alberi  fruttiferi.  Il  terreno  è  tutto  a  prati  e  a  pascoli  ;  vi  si 
coltivano  la  segala  e  le  patate;  un  tempo  vi  cresceva  anche  la  canapa, 
ma  ora  tale  cultura  è  abbandonata. 


^  11  piano  è  circondato  da  ogni  parte  da  alte  montagne.  Esso  comunica 
colla  Savoia  pel  colle  della  Valletta  (m.  3245),  pel  colle  d'Arnaz  (3014)  e 
per  il  colle  dell'Autaret  (m.  3070),  più  facile  e  frequentato.  Verso  la  vai 
di  Susa  il  colle  della  Portia  (m.  2190)  mette  a  Condove,  il  colle  Cupe  (m.  2346) 
a  Bussoleno,  il  colle  della  Croce  di  Ferro  (m.  2553)  a  Susa;  esso,  di  tutti 
questi  passi,  è  quello  che  pei  pellegrinaggi  al  Rocciamelone  e  pel  com- 
mercio con  Susa  nella  bella  stagione  è  praticato  più  frequentemente; 
alla  vai  d'Ala  si  accede  pel  passo  delle  Mangioire  (m.  2812)  e  il  passo  di 
Paschiet  (m.  2435). 

^  Piane  {Pieinél) ,  Chiaberto  [Cabf'rt],  Corte  vizio  iCurtavus),  Villaretto 
{Ve  rat). 

^  Più  precisamente  nel  1550  (cfr.  Cibiurio,  f).  155). 

*  Sulla  flora  e  fauna  d'Usseglio  si  trovano  abbondanti  notizie  nell'opu- 
scolo :  Dna  salita  alla  torre  d'Ooarda,  Torino,  1873  e  negli  articoli  del  Ca- 
MERANO  e  del  Santi  in  Le  vaili  di  Lanzo,  Torino.  1904,  p.  465,  475. 


Il  parlare  d'Usseglio 


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Il   parlare  (.rUssoylio  '20:-> 

i;  3.  La  storia  di  Usseglio  '■  non  otfre  nessun  eienieiito  die  possa  dar 
sicura  luce  sulle  vicende  tutte  speciali  che  distinguono  questo  dialetto  da 
quelli  del  resto  della  vallata.  T  Romani  conoscevano  la  località,  poiché 
vi  lasciarono  due  lapidi;  null'altro  noi  sappiamo  sull'etnografia  e  sulle 
vicende  delle  valli  di  Lanzo  nell'età  romana,  né  siamo  meglio  informati 
pel  periodo  del  più  alto  medio  evo. 

Dominio  dei  vescovi  di  Torino,  Usseglio  fu  dato  iii  feudo,  insieme  a 
tutta  la  valle  di  Vili,  ai  Visconti  di  Torino  e  rimase  a  lungo  in  eredità 
a  quel  ramo  di  essi  che  prese  il  titolo  di  Visconti  di  Baratonia  (si- 
gnori di  qualche  terra  anche  nelle  altre  valli  di  Lanzo  e  possessori  di 
feudi  nella  striscia  di  piano  che  va  dalla  Dora  alla  Stura).  Mentre  le 
valli  di  Ala  e  di  (Troscavallo.  cedute  dal  vescovo  all'abbazia  di  S.  Mauro, 
nel  1341  passavano  sotto  il  dominio  diretto  dei  Savoia,  i  V.  di  Ba- 
ratonia nel  1343  cedettero  al  Conte  di  Savoia  soltanto  la  signoria  di 
Lemie  ed  Usseglio,  ma  se  ne  riservarono  la  proprietà,  tant'è  vero  che 
nel  1447  ne  vendettero  una  parte  ai  Giusti  di  Susa,  nel  143l>  un'altra 
parte  ai  Provana,  e  nel  1441  possedevano  ancora  sette  parti  di  Usseglio. 
Da  allora  in  poi  si  contano  altre  trasmissioni  del  feudo,  che  haimo  per 
noi  un  interesse  assai  limitato. 

La  popolazione  ammonta  ora  a  ÌV2.0  abitanti  ".  Essa  è  abbastanza  omo- 
genea e  non  dovrebbe  essersi  mutata  di  molto  da  qualche  secolo  in  qua  ^•, 
in  quest'ultimi  anni,  specie   alle  Piazzette,  s'ebbe  qualche   nuova  immi- 


*  Per  la  storia  di  queste  valli  e  particolarmente  d'Usseglio,  cfr.  Cihrakio, 
113  sgg.,  167  sgg.  ;  RoNDObiNO,  /  Visconti  di  Torino  in  "  Bull,  storico  biblio- 
grafico Subalpino  „,  VI,  214;  L.  Usseglio.  Le  valli  di  Lanzo  nella  storia,  in 
Le  valli  di  L.,  p.  1  sgg.  Per  le  iscrizioni:  CIL,  6947-8.  Per  la  storia  ge- 
nerale delle  valli  v.  P.  II. 

'  Il  censimento  del  9  febbraio  1901  dava  1055  abitanti  i)resenti  e 
755  assenti.  La  popolazione  residente  è  calcolata  a  1120  ii. 

^  Sfogliando  i  registri  parrocchiali,  che  si  conservano  dal  1601  in  poi, 
s'incontrano  nomi  di  famiglie  vive  tuttora  o  di  recente  estinte;  l'immi- 
grazione, per  quanto  almeno  si  può  desumere  dai  registri  matrimoniali, 
non  è  gran  cosa:  tra  gli  anni  1601-1605  su  trentaduc  matrimoni  ne  trovai 
tre  soli  per  cui  si  sia  inti'odotto  un  elemento  straniero;  uno  solo  nel  quin- 
quennio 1673-8  su  trentaquattro  casi,  due  tra  il  1809  e  il  1813  su  ben  set- 
tanta casi,  uno  nel  biennio  1824-25  su  tredici  casi,  nessuno  nei  ventiquattro 
matrimoni  del  1836-37.  Il  contributo  maggiore  è  dato  da  Lemic,  poche 
volte  esso  consiste  in  donne. 


204  Tornici  ni, 

grazione  di  donne  lemiesi,  ma  si  tratta  di  una  quantità  trascurabile.  Come 
gli  abitanti  d'ogni  villaggio  di  montagna,  gli  ussegliesi  vivono  isolati 
dai  paesi  vicini.  Frequentano  i  grossi  mercati  e  le  fiere  di  Viù,  di  Bus- 
soleno  e  di  Susa;  hanno  invece  scarse  occasioni  di  recarsi  a  Lemie  o 
in  vai  d'Ala;  neppure  i  rapporti  colla  Savoia  sono  frequenti.  Quotidiani 
sono  naturalmente  i  rapporti  tra  le  varie  borgate  di  Usseglio,  sebbene 
Ognuna  costituisca  come  un  nucleo  a  sé,  tanto  che  i  montanari  affer- 
mano di  distinguere  subito,  dalla  parlata,  l'origine  degli  abitanti  dell'uno 
o  dell'altro  borgo. 

Manca  nel  paese  ogni  industria,  eccetto  quella  della  pastorizia;  cia- 
scuno alleva  il  suo  gregge,  coltiva  il  suo  minuscolo  campo  e,  si  può 
dire,  fabbrica  da  sé  la  sua  casa:  quando  eserciti  un  mestiere,  è  co- 
stretto ad  emigrare  lontano.  Nella  stagione  invernale,  si  può  dire  che 
nessuno  degli  uomini  validi  resti  al  paese,  tutti,  dall'età  di  quindici  o 
sedici  anni  sino  alla  cinquantina,  vanno  a  cercar  lavoro,  quali  nelle 
miniere  della  Vestfalia  o  della  Francia  (è  però  da  notai'e  che  vi  si  re- 
cano sempre  a  gruppi),  quali  a  Torino,  dove  esercitano  il  mestiere  di 
scardassatori  di  lana,  di  segatori  e  di  fruttaiuoli  S  quali,  infine,  nelle 
nostre  pianure,  dove  attendono  alla  pastorizia  ;  alcuni  ritornano  al  paese 
ogni  anno,  altri,  specialmente  se  si  recano  all'estero,  ne  rimangono  lon- 
tani anche  per  lunghissimo  tempo.  Verso  il  1823  il  Francesetti,  dili- 
gente e  intelligente  osservatore,  dice  che  la  percentuale  delle  donne  che 
lasciavano  nell'inverno  Usseglio  era  di  due  terzi,  e  di  tre  quarti  quella 
degli  uomini^;  oggi  la  prima  di  queste  due  cifre  dovrebbe  essere  al- 
quanto diminuita.  Riguardo  agli  altri  villaggi  delle  valli  di  Lanzo,  egli 
otFre  dati  variabili:  emerge  però  dovunque  il  fatto  notevole  che,  in 
generale,  a  differenza  degli  Ussegliesi  e  dei  Lemiesi,  per  lo  più  braccianti 
e  pastori,  sin  d'allora  gli  altri  valligiani  esercitavano  mestieri,  come 
quello  di  domestico  ''  e  di  negoziante  (salumai  e  venditori  di  carne  di 
montone)  *,  per  cui  erano  anche  maggiormente  esposti  al  contatto  di 
forestieri;  tanto  che  già  il  Francesetti  stesso  li  trova  sprovvisti  di  quelle 


'   1  fruttaiuoli  son  quasi  tutti  di  Margone  e  del  Villaretto. 
~  Francks.,  p.  92. 

■''  Specialmente  gli  abitanti  di  Vili  e  di  Ala,  pp.  85,  63. 
*  Salumai  e  venditori  di  carne  di  montone  erano,  e  sono,  qu;isi  esclusi- 
vamente gli  abitanti  di  Forno  e  di  Groscavallo. 


11  parlare  d'Usseglio  205 

caratteristiclio,  che  s'attendeva  dalla  loro  rustica  origine.  Oggi  però 
anche  pei  valligiani  ussegliesi  il  piemontese  è  ormai  una  seconda  lingua, 
e  talvolta  vi  ricorrono  sin  discorrendo  tra  loro,  specialmente  in  pre- 
senza di    forestieri. 

Tra  la  [lopolazione  residente  una  classe  borghese  non  esiste  ;  e  la 
l'oltura  è  assolutamente  [ìopolare.  Vi  sono  tre  scuole  elementari,  pochi 
abitanti  sono  analfabeti,  ma  al  solito  l'istruzione  è  affatto  superficiale; 
pochissimo  diffusa  l'abitudine  della  lettura,  quasi  ignoti  i  giornali.  Ti'ita- 
liano  è  parlato  da  molti,  ma  come  una  lingua  straniera;  grazie  alla  na- 
tura del  dialetto  ed  all'emigrazione,  ogni  ussegliese  intende  invece  alla 
meglio  il  francese.  Manca  poi  quasi  del  tutto  ad  Usseglio  la  tradizione 
di  una  letteratura  popolare  indigena  ;  le  canzoni,  che  ora  vanno  i)er- 
dendosi,  sono  comuni  al  piemcuitese  e  cantate  in  piemontese;  le  fiabe,  le 
novelle  provengono  pure  tutte  dal  piano;  e  solo  qualche  paurosa  storia 
di  streghe  e  di   spiriti  è  d'origine  locale. 

§  4.  Fonti  scritte.  —  Il  mio  lavoro  si  fonda  in  gran  parte  su  fonti 
orali.  Non  mi  fu  dato  trovare  testi  antichi;  anche  le  carte  scarseggiano  ' 
e  non  (•tfrono  che  nomi  locali  di  poco  interesse;  il  medesimo  posso  dire 
dei  conti  della  Castellania  di  Lanzo  (an.  1306  e  sgg.),  per  quei  rotoli  al- 
meno, che  esaminai.  Né  trovai  ad  Usseglio,  come  accade  talvolta  nei  vil- 
laggi, dilettanti  che  osservino  con  amore  il  proprio  dialetto  e  ne  rac- 
colgano le  voci  rare,  le  persone  più  atte  a  f^ir  ciò,  il  parroco  e  i  maestri 
comunali,  essendo  forestieri. 

Siamo  ridotti  cosi  alla  parabola  del  Biondelli;  nel  libro  suo.  le  valli  di 
Lanzo  sono  rappresentate  da  Viù  e  da  Usseglio  •  ;  il  testo  ussegliese 
contiene  parecchi  dati  preziosi,  ma  occorre  servirsene  con  estrema  pru- 
denza. Vi  si  possono  trovare  alcuni  buoni  arcaismi,  che  rappresentano  il 


'  Usseglio  e  Lemio  non  possiedono  arcliivi.  e  nulla  degno  di  nota  rinvenni 
nelle  poche  carte  che  si  conservano  neH'.Vrchivio  comunale  di  Vili,  dove. 
di  notevole  per  gli  studi  dialettali,  non  vi  sono  che  due  catasti,  redatti, 
l'uno  alla  fine  del  secolo  XVI,  l'altro  al  prinei|>io  dei  secolo  XVll,  essi 
sono  ristretti  al  territorio  di  Viil.  1  principali  documenti  che  riguardano 
le  valli  di  Lanzo  e  i  Baratonia  sono  registrati  dal  Roxix.uno,  216  sgg. 

^  Bio.NL)KLi,(.  .524:-25.  La  valle  di  Susa  è  rappresentata  dal  testo  di  Gia- 
glione.  11  Rapanti  (Pai'axti,  492-41  ci  da  saggi  da  Chiamorio  (Ceres)  e  Gra 
vere  (Susa). 


206  Terracini, 

grado  precedente  allo  stadio  attuale,  e  questi  si  citano  e  si  studiano  a 
loro  luogo;  ma  sovente  ci  si  trova  dinanzi  ad  incongruenze  che  lasciano 
assai  dubitosi;  alcune  possono  rispondere  a  reali  oscillazioni  del  parlare  \ 
altre  *  invece  non  si  spiegano,  se  non  ammettendo  che  l'autore  fosse 
incerto  nel  rendere  alcuni  suoni  del  dialetto  e  avesse  tendenza  a  dare 
un  colorito  forestiero,  piemontese,  o  meglio  canavese  ^,  al  suo  testo  il 
cui  carattere,  del  resto,  mal  si  prestava  ad  offrire  un  buon  saggio  di  un 
parlare  rustico  ^. 


'  Il  suono    prosecutore    di  ce,  t'e  eco è  reso  con  se   in  isci  (30,  31), 

con  ss  in:  ciossèlu  (22),  massàio  (23),  massa  (30)  e  issi  (21);  ed  è  infatti 
probabile  che  in  isci  la  pronunzia  palatale  si  mantenesse  un  poco  più 
salda  che  nelle  altre  parole  (v.  App.  I).  Parimente  poteva  essere  reale  l'oscil- 
lare del  suono  l' :  au  gli  à  dit  (29),  au  fa  dit  (21)  e  del  suono  on  rappre- 
sentato da  0  in  donc  (32),  in  abóndan  (17),  da  u  in  liing  (21),  dune  (28).  L'atona 
labiale  ora  è  o  :  donare  (16),  sona  (25),  lo  (passim)  massàio  (23),  trova  (24), 
contro  (18),  ora  u  in  causala  (22),  tacciava  (16),  vàiru  (17),  ecc. 

'  La  desinenza  della  3*  pers.  è  indicata  in  tre  maniere  diverse  :  beicavi, 
donave,  ere,  tucciava,  era  (14,  16,  25,  32),  ha  è  reso  con  eia  in  ciossèlu  (22), 
con  ca  in  eaiisàlu  (22).  Il  suono  «  è  resoda  u  in  dui{lì).  con  o  in  avdi(29). 
dona  (22),  vost  (20),  pò  (23);  i  (=pa].  a)  atono  è  rappresentato  da  mu- 
ragli (14),  ma  al  (25)  si  legge  campagna,  la  desin.  del  plur.  fem.  e  oscilla 
tra  e  :  V  piltane  (30)  ed  i  :  beli  vesti  (22)  (se  è  da  leggersi  le  pi  beli  v.),  la  2* 
plur.  dell'irap.  della  1*  coniug.  è  regolarmente  a  :  m'nà  (23),  donarne  (12), 
causala  (22),  ma  se   ne   trovano  pure  esempi  in  e:  ciossèlu. 

P  Cfr.  anche  Toppino,  AGllt.  XVII,  517  seg.,  Goid.]. 

*  Infine  tra  i  casi  in  cui  i  miei  appunti  divergono  completamente  dalla 
Par.  noto  :  l'influsso  di  i  finale  sui  suoni  precedenti  :  ehei  (13)  (io  ho  karki 
qualche),  agn  [an  anni),  particolarità  che  torna  nel  canavese  e  in  piemon- 
tese; aviii  (11),  avii  (13)  (ora  voei^  n.  128);  abòndan  (3*  p.  ind.),  mentre  la  3* 
plur.  ind.  certo  già  a  quei  tempi  era  on  :  la  voce  risente  del  canavese,  dove 
è  regolare.  Piemontesi  sono  :  il  pronome  proclit.  di  3*  persona  :  al'à  (12,  13), 
ma  al  (15)  e  pass,  au  V;  tilt  (13)  (tutto)  (ora  tut)  ;  eost  (32)  (questo)  e  pro- 
babilmente l'impf  cong.  stàis  (stesse,  26),  perché  gli  imp.  del  cong.  in  e{ 
sono  un'innovazione  recentissima  (App.  lì:  infatti  si  ha  pure  fessu  {2^),  in- 
tresse  (28);  il  cond. /■ar/a(19);  /)t(30),  maal  {\2) piii  {\)\\\)  ecc.;  la  desinenza 
dell'incoativo  è  in  iss:)  come  in  piem.:  pascisso  (17),  scrrìsM  (29),  mentre  io 
non  conosco  che  eisu.  Vi  sono  inoltre  alcuni  errori:  abbaronà  {\Z)  =  amb.; 
autornand  (17)  =  an  torn.;  portèa  dona  (22)  =  porte  adona  (se  la  mia  correzione 
e  esatta,  s'avrebbe  un  esempio  assai  interessante  per  spiegare  la  formazione 
di  questo  avverbio:  cfr.  RI  Lomb,  XXXVII,  522);  fé  sautè=fè  sauté  (28); 
qualche  altro  punto  poi  resta  per  me  dubbio  o  incomprensibile. 


Il  pai-lare  d'Usseglio  207 

Su  questo  materiale  lavorarono  tutti  i  dialettologi  che  s'ebbero  ad 
occupare,  più  o  meno  fugacemente,  di  queste  valli.  L'Ascoli,  che  le  aveva 
trascurate  negli  "  Schizzi  franco-provenzali  „.  ne  parla  brevemente  nella 
sua  "  Italia  dialettale  „,  ove  classificò  i  dialetti  della  Stura  settentrio- 
nale e  della  Dora  Riparia  tra  quelli  che  appartengono  al  franco-proven- 
zale, ma  ad  un  tipo  che  è  "  affatto  evanescente  ,  e  "  cede  ovunque  al  pede- 
montano „'.  Il  giudizio  è  forse  troppo  reciso,  né  poteva  essere  altrimenti 
pel  manchevole  e  non  genuine)  materiale  su  cui  si  fondava:  ma  certo  ad 
Usseglio  il  franco-provenzale  cede  veramente  al  pedemontano,  sia  che 
l'Ascoli  con  queste  parole  volesse  accennare  allo  sfumare  di  un  tipo 
nell'altro  per  antica  e  continua  influenza  dovuta  al  contatto  geografico, 
sia  che  alludesse  al  recente  e  più  palese  sovrapporsi  dell'elemento  pie- 
montese alla  parlata  indigena. 

Dopo  l'Ascoli  si  occupò  di  Usseglio  il  Salvioni  nella  sua  rassegna 
sommaria  dei  dialetti  alpini  d'Italia  ^,  e  ne  rilevò  brevemente  i  carat- 
teri per  cui  si  mostra  franco-provenzale;  a  qualche  particolarità  della 
fonetica  ussegliese  rimandava  poi  nei  suoi  appunti  sulla  parlata  di  vai 
Soana  '\  Degli  altri  paesi  delle  valli  di  Lanzo  nessuno  s'occupò,  ch'io 
sappia,  se  si  eccettui  il  Merlo  ■*  che  raccolse  qualche  voce  ad  Ala.  Il 
Rousselot,  nel  suo  studio  sul  dileguarsi  di  s  dinanzi  a  t  cjj  nelle  Alpi, 
mentre  tratta  a  lungo  di  tutta  la  valle  della  Dora,  s'occupa  assai  breve- 
mente di  Viù  e  di  Lemie  ^.  Il  Morf,  ove  tocca  delle  nostre  vallate  ",  non 
fa  che  fondarsi  sui  dati  dei  suoi  predecessori  e  cosi  pure  il  Gròber  ',  quando 
traccia  il  confine  orientale  delle  parlate  franco-provenzali. 

§  5.  Fonti  orali.  —  Do  qui  l'elenco  delle  persone  che  interrogai,  con  l'in- 
dicazione sommaria  del  loro  valore  come  fonte.  Distinguo  con  lettera  gl'in- 
dividui che  meglio  rappresentano  questa  o  quella  varietà  del  parlare,  e 
tra  questi  noto  con  asterisco  le  persone  di  cui  mi  valsi  per  consuetudine; 


'  Vili.  99. 

^  Sai.viuni,  La  Lettura,  1900.  719. 

=•  SVS,  97. 

*  Meki/i,  l  nomi  rotuami  delle  stagioni  e  dei  mesi. 'Vox'ino,  1903  ;>«.*.*. 

"*  Et.  Roni.,  475.  Piii  precisamente  della  Saletta,  che  è  una  delle  frazioni 
di  Lemie. 

*  Recentemente  in  BDR,  I,  6. 
"  GG.,  I,  718. 


208  'r.Tiiicini, 

j(li  iiltri  t'iiiono  iiit-i'iTo^at i  mumki  ìi  liiiif^o  e  sp(!Hso  .soniiiiiiii. ninniti;  jicr  foii- 
trolliirc!  i  fenomeni  pii'i  importiiiili.  'Putti  i  HOfif<^((tti  sono  untivi  di  Us8o<(lio 
o  tli  fiiiiiigUa  usH(i<^lieHe.  Il  mimerò  fra  parentoai  indica  la  loro  c.ik  nel  1909. 

Piazzette.  —  *A.   Antonio  Costa  (7K).  Si  r(U',i)    in    f^iovrntii  a  lavorare    in 
pianiirii,  ma  da  pili  di   un  drccnnio  non  si   muovo  dal  paese.  E  int(dligenti.s- 
simo  o  rispomle  assai  beni;  alle   mie  domande.  8ia  por  IVdii   elu;  )»er  la  fra- 
zione a  cui  appartiene,  rappresenta  una  delle  mie  fonti   piii  iircaiclu'. 
B.  (Cristina  Costa  (76),  sor(dla,  did   pre(jedento. 

l'ianè.  —  *C.   Unii  donna-  d'nna  ein(|nantina  d'anni,  che  abita  stabilmente 
ad  Usscfflio;    l'ho    interro<,'ata    assai    di   rado,  ma  l'ho    ascoltata   par<!cchie 
volto  in  conv(M-sa'/,ione  con   altre  dmiiie. 
Refieuna  Secondina  (12). 

Corlerizio.  —  D.  Cibrario  Maiia  (51),  alber<,'alrice.  Visse  sem])re  ;id  Us- 
se<»lio  e  rappresenta  un  tipo  di  lingua|^<?io  lien  conservato,  per  ipianto  nel 
suo  alborfjo  abbia  frequente  occasione  di  parlare  piemontese. 

Cibrario  Battista  (51),  marito  dtdia  precedente,  e  i   fi^'i: 

*E.  Teresa  Cibrario  (23).  Non  lasciò  mai  il  paese,  se  non  per  ])oclii 
«ifiorni,  e,  per  quanto  «giovane,  conserva  noi  suo  parlare  nn  buon  numero  di 
a.rca.ismi.  E  una,  delle  fonti  mii,'liori  ]iei-  prontezza,  e  ricchezza  di  voealio- 
lario. 

Albina  (20),  Enrica  (18),  Adele  (1 1),  Paolina  (8),  Gaudenzio  (16),  Lui^'i  (14). 

*F.  Cibrario  Vincenzo  (64).  Kn  a  lavorare  in  pianura,  ma  ora  da.  un 
pezzo  non  lascia  più  il  paese.  Ila  un  linj^nagfifio  già  ricco  di  innovazioni; 
interrofja.fo,  scivola  facilmente  n(d  piemontese,  ma  qmtndo  racconta  (pialche 
novella  o  parla  spontaneamente,  offre  un  materiale  ricco  di  voci  rare  e  ar- 
(MÌclic,  quindi,  per  chi  se    ne  serva  con  prudenza,  i;  una  buonissima  fonte. 

Una  donna,  d'una  cinquantina  d'anni:  abita  ad  Usseglio  con  una  figlia 
sulla,  ventina;  (pu-sta    fonte    fu    pili   ascoltata,  che  interrogata. 

\'ìll(tri'tl().  —  G.  "  l*in(da  „  (40  circa).  Ea  l'oste  ed  il  carrettiere;  vive 
sempre  ad  Usseglio,  la  moglie  ì;  di  Lemie.  Poco  intelligente. 

H.  Giuseppe  Eerro-D^amil  (46),  guida  alpina.  All'inverno  esercita,  il 
mestiere  di  carbonaio  a  Torino,  fu  pure  in  Francia  a  lavorare  nelle  mi- 
niere. Eonte  pronta,  intelligente,  ma.  guasta  dal  conta,tto  coi  forestieri. 

""I.  Sua  moglie  (48),  oriunda  pure  del  Villaretto,  non  si  mosse  mai  dal 
paese.  Buona  fonte. 

*L.  Gius(!ppe  (20),  loro  figlio,  portatore  alpino;  da  ([ualcbe  anno  ac- 
compagna il  pa.drc  nelle  sue  emigrazioni.  Assai  intelligente,  rappresenta 
assai  bone  il  tipo  di  parlare  che  ì;  proprio  della  generazione  recente,  ricco 
di   innovazioni  morfologiche;  il  suo  vocabolario  h  poni  un  po'  scarso. 

Lorenzo  (16),  fratello  del  precedente. 

*M.  Margherita  Costa  (78).  Fu  per  parecchi  inverni  a  lavorare  in  giro 
p(d   Piemonte,  ma  da  un  pezzo  non  lascia  pili   il  paese.   Il   marito  era  delle 


II   i.arl;ir<-  (l'llssc>,'li<.  209 

Piazzette.  Kisixìndo  assai  Itcìn-  iif^'li  inttu-rojjatori,  cuiiHcrvii  nel  suo  liii- 
jifiia>:f}^i()  molti   t ratti  arcaici  n   possiede  un   vocabolario  assai   rircn. 

Suo  lìj^lio  (;{5). 

Sua  nuora  (8^)),  delia   l'ciiinTa. 

N.  \  M.iiiii  l-'crro-Barci  (70  cii-ra).  l''u  a,  servizio  coinè  cameriera  nel- 
l'Italia meridioii;ilt'  e  all'estero;  da  multi  anni  era  tornata  staldlnu-nte  al 
paese.  Qualche   tratto  arcaico. 

*0.  tiiuseppe  Ferro-Lelio  (72).  Fu  molti  anni  a  la vorare  all't^stero.  Ora 
dimora   slal)ilmeiite  ad   llssef^lio.  Tipo  di   lin^'uaf,'^ào  poco  (irndro. 

M(ir!/(>iir.      -    P.   (;il)rario   detto    l'crosiit  (4.'"i),   oste. 

*Q.  Sua  moglie;  buona  fonte,  assai  intellij,'fnl(',  Il  linf^nia^xi"  di  am- 
l)idue  è  di  tendenza,  arcaicizzante. 

R.  Maria  Cdn-ario  (SO),  nativa,  dcdla  l'erinera,  abbastanza  pronta  indie 
risposti',  e  una    fra   le   fonti   di   lin<,'iia;,'.,'io   pili   arretrato. 

S.  Un  uomo  di  circa  sessanl 'a  imi,  di  professi(jiH!  aj^'indla  io.  Si  reca,  tilt  t  i 
}^li  anni  al  [laese,  ma  sta  a  luiinu,  dove  cDinive  con  j^ente  «Iella  vai 
(irande.   Il   suo   liiif^iiaf^j^io  ollic  i|ualclie  I  iuta    ai(ai<a. 

Da  fpie.ste  fonti  raccolsi  il  mio  materiale,  sia  valendomi  ili  iiiti-rrof^atorl 
diretti,  sia  sorpr«ind(Mido  forme  e  parole  india,  conversazione  spontanea.  Nel 
in'ocedere  nella  mia  raccolta,  procurai  di  porre  in  opcna  tutti  (piej^di  accor- 
<:^iinenti  che  la  metodologia  su<,'f.,'eris(;e,  cercando  il'ottenere,  con  vari  mezzi, 
forme  spontanee,  controllando  sempre  mia  risposta  coH'altni,  e  soprattutto 
facendomi  un  concetto  (diiaro  del   valore  di   cia-<iiiia   fonte. 

Resterebbi!  ora  da  precisare  come  l'insieme  didle  mie  fonti  rappresenti  il 
complesso  del  linffuajifLfio  usse;?lios(^  md  suo  procedere  di  ^generazione!  in 
f»enerazioiie,  nel  suo  variare  da  bor^Mta  a  liorgata;  ina,  di  ciò  si  discorrerà 
])iii  opportunamente  nel  capitolo  destinato  a  tali   variazioni  '. 

§  6.  Ahbrcviazioìii  delle  opere  |)hì  NpeNHO  cilate.  Per  i  nunieroHi 

scritti  che  non  formano  libro  a  si',  rimando  sempre  dirtd.tameiite  alla  rivista 
o  alla  raccolta  in  cui  sono  c<iiiti:nul,i,  adottando  le  si<^de  indicate  dal  linllitin 
(le  Diiili'clt>to(/ie  roimiiie. 

Faccio  eccezione  soltanto  per  gli  studi  del  Ni<,'ra,  del  Morcsi  e  de] 
Salvioni,  a  cui  in  questo  lavoro  dovrò  rifarmi  continuamente.  Per  solito 
rimando  ai  vari  volumi  di  questa  Hirisfa,  indicandone  semplictimente  il 
numero  d'ordine. 

Beitr.   =  A.    .Mis.sai-ia,   Bcitniy  ziir  Kunde  dir  nurdildliinisi  hm  Miindarlin. 
Wien,   \^1?,  Cest ratto  da  DAk  Wien). 


'   \^  Appendice   I,  dove  sarà  |)iir<'  dato    un    complemento    a    questa   list,a 
delle  fonti,  la  quale  risale  all'entate  d(d   I90!i. 


210  Terracini, 

Biondelli  ^  B.  Biondelh,  Saggio  sui  dialetti  Gallo-italici.  Milano,  1853. 

Bridel  =  Bkidel,  Glossaire  da  patois  de  la  Suisse  Romande.   Lausanne,  1866 

(Mém.  et  docum.  publiés  p.  la  Société  d'hist.  de  la  Suisse  rom.,  XXI). 

Cerlogne  =  Ceklogne,  Dictionnaire  da  ^^rt^oì's  Valdótain,  précède  de  la 
petite  grammaire.  Aoste,  1907. 

Cibrario  =  L.  Cibrakio,  Memorie  storiche.  Torino,  1868. 

Charbot  =  Patois  du  Dauphine',  1"  partie  :  dictiomiaire  ine'dif  de  Cii&iiitOT  ; 
2"  partie  :  dict.  inédit  d'HEcxcR  Blanchet,  publié(s)  pour  la  première 
fois  sur  le  manuscrit  originai  par  H.  Gariel  (Bibliothèque  histor.  et 
littér.  du  Dauphine,  t.  lY). 

Costantin.  =  A.  Cost.vnti.v  et  I.  Désoumaux,  Dictionnaire  saroyard.  Paris- 
Annecy,  1902. 

Devaux  =  A.  Devaux,  Essai  sur  la  langue  valgaire  da  Dauphine  septen- 
trional  au  Moi/en  Age.  Paris-Lyon,  1892. 

Devaux^  =  A.  Dev.aux,  De  Vétude  des  patois  du  Haut  Dauphine.  Gre- 
noble, 1889. 

D.  Pozzo  :^  Dal  Pozzo,  Glossario  etimologico  piemontese.  Torino,  1893. 
Duret  =  DcRET,  Grammaire  savoi/arde  p.  p.  Koschvitz.  Berlin,  1893. 
Einfùhr.  =  W.  Meyer-Lubke,  Einfitìirung  in  das  Stndium  der  Romanischen 

Sprachirissenschaft.  Heidelberg,  1909^. 
Essais,  Essais'-  =  A.  Thomas,  Essais  de  philologie  fran^aise  et  provengale. 

Paris,  1899.  Nouveaux  essais...  1904. 
Et.  Rom.  =  Etudes  romcines  dédiées  à  Gaston  Paris.  Paris,   1891. 
Fenouillet  ;=  A.  Fenouillet,  Mémoires  sur  le  patois  savoyard.  Annecy,  1903. 
Frances.  =  L.  Francesetti,  Lettres  sur  les  rallées  de  Lamo.  Turin,  1823. 
Fr.  Gr.    =    W.   Meyer-Lubke,     Historische    Grammatih    der    Fransosischen 

Sprache.  \.  Laut-  und  Formenlehre.  Heidelberg,  1908. 
Herzog  =  E.  Herzog,  Neufranzosische  Dialekttexte.  Leipzig,  1906. 
Gavuzzi  =  G.    Gavuzzi  ,     Vocabolario     piemontese-italiano     e     Vocabolario 

italiano-piemontese.  Torino,  1896. 
Gè.  ==  R.  Renier,  //  "  Gelindo  „,  ecc.  Torino,  1896. 
Gill.  Atl.  Vali.  =  J.  GiLLiÉitoN,    Petit    alias    phone'tique    du   Valais   roman 

(sud  du  Rhòne).  Paris,  senza  data. 
Hàfelin  =  Haefelin,  Abhandlungen  iìber  die    romanischen    Mundarten   der 

Sildwestschweiz.    Jlrste    Abt.  :  Die    Mundarten  des  Kantons   Neuenburg. 

ZVglS.  XXI,  289,  481. 
Hàfelin-  =  Haefeun,  Les  patois  romans  du  canton  de  Fribourg.  Leipzig,  1879. 
Horning  =  A.  Horxixg,  Die  Behandlung  der  Lateinischen    Proparoxytona 

in  den  Mundarten  der   Vogesen   und  in  Wallonischen.  Beil.  z.  Programm 

des  Lyceum,  Nr  578.  Strassburg,  1902. 


Il  parlare  d'Usseglio  211 

Jaberg  =  K.  Jabeuo.    Ueber  die  assoziativen  Erscheintoiyen  in  (ìer    V  erbai - 

flexion  einer  Sudostfranz'ósischen  Dialektgruppe.  Aarau,   1906- 
Jaccard  =  H.  Jaccard,  Essai  de  toponimie.  Lausanne.  1906  (Meni,  et  docum. 

p.  p.  la  S.  d'hist.  de  la  Suisse  rom.,  2^  S.,  VII). 
It.   Gr.  =  W.  Mkyeu-LùiìivK,  Italienische  Grammatik.  Leipzig,  1890. 
Iserlohe  =   H.  Iseiu-ohe,    Darstellung    der    Mundarf    der    Delphinatischen 

Mysterien.  Dissert.  Bonn,  1891. 
Lara.  =  C.  Salvioxi,  Lamentazione  metrica  sulla  passione  di  X.  S.  in  antico 

dialetto  pedemontano.  Torino,  1886. 
Lavallaz  =  L.  de    Lavai.laz,     Essai    sur    le   patois   d'Hérémence  (Valais). 

Paris,   1889. 
^\'.  Meyek-Luuke,   Grammaire    des    haignes    romanes.    Paris.    1890-1906.    Si 

rimanda  ai  vari  volumi  colla  semplice  indicazione:  1,  li.  III. 
Mor.  =  G.  Morosi,   L'odierno  linguaggio  dei   Valdesi  di  Piemonte.  AGlt,  XI 

(per  paragrafo^ 
Odln  =  A.  Odix,  Phonologie  da  patois  da  canton  de   Vaud.  Halle,   1881. 
Odln-  =  A.  Odix.  Elude  sur  le  verbe  dans  le  patois  de  Blonag.  Halle,  1887. 
Papanti  =  Papaxti,  /  parlari  d'Italia  in  Certaldo.  Livorno,  1871. 
Par.  =  Parabola  del  Bioudelli  nel  dialetto  di   Ussegliu  (Biondeli.i,  525). 
Pipino   Gr.  =  ^I.   PuMNo,   Grammatica  piemontese.  Torino,  1783. 
Pipino  V.  =  M.  Pipino,    Vocabolario  piemontese.  Torino,  1783. 
Puitspelu  =  X.  PuiTSPELi",  Dictionnaire   étymologiquc    du   patois  de  Lyon. 

Lyon,  1887-90. 
Roussey  ==  Cu.  Rousset.   Glossaire  du  patois  de  Pournois.  Paris,   1894. 
Schàdel  =  B.  Schaedel,  Die  Mundart  von  Ormea.  Halle.  1903. 
S  V  S.  =   C.  Salvioni.   Appunti   sul  dialetto   di    Val    Soana.    RlLomli,  S.  II, 

XXXVIl,  1048,  (per  paragrafo). 
Urtel  =  H.  Urtei,,  Beitraye  zar  Kenntniss  des  Neuchateller  Patois.  1.  Vignoble 

und  Béroehe,  1897. 
V  S.  =  C.  NiGKA,  Fonetica  del  dialetto  di  Val  Soana  (Canavese).  AGIt,  III,  1 

(per  paragrafo). 
Zalli  ^=  C.    Zalli,    Dizionario   piemontese-italiano-latino-francese.    Carma- 
gnola,  1830. 
Zimraerll  =  Zimmerli.  Die  deutsch-franzosische  Sprachgrenze  in  der  Schweiz. 

Base!,  1895-9. 

Ecco  inoltre  le  sigle  dei  paesi  pili  spesso  citati  (cfr.  carta  li):  Cer(esole), 
N'o(asca),  Gro3c(avallo),  Chial(amberto),  Mezz(enile),  Tra(ves),  Ce(res)  Ala, 
Mondr(one),  Balfme),  Viti,  C  s.  G(iovanni),  Le(mie),  Uss(eglio),  Chio(monte), 
Nov(ale3a),  Ve(naus),  Momp(antero),  GiagUione),  For(esto),  S.  Di(dero), 
Mo(cchie\  Chia(vrie).  Cond(ove),  Me(ana),  Grafvere),  S.  Gio(rio),  Villar 
(Focchiardo),  Vafiesi,  Val  G(ioie\  Co'azze),  Rub(iana\  Mompel(lato). 

Arcliivio  glottol.  ir.'il  ,   XVII.  15 


212  Terracini, 


FONOLOGIA 


A)  Descrizione  dei  suoni  e  trascrizioni.     " 

Il  dialetto  possiede  all'incirca  le  medesime  serie  di  suoni  che 
il  piemontese  ;  riservandomi  di  farne  in  appendice  una  pili  mi- 
nuta descrizione  col  sussidio  del  metodo  grafico,  ne  do  ora  qualche 
notizia,  che  meglio  spieghi  il  valore  delle  mie  notazioni. 

I. 

VOCALI 

Nelle  gran  varietà  di  vocali  che  segnano  i  principali  gradi 
delle  serie  palatina  e  velare,  le  gamme  deWe  e  dell'o  sono  pili 
ricche  di  sfumature  che  quelle  dell'i  e  dell'in  ;  nella  serie  labio- 
palatina,  invece,  anche  dell'a^  manca,  almeno  come  tonica,  qualche 
varietà  larga.  Nella  serie  palatina  la  gamma  dell'e  tonica  è  più 
ampia  che  in  toscano,  poiché  e  ed  e  sono,  Tuna  leggermente  pili 
chiara  e  l'altra  decisamente  piiì  chiusa  dei  suoni  corrispondenti 
toscani  ;  la  serie  labiale  è  invece  pili  ristretta  :  pili  chiuso  l'o, 
pili  aperto  l'u.  Rispetto  al  francese,  la  serie  labiale  e  labio- 
palatina  sono  più  larghe.  Lo   schema    delle    vocali,    comparato 


Il  parlare  d'Usseglio  213 

col  toscano  e,  per  le  labio-velari,   col  francese,   può   essere  ap- 
prossimativamente rappresentato  cosi  ^  : 

tose.  /     i  frane,  il  n  tose. 

/ .,  ii 
il)    i 


(«)  ^  («) 

[tv)     frane,  (e  (.<?) 

;         ce  0 

0 


tose,  e 

tose,  e  '         (oe) 


o  tose. 


a         a 
a 


Premessi  questi  riferimenti  generali,  passo  ad  esaminare  som- 
mariamente ciascuna  vocale,  avvertendo  che  i  segni  diacritici 
hanno  naturalmente  un  valore  relativo:  p.  es.  notai  aperta  o 
chiusa  quella  vocale  che  sentii  più  larga  o  pili  .stretta  di  quel 
tipo  di  ciascuna  gamma  che,  per  essere  men  dotato  di  caratteri 
decisi,  può  ritenersi  come  medio  -. 

o  è  medio,  dinanzi  a  n  prende  un  colorito  leggermente  ve- 
lare che  io  in  generale  trascuro  di  notare.  Di  a  digradanti  verso 


^  Cfr.  lo  avvertenze  del  direttore  di  questa  Rivista,  XVII,  p.  xxiv  e 
l'esempio  del  Malauoli,  XVII,  43.  Le  voeali  in  parentesi  sono  instabili  e 
soltanto  atone.  I  francesi  il,  m,  sono  le  vocali  &\  paru,  peu. 

^  Poiché  la  quantità  delle  vocali  è  fissa  per  le  brevi,  ma  variabile  per 
le  lunghe,  secondo  il  tipo  della  frase,  ebbi  cura  di  indicare  ogni  caso  in 
cui  la  vocale  può  essere  lunga,  ma  non  segnai  mai  la  quantità 
sugli  esempi;  la  breve  è  invece  regolarmente  notata.  Pei  casi  dubbi  o  an- 
cipiti, che  pure  non  sono  segnati,  v.  n.  133,  ove  si  danno  tutte  le  indica- 
zioni che  concernono  la  quantità.  Per  la  modulazione  delle  vocali  v.  l'Ar- 
liendice  II.  E  ovvio  osservare  che  le  incongruenze  che  si  potranno  trovare 
nelle  mie  notazioni  rispondono  a  divergenze  reali  che  sono  tutte  studiate 
al  loro  luogo.  Nelle  vocali  atone  non  distinsi  che  qualche  spiccata  varietà  di 
e  e  di  te;  e  i  u  sono  lievemente  piii  larghi  delle  toniche  corrispondenti  ; 
«  postonico  è  invece  un  poco  più  chiuso.  Non  segnai  neppure  la  nasalità, 
per  la  quale  v.  sotto. 


214  Terracini, 

la  serie  palatale  ce  n'è  di  due  gradi,  tutti  e  due  provenienti 
da  un  antico  e:  uno  all'orecchio  suona  come  a,  ma  conservò  piii 
a  lungo  e  forse  conserva  un'articolazione  palatale,  perché  non 
si  lascia  mai  chiudere  dal  contatto  di  ?i,  l'altro  (v.  n.  24)  varia 
di   colorito  secondo  i  parlanti  da  a  sino  ad  à. 

e.  Oltre  alle  varietà  toniche  già  segnalate  è  da  ricordare  r 
atono  evanescente  che  assume  sempre  un  colorito  piuttosto  chiaro. 

ce.  È,  come  si  disse,  piuttosto  chiuso  ^  Brevissimo  e  atono 
esiste  in  molte  qualità  di  varia  apertura,  da  6  sino  ad  ìi_,  ed 
anche  di  vario  colorito  palatale  :  ó,  o  ;  sfumature  che  nella  no- 
tazione spesso  trascuro,  data  la  loro  instabilità  e  la  difficoltà 
di  coglierle  esattamente. 

0.  Le  varietà  sono  men  decise  che  per  e  e  piuttosto  chiuse. 
0  ed  u  esistono,  o  come  particolarità  individuali,  oppure,  in 
certe  fonti  arcaiche,  come  sporadica  pronuncia  di  u  provenienti 
da  un  antico  o. 

il.  È  meno  palatale  e  pili  largo  che  il  suono  corrispondente 
francese. 

11  dialetto  possiede  poi  un  e,  identico  a  quello  piemontese, 
che  generalmente  è  largo,  ma  che  talvolta  può  colorirsi  in  più 
maniere,  difficili  da  percepirsi  ;  sull'analisi  di  questa  vocale 
conto  di  trattenermi  più  a  lungo  nell'Appendice  IL 

Le  vocali  seguite  da  nasale  in  sillaba  aperta  sono  oggi  per- 
fettamente orali  ;  in  sillaba  chiusa  ed  in  finale  hanno,  come  in 
piemontese,  un  grado  di  nasalizzazione  assai  ridotto  che  non 
viene  mai  indicato.  La  caratteristica  delle  vocali  nasali  sta  quindi 
nel  loro  colore:  a  ed  ^  sono  brevissime,  quasi  due  suoni  sfug- 
genti; si  ha  poi  ci,  e,  f  ed  o:  e,  /7,  v  sono  lievemente  più  chiare 
delle  corrispondenti  orali  ;  esistono  infine  <},  n  nasali,  nelle  me- 
desime condizioni  di  quelle  accennate  al  capoverso  precedente. 


'  Scrivo  sempre  ae  per  i}.  V.  questo  volume,  p.  xxiv,  n*  1. 


Il  parlare  d'Qsseglio  215 


II. 

CONSONANTI 

Do  per  ora  un  cenno  generale  sulla  forma,  il  luogo  e  le  zone 
di  articolazione  delle  consonanti.  Lo  studio  palatografico  dira  poi 
pili  precisamente  come  l'articolazione  si  modifichi  secondo  la 
posiziono  della  consonante  nella  parola  e  nella  frase. 

a)    Continue. 

a)    Vibranti. 

l.  E  prepalatale,  ma  accompagnata  a  vocali  palatine  diviene 
dentale. 

/•.    È  nettamente  prepalatale. 

^)  Nasali. 

n.    È  dentale. 

il.  Se  è  preceduta  da  consonante  diversa  da  una  dentale,  o 
se  è  finale,  si  articola  colla  base  della  lingua  rialzata  verso  il 
palato  molle.  Quanto  pili  la  vocale  è  palatina,  tanto  pili  il  luogo 
dell'occlusione  è  avanzato  ed  il  contatto  della  lingua  col  palato 
è  maggiore  ;  per  i  e  per  e^  esso  diviene  completamente  palatale 
od  interrotto  solo  assai  brevemente  nel  centro,  in  modo  da  dar 
luogo  quasi  ad  una  semi-occlusione.  Se  segue  invece  una  den- 
tale, n,  per  quanto  indebolita,  par  conservare  l'articolazione 
dentale. 

in.  Non  perde  mai.  neppure  in  finale,  la  sua  articolazione 
labiale. 


216  Terracini, 

n.    È  nettamente  alveolare;  il  contatto  della  lingua  col   pa- 


lato è  poco  ampio. 


y)  Spiranti. 


s  e  f.  Per  l'articolazione  della  fricativa  la  lingua  lambe  il 
palato  cogli  orli,  lasciando  un  discreto  spazio  libero  al  centro 
ed  avanzando  solo  fino  alla  regione  prepalatina. 

f,  V.  Sono  labiodentali  ;  v  deve  essere  articolata  assai  legger- 
mente, data  la  facilita  con  cui,  in  certe  condizioni,  passa  a  u 
bilabiale. 

L  E  articolata  ai  lati  del  palato,  che  al  centro  rimane  larga- 
mente libero:  la  sua  zona  varia  alquanto  secondo  la  posizione 
nella  parola. 

u.    Come  in  italiano. 

b)   Esplosive. 

p,  b.    Nulla  da  notare. 

t,  d.  Nelle  varietà  più  deboli  di  queste  consonanti  la  punta 
della  lingua  tocca  spesso  i  denti  superiori  ;  altrimenti  esse  sono 
completamente  alveolari  ;  d  è  lievemente  più  avanzata  di  t. 

k,  (/.  Sono  articolate  ai  confini  tra  il  palato  molle  e  il  duro; 
in  contatto  con  una  vocale  palatina  l'articolazione  subisce  uno 
spostamento  in  avanti,  assai  maggiore  ai  lati  che  al   centro. 

è,  g.  Per  quanto  non  vi  corrispondano  etimologicamente;  sono 
identiche  alle  corrispondenti  piemontesi.  11  contatto  col  palato, 
assai  più  ampio  naturalmente  che  per  t  e  d,  data  però  la  natura 
di  questi  suoni,  è  relativamente  ristretto,  poiché  non  oltrepassa 
mai  la  regione  prepalatina. 

/  e  f?  interdentali  sono  limitati  alle  Piazzette  (e.  Introduzione). 
Nella  generazione  media  e  giovane  (v.  App.  I)  l'interdentale  sorda 
è  sostituita  da  h.  L'articolazione  si  è  indebolita,  la  lingua  non 


Il  parlare  d'Usseglio  217 

si  spinge  pili  sino  ai  denti  e,  rimanendo  piatta  nella  bocca,  leg- 
germente arcuata  alla  base,  produce  l'aspirazione. 

Per  le  tendenze  di  certi  gruppi  ki^,  (ji,  ^''^'^if,  ecc.  v.  Appen- 
dice II  ;  sull'origine  e  l'antichitci  di  r,  I,  ?,  e,  v.  App.  I. 

Nel  complesso  del  suo  sistema  di  suoni,  Usseglio  segue  stret- 
tamente il  grande  gruppo  a  cui  appartiene,  le  cui  tendenze  si 
possono  riassumere  cosi  : 

P  Una  tendenza  alle  articolazioni  rattratte  che  sì  mani- 
festa nel  colorito  palatino  assunto  da  alcune  vocali,  e  nella  for- 
mazione delle  consonanti  rattratte,  delle  quali  ora  solo  tre  so- 
pravvivono, n  e  e,  (],  ma  che  un  tempo  erano  più  numerose, 
poiché  tutti  i  nessi  con  e  lianno  in  origine  dato  luogo  a  rattratte 
che  pili  tardi  si  sono  variamente  risolte. 

2*^  Una  tendenza  a  dare  grande  preponderanza  e  lunghezza 
alla  tonica,  a  detrimento  delle  atone,  v.  n.  133. 

3"  Una  tendenza  all'indebolimento  delle  consonanti  in  sede 
debole,  che  provocò  i  noti  fenomeni  di  nasalizzazione,  di  pala- 
talizzazione, ecc.  —  Un  indebolimento,  certo  pili  recente,  pro- 
dusse lo  scempiamento  delle  consonanti  lunghe,  v.  n.  1.52'',  l'avan- 
zamento di  .V  a  /.  e  lo  spostamento  in  avanti  nell'articolazione 
delle  esplosive. 


B)  Note  di  fonologia  storico-descrittiva. 

Per  la  grafia  e  la  nomenclatura,  seguo  il  sistema  di 
questa  rivista.  Credetti  opportuno  tenermi  abbondante  negli 
esempi;  quando  il  loro  numero  mi  parve  nuocere  all'equilibrio 
dell'esposizione,  lasciai  nel  testo  tutti  quelli  che,  per  apparte- 
nere a  gran  parte  del  territorio  romanzo,  mi  parvero  pili  sicuri, 
registrai  in  nota  i  restanti. 


218  Terracini, 

Talvolta  un  etimo  latino  è  preceduto  dal  segno  <C  (da  leggersi 
"  derivato  da  „),  quando  occorra  significare  chiaramente  che  in 
realtà  la  voce  volgare  non  ha  nulla  da  fare  colla  latina,  ma  è 
una  semplice  formazione  romanza. 

I. 
VOCALISMO 

Sintesi  fonetica  del  vocalismo  tonico  (•'•). 

(i)  Parossitoni.  —  P  In  sillaba  aperta  tutte  le  vocali  rag- 
giunsero il  loro  pieno  sviluppo,  che  si  manifesta  colla  lunghezza 
e  col  dittongamentq;  se  il  dittongo  oggi  non  compare  che  in 
scarsa  misura,  ciò  deve  attribuirsi  a  ragioni  secondarie  ;  2*^  In 
sillaba  chiusa  sono  notevoli  le  tracce  di  dittongamento  presen- 
tate dalle  vocali  larghe;  in  posizione  ^  è  invece  da  osservare 
il  grado    di   riduzione    cui   le    vocali    chiuse  poterono  giungere. 

Sia  in  sillaba  aperta  che  in  sillaba  chiusa,  la  distinzione  delle 
vocali  romanze  si  è  conservata:  esse,  tenendo  conto  delle  ana- 
logie che  i  loro  esiti  presentano,  si  possono  raggruppare  a 
questa  maniera  : 

i    u  ;    e    O  ;     e    O  ;    a. 

h)  Proparossitoni.  —  La  vocale  si  sviluppa  generalmente 
come  nei  parossitoni,  cosa  naturalissima   in   una  regione    dove 


*  Le  condizioni  speciali  di  questo  dialetto  mi  hanno  consigliato  a  non 
abbandonare  il  consueto  ordinamento  analitico  del  vocalismo  tonico;  ma 
per  porre  in  rilievo  tutto  quanto  v'è  di  omogeneo  nello  sviluppo  delle  vo- 
cali toniche  intonando  il  mio  lavoro  al  nuovo  sistema  sintetico  giustamente 
propugnato  daj  direttore  di  questa  Rivista,  premetto  all'analisi  di  ciascuna 
vocale  questa  sintesi  fonetica  del  vocalismo  tonico. 

^  Pel  senso  che  io  do  al  termine  'posizione'  v.  la  nota  del  n.  1. 


Il  piirlare  d'Usseglio  219 

la  prosemitonica  cadde  abbastanza  presto;  i  casi  contrari  sono 
tutti  dovuti  ad  un  ritardo  della  caduta  ;  si  ha  allora  lo  sviluppo 
proprio  della  vocale  in  posizione:  cfr,  le  osservazioni  fatte  a 
proposito  di  trèfe  ecc.  n.  192.  (jitva  n.  31''  e  91,  kndn  n.  192, 
teise  n.  42;  cfr.  pure  hcrh'i  n.  92. 

e)  OssiTONi.  —  Di  antica  data  è  il  nien  pieno  sviluppo 
di  certe  vocali,  trovatesi  di  buon'ora  in  finale  assoluta: 
non  ho  da  ricordare  che  il  caso  di  prò  ecc.  v.  n.  31''.  Le  vocali, 
invece,  che  si  trovano  semplicemente  in  sillaba  finale,  mani- 
festano una  tendenza  opposta:  esse  sono  pili  piene  che  alTinterno, 
ciò  si  vede  assai  bene  nei  casi  di  e  o  ì  u  in  posizione:  v.  n.3,  11, 
24-7,  34-5.  Inoltre  la  finale  preferisce  la  vocale  larga,  quindi  ei 
diviene  (>7  n.  18,  es'^""^^  diviene  e^  n.  44  ;  o  tende  ad  o  n.  56  ed 
eh  diviene  fin  n.  29.  E  ancora  in  finale  che  o  patisce  palataliz- 
zazione n.  35  e  che  o  ha  per  continuatore  «' n.  55;  questa  po- 
sizione, dunque,  favorisce  lo  sviluppo  di  elementi  palatali. 

d)  Influsso  di  consonanti:  1'^^'  Influsso  di  liquida:  eccet- 
tuato il  caso  di  e  v.  n.  24,  r,  quando  chiude  la  sillaba,  rende 
chiara  e  lunga  la  vocale  precedente:  quindi  da  e  si  ha  er  n.  45, 
da  o,  or  n.  56'',  ds,  o,  r»-  n.  33'',  da  lì,  or  n.  13.  Meno  perspicuo 
è  invece  l'influsso  di  /.  che  si  esercita  soltanto  su  e,  riducendolo 
ad  (■'  n.  46  : 

2°  Influsso  di  palatale:  a)  Una  palatale  seguente  non 
esercita  la  sua  azione  che  su  pochi  casi  di  e  e  di  o  in  po- 
sizione n.  27,  35  ;  /  allarga  per  dissimilazione  le  vocali  della  serie 
velare:  koit  n.  54.  /loij  n.  32,  fr<iitn  n.  14;  ,s '■""*,  al  momento 
attuale  non  manifesta  sulle  toniche  la  sua  azione  palatalizzante 
v.  n.  187;  tutt'al  più  è  da  notare  che  e  ed  e  danno  in  questa 
condizione  sempre  un  (<  ;  /?)  Una  palatale  precedente  assi- 
mila le  vocali  chiare,  rendendole  più  palatali:  a  passa  in  e, 
n.  65,  et  in  t  n.  21   e  «^  in  e  n.  27. 

3"  L'influsso  di  labiale  può  ritenersi  nullo:  v.  n.  4. 


2'20  Terracini, 

4"  Influsso  di  nasale.  Lo  studio  delle  vocali  dinanzi  a  na- 
sale in  sillaba  aperta  è  uno  dei  problemi  più  interessanti 
della  fonetica  ussegliese,  che  non  può  risolversi,  se  non  colla 
comparazione  estesa  ad  un  territorio  abbastanza  vasto;  antici- 
pando ciò  che  a  suo  tempo  spero  di  dimostrare  (P.  II),  dirò  che 
gli  esiti  attuali  rappresentano  un'antica  vocale  nasalizzatasi  par- 
zialmente pel  contatto  di  n  e  di  m,  e  quindi  ritornata  orale. 
Questa  nasalizzazione  ha  effetti  analoghi  a  quelli  prodotti  dalla 
vicinanza  di  una  consonante  doppia,  e  in  realtà  per  alcun  tempo 
la  consonante  ebbe  il  valore  di  una  vera  doppia  :  v.  l.  e.  Infatti 
resistono  e  si  mostrano  pieni  a  e  o^  per  quanto  quest'ultimo  si 
oscuri  in  h  n.  68,  58;  si  comportano  invece  come  in  posizione 
tutte  le  altre  vocali:  v.  n.  5,  15,  36.  Ma  alla  serie  delle  vocali 
piene  viene  questa  volta  ad  aggiungersi  l'esito  di  e,  il  cui  dit- 
tongo resistette  a  qualunque  riduzione,  n.  28,  ed  a  sottrarsi 
l'esito  di  e  che  si  confuse  con  quello  di  i,  v.  n.  42.  Ciò  prova 
che  la  nasalizzazione  si  piodusse  in  epoca  relativamente  tardai 
In  finale,  n,  divenuto  fortemente  faucale,  esercita  una  più 
sensibile  azione  sulla  vocale  con  una  serie  di  fenomeni  che 
possono  ricondursi  tutti  a  casi  di  palatalizzazione  :  il  turbamento 


'  Ove  pei"  qualche  accidente  non  intervenga  la  progressione  s'ha  la  vo- 
cale piena  :  ndvlne  indovina,  pìtip  pettina,  traslne  ecc..  dune,  dilnu,  kumc 
da  precedenti  done  koinè  che  sono  ancor  vivi  come  arcaismi  (v.  App.  I):  cfr.  Par.  : 
con  come  (19).  I  casi  di  consonante  doppia  sono  troppo  scarsi  e  incerti  per 
darci,  come  ci  si  attenderebbe,  l'esatto  parallelo  dei  casi  di  sillaba  libera: 
bend  (capanna),  v.  §  3  dona,  madona,  per  vero  tutte  e  due  voci  di  poco  uso 
(cfr.  l'esito  di  gm).  Rimane  l'enigmatico  snii  sonno.  Esso  si  presenta  nei 
dialetti  franco-prov.  con  doppio  vocalismo:  o  ed  e.  Cfr.  SVS,  37.  Devaux215. 
ALF(B)  soinineil,  e  P.  II  per  le  nostre  valli,  dappertutto  abbondano  le  forme 
ridotte,  sovente  analoghe,  se  non  simili,  a  quelle  di  o  chiuso,  si  che  vien 
fetto  di  pensare  alla  forma  italiana  :  sonno  GG,  I,  668,  pei  particolari  della 
questione  v.  P.  II. 


11  parlare  d'Usseglio  221 

di  a  11.  69,  la  chiusura  di  i_e  in  i  n.  48  ed  infine  lo  scompiamento 
di  e/  in  e  n.  28  ^ 

In  sillaba  chiusa  s'ebbe,  come  pili  antico  e  largo  effetto,  la 
confusione  tra  e  ed  e.  tra  o  ed  o  -.  S'ha  poi  da  notare  il  pili 
recente  turbamento  di  a  n,  7»)  ed  infine  il  recentissimo  turba- 
mento di  e  n.  30'',  che  per  ora  è  limitato  a  qualche  varietà 
della  posizione  finale. 

Il  contatto  della  nasale  ha  pure  l'effetto  che  i  dittonghi 
tendano  assai  a  ridursi:  ai  in  e  v.  n.  131  ei  in  i,  oi  in  o;  e  che 
alcune  vocali.  (/  ed  ^,  subiscano  pili  facilmente  l'influsso  delle 
consonanti  palatali  :  v.  n.  70,  80". 

e)  INFLUSSO  DI  VOCALE.  Iato.  DITTONGHI.  —  Lo  studio  sulla 
sorte  di  una  tonica,  venuta  in  contatto  con  una  vocale  o  una 
semivocale,  fu  posposto,  per  ragioni  di  chiarezza,  allo  studio 
delle  afone  v.  n.   119  sgg. 

Siìif/ole  vocali  toniche. 

I  ed  U. 

Sia  in  sillaba  aperta  che  in  sillaba  chiusa  sono  lunghe  ; 
ma  in  posizione"  presentano  turbamento  e  riduzione. 


'  Nelle  vocali  estreme  non  si  ha  turbamento  alcuno.  Ma,  almeno  per  ti, 
non  escludo  ch'esso  un  tempo  vi  sia  stato  e  che  la  vocale  si  sia  oscurata 
di  recente  :  l'indizio  è  oti'erto  da  nilh  di  fronte  a  noena:  dove  uno  schiari- 
mento forse  ci  fu,  poiché,  oltre  che  dalla  nasale,  esso  poteva  essere  pro- 
dotto dalla  palatale  precedente,  v.  n.  15. 

Dinanzi  ad  ìh  la  vocale  ora  è  piena  v.  n.  214.  Ma  tracce  di  un  antico 
turbamento  s'hanno  nell'estrema  brevità  ancor  conservata  da  ii  in  fihn, 
piatibn  pavimento  e  nel  passa^^gio  di  pritn  a  prilin:  n.  4. 

2  Cfr.  SR,  V,  98. 

'  Nello  studiare  le  vocali  toniche,  distinguo  i  casi  di  sillaba  a  p  e  r  t  a  [l] 


222  Terracini, 

i  —  [I]  1.  In  sillaba  aperta  l  :  dire,  rire,  vira,  yan/iva  gen- 
giva, skrire;  dif  dice,  rit  ride:  -ile  restii  fil  della  schiena,  fil, 
niril  aprile  ;  via  vivo,  ni  nido  :  inf.  e  parfc.  della  II  con.  :  drilmi, 
miiri,  visti 

[IIj   2.   In  sillaba  chiusa  ^n'-s-Za,  rista  canapa \  r/ò-Ci  accesa '-. 

[Ili]  3.  In  posizione,  come  dimostra  la  comparazione  3,  si 
produsse  originariamente  un  turbamento,  segui  pili  tardi  un  rein- 
tegramento della  vocale,  ma  all'interno  di  parola  il  turbamento 
cagionò  la  progressione  d'accento  :  fin  figlia,  lantin  lenticchia, 
vini  vigna,  salitisi  salciccia,  reci  ricca  e  inoltre  stisi  goccia 
V.  §  3  *.  In  finale  la  vocale  reintegrata  può  essere,  secondo  i 
casi,  di  lunghezza  assai  varia,  v.  n.  133:  //V,  -iclu;  ambiìrii^, 
saoil  pungiglione,  ecc.  ;  trankuil,  kiipis  nuca,  iskrit,  rik  ^. 

Evoluzione  condizionata".  —  4.  Per  influenza  di  labiale  si 


da  quelli  di  sillaba  chiusa  [II]  e.  trattando  di  quest'ultima,  per  le  vocali 
che  han  tendenza  a  ridursi,  separo  i  casi  di  forte  posizione  [IH],  do- 
vuta a  nessi  palatali  e  a  doppia,  da  quelli  in  cui  la  chiusura  è  dovuta  ad  s, 
a  liquida,  ad  X,  a  r  doppia  (Mi  servo  dunque  del  termine  'posizione'  in 
un  senso  piìi  ristretto  dell'ordinario).  Considero  infine  l'influenza  della 
nasale  [IV].  Del  resto  mi  permetto  ogni  liberta  nell'ordine  dell'esposi- 
zione, purché  spicchi  chiara  la  storia  complessiva  di  ciascuna  vocale. 

'  K.  8103. 

-  <  *v  i  V  i  s  e  ò  NiGRA,  ZRPh,  XXVII,  345,  e  Salvioni,  Mei.  Chabaneau,  539. 

3  I,  39  e  P.  II. 

*  Inoltre  t^eràt  n.  1.  da  *Vìllar,  che  probabilmente  presuppone  un  *vela 
villa.  In  fì.kà  argine,  mikd  pagnotta,  skrità  scritta,  il  tui-bamento  è  dovuto 
alla  pronuncia  forte,  quasi  doppia,  della  consonante,  trattandosi  di  voci  di 
provenienza  straniera.  V.  la  questione  trattata  al  n.  230.  Nelle  parole  assai 
recenti,  o  dove  per  ragioni  di  analogia  non  avviene  progressione  (v.  n.  230). 
si  ha  ì  :  ahguila,  distise-,  pii^e  morde,  v.  §  3. 

"  Lo  schiarimento  in  malen,  che  è  pur  voce  del  pieni,  rustico,  è  recente  : 
si  tratta  di  una  voce  importata  da  poco,  come  attesta  il  femm.  niaìina. 

^  Sotto  il  termine  di  evoluzione  condizionata  raggruppo  quegli  esiti  i  quali, 
pel  palese  ed  immediato  influsso  di  particolari  condizioni,  li  distinguono 
dall'esito  di  ciascuna  vocale,  che  chiamerei  cai-atteristico.  È  ovvio  osservare 
che  non  mi  valgo  di  questo  termine  se  non  per  pura  comodità  di  esposizione. 


Il  parlare  d'Usseglio  223 

ha  ti  in  priim  (sottile),  ma  questa  voce  veramente  deve  discen- 
dere da  *prèiH  formatasi  a  cagione  della  nasale  (v.  sotto).  Non 
rimane  che  vosf  (visto)  della  Par.  '. 

[IV]  Influsso  di  nasale.  5.  In  sillaba  aperta,  all'interno,  s'ha 
un  trattamento  analogo  a  quello  di  posizione,  v.  n.  o  :  ptrim'i,  {ia- 
lina, spina,  mcijina,  matinà  -  ;  ìinu'i,  prima,  siìntà  cima;  la  per- 
sistenza di  i  prova  ch'esso  nasalizzandosi  non  s'era  di  molto 
schiarito,  si  che  si  comportò  come  un  i  protonico  v.  n.  94*. 
6.  Ciò  ha  un  buon  parallelo  nel  trattamento  in  finale  dove 
pure  non  si  ha  turbamento:  camiii  camino,  kriii.  vcjiii  vicino, 
Kìn  vino,  fmii^  faina:  -inu  heifiii.  cat'iii.  7.  In  sillaba  chiusa 
la  vocale  è  pure  intatta  :  /'  :  kiitfe,  sìiik  cinque  e  vini  ■'  venti. 

u,  I  8.  In  sillaba  aperta  è  ir.  part.  in  utu:  />fl^/?  battuto, 
pulii  potuto,  l'ui'i  venuto,  vulà  voluto,  kril;  pijì,  sii.  fii,  kiil,  fiij  : 
piife  pulce. 

Evoluzione  condizionata.  —  9.  D'influsso  di  labiale  ^  si  ha 
pure  qui  il  diffuso  esempio,  frì'fuhi  patata.  10.  Influsso  di  /•  : 
tinfii.ra  tintura,  mondiirà  macinatura  (v.  ij  :3),  mifiird  misura  ;  la 
comparazione  ci  mostra  che  si  tratta  di  una  vocale  anticamente 
schiarita  e  turbata:  v.  P.  IL  II  fenomeno  pare  recente  e  limitato 
al  suff.   lira  ^,  quindi  si  ha:  diir  duro,   iskiir  scuro,  iniir,   siki'ir, 


'  Cfr.  Co.  viisf.  La  forma  ussegliese  non  è  chiara,  può  darsi  che  si  tratti 
di  un  prodotto  ibrido,  dovuto  all'incrocio  di  vist  con  icfX  che  oggi  ~e  la 
forma  piti  corrente  di  questo  participio  ;  non  e  escluso  però  un  passaggio 
di  vist  a  vii^t,  voest.  per  cui  v.  n.  14.  Per  siibi^r,  fischia,  cfr.  1,  3ó. 

^  Ancora  eiminà,  feisinà,  kiifinà. 

^  Cfr.  Moì-fband,  234  sgg. 

'  I,  58. 

'  Di  questo  turbamento  esistono  tracce  pili  o  meno  larghe  in  qualcuno 
dei  paesi  da  me  esplorati:  ad  es.,  restando  costanti  e  distinti  i  tipi  duru 
e  -atura,  si  ha:  a  Viii  :  ini/ije'ra,  tinta^'ra,  vit'''ra  ;  Momp.  mifìlra,  S.  Di  : 
mi/(eJa,  sintoeT'a;  Ven.  h ^il/unì  ;  insomma  schiarimento  e  brevità  della  vo- 
cale, qualche  lieve  traccia  di  lunghezza  nella  consonante  a  S.  l>i.    e    con- 


224  Terracini, 

diìra,  fskilra.  u  (Jilre  bestemmia,  piira,  fg'dre  rigoverna  cura  t, 
filfilre  3*  p.  tira  un  filo. 

[II]  11.  In  sillaba  chiusa  il:   biisci  ^  festuca,  riìsci  *  scorza, 
siisci  fuliggine  ^,  g'àst^  gusto,  partiis  buco,  ils  uscio.    |  III]  12.  In 


seguente  spostamento  d'accento.  A  Dompierre  turbamento  e  spostamento 
sono  limitati  ad  -ura  :  ZRPh,  XIV,  447  ;  così  pure  nei  "  Mélanges  Vaudois  ,; 
ZFSL,  XXXV,  19  ;  a  Friburgo  :  ZRPh,  XXIV,  233  ;  a  Val  d'Illiez  (Vallese)  : 
RDR,  II,  298  (qui  si  ha  m-Uz^ra  e  hyild^ra,  con  accento  oscillante  tra  la 
Ijrima  e  l'ultima  sillaba,  e  una  serie  di  tipo  hotswoijr^  "  croùte  autour  de 
la  bouche  ^,  pètivoì/r^  (ceinture)  ;  ma  in  questo  secondo  caso,  come  aveva 
già  visto  il  CoRNu  per  gli  esempi  analoghi  della  v.  di  Bagnes  :  Ro,  VI,  383, 
si  tratta  di  -atura  esteso  a  qualche  esempio  di  -ura)  ed  anche  nella  valle 
d'Aosta  (stando  almeno  alle  indicazioni  un  po'  vaghe  del  Ckrlogxe,  10-11). 
Inoltre  lo  Hafelin  raccolse  a  Lignères  (Friburgo),  dove  U  =  u,  djoui-e  (jure) 
e  natoìire  ;  a  Leysin  si  ha  tjjcitarà  tintura  e  forme  analoghe  a  Diablerets 
(Basso  Vallese),  ad^Vo,  dz^Ve  solo  a  Leysin:  Jaberg,  5,6.  Infine  lo  Zimmerli, 

I,  t°  Vili  registra  forme  di  tipo  siier  sicuro,  diier  (duro)  a  Grandval  (Jura) 
e  in  qualche  altro  villaggio  vicino,  alcuni  dei  quali  hanno  pure  il  femm. 
dilp',  che  compare  isolato  a  Vauifelin  e  Romont  ;  nel  Vallese  poi  a  Ardon  : 
dij  diirà,  schiarimento  si  ha  pure  in  due  comuni  dell'lsère  :  A  IjF,  429  n.  912, 
921,  a  Courmayeur  ed  Aosta. 

Eliminati  questi  ultimi  casi  dove  non  si  ha  turbamento,  ma  un  allun- 
gamento analogo  a  quello  studiato  al  n.  13,  scartiamo  pure  i  verbi,  che 
si  possono  ritenere  col  Jaberg  come  soggiacenti  all'influsso  delle  forme 
arizotoniche.  Restano  gli  esempi  di  -u  r  a  :  date  le  forme  piemontesi,  è 
impossibile  amméttere,  seguendo  il  Jaberg,  che  il  turbamento  sia  l'eftetto 
di  uno  spostamento  spontaneo  dell'accento  :  i  due  termini  devono  essere 
invertiti.  La  causa  poi  della  vocale  turbata  e  accorciata  sta  nel  fatto  che 
le  forme  forti  di  -ura  in  questo  territorio  sono  rare  e  non  popolari:  cfr. 

II,  492  e  466,  e  quindi  pronunziate  originariamente  colla  consonante  lunga 
V.  n.  230.  Naturalmente  l'importazione  di  siffatte  parole  continua,  ma  esse 
sono  ormai  assorbite  in  tutto  il  territorio  senza  alcun  mutamento  :  per 
Uss.  V.  App.  I  ;  anche  Jaberg,  6  n*  3. 

i  Fr.  buche,  K.  1673. 

2  Ro,  XXVIII,  106.  K.  8217. 

^  K.  9221.  Qualunque  ne  sia  l'etimo,  si  parte  sempre  da  li  ;  sull'etimo 
cfr.  le  diverse  opinioni  del  Salvioni,  XVI,  370,  e  dello  Horning,  ZRPh, 
XXIV,  557.  Il  tipo  d'Uss.  imbroglia  ancor  di  pia  la  questione  col  suo  s;  ma 
di  tutto  ciò  al  §  8  (v.  la  replica  dello  Horning,  ZRPh,  XXX,  461). 


11  pili-lare  d'Usseglio  225 

posizione  si   lia  briìta  brutta;  in  finale  ora  la  vocale  si  pre- 
senta piena  :  hriit. 

Evoluzione  condizionata.  —  13.  Per  influenza  di  r  Vii  passa 
in  èe:  la  comparazione  mostra  che  questo  ce  è  di  natura  diversis- 
sima dal  seguente,  perché  nei  paesi  vicini  gli  corrisponde  un 
dittongo  di  tipo  m  (P.  II):  cioè  r  allargò  l'ultimo  elemento  della 
vocale,  dando  origine  ad  un  dittongo:  harb  ^  furbo,  Uerba  furba, 
po'vga  purga,  to'rgi  -  (vacca  sterile),  e  va  pur  qui  buru  burro 
probabilmente  da  barn  v.  n.  177  ;  inoltre  il  rifiesso  di  '  corto  ': 
ka'ì't,  kd-rta,  skoerse  ^.  14.  Per  influsso  di  palatale  seguente 
la  vocale  si  allarga  in  (e:  la  cosa  è  chiara  nel  caso  di  contatto 
con  X-  che  chiuda  la  sillaba  dall'epoca  romanza  :  ?(H  (^Hadt) 
luccica,  ardivif  pp.  di  ((rdadrc  reducere  serbare  il  fieno: 
fruita,  Sd'it  asciutto,  s<i'Ua,  fruita  trota,  Sa-ifa  Susa,  e  ancora 
gli  imperf.  cong.  (v.  §  2)  faise,  unse,  sanse;  in  ceé  ^  (grido), 
deverbale  di  iica  *huccare,  il  caso  è  diverso:  la  sola  circo- 
stanza che  la  vocale  era  in  posizione  bastò  a  provocare  il  tur- 
bamento. V.  n.  12.  ed  a  conservarlo  contribuì  forse  pili  l'uso 
rustico  della  parola,  che  il  contatto  con  un  suono  palatale:  cfr., 
infatti,  (jil/'i  (giugno)^.  Per  i  casi  in  cui  la  palatale  precede,  è  lecito 
domandarci  se  essa  sia  davvero  la  causa  diretta  dello  schiari- 
mento, 0  non  piuttosto  si  limiti  a  conservare  più  a  lungo  uno 
stato   di    cose  provocato  dalla  consonante  che   segue:   nana  v. 


'  Cfr.  piena,  biirb  furbo  iGavuzzi). 

^  Piein.  (Gavuzzi)  iurgia  (=  tilrga),  provenz.  turgo  (Mistral  ^=  tilrgó).  Vi 
lieve  essere  immistione  di  un'altra  base  (v.  §  3)  col  taura,  postulato  in 
ZRPh,  XXVI,  668. 

3  I,  500;  XIV,  109;  IX,  217;  XV.  119;  XVI,,  524;  XVII,  94  ;  inoltre  ad  Aosta 
kicert. 

•  AGlIt,  III,  158. 

"  Cfr.  anche  piin,  bile,  n.  35. 


226  Terracini, 

n.  230,  15,  g(iest  (giusto)  ed  infine  la  serie  hra^sk  hraska  agro,  e 
froesf  ^  (logoro). 

[IV j  Influsso,  di  nasale.  15.  In  sillaba  aperta:  ìiìnó,  iìnà, 
karkiind,  skUlmà  schiuma;  pvìmà:  16.  Qui,  come  per  i,  la  per- 
sistenza di  ti  ha  il  suo  parallelo  nella  conservazione  di  il  in 
finale  :   Hi/  uno,  karkiai,   '//Hi/. 

E  ed  0. 

Di  queste  vocali,  una  ha  in  sillaba  libera  un  dittongo  discen- 
dente, l'altra  probabilmente  pure  lo  possedette;  in  posizione - 
esse  si  turbano  e  si  riducono  ^. 

[I]  e  In  sillaba  aperta  l'esito  è  e^  che  può  variare  da  p^  sin 
anche  ad  ei,  esso  si  mantiene  in  tutte  le  condizioni  che  la  sil- 
laba aperta  comporta  (per  l'origine  e  le  tendenze  di  questo  ei 
V.  App.  I).  17  candeìla,  musteila  donnola,  steila,  feila  ;  k/-eire,  heire\ 
vel,  vuìéi,  pu/él,  savél  -  peiì  pelo;  j^eife  pesa,  tei/a  tesa,  preifa 
^Yes^\  preif  "^YQSO,  pei/,  nieif,  ^  ense  margunéij;  neive;  dinanzi 
a  nasale,  all'interno,  il  dittongo  si  è  pure  mantenuto  liberamente: 
dufeina  ecc.^,  istreh/a  strenna,  iiieinii  conduco,  veina  vena  -  peina; 


^  È  infatti  probabilissimo  che  r  un  tempo  avesse  un'articolazione  palatale, 
forse  pili  spiccata,  quando  era  in  gruppo  ;  la  stessa  cosa  però  si  può  dire  di  s, 
V.  n.  187  e  P.  II.  Comunque  sia,  questa  serie  è  in  via  di  perdersi  :  v.  App.  I 
e  n.  11.  I  paesi  vicini  non  danno  esempi  che  chiariscano  la  questione,  nella 
quale  bisognerebbe  tener  conto  della  circostanza  che  i  vari  esempi  non 
sono  nelle  medesime  condizioni  fonetiche  e  del  fatto  che  uno  almeno  di 
essi:  hrcesk-a,  è  recente  (ha  il  k,  inoltre  la  fonte  R.  conosce  nini). 

^'  Su  questo  termine  v.  la  nota  del  n.  1. 

^  Precedono  gli  esempi  di  e  e  seguono  quelli  di  i  e  di  te  separati  da  una 
lineetta.  11  medesimo  sistema  si  usa  nei  §§  seguenti  per  dividere  i  casi 
di  5  da  quelli   di  ù. 

*  Inoltre,  nuveina,  niareina  e  streinu  (v.  §  3). 


11  parlare  d'Ussoglio  227 

in  tinaie  v.  n.  2!).  —  Evoluzione  condizionata  :  Quando  il  dit- 
tongo sia  riuscito  finale  per  la  caduta  alquanto  remota  di  una 
consonante,  esso  si  allargò  in  r//,  donde  ora  eL  18.  -etu: 
hìiìéi^,  pnHuc'l  n.  1.  Avv/  crede,  rei  rete,  rei  ''^  ®'  vada  pure  qui,  trel 
—  del  ^^'^^'  ^-i  t*6ve,  nel  ii^ve,  nel  'nevica,  sei  sjjte,  rei  ^'<^<i<?- 
19.  Quando  sia  seguito  da  vocale  ^  e/  non  muta  il  suo  colore, 
i/c/f'  pi.  bietole,  hutei^i,  munem  moneta,  sevi  criniera,  tneut 
taneta  ;  restano  foii'i  -  pecora,  feta,  cui  fa  riscontro  il  plu- 
rale   /V    (da    "Y'^'i''    V.   n.   'l'12),    e    km    *cleta.  sorta  di  siepe. 


'  Questo  (  non  e  un  riempitore  di  iato,  ma  certo  è  un  elemento  del 
dittongo  che  si  è  consonantizzato  dinanzi  alla  vocale.  Tutta  la  storia  di  e 
in  queste  condizioni  lo  dimostra  (1,  102);  è  bensì  vero  che  vai  Soana 
ha  e  invece  di  e»  e  che  tali  forme  con  e  ricorrono  anche  in  piemontese 
(v.  Zalli,  fea,  miinea  ecc.),  ma  si  tratta  d'un  X  caduto  tardi,  infatti  in  pie- 
montese si  ha  persino  corea  correggia  (Zalli)  dove  Vi  da  gj  si  produsse 
certissimo  (efr.  Devaux.  29). 

-  E  C"in  *c  1  e  t  a  graticcio,  che,  in  questo  significato,  è  recente,  Vfiu  vedo, 
crflu.  b''{u,  in  cui  l'apertura  della  vocale  è  dovuta  all'analogia  del  n.  18. 

Questa  serie  iri  molti  altri  luoghi  si  scinde  in  due  serie  diverse,  di  am- 
piezza oscillante;  questa  divergenza  dipende  senza  dubbio  piti  dal  vario 
uso  delle  parole  che  dalla  loro  particolai-e  struttura  fonetica  :  efr.  Lavallaz, 
41.  Talvolta  feta  si  accorda  con  altre  voci,  specie  con  credo  (ZRPh, 
XIV,  417  ;  ZFSL.  XXV,  13  ;  Odix,  34-5)  ;  ma  altre  volte  il  suo  esito  può 
essere  isolato  :  p.  es.  a  Friburgo,  ZRPh,  XXIV,  220.  Quanto  ad  Uss.,  faui 
risente  senza  dubbio  dell'influsso  del  plurale,  certo  assai  più  usato  del  sing.: 
dato  *feia-ff'.  s'ebbe  :  1"  *f('a-ff,  per  influsso  del  plur.  che  non  aveva  nep- 
pure da  provocare  la  caduta  di  l  ma  solo  da  aiutarla,  perché  ci  fu  un 
momento  in  cui  ogni  X  ebbe  tendenza  a  cadere,  n.  222  e  App.  I  ;  2"  il 
plur.  impedì  il  chiudersi  di  fea  in  *fin,  ma  quando  ogni  dittongo  di  questa 
specie  divenne  ascendente,  *ff'a  passò  a  fm,  donde  ft^ld,  falci  ;  -  Icld  (sorta 
di  siepe  che  chiude  i  recinti  delle  pecore),  (park),  si  oppone  foneticamente 
a  bieip.  È  voce  diffusa  in  questo  senso  nelle  alte  valli  piemontesi  ed  in 
Savoia:  ALF(B),  1504,  ckiie;  siccome  vi  sono  varie  maniere  di  cingere  un 
par/c,  in  v.  di  Lanzo  ad  es.  si  fa  pure  uso  di  corde  e  di  reti  (Ce.  filar  v.  an- 
tiquata), klà  e  probabilmente  voce  giunta  fin  qui,  insieme  al  corrispon- 
dente modo  di  chiudere  i  recinti,  dalla  vicina  Savoia,  dove  kl'a  è  normale. 

Archivio  glottol.  ital..  XVII.  Iti 


228  Terracini, 

20.  Per  influsso  di  semivocale  seguente  il  dittongo  si  perde: 
yinfvru    ginepro,    (/cviru,    che    presuppone    *geuru  ^    v.   n.    132. 

21,  Dinanzi    ad    una    palatale    che  precede   si  hanno  i  soliti 
esempi  di  ì  :  eifil  aceto,  ixils,  piei/l  piacere,  sina  cena,  siri  cera. 

[II]  In  si]l3,ba  chiusa:  22.  Dinanzi  ad  s  suona  e:  «rfs^a  resta, 
kresta,  resti  (lisca),  in  finale:  Ust  ;  dinanzi  ad  2  è  un  e  che  com- 
binandosi colla  semivocale,  forma  un  dittongo  secondario  che 
subisce  le  stesse  modificazioni  del  primario  :  feira  fiera  -,  dreita, 
freida,  streita;  in  finale  si  ha  pur  qui  la  vocale  chiara:  -escit 
3"  p.  pr.  ine.  :  kapél,  riisél  riesce,  vivél,  ecc.  ^.  23.  Se  però  la 
consonante  finale  persiste,  allora  i  cadde  e  la  vocale,  che  un 
tempo  doveva  essere  breve,  si  intorbidò  e  quindi  si  integrò,  al- 
largandosi in  a:  dràf  dritto,  fràt  iveddo,  s^7-a^  (stretto) '*,  prove- 
nienti dagli  antiquati  drèt,  frèt,  str'èt:  v.  App.  1;  un  esito 
analogo  ha  àst,  proveniente  da  èst  (v.  id.  id.),  derivato  a  sua 
volta  da  *eist^,  v.  n.  187. 

[Ili]  Dinanzi  a  r  implicato  e  nei  casi  di  posizione''  si 
produsse,  sia    in    interno    che    in  finale,  un    forte    turbamento 


'  Il  Nigra  lo  riconduce  col  fr.  givre  a  *g  e  1  i  v  i  t  r  u  m  :  XIV,  282.  Sia 
giusto  0  no  l'etimo,  certo  la  comparazione  coi  paesi  vicini  inostra  che  si 
deve  partire  da  -eivr-. 

^  Qui  si  è  nel  territorio  di  feria.  Cfr.  ALF,  587,  foire. 

^  Onde  le  prime  persone  pure  in  ei  :  henedeisu  benedico,  pafeisii  patisco, 
serveisu  servo. 

*  Occorre  aggiungere:  1°  il  cong,  3*  pars,  in  àt>  *eit:  purtàt,  fefàt  da 
purtét,  fe/f't,  V.  §  2  e  App.  I;  2°  cet  caduto  *c  a  d  e  e  t  u  ,  Salvioni,  RlLomb, 
XXXVII,  627,  1055;  anche  qui  s'ebbe  regolarmente  la  caduta  di  i;  ma  il 
passaggio  ad  a  fu  impedito  dalla  palatale  che  precedeva.  V.  n.  27. 

'  E  probabile  che  si  debba  partire  qui  da  est,  li,  207  da  cui  partono, 
del  resto,  gli  esiti  provenzali  ;  cfr.  Perxoux,  Die  Formen  des  Praesens  Ind. 
ron  Etre,  Neuchàtel,  1909,  58,  est  diede  *eist,  che  in  atonia  viene  rap- 
presentato da  ist  e,  sotto-accento  di  frase,  giunse  a  questo  suo  sviluppo  par- 
ticolare, V.  n.  240. 

*  Su  questo  termine  v,  la  nota  del  n.  1. 


11  parlare  d'Usseglio  229 

nella  vocale  ^  All'interno  ne  segui  per  solito  la  progressione 
d'accento,  alla  tinaie  un  integramento  che  va  da  a  ad  a. 
24.  berla  *pirula  feci  di  capra,  fórma,  tòrsi  treccia,  vèrdd 
verde,  —  pcnil  pregna-,  sèrkiii,  circ'lu  arnese  per  caminiiiar 
sulla  neve  ;  islà  ascella,  aoiii,  sii  secchia,  arii  orecchia  ^  : 
-itta:  cimistó  sottana,  piancità  pedana,  vniltd,  ecc.  ^  ;  inoltre 
riipie'  rughe;  in  grepin  la  vocale  piena  è  secondaria".  25.  In 
finale  :  pàs  pesce,  san  segno,  spas  spesso.  —  frani  fermo,  pdt 
ped'tu.  nàt  netto,  sdk  secco;  —  ittu:  riuld'f  sentiero,  farkd'f 
falco.  In  questa  serie  è  pure  incluso  frdsk  fresco,  che  continua 
direttamente  il  piem.  fre^ìk  o  fresk  •"'.  La  vocale  turbata  o  il  suo 

'  Su  questo  turbamento  in  piemontese  cfr.  Schaedel,  19.  RF,  XI 11,  476, 
SVS,  183;  IX,  199;  XVI.  521;  Salvioni,  IFRPh.,  1,  123  e  n''  1;  It.  Gr.  92; 
a  prescindere  poi  dal  Novarese  e  dai  Gallo-italici  di  Sicilia  (cfr.  XIV,  447, 
e  SGIt.,  V,  84).  Gli  esempi  di  turbamento  conservatosi  alla  finale,  che  io 
conosco,  sono  quelli  di  Viverone  (Mise.  Asc,  252),  di  Biella  (RF)  e  quelli 
che  riscontrai  nel  territorio  da  me  esplorato,  v.  P.  Il,  e  certo,  investigando 
attentamente  la  campagna   piemontese,    se   ne   troverebbero  degli  altri. 

-  Corrispondente  dunque  ad  e,  I,  687. 

^  Pongo  tutte  queste  voci  sotto  l'eia  e  non  sotto  Tela  come  fa  il  Sal- 
vioni per  vai  Soana,  SVS,  24;  è  vero  che  turbamento  e  progressione 
s'ha  tanto  da  lei  a  come  da  i'cla,  ma  i  paesi  dove  le  due  vocali  han 
sorte  differente,  hanno  sempre  per:  orecchia,  pecchia,  esiti  che  risalgono 
ad  •;.  Cfr.  Pral.  oiirelo,  silo,  abelo,  ma:  filo.  Mok.  24.  Ma  a  questo  modo  però 
resta  inesplicato  in  v.  Soana  séji  (secchia),  dove  manca  anche  la  progressione 
dell'accento  (cfr.  pepi  pino).  Non  sarebbe  per  caso  una  forma  secondaria, 
rifatta  sotto  l'impulso  del  piem.  siici  su  *seiph.  tanto  diffuso  in  franco-prov.  V 
(Cfr.  ALF,  1208.  seau). 

'  Bnisie    pustole,  Piaste  ,   Traptè',    Yalta  topon,  kartà  e  fetd  fetta. 

^  Grepia,  cioè,  nacque  per  dissim.  da  *greipia;  questa  attraz.  di  (  è  fre- 
quente: Vili  f/rnp{a,  Momp.  kreiinpie.  V.  molti  esempì  nel  Delfinato 
iDevaux.  p.  319)  nei  paesi  dove  -pi  si  conservò. 

''  Deve  provenire  dal  piemontese,  perché  a  Uss.  s  impuro  non  produce 
turbamento,  v.  n.  22,  e  perché  è  voce  poco  usata,  generalmente  soppian- 
tata da  freddo.  Un  caso  analogo  è  krùp  urto,  piem.  krèp,  cfr.  kerpa  (crepa), 
si  tratta  di  parola  tarda. 


230  Terracini, 

ulteriore  sviluppo  si  vedono  invece,  quando^  per  un  qualunque 
motivo,  la  progressione  e  il  reintegramento  non  poterono  pro- 
dursi. 26.  fòrte  frega,  sècè  egli  secca,  sèhu  io  segno,  stehe  sof- 
focare extinguere,  strèiie  stringere,  fèiie  tingere,  tenu  e  anche 
trèfe  tredici,  sèfe  v.  n.  192;  sièji  soffoca.  —  Evoluzione  condi- 
zionata. —  27.  Influsso  di  palatale:  Dinanzi  ad  h,  è  tende, 
da  poco,  tra  i  giovani,  a  rinforzarsi  :  s'ampene  stehu,  tene  ; 
avanti  ad  un  antico  V.  nei  verbi,  si  ha  i,  che  può  essersi  for- 
mato anche  per  influsso  delle  forme  afone  :  ri^e  veglia,  difvne, 
smiie;  dopo  s  (r),  in  posizione  non  passa  ad  à\  set  questo,  sep 
ceppo,  analogamente  :  cet  caduto  (v.  sopra).  Dinanzi  a  */'  alla 
finale  èi.  divenne  ai  che  ora  tende  a  chiudersi  in  ei  :  artéi 
fr.  "  orteil  „  ,  kunséi,  P^'^'^i^  '"^4  miglio,  suléi,  con  cui  va  cavél 
capelli  ^ 

[IVJ  Influsso  di  nasale:  28.  In  sillaba  aperta  all'interno 
diede  e^  v.  n.  17.  29.  In  finale  questo  ei  passò  in  e:  feri,  tre/'t,  sren 
sereno,  e  ^>j!^f/^  pieno  ^.  In  sillaba  chiusa  si  confonde  coli' esito 
di  e.  SOa.  All'interno  diedero  e:  kmenda  siepe,  kili/enta  bollente. 


^  Casi  particolari.  —  viri  v  i  r  i  a  anello  :  cfr.  Pral.  viro,  Mor.  22,  IG  38, 
Beitr.  119,  GG.  I,  652.  —  iste's  (naeclesimo)  è  corto  d'origine  relativamente 
recente  e  va  studiato  coi  piem.  iste's,  ades;  per  la  questione  generale  di 
questi  riflessi  cfr.  GG,  653,  pel  franco-prov.  :  Lavallaz,  43. 

Kiiri^a  è  notevole  per  l'esito  della  vocale  e  per  la  singolarità  dell'accento. 
L'ALF,  337  mostra  che  in  generale  (Aosta,  Svizzera),  l'esito  di  questa  voce 
corrisponde  a  quello  francese,  cioè  a  quello  di  -età,  quando  non  sia  sop- 
piantato addirittura  dall'esito  francese.  Kùrici  ha  tutta  l'aria  di  essere  se- 
condai-io  e  rifatto  su  un  verbo  od  un  sostantivo  kiirid  che  non  mi  riuscì  di 
trovare  né  a  Usseglio  né  nei  dialetti  affini,  ma  che,  o  col  significato  di 
'  frustare  ',  o  con  quello  di  '  legare  ',  '  cingere  ',  può  benissimo  essere  esistito. 
Qualche  cosa  di  simile  offre  il  lionese  f  Puitspelu)  corr/eon  che,  pur  conservando 
tutti  i  significati  di  coìirroie,  par  tratto  dal  v.  covrii  che  ora  significa  sol- 
tanto '  frustare  '. 

~  Che  per  taluni  è  piin  ;  cioè  il  dittongo  segue  la  via  di  ù"  pi'imario. 
V.  n.  48. 


Il   parlari'  d'Usseglio  231 

liimentn  lamento  (1  p.  s.),  pasieùsi,  pidenta,  ninde  rendere, 
spende,  stende,  tendru,  venie:  bisogna,  divendrit  venerdì,  sempe, 
i/empi  esempio,  prende,  vende,  -  ehgre  inguine,  kumt'ise  comincia, 
Wìuja  lingua;  ii'tsenihiii  insieme.  30è,  In  finale  le  cose  sono  pili 
complicate:  i  vecchi  pronunziano  distintamente  ari,  i  giovani 
un  suono  torbido  che  talvolta  si  confonde  con  àn,  ma  che  spesso, 
se  il  mio  orecchio  nOn  è  schiavo  di  un  pregiudizio  etimologico, 
è  pili  palatale,  e  che  io  segno:  eh.  Da  questo  stato  di  cose  si 
deduce  che  eh  tendeva  a  schiarirsi,  ma  ad  un  certo  momento  si 
turbò,  come  s'era  turbato  a'n  ^  ;  nella  generazione  vecchia,  la  quale 
non  partecipò  al  turbamento,  il  suono  continuò  a  schiarirsi  ;  si 
ha  dunque  :  baiè'nf,  /)endc'iit,  kunfè'nt,  sènf  cento,  vènt,  santinie  ut  ; 
avverl)i  in  -ente:  mahanè' ìit,  jìvoprunnc' )it.  suvcnt  spesso-,  ecc.: 
eii,  appartenente  ad  un  radicale  verbale,  segui  una  via  analoga,  e 
quindi  tra  i  vecchi  è  a/i;  tra  i  giovani  però  non  si  verificò  il 
turbamento,  perché  la  consonante  nasale  non  era  seguita  da  esplo- 
siva. V.  n.  181,  e  quindi,  assai  presto,  assunse  un'articolazione 
debole,  che  non  ridusse  la  vocale.  Quanto  al  colore,  esso  è  eh, 
né  si  può  dire  se  si  tratti  di  un  oscuramento,  pili  o  meno  spon- 
taneo, di  *an,  0  se  l'antico  eà  per  quella  parte  della  popolazione 
che  si  attenne  ad  ènt  non  si  sia  schiarito  :  istén,  peit  pende, 
speiì,  iiféii,  —  preh,  con  cui  può  andare  bre'n  crusca  •'*.  Anche 
il  suffisso  -encu  mantiene  la  vocale  intatta  e  larga:  ralénk 
topon.,    /H'iii    innhré'ik-,    hoti.<éiik;  infatti   qui   n,  essendo   seguito 


»  Cfr.  n.  69. 

^  Tra  le  mie  fonti  piii  arcaiche:  dah  dente,  malkuntith,  mH>nant,pro2)>  i((- 
iiu'int,  pilramunt,  cani  e  anche  :  maniént,  Icuntf'iit  :  questi  r ,  nella  fonte  A, 
i-he  ha  pure  an.  possono  essere  dovuti  a  uno  sforzo  iniperfetto  di  unifor- 
mare la  propria  pronunzia    all'è  predominante. 

"  Nei  vecchi  :  rak,  spaii,  iifdii  e  brah.  Per  altri  particolari  su  alcune 
recentissime  tendenze  e  pei  rapporti  col  pili  antico  turbamento  di  ah, 
V.  App.  I. 


232  Terracini, 

da  k,  non  aveva,  come  in  tutti  gli  altri  casi,  articolazione  den- 
tale e  quindi  non  agi  sulla  vocale.  Parimente  si  ha  tm  {^tens) 
tempo,  mentre  géii  gente,  e  dèh  dente  si  sono  probabilmente 
turbati  per  influenza  delle  forme  recenti  dèni  e  gèni,  che,  dietro 
il  modello  del  piemontese,  hanno  assunta  la  diffusa  finale  in  cut. 
La  1''  pers.  plur.  ind.  che  usciva  in  -emus  per  tutte  le 
coniugazioni  (v.  §  2)  ancora  nella  Par.  suona  e  :  niingién  (22), 
stasén;  poi  passò  essa  pure  in  a/'i  ed  ebbe  proprie  vicende, 
v.  n.  235.  L'antica  desinenza  rimase  nelle  formule  interroga- 
tive, protetta  com'era  dal  pronome  enclitico:  biéhnii?  beviamo? 
SO  e.  Per  influsso  di  palatale  ^-/V  diviene  ^V^,  in  sihdra  cenere. 

o  suona  generalmente  u  in  sillaba  aperta  e  chiusa,  u  in  po- 
sizione ^ 

Usseglio  appartiene  ad  una  regione  in  cui  il  dittongo,  svi- 
luppatosi in  sillaba  aperta,  si  mantiene  o  si  è  trasformato  in 
modo  da  essere  immediatamente  riconoscibile  2.  Ora  ad  Usseglio, 
nella  maggior  parte  dei  casi,  si  ha  ìi,  in  alcuni  0,  in  altri  ci  è 
dato  di  sapere  che  Vu  attuale  discende  da  un  0.  Xon  bisogna 
perciò  affrettarci  a  conchiudere  che  tutti  gli  u  attuali  fanno 
capo  ad  un  0,  ma  al  contrario  :  siccome  i  casi  di  0,  vivo  od 
estinto,  corrispondono  a  quelli  che  nei  luoghi  ove  il  dittongo  è 
palese  non  mostrano  dittongo  ^,  è  lecito  arguire  che  alcuni  esempi 


'  Per  le  oscillazioni  nella  pronuncia  di  questo  n  v.  App.  I.  Pel  valoi-e 
del  termine  'posizione'  v.  nota  del  n.  1. 

^  Cfr.  I,  122.  Pel  lionese,  aggiungi  EPat,  I,  76;  Puitspelu,  XXXVIIl  ; 
cfr.  inoltre  Devaux,  198-9;  (VS),  27,  41  e  per  Viu.  Chial.,  Momp.,  P.  11. 

■''  La  condizione  qui  è  dunque  assai  diversa  dal  Piemonte,  ove  il  dittongo 
è  solo  posto  per  ragioni  teoriche,  soprattutto  per  l'analogia  col  trattamento 
di  e  (cfr.  I,  120;  BhZRPh,  V,  8,  132).  Negò  il  dittongo  il  Parodi,  e  le  sue 
ragioni,  se  fossero  probanti  pel  genovese,  varrebbero  anche  per  il  Pie- 
monte; ma  insomma  il  Parodi  SR.,  V,  94,   sostiene  che  n  in  sillaba  libera 


11  parlare  d'Usseglio  233 

di  u  antico  possono  rappresentare  un  dittongo,  che  quasi  sicu- 
ramente era  ou.  Anche  alla  stregua  di  questo  criterio,  non  è 
possibile  distinguere  tutti  i  casi  in  cui  s'ebbe  dittongo,  perché, 
come  vedremo,  nei  paesi  adiacenti  esso  ebbe  uno  sviluppo  assai 
vario  e  reso  piii  complicato  da  ogni  sorta  di  incroci  e  di  influssi 
analogici. 

I|  31'Y.  In  sillaba  aperta  hanno  l'c.  -osu  '^r////^^/s  orgoglioso, 
nHhi!<  noioso,  (jìtitija  gioiosa,  pluf  a  pelosa,  sprijn  \  -ore. 
dìdùr,  lana-,  calùr,  lidio-,  fiiir,  dir;  ]>ntre  piange,  ura  ora,  nia- 
liira  —  dfure  sopra;  ula  olla  ^  sid,  sula,  hde  cola  —  !/ida;  dttva 
doga,  kiive  cova,  lum;  kii  cote.  In  lupo,  niivù  nipote.  Slh.  Hanno  o: 
1°  snor,  Sfiora,  voce  che  sta  da  sé  anche  in  altri  luoghi 
{V  S.28),  lora  lupa,  forma  arcaica  fossilizzata  in  un  modo  di  dire  : 
V.  §  3.  2°  alcuni  verbi  in  liquida  a  tema  sdrucciolo  con  accento 
spostato:  niarinoru  mormoro,  trimoln  tremo,  sìikolu  cammino  stra- 
scicando gli  zoccoli.  '?>^  rimangono  de/more  (si  diverte),  lavnre  ^  : 
in  tutti  questi  verbi  si  ha  o  per  ragioni  analogiche'':  essi  furono 
attratti  nella  serie  verbale  con  alternanza  di  tipo  :  ó-h  (v.  §  2). 
31/a  pru  ìius  noi,  ras,  ahkur:  Vn  di  questa  serie,  tutta  di  voci 
semiprotoniche,  discende  certo  da  o.  di  cui  s"hanno  ancora  esempi 
in  fonti  arcaiche  (v.  A.  I).  e  pure  ad  o  risalgono  i  proparossi- 
toni  :    ìjuLHi  giovane,  rul  rovere,    dufe    dodici  ^.    —    Evoluzione 


può  benissimo  risalire  ad  o  piuttosto  che  ad  un  dittongo,  perché  anche  in 
sillaba  chiusa  s'ha  ora  n,  che  pure  non  discende  da  un  dittongo.  L'esempio 
di  Usseglio,  che  certo  si  ripete  anche  altrove,  sta  a  provare  che  si  può 
avere  da  fonti  diverse  un  esito  solo,  o  per  essere  pili  precisi,  due  esiti 
assai  simili,  perché  il  primo  ii  è  certo  assai  pili  antico  del  secondo,  inoltre 
è  lungo,  mentre  l'altro  in  parecchi  casi  è  breve. 

*  Mkveu-Lììbke,  Einfilhr.  100. 

^  Il  primo  di  questi  verbi  potrebbe  anche  aver  o,  I,  220.  Lo    pongo  tra 
gli  esempi  di  o  solo  a  cagione  del  piemontese  da/mnra. 
'  Cfr.  però  anche  il  n.   153. 

*  Pei  proparossitoni  cfr.  VS,  n.  26,  21.   Pau.  f/iornn.  (12). 


234  Terracini, 

condizionata.  —  Influsso  palatale.  32.  Si  ha  oscillazione  tra 
ò  ed  r>:  kroif)  voi/,  iioif  noce;  -ori a:  dcanoiri  'dipanatoio' 
arcolaio,  inesoiri  falce  messoria. 

[IIJ  In  sillaba  chiusa  l'esito  fu  0  che,  quando  non  fu  tratte- 
nuto, 0  trasformato  da  condizioni  speciali,  si  oscurò  in  u.  33a.  Di- 
nanzi ad  s'""*-  kmsta  crosta,  kiisfe  costa,  musei  mosca,  susta  ri- 
paro; ma:  mostu  insegno;  qui  o  si  conserva,  perché  si  tratta 
di  un  verbo  in  condizioni  analoghe  a  quelli  del  n.  31rt.  33è.  Di- 
nanzi a  *u:  dus  dolce,  kuge  corica,  mii/e  mungere,  pus  polso, 
skide  ascolta.  33c.  Seguito  da  palatale,  esso  oscilla  tra  o  ed  o: 
cfr.  n.  32:  v'è  la  serie  con  nasale:  goitta  giunta,  poiita  punta, 
traponta  (trapunta)  coltrone,  isponfa  ^  polmonite,  vanta  unta,  kont 
conto  ^,  pont  punto,  tutti  casi  dove  /  cadde  di  recente,  v.  n.  185. 
33c?.  Dinanzi  a  liquida  si  ha  o,  spesso  ó,  probabilmente  pro- 
venuto da  quel  *uo  cui  fan  capo  gli  esiti  dei  paesi  vicini,  v.  P.  II  ; 
morii  faccia 3,  diskorii  (discorro);  lorf^  lorda,  bork°  bifurcu  tronco 
forcuto,  f/orti,  torta,  foni,  aiiforiiu  inforno,  forum,  ars  orso,  korhe 
curva,  farci  forca,  borsa,  destarbe  (disturba),  kart  (cortile),  rarp, 
sekórs  —  arlu  orlo  —  hintórn  contorno,  intoni,  tome  ritorna,  torna 
(di  nuovo)  ;  inoltre  :  kolp,  porpa  polpa  ;  dove  la  liquida  da  un 
pezzo  non  chiude  pili  la  sillaba,  s'ha  u  :  trns  torsolo  —  sufni  zolfo. 

[Ili]  34.  In  posizione*^  gli  esiti  attuali  fan  capo  ad  a  che 


'  Pieni,  punùt,  Bridel:  epoin,  s.  m.,  questa  forma  e  l'ussegliese  provano 
che  nella  voce  savoiarda:  epoyntes,  si  ha  un  vero  prefisso  e  non  un  artic. 
plurale  agoflutinato,  come  pensa  il  Desormeaux,  RPhFP,  XX,  76. 

^  Questa  voce  deriva  o  è  in  relazione  con  *c  o  g  n  i  t  a  r  e,  sulla  cui  diffu- 
sione nell'Italia  settentrionale  e  sul  cui  significato  si  occupò  a  più  riprese 
il  Salvioni,  XIV,  213;  SVS,  184;  hosii  è  piemontese,  quanto  all'o  cfr.  it. 
bosso  e  I,  146. 

3  K.  6389,  642.5. 

'  K.  5750. 

5  K.  1378. 

"  V.  la  nota  al  n.   1  sul  significato  di  questo  termine. 


11  jìarlare  d'Usseglio  235 

dovevci  essere  una  vocale  brevissima  e,  almeno  all'interno,  torbida. 
All'interno  essa  produsse  progressione  d'accento;  in  finah^  rimase 
assai  breve,  ed  è  ormai  (juasi  completamente  discesa  ad  a.  Per 
le  ultime  tracce  di  <>  v.  App.  I.  All'interno:  bìdà  bottiglia,  ruià 
rotta,  tuia  tutta,  muta  \  bh^^d  betulla,  ki(})d  coppa,  ru1xu  rocca, 
pilpó  poppa,  buci  bocca.  riisA  rossa,  brus'c'  pustole-,  iiiufà  muffa''; 
quando  non  si  potè  produrre  la  progressione,  si  ha  ò^  piuttosto 
chiuso  :  iJiJotQ  gocciola,  ijbrote  bruca  \  e  ijoiit  congiungere. 
vone  ungere  ;  ma  ìhcq  tocca  :  non  credo  che  si  possa  trovare 
una  spiegazione  l'onetica  di  questa  differenza  ;  è  invece  chiaro 
che  tutti  questi  esempi  si  reggono  su  analogie  morfologiche 
di  vario  genere,  v.  ij  2.  In  finale:  lìii'ik  moccolo,  pH!<  pozzo. 
ras  rosso;  n'it  rotto,  rftt  rutto,  silt  sotto,  tns  tosse,  fid  tutto; 
-ucclu:  f/f/«/W  ginocchio.  /"///'/,  S{.'/7J^'^/,  serpillo.  35.  Per  influsso 
di  palatale  in  finale  oltre  a  pilli  '",  si  ha  kii/f  cuneo  e  biìc  ciuffo 
(pieni,  b/ic)  ;  o,  conservato  dalla  natura  della  consonante  se- 
guente, passa   ad  w:    ws    orcio,    ontit'ii  da    "^oufó/n    autunno  •". 


'  K.  6:S21. 

'"  K.  1604  e  incerto  se  qui  o  con  n  :  silpà.  K.  9271.  Inoltre  :  L-nda  (gomito) 
V.  n.  192. 

3  K.  6336. 

*  Cfr.  prov.  hroìd  germoglio,  brouta,  cAhroitfa.  germogliare,  brucare  (Mi- 
stkal\  serie  distinta  da  brDust,  broitstd  (t'r.  brouter).  v.  §  3. 

^  Se  non  si  tratta  addirittura  di  u.  Cfr.  XVI.  119;  X,  446.  In  lun  (cfr.  pel 
colore  della  vocale  SVS,  30)  l'incontro  col  nesso  palatale  è  relativamente 
recente.  Cfr.  Par.  Inng  (5). 

^  Che  si  tratti  di  u  e  non  di  (7  dotto  è  provato  dal  fatto  che  in  tutto 
il  Piemonte  ii  è  sconosciuto:  cfr.  Mkulo,  1.  e,  66;  che  si  tratti  di  au- 
tumniu  non  crederei:  tal  base,  non  molto  diffusa,  si  trova  in  regioni 
lontane  dal  nostro  territorio  (Merlo,  1.  e  ,  68),  d'altra  parte  m  n  non  di- 
viene mai  «in  autumnu;  infine  una  forma  come  quella  di  Monipel: 
utnifi  [ma  g'ùn  (giugno)  dice  che  in  qualche  paese  si  deve  partire  da  olti]. 
Bisogna  pensare  che  si  ha  da  fare  con  una  jiarola,  che  non  e  popolare  nel 
lessico  romanzo  (cfr.  Meulo,  58\  che  si  è  diffusa  tardi  e  (juindi  corre  facil- 


236  Terracini, 

Metafonesi  cagionata  da  /  finale  si  lia  in    dripi^    due    e    natural- 
mente in  foeifi  tutti  ^ 

[IV]  Influsso  di  nasale  S6  j^èrsuna  ,  trema  .  37  In  finale  era 
un  0  che,  fatta  rarissima  pronunzia  arcaica,  ora  suona  u  ^:  mun 
mio,  tiiìì,  sìDi,  -one  cardini  cardone,  fìsiim  pazzia,  nuiì  nome, 
pèrfùìì  prigione,  tifùn  tizzone,  cjcdùn  fiori  del  salice,  Mariihì  Ma- 
netta. 38.  Sono  qui  confusi  gli  esiti  di  o.  La  Par.  ha  o  che  ora 
suona  U\  brunda  fronda,  f/iinfie  gonfia,  rihidula,  sunyu  sogno; 
rmuju  rumino,  nmte  rompere,  niiinfe,  travunde  inghiottire,  ungia, 
uììfe  sìin/i  sugna;  fnììf  fondo,  rnmd  rotondo,  pimf  ponte,  — 
umbra,  kulùmp,  pjimp.  Ma  la  Par.:  anconta  (21),  donc  (32), 
abondan  (18). 


E    0. 


Queste  vocali  in  posizione^  non  si  abbreviano:  in  sillaba  aperta 
e  chiusa  presentano  tracce,  antiche  e  recenti,  di  dittongazione. 


mente  il  pericolo  di  essere  stroppiatas  L'esito  di  tipo  utóin  (o  tituh)  è  diffuso 
nelle  v.  di  Viù  e  di  Susa  (v.  P.  Il),  a  Mathi  (Canavese)  :  utoe'n,  a  Pral  e  a 
Neu  Hengstett  (Mok.  n.  43)  e  inoltre  si  estonde  alla  Savoia:  oift-fl»  S.  Paul, 
eutwan  a  Sannjens  (cfr.  Costantin  e  ALF  automne),  e  per  la  Savoia  siara 
sicuri  che  autumnu  è  venuto  di  recente  a  soppiantare  ima  voce  più 
antica  di  cui  rimangono  tracce:  cfr.  Merlo,  p.  79.  L'insolito  n  finale  fu 
dunque  soggetto  a  stroppiature  ;  mentre  le  regioni  finitime  lo  conservano 
meglio  (Francia  e  Piemonte),  questo  territorio  lo  assimilò  imperfettamente, 
palatalizzandolo  in  vario  modo,  o  modificandolo  in  altra  guisa;  (cfr.:  dant 
danno,  Gilvant  e  otqnt,  VS,  135). 

'  L'alternanza  tra  tut  e  toeiti,  diffusissima  nel  franco-prov.,  prova,  se  pur 
ce  n'è  bisogno,  che  la  vocale  il  di  fili  in  piem.  e  loinb.  è  dovuta  all'ana- 
logia del  plurale,  dove  è  prodotta  dalla  metafonesi,  come  sosteneva  il 
Salvioni  contro  la  nuova  base  proposta  dal  Niora  (Ro.  XXXI,  526,  AGIt, 
XVI,  600). 

'^  V.  App.  1.,  Par.  ton  (27i,  porsion  (12). 

^  Su  questo  termine  v.  la  nota  del  n.   1. 


Il  parlare  d'Usseglio  237 

e.  Questa  vocale  solo  in  alcuni  rari  casi  presenta  le  tracce 
evidenti  di  un  dittongo,  altrimenti  l'esito  attuale  è  e.  In  esso 
consuonano  esempi  di  età  ben  diversa,  come  risulta  dalla  loro 
diversa  diffusione  e  distribuzione  geografica  (v.  P.  Il);  sani  mia 
cura  d'indicare  sin  d'ora,  per  mezzo  di  cenni  comparativi,  quelli 
che  sono  relativamente  più  recenti. 

[I]  L'esito  comune  è  e  :  39.  fevra  febbre,  lere  leva,  levra  lepre, 
pera  pietra,  par  pera  palpebra  ',  Perù  Pietro,  arkarìsél  arcoba- 
leno, fel,  (/d  gelo,  ainél:  pr  piede,  dapé  vicino,  ^rt'i/>(' treppiede. 
Pei  proparossitoni  che  non  sono  popolari,  cfr.  App.  I  :  invera. 
—  Dinanzi  a  r  la   vocale  s'allarga:  erf^  era,  ier  ieri-. 

Condizioni  e  tracce  del  dittongo.  —  40.  Influsso  di  palatale: 
des  dieci  è  recente:  tale  si  dimostra  per  la  consonante  conser- 
vata ^,  né  la  cosa  è  strana,  perché  in  queste  valli  la  serie  dei  nu- 
merali perse  già  qua  e  là  molti  dei  suoi  rappresentanti  antichi  ;  i 
composti  giìiù'  19,  giwt  18  (jisét  si  spiegano  assai  bene  partendo 
da  "^'die  che,  trasportato  in  atonia,  ha  palatalizzato  la  consonante  ^  ; 
anche  pes  peggio,  che  si  presenta  senza  dittongo,  come  voce  non 
popolare,  in  moltissimi  luoghi  [W  II)  è  recente;  lo  stesso  si 
può  dire  di  lef  legge  e  le/e  ;  intìue    antér,  anffri  (intero)    è    un 


'  È  pur  forma  piemontese  e  valsoanina  ;  del  re.sto  palpetra  è  di  tutta 
l'Alta  Italia  (Beitk.,  85).  Il  piemontese  ha  però  anche  parp/ila  e  Val  Soana 
parpejra;  ma  parpeila  è  probabilmente  una  contaminazione  di  parpera  e 
di  peil  pelo,  fenomeno  abbastanza  naturale,  se  si  pensa  che  in  piemontese 
anche  le  ciglia  si  dicono  parpeile.  Allora  può  darsi  che  parpejra  sia  forma 
secondaria,  nata  da  parpeila  per  assimilazione  projifressiva,  o  prodotta  dal- 
l'incrocio con  parpera. 

•  Pel  dittongo  v.  1.  174. 

^  In  queste  valli,  nei  riflessi  di  decem,  la  condonante  finale  suol  ca- 
dere; cfr.  Vili  :  diia,  (ma  kmef  croca)  \  del  resto  la  forma  (jiire't  prova  che 
a  Usseglio  la  consonante  era  anticamente  caduta. 

*  Infatti  non  si  può  pensare  ad  una  palatalizzazione  di  d  dinanzi  al  sem- 
plice /,  perché  e  fenomeno  sconosciuto  a  Uss.  e  in  tutti  i  dialetti  af6ni. 


238  Terracini. 

esempio  fittizio,  v.  n.  215.  Per  le  probabili  tracce  di  dittongo  in 
meu,  mei,  v.  n.  119.  L'i  di  niie,  necat  (annega),  sin'  secat 
(miete),  probabilmente  non  è  che  il  prodotto  analogico  ^  delle  forme 
atone,  v.  >^  2-.  41.  Influsso  di  nasale:  si  ha  i  che  la  compa- 
razione mostra  essere  il  prodotto    di   un  *ie  precedente  ^,  tinUy 


'  E  se  l'ipotesi  Ji  quest'analogia  potesse  essere  esclusa,  non  per  questo 
risulterebbe  cIk;  /  proviene  da  un  *ifi-  Bisognerebbe  poter  essere  sicuri 
che  i  è  il  prodotto  diretto  di  g  intervocalico,  seno  rimarra  sempre  la  pos- 
sibilità che  i  sia  un  semplice  effetto  di  iato. 

•  Inoltre  miste  mestiere,  gie/a  chiesa,  silmiteri  cimitero,  ciré  fi  (ciliegia), 
tutte  queste  voci,  ma  specialmente  l'ultima,  si  mostrano,  o  per  ragioni 
lessicali  o  per  aspetto  fonetico,  recenti  o  non  popolari. 

•^  Io  ritengo  che  sia  bastata  la  risonanza  nasale  a  chiudere  il  dittongo. 
Il  Salvioni  (SVS,  §  159),  per  le  forme  analoghe  di  Val  Soana  tin,  tenes, 
tint,  t  e  n  e  t  ;  rih,  vini,  osserva  che  l'i  "  è  il  prodotto  di  ,/e/,  seguito  forse 
da  n  HieJHH  con  ;7  della  prima  persona  vieùo  „.  Ma  min  mio  (V>S,  12), 
ciii  (cane),  ci  dispensano  dal  dover  ricorrere  a  tal  trapasso  complicato,  contro 
il  quale  milita  un  argomento  negativo  non  trascurabile  :  la  1"  persona  in  ge- 
nerale subisce  l'analogia  della  2*  e  3''',  piuttosto  che  imporla  ;  ne  offre  nu- 
merosi esempi  Usseglio  (v.  n.  18,  22),  e  par  che  si  tratti  di  una  tendenza 
generale  secondo  quanto  rilevò  il  Jaberg,  54.  Le  carte  dell'ALF  {je  viens, 
vieni,  tieni)  non  illuminano  molto  la  questione,  solo  dimostrano  che  i  alla 
2*  e  S'^  persona  non  è  frequente  nella  zona  franco-prov.  :  ora,  poiché  nelle 
valli  piemontesi  esso,  al  contrario,  prevale,  vien  naturale  di  attribuirlo  alla 
pronunzia  faucale  propria  del  Piemonte.  Lo  stesso  vale  per  cìiìen  ALF,  277, 
mien  853,  e  bien.  Poiché  credo  che  si  debba  porre  in  questa  serie  anche 
hi'ti.  Il  Salvioni  lo  esclude,  dicendo  che  si  tratta  di  parola  proclitica  (1.  e, 
§  12),  ma  in  protonia  e  -\-  n  tende  a  schiarirsi,  né  mai  si  chiude.  Un  bel- 
l'esempio di  e  nasale  in  proclisia  ci  è  dato  dai  riflessi  di  rem;  ora,  nei  jiaesi 
dove  rem  =  rieti  sussiste,  trovai  e,  ma  non  mai  i  :  Co.  jv».  Me.  ren.  Del 
resto  le  forme  proclitiche  di  bene  esistono  in  franco-prov.;  ma  sono  di 
tipo  heii,  come  quelle  di  moum  sono  di  tipo  meh;  min  e  l^ih  sono  sem- 
plicemente un  ulteriore  grado  delle  forme  dittongate  ;  infatti  i  siti  che 
presentano  questa  riduzione,  la  presentano  pure  per  chien.  Questo  per 
V.  Soana  ed  Uss.;  quanto  al  bin  piem.,  se  si  potesse  dimostrare  che  non  è  un 
francesismo,  potrebbe  esser  benissimo  ritenuto  come  il  resto  di  una  remota 
dittongazione;  e  non  è  il  solo,  cfr.  P.  II. 


Il  parlare  d'Usseglio  239 

tifi  tiene,  vinii,  vin  viene,  hin  bene,  kiùn  (cfr.  pieni.  la  .■^muna  kuen 
la  settimana  ventura).  Esiti  analoghi  a  questi  si  hanno  natu- 
ralmente in  sillal)a  chiusa  da  palatale  :  42.  pes  '  petto,  let, 
teise  tessere  '^,  mej  mezzo,  mefijórn,  sej  ;  ma  questi  due  sono 
esempi  tardi  ;  il  ])rimo,  infatti,  presenta  anche  la  /  e  del  resto 
sfugge  alla  serie  anche  nei  paesi  che  dittongano,  v.  P.  II  ;  pel 
secondo  si  possono  fare  le  stesse  considerazioni  che  per  des  ; 
infine  pina  pettine  da  * pipnio,  in  cui  la  nasale  chiuse  per  tempo 
il  trittongo''.  V.  n.  41.  l'arinu'nte  dinanzi  ad  un  gruppo  palatale 
si  ha  f.  43.  /»f/  meglio,  rf/  vecchio,  ven  ;  ideile  venga,  ipiie  tenga: 
peji  pezza  ed  anche  i  pili  tardi  presi  prezzo  e  dcsprefie  (pi.  f.). 

[II-Iir|  44.  Dinanzi  a  s  suona  é\  festa  festa,  fnesta  finestra, 
tuìììpesta  grandine,  testa,  resjxi,  vesta  abito,  i-espii  sera,  reste  rimane. 
In  finale  si  allarga  p't'tst,  dijioiést  disonesto,  uuést  che  influì  su 
nnesta.  45.  La  li(|uida  allarga  la  vocale  in  e:  bera  scoiattolo, 
sere:  chiude,  tera  terra;  erba,  dimerku  mercoledì,  nierìii  ixìqy\o,  perd 
perde,  s^rv  cervo,  termu  pietra  di  confine  (termine),  rese  versa, 


^  Mancano  qui  tracce  dirette  di  dittongazione,  come  s'aveva  per  decem; 
qualche  prova  però  soccorre  qui,  ad  es.  la  vocale  chiusa  e  la  scomparsa  di  X 
in  let  e  pes,  la  brevità  delhx  vocale  in  Vet,  prove  che  saranno  discusse  al 
loro  luogo  (P.  II). 

-  Qui,  trattandosi  di  un  proparossitono  che  non  ridusse  la  vocale  mediana, 
il  dittongo  probabilmente  non  esistette  mai.  Cfr.  Me.,  ove  il  dittongo  per 
solito  vive  tuttora,  ttise. 

^  Il  Salvioni  parte  da  *pej[t]nó  (SVS.  65),  cioè  pare  supporre  *pejno  senza 
trittongo,  ma  su  et  la  nasale  non  agisce  (v.  n.  17)  o,  se  agisce  pel  concorso 
di  speciali  condizioni,  non  provoca  la  progressione  d'accento  :  cfr.  l'esito 
di  leni  (lesinai,  da  *leizna.  v.  Soana  lena.  Quindi  fnnu  va  spiegato  come  il 
francese  pigne.  Cfr.  I,  157  ;  il  trittongo  si  chiuse  per  tempo  a  cagione  della 
nasale.  Del  resto  tracce  del  trittongo,  in  questa  voce,  compaiono  nei  dia- 
letti svizzeri  iLavall.vz.  §  69;  Odix.  §  56)  e  in  un  gran  numero  di  forme  sa- 
voiarde: peno  a  Thones,;^HO  a  Lechaux  (Annecy)  e  a  Montagny  (Tarantasia), 
péne  a  Albertville,  che  presentano  l'esito  caratteristico  di  i  innanzi  a  nasale 
(Costantini;  cfr.  anche   ALF,  989,  e   RDK.  II,  266. 


240  Terracini. 

perei  pertica,  diirért  aperto,  yei'p  gerbido  ^,  kaét't  tetto,  Inrérn 
inverno,  serp  serpe,  ves  verso,  Incérs  rovescio.  46.  -ellu  :  bel 
bello,  éa^jg'/,  lambél  labbro-  e /j«?Z  pelle,  bela  bella,  fniela  donna, 
stela  astella  ^.  47.  In  altra  posizione  e  (od  e)  sia  all'in- 
terno che  in  finale:  m'asetit  mi  siedo,  prese,  pressa  fretta; 
bek  becco,  set  sette. 

[IV]  Influsso  di  nasale.  48.  Nei  casi  in  cui  dittonga,  di- 
viene r.  vin,  Un,  bln,  v.  n.  41,  dove  non  ha  dittongato  è  |:  mm 
mio,  V.  n.  119.  In  sillaba  chiusa  ebbe  il  medesimo  esito  di  e 
v.  n.  30. 


*  Cfr.  SNPost.  a  ce  r  bus. 

-  Oscuro  è  filami  fi  a  g  e  1 1  u,  correggiato  che  compare  anche  a  No.  e  Le. 
È  difficile  pensare  a  scambio  di  suffisso  con  -o  1  u,  perché  questo  è  assai  più 
raro  che  -ellu.  Una  parziale  labializzazione  di  l  non  ha  esempio  in  alcuna 
di  queste  vallate.  È  invece  notevole  che  a  Bessans  e  Lanslebourg,  proprio 
dall'altra  parte  di  quel  gruppo  di  monti  cui  fan  capo  le  valli  della  Stura 
e  dell'Orco,  compaia  pure  l'elemento  labiale  :  flavel  (Costantin),  di  cui  si 
possono  trovare  tracce  sin  a  CerneuxPéquignot  (Neuchatel)  fyàvé,  Sembran- 
cher  ;uèit  a  Conthey  (Vallese)  ed'avé  (cfr.  Jeanjaquet  :  Le  fléau  et  ses  parties 
dans  la  Suisse  Romande,  BGIPSR-,  IV,  36).  Sulle  origini  di  questo  r,  se  esso 
si  connetta  col  flavel  bergamasco,  registrato  dal  Lorch,  Altbergamaskische 
Sprachdenkmcilern  less.,  o  se  sia  un  grado  ulteriore  delle  forme  senza  semi- 
vocale che  troviamo  a  Nendaz  flaei  e  in  altri  luoghi  del  Vallese  e  di  nuovo 
a  Lanslebourg  presso  Bessans  (ALF,  580  fléau),  nulla  saprei  dire.  Non  credo 
sia  il  caso  di  pensare  a  qualche  incrocio  con  fi  ab  ellu,  che,  per  quanto 
io  so,  non  assume  mai  questo  significato  (Non  ne  trovo  neppure  alcun  esempio 
in  Meyer-Lubke,  Zar  Geschichte  der  Dreschgeriite,  Worter  und  Sachen  I  e 
neppure  in  ZRPh,  XXXIV,  257,  sgg.).  Comunque  sia,  a  Uss.,  dove  ogni  /re  pri- 
mario e  secondario  si  è  ridotto  a  o?,  è  possibile,  immaginando  un  facile  tur- 
bamento di  a  atono,  passare  da  *flavel  a  fi^fl  per  una  trafila  sul  tipo  *flovel, 
*flilel,  *fiuel.  Anche  a  Lemie,  dove  il  dittongo  si  conserva  aperto  con  maggior 
tenacità,  tale  trapasso  non  è  impossibile,  del  resto  bisogna  tener  presente 
che  siam  dinanzi  a  parola  usa  a  fare  lunghe  emigrazioni  e  a  subire  forti 
mutamenti.  Cfr.  Giixiéron,  RPhFP.,  XXI,  186. 

^  Cfr.  Caix,  Studi  di  etim.,  546. 


11  parlare  d'Usseglio  241 

o.  Fatto  caratteristico  nella  storia  di  questa  vocale  è  la  luaii- 
< 

canza  attuale  di  ogni  dittongo  e  la  scarsità  di  esito  con  ele- 
mento palatale  (f.  Questo  cp  compare  in  una  serie  di  voci  che, 
se  non  è  sempre  chiara  dal  punto  di  vista  storico  e  fonetico, 
è  importante  perché  si  conserva  fissa  per  una  certa  estensione 
geografica,  molti  paesi  rispondendo  ad  te  con  dittonghi  di  tipo 
ne  (sui  rapporti  tra  o,  a-  ne  v.  P.  II)  K  [\].  49.  In  sili,  aperta, 
come  esito  comune,  si  iia  un  (>:  -ola:  l/nsola  nocciuola  ^,  ecc., 
)noh(  mola,  jiiola  ascia,  sola  suola,  skold  scuola,  ro/e  vola, 
dal  lutto;  ììor((  nuora,  <(nfora  fodera,  domi  adopero,  prora  prova, 
provu,  froiK.  pjorc  piovere,  ho  bue,  ditjó  giovedì,  (j'mó  dicia- 
nove,  no  nove,  plot  piove,  r<m  vuole,  pon  può,  e  prima  di  i^  si  ha 
per  solito  o:  koire  cuocere,  /.'o/  cuoce,  -o/-  hoc,  dijloni  slogo. 
Si  ha  dunque  uguaglianza  perfetta  tra  la  serie  che  in  pieni,  e 
in  alcuni  dialetti  alpini  suol  presentare  a^  e  quella  che  negli 
stessi  paesi,  ed  anzi  in  territori  ben  pili  vasti,  offre  la  semplice 
vocale  labiale,  cioè  il  suff.  -ola  -K  mola,  sola,  roh  ^  e  infine  skola. 
Tracce  del  dittongo  palatale.  —  50.  Tra  gli  esempi  seguiti 
da  r  alcuni  hanno  esito  palatale  ;  precisare  di  pili  è  impos- 
sibile, perché  ciascun  esempio  si  trova  iu  condizioni  speciali: 
ìin'er  muore  (ma  v.  sotto),  il  diffuso  sarà  sorella,  for  fuori,  kor 
cuore '\  51.  Per  influsso  di  a  assai  antico  è  pur  palatale  la  dif- 


'  Per  la  storia  di  o  particolarmente  nel  franco-prov.  :  [,  184,  192,  198,  208. 

-   Virole  vaiuolo,  riisiole  rosolia,  kusairqla  grillotalpa,  l-ornola. 

^  SVS,  31. 

*  Che  del  resto  toccano  ben  più  larga  questione.  Ct'r.  1.'219. 

'  Siera  è  un  metaplasma  forse  recente;  può  anche  darsi  che  neppure  il 
tema  sia  molto  antico  in  questa  regione,  nella  quale  esiste  qualche  traccia 
del  tipo  sor  or  e:  v.  il  materiale  riunito  dal  Fankhauser,  RUK,  11,284,  e 
per  l'Alta  Italia  dal  Salvioni.  RILomb.,  XXX,  1508,  inoltre  Co  :  srcn-  nuier 
può  subire  l'analogia  della  1'  persona  ;  for  è  in  semiatonesi  ;  I-or  può  essere 
un  adattamento  recente  di  kcer,  piem.;  sulla  poca  popolarità  di  questa 
parola  cfr.  RF.  XIV,  488. 


242  Terracini, 

fusa  serie  :  f(e  fuoco,  (Jw  giuoco,  lo-  luogo,  alla  quale  sarei  tentato 
di  aggiungere  <pf,  che  potè  pure  essere  assai  presto  in  contatto  con 
un  t<  0  M  M  la  medesima  spiegazione  può  servire  per  róe  rotulu 
alone  (I,  339)  cioè  '^'rau,  ma  mi  mancano  elementi  per  sapere 
se  la  parola  è  antica  (esiste  in  vai  Soana:  ré).  52.  Restano 
nwu,  na^oa  (nuovo  -a).  Il  maschile  presenta  spesso  ce  (v.  P.  II),  e 
può  aver  influito  sul  femminile;  ma  \'u  conservato,  come  in  pieni, 
(v.  n.  217),  ci  impedisce  di  classificare  senz'altro  questo  esempio 
insieme  ai  precedenti.  bZa.  Influsso  di  palatale.  Se  essa  precede, 
l'esito  è  palatale:  non  c'è  da  considerare  che  -iolu  arshupJ  usi- 
gnuolo;/?//}/'/ fag'moìo, peiri/'l  paiuolo, /m.wnenzuolo.  536.  Influsso 
di  palatale  seguente:  « /vW  (con)  deve  lo  sviluppo  diverso  da 
-oi  alla  diversa  posizione  nella  frase.  Come  per  e,  la  sillaba  chiusa 
comunque  da  palatale  off're  esiti  analoghi.  54.  In  interno  di 
parola  il  contatto  con  un  elemento  palatale,  sia  /,  sia  un  nesso, 
non  produce  alcun  eff'etto:  la  vocale  oscilla  tra  o  ed  ó:  koita 
cotta,  roida  :  koisi  coscia,  piogl  pioggia;  anoje  ^  annoia,  foli  foglia, 
dispoie  spoglia,  moi^e  immolla,  ron  voglia  ^.  55.  In  finale  le  cose 
sono  assai  diverse:  la  sevie '■'"'^if  è  intatta:  vo/f,  ko/t"\  pei  quali  si 
dovrebbe  tener  conto  dell'influenza  che  possono  esercitare  le  forme 


^  Cfr.  Fr.  Gr.,  75.  Voretzch,  Zur  Geschichte  der  Diephtho)igiening  iin  Aìtpro- 
vemalisclten.  Halle,  1900,  p.  56.  —  Io  penserei  dunque  che  la  vocale  finale, 
come  si  conservò  in  fo{k)u,  si  sia  conservata  anche  in  o  v  u  (cfr.  Einfììhr, 
131\  novu,  donde  si  giungeva  facilmente  a  *Oìi,  *noH\  s'aveva  dunque 
una  serie  alquanto  diversa  da  quella  di  tipo  n  o  v  e  m.  Per  la  discussione 
di  questa  ipotesi  v.  P.  II. 

^  Di  questa  parola  e  delle  seguenti  s'ode  pure  la  pronuncia  q. 

^  E  ancora  groii  (piera.  grceifi)  guscio  e  ploii  buccia;  quest'esempio  è  forse 
recentissimo  :  questo  territorio  conosce  quasi  esclusivamente  una  formazione 
con  suff.  in  -alia;  i)laii  che  non  è  ignoto  neppure  ad  Usseglio  (cfr.  ALF, 
993,  peltire)  ;  si  tratta  dunque  del  pieni.  pla>i(t  (per  cui  v.  più  sotto)  adattato 
alla  fonetica  locale  sul  tipo  foeifi  =  foii.  In  fine:  doit  garbo  doctus, 
NiGUA,  XIV,  364,  ma  v.  Salvioni,  Ro.  XXXII,  281.  che  ricorre  a  d  ù  e  t  u  s. 


Il  parlare  d'Usseglio  243 

femminili,  dato  che  si  ha  nn-f;  ma  questa  parchi,  in  molti  paesi  che 
trattano  questo  gruppo  allo  stesso  modo  di  Usseglio,  consuona 
col  resto  della  serie  :  v.  P.  II  ;  d'altra  parte  i  riflessi  di  noe  te, 
dato  il  loro  uso  in  formole  di  saluto  ed  il  significato  avverbiale 
di  ieri  sern,  assumono  spesso  una  forma  tutta  particolare  ^ 
I  casi  che  seguono  sono  invece  generali  :  (i-f  otto,  pa4  poi, 
ankoei  oggi;  f<jel  foglio,  //rz/'a^^  trifoglio,  m(H  a  molle,  cp/ occhio, 
«vW,  pa'i  posso:  -oclu,  ('(Oidiiom  canapulo,  PÌ<i'X^-  Infine  una 
serie  di  verbi,  di  cui  alcuni  in  io  (v.  §  2):  1"  p.  dnn-it  apro, 
dneinu  dormo^  kroevn  copro,  mreru  muoio  e  li'a'hi  (colgo),  colle 
rispettive  3^  pers.  drmi,  drcem,  ìuoer,  kccL  Azione  di  palatale  a 
distanza  s'ha  in  cergu  orzo,  e  nel  diffusissimo  a'il  '. 

[I[-III  56a.  In  altri  casi  di  sillaba  chiusa  si  ha  o:  iiostii, 
rgstu  ;  monde:  macinare,  mnuta  macinata,  pQ[iu  pollice  :  role  rotola. 
56(5).  La  liquida  vuole  innanzi  a  sé  un  ó  :  forse,  katorf/^  quat- 
tordici, korda,  liorda  'ritorta'  legame,  por;'^  (porta,  3^  P- s.), 
amporte,  torfe  torcere,  torci  torcia;  fori,  korp  corpo,  mors  morso. 
mort,  sort,  torf  :  dinanzi  ad  /:  fol  matto,  koì,  niof.  57.  In  altri 
casi  di  posizione  si  ha  sempre  ó  che  muta  leggermente  di 
valore  secondo  la  collocazione  nella  parola  e  la  natura  della 
consonante.  (>:  fos  fosso,  (jro  grosso,  grosa,  os  osso;  krosi  ^; 
dinanzi  ad  esplosiva,  par  che  suoni  un  po'  più  largo  alla  finale  : 


'  Cfr.  ALF,  696,  hier  ati  soir.  Mo.  accanto  a  ntiet  ha  net.  Irregolarità  in 
questa  voce,  attribuite  ugualmente  a  fenomeni  d'uso,  si  hanno  a  Dompierre 
e  a  Hérémence.  ZRPh,  XIV,  438;  Lavallaz,  54.  A  Val  d'Illiez  (Yallese) 
si  ha  nivi  ma  hwuna  ni,  a  ni,  RDR,  II,  289.  Confronta  Dauzat,  Phonétique 
hìstorìque  dn  patois  de  Vinzelles  ( Aiivergtie) ,  Paris,  1897,  p.  75,  e  infine  I,  192. 

■'  Per  pioeX  cfr.  Parodi,  XVI,  118;  canduvce'i  ha  in  tutto  il  territorio  un 
esito  analogo.  Cfr.  il  piemontese  plagia  di  cui  si  è  parlato  or  ora  e  v.  §  2. 

*  Herzog,  Streitfragen,  p.  104,  e  Haberu,  ZRPh,  XXXIV.  47.  Per  quest'a- 
zione della  palatale  a  distanza  cfr.  I,  193. 

*  K.  2614,  gruccia. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  ,17 


244  Terracini, 

sóku  zoccolo;    -ot   e   suoi    derivati:    hriota   bricciola,   marmota 
ca'pote  tagliuzza,  rangole  rantola  ;    ceirót  capretto^   ^l'iop,  guhlò't 
bicchiere;  infine  krot  n.  1,  e  sgp  zoppo 

[IV]  Influsso  di  nasale.  In  sillaba  aperta  e  chiusa  si  ridusse 
ad  ù  :  58.  huna,  sune  suona. ^  munia  monaca  ;  dinanzi  ad  m  la  vo- 
cale è  rimasta  o,  senza  traccia  di  nasalizzazione  ;  ma  si  tratta  di 
una  serie  che  non  si  può  contrapporre  a  quella  di  n,  perché  è 
composta  soltanto  di  om  ^  e  di  voci  non  popolari,  f/omit  vomito, 
sforni.  In  finale  :  biiù,  trun  tuono.  Per  la  sillaba  chiusa  v.  n.  38-. 


Esso  mantiene  intiera  la  sua  stabilita  e  la  sua  lunghezza  anche 
in  combinazione  coi  suoni  più  corrosivi,  e  persino  in  posizione 
conserva,  quando  l'intonazione  della  frase  si  presti,  una  lun- 
ghezza notevole,    che    ne    forma    la    principale    caratteristica. 

[I]  59.  In  sillaba  aperta  suona  a  :  fare,  frare,  mare,  pare  ;  sieda 
cicala;  fam  ;  negli  imperfetti:  alavè,  munfave,  vesave;  nei  casi  di 
finale:  tnal,  sai;  eiram  rame,  fam,  iam  letame;  naf,  amar,  arar, 
outar  altare;  kal^  tal;    amai  uguale_,   canavàl  seme  di  canapa. 


^  Non  si  può  staccare  dall'obliquo  omu  h  o  m  i  n  e  ,  tanto  diffuso  in  Pie- 
monte e  nel  territorio  franco-prov.,  dove  già  da  tempo  il  Gauchat  dimostrò 
che  per  ragiolii  di  fonetica  esso  è  tardo:  ZRPh,  XIV,  440.  Il  mantenimento 
di  0  in  questa  serie  può  dunque  esser  dovuto,  non  alla  natura  di  ni,  ma 
all'età  recente  delle  parole  che  la  compongono.  Questa  ipotesi  è  avvalorata 
dal  fatto  che  in  altre  regioni  questa  serie  si  divide  tra  o  ed  ìi  :  cfr.  la  di- 
vergenza di  esiti  in  genovese  di  cui  il  Parodi  cercò  una  ragione  fonetica  : 
SR,  V,  99,  e  i  casi  di  homo,  -ine,  stomachu  oscillanti  insieme  a 
monachu  tra  o  ed  u,  cui  accenna  lo  Hettmayeu,  RF,  Xllf,  652.  Si  tratta 
dunque  di  voci  recenti  che,  come  accade  sovente,  si  assimilano  più  o  meno 
facilmente  alla  serie  antica  con  ». 

-  L'elemento  nasale  di  n  oscura  la  vocale  in  befun  che  s'ode  insieme 
a  bf/òn  bisogno. 


11  purlare  d'Usseglio  245 

60.  Negli  infiniti  la  caduta  di  r  non  lasciò  alcuna  traccia 
sulla  quantità  o  sul  colore  della  vocale,  parimente  la  posizione 
tinaie  nel  participio,  sia  maschile  che  femminile,  non  ca- 
gionò alcun  effetto  specifico,  quindi  infinito  e  participio  consuo- 
nano perfettamente  in  timbro  e  in  lunghezza:  ala,  cifd,  munta, 
larà.  Nelle  medesime  comlizioni  si  presentano  le  finali  -a tu 
e  -ata  nei  sostantivi:  fkt  fiato,  j)r((,  fondala  grembiulata,  fucafd 
frustata,  <Jiir/ià  giornata,  Iritd  siero,  piana  traccia  del  piede, 
ru/'('(  rugiada,  travà  ;  parimente  istà  estate,  ardita  eredità,  inoltre 
la  2-''  pers.  plur.  -atis:  /sfa  state,  /)nrtd  portate,  con  cui  con- 
suona l'imperativo  2^  pers.  plur. 

[II-III]  61.  In  sillaba  chiusa  :  lard,  j)arf,  lar<]i,  maska  strega, 
caste  guasta,  suast  corda  e  in  posizione:  vahè  guadagna: 
niiirali  muro,  sunaii  sonaglio,  br((s  braccio;  ^/>-6(/ò' erba  tagliata, 
foudalds.  liimasi  chiocciola,  s'a/ìrabie  si  arrabbia,  (/abia  gabbia; 
maladu;  maci  macchia,  vaci  mucca,  spala  ;  piai,  sak,  strak  stanco. 

Evoluzione  condizionata.  —  Importa  notare  l'indifferenza  pres- 
soché completa  di  a  dinanzi  alla  semivocale  di  qualunque 
provenienza,  in  sillaba  libera  e  chiusa.  62.  Dinanzi  ad  ^:  se 
segue  vocale:  braie  calzoni,  braie  urla,,  piala  frassino,  saiii  salio 
esco.  In  dittongo:  <v/(  va,  /"e//,  y/ira  maggio,  mah  sai  qua,  hn\k; 
pùiirr  piacere,  aiva  acqua,  falsi  fascia,  </raisi  grascia,  laisu 
lascio,  als  asse,  palais,  lait  latte,  fait  fatto,  ficiire  puzza,  mairu 
magro.  63.  Ancor  qui  va  la  solita  schiera  di  ariu  pri- 
mario: a/ì-i  aia,  kiair  chiaro,  kiaira  n.  1.  skiaire  vede,  qiair 
ghiaieto,  yyai/-rt  paia  ^   64.  Dinanzi    a   //:   lait  lago,  fan    faccio, 


'  Le  considerazioni  svolte  in  questi  ultimi  anni,  con  argomenti  indipen- 
denti e  disparati,  dal  Thomas  e  dal  Salvkjm,  Musmjiab.,  640  ;  RlLomb,  1908, 
881,  giustificano  il  considerare  come  popolare  l'esito  di  questa  serie 
di  voci.  Quanto  a  tumaii-i  tomaia  (forme  analoghe  si  trovano  a  Le.,  Me., 
V.  Soana  (SV,  5)  e  in   piemontese),    bisogna   pensare    ch'essa  non  designa 


246  Terracini. 

faggio,  sa /(  esce,  salit,  vatj  vale;  cennula  v.  §  3,  fauìa  tavola; 
(tutu  altro,  aut  alto,  cctu  caldo,  l^an  calcio,  sante  salta^  caìisr 
calzG;  faiis  falso. 

Influsso  di  palatale  precedente.  Siam  giunti  al  fenomeno 
che  è  la  maggior  caratteristica  del  gruppo  dei  dialetti  affini  a 
quello  di  Uss.  ;  esso  tuttavia  nei  sostantivi  appare  ancora 
più  incerto  e  più  complicato  di  quel  che  non  soglia,  e  nei  verbi 
è  addirittura  scomparso.  Quando  fu  tocco  dalla  palatale,  l'esito  di  a 
e  esattamente  parallelo  a  quello  di  e.  65.  cévra  capra,  ceire 
cadere,  cete  compera,  e,  seguito  da  nasale,  chi  cane  ;  cw  (cade) 
qui  come  altrove  è  rifatto  su  /V/V  v.  §  2  casi  caccia,  cat  gatto, 
iscala  scala,  cabérf  n.  1.  casis-  consuonano  cogli  esiti  degli  altri 
paesi  delle  valli  di  Lanzo;  ca,  che  in  piemontese  non  ha  riscontro 
ed  è  certo  da  lungo  tempo  ridotto  a  prefisso  di  nome  locale  ^  par 
veramente  attestare  che  qui  la  tendenza  a  rendere  a  palatale 
fu  men  piena  che  altrove,  ma  in  altre  di  queste  voci  vi  deve 
essere  di  mezzo  una  larga  e  forse  antica  corrente  piemontese: 
infatti  nelle  valli  di  parlata  più  arcaica,  qua  e  là,  or  l'una 
or  l'altra  si  ritrova  turbata-.  Rimangono:  kd  casa,  kar)i  carne, 
kar  caro,  gabm  gabbia,  gal  gallo,  gaina  (catino),  che  sono  pure 


cosa  di  origine  antichissima,  potrebbe  quindi  trattarsi  di  voce  seriore; 
inoltre  è  parola  a  cui  non  è  accanto  una  corrispondente  a  tema  sem- 
plice, che  permetta  di  sentirne  la  finale  come  un  suffisso.  11  Thomas  per 
l'appunto  nota  che  le  derivazioni  dotte  di  -ariti  {rontraire)  sono  fatte  sul 
suo  sviluppo  normale. 

*  Cfr.  Flechia,  SFR,  IX,  700.  Si  potrebbe  obiettare  che  esso  è  in  posi- 
zione protonica  da  lungo  tempo;  ma  dove  si  turbò  questa  voce  mostra  uno 
sviluppo  che,  almeno  in  origine,  è  proprio  della  tonica.  ALF,  278  :  cìiez  nous. 

^  Ciò  accade  specialmente  per  i  riflessi  di  e  a  1 1  u,  P.  Il  :  cosi  al  di  là  dello 
Alpi  l'influenza  francese  ha  già  messo  in  scompiglio  l'area  di  cattu  e  di 
capti  a  con  a  turbato,  mentre  in  scala  e  *a  e  e  a  p  t  a  r  e  il  turba- 
mento, non  mancando  in  francese,  si  conserva  dappertutto  (cfr.  ALF,  chat, 
oliasse,  échelle,  acheter  e  Devaux,  112). 


11  parhiro  cVUsseglio  247 

coinuiii  a  tatta  la  valle  e  di  pili  recente  e  sicura  importazione 
piemontese.  Al  medesimo  stadio  appartiene,  in  tutta  la  valle,  la 
serie:  iiiarkà,  pifità  \  66.  Attualmente  gl'infiniti  dei  verbi  di 
1"  con.;  i  participi  e  tutte  le  forme  verbali,  dove  ricorre  a  tonico, 
non  si  distinguono  in  alcuna  maniera  dall'esito  cui  non  precede 
palatale:  dia  vegliare,  òe//(f  baciare, ///ò'alasciare,  sA-Zó-òv?  accor- 
ciare, fi  ila  giocare,  sui  asciugare,  nii/i(/à  mangiare,  kìi(]à  coricare, 
runt/ii  ruminare,  scà  seccare,  luca  toccare,  sha  segnare  ^  ; 
sostantivi  in  ata:  brasa  bracciata,  biluì  pappa  bollita,  pausa 
panciata,  ra/(d  ragnatele,  kar/à  careggiata,  kiihd  cognato  ;  la 
2'*  pers.  dell'  ind.  plur.  //isà  lasciate,  minfjà  mangiate,  s'eiià  se- 
gnate, travah'i,  vaila  guadagnate;  e  l'impf.  ind.  kumehsavu  co- 
minciavo, cousavìi  alzavo,  miiìfjavu,  anvartukioii,  (jilavu,  trava- 
iava ^.  Dare  per  originaria  la  mancanza  di  un  esito  palatale  è  cosa 
arrischiata,  sia  per  la  posizione  geografica  di  Uss.  (v.  P.  II),  sia 
perché  la  pahitalizzazione  si  manifesta  in  altre  condizioni,  e  specie 
nell'atonia,  abbastanza  forte  ;  d'altra  parte  la  topon.  offre  un 
ultimo  residuo  della  condizione  antica  nel  n.  1.  Marcushì  (Piaz- 
zette, Marcufim)^  certo  composto  con  *calceatu  o  *calceata^. 


^  1  riflessi  di  pie  tale  non  palatalizzerebbero,  del  resto,  neppure  se  fos- 
sero popolari,  come  non  palatalizza  all'atona  freida,  n.  80. 

-  Sulla  storia    di  questi  infiniti  in  palatale  v.  Gauchat,   Ro.  XX VII.  278 

e  p.  ir. 

^  E  ancora  :  d-spui/t,  disfi/i  stigliare,  baid  sbadigliare,  authrasd,  ausa, 
kuman-id,  inasd,  hrti/d  bruciare,  d'fluid,  sunfjd  sognare,  hergd  v.  §  3, 
caryd,  anfungd  sfondare,  rangd  aggiustare,  driicd  cadere,  p'èsid,  knncd  insu- 
diciare, iii'd  gridare,  fica  ficcare,  /varagà  starnazzare,  band  bagnare,  tira, 
vird  (cfr.  LwALLAz,  §  52;  ZRPh,  X  TV,  4:121.  A  maggior  ragione:  raskid, 
stranjid,  vitidd,  rida  aiutare,  infreidd. 

'  La  prima  parte  non  mi  è  chiara  (v.  Jaccard,  259,  Maréchauchée,  Chauchet- 
hvtrais);  ma  per  la  seconda  non  v'ha  dubbio  alcuno  :  il  termine  di  chaussée, 
applicato,  come  è  il  caso  nostro,  a  pascoli,  è  frequente  in  Svizzera,  cfr. 
1.  e    78,  e  tmsìà,  a  Moutier  (.Jura),  BhZRPh,  IV,  39. 


248  Terracini, 

Una  tendenza  del  parlare  ussegliese  può  spiegare,  fino  ad  un 
certo  punto,  questo  livellamento  nei  verbi  della  T*  con.  :  il  dia- 
letto ripugna  dai  dittonghi  discendenti,  quindi  la  vocale  dell'in- 
finito, giunta  ad  la,  come  nei  paesi  vicini  (v.  P.  II),  sarebbe 
presto*  passata  a  ui.  Questo  a  sua  volta  sarebbe  stato  facil- 
mente distrutto  dalla  tendenza,  pure  forte  nel  parlare  ussegliese, 
a  sopprimere  il  primo  elemento  dei  dittonghi  ascendenti,  che  la 
consonante  precedente^  per  sua  natura  prepalatale,  era  d'altra 
parte  assai  propensa  ad  assorbire. 

Tuttavia  il  ritrovare  condizioni  analoghe  in  paesi  ove  questa 
spiegazione  non  vale  (v.  P.  II),  persuade  a  vedere  in  questo  man- 
cato turbamento  un  livellamento  prodotto  dalla  grande  serie  nor- 
male dei  verbi  di  I  ^  ;  ma  un  livellamento  di  questa  fatta  deve 
essere  promosso  da  cause  particolari,  altrimenti  esso  nei  dia- 
letti franco-provenzali  non  sarebbe  cosi  raro  come  realmente  è: 
queste  cause  si  cercheranno  con  più  agio  nella  P.  II. 

67.  Suff.  -ariu.  Parimente  occorre  la  comparazione  per  giu- 
dicare qual  valore  abbia  l'esito  del  suff.  -ariu,  che  è  il  mede- 
simo, sia  dopo  palatale^  sia  dopo  altra  consonante.  Esso  suona 
al  maschile  e  e  al  femminile  eri:  l'esito  dell'atona  vuole  che 
si  postuli  *eiri,  e,  a  sua  volta,  la  caduta  dell'i  mostra  che  la 
vocale  era  chiusa  e  simile  all'esito  di  e  v.  n.  39,  65:  gene  gennaio, 
huvé  astuccio  della  cote,  murU  mortaio,  tU  telaio,  prime  primo, 
i^^a/fri  tessitrice,  ecc.  preceduti  da  palatale:  èer^f  pastore,,  cusé 
scarpe,  giasé  ghiacciaio;  ciriferi  ciliegio,  bergeri  e  i  topon.: 
vaceri,  ramaseri. 

[IV]  Influsso  di  nasale.  68.  In  sillaba  aperta.  All'interno  ora 
suona  (i:  lana,  smana,  rana;  -ana:  funfana,  friistana  frustagno  -, 


^  L'analogia  si  esercitò  anche  sull'atona:  2*  pars.  sing.  imper.  minga,  fiica. 
^  Ancora  gahsana  genziana,  hustana  trave,  phirana  salamandra. 


11  parlare  d'Usseglio  249 

69.  In  finale  esso  suona  breve,  assai  vibrata  e  con  spiccata  tinta 
palatale  à\  dmàn  domani,  gran,  niàn,  pan,  ripiàn  ripiano.  70.  In 
sillaba  chiusa  è  pure  passato  a  à  breve.  Il  passaggio  è  recente, 
infatti  la  Par.  non  ne  ha  ancora  traccia:  àfn^ida  ansa,  ànka  anca, 
caute  canta,  dinànde  chiede;  grànda,  karànta,  piànta,  scànke 
straccia,  tirànta  tesa;  hmpiila,  càinha  gamba,,  tàni/Ht  fossa.  In 
finale  fmììk  fianco,  biciùk  (bianco);  gerundio  1^  con.:  hnlànt  bal- 
lando. Se  segue  consonante  palatale,  s'ebbe  invece  è:  hieiici 
bianca,  frengi  frangia,  meiigi.  niengu  manico,  pmìc/  pedana. 


250  Varia.  —  Malagòli, 


-v  j^:eòx  a. 


i. 

L'ARTICOLO  MASCHILE  SINGOLARE 

nel  dialetto  di  Piandelagotti  (Modena). 


Il  Parodi  nelle  sue  note  Intorno  al  dialetto  d'Ormea  ^  ha 
fatto  una  rassegna  delle  parlate  gallo-italiche,  finqui  note,  in 
cui  si  hanno  due  forme  per  l'articolo  maschile  singolare,  se- 
condo la  diversa  consonante  iniziale  del  vocabolo  seguente,  e 
ha  ricordato  gli  autori  che  segnalarono  il  fenomeno.  Possono 
aggiungersi  all'elenco  del  Parodi  i  dialetti  in  generale  della 
zona  alta  e  media  dell'Appennino  modenese,  i  quali,  come  ac- 
cennava il  Pullè  nella  descrizione  sommaria  dei  Dialetti  del 
Frignano  -,  hanno  ben  tre  forme  di  articolo  maschile  singolare, 
secondo  i  suoni  consonantici  che  seguono.  Io  esporrò  qui  i  casi 
nei  quali  ho  trovato  l'una  o  l'altra  forma  d'articolo  nel  dialetto 
di  Piandelagotti  (Alto  Frignano). 

Si  ha: 

1)  al  (che  è  la  forma  più  comune  dell'articolo  nei   dialetti 
emiliani)  davanti  a  dentale  e  a  palatale:    al  tenpe'-''   il  tempo, 


^  Studi  romanzi,  V,  p.  112. 

^  L'Appennino  modenese,  p.  727  ;  Rocca  S.  C'asciano,  Cappelli,  1895. 
^  Indico  con  «  la  vocal  6nale  semimuta  che  ha  suono  evanescente,  indi- 
stinto (Cfr.  la  Prefaz.  a  questo  volume  àoìV Archivio,  p.  xxv). 


L'articolo  maschile  singolare,  ecc.  251 

al  tm  il  tuono,  al  di  il  dito,  al  nafe    il    naso,    al  zio  ;    al  ciéle 
il  cielo,  al  tjuvc  il  giogo  ; 

2)  e,  davanti  a  labiale  e  a  velare  :  e  pra  il  prato,  e  pa  il 
pane,  e  ho  il  bue,  e  brache,  e  ninnie  il  monte,  e  flciske  il  fiasco, 
e  fiìlmine,  e  fa'cjf.  il  fuoco,  e  ol  il  vino  ;  e  kapelle  il  cappello, 
e  kà  il  cane,  e  (jalle  il  gallo,  e  (java  la  paletta  ; 

3)  H,  davanti  et  /,  r,  s  e  s:  u  lave  il  lupo,  u  lette  il  ietto, 
u  lànpane  il  lampo,  u  re  ',  u  rìfe  il  riso.  //  ramine  il  i-aine  ; 
u  sàie  il  sole,  tt  sasse  il  sasso,  u  sale,  u  saninie  lo  sciame, 
H  sturnelle  lo  stornello. 

Che  questi  vari  riflessi  di  ille  sian  dovuti,  come  nel  piemon- 
tese e  nel  ligure,  a  fonetica  sintattica  sembra  certo  per  la  con- 
siderazione che  i  medesimi  nessi  hanno  trattamento  analogo 
quando  si  trovano  in  mezzo  di  parola: 

Infatti: 

1)  L  resta,  davanti  a  dentale  o  a-  palatale  :  èlle  alto,  al- 
tezza -,  altre  altro,  altare,  saltare,  kàlde,  skaldare,  skalzàre 
'  metter  a  nudo  i  piedi  ',  vmse  venne,  tense  tenne  ;  kalclìia.  calce, 
salcicca  salsiccia  ; 

2)  L  -f  labiale  o  velare  si  palatizzò  in  ^:  àipa  alpe,  a^ha 
alba,  àjbiire  albero,  aihurl'  alberino,  ìnaha  malva,  saivàre  sal- 
vare ;  kaikare  calcare,  kàike  qualche,  kajkosa  qualche  cosa, 
Bulgare    Bulgarelli  (cognome)  ; 

3)  Per  l,  r.  nulla  a  formola  interna.  Solo  per  .s  trovo  false 
falso,  salsa,  pùnse  polso,  voci  entrato  probal)il mente  tardi  nel 
dialetto  e  semidotte. 

A  compensarci  di  tali    lacune    vengono  i  riflessi  di  ille  pro- 

'  U  re,  insieme  con  el  re,  si  legge  in  una  delle  due  versioni  che  per 
Fiumalbo  offre  il  Rapanti,  p.  295. 

'  Con  e  s'indica  l'alterazione  velare  di  e,  suono  più  chiuso  di  w:  e  l'esito 
normale  di  lat.  •;•  T  in  sillaba  chiusa,  a  Piandelagotti  (Ved.  Prefaz.  a  questo 
volume  t\(i\V Archivio,  p.  xxvii). 


252  Varia.  —  Malagòli, 

nome  e  aggettivo    dimostrativo,  che  a  Piandelagotti   corrispon- 
dono esattamente  a  quelli  dell'articolo  ': 

1)  Dav.  a  dentale  e  a  palatale  :  al  duna  egli  dona,  al  tenta, 
al  nèca  e'  nevica,  al  zappa,  al  ciga  egli  urla,  al  gilra  egli  giura; 
kal  tdpe  quel  topo,  kal  dulure  quel  dolore,  kat  nuinnie  quel  nome, 
kal  zilkkare  quello  zucchero,  kal  cergtte  quel  cerotto;  kal  cjuvriQtte 
quel  giovinotto  ; 

2)  Dav.  a  labiale  o  a  velare  :  e  passa  egli  passa,  e  bevve 
egli  beve,  e  munta,  e  ferma,  e  va,  kuand  a  e  viste  '  quando  io 
lo  vidi  ',  e  kamlna,  e  </  a  egli  ha  ;  ke  purceUe  quel  porco,  ke 
hìitere  quel  burro,  ke  mrjtdre  quel  mezzadro,  ke  furmàje  quel 
cacio,  ke  vedre  quel  vetro,  ke  kìege  quel  cuoco,  ke  gatte  quel  gatto  ; 

2)  Dav.  a  /,  r,  s  e  s:  n  lava,  e  m'  a  ditt  k'  u  ridde  '^m'ha 
detto  ch'egli  ride  ',  a  u  so  '  Io  so  ',  u  samma;  ku  ladre,  hi  rudu 
quel  rotone,  ku  sàlge  quel  salice,  ku  stivale  quello  stivale. 

Osserva  il  Meyer-Liibke  -  che  l'Emilia,  se  ha  qualche  esempio 
di  palatizzazione  di  l  -\-  cons.  nel  romagnolo  e  nel  bolognese,  si 
sottrae  invece  al  fenomeno  di  /  vocalizzato  in  n.  Gli  esempi 
addotti  sopra  allargano  il  campo  in  cui  si  svolsero  entrambi  i 
fenomeni. 

E  notevole  che,  mentre  in  dialetti  piemontesi  e  liguri  si  ha 
principalmente  u  da  l  dav.  a  dentale  e  a  palatale,  e  l  mante- 
nuto o  r  dav.  a  labiale  e  a  velare,  —  nell'Alto  Appennino  mo- 
denese, per  contro,  l  si  conserva  sempre  nel  primo  caso,  si 
ha  X  i^sl  secondo,  e  u  solo  dav.  a  liquida  e  a  s,  s  '^. 


^  Nel  romagnolo,  invece,  come  notò  il  Mussafia,  l'articolo  davanti  a  con- 
sonante è  sempre  e,  laddove  il  pronome  è  in  certi  determinati  casi  )i. 
Coincidono,  e  suonano  e  dav.  a  ogni  consonante,  l'articolo  e  il  pronome 
nella  parte  orientale  dell'Appennino  reggiano  che  confina  col  modenese. 

"2  Itaì.  Gramm.,  §  233  ;   Grundriss^,  p.  708. 

^  U  dav.  a  r,  l  si  riscontra  anche  nell'ALioNE  (Arch.  Glott.,  XV  417),  e 
nel  Gelindo,  dove  è  o  molto  cupo  (Misceli.  Scherillo-Negri,  p.  44). 


L'articolo  maschile  sint^olare.  ecc.  253 

Come  si  spiegano,  qui,  z  trattato  come  dentale,  e  s,  5,  all'op- 
posto, messi  alla  pari  con  le  liquide? 

Alla  prima  parte  della  domanda  si  potrà  rispondere  che  il 
fenomeno  si  svolse  in  un  tempo  in  cui  z  sonava  ancora  ty,  e 
anche  oggi,  probabilmente,  z  lassii  tiene  il  timbro  di  t  nel  mo- 
mento dell'implosione  \  come  par  dimostrato  dalla  nuova  voce 
bàlzarr  '  valzer  '  e  dalla  differenza  che  osserva  tuttora  il  dia- 
letto nell'uso  dell'articolo  dav.  a  z  o  &,  s,  s  iniziali  in  parole 
di  recente  introduzione  {al  lavajh'  lo  zabaione;  u  socaiista, 
li  stokafìsse). 

Pili  difficile  si  presenta  la  seconda  questione  della  parità  di 
trattamento  fra  s,  .s-  e  le  liquide.  Sebbene  gli  esempi  di  rap- 
porti fra  liquide  e  sibilanti  e  di  scambi  fra  queste  non  man- 
chino nella  storia  dei  linguaggi  antichi  e  moderni,  non  esclusi 
gl'italici  e  i  viventi  dialetti  della  penisola  e  delle  isole  nostre,  — 
m'accontenterò  qui  di  segnalare  il  fatto,  riservandomi  di  par- 
larne, come  a  luogo  più  opportuno,  nello  studio  complessivo 
della  interessante  fonetica  piandelagottese,  a  cui  attendo. 

Tramontato  da  tempo,  nel  dialetto  di  Piandelagotti,  sembra 
il  fenomeno  della  palatizzazione  di  /  dav.  a  labiale  e  a  velare, 
come  ci  dicono  i  sincopati  piilga  pulce,  salgàda  *silicata,  elkare 
leccare,  eloare  levare  e  simm.,  e  i  letterari  Palmlna,  Alfredo, 
Adolfe.  Elvira,  ecc.  La  triplice  forma  dell'articolo  resta  però 
sempre,  come  abbiamo  già  accennato,  anche  davanti  alle  parole 
di  nuova  introduzione.  Nello  stesso  modo  è  rimasto  nel  roma- 
gnolo l'art,  e  in  ogni  caso. 

Per  quest'art,  e  da  *el  il  Mussafia,  quantunque  avesse  già 
notato  nel  romagnolo  alcuni  casi  di  palatizzazione  di  ^  -|-  cons., 


*  Ciò  non  implica  che  il  suono  sia  composto;  come  tale  non  è,  secondo 
la  dimostrazione  del  Goidaxich  (Miscellanea  Hortis,  p.  938  e  seg.),  il  tose,  z, 
al  quale  somiglia  molto  la  consonante  piandelagottese  corrispondente. 


254  Varia.  —  Malagòli.  L'articolo  maschile  singolare,  ecc. 

pensava  a  una  vera  e  propria  caduta  della  consonante  finale. 
Non  so  se  ora  l'illustre  e  compianto  uomo  sarebbe  stato  del 
medesimo  parere.  A  me  par  più  naturale  l'ammettere  che,  tanto 
nel  romagnolo  quanto  nel  piandelagottese,  da  *el  si  avesse  *ei, 
donde,  in  proclisi,  e\  e  questo  e,  nato  probabilmente  anche  nel 
territorio  studiato  dal  Mussafia  in  determinati  casi,  si  sarà 
esteso  là,  per  analogia,  a  tutti  gli  altri. 

Quanto  ad  al  da  ^el,  si  tratta  di  una  riduzione  pure  normale 
a  Piandelagotti,  come  ci  attesta,  fra  le  altre,  la  voce  salgada, 
citata  sopra. 

E  i  piandelag,  rumatisme  reumatismo,  Ugenia  Eugenia,  benché 
d'origine  dotta,  ci  dicono  che  ancora  vive  lassù,  o  viveva  re- 
centemente eu-^  in  u^. 

Giuseppe  Malagòli. 


II. 

P.  G.  GOIDANICH 


vocalismo  di  buono,  bello  e  bene 

in    proclisi   nel  toscano. 


[A  questa  piccola  indagine  fui  indotto  dalle  indicazioni  dei  lessicografi, 
spece  del  Petrocchi;  e  l'obietto  principale  di  essa  era  di  riferire  questi  dati 
per  pili  rispetti  tanto  curiosi,  e  sistemarli.  A  complemento,  in  parte  a  con- 
trollo, delle  indicazioni  del  Petrocchi,  ho  voluto  chiedere,  per  lettera  infor- 
mazioni sui  dati  lessicografici  ad  amici  toscani,  e  qualche  interrogazione 
diretta  quando  ho  potuto  volli  fare  io  stesso  ;  i  risultati  di  quest'investi- 
gazione furono  pur  essi  curiosi,  e  in  parte  inaspettati  :  le  risposte,  alle 
volte  coincidono  con  quelle  del  Petrocchi,  alle  volte  sono  conformi  in  ge- 
nerale, disformi  in  particolari,  ma  sono  altra  volta  anche  del  tutto  nega- 
tive ;  anche  il  grado  del  restringimento  di  hon  in  proclisi  è  vario  fra  per- 
sona e  persona  e  talora  è  difficile  a  cogliersi  la  differenza  da  chi  non  abbia 
un  orecchio  molto  esercitato. 

Converrebbe  indagare  con  cura  la  diffusione  geografica  di  questi  feno- 
meni in  Toscana,  studiare  le  differenze  tra  individui  e  fra  ceti  nel  grado 
di  restringimento  ;  ma  questo  potrebbe  fare  uno  che  in  Toscana  avesse 
soggiorno  abituale,  non  potrei  fare  io.  I  dati  raccolti  bastano,  mi  pare,  a 
porre  nella  lor  giusta  luce  i  fenomeni  e  a  segnarne  approssimativamente 
i  confini;  e  spero  che  i  risultati  ottenuti  incoraggino  qualche  studioso  che 
viva  in  Toscana  a  completarli.] 

T.  —  NESSI  SINTATTICI 
A.  —  Buono. 

1.    Informazioni    lessicografiche. 

Nel  periodo  letterario  premanzoniano  non  si  ha  nessuna  no- 
tizia   d'altera/^ioni    qualitative    di    hnonn   in    proclisi.    Es.    buoìi 


256  Varia.  —  P.  G.  Goidanich, 

(/ionio,    buona    notte,    ecc.    I    lessicografi    anteriori    al    Petrocchi 
danno  siffatte  forme  senz'osservazione  di  sorta. 

Nel  Petrocchi  invece  troviamo  come  forme  della  proclisi: 
I  buon,  bugno,  buona,  bugni,  bugne;  II  bgn,  bgno,  bgna,  boni,  bgne; 
e  III  b()n  [bona,  1  volta]. 

Bugn,  bugna  ecc.  (I)  sono  le  forme  tradizionali   letterarie. 

Bon,  bgna,  ecc.  (II)  sono  forme  vernacolari  del  toscano  mo- 
derno. 

Si  domanda:  in  quali  condizioni  s'è  generato  il  bon,  la  cui 
esistenza,  se  non  erro,  nessuno  degli  studiosi  ha  mai  rilevato? 

Dagli  esempi  che  il  Petrocchi  allega  in  gran  massa  nel  dizio- 
nario grande  appare  chiaramente  che  il  bon  s'è  ristretto  nello 
schema  accentuativo  v^  -^  ed  è  rimasto  largo  nello  schema  ^  ^  j.. 

Ecco  la  lunga  lista  dei  fatti  : 

(/)  v^  -i  :  Bon  core,  {di)  bon  core  (tre  volte),  [di]  beni  animo; 
bon  omo  (4  v.),  bonomo  (2  v.)  [ma  bgn  omaccio  e  bgn  fìgliolo\, 
bon  diaooìo  |ma  bgn  diavolaccio^,  bgn  prete,  bon  libro,  un  bgn 
pranzo,  un  bgn  esito,  un  bgn  paio  (d'ore),  un  bgn  poco,  anche 
plur.  sono  un  bgn  pochi,  bgn  anima  (2  v.  es.  mio  padre,  bgn 
anima),  la  bgn  anima  [di  mio  padre,  2  v.),  bgn  animo  (2  v.),  bgn 
tempo  (2  V.),  (di,  a)  bgn' ora  (4  v.),  (di)  bgn  occhio  (2  v,),  {di)  bgn  passo, 
bgn  p)eso  (2  volte  ;  ma  bgna  misura),  bgnsensg,  bgn  (/iorno  (4  v.), 
bgn  di  (2  v.),  bgn  anno,  bgii  capo  d'anno  [ma  bgna  sera,  bona 
notte  (3  v.);  anche:  lo  piantò  li  e  bòna  notte  e  simm.],  bgn  prò 
(2  V.)  [ma  bgn  appetito\,  a  bgn  conto,  in  bgn  dato  (in  quantità). 
b)  ^  ^  -l:  Bgn  costume,  bgn  proponimento^  bgn  intenditore, 
bgn  omaccio  (v.  sotto  a),  bgn  figliolo  (v.  s.  a),  bgn  diavolaccio 
(v.  sotto  a),  bgn  cavallino,  bgn  cavallo,  bgn  maestro,  bgn  cant((nte, 
un  bgn  impiego,  nn  bgn  partito,  bgn  a  nulla  (2  v.),  hgìi  a  poco, 
bgn  e  caro  (2  v.),  bgno  e  caro  (2  v.),  bgn  ((ppetito  (v.  sotto  a), 
il  bgn  marito  fa  la  bgìia  moglie  (prov.). 

Si  notino  anche  :  bona  sera   e  gli   altri    citati  s.  a.    e  ancora 


11  vocalismo  di  buono,  hello  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  257 

essere  in  bona  luna,  far  hoiut  vita,  come  esempi  di  nessi  con 
hono,  bona,  boni,  bone\  i  quali  sono  una  massa. 

Tale  cumulo  d'esempi  obbedisce  dunque  chiaramente  alla 
legge:  Vo  d  i  boìi  in  proclisi  diventò  stretto  in 
p  r  0  t  0  n  i  e  a,  restò  largo  in  a  n  t  i  p  r  o  t  o  n  i  e  a  o  i  p  e  r- 
p  r  0  t  0  n  i  e  a. 

Né  l'esattezza  della  legge  è  infirmata  dai  pochissimi  casi  discor- 
danti. In  bau  capo,  che  s'ha  nel  diz.  grande  accanto  a  bnn  capo  di 
faiiiiglia,  bon  essere  (ib.)  e  bon  yiorno  (diz.  picc),  io  penso  che 
non  si  tratti  di  deviazione  dalla  norma,  ma  di  sostituzioni  oc- 
casionali di  bo)i  del  vernacolo  ai  baon  dei  tuttora  sussistenti 
buon  giorno,  buon  essere  [raro:  Jion  essere  e  buo)i  essere  io  stesao 
che  Benessere,  Petr.].  Bona  volontà  resta  un  po'  dubbio,  veramente, 
perché  si  trova  registrato  cosi:  Bona  volontà.  Uomo  di  bòna 
volontà.  Di  bòna  vohmfà  è  lastricato  l'inferno.  (ìli  esempi  distrug- 
gerebbero il  valore  della  glossa.  S'aggiunge  pili  sotto  "  un  bon 
affare  „.  Io  sarei  poco  disposto  a  vederci  un  errore  di  stampa  '.  Il 


'  ■'  Bedauerliche  Versehen  „  lamenta  nel  Petrocchi  il  Hecker  in  un  suo 
diligente  studio  C  Zur  Aussprache  des  Italienischen  ,  in  ASNS  Bd.  CXXIl, 
p.  93  e  94).  Io  nego  che  nei  pili  dei  casi  imputati  a  svista  dal  H.,  di  svista 
si  possa  parlare.  Non  bisogna  fermarsi  alle  glosse  o  a  singole  glosse. 
Apriamo  p.  es.  il  Dizionario  grande  a  novecento  che  il  H.  pone  appunto  fra 
i  "  bedauerliche  Versehen  ,.  "  Novecènto,  num.  Nòve  centinaia.  ...IV 
dremo,  se  si  campa,  che  saprà  fare  il  novecento.  §  Deriv.  Nove  cent  uno, 
Novecentosèi,  ecc.  e  gli  ordin.  Nove  e,  ente  s  i  m  o  ,  Novecentes  i  ni  o 
primo,  ecc.  Lo  stesso  è  sempre  nei  dizionari  e  nel  Vocabolarietto  di  pro- 
nunzia per  novecento,  ottocento,  settecento.  Questa  costanza  garantisce  l'esat- 
tezza del  P.  [Anche  l'interessante  contrasto  fra  (nove)  e  e  nt  ano  ,  (nove)- 
e  etitót  t  0  e  (nove)  cento  due,  tre,  quattro,  ecc.,  'sul  quale  nessuno 
ha  richiamato  l'attenzione  e  che  forse  e  di  ragione  antica,  come  ve- 
dremo altrove,  è  costante  nel  P.].  Si  potrà  trattare  in  alcuni  casi  di  pro- 
nunzie pistoiesi  0  comunque  non  generali  in  Toscana,  magari  in  altri  di 
pronunzie  individuali  o  incostanze  individuali,  ma  '  le  sviste  '  possono  es- 
sere pochissime. 


258  Varia.  —  P.  G.  Goidanieh, 

Petrocchi  è  molto  corretto;  a  gran  stento  sono  riuscito  a  sor- 
prenderlo in  fallo:  c'è  un  doppio  (legittimo?]  e  un  ore  sotto 
*  sonare  ',  un  sòr  ho  visto  anche,  ma  non  riesco  pili  a  rintrac- 
ciarlo. Sarei  più  disposto  a  vedere  in  bon  affare  uno  sconfina- 
mento analogico. 

I  fatti  dal  Petrocchi  riferiti  subito  mi  parve  non  potessero 
esser  revocati  in  dubbio.  Si  badi  bene:  il  P.  butta  li  nel  diz.  grande 
quattro  fitte  colonne  d'esempi,  senza  avere  il  pili  lontano  sen- 
tore d'una  legge  che  li  governi  ;  alla  rinfusa,  in  continua  vicenda, 
vi  si  trovano  forme  con  o  e  con  o  in  modo  che,  chi  tenti  vederci 
dentro  un  po'  chiaro,  sulle  prime  rimane  stupito  e  disorientato  ; 
appunto  data  questa  assoluta  obiettività  del  Petrocchi,  sull'at- 
tendibilità delle  sue  informazioni  non  si  può  dubitare  un  mo- 
mento. D'altra  parte  il  doppio  esito  ò  o  è  in  razionale  persua- 
sivo rapporto  di  effetto  e  causa  con  gli  schemi  ^  ^  -^,  ^  -!-  : 
subito  prima  dell'accento  si  sorvola  sulla  vocale  nel  toscano, 
l'antìprotonica  è  invece  sorretta  da  un  accento  secondario  che 
meglio  ne  garentisce  l'entità  espiratoria. 

E  i  dati  del  Petrocchi  ricevettero  nuove  conferme,  e  dene- 
gazioni, ugualmente  autorevoli.  Questa  inconstanza  lungi  dal 
disorientare  ci  conduce  a  un  risultato  nuovo  :  il  Petrocchi  ci  dà 
la  pronunzia  popolare  pistoiese;  questo  è  certissimo;  inoltre, 
con  la  riserva  dovuta  alla  scarsità  delle  mie  informazioni,  si 
può  dire  che  con  Pistoia  vadano  d'accordo  anche  le  province 
di  nord-est  (anche  altre  caratteristiche  differenziali  dal  fiorentino 
hanno  comune  il  pistoiese  e  il  pisano  col  livornese)  ;  il  feno- 
meno pare  invece  sconosciuto  nel  centro  e  a  sud.  Ma  ecco  le 
informazioni  nuove. 

2.    Informazioni    nuove. 

Antonio  Rafanelli,  professore  di  lettere,  nativo  di  Pistoia  e 
domiciliato  a  Pistoia;  concittadino  del  Petrocchi  e  perciò  fonte 


Il  vocalismo  di  buono,  hello  e  he)ie  in  proclisi  nel  toscano  259 

importante.  Le  sue  risposte  al  mio  quistionario  coincidono  mira- 
bilmente coi  dati  del  Petrocchi.  Eccole:  Basta  avere  un  po'  di 
b  0  n  s  e  n  s  0  per  capirla;  lo  diceva  anche,  il  babbo  b  o  n  a  n  i  in  a  ; 
sicuro  che  è  un  bon  omo;  in  fondo,  era  un  bon  omaccio;  [^bono- 
mini  nel  senso  di  "  operai  „  d'opere  pie  è  sconoscintoj  ;  la  pagai 
poco,  ed  ebbi  b  o  n  p  e  s  o  ;  Hf((  tranquillo  che  quel  mercante  da 
xeìnpre  bona  misura;  bon  prò  a  tutti.  Arrivederci  e  bon 
appetito;  se  rai  là,  t'accetteranno  certo  di  bon  core;  su  di 
bon  a  il  i  m  0 ,  che  diavolo.';  è  un  (jran  bon  figliolo;  va 
bene,  ma  non  puoi  negare  che  fosse  un  b  o  n  diavolo;  era 
stato  sempre  un  bon  diavolaccio;  per  Bacco,  se  ci  fecero 
un  b  o  n  p  r  a  n  z  o  ;  almeno  le  sue  cure  avessero  un  b  o  n  esito; 
compralo,  fai  un  bon  affare  |il  K.  corregge,  dunqne,  come 
lo  Zaccagnini,  secondo  la  chiara  norma,  questo  esempio  che  nel 
Petrocchi  era  anormale].  Bon  dì  e  ben  venuto.';  a  far 
quella  salita  ci  vorrà  almeno  un  bon  paio  d'ore;  sicuro,  è 
un  bon  poco  che  sto  qui  ad  aspettarti  ;  hai  bon  tempo  e 
perciò  puoi  farlo  ;  domattina  alzatevi  di  bon  o  r  a  ;  m  casa  non 
lo  vedevano  di  b  o  n  o  e  e  ìi  io;  se  vai  di  bon  passo  non  ci 
metti  più  di  due  ore  ;  bon  g  i  o  r  n  o,  signori  ;  bon  giorno  e 
b  0  n  a  n  n  o  ;  gli  scrisse  due  righi  per  augurargli  il  bon  e  a  p  o 
d  '  a  n  n  o;  intanto,  a  bon  co  n  t  o,  rendimi  quelle  due  lire  ;  [  **  in 
bon  dato  non  è  dell'uso,  ma  stretto  di  certo  „  R.  |  ;  badan  molto 
anche  al  b  o  n  e  o  s  t  u  m  e;  chiedigli  perdono  e  fa  un  bon  p  r  o- 
p  0  n  i  m  e  n  f  0  anche  per  Vavvenire  ;  a  b  o  n  i  nt  e  n  d  it  o  r  poche 
parole  ;  hai  un  gran  bon  cavallo;  che  bon  e  a  v  a  1 1  i  n  o  ! 
era  un  bravo  e  bon  maestro;  tutti  lo  credevano  un  bon 
prete;  compralo  pure,  è  un  bon  libro  che  t'insegnerà  molte 
cose;  ebbe  un  b  o  n  i  m  p  i  ego;  gli  si  offrì  un  b  o  n  partito  e 
si  decise  ad  accasarsi  ;  bada,  son  bon  a  poco  e  te  lo  dico  in- 
nanzi; era  bon  e  caro,  ma  guai  a  provocarlo;  è  un  bon  ma- 
rito. —  Il  li.  finisco  col  dichiararsi  sicuro  d'avermi  dato  sin- 

Archivio  fjlottol.  ital..  XVII.  '  Is 


260  Varia.  —  P.  G.  Goidanicli, 

cera  la  pronunzia  sua  "  che  è  quella  che  tu  mi  chiedevi  „;  che 
negli  altri  è  difficile  coglierla  ^. 

Guido  Zaccagnini,  professore  di  lettere,  anche  lui,  come  il  Ra- 
fanelli,  nativo  di  Pistoia  e  dimorante  in  Pistoia;  altra  fonte  molto 
importante,  dunque.  Conferma  in  modo  sorprendente  le  indicazioni 
del  Petrocchi;  riconferma  non  solo  la  doppia  pronunzia  in  hon 
giorno  e  hgn  g.,  ma  anche  in  bona  volontà.,  bona  v.  ;  corregge 
bon  affare  in  bgn  affare  [bon  capo  manca  nella  lista  speditagli]. 

Itala  Goidànich,  mia  moglie,  dì  Lari  in  provincia  di  Pisa. 
Più  interrogazioni  a  distanza  di  molti  giorni.  Coincidenza  sor- 
prendente nelle  sue  risposte:  corregge  bon  affare  in  bon  affare;  ha 
bon  sempre  in  bon  esito,  bon  prete,  bon  libro  ;  una  volta  bon  ap- 
petito. Per  il  resto  coincide  perfettamente  col  Petrocchi.  La  dif- 
ferenza fra  i  due  o  è  ben  sensibile,  ma  anche  \'o  antiprotonico, 
p.  es.  di  bon  figliolo,  è  meno  aperto  del  tonico  di  bono  predicato. 

Augusto  Mancini,  della  Facoltà  di  lettere  di  Pisa,  di  Livorno, 
ma  dimorante  da  molti  anni  a  Lucca,  dove  vive,  per  ragioni 
politiche,  molto  a  contatto  col  popolo.  Interrogazioni  orali.  Dif- 


'  Mi  pare  anzi  interessante  [anche  in  riguardo  alle  investigazioni  per 
il  futuro  Atlante  dialettale  italiano  ;  io  credo  che  ciascuna  regione  dovrebbe 
avere  investigatori  regionali]  riferire  integralmente  la  sua  dichiarazione  : 
"  In  bocca  di  gente  analfabeta  o  quasi  il  colore  della  protonica  difficil- 
mente si  afferra;  e  ciò  perché  la  forza  del  suono  si  concentra  tutta  sulla 
sillaba  accentata,  di  guisa  che  per  le  altre  —  specialmente  per  quella  che 
è  subito  prima  dell'accento  [nb]  —  non  rimane  che  una  debolissima  emis- 
sione incapace  quasi  di  colorir  la  vocale;  d'altra  parte  se  tu  fai  divider 
loro  le  sillabe  dell'espressione  si  mettono  sull'avviso  e  fanno  una  confusione 
del  diavolo.  I  letterati  o  pseudo-lettorati  poi  non  hanno  valore  perché  la 
loro  è  una  pronunzia  ibrida  da  fare  scappare  i  cani.  Insomma,  credo  d'averti 
dato  la  vera  pronunzia  :  certo  t  ho  data  la  mia,  che  è  quella  che  tu  mi 
chiedevi  „  —  [Un  sistema  consigliabile  per  l'audizione  delle  protoniche, 
quando  s'ha  da  fare  con  persone  intelligenti,  sarebbe  quello  di  farle  bal- 
bettare 0  tenere  a  lungo  queste  sillabe]. 


Il  vocalismo  di  buono,  belìo  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  '261 

fereiize  dal  Petrocchi:  bon  core,  hon  omo,  òou  libro,  hon  pranzo, 
hon  esito,  bon  paio,  b<^n  passo,  bon  peso,  h^n  senso;  ha  dato  bori  dia- 
volaccio, chiesto  subito  dopo  boti  diavolo,  ma  bon  diavolaccio 
chiesto  indipendentemente  pili  tardi,  pur  riconfermando  bon  dia- 
volo; l'esempio  vale  a  spiegare  i  trapassi  per  analogia,  dei  quali 
sani  da  vedere  uno  nel  bona  ser((  dato  dal  Mancini  accanto  a 
bona  nafte,  con  piena  sicurezza  entrambi.  Il  M.  dice  boii  aìino 
ma  a  differenza  del  P.  bon  capo  d'anno,  che,  direi,  è  pili  giusto, 
trattandosi  si  può  dire  d'un  caso  d'iperprotonesi.  Anche  in  lui 
la  differenza  tra  o  ed  o  è  ben  sensibile. 

Luigi  Falcucci,  professore  di  lettere  nella  Scuola  Tecnica 
di  Pisa.  Scrive  :  "  Ho  segnato  la  pronunzia  che  mi  sembra 
d'usare  io  stesso  ordinariamente.  Ma,  riflettendo  ho  molta  in- 
certezza. Mi  sembra  che  talune  parole  pronunziate  a  voce  alta 
abbiano  una  vocale  [e  od  o)  larga,  pronunziate  a  voce  bassa 
l'abbiano  stretta.  Inoltre  io.  livornese,  ma  abitante  da  dieci 
anni  a  Pisa,  non  so  se  segno  la  pronunzia  di  questa  o  quella 
cittci,  nei  singoli  casi.  Infine  mi  sembra  che  le  classi  sociali  in- 
feriori abbiano  qui  (a  Pisa)  pronunzia  diversa  dalle  altre  e  pre- 
cisamente pili  stretta,  in  generale  „.  Le  indicazioni  del  F.  sono 
importanti  anche  come  mira  d'un'indagine  avvenire.  In  parti- 
colare egli  ha  :  boìi  anno,  bon  capo,  ma  bon  capo  d'anno,  bona 
notte  accanto  a  bona  sera  (rie.  il  Mancini)  ;  come  sicuramente 
stretti  egli  ancora  dà  :  di  bon  animo,  di  bon' ora,  di  bon  passo, 
bon  essere;  spesseggiano  gl'interrogativi;  ciò,  vale  a  dire,  in  : 
bon  esito,  un  bon  paio,  bon  anima,  un  bon  poco,  bon  peso,  a  b(jn 
conto,  di  bqn  animo  e  anche  in  bon  intenditore,  bon  e  caro,  il 
bon  marito,  bon  affare.  Ora  si  noti  che  io  non  avevo  comunicato 
affatto  al  F.  le  indicazioni  del  Petrocchi:  e  si  osservi  che,  a 
parte  lo  scrupolo  dell'interrogativo,  i  suoi  dati  coincidono  nella 
sostanza  con  quelli  del  Petrocchi  ;  i  segni  sopra  indicati  di  larga 
e  stretta  sono  stati  fatti  da  lui. 


262  Varia.  —  P.  G.  Goidanicb, 

Lorenzo  Cecchi,  professore  nell'istituto  Tecnico  di  Livorno, 
livornese.  Buona  fonte.  Conferma  i  dati  del  Petrocchi. 

Filippo  Rosati,  vice-direttore  della  Scuola  Normale  Universi- 
taria di  Pisa,  ma  fiorentino;  per  lettera  nega  che  una  differenza 
di  bon  e  hon  in  proclisi  esista. 

Lina  lieve  differenza  l'ho  riscontrata  invece  nell'ispettore  scola- 
sticO;  Benedetti,  lucchese,  ma  dimorante  in  Firenze;  anche  il  pro- 
fessore Cortese,  napoletano,  insegnante  di  pedagogia  in  Firenze, 
presente  a  quelle  interrogazioni,  avvertiva  per  es.  in  hon' anima 
un  0  piìi  serrato  del  comune  o  aperto,  un  o  medio.  Di  questa 
differenza  il  Benedetti  non  mostrava  di  aver  coscienza;  essendo 
egli  occupatissimo  non  potei  insistere  fino  a  convincernelo. 

Angelo  Bruschi,  ora  bibliotecario  della  Marucelliana,  fioren- 
tino, vissuto  sempre  in  Firenze,  dunque  per  il  fiorentino  fonte 
preziosa.  Non  conosce  nella  sua  parlata  forme  con  o  e  non  fa 
alcuna  distinzione  fra  Yuo  di  bnon  giorno  e  buona  notte. 

A.  Del  Punta,  distributore  alla  Braidense,  fiorentino.  Nessuna 
differenza  fra  o  protonici. 

G.  Livi,  sopraintendente  del  r.  Archivio  di  Stato  in  Bologna, 
di  Prato.  Da  me  udito:  conosce  o  protonici  di  media  ma  sempre 
uguale  apertura. 

R.  Nasini,  professore  dell'Università  di  Pisa,  si  dichiara  "  se- 
nese „   ed  è  nativo  di   Santafiora  (Arezzo).   Nessuna  differenza. 

Un  grossetano,  di  cui  ignoro  il  nome,  interrogato  da  me  in 
treno,  non  avvertiva  differenze  tra  i  vari  o  protonici  e  a  me 
pareva  che  fossero  tutti  di  media  ma  uguale  apertura. 

L.  Scaffai,  segretario  dell'Istituto  di  Studi  superiori  in  Firenze, 
nativo  d'un  paesello  tra  Pistoia  e  Firenze.  È,  per  certi  rispetti, 
una  fonte  interessante.  Nella  sua  parlata  abituale  egli  conosce 
la  forma  buon  non  la  forma  bon,  e  pronunzia  ora  buon  ora 
buon  presso  a  poco  colla  solita  vicenda,  Viceversa  sempre  h^n.  Si 
tratta  di   differenze    minime,  che    lo   Se.    non   avvei'tiva  da  sé, 


Il  vocalismo  di  buDiio,  bello  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  263 

ma  avvisato  da  me  finiva  col  riconoscere.  Egli  pronunziava 
dunque  alquanto  diversamente  buon  giorno  da  buona  notte,  buon 
omo  (anche  bonomo)  da  buon  maestro,  buon  anima  da  buQn  a 
nulla.  Devo  dire  che  mi  parve  pronunziasse  contro  la  norma 
anche  buon  cavallo  e  buon  cappello.  Ma  non  ebbi  teini)o  di  veri- 
ficare con  esempi  improvvisi  quanto  queste  forme  fossero  sin- 
cere 0  se  fossero  determinato  da  casi  normali  con  o  pronunziati 
subito  avanti. 

Un  empolese,  di  cui  non  ricordo  il  nome,  addetto  alla  Braidense, 
da  me  udito.  Conosce  forme  con  o  stretto  (es.  bon  giorno),  ma  le 
forme  con  o  largo  sono  in  gran  prevalenza;  dice  buon  {sic}  prò. 

Riassumendo  e  integrando  per  discrezione  i  dati  che  ho  potuto 
raccogliere  e  ho  riferito,  mi  pare  che  le  vicende  e  le  condizioni 
qualitative  di  buono  in  proclisi  nei  nessi  sintattici  si  possano 
definire  cosi:  il  Petrocchi  riferiva  la  pronunzia  di  Pistoia,  dove 
bon  -i  diventò  bon  -i,  mentre  bòn  ^  -l  resta  inalterato;  la  To- 
scana par  divisa  per  questo  fenomeno  in  tre  zone:  una  gravi- 
tante a  destra  d'Arno  che  con  Pistoia  s'accorda;  l'altra  a  sinistra 
che  al  pari  di  Firenze  non  conosce  il  fenomeno;  e  una  terza 
intermedia  con  dati  poco  spiccati  o  irregolari  o  scarsi  ;  ulte- 
riori determinazioni  non  sono  possibili  che  sul  posto  ; 

il  grado  di  i-estringimento  di  questi  o  è  vano  tra  classe 
e  classe  sociale;  ed  è  anche  vario  il  numero  dei  nessi  in  cui 
questo  restringimento  è  sentito  ;  non  mancano  gli  sconfina- 
menti analogici  ; 

quelli  che  nella  pallata  abituale  hanno  bon,  usando  la  forma 
letteraria  buon,  non  devono  di  solito  farvi  sentire  alcuna  diffe- 
renza qualitativa  :  cosi  spiegherei  come  il  Petrocchi  dia  nel 
diz.  piccolo  buon  passo,  buon  senso,  buon  prò  con  uo  largo,  e  nel 
dizion.  grande  bon  passo,  bon  senso,  bon  prò  con  o  stretto;  o, 
detto  in  generale,  che  egli  non  distingua  due  uo  mentre  distingue 
cosi  accuratamente    due    o    di   proclisi,   uno  stretto,  uno  largo  ; 


264  Varia.  —  P.  U.  Goidanicli, 

nella  zona  intermedia,  coloro  clie  hanno  nella  parlata  abi- 
tuale no,  pare  distinguano  tra  un  uo  stretto,  o  almeno  medio, 
di  protonica  e  un  uo  di  antiprotonica  largo  o  piìi  largo  del  pro- 
tonico e  forse  meno  largo  dol  tonico  (Scaffai  e  l'Empolese). 

[Sarebbe  interessante,  per  la  pratica,  estendere  l'indagine  a 
molti  fra  coloro  che  in  Firenze  hanno  ancora  nella  pronunzia 
abituale  ì'uo  ;  per  poter  cioè  stabilire  se,  come  tipico  della  parlata 
letteraria,  s'ha  da  raccomandare  un  uo  protonico  con  o  di  media 
apertura;  io  credo  sia  cosi]  ^. 

Al  contrario  di  buono,  bene  e  beilo  non  soffrono  nei  "  nessi 
sintattici  „  alcuna  alterazione  qualitativa.  Non  solo  dan  vocale 
larga  i  lessici,  ma  anche  le  persone  udite  hanno  un  e  largo, 
bello,  chiaro.  —  Scelgo  fra  gli  esempi  alcuni  nessi  bene  stretti, 
che  sono  i  meglio  critici:  a)  Tu  ài  visto  un  bel  inondo;  ài  fatto 
un  bel  colpo;  ài  un  bei  dire,  un  bel  fare;  è  un  bel  matto;  darsi 
bel  tempo;  un  bel  tacer  non  fu  mai  scritto;  un  bel  si,  ini  bel  no; 
Un  bel  nidla;  b)  ben  altro;  picchiar  ben  bene,  ben  riuscito,  ecc. 


Che  buo)io  e  bello,  bene  non  abbiano  sorti  parallele  non  deve 
fare,  s'intende,  meraviglia.  Anche  senza  uscire  dalla  Toscana, 
qui  no  ha  perduto  il  primo  elemento  del  dittongo,  mentre  ie  lo 
conserva  ^. 


'  Sia  qui  ricordato  clie  un  o  di  grado  medio  in  sillaba  disaccentata  in 
italiano  indicava  già  il  Josselyn.  Solo,  sia  detto  anche  di  passata,  il  Josselyn 
ebbe  il  torto  di  assumere  come  soggetti  delle  sue  esperienze  italiani  di 
pili  province,  mettendosi  nell'impossibilità  di  distinguere  i  vari  clementi 
costitutivi  di  pronunzie  individuali. 

^  La  sola  parola,  che  si  trova  in  condizioni  fonetiche    se   non  identiche 


TI  vocalismo  di  buono,  beilo  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  265 

II.  —  I  COMPOSTI. 
A)  Buono. 

liuonamano,  biwnacogìia,  buonamorte,  buonaluìia. 

La  Crusca  preferisce  le  forme  bonamano,  bonaroglia,  bona- 
mortp  a  buouaniano.  ecc.  ;  ossia  dalla  forma  buonamano,  ecc.  ri- 
manda il  lettore  a  bonamano,  ecc.;  non  conosce  buonalana. 

Il  Higiitini.  tanto  in  ll.-Fanfani,  Voc.  della  lingua  parlata, 
quanto  nel  Dizionarietto  di  pronunzia,  ha  solo  forme  con  o. 

Il  Petrocchi  ha  forme  con  no,  con  ò  e  con  ó  e  forme  coi  due 
termini  scritti  disgiuntamente.  In  particolare: 

Buonamano  nel  Diz.  grande,  al  piano  inferiore  nella  glossa. 

Bonamano  nel  Diz.  grande  nella  glossa  a  suo  luogo  e  s.  v.  Buono  ;  e  anche 

nel  Diz.  piccolo  a  suo  luogo  nella  glossa. 
Bgnumano  come  equivalente  vivo  del  citato  Buonamano  e  nell'esempio  nel 

Diz.  picc.  e  nel  Vocabolarietto  di  pron. 
Bona  mano  accanto  a  Bonamano  nel  Diz.  grande  alla  glossa. 
Buonavoglia  manca. 
Bgnavoglia  Diz.  gr.  nel  piano  inferiore,  come  termine  storico  nel  significato 

di  rematore  mercenario  non  forzato  (citato  è  il   Fanfani  ;    ma  c'era  già 

nella  4:"  impressione  della  Crusca).  —  Diz.  gr.  tre  v.  e  in  tre  significati 

in  cui  la  parola  è  viva. 


almeno  analoghe  a  buon  bon,  e  don.  Ho  voluto  dunque  indagare  un  po'  anche 
su  questo  punto;  con  risultati  curiosi  :  il  Petrocchi  ha  "  don  e  pop.  don  ,; 
il  Rafanelli  confermò  il  mio  sospetto  che  si  trattasse  di  doppioni  sintattici 
dipendenti  dalla  varia  accentuazione  della  parola  seguente  come  in  bon  ; 
I.  Goidànich  ha  sempre  don,  il  Cecchi  livornese  id.  ;  Giulio  Lazzeri,  altro 
livornese,  professore  all'Accademia  Navale,  sempre  don  ;  il  Bruschi  ha 
sempre  don  ("  Sarebbe  un'affettazione  Va  stretto  che  non  ho  mai  sentito 
né  dal  popolo  né  dalle  persone  colte  „)  ;  il  Nasini  sempre  don;  il  Kosati 
ha  sempre  don,  ma  dev'essere  un  pisanisuio.  Infatti  l'area  di  dcpi  par  che 
coincida  con  quella  di  bon  ed  è  quanto  era  da  aspettarsi.  Per  la  pratica 
sarà  da  adottare  e  insegnare  la  pronunzia  don. 


266  Varia.  -  P.  G.  Goidanich, 

Bqnavoglia,  nel  Diz.  picc.  e  nel  Voc.  di  pron. 

Bona  voglia,  nel  Diz.  gr.  in  un  esempio  nel  significato  di  '  scioperato  '  (n'alio 

stesso  significato  in  altro  esempio  ib.  bonaroglia). 
Buonamorte  Diz.  gr.  piano  inf.  Ricordato  un  es.  del   Fagiuoli  nel  senso  di 

'  prediche  sulla  buona  morte  '.  Buonamorte    anche    nel    piano    superiore, 

però  con  rimanda  a  Bonamorte. 
Bqnamorte  Diz.  grande  nel  senso  di  funzione  religiosa;  Diz.  picc. 
Bona  morte  Diz.  gr.  nella  glossa  accanto  a  Bqnamorte. 
Buonalana  manca. 
Bqnalana  Diz.  gr.  (2  volte). 
Bònalana  Voc.  pron. 
Bòna  lana  Diz.  gr.  nella  glossa  accanto  a  Bqnalana. 

Le  forme  coWuo  sono  proprie  della  lingua   letteraria   antica. 

Ma  a  questo  periodo  si  attribuiscono  dalla  Crusca,  anzi  si  con- 
siderano come  di  questo  periodo  meglio  proprie,  le  forme  con  o. 
Sennonché  queste  forme  con  o,  attribuite  al  periodo  antico,  non 
hanno  alcun  fondamento  storico.  Io  passo  in  rassegna  le  fonti 
anche  per  dimostrare  nello  stesso  tempo  che  si  tratta  di  com- 
posti relativamente  recenti. 

Di  bonainano  la  Crusca  non  dà  alcun  esempio  ;  il  Tommaseo  ne  ha  tre 
(P.  Nelli,  a  mezzo  il  '500,  Varchi,  Fagiuoli),  tutti  con  no.  Nella  4*  impres- 
sione della  Or.  buonamnno  manca.  —  Di  buonavoglia  da  la  Crusca  due 
esempi,  del  Buonarroti  nella  Fiera  e  del  Fagiuoli,  che  il  Tommaseo  scrive 
staccati;  anche  nell'accezione  di  'rematore  mercenario'  non  forzato,  buona 
voglia  è  termine  storico.  Il  Tommaseo  aggiunge  agli  esempi  della  Crusca 
altri  due  dell'Allegri  e  del  Chiabrera,  scritti  buonavoglia  coir»o  ;  e  coW'ho 
è  anche  l'esempio  aggiunto  dal  Conti  di  buonavoglia  nell'accezione  di 
'scioperato'.  La  4*  impressione  della  Cr.  ha  buonavoglia  come  term.  stor. 
Di  buonamorte  la  Cr.  e  il  Tomm.  danno  un  esempio  del  Fagiuoli;  il  Tomm. 
aggiunge  :  Confraternita  della  Buona  morte  (staccato),  e  staccato  è  il  ter- 
mine anche  nel  senso  di  funzione  religiosa  aggiunto  dal  Conti  {Buonalana 
manca  nella  Crusca)  ;  nel  Tomm.  s.  v.  lana  è  dato  un  esempio  del  Serdo- 
nati  (a  mezzo  '500)  dov'è  scritto  buona  lana. 

Le  forme  con  o  non  hanno  dunque  alcuna  base  storica.  Anzi 
esse  traggono  origine  da  un  equivoco  storico-filologico.   Cioè,  a 


i 


Il  vocalismo  di  buono,  bello  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  267 

pag.  XXI  della  prefazione  al  1°  voi.  gli  Accademici  esprimono 
l'opinione  "  che  il  dittongo  uo  non  sia  sostanziale  nel  vocabolo, 
ma  vi  stia  solo  a  fissare  un  accento  aperto  sulla  vocale  o  „,  e 
che  perciò  in  sillaba  atona  diventa  ozioso.  Noi  sappiamo  che  le 
cose  non  stanno  cosi;  in  questi  casi  Vko  andava  rispettato  e  la 
Crusca  ha  assunto  in  questo  caso,  senza  accorgersene,  forme 
vernacolari  reputandole  per  equivoco  forme  letteraiie  legittime. 

Lo  stesso  arbitrio,  di  accomodare  tutti  questi  uo  protonici 
della  lingua  scritta  in  o,  commisero  il  Rigutini  e  il  Fanfani  ;  e 
si  badi  :  la  deterniinaziono  di  "  Vocabolario  della  lingua  par- 
lata „  non  li  scusa  perche  essi  non  ammettevano  la  forma  ver- 
nacolare bòno  fra  le  forme  della  lingua  letteraria;  e  dal  punto 
di  vista  della  storia  della  lingua  tanto  vale  dire  ò  <>  n  a  voglid 
quanto  '  questo  libro  è  b  o  h  o  '. 

Queste  forme  con  o  —  per  le  quali  si  determina,  e  si  capisce 
facilmente,  anche  il  P.  nel  diz.  di  pronunzia  —  sono,  come 
ho  detto,  le  forme  della  fase  attuale  di  evoluzione  del  dialetto 
toscano,  in  origine  forme  vernacolari;  ciò  si  dimostra  coi  fatti 
storici  alla  mano. 

Ho  detto  che  le  forme  come  boiuilana  ecc.    sono    forme    ver- 

e 

nacolari.  in  origine;  e  ho  aggiunto  "  in  origine  ^,  perché  per 
la  diffusione  dell'equivoco  dei  lessicografi  sono  ormai  entrate 
anche  nella  parlata  colta.  Il  bibliotecario  della  Marucelliana, 
Bruschi,  che  disdegna  le  forme  con  o  in  bono,  bon,  ecc.,  mi 
dà  invece  appunto  come  forme  sue  individuali  e  come  proprie 
delle  persone  colte  in  Firenze:  bo>tal<nìa,  ecc. 

Che  cosa  sono  poi  mai  le  forme  con  o  boìiamano.  ecc.  date 
dal  Petrocctii?  I  fatti  sopra  citati  escludono  che  si  possano  ri- 
teneie  forme  antiche.  Esse  sono  invece  sorte  per  un  doppio 
equivoco  :  ossia  in  primo  luogo  furono  presupposte  come  proprie 
dt.'lla  lingua  letteraria  antica  le  forme  con  o  date  dalla  Crusca; 
e  in  secondo  luogo  vennero  lette  tali  forme  con   quella  prò- 


268  Varia.  —  P.  G.  Goidanic-h, 

nunzia  che  di  loro  sarebbe  stata  propria  se  fossero  antiche!  In 
seguito,  come  s'è  visto,  il  P.  ha  abbandonato  queste  forme 
con  0. 

Per  riassumere,  avendo  in  mira  anche  la  pratica  della  pro- 
nunzia, possiamo  dire  :  buonalana,  ecc.  sono  le  forme  sole  usate 
nella  lingua  antica,  e  sono  tuttora  consentite  ;  alla  lingua  let- 
teraria appartengono  ormai,  sebbene  entratevi  per  un  equivoco, 
anche  le  forme  bonalana,  ecc.  ;  le  forme  honaìana,  ecc.,  doppia- 
mente equivoche,  vanno  scartate. 

Coi  criteri  che  siamo  venuti  acquistandoci  van  giudicate  anche 
le  forme  varie  di  buonòmlni  e  di  bìiongustaio,  buontempone. 

Buonomini  erano  un'antica  magistratura  di  Firenze.  In  questo 
senso  lo  riporta  la  Crusca  e  con  questa  grafia  ^  Mal  fanno  il 
Rigutini  e  il  Petrocchi  a  sostituire  la  grafia  Bonomini  anche  in 
questo  senso.  Ma  Bonomini  vive  tuttora  a  Firenze  come  nome 
d'un  istituto  per  i  poveri  vergognosi.  In  questo  senso  la  forma 
volgare  bonomini  va  rispettata  come  una  forma  storica  ;  e  trat- 
tandosi di  nome  proprio  non  sarebbe  consentito  usare  qui  il 
dittongo.  Il  P.  da  \'o  stretto  per  Bonomini.  Secondo  quanto  ab- 
biamo detto  tale  forma  sarebbe  foneticamente  legittima  a  Pi- 
stoia ecc.  ;  e  la  forma  con  \'o  sarebbe  qui  analogica,  una  rico- 
struzione. 

La  Crusca  ha  buongustaio  senza  esempi,  e  non  conosce  buon- 
tempone. Il  Tommaseo,  del  primo  non  conosce  esempi  anteriori 
al  '700  e  precisamente  ne  allega  uno  del  Fagiuoli  e  l'altro  di 
0.  Targioni  Tozzetti  ('800)  ;  registra  buontempone,  ma  senza 
esempi,  dall'uso  vivo   dunque.  E  interessante   venir   mostrando 


'  La  quale  è  importante  anche  perché  è  un    buon    esempio  di  riduzione 
antica  del  dittongo  in  proparossitoni. 


Il  vocalismo  di  buono,  bello  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  269 

che  i  pili  di  questi  composti  sono  recenti,    perché  si   giustifica 
meglio  come  la  coscienza  della  composizione  persista. 

Il  Rigutini  e  il  Petrocchi  scrivono  dovunque  queste  forme  con 
Vo,  che  il  Petrocchi  vuole  stretto.  Ma  anche  con  ì'o  largo  s'odono 
dovunque  in  Toscana  ;  l'oscillazione  dipende  appunto  dal  fatto 
che  i  parlanti  ora  hanno,  ora  no,  coscienza  della  composizione; 
ma  le  forme  con  g  sono  foneticamente  legittime.  —  Il  Bruschi 
e  il  Rosati  dicon  proprie  di  Firenze  ògìiomini,  bQugustaio  o 
buongustaio,  bgntempone  o  buontempone',  e  saran  da  preferire. 

B)  Bello  e  bene. 

La  sola  fonte  scritta  a  cui  possiamo  ricorrere  per  il  colore 
éeW'e  di  bello  e  bene  in  composizione  è  il  Petrocchi;  per  le  altre 
viene  a  mancarci  anche  l'indicazione  che  si  aveva  per  buono 
nel  dittongo. 

Ora  il  P.  è  quasi  sempre  in  modo  incredibile  incostante  nel- 
l'indicazione della  pronunzia  per  questi  composti,  ma  non  pos- 
siamo non  credere  di  avere  davanti  a  noi  dati  sinceri  perché 
le  mende  sarebbero  in  questo  punto  in  folla,  mentre  il  Petrocchi 
è,  ripeto,  quasi  sempre  esattissimo. 

I  fatti  sono  questi  : 

a)  Sempre  e  stretto  in:  bennato,  begliuomini  (pianta),  bel- 
limbusto {Benavere,  non  registrato  dal  Petr.  in  diz.  picc.  e  in 
voc.  di  pron.,  è  dato  con  e  stretto  in  diz.  gr.). 

b)  Ora  e  stretto,  ora  e  largo  in:  bellumore,  benessere,  bene- 
stare, benandata,  benuscita,  benestante,  beninteso,  benportante,  ben 
veduto,  benvisto,  benvenuto,  benvolere,  benvoluto'. 

e)  Sempre  e  largo  in:  bentrovato,  bentornato,  benarrivato,  benal- 
zato, (il)  benservito,  benaccetto,  benamato,  benallevato,  benaugurato, 
benpensante,  benportante  (fino  in  benemeritol),  bellosguardo,  bella- 
vista, belvedere,  belladonna. 


270  Varia.  —  P.  G.  Goidanieb, 

Per  mostrare  a  qual  grado  arriva  l'incostanza  negli  esempi 
indicati  sotto  è,  riferiamo  i  fatti: 

Belliiinore  si  trova  nei  Dizionari  grande  e  piccolo  ;  ma  nel  Dizionario 
grande  stesso,  sotto  Bello,  si  rimanda  a  bèllumore  ;  e  bèlluinore  "e  nel  Voc. 
di  pron. 

E  benestare,  nel  Diz.  grande  nella  glossa  è  benestare  (stretto)  o  bène  stare, 
ma  negli  esempi  (2  per  '  approvazione  di  spese  '  ecc.,  3  per  il  '  vivere  tran- 
quillo e  riposato')  costantemente  benestare;  benestare  e  anche  nel  Diz.  pic- 
colo ;  invece  benestare  (stretto)  o  bène  stare  nel  Voc.  di  pronunzia. 

Benessere  e  ben  essere  nei  Diz.  gr.  e  picc.  alla  glossa  e  nel  Voc.  di  pro- 
nunzia ;  nel  Diz.  gr.  benessere  si  ripete  ancora  3  v.  e  2  v.  sotto  essere  ;  ma 
una  volta  si  trova  negli  esempi  anche  benessere. 

Benandata  (mancia)  nei  Diz.,  ma  benandata  nel  Voc.  di  pr.  Nel  Diz.  gr. 
anche  dare  il  benandato  a  un  seccatore  che  c'esca  di  torno. 

Benestante  sempre  nei  Diz.  gr.  e  picc.  ;  nel  gr.  in  un  esempio  anche 
benestante.  Nel  Voc.  di  pron.  manca. 

Beninteso  nella  glossa  e  in  due  esempi  nel  Diz.  gr.  :  beninteso  ib.  in  un  es. 
e  nel  Voc.  di  pronunzia  :  beninteso  e  ben  inteso. 

Benportante  nella  glossa  del  Diz.  gr.  ;  ma  nell'es.  e  in  Voc.  di  pronunzia 
coll'e. 

Benveduto  e  benvisto  nel  Diz.  gr.  alle  glosse  ;  coll'f  stretto  anche  in  due 
esempi  ;  ben  veduto  nel  Diz.  gr.  sotto  Benvisto  ;  nel  Voc.  di  pron.  benveduto 
e  benvisto. 

Benvenuto  nel  Diz.  gr.  alla  glossa  e  in  sei  esempi,  nel  Voc.  di  pr.,  nel 
Diz.  picc.  alla  glossa,  ma  qui  nell'esempio  solo  ben  venuto. 

Benvolere  nel  Diz.  gr.  nella  gì.  e  in  un  es.,  e  nel  Diz.  di  pron.  ;  ben  volere 
in  due  es.  nel  Diz.  gr.  e  anche  nel  Diz.  picc. 

Benvoluto  Diz.  gr.  v.  benvolere  nell'esempio  ;  benvoluto  alla  glossa  e  nel 
Diz.  di  pron. 

Questi  i  fatti.  Sulla  sincerità  dei  quali  anche  il  lettore  sarà 
ora  convinto  che  non  si  può  portare  il  menomo  dubbio.  E  anche 
si  sarà  persuaso  che  non  è  possibile  neppure  tentare  una 
sistemazione  fonetica;  tutto  dipende,  come  abbiamo  già  av- 
vertito, dal  modo  come  uno  al  momento  in  cui  parla  concepisce 
la  parola,  se  come   parola   semplice  o  come  parola  composta  ^ 


^  Il  Hecker  non  ha  inteso  bene  queste  condizioni,  onde  stranamente  nega 


Il  vocalismo  di  buono,  bello  e  bene  in  proclisi  nel  toscano  271 

Questa  spiegazione  viene  in  fondo  additata  dal  Petrocchi  stesso 
per  due  modi  :  collo  scrivere  queste  parole  congiunte  e  disgiunte, 
e  coll'ammettere  come  possibili  anche  le  pronunzie  :  bmcmer'ito, 
hmpìacito,  benevolmente. 

Ho  detto  che  qui  la  vocale  stretta  non  è  un  fatto  di  ragion 
fonetica;  e  insisto  su  questo  concetto.  Non  si  tratta  già,  come 
abbiamo  visto  nel  §  I  per  buono,  bón,  di  un  fenomeno  vero  e 
proprio  di  evoluzione  fonetica  intervenuto  in  fase  recente  del 
volgare  toscano  :  si  tratta  invece  di  un  adattamento  puro  e 
semplice  di  queste  parole  a  schemi  fonetici  preesistenti:  è,  vale 
a  dire,  una  norma  fonetica  costante  che  le  vocali  disaccentate 
si  pronunzian  strette;  nessuna  parola  semplice  le   si    sottrae  ^ 

E  veniamo  alla  diffusione  del  fenomeno  per  trarne  anche  qui 
una   conclusione  pratica.   E   da  notarsi  : 

1.  che  non  solo  il  Bruschi  e  il  Rosati  ma  anche  lo  Zaccagnini.il 
quale  per  o  era  vicinissimo  alla  pronunzia  del  P.,  conosce  solo  e 
aperti;  2.  che  il  P.  da  nel  suo  Vocabolario  di  pronunzia  stretti  solo: 
bennato,  benessere,  bellimbusto,  begliomini;  3.  che  proprio  quasi 
solo  -  in  queste  parole  ora  uno  ora  l'altro  dei  miei  informa- 
tori hanno  vocale  stretta;  4.  che  non  c'è  uno  di  questi  infor- 
matori che  vada  d'accordo  in  tutto  col  Petrocchi  e  che  essi 
sono  in  parte  fra  loro  discordi.  Ciò  appare  dal  quadro  seguente: 


l'esistenza  di  forme  frequenti  o  anche  generali  in  Toscana,  come  le  ricor- 
date nel  testo  o  ferrovia,  termominerale,  plenipotemiario  e  sim. 

'  Giova  porre  in  rilievo  che  mentre  le  parole  prese  dal  latino  o  dal- 
l'italiano antico  hanno  e  ed  o  larghi  se  tonici,  in  sillaba  disaccentata  anche 
in  queste  parole  s'ha  e  ed  o  stretti. 

^  Il  Falcucci  solo  dà  beninteso  con  un  punto  interrogativo,  il  Cecchi,  si- 
curo sempre,  ha  benessere,  e  anche  benestare  ;  gli  altri  larghi.  Il  Lazzeri  ha 
larghe  tutte  queste  forme. 


bennato 

e 

e 

benessere 

e 

? 

bellimbusto 

? 

e 

begliomini 

€ 

e 

272     Varia.  —  P.  G.  Goidanicli,  Il  vocalismo  di  buono,  bello  e  bene,  ecc. 

Petrocchi     Rafanelli     I.  Goidunich     Mancini     Scaifai  Empolese     Falcucci 

e  —  e  '  f 

e  e  e  e 

e  e  e  e 

belluomini     e  od  e  —  e 


Come  si  vede,  dunque,  le  indicazioni  del  Petrocchi  sono  esatte 
ma  non  hanno  valore  assoluto;  in  generale  prevale  la  pronunzia 
larga.  Pili  precisamente  :  anche  queste  forme  con  e,  che  il  Pe- 
trocchi ci  dà,  sono  proprie  di  Pistoia  e  in  parte  della  regione  di 
bon,  ossia,  là  certe  forme  analogicamente  alterate  hanno  acqui- 
stato una  relativa  stabilità  in  un  dato  posto,  e  da  tal  posto 
hanno  avuto  una  certa  diffusione  ;  Firenze  invece  è  rimasta 
estranea  e  alla  tendenza  analogica  e  alle  infiltrazioni  di  forme 
singole. 

Quanto  alla  pratica,  è  questo  uno  dei  casi  in  cui  non  c'è 
dubbio  di  scelta  ;  si  tratta  d'un  innovazione,  cui  Firenze  non 
partecipa,  d'un  innovazione  sottodialettale;  per  di  pili,  queste 
forme  non  sono  d'uso  generale  in  nessuna  parte  di  Toscana  ; 
perciò  la  pronunzia  larga  dovrebbe  essere  adottata  e  insegnata, 
anche  per  queste  quattro  parole  :  benessere,  bennato,  bellimbusto, 
begliomini. 

P.    G.    GOIDANICH. 

Sarre  (Val  d'Aosta),  agosto  1911. 


*  Nato  bene,  di  buona  famiglia. 


Angelico  Prati  273 


ETIIMIOLOa-IE 


hdiilo  (a  Lévieo  treiit.),  con  signiticato  uguale  al  ven.  hiyo'lo. 

Risale  a  bajulu,  come  altre  forme  affini  (cfr.  Schneller,  Die 
roni.  ^^ollx•SìHìnul..  p.  112);  ma  qui  voglio  rilevare  che,  mentre 
nel  contado  di  Trento  e  fino  in  villaggi  prossimi  a  Lévieo 
(pron.  loc.  Léceyo).  vive  il  derivato  ba(]ilo'm,  haiilo'm,  -o'n,  in 
questa  citta  e  in  qualche  villaggio  vicino  s'a  il  primitivo  sopra 
citato,  che  cede  poi  il  posto,  a  poca  distanza,  al  ven.  bigo'loy 
di  cui  è  data  qui  appresso  l'etimologia. 

beta  (furi.)  '  frequentare,  praticare  '. 

La  spiegazione  datane  dal  Salvioni,  "  Arch.  Glott.  „,  XVI^ 
p.  219.  che  cioè  beta  sia  '  abitare  ',  trova  piena  conferma  nel 
valsuganotto,  in  cui,  con  identico  significato,  si  usa  abitar.  Ed  è 
notevole  la  diffusione  di  abitare  in  questo  senso,  in  quanto  si 
tratti  di  voce  dotta. 

biga' lo  (ven.)  '  arnese  di  legno  arcuato  per  portar  sulla  spalla 
due  secchie  od  altro  alle  due  estremità  '.  Biyolànte  è  detta 
l'acquaiola  a  Venezia. 

La  voce  manca  al  veron..  che  in  suo  luogo  a  J'érla^  come  il 
rover.  a  \érla  da  gerula  (cfr.  Schneller^  Die  rom.  Volksmund., 
p.   112). 

Dell'etimologia  di  biyo'lo  si  sono  occupati  recentemente,  com'è 
noto,  r Ascoli,  "  Arch.  Glott.  „.  XV^  p.  326,  401,  e  il  Salvioxi, 
'■  Krit.  Jahresber.    il.    die    Fortschr.   d.    Rom.    Philol.  ,,.  VII,  i, 


274  Ano-elico  Prati, 

p.  147;  "  Romania  „,  XXXVI,  p.  224-226;  "  Studj  Romanzi  „, 
VI,  p.  49,  n.  ,  il  primo  riconducendo  questa  voce  ad  un  b  i  - 
gaulu,  il  secondo  ad  un  *bajo'lo,  da  metter  quindi  in- 
sieme con  bajillu.  Al  Salvioni  è  però  sfuggita  la  difficoltà 
principale  contro  il  suo  etimo,  cbe  è  data  dalla  vocale  accen- 
tata: Vó  largo  in  biijolo  è  costante  anche  in  quei  dialetti  ve- 
neti, nei  quali,  come  nel  valsuganotto,  il  suffisso  -o'iu,  giusta 
le  condizioni  fonetiche  locali,  è  reso  da  -o'io.  Potrebbe  quindi 
sembrare  pili  plausibile  il  *  b  i  g  a  u  1  u  pensato  dall'Ascoli.  Sen- 
nonché, contro  le  etimologie  dell'Ascoli  e  del  Salvioni,  adduco 
ora  un  fatto,  il  quale,  alla  sua  volta,  scioglie  definitivamente 
la  quistione.  Nella  Valsugana  si  usa  chiamare  l-o'lo  de  akiui  o 
semplicemente  ko'lo  le  due  secchie  (dial.  séci)  d'acqua  portate 
col  bigo'lo. 

Anche  nel  trentino,  a  cui  è  estranea  la  voce  bigg'l,  si  usa 
indicare  con  ko'l  de  akua  il  carico  di  due  secchie  d'acqua  por- 
tato col  baiilo'ni  (v.  Ricci^  Vocab.  trent.-ital.,  s.  v.).  Il  Cesarini 
Sforza  scrive:  "  Noi  diciamo  Portar  en  col  d'acqua,  intendendo 
per  lo  più  o  una  bigoncia,  o  due  secchi  „  ^ 

Bigo'lo  non  è  dunque  evidentemente  che  kq'lo  premessovi  il 
hi,  che  c'è  in  bigoncia  ecc.,  ed  è  da  supporre  che  un  tempo  con 
ko'lo  si  sia  designato  il  recipiente  con  cui  le  donne  attinge- 
vano acqua  e  che,  venuto  in  uso  il  bigo'lo  colle  secchie,  si  abbia 
pure  applicato  il  nome  ko'lo  alle  due  secchie  portate  col  bigo'lo. 
Kg' lo  trova  poi  un  riscontro  nel  collus  '  urceus  bibendi,  vel 
napus  '  del  Du  Gange. 

Bigg'lo  è  dunque  il  continuatore  di  un  *  b  i  e  o  1  1  u  e  la  forma 
hicollnm  del  lat.  mediev.,  che  il  Salvioni^  "  Romania  „,  XXXVI, 
p.  225,  n.  1,  riporta  dal  Nardo,  è  pienamente  giustificata  ed  a 


'"  L.  Cesarini  Sforza,  Altri  latinismi  trentini,  Strenna  Trentina  letteraria 
€  artistica  per  l'anno  1894,  Trento,   1893,  p.  67. 


Etimoloj^ie  275 

il  suo  corrispondente  nel  bicollo  del  vocabolario  italiano  (Tom- 
maseo-Bellini, Petrocchi),  di  significato  uguale  a  quello  della 
voce  veneta. 

L'Ascoli.  "  Ardi.  Cìlott.  ...  XV,  p.  326,  osservava  che  biijolo, 
quale  un  composto  di  bi-|-gaulu,  a  una  corrispondenza  nel 
furi,  hujinz  da  b  i  ■  e  o  n  g  i  u,  che  si  riferisce  allo  stromento  in 
quanto  esso  porti  i  due  congi.  La  corrispondenza  rimane  quindi; 
solo  che  a  g  a  u  1  u  va  sostituito  e  o  1 1  u .  Un  altro  caso  del 
passaggio  del  nome  del  recipiente  all'oggetto,  che  lo  porta,  cioè 
al  bigo'lo,  è  offerto  da  hrentóla,  che  è  appunto  il  nome  del  higo'lo 
nel  distretto  di  Sténico  (Stének)  (Trento)  \  ma  che  in  origine 
dovette  designare  il  recipiente,  con  cui  si  portava  l'acqua, 
prima  che  fosse  adottato  il  bigo'lo. 

bìzarùj  (levent.,  lomb.)  '  cinghie  della  gerla  '. 

Il  Salvioni,  "  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,  XXII,  p.  466;  "  Krit. 
Jahresber.  „,  V,  i,  p.  137;  "  Romania  „,  XXXVI,  p.  225-226, 
lo  deriva  da  bajulus,  ma  tale  etimologia  trova  un  ostacolo 
nel  valsug.  fifarq'j  («-)  '  a  cavalluccio  ',  che  non  andrà  al  certo 
disgiunto  dalla  voce  lombarda. 

cinquantare. 

Giulio  Bertoni,  "  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,  XXXIV,  p.  204, 
riporta  questo  verbo  dal  vocabolario  modenese  del  Muratori,  col 
significato  di  '  vagabondare  ',  ed  osservando  che  i  quartieri  di 
Modena  per  il  passato  eran  detti  '  cinquantine  ',  spiega  cinqiian- 
tare  come  '  passare  da  una  cinquantina  a  un'altra,  girandolare, 
vagabondare  '. 

Questa  spiegazione  mi    pare  ben  poco    convincente,  e  poi  va 


*  La  persona,  da  cui  ò  la  voce,  è  di  Seo.  Ignoro  quale  territorio  abbracci 
brentóla. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  ,  19 


27€  Angelico  Prati, 

osseryato  che  cinquantare  è  voce  ben  dififusa.  Essa  compare,  nel^ 
l'alta  valltì  della  Brenta,  nella  forma  />inkyantàr  e  con  un  si- 
gnificato che  forse  permette  di  connetterla  colla  voce  modenese. 
È  cioè  u«ata  ed  valore  di  '  brigare,  darsi  molta  briga,  affan- 
narsi, 'darsi molto  pensiero,  stillarsi  il  cervello',  ja  frasi  come: 
a  no  véo  tanto  a  ^inkuoMcur  no;  sa  ndarétu  tante  a  /  /==  cosa  andrai 
tanto  a  cinquamtare!  (Corrisponde  .dunque,  pel  senso,  a  hapilàr, 
ehe  è  va  ci -11  are  (Parodi,  "  Romania  ..,  XXVII,  p.  19.7-198). 
ìSi  noti  quindi  l'analogia.  Sia  poi  ricordato  il  venez.  cinquantàr 
'  ciarlare  stucchevolmente  '  (Boerioi),  che  pure  non  si  staccherà 
da  ^mJcum'ddr,  e  il  tose,  cinquantare.. 

cjàf'o  (ven.),  ^ós  (trent.  ecc.) 'impuntura '. 

Dal  ViDossicH,  "  Zeitschr.  f.  Rom.Philol.  „,XXX,  p.  203-204, 
vien  derivato  dalla  voce  longobardica  gahayium,  gagium,  col  si- 
gnificato di  '  siepe  ',  per  la  somiglianza  tra  la  disposizione  degli 
stecchi  di  una  siepe  e  i  punti  dell'impuntura.  AH'  etimo  del 
Yidossich  si  oppone  un  grave  ostacolo  di  ordine  fonetico:  in 
gà/'o  non  si  à  cioè  un  /'  da  -  ;  contro  di  esso  sta  appunto  il  -  di 
ga^o  da  gahagio  ^.  V.  i  nomi  locali  veneti  citati  dall' Olivieri, 
"  Studi  Glott.  „;  III,  p.  167-168,  e  confr.  trent.  gaz  'terreno 
boschivo  '  contro  gas,  gaf'ét  '  impuntura  '.  Poi  è  da  osservare 
che  se  gahagium  nel  longdb.  ebbe  il  significato  di  '  siepe  ',  esso 
almeno  nel  Trentino  e  nel  Veneto  significò  generalmente  '  selva  ', 
'bosco  '.  Confr.:  "  Arch.  Trent.  „,  XVITI,  p.  238,  s.  gazius,  gaztis; 
ScHNELLER,  TiroUsche  Namettforschimgen,  p.  80  ;  id.,  Beitràge  zur 
Ortsnamenkunde  Tirols,  III,  p.  59,  ov'è  pur  detto  che  gahagium 


'  Trovo  la  forma  gaza  (plur.)  già  in  documento  del  974  [Monumenta  Ger- 
maniae  historica:  DiplomaCum  regiim  et  imperatorum  Germaniae  tomus  II; 
V.  indice);  in  un  doc.  del  994  (v.  ivi)  è  rammentata  una  silva  Gaio,  l'o- 
dierno Gazo  (Verona). 


Etimologie  277 

nelle  leg.  ìamjob.  eclidum  Rothari  (319)  a  il  significato  di  '  s.elva  ' 
e  che  nelle  desiynationes  comunium  civitqtis  Trideìiti  del  1339  s'a 
f/azutn  site  huscum.  V.  poi  il  Du  Gange,  che  da  le  forme  gagitm, 
(jazium,  gajum  '  silva  densissima  ',  e  per  la  Toscana  il  Bianchi, 
"  Arch.  Glott,  ^,  IX,  p.  400,  n.  2.  Si  rammenti  anche  il  non,es 
HJagar  '  guardaboschi  '  (Battisti,  Die  Nonsb.  MmuL,  p.  20).  Ri- 
marrebbe ancora  da  esaminare  quale  rapporto  di  somiglianza 
possa  esservi  tra  la  forma  di  una  siepe  e  quella  dell'impuntura, 
ma  quanto  fu  detto  sopra  basterà,  credo,  per  provare  Tincom- 
patibilita  tra  il  gà/'o  e  il  gd-io.  Osservo  che  di  gà/'o  s'era  anche 
occupato  lo  ScHNELLER,  Die  rom.   Volksmund.,  p.  145  '. 

Upóìì  (lomb.)  ■  pigro,  tardo  '. 

Il  Salvioni,  "  Arch.  Glott.  ",  XVI,  p.  174,  lo  connette  col 
ted.  Lippe,  notando  che  tra  noi  manca  il  primitivo.  Ora  avverto 
che  abbiamo  pur  questo,  poiché  nella  Valsugana  vive  Iìjmi  '  fan- 
nullone ',  applicato  tanto  a  persona,  quanto  a  cane  randagio, 
che  vive  a  ufo.  Meglio  che  a  lippe,  questa  voce  risalirà  al- 
l'ant.  ted.  1  i  p  p  a  =  ant.  frane,  li/je  (Kortixg^  563o).  Confronta 
frane,  lijjpe,  lippu,  lippée.  Qui  spettano  anche  i  trent.  f'iipja, 
f'lipj(/m  '  lernia,  ghiotterello,  delicatuzzo  ',  f'iipjar  '  mangiuc- 
chiare, piluccare  ',  che  lo  Scthneller,  Die  rom.  Volksmund.,  p.  189^ 
derivò  già  dal  ted.  Lippe. 

Iq'ra  (ven.,  trent.,  parm.  ecc.)  '  pevera  '. 

Su  vari  significati  assunti  da  lo'ra  nel  venez.,  nel  veron.,  nel 
trent..  rimando  ai  rispettivi  dizionari  del  Boerio,  di  Patuzzi- 
Bolownini,  del  Ricci. 


'  Nella  Valsugana  gufo  non  è  voce  di  schietto  uso  popolare.  S'usa  per  lo 
pili  indicare  con  gàfo,  gaf'eto  l'impuntura  fatta  a  macchina.  L'impuntura  a 
mano  esattissima  è  detta  strapohtln,  quella  meno  esatta  ihdriopo'nto. 


278  Angelico  Prati, 

Per  questa  voce  si  a  da  escludere  la  derivazione  da  u  t  e  r , 
pel  motivo,  che  nel  trentino  il  d  non  scompare,  come  nel  ve- 
neto. Da  u  t  e  r  si  avrebbe  una  forma  con  -dr-.  Confr.  infatti 
lo  dm  <  1  u  t  r  a  ^.  Per  lo'ra  si  può  solo  ammettere  1  ti  r  a  '  ori- 
fìzio di  sacco  0  d'otre,  sacco  od  otre  ',  etimo  dato  dal  Pieri, 
"  Studj  Romanzi  „,  I,  p.  44-45,  e  dallo  Schneller,  Die  rom. 
Volksmund.,  p.   153  ^. 

Da  lo'ra  derivò  il  valsug.  orélo  '  imbuto  ',  giudic.  urèi  (Gartner, 
Die  judic.  Mimd.,  p.  880),  nònes  orél  (Battisti,  Die  Nonsb.  Mund., 
p.  90).  Il  trentino  a  lorél  (Ricci),  come  il  veronese  a  loro'to  e 
il  veneziano  loréta.  In  quanto  al  regg.  lodra,  il  Bertoni,  V, 
suppone  giustamente  che  si  tratti  di  un  incrocio  di  lora  con 
u  t  e  r  3. 


^  Confr.  Carlo  Battisti,  La  traduzione  dialettale  della  Catinia  di  Sicco 
Polenton:  ricerca  sull'antico  trentino,  estratto  à?i\V  Archivio  Trentino,  an- 
nate XIX-XXI,  Trento,  1906,  §  76,  p.  184. 

-;—  al  luogo  di  -dr-  compare  in  kare'ga  <*cathèdra4"C|uadriga, 
nel  nònes  invece  kjadrie'gja  (Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  103).  S'à  poi 
-dr-  >  -r-  in  alcuni  nomi  locali  da  *  q  u  a  d  r  ù  v  i  u  e  in  Corano  (Cava- 
lése)  <*quadranu  (confr.  il  Quadrati  de  Ruwen  del  1393,  presso  Walgau 
nel  Vorarlberg,  citato  nella  "  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  ,,  XXXIV,  p.  199). 
V.  le  mie  Ricerche  di  toponomastica  trentina,  "  Pro  Cultura,  Rivista  bime- 
strale di  Studi  Trentini  ,,  I,  suppl.  2°,  Rovereto,  1910,  p.  48-50,  ove  è  pur 
citata  Calcedranica  (anno  1184),  oggi  Kalzerànega  (Lévico).  Ma  si  tratta 
generalmente  di  nomi  locali  di  territori  prossimi  al  veneto  o  da  esso  in- 
fluenzati. 

Nel  valsuganotto  -tr-,-dr-^  -r-  è  fenomeno  alquanto  frequente.  Confr.  : 
marina,  parino,  paro'h-  ànara;  kitare'lo,  skttdra,  skuaràr,  fore'ta,  patàro  (da 
*petàdro,  confr.  tose,  petardo)  '  piccola  mina  '  ecc. 

^  La  supposizione  che  lo'ra  nel  trentino  sia  voce  importata  non  avrebbe, 
beninteso,  alcun  fondamento.  V.  d'altronde  le  considerazioni  del  Bertoni  nel 
lavoro  qui  appresso  citato  (p.  13),  sulla  antichità  di  lora  nel  Veneto,  nella 
Lombardia,  nell'Emilia. 

^  Giulio  Berto^'i,  Le  denominazioni  delV  "  imbuto  „  nelV  Italia  del  nord: 
ricerca  di  geografìa  linguistica,  Bologna-Modena,  1909,  p.  9. 


I 


EtimoloK'io  279 

marUja,  marlgo  (ven.)  'sindaco,  capo  del  connine;  cursore  co- 
munale' (confr.  ScHNELLER, /)ie  ?-ow.  Volksinund.,  p.  289;  "  Ardi. 
Glott.  „,  XVI,  p.  310). 

•  Il  Salvioni,  "  Krit.  Jahresber.  „,  Vili,  i,  p.  145,  ritiene  clie 
marigo,  -a  sia  un  estratto  da  marigola,  matricola.  Il  '  niariga  '  sa- 
rebbe '  quel  dela  marigola  ',  colui  che  tiene  e  dirige  la  mari- 
gola:  e  anche  egli  pensa  a  marigola  venuto  a  diro  '  comunità', 
poi  'ehi  rappresenta  la  comunità'  (cfr.  i  due  valori  del  lat. 
magistratus  e  di  podestà).  E  nella  "  Romania  „,  XXXVl,  p.  226, 
n.  6,  egli  cita  mariga  quale  esempio  di  primitivo  estratto  dal 
derivato  ^ 

I  documenti  medievali  veneti  permettono  di  approfondire 
meglio  la  quistione  dell'origine  di  niùriga  e  di  marigola.  In  un 
documento  infatti  del  1264  -  è  fatto  cenno  della  Regula  <(•  Ma- 
dricha  de  Strigno  (ù  de  Villa,  due  paesi  questi  della  Valsugana. 
Come  si  vede,  qui  si  a  la  voce  Madricha  non  nel  significato  di 
'  sindaco  ',  ma  in  un  significato  affine  a  regola,  ossia  di  giuris- 
dizione regolare.  Confr.  anche  Guido  Suster,  "  Tridentum  „, 
III,  1900,  p.  66.  Nei  documenti  medievali  compare  pure  la  voce 
marigancia,  marigantia,  che,  nel  suo  significato  più  largo,  indicò, 
almeno  nel  Vicentino,  l'amministrazione  del  comune,  che  consi- 
steva nella  nomina  dei  decani,  dei  consiglieri,  dei  giurati,  dei 
canipari,  dei  saltari  ;  stabiliva  le  guize,  le  leggi,  i  tributi,  le 
multe,  le  pene.  A  capo  stava  il  marigo.  V.  Angelo  Dal  Savio, 
Il  diritto  vicentino  nei  secoli  XIII- XIV ,  "  Atti  della  A ccad.  Olim- 


*  Nelle  S/ji</ol(ttiire  venete,  "  Revue  de  Dialectol.  Rora.  ,,  U,  1910,  p.  95, 
il  Sai.vioni  connette  con  martga  il  poles.  man'igola  'regina  delle  api'.  E 
da  notare  che  maru'golu  nel  trentino  è  il  nome  della  mantif>  religiosa  e 
marùgola  nel  rover.  è  la  cavalletta  verde  (Azzolinf,  Fooaè.).  Dato  l'etimo  del 
Salvioni,  ci  aspetteremmo  *madriì'goh(  nel  trentino. 

*  GrusKPi'E  Andrka  Montebello,  Notizie  storiche,  topografiche  e  religiose 
della  Valsugana  e  di  Primiero,  Roveredo,  1793,  p.  33  dei  documenti. 


280  Angelico  Prati, 

pica  di  Vicenza  „,  1908,  p.  176;  SchneIler,  Ter.  Nam.,  p.  101, 
n,  1.  Confr.  anche  G.  Andrich,  Note  sui  comuni  rurali  bellunési, 
"  L'Ateneo  Veneto  „,  Anno  XXVIII,  Voi.  Il,  p.  263-264,  e,  per 
la  Valsugana,  Suster,  1.  e,  p.  65-66.  In  un  doe.  del  1218  è 
fatta  menzione,  oltre  che  della  marigancia,  anche  della  supertna- 
rigaficia.  V.  "  Boll,  dèi  Museo  Civico  di  Bàssano  „,  VII,  p.   83. 

Mariga,  Madricha  risale  evidentemente  a  un  *  m  a  t  r  i  e  a  (cófìfr. 
ScHNELLER,  Tir.  Natii.,  p.  100),  per  matrice  '  registro,  cata- 
logo '  ^  e  da  questa  base  si  dipartono  marigantia  e  marigola.  In 
quanto  a  la  forma  marìegola,  il  Salvioni  ("  Krit.  Jahresber.  „,  VII, 
I,  p.  123)  osservò  già  che  Vie  sarà  dovuto  a  riegola.  Confr.  purè 
Ugo  Levi,  /  monumenti  più  antichi  del  dialetto  di  Chioggia,  Ve- 
nezia, 1901,  p.  53.  Pel  suffisso  di  marigantia,  confrontisi  cofh- 
munantia  (Du  Cange). 

Per  mafigo  pensò  già  lo  Schneller,  Tir.  Nam.,  p.  101,  ad 
un  *matricus.  Si  noti  ch'esso  compare  nella  forma  maricus 
in  carte  di  Treviso,  dì  Aquileja,  del  Cadore,  degli  anni  1199, 
1282  ecc.  (v.  Du  Caiige).  Cosi  pure  la  forma  marigancia,  mari- 
gantia ricorre  già  in  documenti  del  1273,  1285,  128&,  1302 
{Tir.  N'am.,  p.  101,  n.  1;   "  Tridentum  „,  III,  p.  65).  Si  tratta  di  , 

esòinpi  di  -tr-'^-r-  interessanti  di  fronte  a  Madricha  del  1294  -.  I 

marùbjo  (ven.)  '  cipiglioso,  austero,  burbero  '. 

Il  Salvioni,   "  Arch.  Glott.  „,  XVI,  p.  310,  suppone  che  abbia 


*  A  proposito  è  interessante  il  sapere  che  nella  valle  di  Fieme  (Trentino) 
fu  usata  la  voce  Quadernollo  per  'Carta  di  Regola '.  V.  Saetori-Montecroce, 
"  Zeitsclirift  des  Ferdinandeuras  fur  Tirol  und  Voràrlberg  „,  HI.  Folge, 
36.  Heft,  Innsbruck,  1892,  p.  30. 

*  In  un  doc.  del  1181  coin^are  la  voce  siipramaricus,  pél  cui  significato 
V.  Ottone  Brentari,  Storia  di  Bussano,  Bassàno,  1884,  p.  189,  n.  I,  ove  si 
spiega  pure  marigancia.  V.  anche  Vergi,  Codibe  Eceliniàiw,  p.  515.  A  p.  96, 
arino  ilSS,  trovo  la  forma  marigus.  Lo  Schneller,  Tir.  Nam.,  p.  101,  e  il 
Brentari,  0.  e,  p.  141,  danno  anche  la  forma  riièi'igo. 


Etimologie  2&1 

d+^tto  prima  'amaro',  risalendosi  certo  alla  jyianta  niarrti- 
b  i  u  m  ,  che  a  un  gusto  acre,  e  cita  esempi  di  scrittori  allu- 
denti al  sapore  amaro  del  marrobbio. 

Credo  che  la  cosa  stia  diversamente  e  a  ritener  questo  mi 
induce  il  fatto  che  nel  va-lsuganotto  nKo-ùhjo  dice  '  ravido,  rozzo, 
greggio  '  e,  per  traslato,  s'applica  anche  a  persona  di  modi  poco 
gentili. 

merlhì  (furi.)  '  mucchio  di  tiene  o  strame  ecc.  '. 

11  Salvioni,  "  Zeitschr.  f.  Hom.  Philol.  ,.,  XXXIV,  p.  388,  a 
pensato  che  possa  essere  un  *nt,edlin,  da  mede  <:C  m  e  t  a  ,  A 
p.  404,  in  un'aggiunta,  osserva  però  che  è  pure  da  ricordare  il 
ven.  marela.  Merlin  non  a  infatti  nulla  eh©  fare  con  meta, 
eome,  oltre  che  la  voce  marehi  qui  citata,  lo  prova  il  valsug. 
marélo  '  mucchio  di  fieno  '.  Nel  valsuganotto  réla,  che  non  è  na- 
turalmente che  maréla  con  la  sillaba  iniziale  scomparsa  ^^  indiea 
invece  il  lungo  e  sottile  mucchio  di  fieno  '\  che  si  fa  rastrel- 
lando. Si  confronti  ancora  il  trent.  marél  '  mannello,  covoncello, 
ciocca  '  (Ricci). 

nihja ;  niola  (ven.). 

Il  NiGRA,  "  Arch.  Glott.  „,  XV,  p.  502,  volle  spiegare  il  pieni. 
nivn,  can.  nicìd  '  nuvolo  ',  ven.  pad.  nìhia  '  nebbia  '  con  un  *nifnd- 
{*nih'l-),  metatesi  di  ntibd-.  Ma  per  tale  metatesi;  il  Salvioni, 
"  Kiit.  Jahresber.  „,  \l\,  i,  p.  138,  osserva  che  s'avrebbe  avuto 


*  Per  casi  analoghi  v.  Sai.vio.vi,  "  Romania  ,,  XXXI,  p.  287;  "  Arch 
(iloti.  ,,  XVI,  p.  224,  s.  dòrie;  Viuossich,  ivi,  p.  368.  Una  sillaba  iniziale, 
che  cade  spesso,  pare  sia  appunto  ma-.  Conff.  ancora  tose,  tóbhio,  da 
marrobbio  (Pieki,  "  Arch.  Glott.  „,  XV,  p.  188). 

-  Nel  15.59  è  ricordato  un  Paidiis  Nicolai/  BrusamareUi  de  Rozio  (Vicenza) 
(Desiuhrio  Rf.ich,  Notizie  e  dononpnti  su  Lavorone  e  dintorni.  Trento,  1910, 
p.   177), 


282  Angelico  Prati, 

né-,  non  ni-.  Egli  perciò  appoggia  ivi  la  spiegazione,  che  di 
nivu  ecc.  diede  il  Meyer-Liibke,  e  ritiene  che  in  ìilhja  invece  Vi 
sia  per  effetto  del  j,  come  nel  padov.  celtbrio  cervello  {*cerébno). 
Ora,  il  Meyer-Lììbke,  Rom.  Granim.,  I,  p.  77,  osserva  che  i  per  u 
davanti  a  labiale  si  presenta  nel  moderno  prov.  nivol,  ìiivu, 
pieni,  nirul,  furi,  niul,  e  con  questi  mette  anche  ven.  niola, 
milan.  nivola,  pav.  nivol.  La  spiegazione  del  Meyer-Liibke  non 
può  naturalmente  valere  pel  ven.  niola  '  nuvola  '  e  la  spiega- 
zione del  Salvioni,  se  può  valere  per  nihja,  non  vale  invece  per 
niola.  Il  Pieri,  "  Studi  Romanzi  „,  I,  p.  46,  al  contrario  postulò 
una  base  *  n  i  b  ù  1  a  ,  che  darebbe  al  certo  ragione  di  tutte  le 
forme  qui  sopra  citate.  Ma  se  si  volesse  separare  dalle  altre 
forme  dell'alta  Italia  i  ven.  nihja  e  niola,  per  questi  si  potrebbe 
ricorrere  a  n  è  b  u  1  a ,  da  cui  nihja  per  via  di  *neb'la,  niola 
per  via  di  *nevola  ^  Si  noti  in  proposito  il  ricorrere  nell'ant. 
ven.  di  7ieola,  nevola  col  valore  di  '  nuvola  '.  Confr.  "  Arch. 
Glott.  „,  XVI,  p.  314;  ViDossiCH,  "  Studj  Romanzi  „,  IV,  p.  123, 
ove  si  riporta  innevolato  '  annuvolato  ',  e  v.  la  bibliografia  ivi 
citata.  Notisi  pure  vicent.  inéola  '  annuvola  ',  accanto  a  inibia, 
inihiarse. 

pistérno,  jmstérno  (ven.)  '  bacio  '. 

La  prima  di  queste  due  forme  è  propria  della  Valsugana. 
Nella  parte  più  orientale  però  di  questa  valle  e  nel  Canale  di 
Brenta  è  in  uso  la  seconda  forma.  Risalgono  ambedue  a  un 
lat.  *posteriiu.  Conh\  j^osteme  'di  dietro'  nel  Glossariiim 
del  Du  Gange.  Pistérno  procede  molto  probabilmente  da  un 
*pestérno,  ottenuto,  a  sua  volta,  da  *j)ostérno  per  assimilazione^ 
e  dovrà  il  suo  i  all'influsso  del  s.  Conh.  vahug.  Lisandro' Ales- 


'  Si    ricordi    Val    di   Nievole  (Lucca),  nel  1027  Nehuìa    {Mon.   Gemi.  ìiist. 
Dipi.,  IV).  V.  anche  Schnkller,  Tir.   Nani.,  p.  217. 


Etimologie  283 

Sandro  '.  V.  Parodi,  "  Areh.  Glott.  „,  XVI,  p.  189,  ove  si  cita 
il  genov.  Lmindrii.  Nel  valsugauotto  c'è  pure  l'aggettivo  ]n- 
sternivo,  detto  di  luogo  poco  o  punto  soleggiato. 

sugane  (furi.)  'maga,  strega'. 

Il  SALVioxr,  "  Revue  de  Dialectol.  Rom.  „,  TI.  p.  91,  n.  2, 
crede  che  sai/àne  sia  aiijnana,  con  s-  dovuto  al  sinonimo  stria  o 
al  salràn.  Anche  nel  "  Giorn.  Stor.  della  Letter.  Ital.  ...  XXIV, 
1894,  p.  267,  aveva  espresso  l'opinione  che  un  incontro  delle 
'  aquane  '  coi  '  silvani  '  si  presenta  forse  in  sa(/(hie.  Pili  ovvio 
mi  pare  il  ritenere  che  sagóne  sia  il  lat.  s  a  g  a  n  a  '  strega  ', 
con  immistione  di  *aquana,  Cfr.  aganas  '  fate  dell'acque  ' 
("  Arch.  Glott.  „,  IV,  p.  334)  e  v.  anche  sagana  nel  Du  Gange  ^ 

f'mara  (ven.)  '  malinconia,   malumore,  uggia,  paturne  '. 

Il  Salvioni,  "  Arch.  Glott.  .,,  XVI,  p.  310,  avendo  occasione  di 
accennare  al  male  della /'/Hf/>T/,  interpreta /'?«(??y^  come  'madre', 
ricordando  il  mare  'nausea'  del  Cavassico.  Malgrado  quest'ul- 
timo, mi  par  migliore  la  connessione  con  ven. /'wr/ra  '  incubo ', 
su  cui  V.  G.  Bastanzi,  Le  superstizioni  delle  Alpi  venete,  Treviso, 
1888,  p.  8-9,  p.  36-40.  Confr.  teut.  mara  (femm.)  o  mahr 
(masch.)  '  incubo  ',  frane,  caucheniar  '  calca-mara  ',  ingl.  nightmare 
'mara  della  notte'  (Flechia,  "  Arch.  Glott.  ..,  II,  p.  10,  n.  3; 
KoRTiNG^,  5934).  Il  Bastanzt,  p.  40.  osserva  pure  che  nell'illi- 
rico Mara  significa  '  fantasma  '.  Andrà  con  questa  voce  il  ven. 
Maràntega,  per  cui  v.  Bastanzi,  p.  3,  e  Cesarixi  Sforza,  "  Tri- 
dentum  „,  III,  p.  135-136,  e  fors'anco  Marainèo. 


'  La  derivazione  di  aiguana  da  *aqnana  fu  data  dallo  Schneller,  Z)i> 
ro»i.  Voìksinund.,  p.  106;  ma  è  da  notare  che  fu  poi  da  Ini  abbandonata, 
per  connettere  quel  nome  nientemeno  che  cogli  Eu>junei\  {Tir.  JVaw.,  p.  2). 
Per  (lifjnana,  v.  tra  i  tanti  che  se  ne  sono  occupati,  Levi,  Francesco  di 
Vannozzo  e  la  lirica  nelle  corti  lombarde,  Firenze,   1908,  p.  3C0. 


284  Angelico  Prati, 

spianzofe  (f)o1es.)  '  splendore  '. 

Lo  z  sarebbe  dovuto,  secondo  il  Salyioni,  "  Revu'e  de  Dia- 
leetol.  Rom.  „,  II,  p.  96.  alla  immissione  del  tema  del  presente 
di  splendere.  E  splendeo  disposato  a  qualche  altra 
voce  rivedrebbe  egli  pure  nello  spiando  *  lampo  ',  di  cui  il  Mus- 
SAFiA,  Beitrag,  56.  Io  aggiungo  che  nel  polesano  spianza  signi- 
fica comunemente  '  cosa  che  sprizza  '  e  che  spianzàfe,  ébanzare 
le  strade  vale  *  inaffiarle  '.  Sole  a  spianze  son  poi  detti  i  ràggi 
crepuscolari  ("  Riv.  Geogr.  Ital.  „,  XV,  p.  42-43)  i. 

Voci  italiane  derivate  dal  lat.  b  a  d  i  u  . 

Con  questo  aggettivo  vanno  assai  probabilmente  connesse  al- 
cune voci  di  vario  significato,  ma  tutte  esprimenti  uno  stato  od 
una  qualità  intermedia:  il  color  baio  sta,  come  si  sa,  tra  il  rosso 
e  il  bruno;  esso  indica  ctunqne  una  qualità  intermedia.  Eb- 
bene, le  parole  seguenti  offrono  casi  artàloghi,  che  fheritàno  di 
essere  ben  considerati. 

baiiéo  (tose.)  '  verdastro,  verdone  '. 

baiiésco  (tose.)  '  bassotto  '. 

baiig'tto  (tose.)  agg.  '  Dell'ova  cotte  col  guscio,  fra  sode  e  te- 
nere; malaticcio;  poco  pratico  in  una  scienza,  in  un'arte  e  sìitì.; 
un  po'  alterato  dal  vino  '. 

baig't  (trent.)  '  bazzotto  {uovo),  anco  per  brillo  ;  senza  opinione 
propria,  anfibio,  né   carne,  né  pesce  '  (Ricci). 

bacto  (valsug.)  '  mezzo  secco  '  (detto  del  fieno),  '  mezzo  asciutto  ' 
(della  biancheria  spiegata,  ecc.).  Anche  bacTg'fo. 

Non  so  poi  se  t)  a  d  i  u  entri  pure  in  bang'ffìa  (tose.)  (confr. 
KoRTiNG^,  9233),  in  quanto  possa  indicare  una  vivanda  né  soda, 
né  li^aida,.  spagn.  bazofìa  '  avanzi  di  tavola  mescolati  insieme  '. 


^  Gonfr.  veron.  spjàhso,  ì-tpjàhsdr,  spjahsàda;  spjahslf'o  'lampo'  (confr. 
ven.  scahtifo),  spjahsì/'àr,  vicent.  fbianzare  '  aspergere  ',  spianzo  '  lampo  ', 
spìandore. 


Etimologie  285 

B  a  d  i  u  formerebbe  cosi  un  interessa'nte  parallelo  con  v  a  r  i  ii , 
di  cui  la  nota  fondamentale  è  '  che  non  sta  fermo,  sia  in  un 
colore,  sia  in  una  posizione,  sia  in  un  periàiero  '.  Confr.  Parodi, 
'^  Romania  „,  XXVII,  p.  209-212. 

Sulla  base  *  m  a  r  -    di  maro' ha  ecc. 

Il  NiGRA,  nel  suo  studio  sulla  Metatesi,  "  Zeitschr.  f.  Rom. 
Philol.  „,  XXVni,  19t)4,  p.  3,  ammette  senz'altro  l'equazione 
veron.  mdrogna  =  ir.  moraine.  Invece  il  SalVioni,  "  Areh.  Glott.  a, 
XVI,  p.  311,  occupandosi  dell'ant.  trevis.  maruogna  '  malttanaj, 
ipocondria;  scoria,  gente  di  rifiato',  osserva  òhe  questo  secóndo 
significato  si  riannoda  direttartientè  c6tì  quello  del  ven.  marogna 
*  scoria,  rosticci  del  ferro,  calcinaccio  '  e  connette  la  voce  con 
'  madre  '.  Anche  il  Vidossich,  "  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,■  XXVII, 
p.  750,  fa  risalire  triest.  moróha,  ven.  maroha  ad  uri  *  m  a  - 
t  r  0  n  e  a  e  cita  a  confronto  madre  del  tino  ==  fecciai,  madre  del- 
l'olio =  morchia.  Neil'  "  Archeografo  Triestino  „  del  1905,  p.  156, 
egli  aggiunge  però  che,  secondo  il  Lol-ek,  va  pure  confrontato 
maroka  e  crede  che  questo  non  sia  altro  che  un  incontro  di 
mar-  con  barocco  nel  significato  di  ''  golfo',  strampalato,  scor- 
retto '.  Riguardo  a  mdróka  '  ciarpame  '  il  Vidossich,  "  Zeitschr. 
f.  Rom.  Philol.  „,  XXVII,  p.  757,  espresse  pure  il  parere  che 
forse  sia  da  mettere  con  marame  (tose.)  '  rifiuto  di  mercanzia, 
di  cose;  gran  quantità  di  cose  o  di  p'ersone  '. 

Maro'iia  non  può  risalire  a  un  *  m  a  t  r  o  n  e  a  ,  perché  nel 
trentino  ne  sarebbe  derivato  *madrona  :  confr.  madréln,  ma- 
drlna,  ven.  maréla,  marina,  maréiia.  E  ih  proposito  si  noti  che 
la  forma  marogha  è  attestata  pel  trentino  già  in  documento 
del  1297  (SciiNELLER,  Tir.  Nam.,  p.  95).  Migliore  è  sicuramente 
la  spiegazione  che  di  maro'na,  maro'ka  dà  lo  Schnellek,  Tir. 
Nam.,  p.  95;  Beitràge,  II,  p.  96,  al  quale  rimanda  giustamente 
anche  I'Olivieri,   "  Studi  Glott.  „,  III,  p.   172,  a   proposito    del 


286  Angelico  Prati, 

ven.  marogna  '  muricciolo  a  secco  '.  Quegli  ammette  cioè  che  si 
abbia  da  partire  da  una  base  *  m  a  r  -  col  significato  di  '  sasso  '; 
'masso';  'lungo  mucchio  di  sassi  o  di  macerie'.  Qui  raduno 
alcune  voci  che,  anche  a  mio  credere,  si  rannodano  a  tale  base. 

marogn  (bergam.)  '  macigno,  pietra  grossa  da  murare  '  (vedi 
ScHNELLER,   Tir.  Xcim.,  p.  95). 

maro' ha.  Nel  trent.  significa  '  maceria,  macia  ',  nel  veronese 
'  muriccia,  muro  a  secco  ',  nel  giudic.  maro'nya  '  mucchio  di 
sassi  '  (Gartner,  Die  judic.  Mund.,  p,  862).  Marogna,  o  il  plur. 
Marogne  {le-)  ;  compare  pili  volte  nella  toponomastica  trentina 
e  veneta,  quale  nome  indicante  luoghi  sassosi.  Si  veda  lo 
ScHNELLER,  1.  c,  e  SÌ  ricordino  il  Corno  di  Marogna  nel  gruppo 
del  Cablone  presso  il  Lago  di  Garda  (Brentari,  Guida  del  Tren- 
tino, III,  p.  166)  e  le  Marogne,  grossi  e  neri  massi  nella  valle 
dell'Astego  (Brentari,  ivi,  I,  p.  322).  Anche  le  Marogne  e  Ma- 
rognóle  citate  dall'OLiviERi,  1.  e,  dovranno  più  spesso  il  loro- 
nome  a  delle  frane,  a  delle  congerie  di  sassi.  Da  maro'na  de- 
rivò nel  trentino  f'maronà,  che  vale  '  rovinato,  malandato,  spec. 
in  salute,  malazzato  '. 

maro'k.  Nel  trentino  significa  '  sasso  ;  roccia  ;  balordo,  babbeo  '. 
A  Lévico  maro'ko  e  marokéto  son  titoli  comuni,  motivo  pel  quale 
son  detti  marokéti  gli  abitanti  di  quella  città.  Nel  giudic.  maro'k 
'sasso  sciolto'  (Gartner,  1.  e).  Lo  Schneller,  1.  e,  n.  1,  cita 
anche  il  verbo  smaroccarse  '  gettarsi  sassi  '  ^  Maro'k  ricorre 
spesso  nel  Trentino  come  nome  locale.  Confr.  Schneller^  1.  e, 
ov'egli  osserva  che  -o'k  qui  è  una  forma  aumentativa,  che  trova 
un  interessante  parallelo  in  Preòk,  da  préa  <  p  e  t  r  a  ,  nome 
del  più  gran  masso  degli  Slavini  di  Marco  (Rovereto)  e  di  un 
campo  presso  Pedersano,  Confronta  ancora 


^  Anche  TAzzolini  a  smaroccar  '  prender  a  sassi  '. 


Etimologie  287 

maro'kolo  o  marùgolo  (veron.)  'rocchio,  grosso  sasso''. 

maty'ka.  Nella  toponomastica  trentina  equivale  a  maro'k.  Sia 
ricordato  il  sassoso  deserto  delle  Maroche  nella  valle  della  Sarca 
(Brentari,  Guida  cit.,  Ili,  p.  95-96).  Nel  piem.,  nel  lomb.,  nel- 
l'emil..  nel  romagn.  significa  '  marame  '  (confr.  Schneller,  Die 
rom.  Volksmuud.,  p.  154-155;  Flechia,  "Ardi.  Glott.  „ .  II, 
p.  367),  nel  veron.,  oltre  '  marame,  robaccia  ',  anche  '  infred- 
datura '  (cfr.  nìdrantega  '  rantolo;  raucedine  '). 

Il  suffisso  -l'vu  in  sostantivi  veneti. 

Il  Mkver-Lìibke.  Roììì.  Grani)».,  Il,  p.  541,  espresse  l'idea  che 
il  ven.  kortlvo  provenga  dal  franc.-provenz.  cortiu-!<.  Il  ViDOSSicir, 
••  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,  XXVII,  p.  757,  lo  riterrebbe  in- 
vece succedaneo  di  un  *  e  o  r  t  i  1  i  u  ,  da  confrontare  col  calabr. 
kurtiginju.  Fa  maraviglia  che  si  metta  in  dubbio  la  presenza 
del  suffisso  -ivo  in  kortio,  kortivo.  rover.  kortif.  Alla  spiegazione 
del  Vidossich  non  solo  s'oppone  la  difficoltà  di  ammettere  per 
tutto  il  territorio  veneto,  in  cui  il  detto  nome  ricorre,  la  ridu- 
zione di  -liiu  a  -IO,  ma  anche  il  fatto  che  nei  documenti  me- 
dievali kortìo  compare  nient'altro  che  nella  forma  curtivum;  ^qv 
■esempio,  in  un   documento  valsuganotto    del  1285  si  legge:  in 


'  Forse  è  da  vedere  il  primitivo  *mar-  in  alcuni  nomi  locali,  quali  la 
Mar  presso  Lavi's  e  il  Lago  della  Mar,  non  molto  lungi  da  Trento.  11  sopra 
■citato  Corno  di  Marogna  è  vicino  al  Passo  di  Val  Mara.  V.  anche  Bren- 
tari, Guida  cit.,  1.  p.  147;  II,  p.  5.  Per  la  voce  mara,  che  allude  a  sco- 
scendimenti di  suolo,  nel  Cadore,  v.  Marinelli,  "  Riv.  Geogr.  Ital.  ,,  Vili, 
p.  163,  164,  ove.  nella  nota,  è  ricordato  un  gruppetto  di  case  Mare,  si- 
tuato in  regione,  ove  sono  frequenti  gli  scoscendimenti  di  suolo.  Sempre 
in  questa  famiglia  di  nomi  locali  Io  Sohnki.lkr,  Beitriige,  II,  p.  100,  vor- 
rebbe comprendere  pure  VaYa\  Morobhia  presso  Bellinzona  e  il  monte  Mar- 
montana,  che  e  in  fondo  ad  essa.  Dal  Salvioni  la  Val  Moróbbia  vien  invece 
derivata  dal  nome  della  pianta  marrubium  ("  Boll.  Stor.  della  Svizzera 
Ital.  ,,  XXII,  p.    94). 


288  Angelico  Prati,  Etimologie 

curtivo  (MoNTEBELLO,  0.  c,  p,  39  dei  doc.)  e  cartivum  a  pure  il 
D|U  Ca<nge,  con  un  esempio  degli  statuti  cadorini.  Ma  kortio  non 
è  l'unico  esempio  di  sostantivo  in  -lyu.  Nel  yalsuganotto, 
accanto  ad  esso  c'è  kampio  '  pascolo  di  monte  ',  che  è  natural- 
mente il  campivum  dei  documenti  medievali  valsuganotti.  In  un 
doc.  del  1289  -(Montebello,  p.  41,  42),  ohe  pare  scritto  apposta 
pel  caso  nostro,  s'incontra  Campegio  e  Campivis.  Ecco  dunque 
il  continuatore  di  *iCampiliu  di  fronte  al  continuatore  di 
*  e  a  m  p  i  v  u  !  Con  questo  vanno  il  trent.  kampigol,  nella  Carta 
Militare  anche  scritto  Campivolo,  cador.  cianipigol,  pari  a  ciampé 
'ripiano  intorno  ad  una  casera'  ("  Riv.  Geogr.  Ital.  „,  Vili, 
p.  166),  e  il  neme  locale  Campivet  presso  Lizzana  (Rovereto), 
citato  dallo  Schneller,   Ti?-.  Nani.,  p.  31  K 

Angelico  Prati. 


'  111  un  doc.  del  1005    trovo    anche    il  sostantivo  casalivum  [Man.  Germ. 
hist.,  Dipi.,  Ili,  p.  714,  riga  1.5). 


Àt^ 


lì.  TERRACINI 


IL  PARLARE  ITUSSEGLIO 


(Conthiuazioue,  vedi  Puntata  secon(/a). 


Uittotif/hi  primari. 

71.  XV..  E  o:  cofa,  ora  vento,  (/ojf  gioia,  pofe,  deskiou  dischiude, 
poni,  sfrqfe  froda,  tqr  toro,  kio  chiodo  —  big,  biova  azzurro  -a, 
lobm    teirazza,    rqbn.   rqbu   rubo. 

72.  AE.  Risponde  all'esito  deHa  vocale  aperta  in  arkahsél  (ar- 
cobaleno); della  chiusa  in  p'èr/it'  pregna. 

73.  OE.  feh  fieno,  peiìia  pena. 

Vocali  atone. 

L'evoluzione  complessiva  delle  vocali  atone  è  parti- 
colarmente atta  a  dare  un'immagine  chiara  ed  immediata  della 
posizione  occupata  dalla  parlata  di  Usseglio  e  dei  paesi  finitimi. 

Le  postoniche  continuano  nettamente  le  tendenze  diffuse  ol- 
tr'alpe,  e,  soltanto  nelle  mediane,  assumono  un  aspetto  del  tutto 
peculiare.  Nelle  protoniche  invece,  il  dileguo  delle  vocali  della 
serie  palatale,  ove  le  condizioni  delle  consonanti  Io  favoriscano, 
si  protende  fin  qui  dalla  pianura  piemontese. 

Aivhivio  glottol.  ital.,  XVII.  -29 


290  Terracini. 


Vocali  finali. 


Finali  primarie.  —  A  ed  I  si  conservano,  le  altre  vocali  si  sono 
dileguate,  secondo  le  note  tendenze  del  gruppo  gallo-romano. 

76.  A:  aiva  acqua,  freida  fredda,  bela  bella;  il  suo  colore  è 
medio;  quando  per  la  progressione  dell'accento  divien  tonico, 
esso  non  soffre  intorbidamenti,  come  accade  altrove  :  liinà'  luna, 
feisina    fascina^. 

77.  I:  si  conserva  nel  plurale  dei  pronomi  e  degli  aggettivi 
determinativi,  il  suo  mantenimento  si  riduce  dunque  a  un  feno- 
meno morfologico  che  sarà  studiato  a  suo  luogo:  i,  n  gli,  si 
quelli,  sii  questi;  nel  pronome  interrogativo  :  -/  -il li  ;  nel  nume- 
rale :  daH  due,  e  poi  :  toeitl  tutti,  nosti  nostri,  vosti  vostri, 
nufauti  noi,  vufauti,  fanti  molti,  jwM,  kali  quali.  Tranne  in  toj^z, 
manca  naturalmente  ogni  traccia  dell'influenza  di  è  sulla  tonica. 

78.  E  (e,  e,  t).  Come  esempio  del  generale  dileguo,  noterò, 
oltre  ai  propaross,  di  sincope  antica:  mait  (madia),  vàrt  (verde), 
gli  avverbi:    In'n  lontano,  dvànt  prima,   pilr   pure,    tari  tardi  2. 

79.  U.  Si  può  particolarmente  notare  :  il  dileguo  dopo  alcuni 
nessi:  lark  largo,  orm  olmo,  verni  verme;  nei  proparossitoni 
la  cui  mediana  si  è  conservata,  la  serie  -anu  -inu  v.  n.  92, 
la  serie  -ulu:  tcm  (arcaico  iaid),  bèru  agnello^,  soku  zoccolo, 
diau  diavolo. 


^  Ahki'i  (ancora)  è  il  noto  caso  di  forma  disaccentata.  Cfr.  Fr.  Gr.,  38; 
It.Gr.,  108:  ara'  (adesso  *a  h  0  r  a)  rappresenta  la  forma  tonica.  Su  una 
analoga  alternanza,  rinnovatasi  a  Uss.  in  età  ben   più   recente,  v.  n.  230. 

-  Per  una  serie  di  avverbi  coll'a  piemontese,  e  per  forse,  adai/i,  kaifi, 
V.  P.  IL 

3  NiGRA,  XIV,  356. 


li   parlare  d'Usseglio  291 


E  V  o  1  11  z  i  0  11  e    e  o  lui  i  z  i  o  n  a  t  a  ^ 

80.  A,  Nel'e  note  serio  con  palatale,  questa  vocale 
suona  attualmente  i,  un  i  che  à  tutti  i  caratteri  di  chiarezza 
corrispondenti  a  quelli  che  abbiamo  visti  per  a.  Sull'età  rela- 
tivamente recente  di  alcuni  tra  gli  esempì  citati  e  sull'inter- 
pretazione complessiva  del  fenomeno  v.  P.  11  :  })ncì'  bocca,  forai, 
musei,  set  secca,  raéi-;  diine/Kjl  domenica,  lari/i  hirga,  inoltre 
pIq<jì  pioggia -^  casi;  cinsi  dolce,  /jesi  pezza,  pùisi  piazza,  risi'  ar- 
riccia, smensi  sementa,  voisi  aguzza,  meifnnasi,  topon.,  Ulinasi 
lumaca,  ecc.  soutisì'  salciccia,  (jalust'  pala  §  3  ^-  suiifi  sugna  ^; 
falsi,  koisi  coscia";  cuinifi  camicia";  tiiii'  tigna •^:  a^ii  ugo,  fon, 
P'fiii  -'^1}  -ella,  fiiì'  figlia,  veii  vecchia;  -alia:  bataU,  nrit' 
orecchia,  ai-ij'   ape,  lantlif' ,  /)lou  buccia'^;  airi  aia,    boiri   botro. 


^  Sul  valore  di  quest'espressione  cfr.  p.  222,  n'"^  6.  Parimente,  per  semplici 
ragioni  d'ordine  pratico,  si  usa  in  questo  lavoro  il  termine  :  analogia. 

"^  Bi^ehci  bianca,  eoe i  boccia,  hau'ci  §  3,  brqci  chiodino  {^\Qva..broha),fresci 
fresca,  lavehci  valanga,  piehci  pedanca,  ranci  rauca,  recl'  i-icca,  resci  lisca, 
siisci  fuliggine,  sakoci  tasca,  mésci  mescolata,  perei  pertica. 

^  Car(/i  carico,  nargi  sargia,  twnji  sterile,  mengi  manica,  drilgi,  forgi  fucina. 

*  Istisl'  goccia,  krosl  gruccia,  kiihsi  '  acconcia  ',  v.  §  3,  kusi  zucca,  musi 
mazza,  marsi  marciume,  pasiehsi,  tersi'  treccia,  trasi  traccia,  e  infine  fatisi, 
V.  n.  209. 

^  Màii/i  manza,  fiii/i  fiducia. 

''  Graisi  grascia:  è  deverbativo  in  ingriisa,  l'aggettivo  è  gras-a.  11  mede- 
simo in  V.  Soana,  SVS,  59. 
'  Ramii/i  lucertola  I  a  e  r  i  m  u  s  i  a  ,  REW,  4826. 

*  Borni  cieca,  corni  sorda,  kargni  carogna,  mimtdhi  montagna,  runì' 
rogna,  scani  (seccagione),  e  anche  leni  lesina. 

^  Daii  falce  §  3,  iscaii  scaglia,  Uii  slitta  §  3,  groii  guscio  (piem.  grveia), 
mali  maglia,  inoltre  boii  blatta,  piem.  boia,  cfr.  XVI,  366. 


292  Terracini, 

V.  §  3,  e  -oiri,  v.  n.  32*^  ;  -eri,  v.  n.  67,  neiri  nera,  con  cui  s'ac- 
cordano: siri  cera,  viri  viria  anello ^ 

81.  Infiiisso  di  S.  —  -as,  desinenza  del  femminile  plurale, 
suona  e,  proveniente  da  un  precedente  *es:  ale  ali,  candeiìq  can- 
dele, korne  corna,  ispale  spalle,  ungie  unghie,  àhsuìe  anse  '-'. 
Quando  risulti  accentato  per  la  progressione,  conserva  sempre, 
come  «,  la  sua  brevità,  e  anzi  l'intensità  spesso  notevole  del- 
l'accento l'intorbida  leggermente:  avije'  api,  loutè'  allodole,  mie' 
me  mie;  -as  2='  pers.  ind.  pres.  e  imp,  è  pure  e  o  più  sovente  e: 
poì'te  porti,  sante  salti,  raiisc  alzi,  vousave  alzavi.  Quanto  ai  rap- 
porti e  allo  oscillazioni  fra  e  ed  e  v.  App.  I. 

Conservazione  di  e  e  di  ii.  Si  mantiene  la  distinzione  tra 
E  ed  U  che  il  trovarsi  in  un  parossitono,  o   dopo  un  acconcio 


^  Non  sarà  privo  d'interesse  notare  sin  d'ora  che  il  turbamento  pala- 
tale non  solo  non  raggiunse  certe  serie  che  sono  ovunque  intatte,  come 
quelle  di  tipo:  se\a  (seta)  e  ungici,  o  i  part.  di  4*  con.  in  i/f,  e  non  toccò  la 
serie  c^^P^  :  tPtita  tinta,  dreita  dritta,  /"atVa,  roi(?rt  vuota,  ,90;(<rt  ('giunta' rap- 
pezzatura), intatta  in  tutto  il  mio  territorio,  ma  risparmiò  anche  alcune 
voci  isolate  che  qua  e  là  assumono  la  vocale  turbata:  furmia'  (formica), 
aiva  acqua,  gavia  catino,  grepi^a.  Sull'incipiente  decadenza  di  questa  finale 
V.  App.  I.  Sull'interpretazione  generale  di  questi  fatti  v.  P.  IL 

-  E  fore,  forma  che  registrai  accanto  al  più  comune  /or,  che  sarebbe  la 
l'orma  sviluppata  in  proclisia.  Cfr.  ALF  (382):  dehors:  foras  è  evidente 
per  la  Provenza  e  parte  della  Svizzera.  —  Non  si  à  alcuna  differenza  se  pre- 
cede una  palatale:   cause  calze. 

Infine  -at  (S''  pers.  sing.)  >  p.  In  I,  136,  questa  uscita  viene  spiegata 
coU'analogia  della  2*  pers.  La  vocale  intatta  sopravviverebbe  ancora  a 
Facto  :  2"  cant,  8"  cante  (cioè  =  a).  Ma  questa  conservazione  di  a  è  qui  pro- 
babilmente illusoria.  Infatti  l'imperfetto  indie,  à  cantai  per  ambe  le  per- 
sone e  d'altra  parte  -as  del  femra,  plur.  suona  e.  Queste  oscillazioni  sono 
casuali  e  dipendono  soltanto  dal  fatto  che,  come  il  Morosi  (XII,  57)  espli- 
citamente afferma,  si  tratta  di  un  suono  "  appena  percettibile  ,.  —  È  pro- 
babile dunque  clie  questo  e,  nel  territorio  franco-prov.,  sia  dovuto  a  una 
riduzione  della  vocale  dinanzi  all'insolita  consonante  finale  che,  in  questa 
regione,  fu,  od  è,  cosi  tenace.  Cfr.  Ro.  XXX,  267. 


11  parlare  d'Usseglio  293 

gruppo  consonatico,  salvaguardò  dalla  caduta  ^  83.  Si  à  quindi  e: 
P,  nei  prò  parossito  ni  :  negli  infiniti:  fare,  beire,  dire, 
vivre'~\  nei  sostantivi:  larfe  resina,  pi'tfe  pulce,  runfe  (ronce); 
nella  serie  dei  numerali:  luìfe  undici,  dufe  dodici,  trèfe  tredici. 
2",  in  gruppo  con  r:  pare  padre,  mare  madre,  frare  fratello,  sempe 
(sempre)  ;  e  un'antica  conservazione  attestano  pure  i  numerosi 
metaplasmi  dalla  1"  alla  2-''  deci.,  v.  §  2  ='.  84.  u.  V\  nei  pro- 
parossitoni:  (tiitrii  altro,  ba'rtt  burro,  cenuu  cioè  cenévti, 
V.  n.  231,  giìievru  ginepro,  tendrit  tenero,  cairn  molto,  vespu  sera, 
e  i  pili  recenti:  funnagn  formaggio  e  a'rgu  orzo,  v.  n.  147  ;  2°,  nei 
parossitoni  terminanti  con  un  grui)po  consonantico  :  /?o.s^//, 
vostn^,  ansembni  insieme,  serknV  circ'lu,  merlu,  orlii,  snii  sonno ^, 
horiiu  cicco,   ;;/o/-u  viso",    sufigu  sogno '^. 

85.  Rimangono:  airu  agro,  maini  magro.  Perù  Pietro,  di  fronte 
a  ìieir  nero,  antér  intero.  Nei  primi  la  conservazione  dell'»  ha 
doppia   ragione:   il    nesso   e  forse    la    non   grande    antichità  di 


'  I.  313-14,  Fr.  Gr.,  117. 

-  Il  pronome  femm.  plur.  If,  cioè  *1(>J  i  1 1  a  s  ,  quand'è  enclitico  ed  appog- 
giato ad  un  infinito,  si  comporta  come  un  proparossitono  ed  assume  un  e 
finale  di  risonanza:  ?«j»t(/a//e  mangiarle, ^wrtó//è,  sai'///i' schiacciarle;  e  andrà 
pur  qui  ricordata  la  conservazione  della  vocale  nei  pronomi  enclitici  : /»a- 
sate  ammazzarti,  urvfise  arrivederci,  buf/ase  muoversi,  piatine  piacermi. 

^  Inoltre  d/iire  sopra,  cfr.  SVS,  59  e  kume  (come). 

*  Sono  recenti:  snist  (sinistro),  poco  usato,  kat  (quattro),  sicast  (corda).  Cfr. 
Valdese  suàtre.  Mor.  97. 

=  Fr.  Gr.,  117,  1,  313. 

*  Poggia  certo  su  un  nesso  o  su  una  doppia  antica:  mutrus  o  murre 
K  6425,  6390;  né  saprei  se  bormu  (pustola)  sia  da  registrare  qui  ;  c'è  pure 
nel  Lionese  :  bornio  (Puitspelu),  ma  potrebbe  trattarsi  di  -'ulu,  cfr.  pivo 
pioppo. 

^  Tra  le  voci  recenti,  citerò  qui,  come  le  piti  frequenti,  oltre  a  miindu 
(cfr.  p.  e.  ZRPh.  XIV,  64),  i  meno  diffusi  menu  (anche  piem.  :  il  dialetto  pre- 
ferisce :  pa  tcint,  cfr.  ALF  (867),  moins  e  pegu  v.  n.  166;  per  maladii,  kudi'i' 
(gomito)  V.  n.  193. 


294  Terracini, 

queste  voci^  Su  integru  influì,  come  è  noto-,  -ariu.  Quanto 
a  neh',  la  storia  di  questa  voce  richiederebbe  l'esame  di 
tutto  il  territorio  romanzo;  mi  limito  ad  osservare  che  esiste 
qualche  motivo  per  credere  che  le  forme  con  dileguo  della  vo- 
cale finale,  in  piemontese  e  in  francese  sieno  recenti  e  secon- 
darie^. 86.  Dove  e  intervocalico  cadde  prestissimo, 
ti  si  conserva:  lau  lago,  fan  faggio,  fait  faccio,  diìi  dico.  Alla 
serie  sono  probabilmente  da  aggiungersi  :  f(f  fuoco,  e  goe  giuoco 
in  cui  H  si  sarebbe  contratto  colla  tonica,  v.  n.  51;  la  serie 
con  caduta  :  ami,  fi  *  (fico)  è  recente  °. 


^  Peni  è  un  nome  proprio,  airu  e  maini  sono  ritenuti  recenti  anche  dal 
Meyer-Lubke  {Fì\  Gr.,  197),  mentre  un  tempo  ne  aveva  tentata  una  spie- 
gazione fonetica,  1,  494. 

-  Cfr.  in  VS  :  caupjer  e  iiitjer:  pure  in  altri  paesi  da  me  esplorati,  in  ge- 
nerale, integru  subì',  o  parzialmente,  o  interamente,  l'influsso  di  ariu. 
Il  medesimo  avviene  a  Roaschia  :  Mèi.  Chab.,  b21.  Cfr.  I,  494.  Notiamo  che 
l'analogia  di  -ariu  era  potente  in  grazia  dell'uguaglianza  a  cui  eran  giunte 
foneticamente  le  forme  femminili  (interi,  homìeri,  ma  non  era  completa, 
perchè  la  finale  di  antrr  non  potè  mai  esser  sentita  quale  suffisso,  e  quindi 
l'aggettivo  potè  essere  attratto  dalla  serie  -ariu,  ma  anche  in  parte 
rimanerne  sempre  distinto,  si  da  non  seguirla  nel  suo  ulteriore  destino, 
cioè,  per  ritornare  ad  Uss.,  nella  perdita  di  r. 

'  Dell'antica  forma  *neiro  in  Piemonte  e  paesi  dipendenti  avrei  queste 
tracce:  neiro  in  V.  Soana  (VIS,  78);  in  Val  Maggia  neiru  (il  trovare  colà 
pure  Cpìvu  [piem.  caii-]  che  il  Mevek-Liìbkp;  collega  col  fenomeno  pili  vasto 
di  ti  conservato  nel  ladino  [I,  315]  rende  meno  probante  questa  traccia, 
ma  non  ne  distrugge  il  valore).  In  Sicilia,  a  Nicosia,  troviamo,  accanto  a 
maigni,  aigriì,  anche  neirù.  Che  la  vocal  finale  sia  sparita  non  ci  deve  me- 
ravigliare; anche  mairi  in  Piemonte  à  ora  la  concorrenza  di  mair,  fatto, 
coll'introraissione  del  femminile,  su  cair  (chiaro)  e  rair  (rado).  A  S.  Fratello 
si  à  la  stessa  cosa:  ieir  agro,  nair,  v.  Salvioni,  MIL,  XX,  p.  278.  Quanto  al 
francese,  non  so  se  alcuno  si  sia  occupato  di  ncAr;  cfr.  però  Uutel,  21,  che 
giunge  alle  stesse  conclusioni.  Cfr.  anche  RILomb,  XLIA'',  827,  n*"  1. 

*  Ami  e  ami/  sono  poco  usati;  il  termine  corrente  è  kamhrada.  11  fico  è 
pianta  sconosciuta  a  Uss. 

^  Sulla  conservazione  della  vocale  finale  nella  P  p.  s.  dei  verbi,  v.  §  2. 


Il  parhu-e  d'Us.<e,q-lio  295 

87.  Finale  secondaria.  Nasale,  '^'e  :  fraisa  frassino,  piala 
acero,  fiuva  giovane,  -na  -ne.  Si  tratta  di  un  *m  che  alla  fi- 
nale si  schiari  in  un  e  quindi  si  denasalizzò.  —  u'Aa.  3*  plur.  ind, 
*-uììt  diede  un  con  tendenza  alla  denasalizzazione,  v.  n.  213. 
88.  Liquida.  La  mediana  si  è  solo  conservata  in  voci  d'ori- 
gine recente  (v.  App.  I)  di  cui  preva  {^prever  prete)  è  la  più 
assimilata. 

Mediane  postoniche. 

La  vocale  indistinta,  a  cui  possiamo  ritenere  che  si  siano  ri- 
dotte tutte  le  mediane  postoniche  \  è  in  generale  atta  a  dileguarsi 
pili  facilmente  delhi  vocale  finale;  ma  naturalmente  qui,  come 
in  tutto  il  territorio  franco-prov.,  la  sincope  avvenne  tardi , 
quando  la  consonante  sorda^  che  seguiva,  era  già  sonora.  Inoltre, 
conseguentemente  alla  posizione  geografica  di  Uss.  e  del  suo 
gruppo,  la  tendenza  a  mantenere  la  vocale  di  cui  risente  già,  per 
quanto  in  limitata  misura,  tutto  il  gruppo  franco-prov.,  qui  si 
accentua  notevolmente  :  in  alcuni  casi  essa  si  estende  a  serie 
intere  di  voci  ed  è  abbastanza  facile  rilevare  come  il  manteni- 
mento sia  secondato  dalla  natura  delle  consonanti  vicine;  in  altri 
casi  si  tratta  di  voci  rare  e  foneticamente  isolate;  dovremo 
inoltre  segnalare  i  numerosi  e  diffusi  esempi  di  vocale  conser- 
vata in  parole  entrate  tardi  nel  vocabolario  romanzo. 

Prescindendo  dalle  voci  in  cui  la  sincope  dovette  essere  an- 
tichissima -,  i  vari  riflessi  della  mediana  sono  i  seguenti  :  89.  Se 
segue  esplosiva:  a  parte  cenàu  canapa  ^,  si  à  monta  m  o  1  i  t  a 


^  Fr.  Gr..  120.  e,  per  la  questione  dell'».  121  e  BliZRPh.  XXIV,  86  .s^g. 
-  I,  313,531.  Vi  apparterrebbero  :  yàt  p  e  d' t  u  ,  cfr.  XVI,  460,  nni  netto, 
e  forse  nerkiu,  grlu,  m^rlu,  dei  dito:  Fr..  Gr.,  119. 

^  Conservato  in  tutto  il  dominio  franco-prov.  ;  ALF  (234),  chanvre. 


296  Terracini, 

(macinata),  voit  -da  vuotò  ^;  —  nieììyi  manica,  dumengi  domenica; 
grànijl  '  grange'-.  Numerosa  la  serie  appartenente  ad  uno  stadio 
meno  antico,  come  è  confermato  dalla  storia  della  consonante, 
se  pure  non  si  tratta  d'importazioni  recenti:  dumestici  domestica, 
mimia  monaca 3,  7iaGe  pi. natica  e  perei '^  pertica,  erblg  erpete;  -ayu 
-aticu,  V.  n.  147.  In  anùi  anitra,  lànipia  lampada,  gavia  ga- 
bata  (catino)  la  mancata  sincope  non  è  certo  da  attribuire  ad 
una  maggior  resistenza  di  a.  Perle  due  prime  son  da  confrontare 
gli  esiti  francesi^,  per  l'ultima  v.  n.  146. 

90.  Quando  segue  /•,  la  postonica  cede  (A)  solo  là  dove  la  con- 
sonante precedente  favorisca  la  sincope,  o  perché  si  nasalizzi,  o 
perché  si  riduca  ad  una  semivocale,  o  perché  formi  un  gruppo 
esplosivo  assai  resistente:  quindi,  dinanzi  ad  esplosiva  semplice  e 
in  gruppo,  dinanzi  a  n  semplice  ed  a  v.  La  mediana  invece  ri- 
mane (B),  quando  preceda  h  oppure  un  gruppo  con  n  o  con  sibi- 
lanti e  fricative  ^.  Ecco  gli  esempì  :  A  :  ardceire  serbare,  koire,  loeire, 
piaire  piacere,  heire,  ceire  cadere,  kreire,  skrire,  veire,  pioiire  pio- 


*■  Può  però  trattarsi  di  un  deverbale  di  viiidà  vuotare. 

^  Forgi  fucina  è  un  francesismo,  cfr.  piem.  forga,  il  tipo  antico  è  :  favérga 
(Devaux,  64):  cosi  arrmgi  rivincita  (piem.  avvenga),  non  è  che  un  adatta- 
mento di  revanche. 

^  Cfr.  nel  Delf.  moni  :  Devaux,  63,  2  :  piem.  mìmici. 

*  Siccome  in  questo  territorio  la  sincope  suole  avvenire  quando  la  con- 
sonante della  sillaba  finale  è  già  sonora,  è  pili  prudente  ritenere  perei  un 
esempio  illusorio,  si  tratta  di  partici  (piem.)  che  palatalizzò  il  t,  donde  perei. 
Cfr.  infatti,  su  questa  voce,  Horning,  24  ;  Gierach,  BhZRPh.  XXIV,  145.  Lo 
stesso  è  di  nace  che  nei  paesi  di  questo  territorio  dove  ha  più  profonde 
radici,  suona  nage.  Cfr.  v.  Soana  :  domehco  SVS,  75. 

^  Lampe,  atte,  Fr.  Gr.,  121. 

^  Questa  classificazione,  la  quale,  salvo  deviazioni  che  vedremo  a  loro 
luogo,  può  ritenersi  come  caratteristica  di  tutta  la  parte  occidentale  del 
nostro  terr.,  è  analoga  a  quella  stabilita  dal  Meyer-Lubke  (II,  128)  per  i 
verbi  valdesi. 


Il  parlare  d'Usseglio  297 

vere,  vivre,  rmtte  rompere  (^^runtre  ^),  baie,  perde,  respunde,  stende. 
Tra  i  sostantivi  :  dimerka  mercoledì,  divendru  venerdì,  autni, 
poru  povero,  sindra  cenere,  toidru  tenero,  cespn  sera.  B  :  seme 
cerner  e,  kreise  crescere,  kunoise,  naise,  teise,  rese  essere,  mufe 
mungere,  sporfe  sporgere,  ankorfe,  torfe,  volte  ungere,  sirèiie  strin- 
gere, stl'fie  extinguere,  tene  tingere.  91.  Segue  fé:  il  dileguo 
ha  luogo,  del  resto  favorito  in  ogni  esempio  dalla  consonante 
che  precede,  v.  n.  90:  <iife  ^adiacens  masserizie,  larfe  larice, 
pdf  e,  dnfe.  92.  Segue  nasale:  se  la  vocale  finale  è  a,  si  à  na- 
turalmente la  sincope:  kareima  (quaresima);  se  segue  un'altra  vo- 
cale, l'esito  è  vario:  a  pinìì'  (pettine)  si  contrappongono  fraisa 
frassino,  pkiui  acero  e  guva  giovane-.  93.  Segue  /:  agùi'^  aquila, 
stn^biun  stoppia,  che  presuppone  ^strobùi,  sella  segala,  pei  quali 
V.  n.  192;  ma  con  -uhi  si  ha  ii:  amputa  lampone,  infida  patata, 
sò'kide  pi.  zoccoletti  ;  soku  zoccolo,  tavic  tavolo.  La  parlata  con- 


*  Per  la  caduta  di  r  in  alcuna  di  queste  voci  v.  n.  143. 

-  guva  e  fuori  di  questione,  poiché  anche  nei  paesi  a  sincope  costante, 
essa  manca  sempre  in  questa  parola;  si  tratta  di  parola  tarda,  come  sono 
tardi  ingre  pi.  inguine,  hndre  (lendine):  cfr.  Lavallaz,  165;  R..  XXV,  82; 
HoRNiNG,  1.  e. 

Quanto  a  piftia  che  s'oppone  a  pinh'  e  alle  serie  del  n.  90,  l'aversi  qua 
-anu  e  non  -inu  non  può  spiegare  questa  differenza,  v.  sopra.  Mi  li- 
mito per  ora  ad  osservare:  1°  che  qui  il  caso  è  assai  diverso  dal  n.  90:  là 
si  tratta  di  serie  numerose  per  le  quali  la  conservazione  della  vocale  non 
dipendeva  tanto  da  condizioni  fonetiche,  quanto  dalla  tendenza  a  sistemare 
le  due  desinenze  dell'infinito  -re  ed  -e  che  da  Sud  e  da  Nord  s'incontrano 
in  questo  territorio;  nel  nostro  caso,  abbiamo  invece  due  voci  isolate: 
'  platano  '  e  '  frassino  ',  che  per  solito  vanno  d'accordo,  v.  P.  Il  e  ALF  (611): 
frène  (478),  érable,  o  in  un  senso  o  nell'altro  (a  Momp.,  p.  es.,  che  tratta 
la  sincope  come  ad  Usseglio,  ambedue  queste  parole  sincopano);  2°  l'acero 
non  è  dappertutto  noto  :  o,  come  a  Me.,  s'à  piatane,  oppure  ancora,  come  a 
Ven.  e  a  Nov.,  paesi  di  sincope  costante,  s'à  plair,  venuto  dai  villaggi 
vicini. 

^  Sincope  tarda:   v.   P.  II,  e  Giekacii,  1.  e,   108. 


298  Terracini, 

servò  intatti  questi  parossitoni  e  ne   tentò   una   riduzione   sol- 
tanto quando  precede  v:  cenaula,  v.  §  3,  tàula^. 


Vocali  protofiiche'^. 

94.  U  dà  //  ;  passa  in  /,  specie  nel  racconto  rapido,  soltanto 
l'articolo  maschile  ^,  assai  più  di  rado  il  femminile  :  ///,  ina, 
dovunque  altrove  si  à  //  :  amprumà  prendere  a  prestito,  filma, 
gi'ira,  s  iskiiréj^  s'oscura,  lumia  t  pupilla,  ruim'ir;  sciirsà  accor- 
ciare, ilici  agugliata,  iìcà  urlare,  hrilskà't  acidulo  ;  per  i  casi  di 
analogia  sulla  touica  v.  §  2.  94".  I.  Al  solito  si  mantiene  : 
dilibìs  lunedi,  fini,  prime  primo. 

95.  A.  In  ogni  caso  suona  a:  farina,  savur  sapore;  karkun 
qualcuno,  rastél  rastrello. 

96.  E.  La  debolezza  dell'articolazione,  se  segue  una  conso- 
nante semplice,  è  divenuta  tale  che  esso,  più  che  vivere  per 
forza  propria,  obbedisce  intieramente  alle  contingenze  dei  suoni 
che  lo  circondano.  Se  segue  una  liquida,  il  dileguo  è  di  regola  : 
dia  della,  dre  dietro,  dràt  diritto,  fré  febbraio,  pia  pelato,  idoii 
buccia,  pliicd  piluccare,  prasd  colpo  di  pietra,  tle  telaio,  vlii  vel- 
luto, vreri  (impannata);  notevoli:  tren  terreno,  sra  (serrare),  di- 
nanzi a  doppia.  Quando  precede  occlusiva  il  dileguo  è  comune: 
bve  bevete,  d  beire,  d  fare,  dii  degli,  din  {^dedin)  dentro,  dmàn 
domani,  dmànde  chiede,  dne,  dvànt  davanti,  t  se  tu  sei,  dve 
dovete,  dfember  dicembre;  ma,  specie  tra  i  vecchi,  s'odono  esempì 
in  cui  sopravvive  un  soffio  vocalico  :  befón  bisogno,  pefà  pe- 
sare, pekd  peccato,  tenaie  (tanaglie)  accanto  a  tnaie,   teneia  ta- 


*  La  sincope  ricorre  nel  diffuso  berla  ,  v.  n.  24. 

^  Tratto  insieme  tutte    le  protoniche,  salvo  a  considerare  in  paragrafi  a 
parte  ciò  che  hx  medi  a  n  a   e  1'  i  n  i  z  i  a  1  e    offrono  di  speciale. 
^  Oltre  ad  imur,  assai  diffuso  :  Mor.  68. 


Il  parlare  d'Usseglio  299 

neta\  fenu  accanto  a  fN/i.  Pure  in  altri  casi  il  dileguo  è 
normale,  sebbene  soffra  qualche  ritardo  per  alcune  combi- 
nazioni in  cui  entra  una  nasale  ;  fnesta,  funi  finocchio,  sca 
seccare,  sìuenni,  sua  segnare,  suor,  snist  sinistro,  sta  seduto, 
stàiifa.  stnnhp)\  mi,  rfin  vicino,  v.  n.  ICS,  ma  si  oscilla  tra  mna 
e  mena,  inoltre  snnNìiìi,  senèrra  (senapa);  se  segue  .s,  la  vocale  si 
conserva:  mosoiri  falce,  vesì'  vescica-.  97.  0.  Assai  pili  resistente 
della  vocale  palatale,  conserva  il  suo  colore  labiale  e  suona  n, 
disceso  recentemente  da  un  o,  di  cui  è  traccia  nella  Par.: 
pors/óii  (12),  trova  (32).  lo  (passim);  dwià  dato,  knnoise,  pmrd, 
suléi,   ridéi.  farnél  •'. 

Evoluzione    condizionata. 

Influsso  di  liquida.  98.  In  sillaba  liberai,  conservatasi 
pili  a  lungo  perchè  in  iniziale  o  in  protonica  iniziale,  passa  ad  a,  di- 
nanzi ad  ;•:  arain  rame,  aris  riccio,  tararéla^,  aricinti'^;  dinanzi  ad  /: 
maìfù'  (pieni,  inal'èfu  larice)  e  gala  gelato.  99.  In  sillaba 
chiusa,  entra  in  considerazione  quasi  soltanto,  *f  che  dà  indif- 
ferentemente ar,  ér  ed  er^.    Su    questa   vicenda   (v.  App.  I)   ci 


'  Per  questo  e,  cfr.  Horning,  ZRPh,  XXXII,  28. 

-  Per  casi    speciali   di   conservazione    v.   inoltre  i  n.  102,   Ilo. 

^  Le  consonanti  lunghe  non  cagionarono  speciale  riduzione,  se  si  eccet- 
tuano forse  le  esplosive  labiali,  dinanzi  alle  quali  pare  che  la  vocale  si  sia 
ridotta  tanto  da  passare  ad  il.  cfr.  piem.  uss.  piipà  poppare  (il  pieni,  kupa. 
[uss.  kiipu  '  coppa  'J  sembra  attestare  che  il  piem.  pilpa  '  poppa  ',  trasse  la 
vocale  dalla  forma  arizotonica  e  non  viceversa),  ed  a  Castellinaldo  (Alba) 
s'à  anche  l'dbjà  cialda  XVI,  531,  e  inoltre  dinanzi  ad  ))i,  che  aveva  un 
tempo  il  valore  di  doppia:  csld.  sfrilinrl,  piem.  fihnrnf  fomento,  VS.,  15, 
fri'uiu'nt. 

*  T  e  r  e  b  e  1  1  u  ,  K.  94G0. 

'"  K  r  a  n  t ,  con  accento  mutato  nella  formula  inteiTOgativa. 

^  Si  tratta  del  ben  noto  fenomeno  descritto  in  I,  366.   Nella  Par.  il  tur- 


300  Terracini, 

basti  per  ora  sapere  che  il  grado  fondamentale  è  probabilmente 
quello  che  si  trova  per  solito  in  questi  dialetti  ^  :  ar  od  èr,  di  cui  er 
e  una  riduzione.  Do  gli  esempi,  distribuendoli  a  caso  nelle  tre 
serie  :  arbds  erbetta,  harléc  letto^  boie  mardere  pi.  (stercorario), 
markà  mercato,  parfils  buco,  sarni'i  scelto,  sarvagu  selvaggio^ 
varvele  cardini  ^  ;  hèrlik  diavolo,  h'èrlike  lecca,  pèrdund  perdo- 
nato, pèrdii,  vèrga  vetta  del  coreggiate,  sèrpe  ut-,  pèrdund,  serpài 
serpillo,  serveisii  io  servo,  servela  cervello,  servagli;  per  pre- 
senta tutte  le  tre  fasi:  par,  per,  per;  per  le  forme  sotto  in- 
flueuza  della  tonica  v.  §  2.  Le  altre  vocali,  come  risulta  dagli 
esempì  che  diedi  pili  su,  non  presentano  turbamento  di  sorta 
tranne  che  in  :  garbi'//  (can.  gerbis)  >  e  o  r  b  i  s  (sorta  di  gerla)  ^. 
100.  cons  -{-  r  -\-  voc.  La  vocale  si  turba  in  modo  analogo  al 
caso  precedente  ;  a  ciò  s'accompagna  in  molti  casi  il  passaggio 
di  r  alla  fine  della  sillaba  ;  il  colore  del  suono  vocalico  e  la 
posizione  reciproca  dei  due  elementi  varia,  a  quanto  pare,  secondo 
la  condizione  dell'accento,  e  forse  la  natura  della  consonante  se- 
guente, senza  che  sia  possibile  precisare  meglio  le  cose  ;  alter- 
nanze come  :  pèrnà'n,  prm  ;  ferina  ,  frèni  paiono  provare  che 
l'atona  preferisce  veramente  '^°"^  voc  r^*^"*.  Qui  pure  e  è  al  so- 
lito il  pili  turbato:  antèr nióif  trsLmoggìa^,  disfèrnd  sfrenato, 
fèrtd    fregare,  .  kèrpd    crepare,    pèr//ì'  pregna,   pèrfùn  prigione. 


bamento  è  indicato  dall'assenza  della  vocale  :  prché  (27),  prdii  (32),  srvitù 
servitore  (17). 

i  Cfr.  Pral.  Mor.,  50;  v.,  del  resto,  P.  II. 

~  K.  10096. 

'  Mocch.  gllrhih.  Del  resto,  tutto  il  territorio  da  me  esplorato  ha  forme 
con  e  od  a  che  si  estendono  a  qualche  villaggio  della  Savoia:  ALF  (B.  1598)  : 
hotte:  cfr.  Kr^h^i^  a  Val  d'Illiez,  RDR,  II,  306.  —  Si  ha  fiinnià'  (formica), 
voce  che  in  questo  territorio  (cfr.  Val  d'Illiez,  1.  e.  e  Momp.  frémic)  ha  per 
solito  la  voce  turbata  ;  la  forma  attuale  è  quindi  probabilmente  una  forma 
rifatta,  e  non  è  forse  la  sola,  v.  P.  II. 

*  K.  9706. 


Il  parlare  d'Usseglio  301 

pi'niàn  prendiamo,  spèrmi  spremere,  skèrvase  geloni,  tèrsi'  treccia  '. 
Nelle  vocali  diverse  da  e,  i  casi  sono  assai  più  rari  :  pcrfùn  (ma 
V.  n.  112,  n,),  bèrhi  prugna.  strèhhYn  (stoppia),  esempi  diffusis- 
simi ;  tarla  saltellare-,  barnafiu  paletta^,  ferpa  (gualcito)  S  voci 
tutte  isolate  o  poco  usate.  Tuttavia,  anche  quando  la  vocale 
appar  piena,  sembra  che  r  preferisca  aver  l'elemento  vocalico 
avanti  a  sé:  diìrm'i.  dilrrl  pili  frequenti  di  drilnii,  driivi  allato  a 
dram,  dra-u. 

Influsso  di  palatale  precedente.  101.  Per  a,  la  diffe- 
renza delle  condizioni  fonetiche  è  pili  che  mai  insufficiente  per 
classificare  la  divergente  distribuzione  degli  esiti,  i  quali  in  parte 
sono  comuni  a  più  varietà  franco-provenzali  e  sino  al  francese  '''  ed 
in  parte  costituiscono  delle  particolarità  locali,  senza  che  si  possa 
sempre  stabilire  in  quali  casi  si  tratti  di  voci  decisamente  re- 
centi''. Le  voci   che  palatalizzano   anno   i   in    sillaba    aperta: 


'  Alcune  voci  però,  sebbene  in  atonia,  anno  cous,--  fitrèOiuh  stoppia,  trafà% 
(trifoglio)  che  forse  risente  l'influenza  di  tre  o  di  fra-;  sfrana  <strena, 
stranila  starnutire,  trampa  temperare,  e  anche  <ra/»i7w,  tutti  in  contatto  con 
nasale;  inoltre  trimolii  triinuld  (tremo),  ove  si  à  incrocio  con  un'altra  base, 
V.  §  3;  per  l'analogia  nei  verbi  v.  §  11,  cfr.  inoltre  I,  576. 

-  Si  dice  delle  vacche.  Cfr.  Costanti.v,  turala  étre  en  chaleur.  demaiider 
le  taureau,  v.  §  3. 

^  Mou.  less.,  p.  368,  p  r  u  n  a  t  i  e  u  . 

^  Cfr.  fr.  frajìper  e  Mok.,  50.  Cfr.  REW,  3173. 

^  I,  361.  Fr.  Gr.,  114. 

°  Sia  sin  d'ora  (v.  P.  II)  osservato  che,  .se  alcune  di  queste  voci  possono  es- 
sere sostenute  dalle  toniche  corrispondenti,  cfr.  SVS.  57,  e  sopi-attutto  se 
qui  siamo  proprio  all'estremità  del  territorio  di  a  palatale,  conviene  pure 
non  dimenticare  che  questa  sua  irregolare  distribuzione  si  connette  col  fatto 
che  le  voci  in  e  a  iniziale  sono  in  parte  isolate  o  mal  coerenti  tra  di  loro  : 
infatti  alla  finale,  dove  le  numerose  desinenze  assonanti  come  -usi,  -aii  of- 
frivano un  .saldo  punto  di  appoggio,  la  forma  palatale  si  è  diffusa  con  ben 
maggior  conseguenza. 


302  Terracini, 

cinds  cagnaccio,  ciudi  'canale'  torrente,  civré  capraio',  cilniifi 
camicia,  cimista  gonnella,  ma:  halur  calore,  Camus  camoscio,  §a- 
vela  fr.  Javelle,  cavhì't  (v.  i?  3,  fr.  cheoìlle),  cavnh  cappio,  ò'éf/^e  sca- 
lino, camìh  camino,  (jaUna  gallina,  cacék  capello-;  in  sillaba 
chiusa,  detratti  i  casi  in  cui  la  palatalizzazione  non  suole  avve- 
nire-^  s'à:  dinanzi  a  esplosiva:  cita  comperare,  ma  capei,  capela 
cappella:  dinanzi  a  doppia  nasale  ^  camìnu  (cammino),  che  è  assai 


'  E  heirót,  civrót  capretto. 

'  Questi  cinque  ultimi  sono  relativamente  recenti,  intatti  compaiono  con 
una  vocale  palatale  qua  e  là  nei  villaggi  di  parlare  affine:  v.  P.  II;  cavt'i 
del  resto  è  certo  un  nuovo  venuto,  perché  qui  siamo  nel  territorio  di  pnl. 
Cfr.  ALF  (270)  :  cheveux.  Inoltre  cenci' u  canapa. 

3  Cioè  i  casi  di  qt^cons^  au^ons^ 

'*  an'^"'^^  non  si  turba,  se  non  in  un  solo  caso:  Par.:  cinta  {2h).  Come  giudi- 
care questo,  di  cui  io,  per  quanto  cercassi,  non  ho  trovato  nel  dialetto  vivo 
alcuna  conferma?  Per  solito  a,  dinanzi  a  nasale,  non  palatalizza  che  al- 
l'estremo confine  nord  del  franco-provenzale,  in  una  regione  assai  lontana 
dalla  nostra  (Precisamente  in  ima  sottile  striscia,  che  dal  nord  del  dip.  del 
Rhòne,  va  in  direzione  di  NE  attraverso  ai  dip.  del  .Tura  e  Doubs  sino  alla 
punta  estrema  della  Svizzera  occidentale.  Cfr.  khY,  chambre,  chandelle,ecc....^. 
Deve  dunque  trattarsi  di  un  fatto  seriore.  Esso  appartiene  ad  una  voce 
verbale:  è  lecito  quindi  ritenere  che  abbia  subito  l'influsso  della  forma 
tonica  centu,  forma  antiquata,  quasi  sparita  dinanzi  a  càntu,  v.  App.  1.  Dunque 
quando  an  si  turbò  in  ah,  dopo  palatale,  esso  ebbe  tendenza  a  passare  in 
eh,  che  a  difi'erenza  di  ";(,  v.  n.  Ili,  potè  esercitare  qualche  analogia  sul- 
l'atona  :  cfr.  Mez.  sceh/cu,  centu,  scehkà,  canta.  Co.  centu  (ma  canta).  Questo 
passaggio  pare  ristretto  solo  a  verbi  ;  se  si  pensa  che  la  forte  espirazione 
che  è  particolare  ad  ah  si  è  formata  in  origine  sotto  particolari  condizioni 
dell'accento  di  frase,  a  cui  per  un  pezzo  sfuggirono  i  verbi,  v.  n.  236,  la 
cosa  non  à  nulla  di  strano:  sotto  accento  secondario  alla  forza  prevalsela 
colorazione  palatale  ;  centii  poi,  come  voce  isolata,  spari  pili  tardi  facil- 
mente ;  quanto  alla  vocale  di  cinta  essa  à  un  discreto  parallelo  nel  ben 
più  diffuso  minga  che  un  tempo  dove  essere  in  alternanza  con  *mengu, 
cfr.  SVS,  56. 

L'Ascoli  e  il  Salvioni  considerano  invece  cinta  come  un  caso  di  turba- 
mento antico,  AGIt,  Vili,  101;  Lettura,  715. 


Il  parlare  d'Usseglio  303 

recente'  e  cenaida  (collare)-;  cosi  dinanzi  ad  r:  scer})!  ^,  ma, 
canjà  caricare,  cardàn  cardone,  carbihì,  scarvà  sfondare,  scar- 
butà  sgarbugliare,  e  case/ a  cacciatore.  102.  e:  si  conserva  pieno 
e  tende  a  chiudersi  sino  a  i:  gelàs  geloso,  gene  genn&.io,  ginevru 
ginepro.  geniU  ginocchio. 

Influsso  di  palatale  seguente.  103.  .Se  segue  un 
gruppo  palatale,  e-,  dopo  essere  divenuta  ;;,  s'è,  per  lo  più,  ridotta 
ad  i:  Una  tingevo,  ampirìnf  ;  riia  vegliare,  v.  n.  123.  Per  a 
l'azione  della  palatale  può  considerarsi  nulla,  non  avendosi  il 
che  nel  diffuso  kiìhù  (cognato),  oltre  che  nel  diffusissimo  ìcaU 
(cucchiaio):  kunoise,  bucì't/'ì,  gukhi,  dif^puhì.  104.  Influsso 
di  ^  La  vocale  precedente  assume  un  colorito  palatale;  dinanzi 
alle  vocali  estreme  i  ed  il,  la  semivocale  tende  a  cadere  o  ad 
essere  assorbita;  essa  oscilla,  massime  nel  discorso  rapido, 
dopo  i;  dopo  il  la  caduta  è  quasi  la  regola.  V.  App.  I.  —  ai 
passa  in  ei  *  donde  tende  ad  e/  e  conseguentemente  ad  /.  heisà 
abbassare,  eidà  aiutare,  feisa,  feisina  fascina,  feisla  '  fiscella  ', 
nieislàs  mascellare,  ngreisà  ingrassare,  beifà  baciare,  eifil  aceto, 
feifoel  fagiuolo.  peirml  paiuolo,  pieifi  piacere,  ve.irole,  leità  <^  latte, 
§  3,  pieinéi  n.  1.  Come  esempì  di  U  aggiungo:  tiisùii  tizzone, 
stihi  [sta  isi)  questa,  inilfùii  casa,  fmìlfà  stemperare  (macerare), 
(lì-gih-nii  sciupone  (pieni,  fgairé),  lilbat  colostro,  liigi'i  laggiù, 
riirola,  fiiirà  puzzare,  e  con  i\  bri/là  belare,  v.  §  3,  difiót  adagio, 
isld'  ascella,  ivagu  inondazione,  ^riVré  <C  attractu  attrarre  in 
trappola;  —  ìnijénìc  fieno  maggese.  Per  l'influsso   della    tonica 


'  Infatti  ò  anche  esempì  con  k,  del  resto  il  verbo  è  poco  usato. 

-  *cannabula  REW,  1600. 

-'<carpire  v.  §3,  REW,  1711,  ALF  (B  149.5),  c/jwrjoie  à  esempì  con  f 
soltanto  in  paesi  del  Piemonte  (982,  985,  986)  ;  è  dunque  probabile  che,  sia 
nel  verbo  che  nel  sostantivo,  la  palatalizzazione  sia  seriore  e  costituisca  un 
semplice  caso  di  metafonesi  analogo  a  quelli  del  n.  112. 

*  Già  la  Par.  (13j  à  sfjheirà.  11  colore  della  vocale  oscilla  tra  et  ed  et. 


304  Terracini, 

V,  §  2.  105.  ei  segue  la  medesima  sorte  di  ai  :  einiinà'  emina  ^, 
eisàrt  topon.  *exartii,  lei/àrd  <  lacertu  ramarro,  meisuna 
spigolare,  meisuneri  lucciola,  ed  anche  Hi  fard  ramarro,  slrràs  ri- 
cotta, tiilà't  pannolino,  tiiso'u  tessitore  ;  e  con  dileguo  ;  rish'i  m 
segatura,  tisioiri  tessitrice,  tifi'm  tizzone,  silài  {*seilai),  stisi  (questi)  ; 
viiù,  kriiu  credevo.  —  n:  dìfii't  diceva.  106.  oi,  di  qualunque 
provenienza,  è  ora  ai:  kflifenta  bollente  ^,  tilirou  mestolo  (pieni. 
tuiré  rimestare)  ;  dalla  fonte  M  ebbi  ancora  :  twifim  '  toison  '. 
107.  il  di  qualunque  provenienza,  rimane  il  :  siisià  (sing.  soeise) 
—  iism  aveste,  fiisia  foste,  miird  maturare  (cfr.  wair  maturo). 

108.  Influsso  di  5^°"*.  Se  ne  anno  tracce  solo  per  e  e  per 
di  pili  limitate  ai  prefissi  is-  e  dis-.  Per  is-  v.  n.  187.  Di  dis, 
si  anno  tre  riflessi  i  quali  fanno  capo  ad  un  *eis  donde  is  ; 
quindi,  come  all'iniziale  is,  da  s*^""*,  è  quasi  scomparso,  n.  187, 
cosi  all'interno,  in  molti  individui  (v.  App.  I)  is  scende  in  es 
che  a  sua  volta  può  adagiarsi  in  es.  Cfr.  nella  tonica  la  suc- 
cessione est  est  ^.  Distribuisco  gli  esempì  nelle  tre  varietà  : 
1"  difviià  svegliato,  discarbutd  sgarbugliare,  diskoru  discorrono, 
difgaite  sbrigati,  difdóit  sbadato,  di/gala  fondere,  difgrilnà  sgra- 
nare, difliml  slogato,  dispiai  dispiace,  distisà  spento,  distakà; 
2°  despieifì  dispiacere,  despiipd,  desviid,  respùnd  risponde,  def- 
■mentia  ;  3°  desponi,  deskoru,  deskuatd  scoprire,  defmentià  dimen- 
ticare, restii  filo  della  schiena,  respondii  risposto,  destorbe  di- 
sturba. 

109.  Labializzazione.  Per  il  contatto  di  una  consonante 
labiale,  s'à  buon  numero  dei  soliti  e  diffusi  casi  di  ii<C_i:  ariìva 


*  Mor.  :  ejmino  =  n.  prov.  esmino. 

~  kunisu  deve  essere  il  riflesso  della  forma  in  -esc,  che  a  Usseglio  manca, 
ma  è  frequente  altrove  e  anche  in  Piem.,  cfr.  Gè.,  13,  n"  3. 

^  Questo  indebolimento  di  /,  sebbene  in  condizioni  un  po'  diverse,  si  trova 
anche  in  f/e  feji't  (faceva),  che  rappresentano  un  attenuamento  di  fì/e'  fì/it. 
Cosi  *vei/iii  vicino,  diede  vi/iti,  donde  il  più  frequente  t>fÌH. 


Il  parlare  d'Usseglio  305 

arrivato,  dilrmùgi  domenica,  cìlmìfi  camicia,  di'nnerku  mercoledì, 
lilmasi  \unvaca.  prilmu'  primavera,  siimà'  cima,  silmiteri  cimitero; 
<  a  ed  e  si  à  u:  fnin  faginu  faina,  luinentà  lamentare, 
dumentre  mentre,  duvìl  dovuto,  nnvn  nipote,  jmvreri  pepaiola. 
fi  compare  in  vicinanza  di  alcune  consonanti,  v.  n.  !)7  n-':  (i)>ibiiri 
ombelico,  giimeisu  gemo,  riciivut  ricevuta,  pilpui  pipita,  inoltre 
in  iiirfl  v.  n.  132  e  diivii.  110.  Contatto  d\  n.  AU  primario. 
Detratti  i  casi  che  sono  in  alternanza  secondaria  colla  tonica  : 
arpufa  riposato,  godìi  goduto,  rìcha  rubato,  kiiienda,  diskiiivà 
schiuso,  )iufk(  nauseato,  restano:  urU'  (orecchia)  di  fronte  a  lauta 
(lodoletta).  oltre  a  outd'd  (autunno),  e  i'nfél,  dai  quali  esempi,  per 
motivi  di  vario  genere,  non  è  possibile  trarre  altra  conclusione, 
se  non  che  all'afona  si  mantennero  fin  qui  le  tracce  del  dittongo 
aperto  '.  110.  aii  secondario,  dà  sempre  ou,  che  nel  discorso  ra- 
pido diventa  u  :  cousinà'  calce,  coHderi,  cause  scarpe,  discousà,  fondai 
grembiale,  fausta  falcetto,  oiitàr  altare,  soutà  saltare,  sautis't',  ma 
anche  fudàl  grembiale,  sufd  saltare;  cosi  dati  (Par.)  dallo,  don, 
du:  ali  allo  au  u.  Pei  casi  di  analogia  v.  §  2.  ou  naturalmente 
li:  knt'el  coltello,  pusa  pulsare  spingere,  slcuta  ascoltare. 

Influenza  di  nasale.  111.  Per  a,  il,  ii  nulla  da  osservare; 
a  mantiene  ordinariamente  il  suono  pieno:  ca/ideila  candela,  canta 
cansihì  canzone,  pianta  ])ìa,ntare,  lanihél  labbro  —  i  si  conserva: 
linddl  limitare,  lins'oel  lenzuolo  —  e  per  esito  caratteristico  à  an\ 
kuiuansd  cominciare,  gansana  genziana,  lantijc'  lenticchie,  mantun 
mento,  pandiì  appeso,  sahsiia  sanguisuga,  randii  reso,  santit, 
sfandia  distesa,  trahcà  cagliare  (piem.  trihké),  vandia'  venduta, 
faiifice  gengive,  tampesta,  trampd  temperare  ;  per  i  numerosi  casi 
analogici  v.  §  2  -.  —  ein  dà  in:  rinsa  risciacquare,  sintura  cintura, 
^iw^rtra' tintura  ;  ain  dà  iìn  in  kiìntd  cognitare  raccontare. 


^  Cfr.  le  stesse  oscillazioni  nel  Dell',  Dev..  116,   ••fr.  Atlas  (;i56):  alouetle. 
"^  Ve  inoltre  una  serie  con  in:  intér  accanto   ad  anter:  rinf/rasi('i,  invérn, 
V.  App.  I,  che  sono  forme  recenti  e  non  correnti. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  ,  21 


306  T.n-mcini, 

Influsso  della  tonica.  112.  Assimilazione.  Diffuso  è 
il  noto  passaggio  di  u  ad  il  quando  la  tonica  seguente  sia  i  ^  ; 
bi'iii  bollire,  driiml  dormire  -,  kiifi  cucire,  riisti  arrostire,  silfri 
soffrire,  tHsi\  r/(//^g  rosicchia,  (/iimite  vomita  ;  an/wrc?/ sbalordito, 
amwwr^/ intirizzito  ;  fuori  dei  verbi:  è/ó-c?/s  immondizie  (<^*burd, 
§  3),  kilnii  coniglio,  filpin  pentola,  iirdi  ordito,  urina  orina  ; 
diivn  {*duv-  *dev-)  ^  (briciole)  ;  analogamente  :  arpenti  pentito,  per 
scerpi  V.  n.  101,  per  visti  (vestito)  v.  n.  108.  113.  Gli  esempì  di 
assimilazione*  propriamente  detta  sono  scarsi:  si  tratta 
di  una  e,  serrata,  in  generale,  fra  consonanti  che  facilitano 
il  suo  passaggio  ad  un'altra  vocale:  cam'm  canapa  più  frequente 
di  cenàu,  panas  coda,  '  pennacchio  ',  strana  '  étrenner  '  (v.  n.  17), 
tìifilrd  (piem.  tefiiré)  (tendere),  oltre  ai  diffusissimi  (jalà  gelare, 
sarà  chiudere,  v.  §  2. 

114.  Le  PROTONiCHE  SERIORI,  cioè  quelle  risultate  dalla  pro- 
gressione dell'accento,  seguono  in  tutto  le  tendenze  delle  altre 
protoniche,  ii:  briita,  skiiima  schiuma,  Ze<«a',  ima' una  —  i:  fika 


1  Cfr.:  XVI,  p.  530;  SVS,  82;  RDR,  II,  305,  309,  e  RILomb,  XLIV,  822. 
Dal  Vallese  e  dalla  v.  d'Aosta  questa  inflessione  si  protende  dunque,  attra- 
verso il  Piemonte,  sino  all'Emilia  e  la  Toscana,  cfr.  XVII,  122.  A  Val 
d'Illiez  la  metafonesi  avviene  solo  per  o  dinanzi  ad  /,  ce,  a  Valtournanche 
per  e  ed  0  dinanzi  ad  i,  u,  u.  Ma  è  opportuno  notare  che  per  e  la  metafo- 
nesi a  distanza  è  sempre  aiutata  dalla  vicinanza  immediata  d'un  suono 
palatale,  cosi  almeno  appare  dagli  esempi  citati  dal  Merlo:  dzis'i'  gésir  ; 
vis'i  V  a  e  i  V  u ,  tzimis'9  '  camicia  —  /?^w  phaseolu,  mirjà'  miroir 
deiis'ii'  "  giaciuto  ^. 

^  drill,  krill,  drlunl  possono  avere  Vii  dalFce  delle  forme  toniche,  v.  §  2. 

^  Cfr.  Mise.  Asc  ,  85.  E  pu/ineri  (gruppo  di  stelle)  >  ^piifln  pulcino. 

■*  Quanto  alla  dissimilazione,  non  vi  sono  da  ricordare  che  esempì 
di  lunga  data  e  di  vasto  territorio  :  arlogu,  barbuta,  mannurà,  rlmid,  semune 
summonere  offrire  ;  ma  tofoire  forbici,  piem.  te/oire. 


Il  i^arlare  d'Usseglio  307 

argine,  (jalinà',  prima  prima,  siìna  cìwva.  —  e:  ^;rwsia' pustola, /eM' 
fetta,  karta  carretta,  palla  paletta,  feisla  fiscella,  ferma  ferma, 
spesa  spessa,  l'Crda  verde  ;  ma,  vicino  ad  una  consonante  pala- 
tale: piancita  pedana;  Unì'  tigna  — ■  u:  tuta  tutta,  ruta  rotta, 
kupa  coppa;  la  palatale  non  manifesta  alcun  influsso:  ruht',  bucV . 

Iniziale.  115.  in  generale  il  destino  della  vocale  non 
cambia  \  se  non  che  e,  non  costretto  dalla  consonante  prece- 
dente, appare  come  vocale  piena  nei  casi  già  visti  al  n.  98.  Tra 
le  af eresi  sono  da  notare:  difU/t  adagino,  legrià'  allegria,  loufa 
allodola,  rive  giunge,  stela  scheggia,  risi'  ricciuta,  sa-it  asciutto, 
sas/'n  assassino,  si,  ki,  che  prendono  il  sopravvento  su  isi  e  iki, 
l'aferesi  del  prefisso  a  nei  verbi:  skiitd,  takà,  masd  uccìdere,  cita 
comprare,  sui  (asciugare),  ecc.,  tutti  casi,  del  resto,  comuni  nel 
loro  complesso  all'Italia  settent.  -  ;  per  le  aferesi  che  conservano 
ancora  il  loro  carattere  sintattico  v.  n.  231  ;  una  vera  aferesi 
è  pure  il  dileguarsi  di  i  dinanzi  ad  s  implicata,  v.  n.  187. 
116.  Come  prostesi,  non  sono  da  ricordare  che:  vauf  alto, 
voHsd  alzare,  vaàs  acuto,  rane,  vont  unto,  cwi^  avuto  e  vese  es- 
sere, cfr.  n.  231. 

117.  pROTONiCA  INIZIALE  (semiatona).  Male  si  distingue  dal- 
l'atona  iniziale;  lascia  tuttavia,  per  qualche  indizio,  trasparire 
ch'essa  è  pili  resistente.  Nella  pronunzia  di  des-  (v.  n.  108)  cre- 
detti  di  poter  stabilire  che  alcuni    degl'individui    i    quali  oscil- 


'  anrl,  un^ì;  i/g'p;  unest,  urtici,  udàr. 

*  Inoltre  l'art,  femm.  na,  e  i  piti  diffusi:  yiefa,  (jrrp  terreno  incolto, 
ìefna  lesina,  sunfi  sugna;  riìa  eruca,  vesku  vescovo;  rU'ndida  rondine, 
louta  (allodola),  notevoli  perché  rappresentano  l'estremo  punto  settentrio- 
nale cui  giunse  l'aferesi  cisalpina.  Per  le  parole  non  popolari  App.  I. 
S'ànno  infine  le  solite  aferesi  dei  nomi  proprii:  Ddgifa,  Nis  Agnese,  Tona. 
Degna  dinotala  conservazione  in:  af^id  rovente,  aresta  resta,  ari's  riccio; 
inoltre  avantd  diventare. 


308  Terracini, 

lano  tra  es  ed  es,  preferiscono  es  per  la  protonica  iniziale  : 
desplelfi  (dispiacere),  ma  despknt  (dispiace)  ;  definià  (svegliato), 
ma  despoiìi  spoglio,  ecc.,  tuttavia  nella  massa  delle  mie  fonti  tal 
vicenda  non  si  lascia  distinguere  nettamente.  —  Parimente,  se- 
condo alcune  fonti,  il  passàggio  di  ei  ad  «  sarebbe  dapprima 
avvenuto  in  semiatonia,  secondo  l'alternanza:  peirài  pnruld't. 
Per  maggiori  particolari  v.  App.  I.  —  Nel  dileguo  di  e,  si  nota 
qualche  maggior  ripugnanza:  semnà  (seminare)  presso  f<ì)ie/nu  se- 
mino, sepultiira  sepoltura;  grumisél  (gomitolo)  attesterebbe  il  trat- 
tamento di  ^'"'  r,  proprio  della  tonica  ^.  Inoltre,  benché  non  man- 
chino labializzaz.  come  .s/n>u7f ri  (cimitero),  s'àcjw/sM' (gonnella), 
che  resistette  meglio  di  cilmifi  (camicia);  infine  la  semiatona  ini- 
ziale à  la  forza  di  assimilare  l'atona  mediana:  v.  n.  118. 

Protonica  mediana.  118.  Vi  si  osserva  la  legge  di  Darmsteter, 
ma  in  esempì  ormai  scarsi  e  di  diverso  valore  -  :  niilapé  mil- 
lepiedi, muntòu  -atore,  filwiri  -atura  ^  ;  —  iìféj  uccello,  aptit  ap- 
petito, marmlin  mignolo  ^  phingùh  merlo  acquaiolo  <C  più m- 
bicare,  sante  sentiero,  lindcH  limitare,  §  3,  smana  settimana, 
sarvela  cervello^:  —  nianà  *  maina,  m  ansio  nata  bimbo,  eida 
aiutare.  Se  segue  r,  è  da  notare  che  anche  a  sincopa,  certo 
dopo  essersi  mutato  in  e:  Verà't  topon.  <  *villare*^.  Si  à  pure 
sincope,  forse  in  parte  analogica,  v.  §  2,  nei  condizionali  di 
tutte  le  coniugazioni:  muntru,  cantru,  vudrn,  rìfrù,  caprù,  vindrn, 


^  V.  n.  100  e  nota. 

~  Alcuni,  p.  e.,  anno  il  loro  corrispondente  nelle  postoniche,  inoltre  : 
'ntanà  fr.  '  entamer  ',  cargo  caricare,  sfungà  sfondare,  kUntà  raccontare,  kxcd. 

^  V.  n.  128-9.  Mi  mancano  esempì  preceduti  da  palatale,  poco  o  nulla  di- 
cendo pasco' u  pescatore,  caso' a  cacciatore,  ficanas  ficcanaso. 

*  AGIt,  II,  366. 

^  In  grumisél  gomitolo  glo  miscelili,  la  vocale  si  conservò  grazie 
alla  palatale,  cfr.  Pral.  grilmej^é'l. 

*  murtrat  mortaretto  (piem.  murtare't). 


TI  parlare  d'Usseglio  309 

nmrif,  ecc.  Ma.  quando  la  vocale  è  divenuta  mediana  per  deri- 
vazione recente,  e  questo  è  il  caso  pili  frequente,  allora  il  suo 
trattamento  è  uguale  a  quello  della  protonica  interna:  soltanto 
e  dilegua:  martlà,  lìflu't,  linnlat  pupilla,  meislas  dente  mascellare, 
bierlòt  (<  buderi)  ruscello;  pieinéi,  candccel  canapule  ^  ;  per  le 
altre  vocali  :  camhriìuì't  stanzetta,  fariurrl  cassa  della  farina, 
matiné  primaticcio,  kartiiìié  carrettiere,  mbaritnà  <  barii/i  (am- 
massare), quando  addirittura  non  s'abbia  manifesta  influenza  delle 
toniche.  S'à  pure  qualche  caso  di  assimilazione  alla  semiatona: 
ììKdadisiìUì,  tararla  succhiello,  aiicdhna  (<  viUm)  velenoso.  Ad 
una  specie  di  assim.  è  da  attribuire  l'epentesi  di  tartare  accanto 
a  tartrr  (nome  di  un  flore). 

Contatto  di  elertienti  vocalici. 

119.  Iato  primario-.  Dinanzi  a  vocale  estrema:  e-j-i  diede 
il  dittongo  iei  che,  mentre  sopravvive  nei  paesi  vicini,  qui  si  do- 
vette contrarre  in  //,  di  cui  una  traccia  indir,  è  nella  Par.  sii  suoi, 
forma  fatta  su  *ìtì,ii  miei,  v.  §  2,  e  un  altro  vestigio  s'à  nei  pronomi 
plur.  odierni:  )ni/(,  tiri,  siri,  a  parte  V/ì  preso  dal  sing.  v.  §  2 ;  g  -\-  Z2  : 
meli  mio;  per  questa  mancanza  di  dittongo  che  ricorre  a:iche 
altrove,  v.  §  2.  Da  o  +  "  si  ebbero  i  soliti  to  so;  o-}-/ ,  diede 
l'esito  corrispondente  a  vocale  chiusa  in  doei^  due  f.  doe  ^. 

Dinanzi  ad  a:  o  -\-  a:\-A,  vocale  discese  ad  i  in  me  a,  che  diede 
con  progressione  d'accento  mia';  e -|- a  ,  con  lo  stesso  risultato, 
via    via;  assai  piti  importante,   geograficamente,   è  il   manteni- 


'  Da  />À<'Ìf"i  *cenéu.  Se   fossero    derivati    latini   conserverebbero    traccia 
di  a. 

-  Cfr.  I,  276,  Einfuhr.,  109,  e  Goidànich,  BhZRPli,  V,  158. 
'  dOe  coìVo  conservato  perché  in  proclisia;  cfr.  n.  97. 


310  Terracini, 

mento  di  seie  siam-siat:o-|-a  ty,a,  syià'  (e  plur.  tue'  sue):  in 
iato  secondario  ti  {<Co)  non  soffre  progressione,  v.  n.  127,  quindi 
è  legittimo  supporre  che  le  due  voci  stiano  sotto  la  parziale  in- 
fluenza di  mia'  ^ 

Iato  secondario.  Un  vero  iato  non  sussiste  che  in  pai/ 
(paese),  se  no   esso  si  espunge  con  procedimenti  di  pili  maniere. 

a)  120.  Quando  si  tratti  di  due  vocali  uguali  o  simili,  il  iato  si 
evita  per  contrazione:  1"  coll'atona  precedente:  vel  vitello,  trénf 
tridente,  vane  guadagna;  2°  coll'atona  seguente: /"f  pecore  (*/t'^) 
part.  fem.  di  1^  sing.  e  y>\ui\,  purf a  e  minga,  2*  plur.  di  l-"*  con.: 
canta. 

^)  Se  la  prima  vocale  è  una  tra  le  estreme  delle  tre  serie, 
essa  passa  alla  semiconsonante  omofona  :  n,  /(,  /.  Nel  discorso 
lento,  che  è  il  normale,  u  ed  ^  hanno  fortissima  tendenza  a  svi- 
lupparsi in  uv,  iiv;  nel  discorso  rapido-,  o  quando  la  finale  sia 
una  breve,  è  preferita  la  semiconsonante  semplice.  l°L'atona 
precede.  121.  w  -]-  tonica:  afnva  infocato,  fìivd't  frusta,  fnrhì 
faina,  kmvenda  siepe,  sinrist  corda,  ma  ruà't  filatoio,  kiià't  '  co- 
detta' pecora.  122.  il  -\-  tonica.  Si  forma  un  nesso  più  instabile 
del  precedente:  biivél  budello,  diiverta,kii verta,  ìHÌivànda<muta.re, 
silveri  cibaria,  gilà  (giocare).  Di  contro  a  questi  numerosi 
esempì  s'à  ska'la  (scodella)  ^  e  certo  si  deve  a  forti  ragioni  di 
analogia  se  altri  uè  non  si  contrassero;  un  caso  analogo  è  pro- 
babilmente il  già  discusso  fioel,  n.  46  ;  iì,  in  pronunzia  rapida, 
tende    a    passare  ad   i:   sporadicamente  in  miianda  (cascina)  e 


^  i-\-a.  Il  suffisso  -ia  diede  naturalmente  *«':  shiidrià' scnàQvìdi,  ustarijì' 
osteria,  Uhgìria'  biancheria. 

^  Su  alcune  peculiari  cristallizzazioni  di  questa  alternanza  v.  n.  235.  Per 
tutti  gli  spostamenti  dell'accento  che  accompagnano  il  iato  v.  n.  229. 

^  Questa  contrazione  è  diffusa  in  molte  parti  del  Piemonte,  efr.  p.  e. 
Salvioni,  Mèi.  Chah.,  534. 


Il  parlare  d'Usseglio  311 

sempre  in  shì  (asciugare).  123.  *  -{-tonica  passa  ad  «.  che  è 
suono  assai  più  stabile  dei  precedenti:  buda,  difi^ot  adagino, 
(lied  ditale,  dinud  Natale,  fiiifi  fiducia,  nUl  n\diO, pini t  'pedone' 
pantofola,  rhmt.  sia  segare,  sias,  suda  ;  di  U  c'è  qualche  esempio  ^, 
0  come  pronunzia  individuale,  o  perché  sia  voce  esclamativa  : 
la  dlnin  !  \\  diavolo!-.  2°  Se  l'atona  segue,  essa  attira  su  di 
sé  l'acL-onto  :  in  questo  caso,  la  nuova  tonica  essendo  breve, 
V.  n.  183  B,  la  semiconsonante  suol  di  rado  sviluppare  una  vocale. 
124.  i-j-atona:  partja  siìrtifi  ;  pUpifi  pipita,  urthi ,  funnia', 
dm  dico.  125.  //  +  atona  :  k-rM',  patanua  (nuda),  e  con  epentesi  : 
uva'  uva.  riiva  eruca.  La  serie  dei  partic.  in  -ut a  esce  in  ni:  di- 
vidi a' ,  kresia ,  ricuvia,  turfia  .  mia.  Il  nesso  Uà  è  certo  insta- 
bile  e  tende  comunque  a  risolversi  ;  pare  però  che  qui,  piuttosto 
di  avanzare  verso  m,  come  in  Svizzera  •\  secondo  particolari 
condizioni  fonetiche,  esso  obbedisca  a  condizioni  morfologiche; 
infatti  l'unico  modo  di  spiegare  la  divergenza  tra  il  trattamento 
dei  sostantivi  e  dei  participi  è  di  supporre  che  in  questi  ultimi 
la  risoluzione  precipiti  perché  è  facilitata  dalla  analogia  dei  p. 
in  -ita;  però  anche  l'epentesi  che  subentra  nei  sostantivi,  non- 
ostante la  brevità  consueta  della  tonica,  è  indizio  dell'instabi- 
lità del  nesso:  negli  aggettivi  poi  la  conservazione  di  uà  fu 
pure  agevolata  dall'influenza  del  maschile  (v.  §  2). 

y)  Quando  la  vocale  che  precede  è  chiara,  se  è  tonica,  si  man- 
tiene tale,  se  è  atona,  attira  su  di  sé  l'accento.  P  Se  l'atona 


^  Naturalmente  si  à  j'i,  intatto  se  proviene  da  W  :  aviPi',  cavixùn,  caviieri, 
fìil',  lantiif,  muriiicn,  siti',  siiidi;  s'à  tuttavia  qualche  caso  di  alternanza  con 
ì:  sii  accanto  a  siil',  o  di  assorbimento  pressoché  fisso:  i(riì' :  certo  la  na- 
tura della  consonante  precedente  ha  la  sua  parte  in  questo  divergenze. 

-  0  perché  obbedisca  all'analogia  del  dittongo  discendente  :  niii'i,  niiiivp 
fatto  su  nii^e. 

■'  In  Svizzera  il  passaggio  ad  (  si  propaga  seguendo  la  natura  della  con- 
sonante che  precede  :  .Tabkkg,  92. 


312  Terracini, 

segue,  colle  vocali  palatali  combinate  tra  di  loro  e  con  a  si  svi- 
luppa un  ^^,  se  invece  una  delle  due  vocali  è  labiale,  si  ha  un  v: 
126.  braie  brache,  ^/«ia  {*piaien)  acero.  Inoltre,  lo  stesso  accade 
nei  casi  in  cui  non  avvenne  progressione  d'accento,  sne  sega,  nii^e 
e  nel  suff.  ia  delle  parole  importate  da  poco:  angnnim,  kanamiia, 
kulumna.  127.  lab.-\-n:  ìotxi  [luva)  lupa,  rona  {ruva)  ruota,  duva 
doga,  gmve  gioca,  che  diviene  in  pronunzia  rapida  ga'U. 

127*.  a-\-u  si  confonde  col  dittongo  au  da  *al,  quindi  si  ha 
semplicemente:  fau  faggio,    vau,  lau,  fan  faccio-. 

2^  Quando  l' atona  precede,  essa  si  assimila  parzial- 
mente alla  tonica,  conservandosi  tuttavia  sempre  più  chiara,  si 
che  à  forza  di  attrarre  a  sé  l'accento;  la  tonica  si  muta  nella 
semiconsonante  corrispondente  ^.  Tale  riduzione  accade  solo  per  «, 
almeno  a  Usseglio  gli  esempì  contrari  possono  tutti  spiegarsi 
come  casi  di  analogia.  128.  1°  a  -|-  ^  (e)  :  "  -aticcio  „  :  sanéis,  sur/éis 


^  Che  ad  un  dato  momento  parve  indebolirsi  :  are.  :  véii,  cren  per  véi^u  ; 
ma  fu  tendenza  presto  tramontata,  di  cui  resta  una  sola  traccia  :  ft,  v.  App.  I. 

^  Ma  i  due  verbi  divengono  nel  discorso  lento:  fava,  vul-u,  perché  la  finale, 
cioè  la  desin.  della  1''^  p.  s.,  conservò  fin  quasi  ai  nostri  giorni  il  suo  va- 
lore di  0. 

Resta:  defioi^ii,  defloiii,  dejluià  (slogare),  che  è  caso  unico;  il  piemontese  ha 
dàjluu,  dàflué;  è  forse  un  esempio  di  %  diretto  continuatore  di  g'i  Del  resto 
v'è  chi  non  esclude  che  un  iato  ove  entri  una  vocale  labiale,  possa  colmarsi 
con  jt.  Cfr.  Salvioni,  XVI,  366.  Un  caso  men  grave  è  aiasin  callo,  Delf. 
agacin  (Chabrand). 

^  Una  di  queste  trasformazioni  fu  accennata  dal  Nigra,  VS,  38  e  poi  la 
loro  storia  fu  ripresa  dal  Salvioni  (IX,  250,  JFRPh,  I,  124,  129,  e  quindi,  con 
assai  maggiore  ampiezza,  in  RlLomb.,  XXVIII,  522  sgg.,  e  SVS,  1055^),  il 
quale  pure  afferma  che  il  fenomeno  avviene  solitamente  con  a,  e  infatti, 
degli  esempì  contrari  che  cita,  molti  ritiene  egli  stesso  come  ingannevoli. 
Sull'intima  ragione  di  questo  spostamento  è  da  consultarsi  Goidànjch, 
BhFRPh,  V,  170  e  specialmente  177,  179.  Per  la  sua  estensione  geografica 
cfr.  1,598;  //.  Gr.,  154  e  P.  II. 


11  parlare  d'Usseglio  313 

sorgiticcio,  taiéis  (fr.  tailìix),  >nist  da  *ineisf  maestro  ^  cet  ceta 
*cadectii  caduto-a,  v.  n.  27.  ;y'^  radice  e  ceina  catena-. 

128".  2'*  a -|- /( -atura:  lavimri,  skhipa'lri^  mnir-a  mi\t\ivo--à, 
()(em-na  jajunu,  vocis-i^,  cen  ago,  bunkc  baduccat,  daànn '^  ; 
tvW  avuto,  scrv  saputo.  129.  a  ^-o  :  oiitni  ad  ultra,  nra  '->  [che 
piesuppone  *óura  v.  n.  2o<>),  -atoi-iu  (confuso  cou  atore): 
tulon,  laviiron,  niùnton,  rafoH,  ecc.,  oifsf  agosto. 

129''.  Nel  iato  delle  atonc  s'ànno  vicende  analoghe  a  quelle 
studiate:  làmpui  lampada,  munla  monaca,  plana  pedata,  kuertd 
coperto,  meisina    medicina,  per  alasin  (callo)  v.  n.  126  n'\ 

Sorte  ulteriore  dei  dittonghi.  —  Ora  che  nel 
corso  del  nostro  studio  abbiamo  avuto  occasione  di  passare  in 
rivista  gran  parte  dei  dittonghi,  sia  che  essi  nascano  per  lo 
sviluppo  di  alcune  vocali:  n.  14,  22,  27,  32,  sia  che  si  produ- 
cano per  colmare  il  iato:  v.  n.  121  sgg.,  prendendo  in  conside- 
razione anche  quelli  sorti  dalla  vocalizzazione  delle  consonanti: 
n.  154,  155,  162,  180,  184,  possiamo  esaminare  in  una  breve 
sintesi  qual  sorte  essi  abbiano  incontrato. 

130.  I  dittonghi  ascendenti  e  trittonghi  di  for- 
mazione   assai  antica    si  sono  tutti  semplificati  ;    quelli    invece 


'  Voce  quasi  sempre  in  atonia.  Cfr.  Goid.,  1.  e. 

-  Che,  data  la  costanza  del  fenomeno,  non  c'è  ragione  di  espungere,  seb- 
bene non  sia  esempio  probante,  potendo  il  dittongo  essere  nato  anche  dalla 
sola  tonica.  Salvio.m,  1.  e,  527.  Per  cadectu:  SVS,  p.  1055^. 

^  Quest'esempio  a  Usseglio  può  parer  dubbio  perché  voeis  potrebbe  essere 
*uis  con  t'  trattato  come  in  francese  (aiguiser)  e  con  aferesi  di  a.  Ma  in 
Val  Soana  dove  ii  in  tal  posizione  non  si  schiarisce  (cfr.  fiijre  fuggire, 
V.  S.,  40),  si  à  euP,  dunque  si  tratta  di  a  +  u.  Il  medesimo  dubbio  si  à 
per  oejit  (ago);  quanto  a  rce,(  veduto,  6«i  bevuto,  li  ritengo  analogici,  v.  §  2. 
Per*baduccare:    RlLorab  ,  XXXVII.  530. 

*  .Salv.,  1.  e,  522,  d  e  -|-  a  *  u  n  a  . 

■'  La  Par.  à  aiìra  (32)  ;  ma  l'accentuazione  potrebbe  essere  semplice- 
mente una  mala  restituzione  del    Bioudelli. 


314  Terracini, 

prodotti  da  casi  di  iato  restano^  v.  n.  121  segg.  ;  si  notò 
soltanto  in  uè  una  tendenza  alla  contrazione,  n.  122  :  inoltre 
nin  (niente);  infine  se  ad  un  dittongo  in  ^  precede  una  conso- 
nante palatale,  o  palatalizzabile,  questa  assorbe  facilmente  la 
semivocale:  mija  {*vulia)  voluta,  kumpana  compagnia,  San  Gan 
san  Giovanni. 

Nei  dittonghi  discendenti,  in  generale  il  dittongo  si  con- 
serva sempre  aperto  e  discendente.  Tuttavia:  \°  se  il  dittongo 
è  nasale  s'à  riduzione  o  contrazione:  senta  santa,  kont,  n.  38c, 
sintura  ;  2°  negli  altri  casi  la  vocale  tonica  può  subire  qualche 
leggera  modificazione,  l'atona  è  soggetta  regolarmente  a  pala- 
talizzazione e  labializzazione,  v.  n.  104,  mentre  la  semiconso- 
nante, in  certe  circostanze,  è   soggetta  al  dileguo. 

131.  eoe  -\-  i.  Già  vedemmo  come  si  mantengono  ai,  el,  oi^,  o?ù 
L'espunzione  della  semiconsonante  s'à  nei  seguenti  casi:  1°  Nei 
diffusi  esempì  in  cui  la  vocale  può  forse  rappresentare  la  contra- 
zione di  un  antico  dittongo  ascend.  :  lèt,  pes  (petto),  ai  ^  ;  2"  Si  à  ri- 
duzione di  el  ad  e  se  segue  esplosiva,  n.  23;  3^  Quando  la  vocale 
sia  fortemente  palatale-:  -aria  =eri;  viri,  siri,  pèrnis,  cfr.  il 
fatto  analogo  nelle  atone,  n.  104^.  132.  voc-^-u:  l'unica  com- 
binazione che  rimanga  intatta  è  aii,  v.  n.  64,  127°,  180  —  hi 
passa  ad  aii:  cenau  da  *cenèim  *ceneu;  au  il,  dau  dal  (Par.)  — 
*eìi  diede  oei:  ga>iru,   v.  n.  20  e  n.  178,  pmr'^  pavore  (128"). 


1  I,  160  e  P.  IL 

^  Da  notare  pela  (padella)  accanto  a  i)eila. 

'  M  è  raro,  perché  dinanzi  ad  i  passa  ad  ce,  v.  n.  13;  ma,  conservato  per 
influenza  della  forma  atona,  espunse  la  semivocale  in  miine  (muggisce)  ;  iis 
(uscio)  è  certo  una  forma  recente  venuta  dal  piemontese,  cfr.  a  Pral.,  us  ac- 
canto a  iljs. 

*  Su  questo  tema  e  le  sue  forme  cfr.  :  RILomb.,  XXXVII,  533  ;  Mise.  Asc, 
253;  Gè.,  59;  AGIt.,  Ili,  12;  XVI,  542;  IL  Gr.,  154.  Il  passaggio  ad  X  din- 


Il  purlare  d'Usseglio  315 

—  Dopo  una  vocale  palatale,  n  divenne  « ,  vedi  n.  128",  e  cosi 
pure  u,  in  esempì  con  r:  v.  n.  prec.  e  ceiiy'd  capretto,  iiin'l 
(aprile).  Dopo  vocale  labiale,  u  k  forte  tendenza  al  dileguo:  al- 
l'interno: rol{\  SK.krole  scuote  *corrotulat,  poyn  pollice,  ^«o^, 
pìorf  (piovere),  accanto  all'arcaico  ph'h-e  ;  si  mantiene  meglio 
assai  ou,  prodotto  da  regressione:  oiist,  l/'ióiifra.,  v.  n.  l'iS'*  ;  in 
finale  pure,  il  dittongo  resiste  :  j^Q^à  PUÒ,  rou.  man  macina. 


Quantità  delle  vocali. 

133.  Nel  parlare  ussegliese  le  differenze  di  quantità  sono 
assai  sensibili  per  le  parole  che  portano  l'accento  di  frase,  la 
sola  posizione  in  cui  la  quantità  si  possa  considerare  come  fissa, 
poiché  nell'interno  della  frase,  le  lunghe,  che  sono  la  principale 
caratteristica  del  dialetto,  vengono  di  molto  abbreviate  e  quasi 
abolite.  Nel  discorso  normale  ogni  lunga  è  almeno  doppia  di 
una  lunga  italiana  \  essa  non  à  solo  per  caratteristica  la  mag- 
giore durata,  ma  pure  l'accento  biverticato,  ascendente  o  discen- 
dente a  seconda  del  tono  della  frase. 
A)  In  finale  di  parola  suona  lunga: 


nanzi  ad  r  è  diffuso  in  Provenza  e  nelle  terre  finitime:  Devaix,  99; 
^fo}■.,  197"'''''';  Mei.  Chab.,  535;  del  resto  non  è  tendenza  neppure  ignota 
al  Piemonte,  RILomb.,  XXXVII,  533.  Manca  però  ad  Usaeglio,  e  sarebbe 
difficile  dirne  la  ragione,  l'esempio  più  comune  della  serie  che  è  a  d  h  o  r  a. 
Inoltre,  accanto  al  piii  comune  e  recente  gineiTu  (ginepro),  (jùìdciru. 

'■  Dovrei  dunque  scrivere  ogni  vocale  lunga  — ',  ma,  per  comodo,  la  in- 
dico col  solito  segno.  Per  le  varie  contingenze  dell'uso  e  la  grande  varietà 
dei  parlanti,  le  mie  indicazioni  anno  naturalmente  un  valore  relativo;  è 
pure  certo  che  le  lunghe  non  sono  tutte  di  ugual  durata,  specialmente 
quando  si  tratti  di  sillaba  chiusa,  ma  trascurai  d'indicare  queste  differenze 
perché  l'esattezza,  in  gran  parte  di  questi  casi,  non  può  essere  che  illusoria. 


316  Terracini, 

1°  Ogni  vocale  in  finale  assoluta:  canta,  pe,  durmJ^,  grd^ 
Ut,  fCe,  saii'i  ; 

2°  Ogni  vocale  a)  dinanzi  a  liquida  semplice  o  seguita 
da  consonante  :  bel,  foudcd,  kol,  ko,  fèr,  fOrt,  kuérc  ;  b)  dinanzi  ad 
una  sibilante  sonora:  nàf,  iskiif,  naìTcf;  e)  dinanzi  a  sibilante 
implicata:  brwsk,  post. 

B)  Sono  invece  decisamente  brevi: 

1°  Tutti  i  nuovi  ossitoni  provenienti  da  progressione, 
V.  n.  230  ; 

2°  I  vari  risultati  della  contrazione  di  ^"'^^  :  fèfau,f rat,  ecc., 
V.  n.  21,  let,  (et,  ncet,  v.  n.  42-3,  55. 

3°  Le  vocali  che  divennero  toniche  per  regressione  di 
accento  :  casott ,  muntòu,  oust;  men  costante  è  la  brevità  colle 
altre  vocali. 

C)  Dinanzi  ad  altre  consonanti,  e  son  quelle  che  sogliono 
fare  posizione  forte,  l'uniformità  di  trattamento  è  rotta:  a,  o,  e 
(provenienti  da  a  e  p)  reagirono  da  gran  tempo  sulla  lunghezza 
della  consonante  e  sono  lunghe.  Invece  ii  i  ti  a  (<C  ci)  (cioè,  in  gran 
parte,  i  riflessi  di  o  e  i  u)  sì  mantengono  in  una  brevità  assai 
facilmente  percepibile  ;  questo  stato  di  cose  si  conserva  abba- 
stanza bene  colle  consonanti  esplosive  ;  colle  altre,  special- 
mente con  s,  la  forza  della  vocale  comincia  a  reagire,  si  che, 
accanto  alle  brevi,  le  ancipiti  non  sono  rare;  a)  bas,  cevrg't, 
f nudala  s,  andà'ii,  fos,  gràs,  mat,  òs,  sàk,  sft  ;  /?)  cìik,  grnp,  giln, 
mak,  pàs,  piis,  riis,  san,  spàs,  tiis,  di  lunghezza  incerta  luh 
lontano. 

D)  Dittonghi  :  la  lunghezza  si  regola  sul  colore  odierno 
delle  vocali  : 


^  Ikl  è  invece  rarissimo  e  suona  per  solito  breve;  ciò  dipende  semplice- 
mente dal  fatto  che  l'accento  di  frase,  in  generale,  non  posa  sulla  parti- 
cella. 


Il  parlare  d'Usseglio  317 

lo  voc  j^  j-^jj  qualunque  provenienza,  protetto  o  no  da  conso- 
nante) :  a,  e,  0  sono  decisamente  lunghi  :  cinai,  kói,  Ira,  vel,  vóis, 
vóit,  ecc.,  le  altre  vocali  sono,  o  brevi  o  ancipiti:  avos' i,  parte' i, 
sarpenfe'l,  purfe'i  (2"  p.  cong.),  «e/,  ecc.,  fìl,  l/^nn'i  ; 

2"  Nella  combinazione  con  u  la  vocale  è  lunga:  cau, 
katju. 

E)  Quanto  alla  nasale,  dinanzi  ad  m,  la  vocale  è  trattata 
come  al  ì^  C:  fdin,  film.  Con  n  è  lungo  soltanto  e:  fcii,  ìnéu,  tèli. 
S'à  ancora:  /m;  le  altre  vocali  sono  prevalentemente  brevi,  ma 
spesso  ancipiti  :  hiìn,  respnh,  vìii  viene,  cV'i,  matì'n.  à  e  brevissimo, 
V.  n.  69  :  pan.  Quando  segua  consonante,  allora  la  vocale  nasale 
s'ode  inedia  e  spesso  lunga,  meno,  s'intende;  a  e  e:  frilnt.,  j)Ont, 
pfint,  trèni. 

II.  Nell'interno  della  parola  le  condizioni  di   lunghezza   sono 
analoghe  a  quelle  della  finale  : 

A)  biireri.  farci,  mare,  milabi,  piOre,  poru,  purga,  rista,  sUcra, 
tórfe.  ùra,  vesta. 

B)  fase  faccia,  fon,  pan.  vén,  presa,  roba,  sàpie  sappia,  tene 
tenga,  rene  venga,  fmHa.  Dei  casi  di  brevità  non  si  può  dare 
esempio,  perché  essi,  in  generale,  produssero  la  progressione 
d'accento,  v.  n.  230;  ma  nei  verbi  ove  questa  fu  impedita,  si  à: 
sèce;  le  vocali  velari  anno  invece  acquistato  una  certa  lunghezza: 
tace,  véne  (ungere). 

C)  Nei  dittonghi:  e/  è  di  quantità  instabile,  ma  piuttosto 
breve:  hfire,  kreire,  sereina;  per  gli  altri  mi  manca  nmteriale 
sicuro. 

D)  In  sillaba  libera,  davanti  a  nasale,  si  à  oi-a  la  lunga, 
quando  non  intervenne  la  progressione  d'accento:  biìna,  g((iisàna, 
ci'cina  pigna,  sina.  cena,  v.  n.  61.  In  sillaba  implicata,  è  alquanto 
lunga:  kiìifènta,  arvèngi,  lungi,  bif/ìci,  la  lunga  si  sente  special- 
mente bene  in  pónta,  v.  n.  74,  è  invece  decisamente  breve  cut  : 
piànta. 


318  Terracini, 

III,  Propa  Tossito  ni.  Dei  più  antichi  non  è  da  discor- 
rere, essi  si  confondono  coi  parossitoni  ;  ciò  accade  pure  ai  pro- 
parossitoni  più  recenti  ciie  perdettero  la  finale  o  sincoparono: 
limófna,  siibì,  tosi  ;  ma  ove  invece  si  conservino,  siano  essi  an- 
tichi 0  recenti,  la  tonica  è  sempre  nettamente  breve  :  —  veiestu? 
vedi  tu?  sq'kule  zoccoli,  hi' siila,  ti'vula,  gerbula,  pi' nula,  -  as^te 
siediti;  e  tra  i  più  recenti:  merica  America,  veduva  ^  Quanto  alle 
atone,  non  feci  in  proposito  osservazioni  speciali  :  quando  sono 
in  sillaba  aperta,  esse  possono  apparire  più  lunghe  della  tonica, 
se  questa  è  breve:  Yiscma  ,rlfiit,   vita,  ecc. 


^  Anche  v_duu.  V.  per  questa  brevità  e  per  la  quantità  in  generale  delle 
voci  importate  di  recente,  App.  1. 


Il  parlare  d'Usseglio  819 


II. 

CONSONANTISMO 


1°  La  posizione  forte:  Consonanti  semplici  —  Gruppi  —  Palatalizzazioni 
seriori  —  Consonanti  lunghe. 

2°  La  posizione  debole:  a)  Intervocaliche  (Nessi  con  palatale,  cons.  semplici; 
stato  delle  consonanti  nei  proparossitoni  prima  della  sincope)  —  b)  Con- 
sonanti in  chiusura  di  sillaba  (Conservazione,  assimilazione,  palataliz- 
zazione) —  e)  Consonanti  finali  (Finale  latina,  finale  romanza). 


I.  —  Posizione  fovte^. 

In  questa  sede  ogni  consonante  al  solito  tende  a  conservarsi 
e  su  di  essa  poco  o  nulla  possono  i  suoni  vicini. 

Consonanti  semplici.  —  Non  offrono  cosa  desrna  di  nota. 


'  Ordino  le  consonanti,  secondo  che  sono  in  posizione  forte  (iniziale,  ini- 
ziale di  sillaba)  o  debole  (intersonantica,  chiusura  di  sillaba  e  finale)  giusta 
la  distinzione  e  la  terminologia  introdotta  dal  MErER-LiiBKE  [Fr.  Gr.,  149) 
pel  francese  e  adattatissima  al  tipo  delle  nostre  parlate.  Pel  sistema  di 
consonanti  da  cui  parto,  cfr.  pure  Fr.  Gr.,  148.  —  Il  conson.  di  Usseglio  può, 
nelle  sue  grandi  linee,  essere  assunto  come  tipo  per  le  parlate  delle  valli  li- 
mitrofe ;  questo  tipo,  assai  piìi  che  quello  del  vocalismo,  coincide  con  quello, 
ben  noto,  dei  dialetti  di  pianura;  ò  tuttavia,  anche  in  questo  caso, 
abbondato  nella  descrizione,  iDcrché  il  lavoro  possa  dare  un'ampia  testi- 
monianza di  quale  sia  lo  stato  attuale  d'una  parlata  rustica  piemontese. 
[Veramente  il  parallelismo  di  risoluzione  nei  casi  di  posizione  debole  manca 
spesso,  e   in  altri  territori  ancora  più  che  in  questo.  Onde  un  siffatto  ordi- 


320  Terracini, 

135.  Esplosive:  teise  tessere,  forta  forte;  dei  dito,  couderi 
caldaia;  pel  pelle,  vespu  sera;  heire  bere,  erba  erba;  koire  cuo- 
cere, iskur  scuro;  i/gote  sgocciola.  136.  Fricative:  savéi  sa- 
pere,/orse  forse  ;  fare:  r^s  verso,  servgm/ servire.  137.  Liquide: 
lana;  rire  ridere.  138.  Nasali:  naise  nascere,  seme  cernere; 
maini  magro,  furmià'  formica. 

139.  Spirante  prepalat.  sorda  (ti  ,  ci,  ce,  ci>>^')^  Giunto  a  5, 
stadio  attestato  ancora  nella  Par.  da  un  solo  esempio  :  iscl  (qui), 
il  suono,  per  influenza  del  piemontese,  fu  sostituito  dalla  sibi- 
lante dentale  s.  Ma  alle  Piazzette  esso  rimase  incolume  e 
giunse  a  fi  interdentale  ;  /  a  sua  volta  è  ormai  quasi  com- 
pletamente evoluto  verso  h.  Per  la  storia  dell'invasione  pie- 
montese e  per  i  rapporti  di  P  con  h  alle  Piazzette  v.  App.  I  e 
P.  II:  san  isi  questo,  sèni  cento,  serM  cercare,  serkiu  circ'lu, 
serne  cernere,  sere  cervo,  servela  cervello,  sè/j/m  <;  e  i  p  p  u  §  3, 
sina  cena,  sindra  cenere,  siri  cera,  s'mla  cicala,  suda  cipolla,  sink 
cinque,  sinkànta,  siimn  cima,  cousma  calce,  diisi  dolce,  cousà  cal- 


namento  non  è  da  seguire.  Qui  è  accettato  per  la  necessità  dei  richiami 
alle  altre  parti.  Opportuno  forse  potrebbe  essere  trattare  insieme  solo  il 
consonantismo  iniziale  e  quello  interno  dopo  consonante.  Tuttavia  una  no- 
terella  sintetica  in  calce  alla  trattazione  basta  per  orientare  sulla  coinci- 
denza di  risoluzione  nei  vari  schemi  fonetici  e  sulle  ragioni  intrinseche  o 
dinamiche,  generali  o  individuali,  antiche  o  recenti  delle  coincidenze  stesse  ; 
e  non  dovrebbe  mancare.  L' impraticità  e  l'impraticabilità  della  sistema- 
zione qui  adottata  (mi  permetto  di  dirlo,  salvo  ogni  rispetto  per  l'egregio 
collaboratore),  risultano  evidentemente  dalla  lettura  dei  paragrafi  che 
seguono  relativi  alle  "  Consonanti  lunghe  ^,  ai  "  Gruppi  con  palatale  „  e 
agli  elementi  in  "  chiusura  di  sillaba  „.  P.  G.  G.]. 

*■  [Ricostruzione  ipotetica,  anche  per  il  francese.  Fi:  Gr.,  §  152.  Sui 
gradi  intermedi  dell'evoluzione  di  questi  elementi  regna  la  massima  incer- 
tezza. E  il  voler  vederci  chiaro  è  impresa  disperata;  infatti  i  tre  argo- 
menti su  cui  possiamo  fare  la  ricostruzione  (l'ortografia  antica,  il  paral- 
lelismo, la  geografia  dialettale)  sono  tutti  e  tre  mal  sicuri:  l'ortografia 
antica  non  sappiamo  certo  quali    realtà   fonetiche  ci  celi  (ricordiamoci  che 


Il  parlare  d'Usseglio  321 

zare.  cause,  house  scarpe,  kiimansà,  (jansana  genziana,  nose  nozze, 
pesi  pezza,  cousa  alzare,  Unsa-l  lenzuolo  ^ 

140.  Spir.  prep.  sonora  (d|,  j,  gè,  gi  >  j).  All'iniziale  è  di- 
venuta un'esplosiva:  //:  (jala  ge\a.re,  fjansana  genziana,  ijarnd  ger- 
minare, gènf  gente.  ()est  gesto,  genui  ginocchio,  gibneisu  io  gemo, 
digo  giovedì,  gas  giaciglio,  gal  già,  gene  gennaio,  genevra  gi- 
nepro, gonta  innata,  ga'sta  giusta,  gcein  digiuno,  giiu  giugno, 
giìre  iurat  bestemmia,  r//rm  giovane;  //or«  giorno,  gii  giiì.  All'in- 
terno, rappresentato,  per  vero,  da  non  molti  esempì,  l'esito  è  / 
(Piazzette  ci.  v.  App.  I):  ganfiva  gengiva-,  ìnufe  mulgere,  sunfi 
sugna,  màùfi  manza  ^,  sporfe,  uiife  (ungere)  e,  in  gruppo  secon- 
dario: linfe  undici.  di>fe.  tr'cfe^. 

Gruppi.  —   141.  (,)V.  La  piena  preponderanza    dell'elemento 


ancora  dura  il  dissidio  fra  dotti  suH'analisi  di  '('  e  ~I);  il  parallelisino  tra 
elementi  affini,  per  es.,  di  Uè)  e  f){e),  o  dello  stesso  elemento  in  condi- 
zioni fonetiche  diverse,  effettivamente  manca;  in  varie  regioni  si  anno  ri- 
sultati definitivi  effettivamente  diversi,  diversa  dunque  dev'essere  stata  la 
via  che  ad  essi  condusse,  ma  in  (juale  momento,  anzi  in  quanti  momenti, 
non  ci  sarà  mai  dato  in  verun  modo  di  scoprire.  P.  G.  G.]. 

*  éahsàn  canzone,  casi  caccia,  casa  cacciare,  farsi  forza,  pasùnsi  pa- 
zienza, penitphsi  penitenza,  pita'nsi  pietanza,  puhsu'n  spillone,  rinsu  risciac- 
quare, sperànsi  speranza. 

-  Se  non  si  tratta  di  assimilazione,  cfr.  Mor.  136  :  (jijncjro. 
'  REW,  5289. 

*  Sulla  serie  interna  e  sul  suo  stato  precario,  cfr.  RDR,  11,  341  (dove  è 
da  osservare  al  Fankhauser  che  il  suono  (l  a  Val  d'illiez  non  è  proprio 
soltanto  dei  numerali,  ma  si  à  pure  nelle  forme  di  mulgere:  mucido, 
muacté,  §  255).  —  La  differenza  tra  l'esito  interno  e  l'iniziale  è  recente,  es- 
sendo quest'ultimo  venuto  da  poco  dal  Piemonte,  come  dimostra  la  compa- 
razione coi  paesi  vicini,  v.  P.  II.  Ed  anche  in  Piemonte  ;)  è  tutt'altro  che  an- 
tico, i  testi  mostrando  fino  al  XVI  sec.  una  grafia  corrispondente  a  %•  Quanto 
alla  differenza,  presentata  dal  franco-prov.  tra  x  iniziale  e  ì,  (ci)  interno, 
che  può  portare  un  contributo  importantissimo  all' intricata  stona  di  questi 
suoni,  V.  la  trattazione  nella  P.  II. 

Archivio  glottol.  it.al.,  XVII.  .  __  22 


322  Terracini, 

velare  forma  una  delle  pili  appariscenti  note  del  parlare  : 
kal  quaglio,  kai/i  quagliato,  kal  quale,  hànt  quando,  kareima  qua- 
resima, kat  quattro,  karànta  quaranta,  kntorfe  quattordici,  kinfe 
quindici,  karkiln  qualcuno,  kaifi  quasi,  karkofa  qualcosa,  skard  sci- 
volare, skaroiri  (sega  per  squadrare),  oltre  a  iki  qui  e  kei  quieto^. 
All'interno:  Paske  Pasqua,  paské  pascuariu,  v.  §  3  ■'^,  sinkànta 
cinquanta, 

142.  W.  All'iniziale  ora  è  labiodentale  nella  gran  maggio- 
ranza dei  casi:  vairu  guari,  vaìià  guadagnare,  vardd  guardare, 
vari  guarire  ^,  vindu  (arcolaio)  ^,  e  naturalmente  vasta  guastare, 
vespa  vespa.  Si  oppongono:  gi'ce't  n.  1.  e  usciolino,  fr.  "  guichet  „, 
fgicà  occhieggiare  e  gina,  '  guigner  ',  che  son  pur  piemontesi. 
All'interno  si  à  :  Unga  lingua,  oltre  a  lingagu  dialetto,  ad  ingre 
inguine  e  sànk  sangue. 

143.  ''°°^R.  Intatto:  hras  bracciO;  fraisa  frassino,  frceifairxitta.; 
apre  (dopo).  In  sillaba  postonica,  a  differenza  del  piemontese, 
resiste  assai  bene  :  cpvra  capra,  dovru  adopero,  fevra  febbre.  Ma  r 
accenna  a  perdersi,  come  in  piemontese,  in  certi  gruppi,  special- 
mente se  precede  s:  anta  altra,  fnesta  finestra,  mnesta  minestra, 
musta  mostra,  nosta  nostra,  hate  battere,  jyerde  perdere,  naite  rom- 
pere e  nella  Par.:  anconta  incontro  (20).  La  stessa  tendenza  ad 
alleggerire  un  gruppo  consonantico  produsse  il  rinculo  di  r  in  : 
trampà,  distrampà  temperare, 

144.  <^o°s.L  La  liquida  si  palatalizza;  in  ogni  caso  l'esplo- 
siva rimane  intatta,  anche  se  è  una  velare:  ^/a/a  platano,  ^/asi 
piazza,  p'ieina  piena,  piove   piovere,  pril,  bieie  pi.  bietole,  biànk 


*  Per  Ietta  (lasciare)  cfr.  Mei.  Chabaneau,  533. 
-  SVS,  156  e  paskia't  n.  1. 

^  varnd   (custodire)    è    forse    semplicemente    un    adattamento    del    piem. 
gìirrne'  {'  governare  '). 

*  Sull'età  della  serie  iniziale,  v.  P.  II. 


11  parlare  d'Usseglio  223 

bianco,  bm  azzurro  —  fiit  fiato,  fìànk  fianco,  fieira  puzzare  —  kid 
chiave,  kiair  chiaro,  kiapé  <k\-ài^  petraia,  k'iapin  zoccolo,  kio 
chiodo,  kioei,  '  glui  '  (v.  §  3).  kiutét  n.  loc.  (prov.  cloi)  v.  §  3, 
kmenda  <  clan  de  re  siepe  —  glàs  ghiaccio,  giasé,  gkfa  chiesa, 
e  all'interno:  dublà  piegare,  strehiìin  stoppia,  gunflà,  serklii' 
cerc^hio,  nnghi  e  aghi  aquila. 

Palatalizzazione  seriore.  —  K,  G -}-  A  i.  Diede  e  e  g; 
sull'origine  e  l'età  relativa  di  questi  suoni  v.  App.  e  Parte  II, 
ove  puro,  studiando  la  potenza  espansiva  di  questo  fenomeno, 
avremo  agio  di  discutere  l'antichità  delle  singole  serie  di  esempì 
e  le  voci  che  gli  sfuggono  :  locali  alcune,  comuni  altre  ad  un 
vasto  territorio  -. 

145.  camtn  camino,  càmha  gamba,  camp  campo,  caìnùs  ca- 
moscio, Cdìuìeila,  i'dntà,  caute  cantheriu.  corbun,  cardi'in  cardo 
selvatico,  cargà  caricare,  casi  caccia,  Castel,  cat  gatto,  cau  caldo, 
cause  calze,  cavùn  cappio,  ceina  catena,  ceire  cadere,  cecra  capra, 
cenau  canapa,  c/;i  cane,  cofa  cosa,  ciuiiifi  camicia;  iscala,  iscoudd 
scaldare,  scarvd  sfrondare;  bue/'  bocca,  bienci  bianca,  musei 
mosca,  rauci  reca,  forbì  forca;  sca  seccare,  mucà  smoccolare, 
fica  ficcare,  pescar,  tncd  toccare,  raci  mucca,  roci  n.l.  146.  galind', 
gali  variegata,  gartc  '  gai-retti  ',  §  3,  gol  (piacere),  largì,  lungi, 
V.  inoltre  gli  esempì  del  n.  190 -^  Corre  parallela  la  palatalizza- 


^  Sulla  cronologia  di  questa  palatalizzazione  cfr.  I,  409,  e  Fr.  Or.,  163,  e  cfr. 
Bartoli,  Mise.  Hortis,  898,  914  [Ma  quanto  alla  propagazione  delle  altera- 
zioni fonetiche  in  genere,  non  posso  non  ricordare  la  mia  ferma  opinione 
che  per  essi  anche  sunt  certi  denique  fiiies...  Rimando  per  la  questione  a 
BhZRPh,  V,  p.  20-50  e  65  segg.  P.  G.  G.]. 

-  Su  k  e  g  conservati  v.  per  ora  RDR,  II,  321,  Lavali.az,  p.  104. 

^  Inoltre:  Caliìr  calore,  cumula  tarma,  cambra,  cambrinà't,  capei,  capéla 
cappella,  caroni,  carbux  sudiciume  v.  §  3,  casou  cacciatore,  castani,  couSe' 
scarpe,  caviifi't,  cave'x —  iscai^i  scaglia,  scerpi  v.  §  3  e  n.  101,  scarpifà   cai- 


324  Terracini, 

zione  di  /  in  epoca  pili  tarda  ^:  ossia:  147.  gallorom.  :  -adego: 
putagu  minestra,  ragii  erratica-;  07'gii  orzo  ^  ;  smìffu  sogno. 
148.  In  voci  d'origine  germanica:  driìgi  sterco*. 

149.  Questo  processo  di  palatalizzazione  si  continua  tuttora 
sporadicamente  :  dì  >  g  in  gicet  diciotto,  gisét  diciasette,  ghu't 
dicianove;  —  nl'^n:  i  soliti  ;ió"»a  nessuna  e  /ii«  niente;  è  più 
tardo  iimte,  accanto  a  niente;  —  //  :  iani  letame,  va»ió  spargere  il 
letame;  —  s'r.  unico  esempio,  alle  Piazzette:  pu  secchia;  —  ti: 
non  à  gran  tendenza  a  mutarsi  in  e:  briistia  strigliare,  brustiou 
cardatore  di  canapa,  besti  bestia,  dumestia,  ma  accanto  a  mnstla  : 
mascà  ^  masticare  e  perei  pertica. 

150.  Influsso  di  palatale  precedente,  in,  assai  se- 
riormente, dà  /ì:  Uni  lesina  <C  *leina  e,  in  gruppo  secondario, 
mahà  bimbo  "  *mei)ià. 

Fenomeni  vari.  151.  Di  nessuna  importanza  i  diffusi  casi 


pestato,  scalahruh  calabrone;  ansacà  insaccare,  viscó  accendere,  stamhuscà 
bussare,  dru'eà  cadere,  plilcà  piluccare,  ilcà  gridare,  trancà  andar  a  male 
(oltre  a  ìcucà,  marca);  siisci  fuliggine,  i«sci  tesiuca,  brgci  chiodo,  pù nel  pon- 
terello,  larehci  valanga,  bauci  (Prov.  banco),  —  è/n'^ó/ frazione  di  un  paese, 
e  gaun  giallo. 

^  Fr.  Gr.,  162.  Cfr.  il  riassunto  della  questione  esposto  dal  Gierach  in 
BhZRPh,  XXIV,  133-7. 

-  V.  §  3  e  BGIPSR,  IX,  61. 

3  Cfr.  Haberl,  ZRPh,  XXXIV,  47  ;    Bartoli,  RDR,  li,  482  ;    Fr.  Gr.,  162. 

*  Recentissimo  prestito  e  poco  usato  è  aiigagà  '  engager  '. 

^  Il  Salvioni,  SVS,  97,  spiega  il  suo  mahcjer  da  m  a  s  [  t  i  ]  e  a  r  e  (cfr.  il 
fr.  màcher).  Ma  masticare,  in  questi  paesi  non  è  di  grande  uso.  V.  Parte  li, 
quindi  probabilmente  non  è  che  un  adattamento  di  mastice'  piem. 

^  Questo  passaggio  non  tocca  ei  primario  e  neppure  pinti'  (pettine)  e 
vinu  {*vieitiu  :  vengo).  Ma  siccome  in  questi  ultimi  casi  secondari  la  pa- 
latalizzazione altrove  si  verifica  spesso  (cfr.  P.  II  e  SVS  vie-  tieno),  cosi  il 
fatto  che  negli  esempì  citati  i  deriva  da  */  deve  ritenersi  casuale. 


Il  parlare  d'Usseglio  325 

di   insonorimento   che   quasi  tutti  si   ritrovano    in    piemontese  ; 
alcuni  anzi  appartengono  a  parole  recenti  \ 

152.  Il  passaggio  di  V  in  i-  è  qui  rappresentato  da:  heru 
agnellino,  he^ra  viverra,  kuròd  curvare,  kurbas  corvo. 

Consonanti  lunghe.  —  Un  trattamento  analogo  a  quello  in 
posizione  forte  anno  le  consonanti  lunghe,  risultanli  da  una 
doppia  latina,  o  da  un  gruppo  romanzo.  Esse  mantengono  in- 
tatto il  loro  punto  d"articolazione  e  non  più  di  cinquant'anni  fa 
la  lunga  doveva  essere  comunissima.  Anzi  un  tempo  tale  lun- 
ghezza era  certo  assai  sensibile  perché  vi  è  direttamente  col- 
legato il  largo  fenomeno  della  progressione  dell'accento  ;  ma  più 
tardi,  dopo  una  vocale  piena,  la  lunga  s'abbreviò,  dopo  una  vo- 
cale ridotta  intervenne  la  progressione  e  la  lunga,  divenuta 
protonica,  si  ridusse  rapidamente.  Attualmente  il  dialetto  sfugge 
dalle  lunghe:  quelle  che  gli  vengono  dal  piemontese  come  tebi 
tiepido,  e  il  suff.  -età  tendono  ad  abbreviarsi  (App.  I):  anche  la 
lunga,  che  si  forma  nelle  parole  dotte  ^,  non  à  grande  resistenza 
(v.  id.).  —  Quanto  alla  pronunzia  lunga  di  alcune  sonore  interso- 


'  Battici  bottega,  gabici  gabbia,  gatùh  fiori  di  salice,  gavd  togliere,  (jdviiin 
catino,  giirg'u  coltello  per  scavare  il  legno  >  e  u  r  a  r  e  ,  fgatà;  in  vicinanza 
di  r:  harnagu  v.  n.  100,  herhì'  pruna,  garafqna  colofonia,  fharìhi  spaurire 
(ZRPh,  XXVIII,  %An),/garunó. 

Sono  da  notare  particolarmente  :  gidifici  e  gì'epici  greppia  k  r  i  p  p  i  a  , 
che  per  solito  mancano  in  questo  territorio  e  glih  campanello  (piem.  sclhi 
Ga.).  Si  conservano  sorde:  càmba  gamba,  cat  gatto  e  scàrbutd  sgarbugliare. 

Per  tor/e  (torcere)  v.  AGlt,  XVI,  541,  e  cfr.  Meyer-Lubke,  Fr.  Gr.,  287. 
La  Provenza  conserva  la  sorda,  v.  ALF,  1316,  tordre. 

-  Parodi,  R,  XXVII,  198. 

^  Sulla  doppia  origine  delle  lunghe  nell'Italia  settentrionale  e  sulla  loro 
pron.  cfr.  P.  Il  e  AGIfc,  XVI,  333.  XVII,  51;  Salvioni,  Fonetica  del  dialetto 
della  città  di  Milano,  p.   157. 


326  Terracini, 

nantiche,  caratteristica  del  franco-prov.  i,  essa,  che  del  resto 
in  questo  territorio  lasciò  poche  tracce,  v.  P.  II,  sporadica  in 
mo?u  (muso),  costante  in  bèrìt  (agnellino),  che  è  un  caso  unico, 
probabilmente  voce  infantile  ;  cfr.  inoltre  bcerii.  Con  estrema 
conseguenza  l'allungameuto  delle  nasali  si  manifesta  invece 
nella  progressione  d'accento  di  tipo  :  cousinà',  pnimu  ,  ma  questo 
caso,  per  la  particolar  natura  della  consonante  e  per  la  sua 
più  ampia  diffusione  geografica,  deve  andare,  in  parte,  distinto 
dal  comune  allungamento  delle  intersonantìche,  v.  P.  II  e 
n.  133  E. 

Casi  seriori  sono:  din  {*de  din:  fonte  F.)  fr.  dedans.  Ma  per 
solito  è  esso  pure  din.  Inoltre  vèrà'f  (vili  are -|- it  tu)  n.  1. 
nniJ^iì  (morirei). 

153.  tuta  tutta,  muta  motta,  buta  bottiglia,  i/gote  sgocciola, 2^ ni t 
piatto;  pìipà'  poppa,  capei  cappello;  rusa  rossa,,  grosa  grossa; 
pula  pollo,  spala  spalla;  tren  terreno,  tera  terra;  snìi  sonno,  pana 
asciugare;  per  e,  v.  n.  145. 

IL  —   I*osi»ione  debole. 

A)  Intervocaliche, 

Gruppi  con  palatale.  —  Alle  intervocaliche  schiette  faccio 
precedere  i  nessi  con  palatale  perché  la  maggior  parte  di  essi 
qui,  pur  differendo  spesso  dalla  posizione  forte,  mostrano  una 
resistenza  assai  maggiore  delle  intervocaliche  semplici  e  si  com- 
portano colla  vocale  in  modo  affatto  analogo  alle  lunghe,  cioè 
fanno  posizione. 

154.  T'  (ti  ci).  Diede  il  medesimo  risultato  che  in  posizione 


i  RDR,  II.  331  sgg.,  e  anche  RILomb,  XLIV,  828,  ed  ora  BZRPh,  XXYIIP,  1 18. 


Il  parlare  d'Ussoglio  327 

forte  :  0'  (Piazzette  /  li)  :  (tmbusq'u  imbuto,  distisó  spegnere,  pus 
pozzo,  vceis  acuto  acutius,  v.  n.  128^;  —  aris  riccio,  amhrasà 
abbracciare,  bras  braccio,  fusulà't  fazzoletto;  gkts  ghiaccio,  g'iasé 
ghiacciaio,  gas  giaciglio,  -aceu  -a,  arhàs  erbetta,  ramasi  gra- 
nata, salitisi'  salciccia,  '  -aticcio  '  tai^eis  fr.  tailUs^.  Appartengono 
ad  uno  stadio  più  recente,  secondo  la  distinzione  dello  Horning-: 
atija  attizzare,  palais  palazzo,  lìaWsot  palazzina,  tifihi  tizzone  ^. 
155.  S'  (x  sce  ssi  sti).  Conservatosi  sordo,  anticipò  un  / 
e  si  dispalatalizzò  :  fraisa  frassino,  isla  ascella,  koisi  coscia, 
leisà  lasciare,  nieislàs  mascellare,  teise  tessere,  teisùii  tasso; 
disnidù  disceso,  feisà,  falsi,  fais  fascio,  feisina  ,  feisla  fiscella, 
knnoise,  hreisf  crescere,  naisc.  riisld  '  ruisseler  '  v.  §  3.  beisà  chi- 


'  E  anche  siisi'  (piem.  stisa)  goccia,  e  krosi  gruccia. 

-'  ZRPh,  XXIV,  552;  XXXI,  200;  cfr.  anche  ciò  che  dice  il  Meyer-Lììbkk, 
Fr.  Gr.,  156.  Né  mi  pare  che  le  osservazioni  espresse  dall'HAUERi.,  ZRPh, 
XXXIV,  39,  valgano  ad  infirmare  la  costruzione  delFFIoiiNiNc;  piii  soddisfacente 
di  quella  deU'HEuzoG,  Sireitft,  81.  L'Haberl  pensa  che  in  francese  la  pro- 
nunzia sorda  di  ti  sia  limitata  a  quelle  parole  che,  venute  dal  tardo  la- 
tino delle  scuole,  eran  pronunciate  con  consonante  lunga.  Non  è  mio  com- 
pito entrare  in  questa  questione,  ma  e  ovvio  osservare  che  qui  la  pronunzia 
lunga  di  ti  à  ben  pili  larga  ragione:  è  la  pronunzia  propria  di  questo  e 
di  altri  nessi  palatali  che  si  conserva  ancora  in  italiano  (per  ti  in  parti- 
colare V.  da  ultimo  JFRPh,  XII,  123),  e  che  in  francese  dovette  lasciare  la 
sua  ti'accia  appunto  nella  sordità  della  consonante,  cfr.  Fr.  Gr.,  152,  161; 
questa  lunghezza  è  poi,  meglio  che  in  francese,  attestata  dall'abbreviamento 
di  alcuna  delle  vocali  precedenti  nell'Italia  sett.  (cfr.  "  Annali  delle  Univ. 
Toscane  „,  XXX,  18  sgg.  ;  RDR,  II,  487)  e,  più  vistosamente  ancol-a,  nel 
gruppo  di  parlate  di  cui  stiamo  occupandoci. 

^  Per  la  sorda  in  palais,  nais  (macero)  v.  n.  211.  m^sa  (macerare)  è  un 
deverbale  recente,  al  di  là  delle  Alpi  avendo  sempre  la  sonora:  segnalo 
poi  la  presenza  di /XiVyì  fiducia,  è«r6//baftb,  (ies^jrf/X?  dispetti;  barbi/,  REW> 
948,  manca  nei  glossari  dei  dialetti  limitrofi  d'oltralpe  ;  fiii/i  non  è  che  il 
fiil/u  piem.  e  recente  ZPPh,  XXXI,  210;  desprefie  ritrae  del  piemontese 
anche  forma  femm.  plur.,  udii  despreifxc,  ma  qui  il  primo  X  non  ha  ragione 
etimologica,  v.  n.  220;  hitiff^  (dispetti)  è  un  francesismo  recente. 


328  Terracini, 

nare,  graisi  grascia,  ingrisd,  misimà  spigolare,  niisuneri  lucciola^; 
sulla  sorte  ulteriore  del^^  v.  n.  131  ^. 

Labiale  ^-^.  L'esito  preponderante  e  probabilmente  assai 
antico  è  quello  colla  labiale  conservata;  ma  è  evidente,  per 
ragioni  di  fonetica  e  di  lessico,  che  buon  numero  di  esempi 
è  recente^.  156.  pi:  grepki  (n.  24,  221)  greppia,  piulà't 
ascia*,  sapìQ  sappia.  157.  bi:  rahia  rabbia,  kambià  cambiare, 
iQÒia  terrazzo.  158.  vi:  arbi  alveu  truogolo,  gabia  gabbia, 
salvia  salvia,  leti  Hevia  slitta^,  piogi  pioggia,  oltre  a  Unger  leg- 
giero.   158^.   mi:  sungu,  sungà  sogno,  -are. 

159.  N'  (ni,  gn).  Diede  n,  che  lascia  sulle  vocali  prece- 
denti le  consuete  tracce  della  sua  lunghezza:  bèrni  pruna,  mun- 
talli  montagna,  nini  rogna,  pèrni'  pregna,  ki'ai  cuneo,  san  segno, 
aneli  kìinà. 

La  palatalizzazione  di  n  in  contatto  con  i  è  ancora  viva,  seb- 
bene essa  conduca  diffìcilmente  alla  completa  fusione  dei  due 
suoni:  kumunùn  comunione,  minili  minio,  munici  monaca,  iiniùn 
unione,  ventai  veniale. 

160.  L'  (ci,  gì).  Diede  H'  che  ora  suona  ^.  Di  V  è  qualche 
vestigio  nella  Parabola  ^  ;  ora  è  sparito  anche  nei  vecchi  :  pi, 
^«ì' figlia,  /"o/j  foglia,  A-rt// cogliere,  ninui    molli  a  re,  me/ miglio, 


'  E  beisiìn  (buisson)  d'origine  incerta.  REW,  1430. 

-  Conta  poco  pàs  (pesce);  esso  si  estende  a  tutta  la  regione,  ma  siam  cosi 
prossimi  al  territorio  di  poisson  che  con  ogni  probabilità  si  tratta  di  voce 
abbastanza  recente.  Cfr.  Atlas  (1052). 

■''  Trattandosi  di  serie  scarse  e  non  omogenee,  rimando  alla  P.  II  l'in- 
terpretazione dei  casi  con  palatale. 

*  NiGRA,  XIV,  96  ;  REW  4035. 

^  V.  §  3.  Qualunque  ne  sia  l'etimo,  le  forme  in  -gi  dei  paesi  vicini  ci 
dicono  che  si  deve  partire  da  -viii  e  il  derivato  ìpivunà  ci  mostra  che  la 
forma  primitiva  era  *leivi. 

«  Par.  figl  (19,  21),  muragli  (14),  gli  (gli)  (29). 


11  parlare  d'Usseglio  329 

mei  meglio,  pan  paglia,  tracahì  lavorare  i;  m,  veii,  ^'"^icla:  aciiì' 
ape-.  L'incontro  secondario  produsse:  meda  meliga.  161.  Diffusa 
fin  qui  dal  Piemonte  la  scarsa,  ma  ormai  veccliia  serie  in  e: 
ma'ci  macchia,  u'cada  occhiata,  speè  specchio,  kucdr  cucchiaio  di 
stagno,  rrc,  forma   secondaria,  accanto   a  ye/ ^. 

162.  R'  (ir,  r  j)  :  -aria,  -o  r  i  a,  v.  n.  80  ;  inoltre  :  peira'l  paiuolo, 
viri,  ghiera,  siri  cera. 

S'  (si,  ce,  ci).  La  spirante  palatale,  dopo  essere  divenuta 
sonora,  si  ridusse  come  la  sorda  corrispondente,  n.  1 55.  163.  Bei/a 
baciare,  heijin  bacio,  camiji  camicia,  fiifa^l  fagiuolo,  mei/un, 
n.  loc.  164.  eifinél  acino,  il/il  aceto,  kroij  croce,  kufél  cuce, 
kiiifenta  bollente,  Ufàrd  ramarro,  pai/  pace,  pleifl  piacere,  liifél 
uccello,  re  fin  vicino;  sul  trattamento  ulteriore  di  i  v.  n.  13L 

165.  L  (di,,  gj,,  j)  :  aìiole  annoia,  iida  aiutare,  (/o/  gioia,  kùria 
correggia,  inka-i^  oggi,  mal  maggio,  miiénk  maggese,  sani  (as- 
saggiare) e,  con  dileguo  dinanzi  a  vocale  labiale:  70///  digiuno '^. 

166.  (gè,  gi).  Oltre  a  rei  re  e  del  dito:  freida,  reida,  mail 
madia,  mal,  y^^f^^él  iam  magis  (di  nuovo)  e,  con  dileguo  dinanzi 


'  E  ancora  a^  aglio,  biii^i  bollire,  gniàrt  ghiotto,  iscaii  scaglia,  kiinséi^, 
m'X  miglio;  carbux,  vertùi. 

^  du^i  falce,  cari^ibì  cappio,  kiii^e'  cucchiaio,  rii/iu  rosicare,  truiù't. 

'■''  Vec  e  già  quasi  una  forma  antiquata  ;  quanto  a  spec,  esso  giunge  sino 
in  Moriana,  cfr.  a  Bonneval,  RPGR,  I,  178,  s;jè<c^  (specchio);  macula  poi 
e  voce  limitata  al  Pieni.,  cfr.  ALF  (1275)  tàche.  L'esito  in  e  pel  Piem.  fu  notato 
dalI'AscoLi,  in  AGIt,  11,  123,  cfr.  XVI,  534,  lo  rilevava  poi  il  Nigka.  Mìsc.Asc, 
254:  maca,  duca,  ucada,  ucaj,  spece,  kavicc,  a  Viverone,  paese  prossimo  al 
territorio  monferrino,  dove  e  1  dà  ^  che  si  assordisce  in  finale  {Gè.,  §  39); 
ma  il  monferrino  non  spiegherebbe  se  non  i  casi  di  finale  ;  questo  e  non 
fa  che  riprodurre  l'italiano  echi-  sul  modello:  ca?*  ^^  chiave. 

*  11  riflesso  di  e  0  (io)  si  ridusse  ad  X  0  i:  X  ck  (io  ò),  /  vavu  (io  vado).  — 
Mancano  basi  per  sapere  se  questo  i  si  distingua  per  una  maggior  forza  di 
resistenza  da  quello  del  n.  successivo,  come  crede  di  ]ioter  stabilin-  per  il 
francese  il  Mevek-Lùhkk,  Fr.  Gr.,  161. 


330  Terracini, 

aie  u:  disia  rivelare  >>  sigillu,  fwm  faina,  misi  *meisf, 
maestro  ^ 

Pef  (Piazzette  ^;('f7)  peggio  e  mef,  me  fa  (Piazz.  mecl)  sono  l'as- 
similazione dei  piem.  mef  pef  derivati  alla  loro  volta  dall'ital.. 
i  rappresentanti  antichi  di  peius  e  medius  mancando  in 
tutto  questo  territorio,  v.  P.  IL 

Nesso  con  labiale.  167.  Il  suono  QV  si  risolse  in  iv: 
aiva  acqua,  ii-a(]u  inondazione.  Jleivd  liquefare,  a'nràl  uguale. 

Consonanti  semplici.  —  Secondo  il  destino  comune  a  tutto  il 
grande  sistema  cui  Usseglio  appartiene,  delle  continue,  le  so- 
nore rimangono  immutate,  le  sorde  divengono  sonore;  delle 
esplosive,  le  labiali  si  riducono  a  v,  le  altre  scadono  sino  a  di- 
leguarsi. 

168.  R.  Nulla  di  notevole:  heire  bere,  sora  sorella,  ^Mra  pa- 
rare. 169.  candeila  candela,  suUL  170.  N.  Anche  quando  segue 
la  tonica,  presenta  un'articolazione  dentale  :  anél  anello,  huna 
buona,  dufeina  dozzina,  farina'  farina,  liina  luna,  persnnà'  per- 
sona, Sina  cena,  171.  M:  fiimd  fumare,  prime  primo,  rama 
ramo.  172.  Y  {v  eh)-:  guoa  giovane,  kiavà  chiudere,  avéi  avere, 
avurfd  abortire,   fava   fava,  kuve  cova,  fanfiva  gengiva  ^. 

173.  F.  Dei  rari  esempì  di  f  intervoc.  ricorron  qui:  iravunde 
transfundere  inghiottire^  e  i  composti:  bork  -a  bifurcus 
(ceppo  forcuto).  Ma:  fra  fai  trifoglio,  pèrfith  (profondo),  casi  assai 
diffusi^.    174.    S:    cofa  cosa,  ispifa  sposa. 


*  E  forse  fi(x4,  fi  a  g  e  1 1  u   v.  n.  35. 
2  Cfr.  Einfilhr.,  130. 

^  Imià'  'lisciva'.  Il  termine  proprio  in  questi  paesi  essendo  bilia,  P.  Il, 
la  voce  è  recente  e  piemontese;  per  il  dileguo  di  v  in  questa  parola  cfr. 
Malagoli,  XVII,  160. 

*  Cfr.  XII,  487. 

^  trafóei  è  forma    piemontese    diffusa    pure    sulla    montagna   provenzale, 


Il  parlare  d'Usseglio  331 

Esplosive.  175.  P.  Scade  in  r  la  cui  storia  si  confonde 
con  quella  del  /•  dei  n.  precedenti  :  drana  dipanare,  vini  rivn. 
175''.  L'esplosiva  dentale  giunse  al  dileguo ^  : /^^//n'/ budello, 
ceiìia  catena,  dnd  ditale,  din'i/d  Natale,  lìueir  maturo,  ìind  nuo- 
tare, r hìitd  voionAo,  stramba  sternutare,  tnnuud  mutare  -atore, 
V.  n.  128'^;  p/rt/a  acero,  -ita,  -u  t  a  v.  n.  124-;  diskniva  dischiu- 
dere, lauta'  lodoletta;  mndà'  midolla,  pijvl  pidocchio;  krìia  cruda, 
patanud'  nuda;  ceire  cadere,  kreir<\  reirc,  vau  vado  ^.  176.  L'e- 
splosiva velare  è  giunta  ora  parimente  al  dileguo:  (JHà  gio- 
care, )U('(  annegare,  pia'  piega,  nrtkt  ortica,  ruva  eruca,  sia 
asciugare,  shla  cicala  ;  lint  legato,  oust  agosto,  dava  doga, 
fall  faggio  S  ecc.,  v.  n.  86. 

177.  Dent.':  frare  fratello,  mare  madre,  pare  padre,  par- 
p^ri  palpebra,  pn-a  pietra,  vreri  impannata  >>  v  i  t  r  u,  karen, 
anfora  fodera.  Da  nesso  secondario:  bo'ru  che  nella  vocale  schia- 
rita lascierebbe  intravedere  l'antico  raddoppiamento  subito  da 
questo  nesso.  177''.  Velare  '' :  oltre  a  ;?<"/>•  nero  :  fkiire  puzza 
e  airu  agro,  maira  (magro),  dove  però  la  vocalizzazione  può 
essere  assai  recente  •''.  178.   Lab.'':  rerra.  fé vr a.  Urrà;    ijinerru. 


ALF  U326).  trèfìe;  per  profundu  esiste  in  Francia,  in  Provenza  e  nel 
Vallese  anche  la  forma  senza  f.  Dappertutto  però  è  facile  constatare  che  la 
parola  è  sotto  l'influenza  di  fundu.  Cfr.  ALF  (1095).  [Profondo  è  spesso 
letterario,  e  popolare  come  aggettivo  fondo.    P.  G.  G.]. 

^  Se  pure  la  cosidetta  semiconsonante  omorganica  di  iato  non  deve  essere 
interpretata  come  un  resto  diretto  della  consonante  latina  :  cfr.  la  nota  a 
de/lum  n.  127  e  v.  RhZRPh,  XXVUl",   125. 

-  Inoltre  biida  betulla,  icim  letame,  iskcela  scodella,  bXr'i'  pl-  bietole,  'faifi' 
pecora,  si  in  criniera,  ^jm/j̫'  pipita. 

'  Fiii/i  fiducia,  Inmpia  lampada,  mei  fina,  jntnei  pedana,  2)iiinà  pedata, 
peila,  tr&nt  (tridente]. 

*  Inoltre:  ufiid  infocato,  de/luià  slogare,  .s(f<  seccare  ;  rcei.sj  acuto,  te i/ ago, 
braifi  brache,  mania,  buteia,  ai^asiii  callo,  seila  segala. 

'  Cfr.  fr.  aigre,  maigre,  Fr.  Gr.,  197.  ALF  (793),  innigre,  e  per  il  piem.  : 


332  Terracini, 

Detratti  :  driii  aprire,  kriii  coprire,  pig^-fre  (piovere),  beJre,  skrire 
scrivere,  oivre  vivere,  forme  verbali  per  le  quali  v.  §  2,  pam  ^ 
povero  e  yveiru  {^(Jevni)  rappresentano  la  tendenza  a  passare  a  u, 
insieme  a  ceirót  capretto  e  nin'l  aprile;  sull'interpretazione  di 
questi  fatti  v.  P.  II. 

B)   Chiusura  di  sillaba. 

Nella  chiusura  dì  sillaba,  giusta  la  tendenza  del  grande  gruppo 
di  cui  fa  parte  Usseglio,  l'articolazione  della  consonante  perde 
d'intensità  in  vario  grado  :  le  liquide  conoscono  dileguo  e  voca- 
lizzazione, le  nasali  conservano,  almeno  in  parte,  la  loro  artico- 
lazione, le  labiali  esplosive  si  assimilano  alla  consonante  se- 
guente, le  velari,  e  in  parte  anche  s,  si  palatalizzano. 

179.  R.  Conserva  generalmente  la  sua  forza;  solo  dinanzi  ad  s 
si  à  il  dileguo,  la  vocale  però  mantiene  pronunziatissima  la  lun- 
ghezza ed  il  colore  che  le  provenivano  dalla  vicinanza  dell'r: 
artós  r  et  or  su  v.  §  3  invés  bacio,  vés  verso,  través  traverso, 
vesd  versare.  Si  à  tuttavia  ors  (orso)  e  forse  (cesoie),  parole 
isolate  e  ormai  antiquate  e  poco  usate  ^  ;  persi  (pesca)  che 
a  Uss.  è  voce  affatto  straniera  ^,  forse  (forse)  che  certo  è  pure 
un  acquisto  recente  ^,  come  probabilmente  è  borsa  (borsa). 


V.  valses.  aigru  (citato  in  RILomb.  XLIV,  826)  e  le  forme  delle  colonie  sici- 
liane, MILomb,  XXI,  278. 

'  Cfr.,  per  ora,  le  analoghe  condizioni  del  Delfinato  (Devaux,  p.  317-325), 
pure  là  in  pauperu  e  piovere,  cioè  nelle  voci  con  -o,  la  semicon- 
sonante si  estende  a  nord  più  che  in  altre  parole. 

-  ors  si  usa  soltanto  pili  in  similitudini:  u  bruire  kiim  n  ors  (urla  come 
un  orso),  forse  ha  la  forte  concorrenza  di  tofoire  che  in  molti  altri  paesi  à 
già  soppiantato  addirittura  la  vecchia  parola. 

'  In  questo  territorio,  cfr.  ALF  (987)  pèche  e  P.  Il,  prevale  il  tipo  femm. 
pesa  ;  persi  è  piem.  e  pare  assimilarsi  in  pesi  là  dove  la  pianta  è  coltivata  : 
Chian.,  Co.,  Giagl.  e  VS.,  120. 

Non  mi  consta  che    fòrsit    si  estenda  al    di  là  delle  Alpi    ed   anche 


Il  parlare  d'Usseglio  833 

180.  L.  Segue  l'esito  comune  al  frati co-prov.  e  al  piemontese: 
si  vocalizza  dinanzi  a  consonante  dentale,  passa  in  r  dinanzi 
a  consonante  labiale  e  velare  ^  ;  per  la  sorte  dell'in  che  ne  nasce 
nel  primo  caso  v.  n.  132;  aut  alto,  fauda  (falda)  grembo,  faus 
falso,  kutél  coltello,  niìife  mungere;  oltre  la  serie  d'incontro  se- 
riore: kucà  coricare,  niotide  macinare  e  moida  macinata:  2V}{iu 
pollice,  pnfc  pulce,  san  (esce)  da  '^saut  sali  t.  rau  vale,  von  vuole, 
moli  macina.  Ma  :  karkiìn  qualcuno,  karkofa  qualcosa,  karke 
qualche,  fnrkd't  falco,  karkavpn  '  cauchemar  '  ;  arbùrn  v.  §  3, 
arp  alpe,  inarpa,  arhènd'  pernice,  barma',  orva^,  orm  olmo,  par - 
ppri'  palpebre,  savvafiu  selvaggio,  scarra  sfrondare,  vorp  *. 

181.  N.  Nasalizza  debolmente  la  vocale  e  si  faucalizza  di- 
nanzi a  consonante  che  non  sia  dentale  °:  piànta,  sinf  sente, 
rcnf  vento:  ma  altrimenti:  hlenci  bianca,  r/unfìa  gonfia,  pànsi 
pancia.  182.  M.  Come  n,  nasalizza  debolmente  la  vocale  e  con- 
serva davanti  a  labiale  la  sua  articolazione  labiale:  nsembin  in- 
sieme, sempe  sempre;  siinijn  sogno,  ten  da  '"^Hens  tempo  e.  in 
incontro  secondario  :  lindàl  '  limitare  ',  rìuuja  ruminare,  ninfe 
'  ronco  '  ''. 

183.  Le   labiali   esplosive    si   assimilano  alla  consonante 


in  piemontese  è  recente  (cfr.  for'i^e,  farse,  farsi)  e    per   solito    sostituito  da 
altre  espressioni. 

*  I,  480. 

-  REW,  912;  BDR.  ITI.  12. 
3  K.  1029S. 

*  Nelle  parole  entrate  tardi  nel  lessico  e  tuttora  poco  usate,  /  si  con- 
serva: soldi  V.  App.  I,  e  kolj),  che  nella  sua  accezione  normale  non  è  d'uso 
corrente,  essendo  preferite  espressioni  come:  duna  ih  pust'in,  tapd.  Cfr.  Tap- 
poLET,  BGIPSR,  V,  3. 

^  Sono  le  condizioni  piemontesi,  per  cui  v.  il  Flechia,  AGIt,  XIV,  118  e 
lo  ScHAEDEi,,  p.  55;  Gel.,  44. 

•^  Ma  talvolta  il  prefisso  {a)n-  e  sentito  come  tale  e  allora  si  ha  :  npi?n, 
e  anche  hmilrtì,  senza  assimilazione.  Cfr.  Ili,  37,  n*  1;  Gel.,  1.  e. 


334  Terracini, 

seguente,  senza  offrir  nulla  di  notevole;  cita  comperare,  krota 
cantina,  krgt  n.  loc,  ìvU  rotto,  .'^/ìt  sotto,  skrit,  skrita  ,  kaski  cassia, 
V.  pure  n.  193  e  role  rotola,  sinana,  pina  pettine.  183''.  In 
mn  e  ni'n  si  à  pure  l'assimilazione:  antanà  'entamer'.  clan 
danno,  danà  damnare,  v.  §  3,  garna  germinare,  snii  sonno.  A 
questa  serie,  per  sé  scarsa,  si  oppongono  il  diffusissimo  fniela  ^ 
donna  e  semnà,  smeinii  (seminare),  voce  che,  al  confine  col  Pie- 
monte, è  spesso  senza  sincope  -  ;  per  outa^ii  autunno  v.  n.  35, 
skaìi  (sgabello)  è  certo  venuto  recentemente  dal  Piemonte  -^ 

184.  K.  La  solita  riduzione  ad  h.  arseita  re  se  et  a  secondo 
fieno,  dreita,  fait,  fnieita  frutta,  koit  cotto,  lait  latte,  streita  stretta, 
sadt  asciutto,  franta  trota.  Sono  da  aggiungere  i  nessi  seriori 
dei  proparossitoni  :  ardwire  v.  §  3,  freida,  koire,  loeire  luccicare, 
mait  madia,  pkdre,  reidii^.  185.  nd  diede  *int,  Vi  in  contatto 
colla  vocale  ebbe  poi  vario  esito,  v.  n.  130. 

S.  Dinanzi  a  sonora,  s'ebbe  il  passaggio  ad  i  il  quale  poi  subì 
vario  destino  ;  dinanzi  a  sorda  generalmente  troviamo  un  s,  ma 


'  Cfr.  ALF  (547-8),  femelle,  che  à  dappertutto  m. 

-  Cfr.  VS,  143  e  ALF  (1216),  punti  987,  985,  e  per  il  fatto  analogo  nel 
delf.  cfr.  Devaux,  215.  E  si  pensi  del  resto,  che  tutto  questo  territorio  co- 
nosce '  gag  net'''  per  'seminare'.  Ricordo  poi  dannagli  peccato,  I,  526  [/"w^-Za 
potrebbe  essere  imprestito  recente  e  in  semita  recente  la  sincope.  P.  G.  G.]. 

^  La  vecchia  parola  era  sda,  cfr.  P.  Il  e  ALF  (479)  escaheau. 

*  Ma  le  serie  di  quest'esito  sono  alquanto  indebolite  dal  fatto  che  la 
semivocale  spesso,  nei  casi  studiati  al  n.  131,  si  combina  colla  vocale  pre- 
cedente: cet  caduto,  dil  detto,  fràt  freddo,  istrà't  stretto,  Ut  letto,  oét  otto, 
nìjét  notte, />fs  petto, /jinr/ pettine,  «sA.v/<.  Quanto  alle  parole  recenti  v.  App.  1. 
Percorse  più  recentemente  l'ultima  parte  di  questo  mutamento  il  verbo 
di/gagase  (sbrigarsi),  nell'imperativo,  che  per  lo  più  suol  essere:  di/gaite 
(Cfr.  XVI,  540,  n"  5).  —  L'esito  in  e,  che  non  manca  di  rappresentanti,  nep- 
pure nel  piemontese  comune  e  che  è  proprio  della  montagna  provenzale, 
non  mandò  fin  qui  che  un  solo  esempio  :  barle'c  (giaciglio  di  paglia  nella 
stalla),  v.  §  3. 


II  parlare  d'Usseglio  335 

in  eerte  condizioni  s'ànno  invece  evidenti  tracce  di  palataliz- 
zazione le  quali,  insieme  ad  argomenti  di  ordine  geografico, 
V.  P.  IT,  fanno  supporre  che  5,  forse  in  misura  ben  più  vasta 
di  quanto  ora  non  sia  dato  accertare,  si  avviasse,  seguendo 
il  processo  di  palatalizzazione  che  gli  è  consueto',  verso  il  di- 
leguo, ma  ad  un  certo  punto  fosse  reintegrato  per  l'influsso 
deWs  piemontese  che,  come  vedremo,  si  è  fatto  sentire  su  una 
larga  zona  del  nostro  territorio,  186.  san  De  n.  1.  s.  Desiderio, 
dina,  eimina  ,  kareitna,  hiii  lesina,  maria  bimbo.  187.  besti  bestia, 
Castel  n.  loc,  fnesfa  finestra,  tiostìi  nostro,  testa  capo,  vesta  abito  ; 
vesjHf  vespa,  vespii  sera;  fraskeri^  v.  i^  3,  paske  pasqua;  musei 
mosca.  Lo  sviluppo  in  i,  lo  si  à  invece  dopo  un  e  prot.,  quando  sia 
contenuto  nei  prefissi  *es-  e  des-  >  is-,  dis-,  oltre  che  in  est. 
Di  questa  voce  abbiamo  due  esiti  ;  tonico  àst,  atono  ist,  v.  n.  240  ; 
ora  l'unica  base  che  concilia  queste  due  forme  è  *eist  (cfr.  fràt 
freddo  e  ci/i'u  vicino).  Abbiamo  quindi  un  punto  sicuro  per  eli- 
minare ogni  possibile  dubbio  sull'/s'""*  che  troviamo  all'iniziale. 
Che  si  tratti  dell'antichissima  prostesi  non  è  possibile  -  :  in 
tutto  il  territorio  limitrofo  essa  si  è  indebolita  in  e,  quando, 
come  accade  in  Piemonte,  essa  non  sia  addirittura  sparita  ; 
d'altra  parte  siamo  proprio  al  confine  di  un  territorio  ^  dove, 
in  queste  condizioni,  si  k  ei'^°"%  ài  cui  è  quindi  legittimo  vedere 
nel  nostro  is  una  contrazione.  Le  medesime  considerazioni  val- 


'  Fu  già  osservato  che  e,  dinanzi  ad  s'-<^«so«-,  è  sempre  chiuso,  v.  n.  22,  44. 
Un  altro  argomento  darebbero:  aresta  (resta),  resci  (lisca),  kresta  (cresta), 
piem.  kresta,  reska  (e  per  ciò  posi  aresta  in  questa  serie),  pei  quali  si  po- 
trebbe supporre  che  la  vocale  non  si  sia  turbata  perché  .9  fosse  assai  pili 
debole  che  in  piemontese.  Ma  si  tratta  d'un  numero  troppo  esiguo  di 
parole,  che  può  essere  stato  seriormente  attratto  dalla  serie  del  n.  22. 

-  I,  383. 

^  Cioè  a  buona  parte  della  v.  di  Susa  :  v.  gli  esempì,  pei  comuni  limi- 
trofi a  Uss.,  in  Et.  Ro»i.,  484  e  P.  II. 


336  Terracini, 

gono,  a  maggior  ragione,  pel  prefisso  dis:  l'antica  fase  in  pala- 
tale si  rifugiò  dunque  in  una  frequentissima  forma  verbale  ed  in 
due  serie,  ricche  di  esempì  e  dotate  di  forte  coerenza.  Iscala, 
iskaìi,  iskàmpi  slancio,  iskm'p,  iskccìa  scodella,  iskrit,  iskilr,  isjxili 
pallido,  ispala,  ispoìa,  iskg't  scheggia,  istan  stagno,  ispùf  sposo, 
istagùn.  Istà,  istala,  istreina,  istreita,  istrilmant.  Vero  è  che  la 
vocale  è  ora  in  forte  pericolo  di  scomparire,  v.  n,  234  e  App.  !■''. 
Per  dis-  v.  es.  al  n.  108.  I  prefissi  conservano  naturalmente  la 
loro  consonante,  anche  dinanzi  a  sonora:  difluia  slogato,  difdóit 
sbadato,  ifmq'rt  pallido. 

Consonanti  nei  proparossitoni  e  gruppi  secondarii.  —  Le 
consonanti  dei  proparossitoni,  venute  a  contatto  per  caduta  della 
mediana,  sogliono  comportarsi  come  un  nesso  antico  :  la  prima 
segue,  come  è  noto^  i  destini  della  posizione  debole,  la  seconda 
quelli  della  posizione  forte;  ma  qui  c'importa  vedere  in  quali 
condizioni  le  consonanti  si  trovavano  quando  s'incontrarono  e 
come  si  comportino  nel  caso  che  formino  nessi  che  non  avemmo 
ancora  occasione  di  esaminare  ;  coglierò  poi  l'occasione  per  far 
cenno  dell'esito  di  incontri  secondari,  anche  se  non  siano  pro- 
dotti in  proparossitoni. 

In  generale  la  seconda  consonante  di  un  proparossitono, 
quando  avvenne  la  sincope  era  allo  stato  di  sonora  ^ 

188.  CE:  uw/(?  undici,  c^w/e  dodici,  ruhfe  'ronce',  piìfe  pulce, 

piifineri  <  pullicinu  gruppo  di  stelle.   Alle   Piazzette  si  à  et. 

189.  T  :  eidà  aiutare,  disàndu  sabbato,  lindai  'limitare',  moudarà' 

<  molerò  macinatura,   voida  vuota,    ouidà   vuotare.  190.  C: 

bèrgé   pastore,   pvimgmi    merlo    acquaiolo,    dmmngi    domenica, 


*  V.  la   trattazione,    per    vero    assai    sommaria,    del    Gieuach,    BhFRPh, 
XXIV,  165.  Per  la  valutazione  dei  casi  qui  descritti  v.  P.  II. 


Il  parlare  d'Usseglio  337 

(jmnyi  granica,  maùyi  manica,  c'a^v/^f  caricare,  >/« >///(/ sfondale, 
runfjà  ruminare;  oltre  a  bìKja  muovere,  minfià  mangiare,  ku<ja 
coricare.  Tra  i  casi  di  consonante  sorda  sono  importanti,  per 
quanto  non  sia  possibile  stabilirne  il  valore,  kuba  che  s'ode  ac- 
canto a  kugà  e  imut  monta  moli  tu;  enta  (lammendo)  e  sa«^e^ 
(sentiero),  esempio  questo  affatto  secondario:  per  altri  casi  recenti 
V.  n.  89. — -  192.  Per  ciò  che  riguarda  la  prima  consonante 
del  nesso  v.  nn.  178.  180,  182,  183.  184,  185,  186.  193.  Si  à  il  dif- 
fuso scadimento  a  sonora  in  :  «///«  aquila,  strèbfjrn  stoppia,  kubià 
accoppiare.  193^.  Sono  poi  notevoli:  tre/e  tredici,  sè/e  (sedici), 
dove  la  vocale  turbata  mostra  ancora  che  d  assimilato  ad /aveva 
prodotto  una  lunga:  resta  kudu  (gomito):  è  assai  inverosimile 
che  qui  la  consonante  lunga  possa  rappresentare  l'antica  assi- 
milazione di  hf:  il  territorio  franco-provenzale  tratta  sempre  la 
vocale  di  cu  Iti  tu  come  in  sillaba  libera  2,  quindi  può  darsi  che 
ad  Uss.  e  nel  territorio  vicino  kodo  sia  voce  recente,  rifatta  o 
sul  francese  0  sulle  parlate  limitrofe,  e  pronunziata,  come  tutte 
le  parole  straniere  ^,  colla  consonante  lunga. 

194.  Assestamento  dei  nessi.  —  Nei  gruppi  in  cui  l'esplosiva 
era  preceduta  da  una  sonora  questa,  secondo  il  solito,  dileguò  : 
disàndu  sabbato,  sfungà  sfondato,  pninyun.  195.  Fuori  dei  pro- 
patossitoni,  accade  il  medesimo  nei  gruppi  prodotti  dalla  caduta 
della  vocale  dinanzi  ad  ò-  finale,  di  cui  v.  gli  esempì  al  n.  200'*, 


'  Sante  è  da  porsi  coll'ital.  fientiero,  proviene  cioè,  attraverso  il  Piemonte, 
dalla  Francia.  ALF  il218),  sentier,  mostra,  col  gran  numero  di  surrogati,  come 
la  voce  non  abbia  nell'uso  solide  radici;  non  mancano  tuttavia  forme  con  d. 

-  Cfr.  SVS,  42;  Lavallaz,  p.  58;    Odin,  p.   136;    ALF  (330)  coude. 

^  Mor.  ÌA-i:  kudde,  e.  a  Pral.  la  consonante  lunga,  tranne  che  dopo  f, 
conservandosi  solo  nelle  parole  recenti,  questo  esempio  è  contro  e  non  a 
favore  dell'antichità  della  doppia.  Quanto  a  vialadu  (malato),  Pral.  maladde, 
V.   P.   II. 

*  A  Qsseglio  set  finali  sono   ormai  caduti  da   tempo,    e    le    forme   cui 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  vH 


338  Terracini, 

Con  nasale,  nel  gruppo  nst,  )i  andò  perduta,  oltre  che  in 
kustà  costare,  meste  (mestiere),  in  miistà  (mostrare)  ;  pel  gruppo 
net  V.  n.  185.  196.  Nei  nessi  con  nasale  e  liquida  si  anno  le 
solite  epentesi:  divmdru,  venerdì,  monde  macinare,  sindra  cenere, 
tmdru  tenero,  aldrù  andrei,  tindn'i  terrei,  oindrù  verrei,  vudrù, 
cambra,  kamhrada  amico,  nsemhiu  (insieme),  inoltre  :  canduvwl 
{*canvóe{}  canapule  ^.  Un  altro  gruppo  da  cui  il  parlare  rifugge 
è  la  combinazione  di  '^'^"*  ri  che  ricorre  frequente  specialmente 
nel  plurale  del  condizionale;  il  gruppo  si  risolve  con  la  voca- 
lizzazione d'uno  dei  due  elementi,  in  generale  dell'r  ^  :  kèriu  cre- 
devo, pareriàn  parremmo,  sterkin  staremmo;  per  alcuni  invece 
dell'*:  kriiti  credevo, kapriid  capireste, pwr^nw  ])orter este,  vudrimn 
vorremmo.  Se  no,  i  nessi  formatisi  per  dileguo  recente  sono  tutti 
tollerati:  tlé,  nfld  insudiciare,  dfember,  sèninà,  rahlà  trascinare, 
dabfùn  bisogno,  pustmùn  (postema)  e  in  qualche  futuro  di  forma- 
zione recente:  alrài,  parlrài.  Non  resta  che  ricordare  pisflofd 
fontana  (<  pisn)  e  laihà't  {lait  -f-  bei)  colostro. 


C)  Consonanti  finali. 

Finale  latina,  — -  197.  L,  R:  kor  cuore,  amél  miele,  fel  fiele, 
e  inoltre,  con  ovvie  trasformazioni,  nsemb'iii.  197^*^  M.  Si  con- 
servò passando  a  ìì,  v.  238.  198.  C.  Scadde  a  /:  'U-«V,  -ol'^ 
-hoc,  lai  là. 


avevano  dato  origine  anno  ceduto  ad  altre  (pei  verbi  v.  §  2),  tranne  che  per 
gli  esempì  sotto  citati.  Ma  la  Par.  à  chèi  jor  (13);  che  è  forse  fase  poste- 
riore non  di  gorn  ma  di  *yort  o  *gorts. 

^  Se  pure  qui  non  vi  fu  immistione  di  candeila,  v.  §  3. 

-  Cfr.  XVI,  545.  —  Non  riscontrai  traccia  di  palatal.  <  s  dopo  esplosiva, 
come  in  piemont.,  se  non  in  ce  (nonno\  che  è  direttamente  piem.:  cfr. 
Salv.,  RlLomb.,  XXVII,  1582;  AGIt,  XVI,  536  e  App.  I. 


11  parlare  d'Usseglio  339 

Il  dileguo  di  X  e  ^  è,  eonforinemente  all'uso  franco-prov.,  assai 
recente  e  non  ancora  intiei-anionte  compiuto  ^  199.  T.  In  atonia 
è  scomparso:  finire,  miyif/in'e,  vulace;  dopo  la  tonica  invece  si  man- 
tiene: o^  pers.  cong.  fèfut,  purtà't;  3^  pers.  iud.  imp.  hll't,  difjf't, 
fefi't,  ecc.,  inoltre  i  presenti:  dit,  plgt,  skrif,  vit.  Ma  quando  t  sia 
preceduta  da  una  semivocale  di  qualunque  origine  o  da  ?i,  essa  à 
nna  forte  tendenza  à  cadere,  quindi  :  3*^'  pers.  bei,  krei,  nel,  dispiài, 
fai  ku/iói,  nai;  sali,  vali,  poli,  vou;  S'*  pers.  plur.  ind.  e  cong.: 
c'antxin,  fè/h'in,  purtàn,  inoltre:  vin  viene,  .s'i;i.  Un.  200.  S.  È 
ridotto  a  poche  tracce,  v.  n.  238  :  caduto  completamente  nel  plu- 
rale femminile  e  nel  2^  pers.  dei  verbi.  Caduto  negli  avverbi  : 
(jil,  sii  e  in  pni  e  din.  Anche  il  dileguo  dell's  di  diversa  ragione 
flessionale  è  quasi  completo:  si  ìi  ancora  a/(ova);  —  entrato  in 
composizione  colla  consonante  precedente  si  palatalizzò  -  e  si 
mantenne:  pes  petto,  dimdrs  martedì,  dilibij  (Piaz.  pej),  ecc.)  : 
ma  ove  segua  it,  è  ora  dileguato:  dhì,  yen,  ten  e  fiin  (fondo)  ^ 
che  tra  i  vecchi  è  ancora  ftinf. 

Finale  romanza.  —  La  tinaie  romanza  oggi  appare  conser- 
vata, sia  nelle  consonanti  semplici,  sia  nei  nessi  ;  questo  asse- 
stamento si  presenta  con  un'estrema  conseguenza  ed  è,  in  gran 
parte,  recente,  v.  n.  :  210,  211  n'\  215,  23G,  e  App.  I. 

A)  Gruppi.  I  nessi  palatali  non  si  risolvono,  come  accade 
altrove,  ma  conservano  lo  stesso  esito  che  anno   all'interno   di 


'  Quanto  alla  cronologia  del  dileguo,  è  da  notare  che  già  la  Par.  sembra 
conoscere  il  medesimo  stato  di  cose  :  beicavi  (14),  donave  (16),  ma  conrnit  (32). 
Per  le  ultime  traccie  di  t  dopo  i  v.  App.  I.  Dopo  n,  la  caduta  è  pure  re- 
lativamente recente,  posteriore  certo,  di  molto,  all'assestamento  della  fles- 
sione interrogativa:  cantanti?  mingànti?  e  vinte'l? 

•  SVS,  130.  Cfr.  il  fenomeno  analogo  in  provenzale:  I,  565;  R.,  Vili,  HO, 
e  pel  Delfinato  Iserloiie,  p.  36;  per  le  tracce  in  franco-provenz.  RDR,  li,  313, 
e  Dkvaix,  161. 

^  IT,  15. 


340  Terracini, 

parola.  201.  *s:  bros  braccio  (Piazz.  hra^)^  panas  coda,  §  3, 
■pus.  201"'^.  *f/,  preceduta  da  w,  si  fonde  in  n  (cfr.  n.  149):  tèìi 
tinge,  strèn,  viin,  Imi  lontano.  201^'.  li:  (/ibi,  liln,  piih;  anzi 
un  n  che  sia  preceduto  da  i  tende  ad  assimilarglisi  :  gcein  suona 
spesso  gceiri  (digiuno)  e  autwh,  da  *oin,  v.  n.  35.  202.  /:  si  con- 
serva sempre  quale  /  :  ambiirn  ombelico,  suléi  sole,  fil  figliO;  2^if''i 
pidocchio,  genui  ginocchio. 

203.  '■'"*« N.  Compare  in  ogni  sorta  di  esempi:  forn,  gorn, 
inférn,  Ì7ìvé>'n,  karn,  korn,  nfóni  (intorno)  assieme  a  cui  può  an- 
dare: gaun  giallo.  Lungo^  si  conserva  dentale:  bran  crusca^  (seb- 
bene oggi  s'oda  già  bren),  ma  Gan  Giovanni.  204.  ^''"^M.  Si 
conserva:  orm  olmo,  vèrni  verme,  Viérm  Guglielmo.  205.  <^^'»«V. 
Suona  sempre  sonoro:  nerv  nervo,  serv  servo.  206.  '""«L  o  lunga: 
kgl,  mal,  serpìil  serpoWo,  rei  vitello,  -ellu:  bel-.  207. '^'"'^R.  In 
gruppo  finale,  a  maggior  ragione  che  all'interno,  si  dilegua:  kat 
quattro,  misf  maestro,  v.less.,  parasi  padrigno,  suast  corda,  v.  §  3, 
ma  si  tratta  quasi  certamente  di  piemontesismi  ^.  Forse  alla  posi- 
zione finale  è  da  attribuirsi  la  metatesi  di  r,  quando  sia  in  con- 
tatto con  una  sonora:  drccni  dorme,  dr<en  apre,  frìim  fermo,  triis 
torsolo,  cfr.  n.  144'^.  208.  '^""^S  :  oes  verso,  ars  orso;  ais.  fais 
fascio;  bas,  gras;  rus,  tus  tosse,  os  osso;  invece  gì'o  e  trai-é, 
accanto  a  através,  e  apre  (dopo).  Ma  il  primo  offre  un  esito  par- 
ticolare anche  altrove^;  per  gli  altri  ^  v.  n.  238.  209.  Notevole 


^  REW,  1284,  e,  assai  men  comuni,  dan  danno,  an  anno. 

-  grii^  grillo  e  cavri^  sono   semplicemente  dei  plurali,  v.  §  2  e  SVS,  103. 

^  Se  fossero  voci  vecchie,  avi'ebbero  1'»  di  appoggio. 

"•  I,  576,  AGIt,  XVI,  547. 

"  Nel  e.  di  Vaud  e  a  Dompierre  :  ZSPh,  XIV,  437,  e  nel  Vallese:  Lavallaz, 
p.  54.  Si  tratta  del  resto  d'un  aggettivo  che  è  quasi  sempre  in  posizione 
enclitica  e  che,  per  di  piìi,  in  parte  di  questo  territorio,  ricorre  nel  fami- 
gliare e  infantile  :  pa  grò'  nonno,  ALF,  (663),  grand  pére. 

^  Il  Salvioni,  SVS,  131,  dubita  che  siano  gallicismi. 


Il  parlare  d'Usseglio  841 

la  palatale  in  fans  falso,  femm.  f<aisi  (Piazz.  fan/>),  pus  polso 
(Piazz.  pufi),  che  vanno  spiegate  come  la  finale  primaria  del 
n.  200  K 

210.  Esplosive.  Compaiono  regolarmente;  le  sonore  di- 
ventano sorde:  briif,  ceiro't  capretto,  koit,  lei,  moti,  sort,  stràt 
stretto,  nrp  alpe,  serp,  park,  suk;  —  biunt,  frai,  f/rànt,  guiart 
ghiotto,  maif,  r'nint,  tari,  vdrt:  —  gu'p  gobho,  kulump  colombo, 
piiimp  piombo;  —  luììk.  hirk.  marénk,  sànk.  ma  s'ode  pure  so- 
vente la  sonora,  v.  n.  236.  Alla  semivocale  il  par  accompagnarsi 
la  mancanza  della  consonante:  au  alto  e  cait  caldo. 

B)  Consonanti  semplici.  —  211.  S.  In  generale  esso  suona 
quasi  sonoro,  cioè,  per  meglio  dire,  l'orecchio  lo  percepisce  come 
ad  un  grado  di  mezzo  tra  ^  e  /-:  fiif,  naf,  <jdùf,  nuiuf,  rif,  p'tif, 
taioiiéif^-  nunf  mese,  pei/  peso;  noi/,  colf,  kroif  (croce)  e  colla 
sorda  palàis,  nais  n.  154  ^.  Ma  prei  preso,  arpréi  e  rei  (radici)  ^. 


^  Si  risale  cioè  a  *ts  ;  questo  passaggio,  presupposto  da  faup,  i)u/>,  sembra 
qui  ristretto  alla  finale.  Gli  esempì  contrari  del  Fankhausek,  RDR,  II,  313, 
0  risalgono  ad  un  gruppo  in  dentale  :  mopervè  n.  1.  Montsalven.f.  o  sono  agget- 
tivi femminili  che  anno  un  corrispondente  maschile,  p.  e.  :  niuà  {*mu>àf>)  muàpa 
m  u  1  s  a,  sq^plvwp  n.  1.  S  a  1  s  a  a  q  u  a  ,  od  anticamente  erano  in  finale 
ixé'-'pa  ,  pulsa,  cfr.  Pral.  puor-'ì  ;  per  sepàle  n.  1.  cfr.  le  grafie:  seplftales, 
sempsales  (Jaccard,  427),  non  resterebbero  che  'efebei o  (insieme),  epsnavthi  n.  1. 
{En  Solanville).  Quindi  sarei  dubitoso  se  il  caso  sia  da  paragonare  col  fe- 
nomeno piìi  ampio  dei  dialetti  italiani.  It.  G.,  238. 

-  Sulla  pronuncia  di  questo  s,  cfr.  BGIPSR,  X,  52.  Nei  paesi  vicini  (P.  II 
e  1.  e,  56)  s  primario  finale  è  generalmente  sordo,  di  qui  il  sospetto  che  la 
varietà  semisonora  provenga  dal  Piemonte  e  quindi  la  conferma  che  queste 
finali  sono  recenti  (v.  sotto). 

^  Mensu,  tavolo  da  fornaio. 

*  Che  sono  stati  attratti  da  fain,  ais,  ai  quali  corrisponde  la  sorda  piem. 
V    n.  209. 

■^  py'i  e  arprr'i^  Par.  préi  (20)  {preis,  n.  17,  è  una  svista)  sono  l'indizio  iso- 
lato di  un  fatto  cosi  importante  che,  anticipando  la  larga  trattazione  che  ne 
faremo  a   suo  luogo,  v.  App.  1  e  P.  II,  è  opportuno  darne  fin  d'ora  la  spie- 


342  Terracini, 

212.  N.  Riuscito  finale,  nasalizza  la  vocale  precedente  e  diviene 
faucale.  Il  vario  grado  della  chiusura  faucale  dipende  dalla 
vocale  che  precede  (v.  App.  II)  :  pan,  gèn,  hun,  vin,  ciii  cane. 
Ed  anche  quando  n  riesca  finale  per  l'occasionale  dileguarsi  di 
una  vocale  nel  corpo  della  frase,  segue  la  stessa  via:  pin  pet- 


gazione  particolare.  Pre\  non  può  distinguersi  dalle  altre  parole  per  ragioni 
fonetiche  perché  tutta  la  serie  con  un  simil  dittongo  discendente  possiede 
la  consonante,  neppure  saprei  trovare  qual  particolare  influsso  analogico 
abbia  potuto  produrre  la  caduta  di  s.  —  Per  voci  foneticamente  analoghe 
a  quella  di  cui  ci  stiamo  occupando,  secondo  l'ALF  (1090,  868,  984).  la 
caduta  di  .s  fin.  secondario,  nelle  località  piemontesi,  si  presenta  nel  se- 
guente modo  : 

pris  viois  noix  pcì/s 

Oulx  (972)  _  _  _  _ 

Maisette  (982)  _  _  _  _ 

Aosta  (975)  —  s  —  — 

Courmayeur  (966)      —  s  —  — 

Ayas  (987)  —  s  s  — 

Chàtillon  (986)  —  s  —  s 

Champorcher  (985)     —  s  s  s 

Bobbio  (992)  —  s        altra  forma        s 

(Il  trattino  indica  la  mancanza  della  consonante  finale.  —  Pris  fu  do- 
mandato in:  ...pris  ìin  moineau,  pris  une  purge,  in  posizione  antivoc.  dunque; 
nulla  di  strano  quindi  che  ad  Ayas  si  abbia  anche  una  risposta  con  .<;). 

Pel  nostro  territorio  il  risultato  è  analogo.  Nei  paesi  di  parlata  arcaica, 
la  consonante  manca  o  fa  appena  capolino  ;  man  mano  che  ci  avviciniamo 
alla  pianui'a,  gli  esempi  senza  consonante  fin.  si  fanno  sempre  più  scarsi, 
finché  nei  p.  985,  992,  come  a  Uss.,  si  riducono  solo  al  caso  di  pris.  Da 
questa  distribuzione  geografica  è  lecito  arguire  che  s  finale,  come  proba- 
bilmente altre  consonanti,  in  questi  paesi  e  ad  Usseglio  era  caduta  o  ten- 
deva a  cadere  in  ogni  parola  (certo  qui  ad  aumentare  la  confusione  è 
entrata  in  giuoco  anche  l'alternanza  di  frase,  v.  n.  238),  ma  poi,  poco  a 
poco,  fu  reintegrata  per  infiltramento  piemontese,  a  cui  sfugge  per  ultimo 
preso  che  in  piemontese  non  ha  corrispondente.  Quindi  ad  Uss.  il  si- 
stema dell's  finale  è  in  gran  parte,  o  in  tutto,  un  prodotto  relativamente 
recente.  Si  tratta,  come  ognun  vede,  d'uno  dei   tanti  casi  che    il  Gauchat 


Il  parlare  d'Usseglio  343 

tina,  rafun  (ragiona)  <  pine,  rafioic,  v.  n.  2:>S.  213.  Se  la 
finale  è  atona,  n  si  ridusse  ad  una  risonanza  faucale  clie  oggi  va 
tacendo^;    per    la   generalità  dei    parlanti  il  fenomeno  si  è   già 


definì  di  régresision  linguistique.  cfr.  Festschrift  zitm  li.  Neupìtilologentage  in 
Ziirich,  1910.  335  sgg.  —  Quanto  a  rei^  (pieiu.  reis),  il  mio  territorio  per  solito 
à  .s:  ma,  ad  es..  anche  a  Co.:  rr  (ma  kroef).  Dato  che  la  parola  è  per  solito 
usata  al  plurale,  qui  la  finale  fu  coinvolta  colla  caduta  di  s  desinenziale? 
[Sono  lieto  che  questa  mia  nota  ora  venga  ad  accordarsi  colla  più  ampia  e 
bella  trattazione  dell'argomento,  data  ultimamente  dal  J.a.berg,  BGIPSR, 
X,  67  -sgg.  ;  essa  risponde  poi  implicitamente  alla  domanda  che  egli  si  pone 
a  p.  74]. 

*  Ma  la  Par.  ha  ancora  giòran  (12).  La  f'aucalizzazione  di  n  finale  e  la  sua 
caduta  si  compi  più  presto  in  Piemonte  che  nel  Canavese  e  nei  dialetti 
della  montagna  piemontese:  in  quest'ultima  regione  la  vocale  non  è  mai  it 
come  in  piera.,  ma  bensì',  anche  quando  sia  già  caduta  la  consonante,  e  od  a. 
11  territorio  che  non  à  w  si  può  bene  delimitare  coll'aiuto  del  Biondelli 
(v.  V.  12.  16.  17).  Esso  comprende  tutta  la  montagna  provenzale  (Oulx,  Fe- 
nestrelle,  Oncino,  Sampeyre,  Acceglio,  ecc.)  e  buona  parte  dell'alto  Cana- 
vese: S.  Bernardo  (Ivrea),  Pavone,  Yistrorio,  Strambino,  S.  Giorgio,  Castel- 
lamonte,  Valperga,  Pont.  Locana.  Le  deviazioni  di  alcuni  luoghi,  come 
Lanzo,  Caluso,  Ivrea,  Settimo  Vittone,  Sparone,  sono  certo  dovute,  in  parte 
a  influsso  del  torinese,  le  cui  caratteristiche  s'infiltrano  nei  centri  maggiori, 
e  in  parte  a  vezzo  dei  singoli  traduttori:  ad  es.:  a  Lanzo  e  nei  suoi  imme- 
diati contorni:  gnvàn,  vennn,  voshn,  fìlan  sono  le  sole  forme  che  io  ò  udito. 
Pel  piem.  cfr.  It.  Gr..  274;  AGlt,  XV,  413;  Schaedel,  35;  Gè.,  44.  11  Gia- 
comino, sulla  scorta  delTAscoLi,  pone  i  gradi  :  eh  oh  (»)  e  attribuisce  l'oscu- 
ramento della  vocale  alla  tinta  faucale  dell'».  Su  questa  spiegazione  faceva 
le  sue  riserve  il  Salviuxi,  .TFRPh,  VII,  156.  Ma  il  canavese,  ed  anche  il 
genovese,  sta  a  dimostrare  che  la  pronunzia  faucale  di  n  non  tende  ad  oscu- 
rare la  vocale:  anzi  piuttosto  la  schiarisce.  Sarà  quindi  meglio  dire  che  la 
vocale  era  eh,  come  è  naturale,  trattandosi  di  una  semiatona,  e  che,  caduta 
la  consonante,  la  vocale  si  appianò  in  u.  La  grafia  dell' Alione,  on,  e  una 
semplice  grafia  arcaizzante  ed  etimologizzante,  in  luogo  di  o  che  è  pure 
rappresentato,  cfr.  Vegievo  (Vigevano),  p.  396  e  v.  n.  38;  cosi  i  testi  gen.  anno 
coutemporaneamente  en  ed  e,  XV,  8  [Io  propendo  per  la  spiegazione  del 
Giacomino,  inquantoché  con  essa  il  fenomeno  viene  dichiarato  come  un 
semplice  fenomeno  di  assimilazione,  che  naturalmente  non  è  inevitabile, 
ma  ovvio.  P.  G.  G.]. 


344  Terracini, 

compiuto,  V.  App.  I  :  pkiki  acero,  fruisci  frassino,  guva  giovane  -na 
(arcaico  nan  cioè  fi-en)  e  le  3^  pers.  ind.  pres.  e  imp.:  mingu, 
portu,  veni,  cantavii;  il  dotto  ordin  à,  a  sua  volta,  tendenza  a 
passare  a  ordin,  cfr.  n.  203.  214.  M.  È  generalmente  labiale  : 
aram,  fam,  jam  letame,  prim ,  dm^,  om ,  film,  grilni.  Ri- 
mane: min  (nome),  pili  raro  di  fronte  a  mi,  il  quale  è  già  a  sua 
volta  arcaico  e  soppiantato  da  noni  piemontese  -  ;  è  forse  un 
resto  isolato  di  pili  antica  fase,  d'altronde  ricorre  quasi  esclusi- 
vamente in  frasi  sul  tipo:  u  Vaiit  nu...,  e  quindi  può  essersi 
svolto  in  condizioni  speciali  di  frase,  in  protonia  per  esempio  -^j 
per  mezzo  della  quale  ci  si  spiegherebbe  ad  un  tempo  e  la  na- 
salizzazione  di  m  e  la  successiva  caduta  di  n. 

215.  R.  In  generale  si  conserva:  calùr,  kar,  kuli'ir,  iskiir,  intér, 
milr  muro,  suor;  neir,  kidir,  giàir  ghiaieto,  poeir  paura;  ed  il 
contatto  col  piemontese  e,  per  alcuni  aggettivi,  l'analogia  del  fem- 
minile devono  contribuire  vigorosamente  a  questo  mantenimento, 
infatti  la  caduta  si  manifesta  in  due  intere  serie  morfologiche  : 
-ariu  ^  :  hèrgé,  paské  ;  e  -oiu:  casóu,  rafóu  e  in  una  voce  isolata 
quale  :  osi  (vero),  per  cui  valgono  le  osservazioni  che  abbiamo 
fatto  testé  per  prel.  Per  le  serie  verb.,  v.  n.  238.  Il  dileguo  è 
pure  costante  in  sillaba  atona:  kunoise  conoscere,  preva  prete. 

216.  L.  In  generale  appare  ben  conservato:  arkansél,  dal  lutto, 


'  K.  8267  :  s  agi  m  en. 

-  Il  Meykh-Lììbke  (II,  15)  giudica  non  di  Val  Soana  come  una  forma  no- 
minativale  *nohs.  [Anche  potrebbe  essere  avvenuta  un'assimilazione  del  -m 
al  n-]. 

^  Per  la  denasalizzazione  dei  monosillabi  v.  I,  550.  Un  esempio  di  dileguo 
in  protonica  ci  viene  conservato  dall'enclitica  nah  che  sempre  perde  la 
vocale  :  s  na  vai,  (se  ne  va),  ma  sempre  la  mantiene  nella  formola  tonica 
di  richiamo  vinàh  isi  (vieni  qui). 

^  La  serie  -ariu  è  però  già  caduta  anche  in  piemontese,  trascinata  ve- 
rosimilmente da  quella  omofona  dell'infinito. 


Il  parlare  d'Usseglio  345 

fondai,  linsà'l,  kiil,  mal,  peil,  pai.  Cadde  invece  nel  sufi',  uhi: 
sol-ì(,  fan,  ecc.,  v.  poi  n.  238. 

217.  V.  Si  dilegua:  malsad  <<  soave  inquieto,  v.  §  3,  kia 
chiave,  tra  trave,  nel  neve,  bo  bove,  dù/o',  no  novo;  in  na^u  e 
hit  tu  cattivo,  viti  (vivo),  si  conservò,  aiutando  probabilmente  il 
femminile;  sono  del  resto  voci  recenti.  218.  K  e  G  caddero 
prima  della  vocale  finale,  v.  n.  170.  219.  T  1)   si  dileguano. 

220.    Di    ASSIMILAZIONE    A    DISTANZA    UOU    Ò    cllO    Ìl    diffuSO   Ciicà 

(succhiare),  ma  come  processi  assimilatorì  si  possono  ritenere 
qualcuno  dei  casi  di  insonorimento  all'iniziale,  v.  n.  151,  come 
pure  le  note  e  diffuse  ^  epentesi  di  un  >i  in  angunikt  agonia 
ansi'n  assenzio,  pèrmansèmitl  prezzemolo,  trumpina  fr.  trépigner  ; 
cfr.  inoltre  :  strèhluh  stoppia.  Assai  più  interessante  l'attrazione 
di  un  /  fatta  da  un  altro  /  organico  :  rilslole  '  rougeole  '  : 
despreifie  sul  pieni,  dasprej le  e  reism,  reism,  rilsltìm  su  resnz 
(sega)  che  certo  è  voce  recente,  v.  §  3.  221.  Dissimilazione 
A  DISTANZA  si  à:  di  nasale  in  liquida  in  esempì  diffusissimi  : 
darniatjìi,  kulumui  economia,  ihgre  inguine,  Imdre  lendine,  lin- 
sola  nocciola,  marmlin  mignolo,  nxrànta  novanta,  rn'ndula  ron- 
dine, vilém  veleno,  anvinima.  Di  liquida  in  nasale  :  pì'nula 
(pillola),  e  scambio  di  liquide,  pure  in  casi  assai  noti  :  amhurli 
ombelico ,  fleirà  '  flairer  '  fragrare,  scalabnm  calabrone, 
grumisél  gomitolo,  infine:  rul  rovere,  piuvana  (salamandra),  dove 
aiuta  '  piovere  '  -.  xld  una  tendenza  dissimilatrice  sono  da  attri- 
buire (jrepla  per  greipia  e  aghi  (aquila)  ^,  nonché  la  caduta  di  una 
sillaba  in  trì'fule  pi.  patate,  tusnina  tosse  canina,  karveli  incubo 


'  Epentesi  largamente  diffuse;  v.  pel  pieni.  Flkciua,  III,  152;  e  Fr.  Gr., 
yOó  sgg. 
■'  XVI,  543;  IL  Gr.,  283;  SVS,  189. 
•*  Per  grepia  v.  n.  24,  per  agia  cfr.  Chiom.  eglo,  Monip.  egla,  Pral.  ajglo. 


346  Terracini, 

{karkaveii),  karkofa,  e  alcunché  di  simile  è  avvenuto  in  ramilfi 
lacrimusia;    infine  il  diffusissimo  à'mpida   lampone. 


L' accento. 

Ambedue  gli  spostamenti  delTaccento  storico  :  quello  per  iato 
e  quello  in  cui  le  vocali  non  sono  in  contatto,  spostamenti  che, 
sebbene  non  totalmente,  anno  in  comune  il  medesimo  ampio 
territorio,  si  riscontrano  ad  Uss.  in  una  forma  tale  che  si 
presta  ad  essere  descritta  come  la  forma  tipica  di  codesti  fe- 
nomeni. Per  la  loro   estensione  e   diffusione  geografica  v.  P.  II. 

229.  Spostamenti  per  iato.  —  Nel  iato  primario  si  à  ià 
<C  la,  yà  <C  uà,  V.  n.  119.  Nel  iato  secondario  si  à  progressione 
d'accento  soltanto  dopo  //  ed  z,  v.  n.  124,  mentre  /(  si  mantiene 
tonico,  ma  quando  avvenne  la  progressione,  suonava  ancora  q\ 
per  la  regressione  v.  n.  128.  230.  Progressione  in  cui  le  vocali 
NON  sono  in  contatto  ^  Una  prima  serie  d'esempi  ne  aveva  dato 
il  Nigra  per  v.  Soana,  poco  più  tardi  fu  ritrovata  in  Savoia  dal 
Gilliéron  che,  primo,  che  io  sappia,  la  studiò  senza  tuttavia  ve- 
nire ad  un  risultato  definitivo.  Sui  materiali  forniti  da  questi 
suoi  predecessori,  riprese  la  questione  il  Meyer-Liibke  ;  egli,  per 
quanto  vedesse  la  grande  analogia  tra  i  fatti  che  accadono  in 
Savoia  e  i  casi  di  vai  Soana,  era  restio  dal  considerarli  insieme, 
perché,  mentre  in  Savoia  la  sillaba  tonica  scompare  addirittura, 
in  vai  Soana,  essa,  per  quanto  fatta  atona,  è  quasi  sempre  rap- 
presentata da  una  vocale  piena,  si  che  egli  fu  condotto  a  supporre 
che  essa  fosse  reintegrata  per  influsso  pedemontano.  Prescindendo 
da  questa  difficoltà,  egli  enunziava  la  seguente  regola.  "  e,  i,  o, 


*  SVS,  183;  I,  596-8;  Gilltéron,  Mei.  Renier,  292  se 


Il  parlare  d'Usse^ijlio  347 

"  et  rt  primitifs  suivis  de  plusieuis  consonnes  sont  ubre'gés  et 
"  peuvont  perdre  l'accent  a  la  suite  de  eet  abrègement.  Agisscnt 
"  à  la  manière  de  plusieurs  consonnes,  non  seulement  ;//,  II,  mais 
"  ancore  une  //  ou  une  m  simple  sur  un  i  et  un  //...  Il  y  a  lieu 
"  de  croire  qu'entre  luna  et  lilnà,  il  y  a  eu  une  forme  inter- 
"  médiaire:  Ima  „.  Il  Salvioni  completò  la  serie  valsoanina  ed 
aggiunse  larghi  esempì  da  Barbania  (Can.)  mostrando  come  tal 
progressione  sia  viva  in  tutto  il  Canavese  ed  abl)ia  un'eco  nel  ter- 
ritorio di  Mondo  vi.  infine,  esaminata  la  teoria  del  Meyer-Liibke, 
vi  oppose  le  seguenti  obiezioni:  1',  la  vocale  non  può  essere 
restituita  per  influsso  pedemontano  perché  la  regione  pedemon- 
tana dove  giace  la  vai  Soana  offre,  come  s'è  visto,  gli  stessi 
fenomeni  di  questa;  2°,  che  nel  Canavese,  come  nel  resto  del 
Piemonte,  una  sola  vocale  appare  turbata,  V'è,  in  certe  condizioni, 
e  che  questa  é,  se  promuove  in  Canavese  (cioè  a  Barbania) 
vr.dà,  non  influisce  su  térca  sempre  a  Barbania.  Quindi  con  chiude  : 
"  Date  le  quali  circostanze  e  tenuto  conto  degli  scarsi  materiali 
^  che  stanno  per  ora  a  nostra  disposizione,  la  vicenda  cisalpina 
"  si  può  descrivere  pressapoco  cosi:  c'era  un  e  tonico,  assai  tor- 
"  bido.  il  quale,  appunto  per  questo,  mal  poteva  reggere  lo  scettro 
"  della  parola,  che  perciò  potè  passare  alla  vocale  finale,  dando 
"  luogo  a  doppie  pronunzie  come  sare})bero  vérda  e  verdà,  e 
"  grazie  alle  quali  s'arrivò  da  una  parte  al  definitivo  vrda  e 
"  dall'altra  al  non  men  definitivo  térca.  Nel  periodo  d'oscilla- 
"  zione  tra  vérda  e  rerdà,  pili  altre  categorie  di  nomi  furon  da 
"  queste  oscillanti  forme  insieme  travolte  „.  Ammette  poi  che, 
per  la  vai  Soana  in  particolare,  si  tornasse  pili  tardi,  senza  in- 
fluenza piemontese,  ad  e  schietto.  Ma  il  materiale  che  io  andai 
raccogliendo  pel  Canavese  e  per  le  valli  i)iemontesi,  offrendo  un 
aspetto  pili  semplice  e  pili  chiaro  di  quello  valsoanino,  permette  di 
ritornare,  con  qualche  modificazione,  alla  teoria  del  Meyer-Liibke. 
Per  chiarezza  raduno  qui  tutti  gli  esempi  che  potei  raccogliere  a 


348  Terracini, 

Uss.  :  feisla,  islà',  mesa',  spesa',  berla  ,  ferma  ,  pèrni',  sèrkiii' ,  tèrsi', 
vèrda  ,  rupie  ^,  sci',  tèpà' ;  -itta  hr usta' ,  e Imista  ,  fausta  ,  y arte' , 
lolita  , piancità' ,  Piaste  ,Valta  n.l.,  oiulte  ;  malfu  ;  aviu;  mnndiiè' , 
kilt' ,  sii',  uriX' ,  kavesì';  arbenà' ,  bena,  hekà' ,  snn'  —  istisl' ,  solitisi' , 
tini';  fili',  lantiii' ,  reci' ;  arinna,  eiminà' ,  farina' ,  feisinà' ,  galina  , 
kiifinà',  iscina,  matinà' ,  mei/ina  ,  spina,  sinà' ,  Urina',  vfinà'; 
lima',  siimà',  priima  ;  fika,  mikà',  skrità' ,  vita';  bruse  ,  rusa  , 
niufà';  miMà' ,  pilla  ,  buci  ,  biita  ,  kiipa,  mutà',pHpà',  rukà',  tuta  ; 
kudii ,  gallisi'  -  —  nini' ,  persuna,  tunuì',  briita,  silka,  bèrnì'  — 
moudiirà',  mi/ t'irà',  Ulna',  Una,  karkiina  .  Ora  per  tutti  questi  casi, 
abbiamo  visto  a  suo  luogo  come  la  consonante  facesse  posi- 
zione forte  ^.  Quanto  a  vita  ,  briita',  mika ,  kudn',  tintiira, 
mifiira  ,  abbiamo  la  consonante  lunga  perché  si  tratta  di  parole, 
iu  varia  guisa,  recenti  ^.  Ora,  sia  in  un  caso  che  nell'altro, 
vedremo  che  il  contatto  con  una  cousonante  lunga  fu  capace 
di  render  brevi  o  turbate  alcune  determinate  vocali  ;  nel  nostro 
territorio  s'à  ancora  qua  e  là  questo  stadio  :  le  vocali  turbate 
corrispondono  esattamente  a  quelle  che  ad  Uss.  patirono  la 
progressione,  salvo  dove  agirono  cause  seriori;  il  turbamento 
è  manifesto  per  è,  i,  li,  men  chiaro  per  u,  dove  s'à  piuttosto 
un'insolita  brevità  della  vocale^.  Risulta  ad  ogni  modo  stabilito 
che  con  quest'ordine  di  fatti  è  strettamente  e  direttamente  con- 


*  Alterno,  apposta  plurale  e  sing. 
~  Piena,  galossa  (Zalh)  pala. 

^  3,  5,  12,  15,  24,  34,  36. 

*  Cfr.  Haberl,  ZRPh,  XXXIV,  35  sgg.  ;  Mor.  §  68  e  la  bibliogr.  data  al 
n.  153. 

"  Valga  per  ora,  come  documentazione,  quanto  fu  detto  al  n.  10  (p.  223,  n"  5) 
sulla  progref?sione  del  suffisso  -urà'  e  gli  esempi  ivi  addotti.  —  Qui  pure  i 
dati  di  fatto  contraddicono  all'ipotesi  espressa  dal  Jaberg,  p.  7,  che,  in  ^na, 
la  regressione  dell'accento  abbia  preceduto  il  turbamento. 


Il  i)arliire  d'Usse^lio  349 

nesso  lo  spostamento  deiruecento  che  in  aU-uni  luoghi  si  ritrasse 
sulla  sillal)a  iniziale,  in  altri,    e   sono   i    |»iìi,  passò  sull'ultima. 

Per  solito,  come  a  Usseglio  e  nel  territorio  adiacente,  a  P>ar- 
bania  e  in  generale  nel  Canavese  (v.  P.  II).  tutte  le  vocali  tur- 
bate, 0  comunque  brevi  i,  non  poterono  mantenere  l'accento  ;  in 
altri  luoghi  su  questa  ragione  fondamentale  condizioni  seriori 
riuscirono  a  prevalere,  in  qualche  caso,  a  detrimento  -  della  pro- 
gressione ;  rara  ■'  invece,  ed  in  forma  affatto  incipiente,  la  ten- 
denza ad  allargare  questi  limiti  ;  dappertutto  poi  ragioni  mor- 
fologiche, specialmente  ove  si  trattava  di  desinenze,  o  comunque 
di  suffissi,  anno  agito  in  vario  senso,  da  poco  poi  l'influsso  del 
piemontese*  à  mantenuto  o  reintegrato  l'antico  accento  in 
qualche  voce  o  serie  di  voci.  Per  lo  studio  geografico  di  questi 
fatti  V.   P.  11. 

Un  caso  speciale  ^  è  urd'  (adesso)  ;  esso  proviene  da  aura, 
V.  n.  128''.  un  simile  proparossitono  con  una  tonica  cosi  breve. 


'  Per  Uss.,  V.  n.  183  C;  por  il  resto  del  territorio  e  per  le  ref^ioni  adia- 
centi, cioè  la  Savoia,  la  Svizzera,  il  Piemonte,  v.  P.  II. 

^  Cfr.  P.  II.  Ad  es  ,  a  Coazze  la  serie  con  ii  sfugge  alla  progressione  e 
cosi  pure  in  Savoia,  mentre  in  Svizzera  cedono  talora  solo  le  nasali.  Per  u 
si  rifletta  alla  sua  maggior  resistenza  anche  in  protonia. 

•^  VS,  SVS,  183.  Sorpassano  la  norma  ussegliese:  fetneld  '  femelle ',  Ma 
(bella)  e  in  generale  -ella;  ma  ognun  sa  che  la  liquida  è  tra  le  più 
tenaci  a  rimaner  lunga,  nulla  di  strano  quindi  se  è  riescita  a  turbare 
questo  e;  ìetrà  lettera,  w//có  (vescovo),  sehtd  sono  tardi  adattamenti  dei 
piem.  :  litra,  veslcu,  sesta  e  cosi  pure  probabilmente  :  madonà  (suocera)  l'evó 
(vedovo);  come  primi  casi  di  una  maggior  estensione  resterebbero:  ficimà 
(fiamma),  cvenà  (capanna).  Cosi  a  Lanslebourg  {Mei.  Renier,  299)  la  jiro- 
gressione  raggiunge  :  mòtaùé,  tanè  (castagne)  e  ornò  uomo. 

'  Al  piem.  è  p.  e.  dovuto  il  terCa  rilevato  dal  Salvioni  a  Barbania  ;  si 
tratta  infatti  di  una  parola  assolutamente  fuori  dell'uso  popolare. 

'"  Su  arbena  (pernice  bianca)  e  la  sua  formazione:  Micrlo,  AAT,  1907.  p.  7 
(dell'estratto).  Qui  proviene  dalla  Savoia. 


350  Terracini, 

e  che,  per  solito,  à  un'importanza  secondaria  nella  frase,  è  di 
per  sé  dotato  di  un  accento  debole  ed  oscillante,  donde  la 
nascita  di  due  forme  :  ora  (che  è  localizzata  a  Margone)  ed 
ara' ,  che  originariamente  dovevano  formare  tra  di  loro  alter- 
nanza :  ura  sarebbe  la  forma  forte  e  si  trova  anche  in  paesi 
che  non  conoscono  la  consueta  progressione  d'accento  ^. 


^  Infine  è  pur  bene  tener  conto  che  lo  Chabaneau  e,  assai  pia  recente- 
mente, il  Dauzat  segnalavano  in  provenzale  numerosi  casi  di  progressione 
d'accento  nelle  voci  in  cui,  per  qualche  ragione  fonetica,  si  allunghi  la  to- 
nica finale;  il  Dauzat  classificò  e  studiò  il  suo  caso  dal  punto  di  vista-delia 
finale,  ma  dagli  esempì  che  porta  (Dauzat,  Géogr.  Phonétique,  Paris,  1907, 
p.  56-7),  si  vede  che  questa  progressione  avviene  solo  quando  alla  tonica 
vi  sia  una  vocale  capace  di  intorbidarsi,  e  proprio  appartenga  a  quella 
serie  che  ritroveremo  torbida  nella  nostra  regione.  E  anzi  a  Vinzelles  vi 
sono  alcuni  casi  di  regressione  d'accento  che  il  Dauzat  esplicitamente  at- 
tribuisce ad  un  turbamento  della  tonica  e  che  rientrano  completamente 
nel  caso  nostro.  Il  compito  mio  si  limita  ad  indicare  le  condizioni  del 
fatto  ;  perché  l'accento  muti  per  progressione  piuttosto  che  per  regressione 
(ciò  accade  per  solito  oltr'alpe,  ma  non  ne  mancano  esempi  sin  nel  cuore 
del  Piemonte  :  XVI,  542,  n*  4),  perché  in  altri  paesi  la  tonica  torbida  riesca 
a  sostenersi  sono  questioni  ancora  da  studiare.  Certo  la  spinta  alla  pro- 
gressione deve  dipendere  non  soltanto  dalla  poca  energia  dell'accento  (in- 
vocata dal  GoiDÀNicH,  BhZRPh.  V,  177)  ma  anche  dalla  varia  forza  con  cui 
la  doppia  era  articolata.  [Non  vedo  come  l'osservazione  del  Terracini  valga 
a  correggere  il  mio  giudizio.  Al  1.  e,  vale  a  dire,  io  dicevo  :  "  Tutto  in- 
sieme considerato  (spostamenti  accentuativi  in  sillaba,  progressioni  e  re- 
gressioni d'accento  di  parola)  si  vede  che  in  questa  regione  la  differenza 
accentuativa  tra  tonica  e  atona  era  ridotta  ad  una  quantità  imponderabile, 
dimodoché  ogni  pia  piccola  causa,  fra  questa  anche  naturale  maggior  massa 
di  espirazione,  poteva  sconvolgere  V accentuazione  primitiva  o  della  sillaba  o 
della  parola  „.  In  sostanza,  mi  pare  si  dica  la  stessa  cosa:  C'è  una  causa 
fisiologica  comune  a  tutte  queste  alterazioni,  ossia  la  riduzione,  in  condi- 
zioni determinate,  della  tonica  ;  e  c'è  una  causa  concomitante  (non  in  tutti 
i  casi  né  in  tutti  i  luoghi  la  stessa)  che  avvia  lo  spostamento  in  un  senso 
0  nell'altro.  —  Certo,  aggiungo  anche,  lo  spostamento  accentuativo  non  è 
un  fenomeno  necessario,  inevitabile  :  e  si  capisce  come  in  alcuni  paesi  non 
sia  avvenuto,  pur  dandosi  condizioni  fisiologiche  identiche.  P.  G.  G.]. 


11  iniihiro  d'Usseglio  351 

A  Usseglio  l'antica  tonica  è  trattata  come  un'atona  qualunque; 
lo  stesso  accade  in  v.  Soana,  dove  >;  turbato  tuttavia  si  distese 
in  (?  e  si  conservò,  quando  la  natura  delle  consonanti  vicine  lo 
permetteva,  cosi  come  si  conservò  e  prò  tonica  '.  Ci  si  può  poi 
domandare  se  ogni  tinaie  è  atta  a  ricevere  il  nuovo  accento  : 
per  (ir,  per  i  ed  u  non  vi  può  essere  dubbio,  e  siccome  persino  è, 
al  plurale,  prende  assai  regolarmente  l'accento  -,  si  deve  con- 
chiudere che  se  e  è  rimasto  atono,  ciò  è  dovuto,  come  infatti 
vedremo,  a  ragioni  estrinseche. 

Vediamo  ora  i  principali  casi  in  cui  non  si  ha  la  progressione, 
pur  verificandosi  le  condizioni  fonetiche  pili  favorevoli.  Alternanze 
quali:  fiirketa,  furkefà'  ci  avvertono  che  molti  casi  di  progres- 
sione mancata  sono  dovuti  all'inllusso  recente  del  piemontese, 
il  quale  à  una  certa  importanza  perché  minaccia  intere  serie  di 
suffissi,  v.  App.  I.  Quanto  agli  altri  casi,  tolto  ìicrna  che  de- 
riva da  '^nhena  -^  kunie  che  è  voce  semiatona  e  si  spiega  come 
ora,  essi  sono  tali  che  alla  loro  spiegazione  entriamo  nel  campo 
della  morfologia:  trc'/e,  diife  furono  trattenuti  dagli  altri  termini 
della  serie;  e  similmente  i  verbi  mantennero  l'accento  sul  tema: 
frdu  fi'ego,  sèce  secca,  semi  segno,  i/gote  gocciola,  r(y)U  rogna, 
tube  tocca,  filme.  Analogamente  manca  nei  verbi  anche  la  pro- 
gressione cagionata  da  iato  :  niie  annega,  sile  sega,  tramite  sposta, 

231.  Progressione  in  propar.  di  sincope  recente  :  cènan  canapa; 
per  smeinu  semino  ^,  marmóru  mormoro,  v.  §  2  e  App.  I  :  per 
la  progressione  in  forme  verbali  :  purtàn  (portino)  v.  §  2;  resta 


'  Cfr.  VS,  n.  6B. 

~  È  vero  che  si  tratta  di  semplici  plurali,  ma  nel  Canavese  s'à  :  Mathi 
sner  (piem.  sener),  Coassolo  snar  (cenere). 

^  Cfr.  Par.  ttidn  nessuno  (16). 

*  [Semino  dev'essere  plii  antico  e  di  ragione  analogica,  perché  ad  esso 
deve  attribuirsi  la  conservazione  di   mn  in  semnà.  P.  G.  G.J. 


352  Terracini, 

quella  delle  forinole  interrogative  di  3*  plur.  ind.  pres.  purtànti, 
Manti  bevono. 


Appunti  di  fonetica  sintattica. 

Una  forte  corrente  livellatrice,  arrestando  quasi  completamente 
il  movimento  che  tendeva  a  dare  ad  ogni  schema  sintattico 
una  sua  cadenza  fonetica  e  quindi  alle  singole  parole  un  accento 
mobile,  à  fatto  si  che  le  parole  anno  conservato,  per  qualunque 
posizione  nella  frase,  l'accento  che  loro  è  proprio  quando  sono 
in  finale,  cioè  l'accento  antico  ^  Per  una  conseguenza  diretta 
di  tal  fatto  i  vari  elementi  di  una  parola,  o  almeno  i  più  vistosi, 
tendono  fortemente  ad  assumere  una  forma  stabile,  che  per  solito 
è  quella  finale,  di  frase  ;  eccettuate  quelle  voci  che,  per  il  loro 
ufficio,  si  trovano  soltanto  all'interno  di  frase;  ben  pochi  quindi 
sono  i  casi  in  cui  l'antica  alternanza  viva  tuttora. 


la. 

Fonemi  iniziali  e  finali  in  contatto. 

231*^.  Una  vocale  finale,  quando  nel  corpo  della  frase  sia 
seguita  da  un'altra  vocale:  1°  si  apostrofa,  se  è  atona:  malva 
la  mia  acqua,  mispufa  la  mia  sposa,  Ifavii  u  fan  le  api  fanno, 
la  vac  e  mime  la  vacca  muggisce,  por  oni  pover'  uomo,  e  dop  e 
s  ast  e  poi  ella  s'è,  boek  isi  bada  qui  ;  2°  una  delle  due  vocali  [/, 


^  A  Uss.  le  ultime  tracce  di  un'accentuazione  mobile,  che  pure  è  abba- 
stanza viva  in  punti  più  arcaici  del  territorio,  s'ànno  con  qualche  parola 
ossitona  per  progressione,  ma  non  in  tutte  e  non  sempre  :  p.  e.  fii}'  ma 
sa  fiii  lei  ;  hutà'  ma  bitta  ruta',  sa  bùia  ikt. 


Il  parlare  d'Usseglio  353 

(e).  u\  può  ridursi  ;i  semiconsonante;  ormai  ciò  accade  soltanto 
quando  si  tratti  di  particelle  strettamente  collegate  alla  parola 
che  segue  :  //  ere  che  era,  gii  a,  ki  m  {ke  emi  che  avete),  Ili  atti 
lassii,  ankn  asé  ancorché  ;  ///  ónta  lassù  —  sta  ls/\  mh'Kjd  hi  (mangia 
qui),  ala  vanta  (andar  lassù)  ;  3'^  se  la  seconda  vocale  appartiene 
ad  un  prefisso,  essa  può  essere  assorbita;  presentano  ancor  oggi 
un'alternanza:  a)  e  pre  (e  dietro),  ala  pre.  ma:  in  fi'rmansìvn 
apre  (un  folletto  dietro);  /5)  il  prefisso  an-:  i  est  ankur  tm  (c'è 
ancor  tempo)  di  contro  a:  e  nrece  (e  invece),  resta  nchrrm'ia'  (l'i- 
masta  addormentata),  u  /  ere  nkn  (c'era  ancora).  Hasta  che  la 
parola  precedente  termini  per  un  elemento  vocalico  debolissimo 
o  per  una  liquida  o  nasale,  perché  s'abbia  l'aferesi  :  (jainéi  nkaminà 
di  nuovo  avviati,  lai  npendc' nt  la  penzoloni,  te  seer  nté  ku  siiti? 
dove  sono  le   tue  sorelle y.  e  vin  n  sai  viene  in  qua  ^ 

232.  Se  segue  una  consonante  ^  ed  f  cadono  :  a  prend  sa  mare 
prendere  sua  m.,  e  /  er  d'isduri  c'erano  dei  signoi'i  ;  e  quindi 
spessissimo  in:  for,  senip  e  nei  verbi:  nn  masan  ko  nù  {niasave) 
uccideva  anche  noi.  la  tapini  din  lo  buttava  dentro,  u  port 
lai,  u  saut  gii.  Ancora  si  assorbe  n  finale,  quando  sia  preceduto 
da  v:  mingau  [mingavu),  kl  eu  fait  che  avete  l'atto.  232  ''.  Se 
precede  m,  un  /•  iniziale  diventa  bilabiale:  la  tiinda  {'■indn),  In 
nènf  il  vento,  cfr.  n.  121. 

233.  L'incontro  di  una  consonante  con  una  consonante,  oggi 
alla  finale  (v.  n.  288)  non  produce  quasi  più  elementi  mobili, 
air  iniziale,  casi  di  alternanza  s'ànno  solo  colle  continue  so- 
nore; so  precede  una  consonante  s'à  allora  quello  sviluppo  di 
nn  elemento  vocalico  che  è  di  cosi  larga  estensione   geografica 


'  Quanto  all'aferesi  di  tipo  ialcur  ^  stxiir  voscuro),  mi  iiianeano  elementi 
per  dire  se  essa  in  origine  sia  dovuta  all'incontro  con  una  vocale  prece- 
dente: da  casi  come  mispufa  parrebbe  che  l'aferesi  debba  avere  un'altra 
ragione,  v.  App.  I. 

Archivio  glottol.  ital..  XVU.  24 


354  Terracini, 

e  che  a  Uss.  si  appalesa  recente,  poiché  esso  è  conseguenza  del 
non  antico  dileguo  della  vocale  protonica.  Il  caso  di  r  è  il  pili 
diffuso  di  tutti  ;  ma  qui  la  prostesi  ha  ormai  perso  ogni  carattere 
sintattico  ed  è  fissa:  ardoeire,  arkordu,  arkiUd  rinculare,  artós 
ritorto,  arpenti,  ni'  arposu  mi  riposo,  arpréi  (ripreso)  ;  assai  meno 
stabili  i  casi  di  ^  :  u  s  ast  alvd  (s'è  levato),  ma  falli  Iva,  anche 
un  piccolo  soffio  vocalico  s'ode  dinanzi  all'articolo  femminile  //; 
per  le  altre  consonanti  ^  la  prostesi  è  rara  :  ti  i  ast  avnil  è  ve- 
nuto, mun  avfin  il  mio  vicino,  ke  t  "  mandé  che  tu  mi  mandi, 
t"  mi  regàUstu?  me  lo  regali? 


Ih. 

Azione  dell'accento  secondario  della  frase 

SULLE  semiconsonanti  E  SULLE  VOCALI, 

Sebbene  a  Usseglio  la  frase  non  abbia  di  solito,  come  altrove,^ 
una  grande  rapidità,  accade  pur  qui  che,  in  certe  parti  della 
frase,  l'accento  secondario  sia  cosi  debole  che  alcune  sillabe  pas- 
sino come  indistinte,  quasi  come  se  gli  organi  accennassero  ad 
articolare  i  vari  suoni,  ma  non  compissero  interamente  il  loro 
movimento.  Per  la  sua  stessa  natura  il  fatto  non  può  essere 
descritto  interamente,  appena  se  ne  può  accennare  alcune  parti- 
colarità che  concernono  specialmente  l'eventuale  assorbimento 
delle  semiconsonanti.  234.  1°  aUt  (aveva),  sa'tit  (sapeva),  possono 
divenire  ait,  sai't,  eli  selt,  e  quindi  con  attrazione  dell'accento 
cit,  seit  ;  2"  s'à  pure,  ma  raramente  2,  vuiii  volevo,  punì  potevo. 


^  Cfr.  I,  367.  Pel  piemontese  la  bella  descrizione  del  Nigra,  Miscellanea 
Ascoli,  252-3. 

-  Raramente,  perché  l'analogia  vuole  che  si  conservi  la  consonante  te- 
matica. 


Il  piirlarp  (.l'Usseglio  355 

accanto  a  vìiliii.  puìnì  ;  o"  la  consonante  opentetica  di  iato,  se  è 
V  postonica,  può  sparire:  i  vacu  ma  i  niu  e  turnu  (vado  e  torno), 
per  altri  casi  analoghi  v.  n.  121  ^gg.\  -l*^  nel  discorso  rapido  ac- 
cade sovente  che  un  dittongo  in  /  perda  la  semiconsonante  ^  :  a  la 
ver  parél  à  veduto  [vai)  cosi,  u  siuì  sfat  lai  sono  stati  {siait)  la, 
av(v  IJ  (iute  colle  (civcef)  altre,  /  <?/  jjoer  ke  piot  ho  paura  (paeir) 
che  piova,  a  kor  d'celi  a  cuocere  {fedire)  dell'olio,  iira  hnk  isi 
bada  (bwika)  qui,  hu^ka  ke  cai.  bada  [bmka)  che  cade. 

-Ma  dobbiamo  ora  vedere  alcuni  avanzi  di  fenomeni  che  si 
connettono  pili  direttamente  coH'accento  secondario  -.  La  minore 
forza  dell'accento  faceva  si  che  la  vocale  avesse  una  sorte  ana- 
loga a  quella  dell'atona:  1"  perché  soggiaceva  pili  facilmente 
all'influsso  di  suoni  vicini;  2"  perché,  come  pili  breve,  presen- 
tava uno  sviluppo  meno  avanzato.  235.  1"  al  diventa  ei  ed  e. 
L'esempio  migliore  è:  aica,  ma:  èva  sé«to  (acqua santa)  ed  èva  grani 
n.  1.  ;  se  ne  anno  poi  numerosissimi  esempì  nei  verbi  :  ìl  .s  fe'i  shar 
(si  fa  signore),  u  fei  niente,  e  fé  ìiin,  t  ve  ko  fi,  e  [et  la  naf,  /  e 
perdu;  la  laisn  di  fronte  a:  l/i  lesa  niìì'-^:  assai  meno  frequente 
è  il  passaggio  di  aa-  ad  ou-  e  sempre  limitato  al  verbo,  t  fon 
(jamtl  (ti  faccio  di  nuovo),  urna  vm  <Ja  belc  pr  ki  (me  ne  vo  giii  di 
qua).  Pili  rara  ancora  è  la  contrazione  di  ei  in  i:  avàii  ke  s-ié 
mat'dì  (cioè  seie)  avanti  che  sia  mattino,  e  venie  ke  sii  juisà  (deve 
esser  passato). 

236.  L'esempio   pili    perspicuo    di    questo   genere   si   ìi  nella 


^  Cfr.  la  medesima  tendenza  in  sillabe  protoniche,  v.  n.  131. 

"'  Cfr.  I,  626,  che  dà  parecchi  esempì  pel  franco-provenzale.  La  miglior 
trattazione  che  io  conosca  sulla  fonet.  sint.  è  quella  del  Gauchat,  Fest. 
Morf.,  p.  210  sgg.  Per  fenomeni  analoghi  in  dialetti  italiani  BhZRP,  V,  14; 
AGIt,  XVI,  484;  in  Francia  cfr.  .JFRPh,  1908,  I,  23,  e  RPhFL,  XXII,  114. 
Per  tutti  i  minuti  particolari  e  la  cronologia  di  questi  procedimenti  v. 
App.  I. 

^  Par.:  V  H  trova  (24),  i  t'  è  mai  (29),  so  feit  sa  (30). 


356  Terracini, 

storia  delle  nasali.  In  sillaba  finale  aìt  tende  a  turbarsi  in  htì  ', 
ma  perché  ciò  accada,  occorre,  almeno  per  i  vecchi  (v.  n.  239), 
che  la  sillaba  sia  sotto  l'accento  principale  di  frase.  Eccone  al- 
cuni esempì:  bceiìca  si  d'  pdii  guarda  qui  del  pane,  ii  l  a  tanti  li 
cavéi  biànk,  san  kì  vulà'h  (ciò  che  vogliamo);  ma  invece:  {  almi 
gii  prendili  andiamo  a  prenderlo,  i  se  tanta  sfràka. 


IL 

L'analogia  nella  fonetica  sintattica. 

Questo  stato  di  cose  fu,  come  dicemmo,  da  lungo  tempo  tur- 
bato dall'estendersi  delle  forme  proprie  della  finale  di  frase; 
questo  livellamento  si  palesa  in  due  strati  di  fenomeni  sovrapposti 
o,  per  essere  pili  precisi,  esso,  continuando  tuttora  ad  esercitare 
la  sua  azione,  modifica  ed  allarga  continuamente  l'opera  sua.  In 
un  primo  periodo  essa  incominciò  ad  agire  sui  sostantivi,  la- 
sciando da  parte  i  verbi,  che  per  la  loro  funzione  sintattica 
sono  quasi  sempre  in  interno  di  frase;  in  un  secondo  periodo 
esso  colpisce  anche  i  verbi.  Non  è  possibile  descrivere  separa- 
tamente i  due  casi,  tanto  essi  si  compenetrano  l'un  nell'altro. 
Un'altra  causa  di  complicazione  è  data  dalla  confusione  che  av- 
viene tra  la  posizione  preconsonantica  e  la  prevocalica,  ciascuna 
delle  quali  si  è  fossilizzata,  secondo  che  l'occasione  la  favoriva, 
237.  Sorte  della  vocale  :  1^  una  vocale  finale  tende  a  non  apo- 
strofarsi 0  non  modificarsi  dinanzi  a  vocale  anche  quando  sia 
legata  abbastanza  strettamente  alla  parola  che  la  precede  nella 
frase:  mi  if  masti  io  ti  uccido,  n'auta  ava'i  un'altra  insieme,  daine 


^  Includo  anche  gli  esempi  di  -an  <C  -e  m  u  s  per  cui  v.  sotto  e  n.  30  h. 


Il  parlare  d'Usseglio  357 

u  cii'i  dai  al  cane,  hiniK  a  yavame  '  ;  2"  una  vocale  finale  tende 
a  non  elidersi  dinanzi  a  consonante:  kum^,  dih'i  mi  come  io  dico, 
nì'lve:  Ih  patn'in  giunge  il  padrone;  3"  la  prostesi  d'una  semicons. 
è  divenuta  ormai  costante  in  ocel  avuto,  oottsa  alzare,  oìi't  otto, 
v<eis  aguzzo,  voile  ungere.  238.  Consonanti  finali.  1",  ìì.  Mantiene 
anche  dinanzi  a  vocale  il  suono  faucale.  tranne  che  nell'articolo 
lìiast-liilc  ninni:  2".  )n..  I  casi  di  jiduzione  a  faucalo  non  oltre- 
passano quelli  dei  pronomi  sempre  protonici,  niuiì,  fufi,  siin  e 
forse  nini  nome  (v.  n.  214)  -;  :V\  r.  Ormai  i  casi  in  cui  /•  si  perde 
son  tanti  che  sorpassano  il  dominio  della  fonetica  sintattica; 
certo  la  caduta  nei  verbi  precedette  quella  dei  sostantivi  perché 
l'una  è  ancora  da  terminare,  l'altra  è  completa  da  un  pezzo 
(v.  n.  215).  A  dar  però  testimonianza  (Udl'antica  alternanza  re- 
stano le  combinazioni  coll'enclitica:  pnrtani  portarlo,  yrujjuru, 
butani  e  qualche  rarissimo  caso  sorpreso  in  fonti  arcaiche:  vicer, 
baiar,  arlerarse,  dei  quali  uno  raccolsi,  conservato  in  condizioni 
sintattiche  legittime:  d'arih'i.r  a  ka  (di  giungere  a  casa).  4",  l, 
v.  n.  216.  La  labializzazione  à  luogo  soltanto  nei  pronomi:  «,  su 
<^'^el,  '^sel'^*eH,  "^'seii^au,  sali  (nella  Par.),  ou  sgu;  e  nei 
composti  doli  gli;  ma  col  pronome  interrogativo,  che  può  essere 
finale,  si  conserva:  'nt  istél?  (dov'è?)  Nel  pron.  dim.  esiste  pure 
una  forma  prevocalica,  usata  indifferentemente  :  sai  om  e  sai 
brar  oin;  il  pronome  pers.,  dinanzi  a  voc.  invece  à:  ul,  ni.  5*^,  s. 
La  sua  conservazione  dinanzi  a  vocale  è  rigorosamente  osservata 
nell'articolo;  l'  piànte  di  fronte  a  //  isteile,  '1/  urie',  df  iscale, 
sul/'  ispale.  Ma  nei  sostantivi  la  forma  prevocalica  è  scomparsa 
completamente  e  anche  cogli  aggettivi  pronominali  /  è  men 
saldo  ^  :  sef  queste,  mef,  tef,  sef,  dof  (due)  resistono  abbastanza 


*  Par.  :  ala  a  cà  (28). 

-  Par.:  con  fana  come  farebbe  (19). 

'  Parrebbe    fare    eccezione    il    pronome    pers.  t'emiii.   plur.  i  1 1  a  s    che  è 


358  Terracini, 

bene,  ma  sono  pure  normali:  do  urie,  te  urie  ;  tante/  poi  può 
ritenersi  forma  antiquata.  Al  contrario  niif  e  vuf,  conservatisi  in 
grazia  alla  combinazione  nuf  anti,  vuf  auti,  son  generalmente 
usati  anche  in  finale  ^  Alla  fonetica  di  frase  si  deve  poi  ricorrere 
per  spiegare  la  caduta  di  s  in  grò  e  atravé,  n.  208.  6".  Esplo- 
sive: della  caduta  dell'esplosiva  s'ànno  ormai  poche  tracce:  tu 
lu  goni-  (tutto  il  giorno),  ma  minga  tììf,  cosi  tro  e  trop,  tar  e  tart, 
e  nei  verbi:  san  ku  difiit  (ciò  che  diceva),  ma  fefii  paré'i  (faceva 
cosi),  e  pio  ììku  nin  (non  piove  ancora),  ma  ormai  le  forme  piene, 
specialmente  fra  i  giovani,  sono  le  più  comuni.  Per  le  esplosive 
sonore  le  forme  assordite  descritte,  al  n.  210,  sono  ormai  spes- 
sissimo soppiantate  dalle  forme  sonore:  hhdard  n.  \.,  praijird 
n.  1.,  gilnrd  sudicio,  lilfdrd  ramarro,  va'id,  fard,  sààg,  lord  (in- 
tontito). Ma  se  era  preceduta  da  n,  d'una  più  tenace  caduta 
dell'esplosiva  sono  prova  diretta,  nella  Par,:  agiàn  ghianda^  (1^). 
rispondén  rispondendo  (29),  e  p'òrfnn  (subisso)  nella  fonte  F.  Ora 
l'alternanza  si  è  fissata  :  i  sostantivi  hanno  la  cons.  :  kont,  fnoit, 
pont,  punt,  kànf,  dvànt,  veni,  kuntè'nt  e  anche  fefà'nt,  dèskurà' ttf , 
mentre  la  caduta  si  è  ristretta  ai  verbi:  reh,  preti,  ispéii,  ufén, 
run,  rèspim,  fun  (fonde),  oltre  a  nin  niente.  7°.  Il  fenomeno 
visto  al  n.  234  si  è  fossilizzato  per  jjq'  (poi)  e  pel  pronome  -u-  h  o  e. 
239.  Pure  tatti  i  casi  registrati  al  §  Io  sono  in  via  di  disso- 
luzione. 1°  1  dittonghi  ai  ed  au  possono  rimanere  tali  quali  anche 
se  la  parola  non  abbia,  pel  posto  suo  nella  frase,  alcuna  forza 
d'accento:  v  ai  vcrd  in  bel  biiléi  (ho  visto  un  bel  fungo),  san  ku  fai 
Perù  (che  fa  P.).  —  2°  L'alternanza  tra  an  e  àù  pei  sostantivi  veri 


sempre  l/e,  anche  in  finale:  j;Mr/a//(' (portarle).  Ma  qui  la  vocale  d'appoggio 
formatasi  dopo  l'insolito  nesso  consonantico  salvò  /  dalla  caduta. 

*  Ma  la  Par.,  in  finale:  a  vu  (18,  21). 

-  Par.:  chèi  gior  apre  (13)  v.  n.   195. 

'^  Cfr.  però  Mèi.  Chabaneau,  534. 


Il  parlare  d'Usseglio  359 

e  propri  non  esiste  pili,  s'à  dovunque  l'esito  di  pausa  ^  —  3"  Casi 
di  forma  interna  cristallizzata:  a)  nella  2^  pars.  pi.  del  cong.  e 
neir infinito  :  ?/,  per  non  essere  queste  forme  mai  in  pausa,  non 
s'allargò  in  «/  od  el  ;  b)  asé  assai  e  avm  (con)  di  fronte  ad 
-o/  -h  0  e  -. 

240.  L'esempio  pili  complicato  dell'incrocio  di  queste  diverse 
tendenze  è  dato  dalla  storia  di  est^.  La  forma  da  cui  si  deve 
partire  è  *eisf.  v.  n.  187,  da  cui  discendono  foneticamente  e  si 
incrociano  analogicamente  tutte  le  forme  attuali. 

Secondo  la  varia  condizione  delle  parole  e  dell'accento  nella 
frase  si  à  : 

all'interno  (forma  debole)  :  [a]  (prevoc.)  nf  istél?  (dov'è?)  — 
[b]  (precons.)  n  /  i  hin  (non  c'è)  ; 

che  nel    discorso    rapido    divengono    (forma    debolissima)  : 
|c|  u  M  a  ka  (è  a  casa)  —  [d]  ul  brau  (è  buono). 

In  finale,  sotto  accento  (forma  forte)  :  [oj]  u  i  èst  (c'è),  che 
ora  suona  generalmente  :  [e./]  u  i  <1st,  n.  23  ; 

sotto  accento,  ma  dinanzi  ad  una  pausa  secondaria  :  [f  ]  si 
k/i  l  è  (sf  che  c'è)  —  ki  ke  ì  n  ?  (chi  è  ?). 

Ma  all'internO;  sono  ormai  pili  frequenti  le  forme  analogiche 
e  recenti  :  [e'i|  est  neh-  (è  nero),  da  cui:  [e"i]  e  rat  (è  rotto)  ; 
e  mort  (è  morto),  —  je'oj  ni  ast  ala  (è  andato);  a  iast  brut  {è 
brutto). 

Il  punto  di  partenza  per  l'invasione  delle  forme  finali  nell'in- 
terno di  frase,  sono  stati  (v.  App.  I)  quei  casi  in  cui  all'interno 


'  E  anche  nella  desinenza  verbale  l'alternanza  tra  -an  ed  nn  e  ormai 
arcaica.  V.  App.  I. 

-  Sempre  tonico  perché  compare  solo  come  pronome  interrogativo  in 
affisso. 

^  Cfr.  BGIPSK,  X.  58. 


360  Terracini, 

l'accento  veniva  a  poggiare  con  particolare  forza  sul  verbo,  op- 
pure quelli  in  cui  alla  finale  non  seguiva  che  una  piccolissima 
pausa:  ciò  è  provato  dall'esistenza  delle  forme  [f]  che  sono 
vere  e  proprie  forme  preconsonantiche  che  non  possono  essere 
nate  in  finale  assoluta.  Avuta  cosi  una  via  aperta,  la  forma 
finale  accentata  entrò  all'interno  una  prima  volta  quando  era 
(come  è  ancora  per  alcune  fonti  arcaizzanti,  v.  App.  I)  èst  che 
si  allargò  in  est  e  soggiacque  in  parte  di  nuovo  alla  fonetica 
sintattica  prendendo,  secondo  i  casi,  le  forme  ef,  e;  àst  invece, 
importato  all'interno  più  di  recente,  non  subisce  più  alcuna 
modificazione. 

(Continua).  B.  A.  TerracixNi. 


GIULIO  BERTONI 


PEK  LA  STOHIA  DKL  DIALETTO  DI  MODENA 

(Note  etimologiche  e  lessicali) 


Il  pensiero  si  rinnova  incessantemente,  e  eoi  pensiero  si  rinnova  la 
lingua.  Molti  vocaboli  scompaiono,  ed  altri  sono  ad  essi  tosto  sostituiti 
per  virtù  dell'energia  creativa  del  nostro  spirito  e  per  le  necessità  d'ogni 
ora.  Ma  nei  dialetti,  col  trionfo  della  coltura  e  col  pi'evalere  delle  let- 
tere, sempre  più  manifesto  appare  un  fatto  doloroso,  su  cui  molti  eru- 
diti hanno  richiamata  l'attenzione  del  pubblico:  le  voci  perdute  vengono 
surrogate  bene  spesso  dalle  corrispondenti  letterarie  ;  e  la  sostituzione 
si  compie  con  tale  e  tanta  facilità  ora  mai,  che  le  naturali  facoltà  crea- 
tive si  direbb)éro  quasi  paralizzate,  se  le  confrontiamo  con  ciò  che  erano 
per  il  passato.  In  altre  parole,  la  parte  pivi  genuina  e  preziosa  dei  dia- 
letti, quella  che  può  esser  detta  depositaria  della  vita  e  della  storia 
delle  nostre  regioni,  si  disperde  e  scompare  a  poco  a  poco,  sopraftatta 
dall'invadente  letteratura.  E  vocaboli  meravigliosi  per  purità,  pei-  evi- 
denza e  perspicuità  e  quindi  per  bellezza  si  staccano  dalla  memoria 
degli  uomini,  piombando  nell'oblio. 

Chi  dice  più  a  Modena  oggigiorno  adracà  per  "debole,  mal  fatto  di 
corporatura  „  ?  Eppure,  questa  .splendida  voce  "  adarcato,  cioè  :  curvo, 
come  arco  .,  viveva,  vegeta,  sino  a  poco  tempo  fa.  Ora  è  in  procinto 
di  scomparire,  di  fronte  alle  intrusioni  letterarie.  E  il  vocabolo  aìirvrl  ^ 


'  È  singolare  questo  vocabolo  in  causa  del  r,  che  si  trova  bene  nella 
mia  fonte  (un  vocabolarietto  ms.  del  sec.  XVIII),  mentre  ci  si  aspetterebbe 
aliict.  Cfr.  frane,  aloiivi,  prov.  alohit.  Potrebbe  essere  che  si  trattasse  di  un 
eiTore  di  copista.  L'ital.  ha  allupato. 


362  G.  Bertoni, 

"  goloso  „,  desunto  con  vivace  imagine  da  "  lupo  ,,  non  è  foi'se  ancor 
esso  scomparso?  E  se  apriamo  alcuni  antichi  glossari,  esistenti  mano- 
scritti nella  Biblioteca  estense  e  vergati  da  mani  dei  secc.  XVII-XVIII, 
quante  mai  parole  ci  si  affacciano  ordinate  secondo  l'alfabeto,  che  sono 
o  perdute  o  invecchiate  o  che  stanno  per  disparire  !  Eccone  qui  alcune  *  : 
anguanen,  vitello  d'un  anno  [efr.  tose,  uguanno,  unguantio,  e  amnnotto], 
che  ormai  non  s'ode  che  nelle  campagne;  appiffiar,  dare  ad  intendere; 
arhuttin,  ciabattino;  arghensia,  orgoglio;  argutUirsi,  rannicchiarsi;  asioì, 
fanciullo  irrequieto;  assaigà,  nvàì  fatto,  sbilenco;  attavanà,  uomo  incol- 
lerito; araclgh^  delirio;  avrodgh,  acerbo;  avanzón,  maggese;  halaran,  ga- 
glioffone  ;  bdscar,  essere  scilinguato  ;  begra  (anche  ora  hrgra)  ;  hezìa,  trave 
piccola  per  i  tetti;  her^  cernecchio  [cfr.  Sciiiighardt,  "  Zeitschr.  f.  rom. 
Pliil.  „,  IV,  p.  126];  huja,  lite,  confusione;  hiirdana,  befana;  hnrdnal, 
grossa  trave;  cherchnela,  moto  disuguale;  deiiia^  piega  (endema);  dnevd, 
uomo  svogliato  ;  dsmim,  soverchia  delicatezza  ;  elza,  carretta  per  la  neve, 
senza  ruote  ;  frangerla,  burla  ;  fraza,  brina  grossa  [ferr.  fraza]  ;  gargan- 
filli,  vari  ornamenti  e  impropri  che  le  donne  pongonsi  talvolta  sul  capo  ; 
gargatton,  gola,  gozzo  ;  gherzola,  allegria,  eccitamento  ;  ghirigai,  gran- 
dezze, allegrezze;  gliirra,  cosa  da  niente;  giavra,  bufera;  gorgia,  alle- 
grezza ;  imhulgiar,  intascare,  cioè  "  imbolgiare  „  ;  inarniintirs,  incorag- 
girsi  ^  ;  mìicat,  delicatuccio;  mlichen,  carezze;  munzria,  cosa  da  niente; 
oriatiar,  vagare;  oxhnbox,  scartafaccio;  prizzar,  cercare  minutamente; 
2)scoJa,  vino  sul  fondo  ;  regn  (star  regn),  stare  contento  a  qualche  ca- 
rezza; sacAe»,  pulcino  [che  non  à  a  vedere  con  sacm-^9i«?j«/to,  pipistrello, 
a  Calvi,  Corsica,  Forsyth  Major,  "  Zeitschr.  f.  roman.  Phil.  „,  XVII,  158 
e  ScHucHARDT,  ib.  XXIX,  226];  sagradona,  gran  fame;  sbarzolaj,  tristo, 
derelitto  ;  sburbar,  urtare  ;  scagaborda,  paura  ;  scalancoìi,  ineguaglianza  di 


*  Le  trascrivo  con  la  grafia  che  trovo  nei  vocabolari,  senza  emendamenti, 
quando  non  ò  potuto  raccogliere  la  voce  dalla  bocca  di  nessuna  persona 
da  me  interrogata.  È  da  notarsi  che  V -ar  degli  infiniti  era  pronunciato, 
già  al  tempo  dei  nostri  vocabolaristi  e  molto  prima,  -cir,  mentre  essi  scri- 
vevano -ar  per  influsso  dotto.  Rispetto  anche  qui  l'antica  grafia.  E  così 
scrivo  e,  o,  senza  segno  speciale,  quando  mi  manca  il  corrispondente  nel 
dialetto  moderno. 

-  L'od.  modenese  ha  skmintirs,  "  sgomentirsi  „,  il  cui  -hit-  è  passato  a 
inarmintirsi^  "  inanimirsi  „.  Si  ha  n  in  r  per  dissimilazione  (moden.  ««ma). 


Per   la  storia  del  dialetto  di  Modena  363 

piain»  in  una  strada,  o  buco  ;  scadzar,  beffare  (scarhón,  beffardo)  ;  acavìissoH, 
pezzo  di  legno  e  si  dice  dei  denti  guasti;  schi/ihìn.  persona  macilenta; 
sconpiizl,  uomo  a  cui  nulla  piace;  sfalzou,  bilenco;  spndacc,  fessura; 
sgalliar,  togliere,  involare;  sgamaiffo)/,  pezzo  di  vincastro  {sgamaittunar, 
percuotere  con  vincastro)  ;  sgavdagnà,  storto  ;  sguaitar,  guardare  di  na- 
scosto *  ;  sguarnì,  guancia  (sostituito  da  massèla)  ;  smareng  {andar  a 
smareng),  vagare  oziosamente'  ;  spargujar,  disperdere;  spartora,  ordigno 
di  legno,  entro  il  quale  s'impasta  il  pane:  strahaìdar,  disperdere; 
surhlóìì,  gofì'o;  tolfa,  astuto;  tragondr,  inghiottire;  zancada,  angolo; 
zanr/iion,  incivile;  zarabigh,  miseria  estrema;  zarzagìa,  frammento  di 
veste  logora;  zirra,  cosa  da  niente,  ecc.,  ecc.  *. 

Questi  e  altri  molti  vocaboli,  già  scomparsi  o  sul  punto  di  scompa- 
rire, caduti  ormai  in  disuso  e  al  di  fuori  purtroppo  del  ristretto  patri- 
monio dialettale  delle  nuove  generazioni,  meritano  attento  studio  e 
e.ianie.  Alcuni  hanno  il  loro  etimo  evidente;  altri  possono  dare  occa- 
sione a  ricerche  svariate.  Mi  sono  jìroposto  di  illustrarli,  come  posso; 
e  ciualche  saggio  ho  già  dato  nella  "  Zeit.  f.  rom.  Phil.  „,  XXXIV,  203 
e  XXXV,  67.  Ora,  offrirò  qui  allo  studioso  alcune  nuove  noterelle,  alle 
quali  altre  farò  succedere  in  questa  rivista  o  altrove.  E  non  mancherò 
di  registrare  talora  alcune  voci  ancor  vive,  che  mi  paiano  degne  di  con- 
siderazione. 

Ago'in.  Voce  scomparsa*,  con  lo  scomparire  della  cosa.  Era, 
Vcxjohì,  una  piccola  moneta,  cioè  T'"  aquilino,,.  La  parlata  mo- 
derna non  à,  per  aquila,  che  la  voce  letteraria;  ma  l'ant.   mo- 


'  D'origine  non  modenese,  ne  emiliana,  in  causa  di  if. 

•  [11  Banohikui  (1626)  cita  anche  come  bolognese  marengo,  '"  errabondo  „. 
Sarà  da  ramingo  [P.  G.  G.]. 

^  Aggiungo  :  grenga,  "  orlo  ,  ;  gJtnen,  "  scimiotto  „  ;  paragiuiìit,  '"  regalo  , 
(è  lo  spago,  paragnante)  ;  sgraslar,  "  voce  delle  galline  prima  di  fare  l'uovo  ,  ; 
sghigna,  "  allegria  ,.  Queste  voci  mancano  al  vocab.  del  Maranesi. 

'"  Quando,  nelle  linee  che  seguono,  si  parla  di  voci  scomparse  o  anti- 
quate, senza  indicazione  alcuna,  sappia  il  lettore  ch'esse  sono  state  attinte 
ai  ricordati  vocabolari  inediti  modenesi  del  sec.  XVIII  esistenti  nella 
R.  Bibl.  estense  (cod.  Càmpori  K,  1,  15  e  "  Arch.  Muratoriano  ,,  filza  44,  n.  22). 


364  G.  Bertoni, 

denese  dove  avere  il  termine  *aguia,  attestato  nell'ant.  dialetto 
di  Bologna  ^  Oggidì  si  sente  àgola  nell'Ap.  emil.,  accanto  a 
aquila,  e  colà  si  anno  nomi  locali,  come  le  Asolare,  la  cui  base 
è  appunto  :  aqu(i)la.  Da  *agoia,  aguia  proviene  agoìn,  che  rin- 
vengo in  un  doc.  dell'a.  1349  ("  Arch,  Not.  di  Modena  „, 
Memor.,  1349,  n.  44)  :  "  libr.  dosento  di  modenese  in  aghuini 
"  vedi  „,  e  in  un  altro  atto  dell'a.  1384  {Memor.,  ad  ann.,  n.  412): 
"  SI  lasso  a  la  Lena  mia  moiere  fiola  de  Rigo  di  Omondo  la 
"  dota  soa  chi  è  L.  doxento  d'agoint  „.  E  più  sotto:  "  si  lasso  a 
"  mia  madre  Madona  Zecha  fiola  chi  fo  de  ser  Rolandim  da  Co- 
"  stregnan  la  dota  soa  chi  è  L.  cento  d'agoiin  „.  Lo  Zanetti  cita 
da  un  testo  del  sec.  XIV  gli  aguglini  ^  e  Cecco  Angiolieri  ricordò 
due  volte  (son,  XLI  e  LXXVII,  ediz.  Massèra)  l'aquilino  ^. 

Alino'v.  E  il  grido  che  si  ode  nelle  campagne  modenesi  quando 
il  31  dicembre  si  brucia,  come  si  dice,  l'anno  vecchio.  Abbiamo 
nel  nostro  termine  nulla  più  che  ani-nov,  con  dissimilazione  di  >i 
ia  l,  e  con  un  -/,  che  è  assai  interessante.  Cfr.  tose,  capi-f-uoco. 

Brof,  -a,  voce  contad.  per  "  amoroso,  -a  „.  Si  sente  accanto  a 
mrof  e  qui  non  è  citato  che  per  l'occasione,  che  offre,  di  met- 
tere in  evidenza  un  bel  caso  di  epentesi  di  h  tra  m-r  (moden. 
amhrq'f' ,  anibrólla  (^=  *amrolla,  midolla,  con  "-d-^'  in  -r-  ■*  come 
in  ant.  bologn.  e  march,  marona),  piac.  canibràs,  cani  erare -j- se), 
con  successiva  perdita  di  ìh  all'iniziale  (in  quanto  Va-  cadde 
perché  si  agglutinò  all'articolo  nella  forma  femminile).  Il  ter- 
mine hrqf  va,  dunque,  con  il  pur  moden.  hrenda  {=  mhrenda, 
mrenda).  Da  notarsi    è    anche,  in  questa  voce,    lo    scadimento 


*  C.  Ricci  e  Bacchi  della  Lega,  Diario  del  Nardi,  p.  187. 

^  Zanetti,  Monete  e  zecche  d'Italia,  Bologna,  1779,  T.  II,  p.  418. 
^  0  discorso  di  agoìn  in  Rev.  de  dial.  roin.,  Ili,  184  ;  ma  ne  ò  parlato  colà 
troppo  brevemente. 

*  [Forma  italica?  P.  G.  G.l. 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  ^!6.^ 

dell'o  protonico.  Si  vedano:  1'ia(;noi,i.  Foììef.  /k/dh.,  p.  40;  Ma- 
LAGÒLi,  Dilli,  di  XovelL,  p.  91,  e  il  mio  Dinl.  di  Modena.  §  82 
(p.  35)  '. 

Amonovar.  preparare.  Questo  vocabolo  si  trova  in  una  lauda 
scritta  in  un  cod..  che  porta  la  data  del  1B77  ("  Si'  se  de'  nnw- 


'  Ji  §  82  del  mio  lavoro  giovanile  sul  dialetto  modenese  (lavoro  alquanto 
iuiperfetto,  ma  non  inutile)  potrebbe  essere  facilmente  arricchito  con 
altri  casi  di  dileguo,  come  cròi,  cercine;  póin  dógn  (=  Icdugn).  cotogno; 
knósser,  conoscere,  ecc.  Questi  sono  esempi  già  conosciuti,  grazie  ad  altri 
studiosi.  Si  aggiunga  fguzz,  "  uomo  ardito,  lesto  ,,  che  rinvengo  negli  ant. 
vocabolari,  dalla  base  foai.  Mi  sia  lecito,  poi,  citare  la  forma  tnós.^er, 
accanto  a  knóssct-,  con  un  k-  in  t-  dinanzi  ad  n,  come  avviene,  dinanzi 
ad  »ì.  in  moden.  tméiii.  Né  voglio  trascurare  di  avvertire  che  una  storia 
degli  incontri  consonantici  nelle  varietà  emiliane,  sarebbe  quanto  mai 
preziosa  e  ricca  d'insegnamenti.  Non  è  qui  il  caso  d'insistervi;  ma  non 
v'à  dubbio  che  alcune  risoluzioni  meriterebbero  d'essere  definitivamente 
studiate,  come  apparirà  dai  seguenti  cenni,  pei  quali  mi  valgo  delle 
osservazioni  di  chi  mi  à  preceduto.  P]  per  cominciare  con  una  gagliarda 
risoluzione,  ricorderò  il  mant.  àvida,  pipita  (=  ^hrida,  *pvida).  ove  abbiamo, 
in  fondo,  lo  stesso  fenomeno  (cfr.  Ascoli.  Arch.  11,  402,  che  cita  il  romgn. 
dhu  (==  b'ru)  e  dbeTi  da  ft'r-,  *v'r-,  moden.  bdeù)  che  troviamo  nel  carpigiano 
dinnèl,  piccolo  imbuto,  accanto  a  bvinèl,  grande  imbuto  da  botte.  Dato  un 
sV/,  in  moden.  si  ha  spesso  la  metatesi,  mentre  in  bologn.  si  attiene  la  ri- 
soluzione g  (p.  es.,  moden.  dfmi'fdeg,  d/miudgav.  l)ol.  (jininfilì'v),  risoluzione 
che  è  parallela  a  quella  di  e  per  z  (ì).  Tuttavia,  in  un  caso,  per  lo  meno, 
il  moden.  à  g,  come  il  bolognese,  cioè  in  giva  (=  *d''/'iva,  diceva),  boi.  geva. 
Ma  si  à  sempre  a  Modena  fdgrazia,  non  mai  ggrazia  (Bologna).  Interessante 
è  anche  nel  modenese  yV-  in  sf,  sia  in  sferna,  già  conosciuto  come  un  vero  e 
proprio  sverna,  foraggio  invernale  ("  Krit.  .Tahr.  „  IX,  117),  sia  nel  n.  pr.  Sfera 
"  Severi  „.  Da  avvicinarsi  a  questo  fenomeno  è  naturalmente  spr-  in  .*/"?•- 
in  sfronhatù  (a  spron  battuto),  "  di  corsa  „.  Ad  età  tarda  (posteriore,  ad 
ogni  modo,  di  molto  a  ci  da  ti)  è  da  ascriversi  rt'l  in  ri  nel  sost.  marletta, 

saliscendi  dell'uscio  ,,  come  credo,  da  *niartelletta,  se  non  forse  da  menda, 
come  da  altri  si  è  pensato.  Diffìcile  è  decidere  fra  le  due  ipotesi. 

Tornando  all'epentesi,  dirò  che  l'incontro  di  m-l  non  dà  luogo  a  nessun 
fenomeno    Cfr.  modenese  inh'iun,  melone  [mentre  gr.  flÀojcjy.oj  (=  fiÀojay.o))]. 


366  <i.  Bertoni, 

nocare  „)  ^  ed  io  mi  domando  se  non  convenga  correggerlo,  sen- 
z'altro, in  amanomre,  poiché  V-a-  par  garantita  dall'ant.  moden. 
amnnva'r  "  preparare  „.  Nel  Vocah.  portatile  ferrarese-ital.  di 
F.  Nannini  (1805)  si  legge,  a  p.  Io-i:  "  marnar  [voce  del  con- 
tado], apparecchiare,  allestire,  ammannire,  apprestare  „.  L'etimo 
è  quello  di  "  ammannire  „  cioè  gemi,  manvjan,  divenuto  *{«/«)- 
manevire  (con  e  inserto,  mentre  nv  =  nn  in  toscano)  e  poscia 
*amanovire,  *amaìiovare  (di  qui  il  nostro  amonovar  con  assimi- 
lazione, se  non  si  voglia  ammettere  la  correzione  proposta)  e 
poscia  amanva'r  -. 

Ancjne,  plur.  anni.  Cito  questo  vocabolo  che  trovo  in  un  do- 
cumento della  prima  metà  del  sec.  XIV  ^,  perché  è  un  bell'esempio 
di  -a  (da  -nnj)  ;  oggi  si  dice  an  per  influsso  del  singolare,  più 
usato,  e  della  forma  letteraria.  E  invero  rimasto  pan  {=--  panni) 
nella  parlata   attuale,  per  la   ragione    ch'esso    era    ed    è    spes- 


^  È  il  cod.  dei  Battuti  di  Modena,  da  me  edito  nei  "  Beihefte  ,  della 
"  Zeit.  f.  rem.  Phil.  „,  n"  XXI. 

'■■'  [Io  penso  che  amanovar  sia  la  riduzione  a  fonetica  letteraria  A^Wamani^ar 
dialettale.  P.  G.  G.]. 

^  II  documento  è  dell'anno  1330;  ma  si  trova  inserto  in  uno  latino  del  1340 
{Memoriale  dell' Arch.  Notarile,  a.  1340,  n"  1469):  "In  Mile  trexewto  trenta 
"  die  undexe  de  zugno  eo  Nicolo  tiolo  chi  fue  de  meser  Andrea  bom  de  la 
"  contrada  de  santa  maria  madalena  confesso  ch'e  ò  apudo  e  receuuto  da 
"  Andrea  de  la  Mol^a  da  Modena  fiorin  doro  quatromilia  per  caxom  de  depo- 
"  sito  e  per^o  prometo  eo  Nicolò  per  mi  e  per  le  mie  herede  al  dito  Andrea  de 
"  rendirli  li  diti  fiorin  fin  a  dexe  a  n  g  n  e  proximi  chi  denno  uignere  pa- 
*  gando  per  anno  per  rata  fiorin  quatrocento  fin  a  eonipie  pagamento  suto  pena 
"  de  uinticinque  fiorin  per  cascum  termine  ch-ello  uolexe  et  eo  no  atendexe  zoe 
^  de  darli  li  dtcti  dinari  e  perfo  eo  si  obligo  tuti  li  mei  ben  mobili]  et  i»Mmo- 
"  billi  se  questa  scrita  no  sta  ben  eo  prometo  de  cun^arla  al  seno  del  sauio 
"  soe.  Eo  Nicolo  soure  scrito  confesso  che  la  dita  scripta  e  bem  scrita  de 
"  mia  man  sÌ9elata  del  meo  sÌ9ello  co»  eira  uerde  e  de  questo  si  è  teste- 
"  monie  Guido  ^wondam  ser  Bondi  de  la  capella  de  sancto  Archa[n]9elo  da 
"  Bolongna  e  magistro  .Jacomin  fiollo  de  Rigo  da  Monformoso  da  Uer^e  de 
"  la  capella  de  sam  Doni  et  Peyolo  di  HomeijO  da  Reyo  et  al.  ,. 


Per  la  storia,  del  dialetto  di  Modena  867 

sissimo  usato  al  plurale.  I  pan  indicano,  infatti,  nella  forma, 
plurale,  1'"  abito  „,  il  ''  vestito  ., .  Si  cfr.  aucora  ant.  nioden,  laa, 
burattino,  cioè  lanni,  sempre  per  influsso  di  un  i. 

Arami)-.  Voce  antica,  non  pili  in  uso,  tradotta  per  "  captare  „. 
Questo  vocabolo  è  assai  prezioso,  perché  è  venuto  alla  lingua 
parlata  dal  linguaggio  dei  tribunali.  Non  lo  credo,  però,  indi- 
geno. Credo,  invece,  che  rappresenti  un  ant.  frane,  prov.  raniir, 
aramir  (eatal.  aremir):  ma  non  saprei  opporre  argomenti  deci- 
sivi a  chi  volesse  derivarlo  dirottamente  dal  gemi.  ìiramjaìi. 
Xel  francese,  questo  verbo  si  presenta  con  accezioni  diverse  : 
"  garantire,  affermare  con  giuramento,  assalire  in  un  duello  di 
giustizia  e  assalire  in  generale  ,,.  La  bataille  araìiiie  fu  dapprima 
la  '•  prova  del  duello  .,  e  poscia  divenne,  per  generalizzazione, 
la  battaglia,  senz'altro,  aspra,  feroce.  Si  capisce  perciò,  dal 
punto  di  vista  semasiologico,  che  gli  antichi  vocabolaristi  ab- 
biano dato  ad  aramir  l'accezione,  alquanto  indefinita,  di  "  cap- 
tare ,  K 

Arhittiìi.  Voce  antica:  ciabattino.  Si  collega,  forse,  col  triest. 
rihoto  ('■  forte  di  suola  ..  terni,  dei  calzolaj,  Vidossich,  ''  Zeitschr. 
f.  l'oman.  Philol.  „,  XX VII.  p.  749)  al  verbo  "  rivoltare  ,,.  Si  noti 
che  gli  antichi  testi  modenesi  del  sec.  XVI  ìmno  hotfa  per 
"  volta  .,  -. 


'  [La  difficoltà  del  significato  scomparirebbe  colla  ipotesi  della  continua- 
zione diretta.  V.  Fick-Tori-  s.  hram:  "  ost  fries.  remmen  franimenl  '  fest- 
binden ',  ndl.  reitimen  '  hemmen  sperren  \.  P.  G.  G.j. 

-  [Reboto  è  assai  diffuso  nel  nord-est  d'Italia  e  vuol  dire  non  "  forte  di 
suola,  ma,  per  dirla  col  Pikona  s.  ribòtt,  "  quel  pezzo  di  cuoio  a  mezza- 
luna che  si  pone  dentro  o  fuori  della  parte  deretana  della  scarpa  o  .stivale, 
in  corrispondenza  del  calcagno  „,  oppure  coU'Ungarklli  s.arbùt  "  quel  pezzo 
di  cuoio  che  veste  internamente  il  quartiere  della  scarpa  fino  ad  una  certa 
altezza,,.  Al  mio  paese,  Lussinpiccolo  d'Istria,  si  dice  r/fto^rt.  Ora  a  Ferrara, 
secondo  il   Feuki,  arhòla  vuol  dire  topixi  ;   il  passaggio  da  toppa  a  "  forte  „ 


368  Ct.  Bertoni, 

Argliensia.  Voce  antica:  "  orgoglio  „.  Deve  essere  nient'altro 
che  argój,  orgoglio  (gemi.  i(r<jdli).  mutato  in  argensia  (leggi:  -sìa) 
con  sostituzione  di  -enzia  a  -oj.  Si  pensi  al  pur  raoden.  skifénzid. 
schifo. 

Asiól,  fanciullo  irrequieto.  È  il  senso  che  a  questo  termine 
è  dato  dai  vocabolaristi  del  sec.  XVIII. 

Il  vocabolo  non  à  più  nell'odierna  parlata  il  senso  datogli 
dagli  antichi  glossari.  Dirò  anzi  che  oggidì  afiól  è  adoperato 
soltanto  nella  locuzione  aver  V afiól  "  non  fermarsi  mai  „.  Ma 
TEmilia  conosce  bensì  afiól  col  senso  di  "  vespa,  tafano  ,.  (Nigra. 
Bomania,  XXXI,  511),  e  noi  possiamo  facilmente  credere  che  al 
significato  di  "  fanciullo  irrequieto  „  abbiano  insieme  concorso 
la  prima  locuzione  e  la  seconda  accezione  qui  registrata. 

Oggidì  dicesi  comunemente  afì  (bologn.  afei.  ven.  afégo).  che 
à  piuttosto  il  senso  di  "  frenesia  „  e  che  verrà  da  un  "^aslli/i 
(boi.  e  ven.,  da.asllÌH  combinato  con  aquiliu,  cfr.  Salvioni.  "  Arch. 
glott.  „,  XVI.  599),  mentre  afiól  sarà  stato  il  rappresentante  di 
un  afiliolu.  Piuttosto  che  indugiare  su  questo  vocabolo,  studiato 
già  dal  Nigra  in  un  articolo  che  lascia  poco  da  spigolare  ai 
successori,  converrà  richiamare  l'attenzione  dei  lettori  sopra 
un'altra  voce  registrata  negli  antichi  vocabolari  e  degna  d'es- 
sere qui  messa  in  evidenza  per  affinità  di  significato  e  anche 
per  non  udirsi  ormai  più.  Si  tratta  di  attavanà  (da  tavàn,  tafano) 
che  ebbe  il  senso  di  "  uomo  in  collera,  veemente  „.  Si  capisce 
di  leggeri  come  e  perché. 

Béqa.  ape.  La  voce  héga  non  si  rinviene  nei  testi  antichi,  nei 


non  solo  è  ovvio,  ma  in  Toscana  questo  pezzo  di  cuoio  si  chiama  effetti- 
vamente "  toppone  „,  V.  Pktrocchi.  Onde  arbutin  vorrebbe  dire  "  rattoppa- 
tore  di  scarpe  ,.  L'ipotesi  è  pienamente  confermata  dal  fatto  che  a  Parma 
arhotf  significa  '  scarpa  rattacconata  „  e  c'è  anche  il  verbo  arbotear  "  rat- 
tacconare ,  (Malaspina).  L'etimo  di  rebofo,  -n  appare,  dunque,  tutt'altro. 
P.  G.  G.]. 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  369 

quali  si  trova  avifta  (Lancillotto)  o  anche  av  (pron.  de).  La  nostra 
regione  rispondeva  i)erciò.  in  antico,  alle  condizioni  a  cui  sono 
rimasti  molti  dialetti;  aveva,  cioè,  come  molte  parlate  setten- 
trionali e  centro-meridionali,  la  base  ape,  {-a)  :  settentr.  av,  èf 
(Flpjchia.  "  Arch.  ...  U.  36,  n.  1).  sardo:  <(be,  sicil.  la}>a,  ven.  ara 
(cfr.  (tpa  e  lapa  nel  "  Tosco- venetianischer  Bestiari us  „,  edito  da 
Goldslaub  e  Wendriner,  p.  18),  lomb.  contad.  appia,  lapjna,  ecc.  K 
Notiamo  ancora  che  all'alba  del  sec.  XVIII  esisteva  ancora  in 
moden.  ar  ((Vi-),  perche  il  glossario  di  E.  P.  Gherardi  registra 
ancora:  al  ìeugr  (da  "  locoro  .,  ricavato  da  "  locora  „)  doc  egl 
av  fan  al  md,  melario.  Questa  constatazione  non  è  priva  d'im- 
portanza, perché  ci  permette  di  concludere  che  héga  è  un  voca- 
bolo di  tarda  formazione,  e  tale  da  doversi  ricongiungere  con 
un  termine  romanzo  e  da  non  derivarsi  direttamente  da  una 
base  latina  "-.  Non  ò  improbabile  che  esso,  prima  di  soppian- 
tare del  tutto  la  forma  legittima  av,  abbia  avuto  a  sostenere 
con  questa  una  lotta  (le  cui    fasi    ci   sfuggono)  ■',   già  finita,  ad 


*  Anche  a  Mn^gia  :  ava  ("  Arch.  „,  XIII,  332).  Da  "  ape  „,  con  suffisso, 
si  ebbe  avitto,  e  con  altro  suffisso  :  piem.  avija,  coni,  arie,  novar.  aviyji, 
valin.  viffa,  tose.  2^e'cchiu.  Anche  ape,  adunque,  come  altre  parole,  ebbe  bi- 
sogno di  un  suffisso  per  sottrarsi  alia  naturale  erosione  a  cui  vanno  soggetti 
i  vocaboli  di  una  sola  sillaba  romanza  (cfr.  frane,  soleil,  rermeil,  corbeil,  ecc.). 
Inutile  ripetere  (ho  già  discorso  di  questo  fatto  nel  mio  lavoro  Denom. 
dell'imbuto,  Modena.  1909,  e  vedi  ora  sopra  tutto  Schuchakdt,  Cose  e  iniì-ole, 
Congr.  di  etnogr.  ital.,  19-24  ott.  1911.  p.  4)  che  il  suffisso  non  dà .  al 
vocabolo  il  valore  di  un  diminutivo,  ma  va  considerato  come  un'aggiunta 
per  salvare  il  vocabolo  dalla  precitata  erosione,  causa  di  disparizione.  11 
suffisso,  in  simili  casi,  è  spesso  un'aggiunta  romanza,  come  nel  frane,  essette, 
ape,  ove  -ette  fu  aggiunto  ad  es,  che  ancor  vive  (Pas-de-Calais  e  altrove)  a 
lato  al  prov.  frane,  aheille.  Vedasi  ora,  per  le  forme  romanze  di  "  apem  , 
.Jdd,  in  '  Arch.  f.  d.  St.  d.  n.  Spr.  u.  Lit.  ,,  CXXVll,  418. 

*  Vedasi  il  mio  articolo:  Per  la  geografia  lingmstica,ìl[o(\ew.\,\^l\  (M)ep. 
di  St.  P.  ,,  voi.  VII). 

■'  Questa  lotta  era  cominciata,  per  lo  meno,  a  tempo  del  Muratori,  perché 
.sebbene  i  vocabolari  da  lui  posseduti  registrino  ar,  è  certo  ch'egli  conosceva 
anche  bega  (Cfr.  Antiqu.  ital.  diss.  33,  s.  Bigatto). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  '25 


370  G.  Bertoni, 

Ogni  modo,  al  tempo  del  Galvani,  il  quale  unicamente  cono- 
sceva héga. 

Come  accade  quando  un  nuovo  termine  riesce,  per  varie  ra- 
gioni, a  scacciarne  un  altro  di  nido,  il  genere  di  quest'ultimo,  se 
ciò  sia  possibile,  passa  in  eredità  a  quello.  Di  qui  risulta  che 
héga  altro  non  sia  che  un  heg,  baco,  usato  nella  forma  femmi- 
nile {bega),  di  formazione  romanza,  a  sostituire  àv  o  dea.  Il  pro- 
blema etimologico  va  imperniato  perciò,  a  mio  parere,  su  Mg 
e  non  già  su  héga  ^  E  a  questo  proposito,  nulla  si  potrebbe 
fare  di  meglio  che  rimandare  ad  alcune  lucide  pagine  del 
Flechia,  "  Arch.  glott.  „,  II,  36  sgg.,  nelle  quali,  con  molte  e 
buone  ragioni,  si  propone,  a  spiegare  heg,  la  forma  *bombex,  da 
porsi  accanto  al  gr.  homhyx. 

Col  nostro  héga,  siamo  adunque  dinanzi  a  un  caso  di  abban- 
dono etimologico;  e  non  sarà  inutile  ricordar  qui  che  la  sosti- 
tuzione è  stata  diversa  dal  modenese,  nel  parmigiano,  dove 
si  à:  vrespa,  ad  indicare  l'ape.  Altre  sostituzioni  :  in  certi  luoghi 
della  Francia,  sopra  tutto  della  Francia  orientale,  si  ha  monche 
à  miei,  o  anche  moìichetfe,  mourJtofte  (nel  Nord  :  ntouche  à  laui  o 
à  Ioni,  ovvero  bourdoti,  oppure  essaim,  sciame,  il  tutto  per  la 
parte)  e  in  rumeno:  albina  {da,  alrus,  alveare,  Puscariu,  Wb.  59). 

L'idea  di  "  baco  .,  poteva  facilmente  estendersi,  oltre  che  al- 
l' "  ape  „,  ad  altri  animalucci,  qualora  un  suffisso  o  un  qualsiasi 
altro  segno  distintivo  fosse  venuto  ad  impedire  ogni  confusione 
tra  i  due  o  più  oggetti.  Cosi,  a  Modena,  il  grillotalpa  è  chia- 
mato bega  zucchera  e  a  Parma  è  detta  bèga  mora  la  "  xilocopa 
violacea  ,,   e  héga  jdousa  la  larva  della  "  litosia  carniola  „  ^ 


^  La  forma  va  tenuta  distinta  dal  prov.  beco,  sia  che  si  accetti  per  esso  un 
etimo  celtico  (Meyer-Lììbke,  "  Zeitschr. f. rom. Philol.  -,  XXIX,  403)  o  meglio, 
come  a  me  pare,  l'etimo  dello  Chabaneau  (lat.  w.s/>«),  Gramm.  lini.,  p.  116. 

^  Interessante  è  poi  la  voce  bixati  (lomhrixi  ouero  bixati),  da  una  forma 
di. plurale,  che  trovo  nel  ms.  ital.  2151  (Re  Daxco,  Natura  di  falconi)  deUn. 
Bihl.  Naz.  di  Pariori. 


Per  la  storia  del  dialetto  di   Modena  371 

Bìiì'dana.  befana.  Sulle  vario  denoiiiinazioiii  della  Befana  si 
potrebbero  fare  utili  o  curiose  ricerche,  cosi  su  ((nelle  derivanti 
dalla  base  greco-lat.  Epifania,  come  sull'altre  di  origine  diversa. 
In  pili  luoghi  dell'Ap.  euiil.,  dicesi  Buffatjua,  che  altro  non  sarà 
che  epifania  (con  /  in  a  certo  per  influsso  labiale),  e  in  altri  luoghi: 
Befania  e  befana.  La  stessa  base  abbiamo  negli  engad.  Bavani 
e  Boagna  e  in  prov.  lìnfaìiia  e  fi',  (a.  lor.)  Bruvenie.  Notevole 
è  poi  che  il  provenzale  abbia  hroìifoioìii',  bn'foKni/',  boufanié,  gri- 
founìé  "  biuit  de  la  tempète,  mugissement  de  la  mer  agitée 
(Mistral)  .,  ,  forme  che  sono  state  acutamente  spiegate  dal 
Thomas,  Mèi.  d'éfgm.,  p.  oS,  movendo  dalla  medesima  base,  e 
che  ricordano  le  feste  rumorose  dell'Epifania,  non  ancor  morte 
oggigiorno. 

Il  nostro  bardana  à  altra  origine.  Si  riannoda,  cioè,  ad  un'altra 
base,  i  cui  derivati  nei  parlari  dell'Emilia  e  della  Lonibardia 
anno  il  senso  di  "  spettro,  visione,  apparizione  „.  Nel  moden. 
borda  à  il  significato  di  "  larva  „  e  di  "  Befana  ,,  (Galvani); 
in  milan.  bordoeii  vuol  dire:  orco,  befana,  ecc.  Curioso  è  poi 
che,  con  altri  suffissi,  si  abbiano  denominazioni  per  animali, 
come  milan.  bordoc,  baco  da  seta,  tic.  burdaca,  lombrico,  bologn. 
burdigon,  moscone.  In  piacent.  bordlein  significa  "  piccolo  fan- 
ciullo „,  quasi  "  diavoletto  „.  Ricorderò  infine  il  lomb.  borda, 
maschera,  e  l'ant.  moden.  scagaborda,  paura  ^ 


*  [Sono  voci  diftu.se  in  una  zona  assai  larga.  Bordello,  ragazzo,  è  sconfi- 
nato anche  nel  contado  pi.stoiese  (Petrocchi),  hnrdel  è  dato  per  il  romagnolo 
dal  Mattioli,  e  m'è  noto  come  proprio  della  Romagna  marittima  (Viserba^ 
della  Rom.  del  piano  [bqrdel)  e  dell'alta  Romagna  toscana  (S.  Sofia,  bordfì). 
—  Superfluo  ricordare  l'ital.  bordello  e  il  ven.  bordel.  —  A  Bologna  s'à 
barda,  spauracchio.  Orco,  Befana  (Ungakelli");  dall' Apennino  bolognese 
(alta  vaile  del  Lavino)  m'è  noto  borda,  spauracchio  di  bimbi  e  propriamente 
la  donnola  ;  bQrda,  Befana,  spauracchio,  è  dato  dal  Mattioli  anche  per  la 
Romagna.  P.  G.  (t.]. 


372  G.  Bertoni, 

Burdnal,  "  trave  „.  Si  trova  nei  testi  modenesi  del  sec.  XVI 
ed  è  registrato  anche  nei  vocabolari  del  sec.  XVIII.  Siamo  di- 
nanzi a  una  derivazione  da  burdus  =^  "  asino  „,  da  mettersi  ac- 
canto al  bergam.  bordunàl,  burdunàl,  "  alari  del  fuoco,  sostegni 
delle  legna  nel  focolare  „  :  cfr.  piac.  brmdnal,  com.  brendenaa, 
piem.  brande  e  vedi  per  queste  formazioni,  Richter,  Die  Bedeu- 
tungsgeschichte  der  roinan.  Wortsippe  "  bur{d)  „,  Wien,  1908,  p.  10. 
Il  passaggio  di  senso  da  "  bestia  da  soma  „  ad  "  oggetto  che 
porta,  sostegno  „ ,  non  è  tale  da  stupire  nell'ordine  semantico. 
Ricorderò  il  frane,  sommier,  che  à  appunto  il  senso  di  trave, 
soprattutto  in  vallone  piccardo,  normanno,  ed  è  passato  persino 
nella  lingua  letteraria  e  rimanderò  il  lettore  alle  ricerche  del 
Meringer  sui  nomi  del  "  Feuerbock  „  ("  Indogermanische  For- 
schungen  „,  XVI,  136)  e  dello  Jud  sul  frane,  poutre  C"  Arch.  f. 
das  Studium  d.  neueren  Spr.  u.  Lit.  „.  CXX,  1908). 

Bufgàt,  majale.  Al  vocabolo  modenese  (e  ferrarese)  conviene 
mettere  accanto,  com'è  naturale,  il  mantovano  bofgàt,  vene- 
ziano busegdt,  majale.  Siamo  dinanzi  a  una  voce  formatasi  col 
suff.  -aftif,  usato  soprattutto  in  nomi  di  animali  (p.  es.  cerbiatto, 
lupatto,  orsatto.  ecc.,  Meyer-Lììbke,  R.  G.,  II,  §  506),  sicché  bufgat 
sarà  un  hif-{i)c-att{ó).  La  base  del  vocabolo  avremo  conservata 
nel  prov.  e  fr.  bouso,  -e  (piem.  busa,  sterco)  e  un  primo  derivato 
sarà  bousic  "  ver  de  terre  ,.,  e  poi  bousigà  "  fouiller  la  terre  (en 
parlant  des  pourceaux)  „,  bousigadou,  "  groin  de  porc  ...  Il  piem. 
à  buseca  "  budellame  di  animali  „  e  buse  "  letamaio  „.  L'Italia 
settentrionale  à  poi  bufigàr  -dr,  in  cui  sentivasi,  per  lo  meno 
in  gran  parte  del  Nord,  la  parola  buj]  bufo,  buco.  E  hifigàr  è 
rappresentato  in  Toscana  da  bucicare,  bugicare  (che  proverranno 
dal  Nord),  e  infine  bugigattolo. 

Crém,  radice  piccante  per  salsa.  Va  col  piem.  creìt   e    non  è 
altro  che  il  ted.  kraen,  che  è  passato  anche  al  francese. 

Cròi,  cercine.  Voce  antiquata,  ancor  viva  nelle  campagne.  E 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  373 

un  bel  continuatore  di  ^corolliunt,  dal  quale  potrebbesi  ora  to- 
gliere l'asterisco,  perchè  la  sua  esistenza  è  attestata  dalla  forma 
greca  y.oQO?Mov.  rinvenuta  recentemente  nei  papiri  greci  egi- 
ziani da  C.  Wessely,  Die  latein.  Eleni,  in  der  GraziUit  der  dgyp- 
tischen  Fapirusurkunden,  in  "  AViener  Studien  „.  XXIV  (1902), 
p.  99  sgg.  Il  senso  dove  essere  quello  di  "  piccola  corona  „. 
Cfr.  coroijlio,  coruoylio  e  vedine  ora  Pirson,  Krit.  Jahresb.,  VII, 
(I),  p.  61.  •  • 

Elza,  carretta  per  la  neve,  senza  ruote.  Voce  scomparsa.  Pur- 
troppo i  vocabolari  non  ci  dicono  nulla  sulla  natura  di  e-,  sicché 
non  potremmo  sapere,  sulla  loro  unica  scorta,  se  esso  rappre- 
senti un  a  (che  volge  pure  a  a  seguito  da  Z  -|-  cons.),  ovvero 
un  e.  Tutto  ciò  che  si  potrebbe  dire,  si  è  che  esso  non  continua 
un  e,  perché  in  questo  caso  i  medesimi  vocabolarietti  settecen- 
teschi hanno  ei  (p.  es.  beiga  ziiccherd,   "  grillotalpa  „). 

L'ipotesi  che  il  vocabolo  si  riannodi  al  ted.  hals  (cfr.  aussière 
in  "  Dict.  gén.  s.  hauss.  „).  con  intromissione  di  "  alzare  „,  va 
scartata.  Meglio  pensare  che  si  tratti  di  helriuìn,  -d  (per  gli 
ital.  ahaia.  (dzana,  "  corda  da  tirare  alla  riva  il  battello  „, 
cfr.  Salvioni,  "  Zeitschr.  „.  XXIII,  516),  sul  quale  la  voce  "  al- 
zare „  potrebbe,  in  fin  dei  conti,  aver  fatto  sentire  la  sua  effi- 
cacia. Ma,  a  ben  guardare,  l'etimo  Jielciuni  (si  pronunci  allora 
cls'i)  '  è  il  solo  che  si  presenti  accettabile.  Bisogna  ammettere 
che  in  realtà  il  vocabolo  adoperato  ad  indicare  la  fune  sia  pas- 
sato a  designare  addirittura  la  carretta  per  la  neve.  Si  cfr.  il 
romagn.  pardyJiir  (perticarius)  per  "  aratro  „.  Abbiamo  anche 
qui  un'estensione  di  significato  da  una  parte  al  tutto  ^. 


^  [Che  si  tratti  di  originario  è,  è  posto  fuori  di  discussione  dal  boi.  e  ferr. 
ìlza  (Ungarklli  e  Ferreri);  vive  la  voce  anche  nell'alta  valle  del  Lavino 
dove  si  à  elza.    P.  G.  G.j. 

■  Nella  ■*  Cronica  modenese  ,  dello  Spaccini,  edita  recentemente  {Montim. 


374  G.  Bertoni, 

Garù,  gheriglio  di  noce.  Voce  che  può  dirsi   antiquata    e    in 
via  di  scomparire. 

Di  essa  à  discorso,  con  l'usata  maestria,  lo  Schuchakdt  in 
"  Zeitschr.  „,  XXIII,  193.  Egli  cita,  insieme  a  molte  altre  forme 
dell'Alta  Italia  (da  ricavarsi  da  *carilium,  *cariolum,  *carolum, 
*carellum)  il  regg.  garù,  il  boi.  garoi,  l'imol.  garei,  il  mirand. 
garù,  il  moden.  garóll,  garói  e  gari'i.  Oggidì  la  sola  forma 
usata,  ch'io  sappia,  è  garól,  benché  il  Maranesi  abbia  accolto 
anche  garù  nel  suo  vocabolario  ^  Il  più  antico  esempio  di  gcn'>'( 
mi  è  dato  da  un  inventario  di  farmacia,  conservato  nei  "  Me- 
moriali „  dell'Archivio  notarile  di  Modena,  dell'a.  1327.  In  questo 
inventario,  la  forma  è  stata  latinizzata  per  garidu,  com'è  fatto 
chiaro  dalla  frase  (n.  93):  "  Decem  et  septem  ììhrsis  de  gartitis 
"  de  mandoUis  „.  La  cosa  meritava  d'essere  notata-,  come  me- 
rita altresì  d'essere  registrato  un  altro  vocabolo,  per  indicare 
"  malescio  „,  che  rinvengo  in  un  vocabolarietto  manoscritto  del 
sec.  XVIII  e  che  non  trovo  nei  glossari  a  stampa  (Reggianini, 


di  St.  Patria,  XVI)  si  legge  (p.  104):  "  tutte  le  lelze  ,.  Lo  Spaccini  appar- 
tiene ai  secc.  XVI-XVII.  In  tale  periodo  viveva  dunque,  accanto  a  elza,  la 
forma  lelza  con  artic.  agglutinato. 

^  Il  mod.  ant.  garoi  potrebbe  essere  una  bella  forma  di  plurale  (sìng.  garól), 
dato  che  non  venga  da  una  base  in  -iu,  passata  al  singolare  (cfr.  cavi,  ca- 
pello e  fotti,  fungo,  cioè  "  fungio  ,  come  si  ode  nell'Appennino  emiliano 
[e  in  molti  altri  luoghi]).  La  voce  guru  si  comincia  a  sentire  verso  Reggio 
(Rubbiera).  Il  dial.  bolognese  ha  anch'esso,  come  aveva  il  mod.,  il  sing. 
garoi.  [Il  boi.  è  propriamente  garoiì  che  l'U.  scrive  garojj.  La  voce  è  pe- 
netrata anche  nella  Lucchesia,  v.   "  Arch.  ,,  XII,  129.  P.  G.  G.]. 

^  Conosco  due  inventari  di  farmacia  nei  Memoriali,  l'uno  dell'anno  1305. 
l'altro  del  1327.  Vi  noto:  eira  {od.  sira,  cera);  ?Jiro  (od.  pir);  un  "  carnerius 
de  lana  „  (od.  laza,  accia);  un  "  libra  Riquilicie  „  (od.  Lucrezia,  liquerizia): 
un  "  teragnol  „  (od.  tragnól,  terraneolu-,  vaso  di  terra  cotta);  un  "  doìdus  , 
(od.  cóld,  chiodo);  parecchie  "  zangolle  „  (od.  zangìa)  e  un  turtuì-oliis,  imbuto 
(oggi:  bvitu'l),  del  quale  ho  già  discorso  nel  mio  citato  studiolo:  Denomin. 
delViinì)uto  nell'Italia  del  Nord,  p.  9. 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  375 

Galvani,  Maranesi)  :  (/aì';/((Jóìi,  su  cui  è  da  vedersi  ancora  lo 
ScHUCHARDT,   "  Zeltsclir.  ...   XXIX,  324. 

(rlterzola,   allegria,   buon    umore.   Termine    ormai    scomparso. 

Questa  voce  è  anch'essa  unicamente  registrata,  ch'io  sappia, 
nei  lessici  del  sec.  XVIII.  Va  col  verbo  arghia'r,  eccitare,  lomb. 
(lìit'r:/ir  ^  con  uguale  significato  (a.  alto-ital.  agrecar). 

Si  ttatta  d'una  formazione  col  suffisso  -olii  e  il  significato 
sarà  di  "  piccolo  eccitamento  „,  quindi:  "  allegria  „.  L'antico 
lombai'do  aveva  agrt-ro  ("  Ardi.  gì.  „,  XII,  885),  col  senso  di 
"  ressa,  impeto  ..  Per  Ver  di  (jheriola  (si  può  con  tranquillità 
scrivere  ^-  -).  si  confronti  ferzos.  a  lato  a  freza,  nell'ant.  mo- 
denese (testi  del  sec.  XVI). 

(rrannnarh/h,  "  uom  che  per  piccola  cosa  si  corruccia  „.  Voce 
scomparsa.  E  evidentemente  il  lat.  (jrammalicKS,  sui  cui  riflessi 
à  dissertato  di  recente  lo  Schuchardt,  "  Zeitschr.  f.  rom.  Fhil.  „, 
XXXI,  8-51.  In  testi  pavani,  gremega  è  "  irata  ..  ("  Arch.  „, 
XVI.  306)  e  nelle  Egl.  trevigiane  abbiamo  Me  gremeghe  '"  queste 
pettegole  „   (op.  e  1.  cit.)  ^. 

Incaììocdr,  mangiare  avidamente.  E  un  derivato  di  "  canna  „  nel 
senso  di  "  gola  „.  ormai  scomparso.  Proviene  da  in-cann-occ-are. 
Qui  mi  sia  lecito  aggiungere  qualche  parola  su  canna  e  in  questa 
occasione  sulla  voce  ferr.  canaca.  Questa  voce  si  legge  nell'in- 
ventario del  corredo  da  sposa  di  Anna  Sforza  (1491):  '•  La  111.™* 
*•  M.'  Anna  di  hauere  che  portò  da  Milano  tucte  le  infrascripte 
"  zoglie  perle  zuielli  <-anache   colane    ut    infra  „.  Occorre   chia- 


'  Cfr.  ora  Salvioni,  Romania,  XXXTX,  436.  Negli  antichi  vocabolari  trovo 
anche  aghi-zar,  senza  metatesi.  Attribuisco  la  medesima  origine  al  lomb. 
(jhrezà,  eccitare,  che  trovo  in  Zaccaria,  Elem.  gemi.,  p.  555.  Zaccaria  pensa, 
senza  ragioni  convincenti,  a  una  derivazione  dal  germanico. 

-  [Infatti  la  voce  che  è  viva  nell'alto  Lavino  è  colà  sgarrala-  P.  G.  G.]. 

•'  11  pist.  à  ancora  gramatico,  *  elegante  „.  E  per  altre  derivazioni  da 
gramatica,  vedasi  Sciutiiaudt.  op.  cit.,  p.   11. 


376  G.  Bertoni, 

mare  a  consulta  i  seguenti  vocaboli,  con  i  quali  il  nostro  ter- 
mine è  imparentato:  napol.  cannale,  "  collare  „  e  "  collare  del 
campano  „  ;  abr.  canacche,  "  collana  „  ;  lomb.  ven.  trent.  cana- 
vola,  cannóola,  candida,  canavra  ;  bresc.  trent.  cammgola,  "  col- 
lare da  pascolo  „.  Siamo,  come  à  visto  il  Nigra,  Nomi  romanzi 
del  collare  degli  animali  da  pascolo,  in  "  Zeitschr.  „,  XXVII,  129, 
a  una  base  "  canna  „,  che  ebbe  ed  à  realmente  il  significato 
di  gola  (cfr.  ital.  tracannare,  calabr.  cannarotu,  ghiottone).  Sol- 
tanto bisognerà  ammettere  che  i  suffissi  siano  diversi    e    cioè: 

1.  Suff.  -ale:  napol.  cannale  (cfr.  ital.  bracchiale). 

2.  Suff.  -bulli:  cannatola,  cannaola,  cannagola.  ecc.  Quanto 
all'alternativa  di  v  e  g,  si  confronti  biscia-bora  "  ad  arco  di 
serpe  „  (su  cui  ancora  Nigra,  "  Arch.  glott.  „,  XV,  295)  e  ant. 
moden.  biscia-boga  (vocab.  del  sec.  XVIIl)  ^  Da  un  cannaoola 
derivò,  parmi,  il  canava  "  collana  „  dell'Inventario  del  Palazzo 
Piccolomini  (sec.  XVI)  per  via  d'un  raccorciamento,  forse  perché 
-ola  fu  preso  per  il  suff,  -uhi.  Del  resto,  la  voce  dove  viag- 
giare con  la  cosa  e  sarà,  in  più  luoghi,  un  termine  importato. 

3.  Suff.  -accu  :  a.  ferr.  canaca  ;  abr.  canacche.  Su  questo 
suffisso  -accu,  si  cfr.  Meyer-Lììbke,  Rom.  Grani.,  II,  §  499,  il 
quale  scrive:  "  zweifelhaft  ist,  ob  auch  ein  -accu,  {-eccu,  -occu, 
-uccu)  anzusetzen  sei  „.  Ma  il  -e-  attesta  bene  in  canaca  il 
suff.  -accu  (e  non  -acu).  E  lo  stesso  suffisso  che  si  à  nel  moden. 
skirac,  "  scojattolo  „  e  nel  ferr.  travaca,  ital.  trabacca.  Cfr.  anche 
HoRNiNG,  "  Zeitschr.  „,  XX,  336. 

Curioso  è  che  il  nostro  inventario  registri,  accanto  a  canaca, 
un   "  collane  „,  che  ne  è,  come    a    dire,   la  traduzione.  Ciò  può 


*  Questo  boga  presenta  un  problema,  perché,  foneticamente  parlando, 
potrebbe  derivare  àiinnhauga,  "'  anello  ,  (Bruckner,  "  Zeitschr.  „  XXIV,  65), 
ma  trovandolo  insieme  a  "  biscia  „,  meglio  vale  pensare  alla  forma  lat.  boa, 
bora,  '  serpe  „.  Non  è  improbabile  che  la  derivazione  tedesca  valica  per  il 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  377 

far  pensare  che  anche  a  Ferrara  il  vocabolo  non  sia  stato  indi- 
geno, ma  sia  venuto  con  l'oggetto  ^  Tuttavia,  su  ciò  non  con- 
viene insistere,  per  le  molte  dubbiezze,  in  cui  ci  si  trova  avvolti, 
per  mancanza  di  dati. 

4.   SufiF.    -occK.    Ant.    modcn.    incanocdr,    di    cui    si    è    già 
parlato. 

Lénca,  qui  vicino,  qui  presso.  Voce  ancor  viva  nelle  cam- 
pagne: spiegata  (Salvioni.  "  Kom.  „,  XXXVI,  230)  da  *ilU)ì<iue. 
La  ricordo  per  aver  occasione  di  citare  il  franco-prov.  enqua 
(liTnqne),  che  va  con  la  voce  modenese  e  con  parm.  krnka, 
!r>ìca. 

Linzdr,  tagliare.  Vocabolo  ancor  vegc^to  oggigiorno. 

Il  crenion.  à  nhizà,  "  tagliare  .,  e  il  mant.  nizzàr.  La  base, 
come  vide  già  il  Mussafia,  Beitrac/,  1()9,  è  initiare,  con  un  lo- 
gico trapasso  di  significato.  Con  ìùzzà,  ninzìir  si  connette  limar 


lomb.  boghe,  "catene,,  che  abbiamo  anche  in  Villani:  bove,  catene  dei 
piedi.  E  può  essere  che  le  due  forme  si  siano  fuse  insieme,  dando  luogo 
cosi  a  un  onieotropo.  L'ant.  fr.  ha  bau,  "braccialetto  ,,  certamente  da  una 
forma  germanica. 

^  Del  viaggiare  dei  vocaboli,  con  le  cose  che  designano,  da  un  luogo 
all'altro,  il  linguista  (è  cosa  ormai  da  tutti  riconosciuta)  deve  fare  gran 
conto.  Mi  si  consenta  di  riprodurre  qui  le  seguenti  linee  dello  Juu.  alle 
quali  non  si  può  non  sottoscrivere:  ''Die  meisten  Monographien  lebender 
■*  Mundarten  fussen  in  ihrer  Darstellung  auf  dem  Prinzip,  dass  die  Laute, 
"  Formen  und  Worter  das  Produkt  einer  bodenstiindigen  ununterbrockenen 
"  Eiitwicklung  vom  Lateinischen  bis  zum  heutigen  Tage  darstelien.  Wer 
""  beobachtet,  wie  gewisse  Lauterscheinungen  wandern,  wer  vor  allem  in 
"  der  Wortgeschichte  der  Wortwanderung  auf  Schritt  und  Tritt  begegnet, 
"  wird  nicht  iimhin  dazu  kommen,  dcm  Prinzip  der  autochthonen  Ent- 
■"  wicklung  schwere  Bedenken  entgegenzustellen.  Jedes  Wort  solite,  bevor 
■*  ihra  in  einer  lautlehre  Aufnahme  gewilhrt  wird,  genau  auf  sein  Alter, 
"  scine  Verbreitung,  scine  Geschichte,  scine  Bedeutung  gepriift  verden  , 
C  Revue  de  dialectologie  romane  „,  II,  p.  106).  Parole  giustissime,  non  v'à 
dubbio;  ma  quanto  di  rado  e  attraverso  a  quante  dif6coltà  si  può  mai 
tracciare  la  storia  di  un  vocabolo  ! 


'ola  G.  Bertoni, 

nel  quale  avremo  un  n-  in  l-,  ovvero,  se  meglio  piace,  un  "^inziir 
munito  di  un  /-  prostetico  dovuto  al  pronome  ille  usato  con  le 
forme  di  8='  pers.  Cfr.  piacent.  leimp  =  "  implere  „  e  moden. 
lansdr,  ital.  ansare.  In  quest'ultimo  esempio,  /-  potrebbe  venire 
dal  sost.  lans  "  ansimo  „,  ed  essersi,  in  fondo,  propagato  al 
verbo  dal  sostantivo  con  l'articolo  concresciuto.  Si  tratterebbe 
di  uti  influsso  esercitato  sul  verbo,  a  sua  volta,  dal  deverbale  '. 
Aggiungo  che  gli  ant.  vocabolari  danno  anche  lem  "  inconìin- 
ciato  a  esser  rotto  „. 

E  giacché  sono  a  parlare  di  initiare.  mi  si  conceda  di  dire 
che  non  mi  pare  accettabile  la  base  mifiii  per  ììézz.  Negli  an- 
tichi vocabolari  nezz  si  trova  adoperato  per  indicare  i  frutti 
guasti  nell'espressione  madur  nezz  e  a  me  sembra  molto  pro- 
babile che  iiézz  debba  il  suo  n-  a  una  dissimilazione,  per  trovarsi 
originariamente  dopo  madur.  S'io  ò  ragione,  bisognerebbe  ritor- 
nare alla  base  mitÌK  ^. 

Ludreft,  imbuto.  Voce    scomparsa  a  Modena,  ma    ancor  viva 


'  Credo,  infatti,  che  il  mod.  latifi  sia  un  deverbale.  Non  lo  metterei,  perciò, 
col  Meyek-Lubke,  Roin.  Efym.  Wb.,  n°  5909.  con  ital.  ansia,  fr.  ainse  ecc. 
da  *  anxia  ,. 

^  [Prendo  l'occasione  di  dire  che  la  difficoltà  di  riconnettere  mezzo  a 
mitili  per  Ve  si  supera  molto  facilmente  pensando  che  la  forma  volgare  non 
risalga  al  latino  urbano,  ma  al  rustico  o  all'italico,  e  non  risalga  a  indeur. 
niltio-  ma  a  meitio-.  Infatti,  mentre  nel  latino  ei  si  riduce  ad  I,  nei  dialetti 
italici  e  nel  Lazio  stesso  esso  dà  è:  es.  pel.  rfes,  "  dives  „,  voXsc.  deue,  dirò 
0  divae,  se  sepis  si  siqids,  umbr.  deveia  ecc.,  e  per  il  dittongo  e  per  la  dif- 
fusione del  vocabolo  nella  indo-europeità  occidentale  e  quindi  nell'Italia 
antica  ricordo  l'acelt.  inditli,  moeth,  "  tener  „.  Né  offre  difficoltà  il  suffisso 
se  si  ricorre  ad  una  forma  rustica;  mìtis  apparterrebbe  all'antica  declina- 
zione ijio  e  nel  latino  urbano  sarebbe  passato  alla  declinazione  in  -i-,  nel 
rustico  a  quella  in  -io-.  Anche  l'infrequenza  del  vocabolo  in  latino  è  un 
indizio  di  rusticità  ;  altrettanto  vale  per  il  significato.  Quanto  al  nesso 
madur  nezz  ricordo  il  matiirior  et  mitior  di  Cicerone  [Brut.  288)  che  dimostra 
questo  accostamento  dei  due  aggettivi  molto  ovvio.  P.  G.  G.]. 


Per  la  storia  flel  dialetto  di  Modena  379 

nel  reggiano,  a  cominciare  da  Kubiera.  Serpeggia  ancora  qua 
e  là  per  le  colline  al  Sud  di  Modena.  Nel  mio  lavoro  sulle 
"  Denominazioni  doU'imbnto  „,  già  citato,  ò  sostenuto  che,  data 
la  presenza  di  ìiidrì^tt  a  Heggio  e  della  medesima  base  nel  tren- 
tino, e  dato  il  vocabolo  tìirturolus  in  testi  del  sec.  XIV,  occorre 
ammettere  che  l'odierno  bvinèl  è  di  formazione  recente.  Xon 
sarà  inutile  aggiungere  che  i  glossari  antichi  (secc.  XVII-XVIII) 
ci  fanno  assistere  alla  lotta  fra  bvinèl  e  ludrUt  registrando  i 
due  vocaboli,  come  modenesi.  Registrano,  altresì,  lodr  d'oli,  cioè 
"  otre  da  olio„. 

Miarcìia,  "  acquerugiola  „.  Voce  registrata  negli  antichi  vo- 
cabolari, poco  0  nulla  usata  oggigiorno.  L'etimo  ne  è  quanto 
mai  semplice.  Siamo  a  un  '"  migliarina  ,,,  quasi:  piccoli  granelli 
di  miglio,  piccole  goccie  d'acqua.  Nel  dial.  odierno,  la  voce  nii- 
gli<tre)ìit  è  adoperata  per  designare  i  piti  fini  pallini  da  caccia 
[che  è  anche  dell'ital.  migliarini  o  migliarola.  G.J. 

Mlichén,  carezze.  Vocabolo  antiquato.  Quanto  all'etimo,  penso 
che  esso  sia  germanico,  forse  m.  a.  ted.  smeicheln,  donde, 
con  metatesi,  ^smleichen,  cioè  *smlicar,  *mlicar.  Per  tal  modo  si 
spiegano  nilichen  e  nilicatt,  delicatuccio,  dato,  pur  esso,  dagli 
antichi  vocabolari. 

Xusanra,  usanza,  abitudine.  Voce  scomparsa  (sec.  XIV).  Degna 
d'essere  notata  questa  forma,  in  causa  del  suo  n-  derivato  sia 
dall'articolo  indeterminato  una,  sia  da  i»  {in  imaìira),  sia  infine 
da  una  presonanza  di  -ii-.  Essa  si  trova  entro  il  pili  antico  do- 
cumento  in  volgare  modenese,  che    si    conosca  (1326)  '.  (^ui  si 


'  t.,!ue.sto  documento  è  ancora  inedito,  sicché  non  siiiacerà  allo  .studioso 
ch'io  qui  lo  riferisca  per  intero,  per  quanto  non  presenti  fenomeni  di  <,^ran- 
dissiuio  interesse  o  novità  {Memoriale,  1326,  n"  3177):  "  A  nome  de  deo 
Amen.  In  mille  .  CCC  .  XXVJ  .  indictione  nona  die  de  Martedie  XVIIJ  .  del 
mese  di  Noue|^nijl)re.  Miser  frae  petro  de  Rauarino  de  la  cinq»((Htina  de  sancto 


380  G.  Bertoni, 

ricordano   alcune  voci   italiane  come  ninferno,  nabisso,  naspo,  e 
sopratutto    il    bologn.  nuvvla,  ugola  (Gaudenzi,  p.  33),  e  nebbi 


michele.  Et  eio  Nicliolo  scr/pto  de  sota  fiolo  de  dito  frae  Petro  de  uoluwtae 
coHsentimento  e  cowmandameHto  de  quello  frae  Petro  meo  patre  et  chada 
uno  de  nue  in  luto  sewmo  cowtenti  e  confessi  auere  abiuto  e  receuuto  et 
a  nue  interamente  essere  dae  e  numera  in  deposito  e  per  chaxone  de  de- 
posito da  Ghydino  fiolo  chi  foe  de  meser  Ghyrardino  da  Trebanello  libr. 
sexanta  de  m.  in  una  parte  et  in  una  altra  parte  libr.  tressento  trenta 
de  m.  le  quae  tuta  fate  quantità  de  pecunia  lo  dito  frae  Petro  et  eio  Nicholo 
predito  de  uoluntae  consentimento  e  comiaandiimeuto  dello  dito  frae  Petro 
meo  patre  et  chadauno  de  nue  in  tuto  sollennemente  obligandone  a  lo  dito 
Ghydino  sen^a  alcuna  essen^ione  de  rassonne  oe  de  facto  per  sie  e  per  le 
soe  resse  re9eua«do  prometemo  dare  e  restituire  al  dito  Ghydino  a  ugne 
soa  uoluntae  in  la  cita  de  Modena  de  Ferrara  de  Vinesia  e  de  Verona 
et  in  ugne  altra  citae  e  logo  la  o  elio  ne  conuegnisse  nue  o  alcuno  de 
nue.  E  renun^iemo  alla  e9ecionne  de  no  auere  abiu  e  receuuto  interamente 
le  dite  q«antitae  de  pecunia  e  chadauna  de  quelle  e  no  auere  prometue 
le  soura  scripte  et  infrascWpte  chonse  tuta  fate  al  benefficio  de  le  none 
fonstitu^ion  alla  pistola  del  diuio  Adrianno  et  a  ugne  altro  ayturio  de  le9e 
de  raxonne  e  de  nusan9a.  E  per  oseruare  fermamente  le  soura  scrtpte  cose 
tute  si  obligoe  lo  dito  fra  Petro  et  eio  Nicholo  soe  fiolo  de  soe  uoluntae 
consentimento  e  cbomandamento  e  chadauno  de  nue  in  tuto  a  lo  dito  Ghy- 
dino tuta  fate  gie  nostre  bene  mobie  et  iwmobie.  Fate  e  prometue  fonne 
le  soura  scr/pte  chonsse  per  lo  dito  frae  Petro  et  per  mie  Nicholo  soe  fiolo 
de  soa  uoluntae  e  consentimento  e  cowmandamento  in  la  citae  de  Modena 
a  la  tauola  d-An9Ìllino  die  An9Ìllino  chambiatore  presente  lo  dito  An9Ìllino 
meser  Mateo  die  Bergon9Ìne  e  Cichino  neuoe  del  dito  An9Ìllino.  Eio  Ni- 
chelio perdite  fiolo  del  dito  frae  Petro  nodare  sichomo  nodaro  de  uoluntae 
e  commandamento  de  quolo  [V  -o-  è  chiaro]  frae  petro  le  soura  scr/pte 
chonse  tute  promesse  insemellemente  a  lue  et  in  tuto  e  questa  carta  e 
sc?*iptura  scripsse  cunt  la  mia  man  de  soa  uoluntae  e  cowimandamento  per 
ch'elio  no  sae  le9ere  ne  scriuere  e  per  malore  ferme9a  si  1-oe  sagiellae 
cum  lo  meo  sagiello  ut  patet  in  instrumento  scripto  per  Nicholaum  filium 
Petri  de  Rauarino  not.  ut  idem  Nicholaus  et  Ghydinus  de  Trebanello  mihi 
not.  dix.  Actum  in  pallatio  Comunis  Mutine  pres.  test.  Mateo  de  SoUario 
Petro  de  Sighicijs  et  alijs  „.  Nel  "  Museo  lapidario  ,  di  Modena  esiste  una 
lapide  sepolcrale  di  Gherardino  Trebanello,  padre  di  Ghidino.  Da  essa 
(n"  CXXVI)  si  impara  che  Gherardino  morì  nell'a.   1320. 


Pei-  la  storia  dol  dialotto  dì  Modena  381 

(ebulus).  per  lasciar  da  banda  il  diffuso  nescire.  nuscire  "  uscire  „ 
in  cui  Vn  avrà  diversa  origine  e  perciò  diversa  ragion  d'essere, 
l^er  queste  forme  di  p.rire  con  n  preposto,  mi  limito  a  riman- 
dare al  Salv.,  "  Studj  di  fìlol.  rom.  „.  VII.  78  e  238  e  a  ricordare 
il  luccli.  nentrare.  in  qualunque  maniera  lo  si  voglia  dichiarare  ^ 
Per  il  vocabolo  uusanra.  si  potrebbe  anche  pensare  a  un  lusanra, 
con  l'articolo  concresciuto,  divenuto  poi  Nusioira  per  dissimila- 
zione nella  combinazione  ì(t  lunarini  ;  ma  forse  non  v'à  bisogno 
di  ricorrere  a  questa  supposizione. 

Pfjnon,  mucchio  di  covoni.  \^iene  dal  dial.  rustico  (ancor  vivo) 
p^gna.  '*  mucchio  di  paglia  ,  (kit.  innea),  cosi  chiamata  per  la 
forma  conica,  che  i  contadini  le  danno,  contro  la  neve  e  la 
pioggia.  Per  la  stessa  ragione  della  foima  dell'oggetto,  l'en- 
gadin.  e  il  berg.  anno  i>iù<i  "  stufa  „  e  forse  a  pinea  va  richia- 
mato l'ital.  picpiatfa. 

Pitacòja.  "  tiritera  monotona  e  noiosa  „.  Tale  è  la  definizione 
del  Galvani,  sotto  pittacòja  (p.  371),  ma  la  pronunzia  è  natural- 
mente pitacòja,  come  è  scritto,  (ili  antichi  glossari  danno  invece 
picatoja,  "  suon  di  voce  noiosa  e  affettata  ,, .  Siamo  dunque  di- 
nanzi a  un  nuovo  caso  di  metatesi  reciproca.  Avevo  pensato 
dapprima  che  convenisse  muovere  da  una  radice  picc-  (cfr.  frane. 
picotei\  con  diverso  significato,  si  badi),  intendendosi  che  i  ri- 
petuti e  insistenti  suoni  della  voce  siano  stati  paragonati  a  un 
picchiettio  monotono  e  noioso.  Ma  l'isolamento,  in  cui  veniva 
a  trovarsi  il  nostro  vocabolo  e  insieme  le  difficoltà  di  spiegarlo, 
mi  davan  forti  ragioni  di  dubbio. 

Preferisco  la  seguente  dichiarazione,  che  riconosco  soggetta 
anch'essa  a  revisione.  E  noto  il  vocabolo  tàccola,  gazza  nera, 
proprio  anche  del  Veneto  ;  e  cosi'  nel  Veneto,  come  in  Toscana, 


'   Regi.stro  anche,  per  quel  che    può    valere,    il    moden.    narunz,    arancio 
'^ven.  nar(tnzci\. 


382  G.  Bertoni, 

usasi  tacolàr{e),  eoi  senso  di  "  chiaecliierare,  cianciare  „,  Non  è 
improbabile  che  pitacoja  rappresenti  un  incrocio,  per  così  dire, 
di  pica  e  di  taccola  e  risalga  quindi  un  pitaccóUa,  che  propongo 
non  senza  molta  esitazione.  Che  i  derivati  di  "  gazza  „  abbian 
servito  a  rappresentare  i  concetti  di  "  strida,  urli,  grida  „,  è 
cosa  che  non  sorprenderà  nessuno.  Cfr.  frane,  cajoler  =  jacoler 
"  crier  comme  un  geai  „  (Nigra,  "  Zeitschr.  „,  XXVIII,  (U2)  e 
si  pensi  al  termine  modenese  (di  provenienza,  quasi  certa- 
mente, lucchese)  syajent  (stridulo),  da  gaglia,  gaja  (emil.  ga;a). 
Frizzar,  cercare  avidamente.  Vocabolo  ormai  scomparso.  Sara 
da  *pretiare  e  si  arriverà  al  significato  di  "  cercare  minuta- 
mente „  attraverso  a  quello  di  "  desiderare  „.  Cfr.  in  portogh. 
precar  "  desejar  „.  Se  il  mio  etimo  è  giusto  (e  confesso  che  mi 
è  impossibile  darne  un  giudizio  sicuro,  trattandosi  d'un  vocabolo 
cosi  isolato),  si  tratterà  di  -zz-  e  non  di  -zi-  e  Vi  rappresenterà 

10  scadimento  di  e. 

Ro'ra,  rovere.  È  qui  notato  unicamente  per  presentare  un  tv- 
in  /'.  Si  confronti  l'emil.  lontéra  da  vlontera. 

Séss,  sterco  bovino.  È  voce  di  tutta  (o  quasi  tutta)  l'Emilia. 

11  Malagòli,  Bial.  di  Novellara,  p.  68,  dopo  aver  cavato  ziza 
(siza)  da  suctiat,  scrive:  "  Di  qui  probabilmente,  anche  sis 
regg.  ziss  (Vocab.)  "  sugo  di  letame  „.  Cfr.  dal  lato  semasiolo- 
gico tose,  succhio  „. 

Per  me,  non  v'à  quasi  dubbio  circa  l'origine  germanica  di 
questa  parola,  su  cui  è  da  vedersi  Bruckner,  Charakteristik  der 
gennan.  Elem.  ini  Italietiischen,  p.  11.  L'emil.  séss  non  deve 
essere  considerato,  certo,  cosi  isolato;  ma  va  congiunto  col 
ven.  skitàr  "  imbrattare  „  (detto  del  pollame)  e  scìnto  "  sterco 
di  gallina  „.  Cfr.  scito  nel  Sidrac  otrantino  ("  Arch.  glott.  „, 
XVI,  68)  e  abr.  scito,  "  diarrea  „.  Le  forme  col  t,  come  à  ben 
visto  il  Bruckner,  fanno  pensare  a  una  derivazione  gotica 
{;'^skeitan);  mentre  quelle    con    ss    si    palesano   d'origine    longo- 


Per  la  storia  del  dialetto  di  ÌModena  383 

barda.  V.  anche  Schneller,  Dk  roitKni.  Volksmund .  in  Sildfirol, 
184.  Tuttavia,  il  suono  ò'-  potrebbe  servire  ad  appoggiare  an- 
cora un'ipotesi  diversa:  che  cioè  la  forma  emiliana  risalga  al 
"  mittelhochdeutsch  .,  cioè  a  un  periodo  in  cui  il  nesso  sk-  era 
del  tutto  scaduto  a  se.  Dei  vocaboli  penetrati  in  italiano  dalle 
lingue  germaniche,  mi  occuperò  di  proposito  in  un  volume  spe- 
ciale, dedicato  all'arduo  soggetto.  Mi  limito  perciò  a  questi 
pochi  cenni,  che  non  anno  altro  scopo  che  quello  di  inhrmare 
l'avvicinamento  pi-oposto,  del  resto  in  forma  dul)itativa  e  pru- 
dente, dal  Malagòli,  cosi  benemerito  degli  studi  sui  dialetti 
emiliani. 

Syangajol.  pezzo  di  legno  o  di  ferro.  Voce  antiquata,  che 
manca  (come  tutti  i  vocaboli  qui  citati)  nell'infelice  vocabolario 
modenese  del  Maranesi.  Che  questa  voce  sia  strettamente  im- 
parentata con  ganyel  ^=  ganghero,  è  cosa  che  a  me  pare  evi- 
dente. Tuttavia,  occorrerà  spiegarne  la  formazione.  Ganyel,  come 
l'ital.  ganghero,  proviene  da  *canehalus  (gr.  y.dyxaÀO(^),  mentre 
il  moden.  *sgangaj.  donde  sgangajol,  non  potrà  venire  che  da  un 
*canchalius,  cioè  da  un  derivato  col  suff.  -ius.  ('fr.  il  pur  moden. 
pój  (pulliu)  e  2^iij'">i"- 

Sileff,  rottura  o  taglio  sul  volto.  Voce  antiquata.  Quanto  alla 
seconda  parte  di  questo  vocabolo  -teff,  che  abbiamo  anche  in 
sberleffe  "  vestito  slabbrato  (ant.  vocabolari)  e  schiaffo  „,  ricor- 
derò il  valt.  k'ff.  verzasch.  liffión,  ciarlone,  gen.  lerfu,  labbra, 
che  si  riattaccano  direttamente  all'ant.  ted.  '^'left\  leff'ur  ("  Zeit. 
f.  rom.  Phil.  -,  XXIX,  343).  E  quanto  al  si-,  credo  ch'esso  sia 
derivato  dal  termine  silàc,  d'origine  pur  germanica  (v.  Zac- 
caria, 440)  e  indicante  pili  ])r<)priamento  (a  differenza  del  vo- 
cabolo italiano  scilacca.  "  colpo,  percossa  „)  il  segno  lasciato 
dalla  percossa.  E  non  sarà  male  aggiungere  che  anche  sgahuff 
"  schiaffo  dato  con  la  man  rovescia  „,  registrato  anch'esso  uni- 
camente dagli    antichi  glossari,  potrebbe   risultare  dell'incrocio 


384  G.  Bertoni, 

di  due  voci:  buff  (cfr.  ital.  buffetto)  e  s//a-  derivato  dall'antico 
raodien.  sgamaitonar  "  percuotere  con  vincastro  „,  il  quale  a  sua 
volta  viene  da  uno  sfjamaitón  "  pezzo  di  vincastro  „,  che  trovo 
pure  nei  citati  glossari.  Il  pensiero  ricorre  al  prov.  gamait, 
gamach,  colpo,  percossa,  genov.  gamaito,  colpo,  gamaitar,  per- 
cuotere (Flechia,  "  Arch.  „,  Vili,  355).  In  modenese,  sgamnitón 
(Du  Gange  ha  gamadus,  -acta,  III,  469),  in  causa  di  it  deve 
essere  considerato  come  un  vocabolo  importato.  Cosi  il  gamaito 
di  Bonvesin. 

Spargiijar,  spargere.  Questa  voce  non  si  ode  più.  Potrebbe 
essere,  anch'essa,  un  incrocio  di  due  vocaboli:  ''  spargere  „  e 
vujar,  arvujar  (od.  arriijar),  rivoltare,  involgere,  quasi  "  invo- 
gliare „.  Non  mi  nascondo  che  il  vocabolo  si  presta  ad  altre 
possibili  spiegazioni,  ma  assai  meno  probabili. 

Tein,  coperta  di  un  carro.  A  questa  voce,  che  oramai  più 
non  vive  e  che  mi  è  data  unicamente  dai  soliti  vocabolari  sette- 
centeschi, occorre  mettere  vicino  le  forme  ferr.  tievi  "  coperta  „, 
tiìnar  "  coprire  „  ;  parm.  timar  "  coprire  di  tenda  i  carri  ville- 
recci „  ;  mantov.  timhi  "  arnese  posto  sulle  culle  per  proteggerle 
dalle  mosche  „  ^ 

Il  Flechia  ("  Arch.  gì.  „,  II,  56),  a  proposito  del  moden.  at- 
timar,  registrato  dal  Galvani,  aveva  riconosciuto  la  necessità  di 
ricorrere  alle  altre  forme  emiliane,  ricordate  qui  sopra,  per  ispie- 
gare  il  verbo  modenese;  e  aveva  proposto,  come  etimo,  te[g]anìen, 
per  quanto,  foneticamente  parlando,  ci  si  possa  domandare  se 
la  voce  non  derivi  piuttosto  da  un  *teginìen  -ine  (cfr.  moden.  lini 
"  legumi  „,  la  cui  base  sarà  bene  Hegimine)^^. 


^  Ad  Ascona  (Canton  Ticino)  è  detto  te'm  il  legno  che  unisce  nel  mezzo 
gli  archi  che  sostengono  la  tenda  in  una  barca. 

•  Lini,  legumi,  è  dato  dal  Galvani  (p.  98),  ma  oggidì  non  esiste  più.  Che 
si  tratti  di  un  plurale  metafonetico,  a  me  pare  cosa  sicura.  Sull'alto  ital. 
Zf)H,  legumi,  si  veda  Salvioni,  "  Zeit.  f.  rom.  Phil.  „,  XXII,  474. 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  385 

{A)trasacc,  alla  peggio.  Registro  anche  questa  voce  datami 
dagli  antichi  vocabolari  e  rispondente  all'ital.  i))  trasatto  (prov. 
atrasait.  ivAwc.  entresait),  c\oh  in  transactu,  per  ragione  della 
finale  -àc(\  mentre  ci  si  aspetterebbe  -at.  Si  tratta  del  suff.  -acni, 
che  à  preso  il  posto  della  finale  organica  e  originaria  -at.  Non 
ò  alcun  dubbio  circa  la  pronunzia  dura  di  questo  -e  ^  {-ce),  perché 
la  palatalo  è  espressa  dai  nostri  glossari  per  cch{i)  (p.  es.  fu- 
tecchia,  vino  insipido  e  molto  acquaticcio)  ^. 

Zentiir.  lombrico.  Voce  registrata  dal  Maranesi.  Abbiamo  o  un 
*  cinturo  ,,  3  (cfr.  mod.  ziìiturém),  o  forse  un' apoplogia  :  zetit -\- 
[z{n]tur,  "  cento  cinture  „.  L'animaletto  sarebbe  stato  cosi  chia- 
mato in  causa  delle  sue  molte  strie.  Si  ricordi,  per  casi  ana- 
loghi, gì'  ital.  millr'  piedi,  mille  gambe,  ecc.  Tuttavia,  di  questo 
etimo  non  mi  sento  punto  sicuro,  per  il  fatto  che  occorrerebbe 
ammettere  che  il  plurale  femminile  fosse  divenuto  un  sing. 
masch.,  cosa  possibile,  del  resto,  ma  eccezionale.  Mi  auguro  che 
altri  proponga  qualcosa  di  meglio.  Per  adesso,  mi  attengo  alla 
prima  supposizione. 

E  bastino,  per  ora,  questi  pochi  cenni.  Mi  riprometto  di  ri- 
tornare presto  sull'argomento,  appena  sfiorato,  e  di  dare  altri 
contributi  allo  studio  del  dialetto  modenese,  giovandomi  di  testi 
e    glossari    antichi.  Intanto,  un  grande    scoramento    ne    assale, 


^  [Esiste  il  vocabolo  a  Bologna  e  in  Romagna  e  a  Ferrara  (Ungakei.li, 
a  ter/àc;  Mattioli,  a  tarsach;  Ferri,  id.  ;  Azzi,  a  trasacch).  Il  Mattioli  dà 
anche  la  forma  a  tarsat.  La  Goronedi  Berti  dà  anche  tarsach  che  ò  inteso 
qui  anch'io.  Ricordo  che  l'espressione  esiste  anche  nel  napoletano  [aìì'an- 
trasatto)  e  nel  Molise  (Cremonese)    P.  G.  G.]. 

^  Questa  voce  non  suona  oramai  più  che  sulla  bocca  di  qualche  vecchio. 
Citerò,  a  riscontro,  il  lomb.  fotigia  e  il  ven.  foticia,  rimandando  allo 
ScHucHARDT,   "  Zcitschr.  f.  rom.  Phil.  „,  XXXI,  2. 

■'  Quanto  a  -ur  per  -ara,  vedasi   "  Arch.  „,   XII,  394. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  26 


386  G.  Bertoni, 

quando  pensiamo  ai  tesori  perduti  e  quando  vediamo  sfuggire 
inevitabilmente  alle  nuove  generazioni  i  bèi  termini  natii,  che 
fiorirono  sulle  bocche  dei  padri  e  che  avvizziscono  e  muoiono, 
a  poco  a  poco,  senza  quasi  lasciar  traccia,  umili  resti  (e  pre- 
ziosi) della   nostra  ricchezza  lessicale  più  vera  e  genuina. 

Si  pongano  sotto  gli  occhi,  non  dirò  a  un  linguista,  ma  a  un 
curioso  qualunque  di  dialettologia,  queste  voci  perdute,  o  in 
procinto  di  perdersi,  salvate  da  antichi  vocabolaristi,  e  si  vedrà 
che  un  medesimo  sentimento  si  farà  strada  nell'animo  dei  let- 
tori :  qualcosa  di  noi  scompare,  con  i  nostri  vocaboli,  qualcosa 
di  intimo  e  domestico,  che  non  possiamo  non  invidiare  alle  ge- 
nerazioni passate.  Esaminando  alcune  delle  vecchie  parole,  ca- 
dute in  disuso,  ci  avvediamo  che  un'unità  lessicale,  più  salda 
e  compatta  di  ciò  che  ora  accade,  avvinceva  l'una  all'altra  le 
nostre  regioni,  nelle  quali  ancor  sopravvivono,  qua  e  là,  pa- 
recchie voci  abbandonate  per  sempre  dal  popolo  modenese.  Chi 
dice  più,  per  "  vinco  „,  vinz,  adoperando  un  bel  plurale  passato 
in  funzione  di  singolare?  Chi  usa  mai  più  a  Modena  il  voca- 
bolo hebia,  per  "  discorso  lungo  e  noioso  „  ?.  Oggi  lo  si  sente 
invece  nel  Veneto  e  in  Lombardia  e  anche  altrove  ^  E  così  : 
hios^  solo  (ted.  bloss);  frua,  "  frutto  delle  vacche  ^  ^;  inghirola^ 
vaso  da  dar  da  bere  alle  galline^;  clehs,  cioè  "  eclissi  „  per 
indicare  una  gran  quantità  (p.  es.  di  uccelli)  ^  ;  dsesa,  cioè  "  di- 
scesa „  per   "  infreddatura  ,;  ngofta,  niente:  gaihola,   "  intrico  „ 


^  Vedansi  ora  le  belle  ricerche  dello  Schuchardt,  "  Zeitschr.  f.  rom.  Phil.  ,, 
XXXI,  646. 

^  Vivo  ancora,  per  lo  meno,  nel  Veneto. 

■'  Cfr.  piem.  iyhera  e  lighera,  boccale,  brocca  d'acqua. 

*  Voglio  ricordare  qui,  in  nota,  il  termine  bolognese  schnebbi,  fi-otta,  infi- 
nità, quantità.  Trovo  questo  vocabolo  nell'UNGARKLLi  (p.  244),  il  quale 
aggiunge  che  forme  più  antiquate  ne  sono  sclebbi  e,  presso  gli  scrittori 
dial.  del  sec.  XVII,  clìbi.  La  Coronedi-Bkrti  dà  anche  le  forme  deb  e  clebs 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  887 

[cfr.  milan.  (jaboìa,  aftaraccio;  cjaholar,  gabbare];  (jaiìì^  furbo 
[milan.  gaijnon,  furbaccio]  ;  impajulada,  donna  che  à  partorito  '  ; 
iìidnUl,  sorta  di  salame  [romagn.  (nulnighi,  salsiccia  matta, 
Salvioni,  Nuove  post.,  s.  indHcfilis\  ;  ìiiazzaglar,  andar  vagando 
[ital.  mazzacidarc.  frane.  inacìiecoider\  ;  pgmu\  goffo  |ital.  gnucco, 
perfido,  caparbio] ;  j'j?ra«//a,  favola  ;  teiga,  baccello,  thcca  (ven. 
tega);  lattai',  mobiglie  di  poco  valore,  zisor,  forbici  (cesoie), 
zibega,  "  noni  che  poco  vede  e  dicesi  anche  di  uom  risentito  „ 
[ital.  cibeca,  Horning,  "  Zeitschr.  „,  XXI,  453],  ecc.,  ecc.  —  sono 
tutte  voci  che  in  modenese  furono  (e  più  non  sono)  adoperate. 
Alcune  vivono  ancora  umilmente  nelle  campagne  e  risuonano 
nei  casolari  pili  lontani  dal  rumore  della  vita  cittadina;  altre 
sono  ancor  floride,  per  fortuna,  in  alcune  parlate  (nelle  quali 
sono  state  notate  e  studiate  da  altri  eruditi),  sia  nel  Veneto, 
sia  nella  Lombardia,  sia  nel  Piemonte,  sia  infine  in  qualche  parte 
dell'Emilia  e  della  Toscana.  Fuiono  un  tempo  proprie  anche  di 
Modena  e  percorsero  ininterrottamente  gran  parte  dell'Italia, 
mentre  oggidì  fan  capolino  qua  e  la,  come  poveri  avanzi  d'una 
rovina    ineluttabile  e  continua  -. 


con  lo  stesso  significato,  forme  olie  erano,  dunque,  anche  proprie  dell'ant. 
modenese  (sec.  XVII). 

L'etimologia  che  dà  fra  parentesi  I'Ungarelli  non  si  può  prendere  in  con- 
siderazione ed  è  inutile  citarla  qui.  Si  tratta  certo  di  una  parola  dotta  o 
semidotta,  come  è  mostrato  dalla  conservazione  di  ci  in  cleb(s)  e  cUbi,  cioè: 
edipais.  Con  l's-  rinforzativo  si  ebbe  sclebn,  sdebb  o  scleh  (a  cui  fu  aggiunto 
un  -i  di  appoggio  come  in  altre  voci,  p.  es.  ligàmbi  "  soga,  corda  „).  Poi 
il  gruppo  sd-  divenne  skn-  con  riduzione  di  l  a  n  (donde  sdinebbi),  ridu- 
zione che  ebbe  luogo  per  essersi  ormai  chiusa  la  norma  della  palatalizza- 
zione di  d. 

^  Cfr.  a  Bellinzona  pajolanca,  puerpera.  S.^lvioni,  "  Studj  di  tìloi.  rom.  ,, 
VII,  231. 

-  Le  linee,  che  precedono,  erano  già  state  scritte  e  inviate  alla  direzione 
dell'  "  Archivio  ,  quando  incominciarono  a  comparire  le  prime  puntate  del 
*  Rom.  Etym.  Worterbuch  ,    di  W.  Meyer-Liibke.   Al    n"  618,   il    M.-L.  ha 


388  G.  Bertoni, 

ricondotto  alla  base  arciis  il  verbo  regg.  adrakà'rse  "  schwacli  werden  „ 
(cfr.  il  nostro  adraca'  da  noi  dichiarato  in  identico  modo)  e  al  n°  487  egli 
ha  data  la  stessa  nostra  etimologia  (evidente,  del  resto,  e  tale  da  presen- 
tarsi subito  al  pensiero)  per  il  moden.  alino'v.  Giacche  ho  la  penna  fra  le 
mani,  mi  si  consenta  di  spendere  qualche  parola  sulla  voce  moden.  i^iu'd 
"  aratro  „,  della  quale  parecchi  si  sono  occupati,  senza  tuttavia  esaurire 
l'argomento.  Due  etimi  sono  stati  proposti:  l'uno,  come  si  sa,  è  lat.  jyhiit- 
strum,  l'altro  è  il  lang.  (aated.)  plòvus,  plóviim  (Bruckneb,  "  Spr.  d.  Lang.  „, 
p.  210).  Se  esaminiamo  la  questione  dal  punto  di  vista  geografico,  vediamo, 
a  parer  mio,  rischiararsi  la  derivazione  di  questa  voce,  in  modo  da  potersi 
dire  che  l'etimo  langobardo,  generalmente  accettato  oggidì,  abbia  per  sé 
le  maggiori  probabilità.  Infatti  la  voce  piod,  con  naturali  varianti  fonetiche, 
si  trova  estesa  per  una  plaga,  o  area,  in  cui  potente  fu  l'influsso  langobardo. 
Già  a  Medicina  (Bologna)  dice-si  piò  (a  Bologna  la  voce  pia  è  ora  in  lotta 
con  aì'à  S  aratro)  e  piò  si  ode  sino  a  Mantova,  a  Castiglione  delle  Stiviere 
(piò)  e  a  Sabbioneta  (piò).  A  Bondeno  di  Ferrara  piò.  Anche  a  Cento  si  ha 
piò.  A  Mirandola  j)iò  e  ara.  A  Vignola  p/o't.  La  forma  ^j/oV  con  o'  comincia 
nel  bolognese  e  abbraccia  il  modenese  e  il  reggiano.  A  Sant'Ilario  si  ha 
ancora  piód.  Verso  Parma  la  vocale  è  aperta:  jnòd  (il  Malaspina  registra 
anche  piced).  A  Colorno  si  ha  piò  e  a  Borgo  San  Donnino  piòdla.  Un'altra 
area,  che  per  il  passato  dovè  formarne  una  sola  con  quella  emiliana,  è 
costituita  dal  bergamasco  piò  (a  Treviglio  e  dintorni  osadèl,  Mussafia, 
"  Beitr.  „  220,  n.  5).  Nel  bi-esciano,  trovo  piò  a  Verolanuova,  a  Orzinuovi 
e  a  Salò  (quivi  la  voce  piò  è  in  lotta  con  un  vocabolo  recente:  "  giraifa  ,)  '. 
La  nostra  plaga  rappresentante  il  tipo  plòvu  è  limitata  all'Est  da  voci 
quali  pardghir  (romagnolo),  versar  (veneto),  è  solcata  dal  tipo  arci  (lombardo), 
confina  all'Ovest  con  sciloira,  sloira  (piemontese)  ^,  e  costituisce  una  bella 
testimonianza  dell'influsso  langobardo  nell'Italia  del  Nord^.  Il  ^j/o'rf  ha  real- 
mente una  forma  analoga  a  quella  di  un  "  Ari  ,  tedesco  quale  si  può  vedere 
in  A.  ScHDLTz,  "  Deutsches  Leben  im  14.  n.  15.  Jahr.  „  fig.  215  e  in  Meuinger, 


'  Ara  dovrebbe  designare  l'aratro  a  doppia  orecchia  e  pia  l'aratro  con 
una  sola  orecchia,  ma  ormai  dicesi  spesso  ara  per  pia. 

-  Anche  a  Gandino  e  a  Osio  Sotto  (Bergamo)  si  ha  pio'.  A  Bormio  : 
aradèl. 

^  Per  queste  voci,  Foerster,  "  Zeitschr.  f.  rom.  Phil.  ,  XXIX.  1  sgg.  Qui 
vadano  alcune  giunterelle.  Anche  a  Fermo:  la  pertecara  (l'aratro).  E  ^jer- 
ticaia  anche  a  Benevento.  A  Bardolino  (Verona):  baró/olo.  A  S.  Vito: 
gudrsena.  A  Magenta  (Milano)  scilòria.  E  cosi  ad  Abbiategrasso.  Per  le 
forme  istriane,  derivate  dal  gr.  ÒQyavov,  vedasi  G.  Meyer,  "Alb.  Wb.  „  370. 

*  La  diffusione  del  vocabolo  parla  infatti  per  l'origine  longobarda  di  esso. 


Per  la  storia  del  dialetto  di  Modena  389 

"*  Indog.  Forsch.  „  XVI,  184.  Quivi  (p.  185)  è  data  anche  una  riproduzione 
della  forma  primitiva  dell'aratro  usato  in  Emilia.  —  Finirò  con  qualche  altra 
nota.  Moden.  begra.  G.  Meykk,  "  Indogerm.  Forsch.  ,  VI,  116  mette  insieme 
derivandole  da  baca  '  Beere  „,  le  voci  bresc.  berg.  com.  mant.  crem.  milan. 
bagola,  mirand.  bagula,  pav.  bagol,  regg.  begra,  moden.  begla,  begra  "  harter 
krot  von  Tieren,  bes.  Schafen,  Ziegen,  Hasen,  nnd  Strassenkrot  ,.  Certo, 
non  si  può  staccare,  senz'altro,  la  voce  modenese  e  reggiana  dal  gruppo  di 
vocaboli  alto-italiani  citati  dal  Meyer,  ma,  per  il  rispetto  fonetico,  occorre 
fare  un'osservazione:  e  cioè,  che  l'è  dell'Emilia  non  si  concilia  con  !'«  delle 
altre  forme.  Ci  si  aspetterebbe,  in  ogni  caso,  ci  (o  a  dirittura  a).  Bisogna, 
parmi,  ammettere  che  il  termine  emiliano  provenga  da  un  incrocio  di  badila 
e  di  pìciila  (mod.  pe'gla)  per  ispiegare  Ve.  Non  credo  poi  che  il  cremon. 
baghetto  '  Dudelsack  ,  vada  messo  con  il  precitato  gruppo  di  vocaboli. 
Andrà  invece  con  le  diifuse  forme,  derivate  da  un  aated.  mago  "  ventriglio  „, 
dell'Italia  settentrionale,  quali  magón,  maghétt,  borsa  del  denaro,  ecc.  — 
Un  altro  vocabolo  registrato  dai  citati  ant.  glossari  è  avrodgh,  "  acerbo  „. 
Credo  che  sia  nient'altro  che  abrotonum  (cfr.  per  il  suff.  il  gali,  abrotega, 
Meyer-Lììuke,  Roìh.  Et.  \V.,  39).  Al  gusto  acre  dell'abrotano  si  dovrà  questo 
nuovo  signiBcato  e  questa  nuova  accezione  aggettivale  del  nostro  vocabolo. 
Si  pensi,  per  un  fatto  analogo,  al  ven.  marùbjo  "  austero,  burbero  ,  da  un 
niarrubiuni,  pianta,  com'è  noto,  di  sapore  amaro.  Prati,  "  Arch.  glott.  ,, 
XVII.  280. 


390  Anarelico  Prati 


ETIIs/dlOLOa-IE 


Alla  raccolta  di  etimologie,  pubblicata  a  p.  273-288  di  questo 
volume  \  fo  seguire  quest'altra,  riguardante  pure  specialmente 
voci  vènete  e  trentine. 

Cito  con  B.  E.  W.  il  dizionario  etimologico  romanzo  del  Meyer- 

LUBKE. 

abbdkkje  (abruzz.),  abbakkjo  (roman.)  '  agnello  ',  abbdkkju  (Su- 
biaco,  Roma)  'agnelletto'  ("  Studj  Romanzi  „,  V,  p.  266);  ab- 


^  A  p.  284  (riga  3  dal  basso)  è  stato  stampato,  per  errore,  ba^:[^o'ffia  invece 
di  bailo'ffia.  Del  pari  il  1294  a  p.  280  (r.  3  dal  b.)  è  da  correggere  in  1264 
e  l'indicazione  P,  dopo  Bertoni,  a  p.  278  (r.  3  dal  b.ì  va  omessa.  Il  richiamo 
alla  n.  2  nell'articolo  merlln,  a  p.  281,  andava  alla  fine  di  esso.  Riguardo  a 
httxxQ'ffi'^  è  da  notare  che  la  forma  ba^lx^ffia  del  Dizion.  scoi,  del  Petrocchi 
è  errata.  Nello  stesso,  sotto  basóffia  e  sotto  bafina,  si  rimanda  a  ba^xóffa  e 
questa  forma  compare  pure  nel  Dizion.  unit\  del  medesimo  autore  [Baz- 
zòffia e  dato  anche  dal  Rigutini  coU'o  largo;  e  cosi  si  pronunzia  a  Firenze. 
P.  G.  G.]. 

Circa  a  niQla  (v.  sopra,  a  p.  281-282),  va  rilevato  che  anche  I'Ascoli, 
"  Arch.  Glott.  „,  II,  p.  440,  ammetteva  che  il  bellun.  néola  (anche  ti-evisano) 
'  nuvola  '  derivi  da  quell'antico  ^nibulo,  sinonimo  di  nàbilo,  che  si  riflette 
pur  nel  furi,  nini,  pieni,  nivu  ecc. 

Si  aggiunga  ancora  il  li  vinai  longh.  niol. 

Relativamente  al  vicent.  f'bianzàre  (v.  sopra,  a  p.  284,  n.),  cfr.  il  rover. 
f'bjanzar  'spruzzare',  di  cui  v.  Schneller,  Die  rem.  Volksmund.,  p.  175. 
V.  sbianz,  sbianzaa,  sbianzar  nel  Vocab.  rover.  e  treni.  dell'AzzoLisi  e  sbianzo 
nel  Dizion.  venez.  del  Boerio.  —  A  p.  273  aggiungi  il  poles.  bitdre. 


Etimologie  391 

bacchio  (lucch.)  'agnello  morto';  hàcclno  (lucch.)  ■agnello  gio- 
vino '  ^  :  h'tco  (Agnedo,  valsug.)  '  montone  '  e  la  voce  con  cui  lo 
si  chiama. 

Per  quanto  so,  non  era  stata  finora  avvertita  la  presenza  di 
questa  voce  nell'alta  Italia  ed  è  perciò  un  fatto  importante  il 
tiovarla  nelli'  Alpi,  anzi  tale  da  far  senz'altro  respingere  la 
connessione  con  abbacchiare,  ammessa  dal  Pieri,  "  Arch.  Glott.  „, 

XII.  p.  127.  ed  accolta  dal  Meykr-Lubke,  B.E.  IT".,  S74.  Contro 
la  quale  sta  pure  il  significato  comune  della  voce,  poiché  il 
solo  lucch.  abbacchio  indica  l'agnello  morto,  mentre  le  altre  voci 
citate  denotano  l'agnello  vivo.  Xé  la  forma  aòbarcJiiato  di  un 
vecchio  doi'umcnto  lucchese,  addotta  dal  Pieri,  à  tal  forza  da 
far  accettare  la  sua  spiegazione,  poiché  pel  lucch.  abbàcchio  po- 
trehbe  tutt'al  pili  ammettersi  la  contaminazione  di  abbacchiato 
con  \u\*uvàccìiio  av-,  come  osservava  il  D'Ovidio,  *•  Arch.  Glott.  „, 

XIII.  ]!.  882-383,  0  che.  insomma,  bacchio  abbia  subito  l'influsso 
di  abbacchiato  e  ne  sia  risultato  ablxh-cìiio.  In  quanto  a  bacchio 
il  Pieri,  "  Arch.  Glott.  „,  XV,  p.  14(»-141,  k  pensato  ch'esso  sia 
forse  il  participio  accorciato  di  bacchiare,  come  abbàcchio  lo  sa- 
rebbe di  abbacchiare,  facendo  però  la  supposizione  che  bacchio 
equivalga  ad  '  agnello  morto  '.  Ma,  soprattutto  dopo  quanto  s'è 
osservato,  non  occorre  dire  come  tale  spiegazione  sia  inam- 
missibile. 

Non  rimarrebbe  dunque  che  ammettere,  seguendo  il  Caix,  Sfudj 
di  etim.,^.  127,  la  derivazione  da  un  *ovaculu  (cfr.  oviciila: 
Korting^,  6764),  accettata  dal  Bianchi,  "  Arch.  Glott.  „,  IX, 
p.  400,  e  per  la  quale  propendeva  anche  il  D'Ovidio,  1.  e.  Il 
Meyer-Lubke,  nella  Ital.  Gramm.,  p.  302,  dal  canto  suo,  notando 


'   Il   Fani-ani,   Vocah.  dell'uso  tose,   accoglie    abacchio  (fiorent.)  e  abbacchio 
(mont.  pisi.)  '  agnello  morto  ;  agnello  di  latte 


392  Angelico  Prati, 

che  il  suffisso  -àcchio  in  nomi  di  animali    indica  i  giovani  ani- 
mali, citava  appunto  ad  esempio  anche  abbacchio. 

Pel  valsug.  baco  confronta  bàia  '  ovatta  ',  triest.  cdta  (Vi- 
DossiCH,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  33)  ^. 

agoz  (trent.)  '  avvoltoio  '. 

Il  Meyer-Lììbke,  R.E.  W.,  235,  lo  trae  da  aeguptius  'ne- 
riccio'; come  da  aegyptius  si  derivano  altre  voci  da  lui  ri- 
portate. Ma  aeguptius  avrebbe  dato  "^go'z,  non  ago'z,  che  fu 
invece  rifatto  su  agola  <i  aquila,  come  del  resto  aveva  già 
notato  il  Salvioni  in  questo  "  Archivio  ,,,  XVI,  p.  222,  n.  5. 
L'-o'z  può  avere  qui  tanto  valore  accrescitivo,  quanto  spregia- 
tivo. Cfr.  kano'z  '  grosso  cane  '  e  v.  Salvioni,  "  Studj  di  Filol. 
Rom.  „,  VII,  p.  223,  §  419. 

Con  àgola,  agolàx!,  agolàz  ecc.  s'indicano  nel  trentino  varie 
spece  di  uccelli  rapaci  diurni.  V.  Azzolini,  Vocab.  rover.  e  treni.; 
Ricci,  Vocab.  trent.-ital.,  p.  6,  518;  Erardo  Cogoli,  I  suffissi 
-us^  -aceus  ed  -anus  nel  dialetto  trentino,  "  Annuario  degli 
Studenti  Trentini  „,  XV,  Trento,    1908,    p.    107;   Piccolo   pron- 


^  Alle  Tezze  (valsug.)  il  huco  è  detto  ho'co,  che  è  pur  voce  di  richiamo. 
La  voce  comune  nella  Valsugana  per  chiamare  i  montoni  e  pq'ci  (sing.  pg'co) 
o  paci,  per  chiamare  le  pecore  jìo'ce.  Queste  parole  rammentano  il  solandro 
ho'c  (Ossana.  Termenago,  Pejo),  bo'c  (Vermiglio)  (Battisti,  Zar  Sulzb.  Mund., 
p.  222,  n.  7),  engad.  bóc  'becco'  e  il  bregagl.  bue  'manzo',  ticin.  (Val 
Verz.)  bo's,  bo'sa  'vacca',  levent.  bq's,  arbed. />»((.$,  p^sa  '  vitello ',  alessandr. 
huci,  piem.,  pav.  hocin  '  vitello'  (Jud,  "  Bull,  de  Dialectol.  Rom.  ,,  111,  p.  16), 
lomb.  po's,  voce  con  cui  si  suol  chiamare  il  vitello  (Salvioni,  '  Krit. 
Jahresber.  „,  V,  i,  p.  130).  Secondo  che  osserva  il  Jud,  1.  e,  pare  alquanto 
difficile  la  connessione  di  queste  voci  indicanti  il  vitello  con  bóc  (engad.) 
'becco';  tuttavia,  pel  jiassaggio  di  un  nome  da  un  animale  all'altro,  anche 
molto  diverso,  v.  i  casi  accennati  dal  Nigha,  "  Arch.  Glott.  „,  XIV,  p.  357, 
e  dal  De  Gregorio,  "  Studi  Glott.  „,  ITI,  p.  267.  Tra  i  nomi  derivati  da 
*burrìccu  {R.  E.   W.,  1413)  notisi  il  poles.  briko  'montone'. 

11  tertoto  bn'co  potrebbe  rappresentare  l'incrocio  di  baco  con  po' co. 


Etimologie  393 

tuarìo  per  f/iovani  insegnanti  della  scuola  popolare,  in  forma  di 
dizionarietto  delle  voci  più  coinuni  del  dialetto  trentino,  Trento, 
1909,  p.  2-3;  G.  Marcht,  ]Sote  e  osservazioni  intorno  (di' avifauna 
tridentina,  Trento,  1907,  p.  35-43. 

anyonàra  (veron.),  angondda  (Borgo,  valsug.),  nyond  (Castel- 
novo,  valsiig.),  gonaa  (Strigno,  Agnedo,  Tazze,  valsug.),  angonàda 
(nònes;  Tères  agonada)  (Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  21,  107), 
angonado  (Hahi,  solandro)  (Battisti,  Zur  Sidzb.  Mnnd.,  p.  232) 
'  gugliata  '.  Tra  il  nònes  e  il  valsuganotto  sta  il  trentino  con 
iicdda  {iica  '  ago  ')  ^ 

Il  Meyer-Lììbke,  R.  e.  ir.,  130,  mette  erroneamente  coi  tose. 
agora,  agoràjo,  hicch.  gorata  ecc.  il  veron.  agonaro,  che  è  un 
errore  per  angondra. 

Questa  voce  e  quelle  di  altri  dialetti,  sopra  citate,  dipendono 
da  ii{v\iì\\'^acóìie,  da  cui  il  venez.,  triest.,  lomb.  agón  '  agone, 
aiosa  '  (pesce)  ecc.  {R.  E.  W.,  ivi),  trent.  agoni  '  cheppia,  sar- 
dina (di  lago)  '  ecc.  -. 

Per  l'inserzione  del  n  confronta  veron.,  vicent.  angiiàna  (Oli- 
vieri, "  Studi  Glott.  „,  111,  p.  158;  R.  E.  W.,  573),  nònes  ahgdna 
(Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  133),  angonia,  che  non  avrà 
subito  l'influsso  né  di  ango'sa,  né  di  angor  {R.  E.  W.,  291), 
donf'éna,  dotì;éna  'dozzina'  (Vidossich,  "  Arch.  Trent.  .,,  XXIV, 
p.   170),   :,in~dnia. 

baccello  (tose.)  '  citrullo,  semplicione  '  ;  baccella  (tose.)  '  donna 
di  poco  criterio  '. 


'  Anche  il  veneziano  à  i/ucàda,  oltre  di  reta,  come  à  gu'c(t,  oltre  di  d(/o. 

•  A  meno  che  non  si  tratti  di  un  caso  quale  si  presenta  nel  valsug. 
bupan/la,  di  cui  v.  pili  avanti,  e  nei  verbi  osconar  (feltr.).  l-risionàr  (trent.), 
che  avranno  però  forse  una  ragione  particolare. 


394  Angelico  Prati, 

Il  Pieri,  "  Arch.  Glott.  „,  XV,  p.  140.  deriva  baccèllo,  ch'egli 
definisce  per  'uomo  sciocco  e  da  poco',  da  un  *bacèllus  = 
bacelus  (iàxì]Àog  'stolto^  (confr.  Forcellini  e  Georges,  s.  ba- 
ceolus).  Il  Meyer-Lubke,  R.  E.  W.,  864,  lo  ritiene  tutt'uno  con 
baccèllo  '  bacca  della  fava  o  d'altre  piante  '.  ma  non  esclude 
che  forse  possa  dipendere  dal  lat.  bacoolus  '  baggeo,  uomo 
inetto'  (869). 

Se  si  pensa  però  ai  significati  assunti  dai  tose,  baggiano 
{R.  E.  IV.,  885)1,  fagig'lo  e  faloppa  {R.  E.  IF..  3173),  l'identi- 
ficazione della  voce  in  quistione  con  baccèllo  '  bacca  '  è  ben  evi- 
dente. Si  ricordi  anche  il  valsug.  tèga  '  fagiolo  ',  che,  quale 
titolo,  vale  '  minchione,  semplicione  ". 

Una  voce  interessante  e  che  qui  torna  pure  acconcio  di  ram- 
mentare è  j)anegàle,  panegalo'n,  che  nel  valsuganotto  indica 
'  uomo  di  alta  statura  e  tutto  d'un  pezzo,  e  buono  a  poco  '  e 
nel  trentino  (panegàl)  vale  '  minchione,  grullo,  babbeo  '.  La  voce 
trova  spiegazione  nel  tirol.  penegàlen  (plur.),  che  designa  il  car- 
toccio della  spiga  del  granturco  e  del  miglio.  Cfr.  anche  il  vo- 
cabolo panigales,  che  compare  nello  statuto  di  Riva  del  1274, 
§  36.  Si  tratta  dunque  di  un  *p  ani  cai  e.  V.  Schneller,  Die 
rom.  Volksmund.,  p.  272  ;  Battisti,  La  vocale  A  tonica  nel  ladino 
centrale,  estr.  dall'  "  Archivio  per  l'Alto  Adige  „,  I,  II,  Trento, 
1907,  p.  54  ^. 

Riguardo  a  bacig'cco  (mont.  pist.)  '  semplicione,  troppo  bono  ', 
che  à  accanto  bachig'cco  (pist.)  '  grullo,  minchionaccio  '  e  che, 
secondo  il  R.  E.  W.,  869,  è  dovuto    all'incontro  di  baccèllo  con 


*  Cfr.  pure  i  cognomi  Ba:i^àni,  Ba\^ane'lla,  Bai:{ane'lli,  che  non  possono 
derivare  da  abbatianus,  come  vorrebbe  lo  Schneller,  Tir.  Nani.,  \).  \\, 
274,  275,  ma  da  banana,  hagàna  '  baccello  ',  come  pensa  E.  Lorenzi,  Saggio 
di  commento  ai  cognomi  tridentini,  Trento  (1895),  p.  25-26. 

^  Il  nònes  à  pangjàl  '  gambo  del  miglio  '. 


Etimologie  395 

sciocco,    l'AscoLi,  *•  Ardi.  Glott.  „.  VII.  p.  598,    ci    vedeva    un 
-occo  derivatore  di   voci  dileggiative. 

Per  corbèllo  poi,  pel  quale  pure  si  dubita  [R.  E.  W.,  2224), 
si  noti  che  nella  Valsugana  s'usa  famigliarmente  f>Hto  o  pt^sto 
dcjla  salata  (che  à  tanti  di  buchi)  per  '  testa  sventata,  sme- 
morata *  ^ 

hakar  (Tezze.  valsug.)  '  ansare  '. 


^  Altra  i-agione  à  il  modo  di  dire  Lg'dete,  pesto,  ke_l  mùneyo  l_e'  roto, 
che  si  rivolge  a  persona,  la  quale  si  loda  e  che  non  è  buona  da  nulla. 

[Tutte  queste  denominazioni  anno  un'origine  molto  salace.  Per  i  nostri 
volghi  è  comune  il  denominare  gli  '  sciocchi  '  col  nome  delle  pudende,  le 
quali  poi  un  po'  per  eufemismi,  un  po'  per  effetto  di  sbrigliata  fantasia, 
anno  un'infinita  varietà  di  nomi.  Cosi  corbello  '  sciocco  '  e  corbellare  che  il 
M.-L.  riconnette  (con  ingenuità  di  cui  è  irresponsabile,  ma  che  fa  sorridere) 
a  corvo  non  sono  che  eufemismi  di  una  parola  che...  comincia  per  co-  e 
finisce  per  -gitone  (!)  e  del  suo  derivato  in  -are  (nell'esclamazione  si  dice  : 
Corbezzoli !,  come  caspita!  per  altra  parola  incominciante  percrt-;  e  cospetto! 
è  un  compromesso  eufemistico  tra  le  due  parole  su  ricordate);  e  '  cesto  della 
salata  '  in  Valsugana  sarà  un  eufemismo  di  '  testa  di  cavolo  \  a  sua  volta 
eufemismo  per  '  testa  di  ca...  '.  Cosi  fava  à,  per  similitudine,  un  significato 
sconcissimo  e  si  dice  in  linguaggio  da  trivio  di  un  '  testa  di  cavolo  '.  Quale 
sia  l'origine  di  'baccello',  'baccellone''  e  sim.  per  'sciocco',  lo  indica  chia- 
ramente l'espressione  '  baccello  da  vedove  '  che  si  trova  nelle  Rime  Piacevoli 
dell'ALLEGKi  (176):  "  Egli  ha  ben  del  baccel  Da  redove  chi  va  a  mettersi  in 
gogna...  ,.  Attualmente  nessuno  pensa  pili  all'immagine  oscena  e  s'usano 
questi  termini,  anche  da  persone  dabbene,  con  tutta  ingenuità.  Un'origine 
siffatta  anno,  pili  o  meno  direttamente,  senza  dubbio  veruno,  baggicmo  (da 
baggiana,  fagiolo),  fagiolo,  e  i  trentini  sopra  citati  desunti  dal  nome  del 
'cartoccio  della  spiga  del  gran  turco';  inoltre  bietolone  (perii  fittone  della 
bietola),  e  citrullo  (dal  nap.  cetrulo,  ■*  Polecenella  cetrnlo  „)  cetriuolo,  e  il  cin- 
quecentesco jìustricciano  '  sorta  di  pastinaca  '  e  '  stupido  '.  Forse  anche  me- 
lenso e  melensaggine  si  riconnette  a  melanzana  {/-leÀdv&iov'^);  certo  appar- 
tiene alla  suesposta  categoria  di  forme  l'antico  j^'-'tronciano  'melanzana'  e 
'sciocco'.  Tutt'altra  origine  à  il  vcn.  ri/demela;  l'ital.  mellone  indica 'stu- 
pido ',  per  metafora  attinente  alla  grandezza  della  testa  (cfr.  zucca,  zuccone); 
da  un  vi/demelon  si  sarà  rifatto  un  supposto  primitivo  vi/demela.    P.  G.  (4.]. 


396  Angelico  Prati, 

Confi",  lat.  bacchari  'infuriare;  correre,  andar  intorno'. 
Notisi  poi  che  nel  valsuganotto  hakàn  vale  '  risata  rumorosa  ', 
f'bakanàr  '  ridacchiare,  sgricchiare  '. 

bàli  (trent.)  —  dei  fagiolini  più  vicini  alla  maturità  che  i 
fagiolini  verdi  e  che  pur  mangiansi  intieri,  baccello  e  seme. 

È  voce  che  trova  un  bel  riscontro  nel  valsug.  hàd:o  e  che  va 
ad  ingrossare  la  famiglia,  alla  quale  appartiene  il  ven.  haf'o'to, 
trent.  ha^Qt,  tose,  bano'tto  ecc.  V.  a  p.  284  ^ 

bacilo' jo  (portar  a-)  o  p.  a  belo'jo  o  a  bilo'jo  (trent.),  p.  a  pi- 
faro' le  (Borgo,  Castelnovo,  valsug.),  p.  a  ff'arq'j  (Strigno, 
Agnedo,  valsug.)  '  portar  sulla  schiena  '.  Colui  che  vien  portato 
si  tiene  colle  braccia  al  collo  e  pone  le  gambe  ai  fianchi  di 
chi  porta  ^. 

Qui  sopra,  a  p.  275,  osservavo  che  la  base  bajìilu,  propu- 
gnata dal  Salvioni  per  il  levent.  (lomb.)  bif'arù}  '  cinghie  della 
gerla  '  trova  un  ostacolo  nel  valsug.  ff'aro'j  [a-].  Ora  va  no- 
tato che  nella  stessa  Valsugana,  come  si  vede  sopra,  vi  corri- 
sponde pure  la  forma  pif'aro'le  (a-)  e  che  vi  compete  non  il  si- 
gnificato di  '  a  cavalluccio  ',  ma  quello  sopra  indicato  ^. 


^  Aggiungi  anche  poles.  haxàn  '  biondo,  bastardo  '  (di  animale  bovino)  e 
baxóto  '  mediocre,  ordinario  '. 

^  11  Ricci  non  registra  che  a  bèi  dio,  sebbene  a  harjlq'jo  sia  d'uso  comune 
a  Trento.  Nel  Friuli  si  dice  porta  a  sdke  buràke. 

^  Avevo  tradotto  a  fi/' aro' j  con  '  a  cavalluccio  ',  indotto  dal  fatto  che  il 
Ricci  traduce  cosi  il  trent.  a  belo'jo.  Ad  '  a  cavalluccio  '  corrispondono  a 
kavalo'z  (trent  ),  a  kavaìim  (Ala,  trent.),  a  kuvaìg'io  (valsug.),  ih  kopare'la 
(veron.),  a  kopetefds    (triest.:  Vidossich,  Studi  sul  dial.  trìest.,  N.  70)  ecc. 

La  voce  veronese  ricorre  nel  proverbio,  pure  di  Verona:  Mejo  uh  so'ldo 
de  kojo'h  in  skar'se'la  ke  maldni  in  kopare'la.  V.  C.  Pasqualigo,  La  lingua 
rustica  padovana  nei  due  poeti  G.  B.  Maqama  e  Domenico  Pittarini,  con 
cenni  su  alcuni  dialetti  morti  e  vivi  e  prot^erbi  veneti  raccolti,  li  ediz..  Verona, 
1908,  p.  142,  in  fondo. 


Etimologie  397 

Alla  connessione  di  pif'nro'le,  A/'"'TV  con  bajulu  fanno 
ostacolo  non  solo  le  consonanti  iniziali,  ma  anche  il  /'  '. 

Sicuro  derivato  di  bajulu  è  invoce  il  trent.  haiilo'jo.  Confr. 
bdiilo,  bctiilo'm  a  p.  27:>  di  questo  volume.  La  forma  belg'Jo 
risale  a  questa  base  per  via  di  bajl-.  Le  due  forme  trovan  ra- 
gione nel  fatto  che  nell'alta  Italia  alternano  appunto  bai-  e  baj- 
(Salyioni,   "  Studj  Romanzi  „,  VI,  p.  49,  n.). 

In  belo'jo  ci  fu,  con  tutta  probabilità,  immistione  di  htH.  in 
quanto  l'esser  portati  a  belo'jo  è  un  divertimento  pei  ragazzi. 
Questa  immistione  pare  cosi  naturale,  che  l'Azzolini  scrive  in- 
fatti a  bellojo  e  il  Ricci  a  bèi  òio~.  Non  tanto  chiara  riesce  la 
seconda  parte  della  voce,  poiché  nel  trentino  ci  si  aspetterebbe 
se  mai  un  *belg'j.  Si  dovrà  quindi  pensare  alla  scherzosa  intru- 
sione di  o'jo  '  olio  ',  forse  anche  astraendo  dal  fatto  che  questa 
voce  possa  alludere  all'agevolezza,  alla  facilita,  con  cui  va  avanti 
chi  vien  portato.  Notisi  che  il  Ricci  registra  a  bel  dio  pure 
sotto  òio  e  sarà  da  rammentare  la  frase  nàr,  éser  home  l^o'jo 
'  scorrere  agevolmente,  sdrucciolare,  venire,  andar  giù  com'olio, 
come  un  olio  ".  Cfr.  pure  il  caso  del  bologn.  a  zopp  gallétt  (bresc, 
mantov.  galzópp)  'a  pie'  zoppo'  (Nigra,  "  Arch.  Glott.  „.  XIV, 
p.  360). 

L'i  di  bilq'jo  è  dovuto  al  /  e  questa  sarà  una  forma,  che  non 
s'è  risentita  dell'influsso  di  bel. 


*  I  casi  di  f  ili  luogo  di  et  son  molto  rari  nel  valsuganotto.  Cfr.  def'uh 
(trent.  delilm).  Da  addur  qui  non  è  stralafene  'stillicidio'  (trent.  strale- 
ari  'grondaie')-  V.  Schnelleu,  Die  rom.  VoUcsniund.,  p.  193-194,196-197; 
Nigra,   "  Arch.  Glott.  ,,  XIV,  p.  381. 

Il  r  si  spiegherebbe  naturalmente  per  dissimilazione.  Cfr.  valsug.  busa- 
rg'lo  '  bussolo,  bòssolo,  bussolotto  ',  da  cui  fu  estratto  hu'suro. 

Il  h  del  levent.  bi/'aràj,  dato  che  questa  voce  si  connetta  coi  valsug. 
pif  arale,  f^farq'j,  si  potrebbe  spiegare  da  quel  hi  duale,  di  cui  v.  Salvioni, 
"  Romania  „  XXXVI,  p.  225-226. 

-  E  quindi  da  avvicinare  strettamente  ad  a  bel  ufi  '  a  bell'agio  '. 


398  Angelico  Prati, 

bivi  (trent.). 

Con  questa  parola,  sfuggita  tanto  all'Azzolini  quanto  al  Ricci, 
nel  contado  di  Trento  si  chiamano  le  pecore  o  le  capre.  La  voce 
rimane  invariata  anche  se  si- chiama  un  singolo  animale  e  talora 
la  si  fa  seguire  dalla  voce  sai,  cercando  cosi  di  farsi  meglio 
intendere  colla  promessa  del  sale. 

Il  trent.  hiri  va  dunque  aggiunto  a  quei  nomi  indicanti  il 
montone  o  la  pecora,  raccolti  dal  Jud,  "  Bull.de  Dialectol.Rom.  „, 
III,  p.  13,  n.  5,  e  dal  Meyer-Lubke,  R.  E.  W.,  1049. 

ho'lga  0  biUga  o  bulgara  (valsug.)  'valigia'  ^  bo'lga,  hil-^a  (trent.) 
'  bolgia,  bisaccia  ;  valigetta,  bolgetta,  otre  '  ;  f'bo'lda  (Strigno, 
Agnedo,  Tezze,  valsug.),  f'bq'à:a  (Castelnovo  ;  Borgo  f'bq'f'a), 
f'bq'-a  (trent.)  "  seno,  spazio  tra  il  petto,  il  ventre  e  la  ca- 
micia, e  anche  d'altre  parti,  ove  il  vestito  fa  qualche  bolgia  '; 
/'boga  (nònes)  idem  ;  boga  (Val  di  Ledro,  lomb.)  '  gran  ventre  ' 
(ScHXELLER,  Die  rom.   Volksmund.,  p.   118). 

Il  Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  51,  dal  quale  tolgo  il  nònes 
f'bg'ga,  fa  provenire  questa  voce  dal  trent.  f'bo'- a  e  la  deriva, 
non  si  sa  in  che  modo,  da  un  *boculu  per  biiculu.  Egli  ri- 
manda ivi  erroneamente  al  Salvioni,  "  Boll.  Stor.  d.  Svizzera 
Ital.  „,  1897,  13.  A  p.  146  del  volume  qui  citato  (XIX),  si  parla 
di  una  voce  bògia,  nome  di  un  recipiente,  senza  però  alludere 
all'etimo. 

Le  voci  riportate  vanno  aggiunte  a  quelle  raccolte  nel  R.  E.  W., 
1382,  ed  alle  quali  sta  a  base  il  gali,  biilga  'saccodi  cuoio; 
valigia  '.  Non  credo  affatto  però,  come  ivi  si  ammette,  che  il 
tose,  bolgia  ecc.  e  le  corrispondenti  voci   dell'Italia  settentrio- 


'  Indica  una  sorta  di  valigia,  fatta  a  cerniera,  usata  specialmente  in 
addietro,  nella  Valsugana.  Ma  poi  si  è  applicato  il  nome  bo'lga,  bùlga  o 
bùlgara  anche  ad  ogni  valigia  di  forma  moderna. 


timologie  o99 

naie  provengano  dal  frane,  bougc  '  valigia  ',  bensì  deriveranno, 
come  ammetteva  il  Flechia,  "  Arch.  Glott.  „,  IT,  p.  329,  da  un 
*bulgea.  V.  anche  Korting,  1638.  Il  valsug.  bulgara  dovreb- 
b'essere  un  *  b  u  1  g  u  1  a. 

branda  (veron.)  '  acquavite  ';  mbrauiìa  (valsug.)  '  ubbriaco  '. 

Dipendono  da  braxdi/,  acquavite.  Si  deve  però  trattare  di 
voci  d'importazione  affatto  recente.  La  voce  valsuganotta  fu 
probabilmente  importata  dalle  persone,  che  si  recano  in  paesi 
tedeschi,  sia  pel  servizio  militare,  sia  per  lavorare.  8'usa  anche 
scherzevolmente  mbrandaf>jo'n  per  '  sbornia  ',  per  indicar  la  quale 
c'è  un  grande  assortimento  di  vocaboli  e,  come  il  toscano  à 
briaca,  ciacca,  mo'nna,  baila,  sfo'ppa,  colta,  lucia  (pist.),  ber- 
tuccia ecc.,  il  valsuganotto  à  cuk((,  anela,  aìieUta,  baia,  lio'ka, 
/'borda,  hombola,  sto' ma,  J'bréndola,  pjombHa  ecc.,  e  per  '  ub- 
briaco, brillo,  alticcio  ecc.  '  mbrjago,  érto,  hlnco,  nvinà,  o'nto, 
f  gédolo,  Co'ko,  cùko,  bercèto.  J'gardà,  storno,  beQrd,  tagd  fora, 
strambelà  ecc.,  le  quali  voci  non  si  saran  certo  maravigliate 
nel  veder  aggiungersi  ad  esse  anche  mbrandafijo'n  e  mbrandd. 

bruééla  (valsug.),  brilséla  (trent.),  brù^éla  (nònes)  '  bitòrzolo, 
bolla,  pustoletta  '. 

Il  Battisti,  Die  Nousb.  Mund.,  p.  101,  riconduce  questa  pa- 
rola all'alto  ted.  ni.  broz  (Korting,  1588).  Tale  etimologia,  che 
non  è  al  certo  scevra  di  difficoltii,  è  sicuramente  da  escludere. 

bruééla  non  è  invece  che  brùskolo  '  fignolo  '  con  altro  suffisso, 
cioè  un  *bru scélia.  In  quanto  .  a  brùskolo,  che  nel  veneziano 
à  accanto  a  sé  anche  brùsko,  v.  il  R.  E.  W.,  1342.  Anche  il 
ven.  brufolo,  rover.  f'brùfol,  d'ngual  significato,  su  cui  v,  il 
li.  K.  W.,  1373,  nel  veronese  à  allato  brufél. 

All'alto  tod.  m.  broz,  alto  ted.  ant.  proz  '  bottone  (di  fiore)  ' 
lo  ScHNELLER,  Die  roiiì .  VolksmiDid.,  p.  177,  faceva  risalire,  pur 


400  Angelico  Prati, 

dubitando,  il  rover.  f'hró^a  '  bolla,  pustola  '  (venez.  bro'/'a,  val- 
sug.  brg'dta),  come  altri  fecero  pure  risalire  a  detta  base  il  tose. 
brg'zza  ' bolliciattola,  bernoccolo'  (Korting,  1588),  ma  lo  Schneller 
non  tenne  conto  che  in /'bró;a  c'è  una  sonora.  Le  due  voci  paiono 
dunque  irreconciliabili  ^ 

dego'ra  (ven.,  milan.,  pav.). 

Per  questa  voce  ed  altre  affini  v.  Olivieri,  "  Studi  Glott.  ,,, 
III,  p.  192;  E.  E.  W.,  2509,  2714.  Contro  la  derivazione  da 
decolare  o  da  decùrrere  (Salvioni,  "  Zeitschr.  f.  Rom. 
Philol.  „,  XXII,  p.  469)  sta  il  nome  locale  fiamazzo  Dugója, 
che,  in  causa  del  j,  non  si  potrebbe  spiegare  che  da  un  *du- 
coria  (Prati,  Ricerche  di  topon.  treni.,  p.  52,  61).  V.  anche, 
qui  sopra,  i  novell.  dugéra  (v.  dugaia  nel  Vocab.  ital.)  (p.  76, 
N.  83),  dugél  e  ant.  dugaleris  (p.  164,  N.  239),  e  sia  ancor  no- 
tato il  solandro  dilgàl  '  canaluccio  di  scolo  o  d'irrigazione  '  (Bat- 
tisti, Zur  Sulzb.  Mund.,  p.  214)  ^. 

delàéore  (valsug.,  veron.).  È  usato  nelle  frasi  éstre,  ésar  (veron. 
ééar),  ndar  (veron.  andar)  in  d.  per  '  esser  rovinato,  andare  in 
rovina,  in  sfacelo:  esser  in  brandelli,  cadere  a  pezzi,  esser  tutto 
sconquassato;  esser  malandato  in  salute  '.  Anche  trent.  (v.  Ricci). 

Suppone  un  lat.  *de lapsus,  -oris  'rovina'. 

engartjar  (trent.)  'arruffare;  scarmigliare;  intralciare,  intri- 
care; ingarbugliare,  scompigliare,  confondere  ';  gartjo'm  '  arruffio, 
arruffamento  ;  garbuglio,  viluppo,  confusione  \  tilt  eiì  g.  '  un  ruf- 
fello  ';  def'gartjàr  '  strigare;  ravviare;  sgrovigliare;  sbrogliare  '  ; 


^  11  Petrocchi  scrive  bròzza,  ma  bì'Oxxoloso  '  bitorzoluto  '.  Non  cosi  il 
Fanfani,  che  scrive  pur  questo  con  zz.  Per  l'ètimo  v.  anche  il  R.  E.  W.,  1347. 

■^  V.  ancora  Bertoni,  "  Atti  e  Mem.  d.  R.  Deput.  di  St.  Patria  p.  le  Prov. 
Moden.  ,,  s.  Y,  v.  VI,  p.  187. 


Etimologie  401 

ngjii rtji'ty  (nònes  merid.),  ngjatjùr  (alto  non.)  '  strappare,  strac- 
ciare '. 

Lo  ScHNELLEK,  Die  roììi.  Volksmund.,  p.  139,  scrive  che  en- 
ijartjar  pare  derivi  da  *i  n  e  rat  i  care,  svoltosi  ladinamente!  E 
una  spiegazione  impossibile,  per  la  quale,  non  si  saprebbe  citare 
un  caso  parallelo.  Il  Meyer-Lììbke,  ^.  È'.  TF.,  2303,  pone  invece 
efigarfjar,  def  gartjdr  insieme  con  incatricchiàre  (pist.)  '  arruffare 
e  annodare  i  capelli  ',  scatrlcehiàre  '  strigare  ',  scatrlccliio  '  pet- 
tine lungo  da  scatricchiare  '  e  col  furi,  ingredea,  derivandoli  da 
e  rati  cu  la.  Ma  per  la  voce  trentina  c'è  l'ostacolo  del  t  intatto 
e  soprattutto  della  riduzione  insolita  del  c'I. 

mgartjar  non  va  sicuramente  staccato  dal  veron.  ingatejar 
'  intrigare,  aggrovigliare  ',  def'gatejàr  '  sgrovigliare  ',  venez.  inìca- 
figdr  '  scapigliare,  rabbuffare,  arruffare;  sparpagliare,  scompi- 
gliare ',  mantov.,  ferrar,  ingatjar  ecc.,  dei  quali  v.  il  lì.  E.  TF., 
1770,  b.  Il  /•  della  forma  trentina  non  sarà  dovuto  a  crati- 
c  u  1  a,  ma  si  tratterà  di  un  r  inserito,  come  in  altri  esempi 
dell'alta  Italia^  (Salvioni,  "  Krit.  Jahresber.  „,  IX,  1,  p.  102), 
oppure  verrà  da  gr citar. 

Anche  le  voci  nònese,  che  il  Battisti,  Die  Nonsh.  Mund., 
p.  99,  100,  derivava  da  *incratiare,  e  che  il  Vidossich, 
-  Arch.  Trent.  „,  XXIV,  p.  169,  scartando  naturalmente  que- 
st'etimo, spiegava  dall'incontro  di  grattare  con  graffiare  -,  vanno 
colla  voce  mantovana  ecc.,  sopra  notata,  che  à  pure  il  signifi- 
cato di  'strappare'  [E.  E.  W.,  1770,  b). 


'  Naturalmente  non  va  tra  essi  il  veron.  ecc.  fbiirtar  '  spingei-e,  urtare  ', 
che  è  il  prodotto  di  fbutar  -j-  urtar. 

■  Nel  caso  bisognerebbe  che  il  nònes,  oltre  yratàr,  possedesse  pure  una 
forma  corrispondente  al  toso,  graffiare.  Il  nònes  possiede  invece  /grufar, 
che,  certo  per  errore,  diviene  zgràfj^r  nell'indice  della  Konsb.  Miind.  del 
Battisti,  mentre  slipjà,  s/t/yS?- divengono,  nel  medesimo,    slipù,  stipar. 

Archivio  slottol.  ital.,  XVII.  -^7 


402  Ans^elico  Prati, 

fiaméro  (valsug.)  '  letamaio,  concimaia  '. 

Lo  ScHNELLER,  Die  voni.  Volksmund.,  p.  146,  il  quale  riferisce 
la  forma  gemerò,  che  potrebbe  però  essere  una  delle  tante  forme 
erronee  da  lui  accolte,  non  avendo  io  rinvenuto  nella  Valsu- 
gana  che  gaméro,  ne  dà  una  spiegazione  da  far  strabiliare.  Egli 
lo  spiega  cioè  da  un  con-cimero,  da  concime,  come  se,  anche 
ammettendo  che  si  tratti  di  voce  importata,  ad  un  e  toscano 
possa  corrispondere  un  g  in  un  dialetto  veneto  ! 

Ma  (jaméfo  è  naturalmente  voce  indigena  e  popolare  se  altra 
mai  e  corrisponde  esattamente  al  loamaro,  ledamér  di  dialetti 
vicini  e  al  tose,  letamajo.  Soltanto  che  nel  valsuganotto  il  pro- 
cesso di  riduzione  non  s'arrestò  alla  fase  ìea-,  ma  da  questa  si 
passò  a  *lja-  e  di  qui  a  ga-,  come  da  *ljévre  si  venne  a  géore 
(Grigno,  Tezze  gévre)  ^  Accanto  a  gaméro  si  à  il  raro  leàine 
'  letame  '.  Cfr.  anche  leamare  '  concimare  '  di  un  documento  val- 
suganotto del  1296  e.  ("  Tridentum  „,  III,  p.  1.57).  Le  voci  d'uso 
comune  sono  grdm  e  ngrasàr. 

Pel  fenomeno,  che  si  presenta  in  gaméro,  cfr.  ancora  il  nome 
del  torrente  vicentino  go'lgra  <Z  ìjo'lgra  '  Leogra  '  (Olivieri. 
"  Studi  Glott.  „,  III,  p.  55,  n.)  e  il  genàrdo  '  Leonardo  '  di  Tjéfdo 
(forma  letteraria  Tèsero)  in  Fieme. 

Il  fenomeno  è  il  medesimo,  per  il  quale  si  ottengono  karal- 
géro,  pidgéro,  f'baìgàr  ecc.,  quantunque,  per  esempio,  il  vene- 
ziano presenti  questo  fenomeno  (Boerio,  p.  X)  [per  riprodurre 
il  tose.  r.  G.]  ^,  ma  mantenga  invece  il  Ij-  (Vidossich,  Studi  sid 
dial.  triest.,  N.  6). 

Il  caso  del  valsug.  gaméro,  nel    suo    complesso,    è    probabil- 


'  Cfr.  anche  il  raro  yeva  <C  *lje'va  '  leva  '.  Ed  un  altro  caso  otFre  goe'la 
'vacca  incarognita',  se  dipende  da  *1  i  o  b  a  'vacca',  di  cui  v.  Jud,  "  Bull, 
de  Dialectol.  Rom.  ,,  III,  p.  1.5-16.  Il  Ij-  rimane  invece  in  Ijohfàhte. 

"^  [Io  ritengo  invece  tale  spiegazione  come  affatto  impossibile.  Prati]. 


Etimologie  403 

mente  unico  nel  veneto.  Simile  è  il  caso  di  néro  (Grigno,  Tezze, 
valsug.),  /idra  (vicent.)  'nido',  da  *indariti  (Nigra,  "  Ardi. 
Glott.  „,  XV,  p.  291)  ^ 

kaììierél  (trent.)  '  cessino,  bottino,  pozzo  nero  '. 
Va  col  lomb.  Jcàmer  '  cesso  "  (Salvioni,  "  Studj  di  Filo!,  llom.  „, 
VII,  p.  220,  §  387). 

kan'if'a  (valsug.),  k((r<ha  (trent.)  '  fuliggine,  che  si  raccoglie, 
formando  incrostature,  nella  gola  del  camino,  della  stufa  ecc.'  ; 
kalùj'ene  (ven.).  htliì-em  o  kariì]em  (trent.),  kari'Kjcìì  (milan.)  '  fi- 
liggine  '. 

Lo  ScHNELLER,  Die  rom.  Volksìnund.,  p.  129,  dice  che  carazza 
compare  nella  Val  di  Non.  in  Gardena  e  anche  in  parte  del 
Tirolo  italiano  nella  forma  apparentemente  accorciata  razza, 
cosa  che  non  risulta  dai  vocabolari  dell'Azzolini  e  del  Kicci  ^. 

Il  Battisti,  Catinia,  §  61,  p.  168,  cita  il  trent.  karii~em  tra 
gli  esempi  di  -Z-  ^  -r-.  Ma  aggiunge  che  il  r  potrebbe  pure 
esser  dovuto  ad  un  incrocio  di  caligine  con  aerùgine.  Anche 
il  Meyer-Lììbke,  R.  e.  W..  1516,  ammette  che  kalùf'ene  ecc. 
abbia  la  vocale  di  ferrugo,  a  erugo.  Io  penso  invece  che  si 
tratti  di  scambio  di  suffisso,  cioè  di  -ugine  al  luogo  di  -Tglne. 
V.  anche  Battisti.  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  59. 


^  Il  rover.  (non  trent.)  agnaro  '  nido  '  (Azzolini)  è  alquanto  strano,  ]>re- 
sentando  -aro  invece  di  -«'r  (Verona  e  Trento  :  -dr).  La  vocale  finale  man- 
tenuta fa  pensare  ad  importazione  dal  finitimo  vicentino.  La  voce  carat- 
teristica rover.  e  trent.  è  nif  (anche  trevisano)  (plur.  nivi).  A  Verona  nio 
'nido',  nid'so,  niaro'l  'uccello  di  nulo ',  niu  o  nkida  'nidiata',  nel  veronese 
meridionale  nial  (plur.  niàj),  nel  veronese  orientale  n!o  e  niàro.  Cfr.  anche 
trent.  koanìf,  vicent.  kkaganàro,  veron.  skaganàQlo,  valsug.  kkeganio  ecc. 
'  scria  '.  V.  pure  rover.  gnaso  '  snidato  '  (Schneller,  Die  r.  V.,  p.  105). 

^  rara  '  fuliggine  '  riporta  il  Battisti,  "  Px-o  Cultura  „,  I,  p.  .S60,  da 
Soràga  (Fassa). 


404  Angelico  Prati, 

Il  trent.  karilieni  avrà  il  r  da  karma,  che  non  sarebbe  che 
karàf'a  con  immissione  del  suffisso  -àza  <  -acea.  E  karàf'a, 
alla  sua  volta,  risulta  forse  dall'incontro  di  kalktene  'fuliggine' 
con  raf'a  'resina;  ragia',  ossia  sarebbe  quasi  un  'resina  di 
fuliggine  '.  Il  paragone  tra  la  karàf'a  e  la  raj'a  corrisponde 
bene  ^  L'Azzolini  (rover.)  à  anche  scarauzem. 

kjàiizàja  (Castelfondo,  nònes),  spece  di  ciglio  d'un  campo,  ecc. 

Questa  voce,  coll'antico  nome  locale  Chauazzaie,  corrisponde 
ad  un  *capitiaria  (Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  115,  149.  n.). 
Cfr.  la  forma  kjavazara,  pure  addotta  dal  Battisti  a  p.  74,  ult. 
riga.  Invece  il  trentino  à  un  kavezàja  '  capitagna  ',  che  non  può 
essere  che  da  un  *capitialia.  V.  Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  37, 
ove  si  citano  pure  alcune  antiche  Cavezagne  della  Val  Laga- 
rina,  che  trovano  riscontro  nel  valsug.  kavpóna  <  *capìtianea, 
poles.  cavezàgno  (?)  -.  Cfr.  anche  valsug.  kavafiàle,  che  vale  anche 
'  capitagna  '  ^.  A  le  Tezze  (valsug.)  compare  kaveana,  nel  vicen- 
tino cavelàgna  e  cavedagna  ("  Arch.  Glott.  .,.  XVI,  p.  296,  n.), 
nel  triestino  pure  kavedóna  (Vidossich,  Studi  sul  dial.  triest., 
N.  97)  *capitanea  {R.  E.  W.,  1633).  E  v.  i  venez.  caveàgna 
e  cavazzàl  nel  Boerio. 

[A  R.  E.  W..  1633.  va  aggiunto  che  kavdana  è  anche  proprio 


'  Se  per  karàfa  non  valesse  questa  spiegazione,  allora  si  potrebbe  sup- 
porre che  karàza  sia  kariixem  con  suffisso  -àza  invece  di  -u^eni  e  che  karàf'a 
sia  *kavàpa  con  intrusione  di  ràf'a.  Ma,  perché  oltre  a  karàza  non  com- 
pare pure  *kalàza'i  Si  noti  che  karàf'a,  nel  valsuganotto,  indica  la  rèsina 
di  certi  alberi,  per  esempio  dei  ciliegi,  ed  anche  la  cispa.  Inoltre,  nel  ve- 
neto, compete  pure  a  questa  voce  il  significato  di  '  favo  '.  Si  tratterà  di 
ràf'a,  preceduta  da  quel  kal-,  di  cui  si  occupò  il  Nigra,  "  Arch.  Glott.  ,, 
XIV,  p.  272-277,  360-362.  Sara  quindi  cosa  diversa  karàf'a  '  fuliggine  '  V 

'^  Arrigo  Lorenzi.  Geonomastica  polesana  :  termini  geografici  dialettali  rac- 
colti nel  Polesine,  "  Rivista  Geografica  Italiana  „,  XV,  Firenze,  1908,  p.  160. 

•■'  Cfr.   Olivieri,   "  Studi  Glott.  ,,  HI,  p.   162. 


Etimologie  405  ' 

(li  gran  parte  dell'Emilia.  L"ita,\.  capitagna  è  invece  un  à  .  £Ìq. 
del  Lastri  {Corso  d'dgric,  Firenze,  lSOl-03  ...  "  tesiate  o  capi- 
f<(;/)ìe  ^  ...),  ed  è  evidentemente  la  traduzione  di  cavedngna.  Ca- 
red(((jna  usò  recentemente  anelie  il  compianto  nostro  Pascoli, 
ma  essa  è  e  resta  voce  non  italiana.  L'Ungarelli,  Voc.  Boi., 
dà  come  proprio  dell'Emilia  anche  '  capezza^ina  '  non  so  donde 
tratto.   P.(t.  (t.]. 

kokondrla  o  kokombrln  (valsug.),  kutumhrlne  (abrnzz.)  '  ipo- 
condria '.  V.  anche  trent.  skokonibrij'ja. 

Questa  appartiene  a  quella  serie  di  voci  di  origine  lotterai-ia, 
la  cui  trasformazione  non  è  che  uno  storpiamento  della  forma 
originale.  In  kokomòr/'a  fu  immesso  ombria,  che  à  con  ipocoìulria 
un  ceito  legame  ideale. 

Si  ricordi,  tra  gli  storpiamenti,  quello  subito  dal  '  sugo  di 
liquorizia  (liquirizia,  legorizia)  ',  lai.  volg.  Ucuritia  (Nigra, 
"  Studj  Komanzi  „,  III,  p.  98),  che  nella  Valsugana  divenne  sugo 
de  Gorlfija,  a  Trieste  zùkoro  de  Gorizia  (Vidossich,  Studi  sul 
diaì.  triest.,  X.  115  /»),  a  Modena  sùg  ed  Lukrézia  (Bertoni, 
■  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,  XXXIV,  p.  207),  ecc.  \ 

11  Vidossich,  1.  e,  nota  pure  il  triest.  ondar  su  per  bitrio 
{sub  arbitrio)  e  sieno  rammentati  i  valsug.  kavalaria  ripa  '  ca- 
vallerizza, circo  equestre  ',  f'lavag(/n  '  zabaione  ',  che  fu  avvi- 
cinato a  f'iavago  '  lavacchio,  guazzo  fatto  per  terra  ',  rof  apila 
(veron.  rof'ipilja)  '  risipola  '  {R.  E.  IF.,  2911),  altomobile  'auto- 
mobile '.  V.  ancora,  pel  veneto,  le  parole  raccolte  dal  Pasqua- 
i.iGo,  La  lingua  rust.  padov.,  p.  66,  il  quale  però,  non  seguendo 
i  criteri  scentifìci,  ne  accoglie  anche  di  quelle,  che  non  presen- 
tano storpiamento  alcuno,  ma  solo  trasformazione  fonetica. 


'  Nel  trentino  è  detto  volgarmente  me'rda  de  djàQl^  che  il  Ricci  dà  come 
voce  fanciullesca. 


406  Angelico  Prati, 

Ad  esse  va  aggiunto  il  vicent.  riist.  saltafizefe,  che  ricorre  in 
una  poesia  del  Pittarini,  pur  da  lui  riportata  a  p.  94.  Cfr.  ve- 
ronese mntificHHr,  valsug.  santifìfijétur  '  santerello,  santificètur  ', 
lomb.  santìfìcétih'  '  pinzocchero,  bacchettone  '  (Salvioni,  "  Studj 
di  Filol.  Rom.  „,  VII,  p.  221,  §  393)  i. 

Il  Salvioni,  nelle  sue  Osservazioni  carie  sui  dialetti  meridio- 
nali di  terraferma,  "  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.  „,  s.  II,  v.  XLIV, 
1911,  p.  781,  vorrebbe  spiegare  l'abruzz.  kutumhr'me  puramente 
con  trasformazioni  d'ordine  fonetico,  ma,  dato  il  valsug.  ho- 
komhria,  le  due  voci  non  saranno  da  giudicare  in  modo  di- 
verso -. 

koìnpà'n  de  (trent.)  '  come  '. 

Cfr.  kompà'n  '  compagno,  uguale  '.  Il  veneto,  in  suo  luogo  à 
il  caratteristico  konfà.  kofa  o  fa. 

kuarn  (veron.)  '  brània  '  [quara  nel  dizionario  veronese  di  Pa- 
tuzzi  e  Bolognini). 

Da  *koàra.  da  ko'a,  nel   significato  di  '  striscia  di  terreno  '  ^. 


^  Si  ricordi  pure  il  trent.  Ucarmq'niha  'fisarmonica'.  Una  variazione 
scherzosa,  ma  non  di  parola  importata,  è  il  veron.  a  ptsego  manifìko  '  a 
spizzico,  a  miccino  '  (valsug.  a  lyipego  menùpego).  [È  un'espressione  comune 
veneta,  cfr.  Boerio,  s.  piceyo.  G.]. 

Curiose  sono  le  alterazioni  che  subisce  il  sale  di  Cavlshad  sulla  Ijocca 
del  popolo.  Nella  Val  Lagarina  e  divenuto  sai  de  casba,  de  càrpem,  de  casbak, 
de  calasbar,  de  gaspa,  de  graspa,  de  frasca,  de  Gdsjìer,  che  raspa,  da  raspar, 
de  scarpa  (Conci,  "  Pro  Cultura  „,  II,  p.  364).  Si  aggiunga  anche  il  tàrtaro 
me'diko  (trent.)  '  tartaro  emètico  ',  ecc.  ecc. 

^  Dalle  Tezze  (valsug.)  ò  la  forma  kuJcumbrle  (plur.). 

■''  [Si  tratta  di  nient'altro  che  di  quadra  ;  cfr.  piacent.  "  Qitàdar  di'  art,  u  di 
giardèin  :  quei  pezzi  di  terra  in  un  orto  o  giardino,  ove  si  coltiva  una  sola 
specie  di  verdura,  o  di  fiori  „  (Foresti);  ferr.,  id.  (Azzi,  Fehki)  ;  romagn. 
quadrila  'proda'  (Mattioli);  bologn.  ^'««arféren  '  quadro ',' spartimento  delle 
risaie',  quadenuer    'imporcare',    disporre    il   terreno    a  porche,  mettere   a 


Etimologie  407 

liìììd  (trent.)  '  parte  scema  dell'uovo,  vuoto  tra  il  guscio  e  la 
chiara  '. 

Il  Salvioni.  ■'  Homania  „,  XXXI,  p.  285;  "  Ardi.  Glott.  „, 
XVI,  p.  313,  n.  2,  spiegò  questa  voce  dal  lat.  lacuna.  La  sua 
etimologia  fu  accolta  dal  Battistf,  Cafhna,  ^  69,  p.  175,  n.  3, 
ed  io  credetti  di  trovare  ad  essa  un  riscontro  nel  nome  locale 
Rovere  della  Lima  (Mezzolombardo,  Trento),  in  un  documento 
del  1391  Roveredo  ahnia.  che  intorprotai  come  un  robo  return 
ad  la  cuna  m,  essendo  posto  il  villaggio  cosi'  nominato  vicino 
ad  un'insenatura  dell'Adige.  V.  i  miei  Xorni  locali  del  Trentino, 
"  Rivista  Tridentina  ..,  IX,  Trento,  1909.  p.  171-172.  Nella 
••  Pro  Cultura  ,,  T,  p.  154.  il  Battisti  però  osservava  che  Luna 
non  è  il  risultato  legittimo  di  lacuna,  ma  di  un  prestito 
di  antica  data,  derivante  da  questo  etimo.  V.  anche  il  mio 
articolino  Sìdl'oriyine  del  nome  locale  Rovere  della  Luna,  "  Pro 
Cultura  .,,  [.  p.  403-404.  Bisogna  notare  che  ci  sono  non 
pochi  luoghi  trentini  detti  Limar,  che  trovano  liscontro  nel 
li/nare  o  limaris  '  locus  in  portu.  ubi  naves  fluctuantes  ser- 
vantur.  Gali.  Bassin,  a  forma  lunae  lunatae  seu  crescentis  '  del 
Du  Cange.  Questa  voce  deve  appunto  aver  indotto  il  Battisti 
a  dare  la  spiegazione  accennata,  che  però  ora  pili  non  mi  pare 
accettabile,  perché  non  c'è  una  base  sicura  per  ammettere  l'im- 
portazione di  luna  nel  trentino,  comunque  sia  da  considerare  la 
voce  limar. 

Convien  quindi  riconoscere  che  la  scomparsa  del  //  secondario 
costituisce  un  ostacolo  insormontabile  contro  l'etimo  del  Sal- 
vioni. Nessun  riscontro  certo  a  tale  fenomeno  offre  il  dialetto 
trentino  e  nella  toponomastica   trentina   s'incontra  appunto  la- 


porche  (Ungarelli).  L'etimo  di  '  quaderner  '  '  quaderen  '  è  cosi  chiaro,  che  è 
evidente  che  il  vocabolo  e  pas.sato  alla  significazione  di  '  imporcare  ", 
'porca'  col  mutare  del  .sistema  di  coltivazione.  P.  G.  G.]. 


408  Angelico  Prati, 

giina,  non  *luna.  Cfr.  la  Laguna  nel  comune  di  Cave'den  (Vez- 
zano,  Trento). 

La  lilna  dell'uovo  si  può  invece  spiegare  agevolmente  da 
luna,  essendo  essa  di  forma  rotonda  e  credendo  il  popolo  che 
essa  sia  maggiore  o  minore,  secondo  che  la  luna  cresce  o  cala 
(RiccAMBONi,  "  Riv.  Trid.  „,  X,  p.  243),  cosa  che  non  m'era  nota 
quando  ammettevo  la  derivazione  di  luna  da  lacuna. 

V.  anche  i  derivati  di  luna,  notati  nella  "  Revue  de  Dia- 
lectol.  Rom.  „,  II,  p.  167,  N.  137,  e  il  trent.  liitiéta,  tose,  lunétta. 

li'ipja  (trent.)  '  bùbbola,  lipupa  '. 

Non  può  essere  riduzione  di  *u pupilla,  perché,  nel  caso, 
ne  sarebbe  venuto  Hiibja.  Cfr.  ko'bja  <  còpula,  sto'bja  <  stu- 
pii la  (Battisti,  Catinia,  §  57,  p.  164).  Deriva  invece,  come  in- 
segna il  nònes  bo'bja  (Battisti,  Die  Xonsb.  MtincL,  p.  54),  da 
un  *upupea,  con  dileguo  del  -v-  <C  -p-,  come  in  altre  voci 
trentine  (Battisti,  Catinia,  §  70,  p.  178)  e  con  la  fusione  del- 
l'articolo col  nome  ^  h'il  è  dovuto  forse  al  j,  come  nel  veneto 
kubja,  ma  nel  trentino  esso  sarebbe  una  rarità. 

Più  probabile  che  in  lilpja  si  palesi  la  tendenza  ad  imitare 
la  voce  della  bubbola,  come  nel  ven.  puita,  suita  quella  della 
civetta  (Salvioni,   "  Arch.  Glott.  „,  XVI,  p.  226.  n.  1,  295). 

Si  noti  che  nel  trentino  la  bubbola  è  pur  detta,  piira  (v.  Ricci), 
da  piirar,  perché  quest'uccello  emette  lamenti,  che  danno  l'illu- 
sione di  gemiti  umani  2. 

manéipdr  (veron.)  '  sciupare,  guastare,  rovinare  '. 


'  Oppure  il  primo  p  cadde  per  dissimilazione  da  quello  seguente. 

^  Anche  nella  Valsugana  si  chiama  pura.  Il  nome  comune  è  però  biibola 
(emil.  hàhla),  per  cui  v.  Flechia,  "Arch.  Glott.  ,,  II,  p.  326.  Il  Malagoli, 
qui  a  p.  188-189.  riporta  il  novell.  gdxn  pàpla,  spece  di  gazza,  che  manda 
un  grido  mesto. 


Etimoloù^ie  409 

Kisultora  forse  dall'unione  di  nurn  con  desipà)',  d'ugual  signi- 
ficato. Cfr.  tose,  nianiinéttere,  manométtere.  Il  valsuganotto,  ac- 
canto a  d('/>ip(n',  à  mapipar  ^  Per  depipar  v.  Fi.echia,  "  Arch. 
Glott.  ,,  II.  p.  341  2. 

marendél  (plur.  mareìidjvj)  (tìani.)  '  mucchio  di  fieno  sul  prato  '. 

Va  messo  con  niarHo  (valsug.,  vicent.),  d'ugual  significato  e 
di  cui  s'è  detto  sopra,  a  j).  281,  ove  si  accenna  a  qualche  altra 
voce  appartenente  a  questa  famiglia  ^.  marendél  è  \n\  derivato 
in  -edél-^  di  un  primitivo  *mar-,  che  dev'essere  quel  medesimo, 
da  cui  dipendono  maro'na,  ìnaro'k  ecc.  e  su  cui  v.  qui  a  p.  285- 
287^.  Il  passaggio  di  significato  da  *mar-  "masso'  a  quello 
di  ■  mucchio  '  trova  rispondenza  nel  ven.  mota  (Jud.  "  Bull,  do 
Dialectol.  Rom.  „.  Ili,  p.  11.  n.  o)  'colle,  cumulo  di  terra; 
mucchio  [anche  gran   mucchio  di  fieno  nel  fienile)  '. 

imita  [deventdr-)  (valsug.)  '  impazzare  (del  latte)  ',  ed  altro. 
Rappresenterà  la  via  inversa,  per  cui,  nel  toscano,  da  impaz- 
zare '  addensare  '.  da  aequa  pazza   si    giunse   a  pazzo  '  matto  '. 


'  mazzipdre  anche  nel  polesano,  che  à  pure  malmétare. 

'  [S'aggiuno^a  il  ven.  mast ruzzar  '  schiacciare,  sgualcire  '.  Il  manoitiettere 
italiano  è  forma  analoga,  ma  sorta  in  un  ambiente  non  popolare.  P.G.  G.]. 

■^  Il  venez.  nMre'la  non  significa  'bica'  (Salvionf,  "  Zeitschr.  f.  Rom. 
l'hilol.  ,,  XXXIV,  p.  404),  ma  equivale  esattamente  a  mare'lo.  Ne  deriva 
marelàr(e)  '  abbarcare  il  fieno  '.  In  quanto  a  re'la,  si  noti  che  l'Ascoi.i,  "  Arch. 
Glott.  „.  I,  p.  349,  cita  relè  (plur.)  di  Moéna  (Fieme),  che  interpreta  per 
'  distese  di  fieno  '. 

'  Per  la  terminazione  -ede'l  v.  Salvioni,  '  Arch.  Glott.  ,,  XVI,  p.  303-304,  n. 
In  marende'l  si  avrebbe  quindi  inserzione  di  n  promossa   dal  m  iniziale. 

'  Riguardo  a  marn'ka  e  da  avvertire  che,  secondo  Cesakk  Battisti,  '  Tri- 
dentum  ,,  VII,  p.  22,  equivale  a  '  distesa  ragguardevole,  con  inclinazione 
costante,  di  massi  e  pietrame  dispersi  irregolarmente  a  collinette,  dighe, 
spianate  e  vallicelle  '. 


410  Angelico  Prati, 

Per  altre  fLiiizioui  di  inaio  nel  valsuganotto  cfr.  :  kàruc  mata 
'escrescenza  carnosa';  nomi  di  piante:  alhora  mata  'pioppo, 
alborella ',  kaétenéro  niato  'castagno  d'India'  {kaéténa  mata  il 
frutto),  à(/o  niàto  (Castelnovo),  '  zafferano  de'  prati  ',  Pimo'na  mata, 
spece  di  viburno  ^  ecc.;  nomi  di  uccelli:  rondala  o  rjo'ndola  mata 
'  balestruccio  ',  perùpola  mata  '  cincia  azzuri-a  '.  Cfr.  poi  kavaléta 
falsa  '  mantis  religiosa  '. 

Tra  i  nomi  di  oggetti  c'è  karo  maio  'traino,  treggia'.  Tra  i 
nomi  locali  una  Rivatnàta  in  quel  di  Bieno  (Strigno) -. 

Qualche  volta,  per  denotare  spece  di  pianta  od  altro  rara  o 
non  comune  s'usa  merikan  '  americano  '.  Cosi  l'uva  isabella,  detta 
altrove  nel  veneto  ìUì  fragola    e  a  Trento  iìa  fraga,  nella  Val- 


^  Cfr.  anche  trent.  bri/' a  mata  'ceppatello  cattivo'  (fungo). 

-  [Matto  si  dev'essere  diiiuso  dall'Italia  di  nord-est;  infatti  nel  Piemonte  è 
poco  comune  (Zalli):  nell'Italia  meridionale  si  à  pazzo  (negli  Abruzzi 
solo  mattetà,  mattijà,  Finamoke,  evidentemente  importati)  ;  in  Toscana />azeo 
e  matto,  come  tante  altre  coppie,  s'incontrano  e  coesistono.  Matto  à  valore 
di  vano,  scemo,  abnorme,  falso,  in  tutta  la  regione  veneta  e  nella  con- 
tigua; BoEiuo  :  monea  mata  'che  non  sia  battuta  nella  zecca  pubblica  e  non 
sia  dei  metalli  e  del  peso  legale';  pelo  mata  'lanuggine';  carne  mata  '  carne 
morta';  pena  mata  'il  primo  piumino  degli  uccelli';  maio  si  dice  al  mio 
paese  (Lussinpiccolo  d'Istria)  delle  frutta  'annebbiate';  e  diciamo  pure 
mato  dei  metalli  preziosi  d'infima  lega;  friul.  (Pirona)  aur  matt,  angle  mate 
'  irregolari  '  ;  il  milan.  à  anche  matt  in  entrambi  i  sensi;  e  cosi  pure  il  ferr. 
(Azzi):  carti,  or,  arzent,  ram,  muneda  ;  il  bologn.  (Ungarelli)  pàil  màt  ;  si  dice 
inoltre  qui  Idiren  mata,  or  màt,  miinàida  mata  che  I'U.ngarelli  non  registra,, 
tanto  in  città  quanto  in  campagna;  passando  in  Toscana  troviamo  ivi  pure: 
carne  matta,  pelo  matto  della  lanuggine  dell'uomo  e  della  pelurie  degli 
uccelli;  jic^t'xi  matta  à  il  Boccaccio;  ora  si  dice  anche  gamba  inatta,  piede, 
braccio  matto  'che  serve  male';  della  lingua  letteraria  sono  o  furono  casa- 
matta, carro  matto  'specie  di  carro  senza  sponde  per  trasportare  grossi  pesi  ' 
e  fuoco  matto  (quasi  'fatuo')  (D.  Baktoli)  '  fuoco  artificiale  '.  —  Determinata 
COSI  l'estensione  geografica  e  il  doppio  valore  costante  del  vocabolo  pos- 
siamo con  maggiore  sicurezza  fare  un  passo  ulteriore,  tentare  cioè  un'eti- 
mologia che  soddisfi   un  po'  meglio  del  niaditus  'madido'  dell'OsTHOFF.  Ad 


Etimologie  411 

sugana  si  chiama  ùa  merlkihni  '.  Nel  tientino  son  comunemente 
detti  of'éj  merikuni  gli  uccelli,  che  non  si  sanno  identificare, 
e  nella  Valsugana  ò  udito  denominare  botlro  ìncrikàii  il  buiro  ve- 
getale, venuto  recentemente  in   rommercio  col  nome  di  'Ceres'. 

nieriija  (niasch.)  (ven.). 

Cosi  si  denominava  un  tempo,  in  alcune  province  venete,  il 
cursore  di  un  comune.  V.  Boekio.  s.  v.,  e  Schnkllkr,  Die  rom. 
Volksmimd.,  p.  239,  ove  si  cita  questa  voce  anche  dal  furiano, 
col  significato  di  *  capo  comune  '. 

Discorrendo,  in  questo  volume,  dei  ven.  mariga,  mar'igo,  nin- 
ri'gola,  marit'gohi,  ò  riferito  pure  la  forma  merigo,  a  p.  280,  n.  2. 
Ora  va  aggiunto  che  essa  risale  a  un  anteriore  mayricus,  atte- 
stato da  documenti  (Andrich,  "  L'Ateneo  Veneto  „,  a.  XXMII, 
V.  Il,  p.  264).  Anzi  l'Andrich.  citando  la  forma  volgare  meriga, 
osserva  che  murico  è  forma  meno  usata.  Egli  connette  la  voce 
con  maior.  come  già  lo  Schneller,  1.  e,  pensò  a  major(de)-vico. 
V.  anche  a  p,  270,  274-275  del  lavoro  dell'Andrich,  che,  a  p.  264, 
riporta  l'antica  forma  iiKirùtnra.  Cfr.  muriganfìd,  murigancia.,  qui 
a  p.  279,  280. 

Nel  caso,  moiga,  merigo,  sarà  il  prodotto  dell'incontro  di  itui- 


una  forma  metto  (mettaios)  risalgono  i  celi.  airi.  >nefa  vigliacco, 
metacht  viltà,  rarmetanne  nos  perdidit,  mir.  methu  perire,  perdi,  deficere, 
labi,  a  m  a  t  a  i  0  s  gli  airi,  in-inadae  '  sine  causa  ,  mudw  vano,  iiiadach 
(gì.  cassa),  madaigim  frustor  ;  e  a  forme  analoghe,  il  gr.  /.idiuiog,  ftckìji', 
uaiì'i  'errore  trascorso',  un  derivato  del  quale  ftuiu^co  significa  '  esser  stolto  '. 
A  questo  s'aggiungeva  il  petroniano  piane  niatus  suni.  E  avremo  dunque 
una  base  greco-illiro V-italicoV-celtica  met/mat  col  significato  fonda- 
mentale di  '  deficiente  ",  da  cui  si  spiegano  facilmente  tutti  gli  altri  affini. 
Al  fidcuiog  già  altri  aveva  pensato,  e  fu  abbandonata  la  via  che  mi  par 
giusta  perchè  lo  si  volle  riconnettere  a  menilrì.  P.  G.  G.]. 
'   Altra  ragione  avrà  merihhia  'funicolare'. 


412  Angelico  Prati, 

r/r/rt  <;  *matrica  con  major,  da  cui  il  frane,  «wir^  '  sindaco, 
podestà'  (Kokting,  5812). 

Pel  passaggio  del  significato  da  nuirUja  '  libro  del  comune  '  a 
'  sindaco  '  ed  a  '  cursore  comunale  '  si  confronti  ancora  il  veron. 
d  kaneva  '  il  cantiniere  '. 

opilàr  (Agnedo,  valsug.)  '  premere,  opprimere  ;  assediare  con 
chiacchiere  '. 

Lat.  oppilare  'chiudere,  serrare,  oppilare  '  (Korting,  6705). 

piziil  (trent.),  piziól  (triest.),  pizyél  (nònes)  ecc.  '  cece  '. 

11  ViDossiCH,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  16,  n.  7,  domanda  se 
possa  essere  pisum  +  cicer  (*ciceolu).  Il  Salvioni,  "  Arch. 
Glott.  „,  XVI,  p.  233,  annotando  il  furi,  j^^c?/^  [=  piciul)  '  ceci ', 
l'ant.  veron.  pdzoli,  il  venez.  pezzolo  '  cece  ',  l'ant.  bellun.  peznoi 
[pezzuoli)  '  ceci  ',  alla  n.  2,  osserva  che,  per  l'etimo,  può  forse 
servire  il  provenz.  becudeu,  d'uguale  significato,  pensando,  d'altro 
canto,  al  lomb.  pizza  '  beccare  '. 

La  base  si  ritrova  invece  nel  trent.  piz  '  polpa  (della  noce)  ; 
mandorla,  seme  (di  frutto  racchiuso  in  un  nocciolo  oppure  del 
fagiolo)  ',  da  cui  dipenderà  il  pur  trent.  pizàtol  '  dadino  (forma 
in  cui,  per  certe  cotture,  si  taglian  le  rape  ecc.)  '  e  '  biscottino, 
buffetto  '. 

ràges  (trent.)  '  grande  schiamazzo  '  ;  ragos  (trent.  rust.)  '  bron- 
tolone, criticone  '. 

La  prima  voce,  sebbene  usata  a  Trento,  non  compare  nel  vo- 
cabolario del  Ricci,  ma  è  invece  ricordata  da  Agostino  Perini, 
Statistica  del  Trentino,  II,  Trento,  1852,  p.  631.  V.  anche  Bren- 
TARi,  Guida  del  Trentino,  I,  p.  147, 

Comunque  sia  da  spiegarne  la  terminazione,  essa,  insieme  con 
rago'é,  dipende  dalla  medesima  base,  da  cui  il  ven.  ragar{e),  mi- 
lanese raggà,  che  il  Flechia,  "  Arch.  Glott.  „,  lì,  p.  381,  traeva 


Etimologie  413 

da    *ragùlare.    V.    anche    D'Ovidio,   ''  Ardi.  Glott.  „,  XIII, 
p.  439. 

rrf/((tàr  (venez.)  '  fai-  a  gara,  gareggiare,  competere,  fare  a 
ruffa  raffa  '  ;  rar/afdr  (ant.  ven.)  'disputare,  litigare'  [R.  E.  W., 
2893)  ;  regata  (venez.)  '  gara  di  barche  '  (v.  Boeuio  !)  :  <(  regata 
(valsug.)  '  a  gara  '  ;  fiayatar.  f>agatarse  (valsug.),  di  senso  uguale 
a  regatar  e  detto  tanto  di  cani,  di  gatti  ecc.,  quanto  di  uomini, 
che  si  contendono  qualche  cosa  o  che  altercano.  Il  venez.  re- 
gata passò,  com'è  noto,  nel  toscano,  che  à  anche  la  forma 
re  gatta. 

Queste  voci  vanno  induhhiamcnte  con  inkatigàr  ecc.,  cui  ò 
fatto  cenno  al  hi  voce  trentina  engartjar  ecc..  col  tose,  gatti- 
gliare, (/attiglidrsi  '  leticare,  pungei'si  di  continuo  volgarmente  e 
per  cose  da  nulla'  ^  Risalgono  quindi  a  cattu  {R.  E.  W., 
1770),  l'animale,  che  è,  si  può  dire,  il  simbolo  della  contesa, 
della  baruffa. 

Non  chiaro  è  il  /  del  valsug.  pagatàr.  Si  avverta,  in  ogni 
modo,  ch'esso  ritorna  in  Pavargdr  '  confondere,  frammischiare  ; 
delirare,  farneticare  ',  veron.,  venez.  savarjàr,  vicent.  savarjàre, 
manto V..  trent.  zavarjàr,  regg.  zacarjér,  romagn.  zavarjà'  '  far- 
neticare, vaneggiare  '.  Cfr.  svariamento  '  farneticamento  ',  sra- 
riato  di  mente  '  fuor  di  sé  '  (Petrocchi  ;  Schneller,  Die  roni. 
Volksmund.,  p.  214).  È  voce  questa,  come  si  vede,  non  di  svol- 
gimento popolare.  Da  rilevare  è  che  nel  valsuganotto  si  mani- 
festa il  significato  primo  della  parola,  nel  quale  il  verbo  è 
transitivo. 

sagrine  (furi.)  '  maga,  strega  ',  agdnis,  sànas. 


^  Nel  toscano  v'è  pure  raggattinure  '  metter  ancora  le    unghie    addosso 
(del  gatto). 


414  Angelico  Prati, 

Sopra,  a  p.  283,  è  stato  detto  come  sagàne  risulti  dall'in- 
contro di  sagana  con  *aquana.  Qui  ricordo  la  Buse  de  lis 
Aganis,  piccola  cavità  nel  colle  di  Ragogna,  e  il  Foran  ('  caverna  ', 
foramen)  des  Agunis  o  di  Sanas,  a  monte  di  Prestento  (Civi- 
dale),  descritti  da  G.  B.  De  Gasperi  nei  "  Mondo  sotterraneo  „, 
VII,  Udine,  1911,  p.  78,  68.  Interessante  è  la  forma  Sdnas,  quale 
riduzione  di  sagana. 

séf'la  (trent.)  '  balestruccio  '  ;  sef'lom  '  rondone  '. 

Come  lo  sforPélo  (valsug.)  '  fagiano  di  monte  (tetrao  tetrix)  ' 
ebbe  questo  nome,  per  la  forma  della  sua  coda,  fatta  a  for- 
cella, come  il  halestruccio  (tose.)  ebbe  il  nome  dal  balestro,  come 
il  ffdcino  (lucch.)  '  balestruccio  ;  rondone  '  lo  ebbe  dal  falcino, 
per  la  sua  coda  falcata  o  ad  arco  rientrante  (Pieri,  "  Studj 
Romanzi  „,  I,  p.  40),  cosi  la  séf'la  e  il  sej'lo  ni  ebbero  il  nome 
dalla  séj'la  '  falcino  '  (Schneller,  Die  roni.  Volksnmnd.,  p.  181)  ^ 

Con  séfla  potrà  esser  connesso  il  venez.  si/' Ila  '  rondine  ', 
sif'iléta  '  rondinella  '  ?  Il  Boerio,  oltre  sisìla,  riporta  la  forma 
cisìla,  che  trova  giustificazione  nell'antico  cesila,  pur  da  lui  re- 
cato wqW  Appendice  ^. 

Il  Meyer-Lììbke,  R.  e.  W.,  2446,  seguendo  il  Mussafia,  Beitrag, 


^  Ai  casi  sopra  ricordati  sarebbe  forse  da  aggiungere  quello  del  dar- 
danc'l,  dàrdan  (lomb.),  dàrdano  (ven.)  ecc.  '  rondine  riparia  ',  tdrter  (trent.) 
'  balestruccio  ;  rondone  ',  tàrtaro  (valsug.)  ecc.,  in  quanto  questi  nomi  di- 
pendano da  dardo  (Pieri,  "Studj  Romanzi,,,  I,  p.  40),  rispettivamente  da 
tart  (alto  ted.  ant.),  ma  tale  dipendenza  non  pare  molto  sicura  (7?.  jE7.  W., 
2475).  Il  NiGEA,  "  Arch.  Glott.  ,,  XIV,  p.  283,  pensava  ad  altra   origine. 

Il  falcino  e  la  sefla  sconsigliano  poi  ad  ammettere  la  derivazione  da 
dardo,  alludente  alla  velocità  dell'uccello,  come  supposero  lo  Schneller, 
Die   rom.  Volksmund.,   204,  e   il  Salvioni,  "  Krit.  Jaliresber.  „,  V,  i,  p.  133. 

-  Il  Salvioni,  "  Arch.  Glott.  „,  XVI,  p.  313,  n.  1,  annotando  la  forma  me- 
tatetica  silizin  (Grado,  ven.),  adduce  a  confronto  un  ven.  slsila,  il  quale  non 
sarà  che  un  errore.  Si  ricordi  poi  la   Val  Cesilla  (Zismón,  Brenta). 


Etimolo^ne  415 

p.  124.  deriva  l'ant.  ven.  zesihi,  il  iiiod.  veiiez.  sìfiln,  il  l'uri. 
si/ile,  e,  con  diverso  sut'tisso,  l'ant.  vicent.  crsiola,  il  padov. 
sifiold,  dal  greco  cypselos  'rondine  riparia",  ma  aggiunge 
che  quest'etimo  è  dubbio,  perche  da  esso  si  aspetterebbe  -s-, 
non  -/'-. 

sif'ilit  potrebbe  essere  un  *sicella  o  ancor  meglio  un  *siclle^, 
che  poi  avesse  preso  1'-^:  da  éésola  '  falce  '  <C  *sicTla -.  E,  per 
l'iniziale,  cfr.  il  valsug.  /'Jr/'la  '  falcino  ',  che,  pel  dittongo,  ri- 
chiama il  non.  siéf'la  (Battisti,  D'w  JS'oiisb.  Miii/cL,  p.  37),  sol. 
siéf'do  (Battisti,  Zur  Sulzh.  Miind.,  p.  226,  §  18).  11  (taktner, 
"  Zeitschr.  f.  Bom.  Philol.  ,..  XVI,  p.  343,  n.  3,  si  occupò  este- 
samente di  un  gruppo  di  forme,  che  egli  ricondusse  a  si  ci  la, 
e  per  la  forma  nònesa  osservava,  che,  come  pare,  allude  a 
secare^".  Ma  il  valsug.  P}(^J'l<i  e  le  forme  venete  citato,  am- 
messo che  risalgano  alla  base  proposta,  presentano  una  diffi- 
coltà nella  consonante  iniziale.  PjéJ'la  farebbe  pensare  all'  in- 
flusso di  caedere,  o,  meglio,  di  *caesare  {R.  E.  II'.,  1473), 
anzi  si  penserebbe  ad  un  *caesrila,  da  confrontare  col  tose. 
ceféllo  (Meykr-Lììbke,  Eiiifiilininy  -^  p.  160;  R.  E.  IT.,  1474)  e 
per  sif'iìa  ad  un  *cTsella  o  ad  un  *cTsTle^,  per  cedola  a  wn 
*c  a  e  so  la. 

•Sennonché  f'jf^f'ln  può  essere  forma  dissimilata  di  un  anteriore 
*sjéf'la.  Infatti  in  un  documento  volgare  valsuganotto  del   1506 


*  Cfr.  'falcile  -falcetto'  {B.  E.  W.,  3157). 

^  Il  s  di  se'sola  è  dovuto  ad  assimilazione,  come  notò  il  Vidossich,  Studi 
sul  (hai.  triest.,  N.  86  è. 

•^  Notisi  che  il  Mkykr-Liìbke,  "  Ardi.  f.  d.  Studium  d.  Neueren  Spr.  u. 
Liter.  „,  CXXIV^,  p.  382,  tende  a  spiegare  il  tose,  segolo  'pennato'  da 
seijùre.  Per  segolo  cfr.  pure  Jin.  ivi.  p.  399.  E  v.  Mkyer-Luiìke,  Einfiihrung-, 
p.  128,  ove  è  da  correggere  segala  in  se'golo. 

*  Beninteso  che,  nel  primo  caso,  l'i  sarebbe  prima  comparso  nelle  forme 
derivate  sif lieta,  silizln,  e  di  i{Ui'  in  siftla. 


416  Angelico  Prati, 

s'incontra  la  forma  sicsle  (plur.)  \  cosa  che  però  non  prova 
molto.  Un  caso  uguale  offre  il  rover.  ceslom,  accanto  a  seslom 
'  rondone  '  (Azzolini).  Cosi  pure  il  Marchi  riferisce  la  forma 
zeslóm  {Note  e  osserv.,  p.  52). 

Anche  il  nome  del  passero  à  dato  alquanto  da  pensare. 
Cfr.  ven.  éélega,  selegàto  '  passerotto  ',  triest.  selegato,  poles.  zé- 
lega  o  zélga,  wsdsug.  h'iega,  ant.  ven.  celega,  vegl.  célka;  ampezz. 
Cìlja,  trent.  zélega,  romagn.  zélga  '  passera  mattugia  '.  Cfr.  anche 
vicent.  selegàre  '  uccellare  '.  Tra  i  nomi  locali  connessi  con 
questa  voce  si  rammentino  Zelegàre  (Torrebelvicino,  Vicenza)  e 
un  antico  Ciligofo  (Conegliano,  Treviso)  del  1252  (Olivieri, 
"  Studi  Glott.  „,  III,  p.  139).  V.  ScHNELLER,  Die  rom.  Volksmvnd., 
p,  130;  MussAFiA,  Beifnig,  p.  123;  Ascoli,  "  Ardi.  Glott.  „,  X, 
p.  93,  n.;  ViDossicH,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  83  6;  Bartoli, 
"  Revue  de  Dialectol.  Rom.  „,  II,  p.  477;  R.  E.  W.,  828,  1802. 

Per  il  costume  di  vita  e  di  nidificazione,  come  si  sa,  il  pas- 
sero si  avvicina  assai  alla  rondine  ^.  Ora,  che  éélega  ecc.  sia  un 
*silica,  metatesi  di  *sìcila,  da  cui  il  trent.  òv^/'/a?  In  quanto 
alla  consonante  iniziale,  essa  tenderà  fors'anco  ad  imitare  il 
cicaleccio  del  passero.  In  tal  modo  si  spiegherà  pure  Rilega 
(valsug.).  La  forma  triestina  (v.  Vidossich,  1.  e.)  e,  forse,  pure 
il  gravose  siliziii  potrebbero  aver  conservato  il  s-  originario. 


^  Si  legge  nella  carta  di  regola  di  Dospedale  (forma  letteraria  O.y^eda- 
letto),  scritta  dal  notaio  tasino  Gasparin  Granello  (Maurizio  Morizzo,  Docu- 
menti risguardanti  la  Valsugana,  111,  N.  2687  dei  manoscritti  della  Civica 
Biblioteca  di  Trento,  p.  9). 

Per  l'antico  trentino  il  Battisti,  Catinia,  §  11,  p.  109,  riporta  le  forme 
sexula,  sexola,  sesia. 

•  Anzi  alle  Tezze  (valsug.)  la  Rilega  e  appunto  la  rondine,  che  è  detta 
zélega  anche  altrove  (G.  Bastanzi,  Le  superstizioni  delle  Alpi  venete:  le  su- 
perstizioni delle  Provincie  di  Treviso  e  di  Belluno,  p.  212).  Nell'emiliano  in- 
vece ze'lga  indica  il  montanello,  che  è  pure  un  passeraceo. 


Etimologie  417 

Ma  di  queste  spiegazioni  di  sij' Ha  e  di  stHegu  son  io  il  primo 
a  riconoscere  la  non  grande  probabilitèi.  Io  le  espongo  quale 
mero  tentativo  e  spinto  dal  bel  caso,  presentato  dal  tren- 
tino è<:f'la. 

èldjar{e)  (ven.)  '  seccare,  importunare,  annoiare,  crucciare  '  ; 
sidjo  '  seccatura,  importunità,  fastidio,  cruccio  '  ;  éidjà  (valsug.) 
*  spossato,  affranto  '. 

Il  Boerio,  oltre  a  queste  forme,  cita  anche  assediar,  s/'diar  e 
assedio,  .^rdio  e  il  Salvioni,  '•  Ardi.  Grlott.  „ ,  XVI,  p.  195,  ri- 
cordando pure  il  monf.  sidiése  '  affaticarsi  ',  pone  a  confionto  il 
tose,  jwrre  l'assedio  '  importunare,  infastidire  '. 

Conviene  tuttavia  osservare  che  nel  trentino  c'è  zidjór  '  dar 
noia,  far  venir  l'accidia;  importunare,  seccare',  zidja  'stizza, 
cruccio',  zidjo's  'stizzoso:  di  malumore;  accidioso,  uggioso; 
piagnucolone  ',  forme  che  non  posson  ragguagliarsi  con  assèdio, 
bensì  con  accidia  [R.  E.  W.,  90),  che,  anche  pel  senso,  vi  corri- 
sponde benissimo.  Cfr..  nello  stesso  dizionario  del  Boerio,  acidia 
'  accidia,  fastidio  con  tedio  del  ben  fare  ',  acidiarse  '  seccarsi, 
stufarsi,  venire  a  fastidio  o  a  noia  '  (da  leggere  as/dja,  asi- 
djàrse).  1  ven.  sidjàr{e),  sidjo  rappresentano  probabilmente  l'in- 
contro di  sédjo  '  assedio  '  con  accidia,  avendosi  nel  valsuganotto 
sidjai',  sidjo  e  non  ^pidjar,  *Pldjo,  che  sarebbe  il  prodotto  del  solo 
accidia.  Anche  il  roveretano  à  sidùki,  sidiar. 

Nel  valsuganotto  sidjo  o  sldja  vale  anche  '  inedia  '  e  si  pre- 
senta in  tal  modo  un  caso  inverso  del  tose,  inèdia,  che  venne 
a  significare  anche  '  noia  tremenda  ',  ed  analogo  invece  al  sicil. 
iniciaciti  •  inedia,  sofferenze  '  (cfr.  ant.  tose,  misacjio  '  disagio  ') 
(De  Gregorio,  "  Studi  Glott.  „,  IH,  p.  254). 

Il  veronese  a  il  verbo  sorir  o  insor/r  '  infastidire,  indispet- 
tire, dispiacere  ',  sorlrse  '  arrabbiarsi,  indispettirsi  ',  vicent.  m- 
sorire  '  mortificare  ',  che    non    è    certamente    cosa    diversa  dal- 

Arthivio  gloitol.  ita!.,  XVII.  23 


418  Angelico  Prati, 

l'ant.  ven.  insorire  'venir  fame',  che  il  Salvioni,  "  Romania  „, 
XXXIX,  p.  449-450,  seguito  dal  Meyer-Lììbke,  R.  E.  TF.,  2918  a., 
deriva  da  esfirìre. 

Anche  qui  si  à  dunque  un  altro  riscontro  per  il  passaggio  di 
significato,  sopra  avvertito  ^. 

stadél  (trent.)  '  piolo,  regolo  '  ;  stavigi  (sing.  sfavUjo)  (valsug.) 
'  due  legni,  un  po'  ricurvi,  che  stanno  infissi  verticalmente  ai 
lati  del  carretto  a  mano  e  che  trattengono  il  carico  '. 

Andranno  coi  tose,  asticcig'la,  asticéllo:  il  primo  s'appalesa 
come  un  derivato  in  -adél  (Salvioni,  "  Arch.  Glott.  „,  XVI, 
p.  304,  n.)  di  asta.  Cfr.  si^Za  <  *astella  [E.  E.  W.,  740).  Il 
secondo  risulterebbe  dall'unione  del  primo  con  avégo  (valsug.) 
*  pernio  '.  L'/  e  causato  dall'z  finale  {staiigi).  Ma  quest'unione  è 
poco  probabile. 

Un  incontro  invece  con  cavicla  [R.  E.  W.,  1979),  malgrado 
nel  valsuganotto  sieno  numerosi  i  casi  di  c'\  >  g,  sarebbe 
escluso  dal  fatto  che  si  à  appunto  kavico  (Tezze  kaica),  non 
"^kavigo,  a  meno  che  un  tempo  non  s'avesse  nella  Valsugana 
questa  forma. 

In  avégo  (rover.  aguéj)  <C  *aquìleu  {R.  E.  W.,  127)  ^  si  nota 
la  riduzione  di  -ku-  in  -o-,  quale  compare  pure  nel  venez.  véla 
'  gugliata  ',  da  *akiiétta  (Vidossich,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  33)  ^. 


*  La  voce  ìnsorio  s'incontra  pure  nel  Contrasto  del  matrimonio  de  Tuogno 
e  de  la  Tamia,  stampato  nel  1519  (Pasqualigo,  La  lingua  rust.  padov., 
p.  5,  n.). 

-  Per  Vequileus  di  una  glossa,  cui  accenna  il  Pascal,  "  Studj  di  Filol. 
Rom.  ,,  VII,p.  246,  n.,  v.  D'Ovidio,  "  Arch.  Glott.  „  XIII,  p.  391,  n. 

^  Cfr.  anche  ven.  hef'evego  'pungiglione'  (Nigra,  "  Romania  „,  XXXI, 
p.  508;  "  Arch.  Glott.  ,,  XVI,  p.  598;  R.  E.   W.,  1057). 

Per  ave'ta,  ve'ta  non  è  quindi  da  supporre  un  *àvo  a  e  u  (Salvioni,  "  Arch. 
Stor.  Lomb.  „,  s.  III,  v.  XVII,  p.  365-366).  Il  veneziano  à  infatti  ago  (non 
*àvó),  ma  ve'ta. 


Etimologie  419 

Anche    nel    nònes    ricorre    avéj    (Battisti.    Die    Xou^h.    Mund., 
p.  133). 

f'ianfrar  (veron.)  '  divorai'e,   pappare,   mangiare  avidamente  '. 

Deve  star  a  base  di  questa  parola  quel  leffur  (alto  ted. 
ant.)  '  labbro  ',  che  tante  tracce  lasciò  nell'alta  e  nella  media 
Italia.  V.  Battisti,  Lk  roculc  A,  p.  83,  n.  ;  Salvioni,  "  Arch. 
Glott.  ..,  XVI,  p.  174;  Parodi,  ivi.  p.  108.  n.  1.  Il  Salvioni, 
1.  e,  adduce,  tra  l'altro,  il  crcmon.  lifrokaa  '  pacchiare  '. 

In  f'ianfrar  s'immise  evidentemente  f'ìapar,  di  senso  uguale. 
E  non  sani  quindi  da  pensare  all'influenza  di  lài:ro.  In  quanto 
all'inserzione  del  ii  poi,  sia  rammentato  il  triest.  f'ianbrar  '  slab- 
brare '  (ViDOSSiCH,   Studi  ì<ul  diaì.  triest.,  N.   115/). 

J'ihìfjo  (più  coni,  f'iinfja)  o  f'niììfjo  (veron.)  '  lezioso,  smor- 
fioso, pieno  di  lezi,  di  vezzi,  di  smancerie";  f'ihnpjo  'schifil- 
toso ';  f'iimpjo,  f'iimpjom  (trent.)  'smorfioso,  schizzinoso;  sdolci- 
nato; delicatuzzo  '. 

f'I'tnfjo  è  l'incrocio  di  f'ninfjo  con  f'itntpjo,  che,  alla  sua  volta, 
è  l'incrocio  di  J'iimega,  J'iimegin  (veron.)  '  biascino  ',  f'iimegon 
'  biascione,  biascicone  ',  f'iinugar  '  biasciare.  biascicare,  biasciuc- 
care  ',  Ihiff/o  o  f'Umego  (valsug.)  '  schizzinoso  ',  con  la  base  ch'è 
nel  trent.  J'Upja  ecc.,  di  cui  v.  qui  a  p.  277,  e  che  ricorre 
anche  nel  sicil.  lippiàri  '  Jeccucchiare,  assaggiare,  gustar  legger- 
mente checchessia  '  (De  Gregorio,  "  Studi  Glott.  ...  Ili,  p.  276)  ^ 

Per  f'ninfjo,  f'ninfo  ecc.  v.  Vidossich,  "  Aich.  Triest.  .,.  XXX 
(s.  Ili,  V.  II),  p.  146;  Cesarini  Sforza,  "  Tridentum  ..,  Ili,  p.  152- 


'  Alla  prudenza  nell'ammettere  dei  germanismi  nell'Italia  meridionale 
à  accennato  recentemente  anche  il  Salvioni,  "  Romania  ,,  XXXIX,  p.  468, 
ma  nel  caso  di  lipindri  credo  che  non  ci  sia  da  esitare  molto  a  collocarlo 
colle  voci  dell'alta  Italia,  cui  s'è  fatto  cenno. 


420  Angelico  Prati, 

153,  ove  son  raccolte  parecchie  forme  dell'alta  Italia.  A  propo- 
sito dì  spuséta,  cui  accenna  il  Vidossich,  v.  spuzét  nel  vocabo- 
lario trentino  del   Ricci  ^. 

Per  il  n  di  /'ninfa  cfr.  f'ìianfo  (venez.),  nanfo  (valsug.)  '  che 
parla  nel  naso  '  -. 

Per  i  rapporti  e  i  cambiamenti  di  significato  cfr.  ciò  che 
scrive  il  Vidossich,  1.  e,  con  ciò  che  scrive  il  Salvioni,  "  Arch. 
Glott.  „,  XVI,  p.  174. 

tarando  (valsug.),  tarant  (trent.),  farànz  (rover.),  sarànto  (scritto 
zarànto  nel  Boerio)  (ven.),  cirànt  (furi.)  '  verdone  '. 

Lo  ScHNELLER.  Die  rom.  Volksmund,,  p.  204,  diede  di  taranz 
una  spiegazione  da  far  il  paio  con  quella  di  (jaméro  (v.  sopra). 
Egli    interpretò  taranz  come  d'arancio,  pel  colore  dell'uccello!! 

Il  Salvioni,  "  Arch.  Glott.  „;  XVI.  p.  313,  n.  1,  lo  cita,  al 
contrario,  come  una  forma  metatetica,  basandosi  sul  ven.  za- 
rànto, friul.  cirant  '^.  Ma  non  si  tratterà  di  una  metatesi  in 
taranz,  visto  che  il  dialetto  di  Trento  à  tarant  e  il  valsuga- 
notto  tarando,  che  s'allacciano  col  tose.  (?)  taranto  '  rigògolo  ',  che 
è  ricordato,  a  proposito  del  nome  di  un  pesce  (rover.  tarantél), 
nella  "  Revue  des  Langues  Romanes  „,  LUI,  p.  52  ^. 


'■  Nel  suo  primo  significato,  spilze't  indica  '  chi  veste  con  soverchia  ricer- 
catezza, frustino,  paino  '  e  c'è  perciò  chi  lo  spiega  dal  ted.  sich  putzen 
'  acconciarsi,  farsi  belio  '. 

^  Cfr.  sicil.  nanfara  '  voce  nasale  per  raffreddore  '  (De  Gregorio  e  Sey- 
BOLD,  "  Studi  Glott.  „,  III,  p.  242).  Cfr.  il  n.  pers.  Gnanfum  di  un  doc.  padov. 
del  1183  {Cod.  Ecel.,  p.  85). 

^  Il  Salviowi  cita  taranz  come  voce  trentina,  ma  a  Trento  si  dice  tarànt. 
La  causa  dell'inesattezza  andrà  cercata  nelle  rom.  Volksmund.  dello  Schnel- 
LER,  ma  è  un  grave  errore  il  tradurre  con  '  trentino  '  il  wàlschtiroliscìi  di 
quest'autore  !  Si  farebbero,  in  tal  caso,  passare  come  trentine  delle  schiette 
voci  venete  o  lombarde  ! 

*  Non  so  però  donde  il  Barbier  fils  abbia  quella  voce. 


Etimologie  421 

Se  farànto,  farànt  è  un  *tarantu,  taranz  non  potfa  essere 
che  *tarantiu  (cfr.  tose,  avvolto' jo  e  i  numerosi  derivati  di 
*pulliu:  Meyer-Lubke,  Roìh.  Gramin.,  II,  §  403)  e  forme  do- 
vute a  metatesi  saranno  invece  sarànlo,  ciranl.  \\  valsug.  tarando 
si  spiegherà  per  dissimihxzione  ^ 

trame  (venez.)  '  pianello.  androne';  ^m>M6y/r  (vicent.)  '  striscia 
di  terreno  tra  due  filari  di  alberi  '. 

Il  Salvioni,  "  Romania  „,  XXXI,  p.  294,  indotto  dal  mi- 
randol.  (emil.)  tràmad  '  androne  tra  alberi  '  ecc.  -,  deriva  pur 
il  venez.  trame  da  tramite,  piuttosto  che  da  un  *tramen, 
tra  m  i  n  i  s. 

Ma  al  Salvioni  evidentemente  non  era  allora  noto  il  vicent. 
trùmene,  che  ci  riconduce  appunto  a  quest'ultima  base,  alla 
quale  risaliranno  pure  i  nomi  di  Trami  (Terrazzo,  Verona), 
Borgo  Trami  (Keana,  Udine),  Tramón  (Villabartolomèa,  Verona) 
(Olivieri,  "  Studi  Glott.  .,,  UT,  p.  200),  Tramin  (ted.;  ital.  Ter- 
méno  (alto  Adige)  (Prati,  Ricerche  di  topon.  treni.,  p.  39-40,  n.). 
Per  lo  scambio  di  -es,  -itis  con  -en,  -inis  (limen  :  limes  ; 
termen  :  *termes  ecc.)  v.  Ascoli,  "  Arch.  Glott.  „,  IV, 
p.  400  ;  Mever-Lìieke,  Roììi.  Gramm.,  IT,  §  16  ;  Einfiìhrioty^, 
p.   166=^. 


^  Forse  è  la  medesiìna  voce  il  nome  della  stirpe  signorile  dei  Tarcmten 
del  villaggio  Tirol,  che  in  un  documento  del  1394  compare  coinè  Turandi, 
forma  che  vi  è  tradotta  col  lat.  Scorpiones.  E  lo  Sciinkller,  Beitriige  zar 
Ortfinamenlcunde  Tirols,  II,  p.  28,  n.  3,  ricorda  l'antico  nome  tirolese  dello 
scorpione  :  der  turnnt,  torunt,  il  quale  gli  pare  un  partic.  pres.  dell'alto 
ted.  ant.,  alto  ted.  m.  taren  '  danneggiare,  nuocere  '. 

-  Anche  il  Lorenzi,  "  Riv.  Geogr.  Ital.  ,,  XV,  p.  163,  nota  la  voce  emi- 
liana (Massa,  Ceneselli)  trdmad,  indicante  ciascuna  delle  pezze  di  terra 
coltivabile,  in  cui  è  suddiviso  un  fondo. 

^  Qn  *trlmen  sembrerebbe  proprio  supposto  dal  veron.,  vicent.  trlme, 
poles.  in'itio  '  porca  '. 


422  Angelico  Prati, 

Per  ciò  che  riguarda  il  significato  si  confronti  bhm  (veron.) 
'  filare  di  viti  '.  V.  i  nomi  locali  veronesi  Bine-lónghe,  Ottohìne 
e,  d'altro  lato,  Binastróva  \  via  di  Verona,  ora  scomparsa  (Oli- 
vieri, "  Studi  Glott.  „,  III,  p.  147.  203,  154).  Cfr.  Uncdo  (poles.) 
presso  il  Lorenzi,  "  Riv.  Geogr.  Ital.  „,  XV,  p.  159  2,  e  v. 
ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  16. 

uéfa  (sost.  e  agg.)  (trent.)  '  uva  lùgliola  '. 

E  detta  ita  Imjndega,  ogadega  nel  veneto  [ulgadega  nel  valsu- 
ganotto),  luljdmt  o  luvjdna  nel  veronese.  La  forma  trentina,  de- 
rivata per  -ense.  à  riscontro  in  ila  gostéf'a  'uva  agostina' 
{R.  E.  W.,  786);  ma  per  designare  altre  piante  o  frutti,  che  si 
seminano  0  nascono  o,  rispettivamente,  maturano  in  agosto,  si 
usa  gostarlJl. 

Il  dileguo  del  j  da  Uefa  trova  un  caso  parallelo  nel  nome 
del  villaggio  della  Val  di  Non  Timi,  in  antichi  documenti  Tul- 
lienum  ecc.  (Prati,  Ricerche  di  topon.  treni.,  p.  59). 

Riguardo  alla  scomparsa  della  consonante  iniziale  è  forse  op- 
portuno ricordare  il  ven.  uljana,  ulgàna  (anche  fassano),  fiam. 
olgana  '  Giuliana  '  '^. 

visciola  o  bisciola  (tose),  vlsola  (venez., poles..  veron., trent.  ecc.); 
vérla  (valsug.,  vicent.);,  sorta  di  marasca. 

Il  Meyer-Lììbke,  R.  e.  W.,  1433,  accoglie  visciola  e  vérla 
sotto  byssìnos  'rosso',  cui  attribuisce  pure  il  significato  di 
'  visciola  '.  Egli  osserva  tuttavia  che  la  forma  vérla  è  affatto 
incomprensibile. 


^  Veron.  rust.  stro'o,  trent.  strof  '  buio  '  (Ettmayer,  "  Rom.  Forsch.  „,  XIII, 
p.  631). 

■  Il  Mazzucciu  à  invece  binon  '  androne  '. 

^  RicARDo  Rasmo,  Piccolo  saggio  sul  dialetto  di  Fietirme,  Venezia,  1879  (v.  il 
dizionarietto). 


Etimologie  423 

Dov'essere  invece  nel  vero  chi  ritiene  che  v/sola,  rhciola  ri- 
salga all'alto  ted.  ant.  wihsela  (Korting,  10392),  ted.  mod. 
Jì'eiclt.sel,  come  ammette  il  Parodi,  "  Romania  ,,,  XXVII,  p.  235,  n., 
che  cita  il  ted.  rixeìa. 

Oscuro  rimane  invece  rérla,  che  è  troppo  lontano  da  cisoia, 
per  crederlo  d'uguale  origine.  Si  noti  che  Alessandro  Citolini 
usò  nella  sua  Tipocos»n(t.  \'enezia,  1561,  la  forma  venda,  indi- 
cante una  sorta  di  ciliegia  (v.  Petrocchi,  e  Tommasi:o  e  Bellini). 
V.  anche  i  nomi  locali  veneti  raccolti  dall'OLiviERi,  "  Studi 
Glott.  ,,,  III,  p.  139,  sotto  vérla,  spece  di  uccello,  ma  che  si  con- 
netteranno meglio  con  véì'la,  frutto. 

Voci  derivate  da  ervilia  'cicerchia'. 

Dal  nome  di  questa  pianta,  che  nel  toscano  è  rappresentato 
da  rovigìia,  rubiglia  o  robfgfid  (D'Ovidio,  "  Arch.  Glott.  .. ,  XIII, 
p.  414),  sorta  di  pisello,  mont.  pist.:  orhtglia,  spece  di  pisello 
salvatico  che  fa  fiori  rossi,  nel  valsuganotto  da  broéf/a  '  vi- 
lucchio',  nel  trentino  da  g7-èfe  o  erbéj  'cicerchia',  nel  lombardo 
da  arbéj,  nel  nònes  da  arbm,  nel  solandro  da  roao't  (Battisti, 
Zur.  Snlzh.  Mund.,  p.  233),  ecc.  ("  Studj  di  Filol.  Rom.  „,  VII, 
p.  192)  \  deve  dipendere  un  altro  gruppo  di  voci,  che  denotano 
'  aggrovigliamento,  arruffamento  '  e  sim.,  alle  quali  diede  ori- 
gine, con  tutta  probabilità,  la  pianta  in  parola,  che  meglio  di 
tante  altre  porge  l'idea  dell'aggrovigliamento.  Raccolgo  quindi 
sotto  la  base  intestata  alcune  voci,  alle  quali  si  potranno  ag- 
giungere poi  altre. 

rovejar  (veron.)  '  arruffare,  tramenare,  aggrovigliare,  sconvol- 


^  Nella  Valsugana  si  dice  broe'ga  anche  a  persona,  che  avviticchia. 
Ad  ervilia,  anziché    a    r  u  1)  u  s>,  può  risalire  liorei/liàru  (Brossanvido, 
Vicenza)  (Olivikki,  "  Studi  Glott.  „,  III,  p.  12b). 


424  Angelico  Prati, 

gere,  metter  sossopra;  strizzare,  avvolgere  malamente,  alla  rin- 
fusa, abbatuflfolare  '. 

rovejo'to  (veron.)  '  grovigliolo  '  ;  rovejaménto  '  arruffio  ecc.  ; 
sconvolgimento  '. 

groéjo  o  grovéjo  (veron.)  '  aggrovigliamento,   aggrovigliatura  '. 

inroegare  ^  (padov.)  'arruffare,  aggrovigliare',  iiìroegàrse  (rifl.)-, 

(jroéga  (Tezze,  valsug.)  '  garbuglio,  viluppo,  aggrovigliamento, 
arruffio  '. 

ingroigàr  (ivi)  '  arruffare,  aggrovigliare,  ingarbugliare  '. 

nroagàr  (valsug.),  come  sopra. 

roàgo  (valsug.),  come  groéga  ^. 

rovegdr  (venez.)  '  avviticchiarsi  '  (della  vite,  dell'ellera  e  d'altre 
piante  che,  salendo,  s'appigliano). 

rooigliare  (tose:  sec.  XVI)  'svoltolare'. 

groviglia,  grovigliola  (tose.)  '  filo  troppo  torto,  che  si  aggro- 
vigliola  ';  grovigliolo  '  nodo,  grovigliola,  che  appare  nel  tessuto  '. 

aggrovigliare,  aggrooigliolàre  (tose.)  '  avvolgersi  o  arruffarsi  (del 
filo  e  sim.)  '. 

Il  NiGEA,  "  Arch.  Glott.  „,  XIV,  p.  277,  fa  risalire  groviglia 
a  un  *carabiculu,  da  caràbu  'granchio',  in  quanto  questo 
dà  l'idea  di  cosa  raggomitolata,  aggrovigliata. 

Ma,  anche  astraendo  dal  trapasso  di  significato,  questa  base 
è  incompatibile  colle  forme  venete,  da  gran  parte  delle  quali 
si  deduce  che  il  g  in  groéjo,   groéga,   groviglia  è  prostetico,  pel 


'  Al  polesano,  che  à  roéga  'piselli;  vilucchio',  è  propria  la  forma /«ro- 
dare, rogare  '  involtare  ',  rogón,  rogo'to  '  batuffolo  ;  involto  '.  Cfr.  kontàrse 
'  ardire,  osare  '  di  fronte  al  valsug.  Jcoentór. 

^  Anche  i  verbi  seguenti  s'usan  pure  riflessivamente. 

^  L'rt  è  naturalmente  subentrato  prima  in  nroagdr,  da  cui  fu  formato 
roàgo.  Cfr.  valsug.  kkavapàr  (111  pers.  indie,  pres.  skavafia),  e,  d'altro  canto, 
kega  'spacconata;  spaccone',  he' gola  'cacherelle',  da  A-p^rój- (HI  pers.  indie, 
pres.  kega),  htorcgdr  [hto'rega]  (metat.)  '  rivolger  parole  per  infastidire  '  ecc. 


Etimologie  425 

quale  fenomeno,  oltre  i  noti  esempi  toscani,  cfr.  venez.  yrànsjo 
'  rancido  ' '.  trent.  grdspola  (valsug.  ràèpa)  'ingolla'. 

Sui  nomi  veneti  della  lumaca  e   della   chiocciola. 

Mentre  nel  veneziano  e  nel  veronese  la  lumaca  è  detta  lii- 
)ìià(/a  -,  nel  valsuganotto,  nel  vicentino,  nel  polesano  e  nel  tre- 
visano vive  la  interessante  forma  luméya,  alle  Tezze,  nell'estre- 
mità orientale  della  Valsugana,  e  nel  padovano  linif</a.  11  ve- 
ronese, oltre  lunuuja,  a  Umàèo,  mentre  nel  trentino  il  lihnàz  è 
la  chiocciola. 

L'Ascoli,  "  Arch.  (jlott.  .,,  X,  p.  92,  n.  2,  togliendo  dal  di- 
zionario padovano  e  veneziano  del  Patriarchi  la  forma  limèga, 
osserva:  "  L'accento  contrasterebbe  con  la  qualità  della  vocale, 
e  saremmo  spinti  alla  ricostruzione:  llme<ia  =  limaca  ., .  Ma 
egli  avrebbe  risparmiato  questa  osservazione,  se  avesse  saputo 
che  la  voce  suona  appunto  liméf/a. 

Di  recente  à  proposto  due  spiegazioni  il  .Salvioni  "  Revue  de 
Dialectol.  Kom.  „,  II,  p.  94-95,  il  quale  pensa  o  ad  estrazione 
da  lianeghéta,  lumegón  o  a  sostituzione  del  suffisso  -éga  <i  -àtica 
ad  -aga.  La  prima  spiegazione  va  esclusa  senz'altro,  mentre  è 
sicura  la  seconda,  che,  come  nota  il  Salvioni.  trova  un  appoggio 
nel  venez.  pedenéga  '  pastinaca  '  ^. 


'  Molfett.  gréngete,  napol.  granente,  calaln*.  grànritu  (Merlo,  "  Revue  de 
Dialectol.  Rom.  „,  1,  p.  '2ó3,  n.  2).  11  Mkulo  li  spiega  tlairincrooio  di  'grasso  ' 
con  '  rancido  '.  che  però  non  pare  giustificato. 

"  La  forma  lunuìga  ricorre  pure  nel  polesano  (Lokknzi.  ''  Riv.  Geogr.  Hai.  ,, 
XV,  p.  151). 

^  Cfr.  Ijresc.  pa^itenà'ìeuhe  (trent.  invece  pestenàgu  ;  (xìstenàkn  h  natural- 
mente forma  dotta).  Col  furi.  rubì"jhe  'orbacca',  di  cui  Salvioni,!.  c,  n.  3, 
cfr.  Vorhaiga,  citata  da  E.  Lorknzi,  Saggio  di  comm.  ai  cogn.  trid.,  p.  69,  N.  12, 
che  non  dice  però  a  quale  parlare  es>a  appartenga. 

Diverso  suffisso  à  pure  il  nònes  limo'c  '  chiocciola  '. 


426  Angelico  Prati, 

Inoltre  essa  trova  la  più  bella  conferma  nell'antica  forma 
lumaiga,  riportata  dallo  Schneller,  Die  rom.  Volksìmind.,  p.  45, 
e  nel  rover.  liiinàjga  '  lumacone  ignudo  '. 

Dalle  forme  sopra  citate  si  vede  come  in  parte  del  veneto 
compaia  la  forma  con  /  [liniéga,  limóso),  ma  pili  comune  è  quella 
con  u  [lìonégo,  liimaga).  Questa  fu  spiegata  coll'influsso  di  lume, 
come  hi f érte,  luf'érta  ecc.  coll'influsso  di  li[l'e,  ma,  nel  nostro 
caso,  non  si  sente  bene  la  ragione  di  tale  influsso,  quantunque 
vi  sieno  dei  casi,  in  cui  una  voce  subisce  l'influsso  di  un'altra, 
anche  senza  che  tra  esse  corra  alcun  legame  di  significato. 

Si  confrontino,  in  ogni  modo,  i  nomi  locali  Lumignàno  (Lon- 
gàre,  Vicenza),  nel  1013  Litniniano,  Liimiàltu  (S.  Maria  in  Stelle, 
Verona),  nel  1213  Limeaìto  (Olivieri,  ''  Studi  Glottol.  ...  Ili, 
p.  83,  141),  Lunìiàgo  (Grezzana),  nel  1182  ecc.  Li-  (ivi,  p.  66). 

Nella  Valsugana  vige  la  superstizione  che  la  lumaca  sia  la 
generatrice  delle  chiocciole,  motivo  per  cui  è  anche  detta  ìnàre 
de^i  bìipi,  ove  la  chiocchiola  è  detta  bupo. 

Ed  ora  ai  nomi  della  chiocciola. 

In  Tasino,  valle  del  Grigno,  affluente  di  sinistra  dell'alta 
Brenta,  la  chiocciola  s'addimanda  ico'f'o,  voce  che  ritorna  a  Grigno 
e  alle  Tezze  (valsug.)  e  che,  partendo  da  qui,  abbraccia  una  zona, 
la  quale,  attraverso  il  trevisano,  arriva  fino  nella  provincia  di 
Venezia,  per  esempio  a  Portogruaro.  Questa  voce  ricorre  anche 
in  Primiero  {sco's),  nel  bellunese  [scós  o  schs),  a  Predazzo  (pron, 
loc.  Pardàc\  (Fieine)  [scds],  al  Col  de  S.  Lucia  (Livinal  Longo) 
{scittóis:  Schneller,  Die  roy».  Volksniund.,  p.  248).  E  poi  da  ri- 
levare che  nella  Valsugana,  cioè  in  un  territorio,  ove  non  vive 
la  voce  éco'/'o,  se  si  fa  astrazione  dalla  sua  estremità  orientale, 
è  invece  comune  la  frase  ndàr  a  éco'f'i  per  '  andare  qua  e  là 
oziando  o  facendo  cose  di  poca  importanza,  di  poca  fatica,  e 
svogliatamente;  far  un  mestiere  di  poca  utilità,  di  poco  conto  ; 
perder  tempo  '. 


Etimologie  427 

Nel  tasino,  a  Griglio,  alle  Tezze.  in  Primiero,  nel  trevisano  a 
'  chioccioletta  '  corrisponde  èco/' èia.  nel  trevisano  e  a  Porto- 
gruaroa  nclie  scof'éto  ^ 

Lo  ScHNELLER,  Die  roni.  Volk^mund.,  p.  248,  riguardo  a  questa 
voce,  osservava  che  non  si  adattano  né  lat.  clausum,  né 
e  odi  le  a,  nella  forma  diminutiva  italiana  chio'cciola. 

Il  Salvioni,  "  Zeitschr.  f.  Hom.  Philol.  „.  XXII.  p.  477,  alla 
sua  volta,  derivò  il  bellun.  écùs  da  *elrisu  'chiuso'  ed  allo 
ScHucHARDT,  ch'ivi,  XXIX.  p.  225,  impugnava  la  sua  etimologia 
dichiarandosi  invece  per  la  base  co  eh  le  a,  il  Salvioni,  "  Krit. 
Jahresber.  „,  IX,  I,  p.  109,  rispondeva  che  vorrebbe  sapere  la 
giusta  pronunzia  dell'o  di  scóf'o,  per  riaffermare  che  vi  si  tratti 
di  clan  su;  ma  aggiungeva  che  un  o'  potrebbe  giustificarsi  da 
un  compromesso  tra  '  schiuso  '  e  '  schioso  ',  per  la  via  che  è 
additata  nell'"  Arch.  Glott.  ,,  XVI.  p.  441 -. 

Il  tìam.  scòs  però  esclude  questa  spiegazione  e  richiede  ap- 
punto una  base  con  ò'. 

Xel  veneziano,  nel  polesano  e  nel  triestino  la  chiocciola  porta 
il   nome  di  bovolo,  nel    polesano    anche  bógolo,    in    parte  del  vi- 


'  Un  Ponte  del  Sciós  è  in  Primiero  (Bkentaki,  Guida  del  Tre)iti}io.  il, 
p.  222)  e  un  luogo  detto  Sciosavara  (pron.  scof'avàra)  e  vicino  a  Primolan 
(Canale  di  Brenta),  nome  di  formazione  non  chiara. 

-  Ivi  si  cerca  di  spiegare  il  lucch.  ecc.,  e'ito  '  alto  '  per  influsso  di  e'}-to 
(cfr.  vicent.  ih'to  '  alto  ',  che  e  pure  frequenti.ssimo  nel  Pozzo  di  S.  Patrizio 
(ed.  Griou);  Salvioni,  "  Giorn.  Stor.  d.  Letter.  Ital.  „  XXIV,  p.  269)  e  IV' 
da  un  compromesso  tra  1'*?  di  aito  e  Ve'  di  e'rto.  Si  tratterebbe  dunque  di 
un  caso,  in  cui  "  l'incontro  tra  due  forme  o  due  voci  s'attua  in  una  vocale 
(la  tonica)  che  risulta  essere  un  compromesso  tra  le  toniche  delle  due  voci 
inuontrautisi  ,  ('  Romania  ,,  XXXVI,  p.  234).  Nel  caso  di  sco'/'o  bisogne- 
reblje  ammettere  l'incrocio  di  *c  1  u  s  u  con  clan  su  anche  per  spiegare 
il  --/'-,  perché  da  clan  su  verrebbe  *s'co'so  (cfr.  kg'sa,  posddu;  cfr.  l'ant. 
vicent.  chiosso  "capanna':  R.  E.  W.,  1973).  V.  Ascoli,  '"  Arch.  Ulott.  ,,  XVI, 
p.  182-183. 


428  Angelico  Prati, 

centine  pure  bagolo  o  bugolo.  Nel  veronese,  essa  si  denomina 
hogóìì  (anche  mantovano),  in  parte  della  Valsugana  (Bieno, 
Strigno,  Agnedo)  bì'q^o.  Oltre  il  confine  veneto  ricorrono  le  forme 
budìia  e  buanél  nel  fassano  (Schneller,  Die  rom.  Volksìmmd., 
p.  124),  a  Moéna  (Cavalese)  bavanol  ("  Ardi.  Glott.  ,,,  I,  p.  349), 
bodnol  nel  fiamazzo,  bunjijl  nel  giudicariese. 

Tra  i  derivati  si  notino  i  venez.  bovolón  '  martinaccio  ',  bovo- 
Uto,  il  veron.  bogonéla,  i  valsug.  bupanéla  '  chioccioletta  ',  bupéra 
'  luogo,  ove  si  allevan  le  chiocciole  '  ^ 

bÓL-olo  vale  anche  '  vortice,  mulinello,  ghirigoro  ',  a  bòvolo  '  a 
spira  ',  imbovoldr  '  inanellare  '.  A  Concadirame  (Rovigo)  si  dicono 
bcvolénti  i  vortici  fissi  dell'Adige,  che  producono  escavazioni 
nell'alveo  (Lorenzi,  "  Riv.  Geogr.  Ital.  „.  XV,  p.  79).  E  cfr.  il 
nome  locale  Bovolénta  (Pàdova)  (Olivieri,  "  Studi  Glott.  „,  III, 
p.  102),  Buvolenta  nel  1183,  e  Buvolento  (a.  1180),  Biihulento 
(a.  1184)  nel  Trevisano  (Vergi,  Codice  Eceliniano,  p.  87,  73,  91). 
8i  ricordino  poi  i  due  nomi  locali  Booolare,  l'uno  presso  Lùsia 
(Rovigo)  e  l'altro  presso  Ignago  (Vicenza),  e,  da  bogo'n,  Bogonél 
(Negràr,  Verona)  (Olivieri,  "  Studi  Glott.  „,  ITI,  p.  133)  2. 

Nel  valsuganotto  .skdla  a  bupo  è  appunto  la  scala  a  chiocciola, 
nel  veronese  ékdla  a  bogo'n.  Alla  frase  valsuganotta,  sopra  ri- 


'  V.  anche  poles.  bo;/ón,  hogonuzzo,  hoifonélu  (Mazzucchi). 

'  Bogonél  potè  essere  in  origine  un  soprannome.  V.  i  casi  elencati  a 
p.  111-113  dairOLiviERi,  ivi.  Cosi  il  valsug.  bupo  è  nomignolo  di  persona 
piccola,  intiera  e  lenta  nel  camminare.  Nell'antico  tasino  s'incontra  la 
forma  bovolin.  In  un  documento  del  1394  son  nominati  i  seguenti  Tasini  : 
Martinellus  BovoUni,  Bovolinus  Jolnmis,  Bovolinus  Mori,  Martiniis  Boroìini, 
Andulfus  BovoUni  Lande,  Bovolinus  TamburUa  (leggi  Tamburlo,  che  ])erdura 
tuttora),  Petrus  BovoUni,  Morus  BovoUni  (Montebeixo,  p.  82,  83  dei  doc).  Due 
di  questi  son  anche  notati  dal  Cesarini-Si-orza,  "  Arch.  Trent.  „,  XXVI, 
p.  80  (riga  1),  p.  92  (r.  4  dal  b.),  ove  sta,  per  errore,  Boroìini  per  BovoUni. 
In  Tasino  oggi  vive  il  cognome  B(')Volo. 


Etimologie  4'29 

cordata,  corrisponde  pure,  ove  la  chiocciola  è  detta  hi'ipo,  la 
frase  ndar  a  bi'ipi  o  ndàr  a  ht'ipi  ko^l  Pésto  o  ko^hi  fo'rka.  e  nel 
veronese  c'è  andar  a  hogo'ni  '  perdere  il  tempo  in  frivolezze  '. 
Il  veronese  à  pure  tempo  da  bogoni  '  tempo  piovigginoso  '. 

L'etimologia  di  bòvolo  ecc.  di  recente  fu  oggetto,  come  si  sa, 
di  una  discussione  alquanto  lunga,  di  modo  che,  si  può  dire, 
essa  possiede  una  piccola  letteratura.  V.  infatti  Salvioni, 
"  Zeitschr.  f.  llom.  Philol.  „,  XXII.  p.  4(i6  ;  "  Romania  ,..  XXXI, 
p.  276-277:  "  Ardi.  Glott.  „,  XVI.  p.  597;  Nigka,  "  Arch.  Glott.  .., 
XV,  p.  279;  "  Zeitschr.  f.  Uom.  Philol.  „,  XXVII.  p.  341-342; 
ivi,  XXVIII,  p.  104;  ScHucHARDT,  ivi,  XXVIII.  p.  319-320. 

Prima  di  toccare  delle  spiegazioni  proposte  per  le  voci  in 
quistione,  è  necessario  di  rilevare  che  esse  indicano  proprio  la 
chiocciola,  non  la  lumaca,  come  scrissero  molti,  citando  le  ri- 
spettive forme,  e  cioè  lo  Schneller,  Die  roìu.  Volksmund., 
p.  124  1,  l'AscoLi,  "  Arch.  Glott.  „,  I,  p.  349,  il  Gartnek,  Die 
ìndie.  Mìind.,  p.  847,  I'Avogaro,  Appunti  di  topon.  ceron.,  p.  30, 
il  ViDossiCH,  "  Zeitschr.  f.  Kom.  Philol.  „,  XXVII,  p.  752,  il 
Salvioni,  1.  e.  il  Meyer-Lììbke.   R.  E.  TF..   1225. 

L'errore,  almeno  in  parte,  risale  ai  vecchi  vocabolaristi,  come 
il  Boerio  e  l'Azzolini,  ma  questi  danno  però,  accanto  a  '  lu- 
maca '.  anche  '  chiocciola  ',  quale  traduzione  di  bòvolo,  rispet- 
tivamente di  lumaz.  Del  resto,  basta  leggere  i  due  articoli 
bòvolo  e  lumàija  nel  dizionario  del  Boerio,  per  convincersi  ch'egli 
intende  alludere,  nel  primo  caso,  alla  chiocciola,  e  basterebbe 
il  nome  scientifico,  da  lui  dato,  per  togliere  ogni  menomo 
dubbio.  Riguardo  al  triestino  il  Vidossich  gentilmente  m'informa 
che  bòvolo  significa  appunto  *  chiocciola  ',  non  '  lumaca  ',  com'egli 
aveva   asserito  nel  1.  e.  e  come  riferisce    il    dizionario  del  Ko- 


hognol  e  hucKjìia  li  traduce  però  con  '  martinaccio  '. 


430  Angelico  Prati, 

sovitz  ^  Sul  fatto  che  il  bòvolo  è  la  chiocciola  e  non  la  lumaca 
insistette  già  il  Nigra,  "  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,  XXVIII, 
p.  104,  ma  ò  creduto  bene  di  riaffermare  la  cosa,  perché  non 
si  continui  a  ritenere  erroneamente  il  contrario  -. 

Lo  ScHNELLER,  1.  c,  riferendosi  alle  forme  giudicariese,  fia- 
mazza  e  fassana,  le  deriva  da  baca. 

Il  Nigra  trae  bòvolo  da  bova  'serpente',  a  cagione  delle 
spire  del  guscio  della  chiocciola.  Ma  questa  etimologia  è  troppo 
poco  convincente. 

Da  preferire  è  l'etimologia,  propugnata  dal  Salvioni  ed  ac- 
colta dal  Vidossicb,  dallo  Schuchardt,  dal  Meyer-Liibke,  da 
bove,  in  quanto  il  bòvolo  ecc.,  colle  sue  cornette,  richiama 
^immagine  del  bue.  Veramente  il  Salvioni  si  riferisce  alla  lu- 
maca, dato  l'errore  or  ora  avvertito,  ma  ancor  meglio  il  nome 
di   '  bove  '    si    adatta  alla  chiocciola,  tanto   per   la   sua   forma. 


^  Infatti  l'invocazione,  che  il  Vidossich  riporta  (v.  qui  sotto),  non  potrebbe 
esser  rivolta  alla  schifosa  lumaca,  ma  al  mollusco,  che  el  va,  el  va,  el  se 
tira  drio  la  kà  e  ch'è,  per  molti,  un  cibo  ghiotto.  Com'è  noto,  vi  fu  chi  usò 
lumaca  invece  di  chiocciola  e,  quindi,  scala  a  lumaca,  per  scala  a  chioc- 
ciola (v.  Petrocchi)  e  questo  fatto  adduceva  lo  Schuchardt  contro  il  Nigra, 
il  quale  osservava  che  nel  veneto  i  nomi  delle  due  spece  son  ben  distinti. 
Ma  se  vi  furono  scrittori,  che  confusero  la  chiocciola  con  la  lumaca,  tale 
confusione  non  à  né  può  aver  luogo  invece  tra  il  popolo  della  campagna. 
Anche  riguardo  a  Trieste  il  Vidossich  mi  osserva  ch'egli  non  potrebbe 
escludere  che  in  città,  dove  certe  nozioni  si  confondono  e  sono  poco  precise, 
si  sia  usato  bòvolo  per  '  lumaca  '. 

[Lumaca  e  lumacotto  si  chiamano  rispettivamente  la  'chiocciola'  e  la 
'lumaca'  in  Romagna,  nell'Emilia  e  in  Lombardia  (p.  es.  Brescia);  altrove 
in  Lombardia,  pur  esistendo  lihnagot,  lilmaga,  à  entrambi  i  significati.  P.  G.  G.]. 

^  Anche  nella  "  Romania  ,,  XXXIX,  1910,  p.  452,  n.  4,  il  Salvioni,  no- 
tando che  il  gergo  parm.  à  bògol  '  orologio  ',  che  in  altri  gerghi  è  chia- 
mato pure  lumaca  (nel  tose,  piìi  com.  chiocciolo' ne),  osserva  che  hògol  (leggi 
bùgolo)  è  la  voce  veneta   per  '  lumaca  '. 


Etimologie  431 

quanto  per  le  sue  quattro  eorna,  di  cui  le  due  posteriori  posson 
ricordare  le  orecchie  del  bue  ^ 

Rimane  però  ancor  da  vedere  se  il  risultato  di  un  *bovulu 
s'accordi  ovunque  colle  condizioni  fonetiche  locali.  E  in  riguardo 
al  valsug.  hi'ipo,  cui  corrisponde  bu  nella  cantilena,  che  gli  si 
rivolge,  e  che  si  ode  pure  alle  Tezze,  ove  la  chiocciola  è  detta 
scq'f'o,  come  si  è  visto  sopra.  Vii  può  esser  prima  subentrato 
in  bupanéla;  esso  trova  pure  riscontro  nel  vicent.  hnciolo.  In 
quanto  al  p,  esso  offrii'a  un  curioso  caso  di  assimilazione  par- 
ziale progressiva  ^. 


'  So  di  profani  di  linguistica,  che  si  fanno  alta  maraviglia  dell'etimo- 
logia di  bòvolo  da  b  ò  v  e.  Ma  che  dire  quando  coloro  stessi,  cui  essa  ri- 
pugna, ])ropongono  etimologie  le  pili  inverisimili  e  stravaganti  ? 

Alle  quattro  corna  della  chiocciola  alludono  molte  delle  diffusissime 
cantilene,  che  i  ragazzi  sogliono  rivolgere  ad  essa.  Cfr.  :  hn.  bu,  kuafro 
kqrni  bi'tta  su:  tino  mi,  uno  ti.  mio  la  ve'ca  de  Sandorl  (Valsugana);  scós, 
scós,  scofe'la,  bùia  fora  i  ktiutro  ho'rni:  uno  a  mi,  uno  a  ti,  uno  a^a  ve'ca, 
ke  te  lì  mori  ecc.  (Primiero);  bitta,  bitta  kater  ko'rn  ecc.  {Fassa.)  ; /nék, /nék, 
bitta  for  kffater  kórn  :  un  a  mi,  un  a  ti,  un  a^a  gala  da  Kauré  ecc.  (Li- 
vinai  bongo);  limite,  limdc,  biita  for  i  to  kuafer  kornjój  ecc.  (Giudicàrie); 
bitta,  bitta,  kornjt'd,  kaatro  kg'rni  kornjt'jj  :  un  per  mi,  un  per  ti,  un  per  la 
vfiCa  da  Karifid  ecc.  (Rendena);  ecc.  V.  Catoni,  "  Pro  Cultura  ,,  11,  p.  362. 
Di  Trieste  il  Vidossich,  "  Zeitschr.  f.  Rom.  Philol.  „,  XXVII,  p.  752.  ri- 
ferisce la  seguente  :  bòvolo,  bòvolo  mostra  i  korni.  >fe  no  te  mazarò.  te  bti- 
tarò  Sui  kopi,  el  babàu  te  manarà.  A  Portogruaro  {portogrue'r)  si  dice  : 
scò/'o,  scol'eto,  bitta  fora  l  to  korneto,  seno'  te  mii'so,  seno'  te  kòpo. 

[Aggiungo,  fra  le  tante  varietà,  questa  birichina  di   Bologna:   ^lutmeija, 
lumcega,  fecca  fora  trai  (var.  qiiater)  koren  —   Onna  par  me,  onna  par  te  — 
E  qu  l'cetra  k'ai  avanza  la  dai  a  tò  nucré  ^.  P.  G.  G.j. 
-  Nel  valsuganotto  il  bue  è  detto  bg'  (plur.  bg'J). 

Qui  in  nota  voglio  tuttavia  accennare  alla  possibile  connessione  di  bò- 
volo ecc.  con  bg'vo  (valsug.)  '  cavo,  vuoto  nell'interno  ',  allusivo  alla  cavità, 
formata  dal  guscio  della  chiocciola,  e  si  ricordino  i  numerosi  gusci  vuoti, 
che  si  trovan  nelle  strade  di  campagna.  Il  valsug.  bg'vo  va  messo  accanto 
alle  altre  forme  dell'alta  Italia,  riportate  dal  Salvioni,  "  Arch.  Glott.  ,, 
XVI.  p.  291-292    (v.  anche    Malagoli,    qui    sopra    a  p.  92,  96),   risalenti  a 


432  Angelico  Prati, 

A  Dospedale,  villaggio  vicino  ad  Agnedo,  nella  Valsugana, 
alla  chiocciola  spetta  il  nome  di  korào'lo,  che  ritorna  nel  vi- 
centino, per  esempio  a  Schio,  e  che  accenna  quindi  alle  corna 
dell'animaletto.  Cfr.  maced.  càrnas  '  lumaca  '  [R.  E.  TT.,  2240)  {?j. 

Ma  pare  che  la  chiocciola  veneta  non  si  sia  accontentata  di 
tutti  questi  nomi,  poiché  essa  a  Trieste  assunse  anche  quello  di 
kago'ja,  a  Rovigo  e  Fasana  (Istria)  kuguja,  kagùja,  derivante  da 
un  *coculia  (Schuchardt,  Boni.  Etym.,  II,  p.  31;  Vidossich, 
Studi  sul  dial.  triest.,  N.  58;  R.  E.  W.,  2114).  A  Capodistria  è  in 
uso  kogola  secondo  gentile  comunicazione  del  Vidossich. 

Nella  Valsugana  occidentale  infine  si  trova  il  lumazo,  lumàso 
(Borgo),  lumàpo,  forma  che  continua  il  trent.  liitnàc  o  liimaz,  da 
1 1  m  a  e  i  u  ^ 

ciriga  (vicent.)  '  chérica,  chiérica  '. 

11  Salvioni,  "  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.  ,,,  s.  II,  v.  XLIV, 
p.  776-777,  annotando,  accanto  a  questa,  alcune  forme  del- 
l'Italia meridionale,  del  Lazio  e  della  Sardegna,  presentanti 
pure  r/'-^.  osserva  che  la  ragione  di  esso  non  andrà  cercata 
nella  pronunzia  itacistica  dell' 7^  di  kXijqixóq,,  poiché  non  si  ca- 
pisce come  esso  compaia  solo  nel  sostantivo  femminile,  e  non 
nel  maschile  clericus.  Perciò  aggiunge  che  1'/  avrà  diverso  mo- 


*b  o  e  u  per  vocuus  (Parodi,  "  Romania  „,  XXVII,  p.  229).  Nel  valsuga- 
notto  *b  6  e  u  avrebbe  però  dato  *hq'go,  onde  converrà  forse  supporre  un 
incontro  con  e  o  u  '  cavo  '  (Meyer-Lììbke,  Einfiihrung',  p.  139,  R.  E.  W.,  1796), 
che  non  darebbe  però  ragione  dell'o'.  Alle  Tezze  si  à  invece  la  forma  bq'fo, 
che  sarà  stata  avvicinata  o  confusa  con  bo'fo  (valsug.)  '  gonfio  (nella  faccia)  '. 

'  Una   Val  del  Ltimazzo  c'è  in  Sella,  presso  Borgo  di  Valsugana. 

In  Fassa,  per  esempio  a  Sorapera,  e  nel  Livinal  Longo  è  diffuso  fnél 
<  Schnecke  (ted.)  -\-  fnt'k  '  molle  '  (?).  V.  anche  Schneller,  o.  e,  p.  251. 

-  Il  a.  E.  \V.,  1985,  non  riferisce  che  l'ital.  chierica  e  kirka  '  cresta  '  di 
riazza  Armerina  (Sicilia). 


Etimologie  433 

tivo,  a  seconda  dei  luoghi.  Per  la  forma  vicentina  egli  pensa 
o  all'influsso  delle  rizàtone  o  a  quello  di  un  *ctrigo,  che  fosse 
determinato  dal  normale  plurale  metafonetico  *cirìfi. 

Ma  al  Salvioni  è  sfuggito  il  triest.  cirika,  di  cui  parla  il 
Vidossich  nella  sua  bella  descrizione  del  dialetto  triestino  (N.  7). 
Egli  scrive:  '^  Strano  è  cirika  {=  chierica)  con  i.  Si  pensa  a 
influenza  della  palatina  e  dell'i  di  penultima.  È  però  voce  im- 
portata .,.  Quest'ultima  spiegazione  trova  appoggio  nel  venez. 
arsiniko  '  arsènico  ',  addotto  dal  Vidossich  stesso,  nell'alto  ital. 
domiìiika  '  doménica  ',  "  certamente  voce  dotta,  ma  penetrata 
realmente  nell'uso  come  lo  provan  più  dialetti  dell'Alta  Italia  „ 
(Salvioni,  "  Boll.  Stor.  d.  Svizz.  Ital.  „,  XXVI,  p.  90)  i  e  nel 
nome  di  persona  miniko,  minika,  minigo  '  Domenico  ',  forme  che 
anno  allato  i  popolari  ménego,  rispettivamente  mének,  come  do- 
minika  à  allato  il  popolare  doménega. 

Tanto  minigo,  quanto  ciriga  non  sono  forme  popolari,  come 
prova  1'/  postonico.  Il  g  è  analogico  -.  La  circostanza  che  ac- 
canto a  ciriga  non  compaia  pure  un  *cirigo  non  sani  che  ca- 
suale. Essa  sarebbe  anche  di  ostacolo  alla  spiegazione  del  Sal- 
vioni, se  questa  fosse  ammissibile. 

goéla  (valsug.)  '  vacca  incarognita  '. 

Il  JuD,  "  Bull,  de  Dialectol.  Hom.  „,  III,  p.  14-16,  recente- 
mente à  attirato  l'attenzione  sulla  parola,  designante  la  vacca, 
loha,  lóbeli,  lobi  dei  dialetti  tedeschi  della  Svizzera  e  del  Vo- 
ràrlberg,  oggi  spesso  usata  per  chiamare  il  bestiame  da  mun- 
gere nell'aia  della  cascina,  che  trova  riscontro  nel  lioha  della 
Svizzera  francese  e  dell'Albania.  Efj:li  osserva  inoltre  che  nella 


'  Dal  veronese  il  dizionario  di  Patuzzi  e  Bolognini  riporta  solo  rfom5«tca. 
^  Per  analogia  di  cerego  fu  formato  il  recentissimo  ceregàli  (col  l  man- 
tenuto !)  '  clericali  '.  che  si  ode  alle  Tezze  (valsug.). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  29 


434  Angelico  Prati, 

Svizzera,  nella  Catalogna  e  in  Germania  dalla  vacca,  dalla  pe- 
cora, dalla  capra  ecc.  prese  il  nome  la  pina,  che  serve  di  gio- 
cattolo ai  bambini,  i  quali  la  attaccano  ad  una  cordicina  e  se  la 
tiran  dietro,  a  guisa  d'una  vaccherella,  oppure  vi  ficcano  quattro 
stecchini,  che  devon  rappresentare  le  gambe  dell'animale.  Eb- 
bene il  Jud  rileva  l'evidente  e  interessante  connessione  di  lobi 
(diminut.)  '  pina  '  con  loba  '  vacca  '  del  Vallese  tedesco  e  di 
lioba  '  vacca  '  con  lioba  '  pina  '  della  Gruyère  (Svizzera),  che  ri- 
torna nella  Savoia,  ove  però  la  vacca  non  è  detta  ìioba,  per 
quanto  si  sa.  Ricorda  ancora  loba  '  pina  '  della  Muntogna  (Hein- 
zenberg)  e  della  bassa  Engadina,  aggiungendo  che  resta  poi  a 
vedere,  se  le  forme  dell'Italia  alta  lava,  lava  '  pannocchia  del 
granturco  '  (Salvioni,  Postille)  non  debbano  essere  accostate  al 
grig.  loba. 

Come  sopra  ò  accennato,  in  una  nota  alla  voce  (janiéro,  da  un 
*lioba  potrebbe  dipendere  il  valsug.  (joéla,  voce  che,  dato  il  tra- 
passo di  significato  testé  avvertito^  ritornerebbe  nel  rover.  gioel 
'  tùtolo  '  (Azzolini).  Dalla  *  pannocchia  '  al  '  tùtolo  '  è  breve  il 
passo.  Si  tratterà  di  voce  non  antica  nel  roveretano  e  penetra- 
tavi dal  veneto,  visto  anche  ch'essa  à  allato  le  voci  corrispon- 
denti f'gaf'otol  (anche  di  Trento)  e  mof'egot.  La  voce  zigotol 
equivale  invece,  stando  all' Azzolini,  a  ékartg'z  '  foglia,  cartoccio 
del  granturco  ',  mentre  nel  vernacolo  di  Trento  vale  '  tùtolo  '. 

Rimane  da  far  ricerche  ancora  nel  veneto,  per  rintracciare  la 
presenza  della  voce  in  parola,  che  forse  farà  capolino  anche 
altrove  in  Italia. 

gracatélo  (Pieve,  tas.),  ravatélo  (Castelnovo,  valsug.)  ;  ékart'uja 
(femm.)  (Tozze,  valsug.)  'slittino  ferrato,  per  scivolare  sul 
ghiaccio';  skarugdr  (ivi)  'slittare,  sdrucciolare'. 

E  supponibile  che  gravatelo  non  si  distacchi  da  ékarùga,  che 
potrebbe  essere  da  anteriore  *skarauga  <<  *skaravùga.  Confr.  fréla 


Etimologie  435 

(Tasino,  Grigno,  Tezze;  nel  resto  della  Valsugana  fmdélo)  e  v. 
Salyioni,  "  Arch.  Glott.  „,  XVI,  p.  ;)14,  n.;  Olivieri,  "  Studi 
Glott.  ,,  III,  p.  207;  Prati,  Nomi  loc.  d.  Trent.,  "  Iviv.  Trid.  „, 
IX,  p.  IS^l,  n.  48.  La  forma  raoatélo  avrebbe  cosi  perduto  il  g-, 
fenomeno  che  si  riscontra  pure  nel  valsug.  remondélo  '  grimal- 
dello '  (veron.,  non.  ramandèl^  furi,  rimandél:  Ascoli,  "  Arch. 
Glott.  .,  I,  p.  526,  trent.  gramandél),  da  yariboldéllo  (Nigra, 
"  Arch.  Glott.  „,  XI Y,  p.  361)  ^ 

L'origine  delle  voci  in  quistione  rimane  tuttavia  ignota.  Difficil- 
mente sarà  da  pensare  a  quel  carìibu  '  barchetta  fatta  di  vi- 
mini e  di  coio  *  (v.  Du  Gange  I),  da  cui  lo  spagn.  càraha,  i  portogh. 
cavavo  e  caravela,  passato  nella  nostra  penisola  nelle  forme  ca- 
ravello,  caravella,  caravella,  il  galiz.  caraheìa  'grande  paniera'  ecc. 
{Pi.  E.  W.,  1672),  perché  non  pare  molto  probabile  che  da  una 
barchetta  venga  il  nome  allo  slittino,  anche  considerando  che, 
per  andar  avanti  e  per  dirigersi  con  questo,  si  adoperano  due 
legni,  i  quali  potrebbero  forse  raffigurare  i  remi.  In  ogni  modo, 
non  mi  sono  noti  casi  analoghi  di  un  tale  passaggio  di  significato. 

Ed  ora  mi  si  presenta  l'occasione  di  accennare  ad  un'altra 
curiosa  voce  della  stessa  Valsugana.  I  ragazzi  ed  i  giovani  usano 
e,  ancor  più,  usavano  un  tempo  far  galèra,  divertimento,  che 
consiste  nello  sdrucciolare  cogli  slittini,  mettendo  su  essi  il 
ventre  all'ingiii.  Si  radunano  in  compagnie  per  far  le  galere  e 
sogliono  sdrucciolare,  tenendo  uniti  pili  slittini. 

Qualcuno  potrebbe  essere  spinto  a  supporre  che  gaUra,  in 
quanto  indichi  una  riunione  di  slittini,  sia  da  *garavéra,  con  l 
dissimilativo  e  forse  con  scherzoso  avvicinamento  a  galèra,  pena. 
La  voce  sarebbe  quindi  da  porre  accanto  a  gravatelo  e  a  skaruga. 
Ad  altri  pare  che  l'immagine  e  il  nome  possano  esser  stati  sug- 


^  Se    skaràga  non  si  allaccia  con  gravatelo,   lo    si    confronti    eoi    logud. 
karràkka  'traino;  slitta'  {R.  E.  W.,  1720). 


i 


436  Angelico  Prati,  Etimologie 

geriti  dalle  galere  veneziane,  forse  al  tempo,  però  breve,  della 
dominazione  di  Venezia,  che  ebbe  principio  nel  1406  (Montebello, 
p.  98,  104;  Francesco  Ambrosi,  La  Yalsugana  descritta  al  viag- 
giatore, III  ediz.,  Borgo,  1887,  p.  23).  Ma  il  veneziano  à  galia, 
non  "^galèra. 

Angelico  Prati. 


RETTITI e AZIONE 

Nelle  Etimologie,  che  sono  a  p.  273-288  di  questo  volume,  in  causa  di  un 
accidentale  mio  malinteso,  fu  stampato  s  in  luogo  di  s,  derivandone  cosi 
una  divergenza  tra  la  sorda  e  la  sonora  {/').  Le  parole  quindi  scritte  con  s 
vanno  lette  come  fossero  scritte  con  s. 

In  questa  raccolta  di  etimologie  si  è  riparato  all'errore. 

A.  P. 


I. 

\ÌM\  U  DliliEIK)  liEìflEARIO 

ALLA  FINE  DEL  SETTECENTO 


Veramente  io  pensava  di  non  esser  più  costretto  a  ritornare 
su  questo  argomento,  avendo  dato  ormai  nel  primo  lavoro  sul 
dialetto  anauniese  ^  uno  spoglio  per  quanto  m'era  possibile  esau- 
riente delle  "  nonesade  „  dei  due  poetucoli  clesiani  della  fine  del 
settecento,  Leonardo  Ricci  e  Carlo  Siel  2.  Confrontando  la  parlata 
odierna  di  Cles  ^  col  dialetto  di  cui  si  servirono  i  due  rappre- 


^  Die  Nonsbei-ger  Miindart  (Lautlehre).  "  Sitzungsberichte  d.  K.  Akademie 
d.  Wissenschaften  in  Wien,  phil.-hist.  Klasse  ,,  voi.  160,  III. 

-  Stampate  nel  Nonahergisches  di  Boehmer  nei  "  Romanisclie  Studien  ,,  III. 
Nel  frattempo  (estate  1911)  il  Prof.  ft.  Bkktagnoi.li  ne  curò  un'edizione 
molto  migliore  nel  2"  voi.  della  bella  raccolta  :  Poesie  e  poeti  de  la  Val 
de  Non,  Trento,  Monauni,  1912. 

^  Cles,  capoluogo  della  valle  di  Non,  con  una  popolazione  che  negli  ul- 
timi 60  anni  a.«cese  da  2571  a  2754,  è  situato  al  margine  settentrionale  del- 
l'altopiano che  sta  sulla  destra  del  Noce,  sull'angolo  descritto  dal  fiume  nel 
punto  di  confluenza  del  torrente  Novella.  Lo  scosceso  burrone  del  Noce  difficol- 
tava le  comunicazioni  colla  valle  superiore  e  coi  villaggi  sulla  sinistra  del 
fiume.  Il  ponte  di  Mostizzòlo  che,  gettato  sul  Noce  al  nord-ovest  di  Cles, 
congiunge  la  valle  di  Sole  con  l'altipiano  di  Cles,  fu  aperto  nel  1848; 
prima  della  costruzione  del   nuovo    ponte    di   S.  Giustina  il  "  ponte  alto  „ 


438  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

sentanti  pili  vecchi  della  stessa,  he  avevo  dedotto  che  il  tipo 
più  conservativo  dell'alta  valle  avesse  subito  dai  primi  decenni 
dell'ottocento  in  poi  una  notevole  restrizione  geografica,  perdendo 
il  pianoro  desiano  che  assunse  sotto  l'influsso  del  dialetto  cit- 
tadinesco (trentino)  un'impronta  evidentissima  di  parlata  di 
transizione.  In  risposta  alla  prima  critica  del  dott.  E.  Quaresima^, 
cercai  più  tardi  di  sostenere  la  tesi  della  rapida  decomposizione 
dell'anauniese  meridionale  e  desiano  con  dimostrazioni  dedotte 
dall'esame  di  singoli  casi  fonetici  studiati  nella  loro  relazione 
geografica  e  storica  -.  E  del  resto  un  po'  prima  il  mio  prede- 
cessore nello  studio  dei  dialetti  trentino-occidentali,  Karl  von 
Ettmayer  ^,  pubblicando  in  una  dotta  recensione  appunti  del  suo 
spoglio  fonetico  desiano  fatto  su  persona  molto  avanzata  in  età 
e  il  cui  dialetto  rappresenta  una  fase  già  superata  dalle  nuove 
generazioni,  forniva  una  bella  dimostrazione  della  rapidità  con 
cui  s'effettua  lo  scadimento  dialettale  nel  capoluogo  della  valle 
di  Non.  A  distanza  d'un  anno  uscirono  poi  quasi  contempora- 
neamente il  mio  saggio  sul  dialetto  solandro  ^  e  la  replica  del 
dott.  E.  Quaresima  ^  alla  mia  difesa.  Nel  primo,  che  aveva  per 
soggetto  una  parlata  che  rappresenta  il  prolungamento  del  tipo 
anauniese  verso  occidente  e  la  sua  lotta  col  lombardo  orientale, 
cercai  di  dimostrare  come  anche  in  questo  dialetto  di  transizione 
la  decomposizione  idiomatica,  dovuta  a  ragioni  di  commercio  e 


allacciava  Cles  colla  riva  sinistra  del  Noce.  Presentemente  ampie  e  comode 
strade  erariali  solcano  la  valle  e  una  ferrovia  elettrica  congiunge  Male 
(Val  di  Sole)  passando  per  Cles  con  Trento,  provocando  dovunque  la  rapida 
decomposizione  del  dialetto  indigeno. 

*   "  Zeitschrift  fiir  roman.  Philologie  „  XXXIV,  538-559. 

-  "  Revue  d.  dialectologie  rom.  „,  II,  345-372. 

^  "  Zeitschrift  fiir  roman.  Philologie  „,  XXXIII.  596-604. 

'•  Zar  Sulzberger  Mundart,  '  Anzeiger  d.  phil.-hist.  Klasse  d.  Kais.  Akademie 
d.  Wissensch.  „,  Wien,  1911,  N.  XVI. 

'^  "  Zeitschrift  fur  roman.  Philologie  ,,  XXXV,  608-633. 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  C'ies,  ecc.  439 

coltura,  si  compia  con  quella  celerità  che  m'aveva  sorpreso  nella 
parlata  dell'altopiano  desiano.  Di  parlai-  del  secondo  non  spetta 
a  me  —  almeno  per  quanto  riguarda  certi  metodi  "  scientifici  „. 
Ma  siccome  il  dott.  Quaresima,  per  puntellare  la  sua  critica, 
comincia  coU'asserzione  che  il  dialetto  di  Ricci  e  Siel,  nati  e 
vissuti  a  Cles,  "  non  è  desiano  „  (e  sullo  spoglio  di  questo  si 
basano  appunto  molte  mie  deduzioni  sull'evoluzione  del  tipo 
moderno)  e  vuol  dimostrare  tale  proposizione  con  prove  tolte 
anche  dalla  flessione  verbale,  trasportandoci  quindi  pili  in  là  del 
semplice  campo  fonetico  che  fin'ora  m'era  aperto,  varrà  la  spesa 
di  seguirlo  davvicino  nella  sua  argomentazione.  Per  comodità 
del  lettore,  che  potrà  cosi  orientarsi  pili  facilmente,  seguo  passo 
per  passo  il  raziocinio  dt-l  mio  oppositore,  anche  li  dove  non 
varrebbe  la  spesa  di  fermarsi  a  chiarire  o  contraddire. 

I.  — ■  ''  Contro  l'opinione  del  B.  sta  il  fatto  che  l'usu  del  dia- 
letto dei  due  poeti  pecca  d'inconseguenza  „.  Non  so  come  a  me, 
che  già  nel  primo  mio  lavoro  notavo  fra  il  resto  delle  incertezze 
nell'uso  del  dittongo  da  t;,  o,  e  spiegavo  ciò  colla  supposizione 
che  "  sul  finire  del  settecento  sul  pianoro  desiano  era  impe- 
gnata una  seria  lotta  fra  il  dittongo  e  il  monottongo  „,  si  possa 
rinfacciare  seriamente  di  aver  negato  ciò  che  il  dott.  Quaresima 
pensa  aver  scoperto,  né  so  del  resto  quale  forza  dimostrativa 
abbia  tale  obiezione  per  sostenere  la  tesi  che  i  due  Clesiani  non 
scrissero  nel  proprio  dialetto.  Ci  aspetteremmo  in  ogni  modo, 
se  questa  asserzione  è  diretta  a  confutare  la  mia  teoria,  che  le 
incertezze  linguistiche  corrispondano  a  differenze  dialettali  fra 
le  parlate  della  valle  bassa  ed  alta.  Ecco  invece  gli  esempì  : 
"  SiEL  1  1  puesi<i  -  II  120  puedi,  S.  I  26  ente  hattaje  -  II  138  'nte 
le  [terre,  S.  I  16  dies  -  Il  67  ('?)  des  ;  S.  1  43  -  II  80  ;  Ricci 
322  dria  -  S.  II  66,  120,  R.  523  dre  (de  retro);  R.  90,  361 
sarueu  -  521  sreu,  455,  523  sarou,  R.  25,  318  criangia  -  S.  II  4 


440  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

creanza  ;  R.  180  fos  -  S.  II  74  fus  ;  R.  90  sveli  -  S.  II  23  sventa  ; 
R.  140  efzi  -  R.  161,  S.  I  27  età;  R.  294  jj%^/a  -  S.  I  55 
piazza  ;  R.  662  scongiurél  -  709  scorlal  (imper.  :  -ate  -|-  illum)  ; 
R.  640  mostreghe  -  710  mossaghi  (mostrategli)  „.  —  Ora  di  questi 
i  pili,  come  mostreghe-mossaghi,  scongiurél-scorlàl,  svelt-sveut,  fos- 
fiis  e  forse  anche  i  già  notati  des  e  dre  contro  dies  e  dria  mo- 
strano (sarebbe  troppo  facile  accatastar  qui  altri  simili  esempi) 
come  il  Siel  e  il  Ricci  abbiano  oscillato  fra  il  loro  dialetto  e 
il  tipo  letterario  trentino  :  essi  sono  dunque,  proprio  contro  il 
dott.  Quaresima,  un  esponente  della  forza  d'espansione  del  dia- 
letto centrale,  tendente  con  azione  secolare  a  scolorire  le  parlate 
della  montagna.  Né  più  conchiudenti  sono  gli  altri  casi.  Finché 
i  dialetti  altoanauniesi  dicono  puesi  e  le  parlate  della  valle 
bassa  paesi,  poes  o  pos,  il  piiedi  del  Siel  non  può  venir  giudicato 
che  rielaborazione  del  trentino  podo.  Quanto  a  piaggia  ^  il  dottor 
Quaresima  (che  deve  sapere  come  tj  abbia  dato  nell'anauniese  r) 
avrebbe  fatto  bene  a  non  sottacere  che  piaggia  è  il  nome  della 
piazza  del  Duomo  di  Trento: 

sulla  Piaggia  e  sul  Chianton 
fuer  in  Fiera  e  sulla  Mostra, 

. .  .  sicché  il  lettore  avrebbe  capito  che  piaggia  è  una  ricostru- 
zione cervellotica  e  analogica  d'un  pizzicagnolo  del  settecento 
ancor  digiuno  del  "  pane  di  nostra  scienza  „.  Il  voler  poi  deri- 
vare, sia  pur  indirettamente,  dai  doppioni  in  te  .  .  hattaje  -  n  te  le 
gerre,  criangia-creanza  o  sareu-sreu  (che  non  è  proprio  di  nes- 
suna parlata  del  corso  del  Noce  e  ricorre  nel  Ricci  per  riguardi 
metrici  :  Chi  no  i  aves,  sreu  'd  farne  achist)  che  il  dialetto  dei 
due  autori  non  è  desiano,  non  può  venir  preso  sul  serio. 


^  Nella  scrittura  del  Ricci  ggi  può  significare  anche  ce  :  cfr.  piggiol  217  = 
picól,  hragg  18-t,  sgoggìar  161,  ecc.,  e  cfr.  p.  e.  gnnghia  174  niikja. 


Appunti  sul  dialotto  letterario  di  Cles,  ecc.  441 

TI.  —  Il  secondo  aforismo  del  dott.  Quaresima  è:  "  nell'in- 
tento di  scrivere  pili  contadinescamente  possibile,  il  Siel  e  il 
Kicci  commettono  delle  ricostruzioni  sbagliate  „.  Che  ne  de- 
riva rispetto  all'origine  pivi  o  meno  clesiana  dei  testi  in  que- 
stione? Non  succede  ciò  in  ogni  letteratura  dialettale?  Ma, 
posto  che  ci  siamo,  un'osservazione.  (ìli  esempì  portati  dal 
dottor  Quaresima  sono  quasi  tutti  presi  dalle  poesie  del  h'icci, 
non  da  quelle  del  Siel.  Che  sia  un  puro  caso  non  posso  cre- 
derlo. 11  dottor  Siel  si  burla  in  un  sonetto  ancor  inedito  ^  delle 
poesie  e  della  lingua  del  pizzicagnolo,  suo  compaesano.  In  se- 
condo luogo,  attenti  ad  evitare  errori  per  non  incorrere  nel 
rischio  di  far  vedere  di  non  conoscere  l'anauniese.  In  una  poesia 
del  Siel  (il  quale  non  aveva  punto  l'intento  di  caricare  il  suo 
dialetto),  il  dott.  Quaresima  trova  sclopp  e  se  ne  fa  evidente- 
mente meraviglia,  giacché  egli  prende  come  forma  corretta  e 
usuale  il  sgiopp  del  Ricci  che  è  a  sua  volta  apertamente  un 
prestito  trentino  [scop)).  Se  il  mio  indefesso  critico  avesse  sfo- 
gliato la  Gredner  Mundurt  del  suo  maestro  Gaktner,  avrebbe 
trovato  a  pag.  152  Mlop  ;  se  egli  si  fosse  curato  dei  dialetti 
altoanauniesi,  saprebbe  che  sklop  è  ben  vegeto  nella  valle  su- 
periore. Facciamo  tesoro  anche  di  questo  esempio,  che  dimostra 
lui  pure  la  lotta  fra  trentino  ed  anauniese  sul  pianoro  di  Cles 
all'epoca  dei  nostri  due  autori. 

III.  —  Certamente,  se  gli  argomenti  del  dott.  Quaresima  fos- 
sero tutti  di  questo  calibro,  non  varrebbe  la  pena  di  occupar- 
sene. Ma  il  terzo  appartiene  a  quelle  quistioni  "  che  piti  han 
di  felle  .,   e  che  meritano  d'esser  osservate  più  davvicino. 

1'^   "  Alcune  forme  dimostrano  che  il  dialetto  (di  questi  testi) 
non   può  essere  una    fase    anteriore    della    moderna   parlata    di 


*  Ora  pubblicato  dal  Beutagn(ii.li,   Poesie  e  poeti,  il.  27. 


442  Varia.  --  Csirlo  Battisti, 

Cles  „.  Esaminiamo  uno  per  uno  gli  argomenti:  1°  "  le  desi- 
nenze del  condizionale  -rsdn,  -rsdu  .  .  che  al  presente  sono  limi- 
tate alla  riva  destra  del  Novella  e  a  Ilumo,  e  cui  corrispondono 
nell'anauniese  medio  -àsen,  -ésen,  -Isen  e  -àso,  -éso,  -tso,  rispet- 
tivamente -nesen,  -rwso  „.  Ma  il  confine  moderno  tracciato  dal 
dott.  Quaresima  è  semplicemente  inesatto,  -rsón,  -rsau  sono 
usuali  anche  sulla  sinistra  del  Novella  e  io  posso  documentarle 
per  Fondo,  Sarnonico.  Ruffrè,  Don,  Ambiar  :  più  al  sud,  pur 
mantenendosi  la  stessa  accentuazione,  subentra  assimilazione  di 
rs  a  .s.s-  che  ebbi  ad  avvertire  p.  e.  a  Malgolo.  Ma  v'à  di  pili. 
Verso  sud-ovest  simili  desinenze  passano  i  confini  dell'alto  anau- 
niese  e  ritornano  nei  verbi  monosillabi  a  Rumo,  Bresimo,  Livo 
e  Cagno,  dialetti  coi  quali  arriviamo  proprio  nelle  vicinanze 
immediate  di  Cles  ^  Anzi  pili  al  sud  di  Cles,  a  Vigo,  notai  in 
un  mio  breve  soggiorno  (5  anni  or  sono)  asg'n  (avremmo)  -  che 
sembra  per  lo  meno  non  escludere  che  una  raccolta  sistematica 
di  forme  verbali  nella  valle  inferiore  possa  riservar  delle  sor- 
prese interessanti.  Non  occorre  insistere  del  resto  sul  fatto  che 
le  forme  -ncsen,  -rreso  (risp.  rcesef)  sono  quelle  che  negli  ultimi 
decenni  anno  conquistato  il  Trentino  occidentale  e  rappresen- 
tano un  compromesso  colle  cittadinesche  -résern,  -rése.  L'impor- 
tazione anche  nel  desiano  non  può  che  essere  recente. 

2°  "  Cosi  pure  forme  quali  nin  (veniamo),  nit,  niim,  invece  delle 
quali  l'anauniese  centrale  adopera  soltanto  nidén,  nidé,  nideva  „, 
Ma  basta  un'occhiata  ai  Sulzberger  Wòrter  del  Gartner,  per 
trovare  a  Cagno  (appartenente  con  Cles  al  medio  anauniese) 
nin,  nivi,  ìlio  [pag.  18]  (forme  che  di  qui  serpeggiano  per  quasi 
tutto  il  solandro),  e  al  Nonsbergisches  del  Bóhmer  per  ritrovare 


'  Zur  Sìtizberffer  Mmidart,  51  seg. 

^  ffiavenr'ssen  dato  dal  Beutagnolli,  o.  c,  111,  338,  per  Vigo    è   evidente- 
mente un  neologismo. 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  Cles,  ecc.  443 

le  stesse  e  simili  {ni>i,  ///x,  nia)  all'estremo  confine  orientale  del 
sottogruppo  superiore.  Anzi  diversi  chilometri  pili  al  sud  di  Cles 
raccolsi  ni»,  allato  a  nidhi,  irnm,  a  Spor  minore.  L'estensione 
geografica  di  niìi  e  simili  rafforza  la  supposizione  che  non  molti 
decenni  fa  tali  forme  siano  state  estese  alle  parlate  di  tutta 
la  valle. 

3"  "  Del  pari  sono  esclusivamente  anauniesi-superiori  forme 
come  regJii,  j)oleu,  poleva,  didés,  dideo,  didé,  dif,  nadé,  dodés, 
fadeo,  dighieo,  seti  (per  son  '  io  sono  '),  citeu  (anaun.  centr.  kois 
'raccoglie')  „.  Ciò  è  semplicemente  falso,  giacché  né  poleit  {po- 
leva),  né  le  forme  con  d  irrazionali  sono  altoanauniesi.  Al  con- 
trario. Nel  dialetto  di  Bresimo.  che  appartiene  al  gruppo  cen- 
trale, notai  le  due  forme  con  /  già  nel  mio  primo  lavoro 
[Xonsherger  Mundari.  §  146),  ma  non  le  trovai  nell'alta  Anaunia, 
d'accordo  anche  in  questo  coll'eloquente  silenzio  del  Boehmek 
e  del  Gartner.  Invece  ebbi  forme  con  d  non  etimologico  in  dtr, 
far,  nar,  Mm-,  dar,  trnr  in  diversi  sottodialetti  solandri  '  anche 
nel  perfetto  [fndn,  stadfl,  dadéi^,  fiidél,  garél,  nadéD  e,  per  chi 
pensi  che  il  solandro  forma  come  un  prolungamento  dell'anau- 
niese  centrale  verso  ovest,  tal  fatto  non  è  di  poca  importanza  -. 
Ma  questo  il  dott.  Quaresima  all'epoca  della  sua  replica  non  lo 
poteva  ancor  sapere.  Lo  strano  è  come  gli  siano  sfuggiti  il  fikU's 
di  Rumo  e  todéo,  nidén,  nidéo  a  Cagno  e  Cuneo  (due  villaggi 
l'uno  al  nord  e  l'altro  al  sud  di  Cles,  entrambi  appartenenti  a! 
tratto  centrale),  che  sono  forme  verbali  portate  nelle  tabelle 
flessionali  del  Gartner.  E  ancor  pili  strano   è   come  gli  siano 


^  La  distribuzione  geografica  di  tali  forme  verbali  nel  tlialetto  solandro 
è  molto  eloquente:  soltanto  i  dialetti  pia  conservativi  delle  valli  laterali 
e  della  montagna  mantengono  il  d,  mentre  i  paesi  lungo  la  strada  maestra 
hanno  già  assunto  le  forme  trentine. 

^  Vedi  gli  esempì  a  pag.  454  della  Nonsherrter  Mundart. 


444  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

sfuggiti  todén  e  nidén  dati  dal  Boehmer  non  solo  per  Cuneo  e 
Pali  (tratto  centrale)  ma  anche  per  Cles!  Aggiungo  qui  altri 
dettagli:  Andalo  (sui  confini  meridionali  dell'anauniese)  todén, 
nades,  dide's,  Vigo  (angolo  sud-est  della  valle)  todén,  todés,  fadén, 
nidén.  Tiriamo  la  somma  :  a  Cles,  dove  oggi  le  forme  solite  sono 
dizéo,  feo,  ci  sono  resti  delle  forme  con  d  analogico  che  dimo- 
strano (assieme  alla  distribuzione  geografica  delle  stesse  nella 
valle  bassa)  come  l' importazione  di  dizéo  e  feo  sia  recentissima. 
Quanto  al  vecchio  desiano  polén,  accanto  al  quale  c'è  sempre  stato 
podéii,  la  spiegazione  non  è  difficile.  A  Cles,  dove  c'era  toìén  e  todén, 
l'influsso  di  volén  ha  potuto  crear  quella  forma  laterale  polén 
che  à  fatto  perder  la  bussola  al  dott.  Quaresima.  —  Ma  c'è 
ancora  un  altro  falso  scientifico  da  correggere  :  l'assei'to  che 
veghi  '  vedo  '  sia  soltanto  anauniese  superiore.  La  qarela  nonesa 
sora  la  partison  del  Palù  de  Ttien,  Tassid  e  Cles^  sincrona  al 
Ricci  e  al  Siel  e  scritta  in  un  dialetto  del  pianoro  desiano 
à  reghia  III  3,  che  si  legge  comodamente  nella  solita  raccolta 
del  Boehmer.  E  un'eguale  falsità  costituisce  l'accenno  a  dighieo. 
Come  mai  il  dott.  Quaresima,  le  cui  fonti  per  la  teoria  delle 
forme  sono  fin  qui  pur  troppo  soltanto  il  Gartner  e  il  Boehmer,  non 
à  visto  nel  secondo  didgo  per  Cuneo,  nel  primo  diges,  2«  plur.  dio 
(più  giusto  e  didjo)  per  Cagno?  Lo  stesso  si  dica  per  l'impera- 
tivo dit  che  il  Gartner  porta  per  Cagno  ^  e  che  io  trovai  a  Livo, 
Bresimo  e  in  tutta  la  vai  di  Sole,  e  per  sen  '  sono  '  che  è  anche 
proprio  ai  dialetti  di  Cagno  (Gartner),  Vigo,  Livo,  Bresimo 
e  Male.  Dunque  le  forme  "  esotiche  „  trovate  dal  dottor 
Quaresima  nei  due  testi  localizzano  il  dialetto  appunto  al 
pianoro  desiano,  dimostrando  una  volta  di  più  che  l'evo- 
luzione recente  del  desiano,  in  quanto  esso  s'apparta  dal- 


^  Eguali  forme  (digest,  d/'geu,  digén,  dlgen,  diga,  dit)   porta    ora    il    Ber- 
l'AGNOLLT,  0.  e,  HI,  per  Vigo,  nell'angolo  sud-est  della  viille  di  Non. 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  Cles.  ecc.  445 

l'anauniese  settentrionale,  è  dovuta  all'  influenza  del  dialetto 
trentino. 

IV.  —  Quantunque  non  eroda  clie  le  due  ultime  argomenta- 
zioni del  dott.  Quaresima  possano  logicainonte  infirmare  la  mia 
tesi,  mi  sembra  necessario  far  seguire  alle  stesso  un  commento. 
Che  il  dialetto  dei  due  testi  non  sia  eguale,  io,  che  .sempre 
ammisi  che  la  dizione  del  Dr.  Siel  è  meno  rozza  e  pili  trentina, 
sottoscrivo  ben  di  cuore,  tanto  pili  che  l'osservazione  del  ma- 
teriale linguistico  del  dott.  Quaresima  porta  appunto  alla  solita 
conclusione  che  alla  fine  del  settecento  nella  parlata  del  capo- 
luogo di  Val  di  Non  ferveva  quella  lotta  fra  il  dialetto  indigeno 
e  la  parlata  centrale  trentina  che  causò  il  tipo  linguistico  sbia- 
dito del  pianoro  di  Cles  e  della  parte  inferiore  della  valle.  Ecco 
le  differenze  dialettali  fra  i  due  clesiani,  secondo  il  dott.  Qua- 
resima : 

P  "  Ricci  fa  uso  frequente  del  dittongo  ie  da  e  „  (porta 
13  esempi  di  dittongo  contro  4  di  monottongo  in  identiche 
condizioni),  "  mentre  in  Siel  il  dittongo  è  più  raro  {dies,  cJiia- 
drieghia,  ralie(jret,  contro  remedi,  [radei,  glesia,  mei,  pei,  aucei, 
ìeuri,  mister)  „■  Non  si  tratta  quindi  di  due  evoluzioni  diverse 
nei  due  autori,  ma  dell'eventuale  prevalenza  di  uno  dei  due  tipi 
dialettali.  Ora,  siccome  ogni  statistica  à  da  esser  esatta,  non 
dimentichiamo  ia<C'e  in  esito  romanzo  in  Siel,  p.  e.:  dria  I  484, 
de  ria  I  ."i^.  Degli  esempi  senza  dittongo,  non  tutti  poi  sono 
convincenti.  L'antico  desiano  potrebbe  aver  avuto  monotton- 
gazione  di  ie<ÌQ^  quando  precedeva  palatale;  nel  qual  casosi 
avrebbe  una  facile  spiegazione  per  auggei  di  Ricci  (553),  tanto 
più  che  la  riduzione  di  ^'^Vg  a  ^"^e  non  è  del  resto  interamente 
ignota  a  singole  varietà  dell'alto  anauniese.  Ma  in  ogni  modo 
non  ò  per  ora  motivo  di  ritirare  l'osservazione  già  fatta  nella 
Nonsberger    Mundari    (29   n.  2)  :    "  in  Siel  è  -^  i  dà   sempre  ei. 


446  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

mai  tei  {f radei  I  33,  4,  pangei  II  80,  aucei  II  64,  1,  varnei  II 
152,  4.  mei  II  141,  2)  con  perdita  per  dissimilazione  del  primo 
elemento  del  trittongo  ;  cfr.  anche  leuri  II  67,  1  (da  anteriore 
lieuri)  ,,.  Con  ciò  combina  il  fatto  che  gli  unici  casi  in  cui 
nel  Ricci  non  troviamo  dittongo  corrispondono  esattamente 
a  questa  tendenza  ;  augcjei  553,  puttei  695,  pei  627,  prendi  536. 
Una  conferma  di  non  poca  importanza  trovo  nella  circostanza 
seguente.  All'anauniese  sup.  ie  corrisponde  e  nella  valle  bassa 
e  nel  moderno  desiano.  Dunque  un  iei  alto  anauniese  dovrebbe 
qui  suonare  ei,  mentre  ei  non  può  essere  che  da  un  anteriore  iei 
con  perdita  del  primo  /  che  risale  ad  un'epoca  in  cui  la  mo- 
nottongazione  non  era  ancor  subentrata  nell'anauniese  infe- 
riore. Chi  prenda  in  mano  la  tavola  I  della  Nonsberger  Mundart  e 
studi  il  confine  di  -èllu  >  él,  che  con  leggere  modificazioni  com- 
bina con  quello  di  -èlli^g'i,  vedrà  come  esso  attraversi  il  pia- 
noro sulla  destra  del  Noce,  passando  proprio  alle  porte  di  Cles. 
Le  incertezze  non  del  Siel,  ma  del  Ricci  che  scrive  miei  567  e 
fradiei  647  confermano  la  supposizione  che  il  confine  di  ei  <C  id 
sia  stato  un  secolo  fa  press'a  poco  eguale  al  presente.  Fino  a 
qual  punto  alle  oscillazioni  fra  iei  e  ei  nel  Ricci  abbia  contri- 
buito -òli  >  iei  <  ieui  non  m'è  per  ora  possibile  di  stabilire.  Dopo 
ciò  veniamo  agli  altri  esempi,  mister  II  145i  è  un  doppione  di 
mistiér  anche  nel  moderno  alto  anauniese  ;  al  Siel  fu  suggerito 
dalla  rima  con  sincer.  —  glezia  è  evidentemente  vocabolo  chie- 
sastico ;  se  poi  il  dott.  Quaresima  avesse  consultato  il  para- 
digma ecclesia  dell' Ettmayer  {Loìtih.-lad.,  491  seg.),  avrebbe 
visto  che  forme  senza  dittongo  compariscono  non  solo  nell'alta 
valle  (Cavareno,  Corredo,  Tres,  S.  Zeno),  ma  che  a  Cles  stesso 
troviamo  glezia  colla  vocale  aperta  che  contrasta  al  solito 
monottongo  da  ie  >  e.  Se  dunque  nell'uso  del  dittongo  c'è 
oscillazione,  essa  c'è  in  eguali  circostanze  in  entrambi  i  testi, 
e  c'è  però  non  in  modo  da  ammettere  che  i  due  clesiani  abbiano 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  (,'le>;,  ecc.  447 

preso  capricciosamente  ora  forme  dalla  valle  superiore,  ora  dal 
proprio  dialetto.  La  controprova  non  ò  difficile,  e  mi  sembra  un 
po' strano  che  non  ci  abbia  pensato  il  mio  indefesso  contraddittore, 
Carlo  SiEL,  che  presenta  le  oscillazioni  già  studiate  fra  e  ed  ie,  dà 
regolarmente  ne  per  ò,  fatta  eccezione  per  la  3*  pers.  cond.  che 
ricorre  alcune  volte  come  ou  per  motivi  di  analogia  flessionale 
che  avrò  da  studiare  altrove.  Siccome  l'estensione  presente  dei 
dittonghi  da  è,  6  >  'lé,  né  {iió)  e  la  medesima,  io  non  posso  se  non 
riaffermare  che  l'uso  coerente  del  dittongo  da  o  nei  due  clesiani, 
il  predominio  assoluto  del  dittongo  da  e  e  la  regolarità  nella 
mancanza  del  dittongo  in  ei  dimostrano  come  l'uso  linguistico 
di  iCf  uè  sia  in  questi  testi  tutt'altro  che  arbitrario,  abbia  anzi 
la  sua  base  nell'antico  dialetto  di  Cles. 

2°  La  seconda  constatazione  del  dott.  Quaresima  non  è  né 
sincera,  né  giusta.  "  Kicci  adopera  come  vocale  atona  derivata 
da  u,  r,  l  in  dittonghi  soltanto  u  (p.  e.  auter,  sautàr,  maridaH, 
clan],  Siel  adopera  invece  di  frequente  o  (pleo,  io,  taola,  fadeo, 
difjhieo,  coleo)  „.  Qui  il  conto  non  torna  in  nessun  modo.  Delle 
due  nonesade  del  Siel,  stampate  dal  Boehmer,  mi  limito  alla 
seconda  per  non  accatastare  esempì  :  il  lettore  potrà  farsi  in 
ogni  modo  un'idea  della  tendenza  linguistica  del  Siel  dalla  lista 
seguente:  ante  462,  auter  38i ,  129i ,  autra  1294,  79i,  9O1.3, 
autre  8I2,  lOoi.  autri  BGj ,  94i ,  ISSc,,  aufsu  93i,  auza  892, 
chiau  7o4,  1424,  santa  IO84,  taida  7O2,  taidada  53i ,  chiausa  I483, 
chiauzerast  190,  faussità  93,  aucelloti  661,  hrau  3I2,  7I4,  fan  IIO3, 
fìdau  903,  laghiau  148i,  recordaii  llOi  ;  sventa  23i,  neu  282, 
eu  342,  37i,  99^,  1252,  seu  34i,  feu  984,  poleu  962,  vorreu  1253, 
fareuWò^,  entendeu  dh^,  vedreu  28^,  cognereu  AS^,  taidsseu  9i)i; 
niu  964,  3^  pers.  cond.  ueu  :  p.  e.  crezerueu  26i ,  sarueu  204, 
vorrueu  ^Zi^-z  '•  Dunque  la  forma  solita  anche  per  il  Siel  è  u  : 


'  Per  v'>  u  cfr.  p.  e.  gaitreu  nel  primo  dei  due    sonetti  (v.  llj  editi  dal 
Bertag.nolli,  0.  e,  II,  27. 


448  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

tutti  due  questi  autori  stanno  quindi  di  nuovo  in  opposizione 
al  desiano  moderno  che  in  questo  caso  à  o  e  concordano  invece 
coU'anauniese  superiore.  Ma  che  il  moderno  o  sia  sul  pianoro 
desiano  posteriore  al  principio  del  novecento  lo  dimostra  l'uso 
conseguente  di  «  nella  Qarela  :  chiuu  U,  antri  122,  l^a,  ìi^, 
anzar  I2,  auton  61,  veghiau  83,  laghiau  62  ;  breu  84,  eu  IO2,  I24, 
I62,  podeii  64,  direu  81,  ghiattereu  152,  cogniereu  II4,  plan- 
giereu  II4.  Ancor  tre  decenni  dopo  Siel  e  Ricci,  il  desiano 
B.  Tommazzolli  adopera  regolarmente  «,  cfr.  p.  e.  :  autàr  II  13, 
dausina  II  6,  fausa  I  10,  autre  II  10.  14,  autrament  II  35,  ghiau 
III  14,  hrau  III  13,  neu  II  7,  -atis -|- vos  >>  aw,  -etis  +  vos 
>  éu,  -itis-}- vos  >  iu.  Anche  in  questo  caso  ì  testi  del  prin- 
cipio dell'ottocento  dimostrano  chiaramente  come  il  desiano 
abbia  mutato  alcuni  tratti  caratteristici  dell'anauniese  nel  se- 
colo scorso, 

3*^  "  Il  Ricci  presenta  un  perfetto  tire,  succede,  ricevè,  'inpro- 
visè,  lavorè,  perfetto  che  è  sconosciuto  al  Siel  come  al  dialetto 
moderno  „.  Giustissimo,  ma  sarebbe  forse  più  esatto  il  comple- 
tare la  constatazione  dicendo  come  anche  il  Ricci  ricorra  di 
solito  al  perfetto  composto  e  non  presenti  altre  persone  verbali 
del  perfetto  che  la  terza  nei  cinque  casi  riferiti,  il  che  fa  pen- 
sare a  resti  fossilizzati  che  ora  sono  scomparsi  interamente  dal- 
l'anauniese  e  stanno  con  i  perfetti  in  -de di  di  verbi  monosil- 
labi nella  parlata  solandra  di  Peio  ^  a  dimostrare  l'esistenza 
del  perfetto  latino  nel  bacino  del  Noce.  Ma  dai  5  perfetti  del 
Ricci  ad  ammettere  l'influsso  dell'alto  anauniese  ci  corre: 
converrebbe  dimostrare  che  il  perfetto  scomparve  nella  valle 
superiore  più  tardi  che  a  Cles,  mentre  il  testo  più  antico  del 
dialetto  della  valle  superiore,  le  feste  sopratofiane  (1828)^,  non 
à  esempì  di  perfetto  latino,  ma  ricorre  alla    solita  perifrasi. 


'  Sulzberger  Mtmdart,  53. 

'^  BoEHMER,  NoHsbergisches,  40  seg. 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  Cles,  ecc.  449 

4°  Nemmeno  l'ultima  argomentazione  del  dott.  Quaresima 
mi  sembra  convincente  :  "  Il  Ricci  sopprime  alle  volte  la  desi- 
nenza del  plurale  e  perfino  quella  della  prima  pers.  nel  verbo  : 
tante  gran  schiopetadagg,  cient  taulagg,  ai  pra,  tanti  matt,  cìiiastiel 
(plur.),  pe  (plur.),  'm  figìi  (mi  ficco),  egh  dmand  (gli  domando). 
Non  cosi  invece  il  Siel  „.  Noto  ormai  qui  come  questi  casi  siano 
eccezionali  di  fronte  al  mantenimento  pressocché  costante  dell'i 
del  plurale  e  sarei  tentato  di  far  restrizioni  circa  gli  esempì  di 
sostantivi.  Chiastiel  587  è  evidentemente  un  errore  di  stampa, 
giacché  il  plur.  di  -eli  u  suona  nel  Ricci  costantemente  ci  o  iei. 
Non  essendo  la  lettura  chiastiel  richiesta  dalla  rima,  il  verso 
sarà  da  migliorarsi  in  ed  sti  fìeudi,  ed  sti  chiastiei  '.  Fé  allato  a 
pìn  risp.  pel  e  la  solita  forma  accorciata,  comunissima  anche 
nella  parlata  cittadina,  e  non  so  dimenticare  l'eguaglianza  del 
sing.  e  plur.  in  alcune  varietà  dell'alta  valle  di  Non  {piei^ 
Dambel,  .Sarnonico)  e  solandre  (Peio  el,  i  jjiei,  solandro  sup., 
Male  e  Rabbi  pe  sing.  e  plur.)  che  ricorda  quella  ancor  pili  co- 
mune nel  bacino  del  Noce  del  sing.  e  plur.  b(n,  biiei.  Il  plur. 
pra  è  "  regolare  „  in  tutto  il  solandro  e  s'estende  di  qui  al- 
l'anauniese  (di  tipo  "  desiano  „)  di  Barné,  Bevia,  Baselga,  Livo 
e  Cagno  ;  al  sud  dell'altipiano  desiano  trovo  pra  ad  Andalo  e 
Cavedago,  ma  non  so  se  qui  v'abbia  influsso  della  parlata  di 
Molveno  e  delle  Giudicarle  inferiori  ;  esso  manca  in  ogni  modo 
all'anauniese  settentrionale  che  dice  prudi.  Ma  con  Livo  e  Cagno 
arriviamo  ben  vicini  a  Cles  e  sia  che  il  confine  di  pra  (plurale) 
abbia  subito  una  modificazione  nell'ultimo  secolo,  sia  che  la  vi- 
cinanza dello  stesso  abbia  avuto  una  ripercussione  nella  parlata 
del  capoluogo,  il  pra  del  Ricci  non  sorprende. 


'  E  que.'sta  sembra  essere  appunto  la  lezione  della  prima  stampa  trentina, 
perché  il  Bektag.nolli,  Poesie  e  i)oeti,  li,  22,  porta  Chiastiei  senza  nessuna 
variante. 

Archivio  glottol.  ital  ,  XVIl.  '  80 


450  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

L'ultimo  esempio  che  richiede  una  spiegazione  a  parte  è  ìuait 
nel  verso  tanti  matt  dal  Confalon.  L'uso  moderno,  non  so,  pur 
troppo,  se  di  tutta  la  valle  o  solo  della  mia  parlata  (Fondo)  è 
corrispondente  a  quello  dei  vecchi  testi  clesiani  :  Mi  mati,  na 
kjabia  et  mati,  contro  i-e  mat  da  ligjar  o  sti  mat  da  l  ùa,  dal  che 
ne  derivo  che  in  posizione  tonica  abbiamo  la  forma  regolare, 
mentre  in  posizione  atona  troviamo  quella  accorciata.  Restano 
due  esempì  di  plurali  senza  i  (e)  il  cui  tema  esce  in  e:  taulagy 
e  schiopetadagg  ^  legati  in  rima  col  nome  locale  Chiampìagg.  Non 
sono  esempi  unici,  perchè  trovo  anche  stragg  (514)  '  stracci  ' 
e  impagg  (516)  '  impacci  ',  sfuggiti  allo  zelo  del  dott,  Quaresima: 
i  quattro  casi  sembrano  indicare  una  tendenza  a  sopprimere  la 
vocale  palatale  atona  dopo  il  suono  e  —  tendenza  che  io  finora 
non  riscontrai  in  nessuna  varietà  moderna  dell'anauniese  o  del 
solandro. 

Quanto  alla  mancanza  dell'i  atono  finale  come  esponente  della 
prima  pers.^  non  è  difficile  indicarne  la  ragione.  Il  Ricci  non 
conosce  per  regola  altra  forma  per  la  prima  pers.  che  la  desi- 
nenza in  i  (foggiata  sull'i  di  ai  =  ò)  ;  cfr.  p.  e,  tiri  105,  ghiotti 
119,  senti  209,  prieghi  603,  pieghi  619,  confidi  672,  sjìieri  698, 
vegJn  33,  spetti  37,  urti  109,  dighi  400,  507,  694,  sicché  vorrei 
trovar  una  giustificazione  di  figh  e  dmand  in  motivi  metrici, 
stando  il  primo  in  rima  con  Vigh  373,  e  richiedendo  il  verso 
nel  secondo  l'apocope:  E  mi:'l  scusia,  egh  dmand'  perdo)i.  Mr 
che  il  Ricci,  per  assecondare  bisogni  metrici  abbia  usato  forme 
proprie  alle  parlate  settentrionali  è  inammissibile,  perché  nel- 
l'anauniese  sup.  l'i  di  prima  persona  (tolti  i  soliti  verbi  mono- 


^  La  caduta  (o  l'assorbimento)  dellV  del  femm.  plur.  è  qui  eccezionale  e 
determinata  evidentemente  da  motivi  differenti  da  quelli  per  cui  s'ebbe  nel- 
l'anaun.  sup.  quale  plur.  di  fj^eja-  fu^i,.  In  questo  caso  si  tratta  di  sosti- 
tuzione della  formii  del  plur.  masch. 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  Cles,  ecc.  451 

sillabi)  è  ancor  più  saldo  che  nell'an.  inferiore,  non  avendo  le 
parlate  dell'alta  valle  ohe  puesi,  diyhl  e  fiifgi.  Che  poi  il  Siel 
non  conosca  simili  esempì  potrebbe  trovar  una  facile  spiegazione 
nella  circostanza  che  nelle  poesie  di  quest'ultimo  la  prima  pers. 
ricorre  molto  di  raro.  A  me  il  fich  e  dinand  sembrano  però  forme 
individuali  dal  Ricci  costrutte  con  processo  proporzionale  secondo 
la  prima  pers.  senza  i  dei  monosillabi.  Nell'anauniese  sono  ge- 
nerali do7t,  von,  fon,  sto»  coniati  sullo  stampo  di  son.  Nella 
vicina  Val  di  Sole  appartengono  anche  a  questo  tipo  din  '  dico  ' 
e  t(rn  '  tolgo  '  \  forme  che  almeno  nell'alta  valle  di  Non  sono 
sconosciute.  Ma  la  formazione  della  prima  pers.  senza  la  desi- 
nenza analogica  i  à  agito  in  altro  senso  p.  e.  nel  solandro  sup., 
pur  esso  di  regola  fedele  all'/  della  prima  persona,  provocando 
qui  in  di'''''  un  tipo  monosillabo  in  k  che  continua  attraverso  il 
camuno  fino  a  Poschiavo  :  cfr.  nel  solandro  di  Ossana,  Ver- 
mislio,  Peio  ro''*  ^o^*,  éto'''''',  fo'^'^,  .so^*  (con  oscillazioni  so'^'^  come 
forma  laterale  di  sae).  Ne  deriva  quindi  che  (su  parti  del  terri- 
torio in  cui  l'i  dell'ausiliare  s'estese  a  quasi  tutti  i  verbi)  di''''  o 
non  riceve  questo  /  finale  o  lo  espulse  ben  presto.  F,  con  d/k 
vanno  toek  e  pceé,  voci  che  ricorrono  in  tutte  le  parlate  da  Bre- 
simo  a  Cagno  (varietà  anauniese-clesiana),  quindi  al  confine  occi- 
dentale dell'alto  anauniese.  Anzi  il  Bohmer  ^  dà  pos  proprio 
per  il  moderno  desiano  e  il  Gartner  trova  un  caso  analogo 
in  t(es,  dis  (1^  pers.  pres.)  nel  sottodialetto  di  Tres.  Nei  mono- 
sillabi v'à  dunque  oscillazione,  non  nell'alto  anauniese  ma  nel 
solandro  e  nelle  parlate  della  vai  di  Non  media,  spiccatamente 
a  Cles  e  dintorni,  e  di  queste  incertezze  si  valse  evidentemente 
il  Ricci,  quando,  stretto  dal  bisogno,  coniò  i  suoi  due  figh 
e  dmand. 


*  Gartner,  Sulzberger   Worter,  19. 
'  NoHsbergisches,  81. 


452  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

V.  —  "I  tratti  alti  anauniesi  del  dialetto  del  Ricci  e  del 
SiEL  sono  tanto  più  strani,  in  quanto  che  un  altro  desiano, 
Don  Bartolomeo  Tommazzoli,  soltanto  35  anni  più  tardi  adopera 
nelle  sue  poesie  un  linguaggio  che  differisce  punto  o  poco  dal 
moderno  desiano  „.  Facciamo  i  conti  un  po'  meglio.  La  differenza 
più  saliente  nel  vocalismo  tonico  è  la  dittongazione  di  ie,  ite, 
cui  la  parlata  presente  di  Cles  oppone,  come  s'è  visto,  e,  a\ 
Orbene,  con  Siel  e  Ricci  combina  non  solo  il  Tommazzoli 
che,  ad  onta  della  pietosa  bugia  del  mio  contraddittore,  à 
traccie  di  tió  (dunque  della  fase  intermedia  fra  ne  e  <r)  : 
tueur  II  12  —  si  legga  tnce'r  —  e  fuorse  IT  11,  vueul  II  3,  11, 
IH  10,  vucei  II  11,  fueur-fuca'r  I  11,  ma  anche  il  desiano 
Scaramuzza  e  il  baron  Cristiani,  nativo  dal  vicino  Rallo, 
e,  quello  che  più  importa,  la  famosa  Qarela  che  risale  pur 
essa  a  quest'epoca  e  dà  nueu  i^  e  fuer  oo.  Nel  vocalismo  atono 
la  diversità  fra  Ricci  e  Siel  e  la  parlata  moderna  consiste  nel- 
l'uso di  u  <<  1,  V,  u  (cles.  mod.  ó)  e  anche  in  questo  caso  il 
Tommazzoli  e  la  Qarela  vanno  d'accordo  coi  vecchi  testi 
clesiani,  dimostrandone  la  giustezza  nell'uso  del  patrio  dialetto. 
Che  se  poi  il  dott.  Quaresima  afferma  che  il  Tommazzoli  non 
à  esempì  di  e,  i  protonici  svolti  ad  a,  ciò  dimostra  come  egli 
non  ne  abbia  letto  abbastanza  attentamente  le  poesie;  cfr.  p.  e. 
ahrei  III  14,  anvidia  III  45  o  anche  7'ason  III  25,  che  in  vista  del 
basso  anauniese  refòn  ^  sembra  appartenere  a  questo  gruppo- 
E  (non  sarebbe  forse  più  necessario  di  ripeterlo)  anche  la  Qarela 
va  di  nuovo  d'accordo  con  tutti  i  vecchi  testi  del  pianoro  desiano  : 
manestra  9^,  fanestra  9-2,  chiavazzare  I53.  Del  consonantismo  il 
dott.  Quaresima  non  dice  nulla  ;  ci  sarebbe  forse  da  sfruttare 
l'osservazione  arguta  dell'Ettmayer-  il  quale  dalla  grafia  ^^m  dei 


*  Cfr.  Ettmaykr.   Lombardisch-ladinii^ches,  paradigma  160. 
'  "  Zeitschrift  fur  rom.  Philologie  „,  XXXIII,  599. 


Appunti  sul  dialetto  letterario  di  Cles,  ecc.  453 

testi  antichi  conchiude  ad  una  pronunzia  ^^a  per  il  desiano  an- 
tico, —  pronunzia  che  dal  capoluogo  di  Val  di  Non  scomparve 
soltanto  nell'ultimo  decennio.  Riguardo  ai  verbi,  abbiamo  visto 
pili  sopra  come  stiano  le  cose.  Riguardo  allo  stile  pili  che  al 
lessico  {"  il  Tommazzoli  „,  dice  il  dott.  Quaresima,  "  non  à 
espressioni  apertamente  altoanauniesi  „)  non  nego  che  esista 
davvero  una  differenza  profonda  fra  lui  e  p.  e.  il  Ricci.  Il  Tom- 
mazzoli, il  pili  infelice  fra  i  tre  poetastri  clesiani  lin  qui  esa- 
minati, non  à  avuto  nemmeno  il  buon  senso  d'adattare  le  forme 
stilistiche  alle  esigenze  pili  elementari  del  vernacolo.  Un  poeta 
che  adopera  costruzioni  come  queste  :  d'arme  en  gran  mucyhiel 
II  5,  Chelle  aufre  tutte  lacchi  da  na  banda  II  7,  Ed  cJieste  tutte 
ainicghie  oppur  sorelle  II  7,  Dei  preti  7  vedeva  che  come  i  euvi  \  I  è 
segnr  fatti  dalla  testa  ai  pei  11  IO,  De  santa  Glesia  semper  con- 
danadi  II  12,  .  .  el  tederà  giust  chel  \  Che  V  a  vist  dei  Abrei 
quel  general  II  13,  Ed  ca  famosa  Glesia,  ed  chel  autar  \  Che  Veca 
Salomon  fat  fabrichiar,  ecc.  ;  un  poeta  che  scrive  in  dialetto  nella 
forma  convoluta  della  canzone,  che  à  come  muse  pretesche  (e 
di  che  risma  I)  acribia  teologica  e  bile  clerico-politicante,  un 
simile  "  autore  ,  non  potrà  valere  sicuro  come  fonte  lessicale 
per  Io  studio  d'un  dialetto.  Ma  forse  il  dottor  Quaresima  vuol 
canzonare  il  pubblico  della  Zeitschrift  f.  rom.  Phil.  e  me  pure  .  . 
e  allora  è  meglio  non  reagire. 

Insomma  io  credo  di  dover  asserire  ora  più  chiaramente  che 
mai  che  i  due  poeti  clesiani  del  settecento  a  noi  noti,  L.  Ricci 
e  Carlo  Siel,  scrissero  proprio  nella  loro  parlata  clesiana  ge- 
nuina. Che  nel  capoluogo  di  Val  di  Non  siano  subentrate  nel- 
l'ultimo secolo  delle  evoluzioni  che  produssero  uno  stacco  sen- 
sibile dal  tipo  pili  puro  dell'anauniese  settentrionale,  è  un  fatto 
che  non  può  far  stupire  chi  abbia  studiato  la  forza  assimilatrice 
della  parlata  centrale  di  Trento.  E  mi  sia  lecito  chiudere  la  mia 


454  Varia.  —  Carlo  Battisti, 

anticritica  con  un  passo  del  prof.  Ettmayer  ^  :  "  Tirando  la 
somma  dallo  studio  del  B.  e  da  queste  mie  brevi  aggiunte,  ne 
derivo  in  modo  certissimo  che  dalla  fine  del  settecento  in  poi 
il  dialetto  di  Cles  si  spoglia  gradatamente  ma  costantemente 
del  suo  carattere  anauniese  e  si  assimila  alla  parlata  di  Trento, 
divergendo  in  egual  misura  dal  dialetto  più  conservativo  della 
valle  superiore  „. 

Carlo  Battisti. 


1  •  Zeitschrift  fur  rom.  Philologie  ,,  XXXIII,  604. 


II. 


I  COGNOMI  MONOSILLABICI  IN  ITALIA 


È  mia  intenzione  di  redigere  un  Dizionario  Storico- Etimologico 
dei  Cognomi  Italiani  e  vi  sto  da  anni  attendendo.  Intanto  son 
venuto  pubblicando  varie  monografie  su  questo  argomento  K 

Poiché  i  cognomi  monosillabici  sono  da  noi,  tra  il  serio  e  il 
faceto,  associati  coll'idea  dei  Cinesi,  i  quali  si  chiamano  Ciang, 
Uang,  Li,  Ciao  (questi  i  più  frequenti,  come  da  noi  i  Bianchi, 
Rossi,  ecc.)  e  con  altri  monosillabi,  a  puro  titolo  di  curiosità 
ricordo  ch'essi  ammontano  a  1678  nel  Lessico  dell'Imperatore 
K'ang  Hsi  (1662-1723). 

Sarà  certo  per  molti  una  sorpresa  il  leggere  la  lunga  lista 
di  cognomi  monosillabici  che  esistono  in  Italia. 

Nell'elenco  che  segue,  la  1^  colonna  indica  che  i  cognomi 
sono  propri  della  regione  ivi  indicata  e  la  2*  colonna  che  si 
riscontrano  nelle  località  ivi  specificate,  senza  che  a  me  consti 
se  di  esse  sieno  indigeni  o  se  vi  sieno  avventizi. 


'  Il  presente  è  il  sesto  saggio.  I  precedenti  sono  :  I.  Antichi  cognomi 
biellesi,  Biella,  Testa,  1909.  -  II.  Il  comporto  verbale  tiell'Onom.  Rai.,  Torino, 
Artigianelli,  1910.  -  ili.  /  cognomi  longobardi  in  Italia,  Torino,  Artigianelli, 
1911.  -  IV.  Gli  Italiani  del  Levante  {cognomi  italo-levantini),  in  ■■  Rivista 
Coloniale  It.  „,  1911.  -  V.  Israeliti  italo-lerantini,  in  "  Kiv.  Colon.  It.  ,,  1911. 


456 


Varia.  —  Cesare  Poma, 


Bill 


Balp  . 

Bar    .  . 

Bard  .  . 
Bax    . 

Bech  .  . 

Bens  .  . 

Beri   .  . 
Di  Beri 

Bès     .  . 


Bet  .  .  .  . 
Bez  .  .  .  . 
Bic  .... 
Bich  .... 
Bin  .... 
Bix  .... 
Blan  .... 
Blé  .... 
Bo,  Bó  .  .  . 
Boch  .... 
Bof  .  .  .  . 
Bon  .... 
Bor  .... 
Bosq  .... 
Bot  .  .  .  . 
e  Martiner-Bot 
Boz  .  .  .  . 
Bradi 
Bran  .... 


Pianezza  e  Tarantasia 
sec.  XVIII. 


Val  d'Aosta. 

Torino. 

friulano  o  veneto. 

Clavières,  circond.  Susa 


friulano,  G.  C. 
Valtournanche. 
Aosta. 


Torino. 


Piemonte,  Liguria. 


Belluno, 
veneto. 


Torino. 

Moncalieri,  XV. 
Biella. 


Torino. 

Roveredo  in  Piano,  pr.  di 

Udine  ^ 


Bré    .... 

Brin piemontese  o  ligure  ? 


Bari. 

Torino. 
Torino. 
Napoli. 
Milano. 


Torino. 


pr.  Rovigo. 
Bologna. 


Torino. 


Bianzè  (Piemonte). 


Torino. 


Milano. 


'  Con  queste  iniziali  segno  alcuni  cognomi  friulani  —  di  Tricesimo  e 
dintorni  —  cortesemente  fornitimi  dal  Prof.  G.  Costantini,  friulano,  resi- 
dente a  Firenze. 

^  Per  i  cognomi  friulani  ho  avuto  la  cortese  collaborazione  del  Prof.  An- 
gelo Bongioanni,  della  Biblioteca  Comunale  di  Udine,  al  quale  rendo  qui 
le  debite  grazie. 


I  cognomi  monosillabici  in  Italia 


457 


Bruti  .... 
Bus    .... 
But    ... 
yCoda-^^  Gap     . 
CéC^)     .     .     . 
dia,   Chd     . 
Chió  .... 
Chuc  .... 
[Dal]   Gin    .     . 
Gis     .... 
Glaps.     . 
Cler    .... 
Gloz   .... 
[Dal[  Go 
0  [Dal\   Gó     . 
Gol     .... 
Col     .... 
Goss  .... 
Cougn 

Grop  .... 
[Gremmo-\  Cunt 
[Dal]  Dan  .  . 
Decq  .... 
Dho  .... 
Din  .... 
Do  .... 
DJ  ...  . 
i)o/  .... 
Don    .... 


Torino. 


friulano,  (J.  C. 
Biella  '. 


piemontese. 

Aosta. 

friulano  o  veneto. 


Torino. 

Gressoney,  Trento. 

lonib. -veneto. 

sardo. 

Torino. 

Friuli. 

valdese. 

friulano,  G.  C. 

Biella. 

friulano  o  veneto. 


Roccaforte  Mondovì  . 


piemontese,  Medioevo. 
Lósine,  prov.  Brescia. 


Aosta. 


Bezzecca  (Trentino), 
pr.  Potenza. 


Torino. 
Torino. 

Cagliari. 


^  I  cognomi  "  abbinati  „  sono  frequentissimi,  ad  es.,  nel  Biellese,  per  di- 
stinguere le  famiglie  che  portano  a  dozzine  lo  stesso  nome.  Il  secondo  nome, 
0  "  additizio  ,,  è  in  origine  un  soprannome  che  col  tempo  diventa  parte 
integrante  del  cognome,  come  si  può  vedere  dal  confronto  dei  seguenti 
cognomi  dell'Alto  Biellese  :  famiglia  Pozzo  *  cesrin  „  ;  Viana  "  capitani  ,  ; 
Ferraris  *  baste  „  ;  Falla  "  isef ,  ;  Orso  "  maniet  „  ;  Falla  "  doublé  „  ;  — 
e  Magnani-Ghisò  (forse  da  un'antica  rassomiglianza  con  Guizot);  Sella-Bart 
(da  Uberto  o  Alberto)  ;  Mazzia-Picciot  (piccolino)  ;  Valz-Gris  ;  Fiorio-Plà 
(pelato);  —  e  con  completa  fusione:  Tosolsiw  (Toso  il  signore). 


458 


Varia.  —  Cesare  Poma, 


Dre,  Dré     .     . 

Bianzè,  prov.  Novara  — 
Maglione,  pr.  Torino. 

Dró 

Mathi  Canavese. 

Duch 

Torino. 

[Di]  Fani    .     .     . 

friulano  o  veneto. 

Fé 

Brescia. 

Fer 

Torino.  —  Trovasi  già 
nel    Codex  Astensis, 
s.  XIII. 

Fin     .     .     . 

Flick 

Folz,  Foltz .     .     . 

Fra,  Fra    .     .     . 

Torino. 

Fré 

lombardo  -  anche  a  Ver- 
celli e  Biella. 

Fruc 

Friuli  -  ove  pure  Friicco. 

Frus 

Gal  [Selva]      .     . 
Gatt 

Biella. 

Gè,  Gei  .     . 

Ghé 

veneto  ? 

Ghi 

GJio,  Ghó    .     .     . 

Gin 

Glech 

Gnech     .... 

prov.  Belluno. 

Goi     . 

Goss 

Gou    .... 

Granz 

Grech      .... 

Grem      .... 

piemontese,  come  Gremo 
e  Gremmo. 

Grenc     .... 

Grep  {de  Grepis). 
Gri 

Carmagnola,  s.  XV. 

Giis 

friulano,  G.  C. 

Inz 

Torino. 
Torino. 


dalle  Liste  elettorali  di 
Torino,  se  non  sia  er- 
rore di  stampa  per  Friia 
(anche  Femia). 


Milano. 

Torino. 

Torino,  Milano. 
Napoli. 


pr.  Udine. 
Torino. 
Torino. 

Milano  —  cfr.  Gramo  a 
Torino. 


Torino. 
Torino. 
Torino,  Napoli. 


I  CQornomi  monosillabici  in  Italia 


459 


Jacch  

Jans 

Job 

Jon 

Jop 

Josz 

friulano. 

Piedicavallo,  Alto  Biell."* 

Lctus 

Torino. 

Lerz 

Lin 

l)atrizi  veneti. 

Lojjs 

Mas 

Napoli. 

Mei 

Mels 

Mens 

piemontese  (Chieri),  come 
Meiisio  e  Menzio. 

[De]  Min     .     .     . 
Mo 

veneto. 

Ponderano  (Biellese)   — 
Valdiiggia. 

Mor 

Moy 

Torino. 
Milano. 

Mrcich     .... 

Mu 

Mus 

friulano,  G.  C. 

Mus,  Muss  . 

il  1"  in 
2«  a 

Val  d'Aosta,  il 

Torino. 

Nan 

Nari,  Di  Nart 
0  Di  Nard  .     . 

in  pr.  Belluno  il  1";  il  2" 
e  il  3"  friulani  o  veneti. 

Nel     .... 

Chieri. 

Khs 

valdostano 
anche  friulano,  G.  C. 

Pech  .     . 

Napoli. 

Pench      .... 

Pens 

Torino. 

Pes 

sardo. 

Pez 

friulano. 

Pie,  Pick     .     .     . 
Pin 

piemontese. 

Piò 

Piz 

friulano,  G.  C. 

Piene 

s.  XVI,  valdesi. 

460 


Varia.  —  Cesare  Poma, 


Po 

Poch 

Poi 

Pons 

Pont 

Poy 


\  Prd . 
iPrat. 
Prie  . 
Prin  . 
Pro  . 
Pron  . 
Prot  . 
Quar  . 
Ram  . 


Rap  .  .  . 
Ras,  Raso  . 
Re  .  .  . 
Rech  . 
Rem  [-Picei] 
Rho  .  .  . 
[Perin-]  Riz 
Riz  .  .  . 
Rock  .  .  . 
Rol  .  .  . 
[Da]  Ronchi 


LRos 

ìRos  [-Sebastiano]. 

[Motto-]  Ros    .     . 

Roul 

Roulph    .     .     .     . 


piemontese. 


Palazzolo-Canavese  ;  a 
Suno  il  cogn.  Poi  pro- 
nunziato coU'o  stretto 
come  il  piem.  pui,  pi- 
docchio. 


piemontese. 


friulano,  G.  C. 

Napoli  :  menzionato  da 
Gennaro  Grande,  Ori- 
gine dei  cognomi  gen- 
tilizii  nel  Regno  di  Na- 
poli, Nap.,  1756,  p.  293. 


piemontese, 
pr.  Belluno. 


Biella. 

friulano,  G.  C. 

Torino. 

piemontese. 

friulano  o  veneto  : 
donde  la  forma  nobili- 
tata D' Aronco. 

Torino. 
Ivrea. 

friulano,  G.  C,  pronun- 
ziato Roul. 
Saluzzo. 


Torino. 
Torino. 


Torino. 
Torino. 
Civitavecchia. 
Torino. 


Torino. 


I  cos'Homi  monosillabici  in  Italia 


461 


lioz          .... 

Torino. 

Bh           .... 

Torino. 

Sa 

Sad 

Cerrione  (Biellese). 

Sant 

friulano,  G.  C. 

Sarg 

Shuelz      .... 

friulano. 

Scé 

Napoli 

Schips     .... 

Cellino  Abruzzese. 

1 

Screm      .... 

Udine. 

Sed 

eogn.  israelita. 

Si 

Sisinnio  Si,  famoso  bi-i- 

gante  sardo. 

Sirch 

S.  Pietro  al  Natisone  — 

Slavo,    secondo 

prof. 

A.  Bongioanni. 

Som 

Moncucco  Torinese. 

Sjja 

Venezia,  XVI. 

Squi 

sardo. 

Srd 

Torino. 

Stem 

in  Marin  Sanudo, 
Steno  K 

per 

Sfra 

Idem. 

Alghero. 

Tarn 

Friuli  :  ove  anche 

Tami. 

Tha 

Torino. 

Tin 

Verona. 
Venezia. 

Tis 

Todi 

Ton 

veneto. 

Tos 

piemontese. 

Toz 

Trai 

Viggiano 

Trech      .... 

friulano,  G.  C. 

Troti 

1  fam.  i)atrizia  di  Venezia. 

Anche  a  Meano, 

pr.  di 

Torino. 

1 

'  Questa  illustre  famiglia  veneziana,  in  cui  Steno  era  anche  n.  p.,  non 
prese  il  nome  né  da  Costantinopoli,  né  dalla  Germania,  come  vollero  i  ge- 
nealogisti —  ma,  s' intende,  semplicemente  dalla  forma  dialettale  di  Stefano. 


462 


Varia.  —  Cesare  Poma, 


Tur 

Val 

Valz,   Valz-Blin   . 

piemontese. 

Alta  Valle  d'Andorno. 

Vratn      .... 

Zan 

veneto. 

Zar 

Zen 

veneto. 

Zers 

Udine. 

Zin 

veneto. 

Zir 

Zó 

lombardo  ? 

Zoi 

friulano.  Il  prof.  A.  Bon- 
gioanni lo  crede  slavo. 

Zon 

veneto. 

Zoz 

Friuli. 

Zìiz 

Friuli  :  ove  anche  Zuzzi. 

Livorno. 


Napoli. 


Israelita  ? 


Altri  .si  potrebbero  aggiungere,  nel  Medio  Evo  :  e  mi  limiterò 
a  ricordarne  alcuni  che  figurano  nel  Codex  Astensis: 

Henricus  Buz  de  Rupecula. 

Henricus   Clas,  credendarius  Albe. 

Rivacius  Cor,  „  Carli. 

Jordanus   Cot  {Cotiis,  de  Coto),  Alba. 

Viglezonus  de  Gos  ("  de  ,  forse  indica  filiazione). 

Jordanus  Max,  cred.  Alb.,  dal  n.  1.  Max,  Maxium,  ibid.,  ora  Masio. 

Jacobus  Paz,  1191. 

Ogerius  Rat,  credendarius  Albe. 

Goslinus  Rie,  Chieri,  XII. 

Nicolaus  Sac  :  efr.  cogn.   Sachus,  Saccus,  ibidem. 


Non  presumerò  di  dare  di  tutti  la  spiegazione  :  nulla  di  più 
facile  in  questa  materia  del  fabbricare  delle  ipotesi,  mentre  la 
vera  etimologia  è  da  ricercarsi  storicamente.  Nulla  di  più  scon- 
certante del  trovare  poi  che  l'origine  è  assai  diversa  da  quella 
che  linguisticamente  dovrebbe  essere  ;  qui,  si  sa,  domina  sovra- 
namente il  capriccio  del  vezzeggiativo,  delle  contrazioni  o  stor- 
piature. 


I  cognomi  monosillabici  in  Italia  463 

Mi  limiterò  ad  esporre  come  i  cognomi  monosillabici  appar- 
tengano a  diverse  categorie  : 

1)  Una  gran  parte  dei  cognomi  monosillabici  derivati  da 
nomi  propri  o  comuni  appartengono  all'Alta  Italia,  dei  cui  dia- 
letti locali  le  forme  tronche  sono  proprie.  Ad  esempio,  i  se- 
guenti : 

fìech,  da  becco  (capro),  ed  è  il  cogn.  Becìius  in  A.  Eatti,  A  Milano 
nel  1266;  cfr.  il  cogn.  Scannahecchl  in  mio  op.  sui  Comp.  verbali. 

Bens,  da  Benso,  di  origine  teutonica. 

Bi'ft,  da  Berti  (Alberto  o  Uberto,  ecc.). 

Bo,  Bó,  da  bove,  come  Codebó,  Massaio,   Cacakahó. 

Boti,  da  Bono. 

Bos(j,  da  Bosco. 

Bot,  da  Botto. 

Braih,  da  Bracco. 

Bnin,  da  Bruno. 

(Cap),  da  Capo. 

Cha,  Della  Cha,  da  Casa. 

Cime,  da  Cucco. 

Cougn,  da  Cugno. 

Cunt,  da  Conte. 

Dal  Co,  Dal  Co,  da  capo,  come  Coblanclii,  Coyrosso,  Colongo  — 
Codebó,  Codeleoncini,  Codelupi  e  Codeliippi,  de  Chodeporcis  (Pia- 
cenza, Xni),  de  Codagìiellis  (Bologna,  XIV)  —  Codronchi  che 
seri  ve  vasi   Code  ronchi  nel  s.  XVII,  ecc. 

Fré,  ferrajo,  come  Fervè  e  il  lombardo  Fare. 

Gal,  Gallo. 

Gatt,  Gatti. 

Gnech,  Gnecchi. 

Grech,  Greco. 

Grep,  Greppi. 

Job,  De  Job,  Jop,  frequenti  in  Friuli  :  da  Giobbe.  Cfr.  il  veneziano 
San  Joppo  per  Giobbe.  —  Il  cogn.  Joppi  fu  da  Ascoli  (A.  G.  I., 
I,  510)  risalito  a  Jovio  —  per  il  quale  intendeva  egli  Giobbe? 

Moj  piemontese  di  Mauro,  come  San-Mó  per  San  Mauro,  località 
presso  Torino.  In  Cod.  Ast.  le  forme  Jacobus  Maìtr  in  dee.  924 
e  Mucius  de  Mo  in  dd.  268  e  479. 

Pie  e  Pirli,  Picco,  Pico. 


464  Varia.  —  Cesare  Poma, 

Poi,  Polo,  forma  veneta  di  Paolo. 

Pons,  Ponzio. 

Pont,  da  ponte. 

Priì,  Prat,  Prato,  Prati. 

Rech,  dal  n.  p.  niedioevale  Erecco  che    era    dei    Torriani,  ecc.  :    infatti 

Erecco  della  Torre  trovasi  anche  chiamato  Rech  o  Rechus  de  la 

Turre. 
Riz,  riccio,  ricciuto. 
Rock,  Rocco,  Rocchi. 
Rol,  significa  "  rovere  „  in   piemontese  :    donde    le    forme   italianizzate 

Rolle,  Rolla. 
Roiilph,  da  Rodolfo  (v.  il  mio  op.  sui  Cogn.  Longoh.)  ;  uguale  origine  il 

prof.  A.  Bongioanni  assegna  al  friulano  Roul. 
Spa,  spada  :  e  infatti  questa  famiglia  era  pure  detta    Spada.   Anche  in 

Cod.  Ast.  un  Gmllelmus  *S)?a^  cred.  Ast,  1309. 
Stì'a,  strada  :  dalla  qual  parola  vien  pure  il  cogn.  Stratta  nel  Canavese. 

2)  Alcuni  sono  d'origine  francese: 

Blan,  verisimilmente  lo  stesso  che  Blanc. 

Cler,  „  „        „  „     Clerc. 

DucJì,  è  probabilmente  il  cogn.  Due,  Moncalieri,  XV  (in  lat.  de  Dti- 
cibiis),  e  frequente  tuttodì  in  Val  d'Aosta.  —  Ducco,  a  Torino, 
è  prob.  una  erronea  italianizzazione  del  precedente  ;  e  infatti  tro- 
viamo nella  stessa  Moncalieri  un  Cristoforo  Ducco,  arcidiacono 
di  Torino  verso  la  fine  del  1600.  Ma  Ducco,  cogn.  di  una  fa- 
miglia nobile  della  provincia  di  Brescia,  à  prob.  una  diversa 
origine. 

Gri,  prob.  per  Gris. 

Pin,  a  Biella  è  ancora  pronunziato  alla  francese,  come  in  Dupin 
(del  pino). 

3)  Altri  sono  d'origine  locale,  e  del  monosillabismo  del  nome 
locale  incombe  la  spiegazione  a  chi  si  occupi  di  toponomastica. 
Tali  sono  : 

Bard  e  forse  Bar,  dal  forte  in  Val  d'Aosta. 

Bré  —  dai  nn.  11.  Bré,  Breo,  ecc.,  dell' It.  Sup.  (da  pra?dio  ?  Flechia, 
A.  G.  L,  Vili,  p.  334). 


I  cognomi  monosillabici  in  Italia  465, 

Col,  da  qualche  n.  loc.  da  colle. 

Dò,  eogn.  della  prov.  di  Brescia,  da  Dò  in  Val  Camonica,  ora  Ono. 
Il  p.  Gresforio  da  Val  Camonica,  nella  sua  Storia  di  quella  Valle, 
Venezia,  1698,  menziona  *•  Ono,  chiamato  Dò  „. 

Mas.  Non  mi  consta  di  quale  regione  sia  questo  cognome  e  se  perciò 
sia  da  avvicinarsi  ai  nomi  locali  Mas  in  Friuli,  che  probabil- 
mente derivano  da  "  mansum  „,  come  n.  1.  Mas  in  Francia  (cogn. 
Mas  Latrie,.  ecc.)  —  o  se  sia  semplicemente  aferesi  di  Tommaso, 
come  pare  lo  sieno  i  cogn.  spagnuoli  de  Mas  e  Deìmas,  e  come 
lo  è  il  n.  p.   Mas  Scharra  in  doc.  62'J  Cod.  Ast. 

Mei.  È  nome  di  un  Comune  in  pr.  di  Belluno. 

Mels.  Così  si  chiama  una  fraz.  del  comune  di  CoUoredo  in  prov.  di 
Udine. 

Ma,  da  Comune  in  prov.  di  Brescia. 

Nus,  come  eogn.  valdostano,  da  Comune  di  quella  Valle  ^ 

Po,  antica  fam.  di  Torino,  detta  de  Pado  nei  documenti  del  s.  XIV. 

Bho,  scritto  anche  Po  nel  s.  XVII,  e  in  latino  de  Rande,  da  Comune 
in  pr.  di  Milano,  come  Darò,  formato  colla  congiunzione  "  da  „, 
cfr.   Daffr/iìo  (pieni.),  Baccomo,   Dadomo.  ecc. 

4)  Una  buona  parte  di  cognomi  d'una  sola  sillaba  è  fornita 
dai  vezzeggiativi  di  nomi  propri;  o  da  contrazioni  e  storpiature 
degli  stessi  -. 

Bin,  da  Albino?  cfr.  friulano   Bina  =  Albina  (Prof.  A.  Bongioanni). 


'  Nelle  più  antiche  carte  medio  evali  Xua  e  detto  Niims,  Nuns,  Notois, 
cioè  ad  Nonum  (lapidem,  ab  Augusta  Praetoria)  —  e  non  da  Nucetum  come 
volle  il  Casalis  nel  Diz.  degli  Stati  Sardi  (P.  Massia,  Intorno  all'etimo  del 
n.  l.  Charvensod,  Aosta,  1909). 

-  In  tutti  i  dialetti  dell'Alta  Italia  son  numerosi  i  monosillabi  a  cui  si 
ridussero  i  nomi  propri,  o,  come  li  chiama  il  Prof.  Bongioanni,  i  mozziconi, 
dei  quali  egli  cita  i  seguenti  per  il  Friuli  :  Bros  (Ambrogio),  Chiù  (Gioac- 
chino). Loi  (Eligio),  Mas  (Tommaso),  Mio  (Emilio),  Nard  (Leonardo  o  Ber- 
nardo), Neil  (Daniele),  St/f  (Giuseppe),  StÌ7i  (Agostino),  Suald  (Osvaldo),  Zors, 
Zuarz,   Uarz  (Giorgio)  *. 

In  Pieni.  Fé  per  Pietro,  nei   Canti  popolari  editi  da  C.  Nigra,  ecc. 

*  Cfr.  ni.  Sanyìturzo  (Oividalo  del  Friuli)  -  San  Giorgio. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  '  31 


466  Varia.  —  Cesare  Poma, 

Bran.  Il  suddetto  prof,  suggerisce  Dahran,  che  si  riscontra,  non  però 
frequentemente,  in  Friuli  per  Ildebrando,  mentre  il  prof.  G.  Co- 
stantini lo  crede  da  Abramo. 

Dt'é,  Dre,  verisimilmente  da  Andrea. 

Do  e  Dró.  Un  cognome  veramente  aristocratico  —  se  per  aristocrazia 
s'intenda  l'antichità  d'una  famiglia  —  è  Dró,  sopravvivente  nel 
Canavesano,  ma  nel  medioevo  portato  da  una  delle  famiglie  princi- 
pali di  Rivoli,  signora  del  Castello  di  Bruino.  In  un  documento 
pubblicato  da  Datta  (Principi  cVAcaja,  voi.  2°,  p.  172)  "  Guillelmus 
Dro  ex  dominis  Bruyni  „  è  tra  i  nobili  del  Piemonte  che  pre- 
stano omaggio  a  Filippo  d'Acaja  li  4.  VIII.  1346.  Ivi  pure,  p.  29, 
un  documento  del  1295  "  actum  apud  Ripolas  in  domo  Jacobi 
Drodonis  „.  Viene  dunque  questo  bel  cognome  da  un  n.  p.  teu- 
tonico Brodo,  Drodone,  che  —  quantunque  manchi  in  Forste- 
man*n,  Altdeutsches  Namenhuch  —  deve  essere  una  variante  ita- 
liana di  Drudo,  Drudone,  radice  drudi. 

Ecco  perché  ritengo  che  da  Dodo,  Dodone  —  nomi  frequenti 
nel  medioevo  in  Italia  —  venga  alla  stessa  stregua  l'antico  co- 
gnome piemontese  di  Do  :  "  in  Ponte  presentibus  henrico  do  et 
petro  do  de  ponte  .,  (atto  8.  VII.  1286,  in  A.  Tallone,  Regesto  dei 
Marchesi  di  Saluzzo,  p.  495)  e  "  Item  de  Villafrancha  dns  lohannes 
Do  „  in  atto  Giaveno  1286,  presso  Datta,  op.  cit.,  p.  22.  —  Dal 
diminutivo  Dod-idus  i  DodoU  di  Chieri  e  Casale,  sec.  XVII. 

Fé,  per  fede,  dal  n.  p.  Bonafé,  Bonafede.  Infatti  il  cogn.  Fide,  Milano, 
1266,  in  A.  Ratti  (o.  e). 

Nart,  da  Bernardo  o  Leonardo  (Prof.  A.  B.). 

Prin,  Pron,  Prot,  da  Perinus,  Peronus  o  Perotus,  forme  popolari  di 
Pietro,  molto  frequenti  nei  documenti  medioevali  del  Piemonte. 

Tin,  probabilmente  dal  friulano  Tiri  per  Valentino,  home  molto  fre- 
quente perché  di  un  santo  locale. 

Tron,  lo  storico  cogn.  di  Venezia ,  da  Trihunus,  che  fu  dapprima 
2iome  di  dignità  nei  primi  secoli  della  Repubblica,  e  indi  vi  fu 
usato  come  nome  proprio  '. 


*  G.  MoNTicoLo,  in  M.  Sanudo,  Vite  dei  Dogi,  RR.  II.  SS.,  fase.  3-4,  p.  213, 
nota  6.  Nel  sec.  XII  la  forma  era  già  Trumis  :  in  M.  Sanudo  è  Trum,  pi. 
Troni:  la  forma  Thronus  del.  sec.  XVI  è  puramente  umanistica  e  basata 
su  una  falsa  etimologia.  Come  n.  p.  un  "  Truno  ,  Memmo  in  un  doc.  1084. 
Dal  composto  Trum-Dominico  il  cogn.  Tradonico.  —  Tron,  cogn.  piemon- 
tese, deve  aver  tutt'altra  origine. 


I  cognomi  monosillabici  in  Italia  467  - 

Zan,  da  Zane,  veneziano  antico  per  Giovanni. 
Zen,  Zeno,  dal  n.  p.  bizantino  Zeno  o  Zenone. 
Zoìi,  da  Azzonus. 

5)  Parecchi  sono  d'altra  origine  forestiera: 

Bran,  è  anche  ritenuto  dal  prof.  A.  B.  una  possibile  corruzione  del  fre- 
quente cogn.  austriaco  Braun. 

Claps,  è  il  cogn.  austriaco  Klaps. 

Cloz,  è  un  vezzeggiativo  tedesco  di  }\ikolaus  :  cfr.  cogn.  olandese  Klotz. 

Lops,  è  evidentemente  lo  spagnuolo  Lopes,  Lopiez. 

Moi-.  Occorrerebbe  di  sapere  a  che  regione  appartenga,  per  dire  se  sia 
il  cogn.  austriaco  Moltr  frequente  —  o  una  forma  dialettale  di 
Mauro  o  moro. 

Sa.  Questo  cogn.  si  trova  già  in  un  Giovanni  Sa^  d'oltre  monti,  indi 
stabilitosi  a  Ponderano  presso  Biella,  frequentemente  ricordato 
nelle  Storie  del  Santuario  d'Oropa  per  aver  riavuto  li  9  marzo  1001 
dalla  Madonna  la  lingua  che  eragli  stata  recisa  da  briganti,  come 
lo  ricorda  tuttodi  una  lapide  in  quella  Chiesa.  Egli  è  ivi  detto 
di  Chambéry  :  ma  Sa  non  è  cogn.  francese  :  cfr.  piuttosto  il  co- 
gnome portoghese  Sa  de  Menezes. 

Saa.  E  cogn.  d'origine  spagnuola.  Si  ricordi  ad  esempio  il  gesuita  e 
teologo  Emanuele  Saa,  autore  degli  Aphorisml  confessariorum, 
Barcellona,  1609. 

Schips.  Sta  verisimilmente  per  *de  Schipis,  e  sarebbe  identico  col  co- 
gnome italo-albanese  Schipa,  proveniente  dalla  stessa  radice  da 
cui  il  nome  etnico  "  skjipetàr  „  albanese,  e  "  skjip  „  la  lingua 
albanese. 

6)  L'origine  di  alcuni  altri  cognomi  è  oggetto  di  congetture 
pili  0  meno  fondate  : 

Brin.  Al  pari  dei  piem.  Brino,  Brini,  è  con  tutta  verisimiglianza  con- 
trazione del  n.  p.  Berinus  che  si  trova  ad  esempio  in  Codex 
Astensis  per  Berrinus,  checché  poi  significhi  la  frequentissima 
radice  piemontese  Berr  — . 

Cìiió.  Cfr.  Obertus  de  Clodo,  Genova,  115S,  collocato  da  Parodi  (A.  G.  L, 
XIV,  i)  tra  gli  esempi  di  o  =  an,  quantunque  non  spieghi  che 
cosa  egli  intenda  per  *Claudo. 


468  Varia.  —  Cesare  Poma, 

Coss.  Secondo  il  prof.  Bongioanni,  piuttosto  che  da  ■'•Ticoss  {Articutins, 
vezzeggiativo  del  n.  p.  teut.  Artuicus  —  donde  il  cogn.  lomb. 
Ticozzi),  verrebbe  da  "  coss  „  canestro,  analogo  quindi  ai  co- 
gnomi Canestrini,  Cavagnari,  Zearo  —  oppure  da  "  eozz  „  corto, 
scodato. 

Dho.  È  probabilmente  contrazione  di  Behó,  Dahó  (Milano),  dei  quali 
ignoro  l'origine. 

GM.  Nella  Valle  dell' Olobbia,  torrente  tra  Cerrione  e  Salussola  nel 
Biellese,  v'è  una  località  denominata  Molino  del  Glie  :  ma  il 
cogn.  Ghé  parrebbe  invece  lombardo  o  veneto  ;  e  sarebbe  per  av- 
ventura apocope  del  n.  1.  Ghedi  in  pr.  di  Brescia  ?  '  Cfr.  infatti 
il  cogn.  Deghé. 

Ghi.  È  forse  lo  stesso  che  il  saluzzese  Ghio,  dal  n.  p.  franco-provenzale 
Guy.  come  Ghione,  Ghioni,  Ghiotti,  piemontesi,  da  Ghionus  o 
Guyonus  e  Guiotus,  frequenti  nei  documenti  medioevali  di  quella 
regione  (v.  il  mio  op.   su  Ant.  cogn.  hiell.,  sub  de  Ghigliono). 

Mens.  La  deiivazione  da  Clemens  suggeritami  dal  prof.  A.  B.  è  da  esclu- 
dersi, perché  in  piemontese  non  si  usa  un  n.  p.   Cleméns. 

Pez.  Secondo  il  predetto  prof.,  è  cognome  della  Carnia  e  significa  abete: 
come  Pezze,  Pezzei,  da  nomi  locali  significanti  bosco  d'abeti. 
È  però  anche  possibile  che  venga  in  via  diretta  dal  cogn.  ted. 
Petz,  il  cui  vezzeggiativo  Petzel  à,  secondo  il  sullodato  professore, 
formato  il  cogn.  friulano  Pécile.  Egli  inoltre  ritiene  che  da 
"  pez  „  venga  anche  il  n.  1.  Ampezzo  (Impegg,  Dimpegg). 

Pio.  Era  latinizzato  Pìodins  :  Gio.  Michele  Piò  (Plodius),  bolognese, 
autore  domenicano,  entrato  in  religione  nel  1589,  e  morto  verso 
il  1644. 

Prò.  Essendo  cogn.  di  Civitavecchia,  ove  trovasi  anche  Proto,  è  proba- 
bile che  sieno  sinonimi,  derivanti  entrambi  da  antica  dignità  bi- 
zantina '"  e  appartenenti  quindi  alla  categoria  dei  cognomi  "  pro- 
fessionali „.  Ma  siffatti  mozziconi  si  prestano  a  varie  soluzioni, 
quando  si  rifletta,  ad  es.,  che  il  n.  1.  Proh,  nel  Novarese,  medioev. 
Petrorium,  viene  da  Pnetorium  ! 


'  "  Lociis  nuncupatus  Ghede  ,  negli  "  Annales  Forolivienses  „,  in  RR. 
II.  SS. 

•  Ancora  alla  fine  del  sec.  XV  esisteva  in  Sicilia  il  Magistrato  dei  Proti, 
o  Protato,  che  amministrava  le  comunità  dei  Giudei  fino  alla  loro  espul- 
sione nel  1492.  Cfr.  i  cogn.  Proto,  Prota,  frequenti  a  Napoli. 


I  cocfnomi  monosilliiliici  in  Italia  469, 

Qiiar,  viene  dal  prof.  A.  Bongioanni  interpretato   "  quaglia  „. 

Re.  Re  e  le  forme  latine  Regis,  de  Rege,  de  Regibus,  sono  cogn.  fre- 
quenti in  Piemonte,  ove  fino  al  1700  non  vi  furono  Re  e  ove 
(quindi,  non  potendo  significai-e  "  vassalli  o  servi  del  Re  „,  trag- 
gono la  loro  origine  dall'uso  medioevale  dei  "  re  ,  di  brigate, 
di  cui  spesso  nelle  cronache  medioevali  *.  —  In  Toscana,  Re 
fu  n.  p.  :  Messer  Re  de'  Rossi,  Pistoja,  s.  XIII  :  ma  la  onomastica 
toscana  è  di  natura  ben  diversa  da  (juella  dell'Alta  Italia. 

Rem.  Fu  cognome  anche  in  Francia,  e  fu  portato  da  una  famosa  bal- 
lerina che  sposò  Le  Normant  d'Etiolles,  vedovo  di  M""'  de  Pom- 
padour.  Le  cattive  lingue  dissero  allora  che  essa  era  stata  cosi 
notoria  che  Le  Normant,  dopo  aver  avuto  il  re  di  Francia  per 
rivale,  stava  per  aver  come  tale  il  pubblico  intiero,  e  girava  la 
seguente  quartina  : 

Pour  réparer  miseriam 
Qua  Pompadour  fit  à  la  Franco 
Le  Normant,  plein  de  conscience, 
Vieni  d'épouser  Rem publicam. 

Ru.  Forma  italianizzata  di  Roicx  ? 

Shueìz.  A  detta  del  prof.  Bongioanni,  è  sinonimo  dell'altro  cogn.,  pure 

friulano,  Bolsi  —  da   "  bolso  „. 
Sed.  Coll'isr.  Sed  entriamo  nel  largo  campo  delle  ipotesi.  Steinschneider, 

in  Jewish  Quarterly   Revieìo,   XI,  620,  tra    i    nomi    arabi    degli 

Ebrei  ha  il  n.  p.  (751)  Shet,  riu  ,  con  esempi  del  1285,  1444,  ecc. 

e  chiede  :   "  è  questo  nome,  che    occorre    nel    Medio  Evo    rara- 


^  Ad  esempio,  negli  Statuti  di  Biella  pubblicati  da  Pietro  Seli,a,  I,  66, 
§  345  :  "  Item  statntum  est  quod  aliqua  sponssa  que  vadat  extra  bugellam 
que  non  habeat  plures  L  libris  in  docte  non  teneatur  dare  '  regi  '  nisi 
sol.  V.  pp. . . .  Et  de  omni  quantitate  teneatur  '  rex  '  dare  sponse  terciam 
partem  ...  Et  si  qua  sponsa  perveniret  extranea  ad  hospicium  in  Bugella, 
quod  dictus  'rex'  nec  ejua  sequaces  nihil  habere  debeant...  Et  qui  contra- 
fecerit,  soluat  'rex'  sol.  LX  et  quilibet  de  familia  sol.  XX  pp.         „. 

Veggasi  anche  il  §  369  —  ed  è  assolutamente  esclusa  l'ipotesi  suggerita 
dal  Prof.  F.  Gabotto,  sia  pure  "  per  eccesso  di  scrupolo  critico  ,,  che  "  si 
tratti  del  re  d'Italia  in  genere  o  di  re  Enzo  in  particolare  „,  n.  3,  a  p.  327 
del  fase.  XXXIV,  iii  Bibl.  Soc.  St.  Sub.,  Gli  Statuti  di  Biella  secondo  il 
Cod.  originale  del  J24ó. 


470  Varia.  —  Cesare  Poma, 

mente,  in  tempi  recenti  mai,  l'ebraico  Seth  o  un  nome  arabo 
(derivato  da  <y^>^  o  ^ó-./jw)  '?  „  —  0  (chiederò  io)  è  l'antico 
cogn.  isr.  Sid,  che  sopravvive  tra  gii  Ebrei  di  Smirne  sotto  la 
forma  Sidi'ì^.  Steinschneider^  ibidem,  XI,  317,  cosi  di  quello 
parla:  "  459  —  "'iT,  propriamente  òJU/'j,  Sayyid,  Signore:  ma 
gli  Ebrei  di  Spagna,  ove  quel  nome  di  famiglia  occorre  nel  s.  XIII, 
lo  pronunziavano  probabilmente  Ihi  Sid  „.  E  la  Jewish  Ency- 
clopcedia  :  "  Sid,  da  parola  araba  per  signore,  nobile,  è  un  co- 
■  gnome  frequente  tra  gii  Ebrei  levantini  „,  come  in  Serbia,  Bul- 
garia ;  e  menziona  un  Samuel  ben  Sid,  emigrato  dalla  Spagna 
al  Cairo  nel  1492. 

Srd  è  certamente  contrazione  del  cogn.  Sara  (Vigone),  di  cui  pure  ignoro 
la  spiegazione,  e  la  cui  forma  italianizzata  è  Cerrato  (Torino). 

Tos,  biellese,  tanto  da  sé  quanto  nei  cognomi  Giglio-Tos,  Giììio-Tos  e 
Gilitos,  da  "  tonsus  „,  allusivo  alla  foggia  di  capigliatura  al- 
l'epoca dei  Longobardi  :  v.  il  mio  op.  Antichi  cognomi  biellesi, 
sub  cogn.  Tonsus,  s.  XIV.  Un  Petrus  Tonsus  era  tra  i  membri 
del  Collegio  dei  drappieri  di  Biella  in  detto  periodo  {Stai,  di 
Biella,  editi  da  P.  Sella,  I,  263). 

Zerz.  Su  questo  cogn.  friulano  dall'apparenza  arcigna,  il  prof.  A.  B. 
mi  scrisse  come  segue  :  "  nel  dialetto  di  Barcis  (Val  Cellina, 
distr.  di  Maniago),  varietà  molto  interessante  del  Friulano  occi- 
dentale, zers  è  aggettivo  e  si  dice  del  latte  andato  a  male^  e 
forse,  per  traslato,  si  dice  pure  di  persona  poco  trattabile.  Così 
il  piem.  gnech  ;  e  nel  dialetto  di  Mondovì  er  (acre)  :  era  si  dice, 
ad  esempio^  di  una  donna  bisbetica.  Sempre  nel  dialetto  di  Barcis, 
zers  è  anche  sostantivo  ed  equivale  al  friulano  medio  (di  qua 
dal  Tagliamento)  zerb,  zerf,  zerv,  zarf,  zarv  (acerbo)  =  colostro, 
ossia  il  primo  latte  della  vacca  dopo  il  parto  ,. 


Non  sono  entrato  in  maggiori    particolari    nella   spiegazione 
dei  cognomi,  perché  per  V  Archivio  Glottologico  la  Onomatologia 


HT  ,  Sidi,  mio  signore. 


I  cognomi  monosillabici  in  Italia  471 

è  piuttosto  una  ospite  che  della   ospitalità    non    deve   abusare, 
che  una  persona  di  casa  che  vi  abbia  diritto  di  soggiorno. 

Spiegherò  solo  ancora  ciò  ch'io  intenda  per  V aristocrazia  dei 
cognomi  che  ho  menzionata  a  proposito  di  Dró.  Accade  talvolta 
d'incontrarsi  —  ed  il  curioso  è  che  ciò  generalmente  succede 
in  famiglie  di  contadini  —  in  cognomi  che  sono  eccessivamente 
rari  e  che  rappresentano  un  nome  proprio  —  generalmente  teu- 
tonico —  che  da  molti  secoli  è  totalmente  uscito  dall'uso  gene- 
rale. Tali  cognomi  sono  quindi  sicuro  indizio  di  antichissima 
origine,  e  sono  una  probabilissima  presunzione  di  un'antica  di- 
stinzione gentilizia,  decaduta  nel  corso  dei  secoli  e  perdutasi 
nell'oscurità  delle  campagne.  Come  esempio  di  siffatta  aristo- 
crazia dei  cognomi  ò  citato  in  Cogn.  Longob.  in  Italia  i  bei  co- 
gnomi piemontesi  Sicbaldi  e  Ariolfo  che  rivelano  l'indubbia  ori- 
gine longobarda  negli  umili  contadini  che  oggidì  li  portano  : 
ma  è  notevole  che,  almeno  in  Piemonte,  alcuni  dei  più  rari,  e 
quindi  presumibilmente  dei  più  aristocratici  cognomi,  sono  for- 
mati da  metronimici  d'origine  teutonica,  cioè  da  nomi  di  donna 
che  nemmeno  nel  Medio  Evo  non  furono  molto  comuni  e  che 
da  secoli  sono,  per  cosi  dire,  praticamente  estinti.  Tali  sono  i 
cogn.  pieni.  Imoda,  Pressenda  {Presenda,  Pessenda,  Psenda),  Tu- 
berga,  ecc.,  e  di  siffatti  metronimici  mi  propongo  di  trattare  in 
un  prossimo  articolo,  se  ai  Lettori  l'argomento  interessi  e  se  la 
Direzione  me  lo  consenta. 

Biella. 

Cesare  Poma. 


IH. 

GLOSSE    DI   OASSEL,  n«  114 


{deunis  :  deohproh). 

La  parola  deunis  è  naturalmente  il  vocabolo  romanzo,  il  quale 
ricalca  precisamente  la  voce  germanica,  come  anno  veduto  il 
Diez  e  il  Thomas,  Quest'ultimo,  anzi,  proponendosi  di  ritor- 
nare sull'argomento  (e  mi  auguro  che  questo  mio  cenno  suoni 
come  un  desiderio,  se  non  come  un  modesto  invito,  all'insigne 
filologo  francese)  à  scritto  :  "  ancien  prov.  trehuc  (encore  vivant, 
"  en  particulier  dans  la  Creuse)  et  Tane,  frangais  frebti...  dé- 
"  signent  une  sorte  de  jambière.  Je  consacrerai  peut-ètre  quelque 
"  jour  une  étude  speciale  à  ce  mot  qui  figure  dans  les  gloses 
"  de  Cassel  {deurus:  deohproh)  et  que  Diez  a  commentò  sans 
"  connaìtre  les  formes  romanes  que  je  viens  de  rappeler,  mais 
"  en  dégageant  bien  son  origine  germanique  „  ^. 

Evidentemente,  deurus  deve  essere  pronunziato  devrùs  ^  devrucs 
(cfr.  le  stesse  Glosse  n°  106:  pis  =  pics)  e  non  resta  soltanto  in 
Francia,  ma  anche  nel  valt.  tratich;  trajùch  "  scarpe;  stivaletti 
lunghi  di  panno  „  ;  ons.  treviis,  vallantr.  travls  "  calze  senza  pe- 
duli „,  borm.  trosc  "  brache  „.  voci  tutte  citate  dal  Salvioni, 
Romania,  XXIX,  552,  al  quale,  pili  che  l'etimo,  premeva  di  sta- 


^  Thomas,  Nouv.  Essais  de  phil.  fran^aise,  Paris,  1905,  p.  364. 


Varia.  —  G.  Bertoni,  Glossa  di  Cassel  473 

bilire  che  trerus  e  frosc  sono  resti  di  plurali   usati  al  singolare 
(come  a%'viene  nel  tipo  (ont'/,  amico)  ' . 

La  voce  b.  latina  è  tuhnigns  (Paolo  Diacono,  Hid.  Lnng.,  4,  22) 
e  tiibrucns  (Isidoro).  Abbiamo  anche  fuòroces  rei  brace  citato  da 
M.  Heyne,  Korpeì'fiege  inid  Kleidiuig  bei  den  Deutschen,  Leipzig, 
1903,  p.  261.  Le  vpci  romanze  (come  trahic,  trebu,  traudì)  mo- 
strano che  \'ò  di  proh  aveva  una  pronunzia  chiusa,  se  era  reso 
meglio  che  da  un  o  [tiibroces],  da  un  u  -.  Il  vocabolo  deohproh 
significò  "  rivestimento  della  coscia  „.  S'intende,  perciò,  che  il 
fr.  frebu  abbia  il  senso  di  "  gambale,  jambière  „,  con  una  leg- 
gera mutazione  di  significato.  Con  o  senza  metatesi  di  r  ^,  devrus 
e  trabìtc  trehu  traiich  risalgono  il  primo  appunto  a  deohproh,  i  se- 
condi a  theobruch.  In  broch  abbiamo  il  celt.  braca  passato  in 
Germania  (an.  bróck,  as.  brùc,  aated.  bruoh)  e  ritornato  poscia 
coi  dominatori,  dopo  essere  stato  assoggettato  alle  norme  fone- 
tiche germaniche.  Schrader,  Reallexicon,  379,  pensava  invece 
che  la  voce  fosse  originariamente  teutonica  e  fosse  penetrata 
nel  celtico;  ma  la  ragione  geografica,  chi  studi  la  sopravivenza 
del  vocabolo  braca  sopratutto  in  Francia  (Francia  del  Sud  —  e 
si  noti  che  il  gotico  non  ebbe  il  nostro  termine  — )  '^  e  in  Italia" 
(Italia  superiore),  sta  contro  la  sua  opinione. 

G.  Bertoni. 


*  Vedasi  anche  Monti.    Voc.  d.  dial.  della  città  e  diocesi  di  Como,  p.  341- 
"  La  questione  è  complessa  e  la  studierò  in    un    mio    lavoro    già    quasi 

pronto  sugli  elementi  germanici  nella  lingua   italiana.    Mi    limito    a   citar 
qui  Bri-ckner,  S'pr.  d.  Lang.,  Strassburg,  1895,  p.  93. 

^  Thomas,  Op.  e  1.  cit.,  ricorda,  come  altro  esempio,  *tibre  in  trib».  Alle 
voci  da  lui  ricordate,  si  aggiunga  (senza  metatesi)  il  termine  (^Dihrum  del 
Cod.  Cajet.  ("  Arch.  glott.  „  XVI,  26). 

*  Il  termine  primitivo  braca,  scacciato  di  nido,  è  rimasto  infatti  nel  Sud 
e  nell'Estremo  Nord-Ovest  della  Francia.  Vedasi  la  e.  XI  di  Jabkr(ì,  Sprach- 
geographie,  Aarau,  1908,  p.  14.  Anche  laddove  fu  soppiantato  da  pantalon 
è  potuto  sopravivere  in  accezioni  speciali  (p.  es.  svizz.  rom.  brai/ette). 


474  Varia.  —  G.  Bertoni,  skuncin 


Skuncin,  calzerotto. 

Questa  voce  vive  nell'Ap.  emil.  (sezione,  in  cui  e  più  vocale 
palatile  volge  al  suono  toscano).  Avendosi  a  Pievepelago  la  forma 
skuón  (meno  diffusa,  se  le  mie  informazioni  son  giuste,  di  skuncin), 
si  capisce  di  leggeri  che  skuncin  ne  provenga,  essendo  quasi  uno 
*sku{v)oncin,  "^skuuncin,  skuncin.  Quanto  poi  a  skuón,  credo  ch'esso 
altro  non  sia  che  uno  scofone  ^  Il  Du  Gange  registra  scofones  e 
scoffones,  calzatura  ;  ma  che  la  base  sia  scof-  con  un  f,  e  che  scof- 
fones^  dipenda  da  qualche  analogia  (p.  es.  cuffia),  mi  par  mo- 
strato dall'afr.  eschohier  "cordonnier„  ;  escoherie,  escoerie,  scoherie 
"  métier  de  celui  qui  travaille  le  cuir  „  e  dal  n.  di  fam.  Schohier. 

G.  Bertoni. 


*■  'MussAFiA,  Beitrag.,  p.  203. 

^  Sainéan,  "  Zeitschr.  f.  rom.  Phil.  ,,  XXX,  317,  dice  che  scofones  e  scof- 
fones hanno  basi  diverse.  C'è  anche  una  radice  seaf-.  Questo  scaf-  con  in- 
flusso di  scarpa  e  di  calza  diede  l'abr.  scarfuole  zoccoli,  il  lomb.  scalfiti,  ecc. 


IV. 

GLI  ELEMENTI  VOLGARI  DELLE  CARTE  PISANE 

FINO  AL  SEC.  XII 


Appunti  fonetici  e  morfologici. 


Le  raccolte  esaminate  per  questi  spogli  sono  le  seguenti: 

1.  Primaziale dall'anno     930,  marz.  6 

2.  R.  Acqu.  Cappelli      ...  „  1015 

3.  Olivetani „  10B3,  genn.    15 

4.  S.  Paolo  all'Orto  ....  „  1042,  niag.  30 

5.  S.  Michele  degli  Scalzi .     .  „  1048,  die.  26 

6.  Pia  Casa  di  Misericordia    .  „  1053,  ag.  15 

7.  Nicosia „  1054,  ott.  25 

8.  S.  Lorenzo  alla  Rivolta      .  „  1057,  apr.  23 

9.  R.  Acqu.  Coletti   ....  „  1065,  feb.  5 

10.  S.  Anna „  1086,  marzo 

11.  S.  Marta „  1099,  ott.  3 

12.  S.  Martino „  1104,  giugn.  24 

13.  Deposito  Franceschi  Galletti  „  1111,  marz.  6 

14.  Deposito  Bonaini,  framm.  se- 

colo XI  e „  1113,  apr.  7 

15.  S.  Bernardo      .....  „  1165,  giugn,  9 

16.  Spedali  riuniti:  Diversi       .  ,  1185,  genn,  12 


476  Varia.  —  A.  Trauzzi, 


I.  Aiipunti  fonetici. 

I.  Vocali  toniche.  —  1.  l  dì  sillaba  libera  passato  ad  e:  iuxta 
pesam  (Pisani)  S.  Mich.  1153,  et  uno  carro  cum  boi  de  feno  tracio 
a  fittele  nostro  ibid.  1109  ^  2.  ?  di  sillaba  libera  e  di  posizione 
in  e:  recepio  Prim.  1148  giugn.  13,  ubi  dicitur  canpo  di  pero 
S.  Mich.  1078,  u.  d.  pero  ghiandarinus  Prim.  1167,  fede  de  albithi 
ibid.  1142,  selva  longa  S.  Mich.  1047  mag.  22,  ughi  da  selva 
lunga  Capp.  1113,  sancii  andree  de  la  selva  Col.  1151,  in  car- 
r aria  stretta  S.  Mich.  1104,  in  via  carrareccia  S.  Lor.  1169  e  1170. 
3.  è  di  sillaba  libera  talvolta  passato  ad  i  ^.  Accanto  a  -eto 
di  sterpeto  mortelo  S.  Ann.  1086  marzo,  trovasi  innanti  fagito 
S.  Mich.  1032  nov.  7.  4.  e  di  posizione  si  incontra  cambiato 
solo  nella  frequente  frase:  per  anc  cartula  vindo  et  trado 
S.  Mich.  1029  e  altrove  3.  5.  e,  oe  di  sillaba  libera  in  ie'. 
positam  a  piede  di  metefa  S.  Lor.  1115,  filius  qd.  alfieri  S.  Mich. 
1118  nov.  7  e  cosi  guarnieri  Oliv.  1139  e  S,  Lor.  1172;  dav.  a 
muta  -}~li<iu.:  ecclesie  de  sancto  pietro  S.  Paol.  1127,  carra  due 
de  fienum  S.  Ann.  1163.  6.  o  oscilla  fra  o  ed  no:  buoso  e 
buosoni  Prim.  1167,  buon-accorso  S.  Lor.  1169,  libi  raffaione  mu- 
raiuolo  Col.  1156,  castelli  veclani  u.  d.  rosaiuolo  Prim.  1132^  uno 
carro  cum  boi  S.  Mich.  1109,  bona-donna  S.  Lor.  1157,  in  loco 
u.  d.  dolia  vechia  S.  Mich.  1136.  7.  Ti  in  o:  u.  d.  a  le  croci 

S.  Mich.  1120,  sopra  castello  ibid.  1164,  filia  soperchi  ibid.  1158, 
rosso  S.  Mart.  1109,  ferramosca  Prim.  1168.  8.  gr.  v  in  i: 
iohannelli  grilli  S.  Mich.  1154.  9.  Turbamenti:  carra  due  de 
fienum  et  de  pensionerio  et  de  affictum  S.  Ann.  1163,  alegreta  iug' 


*  [False  scrizioni]. 

-  [F.  s.].  3  [F.  s.]. 


Gli  elementi  volgari  delle  carte  pisane  fino  al  sec.  XII  477 

Capp.  1123,  ufjolini  cicciandentis  Prini.  1187,  uscione  ad  opus 
ospifalis  ibid.  1168,  ad  riscum  ipsontm  Oliv.  1170,  d.  porche  lunghe 
Prilli.  ÌÌS2,  Ughi  da  selva  lunga  Capp.  1133.  10.  Si  mantiene 

regolare  la  forma  bovi  e  boi:  abraciabovi  Frinì.  1172,  ianni  de 
mardtde  mangiabovi  Bon.  1 1  ()7,  et  uno  carro  cum  boi  S.  Mieli.  1 109. 
11.  Nella  dittongazione  trovo:  u.  d.  loro  S.  Lor.  1133,  in 
casale  lorenzano  S.  Mieli.  1114.  caracose  S.  Lor.  1164,  ai  quali 
aggiungo  moroui  /il.  b.  m.  albuci  ibid.   1047. 

II.  Vocali  atone.  —  12.  fori  porta  inthoarfhe  Col.  1065  feb.  5 
accanto  a  fora  civiiate  pisa  Oliv.  1093  nov.  2. 

13.  post,  è  in  i:  in  calci  S.  Mieh.  1087  apr.  8,  giaìini  S.  Lor. 
1169  e  COSI  pure  iìinanti  fagito  S.  Mich.  1032  nov.  1,  tardivieni 
S.  Lor.  1171.  14.  prot.  e  in  i:  sterpeto  S.  Ann.  1086  marzo, 

signorelli  Prim.  1132,  a  la  rivolta  S.  Mich.  1031  e  1091  ag.  20, 
valdiserkio  S.  Lor.  1156,  positum  a  piede  di  meteta  ibid.  1155, 
capi  di   birri   costorius   ibid.  1152.  Ih.  ja  dì  jamiar/iis:   idiis 

gennarii  S.  Mich.  1037  gennaio  6,  genuarii  ibid.  1109. 
16.  semiprot.  -i-  dav.  a  nas.:  gerardi  modane  S.  Mich.  1103  e 
altrove,  o  dav.  a  r:  petia  de  terra  u.  d.  albari  ibid,  1080  marz.  18. 
17.  sincope  della  semiprot.:  bonadonna  S.  Lor.  1157,  finocchi 
ibid.  1149,  jmrlatorio  isti  monasterii  S.  Mich.  1164,  vinee  vede, 
in  loco  vedano  S.  Lor.  1131,  fìlia  conti  ibid.  1166,  de  moneta  de 
luca  soldi  vinti  ibid.  1057  apr.  23,  soldos  ibid.  1152,  odo  soldis 
S.  Paol.  1127.  A  questi  aggiungo  anche:  de  loco  lombardia 
Oliv.    1112.  18.    au    di    augustus   m.    è  ridotto   ad  a:    mense 

agusto  S.  Mich.  1037  genn.  6  e  altrove,  così  agustinus  ibid.  1097 
ott.    31.  19.    Il   di   januarius   consonantizzato  :    idus  gennarii 

S.    Mich.    1037    genn.    6;    la    forma    coll'iato:    enrigo    maestro 
S.  Ann.  1164  e  l'epentesi  popolare  arduiuini  Prim.  1166. 
20.  Per  monasterio  si  anno  le  due  forme  monesterio  S.  Mich.  1041 
marz.   18  e  monastario  sancii  pauli  S.  Ann.   1111.         21.  Ci  sono 


478  Varia.  —  A.  Trauzzi, 

gli  anelli  di  congiunzione  tra  il  lat.  populiis  e  il  volg.  pioppo: 
in  campo  pioppo  S.  Mieli.  Wh'ò,  piopio  Prim.  1132.  22.  Epen- 
tesi col  nesso  cons.  +  r:  et  socera  mea  ricìielda  Col.  1151  ;  epitesi 
in  ideste  S.  Mieli.  1077  die.  1  e  melUore  ibid.  1153. 

III.  Consonanti  iniziali.  —  23.  j-  mutato  in  y  :  idus  gennarii 
S.  Mich.  1037  genn.  6,  genuarii  ibid.  1109,  u.  d.  a  la  giunca 
Capp.  1143,  gianni  S.  Lor.  1169;  e-  in  g-:  pipini  gatahlance 
Prim.  1168,  non  abemus  ingumborare  ncque  stringere  S.  Mich.  1075 
lugl.  22;  w-  e  gii:  guerri  fìl.  b.  in.  rnstichi  Prim  1082  apr.  20, 
guardarope  S.  Mich.  1153.  24.  e-  av.  o  mi  sembra  mutato 
nel  tose,  h'  nei  casi:  prasina  iug.  fil.  homici  (=  comici?)  Oliv. 
1138,  fil.  qd.  orrad  (=corrad?)  ibid.  1122.  25.  Turbamento 
di  l  in  r:  bernardi  qd.  rosignoli  Prim.  1132.  26.  e-  av.  e,  i 
passato  a  s:  in  fìnibus  calci  u.  d.  sceppato  Oliv.  1093  ag.  30,  al 
quale  corrisponde  uno  sporadico  in  simiterio  S.  Lor.  1161,  come 
è  sporadico  un  scito  loco  vada  Prim.  1153  mag.  15.  27.  ^^ 
in  ghi:  u.  d.pero  ghiandarinus  Prim.  1167;  bl-  in  bi:  gattabianca 
constd  ibid.  1143. 

IV.  Consonanti  mediane.  —  28.  -b-  in  -v-:  prope  ecclesia  sancii 
liveri  1  S.  Mich.  1029  feb.  23  e  1035  die.  28,  cavalli  de  pagani 
S.Ann.  1039,  £^e  movile'  S.  Mich.  1058  giugn.  20.  29.  -e- si 
risolve  nella  fricativa  s  in  sillaba  tonica:  in  loco  u.  d.  pratoscella 
S.  Mich.  1091  apr.  2  e  Col.  1154,  pilaoisciìii  S.  Lor.  1171,  de 
albiscina  Oliv.  1162,  torscellus  fil.  q.  neri  ibid.  1158  2.  In  sillaba 
atona  talvolta  in  s:  in  consistorio  publico  S.  Lor.  1170,  in  wisi- 
gnano  S.  Mich.  1096  sett.  6,  se  pure  quest'ultimo  non  debba 
risalire   a   un   bisinianus.  30.   Il   segno  -e-  avanti  a,  0,  u  e 


*  [False  scriz.  ?]. 
-  Torsello  ? 


Gli  elementi  volgari  delle  carte  pisane  fino  al  see.  XII  479 

spesso  espresso  graficamente  col  eh  come  av.  e,  i,  il  che  mi 
induce  con  qualche  probabilità  a  credere  che  Vh  stia  a  rappre- 
sentare quel  segno  di  aspir.  del  tose.  If  di  amih'o  ;  quindi  si  po- 
trebbe vedere  un  segno  della  pronuncia  in  polo  sa/icfi  nicholai 
Oliv.  1126,  cileclio  S.  Marta  1148,  in  locho  et  finibiis  S.  Mich.  1047 
mag.  22  ;  se  non  che  ogni  congettura  rimane  confusa  da  esempì 
come  questo:  egho  S.  Mich.  1097  ott.  31  e  simili.  31.  -lc-  in 
-<j-  :  bottega  Oliv.  1170,  rolandini  epic.  segafino  iiocatus  S.  Lor.  1137, 
desingnatas  logas  S.  Mich.  1077  die.  ì,  arrigo  S.  Lor.  1170,  en- 
rigo  maestro  S.  Anna  1164,  enrighi  S.  Mich.  1073  sett.  20  e 
S.  Ann.  1104  genn.  7,  oderrigo  S.  Paol.  1127,  tederigi  ibid.  e 
S.  Mich.  1120.  32.  -t-  in  -d-:  strada  pluUica  S.  Lor.  1133, 
gerardi  modane  S.  Mich.  1103.  33.  ^>  in  -h-:  bottega  Oliv.  1170, 
34.  -b-  in  -V-  tavernario  S.  Mich.  1070  feb.  5,  tavernarn 
S.  Lor.  1173,  sancti  sauini  S.  Mich.  1029  feb.  23.  3.5.  -j-  da  -g- 
dileguato:  enrigo  maestro  S.  Ann.  1164.  36.  Consonanti  sem- 
plici in  proparossitoni  :  -p-  in  -r-  :  ugonis  poveri  dicti  Oliv.  1171  ; 
-g-  dav.  e,  i,  dà  il  risultato^:  lejtimos  pedes  S.  Mich.  1037 
genn.  6,  posidere  lejbus  ibid.  1058  giugn.  20,  pajnam  ibid.  1073 
giugn.  9,  quadrajnta  ibid.  1078  sett.  1,  libras  quinquajnta  ibid. 
1075  lugl.  22.  ai  quali  possiamo  aggiungere:  septuajesinio  ibid. 
1078,  triesimo  Oliv.  1139,  penam  arientum  optimum  S.  Mich.  1075 
lugl.  22,  penavi  arienti  Prim.  1120,  subtrajendi  ncque  minaandi 
S.  Mich.  1078. 

V.  Nessi  di  consonanti.  —  37.  Mediano   -se-  (già  s)  av.  e,  i 
ridotto    talvolta    ad    s:    bernardi   q.    rosignoli    Prim.    1132. 
38.  -et-  dà  -tt-:  in  earraria  stretta  S.  Mich.  1104,  iohanni  rettori 
Prim.  1146,  ripafratta  S.  Ann,  1086.   La  fusione  già  avvenuta 
può  vedersi  anche  nelle  ricostruzioni  :  millesimo  optuagesimo  nono 


'  [j  dev'essere  scrizione  pregi]. 


480  Varia.  —  A.  Trauzzi, 

S.  Mieli.  1089  giugn.  29,  mense  obfubrisS.  Lor.  1156.  39.  Evo- 
luzioiiG  di  -X-  av.  0  dopo  vocale  scura  in  ss:  gerardi  bianche  cosse 
S.  Lor.  1164,  sesaginta  Prim.  1072  lugl.  26,  mentre  dav.  a 
voc.  chiara   si    risolve   in   s:   rollandi  scilinguati   S.   Lor.   1163. 

40.  -m  -\-  n-  in  n??  :  de  onnibus  rebus  ^  S.  Mich.  1032  nov.  7. 
ex  onnibus  casis  ibid.  1058  giugn.  20,  benedicta  iug.  fil.  donnucci 
ibid.  1058  sett.  2,  Ubi  onipotenti  deo  Bon.  sec.  XI,  bonadonna 
S.  Lor.  1157.  ah  onnis  homines  S.  Mich,  1029  febbraio  23. 
41.  -p-]-t-  in  -tt-:  in  loco  q.  d.  ceraselo  setembris  S.  Lor.  1165, 
e  in  questa  ricostruzione:  libras  uiginti  de  obtimum  argentum 
S.  Mich.  1032  nov.  7.  42.  n -\- r  dà  rr:  herrigo  Prim.  1166, 
curradus  S.  Mich.  1032  nov.  7.  43.  -cr-  diventa  -gr-  :  alegreta 
Capp.  1123.  44.  -ci-  anche  da  ti  in  kkj  o  in  kj,  se  dopo 
conson.:  in  loco  u.  d.  dolia  uechia  S.  Mich.  1136,  signa  inanuni 
tiecchi  Col.  1154,  coì'te  tiecchia  ibid.  1156,  in  loco  et  fìnibus  nouac- 
chio  Prim.  1145,  finocchi  S.  Lor.  1149,  uia  cava  u.  d.  nouiccio 
ibid.  1173,  filia  soperchi  S.  Mich.  1158,  ualdiserkio  S.  Lor.  1156. 
u.  d.  scandicio  dòmini  dominichi  S.  Mich.  1029  feb.  23.  E  forse 
influenza  straniera:  prope  eglesia  sancii  cristofani  Prim.  1048 
giugn.  23,  eglesie  eglesia  ibid.  1053  mag.  15.  45.  -pi-  in  ppj 
nella  ricostruzione  centupplum  S.  Mich.  1031.  46.  -bl-  in  bbj^-. 
in  loco  il.  d.  al  fobbjo  Col.  1151,  <i  le  stabbje  ibid.  47.  nj,  IJ 
in  n,  V :  posita  in  romagna  Prim.  1131,  rangneri  S.  Mich.  1119, 
in  lugnano  ìhìà.  1087  apr.  8,  uignacanti  ibid.  1138,  tignoso 
Prim.    1140,    in   compagnia    Oliv.    1170,    signorelli    Prim.    1132. 

48.  Notasi  quasi  sempre  rafforzamento  av.  st,  se  (s),  gn  {ti), 
gì  {V),  Ij  (r):  ugonis  busstaldi  Prim.  1168,  sub  exisstimatione  quales 
tnnc  fuerit  Oliv.  1126,  pisscina  S.  Mar.  1120,  finihus  cossciaula 
Prim.   1132,  ecclesia  sancii  angneli  ei  sancii  andree  S.  Mich.  1029 


*  [Pronunzia  toscana  del  latino  anche  adesso]. 


Gli  elementi  volgari  delle  carte  pisane  fino  al  sec.  XII  481 

marz.  11,  rengnante  donino  nostro  cumrado  ibid.  1029  feb.  23, 
archangnelis  ibid.  1031,  desingnatas  logos  Prim.  1042  gemi.  15, 
congnux  mea  S.  Mich.  1058  giugn.  20,  singnorello  ibid.  1060 
genn.  22,  singnorectiis  ibid.  1075  lugl.  22,  finibiis  colingnola 
ibid.  1077  die.  1,  desingnatas  logas  ibid.  1077  e  1078,  ojìeruit 
singnorecti  ibid.  1078,  pungnano  S.  Ann.  1086  marzo,  congnita 
ibid..  mangnanus  Col.  1087  mag.  22,  ra«^^/i  Film.  1116,  in  loco 
lungnano  S.  Ann.  1123,  m.  d.  ningnalia  Prim.  1145,  singnorelli 
Bon.  1156,  rogala  honfìlgliis  Oliv.  1116,  honfilgli  ibid.;  in  loco 
II.  d.  comunalgla  S.  Mich.  1137,  bìdglafaua  Bon.  1156,  finibus 
cirilgìano  S.  Lor.  1166.  Accanto  a  questi  ultimi  si  hanno:  cornil- 
liano  S.  Mich.  1087  apr.  8,  in  ualle  de  sinallia  S.  Lor.  1155  ^ 
49.  Yóc.  r/  in  ce  e  z:  hracciacurti  Prim.  1143,  duodecim 
bracciam  et  mantilem  de  braccia  quatuor  Col.  \Iq\,  in  uia  carra- 
reccia S.  Lor.  1170,  fazo  islam  carta  Bon.  sec.  XI,  50.  vóc,  di 
in  g,  gg  e  z:  ospitio  sancii  f rigiani  S.  Lor.  1133,  apud  sanctum 
frigianum  ibid.  1165,  in  poggio  di  meteta  ibid.  1155  accanto  a 
polo  sancii  tiicolai-  Oliv.  1126,  in  loco  et  finibus  mezana  ibid.  1075 
ag.  30  S.  Mieli.  1029  feb.  23.  51.  vóc.  ri  in  /:  //.  d.  cafajo 
S.  Mich.  1080  marz.  18.  52.  vóc.  ti  dà  ce:  benedicta  iiig.fil. 
donnucci  S.  Mich.  1058  sett.  2  accanto  a  marlinnzo  ibid.  1153, 
Ma  spessissimo  vóc.  ti  e  ,<?/  danno  la  risoluzione  5-:  uberti  de  pa- 
loscio S.  Mich.  1129,  rainerio  de  paloscio  S.  Lor.  1155,  que  d. 
[terra]  boccarisci  Oliv.  1126?  partem  que  fuit  de  artenisci  Col,  1151, 
filli  de  latiscia  S.  Mich.  1153,  guido  giierriscio  Prim.  1161,  aìi- 
greta  de  benetusci  S.  Lor.  1157.  Lo  stesso  avviene  in  sillaba 
tonica:  felicita  q.  montisciani  S.  Lor.  1057,  in  terra  contisciana 
S.  Mart.   1148,  turrisciani  Prim.   1170.  Del  vóc.  si  oltre  dedi  ei 


'  [Varia  scrizione]. 

^  [In  parte  almeno,  V.  s.]. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  32 


482  Varia.  —  A.  Trauzzi, 

camisciam  duodecim  bracciam  Col.  1151  e  anihrosci  S.  Mich.  1080 
marz.  18,  trovasi  anche  in  loco  q.  d.  ceraselo  setembris  S.  Lor.  1165, 
carecto  f.  q.  fasciauli  Prim.  1127  e  rcuiKcci  de  fasciano  ìhìd.  1135 
accanto  a  posita  in  fasiano  S.  Lor.  1131,  sciano  e  asciano 
S.  Mich.  1078.  53.  Un'altra  risoluzione  del  vóc.  //  è  th.  Gli 
esempì  sono  numerosissimi,  dei  quali  i  più  notevoli:  guatha- 
mater  S.  Mart.  1120,  uetìiio  Col.  1154,  sancii  pauli  de  largetha 
S.  Lor.  1166,  bonitìio  Prim.  1072  lugl.  6,  uuinitho  S.  Mich.  1091 
apr.  2,  heritho  index  ibid.  1105,  fede  de  albifhi  Prim.  1142  e 
Oliv.  1146,  nos  opitho  atque  berinkerius  S.  Lor.  1162,  in  terra 
iiiculi  berothi  Prim.  1112,  in  terra  lambertl  et  rothi  Oliv.  1126, 
gothilongi  S.  Lor.  1163  accanto  a  sancti  martini  de  guatìiolongo 
S.  Maur.  1167,  e  conseguentemente  nella  sillaba  ton.  dei  deriv.  e 
alter.:  <dbithonis  S.  Mich.  1125  die.  3,  albithelU  ibid.  1147, 
heuthonis  ibid.  1106.  Lioltre,  in  casi,  in  cui  il  ti  è  preceduto  da 
liquida:  castagneto  ìi.  d.  pinthali  S.Ann.  1123,  in  terra  benthonis 
Prim.  1146,  iohannis  q.  pontili  saraceni  S.  Lor.  1162,  in  terra 
soarthe  Oliv.  1162,  in  fori  porta  inthoartha  Col.  1065  febr,  5, 
in  nieìise  martho  S.  Ann.  1086  marzo.  Finalmente  anche  quando 
si  tratta  di  consonante  rafforzata:  posita  in  carraria  a  le  battile 
S.  Mich.  1130,  rainaldi  de  abrutthi  Prim.  1165.  Al  fenomeno 
dello  d-  credo  si  riferisca  la  s,CY\ti\ìvsi  fezerici  Prim.  1166,  kinzica 
ibid.  1187  accanto  a  kinthica  Col.  1133.  54.  -Lsti  dà  s  nel 
deriv.  uscione  ad  opus  ospitalis  Prim.  1118.  55.  -icons.  e/  dà 
ci  come  eccezione:  terra  bellancia  S.  Mich.  1128.  56.  ±tti  dik 
ce:  caccia  bertrahimi  S.  Mich.  1125  die.  3.  57.  -^  cons.  ti^  dà 
z\  casale  lorenzano  (deriv.)  S.  Mich.  1114.  58.  Per  i  nessi  di 
tre  e  più  consonanti  trovo  solo  il  trans-  passato  già  a  tì'a-  : 
per  trailer  so  S.  Mich.  1046  feb.  27. 

VL  Consonanti  finali.  —  59.   Casi  come  i   seguenti,  nume- 
rosissimi:  maritaui   malasoro  fìliam  meam  Col.   1151,  ubi  liabita 


Gli  elementi  volgari  delle  carte  pisane  fino  al  sec.  Xll  483- 

guilielmo  S.  Mart.  l\09,  pagano  e  gerardo  S.  Mieli.  1097  ott.  31, 
campo  iaculi  que  mihi  ohueni  ibid.   1079  ag.  22. 

VII.  Fenomeni  singolari.—  60.  aggeminazione:  bottega  OWy. 
1170.  61.  dissimilazione:  petia  de  terra  ii.  d.  albari  S.  Mich. 
lOSO  niarz.  18,  pelegrini  ibid.  1073  sett.  2,  ospicium  pauperum 
et  pelegrinorum  ibid.,  bernardi  q.  rosignoli  Prini.  1132.  62.  pro- 
paginazione: piopio  Priin.  1132.  donde  in  campo  pioppo  S.  Mich. 
1153;  strata  plublica  S.  Lor.  1133,  donde  cum  uno  lato  in  aia 
plubica  S.  Mich.   1029  feb.  23.  63.  epentesi   di   n:   in    nobis 

remdere  debeamus  Co].  1098  giugn.  17.  64.  scambio  sporadico: 
adkulino  cicala  Oliv.  1148.  65.  dell'alterazione  dei  nomi  propri 
ho  notato,  oltre  forme  come  enrigoni,  uaidogni,  uuidigni  S.  Ann. 
1086  marzo  e  simili,  anche  gianni  S.  Lor.  1169,  iaìini  S.  Mich.  1128 
e  iannelli  Prim.  1145  ei  più  interessanti  rainerius  f.  b.  m.  corbi 
et  geppa  S.  Ann.   1087  ag.  22,  meneo  (domeniro?)  Capp.  1110. 


IL  Appunti  tìiorfoJ Offici. 

Vili.  Nomi.  —  66.  Le  tre  classi  dei  sostantivi  del  volg.  ap- 
paiono chiaramente.  La  prima  classe:  apsque  nostra-m  persona-m 
S.  Mieli.  1041  marz.  18,  qìà  percurrit  nsque  ad  uia  plubica 
ibid.  1096.  per  anc  cartata  uindo  et  trado  ibid.  1029  feb.  23, 
anc  cartula  licellarii  Col.  1067  mag.  27,  fazo  islam  carta  ad  onore 
de  omnes  homines  de  pisas  Bon,  sec.  XI,  duo  paria  de  galline 
bone  S.  Mich.  1109,  finibus  u.  d.  a  la  leona  ibid.  1118  nov.  7. 
67.  La  seconda  classe:  in  loco  qui  ìiulgo  dicit  casali  ustorius 
Oliv.  1126?,  libras  uiginti  de  oUiinu-m  argentu-m  S.  Mich.  1032 
nov.  7,  et  guarentauerimus  tunc  obligo  ibid.  1089  genn.  26,  et 
uno  carro  cum  boi  de  feno  tracio  a  finele  nostro  ibid.  ÌÌQ9,  prope 
loco  nominatus  a  la  rivolta  ibid.  1031,  per  singulum  anno  Col.  1098 


4S4  Varia.  —  A.  Trauzzi, 

giugn.  17.  Già  entrati  in  questa  classe  anche  i  nomi  in  -us 
della  III  deci,  lat.:  aliquando  tempo  Prim.  1048  giugn.  13,  tenenfes 
ambas  capitas  cuni  uno  lato  S.  Mieli.  1029  feb.  23,  cuni  uno  lato 
in  nia  plubica  ibid.,  da  uno  capo...  da  alio  capo  Prim.  1042 
genn.  15,  tenentes  tino  capo  cum  ambas  lateras  S.  Mich.  1058 
sett.  2,  capi  di  birri  costorius  S.  Lor.  1152.  E  quelli  della  IV 
deci.:  quas  in  sua  manu-m  tenebat  S,  Mich.  1083  sett.  8. 
68.  La  term.  -a  dei  n.  della  11-^  e  della  IV"*  deci,  si  fissa  anche 
nel  volg.  :  duodecim  braccia-in  et  mantilem  de  braccia  quatuor 
Col.  1151,  braccia-curti  Prim.  1143,  carra  due  de  penimi  S.  Ann. 
1163,  desingnata-s  loca-s  Vrìm.  1042  genn.  15,  duo  paria  de  gal- 
line bone  S.  Mich.  1109.  69.  Abbondano  le  forme  plur.  in  -ora 
specialmente  di  pesi  e  misure,  che  assunsero  talvolta  nel  sing. 
la  forma  in  -oro:  d.  a  le  campora  S.  Mich.  \\2^,  panora  Prim. 
1146,  qiie  est  stariora  duo  et  panora  quinque  S.  Mich.  1158,  est 
modiora  duo  Prim.  1166,  ingressura-s  sua-s  Col.  1067  mag,  27 
e  S.  Mich.  1079  ag.  22,  ibid.  1065,  latera-s  Prim.  1073,  uno 
capo  cum  ambas  latera-s  S.  Mich.  1058  sett.  2.  Ridotto  al  sing. 
solidos  quinque  per  starioro  S.  Mich.  1103,  jser  quolibet  starioro 
S.  Paol.  1127.  70.  Della  terza  classe  dei  sost.  volg.  cito  solo: 
fazo  islam  carta  ad  onore  de  omnes  homines  de  pisas  Bon.  sec.  XI, 
ad  palude  S.  Mich.  1106,  cum  boi  de  feno  tracio  a  pnele  nostro 
ibid.  1109,  ioanni  de  mardtde  mangiaboui  Bon,  1167,  abraciahoui 
Prim.  1172,  u.  d.  a  le  croci  S.  Mich.  1120.  71.  L'aggettivo  ci 
dà  pochi  esempi:  trovo  ngonis  poueri  dicti,  dove  l'agg.  poueri  è 
già  passato  al  tipo  buono. 

IX.  Pronomi.  —  72.  Personale  a  forma  atona:  detisalvi  S.  Paol. 
1154.  73.  Relativo:  u.  d.  campo  iaculi  que  miìii  obueni  S.  Mich. 
1079  ag.  22. 

X.  Articolo  e  Preposizione.  —  74.  Art.  determ.:  in  loco  u.  d. 
la  iunca  S.  Mich.  1130,  ille  secunda  petia  de  terra  u.  d.  scandicio 


Gli  elementi  volgari  delle  carte  pisane  tino  al  sec.  XII  485 

ibid.  1029  feb.  23.  ab  odierno  die  in  antea  illus  abbas  ibid.  1058 
sett.  2,  lagnale  le  burelli  S.  Paol.  1154.  75.  Prep.  de,  di: 
petia  de  terra,  ovunque,  pede  de  monte  8.  Mieli.  10i)9  ma.rzo,  eaj)i 
di  birri  costorius  8.  Lor.  ì\^2,positunt  a  piede  di  niHeta  ibid.  1155, 
ualdiserkio  ibid.  1156,  anido  dauro  S.  Mich.  1078,  sancii  and  ree 
de  la  selua  Col.  U51,  filii  de  la  liscia  8.  Mich.  1153,  indice  mar- 
ciano de  la  con...  Bon.  sec.  XI,  gerardo  del  bianco  ibid.  1156, 
rainucini  del  casciaule  S.  Bern.  1165,  d.  sedio  del  maspra  8,  Mich. 
1104.  76.   Prep.  <(-.    de    una   casa    que  est  posila  a  uasignano 

Prim.  1U72  liigl.  6,  terra  que  dedit  in  feo  a  grillo  ibid.  1073 
gemi.  26,  sancii  petri  q.  d.  a  uincnle  S.  Mich,  1037  genn.  6,  in 
loco  q.  d.  a  la  giunca  Capp.  1120  marz.  23,  ibid.  1143,  ii.  d.  a 
la  Icona  S.  Mich.  1118,  a  la  petralba  ibid.  1099  ag.  4,  fìnibxs 
calci  u.  d.  a  la  inora,  ibid.  1109,  in  ferra  boticoni  martini  a  la 
barba  Oliv.  1138,  d.  a  la  petra  Prim.  1132,  projte  loco  nominatus 
a  la  rivolta  S.  Mich.  1031.  Esempi  del  piur.  :  prope  loco  q.  d.  a 
le  grotte  8.  Mich.  1029  marz.  11,  finibus  a  le  eorti  ibid.  1097 
ott.  31,  in  loco  u.  d.  a  le  debbia  8.  Mart.  1101,  u.  d.  a  le  croci 
8.  Mich.  1120,  a  le  piale  ibid.  1129,  d.  a  le  campora  ibid.,  ìi.  d. 
a  le  fiirche  Oliv.   1146.  77.  Prep.  da:  da  uno  capo  e  da  alio 

capo  Prim.  1042  genn.  15,  terra  da  ulireto  8.  Mich.  1097  ott.  ol, 
aghi  da  selva  lunga  Capp.  1133,  ildebrandi  da  scorno  8.  Maur.  1148, 
insti  da  la  vectula  8.  Lor.  1163,  campo  da  le  lopie  Col.  1120, 
berno  dal  pero  S.  Mich.  1097  ott.  31,  campo  dal  fraso  ibid., 
iohanni  dal  Cerro  Col.   1120.  78.  Altre  preposizioni  con  sign. 

del  volgare:  cum  uno  lato  in  terra  et  cimiterio  Col.  1067  niag.  27, 
in  fori  porta  inthoartha  ibid.  1065  febr.  5,  posila  in  fore  porta 
Oliv.  1125,  de  fore  porta  8.  Mich.  1104,  per  traverso  ihìd.  1046 
feb.  27,  positum  a  piede  di  meteta  S.  Lor.  1155.  79.  Artie. 
indeter.  :  ìina  alia  lentia  8.  Mich.  1083  sett.  8,  ciim  uno  lato 
ibid.  1029  feb.  23,  de  iiada  de  una  casa  que  est  posila  a  uasignano 
Prim.   1072  lud.   6. 


486  Varia.  —  A.  Trauzzi, 

XI.  Numerali.  —  80.  carra  due  de  fìenum  S.  Ann.  1168.  due 
petioìe  S.  Mieli.  1106,  seminatura  stariorum  tres  ibid.  1080  marz.  18 
e  1105,  de  moneta  de  luca  soldi  vinti  S.  Lor.  1057  apr.  23,  in 
loco  quarantula  S.  Mieli.  1097  ott.  31,  uinea  in  quarantula  ibid. 
1120,  cento  porche  Priin.  1110,  quatuor  centosS.  Mieli.  1125  die.  3. 

XTI.  Verbo.  —  81.  fazo  istam  carta  ad  onore  de  omnes  homines 
de  pisas  Bon.  see.  XI.  82.  cogitare  potè  est  S.  Mieli.  1114. 
83.  Pres.  ind.:  mira-in-viso  Bon.  \\^)^,  par  a- sacci  ibid.,  ianni 
de  mardule  mangia-boi  ibid,  1167,  ahracia-boui  Prim.  1172,  uhi 
hahita  f/uilielmo  S.  Mari.  1109,  guarda-in-f rancie  Oliv.  1160,  in 
casa  punge-lnpi  ibid.  1162,  mette-foci  Sped.  riun.,  tardi-vieni 
S.  Lor.  1171.  84.  Fut.  perifr.  :  non  aheo  agere  ncque  cattsare 
Prim.  1072  lugl.  6,  non  abemus  ingumborare  ncque  stringere 
S.  Mich.  1075  lugl.  22.  85.    Perf.  :    campo  iaculi  que  miJti 

obueni  S.  Mieh.  1079  ag.  22.  86.  Gong.  :  tibi  de-ti-salvi 
S.  Paol.  1154.  87.  Inf.  :  nec  suhtragere  ncque  mimiare  S.  Mich. 
1075  lugl.  22.  88.  Partieip.:  a  la  rivolta  S.  Mieh.  1031,  fun- 
dato  et  edificato  ibid.  1058  seti.  2,  occistis  fuit  et  moritus  sine 
lingua  ibid.  1119. 

XIII.  Altre  cose  notevoll  —  89.  Composti:  francardi  f.  q. 
bellomi  S,  Mich.  1096,  a  la  2)^i^^ci,lba  ibid.  1099  ag.  4,  in  loco 
dicto  puntarsi  ibid.  1103,  terra  di  malaparuta  Col.  1120,  sigmtm 
manum  malatacca  Oliv,  1126,  malanocte  ibid.  1160,  sassi  q.  d. 
malemusche  Prim.  90.  Terminaz,  notevoli:  -ura :  seminatura 
stariorum  tres'S.  Mich.  1080  marz.  18;  -alia:  u.  d.  ortalia  Prim, 
1082  apr,  20  ;  -ilia:  unam  petiam  terre  de  mandrilia  S,  Mich,  1153  ; 
■ate:  et  est  moggiate  duo  S.  Lor.  1155,  91.  Dimin,  :  paparini 
Prim,  1082  apr,  20,  morelli,  boncianelli,  granelli  S.  Mar.  1120, 
u.  d.  a  uimentella  Capp.  1133,  sono  campanelle  Sped,  riun,,  gui- 
toncini  Prim.    1112.         92.    Parole  o   frasi   nuove   o   di   nuovo 


Gli  elementi  volgari  tlelle  carte  pisane  fino  al  sec.  XII  487, 

signif.:  filio  b.  m.  helitie  S.  Mieli.  1029  feb.  23,  ego  ghisla  mulier 
baldiiuìi  ibid.  marz.  11,  uuilla  mulier  hrioii  ibid.  lOSà  inarz.  12, 
calmangiarii  uocati  Oliv.  1158,  S.  Lor.  1165,  gerardi  mangiadoris, 
gottifredi  mangiareUi  S.  Lor.  1170,  cum  uia  amdandi  et  regre- 
diendi  S.  Mich.  1047  mag.  22.  uia  andandi  et  regrediendi  Col. 
1067  mag.  27,  dederimt  parabolani  S.  Mari.  l\^^^  per  parabolani 
et  ÌKSsionem  Oliv.  1116,  Ugolini  cicciandentis  Prim.  1137,  u.  d. 
burgo  sancii  petri  S.  Mich.  1120,  guarentare  ibid.  1114.  causa- 
nerimiis  et  intentionauerimus  Bon.  sec.  XI,  inibrigare  Col.  1065 
feb.  5,  de  lite  et  briche  Prim.  1116,  coito  porche  ibid.  1132,  porche 
lunghe  ibid.,  facio  finem  et  dationeni  ibid.  1150,  est  iiocitata  sancte 
Cristine  S.  Lor.  1152,  spondimns  ììos  nobis  coniponere  predictam 
nieam  uenditione  in  dupluni  in  ferquido  loco  S.  Ann.  1122,  in 
dupluni  in  ferquidem  loco  sub  exisstimatione  qtiales  tunc  fuerit 
Oliv.  1126,  in  ferquido  loco  Prim.  1127,  in  ferepiidis  locis, 
S.  Mich.   1129. 

Modena,  gennaio  1913. 

Alberto  Trauzzi. 


V. 
UNA  DENUNZIA  DI  ESTIMO 

in   volgare   pistoiese   del   secolo   XIII. 


Fra  le  pergamene  sciolte  del  secolo  XIII,  che  il  cav.  Giovanni  Livi, 
direttore  dell'Archivio  di  Stato  di  Bologna,  ha  accuratamente  raccolte  e 
ordinate  *,  ve  n'è  una  classificata  fra  quelle  della  Porta  Piera  che  mi 
pare  singolarmente  importante  soprattutto  dal  lato  linguistico. 

Ne  farò  una  succinta  illustrazione  storica,  lasciandone  l'illustrazione 
linguistica  a  chi  ha  speciale  competenza  in  tale  genere  di  studi. 

E  un'ampia  pergamena,  alquanto  guasta  disgraziatamente  in  pili  punti, 
ma  non  tanto  che  non  si  possa  ricostruire  nella  sua  integrità  il  docu- 
mento che  essa  contiene.  Una  società  di  mercanti  pistoiesi,  che  dai  Me- 
moriali apparisce  aver  esercitato  in  Bologna  fino  dal  1265  il  mercato 
della  vendita  di  panni  *,  oltre  che  quello  pivi  lucroso  del  prestito,  era 
stata  gravata  dal  comune  di  Bologna  più  di  quello  che  comportassero 
le  rendite  del  suo  traffico.  Sinibaldo  d'Iacopo,  Franchino  e  Sinibalduccio 
di  Boldo  chiedono  di  essere  posti  all'estimo  di  Porta  Piera,  e  non  pivi 
a  quello  di  Porta  Ravegnana  a  cui  erano  stati  assegnati  prima,  quando 
era  ancor  vivo  Boldo  Franchini  che  conmierciava  in  compagnia  di  Si- 
nibaldo lacopi.  Fanno  seguire  una  lunga  lista  di  debiti  e  crediti  della 
società,  fatta  con  cura  minuziosa. 


^  Mi  piace  di  rendere  pubbliche  grazie  al  Ch.°  Cav.  Livi  d'avermi  indi- 
cato questo  interessante  documento,  e  d'avermi  prestato  valido  aiuto  nella 
trascrizione  di  esso. 

*  In  uno  spoglio  che  per  altri  miei  studi  sto  facendo  dei  Memoriali  del 
secolo  XIII  ò  potuto  vedere  assai  di  frequente  partite  di  compre  e  vendite 
di  questi  mercanti  da  questo  anno  in  poi. 


Varia.  —  G.  Zaccagnini,  Una  denunzia  di  estimo,  ecc.  489 

Il  documento,  pregevole  anche  dal  lato  paleografico  2'erché  è  in  jier- 
fetta  scrittura  mercantile,  non  ha  data  ;  ma,  poiché  in  principio  vi  è 
detto  che  Sinibaldo  d'Iacopo  e  Boldo  Franchini  erano  stati  "  astimati  , 
nella  cappella  di  S.  Michele  di  mercato  di  mezzo  "  per  lo  quartieri  di 
porta  Ravegnana  dal  tempo  di  messer  Pacie  in  eia  „,  ed  è  stato  trovato 
fra  le  carte  che  portavano  la  data  del  1296-97,  si  è  assegnata  quella 
data  anche  al  presente  documento. 

Quella  data  è  confermata  anche  da  alti'c  ragioni.  Messer  Pace,  di  cui, 
come  abbiamo  detto,  si  fa  menzione  fino  dal  principio  della  carta,  è 
quel  messer  Pace  de'  Paci  che  fu  uomo  assai  reputato  al  suo  tempo  e 
di  cui  quindi  è  possibile  trovare  qualche  utile  notizia  negli  storici  bo- 
lognesi. Infatti  il  Glùrardacci  ci  fa  sapere  che  fu  fatto  dottore  di  legge 
nel  1276,  dei  Sapienti  per  la  guerra  nel  1288,  anziano  nel  1290  e  nuo- 
vamente de'  Sapienti  nel  1296  '.  Come  si  vede,  egli  fu  negli  uffici  del 
Comune  presso  a  poco  negli  anni  a  cui  rimonta  il  nostro  documento. 
Ma  tra  gli  atti  Yivivatì  nei  Memoriali  del  1296  è  un  documento  che  toglie 
ogni  dubbio  :  quello  stesso  "  Ottovrino  di  ser  Merchatante  d'Ottovrino  „ 
che  è  uno  dei  debitori  della  società  pistoiese,  vi  ajjparisce  nel  giugno 
cosi  indicato:  "  Dominus  Octovrinus  domini  Merchadantis  Octovrini 
cap.  sancti  Bartoli  porte  Ravegnane  emancipatus  a  dicto  suo  patre  ex 
istr.  Guillielmi  Petri^oli  Doxii  not.  ,  ^. 

Se  costui  nel  giugno  del  1290  era  già  stato  emancijjato  dal  padre 
suo,  noi  dobbiamo  ritenere  che  questa  emancipazione  sia  avvenuta  poco 
prima,  probabilmente  in  quel  medesimo  anno,  e  quindi  il  nostro  docu- 
mento non  può  rimontare  a  un  tempo  troppo  lontano  dal  1296,  perché 
alloi'a  non  si  vedrebbe  la  ragione  di  quella  precisa  indicazione.  E  sic- 
come verso  la  fine  del  nostro  documento  è  detto  che  i  mercanti  pistoiesi 

erano  "  obrichati di  dovere  dare  a  messer  Guido  di  Belviso  livre 

ce  bon.  a  diciesette  di  gienaio  che  viene  ,,  dobbiamo  ritenere  che  il 
documento  sia  anteriore  al  gennaio  del    1297. 

Ma  negli  stessi  Memoriali  del  1296  è  un  altro  documento  ^  ancora  più 


'  Della  Historia  di  Bologna,  lib.  IX. 

^  Arch.  di  Stato  di  Bologna,  Meinonali  del   1296  del  notaro  Palamidesse 
di  Michele  Scalami,  e.  75. 

'  Ivi,  nel  Memoriale  di  Gerardo  di  Ferrario.  e.  35. 


I 


490  Varia.  —  G.  Zaccagnini, 

interessante,  che  ci  fa  anche  capire  in  quale  occasione  quei  mercanti 
erano  stati  gravati.  Frate  Egidio  d'Iacopino  di  Saragozza,  depositario 
generale  del  comune  di  Bologna,  dichiara  d'aver  ricevuto  90  libbre  di 
bolognini  dal  banchiere  Bongiovannino  di  Michelino,  il  quale  era  stato 
incaricato  di  riscuotere  per  il  éomune  una  prestanza  di  due  denari  per 
libbra  e  una  tassa  di  sei  per  libbra  imposta  da  messer  Pace  de'  Paci. 
In  forza  dunque  di  questa  imposizione  di  messer  Pace  erano  stati  gra- 
vati anche  quei  Pistoiesi  venditori  di  panni.  E,  poiché  questo  documento 
porta  la  data  del  29  maggio,  ed  è  seguito  da  altri  in  cui  si  tratta  della 
riscossione  della  stessa  tassa  e  che  hanno  la  data  del  giugno  \  è  giuo- 
coforza  ritenere  che  il  nostro  documento  debba  essere  stato  fatto  poco 
dopo  il  giugno  del  1296  ^. 

Ecco  qui  nella  sua  integrità  il  documento  : 

Die  martis  vigesimonono  madij  Frater  Egidius  de  Saragoeia  q.  luco- 
bini,  generalis  depositarius  comunis  Bon.  fiiit  confessus  et  conteniptus 
habuisse  et  recepisse  a  domino  Boniohannino  domini  Michelini  campsore 
prò  comuni  Bononie  ellecto  ad  recipihendum  et  coligendum  j^f'^stanciam 
duorum  denarioriim  bon.  prò  libra  et  coìlectam  sex  denariorum  impo- 
sitam  cttilibet  et  singulis  extimatis  a  tempore  domini  Pacis  de  Pacibus 
et  sociorum  a  tempore  dicti  domini  Pacis  cifra  noningentas  livras  bon., 
qiias  idem  dominus  Boniohanimis  habuit  penes  ipsuni  de  dieta-  2>restancia 
et  collecta  recejyta.  Ex  istr.  Guido nis  domini  Lanbertini  de  Sutufunti 
not.  ìiodie  facto  Bononie  in  cambio,  p>r^sentibus  Tomaxino  magistri  Osepi, 
lacobo  de  Mancolini,  Filipo  domini  Bitini  de  Zovenzonibus,  GuiUielmo 
de  Blanchncis,  Petra  de  Cacitis,  lohanino  fratre  Deyìay  de  Sala  et 
Palamadexio  de  Scalami s  testibus. 


^  A  e.  36  frate  Egidio  dichiara  d'aver  ricevuto  da  Bongiovannino  di  Mi- 
chelino 845  libbre  di  bolognini  per  la  riscossione  di  quella  stessa  tassa,  e 
in  testa  il  documento  porta  la  data  "  die  martis  quinto  lunii  ,.  Una  stessa 
dichiarazione  fa  poco  pili  oltre  Gardino  de'  Pegolotti  e  sempre  nel  mede- 
simo mese  di  giugno. 

*  A  conferma  di  ciò  si  osservi  che,  a  proposito  d'un  credito  che  avevano 
con  messer  Pellegrino  de'  Simonpiccioli,  dicono  che  questo  credito  era  per 
una  carta  "  fatta  di  giugno  ,. 


Una  denunzia  di  estimo,  ecc.  491 

Questa  denuncia  cFestimo  dunque  è  assai  pregevole  innanzi  tutto  perché 
è  una  delle  più  antiche  che,  scritte  in  volgare,  provengano  dalla  Toscana: 
quelle  fiorentine,  per  esempio,  sono  dei  primi  del  secolo  XIV.  Inoltre 
in  altre  carte  l'estimo  è  fatto  dagli  officiali  del  comune,  qui  invece  è 
fatto  dai  denunziatori  medesimi,  che  sono  dei  ^mercanti  privi  di  ogni 
istruzione  letteraria.  È  quindi  uno  schietto  documento  del  ])iù  antico 
volgare  pistoiese. 

In  qualche  punto  mi  sembra  di  sentire  l'influsso  del  volgare  bolognese, 
come,  per  esempio,  in  quell'espressione  che  ho  sopra  ricordata:  "  dal 
tempo  di  messer  Pacie  in  eia  „  quell"  ^  in  eia  „  accenna  evidentemente 
a  un  influsso  della  forma  bolognese  ^  in  yà  „  ;  ma  non  voglio  adden- 
trarmi in  un  esame  linguistico  del  documento  che  con  maggior  profitto 
degli  studiosi  intendo  riserbare  ad  altri.  Ho  voluto  soltanto  rilevare 
ciuesto  influsso  del  volgare  di  Bologna  in  questo  documento  schietta- 
mente pistoiese,  perché  dalla  lettura  di  esso  si  capisce  che  coloro  che 
lo  stesero  dimorarono  a  lungo  in  Bologna,  ed  era  (juindi  jiaturale  che 
qualche  traccia  delle  particolari  forme  del  dialetto  bolognese  rimanesse 
nella  loro  scrittui'a.  E  che  essi  dimorassero  in  Bologna  si  desume  chia- 
ramente dalle  parole  con  cui  si  accenna  agli  altri  consoci  pistoiesi 
"  i  quali  non  abitano  in  Bolongna^  no  ci  stanno  „,  e  più  ancora  dal  fatto 
che  i  due  che  sembrano  essere  stati  i  capi  della  società,  Sinibaldo  d'Ia- 
copo e  Boldo  Franchini,  sono  detti  "  cittadini  di  Bolongna  „. 

Guido  Zaccagnini. 


[Giugno  1296 -gennaio  1297].  Aucuivio  i»i  Stato  di  Bologna 

Pergamene  di  Porta  Piera. 

Chonciosia  chosa  che  Sinibaldo  lacopi  e  Boldo  Franchini  cittadini  di 
Bolongna  della  chapella  di  San  Michele  di  mercliato  di  mezzo  fosero 
astimati  nella  predetta  chapella  per  lo  quartieri  di  2^orfa  Ravennana 
dcd  tpnpo  di  messer  Pacie  in  eia,  adomanda  Franchino  per  sé  e  Sini- 
halducio  suo  fratello,  sichome  figluoli  ed  erede  del  detto  Boldo  Franchini  5 
p  per  Sinibaldo  lacopi  volere  essere  astimati  nella  ditta  chapella  di  San 
Michele  del  merchato  di  ìnezzo  ])er  lo  quartieri  di  porta  Santi  Fedri  e 
dicie  lo  ditto  Franchino  che    lo    chapitale    della   stazione  di  che  'l  ditto 


492  Varia.  —  G.  Zaccagnini. 

Boldo  era  chondiicitore,  si  era  di  Sinibaldo  e  dì  Baldo  e  de  gli  altri  suoi 

iO  chonpangni  pistoresi  e  che  del  ditto  chapitale  lo  ditto  Boldo  suo  padre 
molte  prestanze  fede  e  sovenimenti  a  nostri  amici  bolongnesi,  i  quali 
anchora  ne  deno  dare,  e  di  tali  aviamo  tolto  terra,  vingna,  chasamento, 
cììonie  di  sotto  li  ne  divisero,  é  diete  che  al  ditto  Sinibaldo  e  Franchino 
e  Sinibalducio  ne  tocha  de    le    ditte  credenze  e  terra  e  vingna  e  chasa- 

15  menti  e  buoi  ditti  di  sotto  Ir/  quinto  di  chatuna  e  no  più,  nonistante  per 
che  l'obricho  dicha  in  Boldo  e  da  Uni  fosero  richonosciuti  li  servisgi  e 
che  Valtre  quatro  ^jar^i  debono  tornare  a  lloro  chonpangni  pistoresi  i 
quali  non  abitano  in  Bolongna,  no  ci  stanno. 

Anco  dicie  lo  ditto  Franchino   ched  elli  e  Sinibalducio  suo  fratello  e 

20  Sinibaldo  lacop)i *  olUn  la  parte   che  delle    credenze    di    sotto  tocha 

loro  e  della  terra  e  vingna  e  chasamento  e  buoi  tanto  ancho  in  panni  e 
ne  Valtre  chose  della  stazone  che  cholle  credenze  montano  in  tutto  lo 
chapitale  l.  CCCC  bon.  e  questo  denonzano  per  volere  astimare  chon 
tutto  che  molti  aoiamo  mesi  che  no  deno  dare  che  mai  no  credemo  avere 

25  e  dal  primo  estimo  fumo  tropo  gravati  che  da  Pistoia  non  è  stimato 
Sinibaldo  e  Boldo  che  l.   CLXXXXVl  s.  di  che  valUoìio  l.  CLVJ  bon. 

Ser  Rinbalducio  de'  Bardini  de'  dare  livre  due,  soldi  quindici,  de' 
quali  ne  tocha  a   Franchino   e    Sinibalducio,   fillioli   ed  erede  di 

Boldo,  e  a  Sinibaldo  lacopi  lo  quinto Z.  xj  bon. 

30  Bonghirardo  notaio  di  laconio  Bonghirardi  de'  dare  livre  trentatré, 

soldi  diede  bon.,  delli  ani  e  piii  di  sei,  tocha  lo  quinto     l.  vi,  s.  xiiij  bon. 
Ser  Alberto  boninsegna  da  Fieso  de''  dare  gran  tenpo  è  livre  qua- 

tordici,  soldi  tre  bon.,  per  lo  quinto  loro     .     .     .     l.  ij  s.  xvj  d.  vij 
Zacharia    Ghagiola    de'    dare   più    d'otto    ante    soldi    ventitré,    lo 

35      quinto .§.  iiij  rf.  vij 

Guilielmino  da    San   Giorgio   de'  dare  più   di  sedici  anni  C  livre, 
otanta  sette  soldi,  due  bon.,  lo  quinto    ..../.  xvij  s.  viij  d.  v 

R Imo  da  Panagho  de^  dare  gran  tempo  è  livre  tre,  soldi  diede  bon., 

per  lo  quinto s.  xiiij 

40  Piero de'  dare    buon    tempo    è   soldi    venditi  (sic)   due 

per  lo  quinto ò\  iiij  d.  vj 


'  È  impossibile  leggervi  una  parola  per  corrosione  della  carta:  così  s'in- 
tenda in  tutti  i  punti  ove  lascio  una  breve  lacuna. 


Una  denunzia  di  estimo,  ecc.  493    ' 

Piero  d'agusto  de  dare  di  rimanete  livre  quatro,  soldi  diede,  come 
carta  per  ser  Bonghirardo  net.  e  a  bando .«.  xviij 

L'eredi  di  messer  Tomaso   Tincarari  de'  dare  livre  tre.     .     .     .    s.  xij 

Bartolomeo  di  donna  Palmiera  de'  dare  soldi  venticinque  .     .     .     s.  vj  45 

Lofredo  di  Manno  di  Fieso  de'  dare  livre  ventiuna,  soldi  diciotto, 
del  quale  avemo  uno  chasamenfo  a  Fieso  in  paghamento  i>er  sen- 
tenza di  messer  Alberto  Bonachatto,  stimolo     l.  xvj  bon.  s.  iij  d.  iiij 

Donna  Bina  da  Fieso  de'  dare  livre  tre,  soldi  diede  bon  .     .     s.  xiiij 

Ser  Lorenzo  merci  ad  ro  de'  dare  livre  V,  soldi  didotto,  den.  V  bon.,  50 

è  Ilo  quinto s.  ii\  d.  viij 

Zerardino  da  Marano  de'  dare  di  rimanente  livre  nove,  soldi  qua- 
tordici  bon.  d'una  carta  di  CL  livre  ch'avemo  sojìra  di  lui,  è  Ilo 
quinto l.  i,  s.  xviij  d.  x 

lacomino  del  Mulina  ro  de'  dare  livre  nndidbon.  e'n  de'  carta  per  55 

ser  Gherardo  Dentarne,  è  Ilo  quinto /.  ii  s.  iiij 

Ser  Polo  de'  Chorvi  p)^^'  ser  Fillipo  de'  Chorvi  de'  dare  livre  sesan- 
tatrr,  soldi  \\,  den.  ITJ  bon.,  è  Ilo  quinto      .     .     .     l.  xij  .^.  I,  d.  iij 

Fillip)o  lustignano  e  Fazio  sarto  deno  dare  livre    cinque  bon.,  è  Ilo 

quinto ò'.  XX  60 

Tja  rede  di  madonna  lacomina  Bona,  sorella  di  messer  Guidotto, 
de'  dare  livre  diciasette,  soldi  didotto  bon.  di  rimanete  d'una 
carta,  è  Ilo  quinto /.  ij,  s.  xi,  d.  vij 

Giiiglelmo  Guido  Giani  de'    dare    livre    ottantuna,  soldi   otto,  den. 

sei  hon.  per  rimanete  d'una  carta,  è  Ilo  quinto       l.  xa;]  .s.   v.  d.  viiij  65 

Gherardo  de'  Gongi  de  Chastel  Francho  de'  dare  di  rimanete  livre 
una,  soldi  dodici  bon.,  è  Ilo  quinto  ^ 

Piero  da  Chapugnano  e  Micìielazo  deno  dare  soldi  trenta  bon.,  è 
Ho  quinto s.  \j 

Ser  Piero    da    Chapugnano   j^f'^ditto    de'    dare    livre  sette  e  soldi  70 

diede  bon.  di  rimanete  d'una  carta,  è  Ilo  quinto      .     .     .     l.  i,  s.  x 

Michelazo  da  Chapugnano  de'  dare  livre  otto  bon.     .     .     .     l.  i,  s.  xii 

Mattiolo  e  Guiscartino  de'  Rinovati  da  Fieso  de'  dare  livre  tre, 
soldi  diede  bon.  carta  j^er  ser  Simo  Martini /.  xiiij 

Jacomudo  de'  Malavolti  de'  dare  livre  cinque,  soldi  otto     l.  i,  .<?.  i,  d.  viij  75 


'  Manca  la  cifra  del  quinto. 


494  Varia.   —  6.  Zaccagnini, 

Rolando  Ranponi  de'  dare  livre  otto  bon.  di  rimanente      .     l.  i.  s.  xii 

Nicholò  di  ser  Michele  da de'  dare  livre  diede  bon  .     .     .     l.  ij 

Mellino  Lattieri  de'  dare  livre  cento  cinquanta,  soldi  quatro  bon.,  è 

Ilo  quinto l.  XXX 

80  Guercio  de'  Zovenzzoni  de'  dare  livre  tre  bon s.  xij 

Monta l.  cxij,  .5.  ij,  d.  x  bon. 

Messer   Pellegrino   di  Simon   Piciolo   de'   dare   di   rimanete  d'una 
carta  di  livre  seicento  bon.  fatta  di  giugno  in  ottantaquatro  livre 
sesantaquattro  bon.,  è  Ilo  quinto    ........     l.  xij,  s.  xvj 

85  lacomo  di  Ferro  sarto  de^  dare  livre  tre  bon.  è  lo  quinto     .     .     s.  xij 
Gnidotto  di  Bertelli  da  San  Giovanni  de'  dare  di  rimanete  d'una  carta 

di  l.  xj,  s.  xviij  bon.  livre  quatro,  soldi  tre  et  è  lo  quinto     s.  xvj,  d.  vij 
ChoUozzo  de'  Tincharari  de'  dare  livre  cinque  bon.  è  Ilo  quinto   .     l.  i 
Venedicho  di  ser  Michele  d'Arivero  de'  dare  livre  diede  bon.      .     l.  11 
90  Messer  Martino  Spagnolo    de'    dare   livre  undici,  soldi  quatro  bon. 

l.  II,  s.  iiij,  d.  X 
Messer    Beritola    de'    dare    livre    cinquanta,    soldi    otto   bon.,  è  Ilo 

quinto l.  ^,  s.  ì,  d.  viij 

Franciesco  Giesadello   de'    dare   carta  per  ser  Zerardo  livre  quin- 

95      dici /.  iij  s. 

Giliolo  di  Manello  livre  tre,  venti  sette  soldi,  \d.^^  diede  bon.,  è  Ilo 

quinto l.  \,  s.  i 

Giambono  della  Romegia  de'  dare  livre  ventidue,  soldi  diciotto  bon.,  ed 
elli  lasciò  in  suo  testamento  l.  xxv  bon.,  è  Ilo  quinto     l.  iiij,  .s.  xi,  d.  viij 
100  Lanfrancho   e  Bartolomeo  pillidaro  de'   dare  livre  cinquanta  bon. 
per  rimanete  d'una  carta  di   livre   settantotto  fatta  per  ser  Ghe- 
rardo Dentarne,  è  Ilo  quinto ^.  x 

Dalfino  di  Chastello  de'  dare  di  rimanete  livre  cinque,  soldi  sette  bon., 

è  Ilo  quinto l.  i,  s.  i,  d.  i 

105  Ottovrino  di   ser  Merchatante  d'Ottovrino   de'   dare  livre   ventiotto, 
soldi  otto   bon.,   e   'n   de'   carta  per  ser  Bongherardo   not.,  è  Ilo 

quinto l.  V,  s.  xiij,  d.  vij 

Ser  Matteo  de'  Malgierini  de'  dare  livre  quatro,  soldi  quatordici  bon., 

è  Ilo  quinto s.  xviij,  d.  x 

110  Messer  Bondie  challonacho  di  Santa  Maria  Magiare  de'  dare  livre 

trds  diede  bonnto  a,.,e  eil  Ilo       qui s.  xiiij 

Lunghino   e  Ridardo   deno    dare  per  rimanete   di  pisgione   di  tre 


Una  denunzia  di  estimo,  eco.  495   , 

anni,  di  che  acemo  carta  sopra  loro  di  livre  cinquanta  per  anno, 

lirre  trentasette  hon.,  è  Ilo  quinto /.  vij,  .s.  viij 

Matteo  di  ser  Simo  de'   Chorvi  de'  dare  licre  tre,  soldi  dodici  hon.,  115 

è  Ilo   quinto 6-.   xiiij,  (/.  xi 

Madonna  Agnesina    de'  dare    livre    ventuna,    soldi    diciesette   hon., 

è  Ilo  quinto Z.  II,  .s'.  vij,  d.  mj 

Ser  Rodaldo    Lamandina    de'  dare    licre    trentatre,    soldi   sei   hon. 

l.  U],  s.  xiij,  d.  ij  120 

lacomo  sarto  nostro  oste  de'  dare  livre  otto  hon l.  i,  s.  xij 

Giovanni  Osherghieri  de'  dare  di  piscione  livre  nove  hon.  l.  ii,  s.  xvj 
Maestro  Bene  sarto  de'  dare  di  piscione  soldi  trentotto  hon.  .  s.  xvj 
lacomo  (jiuboniero  de'  dare  di  piscione  soldi  venti  hon.  .     s.  vij,  d.  vij 

Vittorio  sarto  de'  dare  di  pisgione  soldi  venti  hon s.  iv  125 

Donna  Sopercìiia  dalla  Crocie  de'  Santi  ne  de'  dare  livre  cin- 
quanta hon.  avende  (sic)  carta  per  ser  Gherardo  Dentarne,  è  Ho 

quinto /.  X 

A  verno    una    vingna    nella   guardia  di  Bologna  posta    a    Chasara, 

la    quale    stimo    xvij    tornadure   per    livre    xxv    la    tornadura,  130 

l.  ccccxxv  hon l.  lxxxv 

Avemo  ne  la  guardia  di  Piumacio  xxviij  hifolche  di  terra  che 
avemo  in  paghamento  de'  heni  da  f.  Venante  da   Tizzana,  stintole 

l.    LXXXX l.    XVIlj 

Avemo  uno  paio  di  huoi   a    Gioadicha   che  ci  tien  lo  filiolo  di  ser  135 

Alherto  Boninsengna,  stimoli  l.  xxiiij l.  m],  d.  xvj 

Amideo  di  ser  Amideo  medicho  ne  de'  dare  di  rimanete  d'una  carta 
di  livre  cento  hon.,  i  quali  achatamo  per  lui  dalli  Sthuli  ed  a 
lloro  ne  demo  per  lui  in  xv  mesi  di  prò  l.  xv  hon.,  ohrichamoci 
in  suo  serviselo    e    noi    ricievemo  da   llui   una   carta  delle   ditte  140 

cento  livre.  Resta  a  dare  l.  xlv  hon.,  è  Ho  quinto  ..../.  vmj 

Ser  Balduino  de  Chorvi  ci  de'  dare  i  quali  aviamo  achatati  per 
lui  ed  ohrichatoci  per  lui  nel  simile  chaso  ed  avemo  ricievuto  da 
llui  una  carta  d'una  sua  vingna  dal  Farnedo  ed  a  lini  medesmo 
Vavemo  abitata  per  l.  x  ho7i.  l'anno,  tanto  quant'eHi  ne  potrà  aren-  145 

dere  i  ditti  denari  e  tutte  volte  che  i  ditti  denari  ne  rèndrà,  sì 
Hi  dovemo  rendere  la  ditta  vingna  e  disfare  la  carta  e  darli  a 
chi  avere  li  de'  da  noi  l.  e,  s.  vi,  (/.   iij  hon.  è  Ilo  quinto 

l.  x\,  s.  1,  d.  iij 


496  Varia.  —  G.  Zaccagnini, 

150  Ser  Baldiòno  soprascritto  ne  de'  dure  l.  \\\i\,  s.  v  bon.,  i  qìiuli 
noi  avemo  achatati  per  lui,  e  noi  ne  siamo  ohrichati  ad  aìtrni 
ed  elli  per  nostra  sichurtà  ne  fede  carta  d'una  certa  parte  del 
forno  suo  di  Borgìiadello  e  dici  e  la  carta  livre  trentadue  hon. 
fatta  per  ser  Ghiherto  di  Guid olino  not.,  è  Ilo  quinto      l.  vj,  s.  vnij 

155  Ser  Ghirardo  de'  Chorvi  ne  de'  dare  eh' avemo  achatati  per  lui  nel 
simile  modo  ed  obrichatocine  ad  altrui  e  per  nostra  sichurtà  rCà 
fatto  una  carta  di  livre  cento  venti,  soldi  diciesette  hon.  e  un'altra 
parte  ne  de'  dare  l.  vij,  s.  iij,  d.  viij,  sì  che  monta  l.  cxxviij 
e  d.  otto  bon.^  è  Ilo  quinto /.  xxv,  s.  xij,  d.  ij 

160  Ser  Martino  da  Neso  ne  de'  dare  livre  quatrociento  cinque,  soldi 
otto,  d.  sette  hon.,  de'  quali  siamo  ohrichati  per  lui  di  dovere  dare 
a  messer  Guido  di  Belviso  l.  ce  hon.  a  diciesette  di  gienaio  che 
viene  per  una  scritta  di  mano  di  Franchino  sugielata  dal  suo  su- 
qiello,  per  la  quale  noi  li  siamo  tenuti   i\ri\   livre  cento  hon.  Xe 

165  paghamo  per  lui  a  Nieri  Cretnonesi  jier  j^f^sqtia  magioì-e  cento 
cinque  livre,  soldi  otto  e  d.  sette.  Ne  paghamo  per  lui  in  Firenze 
per  panni  de  la  filliola  sono  per  la  dota  di  Saviola  sua  filli  ola  : 
le  ditte  dusgiento  cinque  livre,  soldi  otto,  d.  sette  bon.  achattamo 
per  lui  ne  la  maniera  ditta  di  sopì'a  e  non  de  carta      l.  lxxxJ,  s.  i,  d.  v 

170  Avemo  ancho  in  jMnni  e  ne  l'altre  chose  che  ne  la  stazone  sotto  per 
Sinibaldo  lacojn  e  per   Franchino  e   Sinihalducio  livre  novanta, 
soldi  dodici,  d.  tre  hon.,  per  la  loro  parte   .     l.  lxxxx,  s.  xij,  d.  iij 
Monta  in  tutto  questo  che  troviamo  sichom'è  scritto  di  sopra  e  da 
rietro  p)er  singholo /.  dxlvj^  s.  ij  bon. 

175  Dovemo  dare  per  Amideo  di  messer  Amideo,  chom'è  scritto  a  rietro 

che  gl'achatamo  per  lui  l.  xlv  hon.,  viene  lo  quinto     .     .     .     l.  viiij 
Dovemo  dare  per  ser  Balduino  de'  Chorvi,  chom'è  scritto  per  l.  e, 

s.  VI,  d.  iij   hon /.  XX,  .s.  i,  d.  iij 

Dovemo  dare  j^er  ser  Balduino  soprascritto,  chom'è  scritto  l.  xxvij, 

180      s.  V  hon /.  V,  .s.  viiij 

Dovemo  dare  per  ser  Gherardo  de'   Chorvi  sojjra  scritto  l.  cxxviij, 

d.  viij  bon l.  xxv,  s.  xij,  d.  ij 

Dovemo  dare  j'je/-  ser  Martino   da   Neso,   chom'è  scritto  nella  soma 
delle  quatrociento  cinque  l.   e  soldi  livre  dusgiento   cinque,  soldi 

185      otto,  d.  vij  bon /.  XLJ,  s.  i,  d.  v 

Dovemo  darea  messer  Guido  di  Belviso  per  ser  Martino  da  Lleso  (sic), 
ave  nostra  scritta  sugiellata  l.  ce  bon.,  è  Ilo  quinto    ..../.  xl 


Una  denunzia  di  estimo,  ecc.  497 

Dovemo  dare  a  Dosalo  ed  a  Bartolo  da  Imola  l.  xviiij  hon.,  è  Ho 
quinto /.   iij,  s.  xvj 

Dovemo  dare  a  fideli  chomisari  di  madona  Achiara  I.  v,  s.  xi  hon.  190 

/.  I,  s.  ij,  d.  ij 

Monta  quello  che  dovemo  dare  altrui  livre  CXLVJ,  s.  ij  hon. 

Resta  quello  che  truovo  dovere  avere,  ahatutto  quello  che  truovo  dovere 

dare,  sichom'è  scritto  per   singholo  ^>er  la   parte  di  Sinihaldo  lacopi  e 

di  Franchino  e  Sinihalducio  di  Boldo  in  tutto  è  l.  ecce  hon.  195 

Boldus  extimatus  in  cajìella  Sancti  Michael is  de  foro  niedii  cec  livre 

Sinihaldus  lacojn  extimatus  in  eadem  rapetla  lxxx  livre. 


SPOGLI.  Forme  equivoche  per  l'ortografìa  del  docu- 
mento. — •  elli,  delli  -f-  voc-  e  dalli  [Schali)  vanno  letti  elTi,  deVl'i 
daVri,  cfr.  valliono  (r.  37),  fillioli  (r.  40)  ;  anie  non  è  amie  ma 
anni  è.  v.  p.  questa  costruz.  sotto;  credemo  r.  34,  rideremo  183, 
de7no  182,  avemo,  passim,  sono  perfetti;  forme  di  presente  in 
-émo  non  mancano,  v.  sotto  ;  sono  tutte  perfetti  le  forme  in  -amo  : 
achatamo    181,    221,    230   obrichamoci    183,  paghamo    215,    218. 

Tolte  queste  pericolose  tentazioni  ed  illusioni  restano  inte- 
ressanti le  forme  qui  riferite. 

Vocalismo:  ùìf^"^  )  on'^°"'^ :  denonzano;  —  astimati,  che  appar- 
tiene forse  al  nucleo  di  forme  es*^""*  s  )  as  di  cui  si  conservano 
ciascuno,  diciassette  e  s'ànno,  in  tempo  antico  assempro,  sostituiti 
da  forme  più  dotte  o  d'altra  parlata  ;  ma  potrebbe  anche  essere  un 
caso  di  prostesi;  qui  ricorre,  per  converso  diciesette  (1  v.)  acc.  a 
diciasette  (4  v.)  — pilliciaro\  —  Amideo;  —  nonistante;  — Agusto; 
—  Dalfìno  ;  —  retiti  una,  venti  otto  —  uno  paio  ;  —  prostesi  : 
arendere;  —  adomanda;  —  rendrà;  —  diede  (frequente);  — 
quartieri;  —  il  com.  challonaco. 

Consonantismo:  Suoni  conservati  :  diatuno;  ched  -f-  yoc.  ;  ben. 
per  bon[ogniniJ  solo  in  sigla;  —  rinforzam.  anormali:    ohricho, 

Archivio  glottol.  ital..  XVII.  33 


498  Varia.  —  P.  G.  G.,  Spogli 

Guiscartino;  consjyonsy..^  ohrichn;  — -&r-)-vr-:  livre,  Ottovrino; 
ti-)z:  statone  acc.  a  stazione,  denonzano;  -n -\- cons.  omesso: 
no  più,  no  ci  stanno,  no  deno,  no  credemo  ;  Simo  de  Corvi,  Simo 
Martini,  acc.  a  Simon  Piccioli;  rimanete,  quasi  sempre  acc.  a 
rimanente  (1  v.). 

Forme:  merciadro;  pistovesi-,  oltra;  ancho;  —  erede  {^\m\), 
eredi  (sing.  o  col  verbo  al  sing.?  r.  58;  la  rede  femm.)  ;  —  Porta 
Santi  Pedri  ;  —  aviamo  (compromesso  tra  abbiamo  ed  avemo)  ; 
pres.  ind.  in  -emo:  avemo  r.  71,  avemo  ricievuto,  avemo  afitata, 
dovemo  (r.  229,  232,  234,  238,  242,  245,  247,  249)  ;  denno  (indie), 
debono  (cong.  v.  22)  ;  ditto  preditto  quasi  sempre  per  detto, 
predetto. 

Sintassi:  aviamo  achatati  per  lui  ed  obrichatoci,  obrichafocine; 
più  d'otto  ani  è  e  sim.  (cfr.  "  Arch.  „  XVII,  62,  §  55)  ;  avemo  afitata 
tanto  quant'elU  (per  tutto  il  tempo  che,  finché)  ne  potrà  aren- 
dere; e  tutte  volte  che  (ove)  i  ditti  denari  ne  rendrà,  si  Ili 
dovemo...  dare  a  chi  avere  li  de'  (li  de'  avere)  da  noi  (r.  190  sgg.); 
dei  quali  ne  tocha;  e  sian  ricordate  anche  le  forme  comuni: 
stimoli,  stimolo. 

Lessico  :  tornadura  di  terra,  bif alche  di  terra,  abatutto  '  detratto  ' 
(di  moneta). 

Fonetica  settentrionale:  eia  ' qua' ;  S.  Pedri,  Farnedo  e  sim., 
merciadro,  forse  denonzano. 

P.  G.  G. 


APPUNTI    BIBLIOGRAFICI 


Romanisches    etymologisches     Wijrterbuch,    di    W.  Mkyer-Lubkk.    Heidelberg, 
1911.  di>^p.   l-III.  Appunti  di   A.   Prati. 

In  quest'opera,  destinata  a  facilitare  (,'randemente  le  ricerche  d'etimo- 
logia, spesseggiano,  cosa  che  si  nota  troppo  di  frequente  in  pubblicazioni 
tedesche  di  linguistica  romanza,  forme  errate,  che  saranno  molte  volte  do- 
vute allo  stampatore,  ma  che  si  sa  esser  quasi  sempre  gravi  e  dannose, 
tanto  pili  ch'esse  passano  poi  in  chi  sa  quanti  altri  scritti. 

Naturalmente  è  del  tutto  sbagliata  la  trascrizione,  adottata  dal  Meyer- 
Liibke,  di  ts  e  dz  persino  per  le  voci  venete!  Ma  anche  si  avvertono  non 
poche  incoerenze.  Cosi  al  N.  2435  si  trova  citato  il  veron.  tsezeno,  al 
N.  573  il  veron.  sigar,  al  N.  1244  il  veron.  boasa.  Si  tratta  dunque  della 
medesima  consonante  scritta  in  tre  modi  diversi,  e  sempre  nel  medesimo 
dialetto.  Al  N.  277  non  si  sa  perché  pel  veneto  sia  stato  scritto  ùrzare  e 
pel  veronese  invece  aUlzaro,  e  al  N.  707  sparezo  (ven.)  e  al  N.  795  invece 
orese  (ven.).  Anche  i  significati,  dati  dal  Meyer-Lubke,  molte  volte  non 
sono  giusti. 

Raccolgo  qui  le  correzioni  degli  errori,  da  me  avvertiti,  nella  lettura  del 
R.  E.  W..  riguardanti  quasi  esclusivamente  i  dialetti  veneti  e  il  trentino, 
che  di  altri  non  ò  tenuto  conto  che  in  casi  rari.  Ma,  anche  entro  questo 
limite,  la  mia  revisione  non  è  però  per  nulla  completa'.  Per  le  forme 
corrette  uso  beninteso  il  metodo  di  trascrizione  di  quest'  "  Archivio  ,. 


^  A  p.  XX  il  Meyer-Lùbke  pone  Erto  nel  Tirolo,  mentre  è  invece  nel 
distretto  di  Maniàgo  (Udine).  A  p.  xix  accoglie  la  forma  tedesca  ^i<c/iens<é-i?j 
per  Livinàl  Longo  (alta  valle  del  Cordévole),  mentre  per  Ampezzo  (ted. 
Hayden)  (alta  valle  del  Bòite)  usa  la  forma  italiana.  Bisognerebbe  quindi 
togliere  anche  questo  divario.  Persino  il  Nigra,  ■*  Arch.  Glott.  „,  XV,  p.  505, 
n.  2,  scrisse  Buchenstein  e,  invece,  Ampezzo.  Curioso  il  caso  della  Hùrlimann, 
Die  Entivickìiing  des  lat.  a  q  u  a,  p.  36,  che  riferisce  un  yega  per  Bu- 
chenstein, rimandando  al  Gartner  e  all'Altón,  e  un  i'ga  per  Livinallungo, 
rimandando  all'  ''Arch.  Glott.  ,,  1.  p.  372!! 


500  Appunti  bibliografici 

17.  Veron.  olàna  (anche  roveretano)  (non  olano),  olanàr  l'albero.  —  Oi.  Ven. 
garbo  (non  garh)  '  agro,  brusco,  aspro,  acido  '  (non  '  amaro  ')•  —  ^~5.  Rover, 
(non  trent.)  gujàda.  —  130.  Romagn.  égor  '  ago'  {rìoiiegur)  ("Ardi.  Glott.  „, 
XVI,  p.  447);  veron.  afigonàra  (non  agonaro).  —  231.  Ven.  grq'tolo,  venez. 
ihgrotlo  '  stentino,  mingherlino  '  (non  '  malaticcio  ')  ;  ingrotio  da^l  fre'do 
'  intirizzito  '.  —  2^1.  Ven.  ahgonla  (non  angunia).  —  334.  Triest.  ('diga  (non 
alega).  —  376.  Padov.  otiàro  (non  onar).  —  439.  Ven.  cinara  (non  ('mera).  — 
462.  Trent.  Uin^a  (non  lansa),  venez.  Icm/'a  o  (tn/'a.  —  515.  Vicent.  v('<ria 
0  verta  '  primavera  '  (non  vierta),  venez.  re'rta.  —  -578.  Ven.  agy^àpo,  aguciso 
(non  agatso)  'guazza,  rugiada'  (non  'acquazzone').  —  793.  Venez.,  poles. 
re'co  (non  reca)  '  grappolino ',  veron.  re'ca  d^ua;  vicent.  recq'to  (non  re- 
ceto),  valsug.  regolo,  venez.  recotfh  de  ita,  rece'to  *.  —  839.  Trent.  do  (non 
alt)  *  trisavolo  '.  —  884.  Veron.  b('ijto  (non  baita).  —  888.  Il  trent.  balilo'ìn 
(non  bazilom)  non  indica  le  cinghie  della  gerla,  ma  à  il  significato  del  ven. 
higo'lo,  che  corrisponde  al  bicollo  del  Vocab.  ital.  (v.  sopra,  a  p.  273)  ~.  — 
944.  Veron.  barbi'so'l  (non  barbitsnl).  —  986.  Ven.  f'badag('tr(e)  ("Ardi.  Glott.,, 
XIll,  p.  414)  (non  zbacccr)  '  sbadigliare  ',  veron.  f'bah'ir  (trans.)  '  socchiu- 
dere, accostare  '  (l'uscio,  le  persiane);  (intrans.)  '  sbadigliare  ',  \>o\qs. /'bacare. 
E  V.  Schneller,  Die  rom.  Yolksmund.,  p.  173.  —  999.  Trent.  f'bo'o  (non  ho) 
{■pÌMv./'bq'vi)  ("  Tridentuni  ,,  III,  p.  119,  n.  1),  '  piattola',  h('io  (non  zhao)  '  sca- 
rafaggio ',  rover.  bào  (fanciull.)  '  pidocchio  '.  —  1027.  Ant.  trevis.  (non  ant. 
bellun.)  d'un  bel  zegner  ^.  —  1064.  Vi  è  citato  un  trent.  biete,  che  non  si  trova 
nel  Ricci,  che  registra  invece  erbai-ava  '  carota  rossa'.  —  1113.  Bellun.  brónt 
(non  brando)  ("  Arch.  Glott.  „  XVI,  p.  290).  —  1114.  Il  trent.  brg'z  indica  un 
forte  veicolo  a  due  ruote  tirato  da  buoi,  il  quale  serve  a  condur  giù  dal 
monte  legnami  o  lettimi  variamente  attaccati  allo  .scannello.  —  1118.  Ven. 
f'bì/'egàr(e),  triest.  f'bifigàr  (Vidossich,  Studi  sid  dial.  triest.,  N.  93)  (non 
zbidzegar).  —  1139.  Ven.  hihjàr{e)  (non  biviar).  —  1225.  Vi  si  citano  l'ital. 


'  II  venez.  reco'to  vale  '  avanzo  '.  Ma  rece'la  non  significa  '  grappolino  ', 
come  il  triest.  rince'la  (Vidossich,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  42)  ;  rece'la 
de^l^àgo  fe  detta  la  cruna. 

^  Singolare  è  il  fatto  che  della  forma  bicollo  non  si  sia  accorto  nessuno  di 
coloro  che  si  occuparono,  di  proposito  o  solo  per  incidenza,  del  ven.  bigq'lo 
(Ferrari,  Nardo,  Mussafia,  Ascoli,  Nigra,  Salvioni,  Vidossich,  Meyer-Liibke. 
Schneller). 

^  V.  "Arch.  Glott.  ,,  XVI,  p.  288.  Il  Meyer-Liibke  non  à  evidentemente 
tenuto  conto  della  rettificazione  del  Salvioni,  ivi,  p.  245,  secondo  la  quale 
VEgloga  da  lui  pubblicata  spetta  al  trevisano,  non  al  bellunese.  Il  mede- 
simo dicasi  di  scatturar  (1665),  casonciè  (^1738),  cessar  (1851),  ecc. 


Appunti  bibliografici  501 

bòvolo,  il  veron.,  ven.  bogun  'lumaca'.  Si  deve  correggere:  ven.  bòvolo  o 
bagolo,  veron.,  mantov.  bogo'n  '  chiocciola  '.  V.  quanto  si  è  detto  sopra.  — 
1250.  Trent.  bq'rer  (non  borar)  'scovare,  levare,  snidare  '   (non  'spingere'). 

—  1329.  Yeron.  rg'sko,  trent.  rg'sk  o  rg'sko  'rospo'  (non  'rana')  ("  Arch. 
Glott.  ,,  XV,  p.  505).  —  1333.  brok  non  può  essere  del  valsuganotto,  per  il 
semplice  motivo  che  esso  presenta  un  troncamento  estraneo  a  questo  dialetto. 
Sarà  voce  d'altro  luogo.  Anche  nel  '  Literaturbl.  f.  Gemi.  u.  Rom.  Philol.  ,, 
XXXI,  col.  283,  il  Meyer-Liibke  riporta  la  parola  broc,  senza  però  dire  donde 
la  abbia.  —  1361.  Ven.  bupoh'i,  bu'soh'i  (non  botsola)  '  ciambella  ;  pasta  dolce  '. 
Il  Boerio  reca  anche  il  termine  antiquato  bozzolào.  —  1385.  Trent.  borr'l 
(non  burel).  —  1396.  Veron.  bung'h  'bubbone,  fignolo,  gavòcciolo'  (non 
'  spinta  ').  —  1429.  Trent.  bote'r  (non  liiitér),  ven.  botlro  o  bidlro  (non  bitter), 
veron.  botje'r  o  butje'r,  hnbotjert'ir.  —  1515.  Venez.  (non  ven.)  A;«Ze^fV,  padov. 
kalegàro  (non  kalegar).  —  1527.  Triest.  l,non  trent.)  skalonu;  triest.  skalòna 
(Vidos.sich,  Studi  sul  dial.  triest.,  Ì^.ZZ),  veron.  skalg'na  'disdetta,  sfortuna '. 

—  1563.  Ve  riportato  l'ant.  vicent.,  triest.,  ven.  kampielo  e  si  rimanda  al 
Vidossich,  Studi  sul  dial.  triest.,  (N.  6).  Ma  dal  Vidòssich  si  apprende 
che  kampje'lo  '  piccola  piazza  tra  case  '  è  soltanto  veneziano,  non  triestino, 
e  che  l'antico  vicentino  aveva  campeelo  (non  campiclo).  forma  usata  anche 
da  Marin  Sanudo,  cui  corrisponde  il  bellun.  kampedél  '.  kampje'lo  risale  a 
e  a  m  p  u  s  nel  significato  di  '  luogo  piano  '  (v.  campo  nel  Boerio).  come  il 
kampi'o  (valsug.)  ecc.,  di  cui  v.  qui  sopra  a  p.  288.  —  1568.  Nònes  kjunàla 
(non  kyanel)  'mangiatoia'  (Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  61).  —  1666.  Ven. 
gave'ta  (non  gaveta)  '  spaghetto  '.  — •  1683  Trent.  g('(rz  (non  gardz)  (plur.  gàr:^!) 
'  tralcetto  giovane,  tallino  '.  —  1686.  Ven.  gardelih  (non  gardelino).  —  1833. 
Padov.  serne'ga  (non  cernega).  —  1907.  Trent.  ciganijla,  ziganola  (non  .sù/a- 
ùola)  'carrucola,  girella;  nottolino;  gancio'.  —  1938.  Padov.  serkàre  (non 
tserkar).  —  1975.  Trent.  care'l  (non  zarel)  '  paletto  (della  catena  delle  mu- 
raglie); serraglio,  chiave  (d'un  arco)'  (non  '  bastone '), /"'^«r/Z  'spauracchio 
(scagliabile  delle  uccelliere);  bastone,  randello,  mazza'.  —  2011.  fp.  162, 
li  col.).  Bellun.  kciis  '  chiocciola  '  (non  '  lumaca  ').  Y.  sopra.  —  2031.  Trent. 
kong'ser  (non  kaùoser).  kano'ser  è  forma  propria  di  una  parte  del  nònes 
(Brésimo,  Ambiar,  Dòn)  (Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  87).  —  2033.  Rover, 
(non  trent.)  kortif  (v.  sopra,  a  p.  '287),  solandro  koriì'ff  (Battisti,  Zur  Sulzb. 
Muìtd.,  p.  21.S).  —  205i.  Trent.  of  skolobjn  o  skolo'bi  (non  ovo  skolobiù).  — 
2114.  Istr.  kuguja,  triest.  kagq'ja  '  chiocciola  '  (non  "  lumaca  ').  —  2361.  Veron. 
kq'goina  (non  kugema).  —  2381.  Veron.  korte'l  (non  kortielo).  —  2462.  Veron. 


'  V.  Olivieri.  ".Studi  Glott.  ,,  111,  p.  161;  Salvioni,   "Arch.  Glott.  „,  XVI, 
p.  304,  n. 


502  Appunti  biblioj^rafici 

fgàlmara  (non  zgàlmera).  —  2810.  Ven.  dq'/'e  {non  doge).  —  2812.  Vi  si  legge 
un  treni,  verca  '  orbettino,  anguis  fragilis  \  che  non  so  da  quale  fonte  abbia 
avuto  il  Meyer-Lubke,  ma  che,  se  autentico,  trova  un  bel  riscontro  in  ht'sa 
f'g]k.i'ipa  *  d'ugual  significato,  abbracciante  una  zona  ristretta  della  Yal- 
sugana  orientale,  limitata  ad  occidente  e  ad  oriente  da  orbarq'la  e  con- 
trastante il  terreno  a  hlsa  o'rha,  in  Tasino  bisa  da  un^q'co.  —  2819.  Rover, 
(non  treni.)  y'i^-anrt?*  'ire  a  zonzo'  ecc.,  f'beàna  (non  splecina).  V.  Schneller, 
Die  rom.  Volksmund.,  p.  174.  —  2918  a.  Ani.  ven.  inaorire  (non  insorir) 
'venir  fame'  (non  'essere  affamato,  aver  fame')  ("  Romania  ,.  XXXIX, 
p.  449-450:  v.  sopra,  alla  voce  sidjarie)  ecc.)'.  —  8173,2.  Treni,  folopo'm 
(non  falojìpone). 

Non  ò  fatto  che  correggere  forme  e  significati  erronei  ^,  senza  natural- 
mente rilevare  le  numerose  omissioni  di  voci,  che  pur  avrebbero  dovuto 
comparire  nel  R.  E.  W..  come,  per  citarne  qualcuna,  il  ven.  kq'rìiola  '  cor- 
niola '  il  veron.,  treni,  kornàl  'corniolo',  treni,  kornala  'corniola',  il  ven. 
ko  '  quando  ',  in  cui  già  il  Boerio  riconobbe  il  lai.  e  u  m  *,  il  sol.  gìì/'e'Iq, 
non.  gi*f'e'la  (Romàl,  Tergiovo  gùsl'ma),  fiam.  glìf'e'la,  bellun.,  ven.  giif'e'la, 
furi,  gu/iéle,  istr.  aguféla  (  *a  e  u  e  è  1 1  a  (118).  Spesso  son  riferite  certe  forme 
da  dialetti,  che  abbracciano  talora  un  piccolo  territorio,  facendo  cosi  quasi 
credere  che  esse  siano  proprie  solo  del  dialetto  citato. 

Al  N.  424.  per  esempio,  vien  riportato  l'ampezz.  ónieda,  forma  che  è  però 
anche  fiamazza  e  trentina;  àgola  'aquila'  ricorre  in  bona  parie  dell'alia 
Italia,  ecc.  Talvolta  son  citate  come  antiche  forme  che  conducono  vita 
ancor  florida,  quali,  ad  esempio,  is)kone'r{e)  (2192),  de/'Iegucirie)  (2542),  ecc. 

Ma  su  queste  mancanze  del  R.  E.  W.  non  occorre  insistere,  sapendo  che 
è  annunciata  la  prossima  pubblicazione  di  un  vocabolario  etimologico  ita- 


*  Appunto  il  ven.  /'gyke'ì-f>o,  f'g]!k^'rso,  treni,  f'gyk^'rz  ecc.,  esclude  la  deri- 
vazione del  tose,  gue'rcio,  lucch.  fbe'rcio,  da  *e  x  v  e  r  s  i  a  r  e,  proposta  dal 
Pieri.  "  Studj  Romanzi  „,  1,  p.  50. 

^  Com'è  noto,  i  dialetti  veneti  piti  schietti,  ossia  il  vicentino,  il  padovano 
e  il  polesano,  conservano  V-e  dopo  r  anche  nelle  parole  piane.  Di  questo 
fatto  non  tiene  conio  il  Meyer-Lubke.  Dando  voci  venete,  convien  quindi 
scrivere,  ad  esempio,  bni'skàr{e),  kontbinnr(é),  intendendo  cosi  di  alludere 
tanto  a  quei  dialetti  veneti,  che  mantengono  V-e,  quanto,  rispettivamente, 
a  quelli,  che  lo  perdettero. 

^  Al  N.  746  è  tradotto  erroneamente  con  '  disgrazia  '  il  tose,  male'atro- 
Nel  veneto  vi  corrisponde  malàh^  nel  valsuganotto  anche  deli'to. 

*  La  voce  arriva  sino  nella  Valsugana  e  manca  al  trentino,  che  à  invece 
kuande  ke. 


Appunti  bibliofjruBci  503 

liano.  composto  dal  Salvioni.  In  esso  l'uso  della  lingua  italiana  permet- 
terà pure,  in  eerti  casi,  di  dare  con  maggior  esattezza  i  significati  di  voci 
dialettali. 

Per  quanto  riguarda  alcuni  ètimi,  accolti  oppure  respinti  dal  Meyer- 
Lùbke,  ò  avuto  occasione  di  far  cenno  sopra.  Qualche  altro  appunto  lo 
aggiungo  qui. 

91.  Vi  son  raccolti  i  derivati  di  a  e  e  r ,  -e  r  i  s  e  di  *acre.  Alla 
prima  base  spettano  tose,  acero,  bologn.,  parm.,  bergam.,  bresc,  treni., 
veron.  ó/er,  romagn.  cì/ar,  ferrar,  ars.  Alla  seconda  lomb.  (iger,  arbed.  àgru, 
val^ug.  figaro  (Tezze  figro),  trevis.,  vicent.  agro,  bellun.  'igre,  agr^la  e  obwald., 
garden.,  livinal  long.,  cador.  tijer,  furi,  ójar,  ticin.  àjru,  triest.  aire,  che  il 
Cavalli.  "Arch.GIott.  „,  XII,  p.  373,  e  il  Yidossich,  Studi  sul  dial.  triest..  N.  215, 
considerano  come  una  reliquia  furlana  nel  triestino.  È  però  da  notare  che  il 
Battisti,  La  vocale  A,  p.  34,  N.  132,  p.  70-71,  ammette  per  le  forme  ladine 
centrali,  da  lui  riportate,  la  base  *a  e  e  r  u  con  sviluppo  parallelo  a  quello 
di  face  re  e  di  fracidu,  che  dà  nel  fassano  fre't.  Una  parte  delle 
forme  ladine  risalgono  certo  ad  una  base  *acru  (confr.  Unterforcher, 
"  Zeitschr.  d.  Ferdin.  ,,  111.  F.,  36.  H.  p.  374;  Schneller,  Beitrage,  III,  p.  64; 
Alton,  Beitrage  zur  Etimologie  voti  Ostladinien,  Innsbruck,  1880,  p.  25),  ma 
per  altre  non  sarà  da  escludere  la  spiegazione  del  Battisti,  che  forse  vale 
pure  pel  triest.  aire  (confr.  furi,  vui^jt  (*vocìftu). 

Per  le  forme  risalenti  ad  *a  e  r  u  v.  Salvioni,  "  Boll.  d.  Svizzera  Ital.  ,, 
XI,  p.  215;  ivi  XX,  p.  38-39;  ivi,  XXIII,  p.  84-85  ';  "  Arch.  Stor.  Lomb.  „ 
s.  IV,  V.  I,  p.  376;  Meyer-Liibke,  Einfìihrung^,  p.  135;  Prati,  Ricerche  di 
topon.  trent.,  p.  35;  "  Pro  Cultura  „,  I,  p.  447;  "  Revue  de  Dialectol.  Rom.  ,, 
V,  p.  91-92. 

111.  Per  venez.  sol'ir  (non  atsolar),  vicent.  insulare,  valsug.  risolar,  veron. 
ih'solar,  trent.  ehzolàr,  ecc.  '  allacciare,  annodare  '  (non  '  infilare  '),  ven.  de- 
solarle), valsug.  denpolar,  trent.  de'szohir  'slacciare'  (non  'sfilare');  venez. 
so'lo  'cappio',  valsug. /o?«>^,  trent.  zolim  'ganghero',  valsug.  />ole'ta,  trent. 
zollila  'gangherella',  zo'la  "fermaglio';  zolàr  'gabbare',  ^o/o^rt  '  gabbata  ' 
V.  Salvioni,  "  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.  „,  s.  Il,  v.  XLIV.  p.  774-775,  che 
propone  un  *azzallare{=allazzare) -\-*asolare  (confr.  ven.  a/'ola.  a/'ole'ta 
'  maglietta;  cappietto  ').  Di  un  incontro  con  *a  e  i  o  l  a  r  e  non  si  vede  bene 
la  ragione,  malgrado  quanto  osserva  anche  il  Flechia,  *  Arch.  Glott.  ,, 
III.  p.  173-174. 

i'S'.'i.  Pel  trent.  iia  ne's    '  buona  a  nulla,  una   cempenna  ',    romagn.  né/a, 


'  Pel  nome  di  Àgher  fUssola)  v.  Revelli,  ''  Riv.  Geogr.  Ital.  ,,  XV,  p.2l6,  n.3. 


504  Appunti  bibliografici 

ni/eha  'ragazza  ingenua',  veron.  ne/a  'donna  melensa  e  fiaccona',  triest. 
/né/ula  '  scriatello  '  (Vidòssich,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  33,  74)  v.  quanto 
osserva  lo  stesso  Vidòssich  nell'  "Arch.  Triest.  ,,  XXX  (s.  Ili,  v.  II),  p.  157, 
ove  si  esprime  il  dubbio  circa  la  connessione  di  queste  voci  col  nome  per- 
sonale Agnese  '.  Il  Meyer-Lubke  traduce  malamente  le  voci  trentina  e  ro- 
magnola con  '  persona  stupida  '. 

659.  Il  trent.  arme'la  '  collare  del  cane  '  (v.  Ricci)  risale  non  ad  a  r  - 
milla,    ma  ad  un  *armèlla.    Cfr.  anche  annella  (Petrocchi). 

1098.  Per  venez.  bagolar  '  tremolare,  ondeggiare  ',  veron.  b.  '  oziare  ', 
b.  da^l  fredo  '  tremare  '  trent.  b.  '  tremare  (per  freddo  o  per  paura),  rabbri- 
vidire ',  nònes,  triest.  ecc.  b.,  valsug.  baboldr,  v.  Parodi,  "  Romania  ,,  XXVII, 
p.  '203,  che  li  connette  con  v  a  g  u  (*v  a  g  ù  1  a  r  e).  Né  per  la  voce  vero- 
nese sarà  da  pensare   a    vacare    'essere  in  ozio'  bensi    a    vagare. 

1913.  Il  veron.  se'hgo  '  macigno,  masso,  sasso  '.  se'nga  '  roccia,  dirupo, 
scheggione  ',  bresc,  cremon.  séng  non  possono  naturalmente  derivare  da 
cilium  -\-  cinnus  bensi  da  cingili  u,  come  poi  ammette  lo  stesso 
Meyer-Lubke  al  N.  1928.  V.  anche  i  nomi  locali  riportati  dall'Altón,  Bei- 
trage,  p.  31,  e  dall'Olivieri,  "  Studi  Glott.  ,,I1I,  p.  162-163. 

197i.  Il  ven.  ce/' ara  deriva  da  e  1  u  s  u  r  a  (Salvioni,  "  Revue  de  Dialectol. 
Rom.  ,,  I,  p.  100),  non  da  clausura,  che  avrebbe  dato,  nel  caso,  *ce- 
.h'ira. 

Angelico  Prati. 


Romanisches  etyinologisches  Worterbnch  (Sammlung  romanischer  Elementar 
u.  Handbùcher  hgg.  von  Wilhelm  Meyer-Lubke,  IH.  Reihe:  Worter- 
biicher  3.)  von  W.  Mkyek-Lubke(A  —  *melikokkus,  pp.  1-400),  Heidelberg, 
C.  Winter,  1911,  in-8°. 

La  pubblicazione  d'un'opera  come  questa,  in  cui  si  assommano  tante  ri- 
cerche compiute  negli  ultimi  decenni  entro  il  campo  delle  lingue  neolatine, 
sveglia  una  serie  di  problemi  di  capitale  importanza,  la  cui  discussione 
esorbita  dai  limiti  della  presente  rassegna.  Ma  fra  questi  problemi,  alcuni 
si  riallacciano  si  strettamente  alla  natura  della  magistrale  opera,  dataci 
dal  Meyer-Lubke,  che  non  sarà  giudicato  fuor  di  proposito  lo  spendervi  in- 
torno qualche  parola. 

Uno  fra  i  molti  difetti  che  si  potevano    rimproverare  al  vocabolario  del 


^  Vi  avrà  a  fare  il  trent.  /ne' gol  'piccino;  pochino'  ? 


Appunti  bibliografici  505 

Korting  (sul  quale  il  nuovo  libro  del  Meyer-Lùbke  getta  come  un'ombra  di 
sepolcro)  era,  come  si  sa,  questo  :  che,  registrata  una  base,  se  ne  davano  i 
succedanei  romanzi  senza  tener  conto  sufficientemente  di  altre  basi  even- 
tuali assunte,  per  una  o  per  altra  ragione,  ad  indicare  la  medesima  idea 
0  la  medesima  cosa.  Ne  veniva  che  il  lettore  non  era  informato  della  grande 
ricchezza  creativa  delle  lingue  romanze;  mentre  un  rinvio  opportuno  ad 
altri  numeri  del  vocabolario  avrebbe  spesso  colmata  questa  grave  lacuna. 
Il  Korting  dovè  avvertire,  egli  stesso,  questa  mancanza,  perchè  accodò  alla 
prima  edizione  della  sua  fatica  una  specie  di  "  indice  logico  „  compilato 
dal  dr.  F.  Pabst  e  soppresso,  senza  ragione,  nelle  due  successive  ristampe. 
Prendiamo  un  esempio.  Sotto  la  base  làcèrtà  *  si  trovavano  ricordate  le  forme 
(e  soltanto  le  forme  letterarie)  che  ne  derivano,  con  alcuni  rimandi  al 
Diez  186,  al  Flechia  Ardi.  Ili,  160  e  al  Caix  Studi  380.  Ma  le  altre  basi, 
che  i  popoli  romanzi  prescelsero  ad  indicare  la  "  lucertola  „  o  il  "  ramarro  „, 
accanto  alla  voce  classica  latina,  non  erano  punto  ricordate,  né  con  un  ra- 
pido cenno,  ne  con  un  nudo  rinvio.  L'informazione  riesciva,  così,  imperfetta, 
monca,  incolore.  L'indice  del  Pabst,  che  sovveniva  in  parte,  richiamando  il 
lettore,  sotto  "  Eidechse  „,  ai  nn.  4664  (langùrus)  e  7384  (sèps),  oltre  che  al 
n.  4613  (làcèrtà),  fu  malamente  sacrificato  e  il  vocabolario  del  Korting  ne 
sofferse  non  poco.  Non  v'ha  dubbio  che  l'opera  del  Meyer-Liibke  rappre- 
senti anche  su  questo  punto  (e  si  tratta  di  un  "  punto  ,  che  dà  luogo  a 
una  questione  di  principio)  un  grande  progresso.  Rinvìi  nei  nuovo  glossario 
etimologico  non  mancano.  Tuttavia,  convien  riconoscere  che  avrebbero  do- 
vuto essere  molto  più  numerosi.  Si  direbbe  che  l'autore  si  sia  giovato  di 
rimandi  sopra  tutto  quando  v'erano  dubbiezze  e  oscurità  di  varia  natura 
sugli  etimi  e  che  non  abbia  elevato  questo  provvido  sistema  d'informa- 
zione a  legge  generale.  Così,  sotto  hedera  (n.  4092)  non  si  rinviene  che  un 
rimando  a  inguen  (etimo  dubbio  di  bergam.  ekna,  ellera),  mentre  altre  basi, 
oltre  hedera,  designarono  nel  romanzo  la  medesima  pianta.  Nei  dial.  della 
Francia  occidentale,  a  ragion  d'esempio,  ricorre  il  vocab.  hrou  (ant.  fr.  broust) 
che  mostra  di  essere  d'origine  germanica  (germ.  hrustjan,  germogliare)  e 
all'Est  vi  abbiamo  la  voce  tàrét  e  tàrétr  (provenienti,  non  v'ha  dubbio,  da  un 
terrestre)-.  Altre  volte,  senza  bisogno  di  rinvio,  sarebbe  bastato  un  semplice 
cenno.  Se  apriamo  la  carta  dell'  Atlus  linguistique  dedicata  a  lune,  vediamo 


*  Trascelgo  di  proposito  questo  esempio,  perchè  ora  il  lettore  può  rife- 
rirsi, per  maggiori  informazioni,  a  un  mio  articolo  :  Denominazioni  del 
^  ramarro  „  in  Italia,  in  Romania,  XLII,  161  sgg. 

'  A  Lovere  (Bergamo)  si  ha  Uem  (infl.  di  "  ulmu  „),  a  Val  Cavallina 
hùjlam  (infl.  di  '  ciclamen  ,),  a  Bremlnlla  e  a  Zogno  Ima,  a  Trescore  Bai- 


l 


506  Appunti  bibliografici 

che  nel  Nord  la  "  luna  ,  e  chiamata  semplicemente  e  suggestivamente  la 
"  bella  ,  (Nord:  295  bèi;  Pas-de-Calais  283  bèi,  ecc.  284  bèlloen,  ecc.)  —  il 
che  mi  fa  credere  che  lion.  benalilna  provenga,  con  assimilazione,  da  bela- 
lilna,  —  sicché  un  cenno  su  bellus  (n.  1027)  entro  l'art,  dedicato  a  luna, 
non  sarebbe  stato  nocivo  ^  Insisto  su  ciò,  perchè  un  vocabolario  è  tanto  più 
vivo,  quanto  meglio  riesce  a  dare  un'idea  dell'energia  e  sorprendente  ric- 
chezza delle  lingue  e  anche  perchè  un  tal  pregio  si  può  ottenere  con  mezzi 
assai  semplici  e  facili.  I  risultati,  che  ne  provengono,  sono  invece  di  grande 
rilievo  e  importanza.  Anche  qui,  mi  varrò  d'un  esempio,  fra  i  molti  che  si 
potrebbero  citare.  Sotto  limaceus  e  Umax  (nn.  5043  e  5045),  il  Meyer-Lùbke 
ha  raccolto  diligentemente  le  varie  forme  romanze,  ma  dai  suoi  due  arti- 
coli non  si  desume  che  per  il  mezzogiorno  esiste  un'altra  base  (manica)  ad 
indicare  la  *  lumaca  ,.,  a  cui  era  opportuno  rinviare  per  le  considerazioni 
che  ne  scaturiscono,  chi  si  faccia  ad  esaminare  l'estensione  e  partizione 
geografica  dei  due  vocaboli.  L'Italia  del  Sud  e  il  Portogallo  hanno  la  se- 
conda base,  che  compare  pure  in  Ispagna  (cai.  nap.  maruzza:  sic.  marozzu 
'  insetto  simile  alla  lumaca  „  ;  irp.  manica;  port.  e  spagn.  marisco  e  vedi 
Schuchardt,  Zeitschr.  f.  rom.  Phil,  XXVIIJ,  322),  mentre  al  Nord  la  rad.  mar- 
non  compare.  Passando  per  gli  Abruzzi,  guizza  per  le  Marche  e  dà  gli 
ultimi  tratti  nel  lucchese,  dove,  combinandosi  con  "  lombrico  „,  a  quanto 
pensa  lo  Schuchardt,  e  presentandosi  con  altro  sutf.,  -ica,  dà  ìammarìca. 
Questa  partizione  di  limar  e  marnca  non  deve  essere,  a  parer  mio,  .senza 
ragione.  Nel  secondo  di  questi  vocaboli  non  dobbiamo  forse  vedere  una 
voce  latina.  Si  tratta  di  un  vocabolo,  dirò  così,  troppo  esclusivamente  me- 


neario  ninola.  A  Valdagno  (Vicenza)  èrina,  a  Spresiano  (Treviso)  èrola. 
A  Sarzana  (Genova)  énera.  Ad  Ampezzo  (Udine)  erla.  Nel  Friuli  anche 
contrève,  condrede  (sulla  qual  forma,  Schuchaudt,.  "  Zeitschr.  f.  rom.  Philol.  „, 
XXXI,  34).  In  Piemonte  dicesi  hrasabosk.  a  Palazzolo  suU'Oglio  (Brescia) 
ligabosk. 

^  Un  altro  esempio.  Con  alcuni  rinvii  sotto  il  n.  602  (aratnim),  si  poteva 
mettere  lo  studioso  in  grado  di  orizzontarsi  subito  circa  le  varie  denomi- 
nazioni romanze.  Per  quanto  concerne  l'Italia,  ecco  qualche  esempio:  "  vedi 
plotitm  (deriv.  germ.)  [e  quivi,  a  suo  luogo:  più  a  Brescia;  piód  nell'Emilia 
(pia  a  Bologna)  sino  a  Bondeno  di  Ferrara,  piovina  nell'Istria]  ;  vedi  eulte)- 
[e  quivi,  sempre  a  suo  luogo:  cantra  in  Valtellina];  vedi  perticarius  [e 
quivi:  pardghìr  nella  Romagna],  ecc.  ecc.  Anche,  sempre  a  ragion  d'esempio, 
per  "  arcolajo  „  molte  sono  le  basi  (Mussafia,  Beitr.,  146,  n.  2).  Vada  qui 
qualche  giunterella  al  Mussafia  :  a  S.  Croce  sull'Arno  alcolaja  ;  turnel  anche 
nel  bresciano  (Palazzolo).  A  Montieri  si  ha  filatoio;  a  Orvieto  inwnmeratoro; 
ad  Apricena  vinnilo  ;  a  Stilo  ninnulu,  a  Giovinazzo  e  a  Taranto  :  macènua. 


Appunti  bibliografici  507 

ridionale,   per   essere   tale.   Compare    in    greco    moderno  sotto  la  forma  di 
[.laQÌaTa  ed  è  d'origine  ignota  '. 

Una  seconda  osservazione,  che  non  è  più  di  "  principio  ,,  farò  all'illustre 
autore:  ed  è  di  non  aver  cavato  da  quella  miniera,  che  si  chiama  AtUts 
linguistique  de  la  France.  tutto  ciò  ch'essa  poteva  e  doveva  dare.  Parlavo 
teste  di  Umax.  Ora.  tenendo  conto  della  e.  770,  c'erano  da  mettere  in  evi- 
denza parecchi  tratti  notevoli  e  degni  d'essere  accolti  in  un  così  cospicuo 
e  importante  vocabolario  etimologico  delle  lingue  romanze.  Erano  da  no- 
tarsi le  forme  prov.  liindonk,  limàou  e  con  metatesi  reciproca  milliaoiik  (con 
un  l  palatile,  che  pur  dopo  la  metatesi  risente  ancora  gli  effetti  dell'?)  e 
altre  forme  francesi  come  likorh,  loch,  ecc.  La  voce,  che  domina  nel  N.-O.  e 
kalhììctron  (con  il  noto  elemento  ka(l)-).  Anche  uno  sguardo  alla  e.  758  {leu- 
tuie)  ci  convince  che  V Atlas  non  è  stato  sempre,  con  pieno  profitto,  utiliz- 
zato. Forme  come  e»<i7/(o  (830):  dentilho  {S\0'.-t  dente  per  ragioni  fonetiche, 
mèndil  (111)  -\-  )nenta  avrebbero  potuto  essere  citate,  insieme  al  diffusissimo 
nentille,  con  vantaggio.  I]gli  è  vero  che  non  presentano  difficoltà  quanto 
alla  loro  etimologia,  ma  i  fenomeni,  che  in  esse  si  palesano,  sono  abl>a- 
stanza  interessanti,  per  renderle  degne  di  figurare,  in  un  glossario  etimo- 
logico, accanto  al  lett.  lentille. 

A  dire  il  vero,  io  temo  di  far  l'impressione  <li  chi  troppo  pretenda  da 
un'opera  tanto  vasta  e  complessa  e,  per  la  sua  stessa  natura,  sempre  in- 
completa, a  malgrado  di  quante  cure  si  vogliano  diligenti  e  continue;  ma 
queste  mie  pretese  vanno  troppo  compagne  a  un  senso  di  profondo  rispetto 
e  di  ammirazione  per  l'insigne  autore,  per  non  apparire  inspirate  a  quel 
desiderio  di  perfezione  che  rende  l'incontentabilità  scusabile  nella  critica. 
Onde,  mi  permetterò  di  presentare  qualche  breve  osservazione  intorno  un 
articolo  del  vocabolario,  che  ho  tra  mano,  giovandomi  dei  materiali  di  cui 
posso  disporre.  E  come  ho  avuto  occasione  di  incominciar  questa  rassegna 
con  la  citazione  della  voce  hicerta,  così  mi  si  conceda  di  prendere,  come 
esempio,  per  l'appunto  questo  vocabolo  -.  Ecco  fra  i  molti  succedanei  e  rap- 
presentanti romanzi,  alcuni  italiani  da  aggiungersi  alla  lista  del  M.-L. 
(pp.  347-348).    Tra    le    forme  strettamente  etimologiche,  quanto  all'-y  della 


'  Meriterebbero  d'essere  altresì  studiate  alcune  forme  meridionali  del 
"  pipistrello  „  che  pajono  riattaccarsi  al  gr.  vv/.ieQCòa  (Forsyth  Major, 
Zeitschr.,  XVII,  148  sgg.),  come  taddarita,  ecc.  Anche  qui  siamo  a  un  filone 
meridionale  assai  esteso  e  importante. 

-  Delle  denominazioni  del  "  ramarro  ,  ho  già  parlato  nel  cit.  articolo  in 
Romania,  XLIl,  161.  Qui  mi  limiterò  ai  problemi  sollevati  dalle  denomi- 
nazioni della  "  lucertola  ,. 


508  Appunti  bibliografici 

sillaba  iniziale,  il  M.-L.  cita  soltanto  i  pieni,  lazerta,  zalerta  e  il  tose,  agerto. 
Ma  l'-rt-  l'aiutatosi  in  -»-  ben  presto,  come  vedremo,  per  ragioni  analogiche) 
si  trova  nelle  forme  di  molta  altra  parte  d'Italia.  Così,  ad  Eboli  (Salerno) 
abbiamo  lacerto,  a  Napoli:  laceri^,  a  Ruvo  di  Puglia  lacèrt.  Nel  Tirolo  me- 
ridionale laif'rt  (accanto  a  Uzérlqla  e  lusrrdola).  Per  l'incrocio  di  Incerta 
-{-lancia,  si  notino  a  Fresinone:  lancèrta,  a  Velletri:  lancèrta  (Crocioni, 
Dial.  di  Veli,  p.  74),  ad  Alatri:  lancèrta,  ecc.  ecc. 

Bisogna  poi  tenere  distinte  le  forme  con  lu-  da  quelle  con  li-.  Le  prime 
sono  molto  più  diffuse  di  quelle  originarie  con  la-,  il  che  costituisce  un 
carattere  di  antichità.  Si  può  anzi  porre,  con  tranquillità,  accanto  a  lacerta 
una  forma  *Uicerta  (e  vedine  Merlo,  Zeitschr.  f.  rom.  Phil.,  XXX,  14),  rap- 
presentata, si  può  dire,  in  tutta  Italia  dalla  Lombardia  alle  Puglie,  salvo 
nei  luoghi,  dove,  a  un  dato  momento,  spuntò  una  nuova  base  e  si  ebbe 
una  nuova  creazione.  In  Incerta  si  ha  influsso  di  luce.  La  "  luce  ,  —  per 
ragione  degli  occhietti  vividi  —  fu  sentita  per  la  lucertola  anche  nella 
Svizzera  romanda  dove  si  sente  a  Ormont-dessus  il  vocabolo  luizér  e  a 
Séprais  éyeùjer,  accanto  al  più  diffuso  latìternèta  (e  linterna  si  ha  anche  in 
certi  luoghi  dell'Italia  centrale),  accanto  a  gremilhéta.  Il  M.-L.  riconduce, 
non  so  con  quanta  ragione,  quest'ultima  denominazione  a  lacrimiisa  (che 
si  trova  nella  Francia  del  Sud).  Quanto  a  me,  non  posso  che  riconnettere 
la  voce  al  verbo  gremilhé  "  brulicare  ,,.  Arrischierei  che  ci  si  abbia  la  radice 
di  "  grumeau  „.  Le  forme  con  li-  non  si  trovano  soltanto  nel  Veneto,  ma 
sono  sparse  qua  e  là,  p.  es.  Ampezzo:  lìjeltra;  basso  Friuli:  lifiarte;  Udine: 
Rìfinrte;  Feltre  :  isèrta;  Sulmona:  r  i  scie  r  tei  e  ;  Monteleone:  li  certa  ;  Nicasivo: 
licerta;  Palmi:  licerta;  Monteleone:  liticerta,  ecc.  Da  lancèrta -\-licert a  pro- 
verranno: can.  lingerta,  Subiaco:  lingestra,  ecc.  Non  è  possibile  dire  se  da 
lucertella  o  da  lacertella  derivino  le  forme  di  Castelnuovo  (Garfagnana)  :  cior- 
ièlla,  Pievepelago:  giortella  e  ghiortella  e  anche  ortella;  Carrara:  zorteda. 
Avremo  poi  influsso  di  rafente  o  di  argento  sopra  lacertella  in  pavull.  ra/en- 
tèlla,  Montecreto:  i-a/enf ella,  Ciiìna,tta  :  ar/intella,  Sestoìa  :  ar/enf èia.  Incrocio 
di  ortella  e  arfintella  a  Fiumalbo:  orte/illa  e  a  Riolunato:  ordfella^.  Notevole 


^  In  gran  parte  del  Veneto,  si  muove  dalla  base  ho'r  adoperata  per  il 
"  ramarro  ,.  Si  à,  così,  horétola  a  Oderzo,  a  Treviso  e  Este:  hurétola;  a  Spi- 
lirabergo:  burigola  e  a  Portogruaro  berigola  e  birigola,  ecc.  ecc.  Il  Nigra 
e  lo  Schuchardt  anno  dati  altri  esempi.  Ad  Albenga  si  à  poi:  brigua  e  a 
Savona  sgrigna.  Per  continuare  con  altre  basi,  citerò  a  Castrovillari  (Co- 
senza) surigghia.  Si  à  serpéfedde  ad  Altamura,  in  Sicilia  sirpuzza  e  serpón- 
chiola  a  Bovino  (Foggia),  dove  lacerta  si  usa  per  la  "  salamandra  ,.  Ad 
Oneglia,  la  "  lucertola  „,  il  "  ramarro  ,  e  la  *  salamandra  -  sono  detti  tutti 


Appunti  bibliografici  509 

è  a  Fano  la  dcMiominazione  di  raganèììa,  che  viene  dal  diffusissimo  racano  per 
ramarro  ,,  il  quale  al  Nord  è  chiamato,  come  si  sa,  ghéss  o  ghézz  e  anche 
ligih-,  Utgót\  ecc.,  a  cominciare  dal  Veneto  giù  per  la  Emilia,  e  parte  della 
Lombardia  sino  alla  Liguria,  e  al  Piemonte'.  Ghésa  è  localizzato  intorno  a 
Novara  e  più  al  Nord  e  potrebbe  costituire  un'area  secondaria  sopra  ligi'o-  '*. 
Nella  sezione  settentrionale  del  Veneto  si  ha  bo'r,  che  non  può  disgiungersi 
dalle  forme  friulane  sbo'rs,  sbors,  sbg'i-f,  delle  quali  non  parlo  perche  ne  à 
già  discorso,  da  suo  pari,  lo  Schuchardt  "^  Venendo  a  racemo.  Io  abbiamo 
a  Sulmona,  abr.  ràchene,  velletr.  rago,  SuBiaco:  racano  (Lindstrom,  Verna- 
colo di  Siibiaco,  p.  289);  Fondi:  rdgano;  Fano:  raganacé;  Jesi:  ragano; 
Isernia  (Campobasso):  ràchino;  ad  Assisi:  rclgano,  roicone,  ragannccio  ;  Fos- 
sombrone  (Pesaro)  :  règn.  Ad  Agnone  si  à  rócauo,  sino  a  Siena  e  ad  Arezzo 
vive  ràcano,  il  che  ci  mostra  che  ramarro  e  voce  di  formazione  seriore, 
circondata  com'è  da  altre  diverse  o  ciò  dà  ragione,  sino  a  un  certo  punto, 
della  singolarità  del  suff.  -arro. 

Dai  parecchi  esempi  citati,  si  vede  che  attraverso  le  continue  creazioni, 
sopravvivono  qua  e  là  i  termini  antichi  e  che  le  nuove  denominazioni  anno 
un'evidenza,  che  dovettero  avere,  ma  che  non  anno  più  per  noi,  le  più  ve- 
tuste. Si  pensi,  per  avere  un'idea  della  perspicuità  degli  appellativi  recenti 
(quando  alla  loro  creazione  non  si  sia  opposto  il  linguaggio  letterario,  im- 
ponendo la  forma  dotta,  che  è  caso  purtroppo  frequente),  si  pensi,  dico,  ai 
nomi  della  "  libellula  „,  che  in  parte  dell'Emilia  è  detta  spulaft  da  "  spola  „ 
e  in  non  pochi  luoghi  dell'Italia  del  Nord  e  del  centro  è  chiamata  cava-oéc, 
caa-ceucc,  cava  occhi,  dal  suo  splendore  nel  sole.  E  altrove  è  designata  con 
l'appellativo  di  "  frate  ,  o  anche  di   "  sposo  ,. 

]\Iolte  di  siffatte  formazioni  sono  (non  già  latine)  romanze.  E  come    tali 


skerpión  (scorpione).  Nel  genovese,  la  "  lucertola  „  è  chiamata  anche  le'sina; 
a  Rovereto  (Ttqìxìo)  bise'rdola  (biscia  +  lucertola);  Nasca  (Como)  :  lizzìrpula; 
a  Bassano  :  bisórbola;  verban.  bissópola,  ad  Ascona  :  lo'pra;  Valle  Anzasca  : 
rnpola.  A  Concordia  :  rigida.  Confusione  con  la  "  salamandra  ,  si  à  in  parte 
del  Veneto  (mar issandola).  Notevole  poi  a  Rigoleto  (Udine)  la  forma  frasca. 

'  Rimando  ancora  al  mio  articolo  citato,  p.  161  sgg. 

^  Ad  Està:  endegóro;  Porto  'Folle  e  dintorni:  ìióguro,  Mantova  lii'gh^r; 
Bozzolo:  lingór;  Clusone  (Bergamo):  biligiirt,  ecc.  A  Mirandola:  ?tagiidr , 
Guiglia:  lufgor,  ecc.  Vadano  queste  forme  ad  aggiungersi  a  quelle  già  note. 
La  denominazione  marfincózz  (da  "  Martino  ,)  è  secondaria.  E  così  quella 
di  salarrone  (è  il  nome  della  "  salamandra  ,)  a  Stigliano  (Potenza)  e 
sajittuni  a  Nicastro  e  altrove  nell'Italia  meridionale,  e  ferr.  magardss. 

'  Zeitschr.  f.  n>,n.  Philol,  XXVlll.  :i21. 


510  Appunti  bibliografici 

dovranno  essere  ri?guardate  alcune  altre,  che,  a  giudicare  dall'opera  del 
M.-L.,  parrebbero  antiche,  mentre  potrebbero  essere  a  dirittura  moderne. 
Così,  si  legge  a  p.  151,  n.  1904:  cicindela  1.  "  Kleine  Lampe  „,  2. 
"  Leuchtwurm  ,  e  si  danno  per  il  secondo  significato  i  seguenti  due  esempi: 
venez.  sezandeìa,  chiogg.  sezendelo.  Ma  se  si  nota  che  il  primo  significato  è 
il  solo  diffuso  (ant.  ital.  cicindello,  genov.  sezendé,  lucch.  cincindello{ro),  ecc.), 
mentre  il  secondo  è  localizzato  su  brevissimo  territorio  della  Romania,  po- 
tremo aff'ermare  che  il  senso  di  "  Leuchtwurm  „  non  fu  forse  proprio  al 
lat.  volgare,  ma  spetta  ad  epoca  già  romanza  e  si  .sviluppò  per  uno  di  quei 
passaggi  0  metafore  che  sono  un  "  momento  ,  e  possono  essere,  come  a 
dire,  una  rapida  meteora  nella  storia  dei  dialetti.  Altre  volte,  invece,  la 
metafora  piace  perchè  risponde  quasi  a  un  bisogno  dello  spirito  e  il  nuovo 
significato  si  può  propagare  e  può  finire  con  sopprimere  il  primitivo  e  ori- 
ginario. Talora,  un  fenomeno,  che  può  essere  romanzo  e  non  proprio  del 
latino  volgare,  à  indotto  il  M.-L.  a  creare  una  base,  della  quale  non  c'era 
strettamente  bisogno.  Sotto  *arniculus  (p.  44,  n.  663)  si  legge:  lucch. 
arnecchio.  Ma  io  mi  chieggo  se  qui  non  si  abbia  che  un  esempio  di  gemi- 
nazione distratta  (da  anniculus)  sviluppatasi  su  breve  territorio  sì  che 
il  vocabolo  possa  schierai'si  con  quelli  del  n.  481  :  nap.  annikkye,  abr.  nnekkye, 
tess.  tiec,  ecc.  ecc. 

La  distribuzione  delle  basi  latine,  basso-latine,  celtiche,  germaniche  e 
via  discorrendo  in  ordine  alfabetico  è  una  dura  necessità  in  un  vocabolario 
etimologico,  ma  dà  una  idea  tutt'altro  che  esatta  della  evoluzione  e  degli 
arricchimenti  delle  parlate  neolatine.  Tutti  quei  vocaboli  distribuiti  sullo 
stesso  piano,  costitutivi  di  ciò  che  chiamiamo  "  latino  volgare  „,  non  rispon- 
dono alla  realtà  delle  cose,  in  quanto  dobbiamo  rappresentarceli  come  in- 
trodotti in  tempi  diversi,  a  notevolissima  distanza  l'uno  dall'altro.  La  par- 
tizione geografica  può  qualche  volta  valere  a  farci  distinguere  un'antichissima 
base  da  una  meno  vetusta.  Qualche  altra,  i  dati  storici  possono  venire  in 
nostro  aiuto.  Se  si  considera,  a  ragion  d'esempio,  che  nella  sola  penisola 
iberica  si  anno  rappresentanti  di  un  *halsa  (n.  917),  come  cat.  bassa,  port. 
baìsa,  spagn.  balsa,  si  è  indotti  ad  ammettere  ragionevolmente  che  la  radice 
ne  sia  iberica.  Considerando  poi  che  le  voci  d'origine  celtica  mostrano 
d'essere  sopravvissute,  oltre  che  in  quella  meridionale,  anche  nella  Francia 
settentrionale  (si  pensi,  ad  es.,  al  frane,  charme),  vien  fatto  di  dubitare 
della  celticità  del  vocabolo  *balma,  grotta,  che  si  trova  in  Lombardia,  Ge- 
nova, Piemonte,  Francia  S.-E.  e  guizza  sino  alla  Guascogna  senza  uscire  da 
questo  territorio,  com'è  dimostrato  anche  dalla  toponomastica  (p.  es.  Barme, 
Barmettes,  ecc.).  Si  fa  strada  nell'animo  il  sospetto  che  non  si  tratti  di  un 


Appunti  bibliografici  511 

vocabolo  d'origine  celtica  ^  Questi  ed  altrettali  problemi  dovrebbero  essere 
non  soltanto  accennati,  ma  studiati  e  approfonditi.  Qui  mi  limiterò  a 
scegliere  un  altro  esempio,  per  il  quale  la  storia  ci  soccorre  con  i  suoi 
lumi.  Si  dubita  se  l'ital.  flotta  venga  dal  frane,  flotte  o  dallo  spagn.  lìvta; 
ma  se  si  osserva  che  l'a.  frane,  flotte  aveva  il  senso  di  "  moltitudine  „  e 
che  i  primi  esempi  della  voce  in  Italia  figurano  nel  Ramusio  (I,  135, 
186.  138,  ecc.)  e  in.  iscritture  del  ".jOG  e  "600  volgarizzate  dallo  spa- 
gnuolo  e  se  si  considera  che  soltanto  in  età  tarda  il  frane,  flotte  assunse  il 
significato  di  "  armata  navale  „  e  in  un'età  in  cui  è  difficile  ammettere  un 
influsso  francese  sull'italiano,  ci  si  sentirà  disposti  a  ritenere  il  vocabolo 
italiano  di  origine  spagnuola  (cfr.  Zaccaria,  Iberismi  in  Italia,  p.  84).  Non 
meno  arduo  è  lo  studio  dei  trapassi  di  accezione,  perchè  il  linguaggio,  an- 
teriore alle  nostre  grammatiche  e  ai  nostri  schemi  e  sistemi,  si  vendica 
talvolta  degli  eruditi,  facendo  balenar  loro  delle  parvenze  di  realtà,  nelle 
quali  l'animo  si  riposa  forviato  e  illuso.  Come  tener  sempre  il  debito  conto 
di  quegli  elementi  interiori,  vari  e  multiformi,  che  vanno  ognora  compagni 
alle  manifestazioni  umane'?  Come  pretendere  di  scoprire  sicuramente  e  in- 
terpretare gli  avvicinamenti  che  la  mente  del  popolo  può  avere  scorti  fra 
oggetto  e  oggetto  e  idea  e  idea,  giungendo  a  comparare  cose  che  a  noi 
paiono  disparate  e  lasciando  nella  parola  la  traccia  durevole  di  codesti 
raccostamenti  ?  '. 

Ma  per  non  correre  il  rischio  di  troppo  divagare,  verrò  ora  a  qualche 
punto  speciale  del  nuovo  vocabolario  e  limitandomi  soltanto  a  poche  po- 
stille, noterò  a  proposito  di  acer,  acrns  (n.  92)  che  a  Dompierre  si  à,  per 
*  ciliegia  ,,  il  derivato  grèta  (=  agreta)  e  che  uno  speciale  formaggio  della 
Savoia  è  chiamato,  almeno  a  Ginevra,  cgroìi. 


'  È  quasi  impossibile  precisare  donde  esso  possa  venire.  Recentemente, 
ne  à  toccato  Jud,  Ball,  de  dialectologie  romane,  III,  p.   12,  n.  1. 

^  Qualche  esempio  di  accostamenti  e  di  scambi  non  sarà  qui  fuor  di  posto. 
Ricorrerò  all'ALFr.  Dalla  carta  n.  1372  (ivr  luisant)  si  apprenderà  che  la 
lucciola  è  chiamata  in  alcun  luogo  col  nome  del  "  baco  da  seta  ,  [ver  à 
soi,  409,  423)  0  anche  del  "  grillo  „  igriyó,  7)  o  del  ^  lombrico  ,  {ver  de 
terre,  359),  e  dalla  carta  n.  683  (hanneton)  si  ricaverà,  a  ragion  d'esempio, 
che  il  maggiolino  è  chiamato  in  piii  luoghi  "  cicala  „  o  anche  "  tafano  , 
oppure  "ape,  (nn.  887,  729,  697;  898,  779,  991;  690;  ecc.).  Vedremo  cosi 
nella  carta  1198  (.tauterelle)  essere  la  cavalletta  designata  col  nome  di 
*  cerva  ,  {biche,  510,  511,  521)  o  anche  di  "  capra  ,  [tsahra,  812  e  v.  946,  947) 
0  col  nome  di  "  gallo  ,  {kok  d'aout  270,  192,  ecc.)  o  di  "  gatto  ,  dei  prati 
(185),  ecc.  ecc.  E  nella  stessa  denominazione  toscana  "  cavalletta  „  non  ab- 


512  Appunti  bibliografici 

N.  119.  Tra  i  derivati  di  acucuìa,  va  anche  il  vales.  (eudhio,  erba  ri- 
gida terminata  in  punta  e  pungente.  Sulla  Livenza,  l'agorajo  oltre  che  agariòl 
(veneto)  è  chiamato  anche  j>enariòl.  Nel  modenese:  gncciaról. 

N.  277.  Ven.  arctiva  (a  S.  Stino)  è  chiamata  l'erba  dei  rivali  (derivato 
da  urger,  per  agger).  La  forma  urger  trovasi,  com'è    noto,    in   basso    latino. 

N.  310.  In  documenti  ferraresi  del  sec.  XV  aleve  (*alupu)  sono  le  guardie 
di  un  libro. 

N.  331.  ulbìis.  Nel  catalano  e  guascone  uubat  {alhàt)  è  detto  di  un  fan- 
ciullo morto  in  tenera  età,  grazie  al  vestito  bianco,  con  che  vien  seppellito. 
Millardet,  Ree.  de  textes  d.  ano.  diul.  landais,  p.  258. 

N.  382.  ulter.  Già  in  doc.  tose,  del  sec.  XIII  si  trova  la  forma  antro 
assai  diffusa  oggi  nel  centro  d'Italia. 

N.  409.  umhiture.  Nel  "  Riman.  toscano  del  Libro  di  Ugufon  da  Laodho  „, 
abbiamo  la  forma  minar  {nn^^  nd).  Fra  i  derivati  è  curioso  il  composto 
ven.  casandronu,  donna  che  va  nelle  case  di  tutti. 

N.  424.  amita.  Va  ricordato  il  novar.  (campagne)  amìu,  che  verrà  da 
un  *amda,  con  d  in  l  per  assimilazione  nei  casi  in  cui  la  parola  aveva 
l'art.  Vumlu. 

N.  430.  unqylus.  Nell'Emilia  è  chiamata  sculàmpia  una  scala  pivi  grande 
delle  altre. 

N.  447.  *andago.  Emil.  anquunu  (anzi  che  undana)  per  influsso,  a  quanto 
penso,  di  ancu  (cfr.  bologn.  uncarola). 

N.  462.  Nel  neuchat.  unvert  avremo  un  incrocio  di  lucerla  con  *unguitt>« 
(Tappolet,  Bidl.  d.  Gloss.  d.  Patois  de  la  Siiisse  romande,  li,  7).  A  Dompierre 
lanvoiié  (Gauchat,  p.  54). 

N.  476.  animai.  Da  notarsi  la  metatesi  mutua  nel  regg.-em.  minà'l, 
majale. 


biamo  noi  la  prova  d'una  somiglianza  che  l'uomo  scorge  nella  locusta  col 
cavallo,  sia  per  il  saltare,  sia  per  la  conformazione  della  testa?  E  se  essa 
è  chiamata  sàja  in  Valtellina  e  sajòtru  nel  Canton  Ticino  non  avremo  anche 
qui  a  vedere  fissata  nella  denominazione  stessa  la  proprietà  principale 
(quella  del  saltare)  del  medesimo  animaletto?  La  serie  di  siffatti  avvicina- 
menti, che  sono  attestati  dai  termini  impiegati  dal  popolo,  è  infinita  in 
ogni  categoria  di  cose  ;  ma  nei  nomi  degli  animali  e  delle  piante  il  feno- 
meno di  che  ci  occupiamo,  può  essere  pili  facilmente  riscontrato  e  studiato. 
Si  prenda,  ad  es.,  la  carta  faìnes  dello  stesso  Alias.  Si  vedrà,  per  dirla  con 
lo  Gilliéron,  che  *  les  hètres  portent...  des  glands,  des  chàlaignes,  des  noix, 
des  noisettes  ,.  Sono  cose  ben  note;  ma  non  inutili  ad  essere  rammentate 
a  questo  luogo. 


Apiiunti  bililiogriitici  513 

N.  462.  Emi],  oif/ni.  Al  n.  574  il   moden.  è  inghiroìa. 

N.  618.  rimlicaziont'  ZRPH.  XXX,  ol4  non  è  esatta.  A  Oderzo  l'arco- 
baleno è  detto  arco  cdesle  e  a  Guiglia  (App.  raoden.)  afk  carderia. 

N.  646.  arillus.  11  Mever  Liibke,  ritornando  su  questo  vocabolo  nella 
Zeitschr.  f.  roiu.  Phil.,  XXXVl,  599,  si  è  chiesto,  a  ragione,  se  questo  arìllus 
bielle  glosse  altro  non  sia  che  una  voce  romanza  meridionale  rappresen- 
tante areiDiìa.  arinnla  (ci'r.  moltett.  arinrìc).  In  ogni  modo,  si  può  citare 
anche  il  nap.  agrill^,'ia.v.  gril'le  per  il  loi'O  g-.  Secondo  me,  vi  à  contami- 
nazione con  grano.  Si  pensi  al  march,  centr.  granìello,  spagn.  granaja. 
Non  sarà  discaro  sapere  che  nei  Sinoninia  (sec.  XV)  accodati  a  un  ms.  del 
Circa  Insfnns  salernitano  e  desunti  certamente  da  più  antichi  glossari 
(Camus,  L'opera  salernitana  "  Circa  Instans  „,  p.  51  sgg.)  si  legge  :  arilloriim 
i.  se))icn  urae.  articolo  che  il  Camus  non  ha  riprodotto  fra  «luelli  da  lui 
trascelti  e  pubblicati.  11  nap.  agri/le.  h  accanto  (a  conferma  della  nostra 
supposizione)  la  voce  arillc  (Bonaparte,  Trans,  of  the  Phil.  Sue,  1882-84, 
p.  oli),  lì  molf.  arini'Ii;  ha  nel  vocabolarietto  di  R.  Scardigno  (1903)  il 
senso  di  "  piccola  membrana  che  avvolge  il  seme  „.  Va  duncjue  con  ital. 
ariUo,  frane,  arille,  spagn.  arilo,  -a,  (lort.  arillo  "  Samenhtilse  ,.  11  criterio 
geografico  parla  in  favore  di  quest'ultimo  significato,  quando  si  voglia  sta- 
bilire la  priorità  dei  due  sensi  :  "  Kern  der  Weinbeere  „  e  "  Samenhiilse  „  ; 
e  non  pare  che  si  possa  risalire  a  due  etimi  distinti.  Sicché  riesce  dubbia 
l'ipotesi  del  Meyer-Liibke  su  arenala,  e  la  voce  arillus  rimane  oscura. 

N.  791.  aareolus.  Svizz.  roni.  loriol  (Bridel). 

N.  857.  'babbìis.  È  da  notarsi  nella  Corsica  meridionale  la  forma  bahbuziii 
per  dire  il  "  patruus  ,,  il  "  barba  ,  di  altri  dialetti  ital.  settentrionali.  Su 
barba,  vedasi  Jud,  Arch.  f.  d.  Sf.  d.  n.  Spr.  n.  Lit.,  CXXI.  96. 

N.  964.  *barros.  Questo  numero  va  ora  arricchito  delle  voci  acutamente 
studiate  da  Jud,  Bull.  d.  dial.  romane,  III,  13.  Accanto  all'ossol.  valm. 
hrénsciol  "  ginepro  „  (ant.  ticin.  berenzum)  si  ponga  brinscet  "  ginepro  „  in 
Val  Verzasca. 

N.  1029.  A  proposito  del  bologn.  handiga,  non  voglio  dimenticare  che 
la  ■*  refezione  che  si  dà  in  fine  di  lavoro  ai  muratori  „  e  detta  a  Pievepelago 
ganzega  [Scoltenna,  1883,  p.  75). 

N.  1111.  bini.  A  S.  Stino  bina  è  una  "  coppia  di  pani  ,. 

N.  1161.  Nelle  montagne  emiliane,  il  "  pane  senza  companatico  ,  è 
chiamato  biosso  e  anche  biuscio  (infl.  di  biascicare). 

N.  1199.  bombus.  Nelle  Marche  bombarella  è  una  specie  di  chiocciola 
(tose,  marinella). 

N.  1261.  Da  notarsi  l'ant.  a.  ital.  braci  "  grida  „.  Arch.  gì.,  XV,  50. 

N.  1438.  11  baco  da  seta  in  certe  parti  del  Veneto  è  pur  chiamato 
cavalier. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  34 


514  Appunti  bibliografici 

N.  1461.  caecm.  A  Courtisols  (Marne)  la  "  talpa  ,  è  detta  sieu  (vedasi 
Rolland,  Faune  pop..  I,  10).  A  proposito  della  idea  di  "  cecità  ,  attribuita 
a  ragione  (e  talvolta  a  torto)  ad  animali,  mi  si  conceda  una  breve  digres- 
sione sulla  voce  ven.  marissorbula.  Questa  voce  mi  viene  da  Monselice 
(Padova).  Quanto  al  secondo  elemento  {òrbuln),  è  chioTo  che  esso  si  deve 
alla  falsa  credenza  della  cecità  nella  salamandra,  credenza  che  ci  dà  la 
chiave  per  ispiegare  —  più  che  le  denominazioni  mii.  cercarla,  valsass. 
scer varia,  bresc.  sercala,  le  quali  tutte  potrebbero  non  condurci  a  caecus 
(Nigra,  Arch.  ylott.,  XIV,  269),  ma  rioonnettersi  con  coni,  cercagrisa  e  Val 
di  Scalve  cercafnlie  (Salvioni.  Krit.  .fahresbericht,  V,  I,  1.32)  —  la  designa 
zione  sguèrscia  che  la  salamandra  ha  nel  bergamasco.  Si  pensi  al  termine 
bissòrbnìa  che  la  lucertola  ha  in  qualche  luogo  del  Veneto  e  anche  altrove. 
Pure  la  lucertola  è  stata  creduta  cieca.  11  primo  termine  mariss-  si  con- 
nette 0  a  maras  'vipera,*  (Nigra,  Z.  f.  rom.  P/i.,  XXVIII,  644)  o  alle 
denominazioni  malissandra,  mala  lissandra  (Parma),  marassandola  (Mantova), 
maùsandra  (Oderzo)  già  studiate  da  altri  e  risalenti  a  .salamandra  con  me- 
tatesi reciproca  di  s  -  m  e  affievolimento  della  semipostonica.  La  voce 
marissorbula  e  dunque  un  incrocio  assai  interessante.  Qualche  altra  deno- 
minazione della  salamandra,  che  non  trovo  studiata  o  registrata,  darà 
qui  in  breve  :  a  Rocella  Jónica  (Calabria)  salamlda  ;  a  Gerace  sahimida,  a 
Lanciano  (Abruzzi)  tarandelle,  a  Gubbio  capoccioni.  A  Bav,zano  (Bologna)  e 
chiamato  salamandra  un  pesciolino  dei  fossi  ^. 

N.  1471.  A  S.  Stino:  ce/ara,  piccolo  podere. 

N.  1525.  Mi  chieggo  se  anche  il  friul.  cadope,  codope  "  tartaruga  „  non 
vada  richiamato  a  ^KaÀónovg  "  forme  en  bois  pour  fabriciuer  des  chaussures  „ 
con  influsso  di  "  piede  ,  che  avrebbe  mantenuto  il  -p-.  Ma  vedendo  che  la 
"  tartaruga  „  è  pur  detta  cope,  vien  fatto  anche  di  pensare  che  in  cadope 
si  abbia  un  qualche  incrocio  con  il  lat.  cappa.  In  ogni  modo,  mi  par  diffi- 
cile che  abbia  ragione  il  Jud  [Bull,  de  dial.  rom.,  IV,  60),  il  quale  vedrebbe 


^  Si  noti  che  il  Bdxapartk,  Trans,  of  the  Phil.  Soc,  1882-84.  registra 
magrasio   "  salamandra  „. 

'  Quanto  a  snlamida,  .si  tratterà  di  vocabolo  greco.  Morosi,  Arch.  glott., 
XII,  83.  Hanno  parlato  delle  denominazioni  della  "  salamandra  ,  il  Salvioni, 
Z.  f.  rom.  Ph..  XXllI,  528;  Krit.  Jahreéb.  cit.,  V,  132;  il  Vidossich,  Z.  f. 
rom.  Ph..  XXVll,  614;  XXX,  205;  il  Nigra,  id.,  XXVIII.  5,  e  Arch.  glott., 
XIV,  269;  XV,  274,  277  ;  e  lo  Schuchardt,  Z.  f.  rom.  Phil.,  XXX,  716.  Nella 
Svizzera  romanda  e  in  qualche  dial.  dell'Est  della  Francia  la  salamandra 
è  detta  tà,  ed  è  curioso  che  questo  tà  in  qualche  altro  dial.  francese  de- 
signi la  "  courtilière  „   o  grillotalpa. 


Appunti  bibliografici  515 

in  codojx'  una  parola,  diciaui  cosi,  preromanza.  Questa  voce  richiederebbe 
uno  studio  approfondito.  Nel  Du  Gange,  H,  36.  leggo  una  definizione  di 
calopedcn  che  mi  par  dia  ragione  della  somiglianza  che  il  volgo  avrà  notata 
con  la  tartaruga:  "  calcei  lignei  quorum  ])ars  interior  lignea  est,  superior 
vero  coriacea  „.  Nel  Veneto  si  sente  anche  codòpa. 

N.   1566.  Canva.  cantina,  anche  nel  Canton  Ticino  (p.  es.  a  Gnosca). 

N.  1599.  A  Cannobio  chiik  (canape).  A  Modena  (■((naréin,  lisca. 

N.  1640.  11  moden.  carcdol  andrà  col  tose,  ijarédeno.  sen.  g(wédano  con 
-n  in  ■/.  non  potendo  foneticamente  riallacciarsi  bene  a  cupitulu.  La  base 
ne  sarà  dunque  "capitmu. 

N.  1649.  Regg.-emil.  gavarióì,  viticcio. 

1681.  Trovo  (acc.  plur.)  carcossi(>[8\  "  faretra  ,  in  un  docnmcnto  mode- 
nese {Mem.  a.  1347,  II,  n,  137). 

N.  1703''^'*.  A  Milano,  Como,  Ascona  e  in  altri  molti  luoghi  della  Lom- 
baniia  e  del  Canton  Ticino  il  grano  turco  e  chiamato  Carlón  dal  nome  di 
Carlo  Borromeo.  Cfr.  Spitzer,  Die  XanienfjebKiig  bei  neu.  h'nlfur/t/ìaìizcn 
(Worter  u.  Sachen.  lY).  p.  145. 

N.  1744.  Da  notarsi  nel  Valais  tsah'lnii  (chàtelain),  "  juge  de  paix, 
élu  par  le  suff'rage  universel  ,. 

N.   1764.   Cadilo,  chiudenda  di  stecconi,  a  Pievepolago. 

N.  1S06.  Accanto  a  ital.  poscigno,  lucch.  porcenu,  ecc.  si  ponga  l'alto 
veneto:  pnssiùada  "  merenda  delle  veglie  „.  Il  bellun.  à  possén  "  frutta 
secca  „.  Vedo  poi  che.Jud,  Areh.,  CXXIV,  406,  cita  un  eng.  craschigner,  ch'egli 
dichiara  da  un  cras-ceniion. 

N.  1915.  A  Bologna  è  chiamata  zeinlabi<f/ra,  la  cimice  salvatica  del 
legno. 

N.  1932.  A  S.  .Stino  signnr  "  ammiccare  „,  con  immistione   di    sigino». 

N.   1933.  Anche  a  Reggio-Ein.  zcTi,  cenno. 

N.  2009.  Veneto  sett.  kitker,  il  noce. 

N.  2047.  collibertus  II  trattamento  irregolare  di  o-  nel  fr.  cuilvert, 
cHÌvert  dipenderà  dal  fatto  che  il  vocabolo  è  in  Francia  d'origine  straniera. 
Fu  importato  dall'Italia. 

N.  2209.  A  Gnosca  (Canton  Ticino)  co'bio  e  '  pariglia  „.  L'-o  si  spiega 
per  assimilazione  alla  tonica.  Siamo  in  territorio  dove  il  fenomeno  e 
normale. 

N.  2345.  A  Ferrara  è  chiamato  grmtón  il  torso  di  una  mela.  In  gene- 
rale,  in  P'.milia  la  voce  è  ruigun. 

N.  2365.  Deriverei  da  un  exicu)curbncea  l'emil.  sgarbaza,  erba  cattiva 
di  un  campo. 

N.  2384.  A  Parma:  r»/f(.srw,  fuoco  fatuo,  befana.  E  se  ne  veda  Salvioni. 
Romania,  XXXVI,  231. 


i 


516  Appunti  bibliografici 

N.  2386.  In  qualche  luogo  del  Veneto,  vive  un  copara  o  coperà  ^=  con 
(cum  +  pariu  -f  ad).  Cfr.  nel  Cavassieo  pera,  apera,  trev.  pera,  friul. 
parie,  insieme,  unitamente.  E  vedasi  Salvioni,  Cavass.,  II,  384. 

N.  2429.  S.  Stino:  co'defjo,  erba  da  levar  via. 

N.  2552.  demorare.  Il  senso  di  "  divertirsi  ,  (se  demornr)  e  ben  noto 
anche  in  ant.  provenzale.  Cfr.  Levy,  Petit  dict.  s.  v.  Anche  demor  (Arn. 
Daniel,  XV,  18:  Beutat,  joven,  hos  faitz  e  beh  demorz)  ebbe  il  senso  di  "  di- 
vertimento „. 

N.'  2562-3.  In  ant.  moden.  è  attestato  denzicare  (cioè  :  *dentiare  =  den- 
ticare),  aver  male  ai  denti. 

N.  2618.  A  Finale  b  inteso  dester  (dexter)  detto  di  un  tappeto  in 
cattivo  stato. 

N.  2632.  A  San  Stino:  disdo'pera.  giorno  di  lavoro. 

N.  2714.  A  Modena:  sdugaro.  Se  ne  veda  Bertoni,  U)t  ìiiioro  dociini. 
volg.  moden.  del  sec.  XIV  (1353),  p.   13. 

N.  2719.  dolatoria.  Nel  Veneto:  daldora  con  dissimilazione. 

N.  2738.  A  Gorduno  (Canton  Ticino):  induminghi,  domenica. 

N.  2839.  La  voce  modenese  è  veramente  armufena'r,  non  già  armazem. 

N.  2883.  equa.  Yàlìée  àe  io-ag:  figa  (con  un  y  proveniente  dall'art,  les). 

N.  2913.  Regg.-Em.  lesca  (vedasi:  Reggianello,  p.  29). 

N.  3121.  In  parecchie  parti  del  Veneto:  f rabica,  fabbrica. 

N.  3143.  A  Lille:  flaia/ne.  Vedasi  Thomas,  Romania,  XXXVI,  123. 

N.  3178.  A  K,eggio-Em.  è  detta  fama  ("  fame  „)  una  malattia  che  di- 
vora il  grano  (la  "  volpe  ,). 

N.  3239.  A  San  Stino  vive,  allato  a  (emina,  la  forma  fq'mena. 

N.  3248.  Moden.  fle'nga,  una  carta  da  giuoco  senza  alcun  valore. 

N.  3268.  A  San  Stino:  fresine,  fuscello. 

N.  3400.  Ad  Ascona  (Canton  Ticino)  sono  chiamati  "  fochi  „  i  zolfanelli. 

N.  3478.  A  Gorduno  la  "  fragola  „  è  detta  frung'  (immistione  di  fungu'i). 

N.  3625.  La  forma  moden.  a  me  nota  è  veramente  gultn  non  giiltun. 

N.  3684.  Macerat.  giardile,  giardino. 

N.  3768.  ghit  (non  gtt)  come  appare  dalla  carta  canard  deWAtlas. 

N.  3823.  Nel  Cavassieo:  gorz  "  sassaja  „. 

N.  4056.  arpyón,  "  ergot  (du  coq)  ,.  Juret,  Patois  de  Pierrecourt,  p.  73. 

N.  4092.  Cant.  de  Vaud:  taira  (Bridel:  leirein);  regg.  le'dra  (con  ^  con- 
cresciuto come,  pure  a  Reggio,  lam,  amo).  Notevoli  neir^^/«s  le  forme  nen 
da  leu  (con  assimilazione).  A  Gorduno  e  altrove  nel  C.  Ticino:  teiere,  plur. 
i  leleri. 

N.  4114.  Ginevrino:  loirie  "  héritage  „. 

N.  4145.  Gorduno  :  limdru.  Siamo  in  territorio,  in  cui  la  finale  si  assi- 
mila alla  tonica. 


Appunti  bibliografici  517 

N.  41G1.  A  Concordia:  ingttaiu'n,  vite  giunta  ai  rami  di  un  albero  a 
cui  è  "  sposata  ,,  come  si  vuol  dire, 

N.  4252.  A  San  Stino  :  chiviló  "  c[ui  „  (cfr.  lucch.  quiviliio(/o).  Ad  Ascona 
accanto  a  un  chilo  c'è  un  lainò  (certamente,  per  dissimilazione,  da  ìnilò). 

N.  4496.  Ant.  neuchat.  entrhes  "  consulation  juridiqne  auprès  de  la 
court  de  justice  „.  Bull.  d.  Gloss.  d.  P.  de  la  S.  Rom.,  V,  15. 

*inrentnare.  Farmi  attestato  da  forme  come  envalé,  "  empoisonner  „ 
nella  Francia  orientale. 

N.  4570.  Yiar.  diaccio,  manico  del  timone.  Pieri,  Zeitschr.  f.  rom.  Phil., 
XXV  IH,  180. 

N.  4624.  Accanto  al  berg.  zijenics,  era  da  citare  il  pur  Ijerg.  zikrnek. 
A  Taranto:  frascianìiiparu  (con  immistione  di  ■*  frassino  ,).  Per  altre  deno- 
minazioni del  "  ginepro  ,  vedasi  Trans,  of  the  Phil.  Society,  1882-84,  p.  (2j  sgg. 

N.  4738.  A  San  Stino  si  a  camat,  con  assimilazione  di  o  a  ad  a-ù. 

N.  4817.  Svizz.  rom.  Ihjtjie-vat.'ìd  ("  allaite  vaehe  ,)  "e  chiamata,  fra  altri 
nomi,  la  "  salamandra  ,. 

N.  4837.  Ferve  la  disputa  se  {scieiir  de)  long  vada,  o  no,  riattaccato  a 
ant.  a.  ted.  ladò  "  Laden  „.  Cfr.  Romania,  XL,  442.  Credo  che  vadano  rial- 
lacciate all'etimo  tedesco  soltanto  le  voci  della  Francia  orientale  e  della 
Svizzera  francese,  come  laroii,  laon.  lan  (Inonnerie  "  nom  vaudois  du  chateau 
d'amour  „\ 

N.  49::;5.  Cfr.  Sehuchardt,  Zeif.schr.  f.  rom.  Phil.,  XXXIV,  333-4. 

N.  4978.   Montagne  emil.  ghiendna,  col  solito  influsso  di   "  ghianda  ,. 

N.  5097.  Oggidì  a  Modena  si  dice  unicamente  logre'tt,  lugrétt,  che  attesta 
bene  un  logh^r  (locora). 

N.  5118.  Agg.  l'ant.  a.  ital.  luìtano. 

N.  5135.  Ven.  làgro;  Tesino:  dugarin. 

N.  5138.  Tose,  ciana  re  "  dir  male  ,. 

N.  5158.  In  parecchi  luoghi,  nell'Alta  Italia,  il  "  lombrico  ,  è  chiamato 
unicamente  "  verme  ,. 

N.  5162.  A  Modena  :  himinaról  e  anche  lufnól,  abbaino.  A  Mirandola 
numinaról  (Voc.  di  F.  Lolli). 

N.  5247.  major.  Frign.  Rimazo  (rivus  major).  11  M.-L.  à  escluso  di  pro- 
))osito  le  voci  toponomastiche;  ma  ci  si  può  chiedere  s'era  proprio  il  caso 
di  escluderle  tutte,  anche  quelle  che  provenendo  da  speciali  nomi  comuni 
trovavano  già  la  loro  naturale  base  nel  vocabolario.  Forme  come  Avriga 
(.\prica),  Braja  ecc.  avrebbero  potuto  essere  citate. 

N.  5250.  A  Balerna  (Canton  Ticino)  sono  cliiamati  giUstrei  i  ''  mirtilli  , 
(detti  ludrión  ad  Ascona).  Nella  Svizz.  rom.  una  specie  di  formaggio  è  detta 
mai/intse. 


518  Appunti  biblioj^rafici 

N.  5277.  Trovo  mantana  "  levatrice  ,  nel  Vocab.  modenese  del  Reggia- 
nini,  1827. 

N.  5312.  A  San  Stino:  mci/ont'ra,  stia  delle  galline. 

N.  5362.  A  Bologna  è  detto  mare'  il  "  veggio  „  o  scaldino.  Per  "  ma- 
rito „  in  quasi  tutta  l'Alta  Italiasi  adopera,  come  in  Fx-ancia  {Atlas,  n.  814\ 
il  vocabolo  homo. 

N.  5881.  Marte  in  beh  !  è  a  Bologna  il  nome  del  giuoco  della  "  mosca- 
cieca ,..  Ad  Ascona  è  detta  nallamartén  la  "  cavalletta  „. 

N.  5434.  A  Mirandola:  maitinada;  a  Modena:  mantina'da;  a  PavuUo 
smoitinii'da. 

N.  5469.  Moden.  la  me'ln;  Gorduno:  l'amer  o  la  mer^. 
Con  saggio  pensiero,  il  M.-L.  à  tenuto  conto  degli  "  incroci  ,,  ai  quali 
risalgono  in  gran  parte  i  perturbamenti  delle  così  dette  norme  fonetiche. 
Queste  "  norme  ,  agiscono  piìi  sulla  massa  dei  vocaboli  nel  loro  complesso, 
che  sopra  singoli  esemplari,  dei  quali  molti  per  varie  ragioni  richieggono 
particolari  chiarimenti,  sia  perché  sovrapostisi  a  vocaboli  indigeni,  sia  perché 
sottomessi  alle  grandi  e  multiformi  energie  dell'analogia.  Lungi  da  noi 
l'idea  di  escludere,  come  insussistenti,  i  principi  fonetici.  Noi  atìermiamo 
soltanto  ch'essi  non  si  possono  applicare  ciecamente  in  ogni  caso  e  che 
anno  una  portata  o  una  forza  pili  generale  che  particolare,  in  quanto  l'evo- 
luzione nelle  lingue,  come  nella  natura,  non  à  luogo  nell'individuo  ma  nella 
serie  o  complesso  degli  individui.  Spesso  accade  che  un  esemplare,  foneti- 
camente parlando,  può  essere  spiegato  in  due  o  più  modi,  mentre  le  ragioni 
storiche  e  geografiche  sovvengono,  là  dove  la  fonologia  da  sola  è  incai^ace, 
a  mettersi  sul  retto  sentiero.  Dall'accordo  soltanto  della  fonetica  con  la 
storia  e  la  geografia  scaturiscono  le  rette  e  sicure  etimologie.  E  il  M.-L. 
s'è  attenuto  a  questi  principi  con  magistrale  aggiustatezza.  Mi  si  permet- 
terà di  scegliere  un  esempio  atto,  a  mio  vedere,  a  dimostrare  come  gl'in- 
dirizzi fonetici  abbiano  bisogno  degli  aiuti  della  storia  o  della  geografia 
per  toccare  spesso  la  verità.  Tutti  sanno  che  (4iov.  Flechia  ha  ricondotto 
a  una  base  roragìn[n)  l'ital.  frana.  Foneticamente  parlando,  nulla  di  grave 


'  Una  notevolissima  recensione  dell'opera  del  M.-L.  è  stata  pubblicata 
dallo  JiiD  xiQWArch.  f.  d  St.  d.  n.  Spr.  u.  Lit.,  CXXVII,  p.  416  sgg.  Una 
rassegna  d'insieme  è  stata  scritta  dal  Salvioni,  Deutsche  Literaturzeitung, 
XXXIII,  5-13,  del  quale  sono  anche  da  vedersi  le  importanti  aggiunte  negli 
ultimi  fascicoli  della  R^viie  de  dialectologie  romane.  Nell'ultima  puntata 
di  esse,  il  Wagner  à  fatto  varie  interessanti  jiostille  per  quanto  concerne 
il  sardo.  Per  il  francese,  e  preziosa  la  recensione  del  Thomas,  in  Bomatiia, 
XL,  p.  102  sgg. 


Appunti  bibliografici  519, 

si  può  opporre  a  questa  etimologia.  Ma  se  si  nota  che  nella  toponomastica 
si  hanno  forme  come  Fraginu,  Freina.  ecc.  (sec.  XV)  e  anche  Forcella  forada, 
Petra  forada,  Forum  (foramen),  ecc.  (cfr.  Unterforcher,  Zeitsclir.  f.  rom.  Phil., 
XXXIV,  197),  ci  si  sentirà  disposti  a  ricorrere  a  un  foragin(a)  da  /orare, perchè 
-anche  questa  base  b  foneticamente  accettabile.  Basti  questo  esempio,  fra  i 
molti  che  si  potrebbero  addurre,  a  mostrare,  se  ce  ne  fosse  bisogno,  l'utilità 
di  estendere  le  ricerche  alla  storia  e  alla  geografia  per  controllare,  pesare, 
indagare  ogni  etimo.  Su  questo  principio  à  picchiato  e  ripicchiato  da  anni, 
con  alta  autorità,  lo  Schuehardt.  Gode  l'animo  nel  vedere  che  il  vocabolario 
etimologico  del  Meyer-Lubko,  destinato  a  segnare  una  data  nella  storia 
delia  nostra  disciplina,  conferma  in  maniera  incontrovertibile  i  nuovi  prin- 
cipi linguistici,  già  bene  intraveduti,  del  resto,  e  in  certo  modo  propugnati, 
dai  grandi  maestri:  dal  Diez  e  dall'Ascoli. 

Ma  una  critica  non  è...  una  critica,  se  non  finisce  con  qualche  minuzioso 
appunto.  Noterò  dunque  che  nella  trascrizione  dei  suoni  l'opera  del  M.-L., 
]3ur  mantenendosi  sempre  molto  al  di  sopra  del  vocabolario  del  Korting, 
lascia  alquanto  a  desiderare,  forse  perché  l'autore  non  à  potuto  ogni  volta 
controllare  con  la  pronunzia  locale  la  voce  attinta  a  un  testo  o  a  un  glos- 
sario. Talvolta,  il  rinvio  bibliografico  non  e  esatto  per  evidente  errore  tipo- 
grafico e  talvolta  le  indicazioni  Libliografiche  non  appajono  complete,  benché 
sempre  importanti  e  numerose.  Ma  questi  sono  piccoli  nei,  che  non  riescono 
gran  fatto  a  scemare  l'alto  valore  del  novissimo  vocabolario  etimologico 
romanzo. 

Friburgo  (Svizzera)  nel  Settembre  del  1912. 

Giii.K)  Bertoni. 


CENNO   NECROLOGICO 


EMILIO     XEZ:  A^ 


Mentre  s'era  iniziata  la  composizione  di  questo  terzo  fascicolo,  non  per 
nostra  causa  poi  di  tanto  ritardata,  cessava  di  vivere  il  30  marzo  1912,  in 
Padova,  Emilio  Teza. 

Era  nato  a  Venezia  il  24  settembre  1831;  e  visse  gli  ottant'anni  della 
sua  vita,  per  il  suo  nobilissimo  spirito,  ottimamente;  per  la  scuola,  le  let- 
tere e  la  scienza  italiana,  bene. 

La  fonte  più  ricca  della  sua  felicità  fu  lo  studio:  e  a  questo,  gli  agi^ 
la  morigeratezza  e  una  tempra  nervosa  d'acciaio  gli  consentirono  di  dedi- 
carsi interamente  e  assiduamente  fino  all'estremo. 

La  sua  resistenza  alla  fatica  intellettuale  fu  veramente  meravigliosa.  S'al- 
zava abitualmente  alle  sei  e  subito  era  al  lavoro  :  né  l'a.bbandonava,  se  non 
per  quel  tanto  che  le  occupazioni  accademiche  e  le  necessità  della  vita 
materiale  ne  lo  distogliessero,  fino  ad  ora  tarda  di  sera.  Pur  dopo  i  pasti 
conservava  alacri  le  forze.  Ricordo  che  in  una  visita  improvvisa  fattagli 
pochi  anni  or  sono  a  Padova  ad  ora  tarda,  dopo  la  sua  cena,  lo  trovai  nel 
santuario  della  sua  biblioteca  intento  a  leggere  un  testo  filosofico  indiano; 
e  da  un  amico,  sentii  che  l'aveva  visto  comporre  versi  elegantissimi  dopo 
un  pranzo.  Firenze,  che  d'estate  è  una  insopportabile  fornace,  pareva  fosse,. 
un  tempo,  la  sua  villeggiatura;  quando  chi  poteva  ne  scappava,  vi  veniva 
il  Teza,  quasi  come  un  messaggero  della  canicola.  Mi  ricordo  quando  era 
studente  all'Università  di  Pisa,  e  anch'io  solevo  per  ragioni  di  studio  pas- 
sare l'estate  a  Firenze,  d'avervelo  incontrato  tutti  gli  anni;  e  pure  nelle 
giornate  in  cui  era  più  brucente  il  sole  e  l'aria  afosa,  irrespirabile,  egli  ap- 
pariva arzillo  ed  alacre  al  lavoro,  davanti  a  catasta  di  libri,  alla  Nazionale. 


Cenno  necrolosico  su  Emilio  Teza  521 


Per  una  si  ijiodigiosa  attività,  aiutato  da  una  rara  tenacia  di  memoria, 
egli  potè  t'ormarsi  in  tutti  i  campi  della  filologia  un'erudizione  che  non 
aveva  l'uguale. 

Dotato  d'un  gusto  letterario  squisitissimo,  volle  e  potè  conoscere  tutte 
le  letterature,  antiche  e  moderne,  e  gustarne  le  svariate  forme  ed  espres- 
sioni del  bello.  E  con  pari  interesse  segui  gli  atteggiamenti  del  pensiero 
filosofico  dei  popoli  civili. 

Ma  anche  la  conoscenza  di  lingue  senza  letteratura  e  l'erudizione  lette- 
raria occuparono  sempre  il  suo  spirito  insaziabilmente  curioso,  e  in  certo 
modo  vago  di  far  pompa  di  notizie  peregrine. 

Come  tipo  di  scienziato  può  essere  definito  un  curioso  geniale. 

La  sua  produzione  filologica  e  critica,  fu  abbondantissima,  ma  sparpagliata 
nei  eampi  piii  disparati  della  filologia,  come  la  sua  cultura.  Si  potrebbe 
forse,  0  senza  forse,  esprimere  il  rammarico  ch'egli  non  concentrajse  in 
un  campo  determinato  l'attività  sua  prodigiosa;  ma  per  non  correre  il 
rischio  d'essere  fraintesi  da  chi  non  lo  conobbe  e  far  credere  che  troppo 
scarsa  utilità  l'opera  sua  abbia  apportato  alla  scienza,  è  doveroso  rilevare 
che  la  sua  produzione  non  aveva  nulla  del  dilettantismo,  ch'egli  era  una 
mente  sobria,  ordinata,  scientificamente  rigorosissima,  cosicché  la  sua  pro- 
duzione, che  nel  suo  complesso  supera  certo  quella  di  moltissimi  specia- 
listi, per  dignità  intellettiva  resta  a  pochi  seconda.  Egli  stesso  s'era,  in 
certo  modo,  definito  col  motto:  Labore  et  inconsfantia,  che  si  leggeva  sulla 
porta  del  suo  studio. 

Riguardano  la  dialettologia  italiana,  per  quanto  io  conosca,  dei  suoi 
scritti,  i  seguenti:  Alcuni  versi  inediti  del  Patecchio,  Giornale  di  Filologia 
Romanza,  voi.  I,  p.  233  seg.  ;  Inforno  alla  voce  'gomena'  e  alle  sue  affini. 
Atti  del  R.  Istit.  Veneto  di  Scienze,  Lett.  ed  Arti  1903-4,  p.  967  segg..  Intorno 
alla  voce  'ghetto'  ib.  1903  4,  p.  1273  segg.;  ìlncenzo  Bellando,  Versi  vene- 
ziani nel  '500  di  un  Siciliano,  Atti  e  Memorie  della  R.  Accademia  di  Padova, 
p.  87  segg.;  Appunti  di  agricoltura  scritti  da  un  roìitadino  ib.  1894,  p.  45  segg.; 
Del  vocabolo  'babbagigi',  ib.  1891-2,  j).  367;  Intorno  al  Vocabolario  di  Nic- 
colò Valla  da  Girgenti.  Padova  1900;  Un  maestro  di  fonetica  italiana  (Giorgio 
Bartoli),  in  Studj  di  filologia  romanza,  voi.  W,  p.  449  segg. 


Quel  che  fu  nella  scienza,    il    Tkza    fu  anche  nella  scuola.  Questo  singo- 
lare nomade  della  filologia  vi  spargeva  a  piene  mani  la  più  rara  e  nobile 


522  Cenno  necrologico  su  Emilio  Teza 

semente,  passando  poi  subito  a  campi  inarati,  senza  attendere  di  raccogliere 
lui  il  frutto  dei  tesori  di  dottrina  cli'egli  vi  profondeva;  perciò  un  maestro 
non  fu  chiamato;  ma  pure  conviene  qui  ricordare  che  insigni  furono  i  suoi 
meriti,  anche  per  la  scuola,  specialmente  nei  primi  tempi  della  sua  atti- 
vità. Costituita  l'Italia  nostra  in  nazione,  soprattutto  per  le  discipline  filo- 
logiche, mancavano  uomini  che  potessero  essere  chiamati  all'insegnamento 
superiore;  e  allora  potè  lo  Stato  trovare  nel  meravigliosissimo  uomo  un 
professore  di  sanscrito  e  di  filologia  indoeuropea*;  e  potè  ricorrere  anche 
lo  Stato  sempre  ai  consigli  e  all'opera  sua  in  concorsi  per  lingue  e  lette^ 
rature  dell'Oriente  e  dell'Estremo  Oriente.  Della  quale  sua  multiforme  me- 
ravigliosa funzione  noi  tanto  pili,  mi  pare,  dobbiamo  serbargli  gratitudine, 
perché  tale  nostra  fiduciosa  pretesa  e  sicura  fiducia  nella  potenza  assimi- 
latrice  dell'ingegno  suo  potè  forse  contribuire  a  disperdere  le  sue  forze  e 
a  distoglierlo  dalle  grandi  sintesi. 


Delle  lettere  italiane  fu  cultore  appassionatissinio  e  della  nostra  lingua 
conoscitore  sagace  e  profondo.  Aveva  egli  (ricordo  con  compiacenza  un  di- 
scorso con  lui  sul  rifacimento  berniano  deW Orlammo  Innamorato)  chiaro  il 
concetto^  anche  da  uomini  insigni  misconosciuto,  dell'assoluto  predominio 
della  toscanità  nella  nostra  lingua  letteraria,  cosicché  non  dovesse  la  lingua 
letteraria  nostra  paragonarsi  al  tipo  tedesco,  sibbene  al  tipo  francese;  e 
ricordo  anche,  com'egli  mi  esaltasse  la  virtìi  di  selezione  e  di  precisione 
lessicale,  che  aveva  su  non  Toscani  la  convivenza  coi  Toscani.  Nello  stile 
fu  personalissimo  e  ò  motivo  di  credere  che  due  modelli  contribuirono  a 
plasmarglielo  ':  Tacito  e  il  Tommaseo,  di  cui  egli  era  un  appassionato  ammi- 
ratore. Scriveva  con  molta  eleganza  anche  versi  originali;  ma  a  lui,  se  l'opera 
postuma  non  ci  riserba  sorprese,  le  patrie  lettere  debbono  soprattutto  esser 
grate  per  molte  versioni  metriche  da  lingue  straniere  ignote  alla  grandis- 
sima maggioranza  anche  dei  colti. 


Con  lui  non  ebbi  mai  lunga  consuetudine;  perciò  poco  potrei  dire  del 
suo  carattere  morale.  Rigidissimo,  senza  macchia,  fu  certo,  e  a  me  parve 
singolarmente  buono,  attabile,  cordiale,   e  modesto  anche.  Ricordo  che  una 


*  Fu  infatti  eletto  professore  ordinario   di  "  Filologia  indoeuropea  „  nel- 
r Università  di  Bologna  il  2(3  sett.  del   1860. 


Cenno  necrologico  su  Emilio  Teza  523 

volta,  vantandogli  io  la  sua  protligicsa  tenacia  di  memoria,  egli  mi  disse  : 
"  Oh,  creda  pure,  che  anch'io,  per  le  lingue  che  mi  sono  meno  familiari,  provo, 
dopo  lunghi  abbandoni,  un  certo  stento  a  riprenderne  la  correntezza  nella 
lettura  „.  E  un'altra  volta,  parlando  con  lui  dell'Hiibschniann,  e  vantandogli 
affettuosamente  la  conoscenza  che  lui  pure  aveva  del  difficilissimo  armeno 
(conoscenza  testimoniata  da  varie  pubblicazioni),  si  schermi  dicendo  che: 
"  I  mechitaristi,  quelli  si,  conoscevano  l'armeno  perfettamente  „.  Della  sua 
modestia  ò  anche  da  altre  parti  noti/io  ;  era  piuttosto  restio,  so,  a  inviare 
copia  delle  sue  pubblicazioni  agli  amici  non  direttamente  interessati,  e  di 
qualche  poesia  gli  fu  addirittura  carpito  il  manoscritto  per  la  pubblica- 
zione. Altri  lo  disse  altezzoso;  ma  si  anno  non  pochi  esempì  del  come  nel 
mondo  degli  eruditi  sorgano  le  leggende;  e  devo  credere  che  qualcuno  fu 
troppo  pronto  a  trarre  conclusioni  generali  sul  suo  carattere  da  qualche 
incidente  attribuibile  alla  tensione  nervosa  d'un  momento  di  cattivo  umore. 
Per  la  nobiltà  del  suo  spirito,  depone  in  ogni  modo  nella  maniera  jnu 
sicura  la  sua  vita  tutta  spesa  per  lo  studio,  e  l'aver  prodigato  tutto  il  suo 
per  costituirsi  una  libreria  filologica  privata  d'inestimabile  valore  '  e  l'averla 
generosamente  lanciata  in  retaggio  alla  maggior  biblioteca  della  sua  Venezia. 


Ed  ebbe  anche  sempre  l'animo  acceso  di  caldo  amor  di  }>atria  e  sempre 
fiera  coscienza  d'italianità.  Alle  riserve  degli  stranieri  sulla  vigoria  della 
nostra  stirpe  si  ribellava  energicamente.  E  ancor  ci  risuonano  nell'orecchio 
e  nel  cuore  commosso  i  versi  composti  allo  scoppio  della  guerra  libica, 
e  alla  sua  modestia  pur  essi  strappati  per  la  pubblicazione  da  un  amico, 
che  furono  gli  ultimi  suoi  :  versi  zampillati  freschi  e  vivi  dal  suo  cuor  di 
patriota,  frementi  il  fremito  di  vita  nuova  che  commosse  i  petti  di  tutto 
il    poi)olo    nostro  in  quell'ora  indimenticabile. 

P.  G.  G. 


^  Secondo  un  inventario  quantitativo  fatto  da  Carlo  Frati,  per  il  trasporto 
della  libreria  teziana  da  Padova  a  Venezia  occorsero  292  casse. 


INDICI  DEL   VOLUME^ 


P.  G.  GOIDAMCII 


I.    —    Suoni. 

VOCALISMO 
I.   Vocali    t4»iii<'li<'. 

1 .    Sintesi    fonetiche. 

1.  Nov.  :  a)  Evoluzione  in  parossitoni  in  sillaba  scoperta  53;  /3j  in  sillaba 
coperta  56  n.°  39  ;  y)  in  proparossitoni  60  n."46;  S)  in  ossitoni  62  63; 
e)  in  iato  63  n.'^  60.  65;  C)  influsso  di  nasali  66  n."  65,  67  ;  71  n.»  71  ; 
>ì)  influsso  di  r  l  72  73  n.°  74,  p.  75  n.°  81  bis  ;  d')  di  palatali  che  seguono 
la  tonica  82;  i)  di  palatali  che  precedono  la  tonica  77  n.°  89;  k)  influsso 
di  labiali  90  ;  À)  metafonesi  per  i  finale  atono  e  per  -i  in  iato  79. 

2.  uss.  :  a)  In  parossitoni  in  sillaba  scoperta;  /J^  in  sili,  coperta  con  accento 
conservato;  ^•)  coperta  con  accento  talora  spostato  ;  /V  in  pi"oparossitoni 
ridotti  a  parossitoni  :  y-)  in  proparossitoni  rimasti  fino  a  tardi  tali  ; 
ò^j  in  ossitoni  di  data  antica,  ò~)  e  di  data  meno  antica  ;  e)  per  influsso 
di  nasale,  ^)  di  liquida,  ì])  di  palatale  seguente,  d-)  di  inalatale  prece- 
dente 218-22],  309segg.  ;  i)  di  labiale  222    223. 


^  Mia  costante  preoccupazione  nel  i-edigere  quest'indice  è  stata  di  far 
risparmiare  tempo  e  noia  dei  riscontri  ai  consultatori,  offrendo  loro,  fin 
dove  era  possibile,  il  modo  dell'orientazione  o  dell'inforniazione  imme- 
diata dall'indice  stesso.  All'uopo  mi  è  parso  necessario,  indicare  sempre  il 
dialetto  cui  il  fenomeno  o  la  voce  appartenevano,  e  il  piti  delle  volte  ri- 
ferire il  significato  delle  voci  o  anche  la  ragione  del  riferimento.  Anche 
ò  mirato  a  dare  un'esposizione  analitica  e  sistematica  insieme  delle  materie 
trattate  nel   volume. 


526  Indici.  —  1.  Suoni 

2.    Evoluzione    dei    singoli    elementi. 

P  Evoluzione    legata    alla    condizione    della    sillaba: 

A:  in  parossitoni  scoperti:  nov.  è  54  (75);  uss.  à  244  —  in  parossitoni 
coperti  :  nov.  à  56  ;  uss.  à  245  —  in  proparossitoni  :  nov.  uss.  =  ])ar.  cop. 
60  ;  218  (nov.  8  75)  —  in  ossitoni  :  nov.   a  62. 

E:  in  paross.  scop.  :  nov.  */e  >  e  55  ;  uss.  e  237  —  in  paross.  cop.  :  nov.  è  57  ; 
uss.  e  239  —  in  propaross.  :  nov.  =  paross.  cop.  60  —  in  ossitoni  : 
Nov.  id.  62;    uss.,    in    esito    assol.    prim.    e    second.    *ie>  e   237;    est, 

_  vari  esiti  228    235. 

E  I  :  in  paross.  scop.:  nov.,  kust.  èi  39  54,  urb.  e  54  55;  uss.  ei  et  226  — 
in  paross.  cop.  :  nov.,  uss.  =  E  57,  228  —  in  propaross.  :  nov.  ^  E  (e  75)  60 
—  in  ossit.  :  nov.  =  E  (62)  ;  uss.,  in  esito  assol.  prim.  e  second.,  ai  >  ci 
227  ;  +  nas.,  e  (per  ei)  230. 

/  :  in  paross.  sco]).  :  nov.  X  55  ;  uss.  7  222  —  in  paross  cop.  :  nov.  i  59  ; 
uss.  l  218  —  in  propaross.  :  nov.,  uss.  =  paross.  cop.  61,  222  —  in  ossit.: 
nov.,  urb.  i.  RusT.  e  63  63  n.  1  ;  uss.  l  (dav.  ad  elem.  turbante  reinte- 
grato) 222. 

0  :  in  paross.  scop.  :  nov.  o  55  ;  uss.  o  241  —  in  paross.  cop.  :  nov.  g  59  ; 
uss.  o  243  —  in  propaross.  :  nov.  =  paross.  cop.  61  —  in  ossit.  :  nov.  o  63. 

0  U  :  in  paross.  scop.  :  nov.  ^=  0  55,  56  ;  uss.  il  232  —  in  paross.  cop.  :  nov. 
ò  59;  uss.  =  par.  scop.  234  —  in  propaross.:  nov.  =  paross.  cop.  ò  61 
(o  75)  ;  uss.  0  !>  u  233. 

U  :  in  paross.  scop.;  nov.  à  55;  uss.  ti  223  —  in  paross.  cop.:  nov.  ti  59; 
uss.  =  paross.  cop.  224  —  in  propaross.  :  nov.  =  paross.  cop.  62  in 
ossit.  :  Nov.  =  paross.  cop.,  propar.  ;  uss.  ù  (con  voc.  piena,  davanti  ad 
elem.  turbanti)  223.  225. 

2°  Evoluzione  condizionata  dagli  elementi  contigui: 
a)  Influsso  di  nasali  (Sintesi:  nov.  le  voc.  anno  un  doppio  grado 
di  nasalizzazione  ;  e,  o,  i,  u  sono  lunghe  e  strette  in  sillaba  scoperta  di 
paross.  e  in  sillaba  cop.  davanti  a  w-[- sorda;  sono  brevi  e  larghe  dav.  m, 
in  proparossitoni  e  dav.  a  h  -j-  sonora  43  50  66  67  ;  uss.  in  epoca  re- 
lativamente tarda  la  voc.  si  nasalizza  ma  poi  ridiviene  orale  ;  la  nasale 
produce  gli  effetti  di  consonante  lunga  meno  che  in  e  e  220)  : 

A:  NOV.  a;  ci"  66;  uss.,  scoperta  à;  se  fin.   à  248  249;  cop.  «,  precedendo 

palat    è  249. 
>-'  -  ^  _  _  ^ 

E:  NOV.  ^=  E  l  67;  uss.  scop.  i  (fj  240;  cop.  =  EI. 

E 1  :  NOV.  e;  e  67  ;  uss.  scop.  ei  226;  se  fin.  e  .230  ;  cop.  f  231,  pimi  da 
pieino  (pettine)  239. 


Indici.  —  I.  Suoni  527 

/:  xov.  ì  ve);   V  70:  uss.  scop.  i  con  spo^tam.    d'acc.  :    in  sili.  cop.    l    con 
acc.  mantenuto  223. 

0:  Nov.  =  0  L    67  ;  uss.  scop.  ti,  mantenendo  Tace.  244;   in  sill.co]).  o  u  236. 

Ò  U  :   NOV.   o   [a)  ;    o  6~  ;  uss.   k  con  progr.  d'acc.  23G. 

U  :   .NOV.    H\òi;    Il    70;  uss.  scop.  /(  con  ])roffi-.  d'acc.  226. 

b)  Influsso    di    palatali: 
b^J  Palatale    seguente: 
xov.:  dav.  a  ò'(  e  ;•(  trattamento    di    sillaba    scoperta  76;    o^' >  oj  77; 

in    VCL,   URCL  o  77  (come  nel  tose);  elj'>ij  77;  enj  ^  [n  72. 
uss.:  A  :   ARIU>  er  24S. 

È:  "ie  >  è  237  239. 

È  1:  +  Ij,  ii  230,  in  fine  :  *ei  >  ai,  ei  ;  e  4-  nj  *e  >  p  230. 

Ò  :  g,  (e  (specie  in  fin.)  242  243. 

UNCT:  ont  (con  o  ed  g)  234. 

()  f '  -j-  pai.  :  di   fin.  fi,  oc  235. 

U  +  1  :  rp/  225. 

b-)  Metafone.si  : 

css.  :    0  :  oerzii,  ceeli  243 

U  +  /  >  il  +  /  806. 
NOV.  :  a)  +  nas  +  pai.  : 

E  I  {-Y  pai.  sorda)  :  t  ,  (-|- pai.  son.):  ?  71   72. 

U  (-+-  pai.  son.)  :  ù  72. 
/?;  4-  -I,   .  .  .  -i  : 

£■/  (non   E):  in  sili.  scop.  *,  in  sili.  cop.  i  79  80. 

Ò  U  (non   oj  :  in  sili.  scop.  ù,  in  sili.  cop.  n  80  81. 

U^)  Influsso   di    palatale   precedente: 
NOV.  :  solo  e  in  /  77  e  Giunte  a  p.  72  73  219. 
uss.  :  A,  in  e  (dav.  a  nas.  i)  246  303  n.  8. 

EI   in  i  228 

Ò   in  ce  242 

U  in  »  225  226. 

(9  Influsso    di    liquida: 
A  :  NOV.  è  (^  par.  scop.)  73  ;  uss.  fi  237. 
È:  NOV.  «  74;  uss.  7-  239. 
f^/:  NOV.  ft  =  par.  scop.,  {e}  74  e  Giunte;  us.s.  è,  con  progr.  d'acc.  229. 


528  Indici.  —  I.  Suoni 

/  :  Nov.  I  74. 

Ò  :  NOV.  0  74  (o  248);  uss.  o  243,  rv  241. 

Ò  U  :  NOV.  (/  (=  par.  .scop.)  (o)  74  ;  i;ss.  o  234. 

U  :  NOV.  «  (^  par.  scop.)  (w)  75;  uss.  o?  225;   in  -ura,  proi:;-r.  223. 

d)    Influsso    di    labiali: 
A  :  NOV.   ina  >  ino  (?)   79. 

A':     Ar.     EMIL.,    KNGAD.     371. 

/  :    NOV.  fuhja  78  ;  uss.  priUn,  ror'st  223. 
0  :  xov.  o&  >  ob  78. 
0:  NOV.  o>K  (in  singole  voci)  79. 
U  :  NOV.  trifola  78  ;   i;ss.  tri' f ala  223. 

fy)   Influsso    di  1  ab  i  0- V  el  a  r  i  : 
0  :  uss.,  per  u,  op  241  242. 

fj    Fenomeni    vari    in    finale    secondaria: 
NOV.  :  -ELLI,  RUST.  e  per  ej  63. 

uss.  :  (le  vocali  in  fin.  sono  più  piene  e  larghe  e  più  soggette  a  palatizza- 
zione  219). 

A  :  +  -h,  à  249. 

E:  -^st,  e  239;  f  ^- w"^'"^- ^  f -^  w™''^-  231  232. 

E  :  -e->  ai,  ri  227  ;    est  >  est  228  ;  ESCFF  >  ri  228  ;  *eìt  >  et  àt  228  ; 
e  +  elem.  turb.,  a,    fi   229  (dopo  palat.  e  230)  ;    f  -|-  (^  ^  (*'>  ^'  230  ; 
e  +  nas.  e  (da  ei)  230  ;  e,  e  -{-  nas'=°"'   >  ah,  (i  giovani)  eii,  en  231  232. 
I:  non  turbato  222  223 
0  :  -j- elem.  turb.,  o  pili  largo  che  all'interno;    o  -\-  n^  aAa)  242; 

+  X  >  oei  242  243. 
0  U :  +  elem.  turb.,  a:   -{-\Mi\.,  n,  a'  235. 
U  :  non  turbato  224  225  ;  pai.  +  a  +  n,  il  221  n.  1  :    »  +  w  turb.  221  n.  1. 

g)   Iato    {primario    e    secondario: 
NOV.  :  63-66. 
uss.:  309-318. 

hj   Le   vocali   davanti  ad  elementi  turbanti  nell'ussEGLiESE  : 
A  :  à  ;  -\-  nas.  à. 

E  :  ^  II,  e  ;  -\-  altra  cons.  e;  +  nas.,  ditt.,  i,  è  238  239  240. 
ÈI:  e,  0  progress.;  se  fin.  a  220;  -|- nas.,  ei,  in  fin.  è  226  230. 
7:  i,  se  mediano,  con  progressione  222  223. 
0:  T>,o;  ~\-lì.  o;    ^-i,  0  o  ce;  +  m,  u  243  244. 


ludici.  —  1.  Snoni  529 

à  U:  *u  (turbato)  >o,  ò  o  progress.;  se  fin.  (y)  u  234  335  236. 
U  :  ii,  se  mediano,  con  progress.  22.5  226. 

0  Nov.  E  .s  p  o  s  i  z  i  0  u  e  complessiva  dei  casi  particolari 
in  cui  non  si  riscontrano  applicati  i  principi  evolutivi 
fonetici    del    v  o  e.    tonico    81-i)6. 

Dittonghili    tonici. 

AU:  xov.  o;  {gì);  {oh):  ossit.  ó  (ma  Po,  ko)  ;  <iv  of  96  97:  uss.  ò  289. 
Af:  da    as,  nov.  ?;  [ai]  98. 
APJ:  xov.  ?  54;   rss.  ?  289. 
OI-J:  U.SS.  --  E  289. 

Sorte   dei    ditt.    ncH'iss.  313-315. 

II.    ^'«M-alì    4lis:i<'<-<Milate. 

1.    I  n  i  z  i  a  1  i    as  s  0  1  u  t  e. 

Nov.  :  aferesi  in  verbi  e  avverbi;   in    unu    una;  in  nomi   per  fusione  col- 
l'artieolo  104  105  106  —  voc.  +  r,  l,  iii,  n,  aferetiche  o  no,    secondo  la 
fonetica  sintattica  106 
an-  +gutt.  >  in   106  107 
r—  >■  a-,   i-   107. 
uss.  :  aferesi  in  verbi,  avverbi  e  nomi  307   —    di  t-  in  /V"''^-   336   —   alter 

nanze  m  fonetica  sintattica  353 
.MANTov  ,  MoDEX.  :  afercsi  in    iniziare    v.   Lessico. 

2.    I  n  t  e  r  n  e    di    prima    s  i  1  1  a  b  a. 

a)  Semitoniche   ( '-)  : 

xuv.  :  conservate  in  paradio:mi  accentuativi  mobili  e  nel  pref.  dis-  124  125 

—  in  altri  casi  come  le  atone. 

uss.  :  resistono  di  pili  ;  dis  >  d'^s  ;  ei  >•  ii,  ;    e  >  f  ;    ru-    conservato  ;    /'"  id. 
307  308  —  del  resto  come  le  atone. 

b)    Atone   (-  -)  : 
A-  :    xov.  di  reg.  intatta  107   125  —  dileg.  in  frasi  scherzose  108  ;  dileguo 
apparente  ib. 

uss  :  di  reg.  intatta  298;  '^ons.,.^^  [^  «r  301  (talora  non  avviene  la  me- 
tatesi 301  n.  1)  -  (pai.  -f  )  a  in  i  (a)  301  302  303  -   a  +X>  ei,  ti,  i  308 

—  «  4-  lab.  in  u  305. 

E-  :  NOV.  sincope  in  sili.  scop.  del   dial.   109  (125)  —  e-  in  posiz.  109  110 
(125  126J 1-  liq.,  u  IKJ  115  (126)  —  cons.  +  re  -}-  cons.-,,er  110  (126) 

Archivio  glottol.  ital.,  X\'I1.  35 


530  Indici.   —  1.   Suoni 

—  en  -f  cons-,  in  (en),  an  111  (126)  —  vedi  Prostesi  —  dopo  palat.  i  [e] 
115  (n.  163  464)  116  (126)  —  dopo  lab.  iuist  u  115  (126)  —  secondario, 
in  i  115  117  118  —  re  cop.  >  «r  nov.,  per  anal.  di  re-  scop.  117. 

u.ss.  :    -f  liq.,  dileof.  298:  ser.  307 t-rr,  dileg.  298    —    +  esplos.  e 

e  dil.298  —    +  nas.  e  e  dil.  299 h  s,  f  -   (seriore)  +  liq.,  a  299  — 

er  cop.  >  «r,  ér,  er  300  —  cons.  -\- re,  er  300  —  pai.  -j- ^>  e,  i  303  — 
e  +  pai.,  è  >  i  303   —   e  ^- i>  ei,  ti,  i  304    —    dis-  >  dis,  des,  drs  304 

—  e-\-  iab.  i«  ;  ii  305  —  e  +  «  cop.  >  aii  305  {arpentl  306)  —  ««  >  f«  305. 
J-i:   NOV.  resta  118  127. 

uss.  resta  298  ;  seriore  307  —   ì  +  lab.,  ii  304. 
0- :  NOV.  scop.  diieg.  di  reg.  119  120  —  cop.  resta  121    —    e» -|- cons.  —/ 
in  u  122  128. 

MODEN.  :  dileg.  364  364  n.  1. 

uss.  :  0  >  u  299  ;  ser.  307    —    cons.  -)-  ro,  er  301    —    o  -t-  pai.,    di  so- 
lito it  [kilna,  kiiià)  303  —  o -\- i^'>  ili  ;  oei  304  —  oin^uni  305. 
U-:  NOV.:  resta  128  124. 

uss.  :  ii,  resta,  di  reg.  298  ;  seriore  306  —  Un  >  in,  nel  disc,  rapido  298 

—  ril  second.  >  tir  301  —  «(>  U  304  —  u  -{-  cons.  -|-  /  in  ii  306. 

3.    Mediane    p  r  o  t  o  n  i  e  h  e    (p  o  s  t  s  e  m  i  t  o  n  i  e  h  e    -  — '-). 

NOV.  —  A~:  cade  in  sili.  scop.  di  derivati  da  parole  con  postoniche  me- 
diane dileguate  o  ridotte  (stonieg  stomgl'n)  ■ —  se  preced.  da  gruppi  di 
cons.  resta  {organi  n)  129  —  se  seguito  da  r,  resta  129  —  resta  in  ogni 
altro  caso  129. 

-E-:  in  sili.  scop.  cade  130  —  in  sili.  cop.  resta  131  —  er,  el'>  (al  so- 
lito) ar  al  131  —  cons.  -(-  re  >  (al  solito)  er  132  —  in  der.  da  nomi 
in  -er,  e  od  i  131. 

-I^  :  resta  182. 

-0-  :  scop.  si  perde  132;  conservato  in  parole  recenti  133;  ii  133;  cop.  o  133. 

-U-^:  resta  133. 

U.SS.  :  le  antiche  si  perdono,  meno  a  308  ;  però  ar-  >  er-  >  ;•  308  —  le 
mediane  per  derivazione  recente  si  conservano  meno  e  309. 

4.    Mediane    p  o  s  t  o  n  i  e  h  e. 

NOV.  1.  Se  la  voc.  finale  rimane  la  postonica  si  perde,  tranne  se  preceda 
gruppo  di  conson.  e  segua  sorda.  —  2.  Se  la  vocale  finale  è  dileg.  la 
mediana  appar  conservata  divenendo  o  davanti  ad  l,  e  davanti  ad  altra 
cons.  —  3.  In  fonetica  sintattica  le  forme  come  iever  perdon  la  fin.  dav. 
a  conson.,  anche  la  mediana  dav.  a  voc.  132-135.  —  4.  Si  conserva  la 
mediana  m  parole  recenti  in  -ola.  Cronologia  di  tali  fenomeni  136. 


Indici.    —   T.  Suoni  581  ■ 

uss.  Si  ililejTiiano  o  restano  secondo  le  consonanti  che  seguono  o  l'antichità 
della  parola  295-298. 

5.    Finali, 
o j   S  0  r  t  i    0  r  d  i  n  a  r  i  e  : 
-^1  :  xov..  uss.  resta  99,  290. 

-E.  ~AE,  -È-ì ,  -AS.  -ES.  -IS:  xov.  diieff.   101.        " 
-È,  -È-ì:  uss.  dilcg.  290. 

-l:  Nov.  si  assimila  alla  conson.  antec.  ;  uss.  conserv.  290. 
-Ó,   -0  l\    U:  NOV.  dileg.   108;  -  f7  trss.  dileg.  290. 

;3)   Evoluzione   condizionata   e   casi   ji  a  r  t  i  e  o  1  a  r  i  : 

-A  :  xov.  kàiuer,  fnester,  inaesfer  Rnfinin  simm.,  pih  '  piena  ',  vqd  '  vuota  ', 
s7)r  'suora',  or  'ora'  99  100;  uss.  dopo  pai.  /  291,  conserv.  292  n.  1. 

-AS:  NOV.  dileg.  101;  uss.  e  (2.  sing.  e),  3'  292,  292  n.  2  ;  femm.  plur.  e 
292  n.  2. 

-EU.  -lU:  xov.  -i  101. 

-E,  -0  :  xov.  in  -/  101  102;  uss.  conserv.  in  propar.  o  dopo  nessi  conson. 
{neh-,  (Inter:  ami.  fi  'fico',  lau  'lago'  sim.)  293  294  e  nn. 

-EX,  -ER  :   uss.  >  -a  295. 

Ditt<>iig]ii  atolli. 

Nov.  AC:  prim.  o  second.,  o\  ol  ;   al;    aumento  >  rust.  arme'nt;    it  ;    av,  <if 

138  139  —  EU:  e,  o  139   -  AI:  i  189  -    OE  (second.):  7,  140. 
uss.  AU :  u,  Oli,  u(i);  second.  oii  e  nel  disc,  rapido  u  305  —   OU:  u  305. 

Vocali  atoue  iii  iato. 

yov.  A:  di  reg.  conserv.;  ai:  oj,  ai',  a,  i  ;  -n  a-  > -«  ;  -o  «- > -o  139  — 
E '■  J  ;  Je  proton.  >•  /;  eì' >  al',  a-\-e-  >  aj-  ;  -\- e  o- "^  o  —  7:  conser- 
vato  —   0:  oi^oi,  ìli:  od  ^  o/i  :  -o-[-o>o  —    U:  conserv.   140. 

uss.:  voc.  uguali,  contratte  310  —  A:  a -^  i  >  éi  312;  a-\-é>  e,  (e/)  813: 
a-f-il'  >  oe'i  313;  «  +  ó  >  oii,  u-  318  —  /;  i-^à  ecc.  >  ià  ecc.,  e 
Ha  ecc.  811   ~    U  -\-  voc-  >  iw-,  w  310  —   Ù  -\r  voc-  >  ilv-,  n  810. 

Fonetica   sintattica. 

NOV.:  aferesi.  cfr.  Vocali  iniziali;  parti  e.  prono  m.  112  113  114: 
prostesi,  V.  Fenomeni  spec.  ;  con  trazione  di  -a  a-  85  ;  assorbi- 
mento   d  e  1  r  a  1 0  n  a    139. 


532  Indici.  —   [.  Suoni 

uss.  :  Trattazione  speciale:  voc.  apostrofata;  semiconsonanti  zzata  : 
assorbita;  aferesi  ;  apocope;  rw  >  -w  ;  -a  v-  '>  u  u;  ar  (ormai  stabile) 
da  r- ;  al  (meno  stabile)  da  /- ;  con  altre  consonanti  la  prostesi  è  rara 
352  353  354. 

Eflt'etti  della  posizione  debole  di  fjase  :  semiconsonanti  dileguate;  iti  per 
li^ìi  ;  dittonghi  monottongati  ;  an  non  diventa  àti  ;  fenomeni  analogici 
354-60  ;  pronome  femm.  -l/[e)  293  n.  2,  357  n.  3. 

TOSO.  :  e  in  proclisi  rimane  ;  in  qualche  composto,  come  benessere,  s'à  spc- 
radicamente  sulla  destra  dell'Arno  e,  ma  non  per  effetto  di  un  ristrin- 
gimento normale,  si  per  effetto  dell'analogia  sulle  protoniche  di  poli- 
sillabi non  composti,  269  seg.  ;  altrettanto  va  detto  di  honalana  e  sim. 
265  seg.  —  0  >  0  in  bon  proclitico  nella  formula  bon-  di  contro  a  g 
nella  formula  bon  — '-  [bon-,  ma  hon  — '-)  e  proprio  del  pistoiese;  Firenze 
non  conosce  il  fenomeno  ;  con  Firenze  s'accorda  la  Toscana  sulla  sinistra 
d'Arno,  con  Pistoia  quella  sulla  destra;  e  v'è  una  zona  intermedia  con 
dati  poco  spiccati  o  irregolari  o  scar-^i  255  sg. 

Feuoiiieiiì    sj^peeiali. 

Aferesi.   V.  Voc.  iniz. 

Prostesi:  nov.  di  a  dav.  r,  /,  «,  ni  in   fonet.    sintatt.    Ili,    di   e    davanti 

d,  m,  f,  s,  V,  g  112   —  uss.  di  v  307. 
Apocope:  di  -«,  nov.  100. 
Sincope. -V.   Vocalismo  atono. 
Assim  ilazione  :  NOV.  a -^  >■  e -e  108  ;    a -ó  >  o -o  108  ;    a-u^u-àl08; 

0  ■é'>e  -è  122;    a  -e  -  >  a  -a-    131    132;    a  -i-^  a  -a-  132;    a  -el> 

e  -é  125  ;  e,  i  -à  ~>  a  -à  125  ;  e    a-  >  e  -e-   127  ;    e  -a  -   y>  a  -a  -  132  ; 

e  -i-  >  i  -i-  118  ;  i  -o-  >  o  -o-  118. 
uss.  :  e  -a  >  a   a;  e  -il  l>  ii  -\-  il  306. 
Dissimilazione,  nov.  :  a  -«>*<>  -a  125  108  ;  e  -e-  \>  a  -e  115  ;  o  -ó  > 

/  -ò  123. 

uss.  :  o  -ó  >•  a  -ó  306  n.  4. 
Contrazioni    di    vocali    uguali:    uss.  310;  v.  Fonet.  sint. 
Epentesi    di    iato:    nov.  65  e  65  n.  3  —  uss.  310  311  312. 

<|naiitità    e   Accento. 

Quantità  delle  vocali:  uss.  ogni  lunga  è  almeno  doppia  dell'italiana. 
V.  Accento  di  proposizione.  Particolari:  316  317  318.  Grande  varietà  fra 
vocale  e  vocale,  e  tra  parlante  e  parlante  315  n.  1.  —  \ov.  Particolari: 
142  143  144. 

Accento    di    proposizione    e    esclamazioni:    aj  nov.  1.  Acc.  protratto 


Indici.    —  1.  Suoni  53U' 

nell'enfasi  in  esclamazioni  146;  2.  Kl  quis  allungiito  in  enfasi  89; 
3.  Varia  lunghezza  delle  vocali  in  esclamazioni  144.  —  isy.  1.  Biverti- 
cato  ascendente  o  discendente  a  seconda  del  tono  della  frase  315; 
2.  Alternative  dipendenti  da  fonetica  sintattica  352  n.,  350;  3.  Epentesi 
in  esclam.  311. 

li)  Accento  di  sillaba:  nov.  42  e  v,  Acc.  di  proposiz.  ;  lo  spostam. 
favorito  dalla  maggior  massa  di  espiraz.  delle  voc.  145  146.  —  uss.  1.  V. 
Acc.  ili  prop.  1  ;  2.  Accento  protratto:  in  iato  primario  :  la'>i(ì,  ««>■««; 
in  iato  secondario,  dopo  iì  ed  /  311;  3.  Accento  ritratto  a!7>éi  312; 
aii' >  *Vo<,  aó  >•  do  313. 

y)  Accento  di  parola:  .\ov.  1.  Accento  ritratto  :  negl'inf.  in  •&)'€; 
nella  1"  e  2-''  plur.  dell'inip.  indie;  nel  nome  bàìer  146.  —  2.  Accento 
protratto:  in  prcs.  siiig.  e  3  pi.  per  ragioni  analogiche;  in  siiig.  voci 
letterarie  146;  in  ha/al !k  'basilico'  132;  in  hote'r  'burro'  55. 

uss.  1.  Protratto  in  verbi  pro])arossitoni  223  351.  —  Progressione 
meccanica  e  ragioni  di  essa  312  n.  3,  346-351,  350  n.  ;  etìetti  dell'anal. 
356-360  ;  alternative,  v.  Acc.  di  prop.  2. 

Efletti   <lell'eiila!i>i. 

Nov.  .S'è"  '  SI  '.  nksé  '  cosi  '  per  sì,  ak-si  89  ;  kl  ?  per  ki  '^  ib.  ;  Cij  o  àj  e  sim.  144  ; 
Nov.  CONTAI),  vja'  ì  'via!',  per  hjò '.  torsvó  !  '  servitor  suo'  146.  —  i;ss.  Ih 
diiàu  !  '  il  diavolo  !  '  per  lu  diau  !  311. 


CONSONANTISMO 

Cousonauti  iniziali. 

J.  Tolti  i  casi  di  palatizzazione,  e  casi  particolari,  ordinariamente, 
conserv.  a  xov.  147  ;  rss.  320.  —  li.  Palatizzazione:  1.  h-  {-\-  e,  i)  > 
NOV.  z  147;  uss.  s,  onde:  p  e  h  (piazzette),  s  (uss.)  320;  g-  (+6,  i),  (e  j-) 
>  NOV.  7^  148;  uss.  g  321;  2.  ka-,  ga-'>  uss.  ca-,  ga-  323.  —  III.  Casi 
particolari:  nov.  uss.  k>  g\  p>b  148,  325  n.  ;  v->b  148,  149, 
325  n.  1,  325;  nov.  ;/- >  k-;  2>  >  ^-;  ''- >  .9";  s-  >2;  g-  >g-  (lett.);  j-  J- 
(lett.);  «->n-  148,  149.  150,  151:  uss.  .s- >  «.s-  {<  eis)  325. 

Ciii'uppi  <*uii!iionaiitici  inixìalì  originari. 

a)  esplos -{- R- :  uss.  intatti  322  ;  nov.:  1.  di  solito  intatti.  152.  2.  Casi 
particolari:  KR->  gr-,  SK-  >  sg,  PR-  >  br-  153  325  n.  1  {skl-  >  gì- 
325  n.   1).  —  i3)  S+esplos--  nov.   1.  D  i    solito    intatti   152;    2.    (' ;i  s  i 


534  Indici.  —  I.  Suoni 

particolari:  SP-  >  sb-  154,  3'2ò  n.  1  ;  nov.  fb-  >  fr  154  ;  —  uss.  > 
is-\-esiìl.  (s  +  ^s^jZ.)  335.  —  y)  SC  (+ e,  /):  nov.  s  (germ.  SK->  sJc-) 
153.  —  DJ(>j):  NOV.  :^  153,  uss.  f/ 321.  —  d^  IF-  GU-:  nov.  .^ry-  153 
(.9-  154),  uss.  V-  {g-  sporad.)  322;  ZW-:  hoy. /gv-  153.  -  e)  QU-:  uss. 
A--  322;  NOV.  QU''>kv,  QV''>  k-  154.  —  0-)  '^""■L.:  uss.  >  cohs.  +i 
322,  323  ;  nov.  1.  *kj  *gj  >  e,  <j;  *pje-,  *pji,  "pji'i>pe-,  pi-,  pu-\  kinc'r; 
2.  del  resto,  conK.-\-j  155,  156. 

Cousouauti  inediaiic  iuterrocaliclie. 

a)  '""Cons.:  nov.  1.  Di  regola:  intatte  162,  163,  164,  165;  2.  .s  (da  s  e 
k')  >  (-s)  /  163,  164  ;  uss.  s  >/;  /?>  ""=■  Cons.  a')  Fenomeni  comuni 
a  nov.  e  uss.:  1.  Uguali  fenomeni  in  parossitoni  e  proparossitoni  166, 
366;  2.  Le  sorde,  esplosive  e  continue  si  riducono  a  sonore;  3.  Tendenza 
pili  0  meno  spiccata  al  dileguo  {dileguo  di  V  in  '  lisciva  ')  ;  4.  Le  continue 
à;  r,  M,  N,  L,  E,  di  solito,  intatte,  159  segg.  330  segg.  —  ^9  Feno- 
meni individuali  delle  due  parlate:  1 .  Palatali  K'  G'  : 
Nov.  /  --,  165,  168,  166,  169,  uss.  if,  i  329  —  2.  Dilegui:  a~)  uss.  generale 
di  esplos.  dent.  e  guttur.  331.  331  n.  1,2,  3,4;  parziale  dav.  /,  il,  ce  329, 
330  n.  1.  —  /3^;  NOV.  sporadici:  di  D-  162,  163,  167,  168;  in  striga 
165  (antico  in  k'  g'  168,  166,  169);  di  V  (primario  o  secondario;  prima 
in  protonica,  poi  in  postonica;  oscillazioni)  160,  161, 162;  160  n.2.  Giunte  ib.; 
167.  —  Fenomeni  particolari:  nov.  -V- > -g-  161;  ■G-~>-v- 
165,  168. 

C'Ousouaiiti  Iuii$;Iie  latine. 

uss.  326  (nov.  190). 

Gruppi  eoii!«oiiantioi   latini    luediaiii. 

A.   Gruppi  ili  cui  le  cousouanti  appartenevano  a  sillabe  diverse. 

I  Sorte  dell'ultima  consonante:  1 .  In  generale,  prece- 
dendo esplosiva,  sibilante,  nasale,  liquida,  Vulfima  consonante  è  trattata  come 
in  princijno  di  parola  o  come  consonante  lunga.  2.  Casi  particolari: 
CT>  e,  nov.  rari  es.  171,  172,  uss.  1  es.  334;  -SA"-:  nov.  uss.  s  173,  327; 
uss.  dopo  -n  -r,  gè-,  gi-  e  di-,  gì-,  trattati  come  dopo  vocale:  r?  /'o21; 
invece  kl,  gì  come  in  principio  di  parola  323;  anche  la  risoluzione  di  -GU- 
in  lingua  ecc.  non  corrisponde  a  quella  di  guardare. 

II  Sorte  della  1*  consonante  e  continuazioni  di  tutto 
il  gruppo^:  I.  "P'^'-  '"''•  T,  D,  S,  nov.  uss.  si  dilegua  la  1%171,  173,  335  (di 


'  Sono  indicate  talora,  per  maggiore  chiarezza,  in  parentesi  quadre. 


Imlici.  —  I.  Suoni  535 

-hd-iivss.  nones.):  II.  ''p'°'-  s""-T,  D,  S,  aow  1.  dilei/uo  [t,  d,  s];  2.  e  (rari 
esempì)  o  Jt  o  *Jt  >  t  {tee,  kvàc;  (juajté'r;  frùt,  pet  '  mammelle  delle  bestie 
171,  172,  178);  uss.  1.  /  [//,  i(f,  ìs],  alle  volte  /  diìeguato  [t,  d,  s]\  2.  e  solo 
in  harle'c  '  o-iaciglio  di  paglia  nella  stalla'  334,  334  n.  4,  329,  327,  314; 
XCT  L-ss.  *int>nt  334;  XT:  nov.  -st-  173;  III  a)  s-.»"  ,''<■"'■.  i"'- ;  .^ov. 
intatto  [sp,  st,  sk]  172;  il  suff.  bis  -\-  L-  >  beri-  180;  sp,  s/i;>i;ss.  sp,  sk; 
in  s -\- t  s'à  a  uss.  is  onde:  1.  dopo  tonica  .%•.  2.  dopo  atona  is  335;  b)  -SK'-: 
Nov.  «  172,  173,  uss.  ÌS,  s  [is,  s]  327;  e)  S'  TJ:  gli  stessi  risultati  che  SK': 
Nov.  184  uss.  327;  d)  SSJ  u.ss.  id.  ib.;  IV  .Y^o....  .  i  NS>s:  nov.  (uss.) 
/' 173;  2.  X" ''"'"''""  :  NOV.  h,  con  maggior  nasalizza-/,  delle  voc.  pi-ec.  173; 
uss.  a)  jN''''^'"'-,  intatta;  b)  X""  "^ ''""'■  n.  con  debole  nasalizzazione  della 
voc.  prec.  333  (da  NG'  ecc.,  ii/ecc.  v.  sopra);  M'"""  :  l.Y.  M N:  nov.  n  forte 
174.  uss.  ;(  334;  ili'"''-:  nov.  h  [l'ip,  >ib],  uss.  //(  [iiip.  >nl>]  333  (nel  prefisso 
aii  conserv.  n  333  n.  6);  VI.  R'""^  :  nov.  intatto  [rt  ecc.]  174;  uss.:  1.  li'  dileg. 
[s];  2.  R  "'•"  ""■"  in/atto  [rt  ecc.];  VII.  /y'"'"  nov.  1.  intatta  [/t  ecc.];  2.  ('ter, 
tòpa  175,  176;  uss.:  1.  IJ""-  >  u  [at\.  2.  L'''-  '''''■>;•  [rp,  rt]  182. 
PiANOKLAGoTTi  :  L"""  :  1.  /  (H"  (/('«^  uio mcu tanca,  compresa  .^  o  jxil.)  resta; 
2.  ì  {-r  hth.  0  reì.)'>i;  3.  l{-\-iiq.  o  .s«i.)>«;  questi  fenomeni  sono 
antichi;  *ei  ed  *<•»  proclitici  da  il  le  passano,  normalmente,  ad  i<;  anche 
l'articolo  e  del  rom.\gnolo  è  passato  per  la  trafila  di  ei,  ottenutosi  in  al- 
cuni nessi  e  poi  estesosi  per  analogia  250  seg. 

B.  OiMippi  latini  in  cui  due  consonanti  sono  iniziali  di  sillaba. 

I^'^'-'L-:  1.  NOV.  trattate  come  in  principio  di  parola  [-/>;-,  ■/',/-,  -fj-.  -e,  •//-]. 
Casi  particolari:  nlcuni  esempi  di  .;  per  CL  TL  GL  177,  178, 
179,  180;  kubja  177;  2.  uss.  al  '■""'  CL  ecc.,  come  in  principio  ili  parola 
[-A-j.,  -gì-,  ./-i-]  323  ;  b)  '""'PL  >  1.  hi.  2.  ri  (mancano  esempì  di  -Id-  e  -fi-); 
voc.YL  '""CL>i  323,  329,  329  n.  2  (Esempi  di  "e  329,  329  n.  3).  II 
cor.s  -^y.  Q]y  Q][r.  ^.qv.  pre-edendo  cons.  e  voe.  >  k[-\-  i,  e),  (/(+<?),  kv-  e 
k{-\-a)  180;  uss.:  preced.  rons.'>  k,  </  321,  322;  prered.  voc.>iv  330; 
TU'.  .VIF  NOV.  t,  n  180;  (uss.  non  trattato).  —  Particolarità:  nov. 
niaiivl'h,  konthiov  ecc.  180,  181.  —  III  Nessi  di  """  ./  (e  GN):  a)  Nei  nessi 
di  due  consonanti,  per  solito.  f/oy>">  cons.  o  roc.  lo  stesso  e.s/7o  [meno  :  1.  da 
'"■  TJ,  DJ  NOV.  nella  nota  serie  in  scarsi  esempì  /  e  j  \)in-  z  e  -;  183,  184; 
uss./ per  s  327  e  ib.  n.  1,2;  2.  da  ■"-•  VJ  >  nov.  bj  ; ,-.  per  ri,  certo  estraneo) 
uss.  bi,x  (i.  certo  estraneo)  186,  326  e  Giunte  a  p.  322  seg.;  3.  """=  RJ 
>  nov.  uss  ir  187,  329;  '='""  R/  nov.  r?;/  187  (per  u.ss.  ciò  avviene 
f^olo  in  nessi  secondari  338);  4.  uss.  '"''■G'J>i  329,  <•""' (9'J>/  321; 
5,  '""  SJ>  nov.  /,  uss.  i/;  ■=""  .S'/>  nov.  .<t,  uss.  (.s].  b)  In  iiarticolare  :  LJ 
nov.   j  r/'f>rust.  ija  181),    uss.   l' >  i    328   n.  6-,  329;    tkknt.    l' >  *j  > 


536  Indici.  —  I.  Suoni 

dileguo,  422;  NJ  (GN)  nov.  uss.  n  182,  328  e  Giunte  a  182;  K'J 
Nov.  z  182,  uss.  (*•».?,  piazzette/,  h  320,  327,  327  n.  1;  G'J  nov.  ì  183; 
rss.  ""  G'J>  i,"""  G'J>/  B2d,  321;  TJ  mv.  z,  vss.  s  183,327;  DJmv. 
l  ij  V.  sopra),  uss.  i  185,  329;  PJ  nov.  />/  uss.  -pi  185,  328;  5.7  nov.  bj, 
uss.  èi;  FJ  NOV.  vj  (-1?),  uss.  i  p-  ò»  (v.  sopra)  286,  326,  328;  MJ  nov.  ?«/ 
186;  RJ  NOV.  »•  er/  (v.  sopra),  uss.  ir  [eri]  187,  329  338;  SJ  sov.  /  s,  rss. 
i/is  (v.  sopra)  187,  329,  327;  IV  •^''"■'  /?  :  nov.  .wno  trattate  come  le  inter- 
vocaliche, di  regola  {TR,  DR>dr;  FR,  BR>vr;  CR,  GR>  gr  176 
177);  solo  rr  s  p  o  r  a  d  i  e.  >  r  177  ;  uss.  ''""i?  >  -r-;  "'-i^  >  -ir  (forse  con 
vocalizz.  rec^i;  ^"^'-R  >  -rr-  331  (322)  (nella  trattazione,  sommaria,  al  n.  135 
mancano  esempì  di  '*""'■  ^""-72)  ;  carte  thevjsank  TR  >  dr  e  -?•-  280;  vaesug. 
IR  >dr>  r  278  n.  1;  moden.  rr>  r  382. 

C.  (inippi  di  tre  consonanti  con  particolare  ri.soinzioiie. 

1.  -MNJU-:   nov.  ni  182,  u.ss.  ng  328,  333;    2.  STJ-:   nov.    u.ss.  .s  184,  327; 

3.  -NDJ-:  nov.  >?  (uss.  mancano  es.)  ;  4.  in  """^  +'''"' .R,  uss.  perde  r  322' 
e  Giunte  a  n.  143;  in  «<"".  +  '«'' jj^  recessione  di  ;•  ib. 

Oi'iippì  ooii»»oiiaiiti(*i  romanzi. 

I.  NOV.  In  principio  di  parola,  non  meno  che  all'interno,  i  gruppi 
consonantici  romanzi  rimangono  intatti  con  queste  restrizioni:  1.  sorda -\- 
sonora  esplos.  b,  d,  g  o  sibilanti  {/,  .i  [non  v,  né  ^J)  diviene  sonora',  sorda -\- 
altra  sonora  (r,  j,  r,  l,  m,  n,  n)  resta  sorda  (i  casi  di  s>y"  in  questi  nessi 
sono  analogici);  le  precedenti  ,fo«o/-e  e  inoltre,  v  ^  sorda  di vengon  sor^??: 
[Es.  pd^bd  ecc.;  kv^Jcv,  ma  vt'>ft;  sn<^sn,  anal.  /«  ecc.].  2.  dj'>  g 
(e  non  ,~  come  da  DJ);  3.  vnir  >  hir,  "  vdlv?  „  :>  dlv?  ,,  "  vdì!  „  >  "  rii.'  „  ; 

4.  tnbr-^br-;  5.  dilegui  di  «-  m  fonet.  sintattica;  6.  gjf;^  p  per  analogia 
di  parola,  156-158.  —  In  mezzo  di  parola.  La  stessa  norma  di 
assiin.  di  sorda  ^  sonora  &  viceversa.  Inoltre:  1.  ■ndc-'>  -ngv-  (contad.)  190 
"  mr  „,  "«?•„>"  nbr  „  ndr  189;  2.  dileguo  della  mediana  in  «/Is,  /è(?, 
hbd,  fgn,  rts,  iitz,  nib;,  189.  Del  resto,  conservati  i  gruppi  di  esplosive  [Ipt, 
rpt  ecc.),  ìis,  ni,  mn  e  esplos.  -\-  l  (pi,  Id  ecc.)  188,  189. 

II.  uss.  In  genere:  conservati;  ma:  in  cons.-\-r,  di  solito,  epentesi: 
eri^,  0  rii;  -mr-,  -nr-,  con  epentesi,  >  inbr-,  -ndr-  338;  -Ir-  >  -Idr-,  e  poi 
per  dissimilazione,  Id  {ud),  Giunte  a  p.  338  :  ngn'>  ngr  345;  nst'>  st 
338;  wò(?  sim  >  nd;  ki,  pi^^  gi,  1%  337;  if-\-cons.  son.'>  i,  con  riduz. 
di  in  a  w  335;  rs  >  s  332;  vr  >  vr,  nr,  r  332;  n  +i>  ni  e  n  328,  324; 
raram.  li,  ni,  si  in  i,  n,  s  324;  ^  in  'diciotto'  ecc.  324. 

III.  MODEN.,  VALSUG.,  viCENT.  -nni> -lì  326  scg.  ;  ni -\- voc.  second.^n  403; 
VALSUG.  le  4-  voc.  (in  nessi  tardi)  >  (/  402. 


Inilici.   —   1.  Suoni  537 

C'oii!iiouaiiti  raflor/.ate. 

xov.  158,  190,  off.  51  :  rss.  826. 

C'oiiiiioiiaiili  <lvl>oli.  naturali.  IV»rli. 

Nov.  51.  52.  190.   191.    192. 

Consonanti   finali   latine. 

I  NOV.  nei  j'OÌisUlahi,  dileguati'  193;  nei  iiioiiosiUaìji,  7':  dile//.  193;  D  : 
i(J.  ih.;  A':  ili.  il».;  e  u  ni  -  >  ìrnii  ;  s  n  ni  >  son  ;  j  a  ni  >  ;/<  ;  non:  nò. 
)i- :  e  0  r  >  k-ò  r  :  meloni?/;  fé  !>/"(;/  193  e  Giunte;  S,  X>  -i  > 
dih'ff.  193. 

II  uss.  :  -L.  -R  conservate;  -iW>«;  -C>/';  -7",  dopo  atona,  scompare; 
dopo  tonica,  resta.  f>e  non  prcced.  dd  n  o  i;  «;  -S,  se  effetto  di  as/tini.  coìta 
conson.  prec,  resta;  ma  anche  in  questo  caso  scompare  precedendo  n  [va^no 
in  fan/,  antiq.  'fond'i'i:  consenato  in  a's  'uova';  altrove  scomparso- 
338,  339. 

Condonanti   liliali  roiiianzc 

xov.  -t.  di  r  e  f,' o  1  a  ,  *d  '>  dile  pio.  —  S'à  -d  in  alcune  voci,  per  analog'ia 
di  paradiji^ma,  e  -d  o  -t  in  prestiti  dall'italiano;  da  *//.  *-dd-,  co)is.-^t, 
•d  >  -f.  d:  -iti,  -nfi>c  {-di  2.  pi.  con^.  ;  A""'/  per  /.y?~  eufeni.)  193,  194; 
-n  :  a)  in  baritoni,  n;   h)  in  ossitoni,   h. 

rss.  I  Grniìpi:  -in  ">  in,  n;  -nn '>  n  (non  h);  ''^'"'R  '>  dileguo,  in  alcuni  es. 
metatesi  (frdm  'fermo'  ecc.);  '^""^  S>  conscrrato,  mn  grò  'grosso'  apr/ 
'dopo',  trave'  acc.  ìmI  atiav/s;  vw/:/..  faup  'falso',  j)up  'polso';  le  Mp/rt- 
sive  sonore  '^  sorde;  11  Consonanti  semplici:  .s  intermedio  tra  /  e  .*;,  dile- 
guato in  pochi  es.  ;  n  l>  n  ;  doj)0  atona,  dileguato  (ordin  dotto  i;  -m,  di 
regola  ">  in;  min,  un  '  nome  '  ;  -r  dileguato  in  -a  r  i  u,  -o  r  i  u  ,  in  v  è  r  u, 
in  sillal>a  atona;  l  cade  nel  suff.  -u  1  u  ;  v  si  dilegua  meno  che  nei  tre 
aggettivi  nceu,  katiu,  via  prestiti  ree.;  t  d  dileguati  839-345. 

Fonotlva  Kinlattica. 

xov.  97,  196,   197;   uss.  357-360. 

Fen<»iii<Mii    s|><M'i:ili. 

Aferesi:  wir- >  modkn.  òr  364;   /-  scomparso  in  luìjana  sìm.  trk.nt.,  vr.x. 

422;  aferesi  di   ma-  2bl   e  281  n.  1. 
Aplologia:  .moukx.  zenlùr  da  zent  zintur  '  lomljrico  '  385  e   Giunte. 


.538  Indici.   —   li.  Forme 

Prostesi:  di  l-  in  nov.  lah.^fr  '  ansare  '  ;  di  v-  in  xov.  coxt.  rcsscr  '  essere  ' 
60,  152;  di  ij-   ital.  e  dial.  424;  di  r-  uss.  307. 

Epentesi:  nov.  stànbi  da  stabulu;  mr,  nr  >  nbr,  iidr,  »ir  >  moden. 
nibr  864;  in  nessi  di  nas.  o  liquida,  uss.  338;  in  cons.  -\-  r^  uss.  338;  di  (, 
u,  il  uss.  310;  di  w  nov.  65  66;  angonara  per  agouara  ecc.,  vkron.  valsug. 
ecc.  393;  cremo.n.  tiinzar  878;  mookn.  ìinzar,  lem  ib. 

Attrazione;  nov.  prT^da,  adr?',  f<'rr?'r  '  febbraio  '  176.  iìitre'g  177  ;  piopa 
'polpa'  "càp  'cappio'  copa  'coppia  di  pani'   177;  punòl.-a   179. 

Propagginazione:    kadrèga  nov.   163. 

Assimilazione:  nov.  ihsè'na  per  i>iz-  173  ;  gangola  per  gondola  174  ; 
vernizéi  175  ;  bis  -|-  ^  >•  beri  180  ;  volg.  ninzT/  '  lenzuolo  '  per  lihzo'  151  ;  ar- 
zehze'r  ^lev  arfenzè'ì'  ÌQò;  vrer -pev  vler  'volere'  ln9:  tHriróìa  pev  tal-  (v. 
n.  183);  parziale    regressiva:  valsuc;.  btipo  43 1 . 

Dissimilazione:  nov.  laìikl'n  '  tela  di  Nankin  '  ;  nov.  rust.  liiminr'r  '  no- 
minare '  151  ;  NOV.  pjole'r  plorare,  s/ijiirì'r  e  x  p  r  u  r  i  r  e  ;  senze'ht  lucch. 
zen^ala;  nov.  cont.  erbol  'albero'  170;  nov.  vele'n,  nov.  cont.  IcoloDiia, 
(lucch.  holiimia);  nov.  rumela  '  nocciolo  '  '  "animella  '  170;  Vizèhz  per  Vinz- 
173:  Malgarija,  fulffra,  Gei t vada,  Bljbra  'Barbara',  kvac'e'r  175;  flanella 
>  (anela  156;  r  -r  >  l  -r:  nov.  cont.  litra't,  Ungrazfe.'r,  Ungerà  'ringhiera' 
152;  ofmarl'h  152;  nov.  iibje'r  per  tribjer  178;  sorkadéi  '  piccolo  solco ', 
frabaìà'  (dal  frane.)  e  con  dileguo  fabula'  176;  dba  per  bbii  158;  r  jier- 
duto  in  ;v.(7,  rzg,  str  in  iiiq/g'e.'r,  a^da'v,  orkesta,  l  in  Vé[(]fer  ge/inì'n  [pre- 
stito?]  189;  nm'>n  188.  uss.  ldr>  Id  338;  di  nas.  in  liquida  e  di  liq. 
in  «as.  345.  moden.  n-n>l-n  364;  n-n>l-n  378;  An-  kiH>(n,  tm. 
MANTOv.  ROMAGN.  CARPitì.  bo~>(lr  364  u.   1.   VALSUG.  taranfo  ^  tarando  420. 

R  a  f  f  0  r  z  a.  m  e  n  t  i  :  nov.  Iconfallnu  (aat.  g  u  n  d  f  a  n  o)  148.  moden. _/?;  >  .«/" 
364  n.  1. 

A  1 1  e  n  u  a  mento:  mouen,  spr-  >  ftfr-  365  n.  1.  ma  v.  154;  rtl  >  ri  365  n.  1. 

vietatesi:  smeiclieln  >  sìiiìeicìien  moden.  379;  /'(/  >  moden.  dj 
364  n.   1  ;  vexez.  faranzo  >  zaranto  420. 


II.  —   F"  o  r  m  e. 


Pilliti!!»!!)!,     -a  (in    nomi    di    mestieri)  nov.   100. 

-a  e  e  u.  -ale,  -b  u  1  n,  -oceu    in  derivati  da  canna  'gola'  375-377. 
-a  n  t  i  a  in  yen.  mariganlia,  conuinaiìtia  280. 
-e  n  t  i  a  in  ant.  moden.  argliensia,  attuale  argoj  'orgoglio'  368. 
-?/-'ese',  in  nomi  derivati  da  toponomi  nov.  54. 


Indici.   —   II.  Forme  539 

-0  1  u  .MOD.  ecc.  gevxola  '  iillégria  '  375. 

-a  t  i  e  u  in  Nov.   marzàdcg  '  niarzuolo  ',    nia'y^àdog  '  nia^j^gese  '  60. 
-a  1 1  u  in  MOD.  ecc.  hnfgùt  372. 

-i  e  e  u  in  xov.  skofi'z  'bruciaticcio',  ?v'r«i'^ -— *(in)verniccio  59. 
-ì  e  1  a  non  -Tela  in  a  u  r  i  e  1  a   ecc.  229  n.  3 
-/(VI,  in  *bi(/ir(itto  ~-~  >iOD.  bii/i/àf  o72. 
-tu  in  Tiov.  bran'fu'  'l.iravuia'  63. 
Scambi    di    .s  u  i't'i  s  s  i    e    conta  m  i  n  a  z  i  o  ii  i  :   -a  e  e  o  per  la  termi- 
nazione   -aetu>-a//o    in    mod.    ecc.  {a]trasacc  375  385  n.   1;    -accio  per 
-one  in  nov.  o/iiàz,  e  nnic'r,  su  sonic'r,  '  omaccio  '  57  57  n.  e  (iiunte;  -atica 
per  -a  e  a  in  vicext.  ecc.  ìiim/f/a  425;  -e  s,    -itis    per    -e  n     ■  i  n  is    321; 
Iculu    uculu    per    Tculu    -i  t  u  1  u    in    nov.    k((v['c.    cont.    kan'ic    89. 
fni'l,  arri'l  su  badi'l  bari'l  (T  1  I  u)  e  vie;  *«    per   -il'o,  -lo;    ni    per    -il'o, 
■Uin  per  -''nìe.   aza  ]ier  -ecco  90. 

l'rclìssi:  bis  "^  ber  nov.  110;  Prefisso  def!-  nov.  desfjc'r  'sgonfiare'  178. 
S  e  a  m  b  i  o  di  pre  per  jjro  nov.   122. 

Articolo.  Art.  e  on  e  r  e  sci  u  t  o  :  nov.  Idiis  '  ansamento  '  66;  lisies  'lo  stesso' 
55;  leska  'esca'  58;  thknt.  ìilppn  'upupa'  408;  moukn.  ant.  Ze/^rt  373;  con 
II-  per  /-  ANT.  MODKN.  iiKsdiizK  ccc.  380  381   e  381   n.    1. 

A  f  e  r  e  t  i  e  0  per  l'illusione  d'articolo:  nov.  oìtbn'f  '  lombrico  ' 
55;  jàd'ja  'lugliatica'  60  valsig.  orcio  cet.  277:  .s-  aferetico  in  l'Riri..  lis 
(s)  Aganis  414. 

XoiiK'.  C  a  m  b  i  a  m  e  n  t  o  di  genere:  nov.  dgàiìta  '  tegame  '  66  ;  stropa 
59;  kòtmu  e  o  1 1  u  m  u  61  ;  falò  'faggio'  57  :  vincfer  '  minestra'  58  ;  modkn. 
heria  370. 

-a  analogico,    per     e   in    s  o  s  t.    fé  m  ni.  :    nov.  fiàro  '  scure  '  56. 

Analogia  di  lu.  su  f.  nov.  90;  di  s  i  n  g.  sul  p  1  u  r.  xov. /;^'rf)fra  '  barba- 
bietola' su  bedrcvi  130.  rss.  grii  'grillo',  card  'capelli'  13.  —  Ca  mbiam. 
di  declinazione:  nov.  s  o  r  i  c  u.  vex.  m  a  t  r  i  c  a.  —  No  m.  s  i  n  g.  : 
sor  '  suora  '  nov.:  valsoax.  >ìon  V)  '  nome  '  344  n.  1.  —  Casi  obliqui 
LAT.  voLG.  core,  fé  le.  mele  v.  Giunte  a  p.  63.  —  P  1  u  r.  femm. 
in  -/  dai  nomi  ed  agg.  in  -a  nov.  101.  —  P  e  m  ni.  p  1  u  r.  d  e  11  '  a  r  t  i  e, 
pron.,  n  u  m.  :   uss.  l'  cons.-,  //' voc-   ecc.  357  358. 

Pronomi.  Pron.  person.  uss.  1"  p.  i.  i  329  n.  4;  i>akm.  mi,  ti,  modkn. 
Die  e  tè,  REGG.  me  e  ine  té,  xov.  me  e  ti  64  n.  1  ;  te  te  nov.  kust.,  ti 
'  id.  '  NOV.  RUST.  e  UKiJ.  ;  mi  nella  frase  Yè  un  mi  si,  mi  no  nov.  antiq. 
62;  ti  '  tu.  te'  t  i  b  i  xov.  64;  mcg,  ieg,  seg  nov.  '  meco  '  '  teco  '  '  seco  '  54; 
Z'^  pers.  uss.  ni,  ni;  vu  e  ro  '  voi  '  nov.  64. —  Pronomi   |)  ossessi  vi: 


540  Indici.   —  II.  Forme 

xov.  tua  sUa,  toa  iova,  tui  sui  65;  mw  sing.  e  plur.  maseh.  (letter.)  63; 
uss.  muh,  tiih,    sun    357.  —  Pronome    pleonastico    -lo    nov.    103. 

—  Dimostrativi,  uss.  -l  >  -l,  -u  357.  —  Particelle  prono- 
minali: loro  trattamento  in  fonetica  sintattica,  xov.  Ili  112  113  114 
197  293  n.  2. 

Sfuniorali.  xov.  trentedùf  ecc.  da  trenV  e  dù  130;  nov.  do  'due'  femmin. 
65;  uss.  doe  proclitico  309  n.  3;  tre  'tre'  femmin.  \ov.  65.  —  Prestiti, 
frequenti  nei  numerali  v.  Giunte  p.  120;  uss.  kaf  'quattro'  293  n. 

Verbi.  Suff.  -occare  375. 

Presente  indicativo.  Analogie  di  rizotoniche  su  rizatone :  nov. 
86  115  118  120  122  125  127;  anal.  recipr.  di  kred  ved  hev  e  kreder  ecc. 
87;  anal.  di  consonanti:  nód,  ntìd  ecc,  (con  -dì  .su  altre  forme  con  -d-  193; 
peka  per  beka  'becca',  su  j^kèr  149;  armàne'r  su  armah  170  {inkanfr 
su  kana)  170;  té  fa  t  a  e  e  a  t,  ìu/a  1  u  e  e  a  t,  pjèfa  p  1  a  e  e  a  t  suH'inf.  ecc. 
183;  NOV.  v''g,  stn.g,  tràg  analogici  su  fàg  e  dig  82;  dì  dicis  165;  nov. 
analogia  d'indie,  pres.  1  plur.  sul  cong.  esortativo  81  e  Giunte;  su  sumus 
81;  uss.  3  sg.  -a  t  >  e  292  n.  —  uss.  Progress,  d'acc.  in  verbi,  d'indole 
analogica  351  e  351  n.  4.  Forme  analogiche  di  1"  sulla  3*  persona: 
uss.  227  n.  2;  analogia  di  1"  sulla  2"  e  3'"'  e  non  viceversa  299,  3  n.  3; 
anal.  di  ton.  sulle  atone  314  n.  3;  est:  sue  alterazioni  fonetiche  e 
analogiche  in  fonetica  sintattica,  359  360;  3  pi.  ind.  pres.:  progres- 
sione d'acc.  in  formule  interrogative  352.  —  C  o  n  g  i  u  n  t.  2.  pi.  in 
-di  NOV.  194;  fàga  ecc.  su  diga  164.  —  Imperfetto:  nov.  anal.  d'iraperf. 
di  P  su  quella  di  2""  81;  1.  e  2.  pi.  propaross.  sull'analogia  delle  altre 
forme  87  90  146;  2  plur.  dell'imperf.  (ind.  e  cong.)  e  dell'aor.  in  -i  102. 

—  Perfetti:  nov.  tòs,  vos  'tolsi,  volsi'  188. —  Futuro:  Noy.  badrd 
acc.  a  hadarà  su  vedrà  130.  —  Infiniti:  nov.  Inf.  in  è' re '^  -ere  146; 
viver  su  vìv  90.  —  u.ss.  caduta  dell'r  357.  —  Participi:  nov.  Participi 
(e  gerundi)  di  l''  rifatti  su  quelli  di  2*  81  82;  Partic.  sul  perf.  nov.  dU, 
niis  87  ;  Forma  debole  per  forma  forte  :  df  metjf  acc.  a  di_s  mi_s  '  detto 
messo  '  ib.;  {a)rkjót  part.  di  {a)rkojer  109  —  uss.  Analogia  dei  participi  in 
•ùta  su  quelli  in  -ita  311.   —  napol.   divertite  per  dirertente. 

Avverbi,  nov.  sover  'sopra'  56;  sot  e  sota  'sotto'  19.  —  Avverbi  in  -a 
NOV.  100;  —  atque  sic,  iniamó,  quo  modo  est,  ad  p  a  s  s  u  m 
est,  ad    V  i  e  i  n  u,    hinque    cet.  :  v.  Lessico. 

Elsclamazioiii.  nov.  62,  63,  98,  144,  146.  uss.  811. 


Indici.  —  III.  Lessico 


541 


III. 


Lessico. 


abbakkip,  bakìcip  lucch.  ecc..  v.  o  v  a- 
c  u  1  u . 

abitar  valsiij^.,  'frequentare,  praticare' 
<  letter.  abitare,   v.  friul.  beta'. 

*a  e  0  n  e,  veron.  angonara  (e  siui.)  "  i,ni- 
Sliata'  393  iV.  però  voi.  XYIII). 

a  d-p  a  .s  s  n  me  s  t  (V),  nov.  rus^t.  antiq. 
(1  jmsé  "poco  lontano,  poco  fa'  62. 

a  d  -  V  i  e  i  n  u,   nov.  arfi'h  118. 

a  fì/aroj  valsng.,  v.  h'L\<irìij. 

aiyoìa  Ap.  emil..  v.  .s.  aquila. 

ago'z  trent.  '  avvoltoio  ".    v.    a  quii  a. 

aguej  rover.,  v.  sotto  a  q  n  i  1  e  u. 

*agiiia,  agoin  mod.  ant.,  v.  s.  aquila. 

a  li  0  r  a   uss.  o'ra,  urei'  349  350. 

aksé  nov.,  v.  s.  atque  sic  130. 

a  la  fé  nov.  antiq.  '  atte  '  62. 

aliHor -aioà..   v.  sotto   annu   e  Giunte. 

angonara  veron.  sim.  '  gugliata  ',  v. 
*acone. 

annu  nioden.  rust.  aliiiq'r  '  grido  che 
s'ode  quando  si  brucia  l'anno  vec- 
chio '  364. 

«H!-r/ nov.  '  nipote  '  55  òSj,  (per  anvó). 

a  p  e  ant.  niod.  av  (àv),  avitta;  in  suo 
luogo  ora  bega  da  beg  col  genere  di 
ape;  parmig.  vrespa;  derivazioni  con 
suffissi  ed  altre  denominaz.  in  vari 
dialetti  370. 

appietto  lucch.  e  sim.  177,  177  n.  2. 

aquila  trent.  ago'z  '  avvoltoio  '  392. 

aquila,  moden.  attuale  aqniìa,  ant. 
*agiiia:  Ap.  emil.  agoìa,  n.  1.  Ap. 
Agolnre,  ant.  moden.  agoi'n,  aguini, 
agtiglini  'aquilino  (moneta)'  364. 


"a  q  u  i  1  e  u  ">  valsug.  arego ,  rover. 
agile' j  41S. 

ant.  moden.  araniir,  v.  brani. 

aì'bott  e  simm.,  v.  reboto. 

arskoder  nov.,  v.  r  e  e  s  e  u  t  e  r  e. 

arrè's  nov.  '  r  e  v  e  r  s  u  '  (per  \'p)  87. 

arruU  skararii'lt  nov.  (per  Vii)  79. 

a/iol  cinil.  'tafano'  ;  moden.  aver  Vofiol 
'  essere  irrequieto  '  ^  ant.  moden. 
afiól  'ragazzo  irrequieto';  cfr.  moden. 
attarana  368. 

*a  s  t  e  1  1  a  >  trent.  stade'l  '  piolo  re- 
golo ',  valsug.  stavigi  da  ktade'l  -\- 
avego  '  pernio  '  418  (V.  voi.  XVlll). 

atque    sic  nov.  aksié  130. 

a  trattare  simm.  ant.  moden.  ecc.,  v. 
in    t  r  a  n  s  a  e  t  u. 

attarana  {taràn  '  tafano  ')  moden.   368. 

a  u  t  u  m  n  u  235  ii.  6. 

av  (av)  mod.  ant.  v.  s.  a  yi  e. 

ave'go  valsug  ,  v.  s.  aquile  u. 

aritta  mod.  ant.,  v.  sotto   a  p  e. 

bacchari ,  valsug.  Tezze  bakdr  '  an- 
sare '  395. 

baccello  e  sim.  '  sciocco  ',  di  origine 
oscena  895  n. 

b  a  d  i  u  >•  tose,  ba^eo  '  verdastro  ', 
ba.i;esco  'bassotto',  ba'-otto  trent. 
balot  'bazzotto  ecc.':  valsug.  bac/o 
'  mezzo  asciutto,  sim.  ',  bactqto;  tose. 
baiigf/ia  284. 

bainco  lucch.,  v.  bgt. 

baiulu  trent.  barjlo  'arnese  di  le- 
gno arcuato  per  portar  due  secchie 


642 


liiilici.  —  III.  Lessico 


od  altro  alle  estremità'  <C  lat.  b  a- 
iùlu;  deriv.  bagilom,  hai^ilg'in,  o'n 
273  ;  —  nov.  'bà:{ol  109. 

baiulu,  con  esso  non  valsug.  a  pi- 
farole  396. 

baiulu,  V.  hi\aruj. 

hakar  valsug.,  v.  b  a  e  e  b  a  r  i  396. 

hàler  '  ballotte,  castagne  lesse  '  nov.  60. 

bacfo,  hadoto  valsug.,  v.  b  a  d  i  u. 

baiàna  nov.  '  pelle  di  castrato  con- 
ciata '  66. 

6rtì;itrent.  '  fagiolini  già  quasi  maturi  \ 
cfr.  ballotto  396,  284. 

bà-iilo,  ba~Jlo'in,  -g'n  trent.,  v.  ba- 
iulu. 

bà^ol  nov.,  V.  baiulu. 

baigt  trent.,  v.  b  a  d  i  u. 

bai^ieo,  ballesco,  ballotto  tose.  v.  b  a- 
d  i  u. 

baiigffia  tose,  v.    b  a  d  i  u. 

bang  a  gemi,  'anello'  376  n.  1. 

begra  nov.  'fanghiglia'  61. 

beta  friul.,  v.   valsug.  abitar. 

bega  moden.  da  '  baco '-{- ape  370 

Befana;  base  pifània:  Ap.  emil. 
Buffana,  engad.  Boagna  ;  base  p  i- 
fania:  prov.  Brefania,  ant.  loren. 
Bruvenie:  >  prov.  bronfounié  bré- 
foHiiié,  boufanié,  grifounié  '  bruit  de 
la  tempéte  '  361. 

Boagna  engad.,  v.  Befana. 

Brefania  prov.,  v.  Befana. 

bronfounié  prov.  ecc.  Befana. 

Bruvenie  ant.  loren.,  v.  Befana. 

Buffami  Ap.  emil.,  v.  Befana. 

biiaruj  levent.,  lorab.  'cinghie  della 
gerla';  cfr.  valsug.  pfargj  (a)  'a 
cavalluccio  ',  non  da   baiulu  275. 

bicollo  ital.,  V.   bigg'lo. 

b  i  e  0  1  1  u  ,  V.  bigg'lo. 

b  i  g  a  u  1  u  non  >•  bigg'lo  275. 


bigg'lo  venez.  (trent.)  (signif.  ==  baiilo) 
<  mlat.  bicollum,  e  questo  da 
mlat.  collus  '  urceus  bibendi  vel  na- 
pus  ',  conservato  in  trent.  kgl  de  ukua 
'bigoncia'  o  sim.;  ital.  less.  bicollo 
(signif.  =  bd'ilo,  v.)  273  seg. 

bgi  nov.  '  malazzati  '  lucch.  bainco  109. 

bledcg  nov.  '  solletico  '  61. 

b  1  a  s  t  i  m  a  r  e  nov.  bjastmè'r. 

boàza  nov.  'sterco  di  bove'  57. 

bg'fo  valsug.  '  cavo  '  e  '  gonfio  ',  v. 
431  n.  2. 

boga  dal  nès  nov.  '  narice  '  55. 

bokro'l  nov.,  v.   b  u  e  e  a  r  i  o  1  u. 

bolin  nov.   <  balin -\- boca  110. 

borda  moden.  'larva,  Befana',  milan. 
bordve  '  Orco  befana ',  Apen.  bologn. 
borda  'donnola, spauracchio  di  bimbi' 
ecc.;  lomb.  borda  'maschera'  ant. 
moden.  scaraborda  '  paura  '  ;  —  milan. 
bordoc  '  baco  da  seta  ',  tic.  bardana 
'  lombrico  ',  bologn.  burdigàn  '  mo- 
sconi'; —  piacent.  bordlein  'ragaz- 
zetto '  (diavoletto),  pi.st.  rust.  bor- 
dello '  id.  ',  romagn.  bordel  '  id.  ';  — 
tose,  bordello  '  lupanare  ',  venez.  bor- 
del 'chiasso  (strepito)'  311. 

bordel  romagn.,  v.  borda. 

bordello  ital.,  v.  borda. 

bordlein  piacent.,  v.   borda. 

bordoc  milan.,  v.  borda. 

bordce  milan.,  v.  borda. 

bordiinól,  burdunal  bergam.,  v.  burdu. 

boiiso,  -e  prov.  fr.,  piem.  busa  'sterco'; 
-[- suff.  -ico,  icco;  bousic  'ver  de 
terre  ',  piem.  buseca  'interiora'  ;  prov. 
bousige  '  grufolare  (del  porco),  bou- 
sigadou  '  groin  de  porc';  ital.  sett. 
bu/igar  2>  tose,  bucicare,  bugicare, 
bugigattolo;  -{-  suflf.  atto:vaoàen.,  ferr. 
ecc.  bofgàt  sim.  '  porco  '  372. 


Indici. 


III.  Lessico 


Ò48 


boiisic  prov.,  V.  bonso. 

boHsigd  prov.,  v.  boitsu. 

boìi^igadoii  prov  ,  v.  botiso. 

bofè'r  nov.  '  burro  '  55. 

botalo  ven.  ecc.  '  chiocciola  '  da  bove 

430  0  da  bóvo  (valsug.)  '  cavo,  vuoto 

nell'interno  '  431  n. 
brentóla  trent.  sigiiif.  ==  bacilo,  bigolo. 
b  r  e  v  i  s  >•?  nov. /brcrcd  '  di  poca  con- 
sistenza ',  versici,  fbrécilc  e  fbri;>ito 

60  e  60  n.  2. 
byòk  nov.   '  ronzino  '  59. 
hrijka    nov.    'brocca'    (vaso"*   e    'ramo 

d'albero  '   59. 
buona,    buanel    lass. ,     fiamni.     boanòl. 

bidijol  'chiocciola'  428. 
b  u  e  e  a  r  i  0 1  u  bokro  l  '  beccuccio  '  nov. 
bitcicare,  bulicare  tose,  v.  bonso. 
bugigattolo  tose,  v.  boicio. 
bunjul  fass.,  v.  bitana. 
buonalana  ital.  non  ancora  conosciuto 

dalla  Crusca  265. 
burdaca   ticin.,  v;  borda, 
bitrdighn  bologn.,  v.  ìjorda. 
burdnul  ant.  moden.,  v.  bnrdu. 
hurdu  '  asino  '  >  ant.   mod.  burdnul 

'  trave  ';  bergam.  bordunal,  burdtniàl 

'  ahiri  '  ecc.  372. 
biqye'ra  vaL«ug.  '  chiocciolala  '  48. 
bwpo  valsug.  '^chiocciola'    431. 
busol  nov.  'bossolo'  (per  \'u)  79. 
bufa  piem.,  v.  bouso. 
bufeca  piem.,  v.  bou-^o. 
bu/gat  mod.  ferr.,    v.  bouao. 
bu/igar  ital.  sctt.,   v.  bonso. 
bu^triga  nov.  'lavoricchia'  115. 
brinel  moden.  '  imbuto  '  recente  379. 
b  y  s  s  i  n  0  s  gr.,  v.  risciola. 


canestro  tose,  v.  cesta. 


e  a  n  g  e  1 1  a  r  i  u  per  cane-,  nov. 
kanilè'r    173. 

canna  '  gola  '  -f-  sult'.  -occare:  ant. 
mod.  incanocciir  '  mangiare  avida- 
mente'; -|-  sufi',  -all',  -buia,  -acca: 
naji.  kannale  ecc.  '  collare  ',  o  '  col- 
lana '  375  n.  1. 

capiti  a  r  i  a  nones  kjavozara,  kjàu- 
zaja  'ciglio  di  un  fondo';  ^c  a  p  i- 
t  i  a  1  i  a  trent.  karezaia  e  sim.  e  a  • 
p  i  t  a  n  e  a  venez.  careagna  e  sim. 
404,  nov.  kavdàna  159. 

ca])oticu  (-pp-)  nov.  luipòleg  'grosso' 
moden.  capòilig  61. 

*c  a  r  a  b  i  e  u  1  u  non  etimo  di  grò- 
viglia. 

cassu  nov.  kns  (detto  di  ravanel- 
li) 57.- 

cattn  ven.  regata  sim.,  valsug.  pa- 
gata r  413. 

cavajno  ital.  (less.)  mont.  pist.,  Inceli, 
mont.  XIV;  origine  settentr.  di  ca- 
ragno  e  cavagna  XV. 

cavadura  nov.  v.  e  1  a  v  a  t  u  r  a. 

ceragia  lucch.,  v.  ciliegia. 

cerchiale  lucch.,   v.   correggiato. 

'  cercine  '  lucch.  cei  cino,  corallo,  succa- 
poro  XVII. 

cerino  lucch.   '  torcetto  '  XVII. 

cessone  lucch.  'ficcanaso'  X\MI. 

cessi  lucch.  '  segreti  '  XVII. 

cesta.  Ricchezza  e  precisione  di  ter- 
mini del  toscano  ]^er  questi  arnesi 
{paniere,  /laniera,  corbello,  corbella, 
canestro,  corba,  catino)  XII  seg.  Di- 
verso 0  impreciso  significato  di  pa- 
niere fuor  di  Toscana  e  nel  linguaggio 
letterario  di  fonte  non  toscana:  l^ol. 
panirèin  '  cestino  '  (da  bimbi),  '  cor- 
bello'; paniere  'cesta'  in  Gherar- 
dini  ecc.  Termini  dialettali  :  boi.  ecc. 


544 


Indici. 


III.  Lessico 


kordg,  lioriìga;  piem.  ecc.  havan,  /ca- 
vana, kavano,  kavano. 

Céfer  e  cF/a  nov.  86. 

chiavatura  alucch.,  v.   eia  v  a  t  u  r  a. 

'ciliegia'  lucch.  ceragia  XVII. 

cinquantare:  mod.  'vagabondare';  rie. 
Val  di  \òì:G\\i'<\pinknant(ir  'brigare' 
sim.,  venez.  cinquaìitar  '  ciarlare  ' 
276. 

cinta  uss.  '  cantare  '  (per  1'/)  302  n. 

cirant  frinì.,  v.  sarmito. 

e  I  a  V  a  t 'i  r  a  alucch.  chiaiatitra  '  ser- 
ratura',  nov.  cavadura  '  id.  '  156. 

e  1  e  t  a  uss.  kia  '  sorta  di  siepe  '  227 
227  n.  2. 

e  0  e  h  1  e  a  427. 

*c  0  e  u  1  i  a  triest.  kaggìa  istr.  kagi'ija 
hìujHJa  (capod.  kogola)  432. 

<5  0  d  i  e  e  nov.  skodfa  '  assicella  o 
stecca  del  ventaglio  '  61  e  n.  2. 

e  0  1 1  u  s,  V.  bipolo. 

corbella,  v.  cesta. 

corbellare  eufemismo  395  n. 

corbello  ital.,  v.  cesta. 

e  0  r  b  i  s,  V.  garbili. 

e  0  r  0  1 1  i  u  m  {koqoààIov)  moden.  cròi 
'cercine  '  878. 

corolla  lucch.,  v.   cercine. 

'  correggiato  '  lucch.  cerchiale  XVII. 

covelle,  V.  kvel. 

e  r  e  p  a  e  u  1  a  nov.  skervàca  crepaccio 
nel  terreno  55. 


■d  e  e  e  m  (uss.)  237  n.  3. 
*delapsus,      oris    valsug.  veron. 

e's'ar    in    delatore    '  esser    rovinato 

ecc.'  400. 
f's'ar  in    delas'ore.    veron.    valsug..  v. 

*d  elapsus  e  Giunte  a  p.  400. 


distru't  nov.  '  strutto  '  59  <  '  strutto'  + 

'  distrutto  '. 
'  divertente  '  nap.  divertite, 
domila  nov.  ecc.  (per  Vi)  90. 


e  r  V  i  1  i  a  :   1.  nomi  di  pianta  423  ;  2. 

parole  indicanti  '  aggrovigliamento  ' 

423  424  425  e  Giunte. 
esclwìiier  afr.  '  cordonnier  ".  v.  scofones. 


faup  uss.  Piazz.  'falso'  (per/)  341   n.  1. 
f  e  t  a  uss.  faià,  plur.  fé  227  227  n.  2. 
'  ficcanaso  '  lucch.  cessone  XVII. 
fi^tel  uss.  '  fi  a  g  e  1 1  0  '   (per  Vce)  240. 
forni?' nt  nov.  (per  Vo)  114. 
finela  uss.  ecc.  (per  m)  384  n.  2. 
fór    uss.    (per   Vg)  semiatono  241  n.  5 

292  n.  2. 
forsìt  (sua  estensione)  332  n.  3. 
f  r  a  g  i  u  m  nov.  fra.-è'r  '  combaciare  ' 

183. 
fra-e'r  nov..   v.  fragium. 
fìignza   nov.    (per    Va),    v.    Giunte    a 

pag.  123. 
furmià  uss.  300  n.  3. 

g  a  h  a  g  i  u  m,  g  a  g  i  u  m  longob.,  non 

>■   venez.  gn/'o  276  seg. 
gavagna  ital.  rust.  XV. 
ganiéro  valsug.  =  letamaio  402. 
garbin    uss.    (per   gorbin)    <   e  o  r  b  i  s 

(per  l'ar)  300. 
gher;ola    ant.  moden.  'allegria',   vivo 

nell'Ap.    lìologn.    /'garbala    375    375 

n.  1. 
gos'te'/'a  treni,  'agostina'  di  uva;  go- 

.s'tarol  d'altri  frutti  422. 
graisi    uss.    'grascia'    deverbativo   di 

ingriisd  291  n.  6. 


Indici.  —  UT.  Lessico 


545 


gramnuuìgh  moti,  ant.,  v.    g' r  a  in  m  a- 

t  i  e  u  s. 
g  r  a  m  m  a  t  i  e  u  s    ant.  moden.  grant- 

ìuadgìi    '  irritabile  '    pist.    gratiuitico 

'  elegante '  375  375  n.  2. 
gravatalo    tas.,   valsng.    rai-dtelo    '  slit- 
tino '  434. 
grepia  uss.  (diss.  da  greipìjA  229  ii.  •'>. 
grifoiinié  prov.,  v.  Befana. 
grò  uss.  'grande'  (per  Ys)  340  n.  5. 
groe'jo  veron.  "  aggrovigliamento  '.  val- 

sug.    itigroigar    '  arruffare  '    ecc.    v. 

e  r  V  i  1  i  a. 
groviglia,    aggrovigliare    ecc.    tose.    v. 

e  r  V  i  1  i  a. 
grumisfl  uss.  (per  i  conserv.)  308  n.  5. 


Il  e  1  e  i  u  ni  ■  alzaia  '  ant.  mod.  elza 
[lelza),  Ap.  bologn.  elza,  bologn.  ferrar. 
llza  '  carretta  per  la  neve  '  373  373 
n.  1,  2  e  Giunte. 

*ii  i  n  q  u  e,  *i  1  1  i  n  q  u  e  (*e  e  e  u-h  i  n- 
q  uè)  ])rov. enqua,  moden.  ant.  e  rust., 
parm.  lenka.  parm.  kenka  377. 

hram  german.  'hemmeri'  ant.  moden. 
aramir  'captare'  367  n.  1. 


incanoccur  ant.  moden.,   v.  e  a  n  n  a. 
initiare    mantov.    nizzàr,    cremon. 

ninzar,  moden.  Z/w2r«V  tagliare;  ant. 

lenz   '  incominciato    ad    esser  rotto  ' 

378;  nov.  linzè'r  111. 
integru"!   -ariu  294  n.  2. 
in    t  r  a  n  s  a  e  t  u  (con  suff.  -acca)  ant. 

moden.  («)  trasacc,  bologn.  a  ter/ah 

romagn.  a  tar/ak,  ferrar,  id.  a  tarjdk 

e  a  trasàk  385  385  n.  1. 
in',amó  nov.  rust.  già.  63. 
jabó  nov.  antiq.  e  volg.  '  ohibò  '  63. 

Archivio  glottol.  ital.,  .WII. 


•/.uyyaP-oii ,     moden.    *s  ganga  j    (dal 

plur.  V.  Giunte)  >  fgangaiol  383. 
kagoja   triest.    '  chiocciola  '    v.    *e  n  - 

culi  a. 
kagiija  istr.,   v.  *c  0  e  u  1  i  a. 
kalìl'cni  tre  ut.,  v.  karaj'a. 
kamerel  trent.  'bottino',  403. 
kanavìi'l  nov.  per  kaitvu'l  <i*/,an(i/>i'(l<' 

+  A-'7y,rt  129. 
kaimalc  na|).,  v.  e  a  n  n  a. 
kapòleg  nov.,   v.  e  a  p  o  t  i  e  u- 
karaj'a  valsug.  tront.  kalH:^e»t,  karilie»! 

rover.  skarau~em  403,  404.  404  n. 
karlo'l  nov.  '  garzolo  '  55,   148. 
kas,  v.  e  a  s  s  u. 

kat  uss.  '  quattro  '  prestito  293  n. 
kavah  piem.,  v.  cesta. 
kia  uss.,  V.  e  1  e  t  a. 
kjàuzaja    nones    'ciglio    di   un  fondo' 

kj  ava  zar  a  sim.  v.  e  a  p  i  t  i  a  r  i  a  sim. 
kógola  istr.  'chiocciola'  v.  *coculia. 
kql  trent.,  v.  bigqlo. 
komé  nov.  quomodo  est  63. 
k()r  uss.  cuore  (per  l'ò)  241  n.  5. 
kordg  ])o\.,  nov.  hjreg  e  kòrga,  v.  cesta. 
kornqlo  valsug.,  vicent.  '  chiocciola  '. 
kor/ih  nov.  '  cuore  del  cavolo  '  130. 
kuara    veron.    '  brania  '    piac.    quùdur 

'  aiuola  '  ecc.,  v.  q  u  a  d  r  a. 
kuguja  istr.  '  chiocciola',  v.  co  culi  a. 
kuprd'l  nov.  per  knparql  130. 
kvel  nov.,  ant.  ital.  '  covelle  '  58. 


1  a  e  u  n  a,  non  >•  trent.  ìiina  407. 

1  e  f  f  u  r   aated.,  veron.  f'ianfrar  '  di- 
vorare '  419. 

ìeii  *levia  uss.  '  slitta  '  (per  (0  328. 

lenz  moden.,  v.  i  n  i  t  i  a  r  e. 

1  e  g  e  r  e    nov.    rust.  le;er    '  scegliere  ' 
60. 

36 


546 


Indici.  —  III.  Lessico 


linzfir  raoil.,  v.  i  n  i  t  i  a  r  e. 

li}}a  valsug.,  V.  lomb.  lipoh. 

lipe  ant.  frane,  frane.  li/>pe,  lip]}ée,  v. 
lomb.  lipón. 

lipóh  lomb.  '  pigro,  tardo  ',  valsug. 
h'pa  '  fannullone  '  >  ant.  ted.  lippa 
--ant.  fr.  lipe  frano,  lippe,  lippée; 
cfr.  trent.  f'iipja,  ^'lipjg'm  '  lernia 
sim. \/'Hpjàr  'mangiucchiare'  277. 

1  i  p  p  a  ant.  ted.,   v.  lipoh. 

1  0  1  i  u  ,  nov.  a]loJ<fr  '  render  ottuso  ' 
(per  una  credenza  popolare)   J51. 

lo  re' l  treni.,  v.  1  ù  r  a. 

loréta  venez.,  v.  1  n  r  a. 

lorq'to  veron.,  v.  1  ù  r  a. 

*1  u  l'e  s  e  '  lugliola  '  (uva)  >  trent. 
ne'/' a  ;  altre  denomin.  venete  422. 

]  u  r  a  ven.  trent.  parm.  ecc.  Iq'ra  'pe- 
vera ',  da  1  ù  r  a  '  orifizio  di  sacco  ' 
ecc.,  non  da  ùter;  derivati:  val- 
sug. ore'lo,  giudic.  urèi,  nònes  ovel, 
trent.  lore'l,  veron.  ìorg'fo,  venez. 
loréta  211  seg. 

lu'ljaìia,  lìiljana  veron.  (uva)  422. 

luna  trent.  '  parte  scema  dell'uovo  '  da 
1  u  n  a,  non  da  lacuna  407. 

lilsia'   uss.  '  lisciva  '.  (per  v)  330  n.  3. 


m  a  i  0  r,   v.  merigo. 

mah'sipar  veron.,  '  sciupare  '  da  desi- 
par  '  id.  '  -|-  man  (?)  408. 

*mar-  'sasso,  sim.'  bergani.  ìnaron 
'macigno,  sim.';  trent.  margna  'ma- 
cia ',  ver.  '  muro  a  secco  ',  giud.  nia- 
rq'nya  '  mucchio  di  sassi  ',  Marognc 
(top);  ivQiìi.  f'mnronà  'malandato, 
anche  in  salute  '  triest.  morona. 
venez.  marogna  '  scoria,  sim.  ',  ant. 
trevis.    maruogua   'scoria  ecc.';    — 


trie.st.  maroka  ciarpame,  trent.  ma- 
ro'k  '  sasso,  babbeo  ',  giudic.  marok 
'  sasso  ',  fmaroccarse  '  gettarsi  sassi  '; 
topon.  trent.  Marg'k,  Maroche;  piem., 
lomb.,  emil.,  romagn.  maroka  '  ma- 
rame'; ver.  '  id.  e  infreddatura' 
286  e  Giunte  a  p.  247. 

mara,  mahr  germ. ,  illir.  mara 
>  ven.  /'mura  '  incubo  ',  '  uggia  '  ; 
tìiarantegn,  marameo  283. 

maramèo,  v.  mar  a. 

marantega  ven.,  v.  m  a  r  a. 

marela  venez.,  v.  meta. 

marelo  valsug.,  v.  meta. 

marende'l  fiammaz.  'mucchio  di  fieno', 
cfr.  mare'lo  p.  409. 

ma  riga,  -o,  marigola  ven.,  v.  ma- 
tri  e  a. 

marona,  marg'k  trent.,  v.  *m  a  r-  .586. 

margka  lomb.,  v.  *m  a  r. 

maroka  piem.,  v.  *mar-. 

margka  emil.,  v.  mar. 

marun  bergam.,  v.  *m  a  r-   286. 

margna  veron.,  v.  *m  a  r  286. 

marogna  venez.,  v.    *mar.  286. 

marg'nya,  margk,  fmarokarse  giudic, 
V.  *m  a  r-  286. 

marriibiu  non  etimo  di  ven.  ma- 
rubjo  '  burbero  '  cfr.  valsug.  maruhjo 
'ruvido'   281. 

maruhjo  ven.,  v.  m  a  r  r  u  b  i  u. 

maruogna  trevis.  ant.,  v.    *m  a  r-    286. 

maruhjo  valsug.,  v.  m  a  r  r  u  b  i  u. 

manvjan  germ.,  ferr.  manrar,  ant. 
moden.  amanvur,  letterarizzato  ama- 
novàr  366  366  n.  2. 

*m  a  t  r  T  e  a  per  m  a  t  r  i  e  e  !>  valsug. 
ant.  Mudricha  '  giurisdizione  rego- 
lare',  ven.  marlga  'sindaco';  deri- 
vati :  marigola  (non  viceversa),  doc. 
mediev.  trent.  marìgantia  '  ammiui- 


Indici.  —  III.  Lessico                                             54*7 

strazione    del    i-omuiie  ".  —   mari-  >iìn:cn-  crem.,   v.  i  ii  i  t  i  a  r  e. 

cus  (in  carte  di  Treviso  ecc.).  ven.  «/—///•  niantov.,  v.    i  n  i  t  i  a  r  e. 

ntaritjo  279  seg.  e  Giunto  s.  mari-  nocet  nov.   iwj  55. 

e  u  s.  nuda  (per  Vu),  v.  Giunte  a  png.  123. 
vKiffo.  sua  geojjrafia  410  e  v.   m  e  t  (t) 

ni  a  t. 

,        .  ,  •                 ,  o)iì''r  nov.  dispre".  di    '  uomo  '    su  so- 

ui  a  t  u  r  1  0  r   et  miti  or,   moden.  /»rt-  '                                     . 

,                 ofio           "  """'■  '  «omaro  ',    v.  (iiiinte  a  p.  90  n. 

dìtr  ììczz  o9b.  .     ' 

.,•  ohbriiiol  nov.  *u  m  li  i  1  i  e  u  I  u  61. 
m  e  n  s  u,  v.  taumcij. 

i'               V                  ,  opilai;   valsufj.  v.  o  i)  p  i  1  a  r  e. 

inerujo    veu..  -a      cursore   d  un    com.  ^        >            n             <   i 

^'           .        /^          •         ,           ,     •       .  oppi  la  re  >   valsug.  opildr  '  oiMìri- 

>  lìiai/rifDs  (  >  m  a  i  0  r  -(-  m  a  t  r  i  e  a)  '  '                                 ni               i  i 


mere  sim.  '  412. 
ore'l  nòne.s,  v.  I  ù  r  a. 
orelo  vaisug.,  v.  1  vi  r  a. 
0  V  a  e  u  I  u  >  lucci),  ahhakkip,  halckip 

ecc.  390. 


411  412. 
ììicìiin  i'riul.,   v.  mota. 
inertedi'    nov.    (per    Ve),    v.  Giunte    a 

p.  120. 
mèta  non   >   friul.   nurìiii  ■mucchio 

di  fieno  0  strame  ecc.';  cfr.    venez. 

marela,  valsug.    mare'lo    '  id. ',    vela  panicrr  ital.,  v.  cesta. 

con  aforesi  281.  panii'iii  IpoL,  v.  cesta, 

ni  e  t  i  u  s  italico  rust.  (ant.  celt.  >noHh  pal])etra  237  n.  1. 

'tener')  ital.  mezzo  378  n.  parpejra    <C  parpeila  -(-  pai-pera   Val 

base  celt. -ital.    sett.  met(t)  mat  >  Soana  237  n.   ]. 

matto  411   nòta.  pàs  nov.  'appassito'  57. 

miliu.     modon.     miarcna    '  acqueru-  jìatàja  nov.  'lembo  interiore  della  ca- 

giola  '  (anticp);    ital.  mit/liaroìa,  )i>i-  micia'  57. 

gliarini  'pallini'   >■   modem,  miglia-  papyrum  nov.  ^wrp/T<  '  sala' (pianta 

rena  'id.  '   379.  palustre)  55. 

min  uss.  'mio'  (per  1'/)  238  n.  3.  perticarium.    romagn.    pardghìr 

niist  us^■.  "maestro'  (atono)  313  n.l.  'aratro'  375  e  Giunte. 

>«//c7(é'«  moden.  antiq     simm..  v.  sm  ei-  pczuoi  abellun.  '  ccci  '  412. 

cheln.  pezznli  ven.  '  ceci  '  412. 

mìlna  nov.  'parlar  melHfuo'   109.  picii'd  friul.  'ceci'  412. 

morona.  niaroka  triost.,   v.  *m  a  r  286.  p  i  n  e  a.  moden.  rust.  pe'na  'mucchio 

inufc  nov.  'spuntato',  lomb.  moìk-  79.  di  paglia',    ant.  pnon    'mucchio  di 

maka  nov.  '  vacca  '  e  *  stufa  '  79.  covoni  '.  engad.  berg.  pina,  ital.  pi- 

maiiger  e  moiiger  nov.  '  liirichino '.  79.  naila  381. 

niìi'ilra  e  mostra  nov.  79.  pe'na  mod.  rust.,  v.  pine  a. 

pina  engad.  berg.,  v.  j)  i  n  e  a. 
pinatta  ital..  v.  p  i  n  e  a. 

nàdra  nov.  'anitra'  85  e  Giunte.  piz  trent.  '  polpa ', /j/Voi  '  cece ',  triest. 

nh/ar  nov.  'nero'  88  (per  1"/).  piziol  nònes  j)/^"^ '/,  '  cece  '  ecc.  412. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVII.  36* 


548 


Indici.  —  III.  Lessico 


piziól   triest.  '  cece  '  412. 

pizoli  ant.  ver.  '  ceci  '  412. 

jnzol  trent.  '  cece  '  412. 

piziie'l  nònes  '  cece  '  412. 

pìik  nov.  '  colpo  dato  di  -scatto  con  le 
dita',  regg.  krik  '  id.  '  (onomatopee) 
155. 

pnon  mod.  ant.,  v.  pine  a. 

pgleg  nov.,  mod.  pòles  'perno';  pglga 
(femm.)  'ramo  novello  dell'annata' 
61. 

jìòles  moden.,  v.  pgleg. 

piiàza  nov.  '  uccello  di  molte  penne  ' 
109. 

*p  retiare  ant.  moden.  prizzar  '  cer- 
care avidamente  '  382. 

prizzar  ant.  moden.,  v.   p  r  e  t  i  a  r  e. 

Profundu,  spesso  letterario  331  n.  1. 

pumol  nov.  (per  Vu)  79. 

puntactione  punta/o  n  nov.  'te- 
nesmo, spinta  '  183. 

punta/ò'h  nov.,  v.  punctatione. 

pup  uss.  Piazz.  '  polso  '  (per/)  341  n.  1. 


*q  u  a  d  r  a    veron.    kuara    '  brania  ' , 
piac.  quàdar  di'  ort  ecc.  e  sim.  406  n. 
q  u  0  m  0  d  0    est  nov.  koiné  62. 


*ragulare,  v.  rages. 

rdges  trent.   '  grande  schiamazzo  ;  rust. 

ragos'  '  brontolone  ',  milan.  raggd<i 

*r  a  g  u  1  a  r  e  413. 
raggd  milan.,   v.  rdges. 
raskè'r  nov.,  v.  r  a  s  i  e  a  r  e. 
*rasicare  nov.  raskè'r   'raschiare' 

179. 
reboto  ital.  seti  {*rebotto)  'forte  di 

scarpa',  lussinp.  ribota,  friul.  ribott, 

bologn.  arbót;  ferrar,  arbóta  'toppa'. 


parmig.  arbott  '  scarpa  rattacconata  ', 
arbotear  '  rattacconare  ',  moden.  ar- 
butin  367  367  n.  2. 

*r  e  -  e  X  s  e  u  t  e  r  e  nov.  arskoder  '  detto 
delle  ova  che  si  fanno  covare  per- 
ché ne  esca  il  pulcino  '  61. 

regata  ven.  ecc.  sim.,  v.  e  a  1 1  u. 

vela  valsug.,  v.  meta. 

*r  e  s  e  e  a  nov.  re/ga  '  sega  '  60. 

re/ga  nov.,  v.    reseca. 

ringavagnare  ital.  (dant.),  sua  oblitera- 
zione XVI  segg. 

ro/epila.  rofi^pola  nov.  •<  rofa  -\-  erefi- 
pela  127. 

rovigliare  tose.  '  svoltolare  ',  veron. 
rovejar  '  arruffare  sim.  ',  rovejg'to 
'  grovigliolo  '  ecc.,  v.  e  r  v  i  1  i  a. 

sugane  friul.  '  maga,  strega  '  <C  s  a- 
g  a  n  a  4~  a  q  u  a  n  a  283  ;  Aganis  (da 
lis  {S)aganis)  Sdnas  413  414. 

s'aranto    ven.,  friul.    cirant  '  verdone  ' 
da  taranzo  per  metat.    e    non   vice- 
versa 421. 
fberlanza    nov.    '  altalena'    da  bilanza 
-^fhurte'r,  v.  Giunte  a  p.  183. 

fbjàvid  nov.  '  sbiadito  ',  a.  ital.  biavo  e 

biado  60. 
fbreved  nov.,  v.  brevi  s. 

fbre'vile,  fbre'vito  versigl.,  v.  brevis. 

scalfÌH  lomb.  da    s  e  a  f -  -j-  calza  474. 

scaraborda  ant.  mod.^   v.  borda. 

scijol  nov.  '  zufolo,  fischio  '  (per  l'i)  78. 

s  e  0  f  0  n  e  s  (s  e  o  f  f  o  n  e  s)  mlat.,  pie- 
vepel.  sk.HÓn,  Ap.  emil.  skuncin  '  cal- 
zerotto';  afr.  eschoJiier,  escolierie  sim. 
474. 

s'cof  tìammaz.  '  chiocciola  '  (richiesta 
base  con  ò)  426  427. 

'  segreti  '  (sost.),  lucch.  cessi  {=  recessi).- 
XVII. 


Indici. 


III.  Lessico 


.^49 


s'è  lega  venez.  '  passero  '  e  simm.  41(3. 
sciHìia  uss.  (per  ìim)  334  n.  2. 
sei-  nov.  'siero'  (per  1'.?)  86. 
a'ef'la    trent.    '  balestruccio  ',     'xc/'lom 

'  roiuIoiK'  '  da  s'e/'la  '  falcino  '.  Forse 

la  stes.sa    origine  à    il    venez.  s'i/ila 

414  seg. 
sera  e  rfra  nov.  '  apri  '.   Analogia  re- 
ciproca 86. 
sess,  mod.  v.  s  k  e  i  t  a  n. 
fgabiiff  inodeu.  ant.  '  manrovescio  '  ■< 

ì>iiff   (ital.    buffetto)  -f-   sgainaitotiar 

'  percuotere  con  vincastro  '  383  seg. 
fgangaiol  moden.,  v.  '/.dyy^aÀog. 
si  aksi',  nov.  acc.  a  se  aksé  (per  Vi)  89. 
sidjàr[e)  ven.  '  seccare  ecc.  '  s'idjo  '  sec 

catura  ecc.  ',  valsug.  sidjà  '  spossato, 

affranto  ',    probab.    <  "  assedio  '    + 

■  accidia  '  417. 
sileff    moden.    '  rottura    o    taglio    sul 

volto  '  <C  siine  '  segno  di  percossa  ' 

+  ?f/f  (labbro)  388. 
si/Ha  venez.  ■' rondine ',  v.  s'ef'la. 
skaranzem  rover.,  v.  kuraf'n. 
skaruga  valsug.  specie  di  slittino  434. 
skeitan  german.    '  imbrattare  '  moden. 

sess  ecc.  382. 
skervàca  nov.,  v.  ere  p  acuì  a. 
skod/a  nov..  v.  codice. 
skgka  nov.  '  cassa  del  cocchio  '  59. 
skuncih    Ap.    emil.    '  calzerotto  ' ,    v. 

s  e  0  f  0  n  e  s. 
skuón  pievepel.,  v.  s  e  o  f  o  n  e  s. 
flanfriir    veron.    '  divorare    ecc.  '    da 

1  e  ff  u  r  4"  f'iapur  '  divorare  '   ecc. 

419. 
_/l7s  nov.  '  liso  '  (per  1'^)  90. 
f'iinfjo,  flinfja,fninfjo,  veron.  veron. 

trent.  f'Umpjo    '  smorfioso    e    sim.  ' 

419. 
fui  (ir  a  ven.,   v.   ra  a  r  a. 


s  m  e  i  eh  e  1  n   ni.  a.  ted.:  moden.  antiq. 

mlifhén    '  carezze  ',    mlichen.    nilicatt 

■  delicatuccio  '  379. 
■oiieimi  uss.  '  semino  '  (per  la  ]irogres- 

sione  relat.  antica)  3.51  n.  4. 
fmoUdeg  nov.  'viscido'  61. 
sHH  uss.  'sonno'   220  n.   1. 
soiìià'k  nov.,  ital.   '  sominacco  '   (specie 

di  cuoio)  07. 
s  0  r  i  e  u  nov.  soreg  168. 
sotìx'k  nov.  '  colpo  dato  sotto  il  mento  ' 

57. 
sotkopa  nov.  (sotto  coppa)  '  vassoio  '  59. 
spargiijnr  vaoàQ.n.   <    '  spargere'  -\-  a r- 

vìijdr  384. 
spender  nov.  '  s])andpre  '  •<  spandere  -\- 

spendere  83. 
spianta  poles.  '  cosa  che  sprizza  '  ecc. 

<  s  p  l  e  n  d  e  0  -\-  altra  base  284. 
sjnaniore  poles.    <   splendore  + 

splendere  284. 
sprer  nov.  'guardare  attraverso  le  uova 

per  conoscere  se  son  fresche'    109. 
sprok  nov.  '  stecco  '  59. 
stadel    tre:it.    '  i)ioIo,    regolo',    v.    a- 

stella. 
stavigi    valsug.    'due    legni    per  soste- 
nere   il    carico    di    carretti  '.    v.    a- 

s  te  Ila  418. 
sucraporo  Inceli.,   v.   cercine. 
SHt-sorer  nov.  per  si)t-s.  da  su  122. 


t  a  b  u  1  a  r  i  u  nov.  toU'r   '  madia  '  82. 

turando  valsug.  qcc. ,  \.  karanto;  con  d 
da  taranto  per  dissimilazione. 

tau mei/  uss.  mensa  "tavolo  da  for- 
naio '  341. 

tee  nov.  in  gras  tee  'grasso  zepjio  ' 
aret.  ' tecchio  '  ecc.  58. 

tegimen  moden.  ant    tem  ecc.  3s4. 


550 


Indici.  —  III.  Lessico 


iem  moden.  ant.,  v.  te  gì  m  e  n. 

tolè'i'  nov.  *  madia  '  t  a  b  u  I  a  r  i  u  82. 

'  torcetto  '  lucch.  cerino  XVII. 

trame  venez.,  v.  traaien. 

*t  r  a  m  e  n  voiiez.  trame  '  androne  ', 
vicent.  tramene  '  striscia  di'  terreno 
ecc.  ',  Trami  ed  a.  n.  1.  421. 

tramene  vicent.,  v.  tra  m  e  n. 

trìd  nov.  '  trito  '  55. 

tridla  nov.,   v.  t  r  1 1  u  1  a. 

tritula  nov.  tridla  61. 

tubrugus  tnbrucus  m.  lat.,  germ. 
d  e  0  b  p  r  0  h,  g'I.  Cassel  deurus  {de- 
vrus\  ant.  prov.  trebuc,  a.  fr.  trebu, 
vaiteli,  traùch  ecc.  473. 

turirola  nov.  *t  a  b  u  1  a  r  i  o  1  a  (per 
1'/)  130. 

pagatàr  valsug.,  v.  cattu. 

urèi  giudic,  v.  lura. 

rallva  nov.  detto  di  terra  'di  valle  '  55. 
*v  a  1 1  e  s  i  a  n  a  nov.  valf^na  '  erba  di 

valle'  187. 
verd  nov.  (per  l'è),  v.  Giunte  a  p.  73. 
visciola  ecc.    da    aat.    w  ì  h  f?  e  1  a  non 

da  b  v  s  s  i  n  0  s  '  rosso  '  422. 


V  0  e  u  u  s  431   n.  2. 
voest  uss.  (per  Vce)  223. 
vrespa  parmig.,  v.  sotto  a  p  e. 
ve  nov.  per  i^e  '  vedi  '  87. 

w  ì  h  s  e  l  a,  aat.  v.  visciola. 

Cognomi   monosillabici  iu   Italia, 

V.  l'elenco  p.   456  segg. 

Toponimi. 

Ap.  erail.   Agolare.  v.  a  q  u  i  1  a  364. 

nov.  La  Barkesa  58. 

Nomi  loc.  ven.  da  bovolo  '  chiocciola  ', 

'  vortice  '  428  427  n.  T. 
nov.  I  Brufè'  54. 

nov.  Fàvreg  Fabbrico  60  e  60  n.  1. 
trent.    Marogne,    Margk,    Maroche,    v. 

*m  a  r-  286. 
frinì.  Foran  des  Sànas  414. 
frinì.  Buse  des  {s)Aganis  414. 
n.  1.  in  prov.  di  Modena  Stà~a  185. 
Trami,  v.  t  r  a  m  e  n. 
Nomi  loc.    ven.    connessi    meglio  con 

verla    '  visciola  '    che    verla    uccello 

423. 


Note    lessicologiche. 


Neoformazioni:    Nomi,    v.  Suf-  Nomi    di    frutta    422. 

fissi  e  cfr.  Lessico  s.  boàza,  boga,  Specializzazioni  di  signi- 
canna,  cattu,  mllna,  pnàza.  kg-  fi  e  a  t  i  :  v.  e  1  e  t  a,  horfin,  kame- 
gettivi:    cfr.   Lessico:   s.  valica,   vai-  rei,  quadra. 

yana.  Verbi  :  cfr.  Lessico  sotto  spr^r,  Voci   sorte    per    credenze    po- 

canna.  polari,   costumanze:   v.  Less. 

Nomi    di    a  n  i  m  a  I  i  :  V.  Lessico  s.  s.  1  o  1  i  u,    a  n  n  u. 

ape,  borda,  bouso,    aquila,    o  v  a-  T  r  a  s  1  a  t  i    ornitologici    i  n  n  o- 

culu,  chiocciola,  sefla,  selega.  mi    di    cose   126  n.  1. 


Indici. 


III.  Lessico 


551 


Appellativi  pei-  'sciocco'  di 
origine    oscena  395  n. 

E  n  fé  m  i  s  m  i  395  n.  ;  v.  munt/ef  e 
tìiongiT  79. 

0  n  o  ni  a  t  o  p  e  e,  v.  Less.  s.  pUh. 

Nomi  e  soprannomi  da  'chioc- 
ciola' 428  n.  2. 

Accorciamenti  vezzeggia- 
tivi   di    nomi    n.   106. 

T  r  a  s  1  a  t  i    diversi: 

■  abitare  '  >  '  frequentare  '.  '  ])raticare  ' 

273. 
'alzaia'  >  "traino';  'pei-tica'  >  'aratro' 

373,  ma  v.  Giunte  a  p.  378. 
nov.  ihgus  '  schifo  ',  angustia  59. 
'  americano  '  per  '  raro  ',   di  pianta  od 

altro  410  411. 
'deriv.    di  aquila  '  >  'varie  specie   di 

uccelli  rapaci  diurni  '  392. 
'  bestia    da    soma  '    >    '  oggetto    che 

porta,  sostegno  '  372. 
'befana'  >  'rumore  della  tempesta' 

V.  befana  361. 
'Befana'>'spauracchio,  maschera,  baco 

sim.,  ragazzo,  chiasso,  lupanare', 
baco,    estensione    del   termine    a   vari 

insetti  nell'Emilia  370. 
ex  pian  are    nov.    ftpjaiìc'r    l'ihsoni 

'  avverare  il  sogno  '. 
'  e  r  V  i  1  i  a  '  >  '  aggrovigliare  '. 
'chiocciola'    e    'lumaca'  confuse  425 

430  n.  1,  2. 
'  chiocciola  '  >  '  spira  ',  '  vortici  '  428. 
'  andar  a  chiocciole  '  >  '  perder  tempo  ' 

429,  426. 
'tempo  da  chiocciole  '  >  'tempo  pio- 
vigginoso '  429. 
bove  >  bòvolo  ecc.  '  chiocciola  '  480. 
bovolenti  (Rovigo)  '  vortici  dell'Adige  ' 

428. 


nov.  ingahjaneri'f  '  del  cielo  che  s'an- 
nuvola' da  gabjàn  'balordo'  186. 

'  gazza  '  >  '  strida  '  sim.  382. 

got  '  grasso  '  (agg.)  gluttus  nov.  59. 

valsug.  far  galera  '  slittare  '  435. 

'inedia'  >  'noia'    e  vicev.  417,  418. 

levare,  nov.  alvnrola  'striscia  di 
cuoio  che  lega  le  corna  dei  buoi  al 
giogo  '   156  n.  2. 

spàiit  in  l^ijt  spfiitf.  '  cotto  tanto  da  di- 
ventare una  pappa  '  nov.  66. 

nov.  karcsfer  '  scapestrato  '  58. 

"luna'  '  jìarte  scema  dell'uovo'  v.  Less. 
s.   luna. 

nov.  inód  \ar7'r  al  luodì  '  aver  mezzi  '; 
mot  a  mot  '  ammodo  '  55. 

inatto  >  '  deficiente,  falso  '  ecc.  410  n. 

*  miglio  '  >  '  aquerugiola  '  '  pallini  ', 
v.  less.  s.  m  i  1  i  u. 

mumji'r  '  biascicare  '  nov.  186. 

molli o  :  nov.  fmoju  '  ranno  già  usato  ' 
182. 

navàza  '  mestato  io  '  (dalla  forma  spe- 
ciale) nov.  57. 

'  p  i  n  e  a  '  '  mucchio  di  paglia  '  v.  less. 
8.   pine  a. 

nov.  arj'ì'm  '  reame  '  cosa  ritenuta  rara 
e  preziosa  da  chi  la  possiede  66. 

nome  del  recipiente  >  nome  dell'og- 
getto che  lo  porta  275. 

nov.  arfjadfr  {rifiatare)  >  sfiatare  (di 
tubi  e  canne)  178  e  Giunte  a  178  e 
a  m  a  r  i  e  u  s. 

tapfr  '  levar  via  abbondantemente 
schegge  dal  legno  per  assottigliarlo' 
>•  'mangiare  abbondantemente'  178. 

'  sterco  '  -|-  suft'.  >  '  interiora  ',  '  verme  ', 
'  ])orco  ',  ■  grufolare  '  v.  s.  bufa  (bouso) 
372. 

'  toppa  '  >  '  forte  di  scarpa  '  (tose,  e 
ital.  sett.),  V.  less.  s.  r  e  b  o  t  o. 

'tafano'  >  'irrequieto,  in  collera', 
V.  less    s.  afiol.  , 


552 


Iiiilici.  —  III.  Lessico 


nov.  triiit  '  di  aspetto  soflerente  '  59. 

'  scuotere  '  >  '  metter  a  covare  '  v. 
less.  s.  r  e  -  e  X  s  e  u  t  e  r  e. 

nov.  simjg't  '  nome  popolare  d'una  ma- 
lattia dei  baniltini  nei  jirimi  mesi  di 
vita'  186. 

nov.  vina  in  senso  metaforico  ironico 
'  abitudine  che  altri  prende  a  pro- 
prio comodo  e  con  nostro  fastidio  ' 
182. 

nov.  veder  gaz  '  leggero  strato  di  ghiac- 
cio sulle  strade  che  rende  pericoloso 
il   camminare'   182. 

nov.  tibjer  '  battere  il  grano  ',  certo 
scherzosamente  per  il  ricoi'do  di 
tibja  (l'osso)  v.  Giunte,  !>  '  darsela  a 
gambe  '  178. 

Analogie    di    parola. 

1.  Analogie  in  derivati  dalla  stessa 
base  : 

nov.  pjunt^h  per  pu»nn  su  pjuma  155. 
nov.  skefni'c  '  mingherlino  '  su  skcren 

' scarno  '  108. 
nov.  termir  'tarmare'  su  ternili  'tarme' 

108. 

2.  Analogie  su  schemi  fonetici: 

nov.  bote'r  '  burro  '  sulla  serie  con  iniz. 

bo-  124. 
nov.  dorbèr  '  pascer  d'erba  '  per  i  piti 

comuni  iniz.  dor-  117. 
nov.  ece.*desOTes<Ì9,  sulla  serie  con  des-. 
nov.  d/éva  '  diceva'  per  di/éva  su  vdeva 

ecc.  118. 
nov.  rust.  fermaciRfa  su  fermlr  sim.  125. 
nov.  parole  di  tipo    'imbriago',  sulla 

serie  con  in  -^  cons.-  106. 
nov.  koriqf  '  curioso  ',  sulla  serie  con 

iniz.  ko-  124. 


nov.   incastrar  'incastrare'  per  carè'r 

sim.   173. 
nov.  luDiàteg  (con  t  per  d)  sui  letterari 

stomàtik    sim.    167    (cosi    parm.  sal- 

rateg  167  n.). 
nov.    paìmò'h    '  polmoni',    sulla    serie 

con  jmI-^  123. 
nov.  pikme'r  (per  2^'tiner),   dalla   serie 

con  km   158. 
nov.  skerpio'h  '  scorpione  ',  sulla  serie 

con   iniz.  sker-   122. 
nov.  ì-e-  cop.  in    ar    per  anal.  dei  re- 

scop.  117. 
nov.  fnester  '  storta  '  sulla  serie    degli 
fti-  legittimi  158. 

3.  Analogie  di  parola  su  singola  pa- 
rola : 

nov.  boliln  '  pallino  '  del  giuoco,  [anche 
'  boccino  '  Cr.]  <  *balin  -|-  boca  [boc- 
cino]  110. 

nov.  distrn't  '  strutto',  -[-  '  distrutto  '  59. 

nov.  e/l'l  'asilo'  su  e/iji  'esiglio'  108. 

nov.  farabidà'n,  '  parabolano  '  -|-  '  fa- 
rabutto '   149. 

nov.  gàvra  'neve  gelata  a  granuli' 
<  g  1  a  e  i  e  s  -(-  g  1  0  b  u  1  u  s   1 56. 

nov.  volg.  krihzipi  acc.  a  kininzipi  e 
prinzipi,  '  principio  '  +  '  comincio  ' 
153. 

nov.  kanavu'l  \)ììy  kanviil, -\- kana  129. 

nov.  numòfla  su  pantòfla  158. 

veron.  mans'ipar  'sciupare'  da  des'ipar 
'  id.  '  +  man  408. 

ven.  nierigo  'cursore',  mayricus 
+  m  a  t  r  i  e  a  411  412. 

nov.  meriedi'  su   merkordi'  125. 

valsoan.  parpcjra,  lìarpeila -\- purpera 
237  n.  1. 

nov.  pertsemen  '  prezzemolo  ',  su  seni- 
na  169. 


Indici. 


111.  Lessico 


5,53 


nov.    rcKleìa,    (/rateila  +  rete   (v.   però 
11.  164). 

nov.  ratjajì'  '  roco  ',  su  ràsk  '  ra- 
schio '  (?)  153. 

nov.  rofi'pija,  ro/i'pohi  <C  'ro/a  [rosolia] 
4-  '  erefi  polii  '   129. 

nov.  rcrjr>'  '  ravioli  '  su  reni  revjnf   108. 

frinì,  sagana  '  )na-ga  ',  s  a  g  a  n  a  4- 
a  q  nana  283. 

nov.  venez.  sarak-a  da  '  salacca  '  -f- 
•  sardella'   lti9. 

nov.  fherlàhza  '  altalena'  da  '  bilancia' 
-\-  fbiirfèr.  V.  Giunte  a  pag.   183. 

lonib.  scal/in  da  scaf  -\-  "  calz-.i  '  474. 

nov.  sera  'serra'  e  rera  '  a])ri ',  ana- 
logia reciproca  86. 

nov.  ed  sfronlntta.  da  '  sprone  '  -\- 
'  sfrohbla'   154  ima   v.  365  n.). 

moden.  ani. /(fabiiff  'manrovescio'  da 
buff  '  manrovescio  '  +  Jìjainaitonar 
'  percuotere  con  vincastro  '  383. 

venez.  siiijdr  ecc.  v.  less.,  '  assedio  ' 
-|-  '  accidia  '  417. 

moden.  fle/J"  rottura,  taglio  sul  .volto  '. 
.-filar  '  segno  di  percossa  '  -f-  leff 
•labbro'  383. 

nov.  spender  '  spandere  ',  da  ■'spandere 
-j-  spendere  83. 

valsug.  stavigi  '  stanghe  da  cairetto  ' 
ecc.  <  stadel  '  piolo  '  +  are'go  '  per- 
nio '  418. 

310V.  sternà'c  acc.  a  slcerni'c  '  mingher- 
lino '  fn.  159),  su  stente'  153. 

nov.  siU  sorer  '  sottosopra  ',  per  .swf  122. 

nov.  vaUjrja  '  valanipa  '  'vampa'  + 
■  baldoria'  174. 

nov.  veiitè'  per  lente.'  '  allentato  '  + 
'  vento  '  [o  '  ventre  '?]  152. 

nov.    »ìO    rfrda    '  guarda    un    pò  ',    su 

'  vedere  '  158. 
nov.  zirela,  *iirellu  '  girella  '  -\-  cidella 
150. 


regg.,  piacent.   -^o    ])er    ^^or  jugu    su 

bo  '  bove  '. 
nov.  sjìjor/ìtiè'r  {con / i)ev  'J  su  urfinè'r 

e  sim.   166. 

Prestiti     frequenti    nei    n  u  - 
m  e  rali,  v.  349  n.4,  Giunto  a  p.l20. 
Prestito    germanico  dal  cel- 
tico ritornato  in  veste  g  e  r- 
in  a  n  i  e  a    in    F  r  a,  n  e  i  a    470. 
Parole    dialettali    in    itali  a- 
no:  caragno  xiv,  capitagna    e    care- 
dagna   405. 
B  a  s  i  a.    i  t  a  1  i  e  h  e    rustiche,  v. 
Less.  s.    m  e  t  i  u  s.    nov.  zigì'la,  ma- 
rola  163. 
Basi    italiche    sett.,  v.  Less.  s. 

mar,  mrft'mat,  miikjtnok,  piz. 
Basi  g  r  e  e  h  e  :   v.  [jPSS.  Befana,  bla- 
sfi»ìare.    b/>f?r,    bg.'-sino.-i,    y.dyy.aÀog, 
y.oQoÀÀioì'. 
Basi    germaniche:  v.  Less.  s.  ga- 
h  a  g  i  u  m.    h  r  a  ni,   1  i  ])  p  e.  m  a  n- 
V  j  a  n,  m  a  r  e,  s  m  e  i  e  h  e  1  n,  s  k  e  i- 
t  a  n,  b  a  u  g  a.   \v  ì  h  s  e  1  a. 
Parole     f  r  a  n  e  e.<i     e     proven- 
zali: V.  Less.  sotto  Befana,  bouso, 
lipón,  s  e  0  f  0  n  e  s. 
Voci  citate  da  antichi  testi 
modenesi,    361    362    363    363  n 
374  374  n  375  375  n  2  886  387. 
Pi  i  e  e  h  e  z  z  a  e  precisione    1  e  fi- 
si e  a  1  e  toscana   in   termini 
per  cesta,  v.  Less.  s.  cesta. 
Prudenze  nelle  ricostruzioni 
di  forme  di    latino  volgare, 
v.  ("iiunte  a  m  arie  u  s  (v.  Lessico) 
e  a  pag.   178  nov.  arfjadc'r. 
Storpiature     di     voci    dotte 

405  406  406  n.  1,  2,  3. 
Prestiti   con   ])  a  r  t  i  e  o  1  a  r  e  r  i- 


554 


Imlici. 


IV.  Varia 


soluzione  fonetica:  nov.  58 
60  61  62  63  n.  72  78  79  88  84  85 
e  Giunte,  86  87  88  89  90  91  92  98 
94  95  96  97  98  101  107  108  109  105 
116  117  118  119  128  e  Giunte,  128 
130  182  133  134  185  139  142  143' 
144  145  150  161  155  156  159  160 
161  162  165  166  167  168  169  170 
173  175  176  177  178  179  180  182 
183  184  185  186  187  1S9  194. 


uss.  :  222  n.  4,  5  227  n.  2  229  n.  3- 
235  n.  6  238  n.  2  244  n.  1  245  n.  1 
246  247  247  n.  1  293  n.  4,  7  293 
n.  1  296  n.  2,  296  n.  4  297  n.  2 
202  n.  2  805  n.  2  314  n.  3  315  327 
n.  3  328  n.  2  829  n.  8  880  380  n.  8, 
5  882  332  n. 2  388  n.4  834  e  286-7 
n.  884  n.  2  3.84  n.  4  837  .887  n.  1, 
8  888  n.  2  849  n.  5. 


IV. 


Varia 


Trascrizioni  fonetiche.  Le  modificazioni 
apportate  al  sistema  precedente- 
mente in  uso  nell'Archivio  consi- 
stono in  sostituzioni  di  alcuni 
segni  e  in  aggiunte  di  segni 
nuovi.  Le  sostituzioni  furono 
determinate  da  questi  motivi:  1.  dal 
desiderio  della  coerenza  e  conse- 
guentemente della  maggior  chia- 
rezza (ogni  qualità  fonetica  vuol  es- 
sere rappresentata  sempre  da  un 
solo  segno  :  per  es.  alla  serie  e  9  si 
e  sostituita  la  serie  e  n;  alla  serie, 
complicata  e,  ce,  o,  u  si  è  sostituita  la 
serie  coerente  e  semplicissima,  u^,  ce 
oe,  ne;  e  cosi  via);  2.  dal  desiderio  di 
accostarsi  ai  sistemi  di  diacrisi  più 
comunemente  seguiti,  per  avviarci 
ia  tal  modo  all'unità  nel  sistema  di 
trascrizione;  cosi  ad  es.  alle  serie 
(•  g  e  y  furono  sostituiti  e  tj  e  g  e 
ad  (>  n  furono  sostituiti  eo;  3.  dal 
desiderio  di  una  maggior  precisione 
(cosi  r/dei  nostri  antichi  [v.  Giunte] 


rimesso  in  onore  dal  Petrocchi  fu 
sostituito  ad  sol,  perché  l'apice  è 
comunemente  inteso  come  un  segno 
di  palatizzazione).  In  particolare  le 
sost'tuzioni  apportate  sono: 

0  per  Q 

e,  0  per  f,  o 

f'  per  (e 

i,  Il  per   è,  u 

n' ,  ae ,  qe ,  ce  per  e,  oe ,  o,  ù 

h  per  n 

e  g,  e  g    per    e  g,    e  g 

Aggiunte  di  s  e  g  n  i  n  u  o  v  i  : 
Pur  essendo  partigiani  della  parsi- 
monia nell'uso  dei  segni  diacritici 
(p.  xsxv),  alcune  aggiunte  erano  in- 
dispensabili; e  sono:  e  (v.  p.  xxv  4. 
n.  2);  z  e  X  (perché  elementi  uni- 
tari) ;  si  è  accresciuta  la  facoltà  d'in- 
dicare all'occorrenza,  in  modo  coe- 
rente, la  varia  apertura  degli  ele- 
menti vocalici  (abbondantissimi  nei 
nostri  dialetti),  e  di  distinguere  pre- 


Indic-i. 


TV.   V;iria 


555 


cisamentc  i  vari  gradi  della  rattra- 
zione  0  palatizzazione  [per  l  rattratto 
di  1"  grado  viene  proposto,  per  ra- 
gioni tipografiche,  T  (v.  Quadro  si- 
nottico p.  xxxii)].  —  In  tutte  le  pro- 
posto di  segni  nuovi  siamo  stati 
guidati  anche  da  preoccupazioni  este- 
tiche XXIV  2.  n.   1,  xxvii. 

Qualità  fonetiche,  che  vanno  notate 
nelle  vocali  xxiii. 

Rappresentazione  sinottica  del  sistema 
vocalico  XXVI  seg. 

Rappresentazioni  sinottiche  delle  dif- 
ferenze tra  la  pronunzia  presa  come 
modello  e  la  dialettale  xxxv,  43.  45. 

Zone  d'articolazione  e  parte  della  lin- 
gua articolante:  la  divisione  degli 
elementi  fonetici  jier  ((uesti  due  ri- 
spetti deve  essere  fatta  in  modo  di- 
verso in  un  sistema  generale  di  fo- 
netica e  nella  descrizione  de'  dialetti 
singoli  XXXI. 

Quadro  sinottico  degli  elementi  fone- 
tici XXXII  seg. 

Analisi  di  elementi  fonetici:  1.  o  pili 
larghi  dei  toscani  esistono  in  parec- 
chi idiomi  stranieri  e  anche  in  parec- 
chi dialetti  italiani  xxiv.  —  2.  '  Ve- 
larizzazione ',' palatizzazione  '  e  'na- 
salizzazione  '  vanno  comprese  nella 
categoria  delle  '  alterazioni  organi- 
che '  ed  anno  un  sistema  omogeneo 
di  diacrisi  xxiv.  —  3.  u{^=  ii  largo) 
rappresenta  un  '  diverso  grado  di 
apertura  '  non  una  '  velarizzazione  ' 
di  H  XXIV  2  n.  2;  da  ciò  l'abbandono 
del  segno  i'i.  —  4.  Anche  u  disac' 
cantato  può  essere  nel  Mezzogiorno 
musicaim.  evanescente  xxv  4  n.  1.  — 
5.  L'è  velare  inglese,  e  del  piem. /■«/<«, 
ì'  diverso  da  f^  (evanescente)  e  da  una 


specie  di  a  il),  n.  2.  —  G.  Fricative 
laringee  forti  e  leni  in  italiano; 
xxviii  n.  2.  1  nota.  —  1.  e  ij  e  y, 
elementi  ra/trafti  (o  schiacciafi).  non 
se>nioccIi(sifi  XXVIII  seg.  3.  nota  1 
[v.  Correz.].  —  S.  Divisione  degli  ele- 
menti iHntniiitanci.  per  la  '  q  ii  a  l  ita 
dell' espi  razione'  in  esplodivi  e 
schiacciati  e  dei  coiitinìti  in 
spiranti  liquidi  e  nasali  />  ii  r  i  e 
.s-  e  II  i  a  e  e  i  a  t  i  xxxiv  E.  —  9.  ^  e  ,7 
rattratte  apicali  alveodentali  xxx, 
xxxii  u.  19.  —  10.  Posizione  artico- 
lai iva  non  fissa  di  e  <"/,  e  ij  xxx.  — 
11.  Le  "forti'  uìipol.  sono  'sonore' 
xxxiv  (e  V.  Giunte).  —  12.  ì''"""-  con 
articolazione  palatale  (V),  uss.  226. 
—  lo.  d  (sordo)  tedesco  merid.  in 
voci  recenti,  apereepito  come  t  148, 
153. 
Per  la  storia  e  la  critica  della  nostra 
lingua  letteraria  contemporanea.  — 
1.  Che  un  temperato  manzonianismo 
sia  il  tipo  di  lingua  letteraria  meglio 
conforme  all'origine  e  allo  sviluppo 
storico  della  lingua  nostra  p.  in  seg., 
17  seg.;  meriti  del  D'Ovidio  nell'il- 
lustrazione di  questo  concetto  iir, 
16  seg.;  l'origine  e  l'evoluzione  della 
nostra  lingua  letteraria  essere  più 
simili  alle  condizioni  francesi  che 
alle  germaniche  ix  seg.;  essere  que- 
,sto  anche  l'elfetto  delle  condizioni 
geografiche  e  ."-toriche  della  Toscana 
e  di  Firenze  viii  seg.;  [condizioni 
geografiche  e  storiche  che  anno  con- 
tribuito allo  stabilirsi  del  toscano 
come  lingua  letteraria,  x  n.];  le  dif- 
ferenze lessicali  tra  il  linguaggio 
della,  Firenze  colta  e  la  lingua  let- 
teraria ridursi  a  tjen  jKjca  cosa  xii. 


556 


Indici. 


IV.   Varia 


—  2.  Contro  l'ideale  manzoniano  di 
lingua  due  tendenze  si  notano  nella 
nostra  letteratura  contempor.,  tra- 
scinanti, l'una  agli  arcaismi,  l'altra 
ai  dialettismi,  iv  seg.  ;  raecuniula- 
zione  di  arcaismi  come  partito  stili- 
stico per  la  riproduzione  di  ambienti 
storici  antichi  essere  un  alessandri- 
nismo, una  superflua  preziosità,  vi  ; 
essere  poi  vizioso,  contro  la  natura- 
lezza e  il  buon  gusto,  l'uso  affettato 
degli  arcaismi  anche  nelle  didascalie 
e  nelle  parti  liriche  di  un'opera 
d'arte,  ib.;  ma  le  fonti  degli  ar- 
caismi, autori  antichi  e  lessici,  non 
essere  neppure  scevre  di  pericoli 
d'errore  sia  contro  la  proprietà,  sia 
contro  la  purezza,  v  seg.,  xvii,  xx  ; 
l'uso  dei  dialettismi  non  solo  è  con- 
trario all'indole  della  nostra  lingua 
letteraria,  ma  può  dar  luogo  ad  oscu- 
rità 0  ad  equivoci  vii  ;  il  rifuggire 
dai  dialettismi  è  un  effetto  della 
-comune  diffusa  opinione  della  quasi 
pura  toscanità  della  nostra  lingua, 
XIII  seg.  ;  ma,  conforme  all'indole  e 
alla  storia  della  nostra  lingua,  de- 
vono considerarsi  dialettismi  anche 
quelli  entrati  nelle  regioni  margi- 
nali di  Toscana  o  le  differenziazioni 
spontanee  di  queste  dalla  lingua 
antica  e  toscana  centrale  xi  seg., 
XVII.  — ■  3.  Uno  studio  della  lingua 
letteraria  contemporanea  dev'essere 
<li  necessità  analitico  ;  l'ideale  man- 
zoniano di  lingua  vien  proposto  come 
criterio  di  classificazione  e  di  valuta- 
zione dei  fatti.  Per  gli  arcaismi  do- 
versi badare  alla  purità  e  alla  pro- 
prietà, per  i  dialettismi  all'estensione 
.loro  geografica  xviii  seg. 


Sintesi  linguistiche:  loro  importanza 
in  ricerche  morfologiche  e  di  geo- 
grafia dialettale  xxxvi  seg.  —  rum. 
xtèa-steaii^a  ib.  e  v.  Giunte  —  muglis. 
buòna    ib. 

Dittongazione:  uss.  tir^uer  225.  In- 
dizi di  ditt.  :  nov.  da  ó  56,  Giunte  a 
pag.  56,  245;  da  a  e  ó -{- r,  l  73  n.; 
di  ei  ié  52  n.  1;  uss.  da  d  u  232 
239  n.  ],  ?.. 

Tendenze  fisiologiche  dialettali:  nov. 
45  seg.,  uss.  217. 

Progressione  d' accento  determinata 
dalla  maggior  pesantezza  della  to- 
nica nov.  146,  uss.   350  n. 

Regressione  linguistica  342  n. 

Prudenza  nei  giudizi  intorno  alla  pro- 
pagazione dei  fenomeni  fonetici  323 
n.   1. 

Difficoltà  di  ricostruzioni  fonetiche 
preistoriche  320. 

Oscillazioni  di  forme  ridotte  e  non  ri- 
dotte che  dipendano  dalla  varia  con- 
dizione civile  dei  parlanti  o  degli 
uditori,  da  tendenze  estetiche  o  fa- 
coltà fisiologiche  dei  parlanti,  Giunte 
a  p.  160  n. 

Discorso  lento,  uss.  312  n.  2. 

Quantità.  Gran  varietà  nella  lunghezza 
delle  vocali  fra  singoli  parlanti,  uss. 
315  n.  1. 

Fatti  fonetici  irregolarmente  diffusi  in 
voci  isolate  o  malcoerenti  fra  loro 
301  n.  6. 

I  termini  ^coperta'  e  'scoperta''  a  de- 
signare sillaba  0  vocale  'complicata' 
e  '  libera  '   v.  Giunte. 

Compromesso  tra  voc.  ton.  di  due  voci 
incrociate  427  e  il  n.  2. 

Bibliografìa:  Reggiana  p.  29  seg.;  No- 
vellarese  31  seg.  ;  Ussegliese  205  seg. 


Indici. 


IV.  Varili 


557 


Fonti  scritto:  loro  valore  per  lo  studio 
dei  dialetti  nov.  e  uss.  29  n.  1  e  2, 
30  n.  3.  31,  32.  206. 

Fonti  orali  :  per  Novellara  31  ;  per  Us- 
seglio  207  .segi?. 

Notizie  topografiche  e  .storiche:  sul 
coni,  di  Novellara  34  seg  ;  sulle  valli 
della  Stura  di  Lanzo.'  il  Piano  d'Us- 
seglio  e  Usseglio  199  seg. 

Schizzi  cartografici:  del  Coni,  di  No- 
vellara e  d.  sue  divisioni  linguistiche, 
32:  del  Pjano  d'Usseglio  201  ;  delie 
valli  della  Stura  di  Lanzo  e  della 
Dora  Riparia  202. 

Rapporti  culturali  e  commerciali:  a 
Novellara  38  seg.  ;  a  Usseglio,  col 
Piemonte  204  seg. 

Conoscenza  del  dialetto  illustre  della 
regione:  a  Usseglio  205;  conoscenza 
dell'italiano  a  Usseglio  205  ;  del  fran- 
cese ih.  205. 

Confini  linguistici  :  di  Novellara  37 
segg.  :  loro  dipendenza  da  condizioni 
topografiche  attuali  o  antiche  e  in- 
sieme da  condizioni  amministrative 
e  commerciali  a  Novellara  37  segg.; 
a  Usseglio  200;  gli  A]ìpennini  luir- 
riera  naturale  contro  l'invasione  to- 
scana in  Romagna  IX. 

Segni  diacritici  per  convenzione  omessi. 
NOV.:  segni  per  distinguere  l'aper- 
tura delle  vocali  diverse  dal  toscano; 
per  indicare  la  nasalità  delle  vocali 
43;  per  indicare  il  timbro  delle  na- 
sali; per  indicare  e  più  largo  davanti 
ad  ;•;  per  indicare  a  disaccentato; 
per  indicare  le  vocali  brevi  44.  — 
US3.  omesso  il  segno  della  nasalità  e 
delle  vocali  lunghe  p.  213  n.  2.  (In 
particolare  sulla  natura  fonetica  dei 


vari  elementi  dei  due  dialetti  si  con- 
sultino le  pag.  41-52:  212-217). 

Sistemazione  dei  fatti  fonetici  226  n.  3, 
221  n.  3,  218  n.,  298  n.  2,  319  n.  1, 
322.   Giunte. 

Varietà  dialettali:  nel  coni,  di  Novel- 
lara, 40;  forme  rustiche  nei  bassi 
strati  di  jìopolaz.  della  città  e  l'orme 
cittadine  fra  contadini  a  Novellara 
40. 

Commistioni  dialettali:  a  Novellara. 
40;  a  Usseglio  207  seg. 

Confini  fonetici  :  nel  reggiano:  di  d,  o, 
il  da  ((,  u,  lì;  di  en  da  in,  di  ìt- 
da  0-,  di  .s'  rattratto,  di  ei  da  e,  ì 
38,  39. 

Toponomastica  :  Sul  nome  di  Novel- 
lara, 36. 

Forme  arcaiche  sconijiarse  o  ancora 
vive  nell'uss.:  231  n.  2.  3  233  n.  4 
235  n.  5  236  e  236  n.  2  302  n.  4 
312  n.  1  313  n.  5  328  n.  6  329  n.  3 
338  339  n.  1   359  n.  1. 

Note  com])anìtive  di  fonetica  franco- 
prov.  220  11.  1  223  n.  5  227  n.  1,  2 
228  n.  1,  3  229  n.  3,  5  2:in  n.  1  232 
n.  2  234  11.  1  235  n.  4  236  n.  1  237 
n.  1.  3.  4  238  n.  3  239  n.  3  240  n.  2 
231  n.  5  243  n.  1  292  n.  2  293  n.  4,  6 
294  n.  3  295  n.  3  297  n.  2;  id.  piemon- 
tese 229  n.  1  232  n.  3  234  n.  2  235 
n.  6  237  n.  1  238  n.  3  246  n.  1  294 
n.  3  299  n.  3  300  n.  3  311  n.  3  313 
n.  3  314  n.  4  322  n.  2  340  n.  5  342 
seg.  n.  343  n.  1   346  seg.  349  n.  2.  3. 

Influsso  della  lingua  letteraria  sulla 
fonetica  dialett.  nov,  110,  111,  117, 
131. 

Influenza  del  piem.  sulla  fonetica  uss.: 
321  n.  4  e  Giunte,  341  n.  5  342  n. 
349  228  n.  3  23b  n.  3. 


558 


Giunte 


Proiuniziii  deiritaliano.  Il  Petrocclii  è 
esatto  nelle  sue  indicazioni  della 
pronunzia,  ma  segue  la  pronunzia 
pistoiese  o  la  propria  257  e,  in  ge- 
nere, 255  seg.  Come  proprio  della 
pronunzia  letteraria,  secondo  la  pro- 
nunzia dei  pili  esatti  fra  i  colti  a 
Firenze,  s'àn  da  raccomandare:  buon 
in  proclisi  (con  iio  di  media  apei-- 
tura),  buonalana  o  bonalana,  bìtongn- 
staio  0  bongustaio  e  cosi  via  negli 
altri  composti  di  buona  buon  ;  e.  in 
bello  bene  nei  composti  (es.  bellumore, 
begliuomini,  benestante,  benvenuto)  ;  bo- 
naniano,  honaroglia,  bonaniorte  sono 
entrate  nel  linguaggio  letterario 
per  efìetto  di  un  equivoco  storico- 
filologico  della  Crusca  e  d'altri  les- 
sicografi, accanto  a  buonamano  ecc. 
266  seg-  —  Bonominì  per  Buono- 
mini  nel  senso  di  '  magistratura  ' 
antica  è  errato  268.  —  basoffia  v. 
390  n.  1. 

Testi.  Antico  moden.  .S66  n.  3  379  n.  1. 
Pistoiese  del  sec.  XIII  489  i^eg;":. 


Forme  ortografiche  equivoche  in  testo 
antico  pistoiese  497.  Suoni,  forme, 
sintassi,  lessico,  fonetica  settentrio- 
nale in  detto  testo  497  seg. 

False  scrizioni  in  testi  lat.  pis.  mediov., 
V.  le  mie  postille  a  p.  479  segg. 

Suoni  e  forme  romanze  in  dette  carte 
476  seg. 

Cantilene  alludenti  alle  quattro  corna 
della  chiocciola,  431.  —  Giuochi, 
nov.  144. 

I  due  poeti  clesiani  del  settecento  a 
noi  noti,  L.  Ri  e  ci  e  C.  Siel,  scris- 
sero proprio  nella  loro  parlata  cle- 
siana  genuina.  Nell'ultimo  secolo 
sono  subentrate  nel  capoluogo  di 
Val  di  Non  delle  evoluzioni  che  pro- 
dussero uno  stacco  sensibile  dal  tipo 
pili  puro  dell'anauniese  settentrio- 
nale, per  effetto  della  forza  assimi- 
latrice  della  parlata  di  Trento  437 
segg. 

Notizie  statistiche  e  topografiche  su 
Cles  (Val   di  Non)    n.  3. 


G  i  u  n  t  e. 


Ortografia  italiana.  Allo  scopo  di  venire  ad  un'intesa  per  una  sistemazione 
dell'ortografia  italiana  e  un'integrazione  del  nostro  alfabeto  era  sorta 
fra  noi  una  florente  Società  Ortografica  Italiana.  Feticismo  dei  conserva- 
tori, inerzia  e  discordie  degli  innovatori,  forse  qualche  errore  di  tattica, 
anno  arrestato  il  bel  movimento,  e,  speriamo,  diiferito  l'esecuzione  del- 
l'intero programma  a  tempi  migliori.  La  S'.  0.  I.  intanto,  secondo  i  suoi 
intendimenti,  aveva  promossi  seri  studi  e  discussioni  sui  problemi  del- 
l'ortografia comune.  Conforme  ai  risultati  di  tali  studi  è  appunto  l'orto-  " 
gratia  comune  adottata  nelFultimo  fascicolo  di  questo  volume.  Ossia:  s'è 


Giunte  559 

adottato  y accento  acuto  per  indicare  vocale  strotta  accentata  (<'  ó  !  a)  ; 
Vaccento  grave  per  indicare  vocale  accentata  larga  («  e  ò);  s'è  soppresso 
il  ./  fra  vocali;  s'è  adottato  -/  per  il  plurale  dei  nomi  e  le  2"  sinjjfolari  di 
verl)i  in  -io  con  i  semivocale,  ed  -//,  con  (  vocnle  (cioè  qnundo  tal  desi- 
nenza è  preceduta  da  muta  e  liquida;  i  Toscani  di  pronunzia  scolpita  pro- 
nunziano fastidi,  suicidi,  ossia  fastidij,  suicidai,  ma  atrii.  findaslrii  [e  forse 
propri,  obbrobri,  ])rocedendo  sillaba  con  altro  «gruppo  di  muta  e  liquida.]); 
s'è  soppresso  1'//  anche  nelle  forme  del  presente  di  'avere',  scrivendo  ò 
ài  (f  anno;  e  s'è  adottato  l'uso  di  distinguere  coH'accento  omonimi  come 
seguito  da  seguito  e  di  segnare  l'acconto  sugli  sdruccioli  poco  frequenti 
0  spesso  erroneamente  pr'Uiunziati  (\'.  Bollettino  della  Soc.  Ort.  Jfal.  ili; 
Bologna  1912). 

Complicato,  per  attributo  di  vocale  o  sillaba  'chiusa  o  coperta  da  conso- 
nante' non  è  di  buon  conio  italiano;  'complicato'  implica  sempre  un 
viluppo,  un  intreccio,  di  più  parti  di  una  cosa;  e  s'usa  quindi  come  epi- 
teto d'ordigno  o  d'aliare:  in  un  senso  non  comune,  ma  affino,  fu  usato 
dal  Forteguerri,  come  epiteto  di  mani:  "  con  le  mani  fra  loro  compli- 
cate ,,  (Ricciard.  2o.  12),  che  la  Crusca  interpreta  por  "  intrecciate  ,. 
Non  essendo  i-accomandabili  i  termini  "  aperta  „  e  "  chiusa  „  che,  se 
attribuiti  a  vocale,  risultano  equivoci,  si  possono  consigliiiro  i  termini 
scoperta  „  e  '^  coperta  ,.,  traduzione  l'ultimo  dell'opportuno  termine  te- 
desco  "  bedeckt  ,. 

a  pag.  xxiii.  ()  preferito  e  od  o,  come  sogni  ordinari  di  vocale  larga,  ad 
f  o  perché  sono  ]V\n  comunemente  usati. 

a  pag.  XXIV  V.  1.  cp  andava  tolto  di  mezzo,  perché  è  piti  ntto  a  ra])proseii- 
tarci  un  a  palatizzato  (per  cui  ci  serve  (i],  che  non  un  e  di  seconda 
apertura. 

a  pag.  XXXIV  v.  11.  Se  non  erro  sono  stato  io  il  primo  ad  osservare  la  so- 
norità delle  forti  meridionali:  il  Bartoli  che.  i-redo,  primo  ne  jnirlò  ebbe 
l'osservazione  da  me. 

a  pag.  xxvii.  Non  mi  pare  abbastanza  noto  che  i  segni  /"  e  ;,  per  distin- 
guere s  sordo  da  .v  sonoro,  furono  proposti  da  Giorgio  Bartoli  e  dal  Gigli. 

a  pag.  XXVIII.  V  di  'figlio'  doveva  avere  l'apice  sovrapposto;  non  essendosi 
potuto  avere  il  segno  dalla  tipografia,  nel  Quadro  sinottico  si  è  adottato 
/'  per  la  rattrazione  di  2°  grado  e  V  (raro)  per  la  rattrazione  di   1"  grado. 

a  pag.  xxxvii.  Dall'articolo  del  Puscariu  non  apparirebbe  in  mode  del  tutto 
chiaro  che  la  quistione  di  principio  relativa  a  sleà  fosse  stata  da  me 
per  primo  risolta;  ma  da  una  corrispondenza  di  quel  tempo  coU'illustre 
collega  desuino  che  tale  priorità  fosse  per  lui  fuori  di  discussione  e  fosse 
pertanto  superfluo  il   dichiararlo. 


560  Giunte 

a  pa<?.  56,  245.  È  ben  notevole    il    fatto    che  tanto  a  Nov.  quanto  ad  Uss. 

da  A  coperto  s'abbia  fi;  è  questo  un  indizio  di  anteriore  dittongazione, 
a  pag.  63,  nura.  59.  A  me  non  par  dubbio  che  s'abbia  a  partire   da    core, 

mele,  fé  1  e  anziché  da  e  o  r,  m  e  1,  fé  1. 
a  pag.  72,  73.  Evidentemente,  anche  per  ragioni  comparative,  in  zlì-a  ecc. 

i  è  dovuto  alla  pahitale,  cfr.  p.  77  seg.  ;  ed  /  ìw  inr  è  dovuto,  pure  certa- 
mente, a  metafonesi,  v.  79  segg. 
a  pag.  73.  Se,  come  mi  pare,  è  giusta  la  sistemazione  relativa  dei  già  pro- 

parossitoni,  ?-frrf  dovrebbe  essere  sorto  nella  forma  rèrt. 
a  pag.  81.  Meglio   credere    che   l'indicativo    si  conformasse  al   congiuntivo 

esortativo, 
a  pag.  85.  Senz'altro  saran  prestiti  nàdra,  hàgol,  bcibla. 
a  p.  90  n.  omèr  '  omaccio  '  sarà  su  nomè'r. 
a  pag.  120.  nonàhta,  novanta,  dq/e'nt  meglio  si  spiegheranno  come  ]>restiti, 

assai  frequenti  in  genere  anche  nei  numerali. 
a  pag.  128.  In  fugàza,  viidè'r  ecc.  sarei  piii  propenso  a  veder  una  traccia  di 

una  tendenza  c[ui  estinta  a  mutare  o-  secondario  in  u-  (v.  il  n.  167  e  rie. 

il  fatto  che  si  à  il  simile  in  e  secondario  divenuto  i,  p.  117).  E  qui  an- 
drebbe anche  nudc'r  'nuotare',  onde  ìiuda  (p.  83). 
a  pag.  125.  mertedi'  può  essere    anche    per    effetto  di    assimilazione,  come 

mostrano  gli  esempì  che  succedono  ib. 
a  pag.  154.  i/irlànda    e  /ffelf  n.    210   andrebbero   come    esempì    di   gji>  ff 

alla  fine  del  n.  211. 
a  pag.  160  n.  Spesso  oscillazioni  di  forme  ridotte  e  non  ridotte  dipendono, 

più  che  dal  tempo  del  discorso,  dalla  varia  condizione  civile  dei  parlanti 

0  degli  uditori  e  da  tendenze    estetiche   individuali    ad  una  maggiore  o 

minore  precisione  di  eloquio,  e  anche  da  facoltà  fisiologiche,  acustiche  o 

articolative,  dei  singoli. 
178  nov.  arfjader  '  sfiatare  '   per    '  rifiatare  '    deve    considerarsi    come  una 

sprecisione  volgare;  reflatare  non  c'entra. 
178  nov.  tibje'r  '  trebbiare  '  sarà  venuto  al  significato  di  '  darsela  a  gambe  ', 

certo  per  l'avvicinamento  scherzoso  a  tibja.  l'osso. 
a  pag.   182,  n.  291.  A  quelli    di    -ni-  si   aggiungano  i   riflessi  di  -//«-  :  ;v7n, 

pun,  ecc. 
a  pag.  186.  nov.  /herlàhza  sarà  da  '  bilancia  '  -\~fbnrfh-. 
a  pag.  218  seg.  Alla  sintesi  fonetica  va   aggiunto  anche  l'influsso  di  w;  cfr. 

p.  243. 
a  pag.  219.  Influsso  di  liquida:    si   devono   ancora    ricordare    le    sorti    del 

suff.  -ii?-a,  di  -e  scop.  e  di    o  +  r;    e    inoltre    di    o -[- il   243,  parallele  a 

quelle  di     e -\r  !l  240. 


(TÌiinte  56 1 

a  pag.  219.  Alla  sorte  degli  O.^sifoni  si  a.a'giniis^'iìno  i  fenomeni  ricordati 
ai  nm.  22,  28.  39,  51.  57,  B9. 

a  pag.229.  uss.  ;>  >•  6:  hérhi  p  imi  a  (ara.  2-1),  non  è  citato  nel  consonantismo. 

a  pag.  247  n.  4.  Nella  prima  parte  di  Ma/cusi(i  si  tratterà  di  mar,  di 
cui  a  p.  286. 

a  pag.  253.  Per  giustificare  che  /  si  comporti  davanti  a  ::  come  davanti  a 
momentanea  dentale  non  occorre  far  risalire  il  fenomeno  della  velariz- 
zazione  di  l  davanti  a  dentale  e  sibilante  all'età  di  ti;  né  è  esatto  attri- 
buire al  "  timbro  „  della  consonante,  si  invece  all'articolazione  della  con- 
sonante la  sorto  varia,  che  à  davanti  ad  es^a  una/;  come  ò  detto  alti-ove, 
l'articolazione  di  z  e  in  genere  delle  "  rattratte  ,  nel  lembo  interno 
dell'"  attacco  „  è  simile  (non  uguale!)  a  quella  di  una  dentale  momen- 
tanea "  estensiva  ,:  perciò  /  viene  a  trovarsi  con  e  in  un  contatto  presso 
a  poco  identico  che  con  t  d  r. 

a  i)ag.  289.  mari  cu  s  (trevis.  ecc.)  venez.  niarij/o.  Non  è  necessario  pen- 
sare a  un  matricus;  potè  un  volgare  nmriat  o  n,arir/a  divenir  inarico 
0  iiìan':/o  e  assumere  nelle  carte  latine  la  veste  latina  m<(ricHs  280.  Si- 
mili prudenze  dovrebliero  aversi  molto  pili  frequentemente  che  non 
avvenga  ora. 

p.  290,  2.   13.  Aggiungi,  per  la  metafouesi,  dwi,  come  si  rileva  da  p.  236  r.  1. 

a  pag.  321.   geiievni    è    (jhievrn    a    pag.  331   e  315  n.  e    (jiìi<rir(i    ]i.  315  n. 

a  p.  321  n.  4.  Cfr.  l'analoga  differenza  di  formula  iniziale  ed  interna  nel  prov. 

a  pag.  322,  328,  329  n.  2.  Non  è  esatto  dire  (n.  144)  che  nella  formula 
cons.  -\- 1...  "  in  ogni  caso  l'esplosiva  rimane  intatta,  anche  se  è  una  ve- 
lare ,..  Infatti:  1.  di  contro  a  piaia  'platano'  ecc.,  con  pi-,  .si  anno,  al- 
l'interno, dubiti  'piegare'  strebiuii  'stoppia'  (p.  323)  con  -hi-  e  caviuh; 
e  V  e  t  '  1  u,  a  V  i  e  '  1  a  ecc.  danno  rei{i)  aviiì'  ecc.  Considerando  poi 
ca'plu  (*cap'lòne)  >  Cavitai  p.  329  n.  2  (scritto  cuKuh  p.  323;  giusto?), 
può  sorgere  il  sospetto  che  l'esito  indigeno  di  voc.  -\^  P.I,  V.T  sia 
stato  f'X  (i.)  e  che  tutti  gli  altri  esempì  con  /;(  e  hi  di  p.  328  e  323 
siano  accattati  ;  certo  ciò  vale  per  gahia  ;  e  anche  per  grepia  (v.  nm.  24, 
221  e  825  n.  1)  non  vi  sarebbe  difficoltà  veruna  ad  ammetterlo. 

a  pag.  320.  La  risoluzione  di  gii-  (ijuardarc)  non  corrisponde  a  quella  di 
-ngu-  {lingua);  per  parecchi  fatti  analoghi  la  disposizione  della  materia  do- 
veva essere  un'altra,  jier  es.  quella  proposta  negli  indici  cfr.  319  n.  1. 

a  pag.  832  n.  140:  il  dileguo  di  ;•  s'à,  a  quanto  appare  dagli  esempì,  solo  pre- 
cedendo consonante  a  dent.-\-r;  con  -mpr-  si  avrebbe  propagginazione 
{trampà  per  tampra). 

a  pag.  828,  329  n.  1.  mol  tiare  e  bull  io  andavano  qui  po.sti  nella 
trattazione  della  '  posizione  forte  '. 


:>62  Giuiile 

il  pag.  328.  Labiale-|-X-  Contro  il  sistema  adottato  dairantore  qui  sono 
posti  insieme  schemi  postvocalici  e  postconsonantici. 

a  pag.  338.  NCT  non  è  un  gruppo  secondario. 

ib.  Idr  >  Id  (ììioiidc  '  macinare  '). 

a  p.  373.  A  proposito  di  piza  'alzaia'  >■  'carretta  per  la  neve'  è  notevole 
anche  il  mutamento  di  genere  che  s'accompagna  al  mutamento  di  signi- 
ficato. E  forse  pili  che  d'una  sostanziale  modificazione  dei  significati,  dalla 
parte  al  tutto,,  sì  tratterà  di  un  passaggio  di  significato  da  una  specie 
all'altra  di  '  traino  '.  In  pardplùr  (>  *p  e  r  t  i  e  a  r  i  u  s)  '  aratro  '  non  deve 
trattarsi  di  un'estensione  di  significato  dalla  parte  al  tutto;  peiiicariuni 
deve  essere  stata  una  denominazione  di  una  specie  di  aratriiin. 

a  pag.  385.  Per  zentuì-  preferirei  l'ipotesi  dell'aplologia. 

a  pag.  383.  sgangaj  (e  cosi  parecchie  altre  forme)  può  essere  dal  piar,  piut- 
tosto che  da  un  supposto  e  a  n  e  a  1  i  u  s  ;  in  ogni  modo  qui  sarebbe  da 
pensare,  se  mai,  ad  un  diminutivo  y.ay%aÀCov. 

a  pag.  400.  Converrebbe  ricercare  meglio  se  ie'sar  in)  deìas'ore  non  abliia  una 
origine  scherzosa. 

P.  G.  G. 

a  pag.  364.  alino' v,  v.  01.  Merlo,  Note  etimol.  e  lessicali,  in  Atti  d.  R.  Accad. 
d.  Se.  di  Torino  XLII  (1907),  p.  298. 

G.   Bertoni. 

Dopo  dego'ra  (p.  400,  r.  6)  va  omesso  "  milan.,  pav.  „,  poiché  quanto  dico 
nell'articolo  si  riferisce  alla  voce  veneta  (fissata  nella  toponomastica),  in 
quanto  indica  '  canale  '  ecc.  —  La  perùpola  mata  (valsug.),  p.  410,  non  è 
la  '  cincia  azzurra'',  ma  la  '  cincia  minore'  romagnola.  —  ve' ria  (p.  422  sgg.) 
è  data  dal  R.  E.  W.,  1433,  quale  voce  del  vicentino  e  del  cremonese,  ma 
non  mi  risulta  da  nessun'altra  fonte  che  essa  spetti  a  questi  dialetti.  Il 
R.  E.  W.  va  usato  cori  circospezione.  —  Si  avverta  ancora  che  il  d  nelle 
parole  valsuganotte  è  da  correggere  in  d. 

Angelico   Prati. 


EF^RAXA.-COKRlGE 


a».  Ili,  r.  3:  XXX,  I.  XXXX;  vii,  r.  14:  pratica,  1.  ragione  pratica  ;  p.  xi, 
r.  6  :  d'uno,  1.  da  uno;  p.  x,  r.  6:  fiorentino,  1.  Fiorentino;  p.  xii,  r.  3: 
soluzione,  1.  selezione;  ]i.  xv,  r.  8  da  sotto:  cacagloncm,  1.  raraglonem  ; 
p.  xxvir,  nello  schema  dei  scij^ni  diacritici  delle  vocali  nella  serie  degli  w 
sono  tre  w  per  «;,  sfuggiti  alla  mia  corta  vista  ;  ib.  :  r  per  e  ;  p.  xxvm, 
r.  14  :  —  indica  eleDienli  gutturali  in  senso  largo,  1.  —  indica  ecc.  ;  )).  xxiv, 
r.  14  e  15:  intorno  ad  un  asse,  1.  sopra  un  asse;  intorno  ad  assi,  1.  sopra 
assi 

.  32,  r.  27  :  1883,  1.  1833 

.  56,  r.   15  :  dial.  a,   I.  dial.  a 
,      :  i,    1.  i 

V  K         '■  U,      1.    U 

.  62,  r.  1  :  n.  223,    1.  226 

.  66,  r.   1  :  i  u.  \.  i  u 

.  68,  r.   17  :  -in,    I.  -7-n 

.   78,   r.  5  :  fali.stra,    1.  falistra 

.  83.  r.  2:  slepa,    \.  J'iepa 

.  87,  r.  3  :  II,    1.  II,  367 

.  95,  r.  18:  -ù,    1.  -n 

.   132,  r.  8  :  nia:;aiigi»,    1.   maraìigl'h 

159,  r.  3  :  j^roparossitoni,  1,  parossitoni 
.  183,  r.  15  :  fàza  '  faggio  ',  leggi  fàia 

.  219,  r.  4:  n.  91,  1.  n.  92;  r.   11  :  n.   11.   1.  n.   12;  r.  13:  50,  1.  57;    ib.  a 
nm.  44,  aggiungi  nm.  22;  r.  14:  29,  1.  30V) 
,  221,  r.  2:  28,  1.  29 

273-288  :  per  gli  -i  in  luogo  di  s  in  queste   pagine,    v.  la    [ìettififiizionc 

a  p.  436. 
,  280,  r.  8  dal  1).:   1294,  1.  1264 

281  :  per  la  nota  2"  a  merlin,  v.  p.  390   n.  1. 

330,  r.  15  :  169,  aggiungi  L. 

350,  r.  9  da  sotto  :  fra  questa,  1.  fra  queste 

430,  r.  5  da  basso  :  dopo  imnaga  va  tolta  la  virgola. 

431,  r.  9  da    sotto:    kfJren,  1.  koren;    qu  l',  I.  qid' :    r.  6  dn    sotto    e    al- 
trove :  qui,  1.  qui 

479,  r.   12  d.  sotto  :  risultato,    1.  risultato  .;' 
„        r.  ultima  :   pregi,    1.   per  g 


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