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Full text of "Archivio per lo studio delle tradizioni popolari;"

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nell'intero  testo  di  questo  libro  dalhttp  :  //books  .  qooqle  .  com 


0^5-^^/,  5- 


SEP  5     1907 


1 


5?ar&nrt  CoUrgc  ILtftrarg 

I^KUM   THE    BliqyEST  OP 

JOHN    AMORY    LOWELL, 

(CiM«  of  iai5). 

This  fund  is  $2a,aao,  And  of  its  Incciinc  three  quarters 

Ei]iall  be  &pcdt  for  books  and  ohc  qiutrter 

be  added  tu  ttie  jirmcip^^L 


I 


ARCHIVIO 


PER     LO     STUDIO 


DELLE 


TRADIZIONI  POPOLARl 


RIVISTA  TRIMESTRALE 


DIRETTA   DA 


6.  PITR£  e  5.  5ALOMONE-MAF5INO 


VOLUME    XXIII. 


TORINO 
CARLO  CLAUSEN  (HANS  RINCK  Succ.) 

Libraio  delle  LL.  MM.  il  Re  e  la  Regina 

1907. 


i 


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4.r.'  //r- 


/  *n  f fir  r  fid  letter  a  r  ia 


Cirle  '  StabUifnenhi  Tip^grafico  G.  Capella  -  Cirie 


Vol.  XNIII. 


r 


ARCHIVIO 


PiSIl     LO     9TU0IO 


OilLtE 


TRADIZIONI   POPOLAR 


RIVJSTA  IKiMESTRALE 

r>IHflTTA     J*  A 

-e.  PfTRe  e  5.  5flL0M0NE-MARIN0 


i..m;i 


ronivn 

'«T|.     j!      I 


V^ 


PabbUoiio  li  31  Harm  1906 


SOMMARIO  DEL  PRESENTE  FASCICOiO 

M.i^ir  0  I,         I  in  P.  Vergllio  Marone  (M.  Bislui        .  -  ^ 
Aicune  leggende  popofartili  Pavia  e  da-suoi  tjintomi  {E.  Filippini) 

Vn  libro  df  esorcismi  del  i6i6  (O,  FnaftARO)     .  »  40 

Leggerrde,  Novelle  e  Fiabe  p— ^-si  (!>•  CAliHABOiij        .  »  64 

Un  m;izzetto  di  slorndli  C            .,  (L.  Bokfioli)      .        .  ^  84 
Ciinti  Popolari  Sicilian t              i  Fan tina  edit  S.  Basilio,  fra- 

Proverbi  b;  , ..    _ 11  -  LuUicuicB)  114 

L3  fiej3  di  Grottaferrata  (R.  PakattovVi)  i  j6 

It  r,  fe3ta  popolare  Venczkna  (M,  P,)  .  .       i 


A^i'llEl     .Ir 


■>  T 


B 

ill 

R: 

-  Sili^uitz, , 

-J' 

»      139 

.k          ^  ^  <^ 

Soinmario  dei  gicyjialj  (Q.  Pitiu: 

LARCHIVIO 

PER  LO  STUDIO  DELLE 

TRADI2IONI  POPOLARI 

^^   ^'''  '^^^  50  pa^ire.    dhisl   In  quartio  fasdrAii. 

IB  e  perTUn:    r 


\ 


ARCHIVIO 
per  lo  Studio  delle  Tradizioni  Popolari 


^7^'f^^^T^r^  ^  - 


Al    LET  TORI 


L'Archivio  per  io  Studio  delle  Tradiziooi  Popolari,  dopo 
un  involontario  ritardo  al  compimento  del  suo  XXII  vo- 
lume, entra  nel  ventesimo  terzo,  anno  di  vita;  e  vi 
entra  lieto  del  suo  passato,  fiducioso  nel  suo  avvenire. 
Dal  1882  ad  oggi,  con  tenacia  di  propositi^  con  la  plena 
coscienza  della  sua  missione  e  con  la  cooperazione  dei 
piu  insigni  cultori  delle  tradizioni  volgari,  ha  preso  parte 
al  movimento  attivo,  vigoroso,  della  nuova  disciplina 
che  i  Tedeschi  chiamano  «  Volkskunde  »,  che  noi  Ita- 
lian! potremmo  chiamare  «  Demopsicologia  » ,  e  che 
tutti,  piu  omeno,  designiamo  col  nome  di  «  Folklore  ». 

Le  piu  gravi  question!  di  letteratura  popolare,  gli 
argomenti  piu  important!  di  mitologia  comparata,  le  in- 
chieste  piu  curiose  di  etnologia  tradizionale  sono  state 
in  esso  trattate  quando  con  istudi  profondi,  quando  con 
raccolte  genial!  e  non  ma!  prima  tentate. 

Noi  possiamo  volgerci  a  guardare  serenamente  il 
passato  del  nostro  periodico,  e  rallegrarci  della  materia 


4  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIOM  POPOLARI 

immensa,  multiforme  ed  insieme  omogenea  che  esso 
ha  potuto  raunare  a  documento  irrefutabile  di  tempi  e 
di  popoli  che  non  ebbero  storia.  La  quale  affermazione 
non  e  vanto  ozioso,  ma  utile  rilievo  conforme  a  veritd 
in  quanto  le  stone  ci  parlano  dei  grandi  av^-enimenti 
politici,  civili,  religiosi,  ma  non  ci  dicono  delle  genti 
in  mezzo  alle  quali  essi  si  svolsero  come  se  quelle 
non  avessero  avuto  vita  propria  in  loru  e  per  loro. 

Le  tradizioni  popolari  sono,  chi  vi  sappia  ben  leggere, 
reliquie  del  passato  psichico,  sociale,  religioso  dei  po- 
poli che  le  conservano.  Con  uno  studio  paziente  pu6 
in  esse  scoprirsi  dove  ricordi,  dove  avanzi  e  dove  tracce 
di  avvenimenti,  di  costumi,  di  credenze.  Troppo  fin  qui 
furono  dimenticati  i  vantaggi  che  possono  venire  alia 
filosofia  sociale,  alia  letteratura,  airarte,  alia  scienza  in 
generale  da  questi  element!  rivelatori  delle  varie  civiltsi, 
dei  vari  popoli  e  dei  vari  tempi. 

Con  questi  intendimenli  TArchivio  riprende  Topera 
sua. 

Palermo,  1  Gennaio  1906. 

G.  PITRfe. 


^6a^c^  ^^ 


MAGIA  E  PREGIUDIZII 

IN    P.    VERGIL  lO    MA  RONE    i). 


lotroduzione. 

Delia  vita  di  Vergilio,  de'  suoi  poemi  e  di  queirarte  divina, 
che  lo  rese  degno  di  culto  immortale  in  ogni  eta,  da  Silio  Italico, 
solito  a  celebrarne  il  d^  natalizio  e  a  visitarne  la  tomba,  a  Dante  che 
ne  fece  il  suo  «  maestro  e  il  suo  autore  »  e  via  via,  per  il  Rina- 
scimento,  fino  ai  piu  illustri  moderni  rappresentanti  del  classicismo, 
tornerebbe  —  diremo  questa  volta  —  non  solo  inutile,  ma  forse 
dannoso  aggiungere  parola.  E  perch^?  Perch^  Vergilio  e  tale  artista, 
che  Tuomo  dotto  non  deve  studiare  nei  lavori  critici,  cio^  seguendo 
le  vestigia  o  impressioni  d'altri :  come  un  prisma  riflette  colori  sempre 
nuovi,  secondo  i  diversi  punti  di  vista  sui  quali  ciascuno  ferma  lo 
sguardo,  cosl  il  Nostro  presenta  a  colui  ch'^  veramente  cosciente 
dell'arte  bellezze  del  tutto  particolari,  secondo  che  diversi  sono  i 
rispetti  onde  si  fa  a  studiarlo  e  meditarlo.  Ma  a  questa  desiderata 
meta  certamente  non  si  perviene  se  non  con  «  lungo  studio  e  lungo 


i)  11  presente  studio  di  Mons.  prof.  dott.  Marco  Belli  di  Portogruaro  (Prov.  di 
Venezia)  fa  parte  di  altri  studi,  g\k  da  esso  pubblicati,  a  cominciare  dell'anno  1894, 
intomo  airarte  magica  e  ai  pregiudizi  volgari  nei  poeti  latini  dal  70  av.  Cr.  al 
117  d.  Cr.  Sono  usciti  finora:  Afagia  e  pregiudizi  in  Tibullo,  Catullo,  Properzio, 
Ovidio,  Orazio,  Fedro,  Silio  Italico,  P.  Stazio,  Lucano,  V.  Flacco  ecc,  e  I'opera, 
che  li  raccoglier^  tutti  in  uno  0  pivi  volumi,  tra  non  molto  vedra  la  luce. 

(LA  DIREZIONE). 


6  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

amore  >> ;  e  per  ci5  non  mostrano  di  ben  valutare  il  merito  deH'opera 
ver^iliana,  quei  critici  —  e  non  sono  pochi  —  i  quali,  content!  di 
di  celt'brarne  cumulativamente  i  pregi,  si  limitano  a  ravvisare  nelle 
Georgiche  un  modello  di  forma  piu  perfetto  che  neWEneide,  e, 
nelle  Egloghe,  un  esercizio  dMmitazione  del  greco,  per  il  quale  si 
riconosce  al  poeta  il  vanto  di  avere,  per  il  primo,  introdotto  in  Roma 
un  genere  di  poesia,  il  bucolico  o  pastorale,  sconosciuto  ai  Latini. 
Nol  noi  non  siamo  davvero  di  questo  avviso:  Vergilio  e  sempre 
Vergiiio,  cio^  un  modello  di  perfezione  sia  nel  descrivere  le  mera- 
viglie  della  natura,  come  nelle  Georgiche;  sia  nell'epopea  del  ciclo 
troiano,  come  neW Eneide ;  s\2i  neirimitazione,  come  avviene  in  molti 
luoglii  delle  Egloghe,  dove  Toriginale  greco  h  vinto  dalla  musa  la- 
tina.  Cosi  Raffaello  k  sempre  divino,  benche  non  sempre  il  mede- 
simo,  sia  chelosi  consideri  nella  Trasfigtirasione,  sia  come  continua- 
tore  del  Perugino,  sia  come  il  Raffaello  della  Scuola  d'Aiene.  fe 
questo  un  dolce  e  delicato  secreto  dell'arte,  che  solo  si  rivela  a 
pochi  nobilissimi  «  spirit!  magni  »  destinati  dalla  Provvidenza  a 
dividere  tratto  tratto,  durante  il  lungo  cammino  dei  secoli,  le  fitte 
tencbre  che  ci  circondano. 

H  adesso  ci  convien  dire  di  un'altra  cosa,  la  quale  —  almeno 
cos)  a  noi  pare  —  non  ^  del  tutto  estranea  al  nostro  studio.  Chi  ^ 
mai  che  non  conosca  quella  leggenda  medievale,  che  fece  di  Vergilio 
un  mago  strapotente?  Anche  qui  non  occorre  spendere  troppe  parole, 
poich^  questo  argomento  fu  a  pieno  trattato  dal  Comparetti  e  suc- 
cessivamente  dal  Graf:  per6  che  cosa  diremo  deH'opinione  di  coloro, 
i  L^uali  pensano  esistere  una  certa  attinenza  fra  la  leggenda  e  il  disegno' 
di  Dante,  nelle  scegliere  cioe  Vergilio  come  guida  attraverso  le  bolgie 
infeinuli  e  i  gironi  del  Purgatorio?  Sentiamo  in  prima  il  Comparetti  i) : 
«E  Al  If  mpo  di  Dante,  oltre  a  quanto  gia  abbiamo  riferito  della  tra- 
dizione  letteraria  su  Virgilio,  erasi  gia  anche  diffusa  le  leggenda 
popolare  relativa  a  questo  nome,  ed  erasi  gia  anche  introdotta  nella 
letteratura,  si  nella  romanzesca  che  nella  dotta.  Dante  che  non  era 
estraneo  n^  alFuna,  ne  alTaltra,  di  certo  ne  aveva  contezza,  come 


1)  I'itgirio  ncl   medio-evo,  torn.  I,  c.  XV,    pagg.  286  e  segg.,    Livorno  1872. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  7 

mostra  di  conoscere  il  suo  dolcissimo  Cino,  che  Taveva  appresa 
dal  popolo  a  Napoli.  fe  un  errore  ben  grande  per5  il  pensare,  come 
ha  fatto  qualche  commentatore  antico  e  quasi  tutti  i  moderni,  a 
quella  leggenda  al  proposito  del  Virgilio  dantesco.  Dante  non  ne  ha 
tenuto  il  menomo  conto,  e  non  c*&  luogo  nel  suo  poema,  in  cui  pur 
da  lontano  Virgilio  apparisca  come  mago  e  taumaturgo,  o  si  accenni 
in  qualche  maniera  a  quanto  si  pens6  su  di  lui  in  tal  qualita... 
Dante  non  ha  cercato  pel  suo  Virgilio  alcuna  idea  che  fosse  estranea 
agli  ideali  suoi,  coi  quali  egli  congiungeva  il  nome  del  poeta,  e  la 
magk  in  questi  casi  non  c'era  davvero  ».  Cosl  il  Comparetti ;  ma 
quanto  a  noi  —  disposti,  sia  pure,  ad  affrontare  un  subisso  di  recri- 
minazioni  —  la  pensiamo  diversamente.  Per  la  qual  cosa,  bench^ 
negli  angusti  limiti  di  quest'introduzione,  non  possiamo  fare  a  meno 
di  dar  luogo  ad  alcune  semplicissime,  ma  non  ispregevoli  osser- 
vazioni : 

i)  attesa  la  masslma  popolarit^  della  leggenda,  era  t)en 
difficile,  p)er  non  dire  impossibile,  che  Dante  non  ne  subisse  IMn- 
fluenza ; 

2)  dato  pure,  come  nessuno  ne  dubita,  che  Dante  abbia  in 
Vergilio  personificata  la  ragione  umana,  sarebbe  proprio  un  contro- 
senso  Tammettere,  che  anche  profittando  della  fama  di  mago  e  di 
taumaturgo,  di  cui  egli  godeva,  se  Tabbia  scelto,  in  via  a  cos)  dire 
secondaria,  come  duce  e  compagno  nella  sua  misteriosa  peregri- 
nazione  ? 

3)  ammesso  ancora  che  nessun  luogo  del  divino  poema  ci 
rappresenti  piu  o  meno  chiaramente  Vergilio  in  qualita  di  mago  0 
taumaturgo,  non  per  questo  Targomento  ex  ailentio  basterebbe  a 
rigettare  il  supposto? 

Ma  v'ha  di  piu:  noi  crediamo  che  nella  Divina  Commedia  ci 
sia  un  luogo,  su  questo  proposito,  per  lo  meno  molto  discutibile  e 
piu  decisivo  di  quello  deirinf.  IX,  22,  riportato  dal  Comparetti  in 
notaal  luogo  da  noi  citato.  E  questo  luogo  ^  il  v.  88  esegg.  dellMnf.  VIII, 
nel  colloquio  avuto  da  Vergilio  coi  demoni,  che  gli  contrastano 
Tentrata  nella  citta  di  Dite.  '  Perch^  Vergilio  e  chiamato,  solo,  a 
conferire  coi  demoni? 


8  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

Allor  chiusero  un  poco  il  gran  disdegno 
E  disser:  «  Vien  » tu  solo,  e  quei  sen  vada 
Che  si  ardito  entr6  per  questo  regno. 

E  che  cosa  sono  quelle  parole  secrete  che  non  poterono  essere 
intese  da  Dante? 

Udir  non  pote'  quel  che  a  lor  si  porse; 
Ma  ei  non  stette  \k  con  essi  guari, 
Ch6  ciascun  dentro  a  prova  si  ricorse... 

Lo  Scartazzini  domanda :  «  Non  pot^  egli  udire  a  motivo  della 
lontananza?  O  perch^  parl6  con  voce  sommessa?  Naturalmente  disse 
su  per  gill  quanto  avea  detto  a  Caronte  (III,  94),  a  Minosse  (V.  22), 
a  Pluto  (8  e  segg.).  »  Conclusione,  quae  nimia  probati  Noi  ci 
vediamo  un  incanto  non  riuscito.  E  basti! 

Ora  entriamo  neirargomento  non  senza  per6  chiedere  scusa  al 
benigno  lettore,  se,  in  causa  della  molteplice  varieta  delle  cose  di 
cui  dovremo  discorrere,  la  classificazione  delle  medesime  non  sara 
sempre,  come  dovrebbe  essere,  rigorosa  e  perfetta  1). 


I.  -  Dei. 

I.  Gli  dei,   in   sul  meriggio,   visitano  spesso  la  terra.  —  2.  Priapo.  —  3.   Giove 
Ammone. 

Prima  di  ogn'altra  cosa,  ricorderemo  un'altra  volta  il  noto  pre- 
giudizio  del  meriggio,  cioe  di  quell'ora,  che,  per  gli  antichi,  era  « tempo 
di  terrore  »  in  quanto  che  da  essi  si  credeva,  che  gli  dei,  0  gli  spiriti 
piu  0  meno  benigni,  scendessero  frequenti  volte  a  visitare  la  terra. 
Abbiamo  detto  «  un*altra  volta  »  poich^  la  ^  cosa  gia  da  noi  lunga- 
mente  discussa  in  Lucano,  pagg.  66  e  segg.  E  anche  Vergilio  ce  ne 
offre  evidentemente  espressa  memoria  in  due  luoghi :  primieramente 
nelle  Bucoliche  (Egl.  II ,  v.  6  e  segg.),  dove  il  pregiudizio,  a  vero 


1)  L'edizione  da  noi  seguita  nelle  citazioni  del  testo  vergiliano  6  per  VEneide 
quella  del  Sabbadini ;  per  le  Georgiche  e  per  le  BucoHche  quella  dello  Stampini  e 
anche  quella  del  Bettoni  (1819). 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  ^ 

dire,  appena  si  ravvisa,  perch^  il  poeta,  di  preferenza,  accenna  ii\h\ 
quiete  del  meriggio;  ma  vsempre  tuttavia  in  ordine  a  quella  creden^a 
superstiziosa,  che  da  tutti  era  ritenuta  una  verita  di  fatto !  Ecco  come 
Coridone  esordisce  il  suo  lamento  verso  Alessi : 

O  crudelis  Alexi,  nihil  mea  carmina  curas? 
nil  nostri  miserere?  mori  me  denique  coges. 
Nunc  etiam  pecudes  un.Irr.3  et  frigora  captant, 
nunc  virides  etiam  occultant  spineta  lacertos, 
Thestv'iis  et  rapido  fessis  messoribus  aestu 
alia  serpyllumque  herbas  contundit  olentis. 
at  mecum  raucis,  tua  dum  vestigia  lustro, 
sole  sub  ardenti  resonant  arbusta  cicadis  (vv.  6-13). 

In  mezzo  a  tanta  pace,  durante  il.pieno  e  dolce  riposo  ddki 
natura  e  dei  mortali,  qual  tempo  piu  opportuno  per  la  discesa  degli  dt^i  ? 
Piu  chiaramente  il  pregiudizio  e  indicato  nel  IV  delle  Georgiche: 
Cirene,  madre  di  Aristeo,  promette  al  figliuolo  di  condurlo,  appunto 
neirora  del  meriggio,  all'antro  di  Proteo,  che  suole  in  tale  ora  darsi 
al  riposo: 

Ipsa  ego  te,  medios  quum  sol  adcenderit  aestus, 
quum  sitiunt  herbae,  et  pecori  iam  gratior  umbra  est, 
in  secreta  senis  ducam,  quo  fessus  ab  undis 
se  recipit;  facile  ut  somno  adgrediare  iacentem  (vv.  401-404). 

II  luogo  non  ha  bisogno  di  commenti,  perch^,  come  nota  Servio, 
il  «  medios  cum  sol  adcenderit  aestus  »  indica  da  se  Tora  in  cui  so 
gliono  i  Numi  comparire  suUa  terra  i). 

Al  pregiudizio  del  meriggio  facciamo  seguire  il  dio  Priapo,  il 
comico  guardiano  degli  orti  2).  Nel  IV  delle  Georgiche  si  esprim-i^  il 
voto  «  che  gli  orti,  spiranti  crocei  odori ,  allettino  le  api,  e  che  la 
tutela  di  Priapo  di  Lampsaco,  discacciatrice  dei  ladri  e  degli  ucctlli 
con  la  sua  falce  saligna  le  conservi  »  : 

hivitent  croceis  halantes  floribus  horti, 
et  custos  furum  atque  avium  cum  falce  saligna 
Hellespontiaci  servet  tutela  Priapi   (vv.  109-111). 


(i)  LEOP.  op.  c,  pag.  96. 

(2)  V.  il  nostro  studio  J/aiT'^  c  preg,  in  Orazio  ecc.  Venezia  1895,  p.  33  e  seag* 

Archivw  per  le  tradisioni  popolari.  —  Vol.  XX III.  1 


10  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

E  neirEgl.  VII,  dove  si  parla  dei  sacrifici  in  onore  del  dio: 

Sinum  lactis,  et  haec  te  liba,  Priape,  quotannis 
expectare  sat  est:  custos  es  pauperis  horti. 
Nunc  te  marmoreum  pro  tempore  fecimus,  at  tu, 
si  fetura  gregem  suppleverit,  aureus  esto  (vv.  33-36'. 

«  A  te,  Priapo,  k  abbastanza  Tattendere  ogn'anno  da  me  un 
secchio  di  latte  e  queste  focacce :  tu  sei  di  povero  orto  custode.  Ora 
io  ti  ho  scolpito  in  marmo  secondo  Tannuale;  ma  se  la  figliatura 
delle  pecore  sara  buona,  sarai  d'oro  ».  Come  h  chiaro,  la  fiducia  di 
Tirsi  non  mette  dubbio  nella  potenza  del  dio.  Qui  si  tratta  di  un 
voto:  «  Etiam  hoc  —  cos\  leggiamo  nelle  note  delPediz.  Bettoni  — 
est  epigramma  Priapi  signo  afifixum,  idque  votum  ei  factum.  Signum 
eius  est  ex  marmore,  ad  quod  sacra  quotannis  fiunt  pastoritia ;  ponet 
ex  voto  auream  statuam,  si  Deus  propitius  fuerit ».  Del  dio  Priapo 
resta  anche  oggi  una  memoria  in  quei  fantocci  o  pagliacci,  che  si 
sogliono  collocare  dai  nostri  villici  negli  orti  di  fresco  lavorati,  a  guardia 
dei  passerotti,  affmch^  non  rechino  nocumento  alia  seminagione. 

II  tempio  di  Giove  Ammone,  sul  quale  da  ultimo  dobbiamo 
spendere  una  paro!a,  h  dal  f>oeta  nel  IV  dtWEneide  descritto: 

Hie  Hammon  satus  rapte  Garamantide  nympha 
templa  Jovi  centum  latis  immania  regnis, 
centum  aras  posuit  vigilemque  sacraverat  ignem, 
excubias  divom  aetemas;  pecudumque  cruore 
pingue  solum  et  variis  florentia  limina  sertis, 
isque  amens  animi  et  rumore  accensus  amaro 
dicitur  ante  aras  media  inter  numina  divom 
multa  Jovem  mantbus  supplex  orasse  supinis: 
«  Juppiter  omnipotens,  cui  nunc  Maurusia  pictis 
gens  epulata  toris  Lenaeum  libat  honorem, 
aspicis  haec?  an  te,  genitor,  cum  fulmina  torques, 
nequiquam  horremus,  caecique  in  nubibus  ignes 
terrificant  animos  et  inania  murmura  miscent? 
femina,  quae  nostris  errans  in  finibus  urbem 
exiguam  pretio  potuit,  cui  litus  arandum 
cuique  loci  leges  dedimus,  conubia  nostra 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  II 

reppulit  ac  dominum  Aenean  in  regna  recepit, 
et  nunc  ille  Paris  cum  semivivo  comitatu, 
Maeonia  mentum  mitra  crinemque  madentem 
subnixus,  rapto  potitur;  nos  munera  templis  . 
quippe  tuis  ferimus  famamque  fovemus  inanem  » 

(vv.  198-218). 

Non  t  questo  il  celebre  oracolo  mondiale  di  Libia,  da  noi  illu- 
strate in  Lucano  (pagg.  141  e  segg.),  bensl  un  secondo  tempio, 
eretto  da  Jarba  sulle  spiagge  della  Numidia,  in  onore  dello  stesso 
dio.  Jarbas  (ed.  Bettoni  in  not.)  ex  Lybia,  ubi  Juppiter  Hammon 
celebre  oraculum  ac  templum  habuit,  in  Numidicas  supra  Carthaginem 
oras  Jovi  Hammoni  patri  putandus  est  nova  sacra  invexisse  ».  I  due 
templi  non  sembrano  differire  gran  fatto  tra  loro :  manca  nel  secondo 
la  fonte  misteriosa,  ch6,  con  le  sue  acque,  feconda  I'aride  glebe  del 
circostante  terreno,  ma  a  ci6  supplisce  il  sangue  delle  vittime  scan- 
nate  nei  molteplici  sacrifizi;  il  primo  tempio  »  non  ha  ornament! 
di  sorta,  mentre,  nel  secondo,  i  «  limina  »  sono  «  florentia  variis 
sertis  ». 

N^  qui  ^  un  fuor  d'opera  notare  alcune  particolarita  ritualistiche, 
lievi  in  sb,  ma  che  in  ordine  ai  nostri  studi,  pur  significano  qualche 
cosa.  Nota  adunque  il  centum,  numero  rotondo,  che  accenna  a 
virtu  cabalistica;  il  vigilem  ignem,  simbolo  della  perpetuita  dello 
Stato  secondo  il  costume  romano;  il  supinus,  che  indica  Puso  di 
pregare  con  le  palme  rivolte  airin  su ;  il  Ubat  konorem  Lenaeum, 
che  consisteva  nello  spargere  per  terra  alcune  gocce  di  vino,  e,  infine, 
i  murmuraf  0  preghiere  a  voce  bassa. 

Catone,  come  abbiamo  veduto  in  Lucano,  davanti  al  tempio 
di  Giove  Ammone,  inveisce  fieramente  contro  la  superstizione  degli 
oracoli,  facendo  grazia  di  consultarli  soltanto  a  quegli  spiriti  deboli, 
che  si  sentono  crucciati  dal  pensiero  dei  futuri  destini ;  e  anche 
larba,  fino  ad  un  certo  punto,  mostra  di  non  essere  uomo  di  cieca 
fede.  Cosi  egli  prega:  «  Giove  onnipotente,  vedi  tu?  e  vano  ^  il 
nostro  terrore,  quando  tu  scagli  il  fulmine?  La  donna  che  si  compr6 
nel  mio  regno  un  poco  di  spiaggia  da  arare,  sprezz6  gia  la  mia  mano, 
e  ora  accetta  quella  di   Enea;  un  Paride  effeminato,   che  porta  ai 


12  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POROLARI 

capelli  profumati  la  mitra  orientale.  Oh !  proprio  i  sacrifici  i)  che  ti 
facciamo,  o  Giove,  sono  superflui :  tu  non  sei  nulla  ». 

Tuttavia  la  fede  prende  in  larba  la  rivincita,  come  appare  da 
quel  tenentem  aras,  a  cui  segue  Tesaudimento  da  parte  di  Giove. 


II.  —  Astrologia. 

*i.  Sole  ed  astri.  —  2.  Sirio,  Comete.  —  3.  Terra. 

4^  Macrobio  {Saturn, ^  lib.  I,  c.  17  segg.)  —  cos)  il  Leopardi 
(op*  c\  p.  119  e  segg.)  —  h  stato  di  opinione  che  tutti  gli  dei  nella 
loro  online  altro  non  fossero  che  il  sole,  e  ha  cercato  con  molte 
provt,  in  verita  molto  solide,  di  mostrare  che  questo  suo  parere  era 
da  valutarsi.  Esso  ^  stato  interamente,  0  in  parte,  seguitodal  Braun, 
dal  Vossio,  dal  Cuper,  dal  Bona,  dal  Grandis,  dall'Aleandro,  dal- 
I'Ursino,  dallo  Spon,  dal  Thomassin,  dal  Dempster.  U  sole  era  lo 
stesso  che  Bacco,  come  mostrano,  per  tralasciare  altre  mille  prove, 
si  quel  verso  riferito  da  Macrobio  sotto  il  nome  di  Orfeo  {Saturn,  I,  18)  : 

il  vago  Sol  cui  dan  di  Bacco  il  nome ; 

s\  quel  luogo  di  Virgilio: 

vos,  0  clarissima  mundi 

lumina,  labentem  caelo  quae  ducitis  annum, 
Liber  et  alma  Ceres;  vestro  si  munere  tellus 
Chaoniam  pingui  glandem  mutavit  arista, 
poculaque  inventis  Acheloia  miscuit  uvis; 
et  vos,  agrestum  praesentia  numina,  Fauni, 
,  ferte  simul  Faunique  pedem  Dr>'adesque  puellae; 
munera  vestra  cano  ».     (Georg.  I,  vv.  5-12) 

Ma  quest'opinione  del  Leopardi  oggi  non  pub  facilmente  essere 
acccUata.  O  meglio :  senza  discutere  Topinione  di  Macrobio,  che 
tutti  gli  dei  in  origine  non  fossero  altro  che  il  sole  —  ci5  che  po- 
trebbe  anche  esser   vero,  ma  che  non  b  del   momento    decidere  — 


i>  G.  PASCOLl,  Epos,  Livorno  1897,  I.  c. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  1 3 

osserviamo  che  il  luogo  riferito  di  Vergilio  non  pu6  eSvSere  interpre- 
tato  in  questo  senso:  infatti,  il  sole  e  la  luna  non  possono  qui 
essere  identificati  con  Liber  e  Ceres,  perch^  presso  le  antiche  po- 
polazioni  italiche  questi  culti  si  riscontrano  distinti  gli  uni  dagli  altri. 
«  LMdentificazione,  come  nota  il  Benoist  seguendo  il  Woss,  awenne 
molto  tardi,  neU'eta  imperiale,  e  solo  in  certi  misteri,  per  effetto 
d'un  sincretismo  religioso  dovuto  alia  politica  e  alia  filosofia  di  quel 
tempi.  D'altra  parte  Virgilio  dovette  certo  aver  sott'occhi  un  passo 
di  Varrone  (R.  R.  I,  1,5)  in  cui  invocando  gli  Dei  deH'agricoltura 
chiaramente  distingue  le  quattro  divinita  suddette  (E.  Stampini, 
Comm.  alle  Georg.  1.  c).  » 

Del  noto  fenomeno  delle  stelle  filanti  o  cadenti  i)  Vergilio  vuol 
darci  la  causa  asserendo  ch'esse  dal  cielo  precipitano  al  so/fiare 
del  vento: 

Saepe  etiam  Stellas  vento  inpendente  videbis 
praecipites  caelo  labi,  noctisque  per  umbram 
flammarum  longos  a  tergo   albescere  tractus 

(Georg.  I,  vv.  365-367). 

Era  sentenza  comune  nelFantichit^  che  i  corpi  celesti  si  cibas- 
sero  e  si  dissetassero.  Ora  chi  somministrera  loro  da  mangiare  e  da 
here?  La  terra  fara  le  spese  a  tutti.  Perci5,  nel  primo  libro  del- 
VEneide,  il  Nostro  fa  che  Enea  dica  a  Didone : 

polus  dum  sidera  pascet, 

semper  honos  nomen  tuum  laudesque  manebunt, 
quae  me  cumque  vocant  terrae...   (vv.  608-610). 

Cosl  il  Leopardi,  il  quale  per6  legge  palus  in  luogo  di  polus, 
e,  fondato  sul  commento  di  Servio,  vede  qui  espressa  la  dottrina 
degli  antichi  fisici,  che  «  le  stelle,  cio^  i  fuochi  celesti,  fossero  ali- 
mentate  dalle  acque  marine  ».  Senonch^  lo  scambio  della  lezione 
non  quadra  ai  critici  di  maggiore  autorita ;  e  per  ci6,  lasciando  a  suo 
posto  il  polus,  tornera  meglio  rilevare  la  bella  immagine,  in  s^  sem- 
plicissima,  delle  stelle  paragonate  ad  un  gregge.   L*opinione  di  Servio 


i)  PUN.,  Hist.  II,  8. 


14  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

^  invece  pm  chiaramente  confermata  da  Lucano  (B.  C.  I,  415  e 
se^g. ;  IX,  31T  e  ^gg.;  X,  255  e  segg.)- 

O^i  iJ  nostro  popolino  identifica  le  stelle  cadenti  con  le  anime 
dei  trapassati,  ed  ^  regola  di  far  silenzio  quando  si  vede  filare  una 
Stella;  dok  che  deriva  da!  notissimd  canone  magico,  di  non  turbare 
col  minimo  rumore,  n^  sacrifizi,  n^  incanti,  n^  preci,  n^  riti  sacri 
di  qualsiasi  specie. 

Appena  Enea  co*  suoi  ha  messo  piede  nell'isola  di  Creta,  ecco 
che  Sirio,  ossia  ta  costellazione  della  Canicola,  fa  subito  sentire  la 
sua  malefica  influenza:         » 

subito  cum  tabida  membris 

corrupto  caeli  tractu  miserandaque  venit 

arboribusque  satisque  lues  et  letifer  annus, 

linquebant  dulces  animas  aut  aegra  trahebant 

corpora*  turn  steriles  exurere  agros, 

arebant  herbae  et  victum  seges  aegra  negabat.  (En.,  III.vv.  137-142). 

II  luogo  citato  ^  un'imitazione  deiriliade,  A,  50;  ma  il  pregiu- 
dizio  ^  megJio  dichiarato  nel  libro  X  deW Eneide,  dove  Sirio  e  tutt'uno 
con  con  11'  Co  mete : 

non  sec  us  ac  liquida  si  quando  nocte  cometae 
sanguinei  lugubre  rubent,  aut  Sinus  ardor: 
ille  sitim  morbosque  ferens  mortalibus  aegris 
nascrtur;  et  laevo  contristat  lumine  caelum  (vv.  272-275). 

Relativamente  alia  Terra,  il  Nostro,  come  Tibullo,  Ovidio  e 
Lucrezio,  la  divide  in  cinque  zone,  delle  quali  suppone  inabitabili  la 
torrida  ti  le  due  frigide : 

guinque  tenent  caelum  zonae,  quarum  una  corusco 
semper  sole  rubens  et  torrida  semper  ab  igni ; 
quam  drcum  extremae  dextra  laevaque  trahuntur 
*  caenileae^  glacie  concretae  atque  imbribus  atris ; 

has  inter  mediamque  duae  mortalibus  aegris 
munere  concessae  divum,  et  via  secta  per  ambas, 
obliquus  qua  se  signorum  verteret  ordo.  (Georir.  1.  vv.  233-239). 

Fa  meravi^fjia  per5  un'interpretazione  che  si  voile  dare  da  alcuni 
commentitori  ai  vv.  795  e  segg.  del  VI  deWEneide: 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  ic 

iacet  extra  sidera  tellus, 

extra  anni  solisque  vias,  ubi  caelifer  Atlans 

axem  humero  torquet  stellis  ardentibus  aptum  (v.  795-797). 

Secondo  la  comune  interpretazione,  la  telltis,  qui  menzinnata, 
t  quella  che  Augusto  conqiiistera  al  di  la  dei  Garamanti  t-  depli 
Indi ;  telhis  situata  extra  sidera,  cioe  oltre  la  linea  dello  ZiKlinco, 
«  che  si  perde  in  una  lontananza  misteriosa  (Sabbadini  I.e.)  ».  Ma 
nessuno  s'immacrjnerebbe  mai  ci6  che  di  questi  paesi  lontani,  lonlani 
ne  pens6  lo  Schmid  i). 

Lo  Schmid  vede  di  botto  una  divinazione  deirAmerica!  E  :inche 
questa,  tra  le  tante,  potrebbe  passare,  se,  come  nota  il  Leopard! , 
«  un  altro  luogo  dello  stesso  poeta  non  mostrasse  ad  evidenza  ciie 
in  quello  gia  riferito,  esso  intese  parlare  deU'Etiopia,  tanto  piu  che 
in  questo  luogo  si  legge  ripetuto  Tultimo  verso  del  primo»: 

Oceani  finem  iuxta  solemque  cadentem 

uitimus  Aethiopum  locus  est,  ubi  maximus  Atlans 

axem  humero  torquet  stellis  ardentibus  aptum     (Aen.  iV,  v.  480-4S3), 

Ma  chi  ci  assicura  che  il  secondo  emistichio  del  penultimo  in 
una  con  Tultimo  verso  non  siano  effetto  di  una  qualsiasi  interpula- 
zione  0  inserzione  arbitraria? 

«  Con  eguale  acutezza  —  continua  il  Leopardi  —  lo'  Schmid 
trova  r America  nell'isola  deserta  situata  nel  mare  Atlantico,  e  sco- 
perta  dai  Cartaginesi,  di  cui  parla  Aristotele;  ed  avrebbe  potuti.i  tro- 
varla  similmente  nella  grande  isola  fortunata  di  Diodoro,  puich^ 
ravvisa  il  Peru  neirOfir  della  Scrittura,  e  non  dubita  che  la  paroia 
Farvajim  o  Parvajim  dei  Paralipomeni*  (II,  3,  6),  o, -come  egli 
vuole,  Paritaim,  non  valga  a  significare  quel  regno  ». 

II  Leopardi  chiama  tutte  queste  «  favole  e  congetture  mal  fon- 
date  »,  ma  possiamo  noi  negare  Tesistenza  di  un'antica  tradiziune,  a 
tale  riguardo,  presso  gli  antichi?  O  non  present6  il  Nuovo  Continente 
alio  scopritore  traccie  evidentissime  di  costumanze  0  istituzioni  turopee 
sia  pagane  che  cristiane,  sia  religiose  che  civili.?  Non  potevanu  torse 
gli  Europe!  penetrare  neir America  0  per  lo  stretto  di  Behring,  o  per 


i)  Oral,  de  Amerka,  in  LEOPARDI,  pag.  192  e  segg. 


l6  ARCHIVIO   PER    LE  TRADlZIONI   POPOLARI 

le  isole  ~  che  si  constatarono  sommerse  dalle  acque  —  intermedie 
fra  il  Capo  di  Buona  Speranza  e  lo  stretto  iMagellanico?  Noi  sappiamo 
che  fuTono  o^^etto  d'intensa  discussione  due  testi  scritturali :  quello 
d'Isaia  (VI,  12)  e  piu  ancora  quello  del  libro  IV  c.  XIII,  4;,  apocrifo, 
di  Esdra,  nei  quali  si  voile  intravedere  un'allusione  all'esistenza  del 
nuovo  Mondo,  ilprimo:  «  et  multiplicabitur,  quae  derelicta  fuerat  in 
medio  terrae  *>  s'interpreta,  da  alcuni  com menta tori,  delPEvangelo 
predicate  ne!  Nuovo  Continente;  il  secondo  e  un  po' piu  esplicito: 
<t  Decern  trlbus  captivae  factae  sunt  de  terra  sua  in  diebus  Oseae 
re^is,  quern  aiptivum  duxit  Salmanasar  sex  Assyriorum :  et  trans- 
tuiit  eos  trans  tlumen,  et  translati  sunt  in  terram  aliam.  Ipsi  autem 
sibi  dedemnt  consilium  hoc,  ut  derelinquerent  multitudinem  gentium, 
et  proficiscerentur  in  ulteriorem.  regionem  ubi  nunquam  inhabitavit 
genus  humanum ;  et  ibi  observare  legitima  sua,  quae  non  fuerant 
servantes  in  regione  sua.  Per  introitus  autem  angustos  fluminis  Eu- 
phratem  introierunt ».  Pensi  e  giudichi  ciascuno  come  crede,  ma  non 
si  neghi  a  priori  come  fa  vole  o  leggende  ci6  che  potrebtxi  essere 
verita  di  fatto!  O. 


III.  -  I  venti. 

Poche  cos€  della  vtrtu  dei  venti.  —  Questi  sono  creduti  messaggeri  degli  dei: 
portana  le  preghiere  dei  mortali  agli  orecchi  dei  Numi,  ovvero  le  disperdono 
neiraria. 

Dameta,  Ui^WEijl,  III,  v.  73,  esclama: 

pattem  aiiquam  venti  divom  referatis  ad  auris. 

E  neir^tt.  IX: 

nee  non  et  pulcher  Juius, 

ante  annos  animumque  gerens  curamque  virilem, 
multa  patri  mandata  dabat  portanda:  sed  aurae 
omnia  discerpunt  et  nubibus  inrita  donant.  (v.  310-313). 


1^  Varamente  dobbiamo  confessare  che  il  teste  d*Isaia  non  si  presta  molto  airin- 
tfirpretazione  J^ita  Ja  quegli  interpreti  che  seguono  letteralmente  la  Volgata.  11  testo, 
tradotti)  dairorigJTiale  ebraico,  suona  cosi:  <  Si,  il  Signore  ridurra  le  persone  Tuna 
(lairaltra  lonUne»  c  molti  saranno  nel  paese  i  luoghi  abbandonati  >. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  ff 

Vaghissima  h  la  leggenda  del  vento,  che  feconda  le  cavalle  di 
Lusitania  e  di  Cappadocia  {Georg.  Ill,  v.  273  e  segg.).  11  fatto 
(Leop.  op.  c.  pag.  235)  k  dato  come  inconstrastabtle  da  Varrone, 
Columella,  Plinio,  e  reca  meravlglia  che  anche  il  Nostro  abbia  cre- 
simato  uno  sproposito  cosl  madornale;  se  pure,  come  a  nui  parepiu 
probabile,  non  abbia  voluto  adornare  la  scena  col  ricliiamo  di  una 
poetica  finzione,  che  diede  materia  anche  all'epica  mode  ma. 

Anima  h  in  Vergilio  sinonimo  di  vento: 

quidquid  in  arte  mea  possum  promittere  cur^e, 
quod  fieri  ferro  liquidove  potest  electro, 
quantum  ignes  animaeque  valent;  absiste  precindo 
viribus  indubitare  tuis.  [Aen.  VIII,  v.  401-404), 

Cosl  Vulcano  e  Venere.  Servio  interpreta:  «  Spirit  us  quo  fabnies 
inflari  folles  solent  » ;  quindi,  per  analogia  col  greco  avejiog,  miima 
equivale  semplicemente  a  vento;  quindi  a  noi  non  pare  fondata  la 
ragione,  per  la  quale  il  Leopardi  (pag.  231)  da  quest'etimnlrtgia  vuol 
derivare  Torigine  delPerrore  popolare  che  attribuiva  Tanima  ai  venti. 

N&  esatto  apparisce  lo  stesso  Leopardi,  quando,  a  pag.  233, 
afferma  che  delPerrore  popolare,  che  faceva  i  venti  messaggeri  della 
divinita,  si  hanno  vestigia  nella  S.  Scrittura.  Al  qual  riguardo  egli 
cita  due  luoghi  biblici:  il  v.  11  del  salmo  XVIII  e  rapparlzione  di 
Dio  ad  Elia  narrata  nel  III  dei  Re,  cap.  19,  v.  11  e  segg. 

II  primo  testo,  riportato  dal  Leopardi  secondo  !a  Voigataj  e: 
«  ascendit  super  cherubim,  et  volavit;  volavit  super  pennas  ven- 
torum  ».  Ma  che  hanno  a  fare  con  questo  luogo  i  venti  messuggeri 
della  divinita.?  Secondo  Toriginale  ebraico,  il  testo  va  tradotto  cosi : 
«  Cavalc6  sul  Cherub  e  vol6,  strisci6  via  sulle  all  del  vento  »,  11 
Kerub,  di  origine  babilonese,  ^  un  leone  0  toro  abtt^  esso  rappre- 
senta  una  ]X)tenza  celeste,  che  trasporta  il  cocchio  di  Dio  negli  spaz! 
aerei  sulle  nubi  di  un  temporale  i). 

Che  cosa  poi  leggiamo  nel  III  dei  Re?  «  Et  ecce  Doniinus 
transit,  et  spiritus  grandis  et  fortis  subvertens  monies,  et  conterens 


I)  S.  MINOCCHI,  /  Salmi  etc.  Roma  1905,  pag.  49;  vedi  M.  BELLI,  //  Safmo 
cm,  lezione  csegetka  ecc,  Livomo  1904. 

Arthifiio  per  le  tradigioni  popolari.  —  Vol.  XX II I.  i|. 


l8  AF^CHIVIO   PER    LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

p<jtn!s  ante  Dominum :  non  in  spiritu  Dominus.  Et  post  spiritum 
cammotio:  non  in  commotione  Dominus.  Et  post  commotionem 
ignis:  non  in  igne  Dominus.  Et  post  ignem  sibilus  aurae  tenuis. 
Quod  cum  audii:>SLt  Eiias,  operuit  vultum  suum  pallio,  et  stetit  in 
ostio  spxHunaic,  ct  ecce  vox  ad  eum  ».  Dove  mai  si  scorge  traccia 
dc^l  pregiudi?Jo?  Ad  Elia,  a  pie  delPHoreb  in  una  grotta,  Iddio  pro- 
mette  una  tcufania  affine  di  confortarlo:  «  Sorgi,  gli  dice,  e  rimani 
sulla  montagna,  ed  ecco  che  lahve  passa  ».  II  vento  forte  e  violento 
che  spacca  la  muntagna  e  stritola  le  roccie  davanti  alia  faccia  di 
Iahv&,  la  scossa,  11  fuoco,  e  infme  il  sibilo  del  placido  venticello 
altro  non  sono   che  i  segni  precursor!  o   preparatori  della   teofania. 

IV.  —  Animali. 

I,  Comacchia.  —  a,  H  malocchio  negli  agnelli.  —  3.  Cicala.  —  4.  Api.  —  5.  Baco 
Ja  5et:iH  —  6.  Un^e.  —  7.  Cigni.  —  8.  Colombe.  —  9.  Noctua  et  bubo. 

Cominciamo  dalla  cornacchia,  ossia  dairuccello  delte  male  nuove 
(nel  dialetto  veneziano:  croato  de  le  male  nove),  Di  questa  nel- 
TEgloga  1  b  detto  da  Melibeo,  che  ricorda  con  dolore  Tesilio  e  la 
fuga  dalla  patria : 

saepe  malum  hoc  nobis,  si  mens  non  laeva  fuisset 
Je  caelo  tactas  memini  praedicere  quercus. 
Saepe  sinistra  cava  praedixit  ab  ilice  comix,  (v.  16-18). 

Avvertiamo  che  il  v.  18  e  ritenuto  interpolato,  per  opera  di 
qualche  copista,  che  qui  lo  inserl  riportandolo  dalTEgl.  IX,  v.  15. 
Sta  it  fatto  del  resto  che  nei  versi  citati  si  allude  a  due  importan- 
tissimi  pregiudizi  volgari :  al  fulmine,  che,  se  colpiva  un  afbero  frut- 
tifero,  annunziava  sventura  —  cio^  se  un  ulivo,  sterilita;  se  una 
querela,  Tesilio  -  e  alia  comix  sempre  tenuta  in  conto  di  uccello 
di  malaugurio  (sittistra). 

Accennando,  in  secondo  luogo,  agli  agnelli,  nell'Egl.  Ill,  il  poeta 
ci  forni.sce  nnti'^ie  di  un  altro  pregiudizio  non  meno  importante,  cio^ 
del  malocchio.  Egli  fa  dire  a  Menalca: 

His  ct^rte  neque  amor  causa  est;  vix  ossibus  haerent. 
nescio  quis  teneros  oculus  mihi  fascinat  agnos.  (v.  102-103). 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  Iq 

II  malocchio  e  una  pretesa  influenza  magica,  funesta,  esercitata 
sovra  le  persone  e  le  cose  con  sguardi  maligni :  donde  il  detto  fa- 
moso:  Fuori  malocchio,  per  respingere  il  fascino.  E  quale  la  sua 
genesi?  Sulla  scorta  di  Plutarco  (X,  Quaest,  conviv,,  axp,  VW),  il 
commentatore  delPediz.  Bettoni  scrive:  «  duplex  genus  fascinationis : 
ex  amore  alterum,  cum  is  qui  amat,  eliquat  perditque  amatum  in- 
tuitu, modo  lumen  tluor  sit,  quod  ex  oculo  emanat:  alterum  ex 
invidia  etodio.  Utrumque  ad  mentem  Maronis ;  quasi  dicat  Menalcas: 
tu  amator  fascinas  et  perdis  pecus  tuum :  mei  agni  alterius  invidia 
fascinantur  ».  E,  per  non  moltiplicare  le  citazioni,  rimandiamo,  con 
lo  Stampini,  il  lettore  al  lavoro  del  Jahn :  «  Ueber  den  Aher- 
glauben  des  boson  Blicks  bei  den  Alien  »,  e  alio  studio  dello 
stesso  Stampini  in  Riv,  di  filol.  class. ^  vol.  XXVI,  pp.  256  e  segg. 

La  cicala  e  ricordata  nell'Egl.  V.  77,  come  insetto  che  si  pasce 
di  sola  rugiada  i).  Ma  Plinio  non  limita  alle  sole  cicale  tanto  privi- 
legio:  «  Chamaeleonum  stelliones  quoddamodo  naturam  habent,  rore 
tantum  viventes,  praeterquam  araneis.    Similis  cicadis   vita »  2). 

Seguono  alia  cicala  le  api. 

Vergilio  si  mostra  talmente  ammirato  dell  'operosita  e  delle  giu- 
diziose  consuetudini  di  questi  utilissimi  animalucci,  che  li  crede  quasi 
dotati  d'intelletto. 

His  quidem  signis,  atque  haec  exempia  secuti, 
esse  apibus  partem  divinae  mentis  et  haustus 
aetherios-dixere;  deum  namque  ire  per  omnis 
terrasque,  tractusque  maris,  caeluraque  profundum. 
hinc  pecudes,  armenta,  vivos,  genus  omne  ferarum, 
quemque  sibi  tenuis  nascentem  arcessere  vitas: 
scilicet  hue  reddi  deinde  ac  resoluta  referri 
omnia;  nee  morti  esse  locum;  viva  volare 
sideris  in  numerum,  atque  alto  succedere  caeio 

{(7rort^\  IV,  v.  219-227). 

In  questi  versi  e  brevemente  esposta  la  dottrina  pitagorica  — 
abbracciata  dai  Platonici  e  dagli  Stoici  —  delTanima  del  mondo,  cioe 


1)  Cfr.  ESIODO,  "KqtI^  'HpaxX,  345:  TEOCRITO,  Iiiyil.  IV,  16. 

2)  Hist.,  XI,  26. 


20  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

di  un  principio  agente,  sparso  per  tutta  la  natura,  che  da  vita  a  tutti 
gli  esseri  animati,  e  questi  poi,  sciolto  il  corpo,  di  nuovo  viene  nel 
suo  seno.  E  siccome  questo  principio,  che  tutto  muove  e  vivifica,  ^ 
detto  avere  la  natura  dell'etere  sottilissimo  e  purissimo,  per  ci5  gli 
spiriti  che  da  esso  emanano  sono  detti  da!  poeta  aetherei  hausttis, 
E  fin  qui  nulla  di  nuovo.  Ma  che  cosa  diremo  del  modo  di  ricuperare 
le  api,  quale  ci  h  dato  nella  pietosa  leggenda  di  Aristeo? 

Sed,  si  quem  proles  subito  defecerit  omnis, 
nee  genus  unde  novae  stirpis  revocetur,  habebit ; 
tempus  et  Arcadii  memoranda  inventa  magistri 
pandere,  quoque  modo  caesis  iam  saepe  iuvencis 
insincerusapestuleritcruor....  {Geor^.  IV,  vv.  281-285). 

E  verso  la  fine  del  libro,  dopoch^  Aristeo  ha  compiuto  i  rituali 
sacrifici  espiatori,  tal  meraviglia  cosl  felicemente  si  compie : 

liquefacta  boum  per  viscera  toto 

stridere  apes  utero,  et  ruptis  effen'ere  costis; 
inmensasque  trahi  nubes;  iamque  arbore  summa 
confluere,  et  lentis  uvam  demittere  ramis  (vv.  555-558). 

Davvero  qui  bisogna  sbarrare  gli  occhi  e  spalancare  la  bocca ! 

Pare  proprio  che  il  poeta  abbia  voluto  preludere  alle  fole  della  gene- 
razione  spontanea,  la  quale  —  diciamolo  beninteso  soltanto  per  la 
storia  —  in  questi  ultimissimi  tempi  si  vanta  di  aver  trovato  un  altro 
patrocinatore  nel  Burke! 

Quale  spiegazione  potremo  noi  dare  di  cosl  strano  fenomeno.? 

II  dirlo  una  fiaba  qualunque  ^  cosa  agevolissima,  ma  ci6  non  basta. 
La  superstizione  cela  sempre  nella  sua  origine  qualche  elemento  di 
verita,  e  se  noi  non  siamo  capaci  talora  di  scoprirlo,  vuol  dire  che 
questo  dipende,  per  lo  piu,  da  mancanza  di  fonti  storiche,  le  quali 
potrebbero  efficacemente  aiutare  le  nostre  ricerche;  e  questo  ^  pre- 
cisamente  il  caso.  Lo  stesso  Plinio,  che  nell'opera  sua  ha  raccolto 
quanto  di  vero  e  di  falso  si  penso  dagli  antichi,  si  contenta  di  riferire 
il  fatto  come  credenza  generale,  e  nulla  piu  i).  E  a  noi  non  resta  a 
dire  se  non  che,  per  analogia,  si  attribuiva  alle  api  la  stessa  origine 


I)  PLIN.,  //isL  XI,  20. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  21 

che  ai  piu  schifosi  insetti,  i  quali  emanano  dai  corpi  in  istato  di  putre- 
fazione.  Secondo  alcuni  11  pregiudizio  deriva  da  fonte  egiziana. 

II  baco  da  seta,  o  filugello,  pare  adombrato  nel  II  delle  Georg., 
V.  121 : 

Velleraque  ut  foliis  depectant  tenuia  Seres. 

of^p  e,  infatti,  il  filugello,  che  si  credeva  tessesse  i  suoi  fill  sulle 
foglie  di  certi  alberi,  dai  quali  poi  i  Seres  li  distaccavano  i).  Ognuno 
sa  come  il  seme  del  prezioso  insetto  sia  stato  introdotto  in  Europa, 
da  due  monaci,  al  tempo  deirimperatore  Giustiniano. 

Delia  lince  tratta  a  lungo  il  Leopardi  2)  in  un  intero  capitolo, 
e  per  ci6  illustreremo  quel  tanto  solo  che  ne  dice  il  poeta: 

Quid  lynces  Bacchi  variae,  et  genus  acre  luporum 
atque  canum?  quid,  quae  imbelles  dant  proelia  cervi? 
scilicet  ante  oranis  furor  est  insignis  equarum 

{Gcorg.    Ill,  vv.  264-266). 

II  fx^TOT  equartim,  di  cui  ha  antecedentemente  parlato,  ^  insignis, 
cioh  va  al  di  sopra  di  quello  delle  linci,  dei  lupi,  ecc. 

La  lince  non  b  dotata  di  memoria,  e,  in  conseguenza,  non  ritorna 
la  seconda  volta  ad  una  preda,  come  attesta  S.  Girolamo  riferendo 
il  pregiudizio  comune  neirEpist.  XLIV.  Che  poi  Vergilio  i^vesse  cono- 
scenza  della  lince  e  delPuso  delle  sue  pellicce  consta  dalPEn.  I, 
V.  325  e  segg. 

Interessantisono  particolarmente  due  luoghi  dtWEneide  (I,  v.  393 
e  segg.,  e  VII,  v. 6996  segg.),  in  cui  vengono  ricordati  i  cigni,  ani- 
mali  da  non  trascurarsi  in  materia  d'arte  augurale. 

Nel  secondo  di  questi  luoghi  ^  descritta  la  marcia  dei  cigni  nel- 
Taria,  a  cui  Vergilio  paragona  i  popoli  da  Messapo  chiamati  all'armi: 

Ibant  aequati  numero  regemque  canebant 
ceu  quondam  nivei  liquida  inter  nubila  cycni, 
cum  sese  e  pastu  referunt  et  longa  canoros 
dant  per  coUa  modos,  sonat  amnis  et  Asia  longe 
pulsa  palus  (vv.  699-703). 

II  primo  invece  si  collega  con  un  omen,  onde  Venere  conforta 


1)  HisL,  VI,  17. 

2)  Op.  c.  c.  XVIII. 


22  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLAR! 

il  figlio  Enea,  il  quale  con  sette  navi,  sole  superstiti  alle   venti,  si 
aggira  incerto  e  desolato  lungo  le  squallide  region!  della  Libia: 

Aspice  bis  senos  laetantis  agminecycnos, 
aetheria  quos  lapsa  plaga  lovis  ales  aperto 
turbabat  caelo;  num  terras  ordine  longo 
aut  capere  aut  captas  iam  despectare  videntur: 
ut  reduces  illi  ludunt  stridentibus  alis 
et  coetu  cinxere  polum  cantusque  dedere 
haut  aliter  puppesque  tuae  pubesque  tuorum 
aut  portum  tenet  aut  pleno  subit  ostia  velo. 
Perge  modo  et,  qua  te  ducit  via,  dirige  gressum  (Aen.  I,  v.  393-401). 

Ma  come  mai  a!  cigno  si  attribuisce  una  voce  soave  e  armoniosa? 
Ci5  dipende  unicamente  da  quella  leggenda  —  accolta  anche  da 
Plutarco  —  la  quale  fa  Orfeo  trasformato  in  cigno,  in  virtu  della 
metempsicosi ;  per  ci5  quest'uccello  diventa  il  favorito  di  Apollo,  dio 
della  musica,  e,  presso  gli  Egiziani,  il  geroglifico  della  musica  stessa. 
Questo  ^  quel  tanto  che  se  ne  pu6  sapere,  n^  giova  curarsi  di  piu. 
Le  colombe  in  Vergilio  non  hanno  alcuna  attinenza  coi  pregiu- 
dizi  volgari;  per6  sono  uccelli  di  felice  augurio,  e,  siccome  sono 
sacre  a  Venere,  di  esse  si  serve  la  dea  per  guidare  a  fortunata  meta 
Terrante  figliuolo.  Veggasi,  ad  esempio,  come,  nella  discesa  di  Enea 
airinferno,  esse  compiano  il  delicatissimo  ufficio,  d'indicargli  Talbero 
che  nasconde  il  ramoscello  d'oro  destinato  a  Proserpina: 
Vix  ea  fatus  erat,  geminae  cum  forte  columbae 

ipsa  sub  ora  vivi  caelo  venere  volantes 

et  viridi  sedere  solo,  turn  maximus  heros 

matemas  adgnoscit  aves  laetusque  precatur: 

«  este  duces  0,  si  qua  via  est,  cursumque  per  auras 

dirigite  in  lucos.  ubi  pinguem  dives  opacat 

ramus  humum.  tuque  0  dubiis  ne  defice  rebus,    * 

diva  parens.  »  sic  effatus  vestigia  pressit 

observans,  quae  signa  ferant,  quo  tendere  pergant. 

pascentes  illae  tantum  prodire  volando, 

quantum  acie  possent  oculi  servare  sequentum, 

inde  ubi  venere  ad  fauces  grave  olentis  Averni, 

tollunt  se  celeres  liquidumque  per  aera  lapsae 

sedibus  optatis  gemina  super  arbore  sidunt, 

discolor  unde  auri  per  ramos  aura  refulsit     (A^'n.,  VI,  vv.  190-204). 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  2} 

Restano  la  nodiia  e  il  bnbo.  La  prima  e  piu  interessante  del 
secondo,  perche  nel  I  Georg.,  v.  402-403  ci  e  pfesentata  come  nunzia 
della  tempesta  e  del  sereno,  secondo  che  nota  Plinio  i) :  «  sic  noctua 
in  imbre  garrula  praesagit  serenitatem,  at  vSereno  tempc^st;item  », 
col  che  si  accorda  ci6  che  il  poeta  poco  dopo  soggiunge  Jt-iruso 
degli  uccelli  marini  di  perseguitarsi  nell'aria  al  riapparire  del  sereno. 
11  bubo,  menzionato  nell'En.  IV,  v.  462,  e  Xll,  v.  860  e  se<zg.  t  suffi* 
cientemente  illustrato  dallo  stesso  Plinio  2)  ;  «  Bubo  tLinebris,  et 
maxime  abominatus,  publicis  praecipue  auspiciis,  deserta  incolit; 
nee  tantum  desolata,  sed  dira  etiam  et  inaccessa;  noctis  monstrum; 
nee  cantu  aliquo  vocalis,  sed  gemitu  ». 

{Contimia)  Marco  Belli, 


1)  HisL,  XVIII,  87 

2)  X,  12,  16. 


Pf^ 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLAHI   Dl  PAVIA 
E  DEI  SUOl  DIN TORNl 


Faccio  seguito  am  questa  raccolta  di  le^gende  ad  altri  piccoii 
cantributi  di  demopsicoloj:ria  pavese,  che  son  venuto  pubblicando  dal 
1899  in  piii  '),  E  come  ho  ^ia  avvt^rtito  altre  volte,  anch'essa  e  in 
grnn  parte  frutto  delle  ricerclie  di  studenti  Uceali,  che  10  ritenj^o, 
quando  Mancj  bene  ini^iati  a  questo  ^^enere  di  studi  dalKinse^nante 
di  Itfttere  italiane,  element!  ottimi  per  race ogli ere  il  nostro  abbondant*^ 
materia le  foiklorico  ancora  inedito  *), 

Sono  leggende  c61te  sopratutto  sulla  bocca  del  popolo  di  citt^: 
solo  poclie  riguardano  altre  local  ita  della  provincia  di  Pa  via,  N^  sono 
qiieste  le  sole  che  pub  fomire  ancora,  dopo  tante  perdite,  una  pro- 
vincia cost  vasta  e  cosl  ricca  di  tradizioni  romane  e  mt?dioevali.  Ma 
chi  pubblica  questo  piccolo  sa^io  non  si  proptme  altro  che  di  in- 
vo^Iiarc  i  Pavesi  premurusi  del  loro  Folklore  a  scavar  meglio  il 
terreno  e  a  completart?  la  raccolta* 


1)  Veds  Lt'  tampant'  thl  tomutit  di  Pupm  t  OtstHmaaz^e  pai'fxi  {in  m.  Archfvio 
per  le  trad,  pop*  ItaL  »  VoL  XVIII  e  X1X)»  e  Cftthnzt;  c  ^hprt^lizionit  raccnlU 
fwl  ifrritofif}  fiazYSt  (in  <  Niccolo  Tommaseu  »  del  moKgio  190s) 

2)  Sono -lieto  di  trovarmi*  in  questo  pjenamente  d'accordo  col  prof.  Giro  Tra- 
balza.  che  due  anni  fa  detta%'a  alcujie  sensatissinie  pagine  suirutilita  di  guesto 
esercizio  scolastico,  per  cm  <  W/olkiare  avr^  trovato  i  suoi  ved  cultoii,,.  e  avra 
un  aumento  sjcuro  e  considerevole,  piii  di  quel  clia  non  possan  dare  i  djlettanti 
delle  cittd,  die  Ja  un'escursl^Jne  fugace  in  tin  castello  hanno  subito  da  schicclie- 
rare  un  artkoletto  per  il  giurnale,  Diu  sa  zoix  quanta  esatteija  e  con  Quali  ilia- 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARI  Dl  PAVIA  E  DEI  SUOl  DINTORNI       25 


I.  S.  Siro. 

Molti  furono  i  prodigi  attribuiti  a  S.  Siro,  che  fu  il  primo  ve- 
scovo  di  Pavia  ed  b  stato  sempre  considerate  come  grande  protettore 
della  citta.  Ma  quelli  tuttora  vivl  nella  mente  del  popolo  pavese  si 
riducono  a  ben  pochi :  eccone  alcuni,  colti  recentemente  ^lla  sua 
bocca. 

Si  dice  che  il  santo  fosse  nativo  del  Veneto  e  di  la  venisse  con 
S.  Invenzio  a  Pavia  per  convertire  i  cittadini  dal  paganesimo  alia 
religione  di  Cristo.  In  quel  viaggio,  mentre  passava  per  Verona  vide 
venirgli  incontro  una  donna  pagana  tutta  addolorata  e  inginocchiar- 
glisi  davanti  promettendo  che  sarebbe  divenuta  cristiana  se  le  avesse 
ridonato  il  figlio  che  aveva  allora  allora  pc?rduto.  S.  Siro  si  rec6  subito 
con  lei  al  letto  dove  giaceva  ancora  cadavere  il  giovane  e  lo  fece 
rivivere  con  grande  gioia  della  madre  che  abbandon6  tosto  il  paga- 
nesimo  per  passare  al  cristianesimo. 

Arrivato  a  Pavia,  il  santo,  con  una  sola  predica  convertl  tutto 
il  popolo  alia  nuova  religione :  tanta  era  la  forza  della  sua  parola  e  la 
suggestione  che  esercitava  sulla  moltitudine  un  uomo  che  si  credeva 
(e  si  crede  ancora)  fosse  quel  Galileo  che,  secondo  la  Sacra  Scrittura, 
present6  a  Gesu  Cristo  i  cinque  pani  e  i  due  pesci  p>er  la  molti- 
plicazione  di  essi. 

S.  Siro  era  molto  povero  e,  morendo,  non  Iasci6  in  eredita  al 
popolo  pavese  altro  che  sciagure,  e  predisse  che  i  Pavesi  non  avreb- 
bero  mai  fatto  nulla  di  bello.  In  relazione  a  queste  due  leggende,  a 
Pavia,  quando  la  citta  e  colpita  da  una  disgrazia  pubblica,  si  suole 
esclamare:  ij  il  testamento  di  S,  Siro:  e  quando  Tesito  d'un'im- 
presa  non  risponde  air  aspettazione  generate,   si   dice  in  dialetto:  A 


strazioni  »  (cfr.  C.  T.,  L' insfj^namen/o  dcirHaiiano  nelle  scuole  secondarie. 
Milano,  U.  Hoepli,  1903;  cap.  IX,  par.  11).  E  del  resto  e  noto  che  anche  il  Car- 
ducci  consigliava  ed  esortava  i  giovani  studenti  a  darsi  alia  ricerca  delle  nostre 
tradizioni  popolari,  e  se  ne  riprometteva  la  ricomposizione  della  demopsicologia 
deiritalia.  (Cfr.  Confcssioni  e  Battaglie.  Bologna,  Zanichelli,  1890,  pag.  196). 

Arahifno  per  le  trcKiizioni  popolari.  —  Vol.  XXUl.  4 


26  ARCHIVIO   PER    LE  TRADIZIOM   POPOLARI 

Pavia  de  rob  hei,  a«  na  fara  mat  mici,  che  sarebbe  I'antica  frase 
del  santo. 

Cosl  in  S.  Siro  pessimismo  e  scetticismo  si  danno  volentieri  la 
mano.  Ma  h  un  fatto  non  comune  il  voler  attribuire  le  disgrazie  e 
gl'insuccessi  pubblici  a  colui  che  si  crede  eserciti  una  grande  prote- 
zione  sulla  citta  i>. 


2.  Severiao  Boezio. 

fe  nota  la  sorte  toccata  al  famoso  filosofo  e  st^natore  romano  negli 
ultimi  anni  del  regno  di  Teodorico  a  Pavia.  Di  quella  immeritata 
sventura  che  fece  di  Boezio  un  santo  2»,  non  h  del  tutto  scomparso  il 
ricordo  nelle  tradizioni  del  popolo  pavese. 

C'&  chi  crede  e  dice  che  egli  fosse  imprigionato  a  Pavia  e  dope 
una  cruda  prigionia  fosse  ucciso  con  la  tlagellazione :  altri  sostiene 
invece  che  gli  fu  tagliata  la  testa. 

E  riguardo  al  luogo,  una  leggenda  lo  fa  morire  presso  la  chiesa 
dei  SS.  Gervasio  e  Protasio  3) ;  un'altra  in  una  torre  che  sorgeva 
presso  Tantica  chiesa  di  S.  Annunciata  4)  e  che  rovin5  piu  tardi;  una 
terza  poi  nella  torre  che  esiste  ancora  al  n.  17  del  Corso  Cavour  5>. 


1)  Poco  diversamente  opera  il  popolino  di  Napoli  quando  attribuisce  al  protet- 
tore  S.  Gennaro  i  mali  che  eventualmente  affliggono  quella  citt^ ;  ma  in  questo  e 
in  altri  casi  consirnili  i  mali  sono  conseguenza  dello  sdegno  del  santo  per  onori 
non  ricevuti  dai  fedeli. 

2)  Neirantica  basilica  di  5.  Pietro  in  del  d'oro,  da  pochi  anni  riaperta  al 
culto,  si  conserva  una  elegantissima  cripta  a  cinque  navi  dedicata  a  S.  Severino 
Boezio 

3)  Questa  chiesa  esiste  ancora  e  si  trova  appunto  in  una  via  che  prende  nome 
da  Severino  Boezio 

4)  E  un'altra  antica  chiesa  posta  nelle  \icinanze  della  Piazza  Petrarca. 

5)  Questa  h.  una  delle  poche  torri  superstiti  di  Pavia,  che  un  tempo,  dices!, 
ne  contava  cento. 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARI  Dl  PAVIA  E  DEI  SUOl  DINTORNI        27 

3.  II  muto  dall'accia  al  collo. 

Neirangolo  rientrante  formato  da  due  case  lungo  il  lato  destro 
del  Corso  Cavour  ferma  Tattenzione  del  visitatore  una  statua  yo- 
mana  di  marmo  molto  corrosa  dal  tempo.  Quella  figura  d'uomo  ha 
un  lembo  della  toga  ripiegato  suJ  petto  e  awolto  intorno  al  hraccio 
destro,  e  quindi  si  k  trattl  a  ravvisarvi  un  qualche  illustre  perso- 
naggio  di  Roma  antica.  Ma  il  volgo  pavese  ha  sempre  ritenutu  die 
quel  lembo,  per  le  sue  molte  ripiegature,  sia  un'accia  0  matassa  di  fdo 
scendente  dal  collo  e  che  la  statua  rappresenti  nient'altro  che  una 
spia  nemica  arrestata  e  condannata  per  non  aver  voluto  traJire  il 
suo  popolo.  Ecco  quanto  si  racconta  in  proposito. 

Pavia  era  un  tempo  assediata  da  un  poderoso  esercito.  Ad  onta 
che  il  nemico  avesse  impedito  ai  cittadini  di  ricevere  provvigi«mi  dal 
di  fuori,  e  tentato  piu  volte'  di  scalare  le  mura  della  citta,  i  Pavesi 
resistettero  coraggiosamente  compiendo  anche  notevoli  atti  di  valare. 
Allora  gli  assedianti  ricorsero  al  tradimento  e  inviarono  nella  citta  un 
finto  accattone  lacero  nel  vestito  e  con  un  braccio  al  collo,  il  quale, 
mentre  chiedeva  Telemosina,  doveva  spiare  le  intenzioni  dei  Pavesi 
per  poi  riferirle  ai  suoi  supiriori.  Costui  riuscl  non  senza  j^rande 
fatica  a  penetrare  entro  le  mura,  e  gia  aveva  cominciato  la  sua  opera 
disonorevole  quando  venne  sospettato  per  quella  spia  nemica  che 
era,  e  arrestato.  Si  cerc5  quindi  in  tutti  i  modi  di  farlo  parlare  e  di 
sapere  chi  fosse,  ma  n^  promesse,  n^  tormenti  valsero  a  trarre  da  I  la 
sua  bocca  una  sola  parola:  egli  tutto  soffri  stoicamente,  anche  la 
morte,  pur  di  non  dire  una  verita  che  avrebbe  tradito  la  sua  mis- 
sione  e  compromesso  gravemente  le  sorti  di  chi  T  aveva  mandato, 
II  generoso  silenzio  gli  valse  Tammirazione  degli  stessi  Pavesi,  che 
gli  dedicarono  il  noto  monumento. 

Questa  leggend.i  resiste  ancora  a  tutte  le  congetture  piu  t^ruJite 
che  si  sono  fatte  sul  significato  del  simulacro  e  secondo  le  quali  ts^> 
rappresenterebbe  o  Tito  Didio  Prisco  o  Anicio  Severino  Boezio  D. 


i)  Cfr.  in  proposito  la  Guida  Illusirala  di  Pavia,  ecc,  del  Dott.  CARLO  DEL- 
L'ACQUA  (Pavia,  Marelli,  1900),  pagg.  32-34. 


28  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POROLARI 

4.  II  ponte  coperto  sul  Ticino. 

Tutti  colore  che  sono  stati  a  Pavia,  conoscono  questo  ponte  che 
si  trov^a  nella  parte  bassa  della  citt^  e  che  congiunge  ad  essa  il  cosi- 
detta  Borgo-Ticino.  Formato  da  sei  piloni  e  sette  arcate  disuguali, 
lungo  216  metri  e  fiincheggiato  da  piu  di  100  pilastri  di  granitd  che 
ne  sostengono  il  tetto,  sorse  secondo  gli  storici  fra  il  1351  e  il  1354 
sulle  rovintf  d'un  altro  ponte  piu  antico. 

Come  aw^enisse  questa  distruzione  deH'opera  originaria  non  si  sa, 
ma  la  leggenda  narra  che  il  prima  ponte  fu  costrutto  dai  Pavesi  nel 
breve  spazio  d'una  notte  con  Taiuto  del  diavolo,  il  quale,  natural- 
men  te,  si  era  fatto  promettere  come  ricompensa  che  I'anima  di  chi 
prime  passusse  sul  ponte  fosse  sua. 

Ma  ad  opera  compiuta,  nessuno  voleva  esporsi  a  diventar  preda 
del  diavolo,  ed  un  cittadino  vedendo  cio  e  non  volendo  che  si  ve- 
nisse  muao  :^1  patto  stabilito,  lanci6  sul  ponte  un  pezzo  di  pane  e 
dietro  vi  spinse  a  corsa  un  cane:  cos)  il  diavolo  poteva  essere  ugual- 
mente  saddisfatto. 

II  cant-v  mjntre  correva,  sprofond5  attraverso  il  ponte  nelle  acque 
del  fiume,  db  che  sarebbe  ricordato  da  una  chiesuola  eretta  di  poi 
sul  Juogo,  e  il  diavolo  per  lo  scorno  ricevuto  giur6  di  distruggere  il 
ponte  nello  stesso  spazio  di  tempo  che  era  bastato  per  eostruirlo. 


5.  La  fantesca  del  cav.  Bottigella. 

fe  famosa  a  Pavia  il  palazzo  Bottigella  gia  Carminali  per  le  sue 
decora^i'ini  in  terr.icotta,  p^r  rarm;)nia  del  disegno  e  la  semplicita 
delle  linee»  che  ne  fanno  una  delle  piu  splendide  costruzioni  del 
secolo  XV.  Una  curiosa  leggenda  esiste  intorno  ad  un  cavalier  Bot- 
tigelln,  gia  proprietiirio  di  questo  palazzo.  Egli  era  noto  a  tutti  per  la  sua 
sordida  avarj^ia,  sicche  sempre  si  bisticciava  con  la  sua  domestica, 
una  certa  Isabella,   che  al   contrario  era  molto  generosa  coi  poveri.. 

Un  giorno,  rincasando,  il  cavaliere  trpv6  sulle  scale  Isabella  col 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOURl  Dl  PAVIA  E  DEI  SUOl  DINTORNI        20 

grembiuk'  piern)  e  voUe  sapere  che  cosa  vi  portas^^  dt-ntro,  Htiin 
tozzi  di  pane,  ma  clh  Kbhe  a  nspniidere  che  p^rtavii  njst*.  [|  p;idrunc 
non  si  accontent^  e  la  cost  rinse  ad  abbassare  i  lemhi  dt"l  ^^rembiule; 
allora  con  grande  sorpresa  di  entrambi  si  prL'sentar«mo  ai  lun*  *kc]\i 
delle  rose  autentiche.  Isabt^lla  .ne  prest*  una  e  la  piistf  sill  crippt*lk> 
del  cavaliere;  ma  essendo  questi  tntruto  pocti  dopfi  in  tin  c:\ffi\ 
susdiii  le  risa  de^^li  amici  che  vedevann  sul  suo  cuppt^lJo  nit-nt'altro 
che  un  louo  di  pane.  Per  questo  miracolu  il  populo  dis.se  che  Lsalvlla 
divenne  una  Santa  ^K 


6.  La  casa  di  Fasoljn. 

Quando  si  vuole  spaventare  e  render  docile  qualche  bam- 
bino di  sobbed  iente,  an  che  o^i  i  popolani  pavesi  so^^liono  ri|x.'tere 
una  frase  che  significa:  Bada  che  ti  condiico  da  Fasf)linf>. 

Chi  era  cestui?  La  le^genda  dice  che  in  un  temp<j  molto  lun- 
tano  viveva  a  Pa  via  un  uomo  dalle  ahitudini  strane :  t-^li  di  ^iorno 
non  si  vedeva  maij  e  durante  la  notte  usciva,  girava  dappertiitta 
fino  a  tarda  ora,  parlava  da  solo  a  voce  alta  e  gestic*4ava  misU'iio- 
samente.  II  Padre  Giiardiano  del  Convvnlt^  del  Cappuccini  c  il 
Vescovo  tentarono  piu  volte  di  avvicinarlu  e,  sct^pertuche  era  un  ateo, 
Cercarono  con  belle  maniere  dl  convert!  rto,  ma  inutilmt-nte.  Venuto 
a  morte,  non  ebbe  ne  Tonore  d'una  cissa  ne  quellu  d'un  sc^polcro  di- 
stinto:  il  suo  cadavere  tu  preso  e  gittato  ncH'antro  dt.*l  terzo  voltune 
della  Darsena  sul  Ticino,  Ma  la  sua  anima  divenne  un<f  spettroche 
tutte  le  nottl  sorj^t^va  da  qufl  Kuj^o  e  si  a^^j^irjva  paiir(»samente  nei 
dintorni:  altissimo  c  proteiforme,  chi  lo  vedt^va  appressarsi  alle  case 
vicine  e  molestarne  git  abitanti  dalle  fmestre,  chi  accostarsi  a  I  cnn* 
vento  dei  Cappuccini  e  mettersi  a  suonarc  la  campana,  e  chi  iinal- 
mente  distendersi  sul  Ticino  in  aria  minacciusa*  Ci  stino  pot  ancora 
del  vecchi  che  affermano  d'aver  Lidito  di    notte    presso   la   Darsena 


rJ  L^  s(;ena  sj  trova  rappresentata  in  un  ^uadro  Jel  jelehre  pitture  Borf^ognone 
Che  SI  conserve  nella  scuola  di  pittura  presso  il  Collegio  Ghislieri, 


30  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

uno  strider  di  catene  e  un  gemere  di  persona  che  soffra  grandi  tor- 
menti :  secondo  essi  6  ancora  Tanima  del  leggendario  Fasolin  gra- 
vemente  tormentato  pel  suo  ostinato  ateismo. 

7.  L'angelo  del  Corso. 

Sulla  facciata  d'una  casa  posta  airincontro  di  via  Bernardino 
Gatti  col  corso  Vittorio  Emanuele,  si  vede  ancora  una  statuetta  rap- 
presentante  un  angelo.  Ad  essa  fe  legata  la  seguente  leggenda. 

Durante  una  fierissima  pestilenza,  si  erano  ordinate  in  citta  al- 
cune  processioni.  Ad  una  di  queste  partecip6  anche  il  vescovo  del 
tempo,  il  quale  giunto  precisamente  in  quel  luogo,  si  ferm5  a  bene- 
dire  il  popolo  pavese  e  a  pregare  in  ginocchio  con  grande  fervore 
Iddio  affinch^  liberasse  la  citta  dal  terribile  morbo.  In  quel  mentre 
scese  dal  cielo  un  angelo  (secondo  altri  una  colomba)  i)  e  gir6  tre 
volte  intorno  al  capo  del  vescovo.  II  popolo  si  mise  subito  a  gridare  : 
miracolo,  miracolo!!  e  l'angelo  se  ne  vol6  via;  ma  da  quel  momento 
la  peste  non  fece  altre  vittime  e  non  tocc5  neanche  i  quartieri  pres5K> 
il  Ticino.  Contemporaneamente,  essendo  la  citta  assediata,  mort 
improwisamente  il  re  nemico  e  Tassedio  fu  tolto. 


8.  La  palla  miracolosa. 

Essendo  stata  presa  Pavia  dopo  un  lungo  assedio,  i  principali 
difensori  furono  fatti  prigionieri,  e  condannati  ad  essere  fucilati  da- 
vanti  alia  chiesa  di  S.  Gervaso.  Ma  dato  il  loro  grande  numero,  si 
pens5  di  sterminarli  con  una  cinnonata.  Ora  avvenne  che  una  palla 
del  cannone  for5  la  pv)rta  di  quella  chiesa  e  and5  a   incastrarsi    nel 


i)  Ma  forse  questa  variante  b  conseguenza  d'una  confusione  avvenuta  nella 
mente  del  popolo  tra  questa  leggenda  e  un'altra,  ora  tramontata,  secondo  la  quale 
una  colomba  apparsa  dove  s  )rse  la  chiesa  di  S.  Tommaso  avrebbe  indicato  I'oppor- 
tunita  di  quel  luogo  per  la  costruzione  della  citta.  (Cfr.  Ar.'ONlMO  TICINESE,  />r- 
laudibus  Papiae  commentarius,  gia  pubbl.  dal  Muratori  in  <  Rerum  italicarum 
Scriptores  »,  cap.  XX). 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARl  Dl  PAVIA  E  DEI  SUOI  DlNTORNI       31 

petto  d*una  statua  della  Madonna  in  modo  che  non  si  pot^  piu 
estrarnela.  Per  qualche  anno  i  fedeli  cristiani,  toccando  tre  volte  quella 
palla  e  recitando  alcune  preghiere,  ricevettero  dalla  Madonna  grazie 
e  miracolu 


9.  Le  dita  del  papa. 

Nella  piazza  del  Collegio-Ghislieri,  davanti  al  grandioso  edificio 
destinato  da  Pio  V  a  beneficio  dei  giovani  lombardi  che  non  potes- 
sero  per  mancanza  di  mezzi  frequentare  TUniversita,  si  osserva  una 
statua  in  bronzo  rappresentante  ii  munifico  fondatore  in  atto  di  bene- 
dire  con  la  destra  la  citta  di  Pavia.  Ora  a  quelle  tre  dita  spiegate 
airaria  ^  legata  una  umoristica  leggenda,  creazione  dell'allegra  fantasia 
degli  studenti :  esse  stanno  ad  indicare  che  i  piatti  da  dare  in  ciascun 
pasto  ai  giovani  convittori  non  devono  essere  meno  di  tre.  E  quando 
il  vitto  del  Collegio  lasciava  alquanto  a  desiderare  per  una  arbitraria 
riduzione  di  piatti,  essi  solevano  ricordare  ai  superiori  le  tre  dita  di  Pio  V. 

10.  II  guadagno  dl  Poudd. 

Poudd  era  un  vecchio  zoppo,  guercio  e  gobbo  che  vendeva  fet- 
tuccie,  cdtone,  carta  da  lettere  ed  altre  cianfrusaglie.  Egli  stava  sempre 
sulla  porta  della  chiesa  di  S.  Tommaso  e  alPoccorrenza  faceva  anche 
da  guida  ai  forestieri  che  andavano  a  visitarne  le  antichita  ') :  si  dice 
che  questo  gli  fruttasse  un  fiorino  d'oro  per  volta,  secondo  una  ta- 
riffa  da  lui  stesso  stabilita.  Ma  un  giorno,  dopo  avere  accompagnato 
alcuni  Inglesi  nella  visita  della  chiesa,  sul  punto  di  ricevere  da  essi 
il  solito  compenso,  fu  urtato  ad  arte  da  un  giovane  che  passava  in 
fretta  per  la  porta  e  lasci6  cadere  il  fiorino  in  terra.  Era  gia  quasi 
notte,  ed  egli  che  non  ci  vedeva  troppo  bene,  lo  cerc6  invano  sulla 
soglia  e  pens6  d'andare  a  provvedersi  di  una  candela  di  sego  da  un 


I)  Quest'antichissima  chiesa,  la  cui  erezione  si  coUega  aH'origine  della  citta  e 
che  ha  dato  11  suo  norae  ad  una  via  secondaria,  6  ora  profanata. 


^1  J  11  .JVP 


32  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

soldo  per  farsi  luma  intorno  e  per  trovar  la  moneta  a  cui  non  voleva 
e  non  poteva  rinunziare.  Ma  cerca  cerca,  il  fiorino  non  si  vedeva :  la 
candela  si  era  gia  consumata  tutta,  quando  Poudd  ebbe  Tingrata 
sorpresa  di  trovare  una  moneta  moito  lucente  del  valore  di  mezzo 
soldo. 

Da  allora  nacque  a  Pavia  la  frase:  L'd  fat  ael  guadagn  aed 
Poudby  che  si  ripete  a  tutti  coloro  che  fanno  delle  spese  superior! 
al  profitto. 

11.  II  posto  di  Ugo  Foscolo. 

La  storia  dice  die  il  Foscolo  insegn5  per  breve  tempo  neirUni- 
versita  di  Pavia,  ma  non  dice  come  vivesse  in  questa  citta.  Solo 
fino  a  pochi  anni  fa  viveva  ancora  un  vecchio  che  ricordava  d'averlo 
visto  piu  volte  mangiare  nelPantica  trattoria  dei  Tre  Re.  Ed  a  chiunque 
si  reca  ora  a  ristorarsi  in  quella  trattoria,  padroni  e  camerieri  sogliono 
indicare  per  tradizione  un  angolo  d'una  sala  interna  a  pianterreno 
come  il  posto  che  abitualmente  occupava  il  grande  poeta. 

12.  La  Madonna  di  Loreto. 

Nei  recenti  restauri  fatti  al  duomo  di  Pavia,  si  dovette  togliere 
una  statuetta  della  Madonna  di  Loreto  dalla  sua  nicchia  e  porla 
provvisoriamente  in  un  oscuro  angolo  della  chiesa.  Ma  durante  la 
notte,  cosl  dice  il  popolc,  la  statua  di  colei,  che,  secondo  la  tradi- 
zione sacra,  aveva  varcato  il  mare,  ritorn5  al  suo  posto,  dove  la 
mattina  dopo  fu  di  nuovo  trovata. 

13.  Idrofobia  procurata. 

Una  di  quelle  macabre  leggende  che  riposano  su  vecchie  stre- 
gonerie,  h  la  seguente,  che  ho  sentita  narrare  da  un  popolano  pavese/ 

Una  donna  che  voleva  vendicarsi  di  un  giovane  reo  di  non  so 
quale  colpa,  prese  tre  gattini  appena  nati,  li  ridusse  in  cenere,  e  di 
questa  pose  un  pizzico  nella  minestra  che  poi  diede  al  giovane  ren- 
dendolo  idrofobo  allMstante. 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARI  DI  PAVIA  E  DEI  SUOI  DlNTORNl       55 

14.  II  pastore  dl  Qravelloae. 

Un  pastore  proveniente  dal  Tirolo  s'era  fermato  col  suo  gre^ge 
a  Gravellone  i).  Durante  la  notte  egli  voile  andare  a  rivedere,  noii  sti 
per  quale  motivo,  la  famiglia  nel  suo  paese  e  lasci6  sul  posto,  come 
si  dice,  arml  e  bagagli.  La  mattina  dopo,  con  meravigliosa  svelteisza, 
egli  era  gik  per  tempo  ritornato  alle  sue  pecore. 

i^.  Le  campaae  di  S.  Laafranco. 

La  chlesa  del  borgo  di  S.  Lanfranco  fuori  porta  Cavour  ^  una 
costruzione  che  risale  a  poco  dopo  il  mille.  Orbene  le  sue  campane, 
una  volta,  dovevano  essere  tutte  rotte  e  quando  venivano  suonate 
davano  un  concerto  cosl  stridente,  che  non  si  potevano  sentire.  Per 
questo  quando  oggi  due  o  piu  Pavesi  dopo  un  lungo  discorsu  non 
riescono  ad  intendersi,  si  suol  dire:  Vanno  d'accordo  come  le  cam- 
pane  di  S.  Lanfranco. 

16.  Villa  Eleonora. 

Questa  villa  si  trova  a  poca  distanza  da  Pavia.  Su  di  essa  circoh 
una  triste  leggenda  d'amore. 

Un  tempx)  Tabitava  una  signora  vedova  con  una  figliuola  da 
marito.  Questa,  innamoratasi  d'un  suo  servitore,  fuggi  con  lui  dalia 
villa;  ma  la  signora  li  fece  inseguire,  e  riavutili  in  sue  mani,  li  fece 
chiudere  in  un  sotterraneo,  dove  i  due  infelici  morirono  di  fame  di 
n  a  poco. 

Ora  quel  sotterraneo  serve  da  cantina  e  non  vi  si  pu6  scendere 
con  nessuna  specie  di  candele  accese,  perchfe  la  temperatura  di  la^giu 


1)  Non  bisogna  confondere  il  Gravellone  di  cui  parla  questa  leggenda  col  Gra- 
vellona  vicino  a  Mortara.  Questo  e  un  borgo  di  Pavia  e  precisamente  la  contiijua- 
zione  del  borgo  Ticino,  che  prende  nome  da  un  canale  omonimo. 

Archivio  per  U  tradiaioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  4  • 


r/;n  frjir.'.cr.e  la  rijn:.T.j.  I  cir.uzr.:  i.j  r...  crc  >  r.«.  '*:  ar.ime  dei 

v-:^.*  **>  ar.c-:a  ruis:- r.icr>;  3^/.  5-z-3'i-  un--ir-:. 

E  4  ,ir.J.  !rr  :  -^'..c  ^i  ij^  alrcrl  cr.r  r  r.trc^  j"  La  \^i.a,  sci^sse 
■ii»*ar^  r.'  tt^T.a,  "^t  rn:'s:'  r.  ■,  >;  Jiccr  chc  s  ^.  5<rmrrc  M.u^ile  Jue 
ar*;:r^  sr^^.T.-  rate  cr.tr   >i  a^^^aJ^::>:•n^►  icr.rrarr.rr.tc   c  >;  sussurrariM 

17.  Rqieotita. 

fe  a/-«rsto  :I  n'»me  d'un  cascinalc  a  r.o:J-ovc5t  Ji  Pa\ia  presso 
it  Sav'j/.^.  ScC'»r.do  una  Itr^zcnda,  tu  qui  chc  s  no  un  selso  Fran- 
Cr^f>  I  s:  dichiaro  \into  J-pD  la  tamosa  batu^!:a  del  1525  e  pro- 
r,unz;*V  Sa  st^^rica  tra-se:  <  Tutto  e  fvdut'^  toTche  i'onure  »  «•.  Anzi 
b  Icj^gtrn ia  aggiup.^e  che  il  ir-me  Bepeutita  <JiaI.  Jer/Mi^tilta)  ^ 
jrnitkhi  *  Pcntita  Jcl  re  »  e  che  stia  appunto  a  ricordare  il  penti- 
menUi  Ji  Franccrsc'j  I  per  a\trr  accettai*^  il  combattimento  in  quella 
peric '1^*50  p^^iziop.e. 

18.  Travacd  Siccomario. 

Ecoi  un  nome  molto  strano,  almeno  nella  prima  parte,  che  ha 
un  panrv^  lo  a  sud  di  Pavia  e  che  fa  nascere  in  tutti  quelli  che  lo 
M*(Ahr:**  "  lo  vcdono  la  prima  volta,  il  dcsideriodi  sapeme  I'origine. 
Intantf^  Z^'jva  ricordare  che  nei  dialetti  Inmbardi  c'e  il  vertx)  stravaccd' 
ftcl  ?^ny/  di  <^  rovesciarsi  >►  0  «  cader  ri\erso  »  e  che  da  stravaccd 


tf  Ld  storia  invece  narra  che  il  re  Ji  Francia  scrivesse  in  francese  questa  frase 
In  UTU  letura  alia  maJre  Luigia  di  Savoia  dalla  fortezza  di  Pizzighettone,  dove  fu 
rinchiuv*  d-i  Carlo  V.  La  lettera  scritta  da  Francesco  I  a  sua  madre  suona  cosi: 
•  Madame  1  Pour  vous  advertir  comment  se  porte  le  ressort  de  mon  infortune  de 
ti#ttt«V  chOsiJS  nr  m'est  dcnutiirt  que  Vhonncur  et  la  vU  qui  est  sauh'e*  (CHAM- 
KjLUONh  ('aptivite  de  Franrois  I,  documents  pp.  129-301.  Da  queste  parole  tut- 
t*aitr*i  ihc  oscure  e  nato  Terrore  letterario  de^li  storici. 

(LA  DIREZIONE). 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARl  Dl  PA  VIA  E  DEI  SUOl  DlNTORNl        35 

per  aferesi  consonantica  pu6  esser  derivato  prima  travaccd  e'poi 
travacd,  Ora  appunto  una  memorabile  caduta  pare  abbia  fatto  cam- 
biare  il  nome  a  quel  paesello,  che  prima.si  chiamava  S.  Maria  delta 
Strada^  ed  ecco  come  gli  abitanti  del  luogo  coloriscono  con  la  loro 
fantasia  codesta  spiegazione. 

Parecchi  secoli  addietro  and6  ad  abitare  in  quel  paese  un  si- 
gnore  molto  ricco  ed  amantissimo  della  solitudine,  il  quale  stabill  di 
restarvi  fino  alPultimo  giorno  di  sua  vita.  E  gia  vi  si  trovava  da 
qualche  tempo  quando  un  giorno  cavalcando  un  superbo  cavallo 
lungo  la  strada  principale,  si  lasci6  prender  la  mano  dalla  bestia 
adombrata  che  si  diede  a  una  corsa  precipitosa.  Egli  fece  il  possi- 
bile  per  frenare  il  cavallo,  ma  fu  tutto  inutile  e  finalmente  caddero 
a  terra  Tun  sopra  Taltro  stremati  di  forza.  Accorse  naturalmente 
tutta  la  gente  del  luogo,  e  mentre  credeva  di  trovar  morto  il  signore 
vide  con  grande  meraviglia  che  questi  fu  sollevato  per  aria  da  una 
forza  misteriosa  e  poi  deposto  a  terra  sano  e  salvo.  Si  grid6  subito 
al  miracolo  ed  il  ricco  signore  ringrazi5  piu  volte  Iddio  dello  scam- 
pato  pericolo.  Piu  tardi  egli  voile  che  in  quel  luogo  sorgesse  a  sue 
spese  un  tempio  votivo  e  benefic6  largamente  i  paesani  piu  ix)veri; 
ma  afifinch^  i  poster!  ricordassero  il  prodigioso  avvenimento,  voile 
altresl  che  al  nome  locale  di  S.  Maria  alia  Strada  fosse  sosti- 
tuito  quello  di  Stravaccd, 

19.  II  contadino  di  Travacd. 

Nello  stesso  comunello  si  narra  che  in  un  giorno  di  festa,  mentre 
un  tale  assisteva  alio  svolgersi  d'una  lunga  processione,  gli  si  pre- 
S:?nt5  un  vecchio  molto  barbuto  e  gli  domand6  cosa  facesse.  Avendo 
quegli  risposto:  Guardo  la  processione,  il  vecchio  replic6:  Se  mi  dai 
una  pinta  di  vin  bianco,  ti  prometto  di  farti  veder  nudi  tutti  questi 
devoti. 

11  Travachese  aderl  e  andato  con  lui  dietro  la  chiesa  pot^  ve- 
dere,  non  so  in  qual  modo,  lo  strano  spettacolo  promessogli.  Ma 
dopo,  il   povero   contadino  fu  preso  da   grand!   scrupoli;  voile  con- 


36  Ar^CHlVIO  PER  Le  TRADIZIONI  K)f>OLARI 

fessarsi,  e  dovette  accettare  la  dura  penitenza  di  recarsi  a  dormire 
per  tre  mesi  consecutivi  in  un  trivio  uscendo  di  casa  ogni  sera  alio 
scoccar  dell'ilre  Maria  senza  parlar  con  anima  viva  e  tracciandosi 
intorno  sul  posto  un  circolo  con  acqua  santa.  La  prima  sera  ddla 
penitenza,  mentre  egli  si  metteva  in  cammino,  incontr5  un  caprone 
che  a  tutti  i  costi  se  lo  prese  a  cavallo  e  lo  port6  al  luogo  stabi- 
lito;  ma  giuntovi,  trov6  molte  streghe  e  diavoli  che  cominciarono 
a  fargli  intorno  ogni  sorta  di  ridde  infernali  e  un  terribile  schiamazzo, 
finch^  minacciandolo  e  tormentandolo  in  van  modi  lo  obbligarono  a 
parlare.  II  poveretto  dopo  poche  ore  di  quell'orrendo  supplizio,  tronc5 
la  penitenza  con  la  morte. 

20.  II  portento  di  Cava  Manara. 

Viveva  un  tempo  nei  dintorni  di  questo  pslesello  un  uomo  che 
custodiva  gelosamente  un  libro  magico  e  con  Taiuto  di  esso  compiva 
i  piu  strani  prodigi. 

Fra  le  altre  cose  si  narra  che  egli  per  mezzo  di  quel  libro  poteva 
mandare  ogni  sorta  di  malatfie  a  qualunque  persona  odiata,  e  nello 
tempo  guarire  ogni  malato  che  fosse  caro  a  lui  o  ai  suoi  fedeli  clienti. 
Si  racconta  ancora  che  una  volta  il  mago,  incamminatosi  sulla  via  di 
Piacenza,  si  mise  il  j>ortentoso  libro  sotto  un  piede  e  con  la  punta 
deiraltro  riuscl  a  toccare  il  campanile  di  Stradella. 

21.  Mirabello. 

Si  trova  nel  vecchio  Parco  a  nord  di  Pavia  e,  secondo  gli  abi- 
tanti,  deve  il  suo  nome  al  fatto  seguente.  Prima  che  sorgesse  il  paese, 
giunsero  in  quel  luogo  due  guerrieri  e  contemplando  il  paesaggio 
circostante  uno  disse  all'altro:  «  mira  bello  »,  espressione  equivalente 
a  «  guarda  che  bellezza  ».  Trasportati  dal  loro  entusiasmo  costrui- 
rono  le  prime  case,  intorno  alle  quali  sorsero  poi  le  altre. 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARl  Dl  PAVIA  E  DEI  SUOl  DlNTORNl       57 

22.  S.  Bernardo  e  if  demotiio. 

A  Mirabello  si  venera  un  simulacro  di  S.  Bernardo  che  tiene 
incatenato  accanto  a  s&  il  demonio  e  che  nel  giorno  della  festa  vien 
portato  in  processione  per  le  vie  del  paese.  A  questo  proposito  i  con- 
tadini  del  luogo  raccontano  una  curiosa  leggenda. 

Un  giovane  abatino,  S.  Bernardo,  deciso  di  prender  presto  lo 
stato  ecclesiastico,  si  recava  ogni  giorno  da  Chiaravalle  a  Mirabello 
per  ascoltare  un  suo  maestro.  Una  volta  ad  uno  svolto  della  via  che 
egli  soleva  percorrere,  gli  apparve  Satana  sotto  le  apparenze  di  un 
vecchietto  e  gli  chiese  relemosina.  Bernardo  diede  quanto  aveva  in 
tasca  e  ne  fu  ringraziato.  Ma  il  vecchio  non  si  content6  e  si  fece 
trovare  anche  nei  giorni  seguenti  nello  stesso  posto  a  fare  Taccattone, 
senonch^  ringraziando  si  permise  di  dare  al  giovane  dei  cattivi  con- 
sign ed  a  tentarlo  al  male.  Bernardo  resistette  e  consult6  il  maestro 
sul  da  fare.  Questo  lo  lasci6  alcuni  giorni  senza  risposta,  finch^  gli 
consegn6  una  catena  con  cui  legare  il  vecchio  se  fosse  tomato  a 
tentarlo.  Bernardo,  trovato  che  Tebbe  e  sentendosi  esposto  alle  stesse 
maligne  tentazioni,  gli  gett6  la  catena  al  collo.  Allora  il  vecchietto 
perdette  in  un  attimo  il  suo  aspetto  senile,  gli  spuntarono  in  testa 
le  coma  e  apparve  in  lui  quel  diavolo  che  era.  II  giovane  abate  lo 
trasse  cos\  incatenato  fino  al  paese  e  da  quel  giorno  fu  cominciato  a 
^venerare  come  un  santo  che  vince  e  tiene  soggetto  il  demonio. 

23.  Miradolo. 

Questo  nome  che  accenna  ad  una  formazione  uguale  a  Mirabello, 
kW  nome  di  un  altro  paese,  posto  a  nord-est  di  Pavia  sulla  roggia 
Nerone-Gariga.  A  sentire  i  vecchi  del  luogo,  esso  avrebbe  una  tra- 
gica  spiegazione.  Una  regina  del  buon  tempo  antico  passeggiava  tran- 
quillamente  con  un  suo  figlioletto  lungo  una  sponda  di  quella  roggia. 
Ad  un  certo  punto  il  fanciuUo  si  scost6  dalle  vesti  della  madre,  si 
accost6  troppo  all'acqua  senza  che  ella  se  ne  accorgesse,  e  messo  un 
piede  in  fallo  vi  cadde  dentro.  La  poveretta  sentl  il  tonfo,  vide  il 
figlio  dibattersi  nella  corrente  e  disperata  si    mise  a  gridare   aiuto. 


■   '       »'■■ 


38  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Accorse  molta  gente  dai  campi  vicini,  ma  non  pot^  far  altro  che  estrarre 
il  fanciullo  cadavere.  AUora  la  misera  regina  disse  esterrefatta  e  pian* 
gente:  Mira  in  qual  duolo,  o  figlio  mio,  tu  mi  lasci. 

24.  Campo  Rinaldo. 

Questa  denominazione  che  ha  un  piccolo  territorio  vicino  a  Mi- 
radolo,  fa  subito  pensare  al  Rinaldo  della  leggenda  cavalleresca  i). 
11  popolo  della  campagna  conferma  la  derivazione  etimologica,  dicendo 
che  il  grande  paladino  sarebbe  venuto  in  questa  pianura  alle  mani 
cogli  Spagnuoli,  a  cui  avrebbe  dato  una  terribile  sconfitta.  Tanto  ^ 
vero  che  nellMnverno  1898-99  un  contadino  scavahdo  la  terra  nel 
suo  campicello,  alia  profondita  di  quasi  due  metri  trov6  un  sepolcreto 
contenente  ossa  umane  e  resti  di  armature,  che  del  resto  vengono 
spesso  alia  luce  qua  e  la  anche  in  altri  terreni. 

2$.  La  Chiesa  di  Montu  Beccaria. 

In  questa  borgata  deir01trep6  pavese  la  chiesa  si  trova  quasi 
in  un  burrone,  quindici  0  sedici  metri  st)tto  la  strada  principale.  Si 
dice  che  sia  stata  costruita  W  da  un  membro  della  famiglia  BeCcaria 
(forse  S.  Aureliano)  2)  in  seguito  alPadempimento  di  un  voto  che  egli 
aveva  fatto.  InseguUo  un  giorno  dai  Francesi,  ^  fama  che  si  nascon- 
desse  in  una  oscura  caverna  di  quel  burrone  promettendo  alia  Vergine 
di  dedicarle  un  tempio  se  fosse  potuto  sfuggire  alle  ricerche  dei  suoi 
nemici.  La  sua  preghiera  fu  esaudita  ed  egli  mantenne  la  promessa. 

26.  La  fortuna  d'un  fiore. 

A  Mortara  si  racconta  ciie  un  giorno  un  contadinello,  trovandosi 
in  un  campo  di  frumento  e  vedendolo  anciie  sparso  di  molti  fiordalisi, 
ne  colse  un  bel  mazzetto.  In  quel  mentre  passava  sullo  stradone  a 


i)  Anche  in  Piemonte,  provincia  di  Cuneo,  c'e  un  paese  CastelHnaldo, 
2)  Questa  era  una  antica  famiglia  di  Pavia. 


ALCUNE  LEGGENDE  POPOLARI  DI  PAVIA  E  DEI  SUOl  DINTORNI      39 

cavallo  il  figHo  d'un  re,  ed  il  contadinello  gli  corse  subito  incontro 
e  offrendogli  il  mazzo  disse:  Tieni,  0  mio  signore,  quest!  fiori  per  la 
tua  mamma  che  e  felice  e  dammi  un  soldo  per  la  mia  che  h  malata. 
11  principe  diede  al  fanciullo  un  marengo  e  prese  i  fiori.  Giunto  a 
corte,  li  consegn6  alia  regina  informandola  della  loro  provenienza. 
Ella  sorrise  e  piu  tardi  si  presento  al  ricevimento  reale,  col  capo 
adorno  di  quel  modesti  fiori  azzurri.  In  quella  sera  nessun  fiore  di 
giardino  fu  piu  ammirato  delKumile  fiordaliso,  che  divenne  poi  anche 
oggetto  di  moda. 


Enrico  Filipptnt. 


UN    LIBRO    Dl    ESORCISMI    DEL    1616 


3.  Gli  spirit!  domiaatori  dei  corpi. 

Per  [I  BeirHaver  sono  piu  importanti  i  aecreti  trovati  col  di- 
mno  ainto,  relativi  al  possesso  che  i  demoni  mostrano  di  avere  sulla 
came  battezzata  e  cresimata.  Egli  raccoglie  le  sue  e  le  altrui  credenze 
sopra  i  movimenti  involontarii  quali  sono;  lo  starnuto,  lo  sbadiglio, 
il  siinghiozzo,  scongiurati  come  occasione  di  entrata  del  demonio;  passa 
quindi  ai  vtri  indemoniati. 

In  Munferrato:  lo  starnuto  (uatraniv),  lo  sbadiglio  (tr  6a;4«<r), 
il  Singh inzzo  {u  aangiuH)  come  in  Sardegna:  8u  isturrtdu^  su  ccts- 
chldu,  3u  tacculUtu,  nei  bambini,  sono  scongiurati:  i  due  primi  con 
iin  segno  sulla  bocca  del  bambino;  il  terzo  con  rimproveri,  rumori 
inattesi,  mossi  da  oggetti  fatti  cascare  in  terra,  quasi  a  scacciare  il 
il  N\aIigno  che  sta  per  impossessarsi  del  bambino.  Un  proverbio  sardo 
dice  che  t^uundo  due  aduiti  uomo  e  donna,  sbadigliano  nello  stesso 
tempo,  pensano  alia  medesima  cosa :  amboa  pdris  caacamua^  ambos 
a  sH  mat^ssipenaaniua,  ambedue  sbadigliamo  nello  stesso  tempo,  am- 
bedue  pensiamo  alia  stessa  cosa.  E  fra  amanti  pu6  essere. 

Scrive  la  maestraContini  ed  io  traduco: 

I  letterati  possono  ridere  di  queste  cose,  ma  persone  che  credano 
agli  indemoniati,  a  carte  scritte,  ai  brevi  fatti  dai  preti  ce  ne  sono 
molte  da  w*].  Si  chiamano,  li  dicono,  aoa  fortlles  (difese,  armi)  e  li 
credono  buoni  per  gli  indemoniati,  per  quelli  che  portano  addosso 
ginchene  lat,  ducunt  spiriti,  ombre  legati,  uniti  al  corpo,  0  fuori,  cio^ 


I 


UN  LIBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  4I 

hanno  maledizioni  extra  corporee.  Col^  dove  uccidono  gente,  ivi  ci  sono 
le  cattive  ombre  0  spiriti,  che  gli  indemoniati  ricevono  (ossessione) 
e  per  questo  motivo  quando  queste  persone  vedono  la  croce  bestem- 
miano  i  preti,  favellano  in  diverse  lingue,  cio^  dicono  parole  incom- 
poste,  strane,  di  gergo  misto  di  parole  arahe  maurelle  (i  mauri  od 
arabi  fermatisi  in  Sardegna),  non  vogliono  sentire  cose  di  Dio.  Fuwi 
un  marito  che  andava  a  letto  col  fucile  e  quando  i  demoni  salivano 
addosso  alia  moglie,  scaricava  il  fucile  contro  di  loro  dentro  la  casa, 
in  camera,  ed  essa  si  calmava  {dmmalacaida,  da  malacare  divenir 
molle,  quieto)  un  poco,  I  preti  fanno  sopra  la  testa  degli  ammalati 
il  segno  della  croce,  e  dicono:  Zitto  maledetto  puzzolente,  in  nome 
di  Gesu  Cristo  !  poi  dicono  requie  per  Tammalato.  Se  ci  sono  spiriti 
cattivi,  o  diavoli,  i  preti  li  legano  con  orazioni  e  benedizioni,  e  ve 
n'ha  alcuni  che  guariscono  per  il  momento  e  poscia  tornano  indiemo- 
niati  0  pei  peccatl  loro,  0  perch^  cos\  vuole  Dio  che  tutto  sa. 

BeirHaver  scrive  che  i  demoni  possono  abitare  «  nel  sangue,  urina, 
colera,  flemma,  feccia  delle  viscere,  occupando  il  corpo  umano  e  facen- 
dovi  ingresso  per  la  bocca,  narici,  occhi,  orecchie  et  alia  a  guisa  di 
vento  (la  atavistica  credenza)  bench^  non  sia  manifesto  al  nostro 
intendimento  quale  strada  particolarmente  osservino*. 

II  primo  frutto  che  si  mangia  nell'anno  pu6  essere  indemoniato 
ed  ecco  i  Sardi  che  dicono: 

G^sus  occannu.  Non  mi  fettat  dannu 

N6n  dannu,  n^n  profettu 

Chie  non  mi  nd'hAt  dadu.  Si  nde  mat'  dde  su  lettu. 

Cio^:  Gesu!  per  quest'anno.  (II  frutto)  non   mi  faccia  danno.   N^ 
danno  n^  profitto.  Chi  non  me  n'ha  dato.   Se  ne  cada  dal  letto. 
II  bambino  starnuta  e  i  Sardi  dicono: 

Acchent'annos 

Po  Deus  e  Santu  Giuanne 

Che  tu  possa  vivere  cent'anni  —  Invochiamo  Dio  e  S.   Giovanni. 
Ed  i  Catalani  d'Alghero  ripetono 

Sant  Joan  -  que  t'  fassa  bo'  y  gran 

Sant  Joan  Battista 

Que  t'tinga  sA  y  ab  bonavista! 

Arehivio  per  le  tradieioni  popolari,  —  Vol.  XXIU.  6 


42  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Sail  Giovanni  ti  faccia  buono  e  grande  -  San  Qiovanni  Battista  - 
Ti  ten^a  sano  e  con  buona  vista. 

Mettendo  a  letto  il  bambino,  le  mamme  sarde  dicono: 

Anghelu  'e  Deu  -  Custodiu  meu 

Custanotte  illumina  mie  -  Guarda  ed  defende  a  mie 

Chi  mi  incumandu  a  tie 

npetenJo  il  latino:  Angele  Dei  -  qui  ctistos  es  mei  -  Me  tibi  com- 
nHsstim  -  Pietate  auperna  -  Illumina  me  -  Rege  et  giiberna, 

A  Reggio  Emilia  le  mamme  fanno  recitare  a!  bambino: 

Sgnor  e  vag  a  lett  -  Con  I'anzel  parfett 

Con  I'anzel  bianch  -  con  al  spirett  Sant 

Signor,  se  me  m'n'andass  -  La  me'anma  ev  la  las 

Anzel  bel,  anzel  car  -  Chen  sson  m'  vina  a  tintarm 

Nfe  de-d-de,  ne  de-d-nott  -  N6  al  pont  ed  la  mh  mort. 

Traduzione:  Signore  io  vado  a  letto  -  Coll'angelo  perfetto  - 
ColTangelo  bianco  -  Collo  spirito  Santo  -  Signore  se  io  me  n'andassi  - 
La  mi:i  dnima  ve  la  lascio  -  Angelo  bello,  angelo  caro  -  Che  nessuno 
veng4  a  tentarmi  -  N^  di  dl,  n^  di  notte  -  N^  al  punto  della  mia  morte. 

II  Boccaccio  che  nella  Novella  della  Belcolore  ricorda: 

Fantasima,  fantasima  che  di  notte  vai 

A  coda  ritta  ten  venisti  -  A  coda  ritta  te  n'andrai 

alludeva  certamente  ad  un  carmen  toscano.  Ma  le  madri  sarde  hanno 
un  CMine  incantatorio  piu  potente  contro  Tincubo  8u  aurvile  dei 
bambini,  la  Vecchia  Strega. 

Selv^na  selvana  -  Origi-cana 

Origi-canina  -  Limba  repentina 

Limba  e  serpente  -  Ocros-lughente 

Ocros-lughentada  -  Ferri-atteniada 

Firmada  a  ferru  -  Manu  'e  guemi 

Manu'e  guasile  -  Po  non  timire 

Sa  panzarigota  -  A  fizu  meu  mai  non  mi  6ccas. 

Tmdmione:  Ombra  selvatica  (Deus  silvanus  dei  Romani)  dagli 
orecchi  bianchi  -  orecchie  di  cane  -  lingua  erpetica  {rettilesca)  -  lingua 
di  serpente  -  occhi-lucente  -  occhi   lucentata  -  di  ferro  bendata  -  fer- 


UN  LIBRO  Dl  ESORCISMI  DEL   1616  43 

mata  col  ferro  -  colla  mano  di  cuoio  (cu^rru  -  cueru  -  cuojo)  -  con  mano 
di  alguazil  (di  birro)  ti  tengo.  -  Per  non  aver  damo,  timore.  -  Dalla 
pesantezza  sulla  pancia,  sul  petto.  -  11  figlio  mio  mai  non  mi  uccida  tu. 

Dicono  pure  che  quando  alia  notte  piangono  i  bambini  e  non 
vogliono  tacere  le  mamme  dicono :  Vieni  domani  che  ti  dar6  un  po- 
chino  di  sale,  oppure  un  pezzetto  di  lardo,  o  altra  cosa. 

La  Chiesa  ab  antico  aveva  cantato  neirinno  della  sera: 

Procul  recedant  somnia  —  Et  noctium  phantasmata 
Hostemque  notum  comprime  —  Ne  polluantur  corpora. 

«  Perch^,  dice  Bell' Haver,  i  demoni  illudono  i  sensl,  allordano 
gli  affetti,  turbano  i  vigilanti,  atterriscono  colli  sogni  coloro  che  dor- 
mono,  si  fanno  incubi  e  sUccubi,  tralasciando  molti  altri  esempi, 
per  non  offendere  le  caste  orecchie  dei  iettori  ».  L'incubo  chiamato 
in  dialetto  sardo-logudorese  ammuntadore  (e  in  dialetto  sardo-gallurese 
puntcuxhiu,  e  a  Reggio-Emilia  rkpeg  (metatesi  di  erpeg  -  erpeticua 
serpentifius  8piritu8,  il  serpe  maligno  che  tent6  e  tenta  le  Eve,  e 
gli  Adami  in  gioventu)  b  creduto  anche  apportatore  di  fortuna. 

Dicono  a  Siniscola  che  quando  Tincubo  viene,  basta  che  Tad- 
dormentato  abbia  la  forza  di  rubargli  la  prima  delle  7  berrette  e  di 
porla  sotto  la  pentola,  chfe  gli  da  un  tesoro. 

La  scienza  medica,  specialmente  nel  secolo  in  cui  scriveva  Tau- 
tore  del  libro  commentato,  fece  grandi  progressi,  non  senza  dare  un 
tuffo  nelle  superstizioni  delle  quali  veniva  combattuta.  E  il  sacerdozio 
pur  seguitando  a  credere  volgarmente,  ed  a  ritenere  che  i  preti  sol- 
tanto  fossero  piu  abili  dei  medici  nel  combattere  gli  spiriti  cattivi 
delle  malattie  nervose  permetteva  «  che  si  potessero  anco  benedire  le 
ontioni  et  vivande  ordinate  dai  Fisici  »,  ma  ad  uso  esteriore,  che  del- 
rinterior^  credevano  e  volevano  essere  creduti  essere  veramente  essi 
preti  soli  medici.  A  Ghilarza  in  Provincia  di  Cagliari  il  giorno  di 
S.  Sebastiano  —  20  gennaio  —  si  benedicono  tuttora  nella  processione 
del  Santo  rami,  d'alloro  (I'albero  di  Apollo  padre  di  Esculapio;  Apollo 
che  nel  primo  libro  dellMliade  ^  il  lungi  saettante  dardi  pestiferi)  che 
vengono  distribuiti  ai  fedeli,  e  si  ripongono  nelle  case  per  tener  lontana 
la  peste.  S.  Sebastiano  fu  condannato  a  morire  saettato. 


1 

i 


44  ARCHIVIO  ^ER   LE  tRADlZlONI   f>Of>OLARI 

II  Comparetti  nota  che  in  fxirecchi  gealdor  anglo-sassoni,  anteriori 
ai  secolo  X  ed  in  parecchi  libri  della  Finlandia  modema,  il  male  h 
attribuito  a  dardi  nuolet,  dalle  pninte  invisibili :  pikkii. 

Oggidi  la  scienza  d  awerte  di  guardarci  dai  raicrobi,  e  nelle 
disinfezioni,  nei  lavacri,  nella  bollitura  dei  cibi  da  il  mezzo  di  combattere 
un  potere  quasi  invisibile  ma  noto. 

Invece  «  il  rimedio  da  applicarsi  agli  infermi  di  p)este,  spiritati, 
e  per  tener  lontano  il  male,  sara,  scrive  Bell'Maver,  oro,  incenso, 
mirra,  sale  esorcizzato,  olio,  cera  benedetta  et  di  quelle  si  faccino 
brevi,  ponendosi  nei  4  cantoni  del  letto,  prima  mondato  et  repurgato 
da  ogni  canto  con  la  croce  3  volte  (una  volta  non  sarebbe  folklorico) 
ad  honore  della  Santissima  Trinita  perche  li  demoni  che  talora  si 
nascondono  ne'  panni  ed  altre  cose  della  persona  vessata,  pare  che 
non  ardiscano  piu  di  tornare  ». 

II  Comparetti  (Kalevala ,  pag.  22)  scrive :  «  il  mago  h  medico : 
a  lui  si  ricorre  per  ogni  malattia,  ne  il  farmaco  pare  possa  essere 
efficace  se  egli  non  Tabbia  guardato  —  katsotut,  incantato  luketut, 
colle  parole  pxxierose:  aanat  ».  Nelle  parole  poderose  c'e  sempre  una 
relazione  col  nemico  speciale  da  combattere. 

In  Sardegna,  quando  il  bambino  si  lagna  di  un  bruscolo  entratogli 
nell'occhio,  si  ricorre  a  S.  Antioco  (contrario): 

Sant'Antiogu  -  Sant'Antidgu  -  Un  abbiinzu  jutto  in  s'ocru  -  s'este  mannu 
bogamind^lu  -  s*este  minore  ingullidebocch^lu. 

Traduzione:  Sant'Antioco  -  S.  Antioco  -  un  bruscolo,  porto,  ho 
neH'occhio  -  s'^  grande  cavatemelo  -  se  ^  piccolo  inghiottUelo.  —  Poi 
si  fa  chiudere  Tocchio,  mentre  con  una  mano  il  paziente  si  da  o  si 
fa  dare  piccoli  colpi  sul  capx). 

Questo  carme  incantatorio  ^  pure  in  Monferrato  quando  una 
resta  di  grano  entra  nella  carne. 

L'aratro  fa  il  solco  -  il  solco  fa  la  porca  -  la  porca  fa  la  spica  - 
la  spica  fa  la  resta  del  grano  (dicono)  per  la  virtu  di  S.  Donato  - 
Torna  ad  uscire  per  dove  sei  entrato. 

A  S.  Andrea  (valente  forte)  in  Sardegna  ricorrono  anche  pel  male 
pi  pancia  degll  uomini  e  degli  animali. 


UN  LIBRO  Dl  ESORCISMI  DEL  1616  45 

Sant*Andria  -  Sant*Afldria  {onirciu  dei  Russi)  -  s*ebba  mia  mi  moriat  -  de  sa 
ddlima  'e  sa  matta  -  de  sa  d6Iima  'e  sa  bentre  -  GiumpMebi  prontamente. 

TraduBtone:  S.  Andrea  -  S.  Andrea  -  la  mia  cavalla  moriva  -  del 
dolor  di  panda  -  del  dolore  di  ventre  -  aiutate  prontamente,  ecc. 

Quando  i  bambini  si  scottano  si  ricorre  alia  saliva,  e  si  nomina 
jl  car  bone  (spento). 

Santu  Petru,  Sant'Andria,  San  Simione 
Tres  prades  si  fatt^sini  a  carvone 
Daghi  a'ssu  mare  anddsini 
Abba  non  b*acciapp^sini, 
Salia,  pari-paii  bi  bettdsini. 

Traduzione:  San  Pietro,  Sant'Andrea,  San  Simone  -  tre  fratelli 
diventarono  carbone  -  poichfe  andarono  al  mare  -  e  acquft  non  tro- 
varono  -  saliva,  a  gara  sopra  vi  misero  -  e  colla  saliva  materna,  curano 
il  dolore. 

Quando  hanno  il  male  dell'ugola,  de  au  rtapiu  e  non  pddene 
auere  a  su  latte  -  e  non  possono  succhiare  il  latte  dicono  (a  Torralba) : 

Santu  Franziscu  a'  piantadu  un'^rvure 
O  6  fozida,  0  6  naschida,  o  distnitta, 
Custu  ti  pAsset  su  male  'e  sa'  ucca. 

(cio^:  S.  Francesco  piant5  un  albero:  ^  nato,  piantato,  distrutto  - 
questo  ti  pass!  male  della  bocca). 

Anche  in  questi  carmi  incantatorii  vediamo  che  Tidea  pre- 
cristiana,  anzi  generale  ed  umana,  di  uno  spirito  che  si  deve  cacciare, 
si  b  fatta  cristiana,  come  in  tutti  i  carmi  pagani  co^servatisi  pressQ 
i  popoli  dopo  la  introduzione  del  Gristianesimo. 

Se  i  bambini  hanno  la  dissenteria,  le  mamme  incantano  il  male. 

In  Idm^ne  de  Santa  Trinitade  -  a  custa  criadura  lu  potta  passare  -  custu  gi^gu 
e  custu  andare  male. 

Nel  nome  della  S.  Trinita.  A  questo  bambino  possa  passare 
questa  dissenteria  (jaculum)  e  questo  andare  male  di  corpo. 

AUe  volte  il  male,  passa  coll'acqua  benedetta,  scritta  dagli  angeli, 
ciofe  con  for  mole  di   benedizione. 

Cosl  dicono  le  madri  Sarde  a  Nule: 


V 


46  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI    POPOLARI 

Abbasanta  beneitta  -  Sos  anghelos  ran'^scritta 
SOS  ddigM  iipostolos  -  L*ana  composta, 
Deu  DOS  perd&net  -  Sos  peccados  nostros. 

Qimndo  viene  il  sangue  dal  naso  dei  bambini  e  degli  adulti  a 
Siniscola  dicono  che  ci6  avviene  per  opera  della  Madonna  che  riparera 
al  male.  ^  Sulla  tavola  della  Vergine  eranvi  tre  coltellini  d'argento ; 
uno  Incarnava,  uno  intaccava,  Taltro  il  sangue  fermava;  o  come  dicono 
a  NuorOj  uno  fe  di  taglio,  uno  ^  di  staglio,  uno  di  stoppa,  di  modo 
ciie  di  questo  sangue  non  ne  cada  gocciola  ». 

Ism  Oiesa  'e  ssa  Virgine  Maria  -  Tres  lepuzzos  d'arghentu  bi  aiada 
Una  inoim^idi  -  Una  intazz^idi  -    Unu  su  sambene  parrUdi. 

9 

Uim  de  tagliu,  unu  de  istagliu  -  Unu  de  stuppa 
De  custu  sdmbene  -  Non  nde  iMieV  gutta. 

Se  da  ferita,  larga  o  stretta  cola  sangue,  lo  scongiuro  b  piu  forte, 
e  dicono :  in  nome  del  Padre,  del  Figlio,  dello  Spirito  Santo  il  sangue 
si  congiunga  alia  came,  come  Cristo  s'&  congiunto  alia  croce.  Nostra 
Signoraha  due  (due  soli)  coltelli  d'oro,  uno  taglia,  Taltro  cura  (la  lancia 
d'Achillt  feriva  e  curava),  di  modo  che  asciutto  il  sangue  non  ne 
coli  piij  nulla  e  la  ferita  si  saldi. 

In  lumene  'e  su  Babbu,  'e  su  Fizzu  'e  Ispiritu 
Sdmbene  coniunghet  a  carre  Santa 
Comente  Cristhu  est  conjuntu  assa  Rughe 
Nostra  Segnora  in  banca  giiighede, 
Duos  bulteddos  de  oro, 
Una  s6cat,  s'ateru  cura, 
Asciuttu  sia  su  silmbene, 
Chi  non  bi  cdlet'  nudda. 

(Vedasi  11  Ointo  della  ferita  di  Vainamoinen  —  Kalei^ala,  VIIWX). 

Come  nota  il  Comparetti  ne!  libro  citato  a  proposito  dei  carmi 
incantatori  finnici,  (pagina  2rf)  la  rima  h  frequentissima,  non  solo 
tra  versu  e  verso,  ma  anche  nel  verso  stesso,  ma  non  sempfe.  Talora, 
come  nel  presente  carme  sardo  v'  h  alliterazione,  Talora  il  male  non  ^ 
ha  una  causa  cosl  chiara  e  visibile,  e  benche  non  lo  dicano  aperta- 
mente,  le  donniciuole,  ed  anche  gli  uomini  che  sanno  leggere,  con- 
sentono  colle  idee  gia  manifestate'  dal  BelFHaver  fino  dal   i6i6.  «  I 


UN  LIBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  47 

demonii  si  ini]:>adroniscono  dei  corpi  per  ispavento  [po  su  aaactuo 
conu  dicono  i  Sardi]  li  occupano  nel  cibo,  nel  sonno,  in  cibo,  in 
bevanda,  entrando  colla  cosa  che  si  mangia,  e  si  beve  inducenJo 
negli  infermi  malefici  segni,  e  figure,  e  illusioni,  fantasmi  e  terrori 
ne'  sogni,  travagli,  turbazioni  di  mente,  coliere  acute,  capricci  e  oin- 
cupiscenze,  alterando  i  sensi,  fomentando  cattivi  humori,  et  tutto  cib 
secondo  la  divina  permissione  et  la  disposizione  mentale  etcorpor;ile 
delle  creature.  Induce  Satanasso  nuovi  fantasmi  e  illusioni  negli  occhj 
e  negli  orecchi,  toglie  il  gusto,  rende  muto  e  cieco,  attratta  i  nervi; 
hora  avidamente  si  mangia,  hora  si  vigila,  e  si  digiuna,  hora  si  dorme 
alia  lunga  [forma  di  epilessia]  hora  si  sta  insonne)>. 

II  Lombroso  nella  classica  sua  opera :  «  La  tnedieina  legale, 
fondata  sopra  lunghe  esi:)erienze  e  profondi  studi  con  numerosi  esempi 
di  alienati,  di  delinquenti  nati,  di  uomini  grandi  [che  sono  separati 
dai  pazzi  da  una  piccola  linea  di  separazione]  potrebbe  commenture 
degnamente  le  parole  del  suo  collega  Bell'  Haver  sugli  spiritati  e 
indemoniati  e  maleficiati,  dimostrando  la  ridicolaggine  della  teoria  e 
delta  praHca  degli  esorcismi ».  Si  deprava  la  fantasia  con  varie  et 
nojose  rappresentationi  (d'essere  Re,  Papa,  Imperatore,  Dio).  Talom 
alii  spiritati  escono  desideri  di  abitare  in  luoghi  solitari,  immondi  et 
oscuri:  talora  ridono  con  gusto  inestimabile,  talora  piangono  senza 
fine,  o  danno  risposte  iraconde,  dispettose,  chiudono  i  denti,  percuo- 
tono  te  ed  altri  [matti  furiosi  ai  quali  oggidl  si  mette  la  camicia  di 
forza  e  allora  si  curavano  con  digiuni,  esorcismi,  e  col  castigamatti, 
col  bastone],  Alcuni  sogliono  avere  lingua  spessa  e  nera  (oggi  ^li 
ammalati  per  tifo  patito)  imitare  la  voce  degli  animali  (lupi  mannnri, 
Hroldlia),  rendere  spume  dalla  bocca  (oggi  epilessia,  mal  caduco,  di 
S.  Giovanni)  sentire  formiche  per  la  schiena  (oggidl  spinite,  ona- 
nismo  incorregibile,  tabe  dorsale,  error!  digioventu).  Alcuni  dicono  cose 
dalle  quali  non  si  pu6  conoscere  ci5  che  vogliono  inferire  {logorreu) 
usano  linguaggi  occuiti  e  mai  imparati  dalla  creatura  (oggidi  ^  provato 
che  durante  le  meningiti  gli  infermi  parlano  nel  dialetto  e  nella  lingua 
.  che  impararono  bambini  e  dimenticarono  fanciulli,  come  avvenne  di 
una  signora  del  paese  di  Galles,  che  nei  suoi  deliri  di  vecchia,  par- 
lava  nel  dialetto  gaelico,  imparato  a  4  anni,  e  poscia  mai  piu  parlato). 


48  .ARCHIVIO  PER    LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Indovinano  cose  incognite,  e  vedono  colla  mente  ci6  che  awiene 
lontano  {telepatia,  teleatia  dei  giorni  nostri)  rafifigurano  persone  morte 
(potenza  della  fantasia  nei  colpiti  dai  colpi  di  sole,  o  da  percosse  sulla 
testa,  come  avvenne  a  Bruto  apostrofato  dal  fantasma  che  lo  asp^et- 
tava  a  Filippi). 

L'uomo  sente  nella  propria  coscienza,  e  prova  nelle  proprie  crea- 
zioni  che  egli  ^  parte  della  causa  causarum,  sommamente  buona,  che 
domina  su  tutto  il  creato.  Ma  Tuomo  sa  pure  che  nel  proprio  essere 
^  mantenuta  Teredita  animale  e  mentale  delle  generazioni  passate, 
modificata  dalla  individuale  azione  sua.  Tale  eredita  ^  il  vero  ostacolo 
alia  parfezione  sempre  maggiore  delle  razze  e  degli  individui,  ^,  nella 
frase  del  volgo,  lo  spirito  maligno,  dominatore,  sotto  diversi  nomi, 
dei  deboli  e  degli  infelici,  dei  trascurati,  di  coloro  che  non  ossefvano 
e  non  studiano  n^  le  cause,  n^  le  conseguenze  dei  fatti,  sia  che  si 
chiamino  volgo,  sia  che  si  ammantino  di  falsa  dottrina,  come  i  pretesi 
esorcisti. 

Dal  1616  ai  nostri  giorni,  dopo  Lutero  che  fu  il  Galileo  della 
fede,  e  dopo  il  cieco  d*Arcetri  che  fu  il  Lutero  della  scienza,  Tuma- 
nita  ha  fatto  di  molto  cammino.  Oggidl  il  Bell'  Haver  non  direbbe 
piu:  «  La  scientia  dell'esorcismo  ^  difficile,  bisogna  agitare  il  corpo 
et  la  voce,  non  lasciarsi  cogliere  n^  sopraffare  dallo  spirito  maligno, 
devesi  sopportare  urli  et  gridi  insopportabili,  tollerare  donne  super- 
stiziose,  combattere  il  demonio  nel  sacro  tempio  ed  anche  in  privato  ». 
La  Chiesa  oggidl,  non  lo  combatte  n^  in  pubblico  nh  in  privato  perch^ 
farebbe  ridere,  come  fanno  ridere  gli  stregoni  delle  Pelli-Rosse,  o  dei 
Negri,  0  degli  Australiani,  popoli  destinati  a  scomparire  davanti  alia 
civilta.  Questa  colPaiuto  della  pratica  medicina  distrugge  gradata- 
mente  gli  errori  dovunque  siano,  e  li  studia,  quale  documento  umano, 
appunto  per  tale  scopo. 

Le  meningiti,  per  esempio,  che  in  s^  e  per  le  conseguenze  loro 
hanno  molto  del  demoniaco  cio^  dell' incognito,  non  ^  da  meravi- 
gliarsi  che  nel  1616  fossero  esorcizzate  dalla  Chiesa,  come  ancora  le 
esorcizza  in  Sardegna  il  volgo.  A  Siniscola,  per  il  male  di  testa  —  po 
su  dolore  'e  sa  conca,  dicono : 


UN  LIBRO  Dl  ESORCISMI  DEL  1616  ^ 

1.  Santu  Pretu  sezziata  -  In  petra  'e  gloria. 
A  inie  andat  Deu :  E  ite  h^s,  Petru  meu  ? 

—  Sa  conca  si  mi  inzumbat  -  Che  anima  ch'fe  tucca 
Sa  conca  este  inzurabida  -  Che  anima  tuc^cda 
A  inie  ^nda  Sant'Anna  -  Susanna  e  Margarita 
Cuddas  chi  sdnana  -  Praes  e  feritas. 

2.  Bola,  bola  culumba  -  A  su  chi  gidghes,  pungas 
Deo  porto  corallu  -  Po  non  ti  fdgher  dannu 

Cum  tres  pedras  ^  sale  -  Po  non  ti  fagher  male 
Cum  tres  pedras  h  moli  -  Po  non  ti  nogher  ora. 
S'este  ocru  'e  litteradu  -  A  domo  t6rret  Sanu. 
S'este  ocru  'e  mortu  -  Deus  li  diat  accunortu. 
Po  sa  Virgine  Maria  -  Mezus  *e  sa  manu  mia. 
Santu  Gosamu  e  Damianu  -  Mezus  de  sa  mia  manu 
Po  Santa  Restitutta  -  Passet  dulore  'e  conca. 

Traduzione:  San  Pietro  sedeva  -  sulla  pietra  di  gloria  -  Hd  \v] 
va  Dio  «  E  che  hai,  gli  dice,  Pietro  mio  »  -  (Ho)  che  la  testa  mi  si 
confonde  come  ad  anima  pazza  -  La  mia  testa  h  confusa  -  Comr  jd 
anima  impazzita.  -  Ivi  vanno  Sant'Anna,  Susanna  e  Margherita-qut.lk' 
che  sanano  -  Piaghe  e  ferite. 

Vola  vola  colomba  -  Con  ci6  che  porti,  incanta,  ammalin.  -  In 
porto  corallo,  0  male,  per  non  farti  danno.  -  Vengo  (a  propiziartij  c<mi 
tre  grumoli  di  sale  -  Per  non  farti  male  -  Con  tre  pezzi  di  miuintj 
da  miilino  -  Per  non  ti  nuocere  ora  -  S'^  occhio  di  letterato  {l\{\v\ 
che  ti  produsse  0  male)  -  Torni  indietro  a  casa  sua  -  Se  ^  anim:i  dl 
morto  Dio  le  dia  pace  e  conforto.  -  Vattene  (0  male)  in  nomi-  di 
Maria.  -  Con  mano  migliore,  piu  abile  della  mia.  -  Di  S.  Cosh] in  e 
S.  Damiano  -  (Essi  han)  mano  piu  abile  meglio  della  mia  mtiinj  * 
Di  S.  Restituta  (nomina   numina)  -  Passi  il   dolore  della  testa* 

In  questa  invocazione  abbiamo  come  nelle  rune  finniche  il  Tftiltt 
segno  pronostico,  ostento,  il  lukii  la  parola  magica,  il  Katsoa  fas%cinH, 
malocchio. 

11  male  di  punti  0  della  pleura  {mda  d'costd)  in  Monferr:iiM  ,\ 
Carp)eneto  d*Acqui  pisioksen  synUf  dei  Finni  (vedi  Comparrtti, 
opera  citata,  pag.  181)  ricordato  dal  Lonnrdt  il  compilatoredel  KaUuil;i 
in  7  lezioni  diverse,  e  scongiurato  da  molti  carmi  popolari  sardi, 

Archifrio  per  le  trctdieioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  J 


i 


50  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

A  Torralba  dicono: 

Nolthra  Segnora  e  s'Assunta, 

De  su  latte  de  Maria  sias  unta, 

Sias  unta  de  su  latte  de  Maria, 

Pon^debi  sa  manu  olthra  prima  de  sa  mia. 

Santu  Gosamu  e  Santu  Damianu, 

Chi  bi  p6nzana  sa  manu. 

Santu  Lucca  duttore, 

Let  ogni  punta,  frattu,  o  dulore. 

A  Tiesi  dicono,  presso  a  poco  come  Torralba: 

Ses  punta  e  non  ses  punta 

De  su  latte  de  Maria  sias  unta. 

Santu  Aulthinu  autore, 

Posset  punta  e  dulore. 

De  su  latte  e  Maria, 

Punta  e  dulore  assuntos  siana, 

A  Nuoro  il  canto  ^  piu  svolto. 

Punta  ti  nana  -  Per6  non  ses  punta 

De  su  latte  de  Maria  sias  unta 

De  su  latte  de  Maria  -  unta  siisa 

Santu  Cosome  Santu  Damianu, 

Di  la  giCichene  in  mesu  sa  manu. 

Santa  Lucca  Duttore  -  Sanet  punta  e  dulore 

Nostra  Signora  6  s'assunta 

Di  Sanet  dulore  6  punta. 

Nostra  Segnora  6  Nadale 

Custa  punta  ti  sanet. 

Nostra  Segnora  6  su  Naschimentu, 

Sanet  dulore  e  turmentu. 

Nostra  Segnora  e  su  latte 

Casta  punta  ti  passet. 

Po  nostra  segnora  Annunziada 

Sa  punta  siat  leada. 

Tradtizione:  Per  la  Madonna  deirAssunzlone  -  Tu  malattia  (tu 
dolore)  sia  unta  del  latte  di  Maria  -  Voi,  (Madonna)  pon^teci,  appll- 
cateci  la  mano  vostra  prima  della  mia  -  San  Cosimo  e  San  Damiano 
(protettori  della  medicina)  vi  mettano  la  loro  mano  -  Per  S.  Luca  Dot- 


UN  LIBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  5 1 

tore  -  Prenda,  asporti  seco  ogni  dolore  -  fe  da  osservare  che  nel  canto 
Pinnico  sono  ricordate  (pag.  180)  le  punte,  le  freccie,  alle  quali  rime- 
diasi  col  latte  calmante  miracoloso  della  Madonna  nel  canto  Sardo. 

A  Torralba  si  beffeggia  il  male,  come  per  disprezzarlo.  Sei  punta 
e  non  sei  punta.  (Ma  ad  ogni  modo)  dal  latte  di  Maria  sia  tu  unta 
e  domata  Per  Sant'Agostino  autore  -  Passi  punta  e  dolore  -  (Se  spiriti 
ci  sono)  Dal  latte  di  Maria  punta,  punta  e  dolore  attratti,  asportati, 
siano  -  In  una  runa  finnica  il  mago  dice:  la  tua  punta  k  di  legno, 
ma  la  mia  b  di  ferro. 

A  Nuoro  il  male  h  anche  maggiormente  personificato.  Ti  chiamano 
punta  -  Ma  non  sei  vera  punta  -  Del  latte  di  Maria  sii  tu  unta. 
San  Cosimo  San  Damiano,  te  la  portino  via  (0  infermo)  nel  mezzo 
della  mano,  come  un  gingillo  -  San  Luca  Dottore  -  Sani  punta  e 
dolore  -  Nostra  Signora  Assunta,  dell'Assunzione,  Ti  (DXT)  sani  del 
dolore  di  punta.  Nostra  Signora  di  Dicembre  (la  Concezione),  questa 
punta  ti  sani  -  Nostra  Signora  del  nascimento  (8  sett.)  -  Ti  sani 
ogni  dolore  e  tormento  -  Per  nostra  Signora  (del  latte  dolce,  de  sti 
laite  dulche  presso  Sassari,  protettrice  delle  lattanti),  questa  punta 
ti  passi.  Per  nostra  Signora  dell'Annunziata  questa  punta  ti  sia  via 
portata. 

Talora  non  si  invocano  direttamente  i  santi  ma  si  fanno  segni 
sul  male  di  non  grave  dolore  come  sono  le  enfiagioni,  e  le  eruzioni 
cutanee : 

M^di  spunzola  -  medi  umfiadura, 
Peri  su  sole  -  p^ri  sa  luna 
Mentras  si  cantat  -  sa  missa  mazore 
Mentras  si  cantat  -  sa  missa  d  Nedale, 
Non  si  nd'agiitat  -  nen  mezus  n6n  tale. 
Ilde,  ilde  n^schidi  -  Ziccu,  ziccu  p^^chidi. 

Traduzione:  Misura  (circoscrivi)  spugnetta,  gonfia  quale  spugna  - 
Misura  enfiagione  -  Per  (virtu  delli)  luna,  per  (virtu  del)  il  sole  - 
Mentre  (per  quanto)  si  canta,  si  dice  nella  messa  grande,  nella  messa 
di  Natale  -  Delia  quale  non  si  trova  n^  maggiore,  ne  tale  (uguale). 
Verde,  verdognola  nasce  (renfiagione)  -  E  un  pochettino  pasce,  poi 
se  ne  va. 


s^ 


APCHr.:0  PEP   L£  TK\r>l2)OM   POfOLARI 


Sanrj  Nrr.  t  :r.  Lur.:s  -  SiT-tu  Nr'-t  m  ajirts  -  Santu  Sanado  Tazis  -  Sontu  Sa- 

:Ci  -c,  Santo  che  '.icr.e  :n  Lur.rJ:  -  Santo  che  \iene  in  Martedi 
-  Santo  sar.ato  ravcttr  Sar.to  sznatc!*  v  »i,  qucsto  vento  cenino, 
^jiicsta  crLizionc  cjtar.eai. 

Nd  1616  la  Chicrsa  crtr  Jc  dc'.itr  ar.rijhec  Jclic  nuove  superstizioni, 
ci'mpiaorr.tc  e  passi*.  a  mantcnitr.Ccr  d:  trsse  pvr  i^noranza  e  per  lucro, 
5*  mostrava  craJcie  oc'i  crctici  inJem»niati  vo!'»ntarii  a  suo  parere, 
It  t'>rmcntava  e  li  abbruciava  distruj^cnJo  ncKu  spiritato  lo  spirito 
ma:igno.  Pertinu  il  pjterc*  ^iuiiziari",  c«»me  si  sc^r^e  nei  processi  delle 
strt^'he  e  dcj:'.i  unturi  usjva  la  t«»riura,  W  cavalletto,  tormentava  i 
dt^tt-nuli  cui!e  b  U'ie  dt-Iia  lnquisizi«jne,  li  mandava  a  morte  purgati 
con  tfncrr;:ichtr  pur;^he.  sbarbati,  tosati  e  se  d«-»nne  cnl  e  treccie  tagliate. 

*  Gli  Eccltrsiastici,  dice  11  BcrlKHaver  hanno  facolta  (e  qui  si  torna 
aH'antico  conccrtto  del  ma^j.,:  del  medico  e  del  sacerdote  uniti  folklo 
ricamente  in  una  s  -la  p-rsi»na.  di  s:a::iare  ^li  spiriti  ed  i  malefici 
con  acqua  santa,  o»n  a^nus-dci,  con  reliquie  sante  et  altre  giovevoli 
Oise  costumate  da  Santa  Madre  Chicsa,  cun  di>:iuni,  astinenze,  con- 
ftssione,  comuninne  *. 

La  dieta  e  certaraente  granJe  ri medio  per  i  mali  ner\'osi,  par- 
Irndo  dal  concetto  prcistoricu,  che  Tuomo  non  ha  neH'anima  una 
c*^i?»tcnza  separata  dal   c<»rp<3. 

LVsorcismo  di  S.  Marti  no,  e  p<»rtat')  da^li  antichi  messali  per 
W  malattie  nervose  o  spiriti jhe  piu  ^iravi.  Bisognava  digiunare  40 
;:;■  rni,  5  dci  quali  a  s<>Io  pane  ed  acqua  gli  altri  35  a  pane,  lardo,  e 
vino:  non  ubbriacarsi,  non  man;ziare  tinja  ne  anguilla  ne  vederla 
ii:ciJere,  non  guardare  morti ;  la\ar>i  st^mpre  in  acqua  santa,  bere 
ansenzio  specialmente  il  40*'  giorno,  fmo  a  vomitare. 

Per  le  malattie  meno  gravi  lo  zolfo  che  cogli  occhi  e  col  naso 
tf  uol  respirare  fa  zuffa,  il  grave«jlente  odore  della  ruta,  lo.spirituale 
odore  deirincenso  e  della  mirra,  sono  rimedi  piu   convenienti. 

VenenJo  poi  al  concetto  meno  preistorico  della  separazione  del- 
Timima  dal  corpo,  nato  dall'idea  dello  sdoppiamento  della  persona 
Oallo  spirito  durante  i  sogni,  le  epilessie,  I'estasi,  la  pazzia,  fenomeni 


I 


i"v  usstyzi  E>:»?>zs*.  ne^  -r* 


54  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Passabilu  in  custa  ferta 
Passabilu  in  cussa  carre  aberta 
Passabilu  pianu  pianu 
Passabilu  chi  torret  sanu. 

Traduzione:  i.  Corda  (nervo)  cavalcata,  attorta,  cavalcata  corda  - 
Senza  pelo  filata  (si  fabbricano  in  Sardegna  corde  di  lana,  fortissime) 
filata  senza  pelo  -  Da  pelo  in  pelo  (da  nervetto  in  nervetto)  da  vena 
in  vena  -  Papi  e  Cardinali  ritornino  vene,  nervi,  all'antico  loro  posto  - 
Coi  nervi  ritorni  tutto  come  prima  -  Rimettano  a  iX)sto  queste  corde, 
papi  e  cardinali. 

2.  San  Martino  and6  a  caccia  -  Tre  pani,  tre  cani  si  pigli6  seco  - 
Mentre  era  per  saltare  un  fosso  -  Inciampo,  si  scontr6  in  Dio :  Martino, 
Martino  mio  -  Pigliati  Tolio  sevo  (ozu  irmanu-oglio  di  legno,  cio^  di 
olivo:  ozu  'e  hacca  olio  di  vacca-burro)  passalo  sopra  questa  ferita, 
distorsione  -  Passalo  in  questa  carne  aperta  -  Passalo  pianino  piano  - 
Passalo  in  modo  che  il  male  torni  sano. 

Un  canto  finnico,  ripetuto  in  altro  estone,  ricordato  da  un  terzo 
germanico  dice,  che  G.  Cristo  ad  un  cavallo  che  si  era  lussato  una 
gamba  diede  ordine  di  guarire,  unendosi  la  carne  alia  carne,  il  nervo 
al  nervo,  la  vena  alia  vena,  I'osso  aH'osso. 

k  di  uso  ricorrente  anche  neirindia,  citato  nell'Atharvaveda 
(vedi  Compareti,  op.  citata,  pag.  169).  Egli  nota  che  il  tieidjd,  il 
mago,  il  medico,  il  sapiente  dei  Finni  si  volge  alia  cosa,  al  male  a 
cui  rincantesimo  b  diretto,  prega,  comanda,  spaventa,  minaccia, 
scaccia,  bandis:e  (pag.  23).  Nh  diversamente  secondo  il  BelPHaver 
fa  il  sapiente  esorcizzatore  cnstiano :  «  Getta  ingiurie  al  demonio,  le 
quali  esso  dimonio  con  animo  iniquo  sopporta,  come  fatto  in  suo 
dispregio  e  vergogna,  costringendolo,  adiurandolo,  anatemizzandolo. 
L'esorcista  spiegara  il  vessillo  del  Crocifisso,  far^  aspersione  di 
acqua  santa,  percotera  lo  indemoniato  colla  stola,  gli  imporra  la  mano 
sul  capo,  gli  mettera  le  dita  sacre  sotto  le  narici  ». 

Cando  pdnene  oju  quando  gettano  addosso,  pongono  addosso 
il  malocchio,  dice  il  maliardo  di  Siligo  in  Sardegna: 

A  iniie  nch'andas  mandrdnia  e  imbidia 
A  inguJlire  sos  ojos  de  criaduras  ? 


UN  LiBRO  Dl  ESORCISMI  DEL  1616 


'^r^^"^^^^^*V"T' 


55 


Sos  ojos  de  sas  criaduras  nonlismalthrattes 

Chi  'u  babbu  ei  sa  mama 

Meda  si  nde  acc6rana. 

Bae  letthra  bAe  -  Bettadiche  in  mare 

E  consiimadi  che  pedra  'e  sale 

Inliimene'esu  Babbu,  Fizu,  e  Ipiritu  santu 

Bettadiche  in  mare  -  Ca  ti  lu  curoandu. 

Tradiieione:  E  dove  vai  poltroneria,  vigliaccheria  e  invidia  - 
A  inghiottire,  assorbire  gli  occhi  delle  creature  crbtiane?  GU  <Kchi 
dei  cristiani  non  li  devi  maltrattare  -  Perche  il  babbo  ^  la  madre 
loro  molto  se  ne  accorano  -  Vattene,  lesta,  va  -  e  pt^ttati  in  mare 
(gli  spirit!  immondi  da  G.  Cristo  furono  mandati  iidJosso  :id  un 
branco  di  majali  che  si  buttarono  in  mare)  -  E  consumati,  sciogliti, 
come  awiene  di  un  grumolo  di  sale  neH'acqua  -  In  nome  del  Padre, 
del  Figlio,  dello  Spirito  Santo  -  Gettati  in  mare  che  te  lo  comaiido. 

11  Beir Haver  non  da  tregua  al  povero  spirito  cattivo  ^  mette  le 
dita  sacre  sotto  le  narici  deirindemoniato  efficaci  dita ;  p^rch^  i  diavoli 
non  possono  sopportare  il  tremendo  odore  dell'Eucarestia  celebrata 
sull'altare  ». 

Poi  comanda  al  demonio  di  partirsi  «  dal  corpo,  dal  Cfr\*elIo, 
dal  polmone,  dalla  milza,  dal  fegato,  dal  cuore,  dal  ventncolo,  dallo 
stomaco,  dalle  gambe,  dalle  ginocchia,  dai  piedi.  dai  capelli,  daj^li 
occhi,  dagli  orecchi,  dalle  narici,  dalla  bocca,  dal  callo,  dafle  uni^hie^ 
dalle  vene,  dai  nervi,  dai  muscoli,  dalle  ossa,  dalle  arterie,  dai  quattro 
umori,  cio&  sangue,  colera,  flemma,  melanconia  <^  secondo  it  ritunle 
di  Santa  Madre  Chiesa,  cio^  secondo  Tesorcismo  formaie  ^  ultima 
ratio  regum  (e  non  secondo  la  semplice  forma  dello  scongiuro). 

E  gli  spiriti  che  occupano  « tutte  queste  parti  »  escono  partendosi 
etiandio  per  I'alveo  posteriore!  » 

Tuttavia  awiene  che  lo  spiritato  non  guarisca,  u  perche,  cume 
osservano  San  Tomaso  e  San  Bonaventura,  il  male  e  Incurabile 
«  perchfe  cos\  k  la  volonta  di  Dio,  0  perch^  i  parenti  privi  d'intelletto 
ricorrono  spesso  a  sortilegi  et  rimedi  vani  mescolando  in  essi  il  nome 
di  Gesu  Cristo  con  quelli  del  Demonio  ». 

Vi  credevano  per  disperazione,  perch^  nessun  rimedio  si  ritlene 
atto  a  guarire  un  solo   male,   ma  altri  ne  sono   su^geriti  dalla  spe- 


56  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

ranza  che  non  abbandona  i  parent!  e  lo  stesso  ammalato  finch^  non 
sia  morto. 

In  Sardegna  questi  mail  incurabili  sono  detti  males  de  sti  ocru 
fasUzuede  a'aera  mala;  mail  dell'occhio  molestatore,  del  malocchio, 
del  fascino,  e  deiraria  o  dello  spirito  cattivo. 

Lo  incantano  in  prosa  ed  in  poesia. 

In  prosa  a  Nuoro  dicono: 

Santu  Bantine  (o  Gantine),  Re  Imperadore  ispargat  custu  ocru  fastizu  ei  s'dera 
mala  in  custa  came  battizzada  e  cresimada  in  ICimene  de  Santu  lubanne  Battista. 

Deu  meu,  comente  dst  beru  et  beritade  chi  a  su  Fizu  bostru  ^zis  d^u  sa  cadira 
de  oro  pro  benfeighere  su  mare,  chin  sos  d6ichi  apostolos  gai  siat  beru  et  beritate 
de  isparghere  custu  ocru  fastizu  ei  s'aera  mala,  in  custa  carre  baltezzada  e 
cresimada  in  lumene  e  Santu  Giubanne  Battista. 

Traduzione:  San  Costantino,  Re  Imperatore,  distrugga  questo 
malocchio  e  questo  spirito  cattivo  in  questa  came  battezzata  e  cre- 
simata  in  nortie  di  S.  Giovanni  Battista  -  Dio  mio  come  k  vero  e 
verit^  che  al  figlio  vostro  avete  dato  il  trono  d'oro  per  benedire  il 
mare  coi  dodici  apostoli,  cos^  sia  vero  e  verity  che  egli  distrugga 
questo  malocchio  e  questo  spirito  maligno  in  carne  battezzata  e  cre- 
simata  in  nome  di  S.  Giovanni  Battista. 

Questi  scongiuri  in  prosa  ricordano  quelli  dei  Russi  citati  dal 
Comparetti  nel  classico  suo  lavoro  intorno  al  Kalevala  «  Pristani 
Gospodi  dobrumu  sdtnu  dielu  Sviaty  Petr  i  Pavel  »  (assisti  o  Signore 
a  questa  opera  buona,  San  Pietro  e  Paolo,  ejc). 

Quelli  in  verso,  nelle  tre  variant!,  ripetono  presso  a  poco  le  stesse 
ide6  e  superstizioni. 
A  Siniscola: 

Prima  po  Deu  e  po  nostra  Segnora, 
Su  Babbu  Eternu  ei  sos  santos*e  chelu. 
Santu  G6same  Santu  Damianu, 
Issos  bi  p6nzana  sa  manu. 
Santu  Brotu,  Gavinu,  Zoniare, 
Issos  curene  donzi  male. 
Santu  Austinu  autore 
Let  s'ocru,  sa  Aera  mala,  calesisia  dolore 
Santu  Austinu  un-det  leare 
S'dera  mala,  donzi  dulore  e  male. 


UN  LIBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  57 


A  Nuoro  : 


Bacca  mea,  bacca  bona.  P6ite  miiilas  sola? 

Mdilas  e  ad  itdu?  Ti  bdina  s'dmine  reu 

E  ti  nche  leada 

S^mbene  'e  coro  -  Silmbene  'e  mente. 

Ndula  h  Deu  -  chi  isparghet  sas  venas 

Sas  venas  ei  sas  funtanas 

Ispilrgat  cust'ocru  fastizu  -  ei  s'iera  mala. 

In  custa  carre  battizzada  -  e  carre  cresimada. 

In  fumene  Santu  lubanne  -  sa  ndula  siat  leadu. 

A  Nuoro,  Orune,  Bitti,  ecc. 

D^us  ei  sas  oras  bonas  -  Ei  su  sole  voras 
Bos  Maria  giamada  -  Po  fizu  bostru  cara 
Cara  po  fizu  bostra  -  E  po  sos  santos  tottu 
Santos  prtchene  sa  ruche  -  A  dare  su  mundu  luche 
De  SOS  chi  suntinproffundu-  Dare  luche  a  su  mundu 
Ei  tottu  sol  colondros  -  Sol  colondros  'e  su  chelu 
Maria  ei  s'angh^lu  -  Su  fizu  ei  su  D^us 
Su  D6u  padre  -  Comente  est  beru  beritade 
Sa  die  Pasca  Minore  -  E  de  su  Santu  Ist^vene 
G^i  siat  beru  e  beridade  -  De  isparghere 
Custu  ocru  fastizu  -  Custa  aera  mala, 
In  custa  carre  -  Battizzada  e  cresimada. 
In  lumene  de  -  Santu  lubanne  Battista 
Tdrrachelu,  torra  -  Su  simbene  a  petorra 
Tdrranchelu  vile  -  Su  s^mbene  a  gatile 
Torra,  torranchdddu  -  Su  s^mbene  a  cherbeddu 
Torranchelu  maccu  -  Su  s^mbene  a  su  brazzu 
T6rranchelu  moro  -  Su  sAmbene  a  su  coro. 

Tradwsione:  (Ti  scongiuro  o  male)  prima  per  Dio  e  per  Nostra 
Signora  -  Poi  pel  Padre  Eterno  e  per  tutti  i  Santi  del  Cielo  -  San 
Cosimo  e  San  Damiano  -  Essi  c\  p6ngano  la  mano  -  San  Proto  -  San 
Gabino  0  Gavino,  San  lanuario  (I  Santi  patroni  della  Provincia  di 
Sassari,  venerati  a  Porto  Torres)  Essi  curino  qualunque  male,  0  spirito 
chetu  sia  -  Sant'Agostino  autore  -  Tolga  il  fascino,  lo  spirito  cattivo, 
qualunque  dolore  -  Sant'Agostino  deve  portar  via  -  Lo  spirito  cattivo 
ogni  dolore  e  male. 

Arekiffio  per  U  tradiMioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  8 


58  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Vacca  mia  (anima  cristiana)  vacca  buona  -  Perch^  mugghi  sola, 
senza  aiuto?  -  E  mugghi  perch^?  -  Ti  rapisce,  ti  domina  ruomo  reo  - 
E  tt  porta  via  -  Sangue  dal  cuore,  sangue  dalla  mente  ti  tormenta 
neiranima  e  nel  corpo  -  O  nebbia,  o  spirito,  o  vento  sei  dipendente 
da  Dio  -  E^'li  che  distrugge  le  vene  d'acqua,  le  fontane  -  Distrugga 
questo  maledetto  fascino,  questo  spirito,  questo  vento  od  aria  cattiva  - 
In  questa  came  battezzata  che  ha  rinunziato  a!  diavolo,  cresimata, 
che  &  stata  confermata  nelia  rinunzia  a  lui  -  In  nome  di  S.  Giovanni  - 
La  nebbia,  lo  spirito  siano  portati  via. 

Viva  Dio  e  le  ore  buone  -  E  il  sole  venga  fuori  -  [Exsurgat  Deus 
fugite  partes  adversae]. 

Per  voi  Maria,  chiamata  cara  -  Cara  pel  figlio  vostro  -  Per 
i  Santi  tutti  insieme  invocati  -  Pei  Santi  che  preghino  la  croce  - 
Per  dare  al  mondo  luce  -  luce  che  domina  su  quelli  che  sono  diavoli 
nel  profondo  -  E  da  luce  e  forza  al  mondo  -  Per  tutte  le  colonne 
sulie  quail  poggia  il  mondo.  Per  tutte  le  colonne  sulle  quali 
poggia  il  cielo  -  Per  Maria  e  per  Tangelo  che  le  annunzi5  -  Per 
il  figlio  di  Dio  -  per  Dio  padre  -  Come  h  vero  e  verita  -  Che  egli 
^  nato  nella  Pasqua  piccola  di  Natale  -  E  di  Santo  Stefano  -  Cosl 
sia  vero  e  verita  -  Che  egli  distrugga,  questo  malocchio,  questo  malo 
spirits  -  In  questa  carne  battezzata  e  cresimata  -  In  nome  di  S.  Gio- 
vanni Battista.  Rit6rnaglielo,  ritorna  -  II  sangue  la  forza  al  petto,  ai 
polmoni  -  Rit6rnaglielo  vile  il  sangue  al  collo,  alia  coI15tola  al  capo  - 
Ritirnaglieio,  ritornaglielo  il  sangue  al  cervello  -  Tornaglielo,  o 
stupido,  il  sangue  al  braccio  -  Rit6rnaglielo,  o  moro,  o  crudele,  il 
sangue  al  cuore. 

Come  ha  notato  il  Comparetti  {Kalevala  ecc.  pag.  138)  molte 
forniule  magiche  dei  Finni  sono  apostrofi.  «  Di  dove  malanno  sei 
qui  giunto,  ti  sei  intruso,  o  morbo  f>ervcrso.^  Ti  sei  appiccato  alia 
pelle  del  miserello,  del  figlio  di  mamma?  ». 

E  qui  nel  belvu  0  verba  sardo  b  detto:  ti  comando,  restituisci 
la  salute  al  miserello;  come  in  altro  carme  sardo  citato  ^  detto :  B^t- 
tadiche  in  mare  chi  ti  lu  cumandu  -  gettati  in  mare  che  te  lo  impongo, 
0  come  dice  il  tietaja  finno:  mene-tuonne-Kunne  Kasken  -  vai  cola 
dove  ti  mando. 


I 


mnn^^^^^mg^^m 


UN  UBR0  Dl  ESORCISMI  DEL  l^^^  5c) 

II  Bell 'aver  accenna  alPipnotisino  che  esorcizz:mte  ed  esi>rcizzau^, 
suggestionandosi  a  \icenda  veni\"ano  a  patire  dalhi  nioltipIiciiA  Jet 
dolori  e  delle  diverse  parti  del  corpx)  addolorato,  ed  alia  consej^iK^nte 
credenza  che  lo  spirito  cattivo,  o  gli  spiriti  tossero  in  di\*ersi  ed  in 
diverse  parti  del  corpo.  «Si  dee  ricercare,  et  domandare  se  st  no  in 
molti,  o  se  ^  uno,  interrogando  per  quale  causa  et  \ia  et  qiunJi* 
siano  entrati  et  quando  et  per  cui  debbano  essere  discacciati  eiquali 
parole  piii  loro  crucino  et  cose  simili  et  permette  quando  \iene  asta^lto 
cogli  essorcismi  di  dovere  uscire,  il  giomo  et  data  per  fare  ciie  si 
finisca  Tofficio  ».  II  che  oggi  giorno  si  direbbe  av-xenire  px?r  ipnotismo 
e  per  suggestione,  mentre  allora,  e  nel  volgo,  anche  o^iiidl  eni  artri* 
buito  al  demonio.  «  Le  donne,  osservav-a  TAutore,  sono  tropjx)  j\ide 
et  ansiose  et  facili  a  prestar  fede  ad  ogni  cosa  e  appena  sc(*rgoni> 
storcimento  di  membri  o  segni  d'umore  matricali  e  melanconici  subito 
pensano  che  siano  spiriti,  imprimendo  cid  nella  fantasia  ana*  thgii 
aUri  di  casa^. 

Oggidl  nei  manicomi  comuni,  musica  e  canto,  e  lavori  di  giur- 
dinaggio,  e  passeggiate  all'aperto,  e  la  idroterapia  e  consigli  di  medici 
gravi  ed  autorevoli  riescono  a  curare  efficacemente,  se  non  a  guar)  re 
per  intero  i  nevrotici^  e  gli  squilibrati. 

Nei  manicomi  criminali,  se  i  pazienti  sono  guardati  con  m inure 
affetto,  sono  certamente  curati  con  eguale  cura.  II  diavolo  non  #  piii 
cercato  dentro  il  loro  corpx),  ma  nelle  tradizioni  della  loro  fanii^lia, 
nelle  patite  malattie  di  tifo,  nelle  percosse  ricevute  nel  capo,  no^ll 
spaventi  patiti,  nelle  cause  molteplici  che  deturpano  la  psicho,  v  rmi- 
dono  minore  la  responsabflita  degli  atti. 

La  separazione  della  medicina  dal  sacerdozio  ^  ammessa  dalla 
stessa  Chiesa:  gli  esorcismi  consacrati  nei  messali  rimangono  quale 
documento  storico  di  un  tempo  ormai  passato. 

La  diagnosi  delle  malattie  nervose  nonpotrebbe  essere  mcj^Iio 
descritta  di  quello  che  il  BeirHaver  fa  nel  suo  libro.  «  Gli  indcmo- 
niati  egli  scrive,  portati  innanzi  agli  essorcisti  ricevono  noja  dalle 
parole  sacre  »  come  del  resto  i  matti  la  ricevono  anche  dalle  pnrnlL* 
non  sacre,  e  da  tutti  i  rumori  che  arrecano  dolore  agli  amniMlnii; 
senza  aggiungere  col  BeirHaver  «che  gli  spiriti  hanno  in  tanto  odiu 


6o  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPoLARI 

le  parole  sacre  che  fuggono  innanzi  Tessorcista,  o  fingonsi  pazzi,  e 
ricusano  di  parlare  )►.  k  strano  poi  che  il  Bell'Haver  si  da  I'aria  di 
uomo  pratico,  e  nemico  delle  superstizioni  dando  sulla  voce  a  coloro 
che  asserivano  essere  latino,  o  greco  il  linguaggio  parlato  dal  demonio. 

«  lo  non  so  d'haver  mai  sentito  il  demonio  parlare  latino,  nh 
meno  usare  aitri  linguaggi  (i  sardi  dicono :  fa^ddana  in  limha  miacia 
muredda  parlano  in  lingua  di  gergo  con  parole  miste  di  arabo  o  moro) 
se  forse  alcune  volte  con  qualche  malo  fine  non  havessono  formate 
parole  mozze  et  senza  senso  o  scurrili  per  far  perdere  la  divozione. 
Allora  il  piu  sicuro  remedio  h  di  imporgli  silenzio  {caglia  maleittu, 
taci  maledetto  -  dicono  in  Sardegna)  ».  Povero  buon  senso,  faceva  ca- 
ceva  capolino  anche  allora! 

LMdea  di  un  essere  incorporeo  di  natura  demonica  che  accompagna 
in  ogni  cosa  e  vi  presiede,  e  vi  domina,  genius  loci,  genius  fluminis, 
aut  montis,  si  applica  pure  all'uomo.  I  Finni  lo  chiamano,  come  dice 
il  Comparetti  (pag.  114)  haltiay  e  ogni  popolo  gli  da  un  nome  speciale. 
II  povero  Tasso  era  talmente  persuaso  di  avere  il  suo  haltia  che 
pregava  il  grande  inquisitore  di  levarglielo  di  torno.  BeirHaver  lo 
constata:  «  Alcuni  sono  soliti  avere  talmente  la  impressione  fissadi 
essere  ispiritati,  nata  per  avventura  da  travagli,  humori  malinconici 
che  con  gran  difficolta  si  pu6  levare  dalla  mente  loro  ». 

Chiunque  ha  visitato  i  pietosi  ricoveri  dei  pazzi,  ha  potuto  essere 
informato  da  quanti  e  quanti  esseri  demonici  si  credano  posseduti 
gli  infelici  abitatori  di  quel  luoghi. 

II  pio  esorcizzatore  avvertiva  per6  i  suoi  colleghi  di  stare  in  guardia 
dalle  indemoniate  giovani  et  belle,  «  Mostrasi  bene  sf)esso  trovandosi 
nel  corpo  di  qualche  giovane  che  il  Sacerdote  la  tocchi  acci6  ne 
segua  delettazione  et  pensieri  carnali,  epper6  bisogna  che  il  Sacerdote 
sia  cogli  occhi  e  col  gesto  casto  e  pudico  ».  Adelante  Pedro  cun 
juicio,  et  cuidado  con  las  muheres! 


UN  LIBRO  Dl  ESORCISMI  DEL  1616  61 


4.  Malefid,  malefidati,  magia. 

L'indemoniato  era,  per  i  tempi  del  BeirHaver,  ruomo  tormentato 
a  uno  o  piu  spirit!  per  volonta  di  Dio ;  al  maleficiato  invece  recavan 
danno  gli  uomini  per  mezzo  del  demonio  0  per  opere  diaboliche,  0 
credute  tali,  doppia  suggestione  perch^  Tagente  ed  il  paziente  crede- 
vano  nel  medesimo  errore. 

La  chiesa,  erede  delle  credenze  antiche  combatteva  il  maleficio 
quale  arrogazione  di  potere  divino.  II  BeirHaver  si  faceva  forte  delle 
parole  del  Levitico:  interficiam  animam  quo  declinaverit  ad  magos 
et  fomicata  cum  eis  fuerit,  e  sentenziava  colle  parole  delPEsodo: 
malefico  non  patieris  vivere.  E  cita  il  fatto  di  una  donna  (ventriloqua) 
sanese  la  quale  faceva  parlare  un  cane  nero  (suggestione  del  colore) 
con  voci  quasi  umane,  quindi  il  Governatore  di  Roma  et  il  papa  la 
fecero  abbruggiare  col  cane.  «  Non  hanno  i  demon!  polmone,  n^ 
lingua,  n^  denti,  egl!  osservava,  ma  per  essere  eglino  di  molta  intel- 
ligentia,  et  il  concetto  della  mente  ispiegare  volendo  non  lo  esprimono 
colle  voci,  ma  con  alcuni  suoni  che  le  rassembrano.  Et  anco-si  ser- 
vono  deiraria  non  gia  respirata  et  attratta  come  negli  huomini  ma 
rinchiusa  et  serrata  nell'assunto  corpo,  quale  percuoteno  et  artico- 
latamente  poi  sino  alle  orecchie  dell'uditore  mandano  suoni  ». 
Dante  avrebbe  potuto  dire: 

Che  dove  I'argomento  della  mente 
S'aggiunge  al  mal  volere  ed  alia  possa 
Nessun  riparo  vi  pu6  far  la  gente. 

Lo  stesso  potere  giudiziario  credeva  ne!  malefic!,  e  quindi  i 
presunti  re!  prima  d'essere  sottoposti  alia  tortura,  od  alle  interrogazioni 
erano  purgati,  rasati  nella  barba,  nei  capelli,  spogliati  degl!  abitini, 
delle  medaglie  che  tenevano  al  collo,  benedetti  e  ribenedetti  da!  sa- 
cerdoti.  «  La  beneditione  della  Chiesa,  con  modi  efficaci  scritti  nei 
libri  approvati  sopra  I'oglio  benedetto,  col  mezzo  delle  untioni  mani- 
festa  il  maleficio  giovando  Poglio  al  vomito  et  alia  evacuatione  di  fat- 
ture  occulte  e  ad  altri  mal!  incogniti,  poich^  il  modo  per  fatture  et 


62  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

malle  si  rende  piu  difficile,  anzi  talhora  quasi  incurabile.  Fatture 
che  accendono  alle  libidini  con  cibi  et  beveraggi  et  erbe,  et  nodi  et 
parole  magiche  ». 

Nel  canto  XX  deir Inferno,  Dante  ricorda 

le  triste  che  lasciaron  Tago 

La  spola  e  il  fuso  e  fecersi  indovine 
Fecer  malie  con  erbe  e  con  imago. 

E  Tanonimo  commentatore  fiorentino  spiega  «  Puossi  fare  malte 
p)er  virtu  di  certe  erbe  e  mediante  alcune  parole,  o  per  immagine  di 
cera  od  altro,  fatte  in  certi  punti  e  per  certo  modo  che,  tenendo 
queste  immagini  al  fuoco,  o  ficcando  loro  spilletti  nel  capo,  cosl  pare 
che  senta  colui  a  cui  immagine  elle  son  fatte,  come  la  immagine 
che  si  strugga  al  fuoco. 

La  scrittura,  questo  accordo  di  segni  convenzionali  rappresen- 
tanti  visibilmente  il  vocabolo,  domina  Tocchio  e  Torecchio,  dai  piil 
remoti  secoli.  Nel  Ramajana  Indragit  incanta  con  iscrizioni,  i  dardi, 
Tarco  la  spada  di  Rama:  neir^dda,  Brunilde  scolpisce  sulla  spada 
dell'eroe  Sigurdi  misteriosi  caratteri  portanti  sempre  vittoria :  parlare 
(in  ebraico),  vale  scrivere  e  governare.  Perch^  come  osserva  S.  Ago- 
stino,  la  parola  sussiste  ancora  dentro  Tuomo  medesimo,  dopx)  che 
egli  rhaletta,  od  k  passato  il  suono  esterisre  uscito  dalla  sua  bocca. 
Ed  ^  vero.  Invano  Cicerone  soggiunge:  e  che?  sei  tu  costretto  a 
credere  ai  suoni?  Comunque  essi  si  giovino,  di  sentenze,  di  ritmi^ 
di  canti  tu  non  devi  riconoscere  in  essi  alcun  potere  {De  divinatione). 
L'uomo  questo  potere  piu  lo  sente,  quanto  meno  pensa :  maledizioni 
e  benedizioni  sono  di  parole  eppure  grandissima  azione  esercitano 
presso  qualunque  popolo. 

Una  dente  morale 

Boco  a  perilulas  iscrittas. 

(Un  dente  molare.  Estraggo  con  parole  scritte,  con  breve  scritto, 
dicono  in  Sardegna). 

In  Sardegna  dicono  ed  io  traduco: 

A  Siligo  quando  le  donne  si  fanno  le  treccie,  i  capelli  che  restano 
nel  pettine  li  ripongono  e  conservano  in  un  luogo  (ad  esse  noto) 
perch^  non  li  veda,  (per  non  lasciarli  vedere)  nessuno.   Imperocchfe 


UN  UBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  63 

credono  che  coi  capelli  la  gente  magiaria  0  fattucchiera  faccia  qualche 
magia  in  danno  di  esse  donne,  bench^  le  padrone  (nel  riporre  i  capelli) 
dei  capelli  ci  facciano  sopra  il  segno  della  croce.  Dope  che  sono 
morte  va  a  quel  luogo  dove  hanno  nascosto  e  custodito  i  capelli 
qualche  persona  da  esse  morte  inviata  e  li  ritira,  e  in  questo  mode 
credono  che  sono  salve  (d'essere  salve)  da  ogni  diabolica  magk.  Se 
le  morte  avevano  figlie  o  altre  persone  fidate,  lor  fanno  sapere, 
prima  di  morire  dove  hanno  nascosto  i  capelli  proprii  e  lor  danno  la 
raccomandazione  che  dopo  che  muoiono  (quando  saranno  morte) 
prendano  tutti  quel  capelli  e  li  pongano  nella  loro  cassa  mortuaria. 
A  Siniscola  se  uno  non  pu6  (stenta  a)  morire,  si  fan  chiamare 
coloro  che  egli  aveva  in  odio  per  perdonare  ad  essi,  oppure  gli  pon- 
gono  un  giogo  di  buoi  sotto  la  nuca,  o  chiamano  i  preti  che  ven- 
gano  a  levar  loro  lo  scapolare,  se  lo  porta,  oppure  i  brevi,  le  carte 
scritte  che  {X)rti  il  malato  sopra  la  persona. 

Ripetendo  ci6  che  diceva  jxkto  addietro  il  commentatore  di 
Dante:  «  Maleficio,  scrive  BelPHaver,  k  quando  si  da  a  mangiare  0 
bere  alcuna  cosa  ordinata  a  male,  0  si  unge  con  qualche  oglio  0  li- 
quore  composto  per  opera  diabolica,  od  istrumento  maleficiante  fabbri- 
cando  figure  ove  un  tale  ficcher^  un  ago  od  altra  cosa  in  quella  parte 
dove  desidera  alcun  suo  inimico  e  con  la  invocatione  del  dimonio  fa 
fare  un  segno  che  corrisponda  a  quel  membro  del  corjx)  quale  intende 
danneggiare  nella  figura  ascosa.  Et  s'^  osservato  che  non  cessa  il 
dolore  fino  a  che  non  si  leva  il  segno  neirimmagine  ». 

«  E  uno  ispiritato  narr6  che  un  uomo  era  stato  stregato  con  una 
torta  legata  con  filo  in  tre  groppi  e  altrettante  pille  di  piombo  et  una 
carta  che  conteneva  la  natura  di  una  signora  con  le  lettere  del  nome 
di  lui  et  di  lei  insieme,  et  che  doveva  stare  tre  giorni  a  sclogliersi  ». 

La  magk  dei  vultus  in  Francia  nel  secolo  XVII  (i  tempi  di 
Luigi  XIV  delle  dragonnadesy  delle  stragi  dei  Protestant!  delle  Ce- 
venne  «  che  non  credean  nel  suo  confessor »  dice  Carducci)  era  co- 
munissima.  Clero  e  nobilta  prepotenti,  quindi  Tera  delle  superstizioni 
e  delle  streghe,  Tera  del  rogo  di  Giordano  Bruno! 

1  selvaggi  del  Gran  chaco  non  volevano  dal  Mantegazza  essere 
fotografati  perch^  tenevano  magk  nella  fotografia,  n^  voile  mai  essere 


6^  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

fotografato  Ras  Alula,  nh  cedere  ciocche  de'  suoi  capelli  f)erch^  te- 
meva  di  ricever  danno  invisibile  nella  persona.  A  Carpeneto  d'Acqui 
una  mgazza  che  sapeva  il  suo  fidanzato  soldato,  sposo  ad  una  ra- 
ga2za  siciliana,  tent6  di  distaccarlo  dalla  rivale  col  forare  con  uno  spillo 
che  aveva  toccato  un  morto,  gli  occhi,  e  la  bocca  del  ritratto  che 
aveva  del  suo  promesso,  affinch^  lo  sleale  tornasse  all'antico  amore. 

«  Accendono  alle  libidini  (i  demonii)  e  tirano  alle  voglie  proprie 
con  certe  misure  et  com  position!  fatte  di  foglie,  herbe,  et  radici  et 
metal li,  pietre,  membri  di  uccelli  pesci  o  serpenti,  Li  maleficiati  so- 
gliono  talora  vomitare  chiodi,  capelli,  pietre  et  altre  somiglianti  che 
vengono  dal  Demonio  realmente  et  con  maniera  invisibile  fabbricate». 
I  Sardi  combattono  queste  fattucchierie  con  sas  rezettas. 

Le  TBs^ettas  sono  pezzettini  di  nastro  nero,  larghi  come  un  lo 
centesimi,  cucitl  alKingiro,  e  vi  mettono  (dentro)  le  erbe  segnate, 
verbasco,  la  Valeriana  (erba  dei  gatti  perch^  li  ubbriaca)  tre  pietrine, 
grumoli  di  sale,  e  le  legano  al  collo  colla  cordonera,  oppure  le  cuciono 
sulle  spalle,  e  ai  bambini  le  appiccano-attaccano  al  corpetto,  al  farsetto 
sulle  spalle.  Si  dice  che  nell'ultima  notte  dell'anno,  la  Morte  esce  in 
giro  per  col  pi  re  carfare  (F  X  P)  tutta  la  gente  che  deve  morire  entro 
I'anno.  Affinch^  la  Morte  non  entri  in  casa,  usano  di  porre  sopra  la 
soglia  rezzettas  od  una  paletta  di  cenere.  La  morte  si  ferma  a  contare 
le  rezzettas  od  i  grani  di  cenere,  e  non  entra  in  casa.  All'ora  delje 
galline  (puddas)  bisogna  ritirarsi,  perch^  se  no  non  ^  piu  ora,  si  fa 
tardi.  Camminano  allora  per  la  terra  i  morti,  si  fanno  vedere  in  corpo 
di  serpi  colftras  (coluber),  parlano,  e  comunicano  la  gente,  e  chi  si 
lascia  comunicare^  muore  nell'anno. 

W  cuito  dei  morti,  degli  antenati,  che  ^  diffusissimo  nella  Cina, 
nella  Sardegna  ha  lasciato  molte  traccie.  Molti  del  popolo  usano  ta- 
tuaggi  {gia  vietati  agli  Ebrei)  di  famiglia,  chiamati  sas  pungas,  da 
piiughere,  pungere  incidere.  Fdgher  pungas,  significa  per5  fare  malie 
in  |2:enerej  per  ottenere  guarigioni,  per  avere  fortuna,  trovare  tesori, 
com  porre  amuleti,  flltri,  atti  a  guarire  tutte  le  malattie  delle  quarte 
pagine  dei  giornali,  per  far  comparire  gli  spiriti  dei  morti.  Lepungas 
mostrano  perb  che  dal  culto  delle  forze  naturali  i  popoli  passarono  al 
monoteismo,  perch^  tutte  sono  in  relazione  col  credenze  cristiane. 


UN  LIBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  65 

Per  avere  fortuna  per  ritrovare  tesorl  in  Sardegna  invocano  San 
Silvestro  e  S.  Basilio,  il  Silvanus  Deus  preromano,  il  Re  dei  Tesori 
precristiano,  perchi  i  metalli,  I  tesori  sono  soltanto  dentro  il  suolo. 

Santu  Silvestru  donnu  -  Ml  benzat  i-ssu  sonnu 
Mi  n^lzet  cosas  de  piaghere  -  E  cosas  de  alligria 
De  cantu  appo  a  passare  -  Issa  vida  mia 
Santu  Basile  donnu  -  Benldemi  1-ssu  sonnu. 
Issu  sonnu  mi  bennides  -  E  diitemi  a  ischire 
Su  ch'appo  de  patire  -  Su  ch'appo  de  passare. 
Si  mi  cojuo  in  cust'annu  -  S'ido  s'amoradu, 
E  tottu  canto  custu  -  Issonnu  mi  narr&des. 
Fogu  ardente  -  Banca  apparizzada, 
Sa  fortuna  mia  -  Siat  dicliiarada. 

Tradusione :  San  Silvestro  Signore,  padrone  {domnul  dei  Rumeni) 
Mi  venga  nel  sonno  -  Mi  dica  cose  di  piacere  -  E  cose  di  allegria  - 
Mi  informi  di  quanto  ho  da  passare  -  Nella  vita  mia.  Santo  Basilio 
(dicono  anche  Santu  'Asile)  Signore  Venitemi  nel  sonno  -  In  sonno 
mi  venite  -  E  datemi  fatemi  sapere  -  Ci6  che  soffrir6  -  Ci5  che  pas- 
ser6  -  Se  mi  coniugo  in  quest'anno  -  Se  vedo  Tamante  -  E  tutto 
quanto  questo  -  Nel  sonno  ditemi  -  Fuoco  ardente  -  Tavola  appa- 
recchiata  -  La  fortuna  mia  sia  dichiarata. 

San  Silvestro  h  uno  dei  Santi  ricordati  nei  carmi  incantatorii  dei 
Calabresi  e  degli  Abbruzzesi. 

11  BeirHaver  asseriva  che  Tanima  di  qualche  maleficiato  pu6 
uscire  dal  corpo,  andare  allMnferno  od  al  purgatorio,  mentre  un  de- 
mone  od  un  angelo  invocati,  animavano  il  vedovo  corpo  ed  agivano 
come  da  padroni  veri,  e  non  da  inquilini.  Questa  superstizione  che 
si  riferisce  anche  all'aitra  della  trasmigrazione  di  uno  spirito  [che  ha 
gia  vissuto  in  un  corpo]  ad  altro  corpo,  h  comunissima. 

Dice  Virgilio  nel  IX  dell'Inferno : 

Ver  ^  clie  altra  fiaba  quaggiCi  fui, 

Congiurato  da  quella  Eritton  cruda 

Clie  ricliiamava  I'ombre  ai  corpi  sui 

Di  poco  era  di  me  la  came  nuda 

Che  ella  mi  fece  entrare  dentro  a  quel  muro 

Per  trame  uno  spirito  del  cerchio  di  Giuda. 

Arehivio  per  le  trcuiiBioni  popolari.  —  Vol.  XXUI.  9 


66  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Virgilio  era  stato  insomma  un  anima  ostaggio,  che  era  tornata 
nel  mondo  perch^  costretta  lasciando  altri  in  sua  vece  nel  Limbo. 
Frate  Alberigo  nel  XXXIII  dell'lnferno  dice  a  Dante: 

Come  il  mio  cDrpo  stea 
Nel  monJo  su  nulla  scienza  porto. 
Cotal  vantaggio  ha  questa  Toloraea, 
Che  spesse  volte  Tanima  ci  cade, 
Innanzi  che  Atrop6s  mossa  le  dea. 

il  corpo  suo  r^  tolto 

Da  un  dimonb  che  poscia  il  govema 
Mentre  che  i\  tempo  suo  tutto  sia  volto. 

E  qui  si  ricorda  Branca  Doria  che  b  gia  allMnferno,  prima 
della  morte,  e  ancora  man^ia  e  beve  e  veste  panni. 

La  epilepsia,  le  convulsioni,  il  delirio  spiegano,  Topinione  comune 
ricordata  dal  BelKHaver.  In  Sardegna  usanoquesto  scongiuro da  J^rtfon 
cruffa  cristianizzata,  Vanno  in  chiesa  invocano  il  morto,  gli  ordi- 
nano  di  mettere  il  suo  piede  sinistro  sopra  il  destro  del  vivo. 
\\  morto  compare,  ed  ecco  il  dialogo  col  vivo; 

M-ite  bies  (die  cof^a  vedi)  -  V.  Nudda  (nulla)  -  M.  Mirabene  (guarda  bene) 
V.  M'&  passadu  una  cosa  fritta  a  subra  su  pe  (m*6  passato  una  cosa  fredda  sopra 
11  piesie)  -  M.  Cussii  so  eo  [ttuesta  son  io)  -  B^ni  megus  (vieni  meco).  E  poscia 
vanno  dove  vogliono. 

La  stessa  Divina  Commedia  non  e  che.  una  visione.  II  buon 
popolo  di  Verona  (che  vedeva  Dante  nella  Corte  di  Can  grande) 
nel  coiorito  fosco,  e  nel  vi.so  delPAlighieri  che  pareva  essere  stato 
troppo  accarez^^ato  dal  sole,  aveva  la  certezza  che  il  poeta  andasse 
all'inferno  e  tornasse  a  sua  posta. 

Sono  stato  all 'inferno  e  son  tomato, 
Misericordial  la  gente  che  c'era. 

dice  un  canto  popolare  toscano  della  Raccolta  del  Tigri. 

Cili  amuleti,  i  brevi  (chiamati  in  Sardegna:  le  carte  scritte:  sos 
pabilos  wcritios,  oppuresas  peraulas  iscriiias)  mes^i  in  ridicolo  da 
Franco  Sacchetti,  fan  parte  di  quelParmamentario  minore  col  quale 
venivano  aiutati  gli  scongiuri  e  gli  esorcismi. 

Gli  amuleti  sono  senza  iscrizione. 


'^mm 


UN  LIBRO  DI  ESORCISMI  DEL  1616  67 

In  alcuni  paesi  della  Provincia  di  Parma  i  contadini  mettono  al 
collo  dei  loro  bambini  un  pezzetto  di  giada  nefritica  —  attaccata  ad 
un  cordoncino  bianco  ed  azzurro  —  e  chiamata  la  preda  dla  paura, 
la  pietra  contro  la  paura. 

In  Sardegna,  alio  stesso  scopo  mettono  una  conchiglia  univalva, 
detta  ivi  sdrigM,  la  quale  si  trova,  e  raramente,  nei  vecchi  Nuraghi : 
mettono  pure  un  ciuffo  di  peli  di  volpe,  una  zanna  di  cinghiale  (su 
sirbone,  0  su  porcabru)  un  fiocco  di  lana  rossa  (iresione  dei  Greci) 
uno  scarabeo  in  bronzo,  proveniente  forse  dalla  necropoli  della  egi- 
ziana  Tharros. 

Oltre  la  croce,  in  metallo,  in  corallo,  in  osso,  al  collo  di  un 
vecchio  della  Provincia  di  Sassari  (non  mi  ha  voluto  dire  di  qual 
p)aese)  ho  vista  un  disco  d'argento  che  inchiudeva  due  triangoli,  i 
quali  portavano  iscritto  Tuno  il  numero  8  e  Taltro  il  numero  9. 
II  vecchio  chiamava  quel  disco:  sa  contramazinay  la  contro- 
malia. 

Nel  Monferrato  non  usano  porre  amuleti  al  collo  dei  fanciulli, 
ma  agnus-dei,  e  scapulari,  e  brevi.  Generalmente  ^  il  breve  di  San 
Francesco  che  si  porta  dai  fanciulli  (notissimo  e  diffusissimo  per 
tutta  Italia)  chiuso  in  uno  scapolare  del  medesimo  santo. 

Riassumendo  le  osservazioni  fatte  ed  occasionate  dalla  lettura 
del  libro  del  BelPHaver,  si  conclude  che  la  medicina  ed  il  sacerdozio, 
originati  ambedue  da  una  sola  credenza,  quella  dei  morti,  sono  oramai 
separati  e  distinti. 

La  vita,  come  osserva  Herbert  Spencer,  ^  un  adattamento  ma- 
teriale  e  spirituale  aH'ambiente  per  le  nazioni  e  per  gli  individui.  La 
Chiesa  si  ^  arresa  molto  piu  lentamente  della  medicina  alia  vittoria 
della  osservazione,  perch^  il  Sacerdozio  latino  —  in  generale  —  fino 
ai  giorni  nostri  —  non  ha  studiato.  —  Ora  perduto  irremissibilmente 
il  Potere  Temporale,  il  Clero  si  trova  in  condizione  di  sentire  le  pa- 
role di  Gesu  Cristo  rammentate  dal  Capo  VIl  del  Vangelo  di  San 
Marco.  La  vita,  come  osserva  lo  Spencer,  b  un  adattamento  materiale 
e  spirituale  aH'ambiente,  nelle  nazioni  e  negli  individui,  e  la  Chiesa 
s'^  dovuta  acconciare  a  tale  adattamento.  Una  gran  prova  ce  ne  da 
nella  rinnegazione,  o  almeno  nella  ufficiale  dimenticanza  degli  scon- 


68  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

giuri  e  degli  esorcismi,  lasciati  da  parte  anche  quando  la  ignoranza 
li  richiederebbe. 

L'errore  delia  cacciata  del  male  con  mezzi  soldateschi,  preisto- 
rici,  dal  corpo  umanOj  si  ^  trasformato,  ma  non  fe'  morto.  C'^  ancora 
la  credent  nei  medium,  nelle  tavole  parlanti,  nei  rimedi  ciarlata- 
nescameiite  piibhiicati  sulta  quarta  pagina  del  giornali.  L'uomo  ha 
bisagno  di  jlkidersi,  e  quindi  ben  diceva  Lopez  De  Vega: 

lo  mas  bien  es  pequeno, 

Y  toda  la  vita  es  saeflo, 

Y  las  su&ms,  suenas  son. 

Cunefff  //  Giugno  1^04, 

G.  Fbrraro. 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PIEMONTESI 


I.  Bel  porno  e  bella  scorza.  '^ 

Cera  una  volta  un  padre  che  aveva  due  figliuole.  Dovendo  e^^li 
intraprendere  un  viaggio,  disse  alle  figliuole:  Che  volete  cfie  io  vi 
porti  ?  La  prima  disse :  «  Io  voglio  un  porno  » ;  e  la  secondn  disse ; 
«  Io  non  voglio  nulla  ».  II  padre  parti,  e  tanto  cerc6  flnch^  gli 
venne  fatto  di  trovare  quel  fX)mo,  e  Io  port5  alia  sua  fi^liuoki;  la 
quale,  contenta,  alia  fine  del  pranzo  Io  niangi6  e  ne  diede  la  scorza 
alia  sorella. 

Dopo  molti  anni  si  maritarono  tutte  e  due,  ed  a  tutte  e  due 
nacque  un  bel  bambino;  al  quale  la  prima  pose  nome  Bel  porno, 
e  la  seconda  Bella  scorza.  Quando  furono  cresciuti  Bel  porno  iana- 
moratosi  della  figlia  del  re,  andava  spesso  a  vederla. 

Un  giorno,  guastatasi  la  linea  della  ferrovia,  non  poteva  andaria 
a  vedere  se  non  percorrendo  la  strada  in  vettura.  Allora  disse  a  Bella 
scorza  d'andarlq  ad  accompagnare. 

Bella  scorza  attacc6  il  cavallo  alia  sua  vettura  e  tLitti  due  si 
incamminarono.  Giunti  ad  un  bel  luogo  ombroso  si  fermarono,  Bel 
pomo  s'addorment6  e  Bella  scorza  stette  a  far  la  guardia.  Di  II  a 
poco  venne  un  uccellino  il  quale  disse :  «  Guarda ,  Bella  scorza ,  la 
strada  per  la  quale  dovrai  passare  ^  piena  di  millepericoli:  prima  dovrai 


i)  Questa  novella  e  comune  ad  altri  paesi  d'ltalia  specialmente  Superiore;  ma  la 
fede  Che  le  popolazioni  delle  Langhe  hanno  nella  virtii  delle  erbe  e  nej^ll  unguenti 
salutari,  d  di  tuttl  i  popoli,  in  modo  particolare  del  latini. 


70  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

passare  una  pianura  che  ^  di  vetro  coperto  di  sabbia,  e  se  tu  non 
prenderai  quel  vasetto  che  ^  entro  quel  muro  e  non  ungerai  le  ruote 
alia  vettura  ed  1  piedi  del  cavallo,  sprofonderal  sotto  terra.  Di  poi 
giungerete  ad  un  palazzo,  ove  saranno  tante  belle  giovinette  che  vi 
inviteranno  a  manglare  ed  a  here;  tu  non  ci  andare  se  non  vuol 
essere  awelenato.  Poi  giungerete  alia  casa  deUa  figlia  del  re.  Alia 
sera  tutti  andranno  a  dormire  e  lascieranno  te  vicino  al  focolare.  In 
sulla  mezzanotte  verra  giu  daf  fornello  un  serpente  e  se  tu  non  gli 
taglierai  la  testa  esso  ti  mangera  ». 

Volato  r  uccelletto,  Bel  pomo  si  svegli5  e  tosto  sMncamminarono. 
Giunti  in  quella  pianura  Bella  scorza  scese  di  carozza,  unse  le  ruote 
della  vettura,  i  piedi  del  cavallo  suo  e  di  Bel  pomo.  Passata  la  pia- 
nura giunsero  al  palazzo,  e  tosto  le  giovinette  si  fecero  loro  attorno, 
invitandoli  a  scendere. 

Bel  pomo  si  lasciava  vincere,  ma  il  furbo  cugino  gli  disse:  «  Guai 
a  te  se  scendi  ».  Dopo  un'infmita  di  parole  poterono  continuare  il 
loro  cammino. 

Giunsero  al  palazzo  reale,  in  sul  far  della  notte;  entrarono  in 
casa  e  si  sedettero  a  tavola,  e  dopo  cena  gli  altri  andarono  a  dormire : 
e  Bella  scorza  fu  lasciato  vicino  al  fuoco.  In  sul  far  della  mezzanotte 
venne  giu  un  serpente ,  ed  esso  lo  uccise.  Appena  ucciso  questo  di- 
vent6  un  uomo  e  Bella  scorza  per  nasconderlo,  lo  gett6  nella  cantina 
sotto  i  fusti  di  vino.  Intanto  alia  mattina  la  figlia  del  re  cercava  il 
suo  domestico  e  diceva:  «  Chissi  dove  saraandato?  ».  Finch^,  di- 
scesa  nella  cantina,  lo  trov5  cadavere.  «  Chissa  chi  Tavra  ucciso!  » 
gridava.  Bella  scorza  disse:  «  Tho  ucciso  io  ». 

Allora  la  figlia  del  re  disse  a  Bel  pomo :  «  Se  tu  non  uccidi  tuo 
cugino,  io  non  ti  sposer5  ».  —  Bel  pomo  per  paura  di  non  sposare 
ia  figlia  del  re,  prese  suo  cugino  e  lo  condusse  lontano  dalla  citta  e 
voleva  ucciderlo.  Allora  Bella  scorza  disse :  «  Quante  volte  io  ti  ho 
salvato  dalla  morte?»  — e  gli  raccont5  tutto  ci6  che  gli  aveva  detto 
I'uccellino.  Ma  Bel  pomo  non  voile  ascoltare  e  Tuccise.  And6  a  casa, 
ma  era  sempre  melanconico  e  triste,  fmch^  una  vecchia,  un  giorno, 
gli  disse:  4(  Che  avete,  che  siete  cosl  triste?  »  ed  egli  ne  raccont5 
la  cagione.   La  vecchia  disse :  «  Andate  nel  luogo  ove  avete  ucciso 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PlEMONTESl  71 

vostro  cugino  e  troverete  nella  muraglia  un  piccolo  vaso ;  ungete  col- 
Tunguento  contenuto  nel  vasetto  il  corpx)  di  vostro  cugino,  ed  esso, 
piu  bello  di  prima,  vi  ritornera  innanzi  >►. 

Bel  pomo  cosl  fece,  e  vide  risuscitare  il  suo  amato  cugino  ed  il 
suo  salvatore. 


II.  Giovanoi  il  forte.  '^ 

Un  padre  aveva  un  figlio,  il  quale  un  giorno  disse:  «  Padre 
mio,  io  voglio  andare  a  girare  il  mondo  a  farmi  una  fortuna  ».  II 
padre  gli  disse:  «  Ebbene  vattene  pure,  Iddio  ti  protegga».  Giovanni, 
che  era  di  una  forza  straordinaria,  parti  ed  and6  da  un  signore,  e 
gli  domand5  se  aveva  bisogno  di  un  servitore.  II  padrone  raccett5, 
ma  nel  conchiudere  pel  salario  il  giovane  disse:  «  Io  non  voglio  altro 
se  non  che  alia  fin  delPanno  mi  permettiate  di  darvi  uno  schiaffo  e 
un  calcio  >.  11  padrone  ridendo  della  stranezza  della  domanda,  accett6 
i  patti  proposti  dal  servo.  Una  volta  Giovanni  and6  in  campagna  a 
caricar  legna,  ne  caric6  un  grosso  legnaio,  sicch^  pel  troppo  peso  i 
buoi  non  potevano  trascinar  il  carro.  Giovanni  allora  stacc6  i  buoi  li 
caric5  sul  carro  e  poi  attaccatosi  al  carro  egli  stesso  Io  trascin5  a  casa. 
11  padrone  si  spavent6  alia  vista  di  quella  forza  prodigiosa  e  disse: 
«  Costui  nel  darmi  Io  schiaffo  e  il  calcio  pattuito  come  sua  mercede, 
mi  ammazza  per  certo  e  quindi  debbo  cercare  di  farlo  perire  *.  Rac- 
cont5  ai  servi  Taccaduto  e  loro  disse:  «  Ho  da  vuotare  il  pozzo,  fa- 
remo  scendere  lui  e  poi  Io  seppelliremo  sotto  una  gran  quantita  di 
sassi  ».  Al  domani  Giovanni  cal5  nel  pozzo  ed  appena  fu  in  fondo, 
i  servi  si  posero  a  gettare  sassi.  Giovanni  allora  si  pose  a  gridare: 
«  Guardate  0  padrone  che  le  galline  fanno  venir  giu  della  polvere 
che  tutto  mi  insudicia  ».  II  padrone  a  queste  parole  vieppiu  stupito 
ordin6  che   gli  gettasero  addosso  una  macina  da  molino ;  i  servi  cos! 


1)  Le  strane  avventure  deireroe  di  questa  leggenda  volgare  e  comune  a  molti 
paesi  delle  Langhe  hanno  un  fondo  mistico  e  ci  ricordano  le  fatiche  d'Ercole,  mentre 
poi  hanno  anche  relazione  colle  imprese  del  famoso  barone  di  Mtinchhausen.  II 
motive  non  h  nuovo  specialmente  nella  novellistica  colta. 


^ 


72  ARCHIVIO  PER   LE  TRADlZIONI   POPOLARI 

fecero,  ed  allora  Giovanni  messasela  al  collo  sal^  snello  e  tranquiilo 
su  dal  pozzo.  II  padrone  allora  yisto  che  nulla  poteva  domarlo,  risol- 
vette  di  mandarlo  via  e  datagli  una  buona  somma  di  denaro  e  molte 
provviste  di  viveri,  lo  fece  partire.  Giovanni  fece  molto  e  molto  viaggio 
poi  giunse  ad  uh  paese,  dove  tutti  erano  in  lutto;  ne  domand6  il 
perch^.  Gli  fu  risposto  che  il  diavolo  aveva  ogni  anno  diritto  ad 
una  ragazza  e  che  quell'anno  toccava  alia  figlia  del^Re,  e  che  ap- 
punto  per  questo  tutti  erano  tristi  e  melanconici.  Giovanni  and6  dal 
re  e  gli  disse :  «  Maesta  io  salver6  la  vostra  figlia  ».  E  il  re  disse : 
«  Se  ci6  farete  io  vi  dar5  tutto  ci6  che  mi  domanderete  ». 

Giovanni  entr5  nel  castello  e  a  mezzanotte  in  punto  si  ud\  un  gran 
rumore  ed  ecco  scendere  dal  fornello,  nella  camera  dove  era  Giovanni, 
un  diavolo,  che  tent6  di  ucciderlo,  Giovanni  lo  leg6  e  lo  pose  in  un 
canto  della  camera.  Per  altre  tre  notti  vennero  altri  tre  diavoli  a 
cercar  di  liberare  i  loro  compagni,  ma  Giovanni  tutti  li  vinse,  e  giunto 
il  quarto  giorno  tutti  gli  ammazz6. 

11  re  visto  che  sua  figlia  era  libera,  colm6  di  molti  ricchi  doni 
Giovanni,  cha  contento  se  ne  ritom6  a  casa  sua,  a  raccontar  le  sue 
awenture  bizzarre. 


in.  II  diavolo  dal  oaso  d'argeoto.  '^ 

C'era  una  volta  una  donna  che  aveva  tre  figliuole.  La  prima 
un  giorno  disse  alia  madre:  «  Dovessi  pur  andar  a  servire  il  diavolo, 
voglio  andar  via  di  casa  ».  Non  passarono  molti  giorni  che  un  uomo 
dal  naso   d'argento  si  present6  alia   madre  di   questa   ragazza  e  le 


1)  Sta  fra  la  fiaba  e  la  leggenda,  ed  offre  motivi  conosciuti  nella  novellistica 
italiana,  specialmente  di  Sicilia.  6  notevole  in  questa  novella  la  soverchia  com- 
pendiosit^  \k  dove  il  diavolo  tomato  dalla  madre,  dopo  averle  portata  via  la  prima 
figliuola,  trascura  la  ragione  del  ritomo  per  la  seconda.  Evidentemente  la  ragione 
che  gli  dovrebbe  addurre  e  questa:  <  Vostra  figlia  h  contenta  di  stare  con  me; 
ma  non  lo  h  abbastanza  perche  non  ha  compagnia.  Essa  vorrebbe  la  seconda  sua 
sorella  ».  E  cosi  per  la  terza. 


^t^^m 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PIEMONTESl  fm 

disse :  «  So  che  avete  tre  figlie,  vorreste  lasciarne  venir  una  a\  mio 
servizio?  »  La  madre  fece  delle  scuse  per  non  lasciarla  andare,  ma  la 
figlia  tanto  fece  che  la  madre  dovette  lasciarla  partire,  prima  per5  la 
tir5  in  disparte  e  le  disse:  «  Guarda  che  in  questo  mondo  non  vi 
sono  uomini  col  naso  d^argento,  quindi  costui  ^  qualche  diavolo,  e 
quindi  bada  di  non  averti  a  pentire  ».  La  figlia,  a  malgrado  del  ma- 
terno  consiglio,  parti;  ma  quando  si  fu  akjuanto  allontanata,  rivoitasi 
a  quel  signore,  gli  chiese  che  cosa  fosse  un  gran  chiarore  che  si 
vedeva  giu  in  lontananza.  II  diavolo,  che  altri  non  era  quel  signore, 
le  disse:  «  Quello  ^  il  luogo,  dove  dovrai  andare  tu  ».  La  ragazza  al- 
lora  si  mise  a  tremare  e  a  pentirsi  d'aver  disobbedito  alia  mamma. 
Giunsero  nel  luogo  in  cui  dovevano  andare,  e  trovarono  un  grande 
palazzo,  nel  quale  entrati,  il  diavolo  le  diede  tutte  le  chiavi,  fra  cui 
una  pure  con  cui  le  proibl  di  aprire  una  camera  che  si  trovava  in 
fondo  al  palazzo.  La  fanciulla  lo  promise,  ma  appena  pot&  supporre 
di  non  essere  dal  diavolo  veduta,  spinta  dalla  curiosita  apr\  la  camera 
ed  un  triste  spettacolo  le  si  presentb  agli  occhi.  Nella  camera  erano 
molte  anime  che  bruciavano. 

Mentre  voleva  chiudere  giunse  il  diavolo  e  le  disse:  ^  Hai  di- 
sobbedito; ebbene  va  anche  tu  a  bruciare  »,  e  la  spinse  nd  mezzo 
della  camera.  La  fanciulla  gett5  un  grido  e  scomparve  tra  le  fiamme. 
Dopo  un  mese  il  diavolo  ritorn6  da  quella  donna  e  le  disse:  Sono 
venuto  a  prendere  le  altre  ragazze;  e  con  queste  and6  nl  palazzo. 
Ad  esse  il  diavolo  fece  lo  stesso  divieto,  ma  la  seconda  appena  il 
diavolo  se  ne  and5,  punta  dalla  curiosita,  aprl  la  porta  proibita  cosl 
che  come  la  sorella,  fu  gettata  anch'essa  nel  fuoco.  La  terza,  piu 
furba,  seppe  tenersi,  e  di  R  a  qualche  giorno  disse  al  diavolo:  ^  lo 
voglio  mandare  denari  alia  mia  mamma,  e  tu  vattene  a  spasso  e 
quando  io  abbia  empita  questa  cassa  tu  verrai  a  prenderla,  ma  bada 
bene  a  non  deporla  mai,  poich^  io  ti  vedr6  sempre  ».  II  diavolo  usc\ 
e.ritornato  poco  dopo  prese  la  cassa,  in  cui  Taccorta  fanciulla  aveva 
messe  le  sue  sorelle,  alle  quali  aveva  detto:  quando  il  diavolo  vorr& 
deporre  la  cassa  voi  direte:  «  non  deporla  ch^  io  ti  vedo  *>. 

11  diavolo  prese  la  cassa  e  si  pose  in  viaggio;  dopo  molto  cam- 
minare,  consegn6  la  cassa  alia  madre,  che  rimase  dolente  nel  veder 

Archivio  per  le  tradisioni  popolari.  —  Vol.  XX lU.  W 


74  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

le  sue  figlie  in  penitenza  e  al  pensare  che  la  terza  stava  a  penare. 
II  diavolo  riport6  la  cassa  alia  terza  ragazza.  Passato  poco  tempo  la 
ragazza  disse  al  diavolo:  io  preparo  un'altra  cassa  che  tu  dovral 
portare  a  mia  madre,  e  quando  tu  verrai  a  prenderla  io  non  sar6  a 
casa,  ma  ricordati  che  non  devi  deporre  la  cassa.  II  diavolo  port6  la 
cassa  alia  donna  che  fu  contenta  nel  veder  salva  anche  la  sua  terza 
ragazza;  la  quale  cosl  scorn6  il  diavolo. 

IV.  II  Paradiso.  '^ 

Cera  una  volta  un  padre  che  aveva  tre  figli.  II  primo  un  giorno 
disse  al  padre :  «  Babbo,  ora  che  sono  grandicello,  mi  h  venuto  voglia 
di  andare  a  girare  il  mondo  per  farmi  una  fortuna  ».  II  padre  dap- 
principio  si  oppose,  ma  il  figlio  tanto  disse  finch^  il  padre  Io  lasci6 
andare.  Prima  di  partire  il  figlio  mise  un  bicchiere  di  acqua  sul 
fornello  e  disse  al  padre:  «  Quando  quest'acqua  si  scuotera,  vorra 
dire  che  io  sar6  in  pericolo  ».  Passarono  molti  giorni  da  che  questo 
figlio  era  partito.  E  dopoch^  egli  ebbe  molto  viaggiato,  giunse  ad  un 
ricco  palazzo  pieno  di  marmi  e  di  pitture.  Fattosi  appresso  alia  porta, 
buss6;  venne  ad  aprire  un  signore  che  gli  domand6,  che  cosa  yo- 
lesse,  a  cui  egli  rispose :  «  Sono  venuto  a  vedere  se  si  avesse  bisogno 
di  un  servitore  ».  II  signore  disse  di  si,  e  Io  fece  entrare  in  casa. 
Dopo  qualche  giorno  il  signore  gli  diede  una  lettera  e  fattolo  salire 
sul  suo  cavallo  piu  bello  gli  disse  di  portarla  alia  prima  casa  che 
incontrasse  sulla  sua  via.  II  giovane  si  incammin5,  ma  giunto  quasi 
alia  meta  del  suo  viaggio  vide  un  mare  tutto  rosso,  che  il  cavallo 
spaventato  non  voile  traversare,  quindi  egli  fu  costretto  a  tornare 
indietro.  Giunto  al  palazzo,  il  signore,  visto  che  non  Taveva  obbedito, 
Io  fece  perire.  L'acqua  che  il  giovane  aveva  lasciato  a  casa  si  scosse 


I)  Questo  racconto  porta  in  s6  i  caratteri  dellasua  antichitA.  fe  forse  una  delle 
tante  version!  delle  leggenda  sacra  intorno  al  sogno  di  Nabuccodonosor  con  aggiunte 
ricevute  nel  suo  passaggio  attraverso  le  generazioni. 

Certo  i  motivi  di  questa  tra  leggenda  e  novella  sono  conosciuti  per  le  version! 
che  del  racconto  stesso  sono  gik  state  pubblicate. 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PlEMONTESl  75 

ed  i  suoi  genitori  piangevano  dirottamente  per  la  perdita  del  figlio 
loro.  Allora  il  secondogenito :  «  lo  andr6  a  cercar  mio  fratello  ». 
11  padre  in  sulle  prime  non  voleva,  ma  poi  lo  lasci6  partire.  II  se- 
condogenito parti  ed  anche  lui  and6  da  quel  signore,  il  quale  lo  accett6 
al  suo  servizio  e  gli  comand5  di  portare  la  lettera  alia  prima  casa  che 
avrebbe  incontrato  nella  sua  via.  Questi  partt,  ma  giunto  a  quel  mare 
rosseggiante  il  cavallo  impauritosi  non  voleva  piu  andare  avanti  ed 
egli  come  gik  suo  fratello  ritorn6  indietro  ed  il  padrone  lo  fece  perire. 
1  suoi  genitori  al  veder  Tacqua  a  scuotersi  piansero  pensando  che 
non  rimaneva  loro  piu  che  un  figlio.  Allora  il  figlio  che  ancora  avevano 
a  casa  disse  al  padre  di  voler  andare  lui  pure,  e  tanto  fece  finch^  il 
padre  glielo  concesse. 

II  giovinetto  partt,  percorsa  la  via  gi^  battuta  dai  suoi  fratelli  e 
and5  da  quel  signore  stesso,  a  cui  gia  si  erano  presentati  i  suoi  fratelli, 
e  questi  diede  pur  a1ui  la  lettera  da  portare.  Questi  parti  e  giunto 
al  mare  rosseggiante,  il  cavallo  s'impaurl  e  voleva  ritornare  indietro, 
ma  il  giovane  disse:  «  Mi  hanno  comandato  di  andare,  ed  io  debbo 
andare  »,  e  spronato  il  cavallo  lo  fece  tirare  innanzi.  Passato  questo, 
trov5  un  altro  mare  tutto  nero,  spaventevole  per  le  foscHe,  nere  e  f urenti 
onde.  II  cavallo,  impennatosi,  non  voleva  andare  avanti,  ma  il  giovane, 
risoluto  di  obbedire,  lo  frust6  ben  bene  tanto  che  lo  fece  passare. 
Andando  sempre  avanti  trov5  un  albero,  sul  quale  erano  due  merii 
che  si  battevano  e  perdevano  il  sangue  da  tutte  le  parti.  Passato 
questo,  trov6  un  altro  mare  che  era  azzurro,  e  che  il  cavallo  pass5 
volentieri.  Dopo  questo  sMncontr5  in  un  uomo  ed  in  una  donna  che 
si  battevano  e  gridavano  come  pazzi.  Piu  in  la  vide  una  ripa,  ove 
in  una  parte  stavano  molte  bestie  grasse  e  in  un'altra  molte  bestie 
magre.  Dopo  moita  strada  giunse  alia  casa,  indicatagli  dal  signore  e 
aH'uomo  che  venne  ad  aprire  consegn5  la  lettera. 

II  nostro  valoroso  giovane  ritorn6  indietro  e  venuto  dal  signore, 
che  Taveva  mandate,  questi  molto  lo  lod6.  II  giovane  raccont6  poi 
al  padrone,  quello  che  egli  aveva  visto.  II  padrone,  allora  disse : 
«  II  Mare  Rosso  che  tu  hai  visto  h  il  Purgatorio,  il  Mare  Nero 
rinferno;  il  Mare  Azzurro  il  Paradiso.  I  due  merii  e  le  due  persone 
che  tu  hai  visto  a  battersi  erano  i  due  tuoi  fratelli  e  i  tuoi  genitori. 


76  ARCHIVIO  PER  LE   TRADl2fONJ  POPOLARl 

Le  bestie  grasse  erano  i  poveri  che  in  questa  vita  sono  mal  nutriti 
ma  s'acquistano  meriti,  le  bestie  magre  sono  i  ricchi  che  in  vita  sono 
l>en  nutriti  ma  fanno  male.  II  signore  a  cui  consegnasti  la  lettera  ^ 
San  Pietro,  ed  to  sono  un  angelo  che  ritorno  in  Cielo  a  lodare  presso 
il  Signore  mio  la  tua  obbedienza  » ;  e  ci6  detto  disparve. 


V.  La  ragazza  di  legno.  '^ 

Fuwi  una  volta  un  falegname  che  non  aveva  figli.  Un  giorno 
divis6  di  farsi  una  bambina  di  iegno.  Quando  Tebbe  fatta,  la  color!, 
le  mise  tra  le  mani  un  pizzo,  cosicchfe  pareva  che  essa  lavorasse. 
Passato  di  la  un  ricco  signore  a  cavallo  se  ne  innamor6  e  domandolla 
in  isposa.  11  padre  e  la  madre,  vergognati,  non  osarono  confessare  il 
vero,  ed  intanto  erano  dolenti  di  avere  ingannato  quel  signore.  Giunse 
il  giorno  degli  sponsali  e  la  madre,  presa  la  fanciulla  di  Iegno,  la  gett6 
nel  pozzo  vicino  a  casa.  Poi,  fingendo  lacrime,  corse  dal  signore  e  gli 
disse  che  la  ragazza  era  caduta  nel  pozzo.  II  signore  subito  corse  sul 
luogo  e  fece  cercar  corde  per  tirarla  su.  Nel  p)ozzo  intanto  eravi  una 
fata  la  quale,  resala  vera  donna,  le  disse :  «  Tu  non  parlerai  a  tuo 
marito  se  non  quando  egli  ti  prendera  per  un  braccio  e  scuotendoti 
ti  dira:  sei  forse  muta?  ».  Estratta  la  ragazza  dal  pozzo  essa  non 
parlava  e  tutti  dicevano  che  era  spaventata  per  il  pericolo  corso. 

Si  fecero  gli  sponsali  e  la  ragazza  continuava  sempre  nel  suo 
silenzio.  Un  anno  intiero  pass6  e  la  ragazza  mai  non  parlava.  II  signore 
stizzito  la  fece  chiudere  in  una  torre  e  ne  voleva  sposare  un'  altra. 
Giunto  il  giorno  delle  nozze,  mancava  alia  veste  da  sposa  un  pizzo 
di  seta  celeste.   Un  domestico  si  ricord6  che  la  sua  antica  padrona 


I)  Questo  silenzio  imposto  da  una  fata  per  un  certo  tempo  ha  analogia  con 
quanto  h  narrato  nella  novella  popolare  raccolta  dai  fratelti  Grimm  e  intitolato: 
/  dodki/raicUi. 

Questa  novella,  che  h  pur  ricordata  dal  racconto  di  Pinocchio,  e  trovasi  in  rela- 
zione  con  molte  altre  novelle  edite  in  Italia  perch^  offre  lo  stesso  tipo  di  quelle,  h 
forse  incompleta.  Certo  6  molto  sommaria. 


LEGGENOe,  NOVELLE  E  FlA&£  f>IEMONTESI  j^ 

aveva  dei  pizzi  e  si  rec6  da  lei  nella  torre  per  averne  un  pezzo.  Essa 
allora  fattosi  portare  un  coltello  si  aperse  il  seno  ed  estrasse  fuori  del 
pizzo  di  seta  celeste.  La  sposa  cosl  fece,  ma  appena  trafittosi  11  seao, 
essa  mort.  II  signore  allora  mand5  a  chiamare  Tantica  sua  moj^lie, 
ma  questa  rimaneva  semp>re  muta;  allora  il  signore,  presala  per  im 
braccio  e  scuotendola,  le  disse:  «  sei  forsemuta?  ».  Essa  allora  parl6 
e  raccont6  la  sua  storia. 


VI.  Alfofisa  rorfaifio.   > 

Alfonso  era  un  povero  orfano,  che  viveva  andando  a  domandar 
Telemosina  da  una  jx)rta  all'altra.  Un  giorno,  dopo  aver  camminato 
per  una  folta  ed  aspra  selva,  giunse  ad  un  bel  prato  verde,  in  mezzo 
a!  quale  sorgeva  un  gran  palazzo  d'oro.  Egli  si  awicin5  a  qu4jsto 
palazzo  e  con  voce  lacriinosa  chiam6  qualche  cosa  per  sfamarsi. 

Nessuno  gli  rispose;  egli  chiam6  di  nuovo  ma  fu  inutile:  quel 
palazzo  pareva  disabitato.  Allora  Alfonso  vista  la  porta  aperta  entr6j 
ed  ecco  che  si  trov6  subito  in  una  bella  sala  dove  sopra  una  tavola 
stava  apparecchiato  un  buon  pranzo;  egli  in  poco  tutto  sparecchi6 
essendo  da  molto  e  molto  tempo  che  non  poteva  mangiar  altro  che 
pan  duro  e  bere  acqua.  Ma  intanto  era  giunta  la  notte  ed  Alfons<^), 
non  sapendo  dove  andare,  decise  di  fermarsi  in  quel  palazzo.  Si  se- 
dette  su  di  una  sedia  e  si  addorment6.  Verso  mezzanotte  un  grande 
rumore  fece  tremare  tutto  il  palazzo  ed  il  povero  Alfonso,  temendo 
che  qualcuno  gli  fosse  sopra  per  ammazzarlo,  si  rannicchi6  in  un  ar- 
madio  che  era  in  quella  sala.  Ecco  che  allMmprovviso  la  sala  si  illumina 
come  fosse  di  giorno,  e  rumorosamente  si  precipitano  in  quella  stanza 
alcune  fate  Colla  loro  regina. 

Si  disposero  in  cerchio.  La  regina  sedette  in  mezzo  a  loro  e  inco- 
minciarono  a  parlare.  Alfonso  dal  suo  nascondiglio,  rimessosi  alquanto 
dalla  paura,  si  pose  ad  ascoltare  attentamente  e  sentl  che  una  fata 


X)   fe  questo  un  motivo  tra  la  fiaba  e  la  leggenda  non  nuovo  tra  le  novelllne 
pubblicate,  e  difetta,  per  di  piu,  di  circostanze. 


78  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARl 

diceva  che  il  domani  verso  sera  essa  sarebbe  andata  alia  casa  del  re, 
che  era  vicina;  e  poich^  non  Tavevano  invitata  alle  feste  del  batte- 
simo,  avrebbe  uccisa  la  figlia  del  re  mettendole  un  ago  in  un  orecchio, 
che  se  nun  venisse  sublto  tolto  sarebbe  stata  causa  di  morte.  Appena 
iestreghe,  facenJo  un  gran  rumore,  furono  partite,  Alfonso  si  mi$e  in 
marcia  verso  la  citt^,  deciso  di  salvar  la  vita  alia  figlia  del  re.  Giunse 
appunto  nella  clttk  mentre  la  figlia  del  re  era  in  agoniaetutti  piange- 
vano  ed  il  re  e  la  regina  volevano  togliersi  la  vita  se  moriva  loro  quella 
ragazza.  Alfonso  si  fece  subito  condurre  nel  palazzo  del  re,  a  cui  disse 
che  era  venuto  per  salvargli  la  figlia. 

II  re  fuor  di  se  pel  dolore,  credendo  che  Alfonso  volesse  ancora 
insultarlo,  lo  minacci6  di  farlo  ammazzare;  ma  Alfonso  tanto  insistette 
ftnch^  fu  condotto  vicino  alia  culla.  Fatti  allontanare  tutti,  tolse  Tago 
dairorecchio  ddla  ragazza  e  questa  stette  subito  meglio.  Immaginarsi 
la  contentezza  del  re  e  della  regina!  Coprirono  di  ricchezze  il  povero 
Alfonso  che  visse  contento  fino  a  tarda  vecchiaia. 

Vll.  II  Miracolo  di  Sao  Maurizio.   '^ 

Porto  Maurizio,  che  ora  6  una  delle  belle  e  ridenti  citta  della 
riviera  ligure,  non  era  nei  primi  secoli  della  nuova  ^ra  che  un  gruppo 
di  case  affastellate  sulla  cima  del  promontorio,  che  si  protende  verso 
ii  marei  e  si  chiamava  Porto  Moro.  Cosl  narra  una  leggenda  pppo- 
lare,  la  quale  spiega  cosl  il  mutamento  del  nome  antico  nelPattuale 
f*oWo  Maurizio. 

Allorquando  i  Saraceni,  sbarcando  dai  leggeri  lor  legni  sulle  coste 
llguri,  andavano  depredando  questo  o  quel  paese,  s'accostarono  anche 
a  Porto  Moro ;  e,  per  dare  la  scalata  alle'vetuste  sue  mura,  la  cinsero 
tutto  all'inturno  di  un  altro  muro  a  cosl  dire  vivente,  in  quanto  che 
non  era  costrutto  di  pietre  e  calcina,  ma  bensl  d'uomini  alti  e  robusti, 
pronti  ad  ogni  cimenti. 


ij  Questn  leggenda  appartiene  al  ciclo  arabo  in  Italia  e  richiama  alia  mente  quella 
di  SclcM  In  Sicilla.  Veggasi  a  questo  proposito  il  volume  Fesle  Patronali  di  Giu- 
seppe Pitr^t  dove^  invece  di  S.  Maurizio,  comparisce  la  Madonna  a  cavallo  e  sba- 
ragHa^  coi  Nurmaniii,  i  Saraceni. 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PlEMONTESl  79 

Costoro,  posto  regolare  assedio,  con  quell' ardore  che  solevano 
portare  in  guerra  si  diedero  a  smantellare  le  mura  e  a  forzare  le 
porte,  non  temendo  le  pietre,  le  lancie,  i  giavellotti,  che  gli  abitanti 
scagliavano  in  grande  quantita  dall'alto  dei  bastioni. 

Gia  essi  stavano  per  abbattere  la  porta  orientale  e  venire  ad  una 
lotta  mortale,  a  corpo  a  corpo  cogli  abitanti,  quando  dentro  a!  circuito 
delle  mura,  misto  ad  un  frastuono  d' armature  e  ad  un  calpestto  di 
cavaili,  fu  udito  un  gran  rumore,  per  il  quale  i  Saraceni  si  arrestarono 
stupiti  e  intimoriti. 

II  cielo  intanto,  che  era  nebbioso,  si  fece  d'un  tratto  sereno  e  un 
raggio  di  sole  and6  a  iiluminare  le  mura  di  PortoMoro,  sull'alto  delle 
quali,  come  accolto  in  un'aureola  di  gloria,  apparve  un  guerriero  sopra 
un  bel  cavallo  morello,  dalla  bardatura  risplendente.  La  spada  che 
teneva  in  pugno  era  d'argento,  I'elmo  ondeggiante  di-chiome  equine, 
la  corazza  e  le  gambiere  intarsiate  d*oro  e  di  gemme;  e  dietro  di  lui 
furono  visti  allinearsi  a  immense  schiere  fanti  e  cavalieri  armati. 

Sbigottiti  a  tal  vista,  i  Saraceni  si  volsero  in  fuga,  mentre  gli 
assediati  presero  cpraggio,  inseguifono  quelle  schiere  gia  disordinate 
e  ne  fecero  una  vera  carneficina.  Mentre  avveniva  la  caccia  dei  fug- 
genti,  fu  udita  una  voce  tuonare  dall'alto :  «  In  nome  di  S,  Maurizio 
siano  gli  abitanti  di  Porto  Moro  liberi  dalle  barbare  mani  degli  In- 
fedeli  ».  E  subito  dopo  questa  voce,  il  guerriero  fu  awolto  da  una 
densa  nube  che  man  mano  and6  alzandosi  verso  la  volta  celeste  e 
con  lui  scomparvero  i  soldati  armati  che  lo  accompagnavano. 

Fu  in  quella  circostanza  che  gli  abitanti  di  Porto  Moro,  com- 
preso  il  miracolo  del  Santo  guerriero,  mutarono  il  nome  di  Porto  Moro 
in  quello  di  Porto  S.  Maurizio,  e  questo  Santo  sceisero  come  loro 
patrono  e  lo  fecero  emblema  deHa  loro  liberta. 


8o  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONl   POPOLARI 

Vlll.  Leg^ende  relative  a  Pamparato  '^ 

(Circondarlo  di  Mondovi). 

La  prima  riguarda  I'origine  di  Pamparato  e  viene  ad  accrescere 
il  numero  di  quelle  gi^  illustrate  dal  Pitr^  neiropuscolo  che  ha  per 
titolo:  «  Stratagemmi  leggendari  di  citta  assediate  )►  e  si  riconnette 
colle  molte  altre  leggende  che  corrono  in  Piemonte  sui  Saraceni  e 
sujle  loro  scorrerie  nella  Provincia  di  Cuneo. 

Sopra  una  piccola  altura  trovansi  le  rovine  di  una  torre,  la  quale 
si  dice  sia  stata  fortezza  dei  Pamparatesi  quando  tennero  testa  ai  Sa- 
raceni venuti  per  espugnare  il  paese.  Trovando  essi  moita  resistenza, 
si  accamparono  in  una  piccola  pianura  sottostante,  dettadi  Santa  Croce, 
e  di  W  cinsero  di  stretto  assedio  le  mura  della  citt^. 

In  breve  tempo  i  Pamparetesi  furono  cosl  ridotti  alio  stremo  di 
viveri,  che  non  restavano  loro  se  non  due  pani  ed  una  bottiglia  di 
vino.  Ora  essi  per  mostrare  ai  nemici  che  erano  ancora  ben  prov- 
veduti,  bagnarono  nel  vino  uno  d^i  pani  e  con  una  fionda  lo  sca- 
gliarono  nel  campo  nemico.  I  Saraceni  a  tal  vista  pensarono  che  gli 
assediati  erano  tanto  ben  forniti  di  viveri  che  avrebbero  ancor  resistito 
Dio  sa  quanto;  onde  levarono  T  assedio,  dicendo  :  «Habentpanem 
paratum  ». 

Da  questo  detto  ^  tradizione  che  sia  derivato  il  nome  di  Pam- 
parato e  lo  stemma,  che  k  rappresentato  da  un  cane  con  un  pane 
in  bocca. 


i)  Gli  abitanti  dei  monti  di  Pamparato  hanno,  con  tutti  i  volghi,  parecchie  su- 
perstizioni.  Fra  le  altre  questa: 

Quando  uno  sogna  di  smarrire  qualche  parte  della  biancheria  in  bucato,  ovvero 
sogna  che  gli  cadono  i  denti,  6  segno  certo  che  qualcuno  della  famiglia  deve  morire. 
Quando  cade  la  brina  il  giomo  delPAnnunziata,  si  dice  che  essa  non  dard  piu 
danno  per  tutto  il  corso  deiranno.  II  forte  crepitar  del  fuoco  annunzia  Timminente 
arrivo  di  forestieri ;  e  lo  stamuto  al  mattino  vuol  dire  che  in  giomata  si  avr^ 
qualche  dispiacere o  un  regalo. 


\ 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PIEMONTESI  8 1 

Nel  comune  di  Pamparato  esistono  anche  alcuni  castelli  intorno 
ai  quali  si  narrano  leggende  di  spiriti,  od  altro.  Di  uno  che  trovasi 
a  Vaicasotto  si  dice  che  fosse  anticamente  appartenuto  ai  Frati  Cer- 
tosini ;  ed  ^  tradizione  che  il  frate  Beato  Guglielmo,  mentre  valicava 
un  colle,  chiamato  dai  Pamparatesi  Savino,  venne  assalito  da  alcuni 
malandrini. 

Non  avendo  egli  armi  per  difendersi,  stacc6  una  gamba  dal  mulo 
che  cavalcava,  e  con  questa  mise  in  fuga  i  ladri.  Poscia,  senza  prestar 
molta  attenzione,  riatt6  la  gamba  alFanimale,  ma  in  posizione  non 
giusta.  Arrivato,  nonostante,  al  Convento,  i  monaci  awertirono  subito 
Terrore  e  il  Beato  Guglieimo  ripet^  il  miracolo  in  presenza  di  tutti, 
rimettendo  la  gamba  al  mulo  nella  sua  posizione  naturale. 


IX.  II  Protetto  del  Diavolo. 

Tra  i  mjnti  di  Frabosjt  e  Villanova-Mondovl  ^  ancora  vivo  il 
ricordo  di  un  malfattore  chiamato  Falchetto,  il  cui  nome  e  le  gesta 
son  passate  nella  tradizione  popolare  circondate  dalla  leggenda  e  dalla 
superstizione.  lo  dir6  qui  brevemente  il  poco  che  potei  raccogliere  di 
lui,  anche  perch^  e  questo  un  piccolo  episodio  della  storia  del  brigan- 
taggio  in  Italia. 

Una  sera,  mentre  tornavo  da  una  gita  sui  monti  di  Frabosa  in 
compagnia  di  un  montanaro,  passando  accanto  ad  una  gran  mole 
presso  Villanova,  vidi  il  mio  compagno  farsi  il  segno  della  croce. 

—  Perche?  chiesi,  meravigliato. 

—  Oh,  rispose,  affrettiamo  il  passo;  non  ci  lasciamo  cogliere 
dalla  notte  in  questo  iuogo,  perche  sotto  quel  macigno,  dorme  il  pro- 
tetto del  diavolo. 

—  E  chi  ^  questo  protetto  del  diavolo? 

—  E'  Michelino  Bardelloni;  il  quale  sarebbe  stato  sempre  un 
onesto  pastore,  se  la  sete  di  una  giusta  vendetta  non  ne  avesse  fatto 
un  bandito. 

E  cominci6  a  narrarmi  che  per  futili  motivi  era  stato  incarcerato 
il  padre  di  Michelino;  il  quale,  dopo  aver  pregato  invano  il  maire 

Archioio  per  le  tradizioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  11 


82  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

perch^  lo  liberasse,  ed  avendo  visto  invece  che  si  accrescevano  i 
tormenti  del  povero  vecchio,  cieco  di  furore  si  slanci6  sul  maire 
stesso  e  lo  uccise. 

Ricercato  dalla  giustizia,  si  rifugi6  nei  piu  dirupati  monti,  donde 
non  scendeva  se  non  spinto  dalla  fame,  ed  allora  compariva  senza 
paura  in  paese  ed  entrava  nelle  case  a  domandare  una  scodella  di 
minestra.  Se  era  bene  accolto,  deponeva  lo  schioppo  in  un  canto  o 
si  sedeva  a  tavola  coi  contadini  dai  quali,  andandosene,  non  accettava 
ch^  quakhe  piccola  elemosina.  Se  invece  non  era  bene  accolto,  si 
vendicava  appiccando  il  fuoco  alia  casa  che  non  gli  aveva  dato 
ospitalita. 

Allorch^  rinverno  faceva  sentire  i  suoi  rigori,  andava  a  dormire 
in  qualche  stalla  o  su  qualche  fienile;  ma  i  contadini,  che  pur  non 
osavano  negargli  un  rifugio,  lo  lasciavano  solo  perch^  credevano  che 
alia  notte  egli  avesse  segreti  abboccamenti  col  diavolo,  e  chi  si  trovava 
sotto  lo  stesso  tetto  correva  pericolo  di  essere  fulminato. 

Piij  di  una  volta  i  gendarmi  avevano  tentato  di  arrestarlo,  ma 
inutilmente,  perch^  Michelino  era  protetto  dal  diavolo.  E  di  fatti  una 
volta  che  due  gendarmi  osarono  appiattarsi  in  un  fienile,  dove  egli 
doveva  ricoverarsi,  per  sorprenderlo,  furono  essi  gli  arrestati  e  ricondotti 
in  caserma,  non  lui.  Un'altra  volta  circondato  dalla  forza  sail  sopra 
i]  tetto  di  una  casa  intorno  alia  quale  fu  appiccato  il  fuoco.  Egli  non 
si  arrese,  anzi  di  la  sparava  sopra  i  birri  che  circondavano  la  casa; 
e  mentre  ogni  suo  colpo  era  mortale  quelli  dei  suoi  assalitori  anda- 
V'dnu  invano,  perch^  le  palle  erano  a  bello  studio  deviate  dal  dia- 
volo. Alia  fine  poi  quando  il  fumo  e  le  fiamme  non  gli  permisero 
piu  di  sostenersi  lassu,   balz6  a  terra,   distribul  manrovesci  a  coloro 

che  voievano  arrestarlo e  scomparve  tra  i  boschi.   Ma  per  sua 

mala  ventura  venne  il  giorno  in  cui  il  diavolo  si  dimentic6  del  suo 
protetto* 

Addormentatosi  questi  sotto  Tombra  di  una  querela,  un  suo  com- 
pagno  che  si  era  accomunato  con  lui,  attratto  dal  premio  di  mille 
scudi  che  erano  stati  promessi  a  chi  avesse  consegnato  alia  giustizia 
Michtlino,  vivo  o  morto,  toltagli  leggermente  la  carabina  di  mano, 
lo  uccise. 


LEGGENDE,  NOVELLE  E  FIABE  PIEMONTFSI  83 

II  Pievano  non  voile  n^  in  chiesa  n^  nel  camposanto  il  corpo 
di  quelle  scomunicato  e  lo  fece  seppellire  presso  il  colle  chiamato 
Rocciafiera,  L4  neppure  una  croce  avrebbe  ricordato  il  luogo  ove 
giaceva  Michelino;  senonche  venuta  la  notte  il  diavolo  fece  rotolare 
dairalto  quella  roccia  che  sara  eterno  monumento  al  atw  protetto. 


D.  Caurarou. 


UN  MAZZETTO  DI  STORNELL.I  GENZANESI 


Di  centoventi  stornelli,  circa,  raccolti  in  parte  da  me,  ma  i  piu 
dal  Sig.  Guglielmo  Ducci  di  Genzano,  alcuni  pochi  di  nessun  inte- 
resse  rifiutai  per  ragioni  estranee  al  Folk- Lore. 

Senza  infarcire  inutilmente  la  mia  raccoltina,  pongo  qui  alcuni 
riferimenti  che  posson  tener  luogo  di  pubblicazione  di  stornelli  gia  editi, 
o  in  forma  identica,  o  con  varianti  lievissime,  in  buone  raccolte  della 
citta  0  della  provincia  di  Roma.  Ho  udito  dunque  a  Genzano  anche 
i  seguenti: 
Marsiliani  303  (Canti  pop.  dei  dintorni  del  lago  di  Bohena,  ecc. 

Orvieto,  Marsili  1886;. 
Menghini,  10,  67,  68,  71  (e  Sabatini  60),  78  (e  Zanazzo,  pag.  59), 

92,  94  (e  121),  215,  {Canti pop.  rom.  race,  ed  ilhistr.  da  M.  M. 

in  Archivio  p.  lo  studio  d.  tradis.  pop.,,  IX  e  X). 
Sabatini,  19  (e  Zanazzo,  pag.  6g)  {Saggio  di  c.  pop.  race,  a  Roma, 

tip.  Tiberina.  Estr.  d.  Rivista  di  lett.  pop.,  I). 
Zanazzo,  pag.  31:  Voi  siete  quella  Stella  ecc,  e  pag.  39:  E  tte  chia- 

mino  bbella,  ecc.  {Aritornelli  pop.  romaneschi  race,  da  G.  Za- 
nazzo. Roma,  Cerroni  1888). 

Quattro  0  cinque  dei  seguenti  si  leggono  anche  nello  Schulze 
{R6m.  Ritornelle,  in  Zeitschrifl  filr  roman.  Philologie,  XIII)  e 
un  paio  nel  Blessig  (Rom.  Ritornelle,  Leipzig,  Hirzel  i860).  Avrei 
omesso  anche  questi,  se  le  due  citate  raccolte  facessero  testo  dopo 
le  osservazioni  di  Mario  Menghini  (Prefaz.  alia  race,  citata)  e  di  Fran- 
cesco Sabatini  {II  Volgo  di  Roma,  II,  pag.  96)  in  proposito. 

Un  discreto  numero  di  quelli  che  io  pubblico  ha  scarsi  raffronti 


UN   MAZZETTO  DI  STORNELLI   GENZANESI  85 

o  non  ne  ha,  affatto:  il  N.  6  mi  sembra  interessante  per  la  lezione 
pill  vicina  alle  toscane  di  ogni  altra  della  provincia  romana :  nel  N.  46 
e  piu  neirSj  (confr.  Blessig  286  per  Frascati)  si  coglie  IMrraggiamento 
dei  canti  di  Roma  nei  luoghi  circonvicini,  che  sarebbe  bene  studiare 
p^rche  la  questione  dello  «  Storneilo  »  (Estorn.  0  Ritomello)  non 
si  risolve-senza  aver  prima  determinate  il  posto  che  spetta  alia  lirica 
popolare  romanesca  in  confronto  con  quella  toscana.  Sp^eciali  riferi- 
menti  ho  perci5  fatto  al  Gianandrea  {Canti  Marchegiani^  Torino, 
Loescher  1875)  il  quale  mostra  frequenti  casi  (i  piu  io  non  li  ho 
potuti  citare)  di  un  piu  lontano  cammino  di  canti  di  certa  origine  ro- 
manesca. 

Sono  ovvie  le  ragioni  per  le  quali  il  mio  scarso  piazzetto  ^  stato 
ordinato  in  modo  sommario  sotto  un  minor  numero  di  Capi  di  quello 
usato  nelle  vere  e  proprie  raccolte. 

Nell'apparato  critico  reco  per  esteso  le  varianti  piu  notevoli,  spe- 
cialmente  se  implicano  cambiamento  metrico,  0  di  immagine  e  di 
sentimento,  per  facilitare  i  raffronti  a  chi  studia  la  poesia  popolare 
con  intento  filologico  o  psicologico.  D'ogni  raccolta  d5  con  la  prima 
citazione  una  sommaria  indicazione  bibliografica,  e  forse  ^  superflua 
anche  quella  pei  lettori  deWArchivio. 

Riguardo  allatrascrizione,  h  noto  comeal  toscaneggiamentoerroneo 
del  Blessig  e  dello  Schulze,  il  Menghini  e  il  Sabatini  abbiano  opposto, 
in  sostanza,  Tortografia  di  Gius.  Gioachino  Belli,  sebbene  ciascuno 
di  questi  studiosi  abbia  trovato  qualcosa  da  ridire  sulle  trascrizioni 
deiraltro.  II  -Menghini  biasima  Tabuso  di  apostrofi  e  di  accenti  e  vuol 
sempre  indicato  il  raddoppiamento  consonantico.  Non  mi  sembra  dif- 
ficile riconoscere  i  casi  in  cui  Tapostrofo  e  Taccento  son  necessari, 
,  n^  puo  correr  dubbio  sul  raddoppiamento  consonantico  neirinterno 
della  parola.  11  raddoppiamento  iniziale,  trascrivendo  un  dialetto  appar- 
tenente  alia  stessa  famiglia  del  toscano,  ho  creduto  di  doverlo  serbare 
soltan to  do i?e  ^  caratteristico ;  Tho  dunque  omesso  nei  casi  indicati 
dal  D'Ovidio  {Di  alcune  parole  che  nella  pronunzia  toscana  pro- 
ducono  il  raddoppiamento  ecc.  ecc,  in  Propugnatore,  V.  64  e 
vedi  anche  il  Grtmdriss  del  Grober  496  e  la  Grammaire  des  lan- 
gues  romanes  del  Meyer-Liibcke,  trad.    Rabiet,   I,  §  618),   in  cui 


86  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

h  di  regola,  sebbene  non  scritto,  almeno  da  secoli,  anche  neirita- 
liano. 

Mi  duoJe  che  difficolta  tipografiche  abbiano  impedito  la  pub- 
blicazione  delle  melodie  su  cui  si  cantano  gli  stornelli ,  da  me 
trascritte. 

LUIOI   BONI^IOLI. 


Caato.  Storaeiii  Amorosi. 

1.  De'  ritornelli  ne  saccio  'na  gregna,  * 
Me  rha  portati  mamma  da  campagna 
Pe'  rigalalli  a  voi,  bboccuccia  degna. 

Gregna  h  il  covone  del  grano.  Q\x\,  per  traslato,  un  mucchio. 

2.  E  de  stornelli  ne  saccio  'n  bigonzo, 
Me  rha  portati  mamma  da  Porto  d'Anzo 
Pe'  rigalalli  a  voi,  muccu  de  bronzo. 

Muccu  faccia.  fe  bucca  in  significato  di  labies, 

3.  lo  canto  li  stornelli  'n  mezzo  a  la  piazza 
E  num  me  importa  si  ce  vie'  la  forza, 
Basta  che  me  senta  la  mi'  regazza. 

4.  A  la  finestra  tua  ce  so'  li  vasi, 
Tutti  I'amanti  ce  se  so'  confusi 

E  me  ce  so'  confuso  io  quasi  quasi. 

Giannini  (Gz«/.  p.  d.  mont.  lucchese,  Torino,  1889.  6a;   Schulze,    223;   Gia- 
nandrea,  pag.  96,  250. 

5.  Amore  mio, 

Nun  plate  li  fiori  da  nessuno, 
Un  ber  garofoletto  ve  lo  d6  io. 

Mai  trascritto  in  Schulze,  3. 


UN   MAZZETTO  DI  STORNELLI   GENZANESI  $gf 

6.  Arzanno  Pocchi  ar  celo  vidi  a  voi, 
Subbitamente  me  ne  'nnamorai, 

Fra  mezzo  a  tante  stelle  'r  sol  vedei. 

La  lez.  romanesca  piii  coniune  reca:  Quanto  me  piace  Tessere  de  vol  (Zanazzot 
pag.  29;  Blessigi  19;  Schuize,  271)  che,  del  resto,  ha  raffronti  tosciini  (Pleri,  I- ft 
migliaio  di  Storn.  lose,  in  Propugnatore^  vol.  Xlll,  XIV,  XV.  La  mia  cifra  romana 
indica  ciascuna  delle  sei  categorie  in  cui  la  raccolta  h  ordinata,  1.  S8K  II  trovane 
in  vicinanza  di  Roma  la  lez.  uguale  a  quella  piu  diffusa  in  Toscana  (Tonimaseo* 
Cant.  pop.  lose,  corsi,  ecc,  Venezia,  1841,  pag.  89,  16;  Tigri,  Cani.  pop.  lose, 
Firenze,  1858)  conferma  la  derivaz.  toscana  gia  divinata  dal  Sabatini  {i'olgo  di 
Roma^  I,  41).  Gianandrea,  100. 

7.  Bellina  c'abbitate  ar  primo  piano, 
Ve  lo  godete  lo  vento  marino, 

S^te  la  piu  bellina  de  Genzano. 

Mazzatinti  (C.  pop.  umbri,  Bologna,   1883),  431;  Gianandrea,   pag-   149.  37* 

8.  Ci  avesse  la  virtune  de  lo  sole 
A  la  cammera  fua  vorrei  entrare 
Pe'  riccontatte  le  male  passione. 

9.  Ci  avete  i  riccioletti  fatti  a  scale, 
Ogni  piccolo  vento  ve  li  move 

E  speciarmente  quello  maestrale. 

Zanazzo,  pag.  43 :  «  Bella  che  siete  la  fija  de  Giove  -  Ci  avete  If  capeili  fatti  a 
nnave  -  Ogni  piccolo  vento  ve  li  move  ». 

10.  Come  te  p6zzo  ama  che  ci  ho  marito.? 
Prennite  mi'  sorella,  me  si'  cugnato 

Le  veci  le  farai  de  mi'  marito. 

Deiramore  tra  cognati  h  un  eco  in  Salomone  Marino  {Cant.  pop.  in  a^giuuia 
a  quelH  del  Vigo,  Palermo,  1867),  N.  174. 

11.  E  dietro  de  lo  mare  c'^  la  Turchia 
Me  I'ho  trovata  'na  diva  che  m'ama, 
Sono  I'occhiucci  de  la  bbella  mia. 

Per  diva  vedi  nota  al  N.  73.  11  terzo  verso  puo  esser  preso  da  un  altro 
stomello. 


88  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

12.  E  lo  mi  amore  m'ha  detto  ch'io  canta, 
A  la  maninconia  non  vo'  cW  io  pensa, 
Che  me  consola  de  la  lontananza. 

Analogo  di  sentimento,  Tigri,  pag.  ioi,.364  (Rispetto). 

13.  E  lo  mi'  amore  m*ha  mannato  a  dire 
Che  me  provveda  che  me  vo'  lassare, 
Questi  so'  corpi  che  me  fa  morire. 

Blessig,  pag.  72,  «  ...  Queste  so'  pene  da  farmi  morire  ».  Ma  Mengh.  151,  e  iro- 
nico:  «  De  questa  pena  non  ce  moro  none  »;  e  cosl  anche  Tigri,  336,  e  Giannini,  354, 
«  Ero  malata  m  'ha  fatta  guarire  >. 

14.  fe  partitu  lo  raio  bbello  fra  soni  e  canti, 
Dio  gii  dia  'llegrezza  e  lo  contenti, 

Occhi  de  perla  e  bocca  de  brillanti. 

Meglio  Tommaseo,  pag.  179,  5:  «  Bocca  di  perla  e  occhi,  ecc.  ».  Tigri,  pag.  318. 

15.  E  si  lo  vostro  nome  non  me  dite 
lo  non  ve  dico  'r  mio  e  voi  penate; 

'R  mio  non  ve  dico  e  voi  penerete. 

16.  E  si  tradite  a  mene  tradite  'n  core, 
Tradite  'na  palomma  senza  Tale, 
Tradite  'n  arma  che  pe'  tte  se  more. 

17.  'Ffaccite  a  la  finestra,  angelu  d'oro, 
Tu  canti  le  canzone  e  io  Tamparo, 

Tu  spasinii  pe'  mme,  io  pe'  tte  mmoro. 

Pel  30  V,  Pieri  III.  37-  Cfr.  Menghini,  125;  Zanazzo,  pag.  22;  Mazzatinti.  416; 
«  Fiore  de  pero  -  Tu  canti  li  stomelli  e  io  I'amparo  -  Tu  stai  alegraraente  e  io  m'ac- 
coro  >.  Tigri.  pag.  315;  Gianandrea,  pag.  111  di  derivaz.  romanesca.  Schuize,  62 

18.  Fior  de  bammace: 

Quanno  che  canti  co'  'ssa  bbella  voce 
En  core  me  s'accenne  a  'na  fornace. 

19.  Fiore  d'erbetta: 
Traditorella,  me  Tavete  fatta, 

Fino  ch'io  canto  vo  grida'  vendetta. 


UN  MAZZETTO  DI  STORNELLI  GENZANESI  89 

20.  Fior  de  fascioli 

Se  so'  mmischiati  li  bianchi  e  li  neri, 
Cosl  se  mischieranno  i  nostri  cori. 

21.  Fiore  de  foglia: 

Me  Tha  mannata  la  mia  mente  in  aria, 
Sta  sempre  a  pensa'  a  voi  la  mia  memoria. 

22.  Fiore  deirormo; 

Vorrei  tene'  lu  libbro  der  comanno 
Pe'  ddiscorre'  co'  woi  'n  oretta  ar  giorno. 
Tigri,  pag.  349;  Gianandrea,  pag.  91,  213. 

23.  Fior  de  melella: 

E  giu'  pe  lu  strado*  stanno  a  fa'  a  palla, 
La  fija  de...  &  la  piu  bella. 
La  maggior  parte  dei  cognomi  si  adattano,  come  trisillabi  piani,  alio  stomello. 

24.  J^ior  de  melella 

M'hai  puncicato  'r  core  co'  'na  spilla, 
Me  Thai  legato  co*  'na  catenella. 

Zanazzo :  «  E  la  mia  bella  si  chiama  Camilla  -  M  'ha  stretto  'r  core  c6  'na  ca- 
tenella -  E  me  1  'ha,  ecc.  >. 

Menghini,  75;  Coscia,   632  (mille  de'piii  originali  canti   pop.,   Roma,  1883) 

Blessig,  211. 

25.  Fiore  de  more: 

E  io  per  vo'  me  butterebbe  a  mare 

Ma  come  ho  da  fa'  io?  Mamma  non  v61e. 

26 

M'encontri  pe'  la  strada  e  non  me  parli, 
Solo  me  guardi  co'  s'  occhiucci  bbelli. 

27 

E  di  bellezze  superate  *r  sole 
E  superate  Io  Stato  papale. 

28 

E  le  manine  tue  tante  ben  fatte; 
Beato  queH'anello  chi  te  Io  mette. 
Giannini,  73 :  «  Fiore  de  grano  -  Chi  te  Io  mettera  I'anello  d'oro  -  Chi  te  la 
tocchera  la  bianca  mano  ».  Zanazzo,  pag.  60. 

Archivio  per  le  tradisioni  popolari.  —  Vol.  XXiU.  14 


90                        ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 
29 

E  lo  tuo  male  lo  vorrei  guarire 

Pe'  non  vedette  piu\  bbello,  penare. 

U  primo  verso,  che  io  non  ho  udito,  nel  Blessig,  130,  6  <  Se  medico  potessi  di- 
ventare  ». 

30.  Le  stelle  de  lo  cilo  non  so'  ttutte, 
Ci  amanca  quella  de  la  mezzanotte, 

Ci  amanca  lo  mi'  amore  e  po'  so'  ttutte. 

31.  Mela  de  rosa 

Quanno  te  vedo  a  te  so'  appassionato 
Credi  mia  bella  che  nun  ci  ariposo. 

Variante  Genzanese:  »  Quanno  te  vedo  cosi  doloroso  -  Credimi,  bbello,  che 
non  ci  'ariposo  >. 

32.  Mele  ranette: 

Sopra  lo  petto  tuo  so'  ttutte  fatte; 
Pe'  ccojele  ce  v6nno  le  scalette. 

33.  M'^  stata  rigalata  'na  bella  mela 
E  me  I'ha  rigalata  'na  fruttarola, 

'Sta  fruttarola  'n  petto  la  teneva. 

Schulze,  197:  «  'Na  vignarola  ». 

34.  M'^  stato  regalato  'n  bell'anello 
Ce'  ddu'  pietrine  e  San  Giorgio  a  cavallo, 
E  me  I'ha  regalato  lu  mio  bbello. 

Qualche  analogia  ha  Gianandrea.  pag.  39,  145;  Marcoaldl  75  (Canl,  pop.  i/ie- 
dill,  umdriy  ecc,  Genova,  1855). 

35.  M'^  stato  rigalato  'n  ber  diamante, 
Lo  purto  ar  dito  e  mamma   nun  sa  gnente, 
E  me  I'ha  rigalato  lo  mi'  amante. 

NeirUmbria  e  in  Roma  alia  fanciulla  d  stato  regalato  un  coltello  che  essa  porta 
<  in  potto  »  (Zanazzo,  pag.  56;  Mazzatinti,  361).  Questo  di  Genzano  h  piti  vicino 
alia  lez.  toscana  (Tigri,  pagg.  316,  17;  Pieri,  I,  191),  Bemoni,  X,  41  {Can/,  pop. 
Veneziatii^  Venezia,  1882). 


UN  MAZZETTO  Dl   STORNELLI  GENZANESI  91 

36.  Pe'  la  strada  di  Romac*^  'n  serpente, 
fe  lavorato  a  punta  di  diamante: 

Rivojo  lo  mi'  amore  e  'n  sento  gnente. 

U  solito  processo  di  coniaminazione  qui  conduce  al  non  senso.  La  forma  ori- 
ginaria  dovrebbe  esser  Tommaseo,  pag.  214,  6;  «  Dentro  del  petto  mio  ci  sta  un 
serpente  -  E  mi  la  vera  a  punta  di  diamante  -  Bella  per  amor  voi  non  sento  niente  *. 
Tigri,  pag.  320  e  373. 

37.  Quanno  sposamo  noi,  caruccio  mmio 
Famo  venl  'r  concerto  da  Milano 

E  lo  v6nno  pe'  nnoi  fare  'n  giardino. 

38.  S'avessi  la  virtu  che  ci  ha  'r  'cellett<j 
Lu  nido  vorrei  fa'  'mmezzo  ar  tu'  petto, 
La  vita  vorrei  fane  d'angioletto. 

39.  Si  lo  mi  amore  venisse  a  la  vigna 
Quanto  rilucerebbe  la  campagna. 

La  mejo  erba  d'amore  h  la  grespigna. 
Blessig,  59:  «  Fiore  de  canna  -  Quanno  le  tue  bellezze  vanno   a   la   vigna  - 
Cielo!  Quanto  risplende  la  campagna  >. 

40.  Si  mmorta  tu  me  v6i  prenni  'n  cortello, 
Comincia  lo  mi'  core  a  trucidallo 

De  la  vituccia  mia  fanne  'n  macello. 

Schulze,  197:  «  Si  morta  me  voi  vede,  piglia  'r  cortello  -  Fa',  come  fece  il  Re 
di  Portogallo  -  E  de  la  vita  mia  fanne  macella  ».  Tigri,  pag.  329. 

41.  Si  woi  ch'io  te  dia  'r  bono  avanto 
Nun  parla'  co'  nessun  ch'io  son  contento. 
Allora  me  vederai  come  'n  santo. 

Deve  significare:  Se  vuoi  che  io  ti  dia  vanto  di  donna  fedele. 

42.  Sora  IWaria, 

Ricordite  de  me  quanno  sta'  sola 
Che  te  se  passa  la  melanconia. 

43.  Tutta  la  notte  m'enzogno  Maria, 
Vestita  me  ce  vie'  da  giardiniera. 
Quanto  ce  vo'  gioca'  che  si'  la  mia.? 

Sabatini,  36. 


g2  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIOW   POPOLARI 

44.  Vojo  parti'  e  non  p6zzo  partire, 
Da'  na  catena  me  sento  tirare 

E  la  caggio'  si'  tu  der  mio  dolore. 

45.  Voi  siete  quella  stella  rilucente 
Venite  da  le  barze  de  levante, 

Di  dolore  fate  mori'  la  ggente. 
Cfr.  il  Riapetto,  Gianandrea,  7I' 


Pregi  e  difetti  dell'uomo  e  delta  doaaa. 

46.  Chi  de  le  morette  ne  dice  male 
Nun  date  retta,  so'  tutte  buscie: 

Me  pare  'e  sta'  all'arbergu  der  Quirinale. 

47.  E  I'acqua  de  lo  mare  h  turchinella, 
La  lengua  de  le  donne  cuce  e  taja, 
Speciarmente  quella  de  tu'  sorella. 

Cfr.  Menghii^i,  404;  Schulze,  338. 

48.  E  semo  genzanese  e  semo  donne 
Annamo  in  guerra  e  nun  portamo  I'arme 
Semo  piu  forte  noi  che  le  colonne. 

Cfr.  Zanazzo,  pag.  135;  Gianandrea,  pag.  207-99;  Rleri,  I,  141. 

49.  Fiore  de  grano :  • 
Vedi  lo  grano  quant'^  piccolino, 

fe  piccolino  e  tutti  ce  campamo. 

Sembra  risposta  a  uno  simile  a  Menghini,  33  (e  Zanazzo,  pag.  331)  «  Fiore  de 
grano  -  Sei  troppo  piccolina  per  un  omo,  ecc.  ». 

50.  Fiore  de  more: 

Chi  de  le  morette  ne  dice  male 
Pia  *n  cortello  e  spaccheje  lo  core. 

5 1 .  Fior  de  le  more : 

E  I'occhi  de  le  donne  so'  ccatene, 
L'uomo  h  'ncatenato  de  pene  amare. 


UN   MAZZETTO  Dl  STORNELLI   GENZANESI  jCjj 

52.  'N  te  ne  fida'  deiromo  ch*^  birbone, 
Quanno  lo  vedi  che  te  vie'  rreale 

Allora  te  vie'  ffinto  e  traditore. 
Cfr.  Zanazzo,  pag.  72. 

53.  Quanto  so'  bbelli  I'ommini  moretti 
Massimamente  quelli  un  po'  ricciotti 
Parono  mazzi  de  garofoletti. 

Schulze,  58;  Zanazzo,  pag.  94 :  «  E  specialmente  quelli  ggiuvinotti  -  Ve  faiUM 
'nnaramur^  li  soli  occhietti  ».  Coscia,  736,  Rondini  {Archivio,  vol.  VII.  N^  is^x 
«  ...  un  po'  ricciotti  -  c'han  quegli  occhietti  de  garofoletti  >. 

54.  Timo  fiorito: 

Me  fidai  de  le  donne  e  fu  'ngannato, 
Me  fidai  de  I'amici  e  fui  trad! to. 

Tigri,  pag.  375  al  2*  verso:  «  Mi  fidai  degli  amici  »  e  al  3»;  «  Delle  donne  », 


Gelosia,  sdegno  e  Stornelli  iroaici. 

55.  A  la  finestra  tua  ce  so'  li  vasi 
E  CO  la  scusa  d'annacqua'  li  fiori 

A  tutti...  tiri  li  bad. 

Non  ho  udito  bene  Tultimo  verso. 

56.  A  la  viente, 

E  quanno  te  lo  pij  'sso  mercante, 
Te  fa  patrona  de  I'acqua  currente. 

57.  Amore  mio,  nun  te  pia'  pena 
Che  de  le  donne  non  c'  ^  carestia : 
Da  Roma  n'^  rrivata  'na  barca  plena. 

Marsilianf,  158 :  <  O  6mo,  6mo,  non  aver  paura  -  Che  de  le  donne  non  c*  6 
carestia  -  Ad  e  venuto  un  bastimento  a  mare  -  De  le  piCi  belle  donne  che  ci  si^  ». 
Rispettod  pure  nellMve,  pag.  166,  5,  e  ugualmente  (Villotta)  nel  Bernoni,  punt.  VlK  a. 
Dalmedico,  (V,  Cant,  pop,  di  Chioggia,  1872);  Tigri,  pag,  21-69  e  pag.  39-129  (Risp.j, 


04  ARCHIVIO  PER   LE   TRADIZIONI  POPOLARI 

58.  Chelle  de  Roma, 

Pure  a  Genzano  ce  n'^  quarcheduna, 
Veste  de  rosso  e  fa  la  rosicona. 

59.  E  lo  mi'  amore  se  chiama  spaccone, 
Che  si  pe*  ss'orti  comincia  a  spaccane 
Spacca  le  legna  pe'  ssette  staggione. 

60.  E  pe*  'stu  rione  che  spesso  ce  passo 
E  non  ci  passo  i:>e'  nessu'  'nteressu, 

Co'  I'artri  fo  I'amore,  co'  tte  me  spasso. 
De  Gubematis,  200  {Tradiz.  di  Calcinaia,  Roma^  1894),  con  immagine  di versa 
Pel  3®  verso  Gianandrea,  pag.  115-77- 

61.  fe  questo  'r  vicinato  de  le  bbelle, 
Venite  giuvinotti  a  prenne!  mmoje' 

Ne  do  quattro  ar  quattrin  come  le  spille. 
Tommaseo,  pag.  353-3;  Tigri,  pag.  329-149;  De  Gubematis,  261. 

62.  Fascioli  neri: 

E  mannamelo  a  di*  quanno  te  mori, 
Te  manner6  a  pia'  Tangeli  neri. 

Giannini,  401,  al  3'  v.   «T'accendo  una  candela  a  quattro  luml  ».  E  cosi 
De  Gubematis,  154,  Pieri,  III,  69. 

63.  Tfaccite  a  la  finestra,  pimpa,  pompa, 
Nun  vedi  che  lo  c^lo  tona  e  lampa, 

Si'  tanta  bbella  e  nessun  te  se  crompa. 

Gianandrea,  pag.  239 ;  <  Fiore  de  lenta  -  Lo  tempo  6  nugolato,  trona  e  lampa  - 
Tutti  ne  vole  ma  nigiii  le  compra. 

64.  Fior-  di  cipresso : 

Nun  so'  patrona  manco  de  fa'  'n  passo, 
Tengo  'sti  beccalumi  sempre  appresso. 
Coscia,  279,  ha,  in  un  Risp.,  «  leccalumi  ». 

65.  Fior  d'enzalata: 

Quanno  che  stai  co  I'artri  ridi  e  burli, 
Quanno  che  stai  co'  mme  fai  I'ammalata. 
Qualche  analog,  ha  Giannini,  250. 


UN  MAZZETTO  DI  STORNELLI  GENZANES(  gj 

66.  Fiore  de  menta, 

Voio  cava'  la  radice  a  la  pianta, 

Chi  scappa  dar  mio  cor  piu  'ce  rientra, 

Gianandrea,  pag.  116-84;  Coscia,  476;  MarsiliantT  278;  Maziatmti,  413;  Cu- 
riosa  storia  ha  il  2*  verso.  Zanazzo,  pag.  108 :  «  La  menta,  bbello  mif>,  non  s^ 
trapianta  >,  Giannini,  275  <  Menta  si  chiama  percM  si  trapianta  »j  Ida  Rossi 
{Archivioj  vol.  XiV)  «  La  menta  6  bella  perch6  si  trapianta;  Tigri,  pag.  359:  Menta 
si  chiama  perche  non  fa  pianta  ».  Ilnostro  ha  un'iramagine  che  armonizzn  col  senso 
generate,  ma  lo  stomello  e  stato  torturato  e  volto  anche  a  non  sens  i  probabilmente 
perch6  deriva  da  uno  che  il  popolo  non  pu6  intendere,  sel>bene  Lo  canti  tiittavia. 
ife  nello  Schulze,  264:  «  Fiore  de  menta  -  Chi  dice  che  la  menta  non  si  pianta?  - 
lo  dico  che  si  pianta  e  si  sementa  >.  Qui  e  palese  I'origine  letteraria  per  la  gros- 
solana  arguzia  della  meniula  che  pass6  anche  nelle  famose  Stanze  della  Mante 
aggiunte  al  Vendemmiatore  del  Tansillo. 

67.  Fiore  de  persico: 

E  nun  te  si'  saputo  Pamante  capane, 
Te  si'  capato  'n  persico  giallone, 

Coscia,  117 ;  Rispetto  maschile  :«,..£  tanto  tempo  che  tu  fai  airamore  -  E  'n 
hai  saputo  I'amante  capare  >, 

68.  Fior  de  nampazzo: 

E  la  mia  bella  tira  I'acqua  al  pozzo 
E  s'h  strucca  la  corda  e  disse:  ciisco! 

69 

Con  me,  bellino,  non  ce  la  plane, 
So'  la  sorella  de  rimmentatore. 

Immentatore,  inventore,  il  poeta  autor  di  StomeJlip 

70.  Fior 

Chi  non  sa  fa'  I'amore  se  Tampara, 

Chi  ci  ha  I'amante  vecchio  se  lo  rinnova. 

Gianandrea,  211 ;  Bemoni  (Villotta)  IV,  14;  Casetti-lmbrianit  U.  73  {CanL  mr- 
ridionali,  Roma,  Loescher,  1871-72);  Giannini,  loi,  3:  Tigri.  399:  *  AU'acqua,  al- 
i'acqua  alia  fontana  nuova  -  Chi  non  sa  far  Tamor  La  ci  s'impara  -  E  chl  non  cl 
ha  Tamante  ce  lo  trova  »,  con  grazia  toscana. 


g6  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

71.  lo  canto  li  stornelli  pe*  ddisf)etto 
Pe*  ffattelo  vede'  ch'io  non  so*  matto, 
E  questo  core  che  ci  ho  qui  ner  petto. 
Non  ^  pe'  tte  che  mamma  me  Tha  fatto. 

72.  In  mezzo  ar  mare  c'h  'na  vita  d'ua, 
Li  marinari  chi  zecca  e  chi  cala 

Cosl  fanno  Tamanti  a  casa  tua. 
Zecca,  sale.  Ho  sentito   cantare  anche  Chi  scegne  ^  chi  cala,  errato  ma  che 
ricorda  Marsiliani,  436  p  475:  «  Li  marinarj  chi  scende  e  chi  piana  >  (=:  al  sici- 
liano  acchiana).  Coscia,  555. 

73.  La  sera  de  li  lumi,  brutto  bboja 
Me  lu  facessi  vedere  'n  cannela 
Sotto  bbraccetto  colla  'ddia  nuova. 

<  Ddia,  diva  »  sostantivato,  raro  ne'  canti  nell'It.  centr.  h  piii  freq.  nel  mez- 
zogiomo  (Mandalari,  Cant,  reggini.,  Napoli,  1881,  N.  XXX.  Pitr6,  Cant,  Sicil.  15, 
32,  69,  ecc.  In  Marsiliani  {Canti  dei  dintorni  del  lago  di  Bolsena.  Orvieto,  1886), 
pag.  62,  147.  Vedi  addietro,  N.  11. 

74.  Quanno   che  morir6  lo  dico  a  nonna, 
Sur  carro  ce  li  vojo  li  nastri  lilla, 

De  dietro  lo  mi*  amore  che  suona  e  balla. 

75.  Ve  do  la  bona  sera  e  piCi  non  canto^ 
Bella,  'n  ve  lo  plate  per  affronto, 

La  bona  sera  a  voi  e  chi  ve  sta  'ccanto. 


Invettive  e  vari. 

76.  Amore  mio,  metti,  metti  legna 
Fino  su  *n  c^lo  fa  riva*  la  fiamma 
Ha*  voja  a  mormora*,  lenguaccia   indegna. 

yy,  Che  si  *mmazzata,  sta'  sempre  a  lo  specchio, 
Te  spuntino  le  corna  come  Tabbacchio 
Si*  *na  r...  de  Genzano  vecchio. 

Schulze,  345 :  «  Che  si  ammazzato,  sempre  stai  alio  specchio  -  Te  spuntino  le 
coma  -  Come  un  abbacchlo  >.  E  qui  terminal 


UN  MAZZETTO  Dl   STORNELLf   GENZANESI  97 

78.  E  me  ne  vojo  anna*  de  la  dar  monno 
A  ritrova'  le  donne  che  la  danno, 

A  chi  la  bona  sera,  a  chi  'r  bon  giorno. 

Fieri,  VI,  5;  Schulze,  267,  di  piii  chiara  derivaz.  toscana:  «  E  me  ne  voglio 
anda  verso  Livorno  -  A  ritrova  le  bimbe,  ecc.  ». 

79.  E  me  ne  vojo  anna'  de  la  dar   mare, 
Pe'  ccompagnia  me  lo  porto  'r  sole 

Che  me  fa  luce  a  lo  mio  camminare. 

Fieri,  III,  94,  al  y  v.  «  FerchS  la  gente  non  pensino  a  male  ».  Mazzatinti,  207; 
Tigri,  pag.  355;  Gianandrea,  pag.  206-89. 

80.  E  va  'mmori'  'mmazzatu  mo'  te ce  manno, 
Come  me  t'ho  comprato  te  rivenno, 

E  senza  facce  'n  sordo  de  guadagno. 

Scrivo  'mmori,  per  indicare  la  elisione  della  preposiz.  a.  Fieri  HI,  52 ;  Tom- 
maseo,  pag.  308-25;  De  Gubematis,  241;  Ive,  (Canti  istriani,  Roma,  Loescher, 
pag.  168-9;  Nieri,  527  {Alti  rf.  R.  Accad.  Lucchese,  vol.  XXXI). 

81.  Fior  de  fascioli ; 

Nun  vedi  che  Pha  persi  li  colori, 
Chistanno,  bbella,  nun  la  spummidori. 

82.  Fiore  de  grano: 

Li  Turchi  so'  'rrivati  a  la  marina 
Li  carrecchieri  a  le  porte  de  Roma. 

11  2p  verso,  coraunissimo  (Tommaseo,  ^84-9;  Tigri,  p.  319;  Gianandrea,  211, 128; 
Casetti-lmbriani,  11,  pag.  73'  ecc),  e  quasi  sempre  fuori  di  posto  negli  stomelli. 
sembrebbe  d'origine  narrativa. 

83.  Fiore  de  pepe, 

E  sotto  lo  zinale  la  portate 
La  peparola  pe'  pista'  lo  pepe. 

Mengh.  220,  non  d^  senso.  Schulze,  353;  Rondini  {Arc/twio,  Vll,  pag.  174), 
<  O  donna  che  I'avete  e  la  portate  -  Sotto  lo  zinalino  la  tenete  -  Se  qualcheduno 
ve  la  domandasse  -  Tenete  detto  che  non  ce  I'avete  -  La  peparola  ove  si  pesta 
il  pepe  ». 

Archivio  per  le  tradiaioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  13 


q8  archivio  per  le  tradizioni  popolari 

84.  Fiore  de  ruta: 

Chi  c\  ha  Tinvidia  bisogna  che  crepa; 
Ha*  voja  a  mormora',  lengua  pezzuta. 

85.  Ho  fatto  'n  piantinaro  d'accidenti 
Che  si  me  venno  a  luce  tutti  quanti, 
Uno  che  te  ne  pia  te  sgrigna  i  denti. 

Zanazzo,  pag.  102;  Giannini,  404;  De  Gubematis,  116;  Giambaitisia  Ba- 
sile,  I,  32;  Nieri,  148  {Cant,  lucchesi,  in  Atli  d.  R.  Ace.  Lucchcsr,  vol.  XXXI). 

86.  Ne  vengo  da  li  monti,   e.  che   volete? 
Quattro  a  baiocco  damo  le  cortellate, 

E  de  sassate  quante  ne  volete. 

Cfr.  Schulze,  324;  Blessing,  286;  «  Noi  siamo  Frascatani  tutto  pepe  -  Sedici 
a  baiocco  le  coltellate  -  Mazzarellate  quante  ne  volete*.  II  nostro  e  un  ecofuordi 
posto  delle  bravate  dei  Monticiani  (abitanti  del  rione  Monti)  in  lotta  coi  Popolanti 
(v.  Zanazzo,  pag.  112  e  135-36). 

87.  Siete  carina  'n  ve  se  po'  negare 
E  chi  ve  vede  a  voi  deve  sta'  bbene 
Ne  date  finta  a  chi  ve  vo'  vedere. 

Sabatini,  19  e  il  Rispetto  del  Gianandrea,  pag.  49-23;  Tigri,  pag.  123;  Risp.  447. 
«  Siete  bellina  e  non  si  pu6  negare  -  Quelle  che  vi  mettete  vi  sta  bene  -  Solo  una 
cosa  vi  ci  puo  mancare  -  Che  non  amate  chi  vi  vuol  del  bene  ». 

88.  Te  pozzino    'mmazza'  quanno  t'arizzi, 
La  lengua  te  se  faccia  a  mille  pezzi, 

Da  di'  male  de  me  quanno  la  spicci? 

89.  Te  pozzino  ammazzatt'a  te  e  tu  madre. 
Pe'  cquanti  giovinotti  ha'  messo  'n  croce, 
De  mettimici  a  me  nun  si'  capace. 

90.  Vojo  plane  'n  sordo  d'enzalata 
La  vojo  sbatte  'n  faccia  a  'sta  gialluta 
Brutta  gialluta  tisica  svenata. 


CANTl  POPOLARl  SICILIANI 

RACCOLTI    A    FANTINA    ED     A    S.    BASILIO 
FRAZIONE  Dl  NOVARA  SICULA  i) 


I. 

Apritimi  si  i)  porti,  apriti,  apriti, 
Li  porti  di  ramuri  su'  firmati, 
Nun  2)  catinazzu  d'oru  cci  tiniti,    . 
Cu  'na  chiavi  d'argentu  li  sfirmati. 
Liu  chintra  3)  vostra  figghia  la  tiniti, 
Chilla  4)  cu  li  labbruzza  'nzuccarati, 
Fagitila  5)  facciari  6),  si  vuliti, 
Nu  jornu  sara  mia,  si  mi  la  dati. 

I)  .SV  per  ssi  e  c/tissl  (quelle)  gia:che  la  j5  ordinari  a  del  siciliano  6  spesso  de- 
bole,  anche  in  mezzo  di  parola.  —  2)  Xun  ed  anche  nu  per  uu.  —  3)  L/u  chintra 
(l^dentro),  che  forse  si  djvrebbe  s:rivere  Hue k' intra,  invece  di  ddoch* intra.  — 
4)  Chilla  (quella),  all'uso  calabrese,  \itx  chidda.  —  ^)  Fagitila  (fatela)  X)QV  facitila 
con  Taddolcimento  delia  c.  —  6)  Facciari  per  affacciari,  giacche  di  regola  la  vo- 
cale  iniziale  seguita  da  doppia  si  elide  e  questa  si  attenua. 

II. 

^Ma  tu  cci  pensi  quannu  ti  baciai,  i) 
Cu  la  t6  bucca  nigari  nun  poi, 
Quannu  li  manu  'mpettu  ti  'nficcai 
Tu  mi  dicisti :  «  fa  cozzu  2)  nni  v5i » ; 
1)  Baciai^  per  vasai,  non  solo  conserva  la  b  originaria,  secondo   Tuso  della 
provincia,  ma  anche  la  c,  il  che  6  piu  raro.  —  2)  Cozzu  (quel  che   tu)  per  zoccu 
con  una  singolare  metatesi. 


i)  I  primi  dieci  canti  sono  di  Fantina,  gli  altri  di  S.  Basilio.  Per  qualche  notiziasu 
questi  due  villaggetti  pu6  vedersi  la  nostra  Storia  della  cittd  diSicilia,  w.  2.  Novara, 


100  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Tu  mi  dicisti  «cessa»,  ed  iu  cissai, 
Ma  fermu  stigi  3)  a  Iu  cumannu  toi, 
Ora  cu  Iu  4)  m^  bullu  ti  bollai, 
Ti  ti  mariti  e  ti  pigghi  a  cu'  v6i. 
3)  Siigi  per  steili,  e  una  forma  che  non  ho  inteso  altrove.  —  4)  0?a  at  In 
(ora  che  col),  h  sottinteso  il  chi  tra  ora  e  cu. 

in. 

Facciati  a  la  fincstra  amada  Dia 
Quantu  ti  sintu  i)  'na  vota  parrari, 
Lu  5uri  2)  eni  3)  lagnatu  assai  cu  tia, 
Si  tanta  bella  4),  chi  lu  fai  mucciari  5); 
L'angiri  su'  calati  ca  pri  tia, 
Chi  'mparnvisu  ti  vonu  6)  purtari; 
E  iu  bidemma  mi  ni  vignaria 
Ca  iu  senza  tia  nun  pozzu  stari. 

I)  Sintu  per  seutu,  ma  non  sempre  la  e  tonica  si  stringe  in  i.  —  2)  .Sw/Zper 
suli;  il  passaggio  della  /  in  r  e  quasi  costante  a  Fantina,  cosi  che  nel  5°  verso 
si  trova  ano^iri  per  auj^i/i,  e  si  sente  dire  ravarrri,  purizia,  ecc,  per  cavalcri 
pulizia^  ecc.  —  3)  Eni  per  <?.  —  4)  La  dd  cacumale  propria  del  siciliano  si  sente 
quasi  sempre  //.  —  5)  Mucciari  ^tx  ammucciari,  vedi  la  nota  6  alia  I.  — 6)  I'onii 
per  vonnu,  per  lo  indebolimento  regolare  della  doppia. 

IV. 

Sdegnu  mi  libirai  di  la  t6  ridi  i), 
'Ntra  la  menti  me  cchiu  nun  ci  stati, 
Ora  chi  'ncatinatu  nu  m'aviti, 
Bela  2),  li  sensi  mei  I'haiu  quitati; 
Tiniti  forti  ss'amenti  3)  ch'aviti, 
Li  piaciri  chi  voli  ci  li  ha  dati; 
Ca  diu  4)  mi  ni  'rassai  gia  lu  sapiti, 
Nun  pozzu  fari  I'amuri  a  mitati. 

I)  Ridi  per  rili,  come  doveva  avere  il  canto  la  dove  fu  ccmposto.  —  2)  Rela 
per  bella,  invece  di  bedda  (vedi  nota  4"  al  11),  per  effetto  della  tendenza  ad  inde- 
bolire  le  consonanti  doppie.  —  3)  Amenti  per  amanii,  giacche  la  a  tonica  si  stringe 
quasi  sempre  in  c  —  4)  Ca  diu  (che  io)  con  la  d  eufonica. 


CANTI  POPOLARI  SICILIANI  lOi 

V.  I) 
Nun  ti  vogliu  na,  na  2),  cercati  amenti, 
E  ti  lu  dicu  risulutamenti, 
M'hanu  pasatu  3)  li  speci  d'aventi, 
Ora  nun  ci  si'  ciiiu  la  me'  menti; 
Si  ti  viru  parra'  cu  nMtr'amenti, 
Calu  Tocchi  a  la  terra  e  su'  cuntenti, 
Un  giornu  prigiiirai  comu  li  senti  4), 
Sdegnu  pbi  truvari,  amuri  nenti. 

I)  Questo  canto  che  ha  tutte  le  rime  in  consonanza  e  un  curioso  effetto  Jel 
fenomeno  fonetico  locale,  che  ha  trasforraato  in  e  le  a  toniche  delle  rime  dispari, 
che  erano  in  assonanza  con  le  altre.  —  2)  Na  na  per  no  no  e  caratteristico.  — 
3)  yf'hanu  pasatu  (mi  son  passate)  per  I'indebolimento  della'  n  e  della  s.  —  4]  Senii 
per  santi,  come  sopra  si  ha  anihnli  e  aventi.  per  amanti  e  avanti. 

VI. 

E  'nta  sta  strata  c'^  'na  nova  zitta,  i) 

Di  bona  sira,  di  bona  giurnata  2), 

Pozza  fari  di  frumentu  e  sita 

Quanta  rina  c'e  a  mari  munzillata  3), 

Pozza  avanzari  comu  la  munita, 

Mi  la  vidu  cuntenti  maritata! 

lu  mi  ni  vaiu,  vi  salutu  zitta 

Vi  lassu  cu  li  santi  cumpagnata  4). 
I)  Zitta  per  zita  (fldanzata)  e  un  fenomeno  strano  giacch^  rinforza  la  conso- 
nante  quando  la  tendenza  abituale  e  di  indebolirle.  —  2)  La  /  originaria  k  Jiven- 
tata  sonora,  per  un  fenomeno  parallelo  a  quello  che  fa  usare  la  h  per  \ix  v  del 
comune  siciliano.  —  3)  MnnsUlata  per  ammuuziddata  (raccolta,  ammucchiata)  per 
I'aferesi  e  la  sostltuzione  di  //  a  dd  gia  notate.  —  4)  Invece  di  avcumpa^HiUa. 

VII. 

Ma  no  i;  ti  vogghiu  cchiu,  muta  guvernu  2), 
Ti  I'hc'l'  scurdari  tu  tunnu  di  mia, 
Mi  passa,  mi  pasau  3)  lu  foe'  aternu 
E  mi  pasau  la  strema  gilusia; 

I    No  per  non.  —  2)  Gambia  proposito.  —  3)  Pasa  e  pasau  ^^x  passa  e  pa^sutK 


102  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZrONI  POPOLARI 

Visjti  lu  t'amuri  e  lu  discernu/ 
L'h^  vistu  tutta  la  t6  furbaria, 
Eu  mi  cuntentu  di  iri  a  lu  'nfernu 
E  mi  ni  vegnu  a  lu  latu  di  tia  4). 

4)  1  due  ultimi  versi  non  mi  pare  che  accordino  col  senso  degli  altri ;  forse  sono 
spostati. 

VIII. 

Partu  e  nun  haiu  cori  chi  ti  lasciu  r), 
Gran  chiantu  fazza  a  la  spartenza  mia, 
Quantu  di  stu  locu  sugnu  arrassu  2) 
Tanti  funtani  fazzu  pi  la  via; 
Ti  pregu,  anima  mia,  pigliati  3)  spassu, 
Nun  ti  pigliari  di  malancunia; 
Si  ti  veni  la  nova  ch'eu  trapassu 
Dimi  4),  pi  carita,  'n'avimaria  5). 

I)  Questo  lasciu,  per  I'originario  lassu,  mi  pare  un  prodotto  della  scuola.  —  2)  La 
doppia  ss  e  in  tutte  le  rime  raolto  debole,  ma  chi  recitd  il  canto  non  ne  faceva 
sentire  una  sola,  forse  per  rendersi  piu  cliiaro.  —  3)  11  j^i  invece  del  s^^h  siciliano 
d  conforme  all'uso  calabrese.  —  4)  Dimi  per  dimmi.  —  5)  Ecco  Tavemaria,  trascritta 
nella  chiesa  di  Fantina  durante  la  messa,  che  e  ascoltata  recitando  il  rosario :  *  Sarve 
Maria  chiena  di  grazia,  lu  Signuri  eni  cu  vui,  vu'  siti  biniditta  tra  tutti  li  donni, 
binidittu  eni  lu  fruttu  lu  vostru  ventri  di  Gesu.  —  Jesus,  Santa  Maria  matri  di  Diu, 
priati  pi  niatri  piccaturi,  oa  noscia  morti  accusisia  ».  (Le  iniziali  di  cu,vui,  Diu,  sia 
debolissime;  oa  era  un  suono  che  difficilmente  si  pu6'rendere  con  I'alfabeto). 

IX. 

Aviti  li  capilli   biunni  e  rizzi 
E  'ntesta  li  tiniti  mazzi  mazzi, 
Su'  comu  nu  garonfanu  di  trizzi, 
Comu  'na  scocai  a  forma  di  tri  lazzi, 
E  quantu  merri  cc'^,  quantu  marvizzi 
Tant'omini  pi  vui  nescinu  pazzi, 
E  tantu  sunnu  granni  si  billizzi 
Chi  I'omini  li  teni  senza  lazzi. 


CANTI  POPOLARI  SICILIANI  103 


Facciati  a  la  finestra,  scuta,  senti, 
Senti  li  me'  suspiri  arruburbari; 
Haiu  li  carni  me'  'nt6  6n  focu  ardenti, 
Un'ura  nun  mi  lascia  arripusari. 
Tu  chi  sciali  e  ridi  e  stai  cuntenti 
Cunsidira  si  mi  v5i  cunsidirari. 

XI   1). 

O  strumenti  d'amuri  non  sunadi 
Mentri  chi  dormi  la  ma  cara  Dia, 
Ma  si  pi  suorti  vui  la  druvigliadi 
Cu  druviglia  lu  sonu  h  tirannia. 
Bienchi  linzori  chi  la  cumigliadi 
Cumigliatila  buona  a  la  ma  Dia, 
Si  chiumazzelli  ca  a  ladu  purtati, 
Diedici  un  basciu  pi  la  parti  mia. 

I)  La  parlata  di  S.  Basilio»  come  quella  di  Fantina,  ha  tutte  le  caratteristiche 
dei  dialetti  lombardi  e  di  Sicilia;  ma  si  approssima  piCi  di  essa  al  comune  Sici* 
liano  specialmente  in  bocca  agli  uomini.  Nel  trascrivere  i  canti  segueuti  noi  abbiamo 
conservato  anche  le  diiferenze  fonetiche  individuali,  ed  e  perci6  che  alcuni  hanno 
piii  degli  altri  del  Siciliano  comune;  ma  dopo  le  note  apposte  a  quell i  di  Fantina, 
non  crediamo  di  doveme  mettere  anche  a  questi,  avendo  \k  accennato  ai  piu  im- 
portant! principi  fonetici,  che  ora  su  per  giii  non  fanno  che  riprodursi. 

Xll. 

Facciuzza  di  'na  chemira  gintiri, 
Quentu  suspiri  m'h^  fettu  gittari! 
C'^  'na  picciotta  chi  mi  fa  muriri, 
Di  nomu  non  la  pozzu  muntuvari; 
Vacci  suspiru  miu,  si  ci  voi  iri, 
Va  dicci  chi  la  mennu  a  sarudari, 
Dicci  mi  non  si  piglia  dispiagiri, 
Si  ^  nata  pri  mia  non  p6  mancari. 


I04  ARCHfVfO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARf 

XIII. 

Barcuzza  di  Vinezia  sapurita 
O  quentu  h  bellu  lu  t5  navigari! 
T'aiu  purtatu  li  viri  di  sita 
Li  'ntinni  d'oru  pi  putirli  arzari. 
T6  mamma  chi  ti  figi  sapurita 
Megliu  di  comu  si  un  ti  potia  fan! 
Bellu  ^  lu  zitu,  chiu  bella  h  la  zita, 
Diu  mi  li  lascia  a  stu  munnu  campari. 

XIV. 

Sugnu  rivatu  a  stu  parazzu  d'oru, 
Fermu  lu  pedi  e  nun  passu  piu  avanti, 
Li  porti  e  li  fmestri  sunu  d'oru, 
Li  ciaramiti  di  petri  diomanti; 
La  dintra  stadi  vui,  signlira  d'oru, 
Lu  paradisu  cu  tutti  li  santi, 
Facciti  a  la  finestra,  torcia  d'oru, 
Quantu  mi  gaudu  si  blllizzi  santi. 

XV. 

Vaiu  di  notti  comu  va  lu  nigliu, 
Ta  li  matinadelli  mie  ricogliu ; 
Stuffatu  mi  lu  fazzu  lu  cunigliu, 
La  'nzaratella  cu  Tacitu  e  Togliu, 
leu   di  la  quaglia  lu  pettu  ci  pigliu, 
Di  la  pirnicia  quad  punta  vogliu, 
Ma  lu  sapiti  di  cui  sugnu  figliu, 
Chi  ristadlni  d'altru  non  ni  vogliu. 

XVI. 

Vurra  sapiri  la  m)    'menti   unn'evi, 
Vurra  sapiri  chi  pensa,  chi  fa, 
Vurra  sapiri  s'idda  ferma  evi, 
Si  Tavi  chiu  cu  mia  la  vurunta; 


pap^^ra—— •T''i^"M»^^p.in-,,.i".^f  L_ .  I  |ij-v',»»^'r;- '       -  '  I   V  BKf I  w  ■  ^f^  fH.>*TT  ^; T'fM^ '^^ ; 


CANT!  POPOLARI  SICILIANI 

Cu  sa  a  lu  latu  so,  cu  sa  cu  c'evi, 
Li  carizzelli  soi  a  cu  li  fa; 
Parti  furtuna  mia,  va  viri  unn'evi, 
Va  piglimmila  e  portamila  ca. 

XVH, 

lu  cianciu  a  su  parrari,  mi  cunfunnu; 
Li  peni  mei  quantu  su  gravusi, 
Annunca  a  mari  mi  iettu  a  lu  funnu, 
Pri  s'occhi  quantu  sunnu  priziusi. 
Tra  sa  bucuzza  pri  denti  ci  sunnu 
Oru  brillanti,  petri  priziusi, 
Sa  frunti  larga,  su  nasu  afilatu, 
Bucca  d'anelu,  labru  'nzuccaratu, 

XVIH. 

Un  iuornu,  beni  miu,  mentri  scriveva 
St'arma  da  lu  me  pettu  si  staccava, 
Dieva  una  pinnada  e  poi  piangeva, 
La  carta  sutta  Tocchi  la  bagnava, 
Mentri  lu  brazzu  scriviri  vuleva. 
La  pinna  di  li  manu  mi  cascava, 
Ed  era  tanta  la  pena  chi  aveva 
Chiangeva  e  lagrimannu  ti  pinsava. 

XIX. 

Lu  zitu  m'ha  mannatu  nu  prisenti, 
E  lu  prisenti  fu  nu  muscaloru 
Adornu  di  du'  nocchi  differenti: 
Russa  'ncarnata,  culuri  di  Toru. 
Figlitta,  si  ti  spianu  li  genti: 
E  quentu  ti  custau  su  muscaloru? 
Dici  chi  a  tia  non  ti  custa  nenti, 
Ti  lu  purtau  lu  spusu  di  t6  soru. 

Archivio  per  le  tradiHoni  popolari,  —  Vol.  JCXJII.  14 


los 


105  ARCHfVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

XX. 

Si  grastuza  di  fiuri  tenta  megna, 
Pi  scrivi  sa  bilizza  'on  ci  po'  pinna, 
Quennii  ti  'facci  lu  suri  si  legna 
Videnu  sa  bilizza  tenta  digna; 
Mazzuzu  di  garofaru  di  Spegna, 
Ta  lu  pituzzu  hai  na  rosa  digna, 
'Na  grazia  stu  cori  ti  dumenna 
Si  tu  m'emi  di  cori,  sii  birigna. 

XXI. 

Su'  fattu  vecchiu  a  lu  tantu  spittannu, 
E  lu  ma  cori  n'havi  gran  duluri, 
lu  moru  sempri  a  tia  disidirannu 
Si  spiranza  ci  duni  a  lu  ma  cori. 
N'e  deri  cuntu  tu  si  iu  mi  dannu, 
Sorviri  non  ti  po'  lu  cunfisuri, 
Si  t*ama  un  piciutellu  senza  'ngannu 
Non  si  lascia  cussl,  poviru  amuri! 

XXII. 

Ti  maridasti  senza  diri  nenti, 
Senza  pigliari  licenza  a  Tamanti, 
Tu  mi  lasciasti  *ta  peni  e  turmenti, 
Li  stissi  mura  si  smuveru  a  chianti! 
Cu  ti  lu  cunsighiai,  cori  cuntenti, 
Tu  mi  lassavi  lu  to  primu  amanti? 
Tu  mennimi  un  sarudu  quennu  nenti 
Comu  prossimu  toi,  non  comu  amanti. 

XXIII. 
Lu  caru  beni  si  di  st'alma  mia, 
Moru  gUardennu  la  tua  prisenza, 
La  notti  dormu  e  mi  sognu  cutia, 
Chissu  fa  fari  la  binivulenza, 


,  (iANTi  PdPOLARI  SfClLlANi  167 

Carta  bascila  tu  pi  parti  mia, 
Facci  cu  vera  cori  rivirenza, 
Speru  la  sorti  d'essiri  la   mia, 
Moru  guardannu  la  vostra  prisenza. 

XXIV. 

Giuvana  bella  mi  legra  lu  cori 
Quannu  a  la  porta  ti  vidu  facciari, 
Chi  si  chiu  bella  di  Tautri  figliori, 
La  t6  bilizza  mi  fa  paccKari. 
To  memma  cu  t6  soru  chi  non  vori 
Mencu  to  pedre  ti  la  lascia  fari, 
Sai  chi  ti  dicu,  si  la  sorti   vori 
E  s'^  ditu  di  Diu  non  po'  mancari. 

XXV. 

Fighiuzza  comu  Toru  stralugiti, 
Comu  lu  suri  tra  li  vitriati  ; 
Vostra  mamma  vi  teni  tra  li  riti, 
No  voli  pill  cu  mia  mi  ci   parrati; 
E  vui  fighiuzza  tantu  bona  siti 
Sintenlumi  cantari  vi  facciati, 
Cridu  chi  tra  lu  geniu   m'aviti 
Ed  iu  bindemma  tra  la  vurentati. 

XXVI. 

Fighiuzza  pri  lu  tantu  amari  a  vui 
lu  scerra  sugnu  cu  tutti  li  mei, 
Su  scerra  cu  m^  patri  ch'^  lu  cchiui 
E  cu  li  me'  fratelli  tutti  sei, 
Me  mamma  no  mi  po  vediri   chiui, 
Su  comu  Cristu  a  menzu  li  judei, 
Ma  sempri  dicu :  amamunni  nui  dui, 
Cu  tia  l*aiu  a  finiri  Tanni  mei. 


108  ARCHIVIO  f>El^  LE  TftAblf  IONI   K)I^0LARI 

XXVll. 

Scura  la  sira  e  scura  Tarma  mia 
Ca  veni  Tura  di  lu  tantu  affannu, 
Chianciu  chi  m'haiu  a  spartiri  di  tia 
E  Tarma  cu  lu  cori  ristirannu; 
Salutu  li  finestri  porti  e  via 
E  li  vicini  chi  accostu  mi  stannu, 
Dopu  salutu  a  vui  patruna  mia, 
Cu  sa  si  st'occhi  chio  vi  vidirannu. 

XXVIIL 

Guardu  lu  logu  e  la  casa  chi  stai 
Comu  guardassi  li  billizzi  toi, 
Si  calamita  chi  tiratu  m'hai, 
Bella  mi  tiri  a  lu  logu  chi  v6i; 
Le  me  firiti  tu  li  sanirai 
E  cu  lu  'nguento  to  tuttu  tu  poi, 
Si  nun  li  sani  sentiri  dirai: 
Morsi  n'amanti  a  li  sirvizi  toi. 

XXIX. 

Sempri  pinsannu  chi  si'  veru  gigghiu 
Gigghiuzzu  di  stu  pettu,  anima  mia! 
Sai  quantu  pena  e  colira  mi  pigghiu 
Quannu  sto  arrassu  e  luntanu  di  tia; 
Quant'uri  c'^  'ntu  jornu  mi  sutigghiu, 
E  bramu  di  la  strema  gilusia; 
Si  v6'  sapiri  quannu  dormu  o  vigghiu 
fe  quannu  sugnu  a  lu  latu  cu  tia. 

XXX. 

Dulurusa  spartenza!  ancora  tremu 
E  quannu  pensu  a  vui  suspiru  e  bramu, 
Non  fussi  statu  mai  ddu  puntu  stremu 
L'ura  di  quannu  fu  chi  ni  parlamu! 


CaNTi  f>opoLARl  Sicilian!  lo^ 

Boni  amici  ^mu  statu  e  amici  semu, 
Ora  licenza  nui  vi  dumannamu ; 
Chiangiti  occhi,  chiangiti,  chiangemu, 
Cun  gran  duluri  a  lu  cori  ristamu. 

XXXI. 

In  ta  sta  strata  un  c*^  cantatu  mai, 
Ora  ci  cantu  ca  d  siti  vui, 
'N  rosa  cu  un  garonfanu  cangiai 
Pi  viJi  quar^  megliu  di  li  dui, 
fe  veru  ca  la  rosa  ^  bella  assai, 
Ma  la  garufanellu  dura  chiui, 
Ora  ti  lu  dich'iu  gia  tu  lu  sai 
La  bella  ch'haiu  amatu  siti  vui. 

XXXH. 

Sugnu  cuntenti,  ringraziu  a  Diu, 
Di  la  prattica  tua  mi  luntanai, 
Deu  ti  lu  giuru,  com'^  veru  Diu, 
Comu  un  pisciu  tra  Tacqua  rifriscai. 
Non  ti  cercu,  ti  spudu  e  ti  schifiu, 
Maledicu  lu  iornu  chi  t*amai, 
E  si  pi  sorti  mi  veni  disiu 
Sputu  li  manu  mei  chi  ti  tuccai. 

XXXHI. 

In  chistu  scuru  boscu  arbiri  e  frunni 
Vaiu  circhennu  unn'^  Tamuri  miu, 
Un'^  Tamenti  mia,  unni?  unni? 
L'avia  d'aventi  Tocchi  e  mi  spiriu. 
Mi  votu  cu  lu  meri  e  spiu  all'unni: 
Forsi  pasau  di  ca  lu  beni  miu? 
Na  gugi  d'artu  meri  mi  rispunni : 
Na  la  circari,  no,  chi  si  ni  jiu. 


tlO  ARCH1V16   PER   LE  TRADI^IONI   POf>0LARI 

XXXIV.  • 

lo  mi  ni  vaiu  e  cuverniti,  0  Diu, 
Nun  ti  scurdari  di  cui  tentu  t'ema; 
Scritta  ti  tieru  'ta  lu  pettu  miu 
Benchi  la  sorti  lunteru  mi  chiema, 
Si  tu  sabissi  chi  mortu  su'  iu 
O  puramenti 

Nun  ti  scurdari  di  lu  nomu  miu, 
Di  lu  ciniri  s6  stu  cori  t'ema. 

XXXV. 

Gettu  un  suspiru  e  lu  mennu  pi  Taria, 
Lu  mennu  uni  chi  va  la  mia  memoria, 
Lu  mennu  a  quarchi  parti  sigritaria, 
Forsi  Tamenti  mia  vinissi  'n  gloria ; 
Nun  durmu  chiu  a  la  notti,  staiu  'n^aria, 
Sempri  pinzennu  a  tia  cu  la  mefnoria, 
Ma  haiu  avutu  li  venti  cuntraria, 
Speru  chi  Thaiu  av^  la  vicitoria. 

XXXVL 
Di  nivi  si'  vistuta  e  auta  curma, 
Su  biancu  visu  nu  lu  perdu  mai, 
E  comu  Taria  no  perdi  la  frunna 
Mencu  tu  perdi  si  billizzi  ch'hai. 
Scrisci  comu  lu  mari  ad  unna  ad  unna, 
Chiu  vai  scriscennu  e  chiu  bella  ti  fai, 
Figliuzza,  si  no  fai  la  vacabunna, 
L'omu  chi  piglia  a  tia  no  mori  mai. 

XXXVll. 

Figliuzza,  *ta  sa  bucca  mai  c*h  s\, 
Nemmeru  ti  risorvi  a  diri  no, 
Quentu  mi  tieri  ligatu  a  cusi, 
La  bucca  digi  si  e  lu  cori  no. 


CANTI  POPOLARI  SICILIANI  III 

Ma  cu  Tamenti  no  si  fa  cusi, 
Risorviti,  figlilta,  o  si  o  no, 
E  si  tu  cerchi  di  fari  a  cusl 
Com'e  chi  mi  tacai  mi  sciugliro. 

XXXVIII. 

Arsu  I'occhi  a  li  celi  e  a  li  virduri 
Visti  dui  stilli  e  mi  misi  a  guardari, 
Una  mi  parsi  'na  raia  di  suri, 
E  i*artra  no  la  potti  taliari. 
Curonna  di  la  crezia  maggiuri, 
Stanardu  di  la  festa  principali, 
E  si  firriu  la  luna  e  lu  suri 
Nautra  com'e  tia  no  si  p6  fari. 

XXXIX. 

Fidi  mi  desti  e  la  t6  fidi  unn'^? 
Uni  su'  li  prumisi  chi  mi  desti? 
Quentu  fii  fintu  lu  t5  diri  te, 
Co  nu  farsu  giuramentu  mi  'ngannesti. 
Un  jornu  quennu  simu  di  mia  e  te 
Tennu  lu  chiangirai  quentu  manchesti, 
No  b  mortu  lu  muni\u,  ancora  c'&, 
Su'  vivu  benchi  tu  mi  banuresti.  • 

XL. 

lu  mi  ni  vaiu,  ti  sarudu  cara, 
Cussa  dumani  sira  unni  mi  scura; 
La  navi  'ta  lu  portu  si  pripara, 
D'amuri  e  girusia  spartenza  scura. 
Sugnu  ruvatu  6n  paisi  di  Gara, 
Fazzu  'na  littra  a  ti  la  mannu  allura, 
Si  la  morti  pi  mia  no  si  pripara 
Un  jornu  sarai  mia,  stanni  sicura. 


112  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

XLI. 

leu  sugnu  stancu  di  lu  gran  caminu 
Pi  veniri  a  cantari  tra  su  chianu, 
Demmi  nu  sciuri  di  lu  t6  giardinu, 
Apritimi  li  porti  quantu  chianu, 
Fora  mi  rupu  I'ossi  a  lu  sirinu. 
No  ti  scantari  no  si  sugnu  stranu, 
Sar^  I'amuri  t6  cu  t6  cuginu 
Chiddu  chi  veni  di  tantu  luntanu, 

XLll. 

Stanotti  ci  patl  mala  notata 
Darretu  la  t6  |X)rta  lu  m^  cori, 
Ma  Tacqua  ca  cascava  e  la  ilata 
Deu  me  la  sofria  pe  lu  t6  amuri; 
Lu  lampu  mi  paria  torcia  lumata, 
Lu  tronu  mi  paria  signu  d'amuri, 
La  nivi  mi  paria  'nacutunata, 
Li  petri  mi  parianu  rosi  e  fiuri. 

XLIll. 

Stanotti  un  duci  sonnu  mi  'nsunnai, 
C'avia  Tamatu  beni  a  latu  miu, 
Na  li  labbruzzi  duci  lu  baciai, 
Forti  lu  strinsi  'ta  lu  pettu  miu; 
Ci  dissi:  Beni  miu,  tu  ti  ni  vai? 
Cu  lu  cunfurtira  lu  chiantu  miu? 
*Nta  lu  megghiu  gudiri  mi  svigghiai, 
Partiu  la  gioia  senza  diri  addiu. 

XLIV. 
Stanotti  un  duci  sonnu  mi  'nsunnai 
E  'ta  lu  sonnu  miu  li  cuntintizzi, 
lu  cuntrastava  cu  li  belli  rai 
E  vicinu  m'avia  li  t6  billizzi. 


CANTf  POPOLARI  SICILIANI 

Tra  lu  sonnu  ti  strinsi  e  t'abbracciai, 
Di  li  t6  labra  tirava  dulcizzi, 
'Nta  lu  megghiii  gudiri  mi  svigghiai, 
Finiu  lu  spassu  di  li  t6  billizzi. 


113 


Prof.  Salvatore  Raccuglia, 


ArehivU)  per  le  tnuUeioni  popolcuri,  —  VqI.  ^lU.  16 


PROVERBI  SICILIANI 


1.  A  li  cavaddhi,  5riu  e  spiruni, 
A  li  figghioli,  manciari  e  vastuni. 

2.  Airomu  bonu,  \u  cori  a  li  mani, 
All'umu  tintu,  sciacci  li  cani. 

3.  Airomu  bunu,  'nzoccu  voli  dacci, 
Airomu  tintu,  sputazzati  'nfacci. 

4.  A  li  canzuni  non  c'^  prigiudiziu: 
L'ha  fattu  lu  pueta  pri  cantari. 

5.  Ama  cori  gintili  e  perdicci  anni, 
D'amuri  di  viddhanu  scordatinni. 

7.  Ammatula  chi  statu  vo'  canciari, 
Si  non  ha'  la  furtuna  a  to  favuri. 

8.  Amuri  nicu  chi  si  pigghia  a  ghiocu 
Di  'na  faidda  addiventa  gran  focu. 

9.  Casa  vacanti  ijnchila  di  spini 
E  attornu  attornu  metticci  brignoli. 

10.  Cci  dissi  a  lu  carusu  I'omu  'ranni 
O  malu  corpu  susiti  e  vattinni. 

11.  Cci  voli  sorti  puru  a  lu  cacari, 
Si  no  ti  v5ta  lu  vudeddhu  e  mori. 

12.  Cci  dissi  *u  bummulaci  a  la  tartuca: 
Varda  chi  semu  beddhi,  binidica! 

13.  Chiddhu  chi  haju  io  vu'  non  I'aviti, 
lo  haju  li  diavuli  acchianati. 

14.  Commu  non  haju  a  essiri  scuntentu, 
Si  zappu  all'acqua  e  siminu  a  lu  ventu? 


PI'P.W'.. 


f^ftOV^RBI   ^ICILIANi  11^ 

15.  Cu  havi  la  facci  'ranni  si  marita, 
E  cu  Thavi  cchiu  granni  pigghia  dota. 

16.  fe  veru  chi  ogni  acqua  leva  siti, 
Ma  n6  aricria  li  cori  assitati. 

17.  La  Scarpa  troppu  larga  prestu  cadi 
La  Scarpa  stritta  fa  mali  a  li^  piedi.. 

18.  Lu  megghiu  amicu  chi  tin^  fidatu 
Si  fici  boia,  lu  beccu  f.... 

19.  Mi  pigghiasti  pri  petra  di  sfilari, 

'N  paci  un  momentu  cchiu  non  pozzu  stari. 

20.  'Na  vota  chi  Tannati  eranu   'rassi, 
Mancu  a  li  jatti  si  diceva  chissi, 

E  ora  chi  Tannati  sunnu  scarsi, 
Mancu  si  dici :  Si  vi  piacissi. 

21.  Puru  'na  scagghia  di  petra  minuta 
Giuva  pri  la  murami  quarchi  vota. 

22.  Quanun  manca  pri  mia,  quannu  pri  vui, 
Passa  lu  tempu  e  non  n'  amamu  mai. 

23.  Si  io  mi  fazzu  mastru  cantararu, 
L'omini  niscirannu  senza  culu. 

24.  Tri  cosi  non  si  ponnu  saziari 
Li  parrini,  li  fimmini  e  lu  mari. 

25.  Tu  manciasti  radici  e  io  scalora. 
Differenza  non  c'  ^,  semu  a  la  para. 

26.  Vo'  sapiri  la  luna  quanu'  e  quinta? 
Quannu  lu  suli  coddha  e  iddha  spunta. 

27.  Quanun  chi  vidi  quarchi  coriu  stisu, 
Siddhu  ^  di  mulu,  passacci  d'arrasu. 


G.  CRIMI  -  LO  GIUDICE 
raccolse. 


LA  FIERA  DI    GKOTTAFERRATA 


Due  sono  le  rinomate  e  antichissime  fiere  di  Grottaferrata :  una 
del  25  marzo  e  Taltra  dell'8  settembre. 

Entrambe  richiamano  da  Roma  e  daiCastelli  una  quantity  di  gente: 
le  nostre  belle  popolane  vi  accorrono  «  sgargianti »  in  comitiva  con 
i  treni  per  Frascati,  oppure  con  carrettini,  landaux,  volantini,  omni- 
bus, ecc. 

Giunte  a  Grottaferrata  si  adornano  le  chiome  con  le  tradizionali 
« rose  finte  »,  e  fanno  colazione  con  la  famosa  e  gustosa  «  porchetta  » 
condita  con  aromi  dall'acuto  odore  che  si  spande  nei  dintorni  del 
bellissimo  viale  alberato  di  annose  quercie,  facendo  aguzzare  Tappetito. 

L'origine  delle  fiere. 

Qli  acqaisti. 

Delle  origini  di  queste  due  storiche  fiere  non  si  hanno  precise 
notizie,  n^  mi  h  riuscito  di  trovarle  tra  i  documenti  conservati  nel 
ricco  archivio  della  greca  Badia  di  Grottaferrata,  nonostante  Tassi- 
stenza  gentile  del  venerando  archivista. 

L'origine,  quindi,  delle  fiere  di  Grottaferrata  si  perde  lontana  nella 
notte  dei  tempi. 

Memoria  di  esse  comincia  ad  aversi  soltanto  fin  dal  secolo  XV. 

Un  editto  a  stampa  che  le  riguarda  ho  potuto  consultarlo  nella 
ricca  biblioteca  suaccennata. 

Esso  porta  la  firma  «  C.  cardinale  Rezzonico »  e  fu  stampata  in 
Roma  nel  1779  nella  Stamperia  Salomoni. 

Da  questo  documento  rilevasi  che  il  Papa  Clemente  XIII  concesse 
al  cardinale   Rezzonico,  abate  commendatario  perpetuo   dellMnsigne 


La  FIERA  DI  GROTTAFERRAtA  ny 

Badia  di  Grottaferrata,  ed  ai  suoi  successor!  « il  privilegio  della  fran- 
chigia  nelli  tre  giorni  successivi  alle  due  festivita  deirAnnunciazione 
e  della  Nativita  di  Nostra  Signora  Maria  sempre  Vergine  con  le  stesse 
esenzioni,  liberta,  privilegi  e  franchigie  anche  da  ogni  gravezza  di 
passi  e  gabelle  nella  guisa  si  gode  dalle  due  fiere  di  Farfa,  come  appa- 
risce  dal  chirografo  segnato  il  i6  settembre   1761  ». 

Primo  argomento  questo  della  importanza  grandissima  che  in 
quel  tempi  ebbero  le  fiere  di   Grottaferrata. 

Dal  «  Regestrum  nundinarum  »,  dove  si  trovano  diligentemente 
segnate  tutte  le  vendite  fatte  ogni  anno  nelle  due  fiere,  tolgo  a  caso, 
qualcuna  che,  senz'altro,  costituiva  un  nuovo  chiaro,  pratico  e  valido 
argomento  deirinteresse  singolare  che  avevano  nel  Lazio  le  due  celebri 
fiere  di  Grottaferrata  nel  principio  del  passato  secolo. 

«  Fiera  del  dl  8  settembre  1800:  16  bovi  (venduti)  daeredi  Franco 
Ingami  ad  Ant.  Paolini.  Scudi  640. 

«  I  cavalla  con  vannino  da  Mobilio  Valenti  al  P.  D.  Carlo  Anto- 
nini  cellerario  del  monastero  di  Grottaferrata.   Scudi   27. 

«  133  maiali  da  Pietro  Ciccaglia  a  Vincenzo  Arigoni  con  n,  127 
porcelli.  Scudi  1085,  25  baiocchi. 

«  10  camarri  da  Giovanni  Ciucci  ad  Isidoro  Crispi.  Scudi  300. 

«  I  somaro  moro  scodato  da  Benedetto  Bretta  a  Giuseppe  Pier- 
vicenti.  Scudi  8.50. 

«  35  vacche  figliate  e  tre  giovenchi  interi  del  duca  di  Bracciano 
a  Paolo  Brigazzi,  Gregorio  Antonini  e  fratelli  Vitti.  Scudi  760  ». 

In  seguito  compariscono  i  nomi  di  vari  principi  romani  tra  i  ven- 
ditori  e  compratori. 

La  somma  totale  dei  capi  di  bestiame  venduti  nella  suddetta  fiera 
ammonta  alia  cifra  di  1125  ed  il  totale  dei  prezzi  a  scudi  trentaseimila 
quattrocentottantanove  e  50. 

La  nota  h  firmata  dal  signor  Vannarelli  Francesco,  cancelliere 
abbaziale. 

Vi  furono  qualche  volta  cancellieri  piu  concisi  che,  nel  segnare  il 
numero  e  Toggetto  venduto  da  chi  ed  a  quale  persona,  scrisseor  p.  es.: 

«  Fiera  del  25  marzo  i8o5. 

«  Un  somaro  castrato  Luigi  Pezzolla  a  Marco  Mercanti.  Scudi  ii. 


ti8  AkCHlvio  Per  Le  tradizionI  t>o^oLAftl 

«  Un  somaro  bigio  Gius.  Marcarrtonio  alias  tappo,  a  Giov.  B. 
German!  scudi   12  ». 

Ma  anche  in  tempi  a  noi  vicini  una  guardia  del  monumento,  nel 
segnare  i  nomi  dei  venditor!,  che  si  trovavano  nel  recinto  del  Castello, 
scrisse 

«  Bravetti  Marianna  porchetta  »,  invece  di  venditrice  di  porchetta. 

L'editto  Cardinalizio. 

Multe,  tratti  di  corda  ai  vajj^abondi,  ecc. 

Dello  sterminato  numero  di  venditori  e  di  compratori,  che  anche 
da  lontane  region!  affluivano  alle  fiere  di  Grottaferrata,  potra  aversi 
un  giusto  concetto  da  alcuni  articoli  dell'editto  che  bandiva  11  cardi- 
nale  commendatario  della  badia  f>el  buon  ordine. 

Neireditto  del  10  luglio  1779  pubblicato  dal  cardinale  Rezzonico 
spigoliamo,  tra  gli  altri,  i  seguenti  ordini: 

«  3.  che  niuno  possa  farsi  lecito  portare  per  la  fiera  alcuna  sorte 
d'armi,  tanto  offensive  che  difensive,  senza  nostra  special  licenza,  e 
chi  le  portera  per  privilegio,  debba  subito  dame  a  noi  la  notizia,  ed 
osservare  nel  resto  il  contenuto  ne'  previleggi  medesimi  sotto  pena 
di  scudi  25  moneta  daapplicarsi  come  sopra,  e  della  perdita  dell'armi 
stesse,  avvertendo  che  sotto  nome  d'armi  intendiamo  siano  anche 
compresi  1!  baston!  di  qualsivogiia  sorte  ». 

«  7.  che  alii  zingari,  vagabond!,  e  donne  meretrici  non  sia  lecito 
entrare  in  fiera  e  molto  meno  trattenervisi,  tanto  di  giorno  che  di 
notte,  anco  per  poco  tempo,  nb  ritenere  tenda  0  ricettacolo  entro  il 
distretto  di  essa  fiera,  pe'  il  quale  distretto  s'intende  tutta  la  strada, 
che  principiando  dall'osteria  detta  del  Fico,  va  direttamente  a  terminare 
inclusivamente  nella  strada  Romana,  sotto  la  pena  di  scudi  diec!  da 
applicarsi  come  sopra,  di  tre  tratti  di  corda,  della  frusta  respectiva- 
mente,  ed  altre  pene  ad  arbitrio  »  (come  vedete  la  polizia  di  que!  tempi 
non  scherzava:  quattrini  e  tratti  di  corda!) 

Per  i  rivenditori  v!  era  il  seguente  articolo: 

«  15.  e  siccome  il  concorso  tanto  dell!  venditori,  che  dei  com- 
pratori potrebbero  in  qualche  modo  col  loro  affollamento  partorire  del 


LA  FIERA  DI  GROTTAFERRATA  ng 

tumulti,  e  della  confusione,  cosl  provedendo  anche  a  questo  ordi- 
niamo,  che  non  sia  lecito  ad  alcuno  eleggersi  il  sito,  ma  farselo  asse- 
gnare  dalli  nostri  ministri  a  db  deputati,  o  da  quelle  senza  licenza 
partire,  o  mutarlo  a  capriccio,  mentre  nella  deputazlone  di  detti  slti 
si  averi  sempre  riguardo  alii  primi,  che  lo  richiederanno,  n^  a  questi 
sia  lecito  occupare  maggior  sito  di  quello  che  sara  a  proporzione  asse- 
gnato  sotto  la  pena  di  scudi  venticinque  da  applicarsi  come  sopra, 
e  nella  stessa  pena  incorreranno  quelli,  che  venderanno  il  vino  fuori 
delle  bettole,  e  dalli  luoghi  loro  assegnati  ». 

Allora  e  adesso. 

Dopo  tutto  ci6  verrebbe  spontanea  la  domanda: 

—  Com'^  che  quelle  fiere  un  di  cosi  piene  di  interesse,  Tanda- 
rono  poi  man  mano  p)erdendo,  altro  non  rimanendo  di  esse  che  la 
rinomanza  ? 

fe  presto  detto. 

Le  fiere  furono  floride  quando  il  commercio  non  era  libero,  ciofe 
quando  ogni  villaggio  aveva  un  principe,  ogni  castello  un  barone.  La 
maggior  parte  di  tali  baroni  e  di  tali  principi,  chiusi  nei  loro  castelli 
vedevano  nel  commercio  un  buon  cespite  per  Taumento  delle  loro 
entrate,  e  quindi  essi  vessavano  con  «  pedaggi  »  esorbitanti  chiunque 
la  necessita  costringeva  a  toccare  le  loro  terre. 

Tra  questi  dominatori  non  mancarono  per6  dei  buoni  ed  aweduti, 
i  quali,  rallentando  nel  rigore  delle  imposte,  fecero  prosperare  i  luoghi 
di  loro  residenza.  Anzi  dotando  essi  di  franchigia  le  loro  castella,  vi 
fecero  accorrere  a  folia  mercanti  e  compratori. 

A  queste  avvedute  disf)osizioni  devesi  certamente  se  le  fiere  di 
Grottaferrata  riuscivano  cosl  ricche. 

E  fu  senza  dubbio  saggio  consiglio  del  cardinale  Rezzonico  di  far 
dotare  da  Clemente  XlII  di  franchigie  le  due  fiere  di  Grottaferrata, 
oifrendo  a  tutti  liberta  di  commercio,  cosl  da  far  divenire  un  centro 
di  operazioni  commerciali  quell'antico  Castello,  ove  accorrevano  fin 
da  lontani  paesi  e  citta,  mercanti  e  compratori  di  ogni  specie  di  bestiame. 

Quelle  fiere  per6  non  sono  piu,  oggi,  come  una  volta.  Di  esse 


120  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

non  rimane  che  la  rinomanza  grande,  cM  Tinteresse  e  ormai  limita- 
tissimo.  E  questo  si  spiega^molto  facilmerfte. 

II  progresso  della  civilt^,  Taprirsi  di  numerose  vie  di  comunica- 
zione,  le  frequenti  esenzioni,  privilegi  e  franchigie  accordate  spessis- 
simo  al  commercio,  fecero  rapidamente  diminuire  Timportanza  delle 
fiere.  E  nei  luoghi  dove  simili  agevolezze  hanno  ricevuto  un  incre- 
mento  maggiore,  sebbene  le  fiere  ancora  vi  esistano,  queste  non  sono 
piu  fiorenti  come  prima,  ed  il  concorso  ad  esse  ^i  attribuisce  in  gran 
parte  alle  speciali  festivita  ricorrenti :  in  Grottaferrata,  alle  solennit^ 
dell'Annunciazione  e  della  Nativita  della  Madonna. 

Che  cosa  sono  ormai  le  fiere  di  Grottaferrata? 

Chi  vi  si  reca  potra  fame  facilmente  il  confronto  con  quelle  di 
prima,  di  cui  si  h  dato  un  piccolo  cenno. 

Non  piu  i  bestiami  di  una  volta,  n^  i  mercanti,  n^  i  compratori 
dalle  borse  piene  ma  uno  spettacolo  variato,  gaio,  imponente,  la  mas- 
sima  parte  formato  dei  villeggianti  che  si  trovano  nei  nostri  deliziosi 
Castelli  nei  settembre,  e  di  contadini  nei  marzo;  e  poi  un'infinita 
di  curiosi  e  di  buontemponi  che  riempiono  le  vie  e  le  piazze. 

La  folia  spensierata  si  agita  come  una  onda,  mentre  si  ode  un 
cozzar  di  bicchieri  e  si  alza  un  gridb  incessante. 

In  mezzo  a  tanta  spensieratezza  festiva  e  chiassosa  si  eleva  severa 
la  Badia  dalle  torri  merlate  e  col  campanile  reggentesi  a  forza  di  rappezzi. 

La  folia  curiosa  invade  Tantico  e  magnifico  cehobio  per  visitarvi 
la  Biblioteca  ricchissima,  Tinteressante  archivio,  le  pitture  insigni  del 
Dominichino  e  del  Caracci,  le  torri  del  Castello,  la  grande  sala  d'armi, 
dove  ammirasi  un  ben  ordinato  museo. 

II  continuo  rinnovarsi  della  folia  enorme  e  avidamente  curiosa 
scaccia  la  tranquillity  del  paese  ed  il  monastico  silenzio  della  monu- 
mentale  Badia. 

La  fiera  di  oggi  avra  un'attrattiva  maggiore  degli  anni   passati. 

Nello  splendido  castello  roveriano  fe  aperta  la  esf)osizione  bizantina 
che,  per  la  sua  splendida  riuscita  e  per  Tinteresse  speciale  che  ha 
destato,  ha  meritato  le  visite  del  re,  della  regina  madre,  di  cardinali, 
di  vescovi,  di  diplomatici,  di  ministri,  senatori  e  deputati,  generali 
deiresercito,  deiraristocrazia  romana,  del  Circolo  artistico  internazio- 


LA  FIERA  DI  GROTTAFERRATA  121 

nale,  di  moltissimi  istitiiti  scientifici  artistic!  e  religiosi  e  di  un  gran- 
dissimo  numero  di  visitatori  eruditi  e  profani  che  continua  a  visitare 
I'esposizione,  la  quale  restera  aperta  tutto  I'anno. 

Aggiungete  che  per  cura  del  municipio  avranno  luogo  diverti- 
menti  popolari  e  concert!,  e  cosl  si  pub  benissimo  prevedere  che  oggi 
alia  fiera  Taffluenza  sara  straordinaria. 

Una  buona  parte  della  folia  si  riversa  poi  nella  graziosa  Frascati, 
altri  gitanti  fanno  una  corsa  fino  a  Marino  e  Albano  —  altri  simpatici 
nostri  Castelli  —  e  questa  sera  i  treni  «  tropea »  ricondurranno  a 
Roma  i  gitanti  allegri  e  chiassosi,  lieti  per  la  bella  giornata  trascorsa 
tra  il  cozzare  dei  calici  di  vino  zampillante,  generoso O 

R.   Panattoxi. 


i)  //  Messa^frero,  a.  XXVII,  n.  253.  Ronaa,  8  Settembre  1905. 


Archivio  per  le  tradigioni  popolari.  —  Vol.  XX 1 11.  16 


IL  REDENTOR. 

FESTA   POPOLARE    VENEZIANA 


Malattie  ed  igiene  di  altri  tempi  -  La  storia  di  una  chiesa  -  Misticismo  e...  polli 
arrosto  -  Notte  bianca  -  Passato  e  presente. 

Tutti  sanno  che  nell'antichita  e  nel  medio  evo  uno  dei  mali  piu 
gravi  e  diffusi  era  la  peste,  cosi  diffusa  come  b  oggi...  la  nevrastenia, 
con  la  differenza  in  meglio  che  monna  Peste  aveva  il  buon  senso  di 
apparire  piu  di  rado  in  questo  povero  umano  consorzio  gia  tanto  pieno 
di  grattacapi  e  di  miserie  d'ogni  gt^nere,  ma  col  danno  incomparabil- 
mente  maggiore  di  fare  piu  vittime  e  di  presentarsi  senza  nessuno 
di  quei  sintomi  cosl  graziosi  che  hanno  reso  la  nevrastenia  tanto  di 
moda,  cosi  di  moda  che  anche  chi  non  I'ha  vuol  averla,  sembrandogli 
quasi  mancare  un  carattere  essenziale  e  indispensabile  all'uomo 
moderno. 

La  peste,  morbo  brutto  come  il  suo  nome,  dilettavasi  di  razzie 
spaventevoli  in  tutta  Europa:  Venezia,  citta  marittima,  quindi  non 
troppo  pulita,  in  continui  rapporti  con  quei  focolari  d'infezione  che 
erano  e  sono  TAsia  e  TAfrica,  non  poteva  andarne  immune.  E  nu- 
merose  furono  le  volte  che  si  vide  colpita  dal  terribile  tlagello,  ma  la 
piu  grave  delle  infezioni  fu  certamente  quella  del  1576. 

Risparmio  ai  lettori,  anche  per  non  mancare  di  rispetto  ai  sommi 
che  descrissero  la  peste,  dailo  storico  ellenico  a  ser  Boccaccio  ed  al 
Manzoni,  la  descrizione  che  i  cronisti  fanno  di  Venezia  in  quelKanno. 
Diro  solamente  che  in  sei  mesi  la  peste  fece  nella  graziosa  regina 
dell'Adriatico  tante  vittime  che  la  popolazione  —  e  uno  storico  che 
parla  —  sminul  a  tal  segno  che  convenne  invitare  poi  dei  forestieri 
a  ripopolare  la  citta. 

La  serenissima  Repubblica,  davanti  a  tale  sciagura  nazionale, 
non  istette  colle  mani  in  mano.  Ordin6  la  chiusura  dei  malati  in  due 


IL  RHDENTOR  I23 

lazzaretti,  uno  sito  nella  pittoresca  abbazia  della  Madonna  deH'Orto, 
ove  ride  la  gloria  del  Gian  Bellini  e  del  Tintoretto  ed  uno  su  un'isola 
della  laguna.  Non  solo  —  e  qui  sta  la  trovata  originale  dei  nobilissimi 
rettori  dello  Stato  — ;  fece  arrestare  tutti  i  mendicanti  sparsi  per  Ve- 
nezia  e  colloc6  questa  falange  numerosa  su  tremila  barche  schierate 
ed  ancorate  nella  laguna.  Era  il  modo  piu  spiccio  di  isolare  una  classe 
ove  piu  facilmente  si  annidavano  i  germi  del  morbo...  Sul  maggior 
naviglio  sventolava  lo  stendardo  di  San  Marco  e  accanto  ad  esso 
stendeva  al  cielo  le-sue  braccia  poco  gentili...  la  forca,  minaccia  elo- 
quentissima  agli  imprudenti  che  volessero  accostarsi  od  oltrepassare 
la  linea  di  quel  nuovo  centro  galleggiante  di  osservazione. 

Popolani  e  nobili  di  alto  lignaggio  prestarono  la  Toro  opera  in  soc- 
corso  degli  appestati.  Ma  tutte  queste  misure  dovettero  sortire  un 
mediocre  effetto,  se  la  popolazione  fu  decimata  in  quel  bel  modo 
die  vedemmo. 


A  questo  mondo  tutto  fmisce :  le  cose  brutte  e,  purtroppo,  anche 
le  t>elle.  E  fini  per  Venezia  anche  la  peste.  llprimo  pensiero  del  po- 
polo  fu  di  rendere  grazie  alia  Divinita,  la  quale  poteva  anche  mandare 
un  male  piu  grave...  per  esempio,  sterminare  fino  alFultimo  vene- 
ziano.  Percio  il  doge  Alvise  Mocenigo,  considerando  che  «  per  niuna 
altra  causa  la  cristianita  et  specialmente  questa  citta  sostenne  questo 
tlagello  di  mortalita  se  non  per  li  grand!  et  enormi  peccati  nostri  » 
in  unione  col  Senato  e  col  patriarca  Trevisan  decise  innalzare  una 
chiesa  votiva  dedicata  «  al  Redentor  nostro  ».  E  la  chiesa  sorse  nel- 
risola  della  Giudecca  e  fu  monumento  degno  del  voto:  il  Palladio 
ne  segn6  le  linee  maestose  ed  armoniche,  il  Veronese,  il  Bassano, 
il  Tintoretto  vi  profusero  i  tesori  della  loro  arte  divina.  E  resta  an- 
cora  a  perpetua  testimonianza  di  una  fede  di  cui  noi  abbiamo  perduto 
le  traccie.  Poiche  ci  crediamo  cosl  i:>erfetti  e  cosl  buoni  da  dar  la  colpa 
delle  nostre  malattie  non  ai  peccati  nostri,  ma...  ai  microbi  e,  quando 
siamo  guariti,  ringraziamo,  invece  della  divinita...  gli  inventori  dei 
sieri  antibacillari... 

Ma  Tanimo  spensierato  e  gaio  dei  Veneziani  non  poteva  acque- 
tarsi  di  un  puro  e  semplice  pellegrinaggio  annuale,  nella  terza  dome- 


124  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

nica  di  luglio,  al  tempio  espiatorio.  Con  *  la  geniale  volubilita  sua 
convertl  la  divozione  in  una  festa  e  che  festa!  Fra  lepiu  rumorose, 
smaglianti  e  caratteristiche  della  Repubblica. 

Bisogna  leggere  i  cronisti  del  tempo  per  capire  che  cosa  fosse. 

Tutta  Venezia  aflfluiva  alia  Giudecca;  in  citta  restavano  sola- 
niente  —  dice  un  autore  —  ...i  due  Mori  della  torre  deirOrologio. 
A  facilitare  il  concorso  all'isola  venivano  costruiti  sulla  laguna  due 
ponti  di  peate  ed  ancor  oggi  un  ponte  proyvisorio  aliaccia  la  poetica 
riva  delle  zattere,  cosl  cara  al  cuore  irrequieto  di  Byron,  con  la  Giu- 
decca, Tantica  sede  degli  israeliti. 

Nessun  luogo  pertanto  era  piu  adatto  ad  una  festa  notturna 
come  la  Zuecca. 

Rinomatissimi  e  romanticissimi  i  suoi  giardini  (orti)  pieni  di  ombre 
discrete  e  di  boschetti  graditi  agli  innamorati  che  vi  volessero...  fe- 
steggiare  la  liberazione  della  peste;  numerosi  i  campi  ove  le  famiglie 
si  raccoglievano  a  cena ;  numerosissimi  po\  i  banchi  dei  rivenduglioli 
di  pesci,  di  ostriche,  di  dolci,  sparsi  sulle  fondamenta  che  guardano 
da  lontano  la  superba  citta.  E  per  le  calll,  sulle  rive  era  tutta  una 
illuminazione  originale  di  palloncini,  di  moccoli,  di  fiaccole  fatte  di 
stracci  impeciati  e  che  dovevano  essere  alquanto  fumose...  Ma  chi 
badava  a  simili  inezie?  L'illuminazione  si  ripeteva,  si  rifletteva  nel 
mare  dalle  imbarcazioni  che  movevano  all'isola,  tutte  ornate  di  1am- 
pioncini  e  sulle  quali  le  famiglie  menu  povere  cenavano  allegramente. 
Altre  gondole,  altre  peate  portavano  dei  suonatori,  dei  cantanti... 

Quale  dovesse  essere  lo  spettacola  di  quella  notte  sulla  laguna 
tremula  di  luci  sotto  un  cielo  tempestato  di  stelle,  lo  pensi  il  Ij^ttore. 

Verso  il  tocco  si  cenava  e  il  piatto  tradizionale  per  la  circostanza 
era  —  non  sono  riuscito  a  ticwarne  la  causa  storica  —  il  polio  arrosto. 
Appena  divorato  il  quale,  preceduto  o  seguito,  si  capisce,  da  altre 
golosita,  i  buoni  veneziani  si  ricordavano  anche  delle  esigenze  del- 
Tanima  e  si  recavano  alia  messa  che  v^eniva  celebrata  nella  basilica 
del  Redentore. 

Parrebbe,  poiche  anche  il  piacere  ha  un  limite,  che,  santificata 
Tanima,  si  fmisse  anche  il  tripudi*. 

Invece  no.  Usciti  dalla  chiesa,  tutti  attendevano  celiando,  man- 


IL  REDENTOR  1 25 

giando  e  bevendo,  sopratutto  bevendo,  il  sorgere  del  sole.  Era  cosa 
naturale  e  lo  ^  ancora  fra  11  popolo  oggi.  «  Chi  sarebbe  —  si  chiedt; 
uno  storico  locale  —  d'animo  cosl  poco  timorato  o  di  si  dormiglinsa 
natura  che  almeno  una  volta  in  sua  vita  non  vedesse  sorgere  if  sob 
dagli  orti  di  quella  terra  votiva?  *  L'idea  di  salutare  la  comparsi*  del 
maggior  astro  come  il  simbolo  della  vita  non  h  punto  spregevole :  il 
male  si  fe  che  nalla  saa  esplicazione  presentava  e  presenta  aacrM'a 
inconvenient!  gravi,  poich^  nelle  ore  piccine  tutte  le  feste  di  ques^tu 
mondo  hanno  il  cattivo  vezzo  di  degenerare  in  orgie  e  quella  del 
Redentore  non  vi  fece  n^  vi  fa  tutt'ora  eccezione. 

Come  fossero  e  siano  ridotti  ancora  i  buoni  veneziani  al  mattiiit», 
lo  si  pu6  immaginare.  Quelli  che  ancora  serbano  un  po*  di  lucidifa, 
chiedono  il  ristoro  della  mente  alquanto  annebbiata  dai  vapori  nun 
precisamente...  della  laguna  e  del  corpo  stanco  alle  acque  del  m,ift\ 

E  il  mare  buorio  li  rimanda  sereni  e  ringiovaniti  alia  vita  s<>lita 
del  lavoro. 

Oggi  ancora  si  celebra  questa  festa  notturna,  ancora  si  perJ<M)n 
sulle  onde  oscure  del  bacino  di  San  Marco  le  armonie  dei  concert! 
galleggianti  ed  illuminati  e  si  cena  ancora  sulle  gondole,  ma  mancn 
qualche  cosa.  E'  I'antico  spirito  che  e  morto  e  —  contrasto  volgn- 
rissimo  che  richiama  brutalmente  alia  nostra  vita  febbrile  di  Ilivsmu 
—  a  due  passi  dalla  mole  superba  del  Redentore  si  disegnano  stillo 
sfondo  azzurro  del  cielo  i  camini  di  un  grande  stabilimento.  H  p^i 
la  festa  ^  emigrata,  si  pu5  dire,  al  Lido.  Qui  gli  ultimi  ostinati  not- 
tambuli  attendono  ancora  fra  canti  e  suoni  il  sorgere  del  sole,  mentre 
dalla  rotonda  dello  stabilimento  dei  bagni  una  popoiazione  esoti^j  ed 
elegante  li  guarda  con  una  curiosa  ammirazione...    i) 

iW.  P. 


I)  Corricrc  della  Sera,  a.   50,  n.  193.  Milano,  10  Luglio  1905. 


I 


MISCELLANEA 


La  Strina,  ossia  festa  di  recall  in  Vicari. 

In  Vicari,  citt^  antica,  che  esisteva  300  anni  a.-C,  come  rilevasi  dalla  storia, 
da  tempi  immemorabili  sino  ad  oggi,  nel  i«  giomo  di  gennaio  di  ogni  anno  si  fa 
la  festa  delia  Strenna,  come  la  facevano  i  Pdgani. 

Le  mamme,  i  babbi  e  tutte  le  persone  adulte  raccontano  ai  bimbi  di  una  et^, 
e  li  impressionano,  che  sul  castello,  che  s'eleva  a  cavaliere  deUa  citta,  vi  siano 
palazzi  sotterranei,  ove  abita  una  vecchia  signora,  molto  ricca,  amica  generosa 
dei  bimbi,  che  ha  nome  Strina,  percio  intesa  I'crchia  Strina. 

Questa  sin  dai  primi  giorni  di  Dicembre  di  ogni  anno,  ivi  si  da  moto,  con  i 
suoi  figli  e  le  persone  di  servizio,  a  manipolare  vari  dolci  squisiti,  ed  a  confezio- 
nare  abitini,  stivaletti,  scarpine,  giocattoli,  trombette  e  tambureUi,  e  questi  dolci, 
indumenti  ed  oggetti  di  svago,  servono  per  essere  regalati  ai  bimbi  d'ambo  i  sessi. 

La  notte  del  31  dicembre  al  r  gennaio,  la  vecchia  Strina  gira  pel  paese  con 
i  suoi  figli  ed  i  servi,  che  cunducono  le  mule  cariche  di  dolci,  ed  altri  oggetti  detti 
di  sopra,  entra  pian  pianino  ove  sono  i  ragazzi,  che  in  lei  credono,  e  non  sonosveglj, 
loro  lascia  parte  di  dolci.  giocattoli.  abiti  ed  altro.  Per6,  onde  essere  fatti  segno 
della  munificenza  della  vecchia  Strina,  oltre  a  non  farsi  trovare  svegli,  occorre 
siano  stati  assidui  alio  studio,  savii  ed  obbedienti  ai  loro  genitori. 

Questa  festa  della  Strina  e  preceduta  da  certe  usanze  di  rito. 

E  a  sapersi  che.  sin  dai  primi  giorni  di  Dicembre,  ogni  sera,  una  ciurma  di 
monelli,  muniti  di  quelle  campane  che  soglionsi  attaccare  alle  collo  delle  vacche.  di 
corni  e  di  drotrni,  salgono  sul  Castello,  a  sonare  i  loro  strumenti,  ed  a  fare  stre- 
pito,  indi  ne  scendono,  e  sonando,  e  vociando,  girano  per  le  vie  della  citti.  Questa 
specie  di  gazzarra,  fatta  dai  monelli,  ha  lo  scopo  di  far  credere  ai  bimbi,  che  queUi 
sono  i  tigli  della  vecchia  Strina,  i  quali  avendo  terminata  la  loro  giornata  di  lavoro, 
si  danno  quello  svago. 

La  sera  del  31  dicembre,  i  bimbi,  dopo  aver  mangiato  in  tretta  e  furia,  vanno 
a  letto,  perche  la  vecchia  Strina  li  trovi  addormentati,  dappoiche  dai  genitori  sono  stati 
avvertiti,  che,  ai  ragazzi  che  si  troveranno  svegli  neirora  che  passa  la  vecchia 
Sirina,  guai  per  loro,  perchfe   non   solo  lascerii  cosa  alcuna,    ma  grattera  loro 
piedj  con  una  piccola  grattugia. 


MISCELLANEA 


127 


Alia  mattina,  appena  fatto  giorno,  sono  svegli,  e  nonvestiti  al  complete,  sal- 
tano  dal  letto  trepidant!  e  cercano,  e  frugano  tutti  i  nascondigli  della  casa  finche 
trovano  cio  che  sperano,  allora  incomincia  il  chiasso,  con  voci  assordanti.  Questa 
scena  e  quasi  in  tutte  le  case  della  citta. 

La  notte  del  31  Dicembre,  la  popolazione  del  paese,  mangia  bene  e  beve  meglio, 
giuoca  in  faniiglia  e  fuori.  fc  usanza  che  alia  mattina  di  quel  giorno  le  mogli  fac- 
ciano  trovare  ai  loro  mariti  un  abito  che  con  precedenza  ban  fatto  manifatturare, 
per  indossarlo  essi  in  quel  giorno,  cosi  viceversa  i  mariti  regalano  alle  mogli.  La 
mattina  del  i*  gennaio,  si  scambiano  visite  ed  augurii  di  un  buon  capo  d'anno,  e 
si  fanno  regali  di  dolci.  BUTERA. 


Filastrocche  infantili  di  Terni. 


I.  Angeli  santi, 
Venite  tutti  quanti. 
Venite  intomo  a  me: 
r  voglio  bene  a  te, 
A  -  te  -  ca  -  li  -  santi 
I  voglio  bene  a  tutti  quanti. 


2.  Seta  moneta 
Le  donne  di  Gaeta 
Che  tilano  la  seta 
La  seta  e  la  bammac; 
Lu  fiore  mi  piace 
Mi  piace  lu  bellu  maritu 
Biancu  e  russu  e  culuritu. 


Napot^on  d^apr^s  les  idees  d*un  Musulman  de  I'Asie-M'neure. 

Maxime  Du  Camp  ecrit  dans  ses  Simvenirs  cl  Paysag-cs  d' Orient  ( Paris, 
Bertrand,  1848,  p.  61,  D'Ephesc  a  Snirrm):  *  Vers  le  soir,  j'avisai  une  maison 
de  tres-pauvre  apparence  noyee  dans  des  flots  de  verdure,  et  j'envoyai  mon  drog- 
man  y  demander  de  Thospitalite  pour  la  nuit...  Lorsqu' apres  mon  repas  je  pris 
le  cafe,  je  fis  inviter  le  maitre  a  venirle  partager  avec  moi;  il  accepta.  s'accroupit. 
^  mes  c6t^s.  et,  a  Taide  de  mon  drogman,  nous  causames. 

II  s'emerveille  de  ce  que  le  desir  de  I'inconnu  m'ait  pousse  si  loin  de  mon  pays: 
lorsqu 'il  sait  que  je  suis  Fran^jais,  il  me  demande  si  j'ai  connu  Napoleon. 

—  Je  suis  trop  jeune,  lui  dis-je,  pour  Tavoir  connu,  mais  j'en  ai  beaucoup 
entendu  parler,  et  je  sait  son  histoire. 

—  C'etaft  un  homme  tres-fort,  n'est-ce  pas? 

—  Tres-fort!  en  effet,  repondis-je  en  me  meprenant  sur  le  sens  du  mot. 

—  II  eat  tu6  un  boeuf  d'un  coup  de  poing? 

J'avoue  que  j'eus  grand'peine  a  conserver  mon  sang-froid;  mais  apr^s  deux 
secondes  de  reflexion,  je  compris  qu'un  homme  comme  Napoleon  devait  etre  juge 
alnsi  par  un  pauvre  musulman  de  !'Asie-Mineure.  DejA  ('ans  le  Caucase  ils  le  con- 


128  ARCHIVIO  PER   LE   TRADIZIONI  POPOLARl 

fondent  dans  leurs  chants  avec  Alexandre  le  Grand ;  pour  les  peoples  que  la  civi- 
lisation n'a  pas  encore  atteints,  la  puissance  morale  est  presque  synonyme  de  la 
force  musculaire.  Detruisez  toutes  les  images  de  I'Empereur,  ses  portraits,  ses  sta- 
tues, ses  bustes ;  laissez  k  Timagination  le  soin  de  le  repr^senter,  et  on  vous  fera 
un  Hercule  Farnese,  un  colosse  musculeux,  avec  une  massue  k  la  main  et  une 
peau  de  lion  k  T^paule.  L'aga  le  jugeait  d'aprds  ses  idees,  et  j'etais  un  sot  d'en 
rire»  i). 


Una  canzone  popolare  italiana  in  Planto. 

n  sig.  T.  Bruno  nel  suo  opuscolo  Precetti  e  sentenze  di  Plauto  (Roma,  Ci- 
velli.  1888,  p.  9)  scrive:  «  Le  seguenti  parole  hanno  un  curioso  riscontro  in  una 
odiema  canzone  popolare : 

Qui  ex  nuce  nucleum  ess«  v&lt,  fran^t  nucem. 

(Plauto.  Oykfculio^  1.,  pr.) 
Dev'essere  proprio  vero  die 

L*amore  k  fatto  come  la  nocciola, 

Se  non  si  rompe  non  si  pu6  mangiare  ». 

A.   LUMUROSO. 


Le  n.  13  ik  Saint-Cyr. 

De  rinteret  qu'un  officler  peut  avoir,  au  d^but  de  sa  carri^re,  k  sortir  de  Saint- 
Cyr  avec  le  numero  13. 

C'est  M.  Keller  qui  a  eu,  cette  ann6e,  le  numero  fatidique.  M.  Keller  appar- 
tient  k  une  vieille  famille  alsacienne  ;  comme  de  juste,  il  a  cholsi  un  corps  d'avant- 
garde,  le  5"  bataillon  de  chasseurs  k  pied,  k  Remiremont. 

Le  jeune  officier  etait  entri  k  I'Ecole  avec  le  numero  170;  on  le  voit,  le  13 
a  du  bon  quelquefois.  M.  Keller  n'est  pas  le  premier  a  en  faire  I'heureuse  expe- 
rience. Avant  lui,  d'autre  officiers  sont  entres  ou  sortis  de  Saint-Cyr  avec  le  nu- 
mero 13,  qui  n'ont  pas  moins  foumi  une  tr^s  brillante  carri^re. 

Tels  le  marechal  de  Mac-Mahon  et  le  general  Bourbaki,  tous  deux  sortis  de 
TEcole  dans  le  meme  rang  que  M.  Keller;  tel  aussi,  le  general  Laveaucoupet,  dont 
la  conduite  k  la  fois  simple  et  heroique  k  I'armee  deMetz  estun  des  souvenirs  les 
plus  reconfortants  de  I'Annee  terrible. 


i)  Ce  passage  doit  eire  place  a  cot^  de  ceux  analogues  si  patiemment  recueillis  par  le  tres 
regrette  historien  de  «  NapoI4on  III  intime  »  M.  Fbhnand  Giraitdbau.  Cfr.  A'apoZeone  e  la  tror 
diaione  popolare  par  Alb.  Lumbroso  dans  les  diff^rents  fascicules  de  l\4rc;i»f!»o  p.  lo  studio 
deUe  tradie.  pop. 


MISCELLANEA  I2g 

Parmi  les   vivants,    combien  de   noms  ne  pourrions-nous  citer!  N*en  prenons 

qu'un  seul,  celui  du  general  Bailloud,  actuellement  commandant  de  la  division 

d 'Alger,  un  des  plus  vigoureux  et  des  plus  brillant  officiers  g^n^raux  de  Tarraee 

fran^aise.  Le  g^n^ral  Bailloud  est  sorti  de  Saint-Cyr,  en  i868,  le  treizieme  de  sa 

*  promotion  x). 


La  Leggenda  di  Alfredo  Krnpp. 

Se  vivesse  ancora  Alfredo  Krupp !... 

Se  questa  esclamazione  venisse  profferita  innanzi  ad  un  cittadino  dl  Essen  — 
0  in  generale  innanzi  ad  un  tedesco,  perche  la  cosa  ha  assunto  aspetto  nazionale 
—  un  sogghigno  dMncredulit^  ne  sarebbe  la  risposta.  Perchd  quello,  che  or  sono 
due  anni  fu  battezzata  Krupp-Mdrchen  —  la  fiaba  Krupp  —  va  pigliando  adesso 
seriamente  forma  e  colore.  E  chi  viene  in  Essen,  dove  tutto  si  concentra  nel 
nome  di  Krupp,  chi  visita  queste  fabbriche  e  queste  varie  istituzioni,  non  pu6 
non  subire  Tinflusso  di  questa  leggenda,  specialmente  nol  italiani,  che  in 
essa  abbiamo  una  parte  non  trascurabile.  La  leggenda  infatti,  a  prescindere 
dalle  dicerie  sciocche  ed  ignominiose  che  si  attribuiscono  alia  persona  di  Alfredo 
Krupp  nei  suoi  rapporti  cogli  italiani  di  Capri  (egli  viveva  molti  giomi  dell'anno 
in  quella  pittoresca  isola,  dove  edific6  e  prodig6  mille  altri  benfatti)  la  leggenda 
dice  che  egli  non  sia  morto,  che  vive,  non  si  sa  bene  dove,  in  una  lontana  cam- 
pagna  deH'Africa  sud  orientale  tedesca,  una  vita  strettamente  ritiratissima  di  al- 
levatore  d'animali,  e  che  delle  grosse  somme  di  denaro  gli  siano  spedite  tutti  gli 
anni.  Anzi  a  questa  leggenda  si  connette  pure  la  morte  di  suo  cognato,  che  an- 
cora giovane  si  tolse  la  vita  nella  lontana  America.      ^ 

•  Non  sembri  che  io  voglia  prestare  orecchio  a  delle  dicerie  da  popolino.  II 
Krupp-Mdrchen  e  di  una  importanza  e  di  una  consistenza  nazionale.  Lanciato  la 
prima  volta  dal  Voncdris  di  Bebel,  il  capo  dei  socialisti  tedeschi,  il  quale  afferm6 
che  la  morte  di  Krupp,  ed  i  tunerali  cui  assistette  I'imperatore,  non  erano  che  una 
misteriosa  canzonatura;  risorge  ora  a  galla  nelle  colonne  della  Presse,  un  altro 
importante  giomale  di  Berlino,  e  per  conseguenza  appassiona  il  pubblico  tedesco, 
sMnsinua  nelle  orecchie  del  visitatore,  che  sta  davanti  al  severo  monumento  fu- 
nebre,  e  non  si  scompagna  dalle  impression!  che  riceve  chi  mette  per  la  prima  volta 
piede  in  Essen. 

Non  appena  arrivato  infatti,  in  linguaggio  velato  metaforico,  mozzicato  in 
parte,  la  prima  che  mi  si  apprese  fu  questa. 


i)  L'Eclair,  Paris,  4  octobre  1905. 

Archiioio  per  le  tradizioni  popolari,  —  Vol.  XXill.  17 


I30  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONl   POPOLARI 

Come  si  vede,  a  poco  a  poco  noi  siamo  ritomati  alia  civilta  del  terzo  secoto. 
Si  vede  bene  come  questo  giovane  secolo  ventesimo  vuole  cos)  poco  spogliarsi  dei 
misteri,  vuole  cosi  poco  rinunziare  a  quella  educazione  superstiziosa  di  fiabe  e  di 
leggende,  come  appunto  i  due  precedenti :  il  secolo  critico  nazionale  di  Kant,  Vol- 
taire e  Lessing  ed  il  secolo  economico  tecnologico  di  Darwin  e  Marx,  di  Helmholz, 
di  Stephenson.  Ed  6  strano  che  proprio  Essen  abbia  in  questo  giovane  secolo,  do- 
vuto  accrescere  di  un  altro  grosso  numero  la  ricca  collezione  delle  fiabe  storico- 
politiche,  proprio  Essen,  la  citta  deH'acciaio,  la  cittk  che  sta  aH'avanguardia  dei 
piu  brillanti  risultati  delle  scienze  esatte.  Nessuno  penserebbe  che  qui  si  possa 
trovare  un  terreno  fertile  alia  leggenda  ed  alia  superstizione. 

EDGARDO  ROSA   i) 


Musica  popolare  fosofrafata. 

Ai  giomi  nostri,  in  cui  si  h  finalmente  compreso  quanto  importi  la  conoscenza 
della  musica  popolare,  sia  dal  lato  della  storia  della  musica,  sia  dal  lato  dell'arte,  e  in 
cui  si  tent6  di  riannodare  a  quelle  tradizioni  la  produzione  artistica  per  derivare 
da  quelle  purissime  fonti  Timpronta  e  il  carattere  nazionale,  Tuso  del  fonografo 
gioverebbe  mirabilmente  alio  scopo.  Percid  tutti  coloro  che  s'interessano  degli  studi 
musicali  dovrebbero  dare  opera  a  che  potesse  compiersi  11  voto  emanato  dal  con- 
gresso  di  Parigi,  voto  che  suona  esattamente  cosl:  Qu'il  se  fonde  une  Soci^t^  in- 
t^mationale  pour  que  les  chants  populaires  soient  recueillis  phonographiquement  et 
centralists  de  fajon  k  6tre  Pobjet  d'^tudes  sirieuses  et  de  recerches  comparatives 
de  la  part  des  musiciens  y 

Da  queste  Oltime  parole  ognuno  comprenderd  come  i  fonogrammi  incisi  dovreb- 
bero esser  posti  a  disposizione  degli  studiosi,  ci6  che  potrebbe  avvenire  quando 
si  collocassero  nelle  pubbliche  biblioteche. 

Onde  6  lecito  sperare  che,  in  un  a  wen  ire  piii  o  meno  lontano,  le  biblioteche  mu- 
sicali, accanto  ai  codicil  agli  incunabuli,  agli  autograft  e  alia  musica  a  stampa, 
abbiano  i  loro  bravi  cilindri  fonografici,  conservatori  perpetui  dei  canti  d'ogni  etA 
e  d'ogni  popolo. 


i)  Uttera  da  Essen,  nel  Qiomale  di  Siciliay  a.  XLV,  n.  355.  Palermo,  aa  DIcembre  1905. 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 


M.  MEGALI  DEL  GIUDICE.  Ncl  paese  de$li  Ulivh  Reggio  di  Calabria.  Stab. 
Tip.  A.  D'Angeli  e  C,  1905.  In-8,  pp.  135,  L.  1.50. 

Paese  d'ulivi  d  la  Piana  Calabrese  cos)  come  la  Sicilia,  il  Lucchese  ed  altre 
regioni  d'ltalia;  ma  Tautore  intende  parlare  del  territorio  e  anche  della  provincia 
di  Reggio  e  forse  di  attre  province  della  sua  nativa,  sventurata  Calabria.  Infatti 
egli  con  pietoso  pensiero  ha  destinata  la  pubblicazione  a  favore  dei  Calabresi  dan- 
neggiati  dal  terremoto  dell's  Settembre  1905. 

Questa  pu6  dirsi  una  mescolanza  di  folklore :  parecchi  e  diversi  essendo  i  ge- 
neri  che  vi  son  rappresentati,  dalle  storie  religiose  in  poesia,  ai  canti  d'amore, 
dalle  leggende  delle  feste  sacre  alle  fiabe. 

11  raccoglitore  ha  diviso  per  comuni  le  tradizioni  raccolte;  e  ci6  senza  dubbio 
per  fomire  saggi  dei  vari  subdialetti  ed  anche  delle  modificazioni  foniche  che  il 
dialetto  calabrese  subisce  da  comune  a  comune. 

Un  gruppo  generale  della  Piana  Calabrese  6  di  «  Leggende  ed  odi  sacre  co- 
muni alia  demosofia>:  titolo  letterario  che  potretfbe  parere  pomposo  trattandosi 
di  umili  ed  ingenue  storielle  devote.  Strano  che  la  maggior  parte  di  codeste  sto- 
rielle  corrano  incomplete  e  talune  senza  battesimo  di  origine  I  Non  citiamo  esempi 
perch6  dovremmo  riferire  i  titoli  di  questa  prima  serie. 

La  Sanla  CaUrina  (p.  16),  d'altro  lato,  k  un  brano  della  affascinante  leggenda 
poetica  del  medesimo  titolo  che,  trenta  e  piii  anni  fa,  noi  ritenemmo,  e  riteniamo 
ancora,  la  piii  bella  dopo  la  Principessa  al  Carini.  In  Sicilia  noi  ne  raccogliemmo 
due  version!,  Tuna  di  158,  Taltra  di  134  versi.  (Cfr.  i  nostri  Canti  popolari  Sici- 
lianiy  v.  11,  nn.  946,  947.  Pal.  1871).  Questa  qui  ne  ha  meno  di  metii.  S.ia  Ro- 
salia h  frammento  d'altra  leggenda  Palermitana  (Cfr.  Canti,  n.  941). 

La  Santa  Genoveff'a,  composta  di  90  versi,  h  pur  essa  frammento  del  popola- 
rissimo  poemetto  di  Antonio  Lo  Fata  catanese,  in  912  versi  (cfr.  Canti,  n.  949). 
S.  Giuliano  h  la  orazione  dei  viaggiatori  per  terra,  e  forse  anche  per  mare,  gii 
stata  illustrata  nella  sua  integrity  in  questo  Archivio,  v.  XXI,  p.  6.  Jfadonna, 
Madonnifia  6  pur  esso  frammento  di  una  lunga  filatessa  infantile. 

I  giorni  della  setlimana  sono  26  di  80  versi,  che  formano  la  poesia  morale 
sopra  La  Settimana  (cfr.  Canti,  n.  978). 


132 


ARCHIVIO  PER  LE  TRADlZfONI   POPOLARI 


Tra  i  canti  d'araore,  vecchi  e  nuovi,  chiama  I'attenzione  quelle  del  soldato 
(p.  37),  la  cui  madre  piange  il  latte  che  gli  diede.  Pare  recente,  e  dev'essere  ante- 
riore  al  Regno  d'ftalia. 

Indovinelli  sono  sparsi  qua  e  1^  nella  raccolta  in  ragione  del  van  paesi  dei 
quali  si  riportano  i  saggi  orali. 

La  prosa  6  rappresentata  da  qualche  leggenda  sacra  (pp.  43,  82),  che  accresce 
il  numero  delle  variant!  di  tipi  favoriti  del  popolo :  una  statua  sbarcata ;  una  im- 
magine  nascosta  in  mezzo  a  cespugli  e  illuminata  da  candele ;  un  simulacro  rubato 
da  un  paese  ad  un  altro,  e  poi  per  opera  soprannaturale  tomato  al  suo  posto  ecc. 

N.  6  fiabe,  tra  le  migliori  pei  loro  motivi,  costituiscono  una  graziosa  attrat- 
tiva  del  libriccino.  Sono  dettate  con  grazia  e  naturalezza,  e  crescono  le  varianti 
invero  scarse  finora  della  novellistica  calabrese,  solo  da  poco  presa  a  studiare  con 
intenti  elevati  dal  Dr.  Pasquale  Rossi. 

Ma  queste  fiabe  offrono  un  particolare:  un  cominciaroento  con  versi  che  poi 
ricorrono  nel  corpo  della  narrazione.  £  un  fatto  sporadico?  t,  un  artificio  delnovel- 
liere  0  della  novelliera?  E  opera  d'arte?  G.  PiTRt. 


Albertina  Furno.  II  seotlrpeoto  del  rpare  oeliai  poesiai  italiaoai* 

Pubblicato  sotto  gli  auspici  della  Lega  Navale  Italiana  (sezione  di  Firenze). 
G.  B.  Paravia  e  C.  1905.  fn-8,  pp.  100,  L.  1,50. 

Questo  sentimento  6  dall^  signorina  Furno  ricercato  e  carezzato  nella  poesia 
tanto  erudita  quanto  rustlcana. 

La  prima  parte  del  libro  mette  in  evidenza  con  molta  cura  e  finezza  i  ricordi 
che  quest'ultima  offre  nel  genere. 

•La  concaTitil  della  regione  padana  d'ltalia  spiega  la  mancanza  di  sentimento 
nelle  region!  interne,  in  Piemonte,  in  Lombardia,  nell'Emilia;  non  ran  i  canti  ma- 
rini  in  Venezia,  ma  tutti  sospiri  malinconici  del  povero  marinaio.  Fatti  etnici  e 
morfologici  inducono  difetto  del  medesimo  sentimento  nel  versante  adriatico,  che  e 
invece  relativa  abbondanza  in  Sicilia. 

Ora  e  curioso  che  una  penisola  come  I'ltalia,  ed  isole  come  la  Sicilia,  la  Sar- 
degna,  le  Eolie,  le  Egadi  non  abbiano  ricchezza  vera  di  canti  esclusivamente  ma- 
rini;  diremo  anche  di  piii:  una  vera  letteratura  tradizionale,  popolare,  quale  si 
trova,  p.  *es.,  in  Bretagna,  e  quale  I'ha  raccolta  in  molteplici  pubblicazioni  il  signor 
S^billot  in  Francia. 

Gli  b  che  ci  sentiamo,  un  po*  qua,  un  po'  li,  ripetere  il  vecchio  proverbio: 
€  Loda  il  mare  e  tienti  alia  terra*.  I  Sicilian!  stessi,  che  dalla  loro  terra  non  pos- 
sono  uscire  senza  imbarcarsi,  usano  dire:. 


RIVISTA   BIBLIOGRAFICA  1 33 

Loda  lu  man 

E  afferratl  a  li  giummari ; 

(loda  11  mare,  ma  attaccati  ai  cefaglioni). 

L'Autrice  del  presente  lavoro  6  entusiasta  deH'argomento  e  lo  lumeggia  con 
virtu  dMntelletto  e  di  cuore.  NeH'entusiasrao  essa  non  ha  guardato  (p.  14)  alia  na- 
tura  dei  canti  popolari  dei  pescalori  chioggioiii  del  grazioso  volume  di  Giando- 
menico  Nardo :  La  pesca  del  pesce  ne'  valli  delta  veneia  laguna  (Venezia>  Visen- 
tini,  J871).  Essi  sono  opera  originale  del  corapianto  Nardo,  la  cui  bella  tradizione 
continua  la  nostra  egregia  arnica  e  collaboratrice  si^ora  Angela  Nardo  Cibele,  degna 
figliuola  di  lui. 


L.e  Rorpaoccro  popuiaire  d^  la  Praoce:  Choix  de  Chansons  popu- 
laires  fran^ises.  Textes  critiques  par  GEORGES  DONCIEUX  avec  un  avant- 
propos  et  un  index  musical  par  JULIEN  TIERSOT.  Paris,  Librairie  t.  Bouillon, 

.     tditeur  MDCCCCIV.  ln-8,  pp.  XLlV-542,  15  fr. 

A  46  anni,  nella  maturity  dell'ingegno,  nelle  forze  dello  intelletto,  G.  Doncieux 
cessava  di  vivere  il  21  marzo  1903;  ed  il  suo  Romancero  diveniva  opera  postuma, 
Che  la  pietA  sapiente  di  Julien  Tiersot  presenta  ora  al  pubblico,  ed  al  quale  pre- 
mette  poche  paginette  laudative  dell'opera  medesima. 

Fu  convinzione  costante  del  Doncieux  che  un  canto  popolare  debba  avere  una 
data,  un  autore,  una  patria.  La  ricerca  di  questi  tre  dati  e  cosi  difficile  da  sfidu- 
ciare  il  piCipaziente  erudito,  il  piii  severo  studioso.  Anatole  Loquin,  appassionato 
per  le  canzoni  tradizionali,  sogno  possibili  future  scoverte  di  antichi  testi,  auten- 
ticamente  stampati,  i  quali  diranno  come,  quando  e  dove  le  singole  canzoni  siano 
nate;  ma  Doncieux  praticamente  si  pose  a  studiare  una  per  una  le  canzoni,  e 
d'un  certo  numero  di  esse  stabill  il  probabile  testo  primitivo. 

La  cosa  h  presto  detta,  ma  in  che  maniera  pu6  il  Doncieux  esservi  giunto? 

Chi  conosce  le  infinite  di  varianti  che  un  tema  ha,  non  solo  in  Francia,  ma  anche 
nell'alta  e  media  Italia,  nella  Spagna  tutta,  nel  Portogallo,  in  Inghilterra,  in  Ger- 
mania,  e  in  paesi  di  razze  e  lingue  div^erse,  pu6  ben  presumere  quale  immane  fa- 
tica  debba  egli  aver  sostenuta  per  istabilire  e  presentare  il  testo  originale,  0  al- 
Toriginale  probabilmente  vicino.  Quando  si  consideri  che  di  quarantaquattro  can- 
zoni studiate,  le  varieta  di  ciascuna  vanno  dalle  dieci  alle  quaranta  ed  anche  alle 
cinquanta,  si  ha  raglone  per  apprezzare  il  lavoro  immenso  e  delicato. 

Alia  fissazione  di  siffatti  testi  il  Doncieux  6  giunto  seguendo  a  passo  a  passo 
le  version!  edite  in  tutta  Europa  ed  anche  in  America,  le  quali  egli  ha  moltacura 


134  ARCHIVIOPER  LE  TRADIZIONI   POPOLARl 

di  notare  volta  per  volta,  stabilendo  la  formola  ritmica,  liportandone  le  varianti 
principali,  ed  i  punti  piii  significant!,  ed  addentrandosi  nella  investigazione  del 
luogo  di  nascita,  deirargomento  che  ne  fu  ragione  e  quindi  della  data  sia'del  fatto, 
sia  della  prima  comparsa  o  composizione  della  canzone  e,  con  questo,  delle  intni- 
sioni  di  circostanze  o  modificazioni  di  forme  piCi  o  meno  notevoli  operate,  dove  fe- 
licemente  e  dove  no.  Insomma  egli  ha  costruita  la  storia  bibliografica,  letteraria. 
folklorica  e  sovente  politica  di  ciascuna  canzone.  In  altri  termini,  e  con  intendi- 
menti  simili,  ha  fatto  quello  che  per  le  ballate  inglesi  e  scozzesi  fece  nella  sua 
monumentale  opera  The  Englisch  a.  Scottish  Pop,  Ballads  (Boston,  1882-1897)  il 
grande  Francis  Child. 

Pure  un  grave  dubbio  sorge  in  noi,  ed  6:  che  i  testi  critici  delle  44  canzoni 
presentati  del  Doncieux  non  esistano,  cosl  come  sono,  in  nessun  comune  della 
Francia  e  in  nessun  paese  d'Europa.  II  Doncieux  giovandosi  delle  versioni  piu 
razionali,  ha  preso  a  quale  una  parola  0  una  frase,  a  quale  un  verso  0  una 
strofa.  II  lavoro  improbo  (lo  affermiamo  con  piena  coscienza)  6  profondo  e  geniale, 
e  recherd  un  contributo  alia  storia  della  poesia  erudita  e  popolare ;  ma  non  potrA 
andare  esente  da  esagerazioni  che  ne  metteranno  in  luce  il  lato  debole. 

Questo  sospettiamo  noi,  forse  sfuggendoci  qualche  indicazione  0  notizia  rela- 
tiva  alia  ricostruzione  del  singoli  componimenti.  Se  noi  siamo  in  equivoco,  prima 
che  ad  altri  ne  chiediamo  venia  al  sig.  Tiersot  che  con  fratema  premur^  ha  cu- 
rato  la  seconda  meta  della  edizione  ed  il  complemento  della  raccolta,  acconciamente 
finita  con  una  appendice  di  lui  col  modesto  titolo  di  «  Indice  musicale  »  delle 
canzoni  studiate:  indice  che  invece  contiene  le  note  musicali  ele  illustrazioni  cri- 
tiche  e  bibliografiche  di  esso.  G.  PlTRt. 


Caotos  populaires  portu^uezes  recolhidos  da  tradi(;ao  oral  e  coordenados 
por  A.  THOMAZS  PlRES.  Volume  II.  Elvas,  Typographia  Progresso,  1905.  In-i6, 
pp.  VI-412,  600  R6is. 

Del  I''  volume  di  questa  ricchissima  raccolta  ci  siamo  intrattenuti  a  p.  134  del 
V.  XXI  d,t\V Archivio.  Ora  questo  secondo  conferma  in  noi  la  impressione  di  quello, 
tanto  per  la  copia  dei  canti  quanto  per  Tordine,  forse  non  insuscettibile  di  modi- 
ficazioni, che  ad  essi  ha  dato  il  sig.  Pires. 

Come  i  lettori  ricorderanno,  egli,  il  raccoglitore,  ne  fece  tre  grandi  categorie: 
O  sobrcnaturaly  a  natureza  e  o  homem  e  a  sociedad.  Alia  prima  ed  alia  seconda 
si  riferisce  la  materia  precedentemente  pubblicata,  la  quale  per6  ha  complemento 
nel  presente  libro  sotto  i  titoli:  os  vegetacs  e  os  animaes;  al  Homem ,  sei  titoli, 
tre  dei  quali  formeranno  un  III"  e  non  ultimo  volume. 

Per  piii  di  meta  il  libro  h  composto  di  canti  sui  vegetal!  e  sugli  animali :  1460 


RI VISTA  BIBLIOGRAFICA  1 35 

strofette  d'un  medesimo  genere  e,  come  tutti  gll  altri  precedent!,  d'un  quasi  me- 
desimo  metro. 

Diciamo  quasi,  perchfe  a  quando  a  quando,  ma  spectalmente  verso  la  fine  del 
volume,  nel  g  di  anhelos,  requcbros  e  lisonjas,  \\  soHto  settenario  e  la  solita  stro- 
fetta  di  quattro  versi  ineguali  si  modifica  in  un  senario,  ed  k  preceduto  dalla  pa- 
rola  aili,  specie  d'invocazione  di  fiore  che  arieggia  con  lo  stomello  italiano : 

Ail^, 
Maria,  Maria, 
Essa  tua  cara 
E'  a  luz  do  da  (4978). 

Albert,  erbe,  piante,  fiori,  frutta  e  poi  quadrupedi,  volatill,  servono  di  base 
alia  classificazione.  Certo  sarebbe  un  fatto  nuovo  ed  anche  unico  se  questi  canti 
avessero  per  tema  esdusivo  un  vegetale  0  un  animale ;  ma  nella  raccolta  del  Pircs 
non  d  questo  0  non  k  sempre  questo.  Per  ragioni  di  analogia,  0  di  somiglianza,  0 
di  simitrtudine,  0  di  richiamo,  il  canto  ricorda  una  pianta,  un  fiore,  un  uccelloecc., 
e  per  via  di  cosiffatto  ricordo  il  canto  riceve  il  suo  posto.  Per  esempio,  \k  dove 
rinnamorato  elvense  canta: 

lA  ndo  ha  pipel  em  Elvas, 
Nem  tinta  pelos  convento& 
Nem  aves  que  criim  pennas. 
Para  escrever  aentlmentos  (n.  375$)* 

Gli  uccelli  iaves)  c'entrano  quanto  la  carta  da  scrivere  che  Tinnamorato  non 
trova  in  quella  citt^,  quanto  I'inchiostro  che  non  k  nei  conventi.  E  dove  la  ra- 
gazza,  disingannata  dalla  fedelti  del  suo  amato,  awerte: 

M'nina  nAo  se  fie  nos  homens. 
Nem  nas  suas  palavrinhas. 
Pois  que  os  homens  sAo  mats  falsos 
Do  que  0  el  das  andorinhas  (3761), 

la  rondinella  (andorinha)  h  un  termine  di  confronto,  e  tema  del  canto  d  invece: 
che  non  bisogna  prestar  fede  agli  uomini,  n6  alle  loro  dolci  parole  {palavrinhas)^ 
Entrambi  i  canti  sono  d'amore  come  dozzine  di  centinaia  della  raccolta  che  e- 
scono  in  categorie  diverse  da  quelle  delle  cantigas  amorosas,  che  in  questo  vo- 
lume, e  presumiamo  anche  nel  seguente,  devono  essere  straordinariamente  numerose. 
E  passando  alia  III  categoria,  O  homem  ecc,  il  cap.  a  ci  allieta  dolcemente 
con  leggiadre  ninne-nanne  (<:o«/<75  dos  berro)\  il  b  con  le  carezze  e  le  penefigliali 
che  si  aprono  con  questo  profondamente  sentito  verso  la  mamma : 
Minhe  mde,  minha  miesinha, 

O'  minha  mAe,  minha  amiga, 

Quem  perde  o  amor  de  m&e 

Perde  tudo  n'esta«  vidal  (4043). 


136  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Segues,  Tamicizia,  e  si  apre  la  immensa  serierf,  dei  canti  amorosi,  chenel  vo- 
lume in  esame  sommano  a  872,  e  formano  come  il  primo  stadio,  il  primo  aspetto 
di  questo  multiforme,  svariato,  argomento,  che  h  Tamore  lieto  e  triste,  bello  e 
brutto,  in  tutte  le  sue  fortunose  vicende. 

Abbiamo  accennato  alia  ricchezza  della  raccolta,  e  tomiamo  a  fame  cenno,  anche 
sottraendo  al  n.  di  5000  una  quarta  parte  di  varianti ;  e  attendiamo  gli  altri  generi 
di  poesia  popolare,  tra  i  quali  i  religiosi,  gli  epici  (particolarmente  le  romanze),  gFin- 
fantili  ed  altri  ed  altri.  G.  P1Tr£. 


The  A\asai,  tb^ir  Uaio^uai^^  aiod  FolKiore  by  A*  C.  Haliis.  With 
Introduction  by  Sir  CHARLES  ELIOT.  Oxford,  at  the  Clarendon  Press  1905. 
ln-8,  pp.  XXVIll-359,  Sh.  14. 

11  Masai  parte  considerevole  dei  larghi  piani  estendentisi  da  un  grado,  circa, 
del  nord  dell'equatore  a  sei  gradi  del  sud  di  esso,  tra  il  territorio  inglese  ed  il 
tedesco  dell'est  deH'Africa,  rappresenta  un  misto  del  negro  Nilotico  e  dell'Hamite 
(Galla-Somali ).  Dal  1854  al  1902  una  dozzina  di  Javori  si  sono  pubblicati  su  di 
esso,  a  capo  dei  quali  per  lo  elemento  folklorico  viene  ora  a  mettersi  questo,  che 
dobbiamo  ritenere  esauriente,  del  sig.  Hallis 

Lasciamo  ai  linguisti  la  grammatica  Masai  (pp.  1-103);  veniamo  a  ci6  che  ci 
riguarda  direttamente :  la  tradizione  orale  ed  il  costume. 

Un  primo  gruppo  e  di  storia.  Son  favole,  apologhi,  racconti,  leggende.  Embrio- 
nale  e  come  di  straforo  vi  entra  anche  la  fiaba.  Argomenti:  la  lepre  e  gli  elefanti, 
i  guerrieri  ed  il  diavolo,  la  lepre,  la  iena  e  la  cava  della  lionessa,  il  Dorebo  e  la 
giraffa.  Tre*  volte  in  venti  narrazioni  comparisce  il  demonio,  lo  spirito  del  male; 
quattro  il  guerriero,  personaggio  comune  nella  vita  Masai. 

Un  secondo  ed  un  terzo  gruppo  si  compongono  di  proverbi,  e  di  enimmi,  tra 
i  quali  ne  riconosciamo  qualcuno  comune  presso  i  popoli  europei. 

Un  quarto  gruppo  abbraccia  miti  e  tradizioni,  leggenduole  degli  dei,  del  dia- 
volo, del  mondo,  della  disubbidienza  di  Le-eyo,  della  origine  di  Masai  e  del  po- 
polo  Bantu,  del  sole  e  della  luna,  delle  ecclissi  della  luna,  delle  stelle,  delle  comete 
e  di  fenomeni  naturali.  I  brevi  cenni  di  questo  gruppo  assurgono  a  documenti  nel 
campo  cosmogonico  non  meno  che  nel  mitologico. 

Per  la  storia  della  primitiva  civiltA  e  della  etnografia  6  da  considerare  come 
il  piu  importante  Tultimo  gruppo  (al  quale  sarebbero  da  aggregare  le  pagine  260- 
263  di  divisioni  del  popolo  Masai)  dei  costumi.  Lunga  e  non  iscarsa  di  sorprese 
ne  sarebbe  la  esposizione  se  lo  spazio  ce  lo  consentisse.  U  sono  le  forme  este- 
riori  della  vita  Masai  pubblica  e  privata,  nelle  cerimonie  e  nei  riti,  nellecose  sacre 


f  "IW 


RIVISTA   BIBLIOGRAFICA  137 

e  nelle  profane,  nella  salute,  nelle  malattie,  e  nella  morte;  omamenti,  strumenti, 
arnesi  doraestici,  alimenti,  abitazioni,  animali  selvaggi,medici,  guerrieri,  ed  inoltre 
circoncisione,  elezionedicapi,  nozze.  delitti,  seduzioni,  adulterio,  vi  hanno  qualche 
pagina;  molti  i  canti.  II  raccoglitore  ha  saputodove  metter  le  mani,  ed  e  riuscito  a 
farlo  con  criterio  savio  degno  d/un  uomo  che  dal  ministero  delle  colonic  britanniche 
6  designate  all'ufficio  di  Segretario  capo  deirAmministrazione  del  protettorato  del- 
r Africa  orientale.  Sir  Charles  Eliot  ha  ben  ragione  di  mettere,  come  si  vede  dalla 
prefazione,  in  rilievo  I'opera  ed  il  contenuto  di  essa 

Ventisette  tavole  in  fototipia  illustrano  tipi  di  uomini  e  di  donne,  di  guerrieri  e 
di  fanciulli;  abitazioni,  arredi,  oggetti,  lavori,  omamenti,  decorazioni  ed  assai 
cose  utili  alia  rappresentazione  grafica  delle  manifestazioni  di  quel  popolo. 

G.  PITRE. 


Archiwo  per  le  tradizioni  popolari.  —  Vol.  XX 1 11.  18 


BULLETTINO   BIBLIOGRAFICO 


Benedetto  Croce.  Kr^-j^fnde  na- 
Piihituit'.  Si: tit*  pn'ma.  Napoli.  Morano, 

GU  scntti  riuniti  in  guesto  volumetto 
furono  %\h  pubblicati  sparsamente  nella 
ri vista  Xapoh  nohilissinia.  Cia:^cuno  di 
essi  iUustra  uno  dei  seKuenti  ar^omenti : 
1.  L'afco  di  S.  Elf^io  e  la  kg^e^ida 
dclia  jriif^^i '  -  '<a  esf'mpia  /  v ;  N  -  /  ricord  i 
driia  Ri'gina  Gkn*anHa  a  Xnpoli;  III. 
//  pi?z2o  di  Sania  StfJ^ti  /  IV.  //  60/1- 
Si'r^ffiforio  dri  />aZ'rri  di  tr.  tris/o  e  la 
If^^tnda  df'gli  antori  dei  Pernio lesi. 

Questi  argomenti  lunno  dd  comrao- 
vente  0  del  maravigUoso,  e  provengono 
da  libn  di  storia  o  di  erudizione  di  Na- 
polii  Letters  ti  e  novtMlieri  vi  han  rica- 
roato  sopra :  ed  i  ra»:ajnti  so  no  pieni  di 
particolari  non  prima  sognijri,  Siamo 
sempre  alia  i>ovella,  la  quale,  come  dice 
il  proverbiOt  non  ^  bell  a  se  non  c'e  la 
giunterella, 

]]  Croce  da  quel  pro fondoconosci tore  che 
h  delle  cose  napoletane.  esamina  minu- 
taJTiente  e  spassionatamente  le  quattro 
leg^ende  e  k*  riduce  0  al  nulla  0  ai  mi- 
nimi termini, 

l.e  narrazioTiT,  anche  nelle  lore  cru- 
delta.  son  belle;  ma  piu  bella  &  la  cri- 
tic a  che  porta  alia  verita. 


Prof.  BARAGIOLA  Dr.  ARI<*TIDE.  / 
AI6iheni.  ossia  i  Ttdtsthi  deila  Valle 
del  Fe^rsinii  nel  Treuiiuu.  Venezia,  tip. 
Emiliana,  1905.  ln-16.  pp*  83.  Cent.  80. 

La  valU;  del  M6cheni,  detta  anche  val 
Fierozza  0  val  di  Fersina,  accoglie  una 
popolazione  che  parla  in  parte  un  dia- 
letto  simile  al  cimbro  del  Sette  e  Tre- 
dici  Comuni :  in  parte  I'italiano.  In  quella 
valle  si  rec6  a  stadia  re  da  ftlologo  e  da 
folklorista  ilRaragjula  nelLuRliskdeligoi. 

Nello  studio  che  di  ora  fuori,  egli  fa 
conoscere  gli  abitanti  dev  vjtlaggi,  la 
loro  vita^  le  loro  tase^   le  lorn  occupa- 


zioni,  usi  e  costumi,  superstizioni,  pre- 
giudizi,  credenze  e  lingua:  documenti 
della  quale  cinque  testi  inediti  in  m6- 
cheno  icon  la  versione  letterale  italiana) 
trascritti  sulla  tradizione  orale. 

Questo  studip  sulle  colonie  tedesche 
nella  regione  italiana  fa  pari:e  di  altri 
del  Baragiola  sopra  //  catUo  pop.  /<?- 
desco  a  Bosco  o  Gurin  (Cividale  1901); 
(Ban,  1903)  ed  il  folklore  inedito  ecc.  che 
si  viene  pubblicando  nel  Bulleltino  difi^ 
lologia  moderna  ed  in  questo  Archivio. 


MARIO  MANDALARI.  Lafesta  de'  dia- 
voli  di  Aderno.  Roma,  Centenari.  1905 
In-8,  pp.  12. 

Dii  notizia  di  una  sacra  rappresenta- 
zione  parlata  che  si  fa  ogni  anno,  il 
giorno  di  Pasqua,  in  Adem6,  sulle  pen- 
dici  dell'Etna. 

Di  essa  sarebbe  autore  il  sacerdote 
Don  Anselmo  Laudani  {1718-1787),  che 
scrisse  anche  altri  drammi  sacri;  ma 
probabilmente  lo  spettacolo  preesisteva 
a  lui  in  forma  meno  che  scorretta. 

Una  fototipia  accompagna  Popuscolo, 
e  ritrae  il  momento  della  esecuzione, 
alia  quale  assistono  sempre  migliaia 
di  persone. 

11  prof.  Mandalari  avrebbe  potuto  ve- 
dere  per  la  Sicilia  spettacoli  simili  a 
questo  di  Adern6  nell'Vlll  e  nel  XXI  vo- 
lume della  nostra  Biblioieca  delle  ira- 
dizioni  popolari  sicilianc,  e  nel  II  della 
magistrale  Storia  delle  origini  delieatro 
in  Italia  del  D'Ancona. 


E.  FILIPPINI.  Quattro  racconti  popo^ 
lari  di  Brizio.  Menaggio,  1905.  In-8, 
pp.  II. 

Sono  stati  raccolti  dalla  bocca  d'uno 
di  Brizio,  paesello  montano  del  circon- 
dario  di  Varese,  e  vanno  accompagnati 


m!h*»H 


BULLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


MQ 


da  una  versione  letterale  italiana.  II  !• 
b  il  motivo  di  Giovanni  senza  paura ;  il 
II*,  quello  d'un  uomo  che  riesce  per  fur- 
beria  ad  entrare  in  paradise,  non  ostante 
il  divieto  di  S.  Pietro;  il  III»,  la  leggenda 
di  Polifemo;  il  jV»,  la  favoletta  del  lupo 
ingannato  dalla  volpe:  quattro  motivi 
ben  noti  nella  letteratura,  sia  delle  fiabe, 
sia  delle  leggende. 


/«  07iore  del  prof .  Giuseppe  Tambu- 
rini.  Lecce,  Giurdignano,  1905.  In-8,  166. 

Quattordici  tra  discepoli  ed  amici  del 
Tamburini  si  sono  uniti  ad  onorare  Til- 
lustre  uomo.  Tre  di  essi  I'hanno  fatto 
per  mezzo  di  scritti  folklorici:  il  prof. 
Angelo  de  Fabrizio  con  la  illustrazione 
del  motivo  del  piccolo  prevalente  a  pro- 
posito  d'una  favola  del  popolo  Salentino ; 
e  alcuni  curiDsi  aneddoii  su  fra  Rch- 
berto  de  Lucca  (1425-95)  soprannominato 
novcllo  Paolo,  il  celebre  predicatore  di 
pace;  S.  Panareo  con  Dilej^f^i e  schenii 
tra  paesi  dell'estremo  Salento^  prege- 
vole  raccoltina  di  raotteggi  e  proverbi 
di  paesi  del  Salentino,  che  accresce  util- 
mente  il  materiale  del  blasone  popolare 
d 'Italia.  Queste  pagine  corrono  anche 
in  opuscolo  a  parte. 


CaUndario  Artislico  Piemonlese  igo6 
coidisefTfii  di  AUGUSTO  CARUTTI.  Pub- 
blicato  a  cura  di  Hans  Rinck  Libraio- 
Editore,  11,  via  Po,  Torino.  In  fol.  pp.  51. 

Non  dXYArchivio,  ma  alle  riviste  let- 
terarie  ed  ai  giornali  cotidiani  spette- 
rebbe  lo  annunzio  di  questo  tra  i  piii 
artistici  calendari  d'ltalia;  ma  VArchivio 
deve  dime  una  parola  per  unampio studio 
di  A.  Massara  in  esso  contenuto  e  com- 
parso  contemporaneamente  nella  Gaz^ 
zetla  di  Novara  (a.  X,  nn.  851  e  852). 

Illustra  usi  infantili  del  contado  no- 
varese:  canzonette,  formole,  scioglilin- 
gua,  giuochi,  balocchi,  che  pure  hanno 
riscontro  specialmente  nell'alta  Italia. 

A  titolo  di  cronaca  aggiungeremo  che 
questo  Calendario,  primo  nel  genere,  h 
venuto  f  uori  per  le  feste  del  secondo  cen- 
tenario  della  gloriosa  battaglia  di  To- 
rino, ed  ha  per  iscopo  precipuo  di  far 
conoscere  oltre  i  confini  del  Piemonte, 
i  monument!  ed  i  luoghi  piu  ameni  di 
quella  terra,  i  quali  rispecchiano  la  storia 
dei  secoli  passati. 

Vi  sono  articoli  di  C.  Rinaudo,  C. 
Boggio,  G.  Roberti,  F.  Curio,  G.  Bobba, 
G.  Sacerdote,  G.  Collino,  R.  Rusconi, 
E.  Barraia,  P.  Giacosa,  e  disegni  ripro- 
dotti  da  antiche  stampe  0  nuovi  del  tutto. 


A.  D'ANCONA.  Sazgi*>  di  una  liiblio' 
sr^tifia  ragionata  della  Ihesia  I\)pnlare 
Italiana  a  stampa  del  secolo  A'iX  (in 
Festfi^abe  fUr  A.  Vttfv^^a  H.Tlle.  Nie- 
mayer,  1905).  In-t;,  pp.  ^o. 

Da  molti,  ma  dj  moiti  anni  il  D'An- 
cona  viene  raccoj;lienJo  libretti  ^  stampe 
popolari ;  e  da  molts  anni  vii^ne  piKH^ando 
note  ed  appunti  \>eT  una  bibliuj^rafia 
della  poesia  popi^lare  itihana.  La  ma- 
teria della  quale  orm^^i  fars<?  sitpera 
quella  di  qUalsivuglia  altro  cultore  di 
studi  di  erudizioTie  e  dj  tnidizioni  po- 
polari, ed  anzi  ahbhimo  r;ij;iont'  di  cre- 
derla  unica  nel  gi-nofr.  Le  siampe  JelLi 
tipogratia  della  Cnlnmki  di  Hah^^Ti^jL.  Ji 
Cordelia  di  Vene/Ki,  Ji  Bi^rtini  e  di  Ba- 
roni  di  Lucca,  di  T.vmburinl  di  A\ilano. 
di  Russo  e  di  Avalhme  di  Napati  e  di 
altri  moltissimi.  j;ljsonofamiliariquanto 
quelle  deH'ultimo.  del  piu  r&cente  tra  gli 
editori,  il  Salani  di  Firenze. 

Ora  di  tutto  questo  t^r:inde  materinje 
bibliografico  egli,  si  D'Ancona.  OA  fuori 
un  saggio,  e  ci  dice  senza  reticence  che 
non  si  sente  forza  per  condurlo  a  fine. 
Ci  sia  permesso  <Ji  dolercl  di  quesla  af- 
fermazione,  e  di  affermare  alia  ntistra 
volta,  che  egli  ha  angora  ener^ia  pi£i 
che  bastevole  a  compiere  non  pur  que.sta 
ma  anche  altre  opere  di  lena. 

Ad  multos  anntnf 

Questo  saggio,  venuto  in  luce  per  fe- 
steggiare  i  1 M  ussa ri :i ,  ^i  J i  m i t a  a  1  le  st a  m  [>e 
del  sec.  XIX  ed  .ille  lettere  A  e  B.  Non 
ordinaria  e  la  eru Ji?Jone  che  TA.  sparge 
sopra  alcune  di  coslffatte  stampe.  am- 
mirevole  la  diligenza  della  deShirimne, 
Di  non  pochi  raccoTiti,  0  leggende,  o 
aneddoti,  che  costimis^rono  rargomento 
del  libretto,  egli  appresta  un  riasstintoi 
e  di  alcuni  come  Alemme  e  Adelasia, 
Alessandro  III,  Ala/m'  d'amore,  At- 
tila,  Bailardo,  l:i  storia  critica  e  Nblio- 
grafica. 


PAOLO  REVELLL  //  Comittir  di  Mff- 
dica.  Descrizione  fisicc>-an tropica.  Pa- 
lermo, Rerao  Sandrim  190+.  In- 8,  pp.  XIV- 
33I-XXV1II. 

Se  la  nostra  (o^st  una  rivista  geo- 
grafica  0  storica.  tioi  vorremmo  fermarci 
ad  agio  sui  singoli  capitoli  di  questa 
geniale  opera  di  un  uomo  che  pur^siede 
una  non  comune  cnmpetenza  negli  -'^tu  Ji 
non  solo  di  storia  e  di  gei)Krar;a,  ma  - 
anche  di  geologia  e  di  scienze  sociali. 

Nello  svolgimento  dr^lla  materia  rela- 
tiva  a  questa  e  ad  aUre  discipline,  ej^H 
rivela  0,  meglio,  :onferma  grande  ma- 
turita  d'ingegno  e  di  cultura. 


140 


ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


Non  di  essa  percio  dobbiamo  noi  far 
cenno,  ma  di  due  capitoH,  il  X  e  I'XI, 
nei  quali  e  illustrata  arapiamente  per 
una  dttk  come  Modica,  Tabitazione,  Ti- 
giene,  il  sentimento  religiose,  i  vincoli 
di  famiglia,  il  vagabondaggio,  la  delin- 
quenza  del  contadino  ed  inoltre,  e  piu, 
il  dialetto  parlato  nella  Contea  ed  il  folk- 
lore nelle  sue  molteplici  forme,  meno  che 
nella  novellistica. 

11  Revelli  ha  attinto  alle  piu  recenti 
raccolte  di  etnografia  tradizionale  e  di 
letteratura  orale :  ed  ha  saputo  fame  un 
tutto  omogeneo  ed  organic©  con  idee  af- 
fatto  modeme. 


ELLA  DE  SCHOULTZ.  ADAIEWSKI. 
I'olfcsiveisen  und  Tcxle  aufgezeichnet 
bei  den  Slaven  voni  Torre,  Separat-Ab- 
druck  aus  1.  Baudoin  de  Courtenay's 
«  Materialien  zur  sudslavischen  Dialek- 
tologie  und  Etnographie*  11.  Bd.  1904. 
ln-8,  pp.  16. 

La  signorina  de  Schoultz-AdaYewski 
h  una  specialista  di  tecnica  musicale 
particolarmente  popolare.  e  delle  melo- 
die  che  prende  ad  esaminare  e  discor- 
rere  con  plena  conoscenza. 

Questa  pubblicazione  ne  h  una  nuova 
prova.  Le  otto  melodie  che  essa  accom- 
pagna  ai  dieci  brevi  canti  sloveni  del 
Friuli  slavo  da  lei  raccolti  sono  illustrate 
dal  lato  artistico  e  dal  lato  folklorico. 
Canto  per  canto  e  studiato  nella  sua  to- 
naliti,  nelle  sue  misure  iniziali  e  finali, 
nella  sua  struttura  e  nei  suoi  tratti  ca- 
ratteristici. 

I  canti  sono  ninne-nanne,  d'amore,  re- 
ligiosi  e  di  scherzo.  Al  testo  sloveno 
segue  la  versione  italiana  e  gli  schia- 
rimenti  francesi.  11  titolo  tedesco  del  fron- 
tespizio,  traduzione  dall'originale  slavo, 


non  ha  che  vedere  con  le  lingue  delle 
quali  Tautore  si  serve  nei  corpo  dell'o- 
puscolo. 


Die  Mylhen  und  I^genden  der  Siid- 
amerikanischen  Urvolker  und  ihre 
Beziehungen  zu  denen  Nord-Amerikas 
und  der  alt  en  Welt.  Von  Dr.  PAUL 
EHREr.'RElCHE.  Berlin,  Asheru.  Co.  1905. 
in-8°gr.,  pp.  VII-I67,  M.  3 

£  questo  un  supplement©  alia  ben  nota 
Zeitschriftjilr  Ethnologic,  organo  della 
Society  di  Antropologia,  Etnologia  e 
Storia  primitiva;  e  racchiude  una  me- 
moria  stata  letta  nei  1904  al  XIV  Con- 
gress© degli  American isti  in  Stuttgart. 

Con  sottile  analisi  il  Dr.  Ehrenreiche 
studia  la  materia  che  ha  potuto  avere 
a  mano  intorno  ai  miti  deirAmerica.  Nei 
caratteri  generali  di  essi,  guarda  in  i- 
special  modo  la  prevalenza  della  natura, 
I'animismo,  la  personificazione  e,  pro- 
dotto  di  essa,  il  culto  degli  eroi  primi- 
tivi,  le  divinita,  il  colorito  locale. 

Scendendo  ai  particolari,  egli  ricerca 
i  miti  e  le  leggende  della  creazione  del 
mondo,  dei  cataclismi,  del  cielo  e  delta 
terra,  del  sole  e  della  luna,  delle  stelle, 
dei  proavi  e  degli  eroi. 

Una  seconda  parte  della  memoria 
segue  passo  a  passo  il  ciclo  delle  saghe 
sud-americane  e  le  loro  scambievoli  vi- 
cende,  donde  passa  al  viaggio  dei  miti 
ed  al  loro  modificarsi  e  confondersi  a 
contatto  degli  element!  settentrionali  ed 
asiatici  dell'America. 

Queste  ultime  pagine,  come  delresto 
tutte  le  altre  dello  studio,  sono  d'una 
grande  delicatezza :  e  danno  a  divedere 
con  quanta  circospezione  il  Dr.  Ehren- 
reiche si  conduca  nello  esame  difficile  e 
pericoloso  della  origine,  diffusione  e  so- 
pravvivenza  degli  antichissimi  miti. 

P. 


■II'  |J,»  A-SUP,  _'    .-'<' 


RECENTI  PUBBLICAZIONl 


141 


RECENTI  PUBBLICAZIONl. 


Balladoro  (A),  Canzonette  de'  co- 
scritti  e  de'  soldati  raccolte  nel  Vero- 
nese. Napoli,  Priore  1905.  In-8. 

—  Tradizionisoprannaturali  raccolte  in 
Povegliano  Veronese.  Verona,  Franchini 
1905.  In-8,  pp.  17 

—  Alcune  novelline  del  popolo  Vero- 
nese. Verona,  ivi,  1905.  ln-8,  pp.  12. 

BIANCHI  (Quirino),  L'evoluzione  del 
diavolo  neila  delinquenza.  Napoli,  Lu- 
brano  1905.  In-8,  pp.  45.  L.  i. 

CAETANI  LOVATELLI  (Ersilia),  Varia. 
Roma,  Loescher  1905,  In-i6,  pp.  283. 

CHIATTONE  (D),  Matrimoniana.  ba- 
luzzo,  1905.  In-i6,  pp.  81. 

FAVARA  (F.  A.).  Tu  zampilli  su  del 
popolo  dal  cuore.  Noterelle  folk-lbriche. 
Palermo,  MCMV.  L.  0,50. 

FUMI  (L),  Superstizioni,  pregiudizi.  e 
malie  in  Lucca.  Lucca,  Giusti  1905.  In- 
16,  pp.  150. 

MOLMENTI  (P.),  La  Storia  di  Venezia 
nella  vitaprivata.  Parte  I.  Bergamo,  1st. 
Stab,  d'arti  grafiche  1905. 

Pansa  (G  . ) ,  Studi  di  leggende  abruzzesi 
comparate.  Teramo,  1905.  In-i6,  pp.  24. 

STAFFETTI  (L.),  Contributo  alia  storia 
del  costume  nel  basso  medio-evo.  Inven- 
tario  dei  beni  e  delle  robe  dell'opera  di 
S.  Martino  in  Pietrasanta.  Genova,  tip. 
della  Gioventii  1905.  In-i6,  pp.  22. 

TOMMASEO  (N.),  Canti  popolari  greci 
tradotti  con  copiose  aggiunte  ed  una  in- 
troduzione  per  cura  di  P.  E.  Pavolini. 
Milano,  Sandron  1905. 

VON  QUANTEN  (Em.)  u.  RUNEBERG 
(G.  L.),  Canti  originali  della  Finlandia, 
Traduzione  italiana  di  Diocleziano  Man- 
cini.  Temi,  Alterocca  1905. 

Babudri  (F.),  Credenze  e  costumi  delle 
citta  di  Cherso,  Capodistria,  Cobol  e 
Priora,  1905.  In-i6,  pp.  16. 


BASSET  (R.),    La   Legende  de  Beut  et 
Khass.  Alger,  Jourdan  1905.  ln-8,  pp.  34. 


DE  CORSON  (G.).  Vieux  usages  du 
pays  de  Chdteaubriant.  Nantes.  Durance 
1905.  ln-8,  pp.  49. 

DELEHAYE  (H.),  Les  L^gendes  hagio- 
graphiques.  Bruxelles,  Bureau  de  la  So- 
ciete  des  Hollandistes,  1905. 

HERVt  (No$l).  Les  Noels  fran<;ais. 
Essai  historique  et  litteraire.  Niort,  Clou- 
zet  1905.  ln-8,  pp.  vill-345,  fr.  2,50. 

Macler  (Fr.),  Contes  arm^niens,  tra- 
duits  de  I'Armenien  modeme.  Paris,  Le- 
roux  1905.  In-i8,  pp.  194,  fr.  5. 

MAUSS  (M.),  L'origine  des  pouvoirs 
magiques  dans  les  Societ^s  Australien- 
nes  ecc.  Paris,  Imprimerie  Nationale 
1904.  ln-8,  pp.  86. 

PI  RES  (A.  Thomaz),  Cantos  populares 
portuguezes  recolhidos  da  tradi^iio  oral. 
Vol.  11.  Elvas,  Typ.  Progresso  1905.  In-i6, 
pp.  IV-412. 


HAHN  (Ed.).  Das  Alter  der  Wirthschaft- 
lichen  Kultur  der  Menschheit.  Heidelberg 
1905.  In-8,  pp.  XVl-256. 

MASUCCIO  VON  SALERNO.  Novellen, 
zum  erstenmal  ubertragen  von  Paul  Sa- 
kolowski.  1.  Altenburg,  Unger  1905. 

MISTELI  (Emil.),  Celio  Malespini  und 
seine  Novellen.  Zweite  verm.  Auflage. 
Aarau,   1905. 

STUMME  (Hans),  MaltesischeMarchen, 
Gedichte  und  Ratsel  in  deutsche  Uber- 
setzung.  Leipzig,  Hinrichs  1904.  ln-8, 
pp.  XVl-103. 

YERMOLOFF  (Alexis).  Die  landwirt- 
schaftliche  Volksweisheit  in  Sprichwor- 
tem.  Redensarten  und  Wetterregeln.  1. 
Band.  Der  landwirtschaftliche  Volkska- 
lender.  Leipzig.  Brockhaus  1905.  ln-8, 
pp.  lV-567. 


HESSELING  (D.  C. ),  EXXYU'.xai  xai 
oXXavSixai  Ilaaoi^ai.  Ev  ABy^ai^  1903. 
In-8,  pp.  20. 


142 


ARCHIVIO   PER    LE  TRADIZIONI    POPOLARl 


ARNDT  (Ewald),  Milena  Preindlsber- 
ger-Mrazovic,  Bosnische  Volksmarchen. 
Mit  Illustrationen.  Innsbruck  1905.  ln-8, 
pp.  xn-132. 


French  Idioms  and  Proverbs.  A  com- 
panion to  Deshumbert's  Dictionary  of 
Difficulties.  Fourth  rewised  and  enlarged 
edition.  London,  Nutt  1905.  In-8. 

HOLLIS  (A.  C),  The  Masai,  Their  Un- 
guage  and  Folk-Lore.  With  introduction 
by  Sir  Charles  Eliot.  Clarendon  Press, 
Oxford  1905.  In-8,  pp.  xxxu-364. 


LEAHY  (A.  H.),  Heroic  Romances  of  Ire- 
land. Translated  into  English  prose  and 
verse,  with  Preface,  special  Introduction, 
and  notes.  London,  Nutt  1905. voll.  2,  in-4. 

MC  CRACKEN  (Uura),  Gubbio.  His- 
tory, Legend,  and  Archaeology.  London, 
Nutt  1905.  In-8,  pp.  350. 

CHILD  (Helen),  English  and  Scottish 
popular  Ballads.  Edited  from  the  collec- 
tion of  Fr.  T.  Child.  London,  D.  Nutt  1905. 


SOMMARIO  DEI  GIORNALI. 


CORDA  FRATRES,  a.  IV,  nuova  serie, 
n.  4-5.  Palermo,  Aprile-Giugno  1905. 
Lina  Valenza:  «  Usi  nuziali  e  natalizi 
degli  Ebrei  in  Tunisi  >.  Lo  scritto  fu 
pubblicato  neWArchu'io,  ed  ora  viene 
ripublicato  senza  che  I'Autrice  si  benigni 
di  fame  sapere  niente  a  nessuno. 

CORRIERE  DELLA  SERA.  a.  30,  n.  193. 
Milano,  16  Luglio  1905.  M.  P.  «  Feste 
veneziane  :  II  Redentor  >. 

n.  201,  24luglio.  R.  Simoni:  «  Otelloe 
trovatoV)>  notizie  dei  risultati  delle  ultime 
ricerche  intomo  al  famoso  personaggio 
Shakespeariano. 

FANFULLA  DELLA  DOMENICA,  a.  XXVII. 
Roma,  1905,  n.  ^^.  A.  Giannini:  «  Una 
fonte  di  una  novella  del  Boccaccio  ». 

n.  36. A. Casanova:  <  Letteratura popo- 
lare :  1  rispetti  toscani  del  Briga  ». 

n.  44.  D.  Angeli : «  La  voce  delle  strade  ». 

n.  53  e  a.  XXVIII,  n.  2.  V.  Cian: 
<  Per  la  storia  del  la  poesia  popolare  ita- 
liana  >.  Larga  ed  erudita  recensione  della 
nuova  edizione  delTopera  del  D'Ancona: 
«  La  poesia  pop.  italiana  ». 

IL  MESSAGGERO,  a.  XXVII,  n.  250. 
Roma.  Ssettembre  1905.  R.  Panattoni: «  La 
fiera  di  Grottaferrata  », quale  eraequal'e. 

IL  SECOLO  XX,  ott.  190^.  G.  Patemo 
Castello:  «  II  carretto  siciliano  ». 

L'ESPOSIZIONE  MARCHIGIANA,  n.  9. 
Macerata,  30  marzo  1905.  G.  L.  Andrich : 
Z^  dt'ff^e  nelle  y far  che,  uso  giuridico 
scientificamente  illustrato. 


NICCOL6  TOMMASEO,  a.  II,  1905,  n.  1, 
Gennaio.  G.  Crimi  -  Lo  Giudice:  «  Stram- 
botti  pop.  sic.  raccolti  a  Naso  in  Sicilia  >. 

-  C.  Arlia :  <  Circa  la  2*  edizione  de'  canti 
pop.  ital.  editi  dal  Tommaseo  ».  -  A.  Bal- 
ladoro: «  Formule  di  sorteggio  al  gioco  », 
raccolte  nel  Veronese.  -  G.  Giannini: 
<  Tre  canzonette  fra  Trento  e  Trieste  ». 

N.  2.  Febbr.  Cesare  Musatti :  <  Modi  di 
dire  veneziani  con  parole  latine  >.  -  A. 
Balladoro:  «  Filastrocche  pop.  venete  ». 
C.  Arlia :  «  Credenze  popolari  toscane : 
la  messa  del  centesimo;  la  malia  contro 
il  damo  ».  -  G.  Amalfi:  «  Di  alcune  costu- 
manze  pop.  della  costiera  amalfitana  >. 

-  Maria  Carmi :  «  Folk-lore  e  Psicologia  ». 

N.  3.  Marzo. F.  A.  Balladoro:  «  Fiabucce 
in  dialetto  Veronese  ».  -  C.  Arlia:  «  Delle 
rifiorite  0  ritomelli ».  -  G.  Bustico:  <  II 
matrimonio  nel  Bellunese  >.  -  G.  Gian- 
nini :  «  La  raccolta  Cino  ». 

N.  4,  Aprile.  M.  Morici:  «  La  leggenda 
di  S.  Alessio  a  S.  Stefano  di  Arcevia  ». 
G.  Amalfi:  «  Di  alcuni  usi,  costumanze 
e  proverbi  Sorrentini  ».  -  G.  Cnmi  -  Lo 
Giudice:  <Nelmondodeiragazzi»,  giuochi 
e  indovinelli  di  Naso. 

N.  5.  Maggio.  G.  Giannini:  <  Proverbi 
lucchesi  ».  -  A.  Balladoro:  *  Novelline  di 
Pacengo  »  sul  lago  di  Garda. 

N.  6.  G.  Crimi  -  Lo  Giudice:  «  Una 
variante  siciliana  della  leggenda  di  Pi- 
petta  >,  -  G.  Giannini :  -« Zanobio  Cam- 
pana  di  Firenze  >,  novellina  lucchese. 

RIVISTA  DI  PSICOLOGIA  applicata  alia 
Pedagogia  e  alia  Psicopatologia,  vol.  I, 
op.  26-31.   Bologna    1905.   V.    Lamieri: 


SOMMARIO  DEI  GIORNALI 


143 


Folk-Lore  e  pedagogta.  I>escrive  i  risul- 
tati  ottenuti  in  una  scuola  al  giuoco  dei 
proverbi.  I  ragazzi  che  non  ricordano  piu 
proverbi,  li  inventano  da  loro. 


L'l^CLAlR,  i8e  annee,  n.  6075.  Paris, 
16  Luglio  1905.  Ed.  Fleg:  «  La  fete  des 
vignerons  > ;  i  preparativi  della  festa  in 
Vevey ;  la  origlne  e  la  storia  di  questa ; 
religione  e  patriottismo.  L'avvenire  arti- 
stico  della  Svizzera  romanza.  Con  due 
disegpi. 

REVUE  DE  PHILOLOGIE  FRANQAISE, 
1905,  nn.  2-3.  Reinhold:  <Remarques  sur 
les  sources  de  Floire  et  Blanceflor>. 

REVUE  DES  TRADITIONS  POPULAI- 
RES:  T.  XX,  1905,  n.  i,  Gennaio.  R.  Bas- 
set: <  Un  recueil  des  contes  de  I'Austra- 
lasie,  >  a  proposito  del  recente  libro  di 
Bezeraer:  « Volksdichtungen  aus  Indone- 
sien  »  (La   Have  1904).  —  C.  Fraysse: 

<  Aupays  de  Bauge  »  una  novella  ed  una 
superstizione.  —  P.  Sebillot :  <  Mythologie 
et  folk-lore  de  I'enfance*.  —  V.  Marie 
Chevallier : «  Croyances  et  coutumes  ypor- 
taises  ».  -  Filleul  Petigny:  <  Le  cris  publics 
a  Nogent-  le  Rotrou.  —  Petites  legendes 
chretiennes  »  —  C.  Fraysse :  «  Petites 
legendes  locales*  di  Baug6. 

n.  2-3,    Febbr.  -  Marzo.    R.    Basset: 

<  Les  taches  dans  la  lune  ».  -  Ed.  Edmont : 

<  Contes  du  paysde  Saint  Pol».  Continua 
al  n.  seguente.  —  P.  Sebillot:  « Legen- 
des frangaise  sur  I'origine  de  rhomme». 

—  Marie  Edmee  Vaugeois :  *  Chansons  de 
ronde  du  pays  Nantais  >.  Continua  nel 
fascicolo  seguente.  —  «  Medecine  super- 
sticieuse  >. 

N.  5.  Maggio.  L,  Sainean :  <  La  raesnie 
Helbequin*.  —  H.  LeCarguet:  « Petites 
croyances  des  Quimperoises>.  — L.  Pi- 
neau :  «  Le  folk-lore  de  la  Tauraine  » : 
proverbi.  —  <  Bibliograhie  »..  Vi  si  parla 
del  recente  volume  di  O.  Hackman :  «Die 
Poliphemsage  »  ecc. 

N.  6.  Giugno.  Leo  Desaivre :  «  Les  tra- 
ditions pop.  Chez  les  auteurs  poitevins.  » 

—  C.  Fraysse  et  H.  de  Kerbeuzee: 
P§Ierins  et  pelerinages  ».  —  R.  Bassot: 
«  Les  villes  englouties  ». 

N.  9.  Sett.  1905.  Edw.  Latham :  «  La 
philosophie  des  proverbes  >  par  I.  d'ls- 
raeli.  Versione  dall'inglese.  Continua.  — 
C.  Fraysse:  «  Au  pays  de  Bauge  >,  V. 
Credenze  agricole ;  VI.  Credenze  diverse ; 
Vll.  Talismani  e  presagi.  Vlll.  1  numeri. 

N.  10.  Ott.  C.  Fraysse :  «  Contes  du 
pays  de  Baug^  ».  —  A.  Harou :  «  Les 
traditions  pop.  et  les  ^crivains  fran(;ais  ». 
Spoglio  delle  «  memoires  d'Eschevin  de 


Tournay»  di  Ph.  de  Hurgues,   ras.    dei 
primi  del  seicento. 

REVUE  MUSICALE,  Paris,  1905.  P. 
Aubrez :  <  La  chanson  populaire  dans 
les  textes  musicaux  du  moyen  Age  ». 


REVUE  DE  L'UNIVERSIT^  DE  BRU- 
XELLES,  Liege,  Febbraio-Marzo  1905. 
Oscar  Grojeau:  «  Note  sur  quelques  ju- 
rons  fran(;ais  >. 


REVISTALUSITANA,  vol.  8%n.  3,  1905. 
M.  L.  Wagner:  «  Les  elements  folklori- 
ques  de  la  Legende  de  Wamba*.  Wamba, 
roi  de  Visigoths,  a  trouve  sa  refonte  clas- 
sique  dans  le  drame  de  Lope  de  Vega,  in- 
titule tantot  «  Vida  y  muerte  de  Bamba  », 
tantot  simplement  «  El  Rey  B.  »,ou  <  Co- 
media  de  B.  »  Lope  a  ingenieusement 
utilise  les  traits  legendaires  qu'  il  pou- 
valt  rencontrer  dans  ses  sources  pour 
donner  plus  de  relief  encore  a  IMmage 
ideale  que  I'histoire  avait  trasmise  de 
ce  heros  .  —  Th.  Pi  res :  « Tradi(;6es 
poeticas  de  Entre  -  Douro  -  e  -  Minho: 
romanze  ed  altri  componimenti  popolari . 


BERLINER  TAGEBLATT,  n.  204,XXX1V 
Jahrgang,  20  Aprile  1905.  Fr.  Verth*  «  Die 
wasserprozession  in  Venedig  ». 

UNTERHALTUNGS  BEILAGE  ZUR 
TAEGLICHEN  RUNDSCHAU,  n.  220.  19 
Sett.  1905.  Albert  Hellwig:  «  Aberglaube 
und  Strafrecht  ». 

WISSENSCHAFTLICHE  BEILAGE  DER 
LEIPZIGER  ZEITUNG.  .1905.  nn.  43,  44  ; 
II,  13  Aprile.  Oskar  Dahnhardt:  <  Die 
Natursage,  ihr  Wesen,  vverden  und  Wan- 
dem  ». 

N.  47.  20.  [Dahnhardt] :  <  Karfreitag- 
slegenden  ». 

ZEITSCHRIFT  DES  VEREINS  FUR 
VOLKSKUNDE.  15  Jahrgang.  1905.  1.  P. 
Sartori:  «Vogelweide  ».-  F.  Bolte:  «  Neid- 
hart  ».  —  C.  Wendeler:  <  Bildergedichte 
des  17.  Jahrhunderts  ».  Poesie  pubblicate 
per  cura  del  Bolte.  —  Continua  al  n.  2». 
—  Marie  Rehsener:  «  Aus  dem  Leben  des 
Gossensasser  »  -  Pietro  Toldo  :  <  Aus 
alten  Novellen  und  Legenden  ».  Continua 
al  fasc.  2".  —  Th.  Zacheriae:  «  Zurindis- 
chen  Witwenverbrennug.  ».  Continua- 
zione  e  line.  —  «  KleineMitteilungen.  Be- 
richte  und  Bucheranzeigen  ».  Notevole 
una  rassegna  delle  pubblicazioni  di  usi 
e  costumi  in  Germania   nel   1903,   ras- 


144 


ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI    POPOLARI 


segna  die  ha  seguito  nel  fascico.'o  N.  2. 
O.  Schell:  <  Das  Salz  im  Volksglau- 
ben  ».  —  R.  Cronn :  <  Grussformeln  rus- 
sischer  Bauem  im  Gouvemement  Smo- 
lensk. —  Kleine  Mitteilungen  —  Neuere 
Arbeiten  zur  slawischen  Volkskunde  ». 
recensione  di  A.  Bruckner  e  di  G.  Po- 
livka.  Segue  una  rassegna  di  raccolte  e 
studi  di  novelle  di  F.  Bolte;  e  vari  ar- 
ticoli  di  lui  e  di  altri  sopra  recenti  pub- 
blicazioni  di  R.  Andree,  P.  Hildebrandt, 
G.  Pitr^,  P.  Mitzschke,  ecc. 

N.  3.  R.  Petsch :  «  Das  frankische  Pup- 
penspiel  von  Doktor  Faust*.  —  R.  fr. 
Kaindl :  <  Deutsche  Lieder  aus  Rosch 
(Bukowina)  ».  —  C.  Miiller :  «  Parodi- 
stiche  Volksreime  aus  der  Oberlausitz. 

—  Ed.  Hermann :  <  Der  Siebensprung  ». 

—  Max  Hofler :  «  Lichtmessgebacke  ».  — 
B.  Chalatianz :  «  Kurdische  Sagen  ».  — 
«  Kleine  Mitteilungen.  —  «  Berichte  v. 
Biicheranzeigen.  >  —  Nuovi  studi  sul 
canto  popolare  tedesco,  del  Bolte. 


FOLK-LORE.  Vol.  XVI.  n.  1.  London, 
Marzo  1905.  W.  H.  D.  Rouse:  «  Presi- 
dent's Address  »,  a  proposito  del  rendi- 
conto  annuale  della  «  Folk-Lore  Society  » 
di  Londra.  —  E.  Westermarck:  «  Mids- 
ummer Customs  in  Morocco  ».  —  M.  L. 
Hodgson:  <Some  notes  on  the  Huculs>, 
con  n.  VI  tavole  in  fototipia.  —  «  Col- 
lectanea: Folk-Lore  of  the  Negroes  of 
Jamaica  »,  VII-IX.  —  R.  C.  Maclagan: 
<  Additions  to  the  Games  of  Argyleshire. 
—  Correspondance-Review. 


N.  2.  Giugno.  R.  T.  Giinther:  The 
Cimaruta,  its  structure  and  develop- 
ment*, con  otto  tavole  illustrative.  — 
Margaret  Eyre :  <  Folklore  of  the  Wye 
Valley*,  con  una  tavola.  —  « Collecta- 
nea *.  Vi  si  continua  Taggiunta  alia  rac- 
colta  di  giuochi  di  Argyleshire.  —  <  Cor- 
respondence. —  Reviews  di  recenti  pub- 
blicazioni  di  von  Gennep,  Hollis,  Child- 
Sargent  ecc. 


THE  JOURNAL  OF  AMERICAN  FOLK- 
LORE. Vol.  XVIII,  n.  LXViU.Boston.Genn. 
marzo  1905.  G.  L.  Kittredge:  «Disen- 
chantement  by  Decapitation  »,  discorso 
del  Presidente  dell'*  American  Folk-Lore 
Society*  nella  sua  seduta  annuale  te- 
nuta  in  Filaldelfia  il  30  Die.  1904.  —  H. 
H.  S.  Aimes:  « African  Institution  in 
America  *.  ~W.  W.  Newell :  «  The  Passo- 
ver Song  of  the  Kid  a.  an  Equivalent 
from  New  England.  —  Ph.  Barry :  «Some 
traditional  Songs.  —  Record  of  Ameri- 
can Folk-Lore. 

N.  LXXI.  Aprile-Giugno.  A.  L.  Kroe- 
ber:  «  Wishosk  Myths  *.  —  F.  R.  Swan- 
ton  :  <  Explanation  of  the  Seattle  Totem 
Pole*.  —  A.  F.  Chamberlain:  M>'tho- 
logy  of  Indian,  Stocks  North  of  Mexico  *, 
—  Ph.  Barry:  « Traditional  Ballads  of 
New  England*,  1.  —  Fr.  Swindlehurst : 
«  Folk-lore  of  the  Cree  Uidians.  —  «  Re- 
cord *,  ecc. 


/  Direttori: 

GIUSEPPE  PiTRfe. 

SALVATORE  SALOMONE-MARINO 


Cine  -  Slabilimento  Tipograflco  G.  Capella  -  Ciri^ 


k 


Im  Veriage  von  J.  P*  Bacheai  in  Ciiln  wird  gegen  Ostern  efscheinen : 

LEGENDEN  -  5TUD1EN 

Dr.  H.  GUNTER 


Preis:  gelieftet  etwa  }«4  Mark 


ijrovi»c»  At 


r  I '  ric:>:>Lr[     lJl       vKjinvi     ..lUi     '^jti      ■L*t:ii  «^rui  i 


cinen  Vortrag  iilxT  Legi:D<leabil4ii0^ : 


■iL-n 

l^ert, 

die  hti. 

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scnet  h- 

mit 

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.,..,..  ..^  .^..  >  Hervortret^n  {\t-^ 

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.      /L^J^tt■M 

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^--    1^.:  Inventions-,    *....-. rr- 

und  R 

Iter  Wondermotive; 
H  ^tnviirdenen  Periode;  die 
JaTirhunde/ts;   der   scharfe 

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ipper,  vieJes 

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ittt  ,au^ 

-nden   Studien   uberhaupt   ntcht 

'-rbhiifte  bi?^kHf^ion  entspnnn  <ikh  an  d^sen  Vortms^  iind  siHseitig 
Wunsch 


b;^i 


'1  vori  mir  6* 


sser 


id  hat.F 


leiiutig^n    nerinK^a  »dtv«^   jtUt    samiaaiLhi:    aus.iit)auiiiur*gea 


^^h^B^ 


OPERE  D£L  D.R  eiU5EPPE_PITRE  Di   PALERMO 

IJllJLIOTOAd*TRll)llNIPI)P0LlRISlClLlll 

raccolte  ed  illustrate  dal  Dott,  GIUSEPPE  PURE' 


Elenco  del  vol i^ ml  pixbblie^ti. 


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dal  Dott.  GIUSEPPE  PITRE' 


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TORINO 


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Vol.  XXIfl. 


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Fase.  11. 


ARCHiVIO 


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TRADIZIONI  POPOLARl 


RIVISTA  TR1MEST° 


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6.  PURE  E  S.  5AL0M0NE-MARIN0 


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TRADIZIONI    POPOI.ARI 


MAGIA  E  PREGIUDIZI 

IN.  P.   VERGILIO  MARONE    v 


V.  Arte  magica. 

I.  L'Egloga  VIII.  -  2.  Matrigne.  -  3.  Spiegazlone  di  alcuni  pregiudizi.  -  4.  Scene 
magiche  del  lib.  IV  delFEneide.  -  5.  Circe.  -  6.  Aletto.  -  7.  Urabrone.  -  8.  Asila. 
-  9.  Japis.  -  10.  Carm&. 

Veniamo  aH'arte  magica,  della  quale  11  poeta  ci  ha  dato  un  bel 
saggio  neU'Egloga  VIII  e  nel  IV  deWEneidCy  e  notiamo  anzitutto 
che  i  Juoghi  qui  citati,  oltre  al  vaticinio  deirEgl.  IV  e  alia  discesa 
airinferno  narrata  nel  lib.  VI  deWEneide,  furono  proprio  quelli  che, 
nel  medio-evo  efficacemente  contribuirono  a  procurargli  la  fama  di 
mago.  Siccome  per6  TEgloga  VIII  k  conosciuta  si  pu6  dire  anche  da 
chi  non  b  molto  addentro  nello  studio  della  letteratura  latina,  messe 
da  parte  le  cose  note,  cMntratterremo  soltanto  su  quelle  che  si  col- 
legano  strettamente  col  nostro  argomento. 

L'Egloga  si 'divide  in  due  parti:  nella  prima  (v.  1-63)  Damone 
esprime  i  lamenti  di  un  pastore,  che  si  querela  di  Nisa ;  nella  seconda 
(v.  63  ad  fin,)  Alfesibeo  introduce  una  maga,  la  quale,  con  incan- 
tesimi,  vuole  ricondurre  a  s&  Dafni,  suo  amante,  che  Taveva  abban- 
donata.  11  titolo  di  pharmaceutria,  comunemente  dato  a  quest'Egloga, 
dice  per  s^  abbastanza  nei  rapporti  dell'arte  magica. 

Effer  aquam,  et  molli  cinge  haec  altaria  vitta  ; 
verbenasque  adole  pinguis  et  mascula  tura 
coniugis  ut  magicis  sanos  avertere  sacris 
experiar  sensus;  nihil  hie  nisi  carmina  desunt. 
ducite  ab  urbe  donium,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(V.  64-68) 

(i)  Contlnuazione.  Vedl  fasc.  I. 

Archivio  per  U  tradisioni  popolaH.  —  Vol.  XXIll.  19 


146  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

L'apparato  magico  non  pu6  essere  piu  ben  disposto:  h  eretto 
un  altare  cinto  di  morbida  benda,  ossia  di  lana;  e  sovra  di  esso  ar- 
dono  pingui  verbene  con  incenso  maschio,  afifine  di  far  ritornare  al 
primo  amore,  per  mezzo  delle  magiche  arti,  la  sana  mente  dell'a- 
mante,  non  mancano  che  i  carmi,  cio^  la  formula  magica :  « traete, 
traete  di  citlii  in  mia  casa  Dafni,  0  miei  carmi ». 

Nota  che  la  verbena,  oltre  che  significare  Terba  di  tal  nome, 
pu6  intendersi,  secondo  Tuso  magico,  di  qualunque  altra  erba  in  ge- 
nere  presa  da  un  luogo  sacro;  Tincenso  mciachio  altro  non  k  che  un 
incenso  soprafino,  che  conserva  anche  oggi  —  almeno  nel  Veneto  — - 
la  stessa  appellazione,  quando  viene  adibito  dalla  medicina  volgare 
con  aglio  e  lumache,  sotto  forma  di  cataplasma,  a  sedare  i  dolori 
di  ventre.  Ma  nota  ancora  Tefficacia  del  «  sanos  avertere...  sensus»: 
in  magia,  cosl  Servio,  questa  locuzione  risponde  a  «in  amoris  insa- 
niam   vertere,   insanum   amore  reddere»;  e  si  pu6  esigere  di  piu? 

1  carmi  sono  potentissimi !  E  perch^?  Perch^  possono  trar  giu 
dal  cielo  perfino  la  luna! 

Carmina  vel  caelo  possunt  deducere  Lunam; 
carminibus  Circe  socios  mutavit  Ulixi 
frigidus  in  pratis  cantando  rumpitur  anguis. 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(V.  69-72). 

E,  se  i  carmi  possono  trar  giu  dal  cielo  la  luna,  k  una  bazze- 
cola  quella  di  Circe  che  trasforma  in  porci  i  compagni  di  Ulisse,  0 
il  far  crepare  nei  prati  il  freddo  serpente! 

La  maga  tiene  in  mano  una  piccola  figura,  simbolo  di  Dafni,  la 
cinge  con  tre  fili  di  vario  colore  e  la  porta  tre  volte  intorno  air  altare: 

Tema  tibi  haec  primum  triplici  diversa  colore 
licia  circumdo,  terque  haec  altaria  circum 
effigiem  duco ;  numero  deus  inpare  gaudet. 
ducite  ad  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(V.  73-76). 

Potente  ^  in  magia  il  numero  tre,  perch^  la  divinity  si  compiace 
dei  numeri  cafifi !  Qui  abbiamo  una  reminiscenza  della  dottrina  Pita- 
gorica  (cf.  Georg.  1,  345;  En.  1,  272;  III,  566;  VI,  506,  ecc). 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  ^f 

L'operazione  magica  precede  e  si  compie  per  dar  luogo  ad 
un'altra. 

Necte  tribus  nodis  temos,  Amarylli,  colores; 
necte,  Amarylli,  modo  ;  et,  Veneris,  die,  vincula  necto. 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnln. 
limus  ut  hie  durescit,  et  haec  ut  cera  liquescit 
uno  eodemque  igni:  sic  nostro  Daphnis  amore. 

(v.  77-81). 

Si  capisce  che  la  saga  non  b  sola,  ma  che  tiene  al  suo  servizio 
un'ancella,  Amarilli,  e  che  le  immagini  simboliche  sono  due:  una  di 
argilla  e  una  di  cera.  Con  poche  varianti  ci  troviamo  nel  caso  della 
tregenda  oraziana. 

Dalla  prima  operazione  magica  si  passa  alia  seconda: 

Sparge  molam,  et  fragilis  incende  bitumine  lauros. 
Daphnis  me  malus  urit:  ego  banc  in  Daphnide  laurum. 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(v.  82-94). 

II  nuovo  genere  dMncantesimo  sta  nel  bruciare  un  lauro,  e  questo 
fuoco  fe  simbolo  delFamore,  che  deve  accendere  Dafni  verso  Tincan- 
tatrice ;  il  lauro  arde  insieme  con  salso  farro  e  con  bitume,  e  dal  suo 
crepitare  si  traggono  augurii. 

La  saga  accompagna  Tincantesimo  con  questi  scongiuri: 

Talis  amor  Daphnin,  qualis,  cum  fessa  invencum 
per  nemora  atque  altos  quaerendo  bucula  iucos 
propter  aquae  rivum  viridi  procumbit  in  ulva, 
perdita,  nee  serae  meminit  decedere  nocti, 
talis  amor  teneat,  nee  sit  raihi  cura  mederi. 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(v.  85-90). 

Non  basta!  da  alcuni  cari  i:>egni  a  lei  lasciati  da  Dafni  —  che 
la  saga  consegna  alia  terra  sotto  la  soglia  della  stessa  sua  casa  — 
attende  che  lui  le  sia  restituito: 

Has  olim  exuvias  mihi  perfidus  ille  reliquit, 
pignora  cara  sui :  quae  nunc  ego  limine  in  ipso, 
terra,  tibi  mando;  debent  haec  pignora  Daphnin. 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(V.  91-94). 


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148  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

«  Liminis  autem  solemnis  mentio  —  nota  il  comm.  ed.  Bettoni  — 
in  poetica  oratione,  cum  admittuntur,  aut  admitti  cupiunt,  aut  exclu- 
duntur  amantes».  fe  il  nostro  aprire^  0  mettere  alia  porta, 

Succedono  i  noti  miracoli  delle  erbe  velenose  raccolte  nel  Ponto, 
di  cui  si  fa  tanto  uso  in  magb: 

Has  herbas,  atque  haec  Ponto  mihi  lecta  venena, 
ipse  dedit  Moeris :  nascuntur  plurima  Ponto : 
his  ego  saepe  lupam  fieri,  et  se  condere  silvis 
Moerin,  saepe  animas  imis  excire  sepulcris, 
atque  satas  alio  vidi  traducere  messis. 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(v.  .95-100). 

Siamo  agli  sgoccioli!  la  Strega  ^  disf)erata,  perch^  Tincanto  non 
^  ancora  riuscito;  bisogna  ricorrere  a  mezzi  estremi,  perch^  coi  soliti 
incantesimi  non  si  fa  nulla: 

Per  cineres,  Araarylli,  foras,  rivoque  fluenti 
transque  caput  iace  ;  nee  respexeris  :  his  ego  Daphnin 
adgrediar;  nihil  ille  deos,  nil  mea  carmina  curat, 
ducite  ab  urbe  domum,  mea  carmina,  ducite  Daphnin. 

(V.  101-104). 

Amarilli  deve  raccogliere  dall'ara  le  ceneri,  e,  col  capo  allMn- 
dietro,  gettarle  nel  rivo,  n^  rivolgersi  a  guardarle.  Chesignificaquesto.? 
II  luogo,  a  dir  vero,  non  k  facile  ad  intendersi :  forse  ha  qualche 
relazione  coi  riti  d'espiazione,  0  con  la  consuetudine  di  sacrare  qualche 
persona  0  cosa  alle  deita  infernali. 

Mirabile  a  dirsi!  Una  tremula  fiamma,  sprigionatasi  dalle  ceneri, 
ha  appiccato  fuoco  alFaltare!  deh,  sia  felice  questo  presagio!  E  il 
presagio  non  pu5  non  esser  tale,  perch^  Vomen  h  sempre  fausto,  quando 
la  fiamma  da  s^  stessa,  senza  Topera  di  alcuno,  si  leva.  Ilace,  il  cane 
domestico,  abbaia  sulla  soglia.... 

Ecco  Dafni  che  ritorna  dalla  citta! 

Adspice :  conripuit  tremulis  altaria  flammis 
sponte  sua,  dum  ferre  moror,  cinis  ipse.  Bonum  sit ! 
nescio  quid  certe  est ;  et  Hylax  in  limine  latrat. 
crediraus?  an,  qui  amant,  ipsi  sibi  somnia  fingunt? 
parcite,  ab  urbe  venit,  iam  parcite,  carmina,  Daphnis. 

(V.  105-109). 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  I49 

Affini  alle  maliarde  sono  le  matrigne,  che  propinano  ai  figliastri 
veleni,  e  usano  carmi  magici.  Contro  i  veleni  di  queste  ^  buon  an- 
tidote il  frutto  di  cedro: 

Media  fert  tristis  sucos  tardiimque  saporem 
felicis  mail,  quo  non  praesentius  ullum, 
pocula  si  quando  saevae  infecere  novercae, 
(miscueruntque  herbas  et  non  innoxia  verba) 
auxilium  venit  ac  membris  agit  atra  venena. 

{George,  II,  V.  126-130). 

E  nel  IIL  Georg.  ripete: 

Hippomanes,  quod  saepe  malae  legere  novercae, 
miscueruntque  herbas  et  non  innoxia  verba. 

(v.  282-283). 

N^,  oggidi,  si  ha  delle  matrigne  diversa  opinione:  un  proverbio 
veneziano  dice  che  una  volta  ne  fu  fatta  una  di  zucchero,  e,  tut- 
tavia,  era  amara  ancorquella!  (Cf.  Ov.  Met.  1,  147;  Tib.  Ill,  5-9; 
En.  VII,  761  e  segg.) 

Finalmente  respiriamo!  In  mezzo  a  tanta  ignoranza  e  a  tante 
tenebre,'  il  Nostro  mostra  di  veder  chiaro. 

Nel  1  delle  Georgiche,  parlando  dei  pregiudizi  in  generale, 
specie  riguardo  agli  animali,  Vergilio  tenta  di  darcene  una  spiega- 
zione  abbastanza  razionale: 

Haud  equidem  credo,  quia  sit  divinitus  illis 
ingenium  aut  rerum  fato  prudentia  maior ; 
verum,  ubi  tempestas  et  caeli  mobilis  umor 
mutavere  vias  et  Juppiter  uvidus  Austris 
denset,  erant  quae  rara  modo,  et,  quae  densa,  relaxat, 
vertuntur  species  animorura,  et  pectora  motus 
nunc  alios,  alios  dum  nubila  ventus  agebat, 
concipiunt:  hinc  ille  avium  concentus  in  agris 
et  laetae  pecudes  et  ovantes  gutture  cervi. 

(V.  415-423). 

Vergilio  crede  che  la  proprieta  che  viene  attribuita  a  certi  ani- 
mali di  presagire  il  tempo  buono  0  cattivo,  non  dipenda,  come 
insegnavano  i  Pitagorici  e   gli   Stoici,    da   una   dote  spirituale   {in- 


150  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

geniiim)  in  loro  infusa  dalla  divinita,  o  da  una  maggiore  prescienza 
delle  cose  concessa  loro  dal  fa  to  « {rerum  prtidentia),  ma  da  una 
causa  puramente  fisica  che,  mutando  la  tempera tura,  produca  anche 

neJle  disposizioni  dell'anima  loro  una modificazione,   che  quelli 

esprimono  col  canto  o  rauco  o  limpido  (Stampini)».  Meno  male! 

Torniamo  aH'arte  magica  e  precisamente  alia  scena  che  si  svolge 
nel  lib.  IV  ddl'Eneide. 

Didone,  affannata  dai  truci  destini  che  la  perseguono,  invoca  la 
morte,  e  da  sh  si  apparecchia  al  passo  fatale.  La  spingono  soprattutto 
a  mandare  ad  effetto  il  forsennato  proposito  alcuni  inusitati  prodigi: 
suirincensato  altare,  quando  ella  pone  Tofferta,  vede  il  vino  cangiarsi 
in  malauguroso  {ohscenum)  sangue,  e  —  circostanza  questa  che 
accresce  I'orrore  del  prodigio  —  non  osa  confessarlo  nemmeno  alia 
sorelia ;  nel  tempio  sacro  alia  memoria  del  suo  primo  marito,  le  pare 
che,  nottetempo,  il  defunto  la  chiami;  un  gufo  solitario  ulula  sf)esso 
sul  tetto  in  tuono  ferale;  si  aggiungono  i  tristi  pronostici  degli  indo- 

vini:  Enea  stesso  la  spaventa  nel  sonno Come  Penteo  e  Oreste, 

ella  fe  coatinuamente  agitata  dalle  Furie: 

Turn  veto  infelix  fatis  exterrita  Dido 
mortem  oral ;  taedet  caeli  convexa  tueri. 
quo  magis  inceptum  peragat  lucemque  relinquat, 
vJdit  turicremis  cum  dona  imponeret  aris 
{IrorrenJum  dictu),  latices  nigrescere  sacros 
fusaque  in  obscenum  se  vertere  vina  cruorem. 
hoc  visum  nulH,  non  ipsi  eifata  sorori. 
praeterea  fuit  in  tectis  de  marmore  teraplum. 
coniugis  antiqui,  miro  quod  honore  colebat, 
velleribus  niveis  et  festa  fronde  revinctum : 
hinc  exaudiri  voces  et  verba  vocantis 
visa  viri,  nox  cum  terrae  obscura  teneret, 
soLaque  culminibus  ferali  carmine  bubo 
Saepe  queri  et  longas  in  fletum  ducere  voces ; 
multaqiie  praeterea  vatum  praedicta  piorum 
terribili  monitu  horrificant.  agit  ipse  furentem 
in  somnis  ferus  Aeneas ;  seraperque  relinqui 
sola  sibit  semper  longam  incomitata  videtur 
ire  viara  et  Tyrios  deserta  quaerere  terra. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  I5I 

Eumenidum  veluti  demens  videt  agmina  Penteus 
et  solem  geminum  et  duplices  se  ostendere  Thebas, 
aut  Agamemnonius  scaenis  agitatus  Orestes 
amiatam  facibus  mahecu  et  serpentibus  atris 
cum  fugit,  ultricesque  sedent  in  limine  Dirae. 

(V.  450-473) 

Quale  rimedio  a  tanti  mali  ?  Didone  vuol  tentare  un  ultimo  colpo 
per  mezzo  delParte  magica.  Chi  sara  a  lei  ministra  di  pace?  Una 
sacerdotessa  Massila,  venuta  di  Libia.  Cosl  narra  Didone  alia  sorella : 

Oceani  finem  iuxta  solemque  cadentem 
ultimus  Aethiopum  locus  est,  ubi  maximus  Atians 
axem  umero  torquet  steliis  ardentibus  aptum: 
hinc  mihi  Massylae  gentis  monstrata  sacerdos, 
Hesperidum  templi  custos  epulasque  draconi 
quae  dabat  (et  sacros  servabat  in  arbore  ramos) 
Spargens  umida  mella  soporiferumque  papaver. 

(V.  480-486) 

La  potenza  di  questa  sacerdotessa  o  maga  h  incomparabile: 

haec  se  carminibus  promittit  solvere  mentes 
quas  velit»  ast  aliis  duras  inmittere  curas, 
sistere  aquam  fluviis  et  vertere  sidera  retro; 
noctumosque  movet  manis;  mugire  videbis 
sub  pedibus  terram  et  descendere  montibus  omos.  ■ 

(V.  487-491) 

A  primo  aspetto  sembrerebbe  che,  a  malincuore,  Didone  si  accin- 

gesse  a  dar  mano  alle  arti  magiche ;  ma  cade  subito  questo  supposto, 

qualora  si  rifletta  che  ci6  che  dice  il  poeta  ^  da  prendersi  secondo 

il  punto  di  vista  romano.  Le  leggi  romane  proibivano  severamente  i 

malefic! : 

testor,  cara,  deos  et  te,  germana,  tuumque 

dulce  caput,  magicas  invitam  accingier  artis. 

(V.  492-493) 

Si  costruisce  la  pira,  coronata  di  funebri  ghirlande,  vi  si  pongono 
sopra  il  letto,  la  spada,  Taltre  spoglie  e  Timagine  cerea  di  Enea;  due 
are  stanno  airintorno.  La  maga  incomincia: 

crinis  effusa  sacerdos 

ter  centum  tonat  ore  deos,  Erebumque  Chaosque 
tergeminamque  Hecaten,  tria  virginis  ora  Dianae. 


152  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

sparserat  et  latices  simulatos  fontis  Avemi, 
falcibus  et  messae  ad  lunam  quaeruntur  aSnis 
pubentes  herbae  nigri  cum  lacte  veneni; 
quaeritur  et  nascentis  equi  de  fronte  revolsus 
et  matri  praereptus  amor, 
ipsa  molam;  manibusque  piis  altaris  iuxta 
unum  exuta  pedem  vinclis,  in  veste  recincta, 
testatur  moritura  deos  et  conscia  fati 
sidera;  turn,  si  quod  non  aequo  foedere  amantis 
curae  numen  habet  iustumque  memorque,  precatur. 

(v.  509-521) 

A  questo  punto  il  magico  rito  ^  sospeso,  per  essere  poi  conti- 
nuato  e  compiuto  neiresecuzione  del  fatale  proposito,  che  va  dal 
V.  630  ad  finem  di  questo  medesimo  libro. 

Procedendo  ora  pt^r  ordine  nell'esame  deU'Eneide,  c'incontriamo 
successivamente  in  Circe,  in  Aletto,  in  Umbrone,  in  Asila,  in  Japis 
medico,  e,  finaimente,  nel  Ciria  (opera  falsamente  attribuita  a 
Vergilio),  in  Carme. 

Diciamone  quaiche  cosa  a  conciusione  di  questo  capitoio: 

a)  Circe,  L'abitazione  di  questa  maga  ^  eiegantemente  descritta 
nel  Vll  deWEneide: 

Proxima  Circaeae  raduntur  litora  terrae, 
dives  inaccessos  ubi  Solis  filia  lucos 
adsiduo  resonat  cantu  tectisque  superbis 
unit  odoratam  noctuma  in  lumina  cedrum, 
arguto  tenuis  percurrens  pectine  telas. 
hinc  exaudiri  gemitus  iraeque  leonum 
vincia  recusantum  et  sera  sub  nocte  rudentum, 
saetigerique  sues  atque  in  praesepibus  ursi 
saevire  ac  formae  magnorum  ululare  luporum, 
quos  hominum  ex  facie  dea  saeva  potentibus  herbis 
induerat  Circe  in  vultus  ac  terga  feraj^um. 

(V.  10-20) 

Per  la  leggenda  di  Pico,  convertito  dalla  maga  nell'uccello  omo- 
nimo,  Cf.  V.  189  e  segg. 

b)  Aletto,  Evocata  da  Giunone,  si  manifesta  in  tutto  il  suo 
furore:  empie  del  suo  alito  Amata,  moglie  di  Latino,  e  Turno  e  la 
gioventu  troiana,  la  quale,  per  aver  ucciso  durante  la  caccia  il  cervo 


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MAGIA  E  PREGIUDIZI 


153 


prediletto  dei  figli  di  Tyrro,  regio  pastore,  si  trova  esposta  a  duris- 
sima  lotta  coi  pastori  (VII,  285-510  e  segg.). 

c)  Umhrone,  sacerdote  0  mago  della  gente  Marruvia,  ^  dotato 
di  sconfinato  potere  come  incantatore  di  serpenti: 

Quin  et  Marruvia  venit  de  gente  sacerdos, 
fronde  super  galeam  et  felici  comptus  oliva, 
•  Archippi  regis  missu  fortissimus  Umbro, 

vipereo  generi  et  graviter  spirantibus  hydris 
spargere  qui  somnos  cantuque  manuque  solebat 
mulcebatque  iras  et  morsus  arte  levabat. 

(vn,  V.  750-755) 
Abbiamo  detto  «  come  incantatore  di  serpenti  *  p^erch^  anche  il 
potere  di  questo  mago  insigne  ha  un  limite: 

sed  non  Dardaniae  medicari  cuspidis  ictum 
evaluit,  neque  eum  iuvere  in  volnere  cantus 
somnifer  et  Martis  quaesitae  montibus  herbae. 

(V.  756-758) 

d)  Asilas.  Appare  nella  rassegna  deile  navi  etrusche  con  gli 
uomini  di  Pisa,  fe  ancor  questo  un  ecceliente  divinatore,  a  cui  pare 
obbediscano  cielo  e  terra:  ' 

Tertius,  ille  hominum  divomque  interpres  Asylas, 
cui  pecudum  librae,  caeli  cui  sidera  parent, 
et  linguae  volucrum,  et  praesagi  fulrainis  ignes. 

(X,  V.  175-177) 

e)  Japyx.  Di  Japis  medico  giova  riferire  tutto  il  lungo  tratto 
del  Xll  deWEneide,  sia  perch^  contiene  parecchie  cose  che  riguar- 
dano  Tarte  magica,  sia  f)erch^  —  caso  rarissimo!  —  egli  dichiara  di 
non  avere,  per  propria  virtu,  guarita  la  ferita  di  Enea: 

lamque  aderat  Phoebo  ante  alios  dilectus  lapyx 
lapides,  aeri  quondam  cui  captus  amore 
ipse  suas  artes,  sua  munera,  laetus  Apollo 
augurium  citharamque  dabat  celerisque  sagittas. 
ille  ut  depositi  proferret  fata  parentis, 
scire  potestates  herbarum  usumque  medendi 
maluit  et  mutas  agitare  inglorius  artes. 
Stabat  acerba  fremens,  ingentem  ivixus  in  hastam 
Aeneas  magno  invenum  et  maerentis  Juli 
concursu,  lacrimis  immobilis.  ille  retorto 

Archivio  per  U  tradiMioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  10 


154  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Paeonium  in  morem  senior  succinctus  amictu 

multa  manu  medica  Phoebique  potentibus  herbis 

nequiquam  trepidat,  nequiquam  spicula  dextra 

sollecitat  prensatque  tenaci  forcipe  femim. 

nulla  viam  Fortuna  regit  nihil  auctor  Apollo 

subvenit;  et  saevus  caropis  magis  ac  magis  horror 

crebrescit  propiusque  malum  est.  iam  pulvere  caelum 

stare  vident :  subeunt  equites,  et  spicula  castris 

densa  cadunt  mediis.  it  tristis  ad  aethera  clamor 

bellantum  invenum  et  duro  sub  Marte  cadentum. 

hie  Venus,  indigno  nati  concussa  dolore, 

Dictamnum  genetrix  Cretaea  carpit  ab  Ida, 

puberibus  caulem  folifs  et  flore  comantem 

purpureo  (non  ilia  feris  incognita  capris 

gramina,  cum  tergo  volucres  haesere  sagittae): 

hoc  Venus,  obscuro  faciem  circumdata  nimbo, 

detulit;  hoc  fusum  labris  splendentibus  amnem 

inficit  occulte  medicans  spargitque  salubris 

ambrosiae  sucos  et  odoriferam  panaceam. 

fovit  ea  vulnus  lympha  longaevus  lapyx 

ignorans,  subitoque  omnis  de  corpore  fugft 

quippe  dolor,  omni  stetit  imo  volnere  sanguis; 

iamque  secuta  manum  nullo  cogente  sagitta 

excidit,  atque  novae  rediere  in  pristina  vires. 

«  Arma  citi  properate  viro !  quid  statis?  »  lapyx 

conclamat  primusque  animos  accendit  in  hostem. 

«  Non  haec  humanis  opibus,  non  arte  magistra 

proveniunt  neque  te,  Aenea,  mea  dextera  servat : 

maior  agit  deus  atque  opera  ad  maiora  remittit.  » 

(V.  391-429) 
A  commento  di  ci6  che  il  poeta  dice  dell'erba  fornita  da  Venere, 
per  medicare  la  ferita  di  Enea,  e  usata  da  Japis  senza  conoscerne 
la  virtu,  riportiamo  dal  Dupouy  i):  «  Or,  le  dictame  cueilli  sur  le 
mont  Ida  par  la  deesse  n*est  pas  autre  chose  que  le  fameux  dictame 
de  Crete,  esp&ce  d' Origanum,  de  la  famille  des  Labiees.  II  etait 
cel^bre,  anciennement,  pour  la  guerison  des  blessures,  et  il  fait  encore 
partie  de  la  therapeutique  moderne;  il  entre  dans  Telectuaire  diascor- 
dium  et  dans  la  confection  du  safran  compose.  Quant  aux  sues  salu- 


I)  Op.  c.  pag.  132. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  155 

taires  de  Tambroisie  et  de  Todorante  panacee  que  Venus  fait  entrer 
dans  son  liquide  hemostatique,  on  suppose  qu*il  s'agit  du  Cheno- 
podium  amhrosioides,  dont  le  mate  ou  the  du  Paraguay  n'est 
qu'une  variete  ». 

f)  Carme.  Carme,  nutrice  di  Scilla  figlia  di  Niso,  tenta  con 
un  incantesimo  di  secondare  I'amore,  ond'^  accesa  la  suaalunnaper 
Minosse,  re  di  Creta,  durante  Tassedio  di  Megara: 

At  nutrix  patula  conponens  sulfura  testa, 
narcissum,  casiamque,  herbas  incendit  olentis; 
terque  novena  ligat  triplici  diversa  colore 
Ala;  ter  in  gremium  mecum,  inquit,  despue  virgo, 
despue  ter,  virgo:  numero  deus  inpare  gaudet. 
inde  lovis  geminat  magno  Stygialia  sacra, 
_  sacra  nee  Idaeis  senibus,  nee  cognita  Graiis ; 
pergit,  Amydaeo  spargens  altaria  thallo, 
regis  lolciacis  animum  defigere  votis. 
{Ciris,  V.  369-377) 

L'incantesimo,  come  in  appresso  si  narra,  non  riesce:  f)erci6  bi- 
sogna  tagliare  il  crine  purpureo,  fatale,  di  Niso,  da  cui  dipende  la  resa 
della  citt^,  e,  conseguentemente,  lo  sposalizio  di  Scilla  con  Minosse. 

In  questo  luogo,  che  come  abbiamo  g\k  awertito  appartiene  alle 
opere  spurie  del  poeta,  abbiamo  una  delle  tante  apoteosi  della  virtu 
dei  numeri  caflS. 


VI.   Riti  espiatori  e  fttnebri. 

I.  Abluzioni.  -  2.  Libazioni  sul  mare.  -  3.  Obblighi  verso  i-Mani.  -  4.  Polidoro.  - 
5.  Esequie  di  Didone.  -  6.  Culto  dei  morti  e  giuochi  funebri.  -  7.  Miseno.  - 
8.  Palinuro. 

Tutto  ci6  che  possiamo  raccogliere  daWEneide  di  Vergilio  intorno 
ai  riti  espiatorii  e  funebri  ^  espresso,  oltre  che  con  fine  eleganza  di 
forma  e  rigore  liturgico,  con  tanta  pieta,  con  tanto  affetto,  da  inte- 
nerire  fino  alle  lagrime  chiunque  attentamente  legga  e  mediti  questo 
geniale  poeta,  che  pur  gran  lasso  di  tempo  separa  da  noi.  Whuma- 
nitas  h  il  carattere  precipuo  dell'epica  vergiliana,  e  tanto  espansivo, 
che  non  teme  le  barriere  della  morte,  ma  audace  le  varca  e  vuole 


156  Af^CHlVlO  f>Eft   LE  TRADITION!  POPOLARI 

ininterrotto  Tumano  commercio  con  quelli  che  a  noi  soprawivono  nel 
mondo  degli  spiriti.  Di  qui  il  culto  dei  morti  »)  e  Tamorosa  solle- 
citudine  per  i  riti  esequiali,  aftine  dMmpedire  che  le  ombre  si  aggi- 
rino  incerte  e  sdegnose  nell'Erebo,  perch^  private  dei  dovuti  suffragi. 
Sublime  idea,  sulla  quale  si  fonda  uno  dei  dogmi  piu  consolanti  della 
religione  di  Cristo,  che,  per  Tefficacia  della  preghiera,  ci  fa  vivere 
con  gli  estinti  una  seconJa  vita,  della  presente  di  gran  lunga  migliore! 
Or  questo  pio  sentimento  ci  si  rivela  particolarmente  nei  delicati 
episodi  di  Polidoro,  di  Andromaca  che  liba  all'ombra  di  Ettore,  di 
Miseno  e  di  Palinuro,  per  non  dir  d'altri  ancora;  ma,  a  procedere 
con  ordine,  diciamo  in  prima  qualche  cosa  delle  abluzioni  e  delle 
libazioni  sul  mare. 

L'acqua  dei  fiumi,  e,  soprattutto,  quella  del  mare  era  una  ver^ 
panacea  per  purgiarsi  da  ogni  colpa. 

Enea,  poco  prima  di  lasciare  le  fumanti  rovine  di  Troia,  cosl 
parla  al  vecchio  padre  Anchise: 

tu,  genitor,  cape  sacra  manu  patriosque  penatis; 
me,  bello  e  tanto  digressum  at  caede  ruenti, 
attrectare  nefas,  donee  me  flumjne  vivo 
abluero.  {Aen.  II,  v.  717-720) 

Adunque  non  era  lecito  a  chi  si  fosse  contaminato  con  qualche 
uccisione  0  con  altra  gran  colpa  toccare  cose  sacre  0  partecipare  ad 
atti  religiosi,  se  prima  con  acqua  di  fonte  0  di  fiume,  non  si  fosse 
lavato  le  mani,  0  il  capo,  o,  a  seconda  delle  prescrizioni,  anche  tutto 
il  corpo.  11  rito  non  deve  per  altro  sembrare  troppo  strano,  in  quanto 
che  all'acqua,  in  agn\  tempo,  s'^  sempre  attribuito  un  efificacissimo 
significato  simbolico. 

La  stessa  purificazione  usa  Enea,  prima  di  entrare  nei  Campi 
Elisi,  come  ^  narrato  nel  lib.  VI  deWEneide,  v.  635-636  (Cf.  V, 
En.  V.  225  e  segg.)  e  Turno,  dopo  ricevuto  Vomen  di  Iride  (IX,  21-24). 

Un  esempio  di  libazione  sul  mare  lo  abbiamo  nel  lib.  V  deWEneide, 

Enea,  fondata  in  Sicilia  la  citta  di  Acesta,  dove  Giove,  per  mezzo 


i)  Merita  di  esser  letto  ci6  che  scrive  del  Cui/o  dei  morti  il  Sabbadini  nella 
prefazione  al  lib.  V  ^tWEneide. 


LV«fL^ 


MAGIA  E  PREGlUDrZl  1 57 

di  Naute,  gli  ordina  di  lasciare  le  donne  e  glMnvalidi,  ed  eretto  un 
tempio  sul  monte  Erice  in  onore  di  Venere,  e  consacrato  un  bosco 
alia  tomba  di  Anchise,  di  cui  aflFida  la  custodia  ad  un  sacerdote, 
prima  di  niettersi  in  mare,  offre  sacrifizi  e  fa  libazioni  per  renderselo 
propizio : 

tris  Eryci  vitulos  et  tempestatibus  agnam 
caedere  deinde  iubet  solvique  ex  ordine  funem. 
ipse  caput  tonsae  foliis  evinctus  olivae 
stans  procul  in  prora  pateram  tenet  extaque  salsos 
porricit  in  fluctus  ac  vina  liquentia  fundit. 

(v.  772-776) 

La  libazione  consiste  nel  gettare  in  mare  le  viscere  delle  vittime 
(perch^  erano  la  parte  piii  gradita  alia  divinita)  sacrificat^  e  vino 
(Cf.  En.  Ill,  525  e  segg.).  E,  r^ell*  inf uriare  della  procella,  non  si 
costuma  anche  oggi,  e  con  piu  salutare  awiso,  versare  dai  naviganti 
Tacqua  santa  nel  mare? 

Aggiungeremo  un'altra  parola  sul  v.  34  del  IV  deWEneide: 
Anna,  volendo  persuadere  Didone  a  romper  fede  alia  memoria  di 
SiCheo  col  passare  in  seconde  nozze  ad  Enea,  per  togliere  qualsiasi 
scrupolo,  esce  in  quest'espressione:  *  '  • 

id  cinerem  aut  manis  credis  curare  sepultos? 

E  questo  significa:  « tu  non  sei  piii  tenuta  a  Sicheo;  ai  mani 
di  lui  tu  hai  reso  i  dovuti  onori  funebri,  e  tanto  basta  ».  Compiuto 
quest'ufficio  pietoso,  il  sup^rstite  non  ha  piu  obblighi  di  sorta.  Cosl, 
secondo  il  Sabbadini.  Ma  ci6  non  sarebbe  contraddetto  dalPuso  delle 
commemorazioni  funebri  anniversarie  o  parentali  ?  Secondo  noi  quests 
parole  altro  non  contengono  che  una  fine  astuzia  di  Anna,  la  quale, 
pur  di  dare  un'ultima  spinta  a  Didone,  fa  quasi  professione  di  mis- 
credenza,  dicendole:  «  credi  tu  che  i  morti  sentano?  ossia  ch'essl  si 
occupino  di  q  leste  cose,  se  con  la  morte  tutto  finisce  ?  » 

Passiamo  agli  episodi  di  Polidoro,  di  Didone,  dei  giuochi  funebri 
del  lib.  V,  di  Miseno  e  di  Palinuro. 

Approdati  i  Troiani  nella  Tracia,  che  il  Pascoli  bellamente  de- 
signa  col  nome  di  «  Terra  maledetta  »  Enea  si  accinge  a  sacrificare 
un  toro,  ma  nelPatto  che  sbarba  dal  suolo  le  verghe  di  un  cespuglio 


158  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

di  mirto,  per  adornare  Tara  con  verdi  ramoscelli,  ecco  gocciolare  da 
esse  sangue.  Segue  indi  la  nota  leggenda  di  Polidoro,  il  quale  narra 
la  dolorosa  sua  fine,  mentre  Enea  rimane  stupito,  coi  capelli  irti  e 
con  la  voce  strozzata  nelle  fauci : 

obstipui  steteruntque  comae. et  vox  faucibus  haesit. 

(Aen.,  Ill,  V.  48). 

Palinuro  ^  uno  spirito  che  ancora  non  gode  parfetta  pace,  ^d 
ecco  perchfe  Enea,  prima  di  sciogliere  le  vele,  ha  cura  di  placarlo  col 
rendergli  i  prescritti  esequiali  onori : 

ergo  instauraimis  Polydoro  funas:  et  ingens 
aggeritur  tumulo  tellus;  stant  Manibus  arae 
caeruleis  maestae  vittis  atraque  cupresso 
et  circum  Uiades  ciinem  de  more  solutae; 
inferimus  tepido  spumantia  cymbla  lacte 
sanguinis  et  sacri  pateras,  animamque  sepulcro 
condimus  et  magna  supremum  voce  ciemus. 

(v.  6a-68) 

L'inslauramiis,  che  vuol  dire  fcicciamo  secondo  il  rito,  fe  frase 
rigorosamente  iiturgica,  perch^,  nota  il  Pascoli,  «  la  sepoltura  era 
stata  fortuita  ».  Nota  le  due  are  prescritte,  il  cupressiM  sacro  ai  morti 
forse  per  Tuso  che  se  ne  faceva  nei  roghi,  il  condimus  =  po8iamo 
in  pace,  le  piagnone  0  preficae,  le  libazioni  di  sangue  e  di  latte  e 
il  triplice  vale. 

Converrebbe,  dopo  di  Palinuro,  accennare  ad  Andromaca,  che 
nel  HI  de\VEn,f  v.  300  e  segg.,  fe  trovata  da  Enea  nelPEpiro,  mentre 
ella  fa  libazioni  aU'ombra  di  Ettore;  ma,  nulla  essendovi  in  quest'epi- 
sodio  di  particolare  interesse  per  il  nostro  studio,  basteri  rilevare  la 
pieta  di  quella  povera  donna,  «  ludibrio  della  vita  e  del  caso  ».  Ella 
con  lagrime  interroga  Enea  di  Ettore,  e  col  nome  di  Ettore  con- 
chiude  i  voti  per  Ascanio,  simili  a  quelli  ch'essa  da  quel  pio  e  prode 
uomo  per  Astianatte  ascoltava  e  ripeteva  nel  cuore  i) : 
Verane  te  facies,  verus  mihi  nuntius  adfers, 
nate  dea  ?  vivisne  ?  aut,  si  lux  alma  recessit, 

Hector  ubi  est? 

(v.  310-312) 


i)  G.  CANNA,  Dtr//a  umanitd  in  Virgilio.  Torino  1883. 


f 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  1 59 

quid  puer  Ascanius  ?  superatne  et  vescitur  aura  ? 

quern  tib!  iam  Troia 

ecqua  tamen  puerost  amissae  cura  parentis? 
ecquid  in  antiquam  virtutem  animosque  virilis 
et  pater  Aeneas  et  avunculus  excitat  Hector? 

(V.  339-343) 

Ritorniamo  a  Didone,  di  cui  s'  &  gi^  discorso. 

Dopo  una  notte  agitatissima  (IV,  v.  522-553),  ella  vede,  verso 
Talba,  la  flotta  troiana,  che  lontano  veleggia  e  il  lido  vuoto  e  silen- 
zioso.  Ella  allora  «  fa  sentiregrida  selvaggie  d'ira  impotente  (v.  584-608): 
il  sole  che  si  leva,  fa  levare,  si  direbbe,  gli  occhi  a  lei  che  torva- 

mente  guarda  le  vele  in  riga  lontane »  (Pascoli),  e  quindi  lancia 

imprecazioni,  segno  delle  stragi  future.  A  Barce  dk  questi  ordini: 

«  Annam,  cara  mihi  nutnx,  hue  siste  sororem  ; 
die  corpus  properet  fluviali  spargere  lyropha 
et  pecudes  secum  et  monstrata  piacula  ducat, 
sic  veniat,  tuque  ipsa  pia  tege  tempora  vitta. 
sacra  lovi  Styglo,  quae  rite  incepta  paravi, 
perficere  est  animus  linemque  imponere  curis 
Dardaniique  rogum  capitis  permittere  flammae.  » 
Sic  ait.  (Aen,  IV,  v.  634-641) 

Di  nuovo  qui  abbiamo  memoria  della  purificazione  0  abluzione 
che  precede  il  sacrificio.  Nei  monstrata  piacula  0  purgamina  — 
come  nota  il  Comm.  dell'ed.  Bettoni.  —  «  quibus  in  sacris  magicis 
utebatur  superstitio  »  si  comprendono  tutte  quelle  azioni  espiatorie, 
che,  incominciate  dalla  saga  Massila,  dovevano  essere  condotte  a  ter- 
mine  per  riuscire  nelP  intento. 

Preparato  a  se  stessa  il  rogo,  Didone  ascende  su  di  quello,  sa- 
luta  le  amorose  spoglie,  rammenta  di  non  essere  vissuta  invano  per 
le  imprese  che  le  daranno  gloria  presso  i  posteri;  la  punizione  di 
Pigmalione  e  la  fondazione  iniziata  di  iin'  insigne  citta : 

Vixi  et  quem  dederat  cursum  Fortuna-peregi, 
et  nunc  magna  mei  sub  terras  ibit  imago, 
urbem  praeclaram  statui,  mea  moenia  vidi, 

ulta  vlrum  poenas  inimico  a  fratre  recepi 

(V.  653-656) 


l6b  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

E  quando  le  ancelle,  die  non  Thanno  veduta  neli'atto  del  ferirsi, 
la  scorgono  caduta, 

.  .  it  clamor  ad  alta 
atria;  concussa  bacchatur  Fama  per  urbem. 
lamentis  gemituque  et  femineo  ululatu 
tecta  fremunt,  resonat  magnis  plangoribus  aether, 
non  aliter  quam  si  inmissis  ruar  hostibus  omnis 
Kaithago  aut  antiqua  Tyros  flammaeque  furentes 
culmina  perque  hominum  volvantur  perque  deorum. 

(v.  665-671) 

Sublime  b  il  prodigio  che  segue : 

Turn  luno  omnipotens  longum  miserata  dolorem 
difficilisque  obitus  Irim  demisit  Olympo, 
quae  luctantem  animam  nexosque  resolveret  artus. 
nam  quia  nee  fato  merita  nee  morte  peribat, 
sed  misera  ante  diem  subitoque  accensa  furore, 
nondum  illi  flavum  Proserpina  vertice  crinem 
abstulerat  Stygioque  caput  damnaverat  Oreo, 
ergo  Iris  croeeis  per  caelum  rorida  pinnis 
mi  lie  trahens  varios  ad  verso  sole  colores 
devolat  et  supra  caput  astitit.  <  hunc  ego  Diti 
sacrum  iussa  fero  teque  isto  corpore  solvo.  > 
Sic  ait  et  dextra  crinem  secat:  omnis  et  una 
dilapsus  calor  atque  in  ventos  vita  reeessit. 

(V.  693-705) 

«  Siccome,  scrive  il  Canna,  sul  tetro  rogo  di  Didone  vola  Iride 
a  spiegare  i  suoi  vaghi  colori,  mandata  a  sciogliere  dai  nodi  della 
vita  la  lottante  ahima  che  vole;nte  e  pur  gemente  Tabbandona;  cosl 
sopra  i  furori  e  le  imprecazioni  prevalgono  in  quella  moribonda  la  for- 
tezza  e  Tamore,  e  circondano  di  pieita  sublime  quella  grande  ombra, 
la  quale  poi  raccogliesi,  espiata  e  rifuggente  da  ogni  memoria  di  Enea, 
col  suo  fedele  Sicheo,  nella  selva  degli  amorosi  spiriti,  la  nei  campi 
del  pianto  ». 

Poni  mente,  nei  riguardi  del  nostro  studio,  ai  w.  698  e  699: 
i  morenti  erano  considerati  come  vittime  delle  divinita  infernali: 
donde  la  superstiziosa  credenza  sia  presso  i  Greci,  come  presso  i 
Romani,  che  nessuno  potesse  morire,  se  prima  non  si  recideva  alia 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  l6l 

vittima  un  ciuffo  di  crini,  libazione  a  Proserpina.  Questa  era  pratica 
d'uso  nei  sacrifici  di  animaii:  Didbne,  come  appare  dalla  di  lei  agonia, 
descritta  nei  w.  antecedenti,  non  pu5  morire  se  prima  non  le  sia 
tagliato  il  crine.  Siccome  per6  eila  non  muore  di  morte  naturale,  nh 
per  condanna,  ma  di  suicidio,  Proserpina  tarda  a  reciderle  il  crine, 
fmch^  Giunone  omnipotens  (che  qui  sembra  un'ironia  —  V.  Pascoli), 
longum  miser ata  dolorem^  toglie  ogni  ostacolo  accorciando  Tagonia 
deirinfelice. 

Dal  lib.  IV  ^eWEneide  passiamo  al  V,  dove  nei  sacrificio  anni- 
versario  offerto  da  Enea  in  onore  di  Anchise  suo  padre  avremo  una 
splendida  prova  della  pieti  degli  antichi  nei  «  Culto  dei  morti  ». 

Gli  anniversari  dei  morti  si  festeggiavano  con  banchetti  funebri, 
a  cui  partecipavano  gli  dei  Penati,  come  facienti  parte  della  famiglia: 
nei  nostro  caso  intervengono  i  Penati  di  Troia  e  quelli  Siciliani  di 
Aceste,  perch^  ambedue  questi  popoli  erano  fra  loro  alleati: 

haud  equidem  sine  mente,  reor,  sine  numine  divom 
adsumus  et  portus  delati  intramus  amicos. 
ergo  agite  et  laetum  cuncti  celebremus  honorem; 
poscamus  ventos  atque  haec  me  sacra  quotannis 
urbe  velit  posita  templis  sibi  ferre  dicatis. 
bina  bourn  vobis  Troia  generatus  Acestes 
dat  numero  capita  in  navis;  adhibete  penates 
et  patrios  epulis  et  quos  colit  hospes  Acestes. 
{Aen,  V,  V.  56-63) 

11  cadavere,  secondo  Tuso  romano,  rimane  in  casa  sette  giorni, 
nei  nono  si  seppellisce,  e,  presso  la  tomba,  ha  luogo  il  banchetto  fu- 
nebre  (sacrificio  novendiale)  insieme  coi  giuochi  (ludi  novendiales) 
piu  0  meno  pomposi.  Tutti  vi  assistono  col  capo  coronato  di  mirto, 
come  si  suole  in  tutte  le  solennita,  ma  tutti  devono  stare  in  silenzio, 
perchfe  una  parola  di  malaugurio  (V.  anche  En.  Ill,  405  e  segg., 
e  WW,  108  e  segg.)  pu6  turbare  la  cerimonia: 

Praeterea,  si  nona  diem  mortalibus  almum 
Aurora  extulerit  radiisque  retexerit  orbem, 
prima  citae  Teucris  ponara  certamina  classis; 

ArcMvio  per  U  tradisioni  popolaH.  —  Vol.  XXm.  21 


T 


162  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

quique  pedum  cursu  valet  et  qui  viribus  audax 
aut  iaculo  incedit  melior  levibusque  sagittis, 
seu  crudo  fidit  pugnam  committere  caestus, 
cuncti  adsint  roeritaeque  expectent  praemia  palmae. 
ore  favete  omnes  et  cingite  tempora  ramis. 

(v.  64-71) 

Seguito  da  grande  comitiva,  Enea  fa  presso  alia  tomba  le  con- 
suete  libazioni  di  due  coppe  di  vino  (il  numero  due  era  solenne  alia 
morte),  di  latte  fresco,  del  sangue  delle  vittime  e  anche  di  fiori,  e' 
saluta  Tombra  col  saluto  d'mcow^ro,  « salve »  opposto  a  quello  di 
commiato  «  vale  » : 

Hie  duo  rite  mero  libans  carchesia  Baccho 
fundit  humi,  duo  lacte  novo,  duo  sanguine  sacro, 
purpureosque  iacit  flores  ac  talia  fatur: 
<  salve,  sancte  parens ;  iterum  salvete,  recepti 
nequiquam  cineres  aniroaeque  umbraeque  patemae! 
non  licuit  finis  Italos  fataliaque  arva 
nee  teeum  Ausoniuin,quieumque  est,  quaerereThybrim.» 

(v.  77-83) 

Quand'ecco  dalla  parte  piu  interna  del  tempio  {ab  imis  adytis), 
chfe  tale  h  per  Enea  il  sepolcro  del  padre,  un  serf)ente  iridato,  con 
sette  (numero  magico)  awolgimenti  striscia  placidamente  intomo  al 
tumulo,  si  allunga  fra  le  patere  e  le  coppe,  assaggia  le  offerte  e 
scompare Enea  e  i  suoi  restano  sgomentati: 

Dixerat  haec,  adytis  eum  lubrieus  anguis  ab  irois 
septem  ingens  gyros,  septena  volumina  traxit, 
amplexus  piacide  tumulum  lapsusque  per  aras, 
caeruleae  cui  terga  notae  maculosus  et  auro 
squamam  incendebat  fulgor,  ceu  nubibus  arcus 
mille  iacit  varios  adverso  sole  colores. 
obstipuit  visu  Aeneas,  ille  agmine  longo 
tandem  inter  pateras  et  levia  pocula  serpens 
libavitque  dapes  rursusque  innoxius  imo 
successit  tumulo  et  depasta  altaria  liquit. 

(v.  84-93) 

II  fatto  non  h  nuovo,  perchfe  un  simile  prodigio  k  ricordato  da  Livio 
(25-16,1) ;  ma  il  sacrificio  ^  turbato,  e  perci6  bisogna  daccapo  rinnovarlo : 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  |^ 

Hoc  magis  inceptos  genitori  instaurat  honores, 
incertus,  geniumne  loci  famulumne  parentis 
esse  putet;  caedit  binas  de  more  bidentis 
totque  sues,  totidem  nigrantis  terga  iuvencos, 
vinaque  fundebat  pateris  animamque  vocabat 
Anchisae  magni  manisque  Acheronte  remissos. 
nee  non  et  socii,  quae  cuique  est,  copia,  laeti 
dona  ferunt,  onerant  aras  mactantque  iuvencos, 
ordine  a6na  locant  alii  fusique  per  herbam- 
subiciunt  veribus  prunas  et  viscera  torrent. 

(v.  94-103) 

Chi  &  il  serpente?  fe  il  genio  del  luogo,  ovvero  il  famiglio  del 
padre?  Enea  ne  dubita.  Ma  qui  ^  necessaria  un  po'  di  spiegazlone ; 
il  Genius  loci  (da  gigno),  tutto  proprio  dei  Latini,  che  rappresen- 
tava  Tenergia  fecondatrice  della  famiglia  —  e  che,  per  questo  riguardo, 
veniva  venerato  sotto  forma  di  serpente  —  era  il  protettore  dt'lla 
famiglia,  di  ogni  persona,  di  ogni  citta,  la  quale  aveva  sempre  ii  sua 
genio,  non  altrimenti  che  oggi  TAngelo  Custode  oil  Santo  patrono; 
col  famultis  parentis  forse  si  allude  all'apoteosi  di  Anchise,  che, 
come  dio,  poteva  avere  un  ministro  in  forma  di  serpente.  «  Ma  aella 
storia  del  culto  dei  morti  —  nota  il  Sabbadini  —  questo  famulus  ha 
ben  altro  significato.  II  primitivo  concetto  della  morte  fnceva  della 
tomba  una  seconda  dimora  dell'estinto,  in  cui  la  sua  ombra  traeva 
la  sua  seconda  vita;  questo  spiega  tutta  la  cura  che  si  aveva  per 
la  tomba  e  le  feste  che  vi  si  celebravano  e  le  libazipni  che  vi  si  fa- 
cevano;  Tombra  delPestinto  gustava,  secondo  la  sua  primitiva  ere- 
denza,  veramente  di  quel  doni ;  il  serpente  qui  viene  ad  assaggiare 
i  cibi  in  nome  dell'estinto  e  nel  medesimo  tempo  a  mostrare  Ji  aver 
gradrto  rofferta». 

NeWanimam  vocabat  Anchisae  ravvisa  un  altro  pregiudizio, 
secondo  il  quale  si  credeva  che  Tanima  del  defunto,  chiamandola, 
uscisse  dal  sepolcro  per  partecipare  del  sacrificio;  il  mafjni  indica 
la  trasfigurazione  delle  anime,  che,  dopo  la  morte,  diventanu  Manes^ 
cio^  esseri  superiori  alia  natura  umana  e  partecipi  delh  divina.  Ln 
morte,  in  una  parola,  h  via  alPapoteosi. 

Restano  Miseno  e  Palinuro. 


164  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARl 

Per  i  funerali  del  primo  si  abbatte  un'intera  selva! 

itur  in  antiquam  silvam*  stabula  alta  ferarum, 
procumbunt  piceae,  sonat  icta  securibus  ilex 
fraxineaeque  trabes  cuneis  et  fissile  robur 
scinditur,  advolvunt  ingentis  montibus  omos. 
nee  non  Aeneas  opera  inter  talia  primus 
hortatur  socios  paribusque  accingitur  armis. 
{A€^,  VI,  V.  179-184) 

Poi,  non  senza  notare  le  libazioni  di  olio,  la  purificazione  e  il 
licenziamento  solenne  dell'assemblea,  i  funerali  si  compiono  dai 
Troiani,  sul  lido,  in  questo  modo: 

Nee  minus  interea  Misenum  in  litore  Teucri 
flebant  et  cineri  ingrato  suprema  ferebant. 
principio  pinguem  taedis  et  robore  secto 
ingentem  struxere  pyram,  cui  frondibus  atris 
intexunt  latera  et  feralis  ante  cupressos 
constituunt  decorantque  super  fulgentibus   armis. 
pars  calidos  latices  et  a6na  undantia   flammis 
expediunt  corpusque  lavant  frigentis  et  ungunt. 
fit  gemitus.  tum  membra  toro  defleta  reponunt 
purpureasque  super  vestes,  veiamina  nota, 
coniciunt.  pars  ingenti  subiere  feretro 
(triste  ministerium)  et  subiectam  more  parentum 
aversi  tennere  facem.  congesta  cremantur 
turea  dona,  dapes,  fuso  crateres  oiivo. 
postquam  conlapsi  cineres  et  flamma  quievit, 
reliquias  vino  et  bibulam  lavere  faviliam, 
ossaque  lecta  cado  texit  Corynaeus  aeno. 
idem  ter  socios  pura  circumtuiit  unda 
spargens  rore  levi  et  ramo  felicis  olivae 
lustravitque  viros  dixitque  novissima  verba, 
at  pius  Aeneas  ingenti  mole  sepulcrum 
imponit  suaque  arma  viro  remumque  tubamque 
monte  sub  aSrio,  qui  nunc  Misenus  ab  illo 
dicitur  aeternumque  tenet  per  saecula  nomen 

(V.  212-235) 

Palinuro,  come  Miseno,  non  ha  potuto  varcare  lo  Stige,  perch^ 


(1)  Per  i  sacrifici  di  Enea  a  Proserpina,  prima  di  scendere  all'lnfemo,  vedi  nello 
stesso  lib.  VI,  i  w.  264-294. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  165 

il  suocorpogiaceinsepolto.  Egli  scongiura  Eneaatoglierlodatantapena: 
<  Quod  te  per  caeli  iucundum  lumen  et  auras, 
per  genitorem  oro,  per  spes  surgentis  Juli, 
eripe  me  his,  invicte,  malis:  aut  tu  mihi  terram 
inice  (namque  potes)  portusque  require  Velinos, 
aut  tu,  si  qua  via  est,  si  quam  tibi  diva  creatrix 
ostendit  (neque  enim,  credo,  sine  numine  divom 
flumina  tanta  paras  Stygiamque  innare  paludem), 
da  dextram  misero  et  tecum  me  tolle  per  undas, 
sedibus  ut  saltem  placidis  in  morte  quiescam.  » 

(v.  363-371) 
Due  mezzi  propone  Palinuro  ad  Enea :  terram  inice,  che  getti 
della  terra  sopra  il  suo  cadavere  (Cf.  Hor.  Od.  XXVIll  lib.  I,  v.  35-36), 
0  che,  per. la  piu  spiccia,  S3  lo  prenda  con  s^,  come  compagno,  nel 
passaggio  del  fiume  Stige.  Ma  cio  urta  e  stride  coi  capisaldi  della 
teologia  gentilesca,  fe  impossibile  mutare  i  voleri  degli  del:  e  la 
Sibilla  lo  rampogna  e  gli  toglie  questa  dolce  illusione,  non  senza 
confortarlo  con  la  speranzadell'apoteosi,  a  cuigiungera  dopo  cento  anni : 

Talia  fatus  erat,  coepit  cum  talia  vates: 

<  unde  haec,  0  Palinure,  tibi  tarn  dira  cupido  ? 

tu  stygias  inhumatus  aquas  amnemque  severum 

Eumenidum  aspicies  ripamve  iniussus  adibis? 

desine  fata  deum  flecti  sperare  precando. 

sed  cape  dicta  memor,  duri  solacia  casus. 

nam  tua  finitimi,  ionge  lateque  per  urbes 

prodigiis  acti  caelestibus,  ossa  piabunt, 

et  statuent  tumulum  et  tumuio  sollemnia  mittent, 

aetemumque  locus  Palinuri  nomen  habebit.  > 

his  dictis  curae  emotae  pulsusque  parumper 

corde  dolor  tristi:  gaudet  cognomine  terrae. 

(v.  372-383) 
Altri  esempi  di  riti  esequiali,  propri  piuttosto  delPevo  eroico, 
potra  il  lettore  trovare  nel  lib.  XI  deWEneide,  v.  185  e  segg  ,  e 
anche  nel  Culex  dal  v.  833  ad  finem;  ma  deWEneide  s'b  detto 
abbastanza,  e,  qiianto  al  secondo,  che  figura  come  il  Ciris  fra  le 
opere  spurie  del  poeta,  non  vale,  come  ognun  vede,  la  pena  di 
occuparsene. 

{Continua)  Mons.  Marco  Belli. 


USI  NUZIALI  PIEMONTESI 


IL   CONTRATTO    Dl    MATRIMONIO    NELLE    LANGHE 


Dairalpestre  catena  selvosa  che  si  distende  lungo  la  costa  ligure 
di  ponente  si  diparte  una  serle  ininterrotta  di  c'oliine,  che,  sempre 
piu  digradando  verso  settentrione,  vanno  a  finire  sulla  destra  del 
Tanaro  ed  oltre  a  questo  continuano  fino  al  corso  del  Po,  separando 
la  pianura  di  Cuneo  ad  occidente  dalla  pianura  di  Marengo  ad  oriente. 
Quelle  che  si  distendono  fra  le  valli  del  Tanaro  e  deirOrba,  inter- 
secate  da  altre  valli  minori  che  le  tagliano  longitudinalmente  in  al- 
trettante  sezioni,  sono  dette  le  Langhe,  nome  d'origine  ignota,  che 
alcuno  voile  derivare  erroneamente  dal  francese  Imtgtiea  riferendosi 
alia  loro  configurazione,  mentre  parrebbe  piuttosto  formato  da  una 
radice  deH'antico  linguaggio  ligure.  Su  tali  colline,  rivestite  in  parte 
di  boschi,  ma  in  parte  maggiore  coltivate  a  vite,  sorgono  molti  pic- 
coli  villaggi,  fieri  d'una  storia  quasi  sempre  sonante  del  rumore  del- 
Tarmi,  i  quali  infatti  mostrano  ancora  ruderi  di  costruzioni  romane, 
0  avanzi  di  torri  antiche,  o  un  vecchio  castello  che  torreggia  sulle 
misere  casupole ;  e  quivi  abita  numerosa  e  vive  d'una  vita  ancora 
patriarcale  una  popolazione  formata  quasi  esclusivamente  di  conta- 
dini  forti  e  laboriosi,  contenti  dei  loro  pochi  poderi  che  gia  ebbero 
avi  e  proavi,  amantissimi  del  proprio  paese,  e  tramandantisi  di  padre 
in  figlio  per  ingenito  istinto  di  conservazione  costumi  e  tradizioni 
secolari.  Appunto  di  una  fra  tali  consuetudini  vogliamo  qui  discor- 
rere,  cio^  del  contratto  di  matrimonio,  quale  si  suol  celebrare  se  non 
piu  in  tutti  i  villaggi  delle  Langhe  ancora  in  quelli  fra  i  piu  piccoli 


USI  NUZIALl  PIEMONTESl  167 

e  meno  noti:  poveri  paeselli  solitar!  formati  da  pochi  rozzi  abituri 
che  s'arrampicano  su  pei  declivi,  stretti  attorno  ad  una  chiesuola  e 
dominati  spesso  da  vecchio  maniero. 

Delle  varie  consuetudini  vive  tuttora  presso  i  popoli  in  riguardo 
alle  nozze  han  gi^  scritto  moltissimi,  e  particolarmente  per  I'ltalia 
non  sono  mancati  i  benemeriti  studiosi  deirargomento,  cominciando 
dal  De  Gubernatis  con  la  pregevole  Storia  eomparata  degli  usi 
nmiali  in  Italia  epreaao  gli  altri  popoli  indo-europei,  e  venendo 
a  molti  altri  che  sarebbe  tanto  facile  quanto  inutile  Tenumerare.  Ma 
dell'usanza  che  noi  intendiamo  ora  riferire  avendone  assunte  pre- 
cise e  complete  informazioni,  crediamo  di  essere  i  primi  a  dar  la  no- 
tizia,  che  veniamo  senz'altro  ad  esporre. 


* 
*    * 


In  uno  dei  villaggi  or  ora  indicati  vivono  fanciulle  sane  e  pro- 
caci,  non  eleganti  n^  raffinate,  ma  pur  seducenti  per  la  loro  fiera 
cortesia  e  per  quelle  special!  attrattive  contadinesche  che  i  profani 
non  sanno  comprendere.  Le  ragazze  da  marito  sono  sempre  piu  nu- 
merose  che  i  giovani,  perch^  di  questi  molti  vanno  lontano  dal  loro 
p>aese,  mentre  le  ragazze  rimangono  quasi  tutte  con  la  famiglia;  e 
che  si  facciano  relazioni  d'amore  e  che  si  filino  idilli  ^  la  cosa  piu 
naturale  di  questo  mondo,  e  la  piu  comune  a  tutti  i  luoghi  e  a  tutti 
i  tempi.  Ma  qui  il  costume  e  la  tradizione  vogliono  che  a  far  le  cose, 
diremo  cosl,  ufficiali,  intervenga  sempre  un  terzo  individuo,  indispen- 
sabile  a  condurre  in  porto  la  non  facile  impresa.  fc  questi  il  cosidetto 
baciaU,  owero  sia  il  baccelliere:  istituzione  che  si  pu6  dire  di  uso 
universale,  perch^  si  trova  con  vari  nomi  presso  tutti  i  popoli,  ma 
che  nel  caso  nostro  assurge  ad  unMmportanza  speciale.  Questo  ge- 
neroso  mediatore  si  assume  volonterosamente  I'incarico  di  far  da 
guida  al  giovane,  aspirante  alia  mano  della  donzella  che  ama  0  vor- 
rebbe  amare,  e  lo  trae  seco  per  una  serie  di  pratiche,  le  quali  — 
siano  gia  prima  in  accordo  fra  loro  i  due  amanti,  o  sia  invece  il  gio- 
vane che  desidera  soltanto  tentare  la  prova,  o  sia  anche  lo  stesso 


l68  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

mediatore  che  gli  faccia  la  proposta  e  s'adoperi  a  trascinarlo  nel  gran 
numero  degli  ammogliati  —  si  svolgono  sempre  nel  modo  che  ora 
diremo.  Incominciano  il  baccelliere  ed  il  giovane  aspirante  a  recarsi 
dal  padre  dellar  fanciulla  con  un  pretesto  qualsiasi ;  non  manifestano 
ancora  le  loro  intenzioni,  ma  discorrono  di  tutt'altro  argomento,  fanno 
lo  gnorri  meglio  che  possono,  e  cercano  intanto  di  formarsi  un  giusto 
concetto  delle  condizioni  materiali  di  quella  famiglia.  Pol  se  ne  vanno; 
e  il  giovane  (diciam  sempre  giovane  per  indicare  I'innamorato,  il 
quale,  per  rara  eccezione,  pu6  per6  anche  essere  gia  attempato), 
avendo  ora  vlsto  abbastanza  come  stanno  le  cose  e  fiutato  Tambiente, 
deve  prendere  una  decisione:  il  suo  confortatore,  se  ce  n'e  bisogno, 
lo  anima  a  non  ritrarsi  dal  fare  il  bel  colpo;  ed  egli,  che  nove  volte 
su  dieci  non  ha  bisogno  d'eccitamenti  perch^  Vamorosa  ^  gia  d'ac- 
cordo,  afifida  ai  buon  amico  I'incarico  di  far  la  domanda.  L'amico  si 
reca  dal  padre  della  ragazza,  espone  con  quel  grado  di  eloquenza  e 
d'astuzia  che  Dio  gli  ha  dato  le  condizioni  fisiche,  morali  ed  economiche 
del  candidato,  ed  alia  fine  richiede  per  lui  la  mano  della  fanciulla. 
Si  conclude  quasi  sempre  che  per  intanto  b  permesso  al  candidato 
di  recarsi  in  casa  delPamata,  nelle  sere  del  piuomeno  prossimo  in- 
verno,  per  vegliare  con  lei....  nellastalla:  t  in  questo  ambiente  che 
Tamore  si  svolge,  tra  un  racconto  ed  una  barzelletta,  tra  giuochi  e 
piccole  occupazioni  casalinghe :  in  quel  tepore  la  famiglia  e  tutta  rac- 
colta  a  riparo,  contro  il  gelo  che  fuori  incrudisce;  e  quivi  I'inna- 
morato, che  ha  sempre  ai  fianchi  Tinseparabile  suo  custode,  ha 
campo  a  farsi  conoscere  da  quella  che  ama  e  da  tutti  i  suoi  parenti. 
Se  poi  il  padre,  dopo  maturo  esame  e  sentito  naturalmente  il  pa- 
rere  dei  suoi  piu  intimi,  si  mostra  inchinevole  ad  una  risposta  affer- 
mativa,  siamo  ad  un'altra  pratica:  ^  lui  istesso  che  insieme  al  so- 
lito  baccelliere  —  il  personaggio,  come  dicemmo  subito,  sempre  indi- 
spensabile  —  va,  secondo  I'espressione  propria  di  quei  contadini,  a 
veder  Vesse,  cio^  a  riconoscere  de  visu  le  condizioni  materiali  del  suo 
probabile  genero.  E  se  Vesse  gli  ^  piaciuto  la  cosa  b  ormai  concretata 
ufficiosamente,  la  risposta  definitiva  b  ormai  quella  che  il  giovane 
attende  con  ansia  e  desiderio.  Ma  tutto  non  ^  ancor  fatto:  ci  vuole 
un  contratto  chiaro  e  preciso,  concluso  in  forma  solenne;  ci  vuole 


USl  NUZIALI  PIEMONTESI  169 

una  vera  e  propria  cerimonia,  che  costituisce  il  lato  piu  caratteristico 
ed  interessante  di  tutta  la  procedura. 

fe  la  sera  fissata  per  il  convegno:  in  casa  della  sposa  (chfe  ora 
si  pu5  gia  dir  tale),  e  non  piu  soltanto  nella  stalla,  ma  nella  stanza 
migliore,  tutto  h  preparato  per  un  ricevimento  piu  sontuoso  che  sia 
possibile.  Non  v'^  grande  finezza,  nh  molto  gusto,  ma  in  compenso 
v'^  abbondanza.  E  vengono  con  lo  sposo,  il  quale  ha  seco  il  solito 
amico,  parenti  e  conoscenti ;  si  fa  gran  chiasso  di  plausi,  saluti  e  li- 
bazioni,  ma  poscia  si  viene  al  contratto,  che  h  lo  scope  precipuo 
della  riunione.  -  Dunque,  dice  allora  il  buon  baccelliere  rivolto  al  pa- 
drone di  casa,  quant'^  che  date  a  vostra  figlia  per  dote?  —  Do  tanto 
e  tanto,  risp>onde  I'interrogato.  E  si  fa  tosto  ad  esporre  quanto  for- 
mera  la  ricchezza  della  sposa.  —  Sei  tu  contento?  esclama  poscia  lo 
stesso  baccelliere,  volgendosi  alio  sposo. —  Eh!  mi  parrebbe,  dice 
quest'altro,  che  Tofferta  sia  un  poco  meschina:  bisogna  che  vi  s'ag- 
giunga  qualche  altra  cosa!  —  Di  piii  non  posso  dare;  mi  sembra 
che  basti  quanto  ho  proposto.  —  Metteteci  ancora  almeno  la  veste 
della  sposa!  —  Ma  questa  tocca  a  voi  provvederla,  replica  il  suo- 
cero  al  futuro  genero ;  e  per  parte  vostra,  dite  un  po',  quanto  ci  met- 
tete?  —  Tanto  e  tanto.  —  Dunque  mi  pare  che  io  do  abbastanza. 

La  discussione  continua  a  questo  modo,  e  pu6  durare  delle  ore. 
II  baccelliere  b  Tarbitro  della  situazione,  un  mediatore  nel  pieno  senso 
della  parola;  egli  profX)ne,  esorta,  conforta,  calma  se  occorre,  e  gli 
altri  lo  aiutano ;  sicch^  a  poco  a  poco  le  due  parti  muovono  ad  inten- 
dersi,  convenendo  via  via  sui  singoli  articoli  del  trattato.  Ma  intanto 
suUa  soglia  della  casa  —  anche  se  faccia  un  freddo  cane  —  sta  uno 
degli  invitati,  che  tiene  in  mano  un  pistolone  carico  di  polvere.  Dopo 
un  po'  di  attesa  egli  apre  I'uscio  della  stanza  dove  ferve  la  discus- 
sione, e  domanda:  fe  fatto?  —  Non  ancora  —  gli  rispondono.  II  ri- 
chiamo  per6  affretta  la  conclusione;  molti  punti  son  gia  concordat! 
perfettamente ;  Tuna  0  Taltra  parte  ha  ceduto  sulla  questione  della 
veste  da  sposa,  0  della  tela,  0  dei  sacchi  da  grano,.  o  di  un  capo 
di  bestiame:  non  c*b  piu  che  qualcosa.  11  moschettiere  torna  afarsi 
sull'uscio  e  nuovamente  domanda:  ti  fatto?  —  Un  momento,  un 
momento  ancora!  —  E  dopo  le  ultime   riluttanze   e  le  ultime   insi- 

ArehMo  per  U  tracUwioni  popolari,  —  Vol.  XXIII.  22 


I70  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

stenze,  su  questione  magari  di  cinquanta  o  venticinque  lire  od 
anche  meno,  si  giunge  finalmente  a  piena  conclusione,  ed  il  con- 
tratto  vien  ciiiuso.  —  fe  fatto!  fe  fatto!  si  grida  airaraldo  che 
attende.  —  E  questi  allora  torna  sulla  porta,  e  in  mezzo  ad  un  im- 
prowiso  silenzio  di  aspettazione,  condivisa  da  altri  sulla  strada  o 
nelle  case  vicine,  spara  uno  o  piu  colpi  del  suo  pistolone.  Quel  colpo 
vuol  annunziare  a  tutto  il  paese  che  due  anime  amanti  sono  fin 
d'ora  congiunte  col  reciproco  consenso  delle  loro  famiglie,  che  presto 
un  nuovo  imeneo  unira  per  sempre  nel  loro  dolce  nido  i  due  inna- 
morati :  e  la  notizia  si  divulga  di  casa  in  casa,  o  meglio  di  stalla  in 
stalla,  destando  il  paesello  dalla  sua  placida  quiete  invernale,  e  for- 
nendo  Targomento  a  tutti  i  discorsi  di  quella  sera  e  dell'altre  seguenti. 


* 
*    * 


L'interessante  usanza  che  noi  abbiamo  descritta  merita  alcune 
considerazioni.  11  contratto  di  matrimonio  ^  per  essa  ancora  mante- 
nuto  nella  sua  forma  piu  schietta  ed  originale  e  quasi  ridotto  ad  un 
contratto  di  vendita:  tanto  per  tanto.  Non  si  maschera  di  falsi  pu- 
dori,  e  non  h  fatto  come  tra  le  popolazioni  piu  civili,  specie  delle 
classi  elevate;  dove  il  sentimento  dell'interesse  si  vorrebbe  mostrare 
quasi  messo  da  parte  come  affatto  secondario,  mentre  alPincontro  b 
troppo  spesso,  in  luogo  dell 'amor  vero,  il  solo  sentimento  che  muove 
e  che  fa  parlare.  Nel  caso  nostro  le  due  cose  procedono  del  ti'tto 
distinte:  i  due  sentimenti  non  si  confondono.  Lo  sposo  sara  inna- 
moratissimo  della  sposa,  e  questa  di  lui :  ma  cib  non  mettera  in  loro 
alcuna  soggezione  discutendosi  le  cose  materiali.  fe  una  consuetudine 
che  parrebbe  da  un  lato  volgare  e  grossclana;  ma  dalTaltro  appa- 
risce  un  tratto  di  sincerita  rusticana,  che  merita  nota,  e  che  ci  di- 
mostra  come  il  popolo  delle  campagne,  nella  sua  psiche  rozza  ed  in- 


USI  NUZIALl  PIEMONTESI  Ijl 

colta,  ha  tuttavia  dei  moti  spontanei  virtuosi  e  sani,  che  invano  si 
cercherebbero  nella  psiche  collettiva  della  societa  piu  civile :  colta  e 
raffinata  si,  ma  insieme  quasi  sempre  falsa  e  corrotta  i). 

EUCLIDE   MiLANO. 


(i)  Aggiungeremo  in  npta  la  notizia  di  un'altra  consuetudine  che  non  troviamo 
registrata  nel  De  Gubematis  e  negli  altri  scrittori  posteriori  intomo  agli  usi  nuziali. 
Gia  d  noto  che  se  lo  sposo  ha  prima  avuto  relazione  d'amore  con  altre  ragazze 
del  paese,  oppure  la  sposa  ha  giA  avuto  degli  altri  spasiraanti,  c'6  chi  s'incarica 
di  spargere,  nelle  notti  seguenti  al  contratto,  un  lungo  strascico  di  segatura  dalla 
casa  dello  sposo  o  della  sposa  a  quella  delle  povere  tradite  o  dei  miseri  abbando- 
nati :  la  qual  cosa  ha  un  significato  molto  maligno.  Ma  neU'uItimo  giomo  di  Car- 
nevale  —  parlando  sempre  delle  Langhe  —  si  raccolgono  sulla  piazza  maggiore  del 
luogo  0  sul  punto  piCi  alto  del  paese  alcuni  buontemponi  all'uopo  mascherati,  che 
tengono  in  mano  dei  libracci,  sui  quali  han  disegnato,  Dio  sa  come,  delle  figure 
di  porci  alia  rinfusa :  tutto  il  popolo  ^  intomo  a  sentirli,  ed  essi  fingono  di  leg- 
gere  sui  loro  codici  la  storia  di  quelle  ragazze  tuttora  disponibili  che  hanno  gia 
daio  il  porco  a  questo  o  a  quel  giovane  del  luogo,  e  ciod  Thanno  rifiutato. 


DUE  CENTURIE  DI  PROVERBI  VERONESI  o 


1.  Pan  d'un  giorno  e  vin  d'un  ano. 

2.  Ogni  lustro  —  se  cambia  gusto. 

3.  L'b  mejo  franguel  in  tasca, 
Che  tordo  in  frasca.  (R). 

4.  La  carita  —  T^  la  prima  trova. 

5.  Co  la  nobilta  no  se  magna.  (R). 

Oltre  al  titolo  occorrono  le  rendite. 

6.  La  Providenza  la  gh'  e  par  tuti.  (R). 

7.  Dio  vede, 

Dio  pro  vede.  (R). 

8.  El  mondo  Te  mezo  da  vendar  e  mezo  da  comprar. 

9.  A  vardar  la  luna  se  va  'n  t'el  fosso. 

10.  Ebrea  fata  cristiana, 
O  porca  0  p (R). 

11.  Beco  ciama  beco. 

Nelle  uccellande,  per  poter  prendere  uccelli,  bisogna  aver  molti  richiami. 

12.  Can  e  gato  no  i  va  d'acordo.  (R). 

13.  L'h  mejo  consumar  le  scarpe  che  i  ninzoi.  (R). 

Ninzoi,  lenzuola. 

14.  Se  nasse  caldi  e  se  more  fredi.  (R). 

15.  San  Magno  ^  magna  san  Giusto.  (R). 


1)  Vedansi  in  argomento  le  seguenti  altre  mie  pubblicazioni :  Folk-lore  Vero- 
nese. Proverbi  (Verona,  Tip.  Franchini,  1896);  Proverbi  Veronesiinediti.  (Per  nozze 
Scarazzato  -  Fratton  (Verona,  Tip.  Franchini,  1904);  Alcuni  proverbi  VeronesiKn 
Niccold  Tommaseo,  A.  I.  (1904),  p.  70. 

I  prov.  che  do  seguiti  da  una  R  sono  tolti  dai  mss.  di  E.  S.  Righi,  che  si  con- 
servano  nella  Biblioteca  Comunale  di  Verona. 


DUE  CENTURIE  Dl    PROVERBl  VERONESI  173 

i6.  La  boca  magna  'I  capital. 

17.  Ci  ^  mincion  so  dano. 

18.  Viva  la  Francia,  viva  la  Spagna, 
Gh'6  in  c^to  tuti  basta  che  magna. 

19.  Bisogna  stendar  le  gambe  secondo  el  ninzol. 

20.  La  fortuna  T^  fata  a  caucio. 

Caucio,  cavicchio. 

21.  I  corni  ]h  come  i  denti:  i  fa  mal  a  spontar,    ma  quando  j  ^ 
cressudi  i  ajuta  a  magnar. 

22.  Ci  no  sa  zugar  staga  a  casa  sua. 

Zugar,  giuocare. 

23.  1  secamori  i  vien  'na  volta  a  Tano,   e  i  seca  c...  i  gh*  e  tuti 
i  giorni. 

Secamori,  \\\\k  (Siringa  vulgaris),  Le  persone  noios6  s'incontrano  3d  e>gni 
pi6  sospinto. 

24.  El  so  dover  no  Vh  mai  massa.  (R). 

Mtissa,  troppo. 

25.  Piu  se  pianze,  manco  ghe  ne  vien  in  scars^la.  (R). 

26.  Un  mar  de  lagrime  no  suga  'na  gossa  de  debito. 

27.  Ci  se  taja  el  naso,  sMnsangiiena  la  boca. 

28.  El  piu  mincion  no  T^  ci  se  crede. 

29.  Tute  le  frUole  no  riesse  co  '1  buso. 

Fritole,  frittelle. 

30.  Ci  sa  far  —  sa  comandar. 

31.  Senza  biscoto  no  se  se  mete  in  viajo.  (R). 

32.  Quando  el  malan  Vh  fato,  tuti  h  brai  da  dar  consigli.  (R). 

33.  Leser  e  non  inteligere, 

L'^  come  averghe  la  pad^la  e  gnente  da  frigere.  (R). 

User,  leggere. 

34.  A  tola  e  in  leto, 

No  ghe  vol  rispeto.  (R). 
Tola,  tavola. 

35.  Ci  no  studia  da  zovene,  piante  da  vecio. 

Zovene,  giovane. 


174  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

36.  Ci  prima  no  f)ensa,  in  ultimo  sospira. 

37.  Quando  s'^  contenti  se  more. 

38.  Pon.sa  anc^j  par  doman. 

Ihnstt^  riposa.  Ancd,  oggi.       -   ■ 

39.  I  strapazzi  presto  0  tardi  se  li  paga. 

40.  I  medial  j  ^  bravl  se  i  Tenduina.  (R). 

41.  Par  marir  bisogna  essar  contenti.  (R), 

42.  'N'ociadina  no  la  passise,  ma  la  consola. 

Ociadina^  gcchiatina.  No  la  passise,  Non  dA  nutriraento. 

43.  La  sega  —  mantien  la  botega. 

44*  No  gh'^  faime  che  ingrossa  d'acqua  ciara. 

45.  El  vizio  Vv  come  la  gramegna  che  le  radis(i  le  resta  sempre  (R). 

46.  Ci  se  rabja,  non  se  cata  piu. 

No  str  cata.  non  torn  a  piu  in  se. 

47.  Tantn  va  d  rato  al  lardo  fin  che  M  ghe  lassa  la  coa. 

Coaj.  coda. 

48*  Un  fior  nn  fa  prima  vera. 

49*  De  le  volte  'na  verita  la  fa  piu  mal  de  'na  busla. 
Busia,  bu^ia. 

50.  Par  sospetar  el  mal 
Bisogna  saverlo  far. 
5i>  Pi^  cakli,  testa  freda  e  stomego  liger. 

Per  viver  sani.  Stomego,  stomaco. 

52.  Ci  paga  un  debito  fa  un  capital. 

53.  Gi  vol  bu;^Lirar,  resta  buzaradi. 

Buzarat,  frodare. 

54.  Se  no  te  po'  metarghe  acqua,  no  meteghe  fogo. 
55*  Le  cam  pane  no  le  sona, 

Se  qualchcdun  no  le  toca.  (R). 

56.  De  bona  volonta  h  sta'  pezza  IMnferno. 

/V^jd,  rappezzato. 

57.  Sant*Antunio  el  s'^  inamora  in  t'un  porco.  (R). 

Per  dine  che  ognuno  ha  i  suoi  gusti. 

58.  A  laorar  in  tanti,  e  a  magnar  in  pochi. 


^^w* 


DUE  CENTURIE  DI   PROVERBI  VERONESl  175 

59.  Tuti  se  lamenta,  ma  gnissun  vol  crepar.  (R). 

60.  Mosconi  e  secade  de  mincioni  no  ghe  ne  manca  mai. 

61.  AI  mondo  se  ghe  ne  vede  sempre  de  nove.  (R). 

Noz'e,  nuove. 

62.  La  polenta:  taca  si,  cota  no. 

Quando  il  matterello  s*attacca  alia  polenta,  h.  segno  che  questa  non  6 
cotta  sufficientemente. 

63.  I  bezzi  va  da  ci  no  li  sa  doparar.  (R). 

Bezzi,  denaii. 

64.  Gramegna,  gramegna, 

Ci  ghe  Ta  in  c...  se  la  tegna. 

JSir  la  tegna,  se  la  tenga. 

65.  Tuti  i  cesti  gh'a  el  so  manego.  (R). 

66.  I  ani  che  se  mostra  no  j  h  quei  che  se  gh'a.  (R). 

67.  Quei  che  dise  sempre  de  coparse  j  h  quei  che  no  se  copa  mai. 

68.  El  pan  no  M  sta  miga  tuto  in  t'un  gesto. 

69.  Dime  ci  son,  e  no  stame  dir  ci  era.  (R). 

70.  I  sensari  mantegn^rli  0  molarli. 

71.  Carte  che  vegna,  el  zugador  se  vanta. 

72.  Ci  no  rispeta  no  vien  rispeta.  (R). 

73.  La  fortuna  Vh  'na  p.... 

Piu  se  ghe  fa  el  muso  duro,  manco  la  ingana. 

74.  Tuti  i  pi^  no  i  va  ben  a  'na  Scarpa.  (R). 

75.  Ci  fuge  Tocasion,  fuge  el  pecato. 

76.  Bisogna  guardar  in  fondo  a  la  pignata.  (R). 

Cioe  al  fine  delle  cose. 
yj,  L'acqua  ciara  (o  bona)  la  core.  (R). 

78.  Osei  in  campagna  e  oroloj  in  fita,  non  se  sa  cosa  farde. 

79.  Ci  gh'a  M  conto  lo  porta. 

80.  Tri  no  fa  sie. 

81.  Le  ciacole  fa  piu  mai  dei  fati.  (R). 

Ciacole,  chiacchere. 

82.  Val  piu  un  fato  che  mile  ciacole.  (R). 

83.  O  dente  0  massela. 


176  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

84.  Contento  mi,  content!  tuti. 

85.  Miracolo  grande,  santo  picolo. 

86.  Ci  fabrica  la  casa  no  la  gode.  (R). 

87.  Pignata  rota,  va  fora  le  pape. 

88.  Bala  che  fis<ia  no  ciapa.  (R). 

89.  Parch^  M  persego  sia  bon,  bisogna  ch'el  gh'  abia  la  scorza  Ion- 
tana  da  Tosso. 

Cio6  che  sia  grande.  Persego,  pesca.  Scorza,  corteccia. 

90.  A  santa  Catarina  (25  nov.), 

Al  ricovaro  i  ghe  da  la  scaldina. 
Perch6  Incomlncia  a  farfreddo. 

91.  El  ben  struca, 

Fa  onor  al  mal  lava. 
Cosi  dicono  le  lavandaje.  Struc&y  corapresso. 

92.  Mezadro  —  vol  dir  mezo  ladro. 

93.  Ci  fa  'n  bon  mese,  fa  'n  bon  ano. 

Detto  delle  partorienti. 

94.  Soldi  e  |:)ecati  1'^  un  triste  giudicar. 

95.  Da  santa  Marta  (29  luglio)   —   se  taca  la  luse  soto  la  capa. 
Luse,  lucema  ad  olio  che  si  sospende  con  un  solo  lucignolo. 

96.  L'apetito  non  gh'^  bisogno  de  salsa.  (R). 

97.  Ci  tase,  fa.  (R). 

98.  De  putei  non  gh'^  mai  carestia. 

Pulei,  ragazzi. 

99.  El  ladro  grosso  el  scomingia  da  'na  ponta  d'ucia. 

Ucia,  ago. 

100.  La  torbida  rossa, 

La  ne  porta  el  pesse  ne  la  nigossa. 

Quando  le  acque  dell'Adige  sono  torbide  e  rosse,  il  pesce  s'awicina  alle 
rive  ed  e  facile  il  prenderlo. 

loi.  Mejo  sentadi  s'un  casson, 
Che  inciod^  in  t'un  casson. 
Sentadi,  seduti.  Inciodi,  inchiodati. 


DUE  CENTURIE  Dl  PROVERBI  VERONESI  177 

102.  Le  disgrazie  j'fe  come  le  cirese: 
Drio  una  se  ghe  ne  taca  diese. 

(^irese,  ciliege. 

103.  Par  spazzar  la  stala,  no  bisogna  sporcar  le  camare. 

SpazzaVy  scopare. 

104.  -Aria  de  fmestra, 
Colpo  de  balestra, 

105.  Le  done  le  gh'a  el  cervel  de  pan  grata.  (R). 

Gratd,  grattuggiato. 

106.  Par  amor, 

No  se  sente  doTor.  (R). 

107.  Aseno  che  raja, 
Magna  poca  paja. 

108.  Ci  casca  in  poverta, 

Perde  Tamigo  e  anca  el  parenta. 

109.  Odio de preti,  vendeta de  frati  e  rogna de ebrei  -  miserere  met.  {R), 
no.  A  un  bon  caval  non  se  ghe  dise  trota. 

111.  Le  phche  de  natura, 

Se  le  porta  in  sepoltura.  (R). 

Piche,  vizii. 

112.  Roba  don^, 

Uh  piu  che  paga. 
Perchd  i  doni  bisogna  contraccambiarli. 

113.  Ci  gh'a  paura  del  diaolo  no  fa  soldi. 

114.  Ledonequandolegh'a 'na  m..  in  boca,  bisogna  che  le  la  spua.iK^ 

Che  le  la  spua,  che  la  sputino. 

115.  Una  dona  che  mai  no  tasa, 

L'^  proprio  un  diavolo  in  casa.  (R). 
No  tasa^  non  taccia. 

116.  Le  done  se  le  tase  le  crepa.  (R). 

117.  I  dolori  del  parto  ghe  vol  ass^  prima  che  i  parta.  (R). 

I  dolori  acquistati  dalle  donne  nelPepoca  del  puerperio  sono  di  difficile  gu.in- 
gione. 

118.  El  cornal  —  ch'el  rompe  i  ossi  e  no  M  fa  mal. 

Scherzo.  Cornal ^  comiolo,  ed  h  legno  durissimo. 

Archieio  per  le  tradizioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  M 


'mm 


178  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

119.  In  t'una  fameja  de  campagna  ghe  vol:  un  prete,  un  dotor,  e 
un  porco. 

120.  Ci  presto  ride,  presto  pianze. 

121.  I  giuramenti  dei  morosi  j'^  come  quei  dei  marinari.  (R). 

122.  Ogni  cor  gh'a  el  so  secreto.  (R). 

123.  Tosse,  amor  e  f)anzeta, 

No  se  la  sconde  in  che  sito  se  la  meta.  (R). 

124.  Amor  cresse  anwr: 
Disprezzo,  copa  amor.  (R). 

125.  El  matrimqnio  tra   du   zoveni,  Vb  $ospiri:  tra  un  zovene  e  un 
vecio,  Vk  corni;  tra  du  veci,  Vb  m....  (R). 

126.  Ci  se  marida  zuga  un  terno  al  loto. 

127.  A  un  molin  e  a  'na  sposa,  manca  sempre  qualche  cosa.  (R). 

128.  Done  e  boi, 

Dei  paesi  toi.  (R). 

Boi,  buoi. 

129.  Ci  vol  de  le  strope,  vada  par  le  seze; 
Ci  vol  de  le  puttie,  vada  al  so  paese. 

Slrope,  vimini.  Seze,  siepi.  Pidile,  ragazze. 

130.  Indo'  comanda  done  e  pissa  vache,  no  se  far^  mai  entrada. 

Indo\    dove. 

131.  Indo'  comanda  done  e  indo'  paga  preti,  non  se  far^  mai  gnente. 

132.  L'amor  Vh  come  'n  tabaron  ch'el  co^rze  ogni  vizio.  (R). 

Co^rze,  copre. 

133.  Prima  de  magnar  j'^  done  lente, 
Dopo  magna  no  j^  bone  da  gnente. 

134.  Se  pol  dar  el  diaolo  senza  anime,  ma  no  put^  senza  morose.  (R). 

135.  Ci  ama  teme.  (R). 

136.  La  dona  quando  la  sta  ben  la  gh'a  el  mai  de  testa. 

137.  Le  done,  i  cani,  e  el  bacala, 
I  ghe  vol  ben  pest^. 

138.  La  dona  e  la  vaca, 
Al  p^zo  la  se  taca. 

Pezo,  peggiore.  La  donna  s'appiglia  al  peggior  partito. 


DUE  CENTURIE  Dl  PROVERBI   VERONESI  1.79 

^39.  'Na  nosa  par  saco,  e  'na  dona  par  casa. 

Nosa,  noce.  «► 

140.  L'et^  de  la  dona: 
Da  vinti  zit^Ia: 

Da  trenta  dona  bela: 
Da  quaranta  dona  fata: 
Da  cinquanta  vecia  mata. 

141.  Da  amor  odio.  (R), 

142.  Amor  vien  da  amor. 

143.  No  gh',^  rosa  senza  spine; 
No  gh^  put^la  senza  amor. 

144.  Da  la  dona  se  nasse  e  par  la  dona  se  more. 

145.  La  dona  la  le  fa,  e  anca  la  le  magna. 

La  donna  mette  al  mondo  gli  uomini,  ma  spesso  k  causa  della  loro  morte. 

146.  Al  son  de  sta  campana, 
Ogni  dona  da  ben  se  fa  p.... 

Al  son  de  sta  campana,  cio^  del  denaro. 

147.  Se  le  done  le  la  vol  far,  le  la  fa. 

Alle  donne  non  manca  Toccasione  di  tradire. 

148.  Larga  de  spale, 
Streta  de  genturela, 
Oh  che  bela  put^Ia! 

149.  'Na  putfela  CO  le  gote, 
Se  marida  senza  dote. 

150.  S'el  capita  el  pio, 

Se  no,  servo  el  me  caro  Dio. 
El  pio,  lo  prendo,  k  voce  del  contado.  Cos!  dicono  le  ragazze  da  maritare. 

i$i.  I  omeni  gode  la  dona  el  giorno  che  i  la  tol  e  quel  che  la  crepa. 
Che  i  la  tol,  che  la  prendono. 

152.  Pan  fresco,  vin  veclo  e  marl  zovene. 

153.  Dove  va  M  mart,  va  anca  la  mujer. 

154.  Quando  se  gh'a  da  torse  'na  disgrazia,  Vh  mejo  t5rsela  picola. 

Cosl  dicono,  scherzando,  quelli  che  si  scelgono  una  raoglie  piccola. 

155.  Quel  che  nasse  ]h  tuti  bei;  quel  che  se  sposa  j  h   tuti   siorl; 
quel  che  more  j  h  tuti  santi. 


l8o  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

156.  Fumo  e  dona  catb  fa  scapar  Tomo  da  casa. 

Ca/ia,  cattiva. 

157.  No  se  sa  gnancora  deche  mese  se  castra  i  cani,  (R). 

Per  significare  che  le  predizioni  nell'avvenire  sono  incerte. 

158.  Una  volta  0  Taltra  i  aseni  M.  (R). 

Trdy  tirano  calci.  Anche  le  persone  che  sembrano  le  pid  domabili,  viene 
la  volta  che  si  o^tinano  e  ribellano. 

159.  J  ^  i  sparasi  che  se  liga  in  mazzo,  no  i  omeni. 

Sparasi,  asparagi.  Detto  quando  dalla  colpa  d'un  individuo  si  trae  ragione 
per  offendere  unMntera  casta. 

160.  La  passion  dei  usei, 

L'^  da  mati  o  da  putei.  (R). 

Usei,  uccelli. 

161.  Vh  un  afar  serio, 
morir  de  deslderio. 

162.  L'^  mejo  dir  poareto  mi,  che  poareti  nualtri. 

PoaretOy  povero. 

163.  Ci  nasse  de  genar, 
Non  fa  granar. 

£  antica  superstizione  che  i  nati  in  gennaio  non  debbano  aver  vita  lunga. 

164.  Ci  dal  zugo  spera  socorso, 
Perde  la  verza  e  anca  M  torso. 

Torso,  torsolo. 

165.  Un  brao  beco  no  Vk  mai  grasso. 

166.  Mai  lamentarse  del  brodo  grasso. 

167.  Magnar  bonora  e  morir  tardi. 

168.  Tre  cose  sempre  frede:  man  d'i  barbieri,  c de  le  done,  e 

muso  d'i  cani. 

169.  Gh'e  tre  sorte  de  pori:  poro  mi,  poro  can,  e  poro  beco. 

Fori,  poveri. 

170.  El  segno  de  cro^e  dei  frati  1'^:  senza  pare,  senza  mare,  senza 
mujer,  e  pensieri  f^ve  in  la. 

Fez'e,  fatevi. 

171.  Al  cor  no  se  ghe  comanda. 

172.  EI  cor  no  fala  mai. 


DUE  CENTURIE  DI   PROVERBI   VERONESI  i8l 

173.  La  donagh'a  piu  caprici  che  rig. 

174.  Le  dona  in  t'una  casa:  una,  fa  tuto;  do,  le  fa  poco;  tre,  le  fa 
gnente. 

175.  Done  e  legno, 

No  pol  star  a  segno. 

176.  Ci  k  senza  lume  va  in  leto  a  i'orba.  (R). 

177.  Ci  sa  far  el  fogo, 
Sa  far  anca  M  cogo, 

178.  Co  le  done  no  Vk  impata  gnanca  el  diavolo. 

Gnanca,  neanche. 

179.  'Na  dona  la  gh'^  diese  grani  de  sal  de  manco  d'un  oco. 

180.  El  segno  de  croce  dei  mulinari :  En  nome  del  robar,  e  sempre 
seguitar,  e  mai  restituir,  a  costo  de  morir.  A  me. 

Mulinari,  mugnai. 

181.  Penso  e  ripenso,  e  nel  me  pensar  ricavo: 
Che  r^  mejo  campar  cojon,  che  morir  bravo. 

182.  Gh'^  s^te  sorte  de  bechi:  beco,  bechin,  becolin,  beco  che  lo 
sa,  beco  che  no  lo  sa,  beco  contento,  e  beco  bastona. 

183.  La  va  ben  —  quando  se  sta  ben,  (R). 

184.  La  salute  —  no  se  paga  con  valute.  (R). 

185.  Luzzo  bel  luzzo, 

Val  piu  la  me  testa, 

Che  tuto  el  to  busto  (dise  la  tenca). 

Luzzo,  lucclo. 

186.  Tenca  p...., 

Ci  magna  la  to  testa. 

Sta  mal  'na  setimana  (dise  M  luzzo). 

187.  El  venardl  santo  disuna  anca  i  oseleti  senza  beco. 

Disuna,  digiunano.  Oseleti,  uccelletti. 

188.  Madona  che  lata, 
Non  fu  mai  pregiata. 

Detto  de'  dipinti  che  raffigurano  la  Madonna  in  atto  d'allattare. 

189.  Ci  no  crede  in  Dio,  no  crede  gnanca  in  tM  santi. 

190.  Ogni  spasso  curto  h  belo, 
Continuado  no  Vh  piu  quelo. 


l82  ARCHfVTO  PER   Lfc  TRADIZIONI   POPOIARI 

191.  Ogni  scherzu  curto  e  Wu, 

A  l<jn;20  anJar  —  el  pvjl  stutar. 
Una  variantc  e  nei  miei  Prtyrerbi.  p.  43. 

192.  Molinari,  cere^rhe  de  preti,  e  avocad,  ja  fato  la  salesa  a  rinferno. 

Cerf^iu.  chieriche.  Sale  si,  selciato. 

193.  I  aocati  i  gh'a  la  massela  de  fero, 
Co  'n  colpo  i  scaezza  'n  pal  de  fero. 

/  scaezza,  speziano. 

194.  I  medici  je  come  i  orbi  che  zuga  a  le  bastonade.  (R). 

195.  Ci  studia  asse,  impara  poco;  ci  studia  poco,  impora  gnente.  (R). 

196.  L'acqua  smarcisse  i  pali : 

El  \in  guarisse  da  tuti  i  mali.  \Rk 

197.  EI  tN»n  vin  desmissia  anca  i  morti.  <R). 

Desmissia.  sveglia. 

198.  Omo  de  confin, 

O  contrabandier  o  assassin. 

199.  Le  bote  de  la  mama  le  onze, 
E  qucie  del  papa  le  ponze. 

Bote^  basse.  Le  onze,  ungono.  L^  P*^mze,  pungono. 

200.  Ci  rifuda  pan, 

L'e  pezo  d'un  can. 

201.  Al  primo  de  Agosto, 

Le  anare  se  mete  a  rosto.  (R). 

Anare,  anitre. 

202.  Neve  inverno,  neve  ista, 

No  lassa  mai  el  tabar  a  ca*.  (R). 

203.  Ci  camina  el  mondo  tuto  vede, 

E  ci  sta  soto  la  capa  no  lo  crede.  (R). 

204.  El  pianola  —  el  tien  fresco  d 'inverno  e  caldo  d'ista. 

Pis^nola,  pii^nolato,  tessuto  molto  in  uso  fra  i  nostri  contadini. 

205.  Mannar  i  anei, 
Ma  salvar  i  diei. 

And,  anelli.  Diei.  dita. 

206.  L'^  mejo  tanti  boconi  de  'n   pesse  solo,  che  tanti  pessi  e  'n 

txxon  solo. 


DUE  CENTURIE  Dl   PROVERBI  VERONESI  183 

207.  Quando  el  lago  1'^  alto,  el  pescador  Vh  magro. 

Quando  la  superficie  del  lago  h  alta,  la  pesca  si  rende  difficile. 

208.  Gh'fe  tre  sorte  de  messe:  messa  da  vivo,   messa  da  morto,  e 
messa  in  I'orto. 

Quest'ultima  sarebbe  quella  del  matrimonio. 

209.  Oselar  a  civeta, 
Pescar  a  bacheta, 
Caminar  par  el  sabion, 

J  h  tri  mestieri  da  mincion. 
Pescar  a  bacheta,  pescare  con  la  lenza. 

210.  Sto  mondo  1'^  fato  a  scale, 
Ci  le  scende  e  c\  le  sale; 

Sto  mondo  Vh  fato  a  scarpete, 
Ci  se  le  cava  e  ci  se  le  mete. 
Solo  la  seconda  parte  6  inedita. 

Arrigo  Balladoro. 


LA  FESTA  DEL  NATALE  IN  CALTANISETTA 


al  D.re.  G.  PITRE'. 

Non  SO  se,  venendole  a  parlare  delle  nostre  Novene  di  Natale, 
le  dica  cosa  che  1'^  notissima,  e  della  quale  avra  avuto  occasione 
di  scrivere  neWArchivio  delle  tradizioni  popolari;  certa  cosa  ^ 
che  mai  io  gliene  feci  motto.  Ad  ogni  modo  non  pjosso  vincere  sta- 
sera  la  voglia  di  scrivergliene,  sia  pure  col  pericolo  di  veder  cestinata 
la  presente. 

II  Natale,  tra  le  nostre  famiglie,  segna  il  principio  delle  riunioni 
invernali  nelle  quali  si  formano  le  nuove  conoscenze  per  le  future 
unioni  (che  talvolta  svaniscono  come  fumo),  o  si  rinsaldano  le  vec- 
chie  amicizie,  senza  escludere,  che,  anche  qui  come  altrove,  &  Toc- 
casione  piu  bella  per  togliere  di  mezzo  gli  odii,  ed  ottenere  il  paterno 
perdono.  La  novena  ^  Tinizio  di  tali  affetti. 

Essa  suol  essere  distinta  in  Nuvena  di  apparatu  e  NiM)ena  di 
frutti.  Quanto  alia  prima  se  ne  da  la  commissione  a  lu  paraturaru 
di  mestiere  che  vi  adatta  i  suoi  teli  adorni  di  oru  beddu  o  piattina; 
quanto  alia  seconda  vi  sono  delle  commari,  piu  o  meno  intendenti,  che 
la  raffazzonano  con  rami  di  alloro  e  di  mirto  sovvrapponendovi  qua 
e  1^  delle  arance,  delle  mele,  e  dei  fichi  d' India.  Un  bianco  lenzuolo 
ne  forma  lo  sfondo  e  su  di  esso  si  attacca  un  quadro  della  Vergine 
0  della  Sacra  Famiglia.  Ma  vi  sono  per6  delle  p^ersone  di  gusto  arti- 
stico  che  la  Nuvena  di  frtdti  preparano  con  tutte  le  regole,  e  da 
piu  giorni  avanti  che  essa  incominci.  Vorranno  per  esempio  formare 
la  tnachinetta  o  la  prospettiva  di  un  tempietto?  Ebbene  cureranno 
di  formare  le  linee  della  cornice  del  frontone,  non  che  le  colonne 
che  lo  sostengono,  con  frutta  di  uguale  grandezza,  e  cosl  disposte 


LA  FESTA  DEL  NATALE  IN  CALTANISETTA  185 

che  si  abbiano  una  pregevole  euritmia,  ond'^  che  vedrai  una  prima 
linea  di  arance  ben  collegate,  sotto  la  quale  ne  seguirsi  un'altra  di 
mele  dalla  buccia  verdognola,  e  poi  in  proporzionata  distanza  un'altra 
0  altre  di  niele  rosse  piu  piccole,  e  va  dicendo.  Le  colonne  si 
avranno  nella  loro  altezza  dei  ben  preparati  capitelli,  e  poicollanedi 
frutta  a  spirale ;  la  base  di  esse  sara  formata  di  grossi  fichi  d'lndia  che 
si  stagionano  per  Tinverno.  Nh  vi  mancheranno  le  foglie  del  verde 
alloro  a  mostrare  il  distacco  dei  colon  tra  una  fila  di  frutta  e  un'altra. 
11  fregio  della  cornice  potra  aversi  le  rosette  di  pasta  e  vin  cotto, 
{cudduri  di  caccia)  alternate  da  cavallucci  della  stessa  materia.  Dal- 
Tarco  maggiore,  qualora  vi  sia,  penderanno  le  nespole  infilzate  a  for- 
mare  dei  bei  ridd.  Ne  si  dira  tutto  finito  il  lavoro,  se  sulla  faccia 
di  ciascun  frutto  non  si  vedan  sopraporre  dei  piccoli  quadrati  di  foglie 
di  argento  e  d'oro,  sicch^  risultino  'mpanniddati,  Al  tutto  aggiungi 
dei  graziosi  festoni  con  ramoscelli  di  mirto,  i  cui  bianchi  grani  paiono 
quasi  perline  che  spiccano  dal  verde  cupo  delle  foglie,  e  ti  avrai 
cosa  piacevole  a  vedersi.  L'altarino  splende  di  bei  doppieri  ed  ^ 
adorno  di  fiori  artificiali  molto  bene  imitati  dalle  nostre  fanciulle  e 
disposti  ora  a  palme  ed  ora  a  collane. 

Le  Novene,  durante  sere,  si  solennizzano  o  coll'accompagnamento 
di  orchestra,  sieno  violini  0  strumenti  di  ottone,  0  col  suono  della 
zampogna  e  del  cerchietto.  Pel  canto  s'invitano  le  fanciulle  che  spic- 
cano migliori  per  modulazione  di  voce,  e,  giunta  Tora  convenuta, 
le  lAtanie  alle  quali  segue  il  canto  della  Salve  Regina  che  tra- 
scrivo: 

Diu  vi  salvi  Rigina,  Pirdunu  e  pTetati, 

Signura  'mmaculata,  O  Matri  santa. 

Vui  siti  I'awucata  Stu  con  miu  si  scanta 

Di  st'arma  mia.  Vidennu  a  Diu  sdegnatu, 

lu  haiu  offisu  a  Diu.  Lu  'nfernu  h  priparatu 

Ricurru  a  vui,  Maria,  Per  mia  rovina: 

Vui  siti  la  spranza  mia,  Perci6  Matri  divina, 

Di  li  mii  affanni.  Sintiti  stu  me'  chiantu, 

lu  pensu  a  li  me'  danni  ^  Sutta  lu  vostru  mantu 

Cu  tanti  gran  piccati,  Ca  nni  difenni. 

Archivio  per  le  tradieioni  popolari,  —  VoL  XXIIL  U 


i86 


ARCHIVIO   PER    LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


Maria  lu  bracciu  stenni 
C  abbrazz3  lu  peccaturi, 
Ca  chinu  t1i  duluri 
Cerca  perJunu. 

Chist'armii  b  in  abbannunu, 
Lu  vostru  santu  amuri 
Priassi  a  lu  Signuri 
Ca  n'aiHSurvissi. 

E  nl  la  cuncidissi 
In  terra  lu  piitiri, 


'N  celu  iri  a  godiri 
Lu  Paradisu. 

Maria  lu  bellu  visu 
Lu  visu  h  dilicatu, 
Maria  senza  piccatu 
Originali. 

Quant'^  bella,  ch'^  dulci 
Sta  Matri,  quantu  h  pia, 
Pi  rwi  trema  lu  'nfernu, 
Viva  Maria. 


A  questo  c:into  segue  la  recita  delle  preghiere:  «  Un  Credu  a 
«  Gesu  Bamminu,  un  Patri  nostru  aH'angilu  Gabrieli  pi  quannu  iu 
«  ad  annuiiziari  a  Maria  pri  essiri  Matri  di  Diu  e  Matri  nostra;  un 
«  Patri  no5tru  a  5.  Giseppi  patri  di  la  divina  pruvvidenza ,  na  Vi- 
«  maria  pi  tutti  nui  ca  vinemu  a    visitari   Maria  S.^^;   na  Vimaria 

*  pi  ki  patruni  di  la  casa  ca  fa  la  santa  Nuvena;  n'autra  Vimaria 

*  'n  suffnigiu  di  TArmi  santi  di  lu  Priatoriu;  n'autra  Vimaria  pi  lu 
^  ciaramidJaru  ^>  (qui  viene  la  sequela  delle  osservazioni  piiio  meno 
salaci  pel  povcro  messere];  «  Tri  Gloria  Patri  in  onuri  di  la  S.n>a 
^  Tirnita.-.  Salutamu  Maria  S.™a  comu  fu  salutata  di  I'angiuli  e  santi 
<^  di  lu  Pamdisu  ». 

Ricomincia  il  canto  col  «Viva  Maria,  Maria  &  sempre  vivaecc.» 
e  seguono  le  st-guenti  canzoncine,  create  dal  popolo,  di  cui  se  trovo 
raglone  di  s:u$are  il  concetto,  il  quale,  quanto  al  fondo,  &  sempre 
religiost>  cnmuiique  male  espresso,  non  saprei  per6  d'onde  pigliarvi 
la  sintassi  logica  e  grammaticale.  Le  prime  canzoncine  riguardano 
Maria  e  S,  Giuseppe,  poi  G>fsu  Bambino  e  al  siciliano  s'alterna  il 
ritomello  italian^j.  La  primi  h  sempre  universalmente  popolare  in 
Sicilian 

Viva  del  mondo 
DairaUo  consigho 

La  bella  regma. 
Quel  Dio  onnipotenh  .  ,       ..  . 

La  madre  divma 
Dal  crudo  strpenti  ^.      ^.     , 

^    ^  Che  Dio  la  cre6. 

La  Vergini  sarvd  [sic]  r-     •       ^i    • 

E  viva  Maria  ect. 


LA  FESTA  DEL  NATALE  IN  CALTANISETTA 


187 


Li  dudici  rignanti 
Furmaru  na  cruna 
Rigina  e  patruna 
C'&  statu  e  ci  sara. 

Viva  del  mondo  ecc. 
E  viva  Maria  ecc. 

Chi  k  bella  ssa  gran  'mmagini 
O  di  ii  Capuccini, 
Di  grazii  divini 
N'ha  fattu  nquantita. 

Ch'^  bellu  su  stiliariu 
Ch'6  misu  a  tornu  a  tornu, 
Si  veni  lu  so  iornu 
Chi  festa  ci  sara. 

Aquattru  cantuneri, 
Quattr'angili  calaru, 
Maria  la  'ncurunaru 
Pir  una  eternita. 

Ch'^  bella  ssa  to  vesta, 
E'  d'oru  racamata, 
Maria  la  'mmaculata, 
C'fe  stata  e  ci  sara. 

Ssi  labbra  rubini, 
Ssi  denti  diamanti, 
Di  Tangiuli  e  s^nti 
Chiu  bella  si  tu. 

Marii  bianca  e  fina, 
Giseppi  castagninu, 
Chi  bellu  visu  finu 
Chi  hannu  tutti  du. 


Chianci  Giseppi 
Chi  voli  la  Spusa, 
La  chiu  graziusa 
La  Matri  di  Gesu. 

A  mezza  notti  'npuntu 
Na  stidda  stralucenti 
Va  e  chiama  li  genti 
Chi  nasci  Gesu. 

Ni  ssa  gruttidda 
Ci  nasci  lu  jelu 
Lu  re  di  lu  celu 
Si  chiama  Gesu. 

Ch'^  beddu  su  Bamminu 
Maria  chi  tenl  'mbrazza, 
Lu  stringi  e  Tabbrazza 
Ch'^  veru  figghiu  so. 

Gesuzzu  n 'in vita 
A  tavula  a  mangiari 
Agnellu  Pasquali 
GovernaFu  tu  (?!) 

'Ncapu  s'artaru 
C*^  natu  un  pumiddu, 
E'  pi  lu  picciriddu, 
Priaii  si  vo*. 

'Ncapu  s'arturu 
C'^  nata  na  rosa, 
Gesuzzu  riposa 

La  so  virginita  (per  innocensa?) 
Bimbombi  per  Varia 

Li  pombi  (?)  pi  I'aria 

La  bella  armunia  ecc. 


Terminato  il  canto  e  la  prece,  si  spengono  le  candele,  si  vela 
il  quadro  (se  si  resta  daglMnvitati  nella  stessa  sala),  e  s'inaugura  il 
ballo,  non  sempre  ingenuo  e  da  fanciulli,  ma  preparato  con  occhia- 
tine  e  sottintesi,  e  la  divozione .?....  E'  stata  la  fmzione.  Altrove  at- 


1 88  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

torno  a  un  gran  tavolo  si  fa  il  giuoco  della  tombola,  del  curcii,  di 
settee  mezzo,  di  lu  mortuvivu  e  si  finisce  cu  lu  iocu  di  lu  bam- 
mineddu  ossia  del  zecchinetto,  il  qual  giuoco  in  certe  famiglie  pre- 
para  un  Natale  di  disperazione  e  di  pianto. 

La  sera  del  Natale  la  Novena  b  adorna  colla  solita  capanna 
di  bianco-spino,  muschio  ed  altre  erbe.  Vi  figurano  i  saputi  perso- 
naggi  Gesu,  Maria,  Giuseppe  e  i  pastorelli.  N^  tralascer5  di  aggiun- 
gere  che  innanzi  alia  grotta  si  suol  collocare  un'erba  mezzo  secca, 
da  noi  detta  pliu  (puleggio?)  e  si  sta  ad  attendere  la  mezzanotte 
per  vederne  sbocciare  i  piccoli  fiorelli  e  la  Novena  si  chiude  col  solito 
firiatu  di  ceci  abbrustoliti,  accompagnati  alio  scaccio  di  noci  e  man- 
dorle  non  che  al  rituale  bicchiere  di  generoso  vino. 

Pel  Capodanno  o  al  piu  tardi  per  TEpifariia  si  sparecchia  la 
novena  e  si  mandano  al  padrone  di  casa,  in  piccoli  cestini,  le  frutta 
che  Tadornavano,  quasi  a  ringraziamento  del  concorso  avuto  nelle 
passate  sere  di  Novena;  il  che  si  dice  mandare  la  divuzioni  di  lu 
Bamminu. 

E  cos)  che  le  Novene  natalizie  delle  famiglie  riescono  un  im- 
pasto  di  sacro  e  di  profano  e,  per  le  conseguenze  non  sempre  liete,  sono 

Spiacenti  a  Dio  ed  ai  nemlci  sui. 

Caltanisetta,  24  Dicembre  1905. 

Suo  dev.wo  edaffjmo 

Can.  F.  PuLCi. 


Fll.ASTROCCHE  FANCIULLESCHE  Dl  ROMA  *) 


I.  Ggira,  ggira  tonno, 
cavallo  imperatonno; 
cavallo  d'argento, 
che  ccosta  cinquecento; 
cento  e  ccinquanta, 
la  gallina  canta; 
lassela  cantare: 
la  v6jo  maritare. 

Je  v5jo  da  ccipolla, 
cipolla  ^  ttroppa  forte ; 
je  v6jo  da  la  morte, 
la  morte  k  ttroppa  scura, 
je  v6jo  d^  la  luna; 
la  luna  ^  ttroppa  bbella, 
c'^  ddentro  mi  sorella, 
li  fa  li  bbiscottini, 
li  da  a  li  bbambini; 
li  bbambini  stanno  male: 
ggira,  ggira  Tospedale; 
Tospedale  de  Roma, 
che  pporta  la  corona 
la  corona  d'argento, 
che  ccosta  ccinquecento 
cento  e  cinquanta  ecc. 

Ricominclando  dal  v.  6.  Quando   vogliono  terminare,  giunti  a  ^^gira  ggira 


*)  Raccolte  in  Roma,  nel  quartiere  di  Porta  Trionfale,  nel  Novembre  del  1905. 


/ 


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ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI    POPOLARI 

Tospedale  sta  llassu  lassu 
daje  'n  carcio  e  bbuttelo  ggiu. 
2.  San  Giuseppe  vecchierello, 
mette  er  foco  sur  mantello, 
pe  scalla  nnostro  Signore, 
canta  canta  bbello  fiore 
bbello  fiore  che  ccantava, 
Ggisii  Cristo  predicava 
predicava  in  santa  voce, 
Ggisu  Cristo  morto  in  croce; 
morto  in  croce  pe  la  via, 
dov'annava  Ggisu  e  Mmaria; 
vad'a  ccerca  er  mi  fi61o, 
so'  ttre  giorni  che  nu  lo  trovo; 
lo  trovai  'n  cima  ar  monte 
CO  le  mani  legate  e  ggionte; 
cchi  je  dava  na  sassata, 
cchi  je  dava  na  martellata; 
sangue  rosso  je  bbuttava, 
la  Veronica  lo  sciugava; 
lo  sciugava  cor  velo  bbianco, 
tutto  pieno  de  Spirito  ssanto. 
Crili^  Ieis6 

la  Madonna  s'ammant6; 
s'ammant6  ccor  bambinello, 
fece  un  fio  tanto  bbello  bello; 
se  chiamava  Sarvatore, 
Sarvatore  cammina  pe  ccasa; 
la  Madonna  lo  pia  e  lo  bbacia; 
e  je  lava  li  bbei  piedini, 
rimirate  che  bbell* occhini ; 
c'e  na  piccola  capannella 
CO  er  bue  e  H'asinella; 
CO  Ggiuseppe  e  ceo  Mmaria, 
oh,  cche  nnobbile  compagnia! 


PILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  Dl  ROMA  191 

Scuseranno  lor  signori 

si  6  ddetto  quarche  erore 

Un  poco  de  robba  dorce  me  contento. 

CosI  d  questa  cantilena,  quando  i  bambini  la  recitano  a  Natale;  ma  quando 
la  cantano  in  coro  per  istrada,  giunti  al  verso  €  la  Afadonua  lo  pia  e  lo  bbacia  >, 
comiiiciano  a  ricamarci  le  pid  strane  varianti.  Per  esempio: 

e  lo  mette  ar  cunnolino 

fa  la  ninna  bber  bambino 
poi  lo  mette  sur  comm6 
je  fa  ddl  ssl  e  nno 
la  maestra  I'aripone 
•  je  da  ppane  a  ccolazzione. 

3.  Sega  sega,  mastro  Titta, 
na  pagnotta  e  na  sarciccia, 
una  a  mme,  una  a  tte, 

una  a  mmammeta  che  ss6  ttre, 

una  ar  cavaj^re 

che  ppiscia  'n  der  bicchiere; 

una  a  la  cavalla, 

che. ppiscia  'n  de  la  stalla; 

una  a  la  reggina 

che  ppiscia  'n  de  la  farina; 

una  a'  re, 

che  ppiscia  'n  bocca  a  tte. 

4.  Domani  h  ddomenica, 
tiramo  Torecchie  a  Memnica, 
Menica  va  ppiagnenno 

CO  il'orecchia  spenneghenno. 
Passa  'n  sordato 
je  di  na  fica  cotta 
povera  Menica,  s'fe  ccotta. 

5.  Er  sor  Santi 

CO  li  carzoni  bbianchi 
CO  la  pecetta  ar  culo 
tira  carci  com'  u'  mmulo. 


192  ARCHIVIO  PER  LE  TRADJZIONl  POPOLARI 

6.  Piove  pioviccica, 

la  donna  che  ss'appiccica, 
s'appiccica  su  pp'er  muro, 
casca  ggiu  e  sse  roppe  er  culo.  • 

7.  Ggireme  intorno,  ggireme  intorno, 
intorno  ar  mio  castello. 

Che  wai  cercanno,  che  vvai  cercanno? 
La  matre  de  Purcinella 

E  ttr6vela  s^,  e  ttr6vela  si 
cch'  ^  mmorta  sotto  t^ra 
Er  mio  castello  &  bbello, 
trailer  a  ll^ro^  trailer  a  Kd. 

8.  Gobbo  rotondo, 

che  ffai  'n  questo  mondo? 

Faccio  quer  che  pposso 

CO  la  mia  gobba  addosso ; 

quanno  nu  ne  posso  ppiu, 

spiano  la  gobba  e  la  bbutto  ggiu  giu. 

9.  La  sora  Laura, 
che  sta  in  cammera, 
scopa  la  cammera 
der  suo  patr6. 
Lava  li  piatti, 
scoccia  li  piatti, 
prende  la  bbimba  bimba, 
la  mette  a  lletto, 

je  da  'n  confetto; 

sta  zzitta  H,  sta  zzitta  \). 

10.  Acquerella  nun  vieni 

san  Giuvanni  sta  a  ddormi  dormi 
su  le  piaghe  der  Signore 
ferma  Tacqua,  esce  er  sole. 

11.  A  ppiazza  Montanara 
s'^  ppersa  na  ciociara 

cor  cappelletto  rosso 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  Dl  ROMA  193 

CO  irabbito  bbord6 
picchia  bbella,  picchia  bb6. 

12.  fe  ssonata  ravemmaria 
tutti  li  frati  vanno  via, 

e  sse  p6rteno  er  cataletto 
tutti  li  frati  vannoalletto. 

13.  —  Rosina,  n  dove  vai? 

—  A  Roma  cor  tranvai. 
Annamo,  annamo,  annamo 
a  lo  sparo  der  cann5. 
Ppu  mpa:  spara  cann6! 

14.  Sotto  ar  ponte 
ce  sta  ttre  cconche; 
passa  er  iiipo 

e  nnu  le  rompe, 
passa  er  flo  de'  re 
e  le  rompe  tutt'e  ttre. 

15.  —  Ciacciaccia  pesu, 
la  gatta  se  magna  lo  pesu. 

—  Lassala  magna! 
che  sse  possi  strafoga! 

16.  Domani  e  ssabbeto 
ph  lo  str...  e  ssaggelo 

e  mmettelo  n  cantina 
pe  ddomenica  mmattina. 

17.  Una,  ddue,  ttre 
la  Peppina  fa  er  caffe, 

fa  er  caffe  ceo  la  cioccolata, 
la  Peppina  s'e  ammalata; 
s*h  ammalata  co  li  dolori, 
chiameremo  er  sor  dottore. 
Sor  dottore  de  le  ciavatte, 
cqui  mmi  dole  e  cqui  mmi  bbatte, 
cqui  mmi  sento  na  gran  pena 
sor  dottore  senza  cena. 

Archivio  per  le  tradizioni  poj*^lari.  —  Vol.  XX Ul.  25 


194 


ARCHIVIO    PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


1 8.   Maramao,  perchfe  ssfe  morto? 
Pane  e  vvino  n  t'amancava, 
Tinsalata  drenfaH'orto. 
.  Maramao,  perch^  ss^  morto? 
19.  Uno.         La  signora  si  veste  di  bbruno 
e  di  bbianco  n  si  v6  vvesti. 
Miralatondondella,  miralatondondi 
Questo  ritomello  si  ripete  a  ogni  strofe. 

Dua.        La  signora  magna  V  ua 

er  pizzuteilo  nU  lo  vo  mmagna. 
Tre.  La  signora  ^  ppiii  bbella  di  te, 

si  n  ce  credi  vair  a  wede. 
Quattro.    La  signora  ggioca  cor  gatto, 

cor  cagnolo  n  ce  vo  ggioca. 
Cinque.    La  signora  va  a  ddipinge 

va  a  ddipinge  pe  ritratta. 
Sei.  Ar  giardino  te  porterei, 

ar  boschetto  a  ppasseggia. 
Sette.        E  le  ggiovani  co  le  vecchie, 

nun  se  ponno  paragona. 
Otto.         La  signora  fa  er  fagotto, 

fa  er  fagotto  |:>e  ppartl. 
Nove.        La  signora  fa  le  prove, 

fa  le  prove  pe  sposa. 
Dieci.        La  signora  fa  li  ceci 

cor  merluzzo  e  r  baccal^ 
Undici.      Accidenti  a  ttutti  li  ggiudici 

che  nun  sanno  ggiu.dica 
Dodici.      fe  ffinita  la  canzoncina 

cchi  sta  n  cammera  e  cchi  n  cucina. 

cchi  sta  a  lletto  a  riposa. 
20.  Carbonaro  tulto  tinto, 
s'h  mmagnato  tutto  Tonto', 
la  padrona  j'a  strillato, 
carbonaro  sculacciato. 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  Dl  ROMA 

21.  La  ciovetta  sur  mazzolo 
fa  iramore  cor  pizzicarolo ; 

er  pizzicarolo  je  da  n  bacio, 
la  ciovetta  puzza  de  cacio. 

22.  Spia,  spione, 
porta  er  lampione, 
fX)rta  la  bbandiera; 
cent'anni  n  galera. 

23.  Tartajone  de  palazzo 
porta  er  libbro  sott'ar  braccio 
va  ddicenno  Torazzione. 
Tartajone,  tartajone! 

24.  Li  sordati  che  wan'  a  la  gu^ra, 
magneno  bbevenoe  ddormeno  in  t&ra 
a  lo  sparo  der  cann5 

pappa  e  cciccia  e  mmaccar6. 

25.  Mi  padre  fa  er  carzolaro, 
gni  ggiorno  ne  fa  n  paro, 

e  cquanno  b  llunedl 

tiret'in  1^,  cche  Vv6jo  cucl  (gesto  analogo) 

26.  Mamma,  pioviccica 
m'azzuppo  tutta. 

Fia  mia  bbella 
plete  Tombrella. 

27.  Sona  mezzoggiorno : 
tutte  le  vecchie  vann'ar  forno; 
Sona  mezzodl : 

tutte  le  vecchie  vann'a  ddorml. 

28.  Ecco  er  gioco  de  I'ajetto 
ecco  er  gioco  de  la  rosa; 
entra  entra  sora  sposa 

nun  se  faccia  canzona. 
E  la  faccia  la  riverenza, 
e  la  faccia  la  penitenza; 


195 


ig6  ARCHIVIO  PER   LH  TRADIZIONI   POPOLARI 

e  lo  faccia  tutt'er  giro, 
e  ssi  metta  ar  suo  postino. 

29.  Esci  esci,  corna, 
fio  de  na  donna, 

fio  de  Micchele 

che  tte  porta  pane  e  mmiele. 

30.  —  O  mmadarra  pollarola, 
quanti  polli  ar  miopollaro? 

—  quanti  n'6,  cquanti  n'avemo 
me  11  tengo  n  sin  che  mmoro. 

—  Dammene  uno  a  mmio  vantaggio 
quanno  passo  s6  ssempre  sola. 

—  Scegli  scegli  quale  ti  pare 
er  piu  bbello  lasselo  stare. 

—  Er  piu  bbello  che  cce  sia 
me  lo  v6jo  porta  wia. 

31.  —  San  Pietro  e  ssan  Paolo 
apritece  le  porte. 

—  Le  porte  sono  aperte 
pe  cchi  cce  v51e  entra. 

—  C'^  na  bbella  pecorella  che  ffa :  bbeeee. 

32.  L'uccellino  in  gabbia 
ce  vo  la  canipuccia 

pe  ffallo  mantene. 
Una  due  e  ttre: 
n  te  posso  ppiii  ttene 
tte  pb  e  tte  lasso. 

33.  fe  sparato  mezzoggiorno, 
er  gobbo  nun  se  vede; 
quanno  viera, 

che  lo  possino  sgobba. 

34.  Bb^  a  bba 

la  maestra  mi  v6  dda, 
mi  v5dda  ceo  la  bbacchetta, 
santa  croce  bbenedetta. 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  Dl  ROMA  197 

35.  Er  paino  che  wa  ppe  r  corso 
pe  la  fame  se  magna  un  torzo, 

la  paina  che  je  va  appresso 

je  va  ddicenno:  Dammene  n  pezzo. 

36.  Ssedia  papale 

b  mmorto  er  cardinale 

k  mmorta  la  papessa 

n  carcio  n  c...  a  te  e  a  essa. 

37.  Domani  e  ffesta, 
se  magna  la  minestra; 

la  minestra  nun  ^  ccotta, 
se  magna  la  ricotta; 
la  ricotta  nun  b  ssalata, 
se  magna  Tinsalata; 
rinsalata  nun  c'b  6jo, 
se  va  a  Ccampidojo; 
se  tira  la  cordicella, 
esce  fori  Purcinella, 
cor  un  piatto  de  maccar6 : 
se  li  magna  tutt'un  bocc6. 

38.  Ar  castello  der  mio  bbello 
6  pperduto  Tamica  mia 

la  ppiu  bbella  che  cce  sia 
me  la  v6jo  porta  vvia, 
e  ttra  bballi  e  mmusica, 
tr dller alter 0,  trallerallero 
e  ttra  bballi  e  mmusica 
trallerallero,  trailer  alia, 

39.  Piovere  e  nnon  piovere. 
io  v6jo  andare  a  mmovere, 

a  mmovere  er  grano 
pe  ssanto  Ggiuliano ; 
trovai  na  fontanella, 
piena  d'acqua  bbella; 
me  ce  lavai  le  mani, 


igg  ARCHIVIO  PER   LE  TRADfZIONI    POPOLARI 

me  cadde  Tanello 
dar  dito  mignarello 
pescai  pescai 
e  nnu  lo  trovai; 
trovai  tre  ppesciarelli, 
vestiti  da  fraticelli ; 
li  vestii  e  li  carzai, 
li  portai  a  mmonsignore; 
monsignore  nun  c'era: 
c'ereno  le  tre  zzitelle, 
che  ffaceveno  le  frittelle; 
me  ne  dettero  una: 
oh  cquant'era  bbona! 
Me  ne  dettero  n' antra, 
la  misi  sopra  ar  banco, 
er  banco  er  cupo 
sotto  c'era  er  lupo, 
er  lupo  era  vecchio 
n  sapeva  rifasse  er  letto, 
er  letto  era  rifatto 
Taveva  rifatto  er  gatto; 
er  gatto  sur  letto 
chiamava  Tucelletto; 
I'ucelletto  pe  le  scale 
chiamava  la  commare, 
la  commare  su  la  porta 
venneva  le  peracotte, 
le  peracotte  calle  calle 
bbastonate  su  le  spalle; 
a  cchi,  a  cchi,  a  cchi? 
a  cchi  mme  sta  a  sentt. 

40.  Zzucca  pelata, 
magna  la  rapa, 
bbt^ve  lo  vino 
spazzacamino. 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  DI  ROMA  j^ 

41.  Si  ttutti  li  cornuti  portasse'r'er  lampi6, 
misericordia,  che  illumminazzio. 

La  cantano  la  sera  di  San  Martino  facendo  cagnara  con  delle  Jatte  da  petrollo 

42.  Seta,  setola, 
X...  va  a  la  scola, 

ce  va  ccor  canestrello, 
tutto  pieno  de  pizzutello. 

43.  Le  donne  de  Gaeta 
che  ffileno  la  seta 

la  seta  e  la  bbambace 
a  X...  che  je  piace? 

44.  —  Trucci,  trucci,  cavallucci; 

—  Chi  ^  cche  vva  a  ccavallo? 

—  E  re  de  Portogallo, 

—  Chi  cce  lo  porta? 

—  La  ca valla  zzoppa. 

—  Chi  h  che  I'azzoppata? 

—  Er  palo  de  la  porta. 

—  Dov'^  la  porta? 

—  L'a  bbruciata  er  foco. 

—  Dov'^  r  foco? 

—  L'^  smorzato  I'acqua. 
— .  Dov'^  iracqua? 

—  L'a  bevuia  er  porco. 

—  Dov'^  r  porco? 

—  J 'anno  fatto  la  pelle, 

ci  anno  fatto  le  ciarammelle. 

45.  —  Sora  Maria  la  pizzicarola, 
quanto  le  venni  a  ppaolo  Tova? 

—  lo  le  venno  ventiquattro : 
Uno,  due,  tre  e  cquattro. 

46.  A  bbi  bbo, 
tre  ggalline  e  ttre  ccapp5, 
per  andare  a  la  cappella, 
c'era  na  regazza  bbella, 


200  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

che  ssonava  le  ventitr^ : 

uno,  ddue,  ttre 

Arza  su  na  cianca 

che  toc-che-reb-be-a-tte. 

47.  Pis'  e  ppisello, 
colore  ccos^  bbello, 
colore  ccos\  ffino, 
pe  ssanto  Martino; 
la  bbella  Pulinara, 
che  ssale  su  la  scala; 
la  scala  der  pavone, 
la  penna  der  piccione, 
bbella  zzitella, 
che  ggi6ca  a  ppia^trella, 
cor  fio  de'  re, 
tira  su  sto  piede, 
che-toc-che-reb-be-pre-ci-sa-men-te-a-tte 

48.  a.  Nginocchiete,  Santuccia,  larioletta  e  llariola 
b.  Mi  s6no  nginocchiata,  »  »      >> 

a.  Riarzete,  Santuccia,  »  »      » 

b.  Mi  sono  riarzata,  »  »      » 

a.  Te  v6jo  da  mmarito,  >►  »      » 

b.  lo  marito  nu  lo  v?)jo,  tutta  la  notte  me  da  ccordojo. 

a.  Scricchia,  scrocchia  —  capete  la  ppiu  ggrpssa 
scricchia,  scricchia  —  capete  la  ppiu  ppiccola. 

49.  a.  O  mio  bber  castello  —  marco  ndino  ndino  nda 
'  0  mio  bber  castello  —  marco  ndino  ndino  nd^. 

Cosi  si  ripete  ogni  strofe,  meno  rulUma. 

b.  fe  ppiu  bbell'er  nostro. 

a.  E  nnoi  lo  guasteremo. 

b.  E  nnoi  lo  rifaremo. 

a.  E  nnoi  leveremo  la  pietra. 

b.  Quale  pietra  leveretc? 

a.  La  ppiu  bbella  de  la  citta 
e  X...  venqua  cqua. 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  DI  ROMA  2OI 

50.  —  V6i  vienl  ceo  mme?     # 

—  In  dove? 

—  Su  ppe  le  montagne 
a  cc6je  le  quaje 

tu  ceo  li  denti 
io  CO  le  tenaje. 
Altra  risposta: 

—  Su  ppe  r  cacatore 
che  cc'^  mmonsignore 
la  fa  la  minestra 

che  puzza  ch'appesta. 

51.  —  Chi  sta  a  ccapo  de  la  mia  pipigna? 

—  Io. 

—  Pe  cchi? 

—  Pe  na  donna. 

—  Ch'a  ffatto? 

—  Fio  maschio. 
-—  Com'^  llungo? 

—  Come  na  col6nna. 
-r  Com'^  stretto? 

—  Com'er  manico  de  la  paletta. 

—  Passate  sotto  la  mia  bbarchetta. 
E  si  prosegue  in  coro: 

Povera  X...  ncatenata  co  cento  mila  catene 
patisce  le  pene. 

52.  Annm'a  magni  li  gnocchi 
cor  sugo  de  bbagarozzi; 
mamma  Ta  ncaciati, 

e  bbabbo  se  1'^  mmagnati. 

53.  —  Gatta  c^ca,  n  do  ne  vienghi? 

—  Da  Milano. 

—  Che  mme  portiP 

—  Pan'e  ccacio. 

—  Me  d^i  gnente  a  mme? 

—  No. 

Arehiffio  per  U  tradiMioni  popolari,  -  Vol.  XXm.  i6 


202  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

—  Bbrutta  gattaeecaccia,  che  tte  sepersa? 

—  Na  spilletta. 

—  Ecchete  la  bbotta  e  vvattera  ccerca. 
(I  bambini  colpiscono  la  gatta  ceca  e  fuggono). 

54.  a.  Ambascia,  ambasciatori  contrallarillero 
Ambascia,  ambasciatori  contrallarillalld. 
Cosl  si  ripete  ogni  strofa. 

b.  Che  cosa  volete? 

a.  Voiemo  una  regazza. 

b.  Come  se  chiama? 

a.  Se  chiamera  X... 

b.  Come  la  vestirete? 

a.  La  vestiremo  coirabblto  de'  rospo, 

b.  Ve  ce  vestirete  voi. 

a.  La  vestiremo  color  de  rosa. 

b.  Che  ccappeilo  je  facete? 

a.  Je  lo  facemo  da  stracciarolo. 

b.  Mettetevelo  voi. 

a.  Je  lo  facemo  da  reggina 

L'enumerazione  pu6  continuare  ad  libitum  sempre  su  lo  stesso  tono.  Quando 
poi  il  coro  d  e  soddisfatto,  segue: 

b.  Venitevela  a  pprendere. 

a.  Ce  doleno  le  gamme. 

b.  Prendeteve  er  legno. 

a.  Nun  ci  avemo  ii  s6rdi. 

b.  Ve  daremo  noi  tre  ccent^simi. 

a.  Passatece  la-bbarchetta. 

b.  Ve  daremo  mezzo  milione. 
II  coro  a  soddisfatto  va  a  prendere  la  regazza. 

55.  Un  regazzino  battendo  su  la  schiena  a  un  altro : 
Chiri  chiri  bbozza, 
carica  bbarozza, 
carica  bbarh 
quantecornastannocqui? 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  Dl  ROMA  20$ 

e  alza,  poniamo,  quattro  dita.  Se  I'altro  non  indovina,  seguita: 
si  ttu  ddicevi  quattro,   • 
nun  |:>enavi  tanto, 
quanto  peni  tu. 
Mazza  bbu  bbu 
quante  corna  stanno  su? 
56.  II  regazzino  che  fa  da  capo: 
Lavorate,  lavoratori; 
cheddomani  ce  s6  li  maccaroni. 
Tutti  lavorano.  Uno  da  una  botta  a  un'altro  e  fugge.   II  battuto; 

—  Monsignore  m*anno  ferito. 

—  Chi  w'a  fferito? 

—  La  lancia. 

—  Annate  in  Francia. 

—  E  sse  in  Francia  nun  c'^? 

—  Vattel'a  a  ccerc^  n  dov'^. 

—  E  ssi  nun  ce  v6  vven\? 

—  Pielo  pe  Torecchie  e  ppprteio  cqui. 

57.  Alia  domanda :  Cchi  vi?  un  regazzino  deve  indovinare  una  carta  da  gioco 
coperta.  Se  non  indovina  il  fante,  il  cavallo  e  il  re  gli  si  batte  la  carta  sul  na&tv- 
dicendo : 

Fante. 

La  Rosina  su  r  tapf>eto. 
senza  c...  e  ssenza  pelo; 
pe  la  cchiesa  se  ne  va; 
mkela  ton  don  della 
mkela  ton  don  da. 

Cavallo. 
Li  drag6,  li  drag6 
s6  ffuggiti  da  priggi6, 
CO  la  spada  sfoderata, 
CO  la  punta  inargentata, 
Chirivl  liar  do,  chirivi  llardd. 

Re. 
fe  re,  h  re  dde  Napoli, 
h  re  dde  maccar5; 


204  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

cicorietta  bbianca 

e  bburo  de  cacio; 

annamo  a  la  gu^ra, 

senza  spara  er  cann6, 

curete  bberzaj^ri 

bberzaj^ri  de  Francia, 

CO  la  bbandiera  bbianca 

e*  re  dde  Russia, 

CO  la  bbandiera  rossa; 

e'  re  dde  Sardegna, 

va  a  Nnapoli  pe  llegna 

arispose  er  legnarolo: 

nun  c'h  llegna,  n^  llegn61o, 

e  re  dde  Tatazza 

va  a  Nnapoli  pe  ttazza 

arispose  er  tazzarolo: 

nun  c'h  ttazza,  n&  ttazz6lo. 

58.  lo  so  la  favola 
de  la  gatta  m^vola 
de  la  circolita: 

volete  che  we  la  dica: 

—  SI 

—  Nun  se  dice  s\,  sse  dice  no 
perch^  cquesta  b  la  favola  ecc. 

Se  sj  risponde  «  no  >  : 

—  Nun  se  dice  no,  sse  dice  si 
perch^  cquesta  h  la  favola  ecc. 

59.  Ner  giardino  der  papa 
ce  se  pianta  Tinsalata, 
rinsalata  e  la  lattuga, 

esce  fora  la  ppiu  cciuca; 
la  ppiii  cciuca,  la  ppiu  ggalante. 
esce  fora  er  gallinfante, 
er  gallinfante  chicchirichl : 


k 


FILASTROCCHE  FANCIULLESCHE  DI  ROMA  205 

bbella  zzitella,  volete  ven\? 
volete  venl  a  cc6je  le  rose? 
ce  ne  sono  troppe  poche, 
c6jene  una,  c6jene  due  c6jene  tre 
bbella  zzitella  vienite  co  mme. 

Amerindo  Camilli. 


L'ARRIVO  DEL  SACERDOTE  NOVELLO 

IN  CASTELTERMINl  (GIRGENTl)    i) 


fe  uso,  ah  antiqiiOy  in  Casteltermini  di  celebrare  una  festa  so- 
lenne  in  onore  di  quel  concittadino,  che,  dopo  percorsi  in  Seminario 
gli  studi  ecclesiastici,  ritorna  in  paese  coi  sacri  ordini  di  prete. 

La  famiglia,  ricevuta  la  notizia  dell'ordinoeioite,  si  fa  un  do- 
vere  di  parteciparia  airArciprete.  Allora  ogni  sera,  poco  dopo  Tim- 
brunire,  per  un  mese  continuo,  si  sentono  in  paese  degli  squiili  di 
tromba:  in  tal  modo  i  cittadini  apprendono  ciie  Tizio  ha  preso  i  sacri 
ordini,  e  che  la  tal  domenica  avverra  in  paese  la  cosl  detta  entrata 
trionfale  del  neo-prete.  Infatti  1^  mattina  della  domenica  stabilita 
costui  parte  dalla  citta,  in  cui  ha  studiato,  ordinariamente  Girgenti, 
e,  viaggiando  ora  in  ferrovia,  non  viene  fino  alia  stazione  di  Acquaviva 
Platani,  che  k  quella  attigua  al  paese,  ma  si  ferma  invece  in  qualche 
stazione  precedente,  ove  si  fa  trovare  il  Comitatq  della  festa,  che 
riceve  il  neo-sacerdote,  col  quale  si  reca  in  un  paese  o  campagna 
vicina,  in  cui  si  sta  ad  attendere  Tarrivo  della  rappresentanza  eccle- 
siastica  e  municipale  di  Casteltermini.  Quivi  intanto  comincia  un 
grande  movimento:  verso  le  ore  3  p.  m.  coloro  che  posseggono  o 
possono  procurarsi  un  cavallo,  un  mulo,  un  asino  vengono  in  piazza 
a  cavallo  con  bardature  d'ogni  specie  e  colore,  e,  dopo  di  essersi 
fatti  ammirare  un  po'  per  le  strade,  si  avviano  a  frotte  alia  volta 
del  luogo  ove  si  trova  il  nuovo  prete.  Vi  sono  alcuni  che  si  recano  in 


i)  Sopra  //  novella  Sacrrdote  in  Sicilia,  particolarmente  per  la  parte  storica, 
vedi  PITR6,  speiiacoli  e  fesie,  pag.  465-68.  Palermo  1881. 


L'ARRIVO  DEL  SACERDOTE  NOVELLO  207 

carretta  0  in  carrozza,  i  piu  audaci  vanno  anche  a  piedi.  A  certa  ora 
parte  airincontro  la  carrozza  che  porta  I'Arciprete  e  il  Sindaco;  la 
banda  musicale,  fatto  un  giro  per  le  vie,  va  a  pigliar  posto  alia  porta 
del  paese;  i  balconl  del  corso  si  riempiono  di  spettatori;  un  popolo  di 
gente  affluisce  verso  il  luogo  della  entrata.  Grande^  Taspettativa ; 
si  comincia  a  notare  un  agitarsi  di  persone;  si  sente  la  musica;  ecco 
il  corteo  che  si  avvicina,  arriva,  il  momento  e  solenne.  Precede  la 
cavalcata,  una  fila  interminabile  di  cavalieri,  gran  parte  di  conta- 
dini,  massari,  borgesi,  che,  tutti  ansanti  e  asciugantisi  il  sudore, 
procedono  sempre  tronfi  sui  cavalli,  muli,  asini,  al  collo  dei  quali 
non  mancano  i  campanelli  di  vario  suono.  Indi  segue  la  carrozza  col 
giovine  sacerdote,  che  siede  alia  sinistra  dell'Arciprete  e  dirimpetto  al 
Sindaco.  Vengono  poscia  la  musica,  le  carrozze  e  i  carretti,  il  popolo. 
La  carrozza  sacerdotale  b  circondata  da  molta  gente,  che  porta  fiori 
e  ramoscelli,  ed  acclama  di  continuo.  II  festeggiato,  entrato  in  paese, 
estremamente  commosso,  saluta  a  destra  e  a  sinistra  e  verso  i  bal- 
coni;  egli  si  alza,  fa  un  inchino  impacciato,  un  sorriso  studiato,  si 
toglie  il  cappello,  e  torna  a  sedere  di  botto ;  dopo  breve  istante  torna 
da  capo,  mantenendo  sempre  la  stessa  mimica  e  uniforme  cadenza; 
e  se  per  caso  dimentica  una  di  queste  mosse  di  rito,  0  lascia  insa- 
iutato  un  gruppo  di  persone  0  qualche  balcone,  donde  si  agitano 
cappelli  e  fazzoletti,  subito  I'Arciprete  ne  lo  awerte  sommessamente, 
e  il  giovane  sacerdote,  quasi  mortificato,  ripara  in  fretta  allMnvolon- 
taria  omissione. 

Finalmente  egli,  cosl  trasportato,  arriva  a  casa,  ove  si  trovano 
la  famiglia  con  i  parenti  e  i  vicini.  Si  procede  ivi  alia  distribuzione 
del  vino,  dei  liquori,  dei  dolci ;  i  cavalieri  ritornano  pel  corso ;  i  cu- 
riosi  si  fermano  fmo  a  tarda  ora  nei  pressi  della  casa,  mentre  gli 
amici,  i  conoscenti,  il  clero  si  recano  a  salutare  il  neo-prete. 

Aw.  Prof.  ViNCBNzo  Sclafant-Gallo. 


IMPRONTE    MERAVIGLIOSE    0 


CXLIll.  La  Pedata  del  Diavolo 

t  Ji  coatrada  di  Rocca   Spapuita  (S.   Pietro  Clarenza). 


Si  cunta  cb  n'a  lu  spartistradi  di  S.  Petru,  Mustariancu  e  San 
Giuvanni  di  'Alermu  'n  jornu  passava  'u  diavulu  cu  tutti  'i  so' 
CLimpagni,  e  tanta  era  'a  furia  ca  purtava,  ca  fra  di  Tautri,  pi  lu 
spavtfntu,  fuivu  'na  rocca  e  si  va  tinni  a  menzu  migghiu  luntanu. 
Di  tannu  'n  puntu  unn'e  dda  rocca  si  chiama  'a  cuntrata  di  Bocca 
Spagnata. 

'Ntantu  'u  diavulu,  passannu,  pusau  'n  pedi  supra  'u  massu 
ca  §  no  menzu  di  ddu  spartistradi  e  c\   fici   arristari  a'  fatta.   Pir 
chissu  ddu  lucali  si  sapi  sentiri  ancora  'a  pidata  d'  *u  diavulu. 
i 

CXLIV.  La  Pedata  di  S.  Agata  (Mascaii). 

Nel  comune  di  Mascaii,  un  miglio  alio  incirca  piu  in  alto  della 
fraziont;  Nunmta,  c'^  una  contrada  che  ^  detta  'a  pidata  H  San- 
VAita.  L'Avolio,  nel  suo  Saggio  di  toponomaatica  aiciliana,  ha 
creduto  di  poter  fare  derivare  questo  noma  pidata  o  pircUa  dal  basso 
latino  prata:  ma  l\  popolo  spiega  la  cosa  altrimenti,  e  vorrei  dire 
piu  verasimilmt^nte,  narrando  la  seguente  leggenda. 

Durante  la  sua  vita,  Sant* Agata  passava  un  giorno  per  questa 
contrada,  quando,  a  un  certo  punto,  le  si  present6  il  diavolo  per  cer- 


z)  Continuazlone,  vedl  Archizno,  vol.  XXII,  pag.  128. 


IMPRONTE  MERAVIGLIOSE  209 

care  di  tentarla.  La  vergine,  al  vederlo,  si  arrest6  di  colpo  ed  invoc6 
il  Signore;  il  diavolo  colpito  dairAltissimo  fu  anch'esso  obbligato  a 
fermarsi  a  pochi.  passf  da  lei,  ed  a  fuggirsene  senza  aver  potuto  rag- 
giungere  il  suo  intento.  In  quel  subito  fermarsi  per6,  tanto  della 
santa,  quanto  del  diavolo,  i  loro  piedi  si  impressero  fortemente  sulla 
lava,  e  vi  lasciarono  due  impronte:  una  simile  a  quella  del  piede 
umano,  Taltra  arrotondata,  come  quella  del  piede  del  cavallo.  E  di 
esse,  la  prima  fu  detta  la  pedata  di  S.  Agaia  e  Taltra  la  pedata 
del  diavolo. 

Queste  impronte  si  vedono  tutt'ora  in  un  masso  che  fiancheggia 
una  strada  sopra  Nunziata,  presso  un'icona  della  Madonna,  ed  ^  evi- 
dente  che  soltanto  dalla  prima  di  esse  la  contrada  prese  il  suo  nome. 

CXLV.  11  Bastone  di  S.  Paacrazio  (Taormina). 

Lateralmente  alia  chiesa  di  S.  Pancrazio  di  Taormiia,,  accanto 
alia  impronta  del  piede  di  S.  Pancrazio,  da  noi  altra  volta  descritta, 
si  vedono  anche  alcune  altre  fossette  arrotondate. 

Per  analogia  certamente,  il  popolo  ha  voluto  attribuirle  all'opera 
dello  stesso  santo,  e  si  crede  che  esso  le  abbia  prodotte  battendo  il 
bastone  mentre  predicava. 

CXLVI.  Le  Pedate  dei  Buoi  d'Ercole  (Agira). 

fe  singolare  ci6  che  accadde  ad  Ercole  presso  gli  Agiresi.  An- 
ch'essi  lo  trattaronaal  pari  degli  Dei  celesti  con  doni  magnifici,  con 
feste  e  con  sacrifizi,  ed  egli,  quantunque  per  lo  innanzi  non  avesse 
mai  accettato  alcun  sacrifizio,  allora  per6  per  la  prima  volta  li  accett6, 
e  li  approv6,  venendogli  gia  da!  nume  presagita  la  divinita.  Laonde, 
come  non  lungi  dalla  citta,  in  una  certa  strada  petrosa,  vedevansi  le 
orme  di  buoi  impresse  al  pari  che  se  fossero  in  cera;  la  stessa  cosa 
accaduta  essendo  a  lui  pure  dopo  la  decima  prova,  stimando  che  gli 
concedesse  gia  parte  della  immortalita,  non  ricus5  Tannuo  onore  del 
sacrifizio  per  esso  lui  istituito  dagli  abitanti.  Adunque  in  contraccambio 

Archicio  per  le  trttdistioni  popolari.  —  Vol.  XXIll.  t7 


210  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

degli  onori  attribuitigli  scav6  dMnnanzi  alia  citta  un  lago  del  circuiio 
di  quattro  stadi,  celebre  pel  nome  suo.  Cosl  pure  diede  il  suo  nome 
alle  orme  impresse  dalle  unghie  dei  buoi,  ed  un  co  consacr5  a  Ge- 
rione  come  ad  eroe  i). 


CXLVII.  La  Pedata  di  S.  Placido  (Adern6). 

Quasi  a  mezza  strada  tra  Adern6  e  Biancavilla,  la  dove  passa 
il  confine  dei  due  territori,  un  pezzo  della  strada  stessa,  lastricata  con 
pietra  lavica,  b  detta  la  pidata  di  S.  Pldzidu,  Non  vi  si  vede  im- 
pronta  alcuna,  n^  di  impronta  si  ha  piu  memoria;  ma  h  possibile  che 
il  nome  sia  nato  senza  che  un  segno  qualsiasi  della  lava  lo  giusti- 
ficasse  ? 

La  leggenda  racconta  che  una  volta  gli  Adornesi  rapirono  la 
statua  di  S.  Placido,  patrono  di  Biancavilla,  ma  arrivati  al  confine 
del  territorio,  nel  luogo  oggi  detto  « la  pedata  »,  dovettero  abbando- 
narla,  perch^  diventata  cos^  pesante  da  non  potersi  piu  portare.  II 
i:)ezzetto  di  lastricato  ricorda  certamente  il  posto  ove  la  statua  fu  po- 
sata;  ma  non  ci  dovette  essere  una  impronta  lasciata  da  essa,- se  il 
luogo  si  chiama  tuttora  'a  pidata  di  S.  Prdzitu^ 

Salvatore  Raccuglia. 


i)  DIODORO  SICULO,  lib.  IV,  cap.  Xll.  (Traduzione  del  Compagnoni). 


LEGGENDE  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  Dl  SICILIA 


VIII.  Lu  lagnusu. 

Un  jornu  G.  Cristu  S.  Petru  e  TApostuli,  caminannu,  p:is- 
saii  davanti  'na  ficara  carrica  di  ficu  beddri  maturi,  e  viftiru  un 
omu  curcatu  siitta  ddr'  arvulu  chi  dicia:  «  Oh  chi  fami  chl  haju! 
Oh  chi  fami  chi  haju!»  «£  pirch\,  ci  dissiru,  nun  cogghi  du*  ticu 
e  ti  li  manci  ? »  —  «  E  po'  h^  stenniri  la  manu  ?  »  ci  rispusi  d JrVjmu 
lagnusu. 

Caminannu  chiu  p'  a  jiri  ddra,  vittiru  'na  bella  gtuvinn  ch 
lavava.  —  « Chi  bella  giuvina!»  dissi  S.  Petru  a  G.  Ciistu*  — 
«Sta  giuvina,  ci  rispusi  G.  Cristu,  s'havi  a  spusari  cu  ddr'omu  lu- 
gnusu,  chi  si  cuntenta  di  m5riri  di  fami  p'  'un  stenniri  la  miinu  e 
cogghiri  du'  ficu  ».  —  «  E  chi  diciti,  Path  Maistru?  dissi  S.  Pttru 
Com'^  possibili  'na  cosa  simili?  »  —  «  Jeu  ti  dicu,  ripricau  G.  Ciistu, 
chi  ssa  bella  giuvina  havi  a  spusari  dru  lagnusu,  e  cu  lu  su,  tra- 
vagghiu  havi  a  manteniri  a  iddra  stissa  e  a  chiddru  ». 

Questo  raccontino  ha  stretta  relazione  col  modo  proverbiale :•  I^rf* ,  titfiiwi 
'n  mucca,  che  si  usa  per  esprimere  Tindolenza  di  colore  che  sperftno  ottensre  uim 
cosa  senza  aJcuna  opera  propria. 


IX.  La  gula  di  S.  Petru. 

Un  jornu  S.  Petru,  caminannu  cu  lu  Signuri  e  cu  rAptKluli^ 
vitti  un  gaddru,  chi,  stannu  a  laddritta,  paria  ch'avia  un  pcJi  sliIu  : 
—  «  Maistru,  ci  dissi  a  lu  Signuri,  viditi  ddru  gaddru,  ch'avi  tin  jvdi 


i)  Continuazione,  vedi  v.  XXII,  p.  ai8. 


212  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARl 

sulu?  — «  Facci  sciu!  ci  rispusi  lu  Signuri,  e  vidi  quantu  nn'havi »  San 
Petru  ci  fid:  8ciu!  e  lu  gaddru  nisciu  Tautru  pedi.  Un  jomu  doppu 
stu  fattu,  lu  Signuri  cu  TApostuli  cuciu  un  gaddru,  e  San  Petru, 
ch'era  lu  chiu  gargiutu,  si  ni  manciau  una  cusciteddra.  Quannu  lu 
gaddru  fu  purtatu  a  tavula,  lu  Signuri,  chi  capia  tutti  cosi,  dumannau 
a  S.  Pctru  doppu  chi  si  lu  manciaru:  —  «  Petru,  lu  gaddru  avia  un 
f)edi  sulu:  com'e  sta  cosa?  »  —  <  E  vui  chi  ci  facistivu:  Sciu!?,  ci 
rispusi  San  Petru;  si  ci  avissivu  fattu:  Sciu!  avissi  nisciutu  Tautru 
pedi ». 

Questo  raccontino,  come  il  5.,    richiama    la    Novella   4a  Giomata  6*  del  De- 
camerone. 


X.  La  Morti. 

Un  maritu  avia  la  mugghieri  gravita,  e  tutti  vulianu  essiri  so' 
cumpari  —  «  Nenti,  iddru  dissi ;  jeu  vogghiu  pi  cumpari  unu  ch'havi 
ad  essiri  bonu  e  giustu  »  Quannu  ci  vulislpiccach'aviaaparturiri,  si 
ni  jiu,  e  cuminciau  a  caminari  pi  trovari  un  cumpari,  comu  vulia 
iddru.  Camina  e  camina,  si  'ncuntrau  cu  lu  Signuri,  chi  jia  cami- 
nannu  cu  TApostuli.  —  «  Cumpari,  chi  jiti  facennu?  »  ci  dissi  lu  Si- 
gnuri —  «E  chi  h^  jiri  facennu?  ci  rispusi  iddru.  M^  mugghieri  havi 
a  parturiri,  e  vaju  circannu  un  cumpari  bonu  e  giustu  ».  —  «  E  cchiu 
giustu  di  mia,  dunni  Taviti  a  truvari?»  —  «  E  vui  cu'  siti?  »  — 
«  Lu  Signuri  »  —  «  E  vui  giustu  siti?  Comu?  Ci  su'  li  ricchi  e 
li  scarsi,  li  malati  e  li  boni,  e  siti  giustu?  Mai;  nun  vi  vogghiu  a 
vui  »,  e  si  ni  jiu.  Doppu  nautru  pezzu,  lu  Signuri  ci  dissi  a 
S.  Petru:  «  Petru,  vacci  tu;  p5  essiri  ch'a  tia  ti  voli  ».  S.  Petru 
si  ci  prisintau  e  ci  dissi:  «  Cumpari,  chi  jiti  facennu? »  —  «  E  ch*h^ 
jiri  facennu? »  ci  rispusi  lu  viddranu  — «  M^  mugghieri  havi  a  f>ar- 
turiri,  e  vaju  circannu  un  cumpari  bonu  e  giustu ».  —  «  E  a  mia  mi 
vuliti,  ci  dissi  S.  Petru,  ch'aju  li  chiavi  di  lu  Paraddisu?  »  —  «  E  vu* 
cu'  siti?»  —  «S.  Petri!  »  —  «E  vui  giustu  siti?  E  comu?  Ci  su* 
chiddri  tignusi  chi  fannu  un  fetu  di  pesta,  e  nun  si  ponnu  avvici- 
nari  a  nuddru,  e  siti  giustu?    Va,   jitivinni,  chi  nun  vi    vogghiu  a 


LEGGENDE  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  DI  SICILIA  213 

vui  pi  cumpari  »  e  si  ni  jiu.  Quannu  S.  Petru  turnau,  lu  Signuri  ci 
dumannau:  —  «Chi  ti  dissi?»  — •  «  E  chi  m'avia  a  din?  »  ci  rispusi 
S.  Petru;  nun  mi  vosi,  pirch^  d  su'  li  tignusi  chi  fannu  un  fetu  di 
pesta,  e  nun  si  ponnu  awicinari  a  nuddru  ».  Caminu  facennu,  si  ci 
prisintau  finarmenti  la  Morti.  —  «  Cumpari,  chi  jiti  facennu?*  — 
«  M^  mugghieri  havi  a  parturiri,  e  vaju  circannu  un  cumpari  bonu 
e  giustu  ».  —  «E  chiu  giustu  di  mia  nun  lu  putiti  truvari,  pirchl  jeu 
non  guardu  nb  a  ricchi,  n^  a  poviri,  n^  a  granni  n^  a  picciriddri 
n^  a  boni,  n^  a  malati»  —  «  E  vui  cu'  siti?»  —  «  La  Morti »  — 
Iddru,  sintennu  ch'era  la  Morti,  ci  dissi  di  si.  Quannu  s6  mugghieri 
partjriu,  vinni  la  Morti,  fici  lu  cumpari,  ci  fu  la  calia,  li  cunfetti, 
tutti  cosi  beddri  puliti.  Doppu,  la  Morti,  prima  di  jirisinni,  ci  dissi : 
—  « Cumpari,  vui  lo  sapiti,  chi  jeu  nun  guardu  a  nuddru:  dicitimi 
quantu  tempu  vuliti?*  —  «  Gnursl,  cumpari;  datimi  nautri  deci 
anni  di  vita  ».  —  Quannu  li  deci  anni  si  avvicinaru,  passau  lu  Signuri 
cu  TApostuli  e*  S.  Petru,  e  S.  Petru  ci  dissi  a  lu  viddranu:  —  «  Talia ; 
lu  Signuri  passa:  dumanacci  lagraziadi  l'arma».  Lu  viddranu  si  av- 
vicinau  a  lu  Signuri,  e  ci  dissi :  —  «  Signuri,  una  grazia  vurria  fatta  »  — 
«Ti  sia  cuncessa:  chi  grazia  voi?  »  ci  rispusi  lu  Signuri  —  «  Vurria, 
chi  cu'  tocca  Taranciu,  di  st'arancia  ristassi  'mpinnutu  pi  sempri  ».  Lu 
Signuri  ci  lu  cuncessi.  Quannu  fmarmenti  stavanu  pi  passari  li  deci 
anni,  si  prisintau  la  Morti,  e  ci  dissi:  —  «  Cumpari,  va,  jemuninni: 
li  deci  anni  stannu  passannu;  priparativi »  —  «Comu,  cumpari?  macari 
cu  mia  vi  la  irati?  »  —  «  Nun  haju  chi  vi  fari ;  vu'  lu  sapiti  »  —  «  Va 
beni  dunca:  manciamu  prima,  e  poi  ni  ni  jemu  ».  Mentri  chi  stavanu 
pi  manciari •:  —  «  Cumpari,  dissi  lu  viddranu  a  la  Morti,  un  aranciteddru 
ci  staria:  vuliti  jiri  a  cogghilu?»  La  Morti  si  susiu,  e  ci  jiu;  comu 
tuccau  Taranciu,  ristau  'mpinnuta.  Doppu  bastanti  tempu,  lu  Signuri, 
chi  jia  caminannu  cu  TApostuli,  dissi  a  S.  Petru:  —  «  Sa  chi  fici  chiddru 
chi  circava  lu  cumpari?  Fici  ristari  la  Morti  'mpinnuta  a  Taranciu, 
e  ora  nun  mori  chiu  nuddru :  jemu  a  farla  scinniri »  Jeru,  e  ci  dis- 
siru:  —  «  Va,  ora  h  bastanti  chi  la  Morti  ^  impinnuta;  falla  scin- 
niri »  —  «  La  fazzu  scinniri?  Ora  avemu  a  fari  patticeddri  novi.  »  —  «  E 
quantu  tempu  di  vita  v6i  ancora?  »  —  «  Nautri  deci  anni  ».  Lu  cuntu 
nun  havi  tempu.  Li  deci  anni  stavanu  pi  passari,  e  la  Morti  si  pri- 


214  ARCHIVIO  PER  LH  TRADIZIONI   POPOLARI 

sintau  novamenti,  e  ci  dissi :  —  «  Cumpari,  li  deci  anni  stannu  pas- 
sannu;  jemuninni;  ora  nun  aviti  chi  fari  ».  —  «  Cumpari,  gnursl.  Ma 
nun  avemu  a  manciari,  prima?  Manciamu;  vivemu,  e  poi  ni  ni  jemu  ». 
Doppu  chi  manciaru,  iddru  dissi  a  la  Morti:  —  «  Cumpari,  nun  m'aviti 
dittu,  chi  passati  cu  dui  matarazzi  *nta  un  funnu  d'augghia?  s*k  veru, 
tantu  chill  puliti  trasiri  'nta  stu  ciascu  (chi  avia  lu  ciascu  'n  manu  dunni 
avia  vivutu).  —  «  E  chissu  e  nenti  >>  ci  rispusi  la  Morti  e  subitu  trasiu. 
Iddru  ch'avia  lu  stuppacchiu  'n  manu,  ci  lu  misi  subitu,  chiudiu  la 
Morti  ddr^  dintra  lu  ciascu,  e  lu  ciascu  si  Tattaccau  darreri  li 
spaddri,  e  lu  purtava  sempri  d'appressu.  Ma  vidennu  lu  Signuri  chi 
nun  muria  chiu  nuddru,  pircW  la  Morti  era  'nchiusa  nta  lu  ciascu 
ci  passau  cu  S.  Petru  e  cu  TApustuli,  e  ci  dissi:  —  «  Va,  bastau 
ora;  fa  nesciri  la  Morti ».  La  Morti,  quannu  'ntisi  la  vuci  di  lu  Si- 
gnuri, cumincia  a  ballari  dintra  lu  ciascu,  e  lu  ciascu  ci  sbattia  a  lu 
viddranu  'nta  li  spaddri.  —  «  La  fazzu  nesciri?  rispusi  iddru.  Prima 
m'havi  a  dari  nautru  poju  di  tempu  di  vita»  —  «  E  sintemu,  ci 
dissi  la  Morti:  quantu  anni  di  vita  v6i  ancora? »  —  «  Nautri  vint'anni». 
La  Morti  ci  lu  cuncessi,  e  nisciu.  Ma  quannu  passaru  li  vint*anni, 
la  Morti  si  prisintau  arreri,  si  misi  supra  un  muntarozzu  e  ci  dissi : 
—  «  Cumpari,  li  vint'anni  passaru;  ora  nun  mi  cutuliati  chiu;  pri- 
parativi  e  jemuninni ».  Iddru,  vistu  chi  nun  avia  chi  fari,  si  fici  li 
santi  sacramenti,  e  partiu  cu  la  Morti  pi  Teternita,  e  lu  Signuri  si 
lu  purtau  'n  Paraddisu. 


XI.  Comu  'na  picciotta  si  maociau  un  cori,  e  nisciu  gravita. 

Quannu  lu  Signuri  caminava  cu  S.  Petru  e  TApostuli,  un 
jornu  doppu  di  aviri  fattu  un  pezzu  di  via  S.  Petru  ci  dissi:  —  «  Patri 
Maistru,  fami  haju  ».  —  «  E  sempri  tu  h^l'  essiri  lu  primu  a  sentiri 
la  fami  e  la  siti  »  ci  rispusi  lu  Signuri.  Doppu  d'aviri  fattu  nautru 
pezzu  di  via  a  muntata,  S.  Petri  ripricau :  —  «  Patri  Maistru,  fami 
haju».  —  «Ebbeni,  ci  dissi  lu  Signuri  a  I'Apostuli,  pigghiativi  una 
petra  Tunu  ».  Tutti  Pautri  si  pigghiaru  una  petra  giustera;  S.  Petru 
si  ni  pigghiau  una  nica  nica.  Doppu  chi  lu  Signuri  vitti  chi  TApo- 


LEGGENDE  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  Dl  SICILIA  21$ 

stuli  eranu  stanchi  pi  veru,  ci  dissi :  —  «  Ripusativi  e  manciati »,  e 
la  p.^tra  ch'avianu  'n  minu  ci  addiviatau  a  tutti  pani,  e  manciaru. 
Ma  S.  Petru  ristau  chiu  affamatu  di  prima,  pirchl  la  s5  petra  era 
nica  nica,  —  «  E  jeu  comu  fazzu  cu  stu  pizzuddru  di  pani  ?  »  dissi 
S.  Petru  —  «  E  tu  pirch^  si'  fausu,  Petru  ?  »  ci  rispusi  G.  Cristu. 
L'ApostuIi,  sintennu  cumpassioni,  ci  dissiru  a  lu  Signuri:  —  «  Signuri 
si  vuliti,  ci  ni  darau  un  pizzuddru  i'unu.  »  —  «  Mai,  rispusi  lu  Si- 
gnuri ;  ognunu  s'avi  a  manciari  lu  s5.  Doppu  nautru  bellu  pezzu  di  via, 
S.  Petru.  cuminciau  da  capu:  —  «  Patri  Maistru,  jeu  fami  haju.  Patri 
Maistru,  je  fami  haju  *.  —  «  Ebbeni,  ci  dissi  lu  Signuri,  pigghiativi  una 
f^tra  runu».  S.  Petru  scannaliatu,  sta  vota  si  ni  pgghiau  una  veru 
grossa,  ch'appena  la  putia  purtari.  Doppu  nautru  pezzu  di  via,  chi 
S.  Petru  nun  ni  putia  chiu,  lu  Signuri  li  fici  tratteniri  pi  manciari, 
e  li  petri  addivintaru  arrera  pani;  ma  chiddra  di  San  Petru  ristau 
p)etra  —  «  Patri  Maistru,  comu  fazzu?  la  mia  ristau  petra  pi  com'era  >>, 

—  «Ti  ci  assetti  di  supra,  ci  rispusi  lu  Signuri;  tu,  Petru,  nun  ti 
v6i  scannaliari. »  E  S.  Petru  bisugnau  fari  lu  setti  a  forza  e  ristari 
mortu  di  fami.  Si  misiru  di  novu  a  caminari,  e  vicinu  la  via  c'era 
unu  chi  siminava,  e  tutti  chiddri  chi  passavanu,  ci  dumannavanu: 

—  «  Cumpari,  chi  siminati  ?  »  —  «  Furmentu  »,  rispunnia  iddru  —  «E 
chi  siminati  ?  »  —  «  Furmentu  ».  —  Quannu  passau  lu  Signuri  cu  I'A- 
|X)stuli,  S.  Petru,  ch'era  curiusu,  ci  dumannau:  —  «  Chi  siminati.*^  » 

—  «  Patati »,  ci  rispusi  iddru  —  «  E  patati  sianu  »;  —  dissi  S.  Petru. 
Quannu    iddru    vitti  nasciri  una   pocu   di   patati,   si  maravigghiau. 

—  «Com'^?  Siminu  furmentu  e  nascinu  patati.^  Chissa  appi  a  es- 
siri  la  m^  fasitudini,  pirchi  a  tutti  rispusi  chi  siminava  furmentu, 
e  una  vota  dissi  chi  siminava  patati,  e  chissu  chi  mi  domannau  vacci 
va  appi  ad  essiri  S.  Petru,  cu  lu  Signuri  e  rApostuli».  A  tempu  di 
metiri  lu  Signuri  cu  I'ApostuIi  si  truvau  a  passari  arrera  di  ddra,  e 
vittiru  a  chiddru  stissu,  chi  si  mitia  lu  siminatu  di  duminica;  chi 
tuttu  gia  non  ci  addiventau  patati.  —  «Puvireddru!  dissi  S.  Petru. 
Nun  havi  comu  addruari  Tomini,  e  si  lu  meti  iddru  a  picca  a  picca. 
Patri  Maistru,  vuliti  chi  Tajutamu  nuautri?»  —  «  No,  ci  rispusi  lu 
Signuri;  va,  dicci  chi  ci  duna  focu,  si  voli  ».  S.  Petru  ci  jiu,  e  ci 
dissi:  —  «  Bon  omu,  chi  faciti  .^^  »  —  «  E  ch' h^  fari?  Metu'».  —  «E 


2l6  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

macari  la  duminica!  »  -—  «Nun  pozzu  addruari  Tomini,  e  mi  lu  metu 
sulu,  a  picca  a  picca».  —  «Sapiti  ch'aviti  a  fari?  Datici  iocuy>  — 
«  Comu  ?  Focu  c*h  dari  ?  Si  nun  vi  ni  jiti,  a  furcunati  vi  pigghiu.  >► 
S.  Petru  pi  tantu  ^i  cuntanti,  senza  n^  chitibbi,  n^  chitabbi,  ci  detti 
focu  iddru,  e  lu  siminatu  fici  una  vampuliata.  S.  Petru  allura  si  misi 
a  curriri,  e  si  ni  jiu  unni  lu  Signuri,  pirchl  lu  viddranu  lu  vulia  met- 
tiri  a  manu  ed  era  veru  'nfuriatu.  Nun  c*^  nenti,  ci  dissi  lu  Signuri: 
turnativinni  e  viditi  chi  lu  siminatu  nun  ^  abbruciatu.  »  Lu  vid- 
dranu turnau,  e  truvau  tuttu  lu  siminatu  a  cavaddrugnu,  comu  si 
'un  avissi  avutu  mai  una  sbrizza  di  focu.  Quannu  lu  furmentu  fu 
bellu  a  timogna,  successi  chi  lu  Signuri  passau  arrera  di  ddra,  e  San 
Petru  ci  dissi:  —  «  Patri  Maistru,  lu  viditi  a  ddru  viddranu  chi 
mitia  di  duminica?  Ancora  cc^  ^y>  —  «  SI,  lu  viju,  ci  rispusi  lu 
Signuri :  chissu  havi  un  piccatu,  chi  nun  si  p6  sarvari »  —  « E 
nuddru  rimeddiu  c*h?»  —  «  Ci  ^  lu  rimeddiu :  ma  iddru  lu  fa?»  — 
«  E  videmu,  si  lu  fa  »  —  «Dunca  va,  died  chi  si  mittissi  dintra  la 
timogna,  ci  dassi  focu,  e  s*abbruciassi  cu  tutti  li  spichi  ».  S.  Petru 
jiu,  e :  «  Bon  omu,  ci  dissi,  vui  aviti  un  piccatu,  chi  nun  vi  putiti 
sarvari*  —  «E  nuddru  rimeddiu  c'^?»  ci  rispusi  iddru  —  «C'^  lu 
rimeddiu,  si  lu  vuliti  fari:  v*aviti  a  mettiri  dintra  la  timogna,  ci  aviti 
a  dari  focu,  e  vi  aviti  a  bruciari  cu  tutta  la  timogna  *.  Lu  viddranu 
senza  perdiri  tempu,  pi  Tamuri  di  sarvarisi  Tarma,  allargau  la  timogna 
si  ci  jiccau  dintra,  ci  detti  focu  e  si  abbruciau  cu  tutta  la  timogna. 
Doppu  qualchi  tempu  passaru  arrera  di  .ddra,  e  S.  Petru  ci 
dissi  a  lu  Signuri :  —  «  Patri  Maistru,  fami  haju  »  —  «  SI,  ci  ri- 
spusi lu  Signuri,  va  ddr^  unni  ^  la  timogna  abbruciata,  e  trovi  an- 
cora lu  cori  e  lu  porti  cca».  —  «E  com*^  possibili  ch' avissi  a  ri- 
stari  lu  cori  tra  tanti  vampi?»  —  «  Va,  chilu  trovi ».  S.  Petru  jiu 
e  lu  truvau  chi  sbattia  ancora  —  «  Eccu  cck  lu  cori »  —  «  Ora  lu 
facemu  cociri,  e  ni  lu  manciamu  »,  ci  dissi  lu  Signuri.  Ficiru  quattru 
passi,  e  vittiru  'na  tratturia  —  Era  sira  e  ci  dumannaru:  — «-Faciti 
di  manciari?»  —  «  Chissu  fe  lu  nostri  misteri »,  ci  rispusi  la  patruna 
di  la  tratturia  —  «  Dunca  tiniti  stu  cori,  e  ni  lu  cuciti:  poi  nuautri 
passamu  e  ni  lu  manciamu  ».  Mentri  si  cucia,  facia  un  oduri  gran- 
niusu,  tantu  chi  alia  figghia  di  la  patruna  di  la  tratturia  ci  vinni  la 


LEGGENDE  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  DI  SICILIA  217 

gula,  e  si  ni  manciau  un  pizzuddru,  e  poi  naufru  pizzuddru,e  a  picca 
a  picca  si  lu  manciau  tuttu.  —  Jemuninni  intantu,  chi  sta  picci  tta 
doppu  chi  si  manci^  stu  cori  'sciu  gravita.  Ni  vulistivu  chiu  di  lu 
patri,  comu  la  vitti  prena?  Cumincia  a  sunari  vastunati;  chiddri 
ch'un  v5'  ti  canciu;  pirchl  vulia  sapiri  ca'avia  fattu  lu  dannu  — 
«Dimmilu,  chi  megghiu  h  pi  tia;  o  mi  lu  dici,  0  mi  lu  dlcl^,  d 
dicia  lu  patri,  e  cafuddrava.  Ma  chi  ci  avia  a  diri  ddra  povira  pic- 
ciota,  si  nun  sapia  nenti,  ed  era  virginL  comu  Maria  Santissima?  — 
«  Patruzzu  m^,  mi  putiti  ammazzari ;  ma  jeu  non  haju  chi  vi  diri ;  sulu 
vi  dicu  chi  sugnu  comu  mi  fici  m^matri ».  Vinni  Tura  finarmenti  di  par- 
turiri  e  fici  un  beddru  figghiu  masculu.  Lu  nannu,  pinsannu  chi  lu 
picciriddru,  si  mali  c'era,  nun  ci  curpava  pi  nenti,  si  lu  tinnl,  e  lu 
vulia  beni  comu  a  so'  niputi.  A  quattr'anni  stu  picciriddru  si  misi 
a  parlari,  e  ci  dissi  a  s6  nannu :  —  «  Nannu,  jeu  cca  nun  ci  pozzu 
stari  chill,  e  vui  aviti  a  veniri  cu  mia.  Lu  nannu  chi  vitti  chi 
stu  picciriddru  di  quattr'anni  dicia  sti  cosi,  «  Chissa  non  h  cosa 
giusta  »  dissi,  e  si  ni  jiu  cu  iddru.  Arrivannu  a  un  certu  puntu,  vit- 
tiru  un  mortu  chi  si  lu  manciavanu  li  cani.  —  «  Nannu,  ci  dissi  la 
picciriddru,  vi  disidirassivu  comu  ssu  mortu  ?»  —  «Ah  birbanti!  ci 
rispusi  lu  nannu,  sempri  ha'  essiri  chiddru  chi  si'.  M'h$  desiderari 
d'essiri  manciatu  di  li  cani?»  —  «  Nun  aviti  bisognu  di  'ncuitarivi, 
nh  di  vulirimi  vastuniari;  jeu  nun  vi  fici  chi  una  dumannas^.  Ca- 
minaru  ancora,  e  vittiru  'na  carrozza  lussusa  cu  la  banna  e  cu  granni 
accumpagnamentu.  Lu  picciriddru  ci  dumanna  arrera  a-  so*  nannu: 
—  «  Nannu,  e  comu  ssu  mortu  vi  ci  disidirassivu  ? »  —  «  Comu  chissu 
si,  ci  rispusi  lu  nannu.  »  —  «  Mittiti  allura  lu  vostru  pedi  supra  lu  meu, 
eguardati».  Lu  nannu,  sebbeni  nun  sapia  pirchl  avia  a  fari  sta  cosa, 
misi  lu  s6  pedi  supra  lu  pedi  di  lu  picciriddru,  e  chi  vidi?  Vidi  una 
gran  frotta  di  diavuli  chi  si  carricavanu  Tarma  di  ddru  mortu.  Lu 
nannu  allura  si  spavintau,  —  «  Turnamuninni  a  la  casa »,  d  dissi 
lu  picciriddru  a  lu  nannu,  e  pigghiaru  la  stissa  via  ch'avianu  fattu. 
Quannu  arrivaru  dunni  avianu  vistu  lu  mortu  chi  si  lu  manciavanu 
li  cani:  —  «  Nannu,  ci  dissi  lu  picciriddru,  viditi;  ancora  ci  sunnu 
Tussiceddra  di  lu  mortu  chi  si  lu  manciavanu  li  cani ».  —  «  SI,  lu  viu  * 
ci  rispusi  lu  nannu.  —  «  Ebbeni,  mittiti  lu  vostru  pedi  supra  lu  meu  e 

Arehivio  per  l«  trcKiisiioni  popolari.  —  Vol.  XXUi.  m 


2i8  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

guardati ».  Lu  nannu  misi  lu  pedi  supra  chiddru  di  lu  piccirriddru,  e 
vitti  un  gran  splennuri  e  una  gran  quantita  d'anciuli  chi  si  purta- 
vanu  I'arma  di  ddru  mortu  'n  Paraddisu.  Doppu  chi  ci  fici  a  vidiri 
sta  cosa,  ci  dissi  lu  picciriddru  a  lu  nannu :  —  «  Nannu,  nuautri  cca 
n'avemu  a  spartiri,  e  ni  videmu  di  novu,  quannu  lu  mortu  parla  cu 
lu  vivu  »  e  squagghiau.  Lu  nannu,  nun  avennu  chiu  chi  fari,  e 
pirsuasu  chi  ddru  picciriddru  era  una  cosa  straordinaria,  si  ni  turnau 
a  la  casa.  Comu  tornau  a  la  casa,  la  matri  ci  dumannau:  —  «  E 
m^  figghiu?»  —  «  E  chi  t'h^  diri?»  ci  rispusi  lu  patri:  t6  figghiu 
scumparu  tuttu  'nsemmula  »  e  ci  cuntau  tuttu  chiddru  chi  ci  avia 
successu.  Nun  passau  multu  tempu  chi  stu  bon  omu  fu  'nfutatu 
d*ammazzatina,  e  fu  misu  carciaratu,  e  avia  ad  essiri  cunnannatu. 
Ma  lu  niputi,  ch'era  un  anciulu,  si  prisintau  'n  sonnu  a-  un  bonu 
awucatu  e  ci  dissi :  —  «  Aviti  a  difenniri  a  chissu  chi  fu  'mputatu 
di  'na  ammazzatina,  pircW  ^  'nnuccenti:  aviti  a  jiri  unni  lu  Pubbricu 
Ministeriu  e  ci  aviti  a  diri :  —  «  Tannu  ssu  'nfutatu  avi  a  essiri  cunnan- 
natu, quannu  lu  mortu  parla  cu  lu  vivu :  s'havi  a  jiri  a  lu  campu- 
santu,  e  s'havi  a  jiri  a  vidiri  a  chiddru  chi  fu  ammazzatu».  L'av- 
vucatu  ch'appi  stu  sonnu,  lu  'nnumani  autra  premura  nun  appi,  chi 
prisintarisi  a  lu  Pubbricu  Ministeriu  e  diricci :  —  «  Ddru  puvureddru 
chi  mitti  stivu  carciaratu  h  'nnuccenti:  s*havi  ajiri  a  lu  cimteriu  a 
parlari  cu  chiddru  chi  fu  ammazzatu  ».  —  «  E  vuliti  chi  lu  mortu 
parlassi?  »  ci  rispusi  lu  Pubbricu  Ministeriu  —  «  SI,  lumortuhavia 
parlari ».  —  «  Ebbeni  facemu  chiddru  chi  diciti».  Lu 'nnumani  jeru 
a  lu  cimiteriu,  e  truvaru  lu  mortu  a  Taddritta.  Tutti  maravigghiati 
ci  dumannaru:  —  «  Cu'  fu  chi  t'ammazzau? »  —  «  A  mia,  rispusi  iddru 
nun  m'ammazzau  chiddru  ch'^  carciaratu,  ma  nautru.  Allura  ddru 
puvureddru  fu  liberatu,  e  lu  niputi  si  prisintau  a  lu  nannu  e  ci  dissi: 
—  «  Nannu,  chissa  ^  Tultima  vota  chi  ni  videmu:  jeu  sugnu  un  an- 
ciulu di  lu  Paraddisu,  e  sugnu  chiddru  chi  vi  libirau  di  lu  carciri  ». 

La  la  parte  di  questo  racconto  ne  forma  anche  uno  separate,  che  e  sta  to  rac- 
colto  dal  Dr.  Pitrd,  nelle  sue  Fmdej  Novellc  e  Racconti  popolari  Siciliani, 


f^mm 


LEGGENDE  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  Dl  SICILIA  219 


XII.  Lu  rumitu. 

.  Cera  un  santu  rumitu,  chi  facia  sempri  orazioni,  e  I'anciulu  ci 
scinnia  ogni  jornu.  Lu  rumitu,  vanagluriosu  chi  Tanciulu  ogni  jornu 
lu  visitava,  si  vulia  sprofunnari  'nta  li  cosi  di  Diu,  e  ora  dicia  al- 
Tanciulu:  —  «  E  chi  si  dici  'nta  ddru  munnu?  »  —  «  Beni  >►  rispunnia 
t'anciulu.  Ed  ora  ci  dicia  :  —  E  «  comu  si  sta  'nta  ddru  munnu?  »  — 
«  Si  sta  beni  »  rispunnia  Tanciulu.  Ed  ora  ci  dicia:  —  «  E  quaii  su'  Tar- 
cani  di  Diu?  >►  —  -«  E  chi  ti  pozzu  did  di  Tarcani  di  Diu? »  ci  rispunnia 
Tanciulu.  Quannu  Tanciulu  riturnava  'n  Paraddisu,  lu  Signuri  ci  du- 
raannava:  —  «Chi  dici  lu  rumitu?»  —  ^cEch'havi  adiri?  Ora  mi 
dumanna:  Chi  si  dici  'nta  ddru  munnu?  Ora:  E  comu  si  sta  'nta 
ddru  munnu?  Ora:  E  quali  su'  Parcani  di  Diu!»  —  «Senti  ch'ha' 
fari,  ci  dissi  lu  Signuri:  quannu  ti  dumanna  quali  sunnu  I'arcani  di 
Diu,  tu  ci  ha  diri :  si  vo*  sapiri  Tarcani  di  Diu,  M*  veniri  cu  mia». 
L'anciulu  scinnia;  e  quannu  lu  romitu  ci  domannau:  quali  sunnu 
Tarcani  di  Diu?  Tanciulu  ci  rispusi:  —  «Si  v6'  sapiri  i'arcani  di  Diu, 
h^'  veniri  cu  mia »  —  « Ci  vegnu  »,  rispunniu  lu  rumitu.  Turnau 
Tanciulu  'n  paraddisu,  e  ci  dissi  a  lu  Signuri :  —  «  Lu  rumitu  ci  veni  cu 
mia  a  vidiri  Tarcani  di  Diu  »  —  «  Va  beni,  rispusi  lu  Signuri :  dumani 
tu  resta  cca,  e  ci  scinnu  jeu  unni  lu  rumitu.  »  Lu  'nnumani  ci  icinniu 
lu  Signuri  'n  forma  d'anciulu.  Si  nni  jeru;  si  misiru  a  caminari,  e 
arrivaru  ad  un  ciumi  chi  nun  si  putia  passari.  'Nta  mentri  arriva 
un  bellu  giuvini  cu  'n  armulu  puseddru,  e  Tanciulu  ci  dissi:  —  «0 
bellu  giuvini,  ni  vuliti  fari  lu  piaciri  di  passarinni  a  ddra  banna  di 
lu  ciumi?  Semu  a  lappedi  e  nun  avemu  comu  fari  »  —  «  Patruni!  » 
ci  rispusi  ddru  giuvini  —  «  Va,  passa  tu  prima;  ci  dissi  Tanciulu  a 
lu  romitu  »  —  «No,  passati  vui».  —  «  No,  tu  ha*  passari  prima; 
jeu  h^  ristari  »  lu  romitu  nun  parlau  chiu,  e  passau.  Poi  passau 
I'anciulu;  ma  quannu  si  truvaru  'n  mezzu  di  lu  ciumi,  Tanciulu 
tuttu  'nta  un  bottu  pigghiau  ddru  giuvini,  lu  jittau  'ntal'acqua,  e 
lu  fici  anniari.  Si  maravigghiau  lu  rumitu,  quannu  passau,  e  ci  dissi: 
—  «E  chi  facistivu,  0  anciulu  di  Diu?  Ammazzastivu  ddru  giuvini, 


220  ARCHIVIO  PER  LE  TRADI2IONI  POPOLARI 

doppu  Chi  ni  fici  lu  fauri  di  passarinni?  e  pirchl?  »  —  «  Eh !  rispusi  Tan- 
ciulu,  si  v5'  vidiri  Tarcani  di  Diu,  ha'  veniricumia,  ha*  vidirienun 
hA*  parlari  »  Si  misiru  arrera  a  caminari,  e  si  ni  vinni  un'acqua  stripi- 
tusa,  e  si  vagnaru  tutti  di  la  testa  sinu  a  li  pedi.  Pi  fortuna  c'era 
una  casa  vicina,  e  jeru  ddra  a  dumannari  risettu  e  ad  asciucarisi.  'Nta 
ddra  casa  c'eranu  lu  patri,  la  matri  e  la  figghia,  ch'era  una  bella 
giuvina,  ci  apreru,  li  ficiru  riscardari,  ci  dettiru  robi  pi  mutarisi,  e 
poi  ci  dettiru  la  megghiu  stanza  ch'avianu  pi  ripusari :  'n  summa  ci 
ficiru  un  trattamentu  granni.  La  matina  comu  si  suseru,  a  dissf 
Tanciulu  a  lu  rumitu:  —  «  La  vidisti  ddra  beddra  giuvina?  Chissa 
nun  passira  un'ura  chi  sara  morta  ».  —  «  E  pircW?  )►  ci  rispusi  lu  ru- 
mitu. —  «  Eh !  chissi  sunnu  Tarcani  di  Diu»,  ci  dissi  Tanciulu. 
Doppu  un  pizzuddru,  ringraziaru  a  chiddri  chi  Tavianu  risittatu;  si  li- 
cinziaru  e  si  ni  jeru.  Nun  avianu  fattu  trenta  pass,  chi  'ntisiru  vuci, 
chiantu,  minnitta:  —  «  Figghia!  figghia  mia!  »  —  «  Lu  senti,  rumitu? 
ci  dissi  I'anciulu:  la  picciotta  ^  morta  >►  -  «  Ma  comu?  ci  rispusi 
lu  rumitu;  doppu  chi  ni  ficiru  tantu  beni,  la  facistivu  moriri?  »  — 
«  Si  v6'  vidiri  Tarcani  di  Diu,  veni  cu  mia  senza  parlari  *.  Continuaru 
a  caminari,  e  ci  pirnuttau.  Eranu  vicinu  a  una  casa,  ci  jeru  e  ci 
dumannaru  alloggiu.  —  «  Pi  carita,  ni  vuliti  fari  passari  sta  notti  cca 
dintra?  Semu  poviri  viaggiaturi ;  ni  supravvinni  la  notti,  e  avemu  a 
dormiri  a  lu  sirenu  » —  «  E  dunni  v'h^fari  dormiri?  ci  fu  rispostu.  Lu 
viditi  chi  ci  3u'  li  vestii?  'Nta  li  pedi  di  li  yestii  vi  putiti  jittari  ». 

—  «  Nun  ci  fa  nenti,  n*  accommodamu,  ci  rispusi  Tanciulu.  E  ni  vuliti 
dari  un  pezzu  di  pani,  chi  semu  moni  di  fami?»  —  «E  chi  v'h$. 
dari?  Cca  nun  c'^  nenti:  nun  lu  viditi  chi  chista  ^  massaria?»  Cu- 
stritti  f5ru  ad  adattarisi  a  la  megghiu.  L'anciulu  senza  *ncaricarisi  di 
nenti,  si  jiccau  'n  mezzu  li  pedi  di  li  vestii;  lu  rumitu  si  misi  'nta 
una  gnuniddra  e  passau  la  notti.  La  matina  comu  si  suseru,  Tan- 
ciulu  pigghiau  un  sacchiteddru  di  dinari,  e  ci  dissi  a  lu  rumitu :  — 
«Te'  cca,  mettici  sti  dinari  dunni  iddru  si  curca.  »  —  «Comu:  ci 
rispusi  lu  rumitu :  ci  dati  dinari  doppu  chi  ni  fici  dormiri  'n  mezzu 
li  pedi  di  li  vestii,    e  nun  ni  vosi  dari  mancu  un   pezzu   di  pani  ? » 

—  «Anzi  sti  dinari  su'  picca,  ci  rispusi   Tanciulu:  te'  cc^  st' autru 
sacchiteddru,  e  metticcillu  darrera  la  porta ».    Accuss^  ficiru  e  si  in 


LEGGENDF.  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  Dl  SICILIA  221 

jeru.  Ma  lu  rumitu  era  tuttu  sturdutu,  e  nun  si  putia  pirsuadiri. 
«Comu?  jia  dicennu  alPanciulu:  chiddri  chi  ni  ficiru  tantu  beni,  vui 
li  facistivu  moriri;  chistu  chi  pi  miraculu  ni  fici  trasiri,  c\  facistivu 
tantu  beni ».  —  «  V5'  dunca,  ci  rispusi  Tanciulu,  sapiri  Tarcani  di  Diu? » 
—  «  Senti.  Ammazzai  ddru  giuvini  chi  ni  passau  di  lu  ciumi,  pircW 
avia  a  jiri  ad  ammazzari  un  patri  di  setti  figghi,  e  li  avia  a  lassari 
'n  mezzu  li  strati.  Fici  m6riri  ddra  bella  giuvina,  pircW  s'avia  a  ma- 
ritari  cu  'n  picciottu,  chi  avia  ad  ammazzari  la  soggira  e  lu  soggiru, 
e  megghiu  moriri  iddra,  chi  suffriri  'ngiustamenti  lu  patri  e  la  matri. 
Datti  denari  ed  arricchivi  a  chiddru  chi  ni  fici  dormiri  *n  mezzu  li 
pedi  di  li  vestii,  ^veru;  ma  chissu  ^  gia  cunnannatu  a  lu  'nfernu)>. 
Comu  'ntisi  stu  pjrlari,  lu  rumitu  nun  vosi  chiu  conusciri  Tarcani 
di  Diu,  e  turnau  subitu  subitu  a  lu  s6  rumitoriu. 

Questo  racconto  6  il  poemetto  di  Pamell  del  medesirao  titolo;  ma  h  pid  an- 
tico  di  Pamell.  Vedi  Gemme  slraniere  ccc.  traduzione  di  G.  Ghinassi.  Firenze, 
Alessandro  Volpato  editore,  pag.  419. 


VIII.  Lu  Signuri  di  LAttisi. 

Cera  lu  Signuri  di  Luttisi,  chi  quannu  si  ci  dava  un  granu, 
dava  quattrucentu  unzi.  Un  puvureddru,  mischinu!  ci  detti  un  granu, 
e  un  jornu  poi  ch'avia  veru  fami  cu  tutta  la  famigghia,  dissi:  «  Jeu 
detti  un  jornu  un  granu  a  lu  Signuri  di  Luttisi:  vogghiu  jiri  a  fa- 
rimi  dari  quattrucent'  unzi. »  Si  partiu  e  si  ni  jiu.  Ci  pirnuttau  'nta 
un  paisi,  e  si  prisintau  a  la  casa  d'un  principi,  ch'era  veru  riccuni 
ed  avia  una  figghia  ch'  un  s'avia  pututu  maritari,  pirchl  pi  partitu 
nun  ci  mannava  nuddru.  Lu  principi  ci  dissi :  —  «  E  vui  chi  jiti 
facennu?»  —  »Jeu  detti,  rispusi  iddru,  un  granu  a  lu  Signuri  di 
Luttisi,  ed  ora  vaju  a  dumannaricci  quattrucent'  unzi »  —  «  E  tutta 
ssa  via  aviti  a  fari  ?  >►  —  «  L'h^  fari :  ddra  h$  essiri  »  —  «  Mi  vuliti  fari 
dunca  un  piaciri  ? »  —  «  Patruni.  »  —  «  Ci  aviti  a  dumannari,  pirchl  me' 
figghia  cu  tutti  li  so'  ricchizzi  nun  s'ha  pututu  maritari  sin  a  st'ura, 
e  nun  ci  veni  nuddru  pi  partitu  »  —  «Ci  lu  dicu».  —  Si  partiu 
lu  'nnumani  matina  di  lu  principi;  si    misi  a  caminari,  e  arrivau  a 


/^^ 


222  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARl 

un  jardinu,  e  dumannau  alloggiu  pi  ddra  notti  a  lu  jardinaru.  - 
«E  vui  chi  jiti  t:icennu?»  d  dissi  lu  jardinaru  —  «Detti  un  granu 
a  ki  Sicjnuri  di  Luttisi,  e  vaju  pi  li  quattrucentu  unzi  chi  m'havi  a 
dari  &  —  «  Vih  1  chi  via  lunga  aviti  a  fari!  »  —  «  Nun  haju  chi  fari: 
ddra  h^  essiri  *  —  «  E  mi.  vuliti  fari  un  piaciri  ?  »  —  «  Macari  centu, 
si  pozzii  if>  —  «tCi  aviti  a  dumannari  a  lu  Signuri  di  Luttisi,  pirchl 
lu  me  jarJinu  prima  carricava,  ed  ora  nun  carrica  chiu :  e  nun 
mi  resta  chiu  iienti  di  guadagnu  >►  —  «  Oh!  chissu  h  nenti:  nun 
ci  pinsati^.  Lu  'cmumani  mattinu  si  partiu  e  cuminciau  a  caminari, 
e  arriviiu  a  un  ortu,  e  siccomu  ci  pirnuttau,  dumannau  pi  cariti  alloggiu 
a  Turtulanu  —  <*  E  vui  dunni  jiti?»  ci  dissi  I'urtulanu  — •  «  Vaju,  ci  ri- 
spusi^  unni  ki  Signuri  di  Luttisi,  pircW  jeu  ci  detti  un  granu,  ed 
jddru  m/havi  a  dari  li  quattrucentu  unzi »  —  «Longa  ^  la  via;  ma 
si  vui  d  jiti  venimenti,  m' aviti  a  fari  un  piaciri,  e  vi  restu  obbria- 
tissimui*  —  *(  Diciti;  jeu  sugnu  cca»  —  «Ci  aviti  a  dummannari  a 
lu  Signuri  di  Luttisi,  pirchl  prima  1  'armali  nun  mi  murianu  ».  — 
«Gnurs^;  nun  ci  pinsati;  ci  dumannu;»  Lu  'nnumani  partiu,  e  fi- 
narmenti  arrivau,  e  jiu  unni  lu  Signuri  di  Luttisi,  ch'era  missu  'n 
crucL  Iddru  ci  dumannau  li  quattrucent*  unzi,  e  lu  Signuri,  ch'avia 
una  sannula  d'uru,  aisau  lu  pedi,  comu  si  ci  avissi  vulutu  dari  la 
sannula.  *  No,  ci  dissi  iddru ;  jeu  nun  vogghiu  la  sannula,  vogghiu 
U  quattrucentu  unzi,  pirchl  vi  detti  lu  granu.  Lu  Signuri  allura  ci 
detti  li  quattrucentu  unzi.  Li  monaci  (chi  ddra  c'era  un  cunventu) 
chi  vittiru  sti  finzioni,  ristaru  maravigghiati,  e  dissiru:  —  «Chistu 
veru  santu  havi  a  essiri,  chi  parla  cu  lu  Signuri !  ».  Pigghiaru  e  ci  pur- 
taru  un  bellu  piattu  di  maccarruni,  la  cucchiara  e  la  furchetta.  —  «  Una 
cucchiara  e  una  furchetta  mi  purtati.?  ci  dissi  iddru:  dui  mi  ni  aviti 
a  purtiri  j*.    E  ci  ni  purtaru  dui.   Allura  iddru   dissi  a  lu  Signuri: 

—  ^  Signuri,  scJnniti  e  manciamu  ».  Lu  Signuri  scinniu  e  manciaru. 
Doppu  chi  manciaru,  iddru  ci  dissi :  —  Signuri,  v'h^  dari  una  priera». 

—  ^  Parla».  <^M'aviti  a  diri  pirchl  lu  principi  tali,  ch*^  riccuni,  nun 
ha  putulu  maritari  a  s5  figghia»  —  «Cuminciassi  a  fari  limosina, 
ci  rispusi  iu  Signuri,  e  s6  figghia  si  marita  prestu».  —  «  Ed  ora 
nautra  pnera  v'  h^  dari.  Mi  aviti  a  diri.  Pirchl  alu  jardinaru  tali 
lu  jardinu  prima  ci  carricava,  ed  ora  nun  ci  carrica  chiu? »  —  «Pirch\ 


i 


LEGGENDE  BIBLICHE  E  RELIGIOSE  Dl  SICILIA  223 

prima  muru  a  lu  jardinu  nun  c\  n'era,  e  ognunu  chi  passava  si  ar- 
rifriscava  la  vucca:  c\  livassi  dunca  lu  muru,  e  lu  jardinu  ci  carrica 
arrera  ».  —  «Signuri,  st'autra  priera  sulu  v'h^  dari.  PirchlaTurtu- 
lanu  tali  prima  Tarmali  nun  ci  murianu,  ed  ora  ci  morinu  tutti?  j*  ^ 
Pirchl  prima  nun  bistimmiava  mai,  e  ora  bistemmia  comu  un  Turcu, 
chi  fa  arrizzari  li  carni »  —  Doppu  si  ni  jiu,  e  prima  turna  unni 
Turtulanu.  —  «  Oh  !  vinistivu?  ci  dissi  Turtulanu  —  Chi  vi  diss)  iu 
Signuri?  >►  —  «]Vli  dissi,  chi  vui  bistimmiati  di  la  matina  sinu  a  la  sira^ 
e  di  la  sira  sinu  a  la  matina.  Nun  bistimmiati  chiu  e  Tarmali  nun 
vi  morinu  chiu  ».  L'urtulanu  lu  ringraziau,  e  ci  detti  un  cumprimt^nttu 
jiu  poi  unnu  lu  jardinaru.  Lu  jardinaru,  quannu  lu  vitti,  ci  dissi: 
—  «Ci  jistivu  unni  lu  Signuri  di  Lutlisi?»  —  «  Ci  jivi  »  —  «E 
chi  vi  dissi? »  —  «  Mi  dissi  chi  prima  lu  vostru  jardinu  mura  nu  n'  avia 
e  ognunu  chi  passava  si  putia  arrifriscari  la  vucca.  Dirrupati  dunca 
li  mura,  e  lu  jardinu  vi  carrica  arrera  ».  Anchi  lu  jardinaru  lu  rin- 
graziau e  ci  detti  nautru  cumprimentu.  Finarmenti  jiu  unni  lu  Prin* 
cipi  e  ci  dissi :  «  Principi,  lu  Signuri  di  Luttisi  mi  dici  chi  si  fa  limosina, 
s6  figghia  si  marita  prestu  ».  Lu  Principi  lu  ringraziau  puru ;  e  ci 
detti  un  bonissimu  cumprimentu  ;  fici  limosina  e  s5  figghia  'nti 
quattru  botti  si  maritau. 

{Continua),  Raffaele  Castei-ll 


MODI  Dl  DIRE  DEL  VOLGARE  Dl  CHERSO 


Fortunati....  quibus  aether  ridet  apertusl 

A.  M. 

Ai  cultori  delle  lettere  non  sonera  ignoto  il  nome  del  mio  paese 
natale:  Cherso,  una  cittadetta  adagiata  in  fondo  a  unMnsenatura  del- 
Tantica  Assirtide,  coronata  da  chiome  verdeggianti  di  olivi ;  ove  lenta 
scorre  la  vita,  e  apparentemente  tranquilla,  senza  il  frastuono  assor- 
dante  degli  opifici  n^  Tinsistente  romore  di  carri  rotolanti  sul  selciato. 
Forse  inopportuno,  ma  certo  non  dalle  nostre  forze,  sarebbe  il  rian- 
dare  la  storia  di  questa  terra,  che  vide  le  graridezza  della'  Repub- 
blica  gloriosa  i),  e  si  sentl  sempre  romana,  e  nudrl  delle  sue  zolle 
filosofi  2)  e  guerrieri,  giurisperiti  e  poeti  e  grammatici ;  vanto  d'ltalia  3). 

Ora,  mentre  stanno  per  compiersi  (il  ciel  non  voglia!)  tristi  ri- 
vestimenti  di  politica  interna,  e  gia  di  barbariche  genti  una  valanga 
dissolvitrice  ci  incalza  alle  spalle,  Tanimo,  che  rifugge  inorridito  dalle 
vilti  di  chi  mercanteggia  con  la  coscienza  la  patria,  trova  giovevole 
alleviare  Tamaritudine  sua  con  il  conforto  degli  studii.  E  perch^  an- 
cora  una  volta  chiaramente  si  comprovi  il  carattere  veneto  di  questa 
terra,  ove  il  Leone  di  San  Marco  —  non  ostante  il  martello  di  nuovi 


i)  Chi  volesse  conoscere  da  vicino  la  storia  di  Cherso,  potrebbe  consultare  con 
profitto  i  numerosi  scritti  di  due  miei  valenti  concittadini,  il  prof.  Silvio  Mitis  e 
il  prof.  Stefano  Petris. 

a)  Francesco  patrizio  (1529-1597),  contemporaneo  del  Tasso,  fu  uno  dei  piCi 
robusti  filosofi  d'allora;  ne  k  partato  diffusamente  oltre  il  Guerrini  anche-il  Carducci. 

3)  11  20  novembre  del  1867,  per  i  tipi  di  Giuseppe  Grimaldo  usciva  a  Venezia 
la  prima  Grammatica  dell'abate  Giovanni  Moise,  chersino,  la  quale  dai  migliori 
filologi  e  letterati  del  tempo  fu  giudicata  la  piCi  completa  grammatica  d' Italia. 


MODI  Dl  DIRE  DEL  VOLGARE  Dl  CHERSO  225 

dominatori  —  a  lasciato  tracce  indelebili,  dal  mio  zibaldone  vo'  spi- 
golando  alcune  frasi  p)er  lunga  tradizione  vive  nella  bocca  del  nostro 
popolo. 

Andar  a  far  pipe,  espressione  metaforica  per  morire,  in  tutto 
simile  al  veneziano:  andar  a  far  tera  da  bucai,  I  toscani  dicono 
invece  andar  tra  i  cavoli;e  forse  un  po'  piu  gentile.  Con  questo 
significato  sono  usate  da  noi  anche  le  frasi  diatirar  i  calcagni  op- 
pure  iirar  el  fidy  che  sarebbe  Vanimam  redder e  dei  latini.  In  TO' 
scana  0  meglio  a  Firenze,  ^  molto  popolare  un  modo  consimile :  iirar 
Vaiolo  0  ripiegar  le  coia, 

Andar  o  eaaer  in  aridn,  a  torsio,  con  le  varianti  andar  a 
torzion^  a  abrindolon,  andare  a  bighellonare ;  i  toscani  ^nno :  andar 
a'  giostroni. 

Andar  in  sdmolay  per  diventar  sciocco.  In  questo  caso  s^mola 
(lat.  aimila),  che  veramente  ^  la  crusca  piu  minuta  uscita  dalla  se- 
conda  stacciata,  potrebbe  essere  una  corruzione,  con  aggiunta  di  suf- 
fisso,  derivata  da  «acemo)^  ').  Pero  non  h  da  escludersi,  che  possa 
voler  indicare  un  rammolimento  del  cerebro,  per  analogia  al  pro- 
cesso  del  grano  divenuto  tritello:  tanto  piu  che  andar  in  abmola 
a  un  doppio  significato,   corrispondente  all'italiano  diventar  pappa. 

Per  vagellare,  divenir  scemo,  usiamo  anche  le  frasi  andar  in 
oca  e  andar  in  vbraia:  vkraia  (in  cui  senza  sforzo  si  ravvisa  la 
radice  latina  veraus),  e  detto  da  noi  il  vin  cercone,  ossia  il  vino 
quand'd  girato  e  che  a  fatto,  come  volgarmente  si  dice,  il  t5mbolo. 

Due  frasi  plebee,  un  po*  sconce,  ma  molto  espressive,  sarebbero: 
gaver  aaaai  c...  per  molta  fortuna,  specialmente  algioco:  e  gaver 
uno  in  c....,  per  infischiarsene. 

La  camiaa  no  ghe  toca  el  c vuol  dire  b  fuor   di  s^  dalla 

gioia,  frase  che  la  buon'animj  di  Terenzio  bellamente  tradurebbe 
col  sue  «  ob  gaudium  ludoa  praebet  *.  E  poich^  siamo  alle  ciliege, 


i)  In  cio  s'accorda  il  distint6  G.  Vidossich,  nel  dare  retimologia  di  <  semenza  » 
usata  dai  triestini  in  una  frase  analoga  (v.  Archeoffr.  THest.,  a.  1905,  fasc.  I, 
pp.  145-146  -  Trieste,  Stabil.  Artist.  Tip.  G.  Caprin). 

Archivio  per  le  tradigioni  pojfclari.  —  Vol.  XXlil.  i9 


226  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

citeremo  anche  Vesser  c...  e  camiaa,  per  denotare  due  amid  intrin- 
seci,  che  vadano  d'accordo  «  come  pan  e  formaio  ». 

Far  Vongia,  parlando  ironicamente  di  quelle  zitelle,  che  aguc- 
chiando  sedute  alia  calzetta  attendono  invano  «un  bocon  de  mari». 
E  una  zitellona  vien  detta  anche  ongeta  piccola  unghia.  Forse  — 
come  in  una  circostanza  affine  a  gia  bene  osservato  il  Sabalich  i), 
—  si  vuole  alludere  qui,  per  via  di  similitudine,  alia  leggenda  del 
Priapo  ungulate,  che  i  ciceroni  di  Venezia  non  omettono  d*accen- 
narvi  trapassando  per  ponte  Rialto. 

Rovere  no  ga  da  mat  naranze,  ^  una  leggiadra  perifrasi,  rac- 
chiudente  un  vero  grano  di  sapienza  popolare.  —  Com'^  impossi- 
bile,  sentenzia  filosoficamente  il  nostro  buon  popolano,  che  una 
quercia  produca  aranci,  cosl  lo  zotico  per  quanto  invecchi  non  rag- 
gentilisce  mai.  —  Rustica  progenie,  sempre  villana  fu ;  e  i  cala- 
bresi  esclamerebbero,  poco  diversamente :  «  Ciucchiti  vecchiu  nun 
parra  latinu»  —  In  Toscana,  come  mi  suggerisce  cortesemente  il 
prof.  Giannini  di  Arezzo,  e  in  uso  il  bel  modo  proverbiale,  quasi 
simile  al  nostro:  quercia  non  fa  limoni  2), 

Esser  in  cimberli,  usitatissimo  da  noi  b  viva  voce  di  Toscana, 
dove  talvolta  si  adopera  anche  il  modo  esser  in  bernocche  (dal  lat. 
ebrdniciis,  ubriaco).  II  Petrocchi  cita  la  variante  esser  in  cimbali, 
pure  in  uso  da  noi. 

El  giorno  de  San  Mai  oppure  ai  39  de  maio,  usa  per  indi- 
care  una  data  impossibile:  piu  frequente  ancora  il  modo  el  giorno 
de  San  Bin  -  che  no  sard  mai  fin.  lo  riterrei  che  San  Bin  sia 
una  stroppiatura  popolare,  con  sincope  ed  apocope,  di  San  Bellino, 
adoperata  dai  fiorentini  in  una  frase  dello  stesso  tenore. 


1)  Giuseppe   sabalich,    Tradizwni  popolari  Zaraline ;  Spalato,    1904   (nel 
volume  dedicate  dagli  studenti  dalmati  ad  Adolfo  Mursafia). 

2)  E  sardonicamente 

Le  quercie 

fanno  i  limoni, 
esclamava  quel  nobile  ingegno,  clje  fu  Severino  Ferrari,  parlando  d*un  buacciool 
divenuto  titolare  di  liceo  (v.  Ode  a  Giovanni  Marradi). 


MODI  DI  DIRE  DEL  VOLGARE  Dl  CHERSO  227 

Pien  de  ciodi,  per  carico  di  debit! ,  ^  un  modo  famigliare  co- 
mune  anche  alia  buona  lingua. 

Bater  la  gnifa,  stare  in  ozio,  vivere  da  scioperato. 

La  parola  gnifa  e  presumibile  abbia  comune  origine  con  la  voce 
toscana  niffa^  che  significa  grugno  ed  h  oramai  fuori  d'uso.  Di  questa 
espressione,  che  fa  parte  anche  del  dialetto  triestino,  a  trattato  esau- 
rientemente  il  Vidossich  nel  lavoro  gia  citato. 

Che  folpo!  i)epiteto  salace,  che  si  affibbia  volgarmente  a  quelle 
donnine,  a  cui  h  rimasta  ancora  la  fr^gola  di  apparir  piacenti,  tut- 
tochfe  vizze  e  dalle  carni  meuce.  Una  di  quelle  femmine  insomma, 
a  cui  il  b^cero  mordace,  se  punto,  lancerebbe  senz'altro  col  suo  tono 
canzonatorio  il  frizzo  pepato:  la  me  gentildonna  di  Troia!  come 
lo  si  pu6  sentire  ne'  pressi  di  Borgo  la  Noce. 

MaUeatOy  voce  usata  molto  spesso  dalle  madri  per  rampognore 
i  bambini,  quando  fanno  dei  danni.  Anzich^  volerla  derivare  dal  par- 
ticiple latino  sexus  e  dalPavverbio  prepositive  nwl,  io  ardirei  accc- 
starla  alia  voce  italiana  maleatro  di  identico  significato.  Ne'  suoi 
appunti  del  vocabolario,  il  De  Amicis  sotto  «  malestro  »  osserva :  «  pa- 
rola di  cui  le  madri  hanno  molto  bisogno,  alia  quale  sostiiuiscono 
malamente  monelleria,  scappatella,  ecc.  Malestro  si  dice  qualunque 
danno  facciano  per  casa  i  ragazzi,  come  romper  piatti,  bicchieri  e 
simili  2)». 

Vederghe  el  fondo,  trattandosi  di  denari,  sperperare  sino  alPul- 
timo  quattrino,  scialacquare.  El  ga  le  man  abuse  0  le  acarahle 
tasche  aensa  fondo,  parlando  di  uno  che  non  conosce  moderazione 
e  spende  quanti  piu  ne  a.  Dar  fondo  a...  h  pure  delFuso  toscano; 
i  siciliani  in  questo  caso  adoperano  talvolta  la  frase  cci  appizza  lu 
lu  cottu  e  crudu,  da  noi  si  potrebbe  tradurre  col  verso  dantesco : 

Biscazza  e  fonde  la  sua  facultate  (Inf.  XI,  v.  44). 


i)  Folpo,  parola  veneta  equivalente  all'ltaliano  polipo:  qui,  per  similitudine 
presa  dalla  natura  cartilaginosa  del  polipo,  indica  la  mollezza  nauseante  delle 
carni  di  persona  grassoccia. 

a)  Vedi  Plag^ine  Sparse  di  EDMONDO  DE  AMICIS. 


228  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Far  el  reporter,  per  fare  la  spia :  brutto  neologismo  infiltratosi 
neil'uso  comune,  forse  per  influenza  del  dominio  francese  di  triste 
memoria,  I  toscani  anno  una  cosl  bella  frase,  che  meriterebbe  dav- 
vero  un  uso  piu  generate:  soffiare  nella  pappa  hollita^  e  meglio 
comf  dicono  i  camaldolesi,  soffiar  nippan  hollito  o  far  la  marrocca. 

Due  frasi  di  colorito,  direm  cosl,  prettamente  locale  sarebbero: 

No  j^e  mi  (fa  un  solo  niulo  in  ponta  grasaa!  uscita  ironica 
qua n do  si  vuol  tagliar  corto  con  uno,  che  mai  la  smette  di  descri- 
vere  e  magnifrcare  un  oggetto  da  lui  visto  o  posseduto,  come  se  piii 
non  5i  pfjtessc  trovare  uno  simile  al  mondo.  Punta-grassa,  localita 
delki  nijstra  i:>ola,  era  ab  antiqtw  un  pascolo  rinomato. 

BruUo  come  i  musi  dei  frati.  —  Non  gi^  che  la  prerogativa  (!) 
d'un  brutto  ceffo  sia  esclusivamente  per  i  frati,  poverini:  Tespres- 
sione  per^  trat^  origine  da  certi  orribili  visacci  di  pietra,  incastrati  a 
scope  decora tivo  nel  sesto  degli  archi  del  campanile  d*un  convento 
francescano,  p(3C0  discosto  dalla  citta. 

Bibiez20,  c  tutto  dire  perditempo:  questa  parola  serve  per  espri- 
mere  un  lavoro  i),  se  non  di  difficile  fattura,  di  somma  pazienza  e 
attcnzione;  e  poi  per  traslato  anche  indugio,  ritardo.  Piero  Conta- 
rini,  nel  suo  vncaboiario  del  dialetto  veneziano,  di  bibiesso  non  da 
che  Tultimo  significato;  e  piu  sopra  nota  bibia,  tentennone,  posa- 
piano  —  e  bihiaz,  indugiare,  andar  lento.  NellMndagare  Torigine  eti- 
molo;:^i<:a  di  hihiezzo  qualcuno  mi  pose  innanzi  una  forma  perfet- 
tiva  greca  con  riflcsso  al  suo  significato,  che  sarebbe  di  effettuare 
qualche  c<>Sci  con  forza:  ma  la  non  mi  parve  buona,  tanto  piu  che 
qui  (pur  trascurando  le  non  piccoie  difficolta  fonetiche)  forza  sarebbe 
sinonima  di  vitilenza. 

Dai  canto  mio,  considerando  che  per  designare  una  cosa  lunga 
lunga  si  adopcra  scherzosamente  I'espressione  longo  come  la  bibia  ») 
pensai  che  il  popolo  dalla  radice  bibia  abbia  potuto  foggiarsi  la  pa- 
rola bibieszo,  appunto  per  indicare  un  lavoro  seccante,  che  richiede 


I J  Per  So  piu  tli  lavorini  ad  ago,  ricami,  oppure  lavori  di  traforo. 
a)  Da  Bihbia*  Scrittura. 


ffjtl-jP|P!^^ 


MODI  DI  DIRE  DELVOLGARE  Dl  CHERSO  229 

un'infiniti  di  tempo  e  una  bona  dose  di  pazienza.  Non  la  vi  pare 
accettabi  le  ?  Scartiamola ! 

Questo  saggio,  rabberciato  con  mano  inesj:)erta,  se  anche  non 
apportera  gran  che  di  nuovo  alia  larga  messe  degli  studi  folklorici, 
varr^  tuttavia  a  meglio  affermare  TitalianilA  —  pravamente  concul- 
cata  -  dicerte  region!  di  quell'lstria  nostra,  che  gia  Cassiodoro  disse 
^bella  cosl  da  tornare  ad  ornamento  d'ltalia  ». 

Qual  si  sia,  h  un  tributo  d'amore  alia  mia  isola  rupestre,  cai 
bagnan  Tonde  azzurrine  del  Guarnaro,  multisonante  nelle  procelle. 

ChersOy  net  f^ennaio  1^06. 

Jacopo  Cella. 


Privo  degli  aiuti,  che  pu6  offrire  una  grande  biblioteca,  nel  compilare  questo 
breve  lavoro  mi  sono  accontentato  di  consultare  le  seguenti  opere:  PIETROCON- 
TARINI,  VocaboL  deldial,  venez.^  Venezia  1888  (Tipografia  dell'Ancora).  -  GIO.  BAT- 
TISTA  ZANNONr,  fiorentino,  Scherzi  comtci,  Milano,  Silvestri  1850.  -  P.  FANFANI, 
Voci  e  maniere  del  parlar  fiorentino^  1870.  -  MELI,  Puisii  Siciliani  (ed.  v.)  - 
Canzoniere  catabro.  -  P.  PETROCCHI,  Novo  Diz.  scol.  Milano,  Treves  1904.  - 
N.  TOMMASEO,  Diz.  dei  sin.  -  G.  GALLINA,  Commedie.  -  Teatro  di  CARLO 
GOLDONI,  Venezia  MDCCCXXVII.  -  G.  GIUSTI,  Proverbi  toscani.  Firenze,  Felice 
Le  Monnier,  1853.  -  G.  RIGUTINI,  Neolog,  buoni  e  cattivi,  Firenze,  G.  Barbera, 
Ed.  1902.  -  SEVERING  FERRARI,  Versi,  Saresino  1906. 


I  NEGRI  DI  AGIAKA  NEL  DAHOMEY  IN  AFRICA 


I.  Popolazione. 

La  popolazione  di  Agiara  ^  di  origine  dahomeana.  La  lingua  h 
TAgiara-gbe,  ossia  la  lingua  di  Agiara.  II  fondo  di  questo  dialetto  h 
bene  dahomeano,  ma  se  si  confronta'col  vero  dahomeano  che  si  paria 
a  Abomey  e  a  Uidah,  non  h  propriamente  che  un  vernacolo.  Del 
resto  nel  dialetto  di  Agiara  vi  sono  introdotte  molte  parole  naghe, 
essendo  gli  abitanti  di  Agiara  in  continua  relazione  con  Porto-Novo, 
dove  il  nago  h  parlato  da  quasi  tutti  i  Negri,  e  con  Lagos,  capitale 
del  Benin  inglese,  dove  I'unico  idioma  k  il  nago. 

Gli  abitanti  di  Agiara  hanno  conservato  della  loro  origine  daho- 
meana un  carattere  bellicoso.  Tutti  portano  appeso  alia  loro  cintola 
un  pugnale  col  suo  fodero.  Non  escono  mai  senza  i  loro  bastoni,  fer- 
rati  in  punta  con  un  solido  anello  di  ferro,  fatti  apposta  per  incu- 
tere  rispetto.  Del  resto  per  un  nonnulla  si  danno  fra  loro  bastonate 
tremende. 

Ma  se  k  giusto  il  confessare  che  sono  di  umore  battagliero,  bi- 
sogna  dir  pure  che,  per  essere  Negri,  lavorano  ancora  molto.  Vi  sono 
poche  parti  del  Dahomey  che  siano  cos^  ben  coltivate  come  nel  distretto 
di  Agiara.  Non  vi  sono  quasi  terreni  incolti.  La  regione  fe  ricca  di 
palmizi  da  olio.  Le  pannocchie  sono  raccolte  con  gran  cura  e  la  quan- 
tita  di  olio  e  di  mandorle  di  palma  che  h  spedita  a  Porto-Novo  nei 
mesi  di  dicembre,  gennaio,  febbraio,  marzo  e  aprile  prova  che  lavo- 
rano di  polso. 

La  cultura  della  palma  da  olio  frutta  del  resto  molto.  Dire  ad 
un  Negro  che  ha  moiti  palmizi  e  lo  stesso  che  dire  che  h  ricco.  Na- 
turalmente  il  Negro  che  possiede  molti  palmizi  non  lavora;  sono  gli 
schiavi  che  fanno  tutto.  Vi  ^  anche  un'altra  categoria  di  opera!,  i  de- 


I  NEGRI  DI  AGIARA  NEL  DAHOMEY  IN  AFRICA  23 1 

bitori.  Mi  spiego.  Se  un  Negro  ha  bisogno  di  denaro,  va  a  trovare  un 
vicino  ricco  pregandolo  di  prestargli  la  somma  che  richiede.  Se  questi 
acconsente,  Taltro  deve,  secondo  gli  usi  del  paese,  venire  a  lavorare 
ogni  cinque  giorni  per  il  suo  creditore  fino  alia  completa  restituzione 
della  somma. 

Parliamo  ora  della  vita  di  famiglia  dei  Negri  di  Agiara,  la  quale 
differisce  pochissimo  da  quella  degli  altri  Negri  d'Africa.  Come  tutti 
i  loro  rompatriotti,  essi  sono  poligami.  Le  fanciulle  sono  comprate  da 
piccine.  Si  comincia  col  dare  cinquanta  o  sessanta  franchi.  Se  la  fu- 
tura  sposa  k  collocata  per  un  anno  o  due  nella  casa  del  feticcio,  b 
il  futuro  sposo  che  deve  provvedere  alle  sue  spese.  Se  vi  b  una  festa, 
tocca  ancora  a  lui  a  comprare  i  panni  e  le  collane  di  perle  per  or- 
nare  la  sua  fidanzata.  Insomma  bisogna  spendere  tanto  e  tanto,  finch^ 
la  fanciulla  non  sia  giunta  alPeta  nubile,  che  non  ^  raro  che  un 
uomo  abbia  dato  al  genitori  in  denaro  0  ai  vari  membri  della  fa- 
miglia in  regali  500  o  600  franchi. 

Non  entro  qui  a  parlare  di  tutte  le  complicazioni  che  produce 
questo  mercimonio.  Ci  sarebbe  da  scrivere  un  grosso  volume.  Ma 
entrata  che  sia  la  sposa  in  casa  deh  marito,  oh!  allora  se  la  cavi 
come  pu6  per  vivere.  Sara  un  gran  che  se  di  tempo  in  tempo,  a 
grandi  intervalli,  le  da  due  0  tre  soldi  e  solo  quando  allattera  i  suoi 
figliuoli.  In  quanto  a  questi  non  se  ne  da  pensierb  n^  punto  n^  poco. 
Tutto  incombe  alia  madre.  II  padre  mangia  solo  e  quando  h  sazio 
nessuno  in  casa  deve  piu.  aver  fame. 

Passo  sotto  silenzio  le  rivalita,  le  gelosie  che  esistono  fra  le 
mogli  di  uno  stesso  uomo  e  fra  i  figli  delle  diverse  mogli. 

Fate  un  confronto  fra  queste  famiglie  e  quella  nel  cui  seno  siete 
stato  allevato  e  ringrazierete  Iddio  di  avervi  fatto  nascere  da  geni- 
tori cristiani. 

Due  parole  sui  funerali.  I  Negri  seppelliscono  prima  di  tutto  i 
morti  nelle  loro  capanne. 

Un  anno  dopo  la  morte  si  scava  nuovamente  il  luogo  dove  h 
stato  sepolto  il  defunto,  e,  cosa  che  fa  orrore,  si  prende  la  testa  e 
si  mette  in  un  vaso  che  si  sotterra  ancora  nella  capanna.  Allora  sol- 
tanto  si  dice;  il  tale  ^  mortou  Gli  amici  vengono  a  presentare  con 


232  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

viso  compunto  le  loro  condoglianze  alia  famiglia  addolorata.  Si  van- 
tano  le  qualita  del  defunto.  Figuratevi!  tanto  brava  persona!  Per 
affogare  il  dolore  si  fanno  passare  bottiglie  di  anisetta  e  di  tafia.  Si 
ammazzano  une  o  due  maiali  e,  venuta  la  sera,  d  sara  banchetto, 
rallegrato  da  schioppettate  in  quantita. 

Non  crediate  per5  che  i  miei  parrocchiani  di  Agiara  credano  che 
colla  morte  tutto  sia  finito.  Vi  diranno  sul  serio  che  i  loro  defunti 
sono  andati  nella  casa  di  Dio.  Infatti  questa  gente  ha  la  nozione  del- 
I'esistenza  di  Dio.  II  nome  di  Dio  «  Gi^-hu^  >►  h  spesso  sulle  loro 
labbra,  ma,  ohim^!  finisce  11. 


II.  11  Mercato. 

Chi  ha  veduto  un  mercato  nel  Dahomey  li  ha  veduti  tutti.  In 
tutti  troverete  stoffe  venute  direttamente  dalla  Germania  o  dall'ln- 
ghilterra,  stoviglie  europee,  terraglie  indigene,  granturco,  ignami,  pa- 
tate  dolci,  pepe,  sale,  olio  di  palma,  pollastri,  piccioni,  galline  faraone, 
indaco,  profumi,  noci  di  cola  e  molte  altre  cose  ancora  che  un  buon 
cuoco  cercherebbe  invano  nei  mercati  dei  nostri  paesi.  Ma  quello  di 
Agiara  ha  una  piccola  particolarita :  vi  si  trovano  almeno  una  doz- 
zina  di  trattorie.  Sicuro,  proprio  trattorie. 

Non  vi  sono  tovaglie,  non  forchette  fe  a  che  servirebbero  le 
cinque  dita?)  non  bicchieri,  non  bottiglie.  II  Negro  e  di  parere,  e 
giustamente,  che  non  sono  tutti  quegli  oggetti  che  possono  rifocil- 
lare  lo  stomaco. 

Dunque  la  mattina  dei  giorni  di  mercato  ogni  trattore  uccide 
in  due  battute  un  grasso  maiale,  ne  impasta  il  sangue  con  farina  di 
granturco  e  pepe  in  quantita  che  poi  fa  cuocere  a  fuoco  lento  in 
una  gran  pentola,  facendone  un  intingolo  piu  o  meno  denso.  In  due 
0  tre  altre  pentole  fa  bollire  la  carne  e  avanti  gli  awentori! 

Col  manico  del  coltello  o  con  un  pezzo  di  legno  qualunque  il 
trattore  taglia  in  piccoli  pezzi  la  carne  sopra  una  rozza  tavola  rotonda 
sulla  quale  la  mette  in  mostra.  Infatti  gli  awentori  si  affollano.  Cia- 
scuno  prende  un  pentolino,  lo  pulisce  col  pollice   e  lo   presenta  al 


I  NEGRI  DI  AGIARA  NEL  DAHOMEY  IN  AFRICA  233 

trattore.  «  Per  quanto? »  domanda  questi.  Chi  ne  vuole  per  due  cen- 
tesimi,  chi  per  un  soldo,  ed  egli  prende  qualche  pezzetto  di  carne, 
ci  melte  sopra  quella  salsa  di  sangue  e  cosparge  il  tutto  di  sale  e 
di  pepe  schiacciato.  Per  cinque  centesimi  poi  uno  si  pu6  procurare 
il  lusso  di  una  piccola  schidionata  di  carne  di  maiale.  La  moglie  del 
trattore  sta  in  un  angolo  con  una  canestra  plena  di  akasse  ossia 
palle  di  farina  di  granturco.  Ciascuno  si  adagia  per  terra  e  si  co- 
mincia  a  mangiare.  Alcuni  ne  riprendono  per  due  centesimi.  Se  per 
caso  si  passa  f)er  di  la,  tutti  vi  diranno:  «  Vieni  a  mangiare,*.  La 
galanteria  vuole  che  si  risponda:  «  Grazie,  ho  mangiato». 

La  trattoria  ^  aperta  tutta  la  giornata.  Quelli  che  sono  venuti 
da  lontano  al  mercato  potranno  ristorarsi  prima  di  tornare  alle  case 
loro.  Cucina  calda,  impepata,  a  buon  mercato,  che  cosa  si  vuole  di 
piu?  Per  tutto  ci6  che  concerne  lo  stomaco  i  Negri  sono  piuttosto 
pratici. 

in.  Peticci  e  stregoni. 

Ho  gia  detto  che  i  Negri  di  Agiara  credono  alia  esistenza  di 
Dio,  ma  non  gli  rendono  verun  culto,  fuorch^  quello  di  adoperare 
piu  che  possono  il  suo  santo  Nome  invano.  Se  un  Negro  dice  sfae- 
ciatamente  la  piu  grossa  bugia,  vi  dira  con  tutta  serieta:  «  Iddio 
vede  benissimo  che  dico  la  verita*.  Dopo  un  certo  tempo  uno  non 
li  crede  piu  e  sta  in  guardia  contro  qualunque  loro  affermazione.  Ed 
h  cosa  prudente. 

Dunque  il  Negro  crede  che  Iddio  esiste,  ma  gli  stregoni,  i  teo- 
logi  del  paese,  hanno  trovato  che  non  si  dava  pensiero  delle  sue 
creature.  Iddio  ha  creato  i  feticci  per  vegliare  sugli  uomini.  Se  uno 
^  ammalato,  si  va  subito  a  trovare  lo  stregone  che  consulta  il  suo 
feticcio,  il  quale  indica  il  rimedio  necessario. 

II  demonio  h  astuto  pur  lasciando  ai  Negri  una  certa  cognizione 
di  Dio,  ha  saputo  distornarli  completamente  da  lui  j:)er  accaparrarseli. 

Lunga  ^  la  lista  dei  nomi  di  tutti  i  feticci.  Ve  ne  sono  per  ogni 
cosa:  per  le  malattie,  pei  matrimoni,  per  le  nascite  e  via  dicendo. 
Agli  uni  si  domanda  danaro;  agli  altri  si  domandano  veleni  per  di- 

Archivio  per  U  tradizioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  30 


234  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

sfarsi  di  un  nemico.  II  tal  feticcio  ^  piu  forte  del  tal  altro  e  neH'O- 
limpo  negro  regna  spesso  la  gelosia.  Prova  ne  sia  un  fatterello  che 
vi  voglio  raccontare  e  che  h  accaduto  a  due  minuti  dalla  missione. 

II  piu  grande  stregone  d'Agiara,  Zozonon,  parola  che  vuol  dire 
stregone  di  Zoz6,  aveva  avuto  Tidea  di  coprire  di  lastre  di  zinco  le 
tre  capanne  del  suo  feticcio.  Presto  aprl  una  sottoscrizione.  Venne 
posta  una  gran  zucca  sulla  piazza  dove  erano  quelle  capanne.  Tutti 
i  Negri  devoti  di  quel  feticcio  venivano  a  deporvi  il  loro  obolo.  La 
moneta  di  rame  veniva  rifiutata,  solo  le  monete  di  cinquanta  cen- 
tesimi  e  piu  erano  accettate  dal  feticcio. 

Zozonon  fece  venire  dei  falegnami  dal  Porto-Novo  e  in  otto 
giorni  il  feticcio  Zoz6  aveva  i  suoi  tre  tempii  (!)  ricoperti  di  lastre. 
I  muri  furono  imbiancati  di  calce  e  spalmati  di  coaltar.  La  dedica 
fu  magnifica.  Vi  furono  tam-tam,  danze  e  tafia  in  quantita.  Non 
c'^  festa  senza  tafia.  Tutti  i  Negri  erano  contenti,  il  feticcio  si  era 
dichiarato  soddisfatto  del  lavoro  e  aveva  promesso  molto  burro  ai 
suoi  adoratori. 

Disgraziatamente  proprio  accanto  al  posto  dove  k  adorato  il  fe- 
ticcio Zoz6  v'^  un  altro  posto  dedicato  a  Donon,  che  fe,  a  quanto 
pare,  fratello  di  Zoz5.  Donon  piu  modesto  ha  un  solo  tempio,  il  cui 
tetto  k  fatto  di  foglie  di  palma,  mentre  Zoz6  ne  ha  tre  imbiancati, 
puliti  e  coperti  di  lastre  di  zinco.  Che  ingiustizia  intollerabile ! 

Povero  Donon!  Tutte  le  martellate  che  i  falegnami  davano  la- 
vorando  per  suo  fratello  gli  straziavano  il  cuore.  Finalmente  gli  salt6 
la  mosca  al  naso  e  dopo  aver  pazientato  per  qualche  giorno  per  ve- 
dere  se  non  si  sarebbe  fatto  niente  per  lui,  risolvette  di  farsi  ren- 
dere  giustizia. 

Ecco  come  fece.  In  una  notte  molto  oscura  venne  sul  luogo  dove 
e  adorato,  gridando,  urlando,  strepitando.  «Come,  diceva,  si  fanno 
tre  belle  capanne  per  Zoz5  e  questo  ^  tutto  quello  che  ho,  io,  suo 
fratello  ?» 

Trasportato  dalla  collera,  svelle  i  bambCi  che  sostenevano  il  letto 
in  foglie  di  palma,  li  spezza  e  getta  le  foglie  in  qua  e  in  \k.  Un  po* 
piu  avrebbe  rovesciato  la  capanna  da  cima  a  fondo.  Finalmente  dopo 
aver  lasciato  dappertutto  le  tracce  della  sua  collera,  Donon  si  ritira. 


I  NEGRI  Dl  AGIARA  NEL  DAHOMEY  IN  AFRICA  235 

Tutti  gli  stregoni  s'intendono  a  maraviglia  fra  loro  per  strattare 
la  credulity  dei  Negri.  Prendiamone  un  esempio  su  mille.  Vi  sono 
stregoni  che  pretendono  di  avere  il  potere  d'impedire  la  pioggi;i,  Que- 
st'anno  le  pioggie  si  sono  fatte  piuttosto  aspettare.  I  Negri  dicevano 
rassegnati:  «Sono  gli  stregoni  che  Timpediscono  ». 

Se  uno  vuol  dare  una  festa  che  debba  durare*piu  giorni,  per 
non  essere  contrariatp  dal  tempo  cattivo  va  a  trovare  gli  stregoni 
che  ordineranno  alia  pioggia  di  non  farsi  vedere  per  tutto  il  tempo 
che  durer^  la  festa.  E  sapete  quanto  prendono  queste  brave  persone 
per  il  loro  lavoro?  La  meschina  somma  di  200  franchi,  senza  con- 
tare  la  loro  parte  del  banchetto  e  del  tafia.  lo  ho  stentato  molto  a 
crederci;  ma  Tho  inteso  affermare  da  tanti  Negri  che  pel  momenta 
ci  credo.  Duecento  franchi  per  impedire  che  piova  quando  non  n'^ 
pericolo  affatto,  perch&  essi  sono  furbi,  veramente  non  mette  con  to 
di  privarsene. 

Ci  credera  chi  vorri,  ma  posso  affermare  che  se  vi  ^  gente  ab- 
bastanza  per  immaginare  questa  bricconata,  ve  n*h  altra  abbastanza 
sciocca  per  crederci. 

E  se  per  caso  durante  la  festa  viene  un  poco  di  pioggia,  cre- 
dete  voi  che  questi  «  onesti  »  stregoni  si  smarriranno?  Neppur  per 
ombra.  fe  semplicemente  che  qualcuno  ha  offeso  il  feticcio.  Allora 
per  placarlo  si  uccide  un  polio  e...  e  da  un  momento  alFaltro  la 
pioggia  cesser^. 

P.  Adriano  Bauzin  i)* 


i)  Annali  delta  prapagazione  della  fede,  marzo  1906,  n,  465. 


INDOVINELLl  SALENTINI 


1.  De  nna  janca  mamma 
nnu  niuru  fiju  nasce, 

e  partennuse  de  quidda 

more  e  nu  pasce.  (Baco  de'  legumi), 

2.  Do'  lucenti, 
do'  pungenti, 
quattru  mazzoccule 

e  nnu  scupareddu  2).  (Bue), 

3.  Sanlu  Linardu,  jutame 
contru  sta  vestia  cresta: 
porta  le  corne  'n  testa 

e  bufalu  nun  ^; 
argentu  vae  vinnennu 
e  urefice  nun  k; 


1)  La  presente  raccolta,  compilata  in  Maglie  e  n3*  paesi  vicini,  per  quanto 
so,  viene  terza  tra  le  salentine,  dopo  quella  del  CONGEDO  {Giambaliista  Basile, 
a.  I,  pagg.  93-96)  e  Taltra  piu  modesta  del  PELLIZZARI,  pubblicata  a  spizzico  nello 
Sludente  mag  lie se  e  aggregata  alle  sue  Fiabe  po polar  i  del  coniado  di  Maglie 
(Maglie,  Tip.  del  Collegio  Capece,  1884)  oggi  rarissime  e,  anche  per  me  del  iuogo, 
irreperibili. 

Crindovinelli  raccolti  confermano  nella  forma  e  nella  sostanza  i  caratteri  ge- 
nerali  della  poesia  enigmatica,  gi^  da  altri,  massimamente  dal  Pitre,  cosl  bene 
rilevati.  II  contrasto  curioso,  Tequivoco  sbalorditivo,  la  laidezza  apparente,  Tingenuit^ 
maliziosa  informano  i  piii  degli  enigmi  della  mia  come  delle  altre  collezioni :  Tanima 
popolare  e  qui,  al  tacco,  la  stessa  de'  punti  piii  lontani  dello  stivale  d 'Italia.  , 

2)  Leggiera  variante  dellMndov.  del  CONGEDO,  0.  c,  pag.  94,  e  di  quello  del 
PELLIZZARI,  Stud,  Magi.,  a.  Ill,  num.  IX,  pag.  28. 


INDOVINELLI   SALENTINI  237 

porta  la  utte  'n  coddu 
e  mieru  nun  ci  n'^. 
Santu  Linardu,  jutame, 
'nduviname  cce  g*h  0.  (Chiocciola), 

4.  Se  lu  viti  quant'e  bruttu, 
se  lu  ndori  quantu  fete, 

se  lu  tanti  quant'fe  pilusu, 

ma  se  lu  proi  sai  comu  ete?!  (Porco). 

5.  De  carne  umana  natu, 
de  carne  umana  pascu; 

ma  quannu  su'  cercatu 

zumpu  comu  fuggiascu.  (Pulce). 

6.  Tegnu  nnu  casciteddu 
tuttu  chinu  de  plpiceddu, 
se  vene  mauma  e  sirima 

Nu  ne  dau  n'acineddu.  {Boccaedenti), 

7.  Tegnu  nnu  cumentu  chinu  de  monlci  janchi,  a  menzu  nc'^  la 
badessa.  {Bocca,  denti  e  lingua). 

8.  Tegnu  nna  culonna  {corpo),  su  sta  culonna  nc'^  nn'oscu 
{capelli)f  intra  st'oscu  nci  su'  le  pecuredde  (pidocchi),  ca  ognitantu 
vae  lu  pecuraru  {uomo)  e  le  sparpaja. 

9.  Cinque  su'  li  stantuli 

e  unu  lu  pinnente, 

janca  h  la  terra 

e  niura  lasimente.  {Dita.penna^  carta,  inchiostro). 

10.  Sciamune  curcare,  donna  Cocca, 
facimu  quidda  cosa  ca  ne  tocca, 
pilusu  cu  pilusu  lu  ncucchiamu 
e  'ntra  nna  cascitedda  lu  'nserramu.  (Occhi). 


I)  fe  una  notevole  variante  del  leccese  pubbl.  dal  CONGEDO,  0.  c,  pag.  95, , 
ed  h  caratteristica  comune  alia  maggior  parte  degl'indov.  sulla  chiocciola  Tinvo- 
cazione  e  lo  stupore  con  cui  sono  enunciati.  Cfr.  questo  Arch.  I,  562,  VII  539, 
XIII  434,  XV  74,  CORAZZINl,  I compofiimenii  minori  delta  leti.  pop,  italiana.  ecc, 
Benevento,  1877,  pag.  312,  e  PITR£»  IndovineUi,  dubbi,  scioglilingua  del  pop,  sUil., 
Palermo,  1897,  pagg.  125  e  126. 


238  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZION!   POPOLARI 

II.  Battu  e  ribattu 
e  sempre  stau  cu  bui, 
Se  me  ne  vau  jeu 
comu  restati  ui?  {Polao), 

\2,  Tegnu  nna  cosa  quantu  nnu  stivale, 
nnu  panareddu  chinii  de  pampasciuni; 
cari  sigiiuri,  nu  pinsati  a  male, 
ca  'nduvineddu  h  de  'nduvinare.  (Aglio). 

13.  Unne  fa, 
mare  nun  h\ 
porta  situle, 

parcu  nun  h  i).  {Gampo  di  spighe), 

14.  Arta  su  jeu  quantu  nnu  casteddu, 

a  patatedda  mea  quantu  nnu  'neddu.  {Canna). 

15.  A  la  via  de  Sternatk 
jeri  cchial  la  bedda  mia ; 
nci  lu  vitti  e  lu  tuccai, 

era  pilusu  e  lu  lassai.  {Cocomero  [pupanedda]). 

16.  Oh  cce  mamma  spenturata, 
Tene  li  fili  'ntra  le  spine, 

k  de  spine  'ncurunata, 

oh  cce  mamma  spenturata  2)!  {Fico  d' India). 

I7»  a)  Susu  nnu  munte 
truvai  Frangiscu  Arbante, 
cu  nnu  cappieddu  'n  frunte 
e  nn'anca  cotulante. 

6)  Pe  tutti  chiove  e  nziddica 
e  pe  fra*  'Ntoni  no: 
ca  se  modda  la  chirica 
e  lu  pede  de  sutta  no.  (Fungo). 


¥)  Ouesto  e  11  seguente  sono  leggiere  variant!  di  quelli  del  CONGEDO,    0  c, 

2j  Questo  indov..   come  altri   analoghi,  il  sic.  p.  es.  in  y4;rA.,  XV72,  fa  so- 
sp^ttare  una  provejiierua  letteraria. 


INDOVINELLI   SALENTINI  239 

18.  Prena  suntu  e  gravida  me  tegnu, 
fili  ne  portu  mille  e  ottucentu, 

carottu  nu  portu  cu  pozzane  'ssire, 

dimme,  giovine  miu,  com'aggiu  fare.  {Melagrana). 

19.  Mesciu  'Ntoni  longu  longu, 
la  mujere  nana  nana 

e  li  fili  canini  canini; 

macari  ca  pensi  ca  nu  'nduvini  i).  {Plnoepinocchi), 

20.  Su'  signura  de  palazzu, 
casern  'n  terra  e  nu  me  'mmazzu, 
vau  Mia  chiesia  e  luce  fazzu. 

su'  signura  de  palazzu.  (VUva), 

21.  Ci  ole  azze,  ci  ole  azze 
a  tre  caddi  la  liatura; 

de  susu  le  litratte, 

de  sutta  la  signura  «).  {Uva). 

22.  Lu  sire  h  torticeddu,  • 
la  mamma  h  strazzatedda, 
la  fija  k  tantu  bedda, 

cinca  passa  se  scappedda.  (Vite  e  uva). 

23.  Tegnu  nna  cosa 
bedda  a  bidire, 
bedda  a  vardare; 
inchila  de  carne 

e  lassala  stare.  (Anello). 

24.  Rretu  nna  strittuledda 
'cchiai  nna  vecchiaredda; 
idda  rise  e  jeu  risi, 

'zzai  Tanca  e  li  la  misi.  {Caleetta), 

25.  Janca  me  la  mintu 
e  russa  me  la  leu; 


i)  Leggiera  var.  di  quelle  del  PELLIZZARI,  Sit4d.  Magl.^  a.  II,  num.  VIII,  pag,  34. 
a)  Variante  di  quelle  riportato  dal  CONGEDO,  0.  c,  pag.  96,  al  quale  e  pre- 
feribile. 


240  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

I 

fazzu  W  mei  duveri 

e  poi  me  la  lau.  {Gr&mbiale  del  beccaio), 

36.  Tt^^nu  nna  cosa  larga,  longa  e  pilusa, 
intra  came  basta  cu  minti; 
Uh!  cce  custu  ca  te  senti.  {Manicotto). 

27,  Ahimmena!  cce  me  'ntisi 
la  prima  fiata  ca  me  la  misi, 

e  quannu  ne  la  cacciai 

china  de  sangu  la  truvai.  (Orecchino), 

28,  Tegnu  quattro  frati,  fuscene  fuscene, 
e  mai  se  'rriefie.  {Arcolaio). 

2g.  Tegnu  nna  cosa  Irscia  liscia; 
la  piju  a  manu  e  piscia.  (Boccetta). 

30.  Jeri  a  sira  scivi  a  casa 
e  truvai  la  mia  signura 

ca  durmk  sula  sula: 

pijai  nna  cosa  liscia  (boccale) 

e  ii  la  misi  a  ddunca  piscia.  (Botte), 

31.  Mia  cara  monicedda, 
tu  si'  111  niiu  cunfortu; 

tu  parti  la  ndonduledda 

e  jeu  lu  carottu.  {Bottiglia  e  imbusto), 

32.  Susu  nna  finescedda 
nc'ete  una  vecchiaredda, 
ca  vave  cu  nu  dente 

e  chiama  tutta  la  gente  ^).  (Campana). 

33.  a)  Su'  vinutu  de  Napuli  mposta, 
la  signura  la  portu  tosta, 


I)  Altre  varianti  ne'  primi  due  versi  sono: 

Su  nna  finestrazza 
nc'ete  nna  vecchiazza.. 

Susu  nna  spechia 
nc'ete  nna  vecchia.. 


INDOVINELLI  SALENTINI 


241 


si  la  voi  rimuddare 

'mpizzala  'n  terra  e  lassala  stare. 

b)  Lu  Duca  de  Scurranu 
tutta  la  notte  la  tene  a  manu, 
e  la  tene  tisa  tis^i 
cu  nu  se  unga  la  camisa.  {Candela). 

34.  Donna  longa  stae  mpisa, 
donna  niura  a  nculu  li  pisa, 
donna  chiara  stae  de  intru, 
donna  russa  a  nculu  li  va. 

{Catena  delta  caldaja,  caldaja,  acqua  dd  botlire,  fuoco). 

35.  a)  Tegnu  nna  signura 
ca  se  mangia  le  ntrame  sula. 

b)  Canuscu  nna  vecchiaredda, 
ca  quannu  se  stuscia  lu  nasu 
se  lu  stuscia  a  la  mazzaredda.  (Lucerna), 

36.  Tegnu  nna  cosa 
longa  nnu  parmu, 
curta  de  schina; 

ddu  vide  pilu 

vave  se  'nfila.  {Rasojo), 

37.  Santu  'Ntoni  meu  benedittu,  nu  me 

curcu  mai  se  nu  te  la  mintu.  {Sbarra  detta  porta), 

38.  Cce  me  vene,  cce  me  vinia 
cu  te  stennu  a  menzu  la  via, 

e  cu  t'apru  lu  pertuseddu 

cu  te  mintu  la  nina  mia.  {Scure  e  legna  da  apaccare). 

39.  Scinne  fiscannu 

e  sale  chiangennu.  (Secchia). 

40.  Tegnu  nna  cosa  ca  penne  e  luce; 

a   fimmane  e  ommini  li  cunduce.  (Specchio). 

41.  A  strittula  vau  e  de  strittula  vegnu, 
lassu  le  ntrame  e  me  ne  vegnu.  {Spola). 

42.  Tegnu  nna  cosa  ca  cu  centu  culi  caca, 
mangia  lu  re  e  puru  lu  papa.  (Staccio), 

ArehivU)  pw  le  tradiMUmi  popolari.  —  Vol.  XXUI.  31 


242 


ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

43.  Sacciu  nna  pecura  muzza, 
piscia  una  e  pisciane  tutte  i).  (Tegole). 

44.  Tegnu  tre  frati,  tutti  tre  'ncatinati, 

ca  minane  una  vita  de  dannati.  (Treppiede), 

45.  Su'  natu  a  boscu  e  me  ritrovu  a  casa; 
e  lu  pisu  de  casa  jeu  lu  portu; 

lu  mesciu  ci  m'i  fatta  quista  rasa 

m'a  cumannatu  cu  nu  vau  chiu  all'ortu.  (Trave  del  ietto). 

46.  a)  Sta  cosa  h  de  crita,  lu  celu  de  came, 
trona,  derlampa  e  chiove  2). 

h)  Tegnu  nnu  fruttu,  la  muddica  se  mina 
e  la  scorza  se  tene.   {Ya80  per  le  fecce  [cantaru]). 

47.  —  Ola,  belle  fijole, 

la  prima  ota  perc^  ve  dole?  — 

Rispuse  la  'nzurata: 

me  dose  tantu  a  mie  la  prima  fiata   3)! 

(Bucatura  delle  orecchie  per  gli  orecchini). 

48.  A'zzate  la  camisa,  car'amante, 
quantu  cu  te  la  mintu  nnu  quartu  d*ura, 
quannu  te  reculi  ca  a  fattu  effettu, 

ne  la  cacci  de  fore  e  faci  scula.  {Cottura  de'  maccheroni). 

49.  Marituma  me  ole  mutu  bene, 
le  cose  me  le  face  a  la  curcata, 

me  stringe  e  mbrazza  e  poi  se  la  cuntene, 

all  *urtimu  me  fa  nna  cotulata.  (Impastamento  della  farina), 

50.  A'zzate  la  camisa  nnu  mumentu, 
nu  te  cridire  ca  te  fazzu  nienti. 


I)  fe  il  concetto  del  vicino  romaico  di  Stematia  riportato  dal  MOROSI,  Studt 
sui  dd.  greci  di  Terra  d'O.,  Lecce,  1870,  pag.  80. 

3)  Var.  di  quello  del  CONGEDO,  0.  c,  pag.  96. 

3)  fe  uno  de'  pochi  tra  noi  che  s'accosta,  nella  forma,  agl'indovineUi-aneddotl 
sicil.  pubblicati  dal  PITRE,  o.  c,  pagg.  289-317  e  a  quelli  veron.  pubblicati  dal 
BALLADORO  in  Arch.,  XVlIi,  366-373,  e  in  A'iV:<:o/d  TommaseOy  II,  106-108. 


INDOVINELLl  SALENTINI  243 

quantu  te  poggiu  I'amurosa  a  'nnanti; 
facimu  quista  cosa  nun  ^  nienti.  (Salasso). 

51.  Tegnu  nna  carafma 
china  d'acqua  cristallina, 

nun  ^  de  puzzu,  n^  de  cisterna, 
n^  de  celu,  nh  de  terra.  {Stidore). 

52.  La  fija  de  Fictimosse 

nu  porta  n^  came,  n^  pelle,  n^  osse, 

e  la  mamma  de  Fictimosse 

porta  carne,  pelle  e  osse.  {Eicoita), 

53.  Oh  cce  custu,  oh  cce  custu, 
quannu  madama  se  'nfila  lu  bustu, 
quannu  'rriva  alia  meta 

oh  cce  custu  ca  sar^.  (Sfogliatella). 

54.  Tegnu  nna  carafma 
de  do'  culuri  china, 
cinca  la  'nduvina 

h  fiju  de  ricina    i).  {Uovo). 

55.  Tegnu  nna  cosa  pisticchi  pistacchi, 
senzapedicaminalilacchi.  (Campanella  [bolla  d' aequo]). 

56.  Tegnu  nnu  lanzulu 
ca  se  strazza  sulu  sulu 

e  sulu  se  ripezza 

senz'acu  e  senza  pezza.  (Cielo  nuvoloso), 

57.  Tegnu  nnu  tajedduzzu 
fattu  a  cucurucuzzu, 

lu  mesciu  ca  I'a  fattu 

nu  se  troa  a  nuddu  pattu.  (Luna), 

58.  Tegnu  nna  cosa  voletta  vola, 
nun  a  pedi  e  camina, 

nun  a  culu  e  se  sidia, 

tutta  la  gente  tremare  facia.  {Neve). 


1)  Leggiera  var.  del  lecc.  di  CONGEDO.  0.  c.  pag.  95. 


244 


ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

59.  Tegnu  nna  lenza 
de  equal  a  Fiurenza, 
de  equal  a  Turchia, 

gira  tutta  la  casa  mia.  (Sole). 

60.  Tegnu  nna  caniscia  d'ove,  la  otu 
e  sbotu,  e  mai  cadune.  (Stelle). 

Maglie^  Febbraio  del  1^06. 

Salvatorb  Panareo 


MISCELLANEA 


Le  donne  net  centimoli  in  Licata  oel  1853. 

Un  Intendente,  che  oggi  diciamo  Prefetto,  della  provincia  di  Girgenti,  parlando 
al  Consiglio  di  quella  provincia,  tra  ie  altre  cose,  riferiva :  Soffrite  anche  per  poco 
che  io  vi  favelli  di  cosa  che  pu6  meritare  la  vostra  considerazione. 

Quando  trassi  a  compiere  la  visita  nei  Comune  di  Licata  mi  vennero  osservati 
i  recinti  della  macinatura  dei  grani.  L'animo  rifugge  di  rimembrare  la  impressione 
che  provai  di  dolore  al  primo  entrarvi.  Sono  due  magazzini  suddivisi  in  piccole 
celle  che  accolgono  da  ben  circa  130  mulini  che  appellano  centimoli.  11  primo  ne 
ha  70,  e  si  chiama  del  Caricatore;  60  I'altro,  che  sorge  appo  la  chiesa  di  S.  Angelo. 
II  braccio  delle  donne  di  vita  6  moto  ai  centimoli,  e  rende  spettacolo  unico  in  Si- 
cilia,  che  ricorda  qualche  usanza  inumana  delFAfrica  vicina.  Otto  di  queste  lavo- 
ratrici  awicendano  I'opera  loro  presso  a  ciascuna  macchina,  affinch^  si  muova 
senza  interruzione. 

Esse  deggiono  giacere  chiuse  alia  notte  e  vivere  tutto  il  giomo  in  una  assai 
male  organizzata  comunanza.  11  riposo  che  loro  si  concede,  sempre  scarso,  e  sul 
nudo  terreno,  lo  pas^no  al  frastuono  delle  macchine  stridenti  e  ai  vagiti  dei  teneri 
bimbi.  Sentina  di  depravazione  e  mal  costume  son  questi  recinti,  ove  spesso  cor- 
rono  fanciulle  nubili,  meno  a  trovar  di  che  vivere  col  lavoro,  che  per  sottrarsi 
(se  non  vuolsi  supporre  alcun  che  di  peggio)  alia  soggezione  dei  parenti. 

Meditatevi,  0  Signori,  per  trovar  mezzi  efficaci  a  cessar  il  gran  male  sosti- 
tuendo  la  forza  motrice  del  vapore  a  quella  umana,  che  si  fa  degradante  ogni  dl 
piu  e  sconvenevole  ai  tempi  i). 

Nell'esta  del  1847  io  dal  vicino  Cianciana  mi  recai  a  Cattolica  Eraclea  a  stu- 
diarvi  belle  lettere  sotto  I'abile  professore  Pistritto  di  Licata,  chiamatovi  dai  nota- 
bili  del  paese,  e  cos\  abitando  per  parecchi  mesi  in  quel  Comune  ebbi  un  giorno 


i)  Rapporto  suU'andamento  delVammini9tr<izione  dcUo  dcUV Intendente  (di  Girgenti 
Nicola  Mezzasalma)  al  Comiglio provinciate  nella  aesnione  del  1853.  Girgenti.  Liponi  e  Blan- 
daieone,  p{>.  8-29. 


3P 


246  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

vaghezza  di  visitare  i  centimoli  che  allora  vi  erano,  ma  non  vidi  la  triste  e  vitu- 

perevole  usanza  dei  centimoli  di  Licata,  dappoiche  trovai  che  i  centimoli    cattoii- 

chesi  erano  animati  dal  tiro  dei  muli,  proprio  come  usasi  fare  per  trarre  Pacqua 

dalle  none. 

GAETANO  DI  GIOVANNI. 


II  porco  di  Saot'Aotonio  in  Noto. 

Or  sono  parecchi  anni  a  Noto,  il  rettore  della  Confraternita  di    S.   Antonio 

Abate  usava,  ogni  anno,  nel  giomo  della  festa  del  Santo,  comprare  un  porcellino. 

Gli  attaccava  al  collo  un  campano  e  lo  affidava  per  allevarlo  ad   un  devoto  del 

Santo.  11  porcellino,  al  mattino,  era  -lasciato  libero  per  la  cittA,  e  tutti  gli  davan 

da  mangiare,  cosicch^  la  sera  tomava  a  casa  impinzato.  Poi    all'anno,  la  vigilia 

della  festa  di  S.  Antonio,  si  ammazzava,  e  la  came  veniva  regalata  ai  Confrati, 

aU'avvocato  della  Confraternita,  al  cappellano  ecc.  Un  bel  giorno,   pero,  il  porco, 

non  tom6  alia  casa  del  devoto  del  Santo.  Qualcuno  dovette  tenerlo  in  casa  e  gli 

fece  festa.    II  rettore  torn6  a  comprame   un  altro,  che  fece  la  stessa  fine,  e  cos! 

fu  messa  Tusanza. 

M.  di  MARTINO. 


La  torre  dei  diavoli  nel  Caseotioo. 

Esistono  nel  Casentino  gli  avanzi  del  palazzo  dei  Guidi  in  Poppi.  Ora  si  rac- 
conta  che  certa  Telda,  vedova  di  un  conte  Guidi,  signora  un  tempo  di  Poppi, 
donna  di  straordinaria  bellezza  e  d'altrettanto  corrotti  costumi,  voleva  attirare 
entro  il  proprio  palazzo,  colla  seduzione  delle  arti  sue  amorose,  quanti  piu  bei 
giovani  le  capita vano,  i  quali  dopo  che  avevano  servito  a  sfogare  le  sue  voglie  e 
libidini,  faceva  cadere  per  mezzo  di  un  trabocchetto  nel  sotterraneo  annesso  alia 
cisterna,  ove  faceali  uccidere.  Ma  sollevata  la  gente  di  Poppi  dai  parenti  di  una 
delle  vittime,  di  cui  pote  scoprirsi  la  tragica  fine,  Tassedid  nel  suo  palazzo,  la 
vinse,  e  lei  prigioniera  fece  morire  di  fame  in  una  stanza  della  stessa  torre  dalla 
quale  si  era  difesa.  Nei  tempi  andati  nessuno  s'accostava  senza  orrore  a  quel 
luogo,  che  la  paurosa  fantasia  del  volgo  avea  popolato  di  omBre  e  di  spettri  a  segno 
d'essere  quella  torre  chiamata  come  si  chiama  anche  oggi:  la  torre  de'  diavoli  i). 

Siamo  di  fronte  ad  una  delle  tradizioni  della  Regina  Giovanna. 


i)  C.  Bexi,  Ouida  Jllustrata  del  CttseniinOf  p.  246.  Firenze,  Niccolai,  1889. 


MISCELLANEA  247 


La  mflc;ifl  a  Parigi. 

Esiste  davvero  la  magia  nella  Parigi  del  secolo  XX? 

—  Sfido  se  esiste!  E  non  mica  quella  magia  spicciola,  propria  al  popolina, 
Che  consiste  nella  fabbricazione  dei  feticci,  dei  medaglioni  incantati,  nelU  hcerca 
dei  tesori,  negli  scongiuri,  e  corbellerie  simili,  diifuse  un  po'per  tutto  nel  basso 
popolo  dell'Europa  modema...  e  nei  popoli  negri  del  centro  dell'Africa.  Oh  no!  !o 
ti  parlo  di  una  stregoneria  e  di  un'arte  magica  high-life,  deU'alta  society,  queiralta 
societi  in  cui  si  contano  tante  donnine  isteriche,  tanti  biases,  tanti  degenoratr  per 
inerzia  cerebrale  e  non  uso  degli  organi  pensanti...  L'alta  society  parigina  ha  la 
sua  magia  e  la  sua  stregoneria... 

Eccoci,  in  una  discreta,  solitaria  e  austera  strada  del  quartiere  latino.  Una 
porta  stretta  e  bassa,  a  sinistra,  nel  bel  mezzo  di  una  casa  vecchia  e  Jecrepit.i. 
Un  corridoio  a  destra,  due  capi  di  scale;  una  porta  s'apre.  Siamo  in  piena  botte^^a 
di  «  magia  >,  Una  confusione,  un  caos,  un  disordine  di  oggetti  i  piu  van,  I  piil 
dissimili,  i  piii  strani,  i  piii  eterogenei.  Ricordate  la  meravigliosa  descrizfone  della 
bottega  d'antiquario  nelle  prime  pagine  di  Peau  de  Chagrin  di  quell'altro  ma^o 
che  si  chiama  Honore  de  Balzac?  Ebbene,  figuratevi  qualche  cosa  di  simile,  ma  di 
meno  ricco,  di  meno  smagliante,  di  meno  imponente,  ma  ugualmente  suggestiunante 
e  disordinato. 

II  padrone,  un  vecchio  dai  lunghi  capelli  bianchi,  i  pantaloni  di  velluto  nero, 
il  gilet  rosso  e  una  grande  cappa  di  seta  e  velluto  rosso  e  nero  sul  dor^,  z\  fa 
da  guida.  E  ci  conduce  attraverso  le  storte,  attraverso  i  barattoli,  accanto  a  lie 
vetrine  piene  di  serpenti  impagliati  davanti  a  degli  alti  banchi  sovraccarichi  di  og* 
getti  i  piii  strani  e  i  piii  eterogenei  che  mai  possano  essere  immaginati.  in  un 
angolb,  sopra  un  trepiedi  bolle  una  misteriosa  composizione. 

—  fe  per  trasformare  la  pietra  in  oro.  mi  dice  gravemente  il  vecchio  dalla 
casacca  rossa  e  nera. 

—  lo  acconsento  con  un  cenno  del  capo  e  rimango  muto.  E  il  vecchio  coraincia 
le  spiegazioni: 

—  Ecco  della  pelle  di  vitello  morto,  per  gli  scongiuri  d'odio;  otto  franchi  11 
centimetro  quadrato. 

Un  barattolo  di  verbena  del  21  marzo  (sic)  le  cui  magiche  proprietii  vi  sono 
ben  note.  Dieci  franchi  il  mazzetto.  Volete  una  radice  di  mandragora  ?  Dieci  franchi. 
La  bacchetta  divinatoria  costa  assai  meno:  cinque  franchi.  La  bacchetta  maj^fca 
costa  assai  piii:  trenta  franchi. 

II  vecchio  mi  trascin6  davanti  alle  vetrine  della  sua  farmacia. 
—  Volete  della  Farina  di  Calcutta  per  ingrassare?  Eccovi  la   ricetta  dell'ahate 
Guibourg  onde  fare  un  bagno  alia  Montespan;  qui  c'e  del  vino  magico  di  Nicola 


i 


248  ARGHIVIO   PER   LK  TRADIZIONI   POPOLARI 

Flamel;  se  volete  dare  una  strana  vivacitA  magnetica  al  vostro  sguardo  assorbite 
di  questo  Fluido  di  .\fesmer.  Le  signore  ne  fanno  grande  uso,  come  usano  anche. 
su  larga  scala,  (\viest'acqua  di  Raimondo  Lullo,  che  serve  a  dare  al  seno  la  solidita 
e  la  durezza  che  per  avventura  avesse  perduto... 

Piu  lunge  era  la  biblioteca.  Guardai  i  nomi  degli  autori:  Madame  de  Thebes, 
Papus,  Cagliostro,  Alberto  il  Grande,  Alberto  il  Piccolo... 

E  scappai  spaventato. 

Non  avrei  mai  creduto  che  Parigi  contasse  un  s'l  gran  numero  di  pazzi. 

Proprio  vera  quella  definizione:  i  manicomi  sono  quelle  case  nelle  quali  si 
rinchiudono  degli  uomini,  per  far  credere  che  quelli  che  stanno  fuori  sono  sani  di 
mente  ed  hanno  la  ragione  diritta...  i). 


i)  GiomoZe  di  Sieilia,  a.  XLVI,  n.  35.  Palermo,  4  Febbraio  1906. 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 


KMANUELE  ciACERi.  Ua  Pesta  ^i  5-  AjJita  e  l'ai>tico  culto  ^i  Isi^e 
il)  Catania*  Catania,  Giannotta  1905.  In  8%  pp.  34. 

Scrive  il  Ciaceri :  «  Chiunque  legga  la  descrizione  che  nelle  sue  metamorfosi 
fa  Apuleio  della  festa  d'  Iside  a  Corinto,  non  pu6  non  restar  colpito  della  grande 
rassomiglianza  con  la  narrazioneche  fa  il  Carrera  {Delle  memorie  historiche  della 
citld,  di  Catania,  1641,  v.  I!)  nella  prima  meta  del  sec.  XVIII.  La  magnifica  pompa 
religiosa,  il  concorso  di  personaggi  travestiti  in  varia  foggia  a  guisa  di  masche- 
rati,  la  partecipazione  notevole  delle  donne  ornate  di  apposita  veste,  le  splendide 
luminarie,  son  tutte  cose  che  trovano  esatto  riscontro  nelle  pagine  dei  due  scrit- 
tori.  Apuleio  si  riferisce  a  quella  parte  che  i  Romani  chiamarono  Isidis  navigium  >. 

E  domanda  a  s6  stesso :  Esisteva  il  culto  di  Iside  nell'antica  Catania?  E 
lecito  pensare  che  anche  quivi  si  celebrasse  una  festa  simile  a  quella  di  Corinto? 
E  corrispondeva  il  culto  di  Iside  col  vero  periodo  di  transizione  fra  il  morente  pa- 
ganesimo  greco-romano  e  il  trionfante  cristianesimo?  A  queste  domande  TA.  risponde 
favorevolmente.  II  culto  di  Iside  era  diffuso  in  Catania  piCi  che  nelle  altre  cittd 
della  Sicilia  orientale,  benchd  se  ne  ignori  la  data  d'origine.  In  quella  citt^,  come, 
in  generale,  in  Sicilia,  Iside  prendeva  il  posto  di  Proserpina;  ed  i  riti  sacri  appar- 
tenenti  a  quel  culto  devono  esser  passati  nelle  cerimonie  e  nelle  feste  dell'eta 
cristiana;  le  quali,  per  altro,  si  prestarono  alio  innesto  posteriore  di  solennita  in 
onore  di  S.  Agata. 

II  prof.  Ciaceri  segue  molto  dawicino  i  principal!  caratteri  si  della  festa 
egizio-greco-romana,  si  della  festa  catanese.  oggi  spoglia  degli  antichi  riti  e  co- 
stumi,  e  ne  cava  del  buono  per  la  derivazione  di  questi  da  quelli  0  per  la  soprav- 
vivenza  pagana  nella  solenne  ricorrenza  cristiana. 

Noi  non  possiamo  seguirlo  nei  particolari,  ma  in  parecchi  di  essi  siamo  d'ac- 
cordo  con  lui,  che  pure  a  buon  diritto  non  prende  sul  serio  lo  insulso  aneddoto 
raccolto  da  Dumas  nelle  Impressions  de  voyage. 

A  proposito  del  fercolo  di  S.  Agata  che  non  e  portato  a  spalla  dai  devoti  ma 
trascinato  con  una  fune  per  terra,  gioverebbe  osservare  che,  se  da  esso  si  vuol 
trarre  uno  degli  argomenti  per  un'analogia  tra  la  bara  di  S.  Agata  e  V Isidis  na- 
vigum,  potrebbe  cadersi  in  errore,  giacch6  Tuso  di   trascinare   un   fercolo  invece 

Archimo  per  le  tradiaioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  32 


250 


ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


di  soUevarlo  da  terra  e  portarlo  a  spalla  6  molto  comune  un  po'  dappertutto  par- 

tendo  anche  da  Messina,  dove  la  antonomastica  Bara  del  15  Agosto  h  tirata  con 

una  enorme  fune,  alia  quale  sono  attaccati  centinaia  d1  devoti.   In  certi  costumi 

Che  sono  natural!,  saremmo  per  dire  umani.  non    accade  pensare  a  trasmissione 

tradizionale  0  a  quella  che  Tvlor  direbbe  survival. 

G.  PITRE. 


ALBERTO  TRAUzzi.  Bolo^pa  i)elle  op^re  ^i  G.  C.  Croce.  Bologna.  Za- 
nichelli  1905.  In-8%  pp.  IV-133. 

Rare  volte  ci  siamo  incontrati  in  un  libro  come  questo,  denso  di  fatti  e  di 
notizie :  il  che  tanto  piii  e  degno  di  ricordo  in  quanto  il  titolo  si  presenta  con 
molta  modestia  anche  pei  limiti  impostisi  dall'Autore. 

Nella  immensa,  svariata  e  quasi  sempre  amena  produzicne  semiletteraria  e 
popolareggiante  del  Croce,  I'Autore  ha  cercato  le  manifestazioni  della  vita  bolognese 
del  popolo,  dei  civili,  dei  nobili  in  sullo  scorcio  del  XVI  e  nei  primordi  del  XVII 
secolo  (1580-1609).  Quella  produzione  6  una  folia  innumereVole  di  canzoni,  cicalate, 
capitoli,  dialoghi,  sonetti,  contrast!,  lamenti,  stanze,  commedie,  tragedie,  scherzi. 
barzellette,  componimenti  d'ogni  genere  editi  ed  inediti,  rari,  talvolta  irreperibili. 
che  il  facile  e  faceto  scrittore  del  Bertoldo  e  del  Berloldino  gett6  in  mezzo  a  I 
popolo  della  sua  nativa  Bologna,  e  che  nella  confusione  del  primo  momento  della 
pubblicazione  stampata,  scritta  od  orale,  si  vide  portata  via  e  dispersa  tra  coloro 
che  ne  faranno  oggetto  di  passatempo. 

La  ricerca  dev'essere  stata  faticosa,  perch^  le  singole  manifestazioni  di  quella 
vita  sono  state  cercate  e  prese  a  componimenti  diversi;  di  guisa  che  una  notizia 
attinta  ad  uno  e  completata  da  un'altra  notizia  attinta  ad  un  altro  componimento. 

La  Bologna  del  cinquecento  per  opera  del  Trauzzi  rinasce  e  rivive  quale  ndn 
dovette  sognarla  neanche  lo  stesso  Croce.  Vi  trovi  le  fogge  del  vestire,  i  gusti  del 
mangiare,  le  sofferenze  di  chi  lavora,  i  piaceri  di  chi  si  diverte,  le  occupazioni  del 
giorno,  le  veglie  della  notte.  la  solenniti  delle  feste,  le  ricorrenze  civili  e  le  dome- 
stiche  deiranno,  le  maniere  di  amoreggiare,  le  usanze  per  i  matrimoni,  le  pazzie 
del  camevale,  le  stranezze  di  mezza  quaresima,  i  trastulli  dei  monelli,  i  giuochi 
degli  adulti,  le  prediche  delle  beghine  e  il  clamoroso  getto  della  porchetta,  fino 
alia  educazione  dei  fanciulli  ed  alle  scuole  di  essi. 

II  libro  e  un  caleidoscopio,  0  meglio,  per  servirci  di  una  parola  moderna,  un 
cinematografo,  dove  la  varieta  delle  cose  contrasta  lietamente  con  la  verity  della 
esposizione  che  ne  ha  fatto  il  Trauzzi. 

G.  PITRE. 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 


asi 


L.^  PolK--L.ore  ^e  Prance  par  Paul  S^BILLOT.  Tome  deuxieme :  La  mer  Lt 
les  eaux  douces.    Librairie  Orientale    &   Americaine    E.    Guilmoto,    ^jJiK^un 
•Paris  1905.  ln-8%  pp.  478.  Prix:  16  francs. 

Dopo  brevi  osservazioni  sul  perch^  la  Brettagna  sia  la  piu  ricca  di  leKfit^nnJe  in*i~ 
rine  in  Francia,  e  sopra  una  tal  quale  preponderanza  della  Sicilia  e  dei  p.(ess  ccHi 
deiringhilterra  sugli  altri  nel  genere,  TAutore  entra  a  parlare  del  mare,  die  t 
Targomento  del  libro  U  del  volume:  argomento  che,  come  i  lettori  sanms  f  mnlli 
ricorderanno  per  via  deWArchivio,  e  stato  con  belle  pubblicazioni  illustr^ita  vhi 
signor  S^billot. 

11  solo  indice  analitico  di  questo,  come  del  seguente  libro  che  chiude  il  viilmiitv 
esigerebbe  pagine  intere  del  nostro  periodico;  e  forse  il  riportarlo  sarebbe  il  uiikjlkir 
modo  di  fame  conoscere  il  contenuto;  ma  I'angustia' dello  spazio  ci  costrinj;c  ;iJ 
una  rapida  e  superficiale  numerazione  dei  capitoli. 

Diremo  pertanto  che  il  1®  s'intrattiene  della  descrizione  della  superlicie  l^  Jtl 
fondo  del  mare.  Notevoli  gli  esseri  soprannaturali  che  camminano  sopra  o  Jimonino 
in  fondo  al  liquido  elemento.  II  11"  e  una  J-assegna  delle  invasioni  delmiHL',  S\\i\u 
\  ricordi  di  vaste  distese  di  terre  e  magari  di  cittA  sommerse;  scarsi  i  ricordr  scritt(; 
e  non  agevolmente  dassificabili.  La  citt^  di  Is  la  Manche  ed  alcuni  grurri  Jt'l- 
rOceano  e  del  Mediterraneo  hanno  racconti  di  sommersione.  II  III*  accfniia  a\k 
origin!  ed  alia  formazione  dMsole  e  di  rocce  marine,  sovente  dovute  fl  tsluI  spm- 
fondate  ed  a  scheletri  d'annegati. 

Del  circuito  della  riva  parla  il  cap.  IV«  con  particolari  sui  capi  e  le  altc  spiat^Ki?. 
popolate  di  fate  e  qua  e  \k  di  nani  e  sinistramente  rischiarate  da  fuoch:  \.au\.  Le 
pietre  delle  riviere  e  le  rocce  offrono  strane  figure  di  uomini  trasforraati  ifi  vK'tre 
ed  impronte  di  esseri  soprannaturali.  Fatedanzanti  e  folletti  irrequieti,  prutessunn 
di  morti  e  lavandaie  nottume,  popolano  sabbie  e  dune;  e  nel  V«  cap.,  hilt*  c?  k*l- 
letti  isolate  0  in  comunione,  grotte  e  caveme  marine;  e  nelle  isole  nomuMinr,  le 
fate  attirano  a  loro  donne  che  prendono  cure  dei  loro  bambini,  e  staiinn  in  Uursni' 
relazioni  con  gli  uomini.  Al  bordo  dell'acqua  pullulano  invece  streghe  e  fatt'  uui- 
ligne;  marinai  vengono  a  sciogliere  voti,  e  morti  vanno  in  processione.  td  annt^- 
gati  mandano  grida  (cap.  VI),  mentre  lontano  lontano  nell'alto  mare  vasc^^Mi  f;i|]- 
tasmi,  raramente  accostantisi  alia  riva,  paurosamente  vagano  come  hUiUlirienU* 
impossibilitati  a  fermarsi  e  prendere  rotte  decisive  (VI 1).  Pratiche  ed  os^-irrvnii/c 
quasi  sa'cre  accennano  al  culto  per  I'acqua  in  lustrazioni,  bagni,  benedt/i+Mii.  pro- 
cessioni,  preghiere  d'ogni  genere  a  date  fisse  e  per  certe  occasioni. 

II  II*  libro  e  tutto  consacrato  alle  acque  dolci;  e  in  sei  capitoli  svaiK^'  l^L  n\i\- 
teria  delle  fontane  e  della  loro  potenza,  dei  pozzi,  delle  riviere  e  delle  a^iVh'  ihM- 
mienti.  Le  fontane  provengono  da  liquidi  segregati  da  esseri  potenti;  dal  sjinnut^ 
dei  martiri,  dalle  urine  delle  fate,  al  tocco  d'una  bacchetta  magica,  alki  ca;UiU  sil 
un  oggetto  eroico  0  sacro.  Le  fate  vi  stanno  al  di  sopra,  allMntomo,  t0m\'  .^tvAi 


252  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONl   POPOLARI 

tutelan,  noji  permettendo  mai  che  altri  le  inticii  0  le  turbi.  Questa  credenza  le 
rese  venerate  presso  i  primi  cristiani,  che  si  sforzarono  di  sottrarle  al  falso  culto 
dei  pagani,  Quante  sorgenti  infatti,  e  quante  scaturigini  non  hanno  oggi  edicole 
e  cappelle?!  E  le  acque  servono  a  lavacri  devoti  di  ragazze,  di  statue  di  santi,  di 
Pellegrini,  a  lozioni  ed  a  bibite  per  lo  sviluppo  delie  forze,  per  le  fecondita,  per 
Taumento  del  latte  nelle  nutrici,  come  per  ottenere  la  dimenticanza  di  cose  tristi 
o  liete*  Alls  fontane  si  ricorre  per  consulti,  presagi^  pronostici,  epertuttele  cure 
necessarie  alle  infinite  malattie  che  affliggono  I'umana  natura,  con  immersioni,  iustra- 
ziQTilj  lozioni;  donde  offerte,  persistenti  da  tempi  antichissimi,  di  spilli,  monete, 
ed  oggetti  appesi  agli  alberi,  ed  ornamenti  alle  fontane  con  fiori  e  frutta,  con 
riunioiii  e  danze.  Scarso  il  folk-lore  dei  pozzi  di  fronte  a  quello  delle  fontane ;  co- 
pioso,  invece,  quello  delle  riviere,  che  spesso  ripetono  la  loro  origine  0  il  loro 
aumento  0  la  loro  scomparsa  da  awenimenti  soprannaturali.  Esse  sono  alia  loro 
voita  popolate  da  sirene,  da  donne-serpenti,  (nel  medio  evo  da  draghi),  da  fate,  da 
foUetti ;  attraversate  da  persone  dotate  di  facoltA  singolari  e,  anche  precariamente, 
percorse  da  Ucontropi ;  e  per  le  loro  virtu  ineffabili,  ragione  di  culto,  di  procession! 
e  benediiioTii*  Ji  preghiere  e  di  scongiuri,  di  consultazioni  amorose  e  di  prove 
giuridiche» 

Le  ackjue  Jormienti,  in  fine,  son  da  cercare  nei  laghi,  la  origine  dei  quali 
proviene  sovente  da  rifiuto  d'ospitalita,  da  punizioni  di  empietA,  da  vomiti  di 
senienti,  da,  diluvi  parziali...  Sirene  0  fate  vi  stanno  dentro  e  fuori,  bene  0  male 
operando  alia  medesima  guisa  che  i  folletti.  Fate  e  streghe,  draghi  e  dame  bianche 
VI  compongono  lissive  maravigliose ;  lavandaie  nottume  vi  fanno  il  bucato,  vi  can- 
t^no  e  ijisidumo  i  viandanti.  Anime  penanti  scorrono  sulle  acque:  ombre  di  colpe- 
vali  e  bambini  morti  senza  battesimo.  vi  hanno  stagni  di  demonic  ritrovi  di  ma- 
liarde  e  fucine  di  malefici,  cavalli  nuotanti,  risuscitati  in  forma  di  animali,  morti 
che  uriano;  il  che  non  toglie  che  in  alcuni  laghi  siano  campane  che  suonino  e 
teson  stati  inghiottiti. 

Argoraenti  di  questa  fatta  sono  trattati  sulla  scorta  e  col  sussidio  delle  tra- 
dizioni  popolari,  scritte  ed  orali  di  tutta  la  Francia,  nelle  quali  il  Sebillot  non  ha 
chi  lo  superi,  e  la  trattazione  e  larga  nelle  sue  grandi  linee,  sintetica  nella  immen- 
sity deila  materia.  G.  PITRE. 


J.  A.  DLL^iKE.  Des  Divipites  Generatrices  cbez  i^s  ancteps  et 
les  fQO^^rpes,  avec  un  chapitre  complementaire  par  A.  van  Gennep. 
Paris,  SycEut^  du  mercure  de  France.  MCMV.  In-i2«,  pp.  Vll-338.  fr.  3,80. 

Non  nuQvo  ne  recente.  questo  libro  compie  gia  il  suo  centesimo  anno  di  vita, 
essendD  venuto  primamente  in  luce  nel  1805  in  Parigi.  Eccone  il  titolo  primitivo, 
invero  un  po'  iunghetto: 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  253 

<  Des  Divinity  generatrices ,  ou  du  Culte  du  Phallus  chez  les  anciens  et  les 
modemes;  des  cultes  du  dieu  de  f^mpsaqur,  de  Pan,  de  Venus,  etc.,  origine, 
motifs,  conformites,  variet^s,  progr^s,  alterations  et  abus  de  ces  cultes  chez  dif- 
f^reots  peuples  de  la  terre ;  de  leur  continuation  chez  les  Indiens  et  les  Chretiens 
d'Europe;  des  moeurs  des  nations  et  des  terns  0(1  ces  cultes  ont  exists  >. 

11  sig.  van  Gennep,  che  lo  ripubblica  tra  i  volumi  della  oramai  celebre  Nou^ 
velle  Collection  Documentaircy  con  una  certa  benevolenza  osserva: 

«  ficrit  au  moment  oil  la  religion  se  retablissait,  o<i  se  r^pandait  Tinfluence 
du  G^nie  du  Christianisme,  Touvrage  de  Dulaure  sans  etre  un  manlfeste  anti- 
Chretien,  remettait  le  christianisme  k  sa  place  parmi  les  diverses  religions  qui  se 
partagent  le  monde.  Cetait  une  oeuvre  de  science,  fort  curieuse  aussi,  et  non 
denouee  d'une  certaine  portee  philosophique  >. 

E  sul  principio  informatore  delFopera,  anzi  sui  principi  professati  delPautore, 
aggiunge : 

<  Fideie  au  systfeme  de  Dupuis  {Origins  de  lous  les  cultes),  Dulaure  rattache 
les  cultes  phalliques  au  pretendu  culte  primitive  du  Soleil.  C'est  la  seule  erreur 
contre  laquelle  il  soit  n^cessaire  de  prevenir  le  lecteur.  Les  hommes  n'avaient 
pas  besoin  d'un  si  grand  effort  mythologique  pour  prendre  garde  a  importance 
de  le  generation  et  des  organes  par  quoi  elle  s'opere  >. 

Ma  non  e  questo  solo  Terrore  dal  quale  il  lettore  deve  guardarsi;  v'e  anche 
quello  di  certe  affermazioni  non  suffragate  abbastanza  dai  fatti.  Nel  principio  del 
capitolo  XI  son  date  notizie  che  dovrebbero  esser  documentate ;  e  dalla  p.  189  si 
vede  chiaro  che  Dulaure  non  comprese  o  non  voile  comprendere  che  la  chiesa 
combatte  proprio  quello  che  egli  attribuisce  alia  chiesa.  1  sinodi,  testimoni  sicuri 
della  vita  passata,  condannavano  le  malsane  pratiche  che  soprawivevano  e  so- 
pravvivono  al  paganesimo. 

Sorpassando  a  questo  e  ad  altri  difetti  del  libro,  esso  si  presta  a  studi  di 
storia,  di  etnografia  e  delle  diverse  religion!.  Dal  lato  etnografico  ha  una  buona 
appendice  delPegregio  scrittore  che  si  nasconde  sotto  il  pseudonimo  di  A.  van 
Gennep.  G.  PlTRt. 


Tabou  et  Toten7isn7^  k  A\a^a^scar.  6tude  descriptive  et  theoretique 
par  ARNOLD  VAN  GENNEP,  ei^ve  diplome  de  I'tcole  des  langues  orientales 
vivantes  etc.  Paris,  Ernest  Leroux,  tditeur,  1905.  ln-8  pp.  Vl-362  {Biblio- 
thique  de  I'^ole  des  Haute s  Etudes:  Sciences    religiejises,   XV I h    volume), 

Molti  hanno  scritto,  chi  espressamente,  chi  di  passaggio,  del  Tabu;  ma  nes- 
suno,  che  noi  sappiamo,  ne  ha  fatto  argomento  di  un  lavoro  speciale.  Solo  ora  il 
sig.  A.  van  Gennep  vi  consacra  tutta  un 'opera,  informata  ai  nuovi  principi  scien- 
tifici. 


254  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Siamo  di  fronte  ad  uno  studio  della  society  malgascia*,  studio  che,  quale  si 
vuole  e  dovrebbe  essere,  oggi  manca. 

Che  cosa  6  il  tabu?  Lasciamolo  dire  all'autore: 

«  Le  tabou  est  un  des  ^l^ments  fondamentaux  de  la  vie  sociale  et  individuelle 
des  habitants  de  Madagascar:  il  rdgle  I'existence  quotidienne  du  notariat,  du 
noble,  du  chef,  de  la  famille,  de  la  tribu  enti^re  meme;  il  decide  souvent  de  la 
parents  et  du  genre  de  la  vie  de  I'enfant  qui  vient  de  naitre;  il  eleve  des  bar- 
ridres  entre  les  jeunes  gens  et  limite  o  necessite  Textension  territoriale  de  la  fa- 
mille; il  r6gle  la  manifere  de  travailler  et  r^partit  strictement  I'ouvrage,  il  dicte 
meme  le  menu;  il  isole  le  malade,  ecarte  les  vivant  du  mort;  il  conserve  au  chef 
sa  puissance  et  au  propri^taire  son  bien;  il  assure  le  culte  des  grapds  fetiches, 
la  perpetuite  de  forme  des  actes  rituels,  refficacit6  du  remMe  et  de  I'amulette. 
Ainsi  le  tabou  joue  a  Madagascar  un  role  important  dans ^ la  vie  religieuse,  poli- 
tique, economique  ou  sexuelle;  partout  il  intervient,  en  quelque  sorte  comme  un  r6- 
gulateur  >  (p.  la).  In  breve:  il  tabu  6  una  istituzione  sociale  d'una  universality 
abbastanza  riconosciuta  e  trova  il  suo  equivalente  nel  Fady  malgascio,  nel  kramai 
malese,  nel  tambu  melanese,  nel  hlonipa  zulu,  ecc.  Una  parola  italiana  che  ri- 
sponde  al  valore  di  questi  nomi  k  Tadd.  sacra, 

Ed  ecco,  in  ragione  di  questi  significati,  la  trattazione  della  materia,  la  quale 
senza  avere  delle  formole  ha  commenti  e  descrizioni  di  un  gran  numero  di 
pratiche  e  costumanze  che  compongono  quasi  un  codice,  un  consuetudinario, 
un  galateo  basato  su  vecchie  credenze,  antichissimi  usi,  riti  consacrati  dai 
tempi  e  da  generazioni^  cerimonie  solenni  e  occupazioni  domestiche.  E  per6  si  ha 
un  tabu  delPanormale,  del  nuovo;  un  tabii  del  malato;  uno  del  morto,  altro  del 
capo-tribu;  altro  della  classe  e  della  casta,  e  tantitabii  quanti  sono  i  sessi,  I  fan- 
ciulli  e  la  famiglia,  la  propriety,  il  luogo,  il  tempo  e  Torientazione,  gli  animali  ed 
i  vegetali,  le  piante  e  via  di  seguito. 

E  del  totemismo  che  cosa  dice  I'Autore? 

Poco,  assai  poco,  nel  cap.  XVII,  che  h  I'ultimo,  forse  perch6  I'argoraento  d 
stato  trattato  largamente  'la  altri,  come  il  Frazer,  la  cui  opera  egli  stesso,  van 
Gennep,  tradusse  dall'inglese  (/^  ToUmisme.  Paris,  1898).  II  tabu  k  I'alleato  ani- 
male,  vegetale,  ecc,  d'un  gruppo  di  parenti;  e  perci6  le  spiegazioni  che  i  malgasci 
danno  dei  loro  tabCi  animali  e  vegetali  si  classificano  in  tabu  totemista,  totemista 
razionalizzato,  t.  reincaronzionista  e  razionalista.  Con  questa  classificazione  il 
sig.  van  Gennep  si  getta  in  mezzo  ad  una  selva  di  osservazioni,  nella  quale  non 
osiam  seguirlo. 

Come  che  sia,  la  trattazione  del  libro  procede  con  molta  chiarezza,  si  che  il  let- 
tore,  che  lo  segue  attento,  rivive  strettamente  legato  alia  serietA  di  pensieri,  di 
notizie  e  di  fatti  rassegnati  daH'autore. 

G.  PITRfe 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  255 


Reli^ioes  ^a  Lusi taenia  na  parte  que  principalmente  se  refere  a  Portugal 
par  T.  LEITE  DE  VASCONCELLOS.  Vol.  II.  Lisboa,  Imprensa  Nacional  1905. 
In-8,  pp.  XIX-372. 

Questo  secondo  volume  ha  principio  come  uno  studio  della  geografia  del  po- 
poli  protostorici  che  invasero  la  Lusitania,  e  procede  innanzi  con  parecchi  capitoli 
suU'ordinamento  sociale  e  sulle  istituzioni  dei  Lusitani,  sui  siti  di  loro  dimora  e 
su  tutto  ci6  che  rimane  e  si  conosce  di  loro  lingua,  costumi  e  caratteri   general!. 

Liberato  cosi  il  campo  dalle  molte  difficolta  del  grave  argomento^  TAutore 
passa  alia  tesi  principale  delPopera  sua:  le  religion!  primitive,  storicamente 
accertate. 

Diversity  di  genti,  divise  tra  loro»  viventi  a  s6  ed  in  tribii  separate  in  tutta 
la  terra  lusitana  non  poteva  non  portare  molteplicit^  di  credenze  e  quindi  di- 
versity di  dei  e  differenza  di  culti.  Col  sussidio  dei  testi  antichi,  della  epigrafia, 
dei  monumenti  archeologici,  della  toponomastica  e  quindi  della  tradizione  orale, 
il  prof.  Leite  de  Vasconcellos  disquisisce  delle  DivinitA,  e  si  propone  di  disq  uisire 
in  un  prossimo  III"  volume  degli  atti  religiosi  e  delle  forme  di  culto.  I  fenomeni  ce- 
lesti  ed  atmosferici;  la  terra  (monti,  metalli,  pietre),  i  boschi  sacri,  Endovellico, 
divinitA  di  origine  pre-celtica,  salita  al  massimo  splendore  all'epoca  romana,  At6- 
gina,  dea  venerata  soprattutto  nella  medesima  epoca  e  giunta  a  noi  a  traverso  di 
monumenti  lapidari  e  di  bronzo;  le  Deae  matresy  i  Lari,  le  Ninfe,  i  Numi  ed  altri 
dei  e  dee,  che  si  conoscono  solo  in  numero  plurale:  una  folia  che  TA.  passa  a 
rassegna  in  tredici  gruppi,  compongono  il  primo  e  principale  nucleo  di  entita  di- 
vine, sacre  al  culto  di  quegli  antichi  popoli.  Poi  vengono  i  Genii:  nuilus  eftim 
locus  sine  Genio  (Servio);  e  la  dea  Tutela:  quindi  i  luoghi  di  Beira-mare  delPisola 
di  Satumo,  i  fiumi,  distruttori  di  semi  e  di  case  ma  fecondatori  e  fertiiizzatori  di 
campi,  forze  misteriose  che  conveniva  0  scongiurare  0  adorare;  le  fonti  sacre,  ra- 
gioni  di  ammirazione  e  di  poesia;  Navia  0  Nabia,  dea  aquatica,  la  cui  comparsa 
6  pid  comune  di  Endovellico,  in  quanto  significava  «  acqua  corrente  >  ed  era  da 
tutti  intesa  e  da  molti  venerata. 

In  siffatta  maniera,  e  con  siffatti  esseri  compiesi  il  ciclo  della  divinita  ricono- 
sciute  nei  tre  elementi  della  natura:  aria,  terra  ed  acqua. 

Ma  vi  era  anche  dell'altro:  il  culto  degli  animali,  quello  di  una  dea,  probabil- 
mente  di  provenienza  celtica,  con  funzioni  di  penate  0  genio  domestico,  Taltro 
degli  dei  guerrieri  e  non  poche  altre  divinita  d'incerto  genere  e  facoltA. 

La  rassegna  k  lunga,  forse  faticosa  pel  lettore,  ma  certo  deve  essere  stata 
faticosissima  e  durissima  per  I'Autore,  che  per  la  prima  volta,  con  istudi  pazienti, 
ha  adunate  le  membra  sparte  di  libri,  opuscoli,  monografie,  articoli  archeologici  e 
e  gettate  le  basi  della  teogonia  lusitana,  che  h  mitologia  vera  e  propria,  principio 
e  base  del  folk-lore  antico. 


256  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Lontani  dal  campo,  eruditamente  battuto  dal  de  Vasconcellos,  noi  non  chiede- 
remo  della  comunanza  0  deUa  parentela,  quando  evidentissima,  quando  traspa- 
rente,  delle  divinitii  e  dei  numi  lusitani  con  divinita  e  numi  di  altri  popoli.  Egli 
stesso,  il  de  Vasconcellos,  ne  ricerca  facilmente  un  bel  numero ;  e  ci  pare  ovvio  il 
supporre  che  diverse  dovettero  essere  le  genti  che  andavano  a  popolare  0  a  stabi- 
lirsi  in  quelle  contrade,  diversi  per  terra  di  origine  dovettero  essere  gli  dei,  non 
giil  componendo  un  panteon  quale  era  imposto  dalle  conquiste  pel  mondo  ai  Ro- 
man!, ma  localizzando,  in  ragione  degU  immigranti,  ora  qua  ora  \k  numi  e  genii 
tutelari. 

A  Chi  potrA  domani  mettere  in  rilievo  dimenticanze  di  fatti  relativi  airar- 
gomento  il  de  Vasconcellos  fin  da  ora  risponde  con  un  autore  provenzale  del 
sec.  XllI :  Assaz  cUu  haver  mayor  vergonya  aquell  qui  tio  sapy  que  aquell  qui 
demana  e  vol  apendre. 

G.  PiTRfe. 


Antropofiteia.  -  Jahrbucher  fur  Folkloristische  Erhebungen  und  Forschungen 
zur  Entwickelungsgeschichte  der  geschlechtlichen  Moral  herausgegeben  von 
Dr.  FRIEDERICH  S.  KRAUSS.  I.  Band.  Leipzig,  Deutsche  Verlag-Aktien-Ge- 
sellschaft  1904. 11.  Band,  1905.  In-8  gr.,  pp.  XXIl-530,  XVI-480.  Marchi  30  il  vol. 

Dal  titolo  principale  di  questa  ponderosa  pubblicazione  parrebbe  trattarsi  di 
ricerche  buone  solo  a  soddisfare  la  morbosa  curiosity  di  amatori  di  cose  lubriche; 
il  secondo  per6  chiarisce  lo  scopo  vero  della  Raccolta,  il  quale  h  tutto  pel  pro- 
gresso  degli  studi  del  folklore  e  per  la  conoscenza  dello  sviluppo  della  morale 
familiare.  II  Dr.  Krauss,  che  i  lettori  ^^WArchivio  conoscono  da  un  pezzo,  h 
uomo  di  non  comune  valore  negli  studi  di  demopsicologia,  ed  ha  fondato  questi 
Annali  con  intendimenti  abbastanza  elevati  perchfe  possa  sospettarsi  delle  sue 
intenzioni 

Nella  introduzione  del  primo  volume,  infatti,  egli  comincia  trattando  della 
importanza  del  folklore  di  fronte  alia  psicologia,  alia  etiologia,  alia  giurisprudenza 
ed  alia  medicina.  Un  uso,  una  tradizione  qualsiasi  potra  essere  una  rivelazione. 
Chi  scrive  questo  cenno  bibliografico  ricorda  d'essersi  trovato  a  dare  ragione  di 
delitti  mostruosi  commessi  da  gente  ignorante,  per  pregiudizi  in  buona  fede  cre- 
duti  articoli  di  vangelo.  Le  forme  raeno  estetiche,  le  credenze  e  le  costumanze  pid 
nidi  e  scorrette  sono  come  lo  scheletro  di  tutto  Torganismo  scientifico  del  folklore. 
L'antropologia  sta  alia  demopsicologia  come  I'anatomia  alia  medicina. 

Se  cosi  6,  il  folklore  non  dovrebbe  essere  tollerato  come  disciplina  accessoria. 
Dal  7  di  Aprile  1904,  in  cui  le  ventiquattro  Society  tedesche  di  Volkskunde  0  Volkslebe 
0  folklore  si  unirono  in  un  fascio,  forte  di  6ocx)  soci,  gli  altri  istituti  di  alta  cul- 
tura  dovrebbero  accostarsi  a  quelle  e  sedere  a  dotto  convivio. 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  257 

Quest* Anfropq/ileia  h  con  altro  nome  ma  con  maggiore  larghezza  la  collezione 
Kruptadia  degli  editor!  Henniger  di  Heilbronn,  giunta  fino  airVIII  volume.  II  ge- 
nere  o  i  generi  che  la  compongono  furono  giA  sfiorati  da  raccoglitori  in  periodici 
quasi  esclusivamente  tedeschi,  che  i!  Dr.  Krauss  passa  minutamente  a  rassegna. 

11  primo  volume  tutto,  e  mett\  del  secondo,  sono  composti  di  tradizioni  popo- 
lari  slave  meridionali  sul  contatto  sessuale  {SUd-slavische  Volkslieferungen)  rac- 
colte  e  tradotte  in  tedesco  dal  medesimo  Dr.  Krauss.  Se  diciamo  che  nella  specie 
questa  raccolta  h  finora  unica  in  Europa  non  esageriamo,  perch6  anche  fuori  d'Europa 
-  non  ne  conosciamo  altra  simile.  Contiene  466  racconti,  aneddoti,  novelline,  che  il 
Krauss  aggruppa  sotto  ventidue  titoli,  i  quali  noi  dobbiamo  saltare  a  pi6  pari  per 
ragioni  che  i  nostri  lettori  comprenderanno  facilmente.  Stupefacente  la  varieta 
della  materia  nella  sua  straordinaria  abbondanza,  stupefacente  altresl  la  licenza 
di  essa,  che  parte  dal  giuoco  di  parola  e  dalla  scollacciatura  e  finisce  alle  oscenitil 
piix  laide,  alle  forme  pid  audaci  di  libidine,    alle  piii  infami   aberrazioni  di  gusto. 

Guardando  a  questa  copia  e  variety  di  materia  s'affaccia  spontanea  Tosser- 
vazione:  Come  mai  tanti  racconti  lascivi  possano  essersi  trovati  in  un  medesimo 
paese  e  presso  un  medesimo  popolo.  E  si  ha  ragione  di  sospettare  che  varie  cause 
abbiano  potuto  parteciparvi ;  tra  le  quali  principalissima  la  natura  0  Tindole  di  quel 
popolo  inchinevole  a  cosiffatte  brutture  e  la  facility  di  esso  di  accoglierle  per  via 
di  commerci.  Giacchfe  6  addirittura  inconcepibile  come  un  popolo  solo,  lasciato  a 
s6  stesso,  abbia  potuto  inventar  tanti  racconti  licenziosi  ed  erotici  quanti  ne  ha 
messi  insieme  il  Krauss:  impossibility  resa  evidente  dalla  popolarita  del  maggior 
numero  di  essi  in  altri  paesi.  E  allora  h  da  ammettere  la  grande  facility  di  trasmis- 
sione  in  quel  popolo  e  certe  condi-zioni  speciali  di  spirito  e  tendenze  singolari,  le 
quah,  dicasi  quel  che  si  vuole,  non  dovrebbero  trovarsi  cosl  sviluppate  in  altri  po- 
poli  civili.  Data  la  suscettivita  sessuale  di  altri  popoli  d'Europa,  non  h  in  verun 
modo  ammissibile  che  essi  esplichino  la  loro  morale  in  questa  maniera  corrottis- 
sima  anche  scendendo  fino  alia  piii  inconfessabile  degradazione. 

E  percid  appunto  la  importanza  sociale,  morale  ed  antropologica  di  questa 
raccolta,  la  quale,  pur  non  ammettendosene  la  pubblicitil,  0  ammettendola  limitata- 
mente  e  sotto  certe  riserve,  h  una  vera  rivelazione  scientifica. 

Ma  basta  di  ci6. 

Nel  secondo  volume  la  materia  dilaga  in  altre  manifestazioni  eguahnente  oscene. 
La  etnografia  tradizionale  ha  largo  campo  di  esplicarsi  nelle  lingue  dei  popoli:  in 
un  glossario  erotico  di  Vianon,  in  un  altro  di  Tedeschi  del  nord  di  Boemia,  in  altri 
ancora  degli  Zirigari  di  Serbia  e  dei  Tedeschi  di  Berlino.  Spirito  argutissimo  offrono 
380  indovinelli  e  92  proverbi ;  e  i  doppi  sensi  di  quelli  e  le  teorie  di  questi  acqui- 
stano  procacita  esotica  in  canzoni  austriache  d'amore  accompagnate  da  melodie 
popolari,  in  romanze  spagnuole,  in  canti  a  ballo  magiari  (non  ve  ne  ha  meno  di 
107),  in  racconti  zingareschi  della  Serbia,  in  facezie  tedesche  di  Steiermark,  in  novelle 
della  Bassa  Austria  (n.  158),  in  usi,  pratiche,  espressioni  e  motteggi  liberi  delPAlsazia. 

Archivio  per  le  tradieioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  33 


25 S  ARCHiVJO  PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARl 

E  non  e  tutto. 

\n  una  specie  di  miscellanea  sono  esposti  van  casi  gravissimi  di  anormaliU 
sessuali  e  an^tornkKe.  Notevoli  quelli  di  una  giovane  con  una  terza  gamba  e  due 
altre  mammeUe  oltre  te  ordinarie.  Notevole  egualmente  altra  donna  con  si  consi- 
derevole  sviluppo  di  harba  da  degradare  quella  di  un  guastatore.  (Questo  teraa  6 
al  presente  ragfone  di  curiosi  studi  nella  rivista  parigina  L*Hypnotisme  del 
D.r  Behilon}.  Parecchie  domande  sono  esposte  in  brevi  articoli,  e  v'6  una  mezza 
doizina  di  recensioni  di  libri  che  rientrano  nel  campo  ^eXVantropofiteia. 

Se  ne  togli  pochi  collaboratori,  solo  il  Dr.  Krauss  ha  sostenuto  Timmensa  fa- 
tica  del  rai:cojj^iiere,  orJinare,  tradurre  e  dare  in  luce  tutto  questo.  pgli,  h  I'ar- 
dfto  auture  del  la  presente  pabblicazione,  la  quale  susciteril  pareri  diversi  secondo 
clw  si  parta  dal  principio  strettamente  scientifico  o  dal  principio  puramente  ed 
esclusivamente  morale.  Ai  partigiani  degli  uni  ed  ai  partigiani  degli  altri  si  rivolge 
per  poco  I'Autore  nell'flvvertenza  al  secondo  volume,  dopo  di  avere  nella  prefa- 
zjone  al  pHmo  ptantato  come  base  il  proverbio  francese: 

C'est  en  montrant  le  vice  a  nu 
Qu^  Ton  ramene  k  la  vertu. 

Checche  ne  ^ia,  questo  e  innegabile :  che  il  corpo  delle  tradizioni  da  noi  racco- 
glitori  presentato  fin  qu^  manca  ancora  di  qualche  cosa  per  potersi  dire  completo: 
manca  dell'elemento  cniptadjco  o  scatologico,  che  6  quanto  dire  libero.  1  popoli  che 
noi  abhiamo  posti  in  eviden?;a  per  le  loro  costumanze  e  pratiche,  e  piu  per  la  loro 
letteratura  orale,  non  hanno  solo  Taspetto  che  mostrano,  ma  ne  hanno  anche  un 
altro  ben  diverso,  in  faccia  al  quale  abbiam  dovuto  per  pudore  abbassare  gli  occhi 
e  tinj^ere  di  non  accorgercene. 

Non  c'illudjamo;  il  popolo  ^  un  impasto  di  buono  e  di  cattivo,  di  bello  e  di 

bmttOt  di  onesto  e  di  disunesto. 

G.  PlTRfe. 


BULLETTINO    BIBLIOGRAFICO 


ANGELO  ZENNARO,  Vocaboli  e  prcwerbi 
Chioggiotliy  Venezia,  Pellizzati  1905. 
In-8%  pp.  56. 

Dei  vocaboli  alcuni  son  propri,  altri 
storpiati  da  quelli  general!  e  particolari 
del  dialetto  veneto.  Ouali  sono  figurati 
e  quali  della  parlata  lurbesca  e  conven- 
zionale.  Da  ci6  le  differenze  che  saltano 
agli  occhi  di  chi  percorre  le  seicento  e 
piu  voci  schiettamente  popolari  del  glos- 
sario. 

Dei  proverb!  il  Zennaro  scrive:  <  Se 
parecchi  se  ne  troveranno  di  comuni  ai 
proverbi  veneziani,  salvo  le  differenze 
del  dialetto,  i  piu  perd  sono  esclusiva- 
mente  del  popolo  chioggiotto,  ed  in  rela- 
tione colle  sue  abitudini,  vitto  ed  origi- 
nal! costumi  ». 

Se  non  che,  scarsa  materia  paremio- 
grafica  italiana  deve  egli  aver  avuta 
alle  man!,  altrimenti  avrebbe  veduto  che 
la  raaggior  parte  dei  suol  proverbi  sono 
comuni  non  solo  ai  dialetti  di  Venezia 
e  del  Veneto,  ma  anche  a  quelli  di  altre 
region!  d'ltalia.  Le  prove  son  11,  nelle 
raccolte  del  Cassani  per  Trieste,  del  Sa- 
maraniper  la  Lombardia,  dell'Ostermann 
pel  Friuli,  del  Giusti-Capponi-Gott!  per 
la  Toscana,  del  Zanazzo  per  Roma,  del 
Finamore  per  gli  Abnizzi  e  via  dicendo. 

1  proverbi,  post!  come  il  Zennaro  ebbe 
di  quando  in  quando  a  sentirli,  sono  377. 


ANTONIO  PILOT,  Un  capitolo  vcma- 
colo  inediio  contro  il  giuoco.  Capodi- 
stria,Cobol  e  Priora  1905.  In  8%  pp.  11. 

—  Contro  gli  astrologhi  ed  indovini, 
Ivi,  1905.  In-8*,  pp.  8. 

11  Lotto  publico  in  Venezia,  ereditato 
da!  Genovesi  e  accolto  dal  Governo  della 
Repubblica,  aveva  avuto  nel  1590  come 
precedent!  unalotteria  con  premi  nel  1521. 
Era  una  delle  varie  forme  dei  giuochi, 
rovina  delle  famiglie,  causa  di  delitti. 


Un  capitolo  inedito  d'anonimo  cinque- 
centista  lo  biasimaarditamente:  e  questo 
capitolo,  documento  di  storia  d'una  vita 
forse  non  del  tutto  finita,  mette  in  luce 
il  D.r  Pilot. 

Altro  documento  del  tempo  6  un  capi- 
tolo Contro  gli  astrologhi  ed  indovini 
del  medesimo  anonimo:  dal  quale  il  Pilot 
si  propone  di  trarre  profitto  per  illu- 
strare  anche  nelle  minuzie  il  sec.  XVI 
nella  Repubblica  veneta  e  pure  offrire 
un  contributo  alia  storia  della  fortuna 
dell'astrologia  in  Italia. 

•Entramb!  quest!  componimenti  son  pre- 
ceduti  da  introduzioni,  le  quali  valgono 
piu  dei  componimenti  medesiral. 


HENRY  S.  WELLCOME.  Hen  fedve- 
syaeth  Kymri^.  (Ancient  Cymric  Me^ 
dicine).  Burroughs  Wellcome  a.  Co. 
London  1905.  In-i6*,  pp.  52. 

Specie  di  nota  prevent! va  d'un  lungo 
lavoro  sugli  antichi  metodi  curativ!  in 
uso  presso  popol!  civil!  e  non  civil!, 
queste  pagine  sono  un  ricordo  storico 
di  ci6  che  I'Autore  comunicd  airassem- 
blea  della  «  British  Medical  Association  » 
di  Swansea  nel  1903.  Pagine  important! 
per  le  notizie  nuove  0  nuovamente  messe 
in  luce,  che  il  sig.  W.  offre,  e  special- 
mente  per  i  disegn!  relativi  ai  rimedi 
suggestiv!  impiegati  da!  Druid!  in  rit! 
mistici,  in  sacrifici  di  prigionieri  di 
guerra,  in  pietre  e  sass!  prodigiosi,  in 
istrument!  miracolos!  e  in  molt!  altri 
oggett!  che  hanno  rapporti  con  pratiche 
e  credenze  dell'antica  terapia  materiale 
e  morale. 

Stando  a  questo  saggio  I'opera  di  1^ 
da  pubblicarsi  dovrebbe  riuscire  cu- 
riosissima  per  il  folk-lore  cosi  come  per 
la  storia  della  medicina  e,  in  generale, 
della  vita  dei  popol! . 


26o 


ARCHIVIOPER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 


Mumie  als  HcUmiitcl,  von  Prof.  Dr. 
ALFRED  WIEDEMANN,  Bonn.  Elber- 
feld  1906.  ln-8%  pp.  38. 

fe  un  estratto  dalla  Zeitschrift  des 
VercinsfUr  Reinische  und  Weslfdlische 
Volkskunde,  ed  ha  per  tema :  la  mummia 
considerata  come  mezzo  curativo:  tema 
in  apparenza  sterile,  con  che  il  prof. 
Wiedemann  ha  saputo  fecondare  con 
molti  fatti  antichi  e  modemi  e  con  ampia 
conoscenza  della  letteratura,  in  vero  non 
iscarsa  nel  genere.  Diciamo  «  lettefa- 
tura  »,  ma  la  parola  non  e  esatta,  perch6 
un  vero  lavoro  nel  genere  non  esiste: 
e  rha  creato  il  W.  facendo  capo  a  no- 
tizie  e  ad  appunti  sparsi  in  un  centinaio 
di  libri,  memorie,  relazioniche  nonsempre 
dal  titolo  son  da  giudicare  buoni  all'ar- 
gomento  della  terapia  mummiesca. 

Egli  6  cosl  che  la  medicina  popolare 
ha  ora  una  nuova  pagina,  strana,  ma 
istruttiva  sulle  aberrazioni  specialmente 
antiche  dello  spirito  umano. 

P. 


G.  MEGALI  DEL  GIUDICE,  AW  paese 
della  Fata.  Reggio  di  Calabria,  D'An- 
gelo  1905.  ln-8*  pp.  141. 

/  canti  della  culla,  titolo  del  primo 
dei  tredici  scritti  di  questo  volumetto, 
sono  un  saggio  di  ninne-nanne  calabresi 
di  Reggio. 

II  bambino  cresce  e  comincia  a  bal- 
bettare  le  prime  parole,  argomento  di 
un  secondo  scritto.  Vengono  i  Giuochi 
fanciulleschi,  terzo  scritto,  tra  i  quali 
prevalgono  le  formole  per  far  la  conta. 
Quarto,  TJamore  e  le  sue  canzoni,  pochi 
canti  amorosi  in  forma  di  ottave  alia 
siciliana  a  rime  alterne,  ai  quali  segue 
un  mazzetto  di  Camoni  d'amore  e  di 
sdegrio. 

Da  questo  quinto  si  passa  al  sesto 
scritto :  Sul  nionte  sacro,  descrizione 
della  festa  settembrina  in  onore  della 
Madonna  della  Consolazione  in  Reggio, 
festa  preceduta  da  sette  orazioni  so- 
lite  recitarsi  nei  sette  Sabati  che  la  pre- 
cedono.  L'autore  chiama  IJode  dei  sette 
Sabati  queste  orazioni,  che  rivelanofin 
dai  primi  versi  la  loro  recente  fattura, 
non  anteriore  al  1837. 

L'ottavo  ed  il  nono  scritto  parlano  del 
Naiale  e  del  Gioi'edl  Santo  \  il  decimo 
delle  Feste  campestri  in  primavera^  e 


I'undicesimo  di  megere,  stregonerie, 
diavoli  e  folleiti.  Cinque  Fiabe,  dei  tipi 
piu  conosciuti,  tutte  in  dialetto  reggino, 
chiudono  il  libro,  il  cui  contenuto  e  bel- 
lamente  sintetizzato  nelle  ultime  quattro 
pagine  Prima  dell'indice. 


Almanacco  Italiano.  Piccola  Enciclo- 
pedia  popolare  della  vita  pratica  ecc. 
Anno  X,  1905.  Firenze,  R.  Bemporad 
&  figlio,  Editori. 

Parecchie  dozzine  di  pagine  accoglie 
questo  decimo  anno  deir Almanacco  della 
Casa  Bemporad.  Gli  Alba  nest  d'  Italia 
(224-228)  di  Oreste  Dito  sono  cenni  della 
religione,  dei  canti,  degli  usi,  delle  nozze 
delle  colonie  italo-albanesi  in  Calabria 
ed  in  Sicilia  illustrati  con  otto  fototipie 
di  costumi.  -  Usanze  c  costumi  tradi- 
zionali  del  popolo  italiano  (504-533)  k 
un  titolo  sotto  il  quale  si  sarebbe  potuto 
includere  anche  il  precedente,  perche  gli 
Albanesi  d'ltalia,  quantunque  bilingui, 
fan  parte  pure  della  popolazione  ita- 
liana  come  lo  fanno  gli  Sloveni  del  Friuli. 
Sotto  quel  titolo  vanno  due  regioni :  le 
Marche  e  la  Toscana.  Nelle  Marche,  di 
V.  Boldrini,  si  discorre  delle  maggiolate 
(e  se  ne  riferiscono  i  canti)  e  di  alcune 
pratiche  degli  innamorati,  0  di  usi  nu- 
ziali  caratteristici.  Come  di  costumanze 
storiche  si  parla  della  giostra  del  toro 
e  del  tiro  al  gallo,  abolite  dal  Govemo 
italiano  nel  i860.  A  capo  d'anno  un  can- 
terino  con  un  sonatore  di  tamburo  va 
in  giro  facendo,  a  forza  di  auguri,  una 
questua,  proprio  come  nel  Veneto  si  fa 
pel  giomo  di  S.  Martino.  Pronostici 
traggono  le  giovani  ed  i  fanciulli  il  i»  ed 
il  6°di  dell'anno,  quelle  pel  futuro  damo, 
questi  per  i  doni  della  befana.  Proces- 
sioni,  mercati,  fiere,  costumi,  tipi,  ol- 
trech^  scene,  paesaggi  ecc.  appariscono 
piu  evidenti  in  32  fototipie. 

Piu  caratteristiche  sono  le  usanze  to- 
scane  descritte  da  Giuseppe  Conti,  il 
quale  ha  saputo  scegliere  0  trovame 
delle  veramente  speciali :  in  Firenze,  le 
fiere  di  quaresima,  la  scala  di  mezza 
quaresima,  lo  scoppio  del  carro,  la  festa 
dell'Ascensione  con  lo  spaccio  dei  grilll, 
quella  di  S.  Giovanni,  Taltra  della  Ma- 
donna con  le  reficolone,  la  fiera  degli 
uccelli;  neirimpruneta,  lafiera;  in  Siena 
il  palio:  con  24  disegni  in  litografia  e 
costumi  e  scene  in  fototipia. 


RECENTI  PUBBLICAZIONI 


261 


RECENTI  PUBBLICAZIONI. 


BALLADORO  (A.).  Leggende  popolari 
veronesi.  Napoli,  Priore  1905.  In-4», 
pp.  7. 

BIANCHI  (Quirino).  L'evoluzione  del 
Diavolo  nella  delinquenza.  Napoli,  Stdb. 
Tip.  F.  Lubrano  1905. 

CHIARINI  (Gino).  Romeo  e  Giulietta, 
La  storia  degli  amanti  veronesi  nelle 
novelle  italiane  e  nella  tragedia  di 
Shakespeare,  nuovamente  tradotta  da 
Gino  Chiarini.  Firenze  C.  C.  Sansoni. 
ln-16,  pp.  293. 

D*ANCONA  (A.)  La  poesia  popolare 
italiana.  Studj.  Seconda  edizione  accre- 
sciuta.  Livomo,  Giusti  1906.  In-i6«, 
pp.  571.  L.  5. 

DE  GUBERNATIS  (A.).  De  Sacountala 
a  Griselda.  Rome,  Forzani  e  C.  1905. 
ln-8.  pp.  32. 

Per  la  Calabria.  Numero  unico.  Sa- 
lerno, Fratelli  Jovene  1905.  (contiene  vari 
scritti  di  tradizioni  popolari). 

PiTRfe  (G.).  La  vita  in  Palermo  cento 
e  pid  anni  fa.  Palermo,  Alberto  Reber 
Editore  1904-5.  Vol.  I,  pp.  XV-422;  11, 
474.  L.  10. 


Chaminade  (Eug.)  CASSE  (E.).  Chan- 
sons patoises  de  Perigord  avec  adap- 
tations en  vers  Macs  en  rythme  mu- 
sical. Paris,  Champion  ln-8»,  pp.  68. 
Fr.  2,50. 

REINACH  (Sal.).  Cultes,  Mythes  et 
Religions,  vol.  1.  Paris,  E.  Leroux,i905. 


DELEHAYE  (Hippolyte)  Les  l^gendes 
hagiographiques.  Bruxelles,  Society  des 
Bollandistes  1905.  In-S",  pp.  Xl-264. 


ANNANDALE  (Nelson).  The  Faroes  and 
Iceland:  Studies  in  Island  Life.  Oxford 
Clarendon  Press  1905. 


BIDPAI.  Kalila  and  Dimna,  or  the 
fables  of  Bidpai*  translated  ivum  the  ara- 
ble by  Windham  Knatch  hulL  Roma, 
Stamp.  G.  Balbi  1905.  In  16°,  pp.  XIJ-55Q. 

Parker  (K.  Langloh).  The  Enahlnvl 
Tribe:  A  study  of  aboriginal  Life  in  Au- 
stralia. With  an  introduction  by  a.  Lanj^. 
London,  Constable  1905.  In-S". 

THOMAS  (Northcote  W.).  Crystal  Ga- 
zing, its  Histor>'  and  Practice,'  London, 
Moring  1915.  In-i6»,  pp.  XLIII-i6jj. 


ANDREE  (R.).  Votive  Weihegahen  de.s 
katholischen  Volks  in  Siiddeutschland. 
Ein  Beitrag  zur  VolkskunJe.  Braun* 
schweig,  Vieweg  und  Sohn,  1904. 

JOHN  (Alois).  Sitte,  Brauch  und  Volks* 
glaube  im  deutschen  WestbChinen.  Prag, 
J.  G.  Calve,  1905.  In  8",  pp.  xVll-458, 

JODAN  (Leo).  Die  Sage  von  den  vier 
Hairaonskindern.  Erlangen,  /uniie,lii-s% 
pp.  198. 

SCHUMANN  (Colmar).  LUbecker  Spiel- 
und  Ratselbuch.  -  Neue  Beitrage  zur 
Volkskunde.  Liibeck,  Gebriider  Borchers, 
1905.  In-8^  pp.  XXIl-208. 

SCHWINDT  (Th.).  Finnische  Volks- 
trachten.  Helsingfors  Yrj6  Wejlin  1905* 
In-8'>,  pp.  Vl-20.  16  Tav. 


KUNOS  (Ignaz).  Turkische  Volks- 
marchen  aus  Stambul,  gesammeit.  Ober- 
setztund  eingeleitet.  Leiden,  Brill,  1905 
ln-80,  pp.  XXXII-410. 


GHESQUIERE  (Remi).  300  Spelen  met 
Zang  verzameld  in  Vlaamsch-Belgeriland 
en  voornamelijk  in  West-VLianJeren. 
Gent,  A.  Siffer  1905.  In-8«,  pp.  xin-a4j. 


262 


ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


SOMMARIO  DEI  GIORNALI. 


ALMANACCO  DELLEFAMIGLIECRI- 
STIANB  per  l*a.  tQo6.,  a.  XXI,  pp.  25-28. 
Nella  Delia  Pietra;  //  Palio  di  Siena, 
de&crizione  accompagnata  da  due  illu- 
stration). 

ATTr  DEL  CONGRESSO  INTERNA- 
ZIONALE  DI  SCIENZE  STORICHE. 
V.  IX  :  rp*  195-313;  A.  Agostini :  Le  con- 
di:^ioni  dti  coHtadini  salariali  in  Sar~ 
d£j^iia  alia  vigUia  della  Rivoluzione 
frantffstr, 

GIORNALE  STORICODELLA  LETTE- 
RATURA  ITA  LIANA.  Torino  1905.  Vol. 
XLVI,  fasc.  1-2.  V.  C\3.^:  SuWuso  della 
camicia. 

GIORNALE  Dl  SICILIA.  Anno  XLV, 
n,  78.  Palermo,  19  Alarzo  1905.  sobi  (11 
debrando  Bendvenni>:  E'  slatoildiavoio, 

N,  tS:,  7  Iu|:liD,  P.  Bellomia-Lo  Re: 
/  canii  pop.  %i<:tliafii^  a  proposito  d'una 
tesi  di  magtstero  in  Roma. 

LA  GAZZETTA  DI  NOVARA,  a.  IX, 
nn.  844  e  B45.  23-34.  37-28  Die.  1905. 
A.  Massara :  Tipi  t  rostumi  di  cam- 
pagiia.  IX.   II  ^  camltianle  >. 

A.  X,  nn.  8$u  ^53,  T 7- 1 8,  20-21  Gen- 
ii aio  1906.  Lo  stesso :  X.  Germogli  di 
campo^  usi  e  can^onette  infantili  del 
Novarese. 

LA  TRIBUNA  SCOLASTICA,  a.  II, 
n*  8*  AMlano,  2.  Die,  \^^.  Usi  e  coslumi 
di  Calabria.  -  A.  Rizzuti :  /  canti  del 
Popolo  Calabrese, 

L'ORA,  a.  VI,  1905.  n.  65,  6  Marzo: 
G.  Ragllsa*Moleti :  17  Carnevale  in  Si- 
cilia , 

Nn.  ro7  e  lai,  xi  Aprile,  i  Maggio. 
li  pjtri^alorio  e  le  attime  sanle  nella 
coiict':::itiite  pop^  siiiliana. 

N.  141.  27  Ma^K't^*  II  sentimenlo  ma- 
ter'iio  ni'i  i:aHii  pofK  sic. 

VORh  JLLUSTRATA,  a.  II,  n.  20, 
14  Maggio  1905.  /'W/e  t  t'ligiose  popolari: 
M  volo  degli  angeli  in  Ottaiano  per  la 
ricorrenza  di  S.  Michele  Arcangelo. 

N.  36.  aa  Giugno  Montevergine,  porta 
religiosa  popolare  di  Napoli,  illustrata 
con  tre  tavole  In  fototipia. 

NtCCOLO'TdMMASEO,annon,i9o5. 
N.  7-Si  LugliCH-Agosto.  C.  Musattl:  La 


leitera  d*una  slrega  veneziana  del  cift- 
quecento.  -  A.  Balladoro:  Qitela  dvla 
paUy  novellina  Veronese.  -  G.  B.  Corsi: 
V'oci  di  campane  senesi.  -  Un  bruscello 
del  contado  huchese.  Continua  ai  n.  9-12. 
-  F.  Seves:  Leggende  alpine, 

N.  9-10,  Sett.-Ott.  L.  Bonngli :  Slefano 
Guazzo  e  la  sua  raccolia  di  proverbi. 
Continua  ai  nn.  11-12.  -  C.  Musatti: 
Modi  di  dire  del  pop.  veneziano,  -  A. 
Balladoro :  Tre  indovinelli  aneddoti  del 
Contado  Veronese. 

Nn.  11-12.  A.  Balladoro:  G.  C.  e  s, 
Pieiroy  tre  leggende  pop.  veronesi.  - 
G.  Giannini :  Un  bruscello  del  Contado 
lucchese :  continuazione  e  fine.  -  Balla- 
doro: St.  grullerie  degli  abilanti  di 
Zago.  -  H.  Prato:  medic ina  pop.  livor- 
nese:  terapeutica  mistica:  benedizione 
della  risipola.  AlPultima  pagina  di  questo 
fascicolo  leggiamo  non  senza  vivo  rin- 
crescimento:  «  11  Niccold  Tommaseo  non 
avendo  trovato  nel  pubblico  italiano  quel 
favore  che  si  riprometteva,  cessa  con 
questo  numero  le  sue  pubblicazioni  ». 


REVUE  DES  TRADITIONS  POPU- 
LAIRES,  T.  XX.,  n.  11.  Nov.  1905.  L.-G. 
Seurat:  Legendes  des  Paumotou  nel- 
rOceano  pacifico  del  Sud.  Continua  al 
n.  12.  -  Les  taches  de  la  lune.  -  P.  Se- 
billot:  Le  corps  humaine:  I  denti  degli 
adulti.  -  R.  Basset:  I^s  villes  englou- 
ties.-L.  Desaivre :  Les  traditions  pop.  et 
les  ecrivains  fran^ais. 

N.  12.  Pelerins  et  p^leHnages,  CXLVII 
-CLV.  -  H.  de  Kerbenzec:  Devinettes 
de  I'llle-et-Vilaine,    VI.,    n.  113. 

FOLK-LORE.  Vol.  XVI,  3  Sett.  1905. 
Albinia  Wherry:  The  Daticing-Tower 
Procession  of  Italy.  lUustra  spettacoli 
devoti  nei  quali  si  trascina  e  conduce 
in  giro  dove  un  carro  trionfale,  dove 
giganteschi  ceri,  dovepiccoli  bastiraenti. 
Cosi  vengono  richiamati  la  Rua  di 
Vicenza,  la  macchina  trionfale ^  ossia  il 
Cero  di  S*  Rosa  di  Viterbo,  i  Gigli 
di  Nola,  la  Vara  di  Messina,  i  Ceri  di 
Gubbio.  Lo  scritto  h  accompagnato  da 
cinque  tavole  in  fototipia.  -A.  B.Cook: 
The  European  Sky  God,  111  -  Cone- 
spondancc.  -  Reinews. 

N.  4.  Die.  1905.  R.  E.  Dennet:  Ba- 
vili  Notes,  con  due  tavole  di  costumi. 
-  M.  Gaster:    The  Legend  of  Merlin. 


SOMMARIO  DEI  GIORNALI 


26^ 


-N.  W:  Thomas:  The  Religious  ideas 
of  the  Arunta.  -  Collectanea:  Dennett.* 
Notes  from  South  Nigeria.  -  R.  C. 
Maclagan  :  Additions  to  the  Games  Ar~ 
gyleshine.-  Correspandance .-  Reviews. 
Vi  si  parla  di  recenti  pubblicazioni  di 
Sal.  Reinach,  J.  A.Dulaure,  R.  Andree, 
P.  Eherenreich,  N.  Annandale. 

ZEITSCHRIFT  DES  VEREINS  FUR 
VOLKSKUNDE,  15  Jahrgang  1905,  n.  4. 
P.  Toldo:  Alls  alien  Novellen  ecc. 
Continuazione  e  fine.  Illustra  due  altri 
tipi  di  novelle.  -  Th.  Zacariae:  Zum 
Doktor  Allwissettd.  -  Karl  Dieterich: 
A  us  neugriechischen  Sagen.  -  A.  En- 
giert:  Die  menschlichen  Altersstujen 
in  tfort  und  Bild.  Per  la  storia  biblio- 
grafica  dei  Hbri  popolari  crediamo  degno 
di  essere  rilevate  le  Italienische  Ot- 
taven  z^on  J.  Chr.  Artopeus  ecc.  (pp. 
404-412),  le  quali  figureranno  al  certo, 
nel! 'opera  che  viene  preparando  il  D'An- 
cona.  -  P.  Beck:  Die  Bibliothek  eines 
He.renmeisters.  Elenco  molto  ricco  e 
molto  interessante  di  libri  pubblicati  in 
Europa  sull'argomento  di  streghe,  ma- 
liarde,  negromanti  ecc.  ecc.  Contiene 
123  numeri,  con  un'aggiunta  dell'in- 
esauribile  Bolte.  -  K.  Relterer:  Beschwo- 
rung  der  heiligen  Corona.  -  Kleine  Mit- 
ieilungen.  Egualmente  curiosa  e  una 
raccolta  d'iscrizioni  murali,  specialmente 
nelle  case,  fatta  da  Aug.  Andrae.  Le 
iscrizioni  sommano  a  38.  -  Bcrichte  und 
Bilcheranzeigen.  Rassegna  della  lette- 
ratura  popolare  tedesca  nel  1904,  della 
danese,  e  di  recenti  pubblicazioni  di  Yer- 
moloff,  di  Hackmann,  di  Stumme, 
Bacher  ecc. 


ANZEIGER  DER  ETHNOGRAPHl- 
SCHEN  ABTEILUNG  DES  UNGARI- 
SCHEN  NATIONAL-MUSEUMS  111.  I. 
Budapest  1905.  S.  Karoly;  Das  Sz4kler 


Haus  des  Hdromszeker  <  S^entfofd  w, 
Studia  i  tipi  dei  tetti  di  certe  case  di 
Ungheria.  -  Gonczi  fewncz:  Bntnnen 
und  Steige  im  Gocsej.  Fontane  e  pozzi,  - 
Szabo  Imre:  Weihnachtc-ti  der  Dez>aer 
Csdngd'Sz^kler:  due  giuochi  della  notte 
di  Natale,  con  canti  popolari,  -  D,  Se- 
mayer  Vilibald:  ^oguILuh  Osijakische 
ornamentierte  Rindenjtit-f'ds&t.  -  I  'otizf-' 
Gaben  aus  Trans-Danubiefi ,  ex-voto 
in  terracotta  ecc.  -  Biro  Lajos:  Daifn 
zu  r  Schiffa  rt  u .  Fischert  i  dt •  r  Bisma  1  ck- 
Insulaner.  Forme  diverse  di  liarcbe,  at- 
trezzi  da  pescare,  omamenti  ecc.  dl 
quegli  isolani. 

Tutto  il  fascicolo  h  illustra  to  con  un 
gran  numero  di  disegni  in  fototipia*  in- 
cisione,  ecc. 

THE  JOURNALOF  AMERICAN  FOLK- 
LORE.  Vol.  XVIII.  LugUo^Sett,  190S- 
n.  LXX. 

Crawford  H.  Tay:  Aftwiean  Human 
Sacrifice.  -  Jones:  The  Al^mtkifi  Afa* 
nitou.  -  Ph.  Barry:  Tf  adit  ion  at  Bal- 
lads in  New  England.  II,  So  no  cinque 
ballate  con  note  vol  i  variant!  siia  di  testo, 
sia  di  melodia  popolare.  -  F.  A.  GoUer : 
Aleutian  Stories.  N.6.  Leggende.  -T.  M. 
Borba:  Caingatig  Delug*'  I^'gend.  Tra- 
duzione  inglese  dairoriKinaleportoKhese. 

-  A.  F.  C.  a.  1.  C.  C.  Record  of  Ame^ 
rican  Folk- Lore. 

N.  LXXI.  Ott.  Dicembre  1905,  Clark* 
Wissler:  Tlie  Whirlitvind  a,  the  Ffkin 
the  Mythology  of  the  Dakota.  -  Fr,  La 
Flesche:   Who  was  the    Mddicine  Jftui/ 

-  A.  F.  Herrick:  Cupif's  Arroii\  -  F, 
R.  Walker:  Siou:f  Gaines^-Ph,  Barry : 
Traditional  Ballads  in  AWt?  fingland, 
111.  -  Notes  a.  Queries.  -  BibHograf^hiciil 
Notes.  Recenti  pubblica^^toni  di  K.  Mul- 
ler-Fraureuth,  Fr.  S.  Krauss,  M,  Mauss, 
Eulalie  Osgood  Grover,  Dem.  A.  Pe- 
truakakos. 

G.  P1Tr£. 


NOTIZIE  VARIE. 


Una  curiosa  Esposizione  storica  d'og- 
getti  rari  ed  interessanti  in  relazione 
con  la  medicina,  la  chimica  e  la  farmacia 
di  prossima  apertura  viene  preparando 
Londra  il  sig.  Henry  S.  Wellcome.  Sarii 
in  divisa  per  professioni,  ed  accoglier^ 
dipinti,  disegni,  incisioni,  stampe,  rela- 
tive a  medici,.chirurgi,  alchiraisti,  spe- 
ziali,  levatrici;  formule  di  ricette,  anti- 
chi  ex-voti,  amuleti,  emblemi,  talisman! 


di  popoli  civili  e  di  popoH  selvaggl:  in* 
segne  di  antiche  corporazioni .  antichi 
diplomi,  reliquie  di  chlrurKhi,  dentisti, 
strumenti  ecc.  ecc.  La  traJizione  vi  entra 
per  molto,  giacchd  Targomento  rappre- 
senta  future  pagine  del  costume. 

—  II  7  Aprile  1905  3 1  prof.  A,  Vecoli 
del  R.  Liceo  di  Arezzo  tenne  all-Univer^ 
sit^  popolare  una  leziune  sulJa  *  orlgire 
dei  cantamaggi  toscani  *, 


264 


ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


—  II  10  dello  stesso  mese  I'avv.  G. 
Amalfi  tenne  in  Salerno  una  conferenza 
su  Masuccio  Salemitano  ed  il  suo  ^t  No- 
vellino  ». 

—  It  cav.  Luigi  Mannocchi  di  Petritoli 
ha  dato  1 'ultima  mano  al  suo  «  folk-lore 
della  provinda  di  Ascoli  Piceno »,  il 
quale,  benchfe  manoscritto,  e  stato  pre- 
miato  con  una  medaglia  d'oro  nella  Espo- 
sizione  di  Senigallia  del  1904  e  con  una 
altra  in  quella  di  Macerata  del  1905. 

L'opera  e  contenuta  in  1183  pagine  e 
divisa  in  quattro  parti:  i»  Storia  del 
Piceno;  2"  Stomelli  in  fermano  e  in  asco- 
lano,  canti  narrativi  e  religiosi,  novelle 
e  fiabe,  pregiudizl  e  superstizioni ,  indo- 
vinelli  e  giuochi,  proverbi,  calendario 
popolare ;  3°  Feste ;  4*  Poesie  inedite  dei 
migliori  poeti  dialettalidi  quelle provincie. 

—  II  prof.  A.  Massara,  nostro  colla- 
boratore,  prepara  per  la  stampa  un  vol. 
di  tipi  e  costumi  di  campagna. 

—  Dal  16  aprile  al  i«  ottobre  1905,  si 
venne  rapresentando  in  Nancy  la  <  Pas- 
sione  di  G.  Cristo»,  in  tutto  e  quasi  per 
tutto  come  il  famoso  dramma  di  Oberam- 
mergau.  Costumi  e  scene  furono  fedel- 
mente  ritratte  sui  luoghi  santi  e  sopra 
quadri  ed  opere  d'arte  dei  piu  grandi 
artisti,  Van  Dyck,  Rubens  e  Rembrandt. 

La  €  Revue  des  voyages  >  di  Parigi 
del  mese  di  maggio  di  quest'anno  d^  in 
proposito  particolari  curiosi. 

—  II  18  agosto  del  1905  si  fondava  in 
California  una  sezione  della  fiorente  «  A- 
merican  Folklore  Society  >  che  ha  la  sua 
sede  in  Boston.  Questa  sezione  si  pro- 
pone rincremento  dello  studio  delle  tra- 
dizioni  popolari;  e  ne  sono  presidente 
e  segretario  i  Signori  F.  VV.  Putnam  e 
A.  L.  Kroeber,  entrambi  professori  aH'U- 
niversitd  di  California. 

Le  prime  letture  tenute  nello  scorso 
ottobre  sono  state  specialmente  rivolte 
al  folklore  giapponese. 

—  £  sorta  una  Society  Portoghese  di 
Folk-Lore  in  Porto,  la  quale  viene  rac- 
cogliendo  dei  libri  per  una  biblioteca  folk- 
lorica.  Chi  voglia  mandame  si  rivolga 
al  sig.  Alfredo  F.  de  Faria,  a  Porto,  199, 
rua  Formosa. 

—  La  Casa  editrice  Fritz  Lehmann  in 
Stuttgart  viene  pubblicando  la  seguente 
opera  illustrata  con  splendide  fototipie : 
«  Kopf-und  Gesichtstypen  ostasiatischer 
und  melanesischer  Volker »  del  Dr. 
Bernard  Hagen. 

—  Nata  a  Varese  (Lombardia)  nel  1830, 
6  morta  a  Milano  il  12  Gennaio  1906  la 


signora  Felicita  Morandl,  autrice  dei 
4(Proverbi  della  zia  Felicita >  (Milano, 
1872,  1879,  1885). 

—  Corrado  Avolio,  noto  agli  studiosi 
per  il  suo  vol.  di  «  Canti  pop.  di  Noto  > 
(Noto,  1875)  cessava  di  vivere  il  i«  Set- 
tembre  del  1905. 

—  w.  Matthews,  antico  Presidente 
della  «  American  Folk-Lore  Society  *  au- 
tore  di  una  raccolta  di  <  Navaho  Le- 
gends » (Boston,  1897)  e  di  un  bel  numero 
di  studi  tradizionali,  e  morto  in  Washing- 
ton, sua  patria,  all'etA  di  62  anni. 

—  I  giomali  d' Italia  aegli  ultimi  di 
dicembre  1905  rimpiangono  la  morte  im- 
matura  di  Severino  Ferrari,  avvenuta 
a  Colle  Gigliato  presso  Firenze  la  notte 
di  Natale.  Egli  contava  appena  43  anni. 
Collaboro  3i\VArchivw  con  una  raccol- 
tina  di  canti  popolari  di  Pietro  Capo- 
fiume  (cfr.  vv.  VII,  VllI,  X):  e  di6  in 
luce  quella  mirabile  <  Biblioteca  di  Let- 
teratura  popolare  ital.  (Firenze,  1882-83) 
che  e  dei  migliori  documenti  per  la  storia 
della  poesia  popolareggiante. 

II  nostro  compianto  accompagna  la  do- 
lorosa dipartita. 

t  entrato  nel  II  anno  Puccetiino,  gior- 
nale  illustrato  pei  fanciulli,  che  si  pub- 
blica  a  Milano  dalla  Societa  Editrice 
Lombardi,  Muletti  e  C.  Lo  ha  fondato 
fe  dirige  il  prof.  Mario  Manfredi,  che 
parte  dalla  sana  idea  che  si  debba  tor- 
nare  ai  principi,  derivando  dalle  tradi- 
zioni  di  tutti  i  paesi  e  di  tutti  i  luoghi 
la  materia  per  i  piccoli  lettori.  Puccel- 
tino  infatti  ritrae  dalle  tradizioni  di 
vari  popoli,  ma  sopratutto  da  quelli  del- 
ritalia;  e,  senza  alterare  il  fondo,  sa  bene 
adattarle  alle  tenere  menti.  Questi  cri- 
teri  saranno  discutibili  agli  spiriti  forti 
della  moderna  pedi-spicosofia,  i  quali 
vagellarono  a  voler  mandare  al  bando 
novelle  e  racconti  che  deliziarono  centi- 
naia  di  generazioni,  compresa  la  loro; 
ma  non  potranno  non  trovar  seguaci  in 
quanti  cercano  il  bene  dove  lo  vedono, 
e  se  ne  servono  alia  educazione  ed  al 
diletto  delle  anime  infantili,  non  ancora 
lo  diciamo  con  una  frase  di  Michele  de  • 
Montaigne,  sofisticata  del  vero. 

—  II  Dr.  Ricardo  Severo  ha  comin- 
ciato  a  pubblicare  in  Porto  il  2.  vol.  del 
suo  periodico:  PorlugaHa,  materia  per 
lo  studio  del  popolo  portoghese. 

—  S'annunzia  la  prossima  pubblica- 
zione  d'un  vol.  di  Geroic  Romances  of 
Ireland,  tradotto  in  prosa  e  in  poesia 
inglese  con  prefazione,  introduzione  e 
note  di  A.  H.  Leahy. 


NOUZIE  VARIB 


265 


N&  sarA  editflce  la  casa  David  Nutt 
in  Londra, 

■^-  Col  titoio  d1  AnikropifS  veJra  fa 
luce  in  Salisburgo  (Austria  1  un  perio- 
dico  tUustmto  intemazionfile  Jj  Bn<>' 
[ogta  e  della  scienza  del  lingua^^^io  a 
cura  del  P.  W.  Schmidt.  Vi  coUaNjre- 
ninno  molti  missionari,  e  v1  sara  illu- 
strata  la  vita  in  telle  ttuale  Je'  diversi 
popoli.  le  lOTO  sa^he  e  lejiitenJet  i  loro 
pmvarM.  la  i>oesia,  la  musica,  la  danza. 
I 'arte  pH>p<jIare*  i  costumL  la  morale,  le 
credenze. 

—  Domenka,  it  marzo  rgoG  il  prof* 
Enrico  Filippini  del  M,  Liceo  di  SonJria 
In  Valtellina  tenne  per  la  Dante  Ali- 
ghieri  una  conferenza  sopra  La  nostra 


ieii£f-^iura  /a^pofar^.  Egti  con  rapida 
sintesf  e  particolare  conoscenza  passd 
a  rassegna  i  vari  generi  di  letteratura 
popt>lare,  fermandosi  speciplmente  sui 
canti.  Au  Vallcllhta  del  r^  di  quel  mese 
R'intrattenne  a  lungo  della  geniala  con- 
ferenza^ 

—  Lucien  Decomh^j  autore  d'un  lodato 
Hhro  di  Chan  sous  pap.  trcnriiU^s  dans  id 
drpattrrftetU  d'Iih*'t't- I'Uairie  C  Rentes 
Tfi84j  moriva  a  72  ariivi  in  pairia.  che 
era  appunto  quesi'ullima  citta* 

—  Lianel  Eonnemere  di  OngerSn  mo- 
riva in  Pa  rig  i  11  29  novembre  1905  a  63 
anni.  Pu  uno  dei  piii  attivi  schttori 
delia  R^'Mf  di^x  iraii.  papulairi^s. 


I  Dirriiort: 
Glt^SEPPE    PURE 

Salvatore  Salomon e-marino. 


Cfrle  —  SlabiUtBrtito  Tipogmlico  CJ.  Caieila  —  One 


^ 


-••a^as? 


P: 


liiiifliiiiii 


II 


OFERE  DEL  D  R  6IUSEFPE  FITR^  Dt  PALERMO 


raccolt-^ 


tlelie  iiLiuifjivm  i  m  \jLAni  y} 

'   illustrate  dal  DoU.  OIUSEPPE  PlJIItJa' 


Oanil  ticfiolttrl 

tJi  ■  ...  10  - 

pat:,.  I'Af  .*,,.,,.,,,*      4— 


30- 


Qiitoct 


!  pcrpoUn  ilcUlMie. 


tl  ■'/  i   ■  ■    ■  .  f  fMnn- 

McMl^rlTiJt    ftOTJoljiTft  wt**iliivtl4i,    t    \\*i 


&- 


Itniftia,  del 


CURI05ITA  POPOLARI  TF?ADIZIONflLI 


raced ta  •''■ 


I    '  -     ,     .     . 


dal  Dott.  Gll'-ri""   '"^"f 


ito- 


U f  prv^z *j  I tt  Aj,  a^  —  jrn  n  t: y 


Ukmb  'ii'""  I'pafeioiii  Tiiiiolari  iu  Iklin 


-T    ftiiiccDcii:    tn-rai^ 


t.i. 


>  CLA11SJ:N  . 
TORINO 


Vol  XXlll. 


Faae.  I. 'I. 


r 


~^ 


ARCHIVIO 


PEH      LO 


OEtl^K 


TRADIZIONI  POPOLARI 


•RIVISTA  TR'M'CiTRALE 


Diarr , 


6.  PfTRt  E  5.  5ALuj'iuNE-MAFitN0 


V 


TORINO 
TARU)  CaJlUSEN  (HANS  RINCK  Sue. ... 

Uteklo  dfiU*  Vu.  UN.  tl  R«  *  l«  R«jtini 
1906. 


PabliUcato  il  30  Novembre  1906 


r 


SOMWAKIO  mi  PRESENTE  I^ASCICOLO 


'[' 


'^■;si,v cis.il. '-I    m     J    .      V  n 


VIL     Arte  isutJ^urate 

vm,  s 

IX.      Vaiu  ........ 

I  pre-^iudizi  votgari  combattuti  daun  v^rs^gH^tnre  \vn^>7i:^jiM 

Je!    -ri.   XVll  ^G«8AKB  MeSATTfi 

ine  del  popoliau  napoteta«o  suiiji  rccciite  tru- 
^-.M,v  a^i  Vesav'io  (MA0BCIH) 
Leggende  po|jol:iri  pietnonlesi  (Buclidje  .Mif.\v 
Quattro   canzonl  e  una  mnna-narttia  in  .m- 

Lo  Qkti>icsI         , 

CanWene  popobri  f3tndylle*k:lie  usate  a  Cheiso  il.  \.C^.\j w 
Iropronte  mer^ivigiiose  in  ttalb  - 

CXLVIIL  Le  ginocchia  di  S.  Valeriano 
CXLIX.  Le  diUi  dri  diavcjlo  $ulia  Rocta  di  w.iv-.iu 
CL         !l  piede  del  dbvofo  m  Satemo  i;G.  P.) 
I  piedi  Ji  G,.  Cr^  ma  (A*  (1% villi » 

L>jngif>^_  ';pressione    tiJEi:e::.e    «  Fasmr  d  iabac** 

(A.  I.  ^u| 

[Toesie  p^jpobte^che  del  icorJate  nell'Ia- 

a  del  Bi:^ 
'  :aa  di  aiu.^.. 

f  ionic  he  frn  S: 


P<ig.      267 


r   '-ry.niin  s^rdt?  itja^^eiTj::   t'OllUauj 


liKl 


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MAGIA  E  PREGIUDIZI 
IN    P.    VERGILIO    MARONE   i) 


VII.  Arte  augurale. 

I.  L'Egloga  IV.  -  a.  Omina  precedent!  il  matrimonio.  -  3.  Omina  dedotti  dai  ca- 
valli.  -  4.  Tritonia.  -  5.  Laocoonte.  -  6.  Omen  di  lulo  -  7.  Aceste.  -  8.  Prodigi 
presso  il  re  Latino.  -  9.  Tolumnio. 

Sarebbe  troppo  lungo,  dovendo  discorrere  deirarte  augurale  in 
Vergilio,  il  prendere  in  esame  uno  per  uno  tutti  i  iuoghi  accennanti 
ad  omina  or  tristi,  or  lieti.  Questi  omina  —  fatte  poche  eccezioni  — 
sono  sempre,  per  analogia  di  caratteri  0  di  circostanze,  dedotti  0  da 
fenomeni  celesti  e  terrestri,  0  dalle  piante  0  dagli  animali  o  da  non 
sappiamo  quali  stravagantissime  bizzarrie;  e,  posta,  come  base,  I'a- 
nalogia,  dichiaratone  uno,  h  agevole  dichiararne  cento,  fe  vero  che 
I'arte  augurale  si  regolava  secondo  un  numero  strabocchevole  di  re- 
gole  e  di  precetti,  tutti,  in  apparenza,  suoi  propr!;  ma  se  ben  si  con- 
sidera,  il  piu  delle  volte,  tirate  le  somme,  per  diverse  vie  si  torna 
al  medesimo  piinto  di  partenza.  Inoltre,  questa  parte  delle  scienze 
occulte  non  trova  oggi,  gran  fatto,  frequenti  riscontri  nelle  consue- 
tudini  domestiche,  come  awiene  per  contrario  di  altri  generi  di  su- 
perstizione  strettamente  attinenti  aU'arte  magica,  e  gli  omina  che 
incontriamo  nell'epica  latina  e  greca,  essendo  non  di  rado  parto 
della  fantasia  del  poeta  e  non  avendo  perci6  nell'arte  augurale  che 
un  valore  molto  relativo,  f)erdono,  in  non  pochi  casi,  ogni  loro  im- 
portanza  ed  efificacia.  Procureremo  pertanto  di  addurne  solo  qualche 
esempio,  tanto  afifinch^  il  lettore,  presa  conoscenza  di  alcuni,  possa 
da  sfe,  qualora  ne  abbia  desiderio,  giudicare  degli  altri. 


i)  Continuazione  e  fine. 
ArehMo  per  U  U-adiaUmi  popdari.  —  Vol.  XXUi.  34 


268  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

E,  in  primo  luogo,  bench^  quasi  estraneo  al  nostro  argomento, 
diremo  del  celebre  vaticinio  contenuto  neli'Egloga  IV,  considerate 
comunemente  da  alcuni  teologi  come  una  profezia,  o  almeno  come 
affermazione  deli'opinione  generale  intorno  alia  nascita  e  venuta  del 
Messia  rigeneratore  del  genere  umano: 

Sicelides  Musae,  paulo  maiora  canamusl 
non  omnis  arbusta  iuvant  humilesque  myricae; 
si  canimus  silvas,  silvae  sint  consule  dignae. 

Ultima  Cumaei  venit  iam  carminis  aetas; 
magnus  ab  integro  saeciorum  nascitur  ordo, 
iam  redit  et  Virgo,  redeunt  Satumia  regna; 
iam  nova  progenies  caelo  demittitur  alto, 
tu  modo  nascenti  puero,  quo  ferrea  primum 
desinet  ac  toto  surget  gens  aurea  mundo, 
casta  fave  Lucina,  tuus  iam  regnat  Apollo. 

(V.  i-io) 

Chi  sar^  mai  questo  fanciullo.?  Marcello  figlio-  di  Ottavia,  o 
Giulio  figlio  di  Scribonia  moglie  di  Ottaviano?  Dopo  il  IV  secolo 
deirSra  cristiana  si  pens5  al  Messia.  Ma,  almeno  secondo  la  tradi- 
zione  trasmessaci  da  Asconio  Pediano,  pare  che  il  fanciullo  sia  Asinio 
Gallo,  figlio  di  Pollione,  nato  in  quell'anno  stesso  a  cui  TEgloga  s\ 
riferisce,  ciofe  nell'anno  della  pace  di  Brindisi,  714  di  Roma  =40 
•av.  Cr.  Ci6  h  confermato  anche  da  Macrobio  {Sat.  III). 

D'altronde,  come  mai,  dedicando  il  carme  a  Pollione,  avrebbe  po-. 
tuto  il  poeta  celebrare  le  lodi  del  figlio  di  un  altro  padre.?  Come,  nella 
contraria  ipotesi,  potrebbe  spiegarsi  il  nascenti  {chi  naace  0  ^  gia  nato) 
il  modo  {or  ora)  e  il  demittitur,  che  dimostra  che  la  nuova  gene- 
razione  esiste  gia  di  fatto,  mentre  Vantica  {ferrea)  cede  a  poco  a 
poco  il  posto  alia  nuova,  donde  i  conseguenti  futuri  desinei  e  9urget% 
Tuttavia  per  non  essere  facili  a  condannare  Tuso  di  un  testo,  che 
ormai,  dopo  tanto  tempo,  ha  acquistato,  come  si  suol  dire,  dominio 
nel  campo  teologico,  stara  bene  awertire  con  lo  Stampini :  «  Ma  con 
ci6  non  si  vuole  punto  negare  che  Virgilio  abbia  espressamente  cer- 
cato  di  ravvolgere  la  cosa  come  in  un  velo  di  indeterminate^za  e  di 
mistero,  evitando  di  nominare  in  modo  esplicito  il  padre  del  porten 
toso  puer,  Cosl  si  spiegano  le  controversie  che  nacquero  ben  presto 


MAGIA   E  PREGIUDIZl  ^69 

a  questo  rigUardo,  e  delle  quali  sono  prova  le  parole  stesse  di  Asco- 
nio.  E  cosl  si  spiega,  conseguentemente,  come  pigliasse  consi- 
stenza  Topinione  che  il  poeta  avesse  voluto  alludere  ad  un  fanciullo 
della  famiglia  di  Augusto,  opinione  questa  la  quale  fu  rimessa  va- 
riamente  in  onore  ne'  tempi  moderni,  ma  con  argomenti  assai  poco 
persuasivi.  E  non  h  assurdo  il  pensare,  quantunque  sia  impossibile 
recarne  prove  sicure,  che  a  dare  cotesta  forma  nebulosa  ed  incerta 
al  vaticinio  virgiliano  abbia  conferito,  oltre  alia  naturale  oscurita  del- 
Tawenire  che  la  poetica  fmzlone  rappresentava  come  realta  neirj5- 
gloga,  non  solo  Tintonazione  stessa  degli  oracoli  sibillini,  ma  altresl 
rinfluenza  delle  profezie  messianiche  e  apocalittiche  che  con  gli  Ebr^i 
gia  erano  a  quel  tempo  penetrate  in  Roma.  Certo  gli  oracula  Si- 
byllina,  allora  diffusi  nelle  varie  region!  dell'impero  e  conosciutissimi 
dal  pubblico  di  Roma,  erano,  almeno  in  parte,  opera  degli  Ebrei  di 
Alessandria,  come  non  pare  dubbio  che  vi  fosse  sviluppato  Toracolo 
messianico  del  cap,  XI  di  Isaia*; 

Prima  di  compiere  qualsiasi  atto  nella  vita,  era  costume  impre- 
teribile  di  consultare  gli  auspicii ;  e  questo  aweniva,  particolarmente, 
prima  della  celebrazione  del  matrimonio.  Leggiamo  del  matrimonio 
di  Didone  con  Sicheo  nel  I  deWEneide: 

cut  pater  intactam  dederat  primisque  iugarat 

ominibus... 

(V.  345-346) 

Qui  per6  Taugure  sbagliava,  perchfe  questo  matrimonio  fu  tut- 
t'altro  che  felice! 

Piu  razionali  sono  gli  omina  desunti  dai  cavalli  nel  I  e  nel  III 
deWEneide^  p)erch^  il  significato  simbolico  ex-analogia  pare  almeno 
che  piu  equamente  concordi  con  Taugurio  che  se  ne  trae. 

Nel  centro  della  citta  di  .Cartagine,  fondata  da  Didone  co'  suoi 
Fenici,  eravi  prima   un   bosco.  Ivi,  scavando,  il   terreno,  Giunone 
mostra  loro  una  testa  di  cavallo,  simbolo  di  guerra  e  di  fertility. 
Lucus  in  urbe  fuit  media,  laetissimus  umbrae, 
quo  primum  iactati  undis  et  turbine  Poeni 
effodere  loco  signum,  quod  regia  luno 
monstrarat,  caput  acris  equi :  sic  nam  fore  bello 
egregiam  et  facilem  victu  per  saecula  gentem. 
(Afft.  I,  V.  441-445) 


270  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

E,  in  memoria  del  fatto,  le  monete  puniche  portavano  una  testa 
di  cavallo.  Ma  se  il  cavallo,  bellator,  ^  giustamente  simbolo  di  guerra, 
come  va  poi  che  lo  si  considera  anche  simbolo  di  fertility?  RisfX)nde  il 
Pascoli:  «Nelle  Georgiche,  I,  12,  Vergilio  interpretando  a  modo  suo 
il  mito,  che  k  marino,  pone  Nettuno  tra  gli  dei  deiragricoltura :  iuqt^e 
o,  cut  prima  frementem  \  Fttdit  equum  magno  iellus  percusaa 
iridenti  \  Neptune  ». 

E,  con  la  stessa  disinvoltura,  il  cavallo,  dapprima  simbolo  di 
guerra,  diventa  poi  simbolo  di  concordia  e  di  pace. 

Alia  vista  dell'Italia,  Anchise  ^,  infatti,  tutto  attento  ad  un 
omen,  da  cui  vuol  subito  trarre  indizio  del  futuro:  vede  quattro  ca- 
valli  bianchi  che  pascolano  tra  il  verde  dell'erba,  e,  atteggiato  a  pro- 
feta,  esclama:  « Guerra  promette  la  terra,  ch^  per  la  guerra  sono 
i  cavalli;  ma  c'fe  anche  la  speranza  di  pace,  perch^  i  cavalli  si  ag- 
giogano  e  tirano  concordi  il  cocchio : » 

quattuor  hie,  primum  omen,  equos  in  gramine  vidi 
tondentes  campum  late,  candore  nivali. 
et  pater  Anchises  <  bellum,  0  terra  hospita,  portas: 
bello  armantur  equi,  bellum  haec  armenta  minantur 
Sed  tamen  idem  olim  cumi  succedere  sueti 
quadrupedes  et  frena  iugo  concordia  ferre: 
spes  et  pacis  »  ait. 

(Aen.  Ill,  V.  537-543) 

Non  si  pu6  negare  che  la  spiegazione  di  questi  omina  non  sia 
abbastanza  razionale,  ma  tuttavia,  visto  che  Vomen  h  nello  stesso 
tempo  presagio  di  guerra,  di  fertilitii  e  di  pace,  cose  che  fanno  ai 
pugni  tra  loro,  bisogna  pur  conchiudere  che,  tanto  in  magla  come 
nell'arte  augurale,  tutto  fa  buon  giuoco,  purch^  la  saga  0  Taugure 
abbia  a  qualunque  costo  ragione! 

Di  omina  infausti  ci  offre  due  notissimi  ^sempi  il  lib.  11,  in 
fine  del  quale  troviamo  fX)i  Vomen  fausto  di  iulo,  che  determina 
Anchise  a  seguire  Enea  nella  partenza  da  Troia. 

Collocato  il  simulacro  di  Pallade  nell'accampamento  greco,  non 
tardano,  come  narra  Sinone,  a  manifestarsi  omina  di  sinistro  augurio: 

nee  dubiis  ea  signa  dedit  Tritonia  monstris. 
vix  positum  castris  simulacrum,  arsere  coruscae 


MAGIA  E  PREGIUDIZI 


271 


luminibus  flammae  arrectis,  salsusque  per  artus 
sudor  lit,  terque  ipsa  solo  (mirabile  dictu) 
emicuit  parmamque  ferens  hastamque  trementem. 
fAg^n,  11,  V.  171-175) 

Calcante  k  sollecito  di  dare  spiegazione  di  questi  segai  tremenda- 
mente  fatali  —  non  senza  per6  una  qualche  esitazione,  che  si  desume 
da  quel  tentanda,  come  se,  dopo  il  veduto  prodigio,  diventasse  in- 
certo  Tesito  della  navigazione  —  e  si  fa  maestro  di  opportuni  sug-. 
gerimenti : 

extemplo  temptanda  fuga  canit  aequora  Calchas. 
nee  posse  Argolicis  exscindi  Pergama  telis, 
omina  ni  repetant  Argis  numenque  reducant, 
quod  pelago  et  curvis  secum  avexere  carinis. 
et  nunc  quod  patrias  vento  petiere  Mycenas, 
arma  deosque  parant  comites,  pelagoque  remenso 
improvisi  aderunt:  ita  digerit  omina  Calchas. 

(v.  176-182) 

Fra  i  quali  suggerimenti  preme  assai  notare  il  ni  omnia  re- 
petant  Argis,  che  allude  ad  un  costume  strettamente  romano:  se 
male  riesciva  un'impresa,  il  duce  doveva  di  nuovo  tornare  a  Roma 
a  prendere  gli  auspici;  il  che  naturalmente,  si  pot^  fare  fino  a 
tanto  che  i  confmi  delFimpero  non  furono  molto  estesi.  Esteso  poi 
rimpero,  non  era  mica  la  strada  delPorto!  E  allora?  Allora  Tarte 
augurale  non  venne  meno  a'  suoi  ripieghi:  si  stabiH  che  neJIe  pro- 
vincie,  dove  si  svolgeva  la  guerra,  si  dichiarasse  0  consacrasse  come 
romano  un  luogo,  dove  potesse  il  duce  facilmente  recarsl,  qualora 
urgesse  il  bisogno  di  nuovi  auspicii. 

Eccoci  all'episodio  di  Laocoonte  (II,  199-227);  ma  Intorno  a 
questo  basteranno  poche  osservazioni. 

«  L'arte  di  Sinone,  scrive  il  Pascoli,  non  sarebbe  bastata:  blsogn6 
che  la  dea  nemica  direttamente  operasse  per  togliere  ogni  conoscenza 
ai  Troiani  ».  E  Toccasione  si  presenta  propizia,  nel  giorno  in  cui 
questi,  per  Tottenuta  liberazione,  preparano  un  sacrificio  di  ringra- 
ziamento  a  Nettuno  dio  del  mare,  il  quale  con  le  sue  onde  porta 
via  i  nemici  di  Troia.  La  sorte  di  offrire  il  sacrificio  tocca  a  Laocoonte, 
sebbene  fosse  sacerdote  di  Apollo,  perch^   il   sacerdote   di    Nettuno 


k 


>i!lsa^' 


274  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Dii  patrii,  servate  domum,  servate  nepotem. 
vestrum  hoc  augurium,  vestroque  in  numine  Troia  est. 
cedo  equidem  nee,  nate,  tibi  comes  ire  recuso  >. 

(V.  692-704) 

E  con  i  fasti  di  questo  glorioso  futuro  impero  si  collega  pure 
Women,  onde  Aceste  k  proclamato  vincitore  nella  gara  deirarco 
descritta  nel  lib.  V: 

hie  oculis  subitum  obicitur  magnoque  futurum 

augurio  monstrum:  docuit  post  exitus  ingens, 

seraque  terrifici  cecinerunt  omina  vates. 

namque  volans  liquidis  in  nubibus  arsit  harundo 

signavitque  viam  flammis  tenuisque  recessit 

consumpta  in  ventos,  caelo  ceu  saepe  refixa 

transcurrunt  crinemque  volantia  sidera  ducunt. 

attonitis  haesere  animis  supero  que  precati 

Trinacrii  Teucrique  viri,  nee  maximus  omen 

abnuit  Aeneas,  sed  laetum  amplexus  Acesten 

muneribus  cumulat  magnis 

(v.  522-532) 

In  quesVomen  Enea  ed  Aceste  ravvisano  la  benigna  protezione 
del  cielo,  e  a  manifestare  la  sua  gratitudine  p)er  tanto  dono,  Enea 
assegna  ad  Aceste  il  primo  premio.  Non  bisogna  perb  perdere  di 
vista  ii  filo  allegorico,  ossia  lo  scopo  del  poema  vergiliano:  Taugurio 
si  riferisce  alia  morte  e  alPapoteosi  di  Cesare ;  e  questo  dk  ragione 
del  terrifici,  perch^  i  vati,  nelle  loro  predizioni,  solevano  mescolare 
i  lieti  eventi  con  qualche  cosa  di  luttuoso.  Cesare  mori  nel  modo 
che  ognun  sa,  ma,  poco  dopo  la  sua  morte,  I'anima  di  lui  sara 
divinizzata.  Quindi,  mentre  Augusto  celebra  i  giuochi  a  Venere, 
appare  per  sette  giorni  la  cometa,  che  il  pofX)lo  crede  esser  Tanima 
glorificata  del  grande  Dittatore;  e,  in  memoria  di  quest' augurosa 
apparizione,  Augusto  fa  collocare  sul  capo  della  statua  di  Cesare 
una  cometa.  E,  poich^  in  questi  omina  si  procede  sempre  ex  ana- 
logia,  a  quante  belle  allusioni  non  possono  essi  dar  luogo !  Facile 
^  Tanalogia  di  una  cometa  con  la  freccia  incendiata  di  Aceste,  come 
in  bella  relazione  col  presente  vaticinio  si  potrebbe  mettere  quelle 
del  11  lib.,  V.  682  e  segg.,  e  questo  —  nota  il  Pascoli  —  con 
alcuni  tratti  della  vita  di  Augusto,  p.  es.  col  sogno  del  padre  suo. 


PPiF 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  275 

che  sogn6  da  Atia  «  iubar  solis  exortum  »  {gaudebat....  at  quis 
aibi  acritis  conttienti,  quasi  ad  fulgorent  solis  vultum  submitteret. 
Suet.   Caes.  LXXIX)  e  con  altri  che  sono  in  Suet.  Aug.  a  civ. 

Da  Gaeta,  costegi^iando  la  terra  malaugurata  di  Circe,  Enea 
come  si  narra  nel  lib.  VII  deW Eneide,  perviene  alia  foce  del  Te- 
vere  nel  Lazio,  dove  regna  Latino  discendente  da  Saturno,  padre  di 
un'  unica  figlia,  sposa  futura,  secondo  il  desiderio  della  madre,  a 
Turno  re  dei  Rutuli;  ma  Latino,  oltre  che  dalla  voce  di  Fauno, 
gia  sa,  per  mezzo  di  due  prodigi,  che  uno  straniero  sar^  il  suo 
genero.  Quali  sono  questi  due  prodigi?  Eccoli:  uno  viene  dal  lauro, 
Taltro  dal  fuoco: 

Laurus  erat  tecti  medio  in  penetralibus  altis, 
sacra  comam  multosque  metu  servata  per  annos. 
quam  pater  Inventam,  prlmas  cum  conderet  arces, 
ipse  ferebatur  Phoebo  sacrasse  Latinus 
Laurentisque  ab  ea  nomen  posuisse  colonis. 
huius  apes  summum  densae  (mirabile  dictu), 
stridore  ingenti  liquidum  trans  aethera  vectae, 
obsedere  apicem,  et  pedibus  per  mutua  nexis 
examen  subitum  ramo  frondente  pependit. 
continue  vates  <  externum  cemimus,  inquit, 
adventare  virum  et  partis  petere  agmen  easdem 
partibus  ex  iisdem  et  summa  dominarier  arce  ». 
praeterea,  castis  adolet  dum  altaria  taedis 
et  iuxta  genitorem  adstat  Lavinia  virgo, 
visa  (nefas)  longis  comprendere  crinibus  ignem, 
atque  omnem  omatum  flamma  crepitante  cremari, 
regalisque  accensa  comas,  accensa  coronam 
insignem  gemmis.  turn  fumida  lumine  fulvo 
involvi  ac  totis  Volcanum  spargere  tectis. 
id  vero  horrendum  ac  visu  mirabile  ferri: 
namque  fore  inlustrem  fama  fatisque  canebant 
ipsam,  sed  popuio  magnum  portendere  bellum. 

(V.  59-80) 

II  significato  0  presagio  funesto  del  primo  omen  sta  nel  pependit 
(a  guisa  'di  un  grappolo) ;  del  secondo  omen,  col  canebant,  si  fa 
comprendere  la  grandezza  tutta  sua  propria,  perchfe  piu  vati  erano 
stati  chiamati  ad  interpretarlo. 

Arehivio  per  le  tradiMtoni  popolari,  —  Vol.  XXIll.  35 


276  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Ultimo,  ma  anche  questo  maiuSy  quo  non  praesjmtius  ullwm^ 
.&  Vomen  dichiarato  daH'augure  Tolumnio  nel  XII  ^eWB^eide. 

Ai  Rutuli  pare  disuguale  il  duello  di  Turno,  loro  re,  con  Enea, 
duello  dissuaso  dal  re  Latino.  Vengono  tuttavia  al  campo  i  due  re 
e  giurafio  di  stare  fedeli  ai  patti,  quand'ecco  Juturna,  sorella  di 
Turno,  fa  apparire  nel  cielo  un  prodigio : 

His  aliud  maius  lutuma  adiungit  et  alto 
dat  signum  caelo,  quo  non  praesentius  ullum 
turbavit  mentes  Italas  raonstroque  fefellit. 
namque  volans  rubra  fulvus  lovis  ales  in  aethra 
litoreas  agitabat  aves  turbamque  sonantem 
agminis  aligeri,  subito  cum  lapsus  ad  undas 
cycnum  exce|lentem  pedibus  rapit  inprobus  uncis. 
arrexere  animos  Itali,  cunctaeque  volucres 
convertunt  e  clamore  fugam  (mirabile  vlsu) 
aetheraque  obscurant  pinnis  hostemque  per  auras 
facta  nube  premunt,  donee  vi  victus  et  ipso 
pondere  defecit,  praedamque  ex  unguibus  ales 
proiecit  fluvio  penitusque  in  nubila  fugit. 
turn  vero  augurium  Rutuli  clamore  salutant 
expediuntque  manus;  primusque  Tolumnlus  augur 
«  hoc  erat,  hoc  votis,  inquit,  quod  saepe  petivi. 
accipio  adgnoscoque  deos;  me,  me  duce  ferrum 
corripite,  o  miseri,  quos  inprobus  advena  bell6 
territat  invalidus  ut  aves  et  litora  vestra 
vi  populat:  petet  ille  fugam  penitusque  profundo 
vela  dabit.  vos  unanimi  densete  catervas 
et  regem  vobis  pugna  defendite  raptum. 

(V.  344-265) 

Tolumnio  non  h  esatto  nell'interpretazione  dell'omen.  Questo, 
per  s&  ambiguo,  h  dall'augure  interpretato  nel  senso  che  I'aquila  si 
debba  riferire  ad  Enea  e  il  cigno  a  Turno;  ma  ci6  che  segue  non 
giustifica  cosifatta  interpretazione. 

Daremo  termine  a  questo  capitolo,  poichfe  siamo  nel  campo  dei 
prodigi,  con  queU'episodio  del  lib.  I  delle  Georgiche,  dove  il  poeta 
descrive  i  prodigi  che  precedettero  e  seguirono  Tuccisione  di  Cesare; 
prodigi  ricordati  non  solo  da  Orazio  (Od.  1,  2),  da  Ovidio  (Met. 
XV,  782  e  segg.),  da  Tibullo   (II,    ^,   75   e   segg.),   e  da   Lucano 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  tfj 

(B.  C.  I,  522  e  segg.),  ma  anche  dagli  storici  e  specialmente  da 
Dione  Cassio  (XLV,  17);  e  prima  d'ogn'altra  cosa  chiameremo  Tat- 
tenzione  del  lettore  sul  Sole  ritenuto  fonte  di  omina  veraci  (Solem 
quid  dicerefalsum  [audeat?]): 

solem  quis  dicere  falsum  ^^ 

audeat?  ille  etiam  caecos  instare  tumultus  -i 

saepe  monet  fraudemque  et  operta  tumescere  bella.  l 

ille  etiam  extincto  miseratus  Caesare  Romam,  ^ 

cum  caput  obscura  nitidum  femigine  texit, 

impiaque  aetemam  timuerunt  saecula  noctem. 

tempore  quamquam  illo  tellus  quoque  et  aequora  ponti  ^^ 

obscenaeque  canes  importunaeque  volucres 

signa  dabant.  quotiens  Cyclopum  effervere  in  agros 

vidimus  undantem  ruptis  fomacibus  Aetnam, 

flammarumque  globos  liquefactaque  volvere  saxal 

armorum  sonitum  toto  German i a  caelo 

audiit;  insolitis  tremuerunt  motibus  Alpes. 

vox  quoque  per  lucos  vulgo  exaudita  silentes 

ingens,  et  simulacra  modis  pallentia  miris 

visa  sub  obscurum  noctis,  pecudesque  locutae, 

infandum!  sistunt  amnes  terraeque  dehiscunt, 

et  maestum  inlacrimat  templis  ebur  aeraque  sudant. 

proluit  insano  contorquens  vertice  silvas 

fluviorum  rex  Eridanus,  camposque  per  omnes 

cum  stabulis  armenta  tulit.  nee  tempore  eodem 

tristibus  aut  extis  fibrae  apparere  minaces 

ant  puteis  manare  cruor  cessavit,  et  altae 

per  noctem  resonare  lupis  ululantibus  urbes, 

non  alias  caelo  ceciderunt  plura  sereno 

fulgura,  nee  diri  totiens  arsere  cometae.. 

ergo  inter  sese  paribus  concurrere  telis 

Romanas  acies  iterum  videre  Philippi etc. 

(v.  463-490) 

I  pretesi  prodigi  non  sono  che  fenomeni  natural!  qua!  piu  qual 
meno  mistificati  dalla  fantasia  volgare  : 

.  L'eclissi  di  sole  deli'anno  710  di  Roma;  la  comparsa  di  animali 
e  uccelli  di  malaugurio  ;  un*  eruzione  dell'Etna  ;  un 'aurora  boreale 
che  alle  legioni   romane,    stanziate  lungo  il  Reno,  fece  loro  credere 


278  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

di  vedere  eserciti  fra  loro  combattenti  e  di  udire  suoni  di  trombe; 
i  terremoti  alpini  contro  la  creJenza  che  le  montagne  non  fossero 
soggette  a  tali  sconvolgimenti;  aggiungi  tante  stranezze  derivate  dal- 
I'arte  magica  o  augurale :  la  voce  di  Fauno  e  di  Silvano ;  le  ombre 
del  morti;  i  buoi  parianti ;  Tarrestarsi  dei  fiumi;  i  simulacri  degli 
d^i  che  sLidano ;  lo  straripamento  delPEridano;  le  fibre  minacciose; 
la  pioggia  di  sangue ;  i  lupi,  che,  durante  la  notte,  fanno  sentire 
presso  la  citta  i  loro  ululati ;  le  folgori,  le  comete,  ecc,  ecc.  Tutte 
fiahCp  to  ripetiamo,  ma  che  davano  da  pensare  a  molti  pusilli ! 

Nota.  A  complemento  di  questo  capitolo  gioverA  consultare  Tarticolo  di  A. 
AUiria,  <  De  vocibiis  simstra^  i^n^a,  dexira  ad  auspicia  attinentibus  apud 
Vergiliura  >  In  Vox  Ihbis,  n."  XVIII,  anni  1902,  Romae.  Nella  sua  succosa  brevity 
fe  un  vera  trattatello  di  arte  auguraJCj  che  vale  tanti  libri,  i  quali  si  potrebbero 
consultare  in  propositi 

Vm.  Sogoi. 

I.  Sede  dei  sogni,  -  a.  Sogni  falsi.  -  3.  Le  porte  del  sonno.  -  4.  Modo  di  cercare 
t  sogni,  s,  Terrori  nottumi. 

Parlando  dei  sogni  Cicerone,  citato  dal  Leopardi,  ha  scritto  nel 
De  dimn.  lib.  II:  *  lo  domando  per  qual  cagione  Die,  se  per  un 
tratto  della  sua  provvidenza,  vuole  avvertirci  con  queste  visioni,  non 
lo  fa  piuttosto  mentre  vegliamo,  che  mentre  dormiamo.  Poich^  qua- 
lunque  sia  la  causa  che  ci  fa  credere  nel  sonno  di  vedere,  di  udire, 
di  operare,  sia  essa  esterna,  sia  interna,  poteva  avere  il  suo  effetto, 
anche  nel  tempo  deila  nostra  veglia....  E  certamente,  se  la  benefi- 
cenza  divina  volesse  darci  dei  consigli,  sarebbe  piu  degno  di  essa  il 
darceli  piu  chiari  mentre  yegliamo,  che  piu  oscuri  mentre  sogniamo  ». 
Ma  siccome,  awerte  il  Leopardi  (pag.  56)  «  Iddio  si  e  talvolta  compia- 
ciuto  di  scoprire  a  taluao  Tav^^enire  col  mezzo  dei  sogni,  si  credette 
che  egli  volesse  farlo  sempre  ».  Di  qui  Torigine  della  supersti- 
zione  volgare,  la  quale  tuttora  manifesta  su  larga  scala  la  sua  in- 
fluenza. 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  279 

Dei  sogni  noi  abbiamo  avuto  occasione  di  parlare  f requenti  volte ; 
bastera  quindi  che  raccogliamo  quel  tanto  che  d  viene  esibito  dal 
nostro  poeta. 

Omettendo  il  celebre  luogo  del  lib.  II  deWEneide  (v.  268-297), 
della  viaione  cioh  di  Ettore  ad  Enea,  poichfe  anche  la  visione,  se- 
condo  Niceforo  Gregora  (Leop.  p.  57),  ^  noverata  fra  le  cinque  specie 
di  sogni  {^ujivtov,  fantasma,  oracolo/ vmone  e  sogno),  notiamo  una 
esseoziale  differenza  fra  Omero  e  Vergilio  quanto  all'uflficio  del  sogno : 
Omero,  con  gli  altri  antichi,  reputa  il  sogno  messaggero  della  divi- 
nity, Vergilio  fa  soltanto  i  sogni  compagni  del  dio  Sonno : 

cum  levis  aetheriis  delapsus  Somnus  ab  astris 
agra  dimovit  tenebrosum  et  dispulit  umbras; 
te,  Palinure,  petens,  tibi  somnia  tristia  portans 
insonti;  puppique  deus  consedit  in  alta 
Phorbanti  similis  funditque  has  ore  oquellas : 
(Aen.  V,  V.  838-842) 

Dov'fe  la  sede  dei  sogni  ? 

Nel  vestibolo  dell'Inferno,  con  i  monstra  e  con  le  figure  mitiche 
mostruose  di  origine  greca  ed  etrusca. 

In  medio  ramos  annosaque  bracchia  pandit 
ulmus  opaca  ingens,  quam  sedem  Somnia  vulgo 
vana  tenere  ferunt  foliisque  sub  omnibus  haerent. 
multaque  praeterea  variarum  monstra  ferarum   etc. 
(Aen.  VI,  V.  282-285) 

Come  ^  bello  queir/^aeren^,  che  ti  affaccia  alia  mente  I'idea  dei 
pipistrelli  Tun  Taltro,  in  catena,  attaccati  (Cf.  Om.  w,  6) ! 

II  Leopardi  (op.  c.  pagg.  68,  69),  dopo  di  aver  detto  dellMmpor- 
tanza  dell'arte  onirocritica  presso  gli  antichi  —  i  quali,  come  appare 
da  Astrampsico,  si  studiarono  perfino  di  ordinarla  metodicamente  in 
non  pochi  trattati  —  conchiude  che  «  per6  tra  tanti  sognanti  ci  fu 
chi  vegli6,  e  vide  assai  chiaro  per  conoscere  la  follla  de'  suoi  con- 
temporanei  ».  Ma  se  a  prova  di  ci6  vale  il  luogo  di  Petronio,  ivi 
citato,  non  si  pu6  altrettanto  affermare  del  v.  896  del  VI  deWEneide 
del  Nostro,  che  lo  stesso  Leopardi  vorrebbe  mettere  fra  i  veglianti : 

sed  falsa  ad  caelum  mittunt  insomnia  manes. 


28o  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Con  mtmes  s'indicano  le  larve  delle  ombre,  non  !e  ombre.  Poi : 
se  dalle  porte  di  avorio  escono  i  sogni  falsi,  come  va  che  da  quella 
di  corno  escono  i  sogni  veri? 

Eccoci  alle  porte  del  Sonno : 

sunt  geminae  Somni  portae ;  quarum  altera  fertur 
cornea,  qua  veris  facilis  datur  exitus  umbris, 
altera  candenti  perfecta  nitens  elephanto, 
sed  falsa  ad  caelum  mittunt  insomnia  manes. 
(Aen.  VI,  V.  893-896) 

Confronta  Omero  !.,  562  sgg.  e  vedi  ci6  che  dice  il  Pascoli 
(op.  c,  pag.  263,  in  nota) : 

his  ibi  turn  natum  Anchises  unaque  Sybillam 
prosequitar  dictis  portaque  emittit  ebuma. 

(V.  897-898) 

«  II  poeta  dicendo  usciti  daJla  porta  d'avorio  i  suoi  eroi,  ammo- 
nisce  che  della  parola  sono  creature  le  mirabili  cose  che  ha  narrate 
del  mondo  inferno  (Pascoli)  ». 

Se  non  che  tanta  fede  si  aveva  nell'arte  onirocritica,  che  non 
bastava  aspettare  il  sogno  per  congetturare  il  futuro ;  ma  bisognava 
talora  procurarselo.  Ci6  h  confermato  dal  Nostro  {Aen.  VII),  quando 
racconta  di  Latino  che  va  a  consultare  Toracolo  di  Fauno: 

at  rex  sollicitus  monstris  oracula  Fauni, 
fatidici  genitoris,  adit  lucosque  sub  alta 
consulit  Albunea,  nemorum  quae  maxima  sacro 
fonte  sonat  saevamque  exhalat  opaca  mephitim. 
hinc  italae  gentes  omnisque  Oenotria  tellus 
in  dubiis  responsa  petunt;  hue  dona  sacerdos 
cum  tulit  et  caesarum  ovium  sub  nocte  silenti 
pellibus  incubuit  stratis  somnosque  petivit 
multa  modis  simulacra  videt  volitantia  miris 
et  varias  audit  voces  fruiturque  deorum 
conloquio  atque  imis  Acheronta  adfatur  Avemis 

(v.  81-91) 

II  commento  di  questo  luogo  lo  fa  Servio  (Leop.  op.  c,  pag.  63): 
«  incubare  propriamente  si  dice  di  quelli  che  dormono  f>er  ricevere 
risposte  divine.  Onde  ille  incubat  Jovi  significa :  quello  dorme  nel 


MAGIA    E   PREGIUDIZI  28 1 

Campidoglio  afifine  di  ricevere  risposte  da  Giove  ».  In  generale  gli 
antichi,  come  riferisce  Licofrone,  per  avere  dei  sogni  si  mettevano  a 
dormire  in  un  tempio  o  in  altro  luogo  sacro,  sopra  una  pelle  distesa 
per  terra.  Per  la  qual  cosa,  bench^  non  si  possa  determinare  con 
certezza  la  ragione  per  cui  i  Pitagorici  si  astenevano  dalle  fave,  Apol- 
lonio  Discolo  (Leop.  p.  64)  crede  di  averla  trovata  «  nelle  soverchie 
attivita  che  hanno  le  fave  a  indisporre  lo  stomaco,  e  impedire  alia 
mente  di  ricevere  sogni  veritieri  ». 

Dei  terrorea  nocturni  citeremo  due  luoghi  soltanto: 
Nel  IV  deWEneide  il  poeta  dice  di  Ecate  che  di  notte  metteva 
lungo  le  strade  urla  infernali: 

nocturnisque  Hecate  triviis  ululata  per  urbes. 

(V.  609) 

E  perch^  ?  Commenta  Servio  (Leop.  p.  107) :  «  Cerere,  cercando 
per  tutto  il  mondo  con  accese  faci  Proserpina  rapita  dal  padre  Dite, 
la  chiamava  ad  alta  voce  nei  trivii  0  nei  quadrivii.  Per  lo  che  nelle 
sue  feste,  in  certi  giorni  determinati,  le  matrone  urlano  per  i  quadrivii, 
come  si  usa  di  fare  nelle  feste  d'Iside  ».  La  si  ammansava  dandole 
per  cena  cani  ancor  teneri,  cibo  molto  gradito  al  suo  palato  {Schol. 
Theocr.,  ad  Idyll.  2,  v.  11). 

I  terror es  nocturni  perdono  ogni  efficacia  all'apparire  del  giorno: 
cos^  I'ombra  di  Anchise  dice  ad  Enea  ch'ella  deve  partire,  perch^ 
il  sole  gia  spuntato  la  tormenta : 

iamque  vale;  torquet  medios  nox  humida  cursus, 
et  me  saevus  equis  Oriens  adflavit  anhelis. 

(Aen.  V,  V.  738-739) 

E  non  si  dice  anche  adesso  che  all'alba,  gli  spiriti  maligni  va- 
niscono  f)er  Taria? 


282  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONl   POPOLARl 

IX.  Varia. 

I.  IndovinelH.  -  2.  Riso  sardonico.  -  3.  Lavori  permessi  in  giomo  di  festa.  - 
4.  Pregiudizi  sui  giomi.  -  5.  Pfeste.  -  6.  Arpie.  -  7.  I  trenta  porcelli.  -  8.  Tuono.  - 
9.  Nomi  delle  navi.  -  10.  Sibille.  -  11.  Dottrina  pitagorica.  -  12.  La  valle  di 
Ampsancto.  -  13.  Erilo.  -  14.  Oleaster,  -  15.  U  loto. 

1.  IndovinelH.  —   Dameta  (Egl.  Ill),  non   potendo  vincere 
Menalca  nel  canto,  gli  propone  da  sciogliere  questo  indovinello : 

Die,  quibus  in  terris  -  et  eris  mihi  magnus  Apollo  - 
tris  pateat  Caeli  spatium  non  amplius  ulnas. 

(V.  104-105) 

Infinite  furono  le  spiegazioni  date  a  questMndovinello :  chi,  con 
Filargirio  (ed.  Hagen,  p.  69),  pens6  a  un  Caelius  mantovano  «  qui 
consumptis  omnibus  facultatibus,  nihil  sibi  reliquit,  nisi  locum  trium 
ulnarum  spatium  ad  sepulturam  \;  chi  alia  spelonca  dell'Etna,  dove 
pass6  Dite  nel  ratto  di  Proserpina ;  chi  alio  scudo  di  Achille  « trium 
ulnarum,  in  quo  expressa  caeli  forma  fuerat  »  secondo  Porfirio,  e  chi, 
con  Servio,  ad  un  pozzo.  V.  Stampini  nella  nota  a  questo  luogo. 

Menalca  allMndovinello  di  Dameta  ne  contrap|X)ne  subito  un  altro  : 

Die,  quibus  in  terris  inscripti  nomina  regum 

nascantur  flores 

(v.  106-107) 

Qui  s'indica  chiaramente  il  Giacinto.  Gli  antichi  credevano  di 
leggere  nelle  foglie  di  questo  fiore  0  le  lettere  AIA  o  Y  :  AIA  signi- 
ficherebbe  i  lamenti  di  Apollo,  che,  avendo  involontariamente  ucciso 
il  giovinetto  Giacinto,  da  lui  teneramente  amato,  lo  convert!  ix)i  nel 
fiore  di  questo  nome ;  ovvero  AIA  indicherebbe  Aiace,  il  cui  sangue 
si  dice  pur  trasformato  in  questo  fiore.  Y  invece  sarebbe  Tiniziale 
del  nome  greco  Odxtveo^;. 

2.  Biso  sardonico : 

Immo  ego  Sardois  videar  tibi  amarior  herbis. 
(E^L  VII,  V.  41) 

«  Per  Sardoas  herbas,  batrachii  sive  ranunculi  genus  intellige, 
cujus  magnus  in  Sardinia  erat   proventus;  vis  eius   caustica,  ut  si 


MAGIA   E   PREGIUDIZI  283 

cruda  folia  cuti  imponantur,  pustulas,  ut  ignis,  faciat  {Plin.  XXV,  13) ; 
sucus  autem  potus  insanire  facit,  et  inter  alias  membrorum  con- 
tractiones  eos  oris  spasmos  efficit,  ut  ridere  yideantur,  Hinc  de  risu 
Sardonio  res  notissima  (ed.  Bettoni)  ». 

3.  Lavori  permeaai  in  giorno  di  festa : 

festis  quaedam  exercere  diebus 

fas  et  iura  sinunt:  rivos  deducere  nulla 

relligio  vetuit,  segeti  praetendere  saepem, 

insidias  avibus  molirl,  incendere  vepres, 

balantumque  gregem  fluvio  mersare  salubri. 

saepe  oleo  tardi  costas  agitator  aselli 

vilibOs  aut  onerat  pomis,  lapidemque  revertens 

incussum  aut  atrae  massam  picis  urbe  reportat. 
(Georg.  I,  V.  268-275) 
Quali  sono  quest'opere  non  servili,  e  perci6  non  proibite  da  nes- 
suna  legge  divina  (fas)  od  umana  (iura)  ? 

11  deviare  Tacqua  per  Tirrigamento  dei  prati,  come  pure  I'essi- 
care  le  fosse ;  riparare  le  vecchie  siepi,  non  il  piantarne  di  nuove  ; 
dar  la  caccia,  ma  soltanto  agli  uccelli  nocivi  alle  messi ;  arder  le 
spine ;  guazzare  le  pecore  per  la  loro  salute,  cio^  per  guardarle  dalla 
scabbia :  cosl  h  lecito  ad  un  contadino  povero  caricare  d'olio  e  di 
frutta  la  groppa  del  tardo  asinello,  e,  tornando  a  casa,  riportare  dalla 
citta,  col  prezzo  ricavatone,  un  macinello  battuto,  0  una  certa  quan- 
tita  di  atra  pece,  che  si  ador>erava  a  spalmare  Tinterno  dei  vasi  di 
legno,  0  a  condire  il  mosto  o  ad  altri  usi,  gia  indicati  da  Columella 
(XII,  22,  esegg.).  Non  c'^  dawero  gran  contrasto  con  la  morale  cri- 
stiana !  E  quanto  potrebt)ero  imparare  a  tal  riguardo  i  cristiani  dai 
Gentili,  senza  bisogno  di  tanti  sproloqui  da  parte  dei  Socialisti ! 

4.  Pregiudizt  sui  giorni,  —  Infausto  h  il  quinto  giorno,  cio^ 
il  giovedl,  perch^  in  tal  giorno  nacquero  il  pallido  Oreo  (dio  attivo 
del  male,  rappresentato  in  varie  guise),  le  Eumenidi,  Ceo,  Japeto, 
Tifeo  e  i  fratelli  Aloidi  congiurati  a  rovinare  il  cielo;  il  giorno  decimo- 
settimo  ^  propizio  a  plantar  viti,  a  domare  i  buoi  presi  per  la  prima 
volta  p)er  il  giogo,  e  a  ordire  le  tele  ;  il  nono  k  fausto  per  i  viaggi  e 
contrario  ai  furti.  -«  II  nono  giorno  t  favorevole  agli  schiavi  fuggitivi, 

Archivio  per  le  tradisnoni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  36 


284  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

perch^  la  luna  splende  gi^  di  chiara  luce  e  illumina  loro  la  via  di 
notte,  e  contrario  ai  ladri  che  amano  le  tenebre.  Perci6  il  padrone 
deve  in  tal  giorno  custodire  in  modo  particolare  i  suoi  schiavi  (Stam- 
pini)  » : 

Ipsa  dies  alios  alio  dedit  ordine  luna 
felicis  operum.  quintam  fuuge:  pallidus  Orcus 
Eumenidesque  satae;  turn  partu  Terra  nefando 
Coeumque  lapetumque  creat  saevumque  Typhoea 
et  coniuratos  caelum  rescindere  fratres. 
ter  sunt  conati  imponere  Pelio  Ossam 
scilicet  atque  Ossae  frondosum  involvereOlympum; 
ter  Pater  extructos  disiecit  fulmine  montls. 
septuma  post  decumam  felix  et  ponere  vitem 
et  prensos  domitare  boves  et  licia  telae 
addere;  nona  fugae  melior,  contraria  furtis. 
(Georg,  I,  V.  276-286) 

Poco  su  poco  giu  corrono  anche  oggi  gli  stessi  pregiudizi. 

5.  Fesie.  —  Dal  v.  474  ad  finem  del  III  delle  Georgiche  il 
lX)eta  descrive  con  vivi  colori,  e  con  tale  accuratezza  da  interessare 
assai  gli  studiosi  di  zooiatria,  la  peste  che  probabilissimamente  in- 
vase  il  bestiame  della  regione  Norica.  Merita  di  essere  ricordato  ci6 
che  egli  narra  delle  vittime  tratte  per  essere  scannate  davanti  agli 

altari. 

saepe  in  honore  deum  medio  stans  hostia  ad  aram, 
lanea  dum  nivea  circumdatur  infula  vitta, 
inter  cunctantis  cecidit  moribunda  ministros. 
aut  si  quam  ferro  mactaverat  ante  sacerdos, 
inde  neque  impositis  ardent  altaria  fibris; 
nee  responsa  potest  consultus  reddere  vates; 
ac  vix  suppositi  tinguntur  sanguine  cultri, 
summaque  ieiuna  sanie  infuscatur  arena. 

fv.  486-493) 

6.  Arpie: 

virginei  volucrum  voltus,  foedissima  ventris 
proluvies  uncaeque  man  us  et  pallida  semper 

ora  fame 

(Aen.  Ill,  V.  216-218) 


MAGIA    E  PREGIUDIZI  285 

Le  Arpie  sono  personificazioni  dei  venti  e  delle  procelle  (11.  XVI, 
150).  La  notdpfr^  omerica  (pi&  veloce)  si  unisce  a  2^phyros  e  ge- 
nera i  cavalli  di  Achille,  veloci  come  il  vento.  «  La  mitologia 
ariana  parla  molto  spesso  di  donne  fatali  dal  corpo  di  uccello,  dalla 
voce  armoniosa,  le  quali  traggono  a  rovina  Teroe  solare.  II  loro  corpo 
di  uccello,  dalla  testa  di  donna,  rammenta  certamente  quello  delle 
Harpyiai;  d'altra  parte  i  venti,  dei  quali  le  Harpyiai  sono  personi- 
ficazioni, furono  concepiti  dal  genio  ariano  come  musici^  cantoris 
che  talvolta  spaventano  col  loro  fischio  ed  urlo,  taPaltra  seducono 
ed  incantano*  i)» 

7.  I  trenta  porcelli  deWEneide,  III,  390  e  segg.  Simboleg- 
giano  i  trent'  anni,  durante  i  quali,  Ascanio  regnera  in  Lavinio.  Cf . 
En,  VIII,  81  e  segg.  dove  si  parla  dei  prodigi  del  Tevere. 

8.  Tiwno,  —  Dell'opinione  popolare  intorno  alia  folgore  e  al 
tuono,  e  delPempieti  d'imitarne  il  fragore  ed  il  getto  —  ci6  che  fu 
fatto  da  Salmoneo  re  di  Elide  —  vedi  Leop.  op.  cit.  pagg.  213,  214. 

Qui  riiX)rtiamo  due  luoghi  vergiliani: 

an  te,  genitor,  cum  fulmina  torques, 

nequiquam  horremus,  caecique  in  nubibus  ignes 
terrificant  animos  et  inania  murmura  miscent? 
(Aen,  IV,  V.  208-310) 

E  nel  VI  deWEneide: 

vidi  et  cradelis  dantem  Salmonea  poenas 
dum  flammam  lovis  et  sonitus  imitatur  Olympi. 
quattuor  hie  invectus  equis  et  lampada  quassans 
per  Graium  populos  mediaeque  per  Elidis  urbem 
ibat  ovans  divomque  sibi  poscebat  honorem, 
demens,  qui  nimbos  et  non  imitabile  fulmen 
aere  et  comipedum  pulsu  simularet  equorum. 
at  pater  omnipotens  densa  inter  nubila  telum 
contorsit,  non  ille  faces  nee  fumea  taedis 
lumina  praecipitemque  imraani  turbine  adegit. 

(V.  585-594) 


1)  FORESTI,  Mil.  gr.  I,  pag.  235,  Milano,  1892. 


286  ARCHIVIO  PEl^   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

9.  Nomi  delle  navi.  —  Appaiono  nei  giuochi  solenni  del  lib.  V 
deWEneide. 

Prima  pares  ineunt  gravibus  certamina  remis 
quattuor  ex  omni  delectae  classe  carinae. 
velocem  Mnestheus  agit  acri  remige  Pristim, 
(mox  Italus  Mnestheus^  genus  a  quo  nomine  Memmi) 
ingentemque  Gyas  ingenti  mole  Cliimaeram, 
urbis  opus,  triplici  pubes  quam  Dardana  versu 
impellunt,  temo  consurgunt  ordine  remi; 
Sergestusque,  domus  tenet  a  quo  Sergia  nomen, 
Centauro  inveliitur  magna,  Scyllaque  Cloanthus 
caerulea^  genus  unde  tibi,  Romane  Cluenti. 

(V.  114-123) 

La  prima  ha  per  tutela  a  poppa  un  pesce  {Priatria  0  Pistrix ; 
una  sorta  di  pesce  lungo  e  stretto,  cosl  detto  da  iipCC«iv  segare;  nome 
che  ben  si  adatta  al  pesce  e  alia  nave);  le  altre  portano  come  in- 
eigne  un  mostro  (Chimera,  Centauro,  Scilla).  Ora  alle  navi  nazio- 
nali  si  d^  il  nome  di  qualche  eroe  0  luogo  celebre  per  qualche  bat- 
taglia  gloriosamente  combattuta. 

10.  Sibille.  — Queste  appartengono  alia  categoria  deglMndovini. 
Come  sacerdotesse  di  Apollo  predicavano  il  futuro  per  mezzo  degli 
oracoli.  Loro  sede  fu  particolarmente  la  costa  occidentale  dell'Asia 
minore:  Troia,  Cuma,  Erltra.  La  piu  riputata  delle  Sibill^  fu  TE- 
ritrea  (Erofile)  passata  a  Cuma  in  Italia,  e  da  essa  vennero  i  libri 
Sibillini. 

Con  Enea  la  Sibilla  di  Cuma  impernia  I'azione  di  tutto  il  lib.  VI 
deWEneide;  Vergilio  la  dice  Deifobe,  figlia  di  Glauco.  «k  famosa  la 
raccolta  dei  libri  Sibillini,  ch'essa  stessa  port5  a  Roma,  secondo  la 
tradizione,  al  tempo  dei  Tarquini,  e  che  si  custodivano  nel  Campi- 
doglio;  bruciati  nell'incendio  del  tempio  (83  a/.  Cr.)  furono  poi  sup- 
pliti  in  varie  riprese  con  frammenti  raccolti  nelle  citta  delle  colonie 
greche.  II  culto  delle  Sibille  era  molto  popolare  a  Roma  e  Vergilio  anche 
per  questo  lato  fece  of>era  di  patriota  mettendolo  in  relazione  con  Enea, 
Teroe  nazionale  romano  (Sabbadini).»  Cf.  la  descrizione  del  tempio 
di  Apollo  (1-41),  Tantro  fatidico  (42-76),  la  Sibilla  sotto  Timpressione 
del  Nume  (77-82),  TAorno  (236-263). 


MAGIA   E  PREGIUDIZI  287 

II.  Dottrina pitagorica  (En,  VI).  —  Secondo  la  metempsicosi 
pitagorica,  ossia  trasmigrazione  delle  anime,  queste,  dopo  la  morte, 
passavano  da  una  forma  alPaltra  fino  a  ritornare  in  un  corpo  umano. 
Or  come  si  spiegava  quest'erronea  credenza?  Vergilio  lo  fa  dire  ad 
Anchise,  il  quale,  con  la  teoria  deiranima  universale,  spiega  al  figlio 
Enea  Tarcano  in  questo  modo: 

Uno  spirito,  una  mente,  anima  e  pervade  tutto  il  mondo,  e  da 
questo  connubio  nascono  i  diversi  esseri,  cio^  i  corpi  degli  uomini 
e  degli  animali: 

Principio  caelum  ac  terrain  camposque  liquentis 
lucentemque  globum  lunae  Titaniaque  astra 
spiritus  intus  alit  totamque  infusa  per  artus 
mens  agitat  molem  et  magno  se  corpore  miscet. 
inde  hominum  pecudumque  genus  vitaeque  volantum 
et  quae  marmoreo  fert  monstra  sub  aequore  pontus. 

fy.  724-729) 

Ma  la  gravita  del  corpo,  che  nasce  dalla  terra,  arresta  Tanima, 
che  nasce  dal  fuoco  celeste,  e  da  questo  contrasto  dell'anima  col 
corpo  hanno  origine  le  passioni,  e  Tanima,  chiusa  nel  corpo  come  in 
un  carcere,  non  pu6  piu  vedere  la  parte  piu  alta  del  cielo,  Tetere, 
cio^  la  sua  celeste  origine: 

igneus  est  oUis  vigor  et  caelestis  origo 
seminibus,  quantum  non  noxia  corpora  tardant 
terrenique  hebetant  artus  mofibundaque  membra, 
hinc  metuunt  cupiuntque,doIent  gaudentque,  neque  auras 
dispiciunt  clausae  tenebris  et  carcere  caeco. 

(v.  730-734) 

Dopo  la  morte,  Tanima  dovrebbe  tornare  completamente  li- 
bera; ma,  siccome  dalPunione  col  corpo  ella  ha  contratto  qualche 
terrena  infezione,  bisogna  se  ne  purghi:  e  questa  purificazione  av- 
viene  col  sospendere  airaria  Tanima  infetta,  0  con  Timmergerla  nel- 
Tacqua,  0  col  temprarla  nel  fuoco: 

quin  et  supremo  cum  lumine  vita  reliquit, 
non  tamen  omne  malum  miseris  nee  funditus  omnes 
corporeae  excedunt  pestes,  penitusque  necesse  est 
multa  diu  concreta  modis  inolescere  miris. 


288  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

ergo  exercentur  poenis  vetenimque  malonim 
supplicia  expendunt.  aliae  panduntur  inanes 
suspensae  ad  ventos,  aliis  sub  gurgite  vasto 
infectum  eluitur  scelus  aut  exuritur  igni. 

(V.  735-742) 

Pochi  vanno  esenti  da  quest'espiazione  (di  cui  il  Tartaro  h  un 
simulacro)p  pochi  subito  dopo  morti  sono  mandati  neirEliso  (che  sim- 
boleggia  le  anime  pure  ricongiunte  con  Tanima  universale),  e  cosl 
dopo  molto  tempo  resta  solo  puro  il  fuoco  primitivo  dell'anima: 

quisque  sues  patimur  manis;  exinde  per  amplum 
mittimur  Elystum,  et  pauci  laeta  arva  tenemus, 
donee  longa  dies,  perfecto  temporis  orbe, 
concretam  exemit  labem  purumque  relinquit 
aetheriuni  sensum  atque  aurai  simplicis  ignem, 

(v.  743-747) 
Dopo  mille  anni,  un  Dio  (Mercurio  0  la   divinita   in  genere?) 
chiama  queste  anime,  che  hanno  compiuto   la   loro  espiazione,   al 
fiume  Lete,  e  ivi  esse  bevono  Tobllo  della  vita  passata  ed  il  desi- 
derio  di  una  vita  novella : 

has  omnis.  uhi  mille  rotam  volvere  per  annos, 
Lethaeum  ad  fluWum  deus  evocat  agmine  magno, 
scilicet  In  mem  ores  supera  ut  convexa  revisant 
nirsus  et  incipiant  in  corpora  velle  reverti. 

(V.  748-751) 

«  Qui  ^  da  notare  prima  la  contraddizione  tra  il  concetto  filo- 
sofico  deirespiazione  e  il  concetto  popolare  fin  qui  seguito  dal  poeta 
nella  descrizione  deirinferno;  la  contraddizione  in  secondo  luogo 
tra  qtusquB  e  pauci .  Evidentemente  Vergilio  aveva  nell'animo  di  far 
valere  la  espiazione  per  una  sola  parte  delle  anime,  e  questo  lo 
obbIig6  a  creare  uno  scompartimento  speciale,  che  la  morte  per6  gli 
impedl  di  mettere  in  armonia  col  rimanente  della  rappresentazione 
dell' inferno?  (Sabbndini)  ». 

Quale  t  lo  scopo  di  tutto  questo  luogo?  Esso  h  prettamente 
nazlonale:  «  Vergilio  si  serve  di  queste  dottrine  f>er  uno  scopx)  alta- 
mente  nazionale.  Bgli  vuole  schierare  innanzi  agli  occhi  d'Enea  tutta 
la  lunga  serie  dei  gloriosi  discendenti,  che  costituirono  la  grandezza 


MAGIA  E  PREGIUDIZI  289 

di  Roma,  e  a  questo  intento  immagina  che  le  anime  di  quei  grandi 
siano  gi^  una  volta  esistite,  e,  uscite  dai  corpi,  stiano  ora  compiendo 
la  purificazione,  per  tornar  nuovamente  in  vita  (Sabbadini)  ». 

12.  La  valle  di  Ampaando,  —  Alle  ingiunzioni  di  Giu- 
none  {Aen.  VII)  Aletto  dispiega  le  ali  fischianti  di  serpenti  e  fa 
ritorno  alia  regione  di  Cocito,  movendo  alia  valle  di  Ampsancto,  dove 
per  un  orribile  spiraglio  si  scende  allMnferno: 

est  locus  Italiae  medio  sub  montibus  altis 
nobilis,  et  fama  multis  memoratus  in  oris, 
Amsancti  valles:  densis  hunc  frondibus  atrum 
urguet  utrinque  latus  nemoris,  medioque  fragosus 
dat  sonitum  saxis  et  torto  vertice  torrens : 
hie  specus  horrendum.  saevi  spiracula  Ditis, 
monstratur,  ruptoque  ingens  Acheronte  vorago 
pestiferas  aperit  faucis:  quis  condita  Erinnys, 
invisura  nunem,  terras  caelumque  levabat 

(Aen.  VII,  V.  563-571) 

Questa  valle  giace  negli  Irpini  (Cic.  de  Div,  I  e  Plin.  11,  93) 
e  ora  ^  detta  Mefiti  dal  nume  ivi  onorato  che  presiedeva  all' aria 
corrotta  (aria  mefitica). 

13.  Erilo,  —  Figlio  di  Feronia,  che  Taveva  generato  — 
horrendun  didul  —  con  tre  vite.  Fu  ucciso  da  Evandro  (Aen,  VIII, 
560  e  segg.).  I  commentatori  dichiarano  di  non  sapere  da  qual  fonte 
Vergilio  abbia  derivata  questa  favola.  Noi  la  crediamo  una  strana 
concezione  della  dottrina  pitagorica. 

14.  Oleaster.  —  Sorgeva,  cosl  nel  lib.  XII  delP^n.,  un 
oleastro  sacro  a  Fauno,  a  cui  i  marinai  solevano  appendere  i  voti ; 
i  Troiani  Tavevano  tagliato.  L'asta  di  Enea  resta  conficcata  nel 
cepjX),  e,  mentre  questi  corre  a  prenderla,  Turno  prega  Fauno  e  la 
Terra  a  non  favorire  i  profanatori  del  loro  culto.  L'asta  h  diretta  da 
Venere  e  gli  eroi  di  nuovo  si  puntano  Pun  contro  I'altro  (v.  776-790). 
II  prodigio  non  presenta  caratteri  notevoli,  ma  h  per6  sempre  monito 
ai  mortali  che  non  devono  nh  possono  lottare  contro  i  celesti. 

15.  Bloto  {Zizyphua-giuggiolo;  Horn.  Od.  IX,  92,  segg.) 
h  ricordato  dal  poeta  in  tre  luoghi:  Qeorg,  II,  84;    III,    394  e  nel 


290  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Culex,  dove  si  accenna  alia  triste  vicenda  dei  compagni   di    Ulisse 
caduti  nelle  insidie  di  Circe: 

Inter  quas  impia  lotos, 

impia,  quae  socios  Ithaci  maerentis  abegit, 
bospita  dum  nimia  tenuit  dulcedine  captos. 

(V.    123-125) 

Chiudiamo  col  rivolgerci  la  domanda  che  ci  abbiamo  fatto  altre 
volte:  Vergilio  prestava  fede  alia  magia  e  ai  pregiudizi  volgari?  Se- 
condo  il  Leopardi  parrebbe  di  no;  imperocch^  egli  cita  in  prova 
(op.  c.  p.  25)  il  V.  817  del  XII  deir^.; 

vana  superstitio,  superis  quae  reddita  divis. 

Ma  Targomento  casca,  quando  si  pensi  che  questo  verso  non 
b  riportato  nella  sua  vera  lezione;  la  quale  ^ : 

una  superstitio,  superis  quae  reddita  divis. 
Superstitio  poi  equivale  a  relligio  e  qui  non  significa  altro  che 
il  giuramento,  in  nome  dello  Stige,  fatto  da  Giunone  alia  presenza 
di  Giove.  Si  oppongono  le  frequenti  locuzioni,  fama  est^  si  credere 
dignum  est,  ecc. ;  ma,  se  ben  si  osserva,  queste  locuzioni  riguardano 
semplicemente  fatti  prodigiosi  sentiti  a  raccontare  da  altri.  Ammesso 
pertanto  che  certe  cose  Vergilio  abbia  riferito  o  forse  anche  inventato 
per  ornamento  retorico  0  a  scopo  nazionale,  questo  non  basta  per 
affermare  ch'egli  fosse  immune  da  ci6  che  voglia  o  non  voglia  era 
un  male  epidemico. 

Portogruaro^  12  settembre  1906. 

Prof.  Marco  Belli. 


I    PREGIUDIZI    VOLGARI 

COMBATTUTI    DA    UN    VERSEGGIATORE    VENEZIANO 

DEL  SECOLO  XVII 


Scrive  giustamente  il  nostro  Pitr&  nella  Prefazione  alia  sua  pre- 
ziosa  Bibliografia  delle  tradizioni  popolari  d* Italia  (Torino-Palermo, 
Clausen,  1894) :  «  Per  recente  che  sia  0  si  voglia  lo  studio  degli 
usi  e  delle  tradizioni  popolari,  esso  ha  in  Italia,  come  un  po'  dapper- 
tutto,  una  vera  storia  non  mai  scritta  finora,  che  trae  i  suoi  docu- 
menti  non  solo  da  quest'ultimo  mezzo  secolo,  ma  anche  dai  secoli 
scorsi,  in  libri  curiosissimi,  nei  quali  non  si  sospetterebbe  neppure 
Tesistenza- di  materia  tradizionale....  ». 

Eccovi,  ad  esempio,  delle  satire,  in  versi  veneziani,  di  Dnio 
Varotari,  che  portano  per  titolo:  II  Vespaio  atuzzicato  1);  nella 
sesta  delle  quali  vengono  esposti  e  confutati  moltissimi  pregiudizi  del 
volgo,  che  correvano  allora,  e  se  Dio  vuole,  corrono  anche  adesso, 
nh  presso  il  volgo  soltanto.  II  buon  verseggiatore  veneziano  (giudica 
il  Belloni,  e  giudica  bene)  «  lungi  dall'impancarsi  a  filosofo  e  ?olo 
secondo  i  dettami  del  buon  senso  dice  cosl  alia  carlona  con  certa 
sua  ingenua  rozzezza  cose  verissime,  bench^  troppo  spesso  non  si 
guardi  dallo  sdrucciolare  nei  luoghi  comuni  »  2). 

Comunque,  ne  volete  un  saggio?  lo  mi  ci  pongo  volontieri ;  ch^ 
a  combattere  una  volta  di  piu  siffatti  traviamenti  della  ragione,  sia 


1)  Venezia,  Zamboni  1671.  II  Gamba  {Serie  degli  scrilti  impressi  in  dial,  ve- 
neziano) registra  una  ristampa  di  Venezia  Lovisa  1699  in  12*. 

2)  St.  letter,  d' Italia.  II  .Seicenlo.  Milano  Vallardi  c.   213. 

ArchMo  per  le  tradiaioni  popolari,  —  Vol.  XXIII.  37 


292  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

pure  con  la  penna  altrui,    stimo,  neHMnteresse  cos)  demopsicologico 
come  educativo,  tempo  punto  sciupato. 

Qiiante  persone,  per  esempio,  anche  del  ceto  civile,  si  riuni- 
scono  a  mensa  con  animo  lieto,  se  sono  in  tredici  ?  Sentite  il  Varo- 
tari,  che  ci  da  anche  la  ragione  per  quanto  notissima,  di  tale  pre- 
giudizio: 

Se  in  quela  sacra  e  venerabil  Cena 
Tredese  i  gera  a  tola,  uno  tradi; 
Mo  che  vMmporta  e  che  m'importa  a  mi 
Che  un  Giuda  avesse  del  morir  la  pena? 

Guardfeve  pur  da  colpe  e  da  pecai 
E  ste  tredese  a  tola  alegramente. 
No  ve  smarl,  no  abie  timor  de  gnente» 
Che  M  numero  morir  no  puol  far  mai. 

Qual  ^Itro  triste  presagio  pur  oggi,  per  tanti  citrulli,  rovesciare 
la  saliera  su  la  tavola!  Triste  presagio?  Eh  via,  alto  la,  m'ha  Taria 
di  dire  a  costoro  il  Varotari  : 

Ma  fermeve:  andd  pian.  Forsi  h  la  colpa 
De  la  saliera  che  sard  trop'  alta: 
E  se  I'urta  per  caso,  e  la  rebaita 
Stramba  una  man,  perch^  mo  el  sal  se  incolpa? 

Povero  sal!  mo  che  infelice  sortel 
E  Chi  mi  g*ha  levA  tanta  vanla  {imposlura,  menzogna)} 
Sempre  ho  stima  che  '1  sal  simbolo  sia 
De  sapienza  e  de  vita,  e  no  de  morte. 

Se  *\  sal  del  conservar  fu  sempre  amigo 
No  del  destruzer  mai,  come  se  acorda 
Sti  do  contrarii?  O  operazion  balorda! 
Chi  e  sta  I'autor  de  sto  si  belMntrigo? 

Anche  la  superstizione  del  venerd^  riceve  le  sue  batoste : 

Sento  un'altro  tintin  de  campanela 
Che  no  bisogna  scomenzar  impresa 
O  far  viazo  i),  o  far  solene  spese 
Se  de  Venere  e  '1  zomo.  Ela  mo  bela? 


i)  «  De  veuare  c  de  viarte  no  se  s/>osa  e  no  se  parte  »  e  vecchio  proverbio. 


I   PREGIUDIZI  VOLGARI  293 

Sentite  come   bravamente   se  ne   burla ;  egli    nato  appunto  in 
venerdl : 

Questo  xe  M  fato,  ch'ho  le  stele  averse, 
Che  son  insio  {uscilo)  de  v^nere  a  sto  mondol 
E  che  pdssio  sperar  mai  de  giocondo? 
Sari  le  cosse  mie  tute  rov6rse. 

Ma  dei  pregiudizi,  piu  contate  e  piii  ve  ne  restano  da  contare. 
Cosl  non  deve  riescirvi  nuovo  quelle  che 

se  fa  de  mdrcore  la  luma 

tuto  el  mese  6  piovoso 

o  I'altro: 

Che  quando  Tano  corera  bisesto  {bisr stile) 
Le  grivie  h  per  aver  poca  fortuna  i). 

Eh,  che  ne  dite?  Baie,    baie.  Cos^  pensa   anche  il  nostro   Va- 

rotari  : 

Che  ocor  far  tante  salse? 

Sempre  se  troverA  le  cosse  false, 
Se  '1  contrario  rason  non  persuada. 

E  prosegue  imperterrito  ad  atterrare  altri  pregiudizi  ancora  : 

L'e  un  mal  segnal,  no,  quando  le  zuete  {civftte) 
Se  fa  sentir  soto  el  camin  la  note  2) 
Ma  quando  manca  el  pan,  vuode  6  le  bote, 
E  la  borsa  ha  provae  I'ultime  strete. 

Suol  far  mal  pr6,  no,  quando  una  candela 
Fazza  lume  a  le  spale,  arda  a  la  testa; 
Ma  quando  consume  camisa  0  v^esta 
PiCi  no  s'ha  da  comprar  drapo  ne  tela. 

Fa  ralegrar,  no  quando  rebaltae 
Vede  tazze  de  trebio  0  de  falemo: 
Ma  quando,  per  rason  de  bon  govemo, 
Moltiplica  I'haver,  cresce  Tintrae. 


1)  Anno  bisesiiny  o  che  more  la  mama  o  'I  fantolin ;  e  superstizione  diffusa 
anche  fuori  del  Veneto. 

2)  Ch3  il  canto  della  civetta  sia  di  cattivo  augurio,  lo  crede  anche  il  popolo 
siciliano  (come  pure  i  corvi  col  loro  gracchiare  0  il  cane  quando  ulula)  (V.  PlTRE, 
Usij  costumi,  credenze  e  pregiudizi  del  popolo  siciL ;  Vol.  Ill,  C.  396);  e  ncn 
meno  il  toscano  (V.  TIGRI,  Coniro  i  pregiudizi  popolari  ecc,  Torino,  Paravia,  1820), 


294  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONf   POPOLARI 

Leggete  poi  questa,  ch'^  buffa,  a  proposito  del  ragno : 

Son  in  leto  una  volta  alquanto  in  oca  {colle  painrne) 
E  un  ragno  vien  de  quei  ^al  cul  pid  grosso; 
E  in  quel  che  lievo  {m'also)  per  andarghe  adosso. 
Son  consegii  che  '1  lassa  e  che  no  '\  toca. 

Me  lasso  infenociar;  perchd  i  diseva 
Che  i  xe  de  bon  augurio  i).  E  mi  balordo 
Son  sta  ciap^,  come  a  la  rede  un  tordo, 
Quando  sul  far  de!  d\  manco  el  credeva. 

Sento  becarme  un  ocio;  e  quel  bon  ragno 
A  la  pieta  quel  guiderdon  me  rese. 
Che  bel  augurio  1  In  esseghe  cortese, 
Ho  fato  veramente  un  bel  guadagno! 

Ande  pur  1^  che  son  pur  tropo  a  segno; 
E  con  ste  rede  and^  a  piar  gazoti, 
And6,  v'esorto,  a  incotegar  merloti; 
A  ste  tr^pole,  no,  piii  no  ghe  vegno. 

E  finisce  col  dire  ai  credenzoni  quelle  che  vorremmo  rifischias- 
sero  per  bene  ai  loro  orecchi  pur  oggi,  quanti  credono  con  noi  al 
bisogno  di  educare  sul  serio  le  giovani  menti,  e  quelle  in  particolare 
del  popolo  minuto  : 

Ma  chissa  mai  quanti  altri  e  per  quanto  altro  tempo  continue- 
ranno  a  cascarvi  ? 

Venezia,  Maggio  1906, 

Dott.  Cbsarb  Musatti. 


1)  Infatti  fagno  porta  guadagno,  secondo  il  proverbio. 


LA  SUPERSTIZIONE  DEL  POPOLINO  NAPOLETANO 
NELLA  RECENTE  ERUZIONE  DEL  VESUVIO 


Chi  non  ha  visto  Napoli  in  questi  giorni  non  potra  farsi  un  con- 
cetto esatto  della  psiche  di  questo  popolo.  Quello  che  ^  awenuto 
rivela  non  gia  una  inferiorita  di  razza,  come  piace  a  qualcuno  di  im- 
maginare,  ma  una  inferiorita  di  educazione.  Sembra  che  qui  i'evo- 
luzione  della  coscienza  si  sia  arrestata ;  il  popolo  —  e  dicendo  popolo 
non  intendo  soltanto  gli  strati  piu  bassi,  —  h  rimasto  fanciullo;  la 
sua  intelligenza  ha  tutte  le  vivacita  e  le  impressionabilita  del  fan- 
ciullo, ma  ne  ha  anche  la  credulita;  credulita  nello  straordinario, 
nello  inverosimile,  nel  soprannaturale,  che,  per  uno  strano  contrasto, 
si  accoppiano  con  la  ripugnanza  a  ridurre  i  fantasmi  soprannaturali 
dentro  i  confini  del  vero.  Del  fanciullo  ha  tutti  gli  istinti,  sincerita 
di  impulsi,  mutabilita,  crudelta,  mancanza,  o  meglio  poverta  di  un 
retto  criterio  morale,  confusione  tra  i  confini  del  bene  e  del  male, 
una  coscienza,  per  dirla  in  una  parola,  non  ancora  evoluta.  fe  bastato 
un  momento  di  terrore,  perche  il  fanciullo  si  rivelasse  e  nella  forma 
pill  primitiva:  la  superstizione. 

Noi  siamo  ritornati  indietro  di  parecchi  secoli,  ci  siamo  trovati 
in  mezzo  airincredibile,  e  coloro  che  avrebbero  dovuto,  anche  pel 
loro  ufficio,  illuminare  e  guidare  le  moltitudini,  non  hanno  dato  un 
passo,  anzi,  e  si  capisce  perch^,  hanno  favorito  e  secondato  le  abej- 
razioni. 

Ho  voluto  cacciarmi  per  le  vie  di  Napoli,  specialmente  per  le  piu 
popolari.  A  ogni  passo  altarini,  con  immagini  di  cartapesta  o  di  legno, 
circondati  di  ceri  accesi,  e  intorno  uomini  e  donne,  scalze,  coi  ca- 
pelli  sciolti,  piangenti.  Botteghe  serrate,  strade  deserte :  nei  vicoli  le 


295  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

donnicciuole,  temendo  sempre  un  grande  e  misterioso  pericolo,  stanno 
fuori,  dinanzi  le  porte,  esterrefatte :  e  passano  la  notte  fuori,  non 
osando  chiudere  gli  occhi  al  sonno,  piangendo.  Di  che?  perch^?  Non 
lo  sanno.  Ad  ogni  passo  procession!  improwisate.  Si  tolgono  dalle 
case  (ogni  casa  ha  due  o  tre  santi  miracolosi)  quadri  e  statue,  San 
Gennaro,  San  Vincenzo  altrimenti  detto  o*  monaconey  la  Madonna 
del*  Carmine,  S.  Anna,  un  Crocefisso:  si  tolgono  dalle  edicole  e 
dalle  cappelle.  Donne  e  fanciulli,  scarmigliati,  a  due  a  due,  con  le  can- 
dele  accese  percorrono  le  vie  recitando  preghiere,  cantando  litanie  e 
inni;  la  croce  innanzi,  rimmagine  dietro,  portata  da  due  uomini.  Ai 
lati,  dietro,  cefR  di  ladruncoli,  guagliune  'e  mala  vita,  picciutte  'e 
sgarro.  Vi  porgono  sotto  gli  occhi  un  vassoio,  un  cestino,  il  cappello 
rovesciato :  Signurlf  vulite  bhene  a  San  Vici^,  o  a  Maronna  'o  Car- 
mine, ovvero  a  Gieau  Criste,  Guai  a  non  gittare  un  soldo :  vi  man- 
dano    maledizioni  e  bestemmie. 

Altre  folle,  in  vase  dal  terrore,  di  notte,  armate  di  travi,  hanno 
sfondato  la  porta  delle  chiese,  si  sono  impadronite  di  qualche  imma- 
gine  e  Thanno  trasportata  per  le  vie,  con  ululati  di  spavento,  con 
alte  preghiere  e-invocazioni. 

Sotto  Tarco  della  Porta  di  S.  Gennaro  un  uomo  sorregge  un 
busto  di  S.  Gennaro,  e  lo  fa  ballare  sopra  la  sua  testa,  ritmicamente. 
E  intorno  una  folia  di  donne,  levando  in  alto  una  torcia,  una  can- 
dela,  grida  al  Santo:  '0  vol  che  tiengo?  Fa  'o  miracolo!  Fa  'o 
miracolo,  Gli  promettono  il  cero  se  fara  il  miracolo  di  fermare  Te- 
ruzione. 

Altrove  una  processione  di  S.  Vincenzo  s'incontra  con  una  pro- 
cessione  di  S.  Gennaro.  I  vincentini  mostrano  le  pugna  a  S.  Gen- 
naro e  gridano: 

—-  SI,  sH  credete  a  San  Gennaro!  non  vedete  che  non  fa 
piu  miracoli?  Viva  S.  Vincenzo!  S.  Vincenzo  b  il  santo  nostro.  E 
quelli  di  rimando:  E  pigliatevelo  San  Vincenzo!  pigliatevi  'o  mona- 
cone!  Viva  San  Gennaro  nostro!....  —  E  giu  improper!,  turpitudini, 
minacce. 

Una  folia  tuiiultuosa  ha  costretto  il  capitolo  del  duomo  a  por- 
tare  in  processione  il  famoso  busto  argenteo  di  San  Gennaro,  il  piu 


LE   SUPERSTIZIONI  DEL  POPOLINO  NAPOLETANO  297 

miracoloso,  Tautentico.  Lo  portarono  sul  ponte  della  Maddalena,  vol- 
gendolo  con  la  faccia  al  Vesuvio,  e  \\  tre  monsignori,  gravemente, 
benedissero  il  fiero  e  selvaggio  monte,  per  arrestare  Teruzione. 

Molte  chiese  furono  obbligate  a  restare  aperte  tutta  la  notte :  e 
dinanzi  alle  immagini  piu  famose  ^  un  rovesciarsi  di  anelli,  calfene, 
orologi,  gioielli  d'oro  e  di  argento,  non  gia  per  venderli  e  soccorrere 
i  bisognosi,  ma  per  appenderli  in  voto  nei  quadri  e  nelle  statue.  Da 
Pompei  si  partono  altre  notizie  strabilianti :  a  mezzanotte  un  uomo 
picchi6  alia  porta  della  chiesa.  II  sagrestano  si  affacci6  a  una  finestra : 
era  un  prete.  —  «Che  cosa  volete?  —  gli  domand6.  —  Debbo  re- 
citare  la  messa,  —  rispose.  —  A  quest'ora  non  si  dicono  messe !  — 
Ed  io  la  recito  a  quest'ora:  se  non  mi  aprite,  apro  da  me!»  E  sic- 
come  il  sagrestano  indugiava,  il  prete  fece  un  segno  e  la  pK)rta  si 
spalanc6:  e  il  prete  recit6  messa,  nella  chiesa  silenziosa:  ma  alia 
consacrazione,  spezz6  I'ostia,  mezza  la  mangi6,  mezza  la  diede  al  sa- 
grestano ordinandogli  —  con  meraviglia  di  costui  —  di  buttarla  fuori. 
II  Sagrestano  esce,  e  dinanzi  la  porta  trova  una  donna :  —  Che  cosa 
fate,  sagrestano?  —  Lo  vedete?  c'^  di  la  un  sacerdote  che  dice  messa 
a  quest'ora,  e  vuole  che  io  getti  quest'ostia  fuori!  Datela  a  me,  e 
se  vi  domanda  chi  ha  preso  Tostia,  ditegli  che  Tha  presae  Tha  man- 
giata  la  mamma  sua! 

Non  c'e  bisogno  di  dire  che  il  prete  era  Gesu,  che  la  donna  era 
la  Vergine.  Intanto  il  miracolo  va  girando  per  le  bocche,  e  il  popo- 
lino  se  ne  commuove,  perch^  non  mette  menomamente  in  dubbio 
la  verita  della  storiella,  e  guai  a  chi  osa  farla  ricredere.  E  di  mira- 
coli  come  questo  ne  corrono;  gli  eroi  sono  i  santi  del  popolo:  San 
Vincenzo  e  Sant'Anna  alia  testa. 

N^  soltanto  il  popolo  minuto  si  lascia  sopraffare  da  questa  sto- 
riella, ma  anche  la  borghesia:  e  le  superstizioni,  gli  atti  di  fanatismo 
aumentano,  fino  al  punto  da  produrre  delle  agitazioni  e  render  ne- 
cessaria  Toccupazione  militare  della  citta.  • 

Religione.?  no.  La  religione  non  ci  ha  che  fare:  questa  ^  ido- 
latria;  Domenedio  e  i  santi  del  paradiso  non  ci  hanno  che  vedere: 
si  tratta  di  immagini;  si  tratta  di  tutto  un  fondo  etico  scomparso 
quasi  dalla  coscienza  degli  altri  popoli,  che  qui  sorvive  e  costituisce 


298  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

anzi  ranima  del  popolo.  fe  il  vecchio  morido  pagano  camuffato  sotto 
nomi  e  riti  diversi,  che  nessuno  ha  combattuto,  che  nessuno  ha  cer- 
cato  di  trasformare.  Quest©  popolo  ^  ancora  quelloche  era  moiti  secoli 
addietro,  non  ostante  le  sue  camere  di  lavoro  e  le  sue  scuole. 

Qualcuno  crederebbe  che  Tignoranza  debba  essere  cagion  di 
questo;  no.  La  percentuale  deiranaifabetismo  non  h  qui  cos\  alta  da 
giustificare  questa  immobilita  della  coscienza,  come,  per  esempio,  h 
alta  nelle  Calabrie.  La  maggioranza  del  popolo  sa  leggere  e  scrivere, 
ma  la  scuola  non  educa,  non  trasforma,  non  esercita  alcuna  influenza 
sugli  spirit!.  Questa  k  la  verita.I  ragazzi  delle  scuole  vi  entrano  con 
tutte  le  superstizioni,  con  tutti  i  pregiudizi,  tutte  le  attitudini  alia 
mala  vita,  ne  escono  senza  averne  una  di  meno.  Potrei  qui  molti- 
plicare  esempi  di  esperienze  da  me  fatte.  E  i  maestri.?  I  maestri  nella 
maggioranza  sono  i  primi  a  raccontar  miracoli  e  cose  straordinarie  ai 
fanciuUi,  e  perpetuare  gli  errori;  essi  non  formano  pertanto  quella 
coscienza  scientifica  che  pu6  solo  impedire  le  scene  medioevali  di 
cui  Napoli  ^  stata  il  teatro. 

Qui  c'h  tutto  a-rifare:  c'^  un  popolo  da  trasformare.  Napoli  6 
un  anacronismo;  la  verita  sembrera  crudele,  ma  bisogna  dirlo;  e  bi- 
sogna  anche  dire  che  coloro  i  quali  hanno  il  dovere  di  trasformare 
Napoli,  non  fanno  nulla,  anzi  perpetuano  la  vitalita  di  tutto  il  vec- 
chiume,  perch^  nella  fanciullaggine  superstiziosa  e  viziosa  del  popolo 
trovano  il  mezzo  piu  idoneo  pei  loro  fmi. 

Maurus. 
Napoli,  13  aprile  1906. 


LEGGENDE  POPOLARI  PIEMONTESI 


I  racconti  che  Tumile  popolo  delle  campagne  va  ripetendo  di 
generazione  in  generazione  hanno  pure  la  loro  importanza,  perch^ 
servono  ad  illustrarne  il  genio  inventivo,  il  grado  d'istruzione,  le  abi- 
tudini,  il  carattere  intimo  :  ecco  i:>erch^  io  penso  che  meritino  d'es- 
sere  note  le  leggende  che  pubblico  qui  appresso  e  che  ho  raccolte 
in  van  luoghi  della  provincia  di  Cuneo.  Sar^  facile  scorgere  in  esse 
Tespressione  chiara  e  palese  dei  sentimenti  che  primeggiarono  e  pri- 
meggiano  neiranima  del  contadino  di  Piemonte  :  un  grande  concetto 
della  potenza  del  demonio  considerata  con  vivo  terrore,  una  profonda 
fede  religiosa  che  ricorda  costantemente  i  tremendi  castighi  inflitti 
da  Dio  agli  emp!,  un  alto  senso  di  onesta  e  di  rettitudine,  e  fmal- 
mente,  talvolta,  una  vena  sottile  di  umorismo  bonario.  Le  leggende 
seguenti  sono  la  riprova  di  uno  o  dell'altro  di  tali  affetti,  che  piu 
risaltano  nella  psiche  del  p)0|X)lo  subalpino. 

I.  La  rocca  dei  sette  fratelli. 

S'apre  questa  grande  voragine,  dovuta  certamente  all'erosione 
delle  acque  come  le  cosidette  rocche  di  Pocapaglia,  di  Monta,  di 
Diano  e  di  molti  altri  luoghi  del  Piemonte,  nelle  vicinanze  del  borgo 
di  Treiso  (regione  delle  Langhe) ;  ed  ^  veramente  interessante  per 
la  sua  orrida  bellezza,  che  Tha  resa  fra  tutte  la  piu  famosa.  In  mezzo 
ad  un  tratto  di  altipiano  coltivato  a  campi  e  a  prati  essa  si  sprofonda 
come  un'enorme  buca  quasi  circolare  ;  e  i  suoi  fianchi  tagliati  a  picco 
non  sono  gia-lisci  ed  eguali  ma  presentano  come  sette  archi,  sette 
nervature,  ad  una  delle  quali  ^  connesso  un  piccolo  poggio  piKimi- 
dale,  che  si  aderge  in  mezzo  al  vuoto  dell'orrido    precipizio  quasi  a 

ArchMo  per  le  tradisioni  popolari,  —  Vol.  XXIII.  38 


300  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARf 

vedetta,  e  che  ricorda  le  piramidi,  gli  obelischi  ed  i  monoliti  di  altre 
rocche  consimili.  Tanto  per6  della  voragine  quanto  delle  sue  parti- 
colarita  che  abbiamo  accennate  ha  dato  una  spiegazione  affatto  di- 
versa  la  leggenda  :  ne  riferisco  la  versione  piu  semplice  e  plu  comune 
fra  le  tante  che  le  son  date   nei  cento  villaggi  in  cui  essa  fiorisce. 

In  tempo  da  noi  gia  lontano  vivevano  in  Treiso  sette  fratelli 
Tuno  peggiore  dell'altro,  prepotenti,  vendicativi,  ma  sopratutto  spudo- 
rati  bestemmiatori :  una  famiglia  di  veri  birbanti,  usi  a  commettere  ogni 
sorta  di  eccessi ;  e  poich^  a  quel  tertipo  non  c'era  modo  di  metterli 
a  freno  tutti  ne  soffrivano  terrorizzati.  Per6  Dio  vegliava  e  maturava 
la  sua  grande  vendetta.  Era  la  ricorrenza  del  Corpus  Domini^  una 
giornata  bellissima  plena  di  sole  e  di  gioia  ;  ma  mentre  tutti  gli  altri 
si  disponevano  a  celebrarla  osservando  il  santo  precetto  del  riposo 
festivo,  i  sette  fratelli,  non  per  altro  che  per  far  pompa  sfacciata  di 
loro  incredulita  proterva,  vollero  recarsi  tutti  insieme  a  lavorare  in 
un  vasto  campo  che  possedevano  presso  il  paese.  Verso  Tora  del 
mezzogiorno  essi  stavano  seduti  in  giro  nel  mezzo  del  loro  podere 
intorno  al  pranzo  che  la  serva,  accompagnata  dal  cane,  aveva  arre- 
cato,  quando  videro  muovere  alia  loro  volta  la  processione  religiosa, 
che,  secondo  il  costume,  uscita  da  Treiso,  si  recava  ad  un  pilone 
cola  vicino  per  ritornarsene  quindi  in  paese.  A  quella  vista  la  serva, 
che  aveva  devozione  e  timor  di  Dio,  os6  dire  ai  suoi  padroni : 
«  Perch^  non  v'alzate  almeno  in  piedi,  e  non  fate  il  segno  di  croce?  » 
Risa  di  scherno,  motti  sarcastici  e  orrende  bestemmie  furono  la  ri- 
sposta.  Ma  ecco  d'un  tratto,  in  men  che  si  dica,  oscurarsi  il  cielo  e 
scoppiar  fulniini  e  tuoni :  la  terra  si  scosse  quasi  convulsa,  un  rombo 
terribile  parve  risuonare  nelle  sue  viscere,  ed  il  campo  dov*erano  gli 
empi  disparve,  sprofondando  nel  vuoto.  I  setti  fratelli  furono  tutti 
ingoiati  dall'abisso,  n^  piu  rimase  di  loro  alcuna  traccia  fuorch^ 
quegli  archi  che  si  formarono  nella  parete  della  voragine  durante  la 
loro  caduta  precipitosa....  E  su  quel  poggio  che  ancora  sovrasta  stet- 
tero  sani  e  salvi  la  serva  ed  il  cane,  risparmiati  per  la  loro  innocenza 
da  cosl  spaventevole  ruina. 

Tale  il  fatto  per  il  quale  si  sarebbe  formata  Tattuale  voragine : 
e  non  si  pu5  dire  che  questa  non  sia  una  bella  leggenda. 


LEGGENDE  POPOLARI  PIEMONTESI  30I 

11.  II  cesto  del  diavolo. 

Nelle  vicinanze  della  storica  citt^  di  Cherasco  e  presso  il  con- 
fluente  del  Tanaro  con  la  Stura  sorge  isolate  in  mezzo  alia  pianura 
eguale  e  livellata  un  piccolo  pogglo  di  forma  tondeggiante,  alto  un 
venti  metri,  che  h  detto  dal  popolo  Muncravieu  e  dai  geografi  Monte 
Capriolo  *).  Come  si  sia  formata  quelPaltura  cosl  strana  e  bizzarra  non 
si  pu6  dire  :  certo  non  k  un  masso  erratico,  e  non  pot^  formarsi  per 
un  fenomeno  naturale  comune  quando  tutto  il  piano  circostante  ^ 
dovuto  ai  sedimenti  che  nelFepoca  terziaria  lasciarono  le  acque,  ri- 
tirandosi  da  questi  luoghi  tuttora  ricchissimi  di  fossili.  Ma  ecco  che 
il  pK)polo  ha  voluto  senz'altro  spiegare  I'origine  del  poggio  con  una 
leggenda  plena  di  fantasia  ed  anche  di  un  certo  umorismo. 

fe  noto  che  anticamente  la  vicina  citta  di  Cherasco  era  una 
piazza  fortissima,  munita  tutt'  all'  intorno  di  enormi  bastioni  che  la 
rendevano  quasi  inespugnabile.  Orbene,  sapete  da  chi  furono  co- 
strutti  quel  grandi  bastioni?  Nientemeno  che  dal  diavolo,  il  quale, 
chiamato  in  aiuto  dai  ricchi  e  potenti  signori  del  luogo  (i  ricchi  se 
la  intendono  meglio  degli  altri  col  diavolo  !)  si  dispose  ad  aiutarli  con 
Topera  sua.  Quel  gigante  immane  prese  seco  un  cesto  proporzionato 
alle  sue  membra  colossali;  e  dopo  averlo  riempito  di  terreno,  che 
traeva  dalle  colline  di  Pocapaglia  limitanti  a  sinistra  la  valle  del  Ta- 
naro, se  lo  caricava  sugli  omeri,  e  traversando  a  grandi  passi  il  piano 
ed  i  fiumi  che  lo  percorrono,  si  recava  a  vuotarlo  sul  ciglio  del  colle 
di  Cherasco.  Cosl  si  formarono  le  profonde  voragini  0  rocche  di 
Pocapaglia,  e  cosl  ebbe  origine  la  fortezza  cheraschese.  Ma  una  volta, 
mentre  compieva  il  solito  percorso,  il  diavolo  inciamp6  in  un  albero 
e  fu  n  per  cadere:  pot^  ancora  tenersi  in  piedi  aiutandosi  con  le 
braccia  a  mantenere  Tequilibrio,  senonch^  il  cestone  ricolmo  caddegli 


i)  Lo  trovo  anche  ricordato  col  nome  di  Monte  Capreolo  (abl.  di  luogo)  in  una 
carta  deirerezione  dell'abbazia  di  S.  Pietro  in  Savigliano  del  la  febbraio  1028,  e 
in  una  carta  di  donazione  della  contessa  Adelaide  ad  Alberto  di  Sarmatorio  del 
23  maggio  1078. 


^ 


302  ARCHIVIOPER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

a  terra,  e  ne  and6  rovesciato  il  terreno  che  conteneva.  Belzebu  non 
istette  a  ricoglierlo,  ma  torn6  indietro  senz'altro  a  ripetere  I'opera  sua; 
e  quel  terreno  rimase  i:>er  sempre  nel  sito  attuale  formando  Taltura 
piu  sopra  descritta.  Nella  quale  la  potenza  delle  tenebre  rivelasi  an- 
cora  tutt'oggi  in  questo  modo  straordinario :  che  riesce  affatto  im- 
possibile  erlgervi  una  qualsiasi  costruzione,  muro  0  capanna,  f)erch^ 
tosto  ogni  cosa  si  sfascia  e  rovina,  distrutta  da  una  forza  misteriosa 
e  terribile. 

HI.  La  macchia  di  sangue. 

fe  in  una  cascina  prossima  ad  Alba,  chiamata  Moncareth,  che 
mostrano  tuttora  nel  pavimento  di  una  stanza  una  gran  macchia 
scura,  la  quale  non  b  mai  stato  possibile  cancellare,  ed  b  di  sangue, 
a  ricordo  del  fatto  seguente.  Fatto  che  narrasi  dai  contadini  non  solo 
del  territorio  di  Alba  ma  di  gran  parte  delle  Langhe  e  deH'Astigiana. 

Un  giorno  un  povero  servitore  di  quella  cascina,  posseduta  da 
ricchi  signori,  ebbe  la  strana  ventura  di  scorgere  nel  campo  in  cui 
lavorava  coiraratro  una  gran  biscia,  che  passando  davanti  ai  buoi 
mise  in  loro  un  forte  terrore,  si  che  non  vollero  piu  proseguire. 
Tornossene  alia  cascina  pieno  anche  lui  di  spavento;  ed  ecco  che 
il  giorno  dopo  e  tutti  i  giorni  seguenti,  alia  medesima  ora,  la  biscia 
ricompariva  nel  solco,  e  sibilando  si  dileguava.  Non  sapendo  che 
cosa  dovesse  fare  in  quel  brutto  frangente,  il  giovane  contadino 
pens6  bene  di  confidarsene  con  un  pio  prete :  e  questi,  dopo  lunga 
meditazione  sui  libri  sacri,  gli  diede  una  corona  del  rosario,  e  disse: 
—  «  Domani  mattina,  quando  andrai  al  campo,  attacca  questa  corona 
al  pungolo,  e  appena  la  biscia  comparira  fa  di  toccarla:  se  quella 
biscia  k  una  persona  cos)  mutata,  si  trastormera  certamente  nelle 
sue  naturali  sembianze  ».  LMndomani  la  biscia  riapparve;  il  contadino 
fece  tutto  quanto  il  prete  avevagli  consigliato;  ed  ecco  che  subito 
vide  cangiarsi  il  serpente  nella  sua  padrona,  la  quale  era  una  donna 
di  facili  costumi,  e,  chissa  per  che  sorta  di  malla,  aveva  preso  una 
forma  s\  strana.  Ma  la  padrona  disse  tosto  al  giovane  allibito  e  tre- 


LEGGENDE  POPOLARI  PIEMONTESI  303 

mante:  —  «  Non  dir  nulla  a  nessuno  su  ci6  ch'hai  veduto,  e  tutte 
le  mattine  avrai  uno  scudo  sotto  il  guanciale;  ma  ricordati  bene  di 
non  parlarne  ad  anima  viva  ».  II  servitore  mantenne  la  promessa 
per  lungo  tempo;  ed  intanto,  essendosi  arricchito  senza  piu  lavorare, 
fece  nascere  nelPanimo  dei  suoi  compagni  un  desiderio  vivissimo  di 
conoscere  il  segreto  della  sua  fortuna.  Una  sera,  per  giungere  al 
loro  scopo,  Tubbriacarono,  ed  egli  rivel6  ogni  cosa;  ma  apf)ena  com- 
preso  il  gravissimo  errore  si  mise  al  collo  una  medaglia  benedetta, 
sempre  temendo  che  la  padrona  non  si  vendicasse.  E  un  giorno, 
piir  troppo,  era  in  quella  stanza  dove  si  vede  ora  la  macchia  di 
sangue  indelebile  quando  nel  lavarsi  si  tolse  la  medaglia,  dicendo 
fra  s&  stesso:  —  «  Non  verra  mica  in  questo  momento!».  Ma 
s'ingannava.  La  padrona,  (;he  sempre  lo  teneva  d'occhio,  gli  si 
present6  incontamente  in  forma  d'un  mostro  gigantesco  ed  affer- 
ratolo  lo  stritol6. 

IV.  La  pietra  del  diavolo. 

A  pochi  passi  da  Sampeyre  —  grosso  villaggio  montano  in  pro- 
vincia  di  Cuneo  —  vi  ^  un  grande  macigno,  che  sorge  nel  mezzo 
d'un  campo  e  che  la  leggenda  ha  chiamato  la  pietra  del  diavolo. 
Viveva  una  volta  in  quel  luogo  un  uomo  di  esemplari  costumi  che 
tutta  Topera  sua  volgeva  al  bene  del  popolo,  e  ne  era  pertanto  be- 
nedetto  e  venerato.  Ma  Teterno  nemico  del  bene,  cio^  il  demonio, 
inspir5  un  odio  mortale  contro  quell'uomo  in  alcuni  malvagi,  i  quali 
tramarono  di  uccidere  si  lui  che  i  suoi  piu  fidi  seguaci.  L'impresa 
riuscl  a  mezzo  con  Tassassinio  di  quello  sventurato;  ma  quando  i 
suoi  uccisori,  appostatisi  nel  luogo  Jov'^  ora  la  grossa  pietra,  ne 
assalirono  gli  amici  superstiti,  apparve  d'un  tratto  la  sua  ombra, 
incutendo  in  quel  tristi  un -mortale  spavento  e  mettendoli  in  fuga. 
Cos!  accadde  piu  volte:  alia  fine  il  demonio,  esasperato,  venne  in 
persona  ad  aiutare  i  suoi  fedeli;  ed  una  notte,  in  quel  medesimo 
punto  dove  1 'ombra  soleva  apparire,  cieco  di  furore  le  scagli6  contro 
il  masso  che  ora  si  vede  in  quel  campo.  L'ombra,  colpita,  disparve, 
n^  mai  piu  si  vide. 


304  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

V.  II  colle  del  prete. 

Questo  nome  k  dato  ad  un  colle  in  vaile  di  Varaita:  esso  pre- 
senta  alia  sua  cima  un  vasto  piano  tutto  prato  con  in  mezzo  una 
capanna,  nella  quale  si  rifugiano  i  pastori  quando  il  tempo  minaccia. 
Si  racconta  che  su  quel  colle  fu  trucidato  un  prete  a  scopo  di  furto. 
Dal  giorno  in  cui  avvenne  il  delitto,  ogni  qual  volta  passava  in  quel 
pressi  un  viandante,  una  forza  misteriosa  lo  tratteneva,  ed  una  voce 
d'oltretomba  chiedevagli  nome  e  cognome:  dettolo,  veniva  lasciato 
passare.  Gia  da  gran  tempo  si  ripeteva  lo  strano  fenomeno,  quando 
alfine  pass6  in  quel  luogo  un  discendente  dell'assassino  del  prete. 
Anch'egli  fu  trattenuto  ed  interrogato,  ma  appena  ebbe  detto  il 
suo  nome  e  cognome  cadde  fulminato:  e  dopo  d'allora  il  passo  fu 
libero. 

VI.  11  castello  della  volta. 

fe  un  castello  tutto  diroccato  ed  abbandonato  che  sorge  roman- 
ticamente,  cinto  da  grossi  alberi,  sul  ciglio  del  colle  fra  i  villaggi  di 
La-Morra  e  Monforte,  dominando  la  splendida  regione  vitifera  che 
da  nome  al  famoso  Barolo.  V'^  ancora  nella  sua  mole  informe  il 
ponte  levatoio  e  qualche  avanzo  di  trabocchetti,  ma  sopratutto  in- 
teressa  la  bella  leggenda  che  su  vi  fiorisce  nel  territorio  vicino.  Da 
tutti  i  villaggi  e  casolari  circostanti,  onde  si  vede  quell'ammasso  di 
alberi  e  di  muri  come  una  gran  macchia  scura  ed  irregolare  ergentesi 
dalla  linea  verde  del  colle  nello  sfondo  del  cielo,  i  contadini  lo  ri- 
guardanocon  un  senso  di  meraviglia  e  d'orrore,  e  ne  raccontano, 
pienamente  convinti,  la  storia  paurosa. 

Quando  —  in  tempi  gia  molto  lontani  —  quel  castello  era  pieno 
di  ricchezza  e  di  magnificenza,  i  signori  che  vi  abitavano  diedero 
un  giorno  una  gran  festa,  invitando  a  prendervi  parte  baroni  e  ca- 
valieri,  signore  e  damigelle  in  gran  numero.  Ma  costoro,  essendo 
persone  di  costumi  depravati  e  senza  il  timor   di    Dio,    eccitati   dal 


LEGGENDE  POPOLARI  PIEMONTESI  305 

delirio  dei  sensi,  presero  a  danzare  nella  gran  sala  del  castello  spo- 
gliandosi  completamente  dei  loro  abiti:  e  cos\  ignudi  menavano  al 
chiarore  di  una  miriade  di  fiaccole  rorribile  tresca  impudica.  Ed 
ecco  d'un  tratto  mostrarsi  contro  di  loro  I'ira  tremenda  di  Dio: 
s'udl  un  immane  fracasso,  le  faci  si  spensero,  e  la  volta  del  castello 
precipit5  nel  vuoto  sottostante,  travolgendo  nelle  sue  macerie  quegli 
uomini  e  quelle  donne  esecrande.  D'allora  in  poi  piu  nessuno  abit6 
nel  castello:  ivi  pose  sua  stanza  il  demonio,  che  aveva  seco  tratte 
airinferno  le  anime  dei  sciagurati  peccatori;  n^  mai  piu  permise  che 
alcuno  toccasse  quei  muri  per  restaurarli  o  modificarli.  Gia  molte 
volte  si  tent5  di  aprire  un  passaggio  nella  stanza  piu  interna  chiusa 
da  ogni  lato;  ma  appena  si  fosse  fatto  un  breve  pertugio  bastava 
allontanarsi  un  momento  per  vederlo  richiuso  solidamente,  ad 
opera  di  potenza  soprannaturale.  Ond'fe  che  il  castello  si  giace  so- 
litario  e  abbandonato,  e  col  nome  delta  volta  rammenta  a  tutti  la 
sua  tragica  fine. 

VII.  La  fontana  deirolio. 

Ad  oriente  della  citta  di  Bra  v'fe  un  poggio  su  cui  sorge  un 
umile  e  cadente  chiesuola,  che  ^  detta  di  San  Giovanni  Lontano. 
Nei  pressi  di  questa  chiesa  raccontasi  che  anticamente  esisteva  una 
fontana,  dalla  quale,  invece  che  acqua,  scaturiva  limpidissimo  olio. 
Tutti  se  ne  servivano  con  loro  grande  vantaggio ;  ma  un  giorno  una 
vecchia  and6  a  prendere  una  certa  quantita  di  queH'olio,  e  si  rec6 
a  venderlo  in  altro  paese.  Da  allora  la  fontana  rimase  asciutta,  n^ 
mai  piu  diede  una  sola  goccia  del  suo  prezioso  liquore:  perch^  Tin- 
gordigia  disonesta  della  vecchia,  la  quale  non  s'era  contentata,  come 
gli  altri,  di  tranne  profitto  per  conto  suo,  tolse  alia  fonte  la  mirabile 
virtu  di  cui  era  dotata  d). 

EUCLIDE   MiLANO. 


i)  Una  leggenda  quasi  identica  esiste  nel  luogo  di  Riolo  presso  il  villaggio 
di  Montelupo  (Langhe):  ivi  fanno  ancora  vedere  la  pietra  miracolosa  dalla  quale 
spillavasi  Tolio.  che  per6  da  gran  tempo  non  b  piu  comparso. 


QUATTRO  CANZONl  E  UNA  NINNA-NANNA 
IN  NASO  (Provincia  di  Messina) 


fe  nelle  nostre  tradizloni  che,  sin  dai.  tempi  di  Federico  II, 
esistesse  in  Naso  un'Accademia  intitolata  degii  Audaci.  Di  questa 
Accademia,  sorta  per  augumento  della  poeaia  e  delle  belle  arti  ^) 
e  ricordata  con  lode  dai  Mongitore  2),  nessun  atto,  nessun  docu- 
mento  &  pervenuto  a  noi,  non  ostante  si  sieno  fatte  accuratissime 
ricerche,  e  non  ostante  il  nostro  valoroso,  quanto  lacrimato  cronista  3) 
affermi  che  sia  durata  in  fiore  fmo  al  secolo  XVII.  Solo  qualche 
anno  fa,  andato  a  visitare  un  vecchio  amico  di  famiglia,  un  tal 
Mastro  Cono  Gugliotta,  perito  agrimensore,  che  tutti  chiamavano  il 
poeta,  perch^  a  ottant'anni  possedeva  ancora  una  memoria  sbalor- 
ditoia  e  non  c'era  canto  popolare  ch'ei  non  sapesse,  mi  venne  fatto 
di  cogliere  su  la  sua  bocca  il  seguente  strambotto: 

Fici  cantata  Nasu:  ognunu  'n  gruppa, 
Pri  lu  pais!  di  San  Conu  4)  scappa: 
Vinniru  Trussu,  Desti,  e  vinni  Cciuppa, 
Tutti  tri  'nsemi  cu  ddh'aria  vappa. 
A  cu'  ddha  prosa,  a  ?u*  stu  versu  'ngruppa 
Cu'  critica  la  zeta  e  cu'  la  cappa ... 
O  ciriveddhi  'nfurrati  di  stuppa, 
Abbasatinni  I'una  e  I'autra  cchiappa. 

lo  che  da  molto  tempo  andavo  cercando  qualche  notizia  intorno 
alia  nostra  rinomata  Accademia,  a  sentire   questo   strambotto,   cre- 


i)  QUADRIO,  Sior.  e  rag.  di  ogni  Poes.  Lib.  /«  Capo  2*. 

2)  Sag.  sop.  le  Ace.  di  Sic.  torn.  1.  Rim.  degli  Ereini, 

3)  CARLO  INCUDINE,  Naso  illnstrata. 
4)  S.  CONO  h   1  protettore  di  Naso. 


QUATTRO  CANZONI  E  UNA  NINNA  NANNA  307 

detti  di  aver  trovata  la  pietra  filosofale,  molto  piu  che  in  esso  si  fa 
menzione  di  tre  famiglie  conosciutissime  (6\  Tortorici  le  prime  due, 
di  Sant'Agata  Taltra)  che  contano  nei  loro  antenati  parecchi  cultori 
di  letteratura  e  di  scienza.  Mi  affrettai  perci6  di  domandare  a!  Gu- 
gliotta  da  chi  lo  avesse  imparato,  ed  egli,  j)ensandoci  sopra:  Se 
non  isbaglio  —  mi  rispose  —  dalPavv.  D.  Niccoi6  Trassari  (studioso 
anche  lui  di  lettere  italiane  e  latine)  il  quale  lo  ripeteva  a  un  uomo 
dotto  di  Castanea,  un  giorno  che  ci  trovammo  alia  Plana  per  con- 
segnare  la  foglia  de'  suoi  gelsi  ai  coltivatori  di  bachi.  Questa  risposta, 
se  nori  dilegu6,  diminul  di  molto  la  mia  prima  impressione,  im- 
perocch^  I'Accademia  degli  Audaci,  anche  dopo  la  conoscenza  di 
questo  canto,  rimane  sempre  un  punto  interrogativo.  fe  certo  per6 
che  esso,  di  origine  indubbiamente  letteraria,  accenna  a  una  tornata 
accademica  che  si  tenne  a  Naso,  e  alia  quale  intervennero  letterati 
de'  paesi  circonvicini.  Nessun  male  dunque  ch'io  lo  renda  di  ragion 
pubblica,  sia  perch^,  considerate  oggettivamente  lo  merita,  sia  perch^ 
un  giorno  o  Taltro  potra  servire  di  punto  di  partenza  a  chi  voglia 
razzolare  nelle  nostre  storiche  tradizioni. 

Credo  parimenti  di  far  cosa  grata  agli  amatori  della  nostra 
demopsicologia,  pubblicando  altri  tre  strambotti  che^  in  quella  con- 
giuntura,  appresi  dallo  stesso  Gugliotta,  e  che  incarnano  a  meraviglia 
il  tipo  de'  nostri  campagnuoli  del  vecchio  stampo,  quando  cio^,  con- 
tenti  dello  scarso  tozzo  che  strappavano  sgobbando,  non  intuivano 
neppure  che  per  loro  potessero  spuntare  giorni  meno  infelici,  ed 
ignoravano  perfino  che  ci  fosse  un'America.  lo,  che  nei  piu  begli 
anni  de  la  mia  vita  vissi  in  mezzo  a  loro  ed  ebbi  Tagio  di  studiarli 
minutamente  nelle  loro  abitudini,  ricordo  come  fosse  ora,  che  quei 
poveri  disgraziati,  costretti  a  lavorare  dall'alba  a  la  notte,  anche  i 
giorni  di  festa,  non  avendo  altro  mezzo  che  quello  del  canto  per 
comunicare  agli  altri  i  propri  pensieri,  trasfondevano  in  esso  ogni 
sentimento,   ogni  capriccio,   ogni  scherzo. 

Col  primo,  che  esce  un  po'  dairordinario,  essendo  quasi  tutto 
composto  di  proverbi  e  modi  di  dire  popolarissimi,  si  consiglia  un 
giovane  a  prender  moglie  e  gli  si  fanno  degli  avvertimenti  sul  modo 
di  regolarsi  quando  poi  sara  marito. 

Archivio  per  le  tradigioni  popolari,  —  Vol.  XXUI.  3 


3o8  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZKDNI  POPOLARI 

Perdi  lu  puntu  cu*  non  fa  tu  'ruppu, 
E  casca  'nterra  cu  non  sedl  a  ccippu; 
Cu'  non  senti,  6  'na  radica  di  chiuppu, 
Cu'  non  s'accasa.  6  petra  chi  'un  fa  lippu  i). 
A  t6  mugghieti  tiracci  lu  tuppu. 
Si  ti  nn'adduni  ch!  cerca  lu  trippu : 
Ma  si  havi  li  *ranfi  di  la  pnippu: 
Pri  te,  tigghiuzza,  la  cod  ml  scippu. 

II  secondo  h  una  bizzarca  classificazione  di  colore  che,  come  dice 
il  popolino,  sono  devoti  di  S.  Pasquale: 

Cu'  'un  si  nn'  adduna  d'essiri  curnuto, 
'N  frunti  avi  un  conrn,  ma  onuratu  resta ; 
Cu'  si  nn'addUM,  e  find  ki  sturdutu, 
Fa  un  fetu  di  bicctoni  chi  v'appesta; 
Cu'  li  vldi,  li  tocca  e  si  sta  mutu, 
Nn'  havi  du',  nn'  havi  tri,  n'havi  'na  resta; 
Cu'  di  li  coma  siggi  lu  tributu, 
ComiAu  un  ghiocu  di  focu  havi  la  testa. 

II  terzo  finahnente  k  una  risposta  che  Gaetano  Fazio  fece  a 
Paolo  Lazzaro,  due  contadini  clie  io  conobbi  e  che  non  facevano 
altro  che  bisticciarsi  col  canto,  specialmente  nella  stagione  dei  bachi 
e  in  quella  delle  ulive. 

Paulu  Lilzzaru  ch'6ni  un  pueta 
E  notti  e  ghiomu  stampa  'ssi  canzuni, 
Quantu  nni  vidi,  tanti  nni  'ncuSta, 
E'  vilinusu  commu  lu  scurzuni, 
Megghiu  mi  la  finisci  e  mi  si  queta. 
Mi  si  pigghia  c'  'u  bonu  a  lu  patruni . . . 
Si  parti  e  si  nni  vadi  a  la  Sireia, 
Si  po'  fari  un  pagghiaru  6  Strauluni. 

Per  capire  il  significato  vero  di  questo  strambotto  h  necessario 
si  sappia :  che  Paolo  Lazzaro  e  Gaetano  Fazio  erano  coloni  dello 
stesso  padrone:  che  il  primo  non  possedeva  nulla  e  Taltro  aveva 
del  proprio  una  catapecchia:  che  'a  Sireta  e  'u  Strauluni  sono 
due  siti  macchiosi  e  inaccessibili  del  nostro  bosco  comunale. 


i)  II  proverbio  dice:  Peira  chi  non  fa  lippu  veni  Vacqua  e  s'a  lira. 


OUATTRO  CANZONI  E  UNA  NINNA  NANNA  ^ 

E  qui,  perch^  il  ricordo  della  mia  vlslta  riesca  completo,  tra- 
scriver6  la  ninna-nanna  con  la  quale  una  nuora  del  Gugliotta, 
mentre  noi  discorrevamo  di  canti  popolari,  nella  stznm  attigua,  nin- 
nava  il  suo  pargoletto: 

Viniti,  sonnu,  viniti,  viniti, 
St'amuri  di  so'  mamma  addurniifscitL 
Viniti,  sonnu,  viniti  di  susu, 
'Ddurmiscitilu  vu'  Patri  amunisu. 
Viniti,  sonnu,  viniti,  ch'd  ura, 
'Ddurmiscitilu  vu',  Beddha  Signura, 
Viniti,  sonnu  di  ddhocu  a  pinninu. 
'Ddurmiscitilu  vu,  Sant'Antuninu  . . , 
Sant'Antuninu  e  Santa  Margarita, 
Daticci  boni  joma  e  longa  vita  I 

Naso,  maggio  1906, 

G.    CrIMI  -  LO   GiUDICE. 


CANTILENE  POPOLARI  E  FANCIULLESCHE 
USATE    A    CHERSO 


Furono  raccolte  a  Cherso,  per6  —  quantunque  non  abbia  potuto 
consultare  le  monografie  di  alcuni  miei  valenti  comprovinciali  —  tutto 
mi  fa  credere  ^he  sieno  canti  comuni  a  varie  regioni  della  Venezia 
Giulia,  dove,  m'imagino,  vivranno  ancora  sulle  labbra  del  popolo  con 
lievi  mutamenti  fonetici,  forse,  ma  non  sosfanzialmente  diversi. 

fe  la  poesia  rude,  se  vogliamo,  ma  spontanea  delle  nostre  madri ; 
delle  bambinaie  che  addormentano  i  poppanti ;  dei  nostri  fanciulli  che 
alternano  col  canto  i  loro  giochi  innocenti. 

Taito  il  mondo  b  un  paese;  e  chi,  armato  di  pazienza,  volesse 
prendersi  la  briga  di  fare  uno  studio  comparativo  di  queste  rustiche 
cantilene,  vi  riscontrerebbe  numerose  somiglianze,  sp)ecialmente  con 
quelle  del  Veneto  e  della  Toscana. 

A  me  basti  la  soddisfazione  modesta  di  aver  salvato  qualche  ta- 
vola  da  un  naufragio  imminente,  prima  che  la  marea  slava,  rotti  gli 
argini,  dilaghi  e  tutto  nella  sua  corsa  fatale  travolga. 

Dii  latem  nobis  avertite  pestem! 

Din,  don,  campanon, 
tre  sortie  suM  balcon: 
una  fila,  una  tdia, 
una  fa  M  capel  de  pdia; 
una  (!)  prega  San  Vio 
che  '1  ghe  porti  un  bel  mario, 
bianco,  rosso,  colorio 
come  un  persego  fiorio. 

Canta  la  mamma,  ma  il  pargoletto  non  dorme,  e  la  guarda,  fiso, 
con  gli  occhi  imbamtx)lati  e  la  bocchina  aperta ;  per  assopirlo  bisogna 


CANTILENE  POPOLARI  E  FANCIULLESCHE  311 

ricorrere  alia  ninna-nanna  di  Maria  dl  Nazareth.  Sicuro,  anche  il  Na- 
zareno  fu  un  bambino  irrequieto  come  tanti  altri;  vagiva  e  strillava 
nel  suo  presepio  di  paglia  secca :  e  se  a  riscaldare  il  suo  corpicino 
intirizzito  bastava  I'alito  tepente  del  bue,  ci  voleva,  per  addormen- 
tarlo,  la  voce  argentina  della  sua  vergine  Madre. 

Ninna  nanna,  bel  putin, 
fa  la  nanna  fantolin: 
fa  la  nanna  mentre  canto, 
dormi  tu,  bel  bambin, 
soto  1  mio  manto. 

Chissa  quanti  si  saranno  scervellati  sulKargomento !  Eccola  qu^ 
la  cantilena  della  bionda  Maria;  e  con  che  tono  di  convinzione  pro- 
fonda  la  mi  riferiva  una  vecchietta  del  mio  paese ! 

Andate  a  dirglielo  che  non  sia  vero :  ma  che,  la  Madonna  can- 
tava,  proprio  cos^,  in  italiano.... 

Ma,  ove  questa  non  basti,  la  mamma  paziente,  cambiando 
. «  dosa  »,  ossia  con  diversa  intonazione  di  voce,  ne  attacca  un'altra : 

Feme  vu  le  nanne,  -  feme  un  dolce  sonno 
fino  di  sta  sera  a  doman  el  chiaro  glomo : 
feme  vu  le  nanne  a  poco  a  poco, 
come  le  legne  verde  che  stit  sopra  el  foco ; 
le  st^  sopra  el  foco  e  no  le  da  vampa, 
vu  se  el  mio  caro  ben,  la  mia  speranza. 

E  facciamo  conto  che  il  bimbo  si  sia  addormentato. 


* 


Un'altra  serie  di  canti,  certo  piu  numerosa,  forma  —  direm  cosl 
—  il  patrimonio  poetico  delle  nostre  bambinaie,  che  debt)ono  inge- 
gnarsi  con  qualche  mezzo  a  tener  boni  i  fanciulli  afifidati  alia  loro 
custodia.  11  tempo  h  uggioso,  e  non  si  pu6  uscire  in  giardino  :  i  fan- 
ciulli fanno  il  diavolo  a  quattro  nella  stanza  da  gioco ;  per  frenarli 
un  pochino,  non  c'^  che  la  potenza  della  poesia.  E  la  bambinaia  deve 
metter  mano  al  suo  repertorio,  e  incominciare : 


312  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

1.  -  Piova,  piovesina, 
la  mama  va  in  cusina, 
la  ci6  '1  cortelo 

la  mazza  Toselo: 
la  ci6  un  bocon, 
la  dise  che  bon. 
La  va  in  lantana,  i) 
la  fila  la  lana; 
la  fila  la  stopa, 
el  gato  la  copa. 

Quasi  sempre,  immediatamente  dopo  rultimo  verso  della  canti- 
lena, biascicata  con  ritmo  monotono,  la  bambinaia  emette  un  «  puff!  » 
e  a  quel  segnale  i  bimbi,  che  sono  in  corona  ad  ascoltaria,  si  but- 
tano  ginocchioni,  o  s'arrovesciano  sguaiatamente  ridendo. 

2.  -  Ogi  xe  domeniga, 
la  festa  de  la  Meniga: 
la  va  in  banco, 

el  banco  iera  roto, 

la  va  in  pozo; 

el  pozo  iera  pien  de  aqua, 

la  va  in  piaza; 

la  piaza  iera  plena  de  signori, 

la  salta  su  i  fiori; 

i  fiori  iera  sechi, 

la  salta  su  1  preti; 

i  preti  la  bastonava, 

povera  Meniga  se  rondulava. 

3.  -  Comare  Franzeschina, 
gave  visto  la  mia  galina?... 
La  go  visto  su  in  lantana, 
che  la  magnava  la  mazurana ; 
la  go  visto  su  '1  balcon 
con  quel  vecio  marangon; 

la  go  visto  su  i  cop^ti, 
che  la  magnava  i  garofoleti: 
e  la  ga  fato  co-co-c6... 
e  la  xe  anda'^ami  no  so... 


i)  Corruzione  di  altana,  loggia  aperta  sopra  il  tetto  delle  case. 


CANTILENE  POPOLARI  E  I^ANCIULLESCHE  313 


4.  -  Santa  Ana 
in  orto  stava, 
tre  figlioli 
la  cercava. 
Tasi,  tasi  Ana, 
ti  gaverA  una  fia... 
Come  si  chiama? 
di  nome  Maria. 
La  panderemo  a  scola 
CO*  la  tabeleta  nova. 
Guarda  in  su, 
guarda  in  giii, 
cercio  averto 
de  fogo  benedeto: 
casca  una  ioza 
su  la  pieracota: 
pieracota  scotava, 
tuto  '1  mondo  illuminava. 
Lumina,  lumina  Santa  Ciara, 
impresteme  la  vostra  scala, 
per  andare  in  paradiso 
a  vedere  quel  bel  viso : 
quel  bel  viso  iera  morto 
e  nissun  no  iera  colpo. 
I  angeli  cantava 
e  la  messa  se  alzava; 
oh  Che  bela  orazion, 
tuti  quanti  in  zenocidnl 


*  * 


1  canti  del  gioco :  cos),  e  non  altrimenti,  ^  da  chiamarsi  questa 
terza  serie,  varia,  abbondante  e  anche  bizzarra  quanto  la  fantasia  ca- 
pricciosetta  dei  nostri  fanciulli.  Ogni  gioco  a  il  suo  accompagnamento 
ritmico.  Sentite  come  cinguettano  i  nostri  ragazzi,  durante  le  ore  di 
ricreazione,  nei  loro  giochi  all'aperto ! 

Facendo  al  iocco. 
I.  -  Trenta  quaranta 
la  pecora  la  canta; 


314  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

la  canta  su  *l  cop6,  (?) 
viva,  viva  pecore. 
Pecort  xe  andada  a  messa, 
viva,  viva  la  contessa. 
La  contessa  xe  andada 
a  ciamar  da  Giovannin; 
Giovannin  xe  &msAk : 
i  lo  porta  in  ospedal, 
i  ghe  dk  la  medizina, 
el  xe  morto  stamattina, 
a  le  ore  zinque  e  meza. 
Chi  la  dii  -  fori  va. 

2.  -  Ucelin,  che  va  per  mare, 
quante  pene  v6i  portare? 
V6i  portare  una  sola: 

Chi  xe  drento,  chi  xe  fora, 
chi  la  dA  -  fora  va. 

3.  -  San  Zorzi  cavallon, 
che  tigniva  la  spada  in  man 
per  mazzar  quel  cococan, 
per  mazzar  quel  serafin; 
oh  che  bestia  birichin  1 

Chi  la 

A  nwsca  cieca. 

4.  San  Francesco, 
la  bela  stela  in  mezo: 
la  fa  un  salto, 

la  fa  un  altro, 

la  riverenza, 

la  penitenza, 

la  sera  i  oci, 

la  basa  chi  che  la  vol. 

Le  due  seguenti  cantilene  i  ragazzi  le  ripetono  tenendosi  per 
mano  e  andando  sempre  in  giro  ;  all 'ultimo  verso,  traducendo  in  atti 
le  parole  del  canto,  s'arrestano  simultaneamente  e  si  piegano  fino  a 
baciare  con  le  natiche  la  terra. 

5.  -  Bozzolo,  bozzolo  tondo, 
quanti  bezzi  xe  a  'sto  mondo? 


i 


CANTILENE  POPOLARI  E  FANCIULLESCHE  315 

Per5  qualche  monello  non  s'attiene  strettamente,  o  magari  si 
oppone  agli  ordini  del  piu  anziano,  maestro  dei  giochi:  e  allora  fe 
preso  dagli  altri  compagni,  deve  inginocchiarsi  e  chiedere  scusa  con 
la  formola....  sacramentale : 

Perdon,  -  per  santo  baston : 
perdon,  -  per  santa  bacheta, 
cheil  maestro  nol  me  le  peta  i). 

Alle  volte  i  nostri  birichini,  instancabili  nei  chiassi,  sono  colti 
dalla  pioggia  0  da  un  temporale  improwiso;  giu  a  rompicollo  verso 
casa,  e,  come  il  cielo  &  solcato  da  una  folgore  o  Taria  commossa  da 
un  tuono,  si  segnano  con  la  croce  e  p)ailidi  mormorano: 

Santa  Barbara    San  Simon, 
liberene  da  questo  tron! 
Santa  Barbara  benedeta, 
liberene  da  'sta  sa^tal 

Anche  il  terrore  k  il  conforto  della  poesia !  E  dovranno  mutar 
nomi,  mutar  costumi  queste  nostre  piagge,  dove  ancor  oggi  sulle 
labbra  coralline  dei  bimbi  sboccia  la  facile  rima? 

Main5 !  ove  un  giorno  il  Leone  risorga,  e  s'accinga  a  finire  la 
sua  gesta  incompiuta,  verso  le  marine  sorelle, 

anche  udrA  anche  udr^  nel  Quamaro 
i  canti  d 'Italia  sul  vento  3). 

I.  A.  Cella. 


1)  Petar,  dar  busse. 

2)  G.  D'ANNUNZIO,  Laudi,  libr.  11.  (Ode  a  iV.  e  P.  B.) 


Archimo  per  le  tradigUmi  popolari,  —  Vol.  XXO.  40 


IMPRONTE  MERAVIGLIOSE  IN  ITALIA 


(Contimiazione,   Vedi  p.  208), 


CXLVIII.  Le  ginoccbia  di  S.  Valeriano 

presso  Frossasco  salle  Alpi. 

La  tradizione  del  miracoloso  salto  di  S.  Valeriano  h  ancora  viva 
fra  gli  abitanti  di  questo  circondario. 

II  santo  abitava  a  Frossasco,  ma  desiderando  di  vivere  in  un 
luogo  soiitario  per  dedicarsi  tutto  alia  meJitazione,  un  giorno  saH  sul 
picco  dei  Tre  Denti.  Mentre  pregava,  sbucarono  alPimprovviso  da  una 
caverna  aicuni  cefifi,  i  quaii,  o  perch^  volessero  derubarlo,  o  fossero 
avversi  al  santo  e  alia  sua  religione,  lo  minacciarono  di  morte.  AU 
lora  egli  fugg^,  scivolando  e  correndo  ai  paurosi  crepacci,  strisciando 
sull'orlo  dei  precipizii,  inseguito  dai  malandrini,  che  bestemmiavano 
e  gli  scagliavano  dei  sassi.  Sfinito  dalla  corsa,  si  raccomand6  a  Dio 
perCh^  lo  salvasse  dai  suoi  persecutori,  e. dalla  sommita  di  una  roccia 
spicc6  un  salto  di  parecchie  centinaia  di  nietri,  venendo  a  cadere 
sopra  un  masso,  dove  lasci6  Timpronta  delle  ginocchia  e  tracce  di 
sangue. 

In  memoria  del  salto  miracoloso,  su  quella  altura  fu  eretto  un 
Santuario,  che  prese  il  nome  di  S.  Valeriano,  dove  i  fedeli  durante 
le  domeniche  del  mese  di  maggio  si  recano  in  pellegrinaggio.  II  masso 
con  I'impronta  delle  ginocchia  e  le  macchie  di  sangue  h  oggi  custo- 
dito  da  una  cappella,  e  sopra  una  parete  S.  Valeriano  b  dipinto  con 
un  ginocchio  genuflesso  sulla  pietra  e  lo  scudo  in  mano  i). 


i)  F.  SEVES.  Leggende  Alpine,  n.  4;  nel  Niccold  Tommaseo,    a.  II,   n,  7-8, 
Luglio-Agosto  1905. 


IMPRONTE  MERAVIGLIOSE  IN  ITALIA  317  ' 

CXLIX.  Le  dita  del  diavolo  sulla  Rocca  di  Cavour. 

Quando  il  diavolo  signoreggiava  in  Cavour  ed  aveva  la  sua  di- 
mora  sulla  sommita  della  Rocca,  gli  abitanti  risolsero  di  allontanarlo, 
innalzando  una  croce  dove  abitava. 

LMmpresa  non  fu  facile,  perch^  egli  si  adopr6  in  tutti  i  modi 
per  impedirlo;  ma  quando  la  croce  venne  eretta,  urlando  in  modo 
spaventevole,  si  gett6  in  un  luogo  sottostante,  e  nella  caduta  lasci6 
sulla  pietra  Torma  indelebile  di  tre  dita. 

II  genio  del  male  era  stato  vinto,  e  Timpronta  scorgesi  ancora 
sul  macigno  a  ricordo  della  sua  scomparsa    i)- 

i)  La  croce  di  pietra  fa   innalzata  in  memoria  dei   Cavorresi  morti  combat- 
tendo  nel  169 1. 

A.  F.  SEVES,  Leggende  Alpine,  n.  7,  loc.  cit. 

CL.  II  piede  del  diavolo  (Salerno). 

Fino  a  poche  decine  d'anni  fa,  fin  quando  cio^  la  chiesa  di 
S.  Benedetto  (in  Salerno)  fu  mutata  in  teatro,  un  ghirigoro  fatto 
neirimpiantito  dei  vestibolo  della  chiesa,  dinanzi  al  Crocefisso,  si 
indicava  ai  fedeii  come  Timpressione  del  piede  del  diavolo. 

Quel  ghirigoro  sarebbe  stato  iasciato  dal  percuoter  che  fece 
rabbiosamente  col  suo  piede  caprino  il  diavolo,  il  quale,  andato  a 
prender  Tanima  del  gran  mago  Pietro  Barliario  se  la  vide  sfuggire 
di  mano,  perch^  il  negromante,  pentitosi  dei  suoi  peccati,  si  convert! ; 
e  Dio  io  sottrasse  aile  pene  dell'inferno  i). 

I)  G.  TOTTOLI,  La  leggenda  di  P.  Barliario  in  Salerno,  in  Archivio,  v.  XXII, 

G.   P. 
CLI.  I  piedi  di  Q.  Cristo  (Roma). 

A  Roma  nella  chiesa  Domine,  quo  vadis  (fuori  p.*  San  Seba_ 
stiano)  esiste  una  pietra  su  cui  si  vede  I'impronta  dei  piedi  di  G.  C, 
quando  apparve  a  San  Pietro  che  fuggiva  la  persecuzione  neroniana. 

A.  Camilli. 


L'ORIGINE   DELUESPRESSIONE  FRANCESE 
«  PASSER  A  TABAC  * 


II  mio  erudito  amico  Georges  Montorgueil  pubblica  neW&lair 
del  9  di  luglio  del  1906,  in  Parigi,  un  articolo  assai  notevole  sulle 
espressioni  popolari  francesi  «  passer  k  tabac  »,  «  passage  a  tabac  ». 
Ecco  Tarticolo  del  notissimo  direttore  di  queW IntermMiatre  des 
chercheurs  et  curieux  il  quale  rende  tanti  e  si  inestimabili  servigi 
ai  folkloristi;  Tarticolo  fe  inspirato  da  una  recente  circolare  del  Mi- 
nistro  deirinterno  di  Francia,  Clemenceau: 

«  M.  Clemenceau  vient  d'adresser  k  M.  Lepine  i)  Tinvitation  de 
faire  afificher  dans  les  postes  de  police  1'  interdiction  de  passer  a 
tabac  les  citoyens. 

«  C'est  enfoncer  une  porte  ouverte  :  M.  Clemenceau  s'est  dit 
que  ce  sont  ceiles-li  seulement  qu'on  enfonce.  II  aura  tout  le  monde 
avec  lui,  et  sa  circulaire  a  d'avance  cause  d'autant  plus  gagnee  que 
les  abus  qu'elle  signale  sont  nies  ofificiellement. 

«  Le  «  passage  a  tabac  »  est  ignore,  en  apparence,  des  chefs  de 
la  prefecfure  de  police,  et  s'il  s'exerce,  c'est,  k  les  entendre,  contre 
leur  volonte.  II  est  formellement  interdit.  Ce  qui  ne  suppose  pas  le 
moins  du  monde  qu'on  ne  le  pratique  pas.  La  circulaire  de  M.  Cle- 
menceau interdisant  ce  qui  n*est  pastolere,  a  grande  chance  d 'avoir 
tout  juste  le  succ^s  des  manifestations  precedentes  contre  un  procede 
qui  n'est  pas  dans  la  lettre  d'une  mstitution,  mais  dans  la  brutalite 
naturelie  de  Thomme. 

«  Le  *  passage  k  tabac  »  consiste  a  f rapper,  une  fois  qu'il  n'est 


i)  L6pine  6  il  Prefetto  di  Polizia. 


L'ORIGINE  DELL'ESPR€SSIONE  FRANCESE  «  PASSER  A  TABAC  »     319 

plus  en  etat  de  se  defendre,  le  prisonnier  qu'on  a  capture.  C'est  une 
lachete.  Elle  est  criante.  Les  socialistes  s'en  plaignent  k  chaque 
echauffouree;  les  manifestants  des  inventaires  i)  ont  eprouve  la  douceur 
de  ce  syst^me.  II  estvrai  que  leurs  adversaires,  ces  jours-la,  applau- 
dissaient  les  agents. 

«  D'ou  vient  Texpression  «  passage  k  tabac  » ?  On  ne  sait  p)as 
tr^s  bien.  Les  explications  des  erudits  sont  confuses  et  contradictoires. 
On  raconte  qu'autrefois  les  *  casseroles  >►  a)  qui  rendaient  des  services 
recevaient  des  paquets  de  tabac,  ou  si  leurs  services  etaient  me- 
diocres,  des  bourrades.  De  1^,  Texpression  passage  k  tabac  ou  passage 
|:)our  avoir  du  tabac. 

«  En  realite,  le  mot  «  tabac  »,  dans  Targot,  signifie  coups  et  vio- 
lence. Delvau  dit: 

*  To&ac:  ennui,  mis^re.  fitre  dans  le  tabac:  ^tre  dans  une  po- 
€  sition  critique.  Fiche  du  tabac  a  quelqu'un :  le  battre. 

«  Les  zouaves  chantaient,  au  debut  de  la  conqu^te  de  TAlgerie: 

A  la  chiffa, 

A  la  chiffa, 

Les  r^guliers  ont  regu  du  tabac. 

*  C'est-^-dire  ont  regu  des  coups.  Passer  a  tabac,  c'est  done  re- 
cevoir  des  coups. 

*  Ceux  qui  ont  eu  le  desagrement  d*^tre  menes  au  poste  ont 
pu  se  rendre  compte  que  cette  etymologie  est  d 'accord  avec  la  realite. 

«  Dans  le  proems  du  Vietix  Petit  Employ^,  il  y  a  vingt-cinq  ans, 
on  a  vu  defiler  des  temoins  qui,  pour  la  premiere  fois,  employaient 
Tespression.  M.  Cousin,  inspecteur  de  police: 

*  Quand  je  suis  arrive  au  service  de  la  SQrete,  j'ai  demande  aux 
anciens  la  cause  des  cris  que  |:)oussaient  des  personnes,  et  ils  m'ont 
repondu:  «  Ce  sont  des  individus  qu'on  ligote  fortement  en  leur  de- 
mandant s'ils  veulent  casser  du  sucre;  on  appelle  cela  passer  au 
tabac  ». 


1)  Gl'inventari  dei  beni  delle  Chiese,  in  Francia  (1906),   dopo  la  legge  detta 
<  di  Separazione  >. 

2)  Casserole  chiamano  i  parigini  una  spia. 


320  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

*  Un  autre  temoin  dit : 

«  Quand  la  reponse  se  fait  attendre,  le  chef  de  Tescouade  dit 
brusquement:  *  Passez-moi  cet  homme  au  tabac».  Et  alors  les  coups 
de  pied,  les  coups  de  poing,  les  coups  de  talon  tombent  dru  sur  le 
patient  ». 

«  Maintenant,  on  ne  dit  plus  :  «  Passez-moi  cet  homme  ctu  tcAac  ». 
On  ne  dit  rien  et  on  le  passe  k  tabac  quand  m^me.  Et  il  est  a 
craindre  qu'apres  la  circulaire  de  M.  Clemenceau,  ce  ne  soit  la  m^me 
chose  ». 

«  11  y  a  longtemps  qu'on  r^ve  d'agents  resignes  et  debonnaires. 
Quand  Caussidi^re  changea  le  nom  des  gardiens  de  la  paix  —  c'est 
toujours  par  la  que  les  revolutions  commencent  —  on  garda  la  m^me 
police  mais  on  Tappella  autrement.  Marco  Saint-Hilaire  i)  chanta  les 
nouveaux  gardiens  de  la  paix  : 

Est-on  arrets, 

C'est  en  verity 

Avec  s6renite 

Sont-ils  ch6ris,  sont-ils  polis, 

Les  gardiens  de  Paris! 

*  Mais  qu*on  change  leurs  noms  ou  qu'on  affiche  des  circulaires 
dans  les  postes,  c'est  a  peu  prfe  illusoire.  La  nature  humaine  est  la. 
On  passait  deja  a  tabac  sous  Tancien  regime.  Et  deja  sous  Tancien 
regime,  quelque  deux  si^cles  avantM.  Clemenceau,  il  y  avait  des 
gouvernants  soucieux  d'assurer  le  respect  des  prevenus  et  les  droits 
de  rhomme  ». 

«  Comment  iis  s'y  prenaient  ?  Line  note  du  lieutenant  de  police 
Rene  d'Argenson  va  nous  le  dire : 

«  20  octobre  1702. 

«  Je  ne  doute  pas  que  vous  ne  soyez  informe  de  la  sentence 
qui  a  ete  rendue  ce  matin  contre  les  officiers  qui,  sous  pretexte 
d'emprisonner  le  sieur  Lemire,  avoient  exerce  envers  lui  des  violences 
dont  il  est  mort.  Le  nomme  Legrand,  exempt  de  la  Monnoie,  a  este 


i)  Emile  Marco  <  de  Saint-Hilaire  >,  I'autore  dei  famosi  ed  apocrifi   memoires 
di  un  paggio  di  Napoleone  I. 


L'ORIGINE  DELL'ESPRESSIONE  FRANCESE  «  PASSER  A  TABAC  »     321 

condamne  a  estre  pendu;  Thuissier  Mezannet  a  trois  annees  de  ga- 
lores et  k  assister  k  la  potence;  Brion,  caissier  du  sieur  Boudron, 
au  bannissement,  en  15,000  livres  de  dommages  et  inter^ts  et  en 
5,000  livres  pour  les  depens  de  la  contumace.  11  est  certain  que  ce 
jugement  etoit  necessaire  pour  corriger  la  barbarie  des  archers  et 
Ton  doit  esperer  que  cet  exemple  les  remettra  dans  les  regies  de 
I'humanite  qu'ils  sembloient  avoir  oubliees  ». 

*  On  pendait  alors  qui  passait  k  tabac.  Nous  avons  pris  depuis 
ce  temps-la  la  Bastille,  et  qui  passe  2i  tabac  a  recu  de  Tavancement. 
La  circulaire  du  ministre  de  Tinterieur  fait  savoir  qu'il  n'y  a  plus 
d'avantages  attaches  k  cette  brutalite.  D'Argenson,  ministre  de 
Louis  XIV,  etait  plus  raide :  il  montrait  qu'il  y  avait  de  fort  graves 
inconvenients  ». 

Sul  medesimo  argomento  b  da  vedersi  un  attraente  articolo  fir- 
mato  Tout-Paris  nel  Gaulois  dei  10  di  luglio  del  1906,  intitolato : 
Bloc-notes  Parisien :  Le  passage  a  tabac, 

Anche  V IntermMiaire  ch'io  citavo  poc'anzi,  si  h  occupato  di 
questa  locuzione  e  dalla  sua  origine. 

Parigi,  nel  luglio  del  1906. 

Alberto  Lumbroso. 


DUE  POESIE  POPOLARESCHE  DEL  CINQUECENTO 

RICORDATE  NELLMNCATENATURA  DEL  BIANCHINO 


Nella  Miscellanea  Cerroti  della  Biblioteca  Alessandrina  di  Roma, 
sebbene  v'abbian  guardato  tanti  occhi  buoni,  specialmente  in  questi 
ultimi  anni,  c'h  sempre  quaiche  cosa  da  spigolare.  Non  sarebbe  forse 
inutile  una  descrizione  a  stampa  di  tutti  quel  fascicolini,  coirindica- 
zione  di  c\b  c\\e  b  stato  riprodotto  o  in  altra  maniera  utilizzato 
dagli  studiosi. 

lo  ne  tolgo  due  poesie  ricordate  dal  Bianchino  e  non  identificate 
finora.  Ho  sott'occhio  la  ristampa  della  famosa  incatenatura  colle 
illustrazioni,  dovute  specialmente  al  compianto  Severino  Ferrari,  quale 
k  data  nella  seconda  edizione  degli  Studi  di  Alessandro  D'Ancona 
su  «  La  poesia  popolare  italiana  (Livorno  ^  Giusti  1906) ». 
Incatenatura,  stanza  7*: 

Or  queste  pastoral  piacciono  assai, 
chh  sono  arie  galante : 
dissi  la  prima  parte  e  poi  restai, 
perchd  su  questo  stante 
mi  sovvien  d'un  amante 
che  cantd  in  sulla  lira : 
O  trecce,  che  intrecciate  a  chi  vi  mira 
Con  un  le^ame  che  mat  non  s* as  tog  lie, 
S'io  v'amo  e  se  v'adoro^  a  voi  che  tog  lie  f 

Miscell.  Cerroti,  XllI  a.  57,  50 :  II  trionfo  de  \  i  roUroni  \  in 
aria  del  Vera  Amante  \  nel  qual  at  deacrive  tuHo  il  dilettoao 
paeae  di  Cticcagna,  \  Et  con  il  apaventoao  et  compiiaaionevol  \  ter- 
remotto  venuto  nella  \  cUtd^  di  Ferrara  \  con  doi  villanelle  giun- 
tovi  di  nuovo. 


DUE  POtSIE  POPOLARESCHE  DEL  CINQUECENTO  323 

Senza  note   (sec.   XV1°).  'Silografia.   Un   cantastorie  col   liuto  e 

innanzi  a  lui  una  maschera  nel  costume  che  fu  anche  quello  di  Panta- 

SERPI 
lone.  Fra  i  due  personaggi  sta  la  scritta     gpo'  ^  ^^^  ^^  cantastorie: 

a  destra  h  scritto  ELA'  ^  ^^^  ^^  Zanni.    Ignoro  che   significhi 

la  scritta  che  h  a  sinistra:  PlZl. 

Del  Trionfo  si  sono  occupati  lo  Zenatti  nella  Storia  di  Cam- 
priano  contadino  (Scelta  di  Curios,  letter.  Romagnoli  1884)  e  il 
Rossi  nelle  Appendici  alle  Lettere  del  Calmo  (Loescher  1888).  II  ter- 
remoto  di  Ferrara  h  narrazione  assai  retorica  in  terza  rima  in  lingua. 

Villanella. 

O  trezze  che  trezzate  chi  vi  mira 
d'uno  legame  che  mai  non  se  assoglie, 
d'uno  legame  che  mai  non  se  a«soglte, 
s'io  v'amo  e  si  v'adoro,  s'io  v'amo  e  si  v'adoro 
a  voi  che  toglie  a  voi  che  toglie. 
S'io  v'amo  e  si  v'adoro  s'io  v'amo  e  si  v'adoro 
a  voi  che  toglie  a  voi  che  toglie? 

O  fronte  che  a  mirarla  ognun  sospira,  ognun  sospira 
e  tra  mi  lie  catene  ognor  mi  vogHe 
s'io  v'amo  e  s'io  v'adoro  a  voi  che  togHe? 

O  occhi  ch*al  Sol  poi  prender  mira,  poi  prender  mira 
e  della  luce  sua  sei  vera  spoglie 
s'io  v'amo  e  s'io  v'adoro  a  voi  che  toglie 
a  voi  che  toglie  ? 

O  bocca  bella  che  quando  esce  il  riso 
sera  I'infemo  et  apre  il  paradiso 
dame  la  vita  ormai  che  mai  ucciso  che  mai  ucciso. 

Al  primo  verso  della  3"  strofa  sar^  da  leggere :  «  O  occhio  che  al 
Sol  puoi  prender  mira  »,  oppure  «  D  occhio  ch'al  sol  puoi  prender  la 
mira»;  all'ultimo  verso,  chiaramente:  «  Damme  la  vita  ormai  che 
ra'hai  ucciso  ». 

Tolte  le  ripetizioni,  poste  nella  stampa  per  rammentare  al  lettore 
la  melodia,  il  componimento  si  riduce  alio  schema  ABB  —  ABB  — 
ABB  —  CCC,  assai  importante  parch^  probabilmente  antico,  come 
io  mi  propongo  di  mostrare  altra  volta  in  un  articolo  suUo  svolgi- 
mento  metrico  della  Villanella. 

Archivio  per  le  traditfioni  popolari,  —  Vol.  XXIII.  41 


324  ARCHIVIOPER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

Incatenatura,  stanza  14: 

L'altrferi  io  mi  venni  a  domandare : 
Che  volonta  6  la  tua  ? 
per  cortesia  state  ad  ascoltare, 
ch'6  ben  cantar  la  sua. 
Questa  va  bene  in  dua, 
ma  che  sian  voci  tremole: 
E  quando  Cabalao  vendeva  inenole^ 
adesso  va  gridando:  aghi  da  pomole 
agucchie  da  Lanzan  per  le  petlegoJe, 

11  D'Ancona  riassume  rillustrazione  data  dal  Ferrari,  con  questa 
nota :  *  La  canzone  di  Cabalao,  forse  originariamente  veneziana,  fu 
rifatta  dal  Croce  ». 

Miscellanea  Cerroti,  XIIl  a.  58,  13  :  Capitolo  \  in  adrueolo  \  in 
lode  del  famo  \  sissimo  Cabalao  —  Stampato  MDLXXXII. 

Senza  indicazione  di  luogo.  Silografia:  Guerriero,  sucavallo  im- 
pennato,  in  atto  di  ferir  di  lancia  un  leone. 

1  capitoli,  men  che  mediocri  e  talora  senza  senso,  son  due  ed  io 
li  riassumo  con  qualche  citazione: 

«  Quanti  che  han  scorso  il  mar  Atlantico  e  veduti  lontani  paesi, 
non  hanno  mai   sentito  la  maraviglia  che  io  canter6. 

Canto  donca,  signori  del  magnanimo 
illustre  Cabalao  degno  di  gloria 
za  che  in  sua  laude  sempre  piCi  m'liianimo. 

Questo  grand 'huomo  se  vu  av§  memoria 
xe  quel  che  vendeva  menole,  angusigolle 

ed  ha  fatto  stampar  piCi  d'un'historia. 

Andava  gi^  vendendo  aghi  a  queste  pettegole  che  Io  disprezzano 
e  gli  danno  martello;  eppure  Bireno  e  Giasone  appresso  a  lui  non 
valgono  un  fico.  k  piccolino,  h  vero,  ma  la  Natura  non  fa  mai  niente 
in  fallo,  e  sia  divorato  daH'avoltoio  come  Tizio  chi  Io  biasima  senza 
guardarsi  prima  nello  specchio.  Per  questo  voglio  lodare  questa  per- 
sona accorta  e  famosa.  Del  resto  in  ogni  parentato  sia  di  cittadini, 
di  poveri,  0  di  nobili  c'^  qualche  piccolo.  Canchero  dunque  a  chi 
Io  vitupera. 


bUe  POE^IE  POPOLARESCHE  DEL  CINQUECENTO  22^ 

Se  de  persona  quasi  ogni  huomo  il  supera 
per  questo  vien  strazao  le  sue  glorie, 
con  ringegno  le  quista  e  le  recupera. 

Non  son  tante  le  Storie  scritte  su  Ercole  e  su  Carlo  Magno  quante 
le  sue :  dunque  lodatelo  e  chl   Tincontra  gli  faccia    un   beirinchino 

che  se  ben  de  longhezza  nol  xe  un  cubito 
la  causa  fu  per  le  cative  femene  >. 

11  Capltolo  secondo  fe  quello  ricordato  dal  Bianchino: 

<  Quando  che  Cabalao  vendeva  menole 
adesso  el  va  gridando  aghi  da  pomolo 
e  aghi  da  lanzan  i)  per  ste  petegole, 

Corr6,  corre  che  Cabalao  s'insunia 
in  la  contra  di  San  Filippo  Giacomo 
che  la  sua  donna  sempre  mai  la  dunia. 

Quando  che  Cabalao  vendeva  angusigoUe 
con  le  so  gambe  storte  in  tanta  furia 
el  feva  rider  fino  le  formigole. 

Quando  che  Cabalao  vogava  in  gondola 
in  tel  metter  il  remo  in  su  la  forcola 
il  pover  huom  in  acqua  fe'  una  tombola. 

Et  con  quella  so  voce  si  acutissima 
chiamava  per  aiuto  il  gran  Lucifero 
perchfe  '1  sentiva  I'acqua  assai  freddissima. 

Ed  ora,  lui  che   vendeva  fritole   cinque  per  una  gazzetta,  vuol 
mettersi  a  fare  il  maestro  di  scherma !  Tuttavia 
Cari  signori  no  ghe  de*  fastidio 

e  lasciate  che  in  tempo  di  carne,  per  buscarsi  da  campare  venda 
passerotti  di  nido.  Perch^  ^  onesto.  L'altro  giorno  tre  villani  tangari 
lo  volevan  matter  sul  male,  ma  lui  seppe  rispondere.  Rispose  anche 
al  «  pistor  de  sant'Apostolo  »  che  gli  correva  dietro  con  un  bastone 
di  frassino : 

....  perchfe  fastu  il  pan  si  piccolo  ? 


i)  Da  scrivere  con  Lcome  fa  il  D'Ancona.  E'  certo  Lanciano  che  gii^  nei 
«  Proverbi  attiladi  novi  e  belli  >  (Venezia  1586  e  ristampa  nalla  disp.  91  della 
Scelta  di  curios,  letter.)  ^  nominata  fra  altre  terre  d'Abruzzo  per  la  sua  della 
fiera. 


$26  ARCHIVIO  per  LE  TRAbli^IONI  Po^olAR! 

Ma  vedo  che  «  ai  Signori  lu  xe  in  gratia 
e  vende  pesce  senza  pagar  datio, 

Una  signora  una  volta  lo  chiam6  e  gli  disse : 
....  semenza  di  trotoli 
non  me  vegnir  appresso  in  tanta  furia 
e  si  ghe  vuol  vegnir,  monta  sui  zoccoli 

ed  egli  casc6  e  «  batt^  del  mostazo. . . .  ». 

Ma  ora  c'b  di  bisogno  d'una  galea  perch^  vuol  andarsene  da  Ve- 
nezia,  vuol  andare  a  Napoli. 

Ma  prima  un  giomo  el  vol  andar  ai  consoli 
che  quei  signori  ghe  faza  rimedio 
Che  sti  putti  no  ghe  tacca  1  baronzoli. 

Signori  per  non  ve  tegnir  piii  a  tedio 
Cabalao  vuol  andar  fuor  di  Venezia 
se  tra  voi  altrl  no  ghe  fe  rimedio 
Perchfe  la  so  virtd  piii  non  se  appresia  >. 

II  povero  Cabalao,  malizioso  come  altri  infelici  «  segnati  da 
Cristo »  (per  usar  la  locuzione  popolare),  zimbello  dei  ragazzi  di 
strada,  delle  «  cattive  femene  »,  e  anche  un  po'  dei  Signori,  i  quali 
tuttavia  lo  lascian  campare  e  chiudono  un  occhio  sul  dazio,  ci  passa 
sott'occhio  vivo  e  vero.  fe  una  figura  malinconica  piu  che  non  appa- 
risse  nella  Canzonetta  del  Croce 

Son  quel  nobil  Cabalao 
De  la  gente  nominao 

riferita  da  S.  Ferrari  (nel  Giornaledi  «  Filologia  Romanza  »  tomo  III), 
una  figura  a  cui  fa  sfondo  la  ferocia  popolaresca  o  signorile,  tutta 
eredita  del  medesimo  Adamo.  Ha  spirito  piu  pronto  e  maggior  viva- 
dtk  di  risposta  che  non  i  Cabalai  d'oggi,  perche  a  questi,  purtroppo, 
troppa  gente  anche  vestita  di  panno,  paga  da  here  per  godersi  poi 
i  discorsi  scimuniti  delFalcoolizzato.  Meglio,  al  paragone,  il  bastone 
«  de  fraseno  »  del  «  pistor  »  veneziano  del  cinquecento ! 

LUIGI   BONFIGLI. 


UN' ECO  MODEkNA  DI  ANTICHE  LaUDE 


Pochi  mesi  fa,  in  un  opuscolo  nuziale  i),  dimostravo,  per  via  di 
esempi,  la  parentela  fra  certi  componimenti  orali  odierni  e  le  antiche 
laude,  che  altri  credeva  gia  affatto  scomparse  ^u  rnentre  hanrio  la- 
sciato,  nelle  nostre  campagne,  una  copiosa  e  bizE^rra  discendenza  di 
poesia  popolare  ascetica. 

II  sospetto  di  tale  parentela,  fra  le  cantilene  dt?gU  antichi  laudesl 
ecertepoesie  tuttora  recitate  dal  popolo,  fu  gia  manifestatu  da  qualche 
studioso  3),  ma  nessuno,  che  io  sappia,  cerc5  di  dimostrarla  con  do 
cumenti. 

Tuttavia,  se  i  riscontri  da  me  recati  nel  suddetto  opuscolo  riu- 
scivano  a  confortare  la  mia  tesi,  ci5  aweniva  massimamente  per  rin- 
discutibile  affinita  fra  gli  antichi  e  i  modern!  componimenti,  in  quanto 
riguarda  lo  spirito  che  li  anima  e  le  particolari  caratteristiche  del 
genere  cui  appartengono. 

Ora  per6,  approfondite  le  mie  ricerche,  posso  presentare  qualche 
riscontro,  in  cui  Taffinita  si  estende  anche  ai  vocaboli  e  alle  frasi, 
cosl  da  indurci  nella  persuasione  che  si  tratti  di  uno  stesso  compo- 
nimento,  arrivato  fmo  a  noi  per  mezzo  dei  manoscritti  da  una  parte^ 
per  mezzo  della  tradizione  orale  dalFaltra. 

Di  fatto  E.  Broil  riproduce  da  un  codice  trentlno,  scritto  nel  se- 
colo  XVI,  la  seguente  lauda : 


i)  Laude  antiche  e  laude  moderne,  Udine,  tip.  Del  Bianco,  1906H  per  nozze 
Fabris-Savardo. 

a)  E.  WECHSSLER,  Die  romanischen  Mafienklagen,  Halle>  1893^  p.  Ga. 

3)  Per  citare  un  esempio,  la  sig.«  A.  NARDI-CIBELE  in  Rivtsia  delie  iradi^ioni 
popolari  ilalianey  I,  683,  Roma  1893,  e  prima  di  lei  il  MAZZATlNTt  !n  Uiornaiedi 
filologia  romanza^  IV  ,p.  63. 


528  Ai^CHIVIO   PER   LE  tRADl2lONI   POF^OLaI^I 

Madona  santa  Maria  de  gran  olimento 
Si  se  partiua  dal  monumento 
E  se  ne  andava  alia  santisima  Croce 
Humilmente  el  doraua. 

5.  Con  grandi  pianti  che  la  brazava 
et  se  diceua  Filiolo  del  corpo  mio 
Questa  h  la  croce  doue  fusti  morto 
per  saluare  li  pecatori  sufristl  gran  dolore 
e  mi  tutta  gramosa  madre  Maria 

10.  che  al  cor  mio  porto  con  gran  doglia 
Chi  qusta  oration  nela  mente  sua  dirano 
e  che  nel  cor  suo  lauerano  bsn   scrita 
Quela  gratia  che  al  figlolo  mio  dimanderano 
Potrano  eser  sequri  et  certi  chel  gela  faranno  i). 

la  quale  appartiene  alia  stessa  famiglia  donde  dlscese  un  pianto,  che 
si  recita  ancora  nell'alto  Friuli  e  neiralto  Veneto,  dal  Tagliamento 
al  Brenta,  dalla  Carnia  airaltopiano  di  Aslago,  in  un  grande  numero 
di  variant!.  Ne  do  qui  due  da  me  raccolte,  la  prima  a  Gallic  (Asiago), 
Taltra  a  Crespano  (Treviso),  lasciando  al  lettore  il  compito  di  fare  i 
confronti : 


Ave  Maria  del  gran  lemento  : 
h  partia  dal  monumento, 
la  partia  della  gran  voce 
per  adorar  el  ligno  della  croce. 
Fortemente  la  adoresse, 
fortemente  la  abracesse, 
disse:  figliolo  mio,  fiuolo  morto, 
questa  xe  la  crosse  che  fu  morto! 

Disse  madre  Maria:  questo  xe  il  vero  e  la  verity, 
Chi  ^nto  volte  el  vendre  santo  la  dird 
le  pene  de  Tinferno  mai  piCi  nontocherd. 

Crisiina  Dal  Degan,  d'anni  70. 


i)  Laude  e  sacre  rappresentazioni  nel  Trentino.  Annuario  degli  studenii 
irentiniy  VI,  p.  161.  I  versi  8-14  compariscono  anche  in  coda  alia  V  lauda  dei 
battuti  di  Rendena  pubblicata  da  A.  PANIZZA,  da  un  cod.  del  secoloXIV,  in  Ar- 
chivio  Trentino t  II,  97. 


■^yr 


UN'ECO  MODERNA  Dl  ANTICHE  LAUDE  329 

II. 

L'orassion  del  vendre  santo: 
La  se  parte  dal  molimento 
con  gran  pianto  di  alta  vosse, 
per  adorar  il  legno  de  la  $antissima  crosse. 
Stretamente  la  lo  adorava, 
stretamente  la  lo  ringrassiava. 
la  ghe  dixe:  fiol  mio  del  mio  core  e  del  mio  corpo, 
questa  xe  la  crosse  che  v'ho  visto  morto. 
Dopo  che  son  madre  Maria 
n'ho  pi  bio  la  tal  doHa. 

Chi  dirA  questa  orassion  novantanove  volte, 
0  diria  0  faria  dire,  in  cesa  consacrada, 
coi  denoci  nudi  e  una  candela  impissata, 
un'anima  del  purgatorio  sar^  deliberada. 

Anionia  Favero,  d'anni  60. 

Come  si  vede  non  solo  Tordine  dei  pensieri,  ma  anche  i  voca- 
boli  sono  quasi  sempre  gli  stessi  nella  lauda  edita  dal  Broil  e  nelle 
due  qui  riprodotte,  anzi  la  frase  gran  olimento  di  quella  trova  in 
una  di  queste  la  sua  correzione  nelle  parole  gran  lemento.  Quanto 
poi  airindulgenza,  bisogna  riconoscere  che  le  nostre  due  laude  Thanno 
diversa  da  quella  del  Broil.  Per6  in  un'altra  versione,  di  Valdobbia- 
dene,  da  me  pubblicata  nel  gia  citato  opuscolo,  abbiamo  la  seguente 
indulgenza : 

Se  fosse  qualche  anima  benedeta 
che  dicesse  sessantatrd  volte  questa  orazion, 
coi  denoci  nudi  e  la  candela  impizata, 
non  c*§  nessun  dono,  e  nessuna  grazia 
che  il  mio  caro  figlio  non  ghe  la  facia. 

e  in  un'altra  variante  dello  stesso  pianto,  raccolta  dalPing.  Luigi 
Gortani  a  Caneva  (Carnia),  h  detto  che,  se  uno  recitera  cento  volte 
siffatta  orazione, 

ce  gracie  ch'i'  domandar^ 
il  Signdr  je  la  concedari  i). 


i)  Tradizioni  popolari  friulane ,  Vol.  I,  P.  II,  pag.  18,  Udine,  Del  Bianco,  1904. 


330  ARCHIVfO   PER   LE  TRADIZfONf    POPOLARI 

Eguale  parentela  presentano  i  componimenti  ^  e  B  qui  sotto 
riportati,  ii  primotratto  da  un  ms.  del  sec.  Xlll,  per  cura  di  G.  Fer- 
raro  i),  il  secondo  raccolto  dal  Gortani  a  Lenzone,  dove  si  recita 
ancora  a). 

A. 
Madona  Santa  Maria  in  Biliemme  si  stava, 
In  del  so  bianco  lecto  dormiva  et  pensava: 
Ro  so  caro  sovra  ga  mirava. 

Elo  disse:  —  Dormive  mare,  o  vegiay?  — 
Ela  disse:  -  E'  no  dormo,  fiolo,  che  vuy  m'avi  resvegia, 
E>e  un  si  greve  insonio  che  de  vu  mo  insugnal. 
De  nemici  crudi  e'  ve  vidi  prendere  e  ligare, 
A  lo  legno  de  la  croxe  e'  ve  vedea  menare: 

I  vostri  bei  pe'  e  le  vostre  bele  mane 

De  aghudi  e  de  chioldi  e'  ve  vedea  inchioldare, 
Lo  vosfro  belo  costado  de  una  lanza  e*  ve'  impassare, 

Ra  vostra  bela  bocha  de  felle  e  d'asedo  abeverare, 

Ra  vostra  bela  faza  de  spudo  ispudazare, 

Ra  vostra  bela  testa  de  spine  e  de  boci  incoronare.  — 
Elo  disse:  Mare  mia,  questo  6  ben  vero  e  verity : 

Mo  chi  tre  volte  dir^  questa  oratione  lo  dl, 

Per  m6  amor  et  per  vostra  carita, 

Zamai  de  le  pene  de  Tinferno  tocari. 
Re  porte  de  Tinfemo  ser^  ben  serA, 

Quelle  del  paradiso  sari^  adverte  e  parichia. 

Cristo  lo  faza,  pella  sua  misericordia  e  piatA. 

B. 
Santa  Maria  dal  biel  imbilidm 

II  uestri  j^t  I'd  di  sudri  e  di  seda 
Cun  trentatrfe  dopl^is, 

Dal  Qhdv  infin  a  peis,  che  sc'in  ardeva. 


i)  Regola  dei  servi  delta  Vergine  gloriosa  ordinaia  e  fatia  in  Bologna  nel" 
I'anno  12S1,  LJvomo,  Vigo,  1875,  pag.  46.  C*e  da  dubitare  che  il  componimento 
appartenga,  come  vorrebbe  il  Ferraro,  al  sec.  XI I!,  ma  ad  ogni.  modo  dev*essere 
molto  antico. 

2)  Op.  cit.,  pag.  33-35;  lo  trascrivo  esattamente,  modificando  solo  la  divisione 
strofica,  sulla  base  del  doppio  settenario.  II  Gortani  stesso  nota  «  Quest'orazione 
sembra  d'origine  molto  antica  ». 


UN' ECO  MODERNA  DI  ANTICHE  LAUDE  ,  331 

—  O  mart,  man,  ^hara  la  me'  mari, 
Durmlso,  0  pur  veglaiso?  — 

0  fl,  fi,  chdr  il  gno  chAr  fi, 
Nfe  ch'j'  duAr,  nk  ch'j'  vegli. 

Hai  fat  un  sum  ch'a'  no  I'fe  di  difidA: 
Ch'ai  vigniva  jd  i  ?hans  giudeos.  i  Chans  rinegAz 
Ju  pa'  montuta  Uliva,  e  ju  pa'  montuta  ad  alt; 

Chel  uestri  sant  chaviit 
Cun  t'una  corona  di  spinas  lu  han  d'incoronA, 
La  uestra  santa  fazza 

Cun  t'una  binda  nera  la  vorAn  d'imbindA; 
II  uestri  sant  costAd  cun  t'una  lanza  I'han  di  lanzA; 
Las  uestras  santas  manutas  las  han  d'inclaudA; 

1  uestris  sanz  zenoi  Ju  vorAn  d'inzenoglA; 
I  vestris  sanz  pidiiz 

Cun  t'una  ^havila  di  tihr  ju  vorAn  d'in^havilA; 

Con  che  vorfes  una  gran  sM, 

Cu  la  f^l  e  cu  I'ased  sci  vorAn  d'imbeverA. 

O  fi,  fi,  chAr  il  gno  chAr  i\, 
Par  cui  voleso  tan  pati? 

—  O  mari,  mari,  chara  la  me' mari, 

Nfe  par  me,  n^  par  v6,  ma  pa'  vera  cristianitAd  — 

Se  a'  f6s*una  personuta 
Ch'A  savfes  chesta  santa  orazionuta, 
Ch'a  la  dis6s  tre  voltas  in  di  un  an  tomAd, 
Les  penas  de  I'infier  no  vor^s  lassAi  to^hA, 
11  puint  del  sant  chaveli  vorfes  judAle  a  passA, 
E  da' me' santa  banda  vorfes  ch'a'  vignis  a  stA. 

Quantunque  B  abbia  ricevuto  maggiore  svolgimento  di  4,  tut- 
tavia  la  parentela  fra  i  due  componimenti  b  strettissima.  Certo  il 
moderno  ci  fe  pervenuto  in  forma  assai  corrotta  e  ha  subUo  notevoli 
rimaneggiamenti;  ma  I'impostatura  h  sempre  quella,  n^  si  pu6  du- 
bitare  che  si  tratti  di  un  medesimo  tipo  di  pianto.  Qui  poi  h  il  com- 
ponimento  antico  che  ci  off  re  modo  di  correggere  il  moderno;  di 
fatto  la  frase  dal  hihl  imhiliiim,  che  troviamo  nel  primo  verso  di 
B,  non  da  senso,  qualora  non  si  consideri  come  corruzione  del  Bi- 
liemme  (Betlemme),  recato  da  A. 

E  cos^  avrei  finito,  se  potessi  sottrarmi  alia  tentazione  di  far 

Archivio  per  le  tradigioni  popolari.  Vol.  XXIII.  « 


332  ARCHIVIO   PER    LE   TRADIZIONI    POPOLARI 

conoscere  qualche  altro  simile  componimento  orale  da  me  raccoHo; 
giacch^  le  antiche  laude  hanno  lasciato  un'eco  da  per  tutto  fra  il 
popolo  delle  nostre  campagne.  Non  per6  ogni  tipo  di  lauda  era  do- 
tato  di  tanta  vitality  da  arrivare  fino  a  noi ;  quelli  che  meglio  si  con- 
servarono  furono  i  pianti  i),  le  cantilena  di  Natale  e  dell'Epifania »), 
le  leggende  dei  santi  e  le  laude  mariane.  Qui  mi  basteri  riprodurre 
un  pianto  della  Vergine  e  una  leggenda  di  S.  Caterina,  entrambi 
inediti,  il  primo  raccolto  a  Sospirolo  (Cadore),  dove  si  recita  il  ve- 
nerdl  santo  durante  la  processione  dei  .battuti,  Taltra  gentilmente 
comunicatami  dal  sig.  A.  De  Senibus  di  Udine,  che  la  sentt  recitare 
da  una  sua  vecchia  domestica. 


X)  Se  ne  trovano  sparsi  in  tutte  le  raccolte  di  poesie  popolari  e  in  tutte  le 
riviste  di  folklore.  Per  cltame  alcuni,  vedi  per  es.  L.  GORTANI,  op.  cit.\  C.  Nigra, 
Canti  pop,  del  Piemonte^  n.  153,  Torino,  Loescher,  1888;  G.  PiTRfe,  Canii  pop. 
sicil..  Vol.  II,  pp.  H51,  357,  359,  362,  Palermo,  1871;  G.  MAZZATINTI,  GiomaU 
di  filologia  romanza,  IV,  pp.  63-71;  E.  BROLL,  op.  cU.,  pag.  187;  G.  FERRARO 
Canti  pop.  in  dialetio  logudorese,  pag.  283,  Torino,  Loescher,  1891;  F.  TORRACA, 
Giorn.  di  Jilol.  rotn.  !V,  p»  34;  Rivisia  delU  tradiz.  pop.  ital.y  \,  pp.  132,  176, 
927,  ecc.  ecc.  Quest'umiie  componimento  k  assurto  anche  a  dignitA  letteraria 
per  opera  W  G.  D'Annunzio:  infatti,  nella  Figlia  dijorio  (atto  III,  scena  II),  Candia 
recita  il  seguente  pianto: 

II  core  ho  perso  d'un  dolce  figliuolo,  Tra  la  g^ente  gpudea  non  v'i  salute, 

or  k  trentatr^  Riomi,  e  non  lo  trovo  I  —  Portaio  un  braccio  t'ho  dl  pannolino 

L'hal  tu  veduto,  Thai  tu  riscontralo?  per  ricuoprlrti  il  tuo  corpo  ferlto. 

—  lo  sul  Monte  Calvaho  I'ho  lasciato,  ~  Deh  portato  m'avessi  un  sorso  d'acquat 
i*  I'ho  lasciato  sul  Monte  distante,  —  Figlio,  non  so  ni  strada  n^  fontana ; 
I'ho  lasciato  con  lacrime  e  con  san^e.  ma,  se  la  testa  un  poco  pud  chinare, 
Ecco  e  la  madre  si  mette  in  cammino,  una  goccia  di  latte  io  ti  vo'  dare : 

viene  alia  vista    del  suo  dolce  figlio.  e,  se  latte  non  ^^z^^  tanto  spremo 

—  O  madre,  madre,  perche  sei  venuta?  che  luita  la  raia  vita  esce  dal  seno. 

2)  Vedi  per  es.  1  canti  dei  pastori  e  dei  magi  talora  lunghissimi  in  L.  GOR- 
TANI,  op.  cit. ;  cfr.  G.  FERRARO,  p.  284;  C.  NIGRA,  p.  548;  Pagine friulane ,  I,  i. 
IV,  183,  V,  24;  Rivista  delle  trad.  pop.  ital.,  II,  140;  Sitzung.  der.  K.Acad,  der 
'Vissen.  Phil -hist.  Classc,  Vienna,  1864,  Vol.  46,  p.  302;  ecc.  ecc. 


UN' ECO  MODERNA  DI  ANTICHE  LAUDE  333 

I. 

11  nostro  Signore  6  morto  sulla  croce 
e  la  Madona  piange  ad  alta  voce. 
San  Gioane  ghe  dnzz6  la  scala 
e  la  Madona  su  se  n'andava. 
su  dal  suo  divin  figiiuolo. 

E  il  suo  divin  figiiuolo  piii  che  non  pOteva, 
i  can  Giudei  da  basso  i  lo  bateva; 
e  lora  la  Madona  se  n'^  cajuta 
ed  era  strangusciata  i) 
piena  de  lagrime  e  tutta  bagnata. 

Va  do  le  tre  Marie,  do  par  la  levnre, 
e  lora  la  Madona  ga  prinzipiii  parlare. 
La  dimanda:  che  cambio  1'^  mai  questo 
di  cior  un  om  de  la  tera  e  lasciar  Gesii  Cristo?  3/ 

O  croce  santa,  o  croce,  0  duro  legn^, 
questa  b  la  morte  del  mio  fiol  benigno, 
il  mio  fiol  benigno  mi  vorla  piegare. 
o  vivo,  0  morto,  a  I'anima  mia. 

Risponde  Gesii  Cristo:  per  la  madre  mia, 
chi  dir^  questa  orazion 
trentatrd  matine  da  digiuno  e  mai  faLllire, 
da  mala  morte  non  potr^  mai  morire, 
altro  che,  quando  che  sar^  I'ora, 
la  ghe  staril  ben  dita  e  ben  scrita, 
davanti  Gesu  Cristo  e  cosl  sia. 

11. 
Un  giomo  andando  per  la  via 
incontrai  una  gran  cavalleria 

—  O  Caterina,  o  Caterina, 

vuoi  sposare  un  regnante  imperatore? 

—  lo  non  voglio  regnante,  nh  imp«ratdre» 
io  voglio  servire  il  mio  Signore.  — 


I)  Questa  parola  si  trova  in  moltissimi  pianti  antichl. 

a)  Anche  questo  §  un  luogo  comune  ai  pid  antichi  pianti.  Si  allude  airevan- 
gelico:  AfulUr,  ecce  Jilius  iuus,  parole  con  cui  Cristo  morente  lascia,  a  confarto 
di  sua  madre,  Giovanni,  il  discepolo  prediletto. 


3^4  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

—  O  Caterina,  ti  metteremo  in  una  gabbia  di  leoni.  — 
E  Caterina  voile  entrare 

ed  i  leoni  starono  a  guardare. 

-  O  santa  Caterina,  ti  metteranno  in  una  cella  oscura, 
tre  giomi  senza  bere  e  senza  mangiare.  — 

Ma  gli  angioli  le  portarono  da  bere  e  da  mangiare.     , 
-OS. Caterina  ti  metteranno  sotto  le  ruote  del  molino.  •— 
Le  ruote  cominclarono  a  girare 
e  le  ossa  di  S.  Caterina  a  scricchiolare  i). 

Condudendo,  le  laude,  che  toccarono  i^  colmo  della  loro  fiori- 
tura  nei  sec.  XI 11  e  XIV,  specialmente  per  xipera  delle  pie  confeft- 
ternite,  vissero  di  vita  piu  o  meno  rigogliosa  fino  ai  nosiri  ^iorni, 
ed  ancora  si  conservano,  perch^  quel  rude  sentimento  religiose,  da 
cui  trassero  origine,  non  h  ancora  spento  del  tutto.  Nei  paesi  discosti 
dai  grandi  centri  esso  continua  ad  accendere  i  rozzi  petti  delle  sem- 
plici  femminette,  le  quali  considerano  opera  doverosa  e  meritoria 
trasmettere  alia  loro  discendenza  il  sacro  retaggio  degli  avi;  e  guai 
a  chi  osasse  spargere  il  ridicolo  su  quelle  venerande  reliquie!  Anch'io 
ebbi  a  lottare  contro  la  dififidenza  e  il  sospetto  di  certe  vecchierelle, 
tan  to  che  dovetti  spesso  ricorrere  alia  mediazione  di  qualche  gentile 
signora,  che  godeva  miglior  credito  presso  di  loro. 

Come  si  pu6  vedere  dagli  esempi  recati,  quest!  curiosi  compo- 
nimenti  talora  neppur  danno  un  senso ;  che  se  tu  domandi  la  spie- 
gazione  di  qualche  vocabolo  corrotto  o  di  qualche  parola  antiquata, 
ti  senti  rispondere  candidamente :  Che  ne  so  io.^  Cosl  recitava  mia 
nonna. 

Perci6  chi  voglia  avere  di  tali  componimenti  una  versione  intel- 
ligibile,  dovra  raccoglierne  parecchie  varianti  e  confrontarle  insieme ; 
solo  in  questo  modo  gli  verra  fatto  di  correggere  frasi  come  queste:  i 
ire  turcangelidei  (i  can  dei  giudei),  le  tre  aveniarie(\e  tre  Marie),  tm 
bel  lechino  (un  beH'inchino),  sen'anca  ajuta  (se  n'^  caduta)  ecc. 


I)  Le  ruote  armate  di  rasoi,  con  le  quali  fu  martorlata,  secondo  la  nota  leg- 
genda,  Caterina,  la  dotta  vergine  di  Alessandria,  diventarono  pid  tardi  ruote  di 
molino,  e  la  santa  stessa,  da  protettrice  delle  scuole,  divenne,  infelice  cambio! 
patrona  dei  mugnai. 


UN' ECO  MODERNA  DI  ANTICHE  LAUDE  335 

Di  fronte  a  tali  preghiere,  che  spesso  varcano  sommessamente 
la  soglia  del  tempio  e  si  sostituiscono  alle  preghiere  ufficiali,  la 
Chiesa,  non  potendo  fare  aitro,  mantiene  un  contegno  di  tolleranza  »), 
quantunque  la  S.  Congregazione  delle  indulgenze  non  trascuri  di  ri- 
cordare  ai  sacerdoti  il  dovere  che  hanno  di  dissuadere  i  fedeli  dal 
recitare  e  diffondere  tali  devozioni,  quasi  sempre  accompagnate  dalle 
piu  bizzarre  indulgenze.  Tuttavia  i  preti  hanno  torto  di  crederle  fat- 
tura  di  qualche  particolare  individuo,  che  si  proponga  di  spargere  il 
ridicolo  sulle  cose  della  religione,  poichi  esse  furono  e  sono  spon- 
tanea e  schietta,  per  quanto  incolta,  manifestazione  del  sentimento 
religioso  popolare. 

Prof.  Giovanni  Fabris. 

Udine,  12  giugno  1906. 


i)  Per6,  quando  vi  riesca,  procura  almeno  di  sfrondarle.  Cosi  la  vecchla  Libera 
Isotton  di  Mel  (Cadore),  dopo  aver  dettata  alia  sig.  A.  Nardi-Cibele  quella  lauda 
che  vide  la  luce  nella  Rwista  delU  trad.  pop.  Ual.,  I,  683.  soggiungeva:  « 1  era 
ventiginque  camp^t  (strofe).  ma  i  altri  i  li  k  ritirai,  perchfe  i  ftva  tropa  paura  >. 
Ed  infatti  in  una  variante  molto  corrotta  dello  stesso  comporiimento,  a  me  dettata 
da  certa  Luigia  Zen,  novantenne,  di  Mussolente  (Bassano),  comparisce  una  strofa 
che  manca  sia  nella  versione  della  Nardi-Cibele,  sia  in  quella  della  sig.  Francesca 
Renzetti.  raccolta  in  Samano  delle  Marche  e  pubblicata  nella  stessa  rivlsta  a 
pag.  278.  Ecco  la  strofa,  il  cui  contenuto  rende  verislmile  la  testimonlanza  della 
vecchia  Isotton : 

Tu  mangl  bevi  e  dormi 
col  demoni  Intorao 
che  cerca  note  e  ^orno 
di  divorarti! 


LEGGENDE  PLUTONICHE  IN  SICIUA 


La  trovatura  di  S.  Leonardo. 

A  San  Lunardu,  ca  h  'n  'atareddu  vecchiu  a  menzu  *i  chiusi,  a 
tramuntana  di  S.  Petru  Clarenza,  anticamenti  'u  principi  Clarenza 
(pri  chissii  'u  paisi  si  chiama  S.  Petru  Clarenza)  ci  fici  urricari  tanti 
dinari  di  carrubbi  e  chiappi  di  ficu  sicchi  d'oru,  e  poi  'i  'mpriccantau. 
Ci  ammazzau  'n  picciriddu  di  quattr'anni,  ma  prima  d'ammazzallu  ci 
dissi  ca  pi  putiri  spignari  dda  truvatura  si  cci  hanu  a  'mmazzari  setti 
carusi  masculi,  tutti  figghi  di  'n  patri,  e  setti  cavaddi  virdi  di  natura. 

'Na  vintina  d'anni  arreri,  'n  certu  Luciu  Campanazza,  zappaturi, 
e  *n  certu  Zuddu  *u  Sciancatu,  ripizzaturi,  tutti  dui  santipitrisi,  as- 
sicutati  di  la  fami,  si  dicisiru  di  pigghiari  sa  truvatura,  e  'na  notti 
ci  eru  cu  mazza,  palu  e  pruuli,  pri  farici  'na  pocu  di  cartocci  e  fari 
scuppulari  'a  'tareddu  'nda  I'aria.  Ma  comu  spararu  'u  primu  car- 
tocciu,  ci  cumpariu  'u  spiritu  d'  'u  picciriddu  ammazzatu,  a  forma 
di  gKanti,  cu  'n  pedi  di  cerza  pi  bastuni,  e  ci  dissi:  —  «  No  sapiti 
ca  pi  pigghiari  sta  truvatura  ci  voiunu  ammazzati  setti  figghi  masculi 
tutti  di  'n  patri  e  setti  cavaddi  virdi  senza  esseri  tingiuti?  »  Chiddi, 
puvureddi,  comu  visturu  ddu  gKantazzu,  si  spavintaru  tantu  ca  si  nni 
fueru  trimannu. 

Comu  finiu?  Ca  doppu  pocu  tempu  Luciu  Campanazza  morsi  cu 
tr6bbucu,  e  a  Zuzzu  'u  Sciancatu  ci  assartau  na  speci  di  vermu 
tagghiarinu  tantu  rossu  ca  arristau  gi^lunu,  siccu  e  'mpatiddutu. 

*  * 

Cocca  tempu  arreri,  'n  certu  Puddu  'u  Ciareddu,  ca  ancora  campa, 
s'insunnau   5   spirdu  d*  'a  'tareddu  caci  dissi:  —  «  lu  mi  chiamu 


'-^«  •- 1  h 


LEGGENDE  PLUTONICHE  IN  SICILIA  ^57 

Giuseppi  Quadaruni.  Si  vo'  pigghiari  'a  truvatura  di  S.  Lunardu, 
t'  a'  susiri  d'  'u  lettu  a  menzannotti  e  ti  n'  a'  veniri  suKi  'nda  *ta- 
reddu.  Ti  porti  *na  corda  longa  longa  e  'nguddurii  tuttu  *n  'tareddu. 
Poi  mi  chiami :  Giuseppi  Quadaruni,  dammi  M  dinari !  E  tri  boti  si 
sbalanca  a  'tareddu  e  a  truvatura  ^  to  ». 

Comu  Puddu  'u  Ciareddu  s'arrusbigghiau,  cuntau  tutta  'a  pas- 
sata  a  so  mugghieri,  ca  'n  do  paisi  a  sannu  sentiri  Pudda  'a  Batiota, 
iucatura  fera  di  iocu  di  lottu,  e  ioda  c\  dissi :  «  Puddu,  a  sta  notti 
stissa  ci  at'  a  ghiri;  ci  at'  a  ghiri  comu  c\  at'  a  ghiri,  pirchl  bu  dicu 
ju  ».  —  «  Ma  sulu  mi  scantu  ;  allura  mi  portu  cu  mia  a  Puddu  Mac- 
carruni  >►  (ca  ^  so  ennuru). 

Nt'  'a  nuttata  parteru,  soggiuru  e  jennuru  p'  'a  'tareddu,  ci  'ngud- 
duriaru  'a  corda  e  lu  Puddu  'u  Ciareddu  chiamau  pri  tri  voti :  — 
«  Giuseppi  Quadaruni !  ». 

Lu  spirdu  ci  arrispusi  e  ci  dissi : 

<  Vinisti  a  lu  scuru, 

Ma  ci  avi  a  bdniri  sulu  ; 

Ti  lu  dissi  Quadaruni, 

Ma  ristasti  di  minchiuni  ».  ^ 

E  Puddu  'u  Ciareddu  si  ni  turnau  a  casa  dicennu:  —  ^;  A  facci 
mia,  ca  no  ci  ji  sulu  !  »  (S.  Pieiro  Clarema). 


La  trovatura  di  S.  Margherita. 

S.  Margarita  e  'na  cuntrada  a  sciroccu  di  S.  Petru.  Ora  si  cunta 
ca  'u  baruni  Scazzittu,  discinnenti  d'  'i  Calabrii,  ci  'urncau  *na  pocu 
di  dinari,  e  pi  putilli  spriccantari  'na  pirsuna  na  'n  gnoriui,  di  suli 
a  suli,  it  fari  'n  paru  di  vertuli  filati,  tissuti  e  cusuti. 

A  'n  vena  a  st'ura  no  ci  ha  'bbastatu  Tarmu  a  nuddu,  e  'i  di- 
nari su  sempri  dda,  pirchl  pi  putirisilli  purtari  a  casa  si  1*  han'  n 
'mpuniri  'na  ddu  paru  di  vertuli  ca  'a  matina  ban' a  essiri  stuppa 
e  'a  sira  ban'  a  essiri  pezza  (S.  Pieiro  Clarensa). 


J38  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

I  tesori  di  Saota  Maria. 

Sotto  la  chiesa  di  Santa  Maria  sono  sette  magazzeni  pieni  di 
tesori  mai  visti,  ove  si  penetra  per  sette  porte  di  ferro,  la  prima  delle 
quali  fe  in  fondo  al  coro.  Le  porte  per6  si  aprono  soltanto  nella  notte 
di  Natale,  durante  la  consacrazione,  e  chi  volesse  entrarvi  pu6  so- 
lamente  profittare  di  quei  pochi  istanti.  Ma  I'inoltrarvisi  fe  perico- 
loso,  perch^  sul  cammino  si  incontrano  numerosi  trabocchetti,  spade, 
lance,  rasoi  che  possono  fare  a  pezzi  il  malaccorto. 

Ci  fu  una  volta  un  tale  che  voile  tentare  Timpresa,  e  la  notte 
di  Natale  nusc\  a  penetrare  nelle  stanze  del  tesoro ;  ma,  abbagliato 
dalle  immense  ricchezze,  perdette  tempo,  cos\  che  le  porte  si  chiusero 
e  rest6  1^  dentro,  chi  dice  cambiato  in  statua,  chi  dice  in  potere 
del  diavolo. 

Un  giovanotto  una  volta  fugg^  di  casa  e  pass6  la  notte  dormendo 
sulla  scalinata  di  Santa  Maria.  Sul  tardi  si  svegli6,  e  fu  colpito  da 
una  voce  proveniente  di  sotterra  e  che  diceva :  —  «  Questi  denari 
sono  tre  salme,  tre  tumoli,  due  mondelli  e  tre  carozze  ».  Erano  cer- 
tamente  gli  spiriti  che  misuravano  il  tesoro. 

Un  altro,  passando  una  sera  d 'estate  sotto  la  tribuna  della 
chiesa,  vide  una  chioccia  con  tanti  pulcini.  Erano  certo  usciti  dal 
sotterraneo  e  dovevano  essere  d'oro.  Tent6  di  prendeme  qualcuno, 
ma  non  vi  riuscl  e  ad  un  tratto  vide  ogni  cosa  sparirgli  d'innanzi 
(Bandaszo). 

Palazzazzo. 

II  Palazzazzo  di  S.  Pietro  Clarenza  ^  una  vecchia  fabbrica,  in 
parte  diroccata,  posta  alia  estremit^  meridionale  del  paese,  e  da  piu 
di  mezzo  secolo  disabitata.  Fu  gi^  un  tempo  proprieta  dei  signorotti 
del  villaggio,  che  vi  tenevano  la  loro  corte;  ma  oggi  non  k  piu  che 
una  casaccia,  ove  i  contadini  conservano  il  fieno  e  della  quale  gli 
spiriti  si  sono  resi  padroni. 

La  dentro  si  ritiene  che  fosse   incantato   un  gran   tesoro  sotto 


LEGGENDE  PLUTONICHE  IN  SICILIA  339 

forma  di  carrube,  di  fichi  secchj  e  di  altre  frutta  tutte  d'oro.  Ed  il 
castaldo  dovette  certo  trovarne  una  parte,  in  un  pentolone  rinvenuto 
sotto  terra,   se  h  diventato,  come  pare,  piu  ricco  dei  padroni. 

Ma  rincantesimo  dura  ancora,  se  i  fanciulli  hanno  paura  di  pas- 
sare  da  quelle  parti  sul  mezzogiorno.  A  quell'ora  infatti  un  uomo  col 
berretto  rosso  si  vede  seduto  sulla  soglia  d'una  delle  antiche  porte, 
e,  secondo  dicono  le  mamme,  h  desso  il  «  Pircanti »,  colui  che  ha  in 
custodia  il  tesoro  incantato.  N^  col  «  Pircanti  »  si  pu6  scherzare.  Esso 
porta  un  largo  saccone,  e  tutti  i  fanciulli  che  riesce  ad  acciuffare  li 
caccia  1^  dentro  e  se  li  porta  non  si  sa  dove. 

Sulla  mezzanotte,  anche  gli  adulti  k  raro  che  s'arrischino  a  pas- 
sare  dinanzi  al  Palazzazzo.  Chi  vi  k  stato  costretto  da  un  bisogno 
imperioso,  ha  sempre  veduto  0  un  cane  che  si  carqbia  in  caprone, 
o  un  prete,  o  una  donna  vestita  di  bianco. 

Una  donna  del  paese  sogn6  una  notte  che  sotto  la  soglia  del 
primo  portone  del  Palazzazzo,  al  bivio,  avrebbe  potuto  trovare  tan- 
t'oro  quanto  non  ne  ha  nemmeno  il  Re,  se  vi  fosse  andata  a  mez- 
zanotte. Svegliatasi  ed  accortasi  che  mezzanotte  non  era  ancora  so- 
nata, non  voile  perder  tempo,  e  chiamato  un  suo  cognato  si  avvi6 
con  lui  a  cercare  la  trovatura.  Ma  appena  arrivata  e  mentre  con  un 
palo  di  ferro  si  accingeva  a  sollevare  la  soglia,  invocando  Marzabucco, 
si  sent^  stringere  alia  gola,  come  da  una  morsa,  che  non  la  lasci6 
se  non  quando,  lasciando  a  mezzo  il  lavoro,  scapp6  a  gambe  levate 
verso  la  propria  casa. 

Un'altra  donna,  passando  verso  la  mezzanotte  da  quel  luogo, 
fu  assalita  da  uno  spirito,  il  quale,  perchd  tirava  vento,  le  entr6  in 
bocca,  e  la  fece  impazzire.  I  parenti  con  grandi  sforzi  la  misero  su 
un  carro  e  la  portarono  a  Catania,  dal  Cardinale.  Ma  tutto  fu  inu- 
tile. Soltanto,  alcun  tempo  dopo,  ripassando  davanti  il  Palazzazzo, 
la  donna  fu  assalita  da  una  nuova  folata  di  vento  e  sternut6  cos\ 
forte  che  cacci6  lo  spirito  dal  naso.  Per  lo  sforzo,  stette  a  lungo  ma- 
lata;  ma  quando  risan6  era  anche  rinsavita. 

Dove  peraltro  awenne  il  fatto  piu  notevole  fu  nel  palmento  del 
Palazzazzo,  che  s'apre  nella  parte  posteriore,  dinanzi  una  fitta  esten- 
sione  di  vigne  e  di  oliveti. 

ArekMo  per  le  trtidiaioni  popolari.  Vol.  XXIII.  43 


J40  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

A  San  Pietro,  come  in  altri  paesi,  si  usa  di  pigiare  I'uva  non 
solo  il  giorno,  ma  anche  la  notte.  1  pigiatori  si  alzano  dopo  la  mez- 
zanotte,  infilano  un  paio  di  scarponi  e  partono  pel  palmento.  II  ca- 
porale  di  essi,  che  b  quegli  che  fa  i  conti  al  padrone  e  distribuisce 
il  guadagno,  ne  tiene  le  chiavi,  ed  ha  I'obbligo  di  alzarsi  il  primo 
per  aprire  il  palmento,  e   di    ritirarsi  Tultimo   per   poterlo  chiudere. 

Ora  uno  di  questi  caporali  di  pigiatori  and6  una  volta,  verso 
la  mezzanotte,  al  palmento  del  Palazzazzo,  ne  apri  il  cancello,  vi  entr6, 
ed  accesa  la  candela  si  diede  a  preparare  ogni  cosa,  perch^  appena 
i  compagni  arrivavano  potessero  cominciare  il  lavoro.  Quand'ecco  un 
prete  con  la  papallna  in  testa  si  mostra  accanto  a  lui,  si  dirige  pian 
pianino  alia  lucerna  e  con  un  soflfio  la  spegne. 

L'uomo  cerc6  i  fiammiferi  e  la  riaccese,  dicendo  a  quegli  che 
credeva  un  vero  prete  :  —  ^  A  ora,  vosaignuria,  mi  acherea  cu 
nautru  e  no  cu  mia>^.  Ma  il  prete  torn6  ad  avanzarsi,  cacci6  un 
altro  soffio  e  si  rifece  il  buio  —  ^  E  torna  parrinu  e  aciuscia !  * 
scatt5  il  villano;  <^Voaaia  a'arricria  e  ju  'n  tuHu  ain  n*autru po- 
apuru  p'  addumalla,  e  Vomini  atannu  vinennH»,  E  per  la  terza 
volta  accese  la  lucerna.  Per  la  terza  volta  il  prete  per6  vi  sofifift  sopra 
e  per  la  terza  volta  la  spense. 

Allora  il  villano  comprese:  E  torna  parrinu  e  aciuacia!»  grid6, 
4cChiatu  diavulu  hf»  E  s\  fece  il  segno  della  croce.  Si  intese  un 
grande  rumore,  e  si  vide  un  cerchio  di  fuoco:  sonava  mezzanotte. 

Tremante  per  la  paura,  il  villano  accese  I'ultimo  fiammifero  e 
con  esso  la  lucerna ;  ma  non  c'era  piu  nessuno,  e  coi  compagni  che 
arrivavano  poti  darsi  al  lavoro. 

In  p>aese  per6  il  motto  «  E  torna  parrinu  e  aciu8cia!»  b  ri- 
masto  proverbiale  e  si  usa  ripetere  quando  qualcuno  importuna  in- 
sistendo  su  uno  stesso  argomento.  {8,  Pietro  Clarenza). 


II  tesoro  del  S.  Calogero. 

Sul  monte  S.  Calogero  si  indica  un  masso  enorme,  che  nessuna 
forza  umana  potrebbe  smuovere,  e  sul  quale  si  pretende  che  sia  una 


LEGGENDE  PLUTONICHE  IN  SICILIA  341 

iscrizione  araba.  Sotto  questo  masso  b  seppellito  un  tesoro;  ma  per 
prenderlo  occorre  uccidervi  sopra  tre  bambini  e  beverne  il  sangue. 
Chi  fosse  tanto  scellerata  vedrebbe  il  macigno  aprirsi  da  solo  e 
mettere  alio  scoperto  tanto  oro  ed  argento  da  farlo  arricchire;  ma 
dopo  si  tomerebbe  a  chiudere  e  nessun  altro  avrebt)e  da  sperare 
alcun  che.  (Termini  Imsrese), 


II  tesoro  dd  Torracchio. 

Nella  salita  del  Torracchio,  in  un  luogo  solitario,  ma  non  molto 
distante  da  Termini,  gii  antichi  imeresi  seppellirono  gran  quantity  di 
denari  e  di  pietre  preziose,  per  impossessarsi  delle  quali  bisogna  pro- 
nunziare  certe  parole,  stando  nel  punto  preciso  dov'esse  son  nascoste, 
ed  in  un*ora  stabitita. 

Alcuni  anni  addietro  certe  persone  si  provarono  a  prendere  questo 
tesoro  e  vi  andarono  suila  mezzanotte,  ma  siccome  non  trovarono 
nh  il  punto  preciso  nk  il  siienzio  che  occorreva,  non  riuscirono  nel- 
I'intento.  (Termini  Imerese), 


Lo  spirito  di  mastr'Alfio. 

Cera  una  volta  a  Randazzo  un  pastore  chiamato  mastr'Alfio, 
che  portava  tutti  i  giorni  il  gregge  a  pascere  nelle  propriety  altrui. 
I  proprietari  e  i  coloni  lo  avevano  piu  volte  awertito,  ma  tutto  tor- 
nando  inutile,  uno  di  essi  un  bel  giorno  gli  tir6  una  fucilata  che  lo 
stese  morto. 

Nel  luogo  dov'egli  cadde,  a  mezzogiorno  ed  a  mezzanotte,  da 
allora  comparisce  il  suo  spirito. 

Un  pa^storello,  che  nel  mezzogiorno  passava  di  1^,  se  lo  vide 
sorgere  innanzi,  come  a  sbarrargli  il  passo;  ma  lo  conobbe,  si  fece 
coraggio  e  gli  disse:  «  Mastr'Alfio,  fatemi  passare  ».  E  lo  spirito  si 
fece  da  canto  e  gli  diede  il  passo.  (Rand(M0o). 


342  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 


Lo  spirito  deH'otre. 

'Na  notti  'n  middanu  s'arricugghieva  a  pedi  d'  'a  Chiana.  Arri- 
vannu  5  Pisciazzaru  anticu,  vicinu  'u  stazzuni  attuali,  a  punenti 
di  S.  Petru,  'ndo  menzu  'a  strada  vitti  'n  'utri  chinu  d'ogghiu.  Du 
puvureddu  si  priavu  tuttu,  s'  'u  misi  supra  'i  spaddi  e  sichitau  a 
•aminari  a  'mmeri  'a  casa.  Ma  chiii  stava  e  chiu  Tutri  si  faceva 
pisanti,  tantu  ca,  arrivannu  a  'u  certu  puntu,  'u  viddanu  n6  puteva 
chiu  e  'u  spuniu  supra  'n  muru. 

'Nto  mentri  ca  si  spuneva,  quantu  'ntisi  'na  vuci  r6ssa  di  'nta 
I'utri:  «  Posimi  passu  passu  ca  m'ammaccu  ». 

Du  mischinu,  cumu  ntisi  accusi:  «  Vih!  ca  diavuluni  era!  » 
dissi,  e  si  fici  'a  cruci.  L'utrt  cascau  'n  terra,  arruzzulau  a  'n  vena 
n6  menzu  'a  strata,  ittau  'n  circu  di  focu  e  spariu.  'Nta  stu  stanti 
sunava  menzanotti. 

Lu  viddanu  si  nni  fulu,  ma  tantu  si  spagnau  ch'  e  chinnici  jorni 
mostri.  (S.  Pietro  Clarensa). 

S.  Raccuglia. 


Dl  ALCUNI  DIMINUTIVI 
NhL   DIALETTO   SlClLiANO 


Nel  Continente  italiano  si  studia  la  vita  ed  il  carattere  dei  Si- 
ciliani  con  interesise,  ma  non  sempre  con  tutti  gli  elementi  che  pos- 
sano  giovare  all'uopo. 

Si  studia  la  mafia,  e  non  si  riesce  a  formarsene  un  esatto  con- 
cetto; si  studia  Vomerta  e,  senza  beneficio  di  prove,  si  condanna, 
buona  o  cattiva  che  sia,  ogni  persona ;  e  non  si  ricerca  n^  la  natura 
di  questa,  n^  la  ragione  di  quella:  la  quale  se  ^  etnica  ritrae  pure 
dai  governo. 

Ora,  vedi  stranezza!  una  delle  accuse  che  si  fanno  ai  Siciliarii 
ha  base  nei  diminutivi  che  nel  dialetto  assumono  certi  nomi,  il  si- 
gnificato  dei  quali  accenna  a  delitto  ed  a  sangue. 

«Guardate!  —  si  dice  —  un  omicidio  h  chiamato  ammasza- 
Una,  un  furto  arrubbcUina,  quasi  che  Tuccidere  ed  il  rubare  sia 
cosa  da  poco !  » 

Ma  chi  regala  al  popolo  siciliano  tanto  stoicismo  di  linguaggio 
ha  mai  pensato  alia  filosofia  del  dialetto? 

Nel  dialetto  dellMsola  certi  atti  e  certe  opere  si  esprimono  con 
nomi  di  forma  diminutiva  per  distinguerli  dagli  effetti  degli  atti  me- 
desimi  nelle  persone.  La  voce  ammazzatina,  omicidio,  ^  in  appa- 
renza  diminutivo  di  amtnazzata,  ma  in  realta  non  attenua  per  nulla 
il  valore  del  crimine;  e  non  potrebbe  ridursi  al  primitivo  amtnazzata 
e  dirsi,  p.  e.,  che  cci  fu  un  ammazzaia,  per  esprimere  che  vi  fu 
un'uccisione,  perch^  si  andrebbe  senz'altro  al  significato  di  una  donna 


344  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

uccisa;  nfe  tampoco:  che  un  uomo  fici  *n*  amtnazeata  (fece  un 
ammazzamento),  perchfe  cxb  farebbe  ridere  e  fraintendere. 

Per  la  medesima  ragione  nessuno  direbbe  che  vi  fu  *na  rubata 
0  *n*  arrubbata,  invece  di  'n'  arrubbcUina,  perch&  VamMxUina  ^ 
il  furto,  e  l'arru&&aia,  la  persona  che  lo  ha  patito;  come  firiiina  o 
firiaioni  h  il  ferimento  per  lo  piu  in  rissa. 

La  cosa  i  tanto  chiara  che  ogni  osservazione  in  proposito  riu- 
scirebbe  superflua.  Vediamo,  invece,  di  rafforzarne  la  evidenza  con  altri 
esempi  che  autorizzino  a  trarne  argonaento  d'una  teoria  all'uopo. 

—  Abbanniaiina^  gridata,  per  lo  piu  di  comestibili  da  vendere. 
Abbanniata  ^  add.  di  oggetto  che  si  grida;  ed  un  proverbio  dice: 
f'Osa  abbanniata  ^  menza  vinnuta. 

—  Abbianchiatina,  o  abbinndtiata,  imbiancamento  di  casa  o 
di  camera. 

—  Ammaccatinay  contusione,  lividura.  AmmactaUi  ^  la  per- 
S4jna  o  cosa  che  abbia  avuto  I'urto,  causa  della  lividura. 

—  Casina^  villa,  palazzina  di  campagna. 

—  Fistina,  adorno  di  mattoni  dipinti  ed  invetriati  nd  pavimenti 
delle  stanze  nobili. 

—  FitiicUina,  lo  stesso  che  fUtiata  (da  fUia,  dolore  pungente 
e  ad  intervalli);  ma  sovente  ha  significato  di  dolore  continuo  come 
martellio  sulla  carne. 

—  Frijtina,  da  frijtUa,  ^  Tatto  o  I'opera  del  friggere.  Se  si  di- 
cesse  frittura,  questa  significherebbe  la  materia  fritta  o  da  fri^ere, 
per  lo  piu  di  pesciolini. 

—  Fuitina,  da  fujuta^  ^uga,  per  lo  piu  di  amanti. 

—  Crnittatina,  awiatura,  e  si  dice  delle  caize  o  di  lavori  simili. 

—  Gruastatina  (Acireale),  rimescolamento. 

—  Mmatiiiina^  ostacolo  inatteso,  nel  quale  uno  s'irabatte  e  dal 
quale  riceve  indugio. 

—  Muncitina^  spremimento  di  mammelle,  ed  ha  il  tnedesimo 
valore  di  muncitUa. 

—  Paasiatina  o  pasaicUura,  grattamento  che  alcuni  insetti  la- 
sciano  sulla  pelle  dove  passano;  ed  anche:  il  tempo  in  cui  i  servi- 
tori  rimangono  senza  padrone.  Passiata  invece  k  Tazione  del  pas- 


Dl  ALCUNI  DIMINUTIVI  NEL  DIALETTO  SICILIANO  345 

seggiare,  od  anche  il  passare  e  ripassare  che  fa  un  giovane  innanzi 
la  casa  d'una  giovine,  amoreggiando. 

—  Purtatina,  0  purtatura,  mercede  della  portatura, 

—  Scurciatina,  0  scurciatura,  leggiera  ferita,  che  peK>  nun 
vuol  confondersi  con  scurciata,  da  cui  deriva. 

—  Siriiinay  che  nasce  da  airaiaf  non  significa  altro  che  sera. 

—  Vagnatina,  I'atto  del  bagnare  o  del  bagnarsi,  e  per  lo  piu 
per  effetto  di  pioggia.   Vagnata  k  add.  di  persona  0  di  cosa, 

—  Vattitina,  battiti  forti,  frequenti,  anche  irregolari  e  cuntinui 
di  cuore  per  forte  emozione,  per  una  corsa  ed  anche  per  una  stato 
anormale  di  esso. 

Che  poi  il  diminutivo  non  sempre  impiccolisca  od  attenui  la 
cosa,  risulta  dalla  voce  iunnina  che  k  il  tonno,  da  fittiatina  gia 
citata  e,  per  tacere  del  resto,  da  casina, 

Anzi  talvolta  la  forma  diminutiva  ingrandisce  la  cosa,  come  si 
vede  dalla  parola  cutiddina,  che  i  un'arma  piu  lunga  del  cultello 
e  del  pugnale,  qualcosa  di  simile  alia  coltella  toscana;  ed  anche  dal 
fisHnu^  che  non  fe  una  piccola  festa,  ma  la  piu  grande  che  abbia 
un  comune,  quella  del  santo  patrono,  che  si  celebra  nella  forma  piii 
solenne  e  coi  maggiori  mezzi  possibili,  tanto  da  attirare  0\  abitanti 
di  paesi  vicini  e  lontani,  come  in  Palermo  S.*  Rosalia  (il  ftatinu  per 
eccellenza),  in  Messina  TAssunta,  in  Catania  S.  Agata,  in  Calta- 
nissetta  S.  Michele  Arcangelo,  in  Siracusa  S.  Lucia,  ecc-  ecc.  Ft- 
atinu  k  anche  giubilo  ed  allegrezza  non  ordinaria;  e  trattenimento 
notturno  con  ballo  o  altro. 

G.    PlTRi. 


PREGHIERE  POPOLARI    SARDE. 
Pregadorias  po  sos  disimparatos, 

(PREGHIERE    PER    GLI    ILLETTERATl) 


Causa  precipua  della  vitalita  del  dialetto  Sardo-logudorese,  k 
Tuso  che  ne  fa  la  Chiesa  nelle  preci  cotidiane,  nelle  didascalie  se- 
mipopolari,  negli  inni  ai  Santi  fG6sos).  II  dotto  e  pio  Vescovo  di 
Nuoro  e  Galtelli-  ha  pubblicato  nel  dialetto  Sardo-logudorese  il  Ca- 
techismo  della  Diocesi,  che  ^  arrivato  alia  sua  4*  edizione.  Della 
Imitazione  di  Cristo  e  oramai  esaurita  una  buona  traduzione  fatta 
nel  1871  dal  sig.  Juanne  Casula  in  Sassari. 

Credo  che  sul  Continente  Tuso  del  dialetto  nelle  preghiere  e 
nelle  prediche  abbia  durato  fino  alia  fine  del  1700.  La  Chiesa  dopo 
il  Concilio  di  Trento,  che  obbligava  i  preti  a  far  capire  al  popolo  11 
Catechismo  tridentino,  giov6  non  poco  Silo  studio  dei  dialetti.  In 
Reggio  Emilia  il  primo  Vocabolario  del  vernacolo  lo  dobbiamo  al 
Clero,  e  cos^  deve  essere  avvenuto  anche  altrove. 

Nei  paesi  Monferrini  della  Valle  deirOrba,  fiume  che  segn6  per 
molto  tratto  il  confine  del  Monferrato  colla  Repubblica  di  Genova, 
usano  ancora  per  burla,  recitare  nel  dialetto  ligure  di  Mornese,  una 
predica  attribuita  al  parroco  di  quel  Comune.  —  U  vaa  ciu  u  m^ 
predicottu  che  gentu  mease:  chi  fa  ben  andrd  in  aii;  chi  fa  mda 
andrd  in  bassu.  —  'O-tia  recordh)e  de  fe  *na  limosgina  ch'u  ghe 
na  seggia  (che  ce  ne  sia  molti  dei  soldi). 

A  proposito  di  prediche  ricordo  d'aver  udito  nel  1893  a  Busso- 
lino  di  Gassino  torinese,  la  predica  del  Curato.  Egli  paragon5  la 
confessione  al  bucato  e  concluse:  Per  le  vostre  camicie  che  puzzano. 


PREGHIERE   POPOLARI    SARDE  ^4; 

ce  n'ho  ben  io  del  buon  sapone:  par  al  vost  camisi  Ma  spiisso 
n'hai  prou  mi  d^bon  savon. 

In  Monferrato  I'uso  del  dialetto  nelle  preci  giornaliere  dtve  es- 
sere  stato  smesso  da  poco  tempo,  relativamente.  A  tempo  mio  si  can- 
tava  in  Chiesa,  a  Carpeneto,  nella  notte  di  Natale  la  poesia  italiaaa 
contenuta  a  pag.  45  del  Dramma  sacro  piemontese  Iniitohito  Ge- 
lindo,  i)  dandole  veste  dialettale  co^\ : 

Drom  0  drom  0  bel  bambin, 
Re  divin, 

Fa  ra  nana  fanciottin, 
Fa  ra  nana  bun  Gesii' 
Dir  me  cor  patrun  t'ei  t'f. 

E  pircha  0  bun  signur 
I  set  nassV  'mmezz  ai  dulur? 
Sei  nassT  ant  ra  cabana, 
Oh  ir  me  ben,  oh  ir  me  ben! 
S6i  nassT  in  s*na  brancil  d'paia. 

Altra  poesia  sacra  dialettale  era  quella  ricordata  nel  mio  GI09- 
sario  Monferrino : 

D6e  da  mang^d  ar  vost  bestie 
Sar6e  ra  vostra  ca; 
Avni  ticc  ant  ra  Gesia 
Avni  a  cantee  Din^  (o  Nadal). 

Prima  del  1831  (awento  al  trono  del  Re  Carlo  Alberto',  diceva 
mio  padre  che  usava  a  Carpeneto  recitare  in  dialetto  le  preghiere 
cotidiane  in  Chiesa;  cito  a  memoria  quelle  che  udii  piu  volte  da  lui. 

In  Sardegna  non  ^  meraviglia  che  Tuso  del  dialetto  permaa^a 
tutt'ora.  II  popolo  Sardo,  come  io  vidi,  non  h  bacchettone,  ma  sin- 
ceramente  devoto,  pur  essendo  franco  perfmo  con  Dio.  Vedasi,  per 
es.,  il  canto  per  domandare  la  pioggia:  po  pedire  a' abba. 

Nel  partire  di  casa  per  andare  alia  Chiesa  le  buone  ra^azze  di 
Nule  dicono:  Cammina  e  cammina  il  pi^'  mio,  fino  alia  porti  Ji  Dio 
e  di  Gesu  Cristo  a  cui  mi  rivolgo,  cerco,  come  se  egli  fosse  mio 
padre  e  mia  madre. 


i)  Vedi  la  classica  pubblicazione  fattane  da  Rodolfo  Renier,  Torino,  Clausen  18^6. 
ArchivU)  per  le  trcuUgtoni  popolari  Vol.  XX III.  14 


348  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

(T)dmbula  (tjAmbula  su  p^  meu, 
Fina  a  sa  gianna  (janua)  de-ssu  D^, 
Fina  a  sa  gianna  'e  Gesu  Cristu, 
A  chie  che  mama  e  babbu  chircu. 
Quelle  di  Siniscola  entrando  in  Chiesa  dicono:   Entro  in  casa 
vostra,  con  timoroso  rispetto  vostro: 

Deo  nchMntro  iddomo  'ostra 
Chin  timoria  *ostra, 

e  par  loro  di  sentirsi  rispondere:  e  d^  in  coro  tuo;  ed  io  nel  cuore 
tuo.  Quelle  di  Benetutti,  entrando  in  Chiesa  dicono: 
Sas  pedras  'e  D^u'  tocco, 
Sos  peccados  mios  sian-assorto  (s), 

le  pietre  di  Dio  tocco,  i  peccati  miei  siano  assolti.  E  segnandosi: 
Santa  rughe  —  Bera  lughe 
Sa  potenza  —  Mi  defensat. 

cio^  Santa  Croce  -  vera  luce  -  La  potenza  tua  mi  difende. 

Forse  son  questi  versi,  ricordati  dallo  Spano,  dovuti  alia  penna 
del  poeta  Madiu  che  aveva  scritto: 

Santa  rughe  —  Bera  lughe, 
Chie  in  te  p^ndet  —  De  ogni  morte 
A  mie  def^ndet. 


Oppure : 


In  lumene  i)  de-ssu  Babbu  de-ssu  Vizu  a) 
I  nende  custu  \>h\  ponzo  ancu, 
Babbu-e-Vizu  -  Ispiritu  Ssantu. 


O  per  dirlo  ritualmente  secondo  il  testo  del  Catechismo  Nuovo : 

Deo  fatto  su  signale  de-ssa  ruche  ponzende  ))  ssa  manu  dextra  a-ssa  fronte 

nende  4) :  in  n6men  de-ssu  Babbu ;  piistis  s)  ssu  pettu  nende :  de-ssu  vizu  i  a-ssa 

pala  6)  manca  e  dextra  nende:  i  de-ss.  Ispiritu  Santu-pdstis  aggiunto  t)  sal  manos 

i  naro:  gk\  siat.  (Secondo  la  pronunzia  di  Siniscoia). 

Una  persona  molto  autorevole  che  assistette  alia  famosa  pa(:e 


I)  Lumene:  n6mine  lat.  (N  L).  2)  Vizu  pron.  di  Siniscola  perjizu  figlio;  G:  z. 
iilium  lat:  lizu.  3)  Ponzende  ponendo  *  pon-jende.  4)  Xende  e  netzende:  dicendo 
da  ftdrrtr,  dire,  narrare.  5)  (>  da  O  protonico  post.  6)  Dileguo  di  S.,  per6  «/><?/- 
lera  de  cadreea  spalliera  di  seggiola.  7)  Aggiungo.  congiungo  le  mani  e  dico,  usato 
il  verbo  frequentativo  invece  del  semplice  *  adjunctare  invece  di  adjungfre 
ztlnze  in  dial.  monf. 


PREGHIERE   POPOLARI   SARDE  349 

fatta  nel  1888  solennemente  fra  Bitti  e  Orune,  due  Comuni  della 
Provincia  di  Sassari  che  da  piu  di  quindici  anni  eran  stati  in  guerra 
di  agguati,  di  fucilate  date  e  ricevute,  di  arsione  di  boschi,  di  ucci- 
sione  di  vacche  e  di  pecore,  con  danni  grandissimi  alle  proprieta, 
omicidi  e  ferimenti  senza  fine,  mi  narr6  il  seguente  fatto: 

Una  madre  alia  quale  era  stato  ucciso  il  figlio  d'una  fucilata, 
fattone  il  solito  compianto,  e  portato  via  il  cadavere  "si  inginocchi6 
e  disse: 

Laudadu  siazis  1)  Gesu  Cristos!  Si  non  abb^stat' a  custu  dademlnde  dtere  a), 
pass^nzia  3),  a  lu  suffrire  subra  sa  cdrena  4),  mea! 

Poi  baci5  il  terreno  tre  volte.  Quindi  chiuse  la  porta,  dicendo: 

Deo  mi  tanco  sa  janna  mi  a  5), 
Chin  sMstancas  *e  Santa  Maria; 
Chin  s'istancas  6  Santu  Nigola, 
Sa  'ona  a  intro  ei  sa  mala  fora  6). 

Salvo  la  fine,  par  di  veder  Tatto  ricordato  dall'Alighieri:  che  fe 
purer  il  buon  Marzucco  forte,  quando  baci6  Tuccisore  di  suo  figlio 
e  ringrazi5  Dio  del  tremendo  colpo  dato  al  suo  cuore.  (Canto  VI  del 
PurgatorioX. 

In  Sardegna,  le  verita  della  fede  si  vedono  coesistere  colle  su- 
perstizioni  popolari,  colle  quali  per  andare  d'accordo,  transigono 
anche  gli  artisti.  In  un  disegno  discreto  rappresentante  la  Passione  e 
la  morte  di  G.  Cristo,  figurava  anche  una  rana,  sotto  la  Croce,  presso 
Maria  Vergine.  II  proprietario  del  disegno  non  seppe  dirmi  il  perch^ 
di  quella  intrusione.  Ho  poi  saputo  che  a  Siniscola  della  rana  cosi 
dice  la  tradizione: 

Si  ndrat  chi  cando  Missegnora  nostra  vi  fattende  su  dolu  a-ssu  Vizu  cruzifi- 
catu,  sa  rana  tottu  addolorita  li  narz6sit:  Maria  tde  ses  sentimentosa  po  unu  Vizu 
ch'as  perdidu,  e  d6o  chi  nd'appo  perdidu  sette  a  sa  colata  de  una  rota?  Cussu 
factesit  saigare  sal  laras  a  Missegnora  nostra  po  rier. 


1)  Siate  voi.  2)  Se  non  basta  questo  male  datemene  altro.  3)  Pazlenza,  lo 
soffrird.  Cdrena  came,  corpo  mio,  ^arr^/  quella  da  mangiare  cotta,  dicesi  petta. 
II  nesso  r-n  k  fatto  piii  facile  con  un  e  intermedio,  come  nel  monferrino  noster- 
vaster.  5)  Chiudo  la  mia  porta  colle  stanghe.  6)  La  buona  fortuna  dentro  e 
la  cattiva  (vada)  fuori. 


^50  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

Traduzione.  Si  dice  che  quando  Nostra  Signora  stava  (era  [fuit])  facendo  i 
compianto  al  suo  figlio  crocifisso,  la  rana  tutta  addoiorata  le  disse ;  Maria  tu  sei 
affranta  per  un  solo  figlio  che  hai  perduto,  ed  io  che  ne  ho  perduti  sette  alia 
passata  di  una  ruota?  Questo  (discorso)  fece  aprire  un  pochino  le  labbra  a  Nostra 
Signora  (quasi)  per  ridere. 

La  fattura  o  composizione  degli  inni  in  dialetto  dura  tuttavia, 
perch^  ho  raccolto  un  Canto  Sacro  che  celebra  la  Madonna  di 
Lourdes,  venuta  in  fama  da  una  ventina  d'anni:  la  musa  popolare 
sta  al  corrente  degli  awenimenti  che  le  importano. 

Le  preghiere  che  qui  si  pubblicano  sono  (di  poco  different!  da 

quelle  del  Catechismo  di  Nuoro)  nel  dialetto  di  Siniscola.  Le  dida- 

scalie  non  trovansi  in  libri  stampati,  ma  ripetono  la  loro  origine  cer- 

tamente  dalla  Chiesa  nel  dogma,  mentre  del  popolo  conservano  la 

lingua  e  la  pronuncia. 

G.  Ferraro. 

IL  PATER  NOSTER. 

Babbu  nostra,  ch'ilthas  i-ssos  chelos,  Santificadu  siat  a-ssu  n6- 
mene  t5u  Benzat  i)  a  n6is  ssu  regnu  t5u  -  Fatta  siat  sa  boluntate 
tua  comente  i-ssu  chelu  g^i  i-ssa  terra.  Su  pane  nostru  de  cada  die  2) 
d^denol  h5e  3)  -  Peld5nanos  sol  peccados  nostros,  comente  nois  pel- 
donamus  a  sos  inimigos  nostros.  -  I  non  nol  d^ssas  4)  ruer  5)  i-tten- 
tassione.  E  libera  nol  de-ssu  male  Amen  Zesus. 

In  dialetto  di  Carpeneto  d*Acqui: 

Amser  Pare  n5st  chM  st^i  6)  an  Q^  -  Santificaa  u  sia  ir  v6ster  nom 
-  Ch'u  vena  ir  Voster  Stat  7)  ch'ra  sia  faja  vostra  Santa  vulunta 
tant  an  Qe,    erne  -  n-sra  tera  -  D^ne  »)  ir  pan  d'    ticc  i  d^   ancoj 


i)  Venlat,  j:  Z.  2)  Di  ogni  giomo.  3)  Date  a  noi  oggi  h6(di)e.  Le  particelle 
ci  vi  mancano;  li  al  singolare  lis  al  pi.  stan  per  gli,  loro.  4)  Lessas,  dissas  L  x  D. 
soggiuntivo  desiderativo  per  imperativo.  Riiere  cadere.  5)  anche  de-ssu  malu,  dal 
maligno,  dal  diavolo.  6)  II  rispetto  al  padre  esige  (0  almeno  esigeva  una  volta) 
che  gli  si  dia  del  voi,  titolo  di  affettuoso  rispetto  in  MonferratO  amsir,  amse 
messere  (meo  sere,  Monsieur,  My  sir)  titolo  che  si  trova  nel  Gelindo  dato  a 
S.  Giuseppe.  7)  Stat:  regno,  governo.  8)  Date  a  nol,  manca  pure  in  dial.  monf. 
la  particella  ci. 


PREGHIERE  POPOLARI  SARDE  35 1 

assl  I)  -  Pardun^ne  i  nocc  2)  pcai,  sgund  che  nui  a-j  pardunumma  ai 
n6stir  animiss  3)  -  'N  lassene  caze  4)  an  tantassiun  -  Dlibar^ne  5)  dar 
md,  pare  e  patrun. 

AVE  MARIA. 

Deus  ti  salvet  Maria,  prena  e'  ^rascias,  su  Segnore  elthe  6)  chin 
tegus  7).  Bene^tta  8)  tue  inter  tottu  sal  ftminas,  i  bene^ttu  a-ssu 
vruttu  9)  'e  sas  intragnas  10)  tuas  Zesus.  Santa  Maria,  Mama  'e  Deus 
prega  po  n6is,  peccadores,  ai-como  ")  e  i-ss'ora  de-ssa  morte  nostra 
Gai  12)  siat. 

AVIR  13)  MARIA  {Dialetto  di  Carpeneto), 

Diu-grassia,  14)  Tangir  d'u  Signur,  T  ha  nunzia  a  Maria,  r'ha 
cuncipl  d'u  Spirtu-Sant  Nui  v' sallftumma  Maria  pin*  nha  d'tltt  ir 
grassie,  u  Signur  Te  cun  VCii,  Mare  d'dir  chiriatur  is).  Banadetta  fra 
tYtt  ir  done  16),  banad^tt  17)  Ams^  Gesu,  v6stir  Fj6.  Santa  Maria,  Mare 
d'Nost  Sgnur,  pirgh^  pjlr  nui  piccatur,  oura  18)  e  nt'  Tura  dra  n6ustra 
mort.  Cus^  sia. 

SU  CREDO.  11  Credo. 

Dfeo  crfe  19)  ind  unu  Solu  D^us,  Babbu  totu  poderosu^o),  chi 
fact^sitai)  a  su  chelu  e-i  sa  terra.  E  in  Gesu  Cristos,  unicu  Vizu, 


i)  Oggl  altresi,  anche,  aussiix.  2)  Soppressione  di  una  consonante  per  allegge-r 
rire  del  nessi  complicati  (Renier)  nocc  nostr.  3)  Inimici.  4)  Cadere  *cadjere. 
5)  (De)liberateci  dal  male.  6)  EHhe:  elte,  esU  •  est  lat.  7)  Cum  tecum.  8)  Bene- 
itta:  benedetta.  Dileguo  del  d  anche  neirinfinito  benei^hert  bene-(d)icere  lat. 
9)  Fructus  VxF.  10)  Viscere,  intestini,  entrailles  fr.  11)  Como,  eai-como  oranunc, 
hoc  modo,  mo  lombardo.  12)  Ga(s)i:  casi  e  gii.  13)  Avirmaria,  e*,  Virmaria. 
R  concresciuta :  in  italiano  avemmaria  m  concresciuta.  14)  Deo  gratias.  15)  Chi- 
riatdr.  Ep^ntesl  per  toghere  I'iato;  critur  a  Reggio.  16)  N  finale  non  e  mai  rad- 
doppiata.  17)  A  da  ^  di  prima  proton ica  A^«<'r/iWa.  18)  Nunc.  Oura:  oxd^^fin-douta- 
poco  fa,  d-U'r-onra  ora  ora  (minaccia)  dura  d'ir  munifnt,  nel  momento  che  parlo. 
19)  Eo,  deo:  io.  20)  La  traduzione  di  onni-potente.  21)  Deo  faito:  io  faccio, 
/acUsii:  fece. 


352  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

segnore  nostru.  Su  cale  il  t^sit  cuzzepldu  i)  po  5pera  de  s'  llpiritu 
Santu,  i,  nalch^sit  2)  de  Maria  Virgine.  -  Patesit  3)  bisciu  4)  Ponziu 
Pilatu,  iltesit  cruzificatu  i  moltu  i  sepultudu  -  Fal^sit  5)  a-ssu  If- 
ferru  ei  a  sa  terza  die  rissuscit^sit  Jae-ssa  morte  -  Arz^sit  6)  a 
chelu,  ink  7)  iltat  sezzidu  8)  ae  ssa  destra  de  Deus  Babbu  totu  po- 
derosu  —  Dae  \n)e  at'  a  banner  a  zudicare  sal  bios  i  sol  mortos. 
Creo  iss-lspiritu  Santu-i-ssa  Santa  Cresla  Catolica ;  i-ssa  Comunione 
'e  sol  santos-su  peldonu  9)  'e  sol  peccados-Sa  resurressione  'e  sol 
mortos  xo)  -  Issa  vita  de-ssu  s^culu  b^nidore  ")  Gai   siat  ".) 

Net  Dialetto  Monferrino  di  Carpeneto  d'Acqui  (prima  del  1831), 

Mi  a  credd  an  Ams^  13)  Dio  Pare  Uniputent  chiriatur  d'u  Q^  e 
dra  tera.  E  an  Gesu  Crist  so  fj6  sul,  Nost-Asgnur.  Cuncip!  da-u 
Spirtussant,  Vb  nassi  da  Madonau)  Maria  Vergine.  L' ha  pat!  sutt 
Punzio  Pilat.rfe  stA  bita  'n  Crus  15)  1'^  mort  e  suppli.  L'^  caia  'nt 
rinfer  e-a-u  ters  dl,  1'^  arsusita  da  mort.  L'^  munta  'n  Qb,  Vb  an- 
sasti  16)  a  ra  driccia  d'Ams^  Dio  Pare  Uniputent.  Da  \k  u  dev  ben 
avnl  a  giudich^e  i  viv  e  i  mort.  Credd  ant  u  Spirtussant  ant  ra 
G^sia  Catolica.  Ant  ra  Cuminiun  di  Sant.  Ant  ir  parduni?)  d!  pcai. 
Ant  ra  arsurissiun  d!i8)  mort.  Ant  ra  vitta  eterna.  Cusl  sia. 


i)  Isitrsii  cunzepidn.  2)  Nacque.  3)  Deo  pato:  io  soffro.  4)  fe  la  traduzione 
del  sub  latino.  5)  Falo:  scendo,  discendo,  discese.  6)  Sail  (alz6  s^  stesso)  al  cielo. 
Ha  eziandio  il  significato  di  portare  In  alto,  come  il  siciliano  inchianare  che  vale 
salire,  e  far  satire  0  portare.  7)  Inie,  \k,  zo\k  N  x  L;  come  dicono  anche  a  Regglo 
fatt-ind:  fatti  in  1^.  8)  Sta  seduto  da  sizzere:  sedere:  s6tidu  piCi  che  a  sedere 
accenna  a  riposare :  sezziada  h  la  seduta  del  giudice,  del  Consigli  Confunali  ecc. 
9)  La  remissione.  10)  La  risurrezione  della  came,  n)  La  vita  eterna,  del  secolo 
venturo.  12)  Cosi  {gasi,  gdi)  sia.  13)  Amsi^  usasi  ancora  per  indicare  il  nonno 
ed  il  suocero:  Messere.  14)  Madona  per  indicare  nonna  e  suocera:  Mea  domina. 
15)  BitA  messo  da  biUe  (MxB)  mittere.  16)  Ansastd  seduto,  da  ansiSse^  ansasiise  se- 
dersi.  17)  Bardiin  per  remissione.  18)  Rimasta  la  r  per  via  di  sincope,  in  principlo 
di  parola  avanti  ad  altra  consonante  o  gruppo  di  consonant!  si  vocalizza  (r)  onde 
poi  ar  (Renier,  Gelindo,  pag.  129).  Quindi  arsuscitd  risuscitato,  arsurissiun  risur- 
rezione, arsulit  risoluto.  C16  succede  anche  per  le  liquide  e  le  nasali,  per  v  ed  ^.• 
ams^  amsir  Messere ;  altenga  uva  lugliatica,  avni  venire,  asgnur  (antiquato  perO) 
Signore. 


PREGHIERE  POPOLARI  SARDE  353 

SALVE   REGINA. 

Bos  Saludamus  i)  Relna,  mama  'e  sal  miseric6rdias,  dulzura  de 
custa  vida  i  nostra  isperanzia.  A  Bol  si  nde  avocamus  2)  disterrados  3) 
Vizos  de  Eva,  a  Bol  suspiramus  ticchirriende  4)  ipranghende  i-custa 
badde  'e  lacrimas.  Aj6  edducas  5)  advocata  Missegnora  6)  nostra, 
cussos  'ostros  ocros  de  piedade  a  n6is  boltade.  E  Zesus  beneittu  Vizu 
'e  ssa  Brente  'ostras  )  Sagrada,  ammustradenos  9)  Missegnora  cre- 
mente,  piadosa,  dulze  10)  Virgine  Maria. 

In  Dialetio  di  Carpeneto  d' Acqui  prima  del  1831. 

Salv'Argin'nha"),  Mare  d'misericordia,  vitta  nostra,  nostr'am^  12), 

nostra   Speranza,    Madona    Mare.  A  sclamumma  13)  a    Vui,  sban- 

dunai  m)  fjoi  d'Eva,  a  suspirumma  a  Vui  giaminanda  i5)e  pianzinda 

ant'  ista  Vail  d'dulur.  Andumma  16)  dunca,  prutitura  nostra;  cui  voce 

oggi7)  cumpassiunus  vut^jeis)  an  p6  an-virai9)  nui,  Madona  Mare.  E 


i)  Bos-saludamus :  salve,  a)  Avocamus.  E  proprio  il  ricorrere  ad  uno  gridando 
forte,  vocare  ad.  3)  Disterrados,  fuorl  della  terra  natale,  esuli.  4)  Ticchiriende : 
strillare,  chiamare  soccorso,  ticchirriu,  urio,  grido,  d^  janna  cigolio  di  porta.  5)  Aj6, 
orsd  eja  lat  Trattandosi  di  molti,  ajosi.  Edducas,  ergo  lat.  adunque,  dunque 
dunca  in  dial,  monf.*  de  hunc,  per  questo  motivo.  6)  Missegnora.  Mia  Signora, 
titolo  d'onore,  Madame  fr.,  In  dial.  monf.  Madona.  7)  Boltade,  volgete,  voltate. 
8)  Brenle  'ostra  (fem.  in  dial.  log,)  ventre  vostro.  Abba  currente,  nan  frdzica 
(infracida)  brente  prov.  9)  Ammustriidenos,  mustriidenos  mostrateci,  oslende  illos 
Cat.  10)  Dulze  e  dulche.  Famoso  k  presso  Sassari  la  Madonna  del  latte  dolce. 
Missegnora  nostra  dessu  latte  dulche.  11)  Rimasta  ;  in  principio  di  parola  per  via 
di  sincope  rgin-nha  si  vocalizza  e  diventa  -^  ar-er-or-ur,  argin-nha:  regina;  drzl 
sollevato  ♦  da  reze  reggere,  arsta  restato.  12)  Nostro  miele,  mel  alia  latina,  13)  Non 
k  I'esclamare  ma  il  ricorrere  lamentandosi  ad  alta  voce.  14)  Sbandunai;  non  e 
bandnnai  abbandonati,  ma  gente  fuori  del  proprio  paese,  esule.  15)  (iiaminec 
travagliarsi,  laborare  lat.  Dicesi  per  proverbio  quando  s*e  finito  di  penare,  viene 
quella  col  ferro  da  segare,  cio6  la  morte;  quandi  ch'n  s'e  fin'td'  giaminee,  ra  vcn 
culla  da  'r /err  da  s'jee.  16)  Andiarao  adunque,  ^ya,  ergo,  ma  in  significato  rispet- 
toso.  17)  Cui  voce  ogK  quelli  vostri  occhi  quilli,  [ec]cu  i]lli.  Ogg  (il  nesso  ci^  ocfuli). 
18)  Vuteje;  voltateli,  je,  ji(nesso  Ij  pronom.  enclitico.  19)  An-vira  verso,  (in)verso. 


354  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Gesu  V6stir  fj6  mustr^nle  i)  ben  dopp  sta  vitta,  Vu\  ch'i  sji  tant  2) 
aiman'ha  3)  e  diisa  Madona  Mare  Maria.  F^ne  4)  degn  d'  lud^v' 
dlung  5)  Madona  Mare,  d^ne  forsa  ancuntra  6)  i  voce  anemiss  7). 
Cus^  sia. 

SOL    DEGHE    CUMANDAMENTOS. 

1.  Deo  so  su  Segnore  Deus  t6u,  non  d*as  antebonner  8)  atere 
Deus  a  mie. 

2.  Non  frastimare  9)  e  non   nominare   a-ssu  n6men   de    D^us 
invanu  10). 

3.  Amm^ntadi  de  santificare  sal  festas,  i  assun^ssisa")  duminiga. 

4.  Onora  a-ssu  babbu  ei  a-ssa  mama,  attaleschi")  bivas  meda 
tempus  i-ccustu  mundu. 

5.  Non  bocchire,  n^n  offendere  a  su  pr6ssimu. 

6.  Non  luxuriare  13). 

7.  Non  fagher  fura  m),  n^n  s'usura. 

8.  Non   fagher  farza   testimonzia  15),   nfen   narrer   faulas  16) 
murmurassiones. 

9.  Non  disizare  s'h6mine  17)  o  sa  ftmina  anzena  18). 
10.  Non  disizare  sa  robba  anzena. 


i)  Ostende  nobis  ilium.  2)  Tanto  set  siete,  quanto  sji.  3)  Aimannha  alia 
mano,  clemente,  ed  anche  umana.  4)  Fate  noi  degni,  5)  Sempre  ♦  de  longo  tem- 
pore. 6)  incontro,  contro.  In  t  cons.:  an.  7)  Anemis  neraici  Hnimici  lat.  qui  si 
6  vocalizzata  la  n.  -j-  per  la  sincope  di  e  od  f.  8)  Non  anteorrabi  -  p  x  p.  9)  Fra- 
^/iwa/r  blasphemare,  6wj/w<!*^  in  dial.  monf.  10)  Dicono  anche:  inbacu  forse,  inba- 
cuum.  11)  Al-meno.  a-ssu -nessi  metatesi  di  sine  lat.  12)  In  modo  -  dimodo-ch§  - 
ad-tales'Chi.  13)  In  sardo  ft  molto  piii  ben  detto  che  in  italiano,  non  fornicare. 
14^  Fura,  viira,  furto,  rubamento.  L'usura  h  un  furto,  in  Sardegna  piii  comune 
che  il  rubare.  15)  Nj:  nz.  testimonianza.  16)  Fiula:  favola,  bugia,/<Jw/ararM.- men- 
titore.  17)  Desiderare,  desiderio  disizu  desio.  18)  Aliena  lat.  Ij:  nz. 


PREGHIERE  POPOLARI  SARDE  ^55 

I  Desf  i)  Comandament  {Dialetto  Monferrino). 

1.  Ador^  Tfn  sul  Dio  e  'n  av^i  atar  2)  Dio  che  chille  a). 

2.  St^e  nent  4)  a  lumin^e  u  s6  nom  an  van,  n&  sTbit  zlfr^  ^) 
par  nent. 

3.  A  n'stte  laur^e  ant  ir  faste  cmandaje  6)  masmanient  7)  a  ra 
dm^nja. 

4.  Unur^e  s6  piire  e  so  m^re,  par  gb  8)  che  Nost  Sgnur  n  daga 
lunga  vitta  ant  ist  mund. 

5.  St^  nent  a  massee,  nb  avei  queja  9)  d'fte  dir  ma  a  n^iln. 

6.  Stee  nent  a  f^e  d'ghinade  lo-) 

7.  St^  nent  a  purt^e  via  ne  roba  n^  unur. 

8.  A  n'  st^e  di  fausitaa  d'ansin  nh  sparzifree  "),  ne  buzi^e, 

9.  A  n'stte  bram^e  om  0  dona  d'jatr. 

10.  Aurei  12)  ben  a  ttcc  cme  a  s^  m&ism  13)  nb  bramee  ra  cii, 
ir  tere,  ir  robe  d'jatr. 

COMANDAMENTI  DELLA  CHIESA. 
Sol  chimbe  (5)  prezettos  de-ssa  Santa  Eccleaia  14), 

Int^ndere  15)  a-ssa  missa  i-ssa  duminiga  e  i-ssas  ateras  dies  ^^) 
de  festa  -  Deunzare  i?)  i-ssu  barantinu  18) ;  astenn^resi  die  mandlgare 


I)  Z  -  C  intemo  fra  vocali  de^-em,  in  sardo  d^ghe,  deche.  2)  Av-^i :  hab-ere. 
E  tonico,  normalmente  ii,  atar  altro:  6  -  cons,  alt^r  lat.  3)  Chiel  in  dial.  piem.  * 
eccu-ille.  4)  Negazione  comune,  nent  e  nenta.  5.  N§  sCibito  giurare  per  niente^ 
spergiurare  u  di  posizione:  i,  subitt  dicono  a  Reggio.  Zirfee  jurare,  zirabacu  giuro 
pel  dio  Bacco.  6)  F&ste  cmandiije-j-  per  togliere  I'iato :  cmandiii  comandati,  cman* 
dd^j-e  comandate.  7)  Elisione  di  *  di  seconda  voc.  protonica.  8)  Qui  pernio  avrehbe 
il  senso  di  atfinchfe.  9)  Non  aver  desiderio  *  querja  (querere)  cherret  in  dialetto 
Sardo  log.  10)  Ghinade,  da  ghin:  majale,  porcherie.  u)  *  Expejenire,  epentesi 
di  r  *  expe  rjerare.  12)  Volere.  13)  Meism  medesimo,  e  masmamenl.  14)  Ei^t//sia 
qui  6  il  vocabolo  d'onore  perchd  il  comune  6  Cresia;  da  15  chiese  ebbe  liome  la 
citti  di  Iglesias,  15)  Itiiendere  in  dial.  log.  h  sempre  in  significato  di  nscoltare^ 
udire.  16)  Su  die  e  sa  die.  17)  Deunzare  jejunare  lat.  jejunium  ♦  zezunium  poscia 
deunzum  deunzu.  18)  Barantinu  6  voce  volgare  dai  40  giomi  cdresima  la  ecde* 
siastica. 

ArckMo  per  U  tradiaioni  popolaH  Vol.  XXIII.  |ft 


356  ARCHIVIO   PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

petta  i)  in  Chenabura  2)  e  in  Sapadu  -  Cuffess^resi  assumancu  3) 
una  bolta  i-ss'annu,  comunigaresi  a-ssa  Pasca  4)  Mazore  -  Non 
zelebrare  sos  cojos  5)  in  tempos  preubidos  -  Fagher  a-ssa  Cresias 
sas  s6Iitas  offertas   6). 

In  Dialetto   di  Carpeneto  d*Acqui. 

I  cumandament  dra  Gesia  sun  sinqv: 
Santt  7)  ra  messa  antr^ja  8),  titt  ir  dm^nje  9)  e  j-atirfastecmandaje. 
Zaztnee  10)  raquar^isma,  e  n' mang^  d'dgrass  Vanardlii)e  Sa- 

badl.  -  Cunsese  12)  almenu  'na  vota  Tann,  cumunichese  a  Pasqua  - 

A  n'  st^e  fee  ir  n6usse  ant  i  temp  pruiblj  -  Paghee  jr  decime  sgund 

ch'u  s'Ysa. 

LA  PREGHIERA  ALL'ANGELO  CUSTODE. 
Anghelu  'e  Deu  -  Cust6diu  13)  meu.   A  mie  dadu  Dae  Babbu- 

Deu  -  Custadie  (0  notte)  illumina  mie.  Tenta  u)  e  defende  -Chi  mMn- 

cumandu  i5)  a  tie. 

In  Dialetto  Carpenetese  (prima  del  1831). 

Angr*  i6)d'u  Signur  -  Chi  sii  17;  ir  me  prutitur  -  D^me  ^s)  ajitt  19). 
Dapartl't  -  An  paradis  20)  -  Amnemje  dricc. 


i)  Pelf  a  la  came  da  mangiare,  la  co//a,  pcpto  io  cuocio  in  gr.  sa  Carre  nel 
significato  generale  edanche  nell'ecclesiastico.  1)  Chenabura,  chendpura:  Venerdi. 
3)  Assumancu,  a-su-mancu,  a-(l)-meno.  4)  Le  feste  principali  son  ^^\XAPasca\ 
5)  Cojos:  conjiigia,  coju:  conjugium.  6)  Le  decime  furono  abolite  nel  1884.  Quindisi 
fanno  ora  semplici  offerte,  e  non  pagansi  piii  sas  degumas,  7)  Ascoltare,  intendere^ 
sentire,  gradazioni  diverse,  a  da  ^  protonico;  sar^e  serrare,  chiudere.  8)  Antreja 
(intrega  in  dial,  veneto)  Integra  lat.  9)  Dies  dominica,  d[o)m[e]nj(c)a.  19)  Jeju- 
nare  *  zezuna(r)d,  zazYn^.  11)  Vanardi  da  e  prot.  il  sabadi  ricorda  il  fr.  Samedi. 
12)  Elisione  di  f  *  cun(f)sfese,  in  Sardo  ff  invece  di  nf.  13)  Custode.  i4)Guarda, 
serba  ed  osserva  me.  Fagher  serva:  fare  guardia.  Ten lado re  gMdiX^m  posta  ad  un 
fondo  perche  non  vi  rubino.  15)  Incumindaresi  raccomandarsi  a  da  £'  protonico 
commendo.  (Risoluzione  palatale  di  C  f  consonante).  16)  Angr,  femm.  angra.  17)  Estis, 
siete.  18)  Da(te)mi.  19)  Aiuto.  20)  Menitemici  dritto,  senza  deviare.  feuna  para- 
frasi  del  latino:  Angele  Dei.  Qui  custos  es  mei.  Me  tibi  commissum  pietate 
super  nay  Hodie\  illumina  -  el  guberna.  Amen.  La  rima  aiuta  la  memoria  anche 
in  latino. 


■ifHimrVi«l|i^!V.|i'"'>>^f«*'  - 


PREGHIERE    POPOLARI    SARDE 


557 


Didascalie. 

Oltre  le  orazioni  giornaliere  in  chiesa  si  recitano  ad  alta  voce,  e 
con  una  certa  cantilena  facile,  e  monotona,  le  didascalie  della  fede^ 
piu  o  meno  lunghe  secondo  le  feste,  ed  i  luoghi. 

A  Carpeneto  d'Acqui  tali  didascalie  ora  sono  in  itnlinno.  La  piii 
comune  ^  detta  Vi-adoro  e  fra  i  fanciulli  serve  di  piu-tra  di  paraj^one 
per  indicare  le  cognizioni  acquistate :  Ta^  in-V  sai  manvh  it  vi-adoro. 
Taci  (dicono  essi  di  uno  sciatto,  ecc.)  non  sai  neppiire  il  vi-adoro. 

Anche  in  Sardegna  la  didascalia  che  qui  si  cita  per  la  i",  e  ri- 
cordata  nei  discorsi  famigliari.  Quando  un  tale  lamentandosi  esce 
nelF'espressione :  O  povero  mef  e  dice:  tristu  'e  me  sente  subito 
a  citare  il  resto  del  verso:  —  peccadore-comente  mUq/a  aalvare. 
fe  una  citazione  del  volgo  simile  a  quelle  dei  letterati  che  cominciano 
a  citare,  fra  compagni,  un  verso  di  Virgilio,  o  di  Di^nte,  e,  nella 
Camera  dei  Comuni  in  Inghilterra,  anche  qualche   vt^rso  d'Omero, 

La  memoria  di  queste  preci  imparate  in  comune,  ci  accompagna 
per  tutta  la  vita,  e  quando  meno  lo  pensiamo,  una  sola  parola  di 
esse,  ci  richiama  in  un  attimo  tutta  la  nostra  fanciullezza  I 

SU  SINNU  DE-SSA  SANTA  RUCHE. 
II  segno  delta  Santa  Croce. 

Tristu  'e  me,  peccadore  -  comente  m'ap'a  salvare? 
Si  no  i)  percuro  pessare  -  Cumb6nne'  2)  'na  duttrina? 
Salda  sia,  ladina  3)  -  La  let'  ogni  pizzinnu  4) 


i)  Anche  in  dialetti  continental!  pirchiree,    procurare  in   dial,    monferrino  - 
osservasi  questo  mutamento  di  prefisso. 

2)  Pensare;  n  assimilata  dalla  s  posteriore:  cosi  pessone  persona  -  Cumbdnnf^r 
componere  lat.  BxP-  -  In  dial  monf.  hastnarria :   pastinaca. 

3)  Latina,  facile,  scorrevole:  I'ha  ra  16nua  den  slaiinaja,  egli  ha   lingua  ben 
scorrevole:  a  noi,  il  contrario  di  latino,  e  /fn/fsc/i,  duro.     . 

4)  Lrarc  prenJere,  ^ prcJiendcrc  lat.  cioe  comprendere  Uct,  *  /r-rW,  contratto,  Hi. 


358  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Prinzipio  dae  su  slnnu  -  Arma  de-ssu  cristianu 
Cattolicu  romanu  -  Chena  custu  non  b'a'  luche  i). 
Mi  fatto  sa  santa  ruche  -  Issu  battigiadu  fronte, 
Pochi  2)  armadu  m'affronte  -  Sol  malos  pessam^ntos, 
Inimigos  tott'attentos  -  Po  mi  ikche'  cundennare. 
Mi  cherfa  3)  liberare  -  S'amabile  Sennore 
Bera  tuntana  'e  amore  -  Mi  liberet'  dae  s'ifferru. 
N6men  e  Babb-eternu  -  M'accanse'  4)  cussu  disku 
N6men  e  s'unicu  Vizu  5)  -  E  de-s'  Ispiritu  Santu 
Ca  mi  vura-ssu   6)  piantu  -  Cando  a-ssa  destra  m'&ni' 
Custu  Sinnu  cont^ni   7)  -  Tottu-ssa  divinitate, 
Unitate,  trinitate,  -  Passione  e  morte 
De  Gesu'  cruzificadu  -  Issa  ruche  ispiradu 
Po  tottu  nol  salvare  -  Amm^nne,  Ame'. 

TRADUZIONE. 

Tristo  a  me  peccatore  -  Come  mi  salver6?  (A  meno  che)  non  procuri  pensare  - 
(A)  stabllire  a  comporre  una  dottrina  -  Salda  sia  e  latina,  (facile)  Che  la  prenda, 
la  riceva,  ogni  fanciuUo  -  Principio  dal  segno  -  Arma  d'ogni  cristiano  -  Cattolico 
romano  -  Senza  la  quale  non  v'6  luce  -  Mi  faccio  la  santa  croce  -  Sul  battezzato 
fronte  -  Perchd  d'essa  armato  io  affronti  *  f  cattivi  pensieri  -  Nemici  sempre 
pronti  -  Per  farmi  condannare  -  Mi  voglia  liberare  -  L'amabile  Signore  -  Vera 
fontana  d'amore  -  Mi  liberi  daU'infemo  -  Nel  nome  del  Padre  etemo  -  Possa  ot- 


i)  Non  \*k  luce,  speranza. 

2)  Pochi  per  prochi  perche ;  i  ridotto  da  e  pro  quae,  A  Carpeneto  pirchi, 
pirchdr,  pircosa. 

3)  Voglia  *  quei-iial  da  querere  lat. :  a  Carpeneto  d'Acqui  queja,  voglia,  desi- 
derio.  Ifferru^  eterru :  infemu,  etemu,  assimilazione  di  n  causata  dalPerre  an- 
tecedente. 

4)  Accd,nse :  ottenga,  dallo  spagnuolo  alcanijar,  /  assimilata. 

5)  Vizu  filius;  VXF,  come  in  dial.  monf.  Stevo:  Stefano,  ed  anche  VXP, 
nvudy  nepos  lat. 

6)  I'ura  ruba  -  'Enii  invece  di  benit  viene. 

7)  Contiene,  raccoglie  tutto  ci6  che  riguarda  Dio  ecc. 


PREGHIERE  POPOLARI  SARDE  359 

tenere  questo  desiderio  -  Nel  nome  deirunico  figlio  -  E  dello  Spirito  Santo  -  Mi 
toglie,  mi  fura  al  pianto  -  Quando  alia  destra  mi  viene  -  Questo  segno  contiene 
-  tutta  la  divinity  -  UnitA,  Trinity  -  Passione  -  Morte  -  Di  GesCi  crocifisso  -  Sulla 
croce  spirato  -  per  salvarci  tutti  quanti  -  Amen,  amen. 

SA    DUTTRINA    PO   SOL   PIZZINNOS. 

A  donzi  i)  disimparMu  -  B'4  Dfeu  po  i'imparare  2) 
Po  chie  (si)  ch^re'  salvare  -  B'ita  avvisos,  intimas  3) 
Bettor  4)  cosa'  d'istima  -  Po  s'anima  battigiada 
A  D&u  resinnada  -  Po  f^che'  coraggiu  forte  5). 
Sa  prima  este  ssa  morte  -  No-no!  isthmus  drommidos  6) 
Po  m5rre'  semu'  naschidos  -  A  morte  depimus  b^nne(r) 
Tottu  si  d&t  7)  prevenner  -  A  tempu  de-ssi  salvare. 
Def>imus-abbandonare  -  Peccadu-i-malu  8)  fisciu. 
Ssa  die  ^ssu  giudisciu  -  Nol  ata  dare  cumbatta  9) 
In  campu  'e  G&su',  a  fatta  10)  -  Di&mul'  esse'  mandados, 
Tottu  sol  males  cuidos  ")  -  A  campu  t^den  la)  bessire 
Dognunu  tando  t^t'  bider  -  Peccados  fatto'  a-cua 
Dognunu  sa  culpa  sua  -  Giugh^-i-mmanu  «3)   legginde 
E  Deu  malelnde  -  T^t-esse'  i-ccussu  campu 


i)  D  serve  a  togliere  IMato;  onzi :  omnis. 

2)  Imparatu  k  I'uomo  che  ricevette  istruzione,  disimparaiu  6  IMndotto.  Impa- 
rare  vale  insegnare:  impcirami  sa  carrela,  indicarmi  la  via,  insegnami  la  strada. 

3)  Intlmazioni,  avvertimenti  dati  solennemente. 

4)  Battor,  quatuor  lat.  patru  in  lingua  rumena  pissares  in  tessalico,  Utiares 
in  greco  comune, 

5)  Per  darle,  per  farle  coraggio. 

6)  Metatesi  per  dormidos,  illusi  addormentati. 

7)  D6(ve)t  t^ve)t,  e  quindi  d€t  e  ted,  Debimxis,  depimus  ,    dobbiamo, 

8)  J  implicato  in  cj,  Ij  a  Siniscola  si  pronuncia  sc,  giudisciu,  visciu,  fisciu, 

9)  N6(b)is  a  nois  -  cumbatta,  affanno,  travaglio. 

10)  a /alt a  in  seguito,  dietro. 

11)  Cu^dos:  nascosti  -  a  ciia,  clam,  in  occulta,  in  cUai'm  grembo. 

12)  In  aperto,  alia  luce  meridiana  t6den(t)  metatesi  devent. 

13)  Giughet :  porta,  ducit  lat.  ♦  djucit,  giucit,  giughit  -  riflesso  di  dj  seriore; 
A  Reggio  Em.  jamant  diamante,yazW:  diavolo. 


■p^ 


S-  z^-rjL  -    e  r2r3:">u  -  B:  trie'  jr.-iire  s...  Gijstrs 
A;  s.  '2    t  r^-  3  sa  ^rrstrj  -  Pc  ijc'z-'  fc>t2  s.!  !>  n-rs 


parte  ie:  r^'^re. 

2  ^  ^-:r«r  -  »  5  '"are  ^^*tates:.  *  c:vjire  cavjje,  evicuire. 

3  ! sp arp ;r_are  :  sr r  1 77.1  re.    s^ar^ere  •   tspan^iruarTe,   Per^^.'^e    rs  :  ss     assiBi- 
Uii'.'-jt  pr/?ress:va  -  Pers.?ne.  n.  o'iettvo  i>;=i:n:,  A: ore,  faLncruj:  ecc 

+;  Lr,  l-e^u:  Jel  Z?  fra  iie  v>:al:-Ma:e:rm  iBaietiictiis,  ■fcj.Vt^%<-r^  BjJedkere  - 
Bewfittu  ber.«d:ctus.  b^m^ri^h^rtr  beiiedicere. 

5.  ln^t.rrru  -  In  aeternuni  -  .^-^r-mi  infemica  R*N :  RR. 

6.  Gustos :  piaceri :  o-w/  r*-'-J  -ti  Spag. :  a  Me  pUce. 

7  /V.V« :  pencoio.  danno  -  spagiu 

8  Scrzxd-u  guariato.  battuto  *:iD  ad  ora  fi^hrr  s^rvsi^  guanlare,  cnstodire, 

9  ASrr:?3?:ia,   aa:5g:ia     a3:cras    -   aa:ggere,   cosi   eU^idn  eiectus,  /<gTrf« 
lectos  da  te^^ere. 

10  ^ijr.'M :  camera  -  la  ^aarta  parte  deli?  spazio  di  on  antkacasa  romana 
qoadrata  c:>e  una  delle  4  camere  ^ii^  ne  risultano  -  Qiiartiere, 

i:    Ai  .'•*r.''7f :  benedett:  costoro  -  .-Ir  pr*:^r..>me  encl:t:co:  ilrr-'-tf   tmi-,  povero 
w^,  in  d:aL  Monf.  | 

12  A-.   4cncrju3er.te  ^^uani-j  s:  tratta  d:  ur.j  solo,  -iJ.A  vjaando  si  tratta  di  1 

BOtti. 

13  .f  *'  rrtr^,  Lat-  aperire  -^^  '/a.  j  ^'.V  .  part,  pass.  In  d:a'.  Monfemno  drubi  » 
aper:  :us  e  iLiert  rapercj:  alTirnn:::-  pre>fn:e. 

i^    A'i:^h^: -:,  ^x..  per  la  nraa  e  n^rj  ar-^hel.s. 
li.  L.   u.r..^.ij,.   '•;  a/.j-i  ..•  vi  var.nj. 


PREGHIERE  POPOLARl  SARDE  361 

Sa  Virgine  Maria-Chin  pandela  i)  'e  Vittoria, 
Cristo'-in-mesu  'e  sa  gloria  -  Su  mundu  este  inserradu  2) 
A  donzi  disimparatu  -  B'^  Deu  po  I'imparare. 


TRADUZIONE. 

La  dottrina  pel  fanciulli. 

Per  ogni  ignaro  -  V'ha  Dio  per  insegnargli  -  Per  chi  si  vuole  i)  salvare  - 
VTia  avvisi,  e  avvertenze  -  Quattro  a)  son  le  cose  importanti  -  Per  anima  battez- 
zata  -  In  Dio  rassegnata  -  Per  farle  coraggio  forte.  La  prima  6  la  morte  -  3)  Af- 
finch^  non  istiamo  incauti,  come  addormentati  -  a)  Per  morire  noi  siamo  nati  - 
Alia  morte  dobbiamo  venire.  Tutto  si  deve  pre  venire  -  (Per  essere)  in  tempo  dl 
salvarsi  -  Dobbiamo  (pertanto  ora)  abbandonare  -  II  peccato  ed  ogni  malo  vizio  - 
5)  II  giomo  del  giudizio  -  Ci  dara  grandi  affanni  6).  in  aperto,  di  Gesu  a  richiesta 

-  Dovremo  essere  mandati  7)  -  Tutti  i  mali  (i  peccati  segreti)  -  In  aperto  8)  deb- 
bono  uscire.  Allora  ognuno  deve  vedere  9)-  I  peccati  suoi  (e  degli  altri)  fatti  in 
segreto.  Ognuno  la  colpa  sua  (i  suoi  falli)  -  Porta  in  mano  leggendo  10).  e  Dio 
maledicendo  -  Deve  presentarsi  in  quel  luogo.  Cristo  dal  costato  sinistro  ")-  II 
sangue  si  deve  cavare  ").  E  lo  deve  spargere  -  Sopra  qualunque  (in  vita)  fu 
ostinato  a  non  fare  ammenda  -  (E  dirA)  Maledetto  0  peccatore  -  Sia  tu  dal  sangue 
mio  •  Maledetto  da  Dio  -  Perchd  m'hai  disprezzato  -  (Sia  tu  da  me)  maledetto  e 
condannato  13).  -  In  etemo  -  Tristo  bruciando  starai  nellMnfemo  14).  In  quel 
fuoco  profondo  -  Dai  godimenti  del  mondo  -  Passi  ad  eterno  travaglio  -  Esci  di 
quA  -  e  fatti  a  prendere  (a  seguitare)  -  II  cammino  finora  seguitato.  -  Vattene 
solo  e  afflitto  -  Senz'ordine  e  permesso  -  Nei  quartieri,  nelle  camere  del  Paradiso 

-  Vi  devono  andare  soltanto  i  giusti  -  Benedetti  questi  (ultimi)  siano  dalla  mia 
mano  destra  -  OrsU  venite  tutti  alia  lesta  -  A  far  festose  accoglienze  ai  buoni  - 
Con  musica  e  suoni  -  Si  devono  aprire  i  cieli  -  Santi,  sante  e  angeli  -  Vi  vanno 
in  compagnia  -  La  Vergine  Maria  -  (V^)  colla  bandiera  di  vittoria  -  Cristo  (sarA) 
in  mezzo  alia  gloria  -  il  mondo  6  chiuso  -  A  qualunque  ignaro  -  V'e  sempre  Dio 
per  insegnargli  la  fede. 


1)  B  P.  Pandela,  bandela,  bandiera;  a  S.  Pietro  al  Natisone  gli  slavi-italici, 
<iicono  pandero  drai  farbe  lepi,  il  nostro  tricolore. 

2)  Inserradu  6  ridotto  ad  un  ritiro,   ad  una    divisione   fra   buoni   e   cattivi. 


362  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Gosos,  0  inni  sacri. 

Fra  tanti,  scelgo  due  soli  gosoa,  nei  quali  parmi  si  manifestino 
le  idee  del  popoio  piu  che  in  altri;  e  vi  aggiungo  una  Canthone 
desBa  chida  santa  =  della  Settimana  Santa,  che  pur  non  cantandosi 
in  coro,  viene  soltanto  nella  settimana  di  Passione  ripetuta,  ed  ha 
quindi  stretta  attinenza  colla  principale  delle  feste  ecclesiastiche. 

GOSU  DE-SSA  REINA  'E  SU  ROSARIU. 
IN    SINISCOLA. 

(Inno  alia  Madonna  del  Boaario). 

'Omines  (uomini,  confratelli) 
Bonal  dies  Reina  i); 
Mama  'e-ssu  Paradisu  2), 
Sol  devottos  de  s'uffisu  3) 
Benin'  po  Bol  visitare  4)  ; 
Si  pot^mas  accansare  5) 
A-ssa  morte  sa  grorta  6) 
Chi-ttottu-ssa  cuffraria  7) 
Chena  cuddos  apponente  (s)  «) 
Mama  'e  s'Onnipotente  9). 


t)  Buoni  giomi,  saluto  volgare.  2)  Madre  del  Paradise,  cio6  delle  3  persone 
e  detia  TnnitA,  ma  specialmente  di  Gesii  Cristo  che  iassti  regna.  3)  La  rima 
vaole  cosi,  ma  a  Siniscola  il  cj  lat.  diventa  sc  -  uffisciu  officium.  -  4)  Benin* 
vengono  bettini  -  Si  poiemas  accansare  -  Le  possiamo  ottenere  letteralmente,  ma 
qui:  Dio  volesse  che  ottenessimo.  Dalla  persona  3*  passa  alia  i»plur.  -  6)  Groria 
per  la  rima.  -  7)  La  confratemita,  cunfraria,  -  8)  Gli  appmtentes  sono  per  cosi 
dire  gH  ospiranti,  gli  aggiunti.  -  9)  Onnipotente  §  vocabolo  letterario,  tottu  pode- 
raiu  ^  j]  volgare. 


PREGHIERE  POPOLARI  SARDE  363 

DE  SAL  GRASCIAL  REFINAi)  BONAL  DIES  REINA. 

Sorres  (consorelle) 
Ah  Missegnora  2)  (nostra)  Soberana 
De  sol  peccados  Bos  peto  peldonu 
A-ssu  divinu  tronu  zelestiaFe 
Bol  chi  dad^'  saludu  a  sol  mortaJe  (s) 
Azil  dadu  a-ssu  mundu  amparu-i-ghia  3) 
Aunitas  chin  tottu  trel  Maria  (s)  4) 
De-ssa  Reina  i-ssu  divinu  Mantu  5) 
Bos  ad5rata  s' Ispiritu-ssantu 
Chin  tottu  s'arta  Corte  Zelestiale 
Reina  de-ssu  chelu  imperiale  6) 
Bos  ad6rana  ist&llasa  ei  diana  (s)  7) 
Ah  Missegnora  nostra  Soberana. 

PO   PEDIRE   S'ABBA. 

{Per   invocare   la    pioggia), 

I.  O  suprema  magestate, 

Abbrandate  8)-a-ssu  rlgore; 

Dadenosabba  9)  Segnore   /  .^  , 

.^  ^  RitorneUo 

I-accusta  nezessitate.  \ 


1)  Refina  de  sal  grascias.  Qui  si  vede  il  sardo  che  adopera  spesso  lo 
schioppo.  Refinu  e  la  polvere  pirica  piu  scelta:  la  Madonna  sarebbe  met.  la  pol- 
vere  pid  fina  che  fa  colpire,  ottenere  ie  grazie.  2)  Missegnora  -  mia  Signora,  Ma- 
donna -  mea  domina.  Saludu  h  il  buono  stato  di  salute.  -  3)  Amparu  -  difesa  e 
schermo  -  ghia,  guida,  duce.  -  4)  Aunita,  raccolta,  riunita.  -  5)  Voi  date  difesa  col 
nome,  nel  nome  delle  3  Marie  della  passione,  raccolte  sotto  il  manto  di  madonna 
del  Rosario»  -  6)  L'alta  Corte  h  celestiale,  il  cielo  k  imperiale.  -  7)  Vi  adoravano 
le  stelle  tutte,  e  Ie  piCi  brillanti  come  stella  Diana,  cio^  le  Diane.  8)  Mitigate,  dal 
lat.  blandior.  -  9)  Dateci  pioggia  -  Abba  h  acqua  in  gen.  non  k  comune  il  vocabolo 
proja  che  a  Bitti  indica  la  pioggia,  I'acqua  piovana.  Cos!  in  Monferrato  eua  vale 
anche  pioggia,  raramente  s'usa  il  vocabolo  piova,  che  6  anche  in  Dante. 

Archivio  per  le  trcuiiMioni  popolari  Vol.  XXIII.  46 


^'wm 


[si- "j-  r2  J  i  ..' .  5  . 

4-  Cri"  ::rerj:c5  n^r.-s  . 

Tenes  pjir.c  p.-  >«:*.  rrior:  st  ==•, 
A  vsAs  ^.  esse'  Cr>:i3n:  s*  i:» 


I  Granr.esa.  ^ar.iczza  3ss'3i::az::-:ie  nJ  :  n:i.  -  2  F^a^usa  lebolezza.  fragility 
ia  fra-r^ere  part::^:'^  fractus.  -  5  (:'*^i.  ed  v  V  Lit.  lnd*yz-a  a  Reg?:o,  and'im-ua  a 
Ca-T^n^to  J'Ac-rJ^  -  4  S.  Gio%'ann:  e  :l  sarto  piu  venerato  'r.  Sardegna  e  sole 
!um:R^/Vi.  Iu::lo,  I'jstr:>.  -  5  Rz'u  e  fuL-nine  c  ra^ico.  Oiss.'aJ  nszss  come 
ru:;:':taI:aro  mes^  da  men  sis  :  fenonier.o  che  :n  Skrt  •  e  deno  S^nihi.  6)  JfassajN 
:.F*)*aino  na:o  s-:!a  terra  JelLi  ^5;e^a.  detta  •/Ji.j.-n  Piem-^rite  masu^,  in  Monf. 
ffui^nd  f3n::ull;  tv}\  Jei^I:  agr.cjltvri  min^r:.  -  -  Su  . j  >rrf'  e  insieme  il  campi* 
lavorato  e  la  sementr  -n  e^so  depvjsta.  A^^a  a  sos  laores!  dtcono  i  contadini 
iarante  la  sic:ita:  Acr^a- F'-'-^^^a  ai  camri.  o  Sign  ire.  -  S  AV.'/jrf  gettare  jil  mon- 
fiirrino  ^r///'^-  e  '/r.v/'.  mitttrre  lat.  e  seininare:  /rr^v  *c::a:  tin  ^fartu.  Hon  lu 
m^i.a-  nrtii,  grano  seni:nat^>  in  Marz"  non  lo  mietere  non  potrarmieterlo)  alto. 
9  TurC'is  son  luelli  che  non  cred-jno  in  Gesii  Crista.  -  ic  Moros :  gli  Algerini. 
in*  :h:  nemi:i  Jei  Sari:  :he  hanno  nello  stemma  le  teste  dei  Mori.  -  11 »  A  noi 
\,"X  ^jss'rre  :ristiani,  appunto  perche  siamo  tali,  usi  tanta  cruJelta? 


PKEGHIERE  POPOLARI  SARDE 

5.  Abba,  D^us,  dimandamu(s) 
Babbu  (nostru)  abba  ped)mu(s) 
E  po  s'abba  pranghimu(s)  i) 
E  po  s'abba  suspiramu(s)  ' 
S'abba  Santa  isettamu(s)  2) 
La, terra  a  fertilizzare ! 
Reina  nostra  Segnora, 

6.  Mama  d'onzi  affriggitu  3), 
Nessi  favorej  pedite  4), 

Siazis   5)  como  interzessora, 
Inteponite  6)  cust'ora 
Sa  bostra  auctoritate! 

7.  Babb'eternu  Soberanu, 
Reboccate  7)  sa  sentenzia,   ' 
Dadenol  po  cremenzia, 
A-ssu  pane  cotidianu  8) 
A-ssu  pobulu  cristianu 

Sol  f:ivores  'ostro'  imbiade. 

CANTHONE  DE-SSA  CHIDA  SANTA. 
(Canto  delta  aettimana  santa). 

I.  Discurrite  9)  issa  morte  e  'ssa  Pa^sione 
de  comente  ana  fattu  assu  Messia 
chin  cat^nasa  musas-i-brillones  10), 


iT  Piangiamo,  (YxL),  invochiamo  piangendo-  Der6  ^in,., 
.  L'acua  santa.  celeste.  ..aco.osa  aspe^t.^J  ."Ira  Li;:  r?" '  ' 
sonanti  expectare  ,s-t)  ,  caduto  per  alleggerire  ii  grave  nesso  '1  ,  '""" 
rino  «,..V.  aspettare.  -  3,  Affnggitu  .adflictus,  epentTsi  T  ^cl  ^  T"'"" 
nesso  ct.  -  .,  ...eno  u„  ..ore  Cedete.  .>„.•  alre^'alr  :^'  .^ 
Spanoscnve  che  e  metatesi  di  une  -  5)  Sidzis  siat^    o-    ,  .  "eLcejsse.   lo 

sente;  ...  .  d.a,  cag..anta„o,  .a^./L  gaZrer:  1  e^r  fr"''  "^- 
.)    in  guest'ora,  proprio  ora.  -  .)  Rivocate  ,BxU,.  -  8)  A-Ju  pan!  ''"' 

non  indica  il  dativo,  ma  evita  la  prx>nuncia  dell'esse  impura  -oJCnnc'-n  T'  ""  " 
detevi  in  ragionaredella morte  e  de.lapassione.  -  ro)  .^,uas,  mJnen^rl  ,'  **°"" 
Brillones  briglie,    legami  in  generate  ""e"e.Ct,eeufeniismo! 


366  ARCHIVIO   PER    LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

cando  chi  sol  Zudeos  lu  giuchiana  i), 
isprico  2)  e  bi  lu  narro  in  avrissione, 
incravatu  3)  ^ssu  Vizu  de  Maria. 
Cando  chi  sol  zudtos,  ecc. 

2.  Gesu'  su  Lazzarenu  4)  elte  incravatu 
salias,  boffeyitas-a  a  rezzitu  5), 

su  Vizu  de  Maria  immacolata 
puru  po  mie  i-ssa  ruche  a  patitu; 
pultis  ch'isttei'  mortu  e  sepultatu  6) 
sa  terza  die  triuffande  7)  el  bessU'u, 
cantende  s'alleluja  e-i  sa  groria. 
Cando,  ecc. 

3.  Chilcande  »)  vi    Reina   de-ssu  chelu 
infattu  9}  'e  sal  Cres^as  i  sal  ruche  (s) 


i)  Juchiana  (ducebant)  juchere,  ducere  lat.  deo  iuto  io  conduco  (ducto)  juiesi 
duxi  juUre,  d\icerem,ju/ende,  ducendo  -  2)  Spiego  il  inio  detto,  ixplico,  espongo 
i  e  da  protonico  -  e  lo  dico  in  afflizione.  -  3)  Incravatu,  inchiodato,  da  clavus  - 
LxR.  -  4)  Lazzarenu  per  Nazzarenu  L  :  N  iniziale  come  awiene  ^nche  a  Reggio. 
Luch^in,  tela  di  Nanchino;/fl/f^/i  fandonie.  -  5)  saFtas  sputi,  dileguo  di  v.  cosi 
olias  olive,  bias  part.  vive.  —  Boffetadas,  schiaffi,  dallo  spagnuolo  abbofetar 
schiaffeggiare  —  Rezzitu,  receptus  lat.  reci(pe)re  -  6)  Istesit,  stette,  fu;  sepultadu 
sepolto,  dal  frequentative  lat.  sepelitare,  -  7)  Triuffande  nf :  ff.  cioe  n  assorbito 
dalla  susseguente/.  -  Bessitu,  dal  lat.  exire.  -  b  eufonico  e  concresciuto  -  8)  Cer- 
cando  va  il  figlio  (sta  cercando  il  figlio)  la  Regina  del  cielo,  dietro  tutte  lechiese 
e  tutte  le  croci ;  anacronismo  che  sigilla  ed  autentica  la  popolarit^  del  canto.  Vi 
chircan<U  fu  cercando,  ma  qui  h  presente  storico.  Vi :  fi  :  fit :  fuit  perfetto,  per 
rimperfetto.  9)  Infattu,  dietro,  dopo,  in  segui to,  avatu  a  Cagliari.  -  La  Madonna, 
ossia  la  statua  del  la  Madonna,  dopo  la  risurrezione  viene  portata  da  una  chiesa 
airaltra  (nelle  citta  di  Sassari,  Cagliari,  Nuoro,  Tempio,  Iglesias)  come  se  andasse 
cercando  il  figlio  che  non  trova  piiisullacroce:  ora  la  Rappresentazione  sacra  e  routa, 
ma  in  antico  dovette  esservi  un  dialogo,  ad  esso  accenna  il  canto  sacro  della 
Passione  di  GesCi  Cristo  nell'alto  Monferrato. 

Ra  Madona  si  nan  va  par  s6i  cammin 
Ra  va  ;irch6e  u  so  car  fji6  — 
Ant  ir  primm  ca  si  riscuntra 
Riscuntra  san  Zuan  Batista  — 


PREGHIERE  POPOLARI  SARDE  367 

Zuseppe  e  Nicol^mu  i)  po  su  zelu 
acchiratu  2)  nche  Tan  dae  sa  ruche 
ei-ssa  mama  h  rejone   3)  chi  tucch^ 
chilcande  a  vizu  chi  perditu  aia'. 

Cando,  ecc. 

4.  Sa  mama  de  chilcare  vi  resorta  4), 
SI  su  Vizu  potiad*  accattare  5). 
Tando  su  Babbeternu  6)  Taccunorta 
<  caglia  Maria,  dassa  s'attitare  » 
innantis  7)  fachen'  ssu  Tollite  portaa, 
pultis  si  biden  sal  caras  a-ppare, 
ca  sa  pandela  eltr-  'e  vittoria. 

Cando,  ecc. 


San  Zuan  Batista,  San  Zuan  Batista 

Av6i  avdt  if  me  car  fji6? 

—  SI,  si,  ca  ITio'  vIdT 

An  mez7  a  dui  ladrun  tTtt  fiagilUa 

Ra  testa  cun  ir  spin'ni  ancurunila 
A  Monteleone  dv  Calabria  i  portatori  delle  due  statue  della  Madonna  e  di  S.  Gio- 
vanni, fanno  che  esse  si  tocchino  co!  capo.  -  i)  Nicolerau  -  D  digradato  a  L  come 
nell'italiano  cica/a  dal  lat.  cicada.  In  dial,  monferrino  Nicodemo  diventa  Nicuremo 
e  cicada  lat.  ^iara  come  a  Napoli  Madonna  diviene  Maronna  -  2)  Acchiratu  calato, 
fatto  venire  al  ciglio,  a  terra,  vocabolo  marinaresco  ♦  ad-ciljare.  -  3)  ^^  rejone,  ha 
motivo  di  correre  tuccare  in  questo  caso.  In  dialetto  monf.  diciamo  tucch^  sulta  per 
significare,  correre,  non  perdere  un  minuto  di  tempo  -  4)  Resorta  risoluta,  da  resdt- 
vere  e  res6rvere.  -  5)  Se  il  figlio  poteva  trovare,  rintracciare  *  ad-captare,  agatare, 
acatare,  caidr  nello  stesso  signiticato  a  Reggio  Emilia:  in  Monferrato  catiex  com- 
prare  -  6)  Allora  il  Padre  Etemo  la  conforta;  accunortare  -  da  ad-^um-kortor ,  N  eu- 
fonico  ad  impedire  I'jato  di  h.  Anche  qui  si  accenna  a  rappresentazione  sacra.  Caglia 
(taci)  e  cessa  di  fare  il  compianto  :  su-attitare,  su  attitlu  al  morto  figlio  perch^  fra 
poco  lo  vedrai  risorgere.  Dassa  per  lassa  DxL.  -  7)  II  poeta  popolare  qui  ^k  come  il 
riassunto  della  Rappresentazione.  Prima  (innantiS)  fanno  il  tollite  portas,  cioe  aprite, 
alzate  le  porte  della  cittA  -  erano  alia  saracinesca  e  si  alzavano  le  porte  allora  -  Pultis, 
pusiis^post,  dopo,  si  vedono  le  due  cere,  le  due  faccie.  Tuna  coll'altra,  viso  con  viso, 
perchd  ormai  la  bandiera  di  G.  Cristo  h  quella  di  vittoria.  II  poeta  narra  tutte  lefasi 
della  Rappresentazione  (sia  che  si  faccia,  sia  che  no)  come  la  medesima  era  nella 
mente  e  nella  fantasia  di  chi  I'aveva  vista  intera. 


368  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

5.Sa  Sinagoga  lo'  a  fattu  sol  oao(s), 
po  incravare  a  Cristos  soberanu ; 
si  asubra  custa  faltu  lu  dassao 
meta  tia  ease'  main  cristianu  i). 
Como  lu  tene'  a-ssupote?e  i-mmanu 
como  ressussitadu  .^-ssu  Messia. 

Cando,  ecc. 

6.  Cando  ressussit^  -id'  i-ssu  mundu  ») 
meta  a'ssol  chelos  los  ata  tuccatu, 

e-i  sol  malos  los  ata  i-pprofundu, 
intro  'e  s'lfferru  los  ^ta  ausentado-s  3) 
comente  s'ainu  4)  lu  piccaini  1-ttundu 
t  como  ruint  5)  i-tterra  dimoniato-s, 

e  Gesu  cumbertire  lis  cheria'. 
Cando,  ecc. 

7.  Isse  cherta'  a  tottu  cumbertire, 
e  non  si  nde  cheria  fache'  Re  6). 

A  natu  7)  Missa  antis  dispidire 
subra  s'astare  de  Gerusale  (m). 


i)  La  Sinagoga,  ciofe  gli  ebrei  hannafatto  i  chiodi  -  Se  sopra  questo  fatto  lo  la- 
sciavo,  dimenticavo  il  racconto,  meta  (raeda)  molto  sarei  un  cattivo  cristiano  (multum 
deberem  essere)  Eo  deppo  essere,  eo  dia  essere,  tia  per  dia  (TxD)  io  sarei.  - 
2)  Quando  egli  risuscit6  nel  mondo  cioe  davvero,  e  non  per  figura  come  oggidi. 
molti  (meda)  al  cieio  li  ha  guidati,  fatti  andare.  -  3)  Ausentados  allontanati,  fatti 
assenti,  lontani,  ausentar  spagn.  -  4)  Ainu  asino,  dileguo  di  S.  Quasi  dappertutto 
per6  I'asino  dal  far  girare  la  macina  del  molino,  e  detto:  su  molenle.  Lo  picchiavano 
in  tondo,  da  tutte  le  parti.  -  5)  Ora  cadono  irtiint,  rtiinti,  niini  da  ruer  cadere)  in 
terra  indemoniati.  -  6)  Li  voleva  tutti  convertire,  dice  il  poeta,  non  gi^  che  si  vo- 
lesse  far  Re,  come  dicevano  gli  Ebrei.  -  71  A'7iah4  ha  detto  messa,  dntis  dispidire 
prima  di  partire,  sopra  I'altare  (della  chiesa)  di  Gerusalemme.  dice  il  poeta,  commet- 
tendo  altro  grosso  anacronismo.  5^  dispidida  la  partenza,  expeditia  il  rauovere 
dei  piedi  verso  un  luogo. 


PREGHIERE   POPOLARI   SARDE  »  369 

Tando  i)  po  Tispricare  non  si  ere' 
sol  stremos  2)  malos  i  sono-s  chi  b'a^a' 
Cando,  ecc. 

8.  T6IIite  portas  'e  Prinzipe  Beste  3), 
non  prus  terrenas,  jannas  eternale-s. 
Cando  4)  a-ssa  janna  Tan'  abbertu  lestru  5) 
b^ssini  sol  zud^os  6)  i-ffernales. 

'Rode,  Pilatu,  Zuda,  milii  pesta-s, 
tottu  chin  cuddas  boches  7)  'e  animale-s 
tottu  che  a  perru  8)  Cristo'  riscutia-na. 
Cando,  ecc. 

9.  Ei  sa  mama  pranghende  e  affliggita 
chin  sospiros  a  lacrimas  terrama'  9) 

1)  Allora,  non  si  crede  sufficiente  a  spiegarvi  (qualunque  cosa  io  dicessi)  le  cat- 
tive  parolaccie,  i  rumori,  gli  urli,  che  c'erano,  che  sisentivano.  llpoeta  non  ha  ancora 
lasciata  la  Rappresentazione  sacra;  egli  riporta  questi  due  versi  non  gia  a  quando 
GesQ  disse  messa,  cioe  a  quando  use)  dalla  casa  0  tribunale  di  Pilato,  ma  bensi  a 
quando  vj  entrd!  2)  Stremos  malos,  adesso  significa  gesti  sconci,  incomposti,  ma  il 
vocaboio  deriva  da  terminus  e  valeva  motti  incomposti  -  siremniir  al  vin  ins  la  tdvla 
spargere  mettere  il  vino  fuori  dei  termini.  A  Reggio  Emilia.  -  3)  Attollite  portas 
principis  vestri,  alzate  le  porte  del  vostro  principe,  apritele,  sollevatele:  il  testo 
latino  e  recitato  secondola  pronunzia  e  la  dottrina  del  cantore  -  Ora  non  sono  piii 
porte  di  questo  mondo,  ma  porte  del  cielo,  eterne.  -  4)  Quando  qui  ha  il  significato 
di :  non  appena.  5)  Abbertu  apertus  lat.  da  aberrer  aperior.  -  Lestru  prestamente. 
alia  lesta-  epentesi  di  r.  In  dialetto  monf.  dicesi  talora  in  ventrass  un  ventaccio  - 
6)  Ad  indicare  la  confusione  dei  nemici  di  Gesii  egli  mette  tutti  a  mazzo,  giudei, 
greci,  romani,  mille  pesti,  raille  canaglie.  -  Rode  -  Ve  atono  e  caduta-  Ziida  era  im- 
piccato,  ma  il  poeta  Io  fa  companre  lo  stesso.  -  7I  Tutti  con  quelle  voci  di  animali.  I 
personaggi  che  rappresentavano  gli  attori  del  dramma  sacro  a  cui  allude  il  poeta. 
non  facevamo  ne*  piu  ne*  meno  di  quel  che  fanno  a  Carpeneto  d^Acqui  i  ragazzi 
la  sera  del  Giovedi  Santo.  Quando  la  chiesa  ricorda  la  condanna  di  Gesii  e  spegne 
i  lumi.  i  ragazzi  con  raganelle,  con  pietre  che  battono  sui  banchi  della  chiesa,  con 
urli  e  t'cwrif/'an/wa/i  raffigurano  la  scena  della  flagellazione.  8)  Tutti  percotevano 
G.  C.  come  un  cane.  Isciitere,  iscndere  bastonare,  frustare  con  srutica  sferza  di 
cuoio,  0  di  corda.  -  9)  La  Madonna,  piangente  ed  afflitta  'ajjligjs^ita,  alTrigorUa 
epentesi  di  g,  che  sostituisce  gl.  ed  evita  la  durezza  della  pronunzia  del  nesso)  -  Ter- 


^jO  ARCHrVIO  PER   LE  TRADIZIONf   POPOLARI 

«  trint'annol  e  bistatu  i-ccusta  vita 
«  obbedinde  a-ssu  bahbu  ei  a-ssa  mama  * 
prima  duminiga  elte  de-ssa  pramma  x) 
pustis  a  sa  otto  pasca  de  alligria. 
Cando,  ecc. 

la  Zuda  »),a  DeuMlngannu  bi  Ta  giutu, 
e  po  trinta  dinaris  Ta  traitu ; 
lie  tres'uttios  'e  sambene  vi  rutu  3) 
a  tres  funtos  de  'ide  b'a  naschUu  4) ; 
custos  sunu  vionto'  dende  frutu  5), 
gai  samben'  i-ssu  vinu  cuwertitu, 
su  corpu'  ostia  sacrata  Ecarestia. 

Cando,  ecc. 


rama  da  Urra-meare  a  terra,  fino  a  terra  versare  (to  spagnuolo  mcare  versare 
nrinai.  Mentre  la  condanna  diG.C.  k  pronunziata,  ossia  mentre  si  fanno  i  rumori  in- 
fe^nali  accennati,  a  Carpeneto  d'Acqui,  si  porta  in  chiesa  e  si  espone  ra  madonna 
ilir  s.ftu  cullinda  la  Madonna  delle  sette  coltellate,  la  addolorata.  In  Sardegna 
!>^mbra  che  la  mamma  pigliasse  le  difese  del  flglio:  trent'anni  (sono  33)  b  stato 
»Mstatu)  in  questa  vita  -  obbedendo  al  padre  ed  alia  madre. 

t)  Metatesi  -(palma)  che  raddoppia  Vm  finale  -  La  i»  domenica  della  Pasqua 
k  qtiella  delle  Palme  -  Dopo  8  giorni  6  Pasqua  di  Risurrezione.  -  2)  Giuda, 
Tineanno  a  Dio  Tha  fatto  da^  juchere  diicerc  e  ductiiare  lat.  e  per  30  denari 
I  "ha  tradito.  -  3)  IJe,  dove,  ubi  ube  -  Uttios,  bdttios  gocciole  *  gutticulos  -  Vi  rutu 
per  fini  ruios  furono  cadute,  sing,  pel  plurale,  da  ruere  -  4)  Tre  pedali  d'alberi  ^i 
vite  v'e  nato,  vi  sono  nati.  Fundu  k  pedale  d'albero,  albero  in  gen.  putmtfi  -  6s 
fondamento  in  gr.  budhna  in  sanscrito///,^;/;^//  in  lat.  il  che  ricorda  le  case  delle 
l^titafitte  e  il  fundare  lat.  LMmmagine  del  far  nascere  le  piante  utili  ed  aroma- 
liclie  e  medicinali  dove  awenne  qualche  fatto  tragico,  k  di  provenienza  orientate. 
Dii:tmo  gli  Arabi  che  le  lagrime  di  Davide  dopo  la  mor^e  del  primo  figlio  avuto  da 
lit*rsiibea  diventarono  piante  d'assenzio.  NaschUu,  germogliato,  nascor  lat.  - 
5)  Questi  tre  pedali  di  vite  son  fioriti  dando  frutto.  Cosi  il  sangue  di  G.  Cristo  fu 
conv^rtito  in  vino  -  (nv :  w  per  assimilazione  progressiva)  e  il  corpo  suo.  ostia 
consacrata,  cioe  a  Eucarestia. 


PREGHIERE  POPOLARl  SARDE  371 

II.  Finamente  i)  sal  petrasvi'pranghendea) 
chiumares,  i  marinas,  i  muntagnas 
cando  zudeos  Tistain'  azzottende  3), 
a  nudas  palas,  brente  e  sas  intragnas. 
Ghettatu  Tana  in  tuju  ssa  collana 
I 'an  tentu  4)  i-ss'ortu  de  Gessemania, 
tando  vi  sol  Zudeos  5)  lu  giuchiana, 
Como  giuch'isse  pandela  'e  groria! 


i)  Qu\  ha  il  significato  di  perjino.  -  a)  Stavano  (erano)  piangendo  con  mari, 
marine,  luoghi  adiacenti  al  mare,  cio^  pianure,  e  montagne  -  3)  Quando  i  Giudei  lo 
stavano  frustando  (azoita  k  il  frustino  di  pelle)  sulle  spalle  nude,  sul  ventre  (roeta- 
tesi  brente  invece  di  bentre)  e  sugli  intestini,  cio^  sulla  parte  che  li  contiene. 
Gettato  gli  hanno  al  coUo  un  collare  -  Tuju  (CxT)  ♦  collum.  -  4)  T6ntu  da  tanner, 
tenere,  avere,  fermare.  -  5)  Allora  erano  i  Giudei  che  lo  conducevano,  ora  6  egli 
esso)  che  ha  la  bandiera  di  gloria. 


AnikMo  per  le  tradiwUmi  popolaH  Vol.  XXHI.  4? 


mm^ 


MISCELLANEA 


Roma,  35  Aprile  1906. 

j^reg-io  sig^nor  profi^ssore  G.  PiTRfe, 

A  proposito  deirartioolo  su  PiJato  alle  porte  dellMnfemo,  comparso  nel  pe- 
nultimo  numero  ^fHV  Archivio,  votrej  eornunicarle  due  versioni  di  quel  canto  popolare, 
una  di  Roma  e  un'altra  de)  mio  paese  native.  Ne  scrissi  questo  dicembre  al  Pa- 
scolif  ma  n^  tip  ricevuto  rispostaj  ne  so  che  egli  si  sia  servito  di  questi  miei 
appunti. 

Rttma. 
Anniedi    a  rinfemo,  perchd  cce  fui  mannato, 
da  la  gran  gente  nun  ce  se  capeva, 
dietro  la  porta  ce  trovai  Pilato, 
me  fece  entri  pperch^  me  conosceva. 
Misericord  I  a  la  ggente  die  cc'era! 
e  ttutti  quanti  ffra  le  fiamme  ardeva. 
Me  disse  lo  mi  amore  a  la  lontana: 
Puro  a  rinfemo  me  vienghi  a  dda  ppena. 

S^rvigNana  (Ascoli  Piceno). 
Jette  a  Tinfemo,  ma  cce  f6  mannato, 
da  Ea  gran  gente  non  ce  sse  capeva, 
e  ssu  la  porta  ce  trovat  Pilato, 
me  fece  entri  pperchfe  mm e*  conosceva. 
Vedde  I'infemo  tutto  alluminato, 
la  mi  a  rregazza  *n  fra  le  fiamme  ardeva. 
Me  disse:  ■<  Dove  vai,  coraccio  ingrato? 
Pure  airinfemo  me  v^ni  a  ddil  ppena  >. 

Rtspettosi  satuti  dal  suo 

AMERINDO  CAMILLI. 


MISCELLANEA  373 

Usi  fnnebri  in  Rocca  Caoteraoo. 

A  Rocca  Canterano,  quando  muore  un  adulto,  la  famiglia  dA  ad  ogni  prete  che 
interviene  alFaccompagno  funebre,  tanta  stoffa  da  ricavame  un  paio  di  mutande 
e  una  camicia.  La  stoffa,  durante  I'accompagno,  fa  bella  mostra  di  s6  attaccata 
alia  croce  che  viene  portata  dal  chierico.  Se  muore  un  bambino,  Toggetto  donato 
e  attaccato  alia  croce  e  un  fazzoletto. 

Quando  muore  un  bambino  0  una  donna  nubile,  il  morto  viene  posto  su  la 
spiafialora  (tavola  dove  si  distende  la  pasta,  si  fa  il  pane  ecc),  poi  una  donna 
si  pone  la  spianaiora  in  testa  e  il  morto  h  portato  cosl  al  cimitero.  Naturalmente 
la  spianaiora  torna  poi  ai  servigi  usati.  Per6  questa  seconda  usanza,  specialmente 
per  opera  del  maestro  locale,  il  signer  Giovanni  Picconi,  da  un  anno  a  questa 
parte  pu6  dirsi  scomparsa. 


Blasone  popolare  del  dintorni  di  Cervara. 

Rocca  di  mezzo:  Rocca  'e  meso 

Quattro  case,  *u  diauru  {il  diavolo)  'n  m^zzu. 
Siibiaco :  Cac'  al  1 '  acqua . 
Canterano:  Quissi  'e  Carlantonio;  quissi  'e  catte. 

Ckttte  escUmasione  omteranese  =  cattera. 
Anlicoli  Cor r ado:  Frustasantl. 
Cerreto:  Farisei. 

Rocca  Santo  Sle/ano:  Coppari,  ciacchi. 
Cervara  di  Roma:  Ciucci  (cuuhi). 
Marano  Equo:  Cipollari. 
Agosla:  Ranocchiari. 
Roviano  •  P6i  zuzzi  (piedi  sozzij. 

AMERINDO  CAMILLI. 


Legeade  gourmande  du  «colombier». 

Des  tenebres  du  pass6  surgit  victorieusement  le  souvenir,  perpdtu6  par  la 
reconnaissance  populaire,  de  Thumble  bergdre  de  Nanterre,  qu'honore  comme  pa- 
tronne  la  capitale  du  monde  civilis^. 

C'etait  au  v*  si^cle  de  notre  6re.  Dans  les  Gaules  envahies  par  les  legions  de 
pillards  venues  du  Nord,  les  ruines  s'accumulaient,  et  Lut^ce,  berceau  de  la  cite 
glorieuse,  etait  devenue  I'objectif  d'Attila. 

Partout  oil  se  pose  le  pied  du  chevalqui  porte  «  le  fleau  de  Dieu  >  I'herbe  ne 
repousse  plus,  dit-on:  et  les  citadins  Luteciens  que  terrorise  Pattente  de  Pimmi- 
nente  catastrophe,  se  lamentent  et  songent  k  deserter  leurs  foyers. 


374  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Alors,  sur  I'^chine  du  mont  od,  plus  tard,  la  Patrie  reconnaisante  edifia  te 
Temple  de  rimroortalit^  du  souvenir  k  la  m^moire  de  ceux  qui  la  firent  grande  et 
glorieuse,  voilil  qu'une  voix  inspire  s'^ldve,  domine  les  cris  de  terreur,  reveille 
la  confiance,  ranime  les  courages,  affinne  solennellement  que  les  barbares  hun- 
niques  ne  franchiront  point  les  murs  de  Lut^ce. 

Qui  parle  ainsi  k  la  foule  houleuse?  C'est  une  jeune  fille  dont  la  calme  s^r^nite 
en  impose,  une  humble  berg^re,  qui  pr^dit  la  prochiaine  d^faite  d'Attila  aux 
champs  Catalauniens. 

Et  voici  que,  symbolique  presage,  embl^me  d*esp6rance,  tourbillonne  un  flocon 
blanc;  que,  sur  I'epaule  de  Genevieve  vient  se  poser  une  colom^....  venue  d'od  ? 
guid^e  par  qui? 

En  sa  cr6dulit6  naive,  le  peuple  vit,  dans  cette  venue  de  Toiseau  blanc,  la 
certitude  des  proph6ties  de  la  berg^re  et,  quelques  jours  aprds,  Tapparition  de  la 
messag^re  de  paix  etait  consacree  rudimentairement,  par  le  talent  des  p&tissiers 
de  I'^poque,  sous  forme  d'oublie,  figurant  une  colombe. 

G&teau  qui  devint  de  tradition  aux  fdtes  de  la  Pentecdte. 

Et  c'est  pour  rappeler  la  l^gende  de  Toiseau  apparu  k  la  foule,  quand  la 
haranguait  la  bergdre  de  Nanterre,  que  les  pAtissiers  parisiens  ont  fait  revivre  et 
modernist  la  creation  gourmande  de  leurs  ancetres  Lut^ciens,  qu'ils  offrent  au- 
ourd'hui,  en  confiance,  k  leurs  contemporains,  Pexquis  <  gdteau  Colombler  >,  dont 
la  devise  est: 

Qui  la  Colombe  aura» 
Dans  Tann^e  se  mariera. 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 


La  Poesia  popolare  Italiaoa.  studi  di  alessandro  d'Ancona.  Seconda 
edizione  accresciuta.  Livomo,  Raffaele  Giusti,  Editore  Libraio-tipografo  1906. 
In-i6«,  pp.  571.  L.  5. 

La  prima  edizione  di  quelli  che,  modestamente,  A.  D'Ancona  chiama  studi  in- 
tomo  alia  poesia  popolare  italiana,  apparve  nel  1878;  da  quel  tempo  a  oggi  i  ma- 
terial!, e  i  document!  storici  che  riguardano  le  origini  e  lo  svolgimento  della 
poesia  del  popolo  si  sono  considerevolmente  accresciuti;  gli  studi  che  parevano 
umili,  0  perditempo  di  gente  oziosa,  son  venuti  in  onore  per  seriet^  di  intendi- 
menti  e  di  metodi  e  si  comincia  a  vedere  nella  molteplicitA  delle  raccolte  qualcosa 
che  interessa,  non  soltanto  la  storia  della  letteratura,  ma  la  psicologia  e  la  socio- 
logia.  Bene  ha  dunque  fatto  Tillustre  critico  della  nostra  letteratura  a  ristampare 
i  suoi  studi,  mettendo  a  profitto  i  nuovi  documenti.  Forse  il  titolo  non  risponde 
precisamente  al  contenuto ;  n6  gi^  perch^,  come  piacque  a  qualcuno  di  far  credere, 
questo  libro  assurga  all'importanza  di  una  storia  della  poesia  popolare;  ma  piut- 
tosto  perchfe  tratta  solo  di  alcuni  problem!  relativi  a  un  genere  di  poesia  popo- 
lare: la  lirica,  e  pid  propriamente  la  lirica  amorosa. 

Storia  non  si  pu6  dire,  e  I'autore  stesso  ne  ^k  ragione  nell'awertenza,  perchfe 
oltre  a  non  seguire  lo  svolgimento  della  poesia  popolare  attraverso  i  tempi,  non 
scende  alio  studio  di  alcuni  problemi  important!,  come  quelli,  a  mo'  d'esempio, 
che  si  riferiscono  alia  genesi  dei  temi  poetici  del  popolo,  alle  origin!  di  certe  im- 
magin!  e  forme,  divenute  colori  e  atteggiamenti  convenzionali,  nd  di  questa  0 
quella  regione  poetica,  ma  di  tutta  quanta  la  lirica  popolare:  n6  altri  problem!  sono 
ventilati  e  discuss!. 

II  D'Ancona  ha  voluto  soltanto  con  raflfronti  e  riscontri  determinare  il  luogo 
di  origine  di  quella  lirica  che  da  quattro  0  cinque  secoli  corre  per  le  bocche  dei 
volghi  d^ltalia:  studiame  gli  adattamenti  e  le  forme  metriche  predominant!,  le  sue 
relazioni  con  la  poesia  letteraria.  Problemi  anche  quest!  d!  grande  importanza  per 
lo  studio  della  poesia  italiana;  la  cui  soluzione  costituisce  il  solido  fondamento 
per  le  altre  ricerche  e  per  edificarvi  la  storia  della  poesia  popolare.  Alia  quale  opera 
nessuno  sarebbe  piCi  atto  di  Alessandro  D'Ancona;  ma  I'illustre  critico  sa  che  an- 
cora  non  tutto  il  materiale  d  raccolto;  e  sarebbe  forse  prematuro  quel  generale 
coordinamento  e  quella  sintesi  compiuta  che  una  storia  deve  avere. 


376  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Dire,  con  qual  vasta  profonda  eradizione,  con  qual  diligenza,  con  qual  rigore 
critico  siano  condotti  questi  studi  6  superfluo,  per  chi  conosce  e  onora  in  Ales^ 
sandro  D'Ancona  il  creatore  della  critica  storica  in  Italia,  a!  cui  sagace  impulso  si 
deve  quel  movimento  largo  e  coscienzioso  di  studi,  pei  quali  i  problemi  che  affa- 
ticavano  la  storia  della  nostra  letteratura,  segnatamente  delle  origini,  sono  riso- 
luti.  Mi  piace  per6  notar«  che  il  D'Ancona,  rivedendo  e  ripubblicando  i  suoi  studi, 
abbia  voluto  piu  solennemente  riaffermare  tutta  la  importanza  di  questo  ramo  della 
letteratura  al  quale  un  nostro  concittadino,  Giuseppe  Pitr6,  ha  pur  corsacrato  tanta 
parte  della  sua  vita,  tra  I'indifferenza  dei  concittadini,  ma  col  plauso  degli  stranieri. 

La  ristampa  accresciuta  e  riveduta  degli  studi  h  tanto  pid  opportuna,  in  quanto 
le  ricerche  e  le  esperienze  piii  recenti  hanno  riconfermato  quello  che  fin  dal  1862 
il  D'Ancona  avea  acutamente  intuito.  Allora  egli  scriveva: 

«  II  popolo  al  di  d'oggi  non  canta,  ma  ripete;  non  inventa,  ma  riproduce  un  te- 
soro  di  versi  a  cui  per  tradizione  6  aflfezionato ;  anche  credendo  d'improwisare, 
riraescola  e  riunisce  immagini  0  versi  sparsi  in  vari  componimenti.  Questa  poesia 
popolare,  di  cui  adesso  si  fanno  raccolte,  non  6  altro  se  non  la  ultima  eco  della 
gioventii  d'una  schiatta;  gioventii  che  si  mostra  nell'ingenua  forza  e  nella  puritil 
primitiva  di  quei  canti,  che  oggi  il  popolo  non  saprebbe  pid  comporre  a  quel  modo... 
Noi,  radunandone  i  frammenti  dalla  viva  voce  delle  montanine,  andiamo  ritrovando 
le  membra  disperse  del  passato;  porgendo  orecchio  al  canto  delPagricoltore,  rac- 
cogliamo  un  suono  che,  ormai  perduto  nelle  pianure  e  nelle  valli  dell'Amo,  si  va 
prolungando  sulle  ardue  cime  dell'Appennino,  come  in  un  ultimo  riparo  contro  la 
civiltii  incalzante>. 

Non  soltanto  sull'Appennino,  aggiungo  io,  ma  sulle  Madonie  e  per  le  baize 
deirEtna;  lungo  I'Anapo  e  le  valli  modicane  e  agrigentine,  la  ricchezza  melodica 
dei  canti  tradizionali  rifiorisce  come  cento  anni  addietro  sulle  labbra  dei  contadini, 
ai  quali  la  civilt^  non  ha  insegnato  ancora  a  deturpare  Verdi  e  Bellini.  Rifiorisce 
non  nella  virtu  creativa,  perch6  la  maturity  del  cervello  e  il  positivismo  della  vita 
hanno  spento  quasi  la  spontaneity  fantastica;  ma  nella  ripetizione  0  riproduzione 
del  patrimonio  lirico  tramandato  dai  padri.  Non  so  se  altrove  sia  come  in  Sidlia;  qui 
da  noi  per6  la  virtCi  lirica  d  quasi  spenta,  sorvive  qua  e  lA,  conservando  i  carat- 
teri  venusti,  la  virtd  narrativa:  il  popol  nostro,  0  meglio  i  suoi  oscuri  poeti,  estem- 
poranei  0  no,  paiono  piu  atti  a  comporre  una  sloria  intomo  a  un  awenimento 
che  colpisce  la  fantasia  popolare,  che  ad  esprimere  con  forma  nuova  Teb- 
brezzza  dei  sentiment!;  e  se  talvolta  pare  che  qualcuno  improvvisi  d'amore  0  di 
sdegno,  ripete  forme  tradizionali:  rifA,  rimpasta;  rimaneggia  materia  gia  nota,  se 
pur  talvolta  non  accoppia  ritmi  dei  piii  antichi  improvvisatori,  credendoli  in  buond 
fede  invenzione  nuova. 

Della  esistenza  di  una  poesia  popolare  anteriore  e  contemporanea  alia  lirica 
aulica  0  d'arte,  si  hanno  scarsi  document!,  ma  tali  da  attestarla.  II  frammento 
sulla  vittoria  dei  Bellunesi  a  Casteldardo  del  1193,  quello  in  vituperio  di  un  Pier 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  yj'j 

da  Medicicea,  il  ritomello  in  istrazio  di  frate  Elia,  generate  dei  francescani,  par- 
tigiano  delFimperatore,  la  canzone  di  Lisabetta  ricordata  in  una  strofa  da!  Boc- 
caccio, e  poi  stampata  intera,  il  frammento  sulle  donne  di  Messina  nella  difesa 
della  citt^  del  138a,  sono  gli  avanzi  di  tutta  una  produzione  anonima  schiettamente 
popolare.  Accanto  alia  quale  son  da  porre  i  componimenti  agiografici  0  morali,  i 
contrasti,  i  lamenti,  gli  alterchi  anonimi  0  no,  conservati  nei  codici  e  dei  quali  la 
storia  della  letteratura  tien  conto. 

Ma  0  sia  per  quel  periodo  fortunoso  di  guerre  e  di  mutamenti  dinastici  e  di 
forma  di  govemo  che  agita  I'ltalia  per  tutto  il  secolo  XIV,  0  sia  per  mancanza  di 
documenti,  non  ancora  ritrovati,  (0  una  eccezione  quel  poeta  semiletterato  che  fu 
Antonio  Pucci)  sembra  che  una  grande  lacuna  divida  quello  che  parrebbe  il  pe- 
riodo delle  origin! ,  da  quello  che  io  direi  riapparizione  degli  spiriti  e  delle  forme 
della  poesia  popolare  nel  secolo  XV.  Che  il  Giustiniani  prima,  poi  il  Magnifico, 
il  Poliziano,  il  Pulci  e  gli  altri  poeti  della  corte  Medicea,  bevessero  largamente  al- 
I'onda  della  poesia  popolare,  h  risaputo.;  ed  6  risaputo  come  altri  poeti  culti  di 
altri  paesi,  imitandone  Tindirizzo,  ma  spesso  falsandone  il  sentimento,  come  il  Ca- 
riteo  e  I'Aquilano,  componessero  strambotti  a  simiglianza  del  popolo:  ma  a  quali 
canti  popolari  attingessero,  e,  alia  loro  volta,  quali  imprestiti  essi  facessero  alia 
poesia  popolare,  non  si  conobbe  che  merc6  la  pubblicazione  delle  modeme  raccolte 
e  di  qualche  curioso  e  importantissimo  documento.  Fra  i  quali,  important!  per  lo 
storico  son  due,  la  Serenaia  (1567)  del  Bronzino,  pittore  famoso  e  poeta,  composta 
di  terzine,  il  cui  terzo  verso  (e  forse  qualche  altro  del  mezzo)  h  ordinariamente  il 
principio  di  uno  strambotto  0  di  un  rispetto  popolare,  e  il  repertorio  di  un  cieco 
cantastorie,  detto  il  Bianchino,  di  Verona  (1629).  Da  cui  e  per  cui  conosciamo  la 
ricchezza  dei  canti  popolari  che  correvano  per  Tltalia  nel  secolo  XVI  e  da  lungo 
tempo.  Ai  quali  repertori  bisogna  aggiungere  la  raccolta  dei  rispetti  del  codice  pe- 
nigino,  che  rimonta  al  secolo  XV,  e  le  varie  raccolte  dei  secoli  XVII  e  XVIII.  E 
quel  canti,  quasi  nella  identica  forma,  0  lievemente  modificati  per  la  legge  di  adat- 
tamento,  riappariscono  nelle  raccolte  modeme,  come  coiti  sulla  bocca  del  popolo. 

La  rassomiglianza,  0  la  quasi  identity  dei  canti  schiettamente  popolari  di  Si- 
cilia  con  quelli  della  terraferma,  certe  pe:uliaritc\  di  forme  e  di  rime,  ed  altri  acuti 
rilievi,  non  che  la  maggior  ricchezza  inducono  il  D'Ancona  ad  affermare  che  patria 
d'origine  della  lirica  popolare  italiana  e  la  Sicilia,  d'onde  si  diffusero  ed  ebbero 
battesimo  per  ogni  dove. 

<La  chiara  fontana  alia  quale  furono  battezzati....  — sono  parole  dellMllustre 
critico  —  e  queironda  sotterranea,  sempre  fresca  e  vivace,  che  scorre  da  un  capo 
alPaltro  d'ltalia;  6  quella  misteriosa  Aretusa,  che,  sgorga  nell'lsola  ed  attraversa 
lo  stretto,  e  nella  quale  fa  suo  lavacro  la  Musa  del  popolo;  e  quando  n'esce  fuori. 
le  stille  che  le  cadono  ai  piedi,  sono  come  gronda  di  dolce  pioggia  di  perle  e  di 
rubini  scintillanti  ai  raggi  del  nostro  sole e,  nato  con  veste  di  dialetto  in  Si- 
cilia,  in  Toscana  assunse  forma   illustre  e  comune,  e  con  siffatta    veste  migrd 


■^ 


378  ARCHIVIO   PFR   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

nelle  altre  pro\incie ».  NeUa  maggior  parte  del  casi,  il  canto  ha  per  patria  di 
origine  la  Sicilia,  per  patria  d'adozione  la  Toscana.  La  Sicilia  ebbe  vena  poetica 
maravigliosamente  copiosa  e  perenne;  e  ancora  vi  sono  canton  illetterati  che  sempre 
rinnovano,  secondo  Tagile  fantasia,  Tantico  repertorio  comune.  Le  poesie  nate 
nellMsola  poterono  agevolmente  propagarsi  oltre  il  Faro,  su  su  fino  alle  Alpi  e  alle 
lagune  di  Venezia,  tra  il  secolo  decimoterzo  e  il  decimosesto ;  quando  mille  vie, 
mi  lie  modi  erano  pronti  alia  loro  diffusione. 

I  rapporti  con  la  Toscana  e  con  la  Liguria  erano  frequent!  e  vivi.  Nelle  mag- 
giori  cittit  dell'isola  Pisani,  Fiorentini,  Genovesi  formavano  colonie,  o  nazioni,  che 
si  reggevano  come  patria  d'origine:  e  i  siciliani  accorrevano  a  tonne  negli  studi  di 
Pisa  e  di  Bologna.  Qualche  diarista  napoletano  nota  una  grande  immigrazione  di 
siciliani  fuggiti  dall'isola  nativa  al  primo  istituirsi  delPlnquisizione:  fanti  e  cavalli 
siciliani  militavano  sotto  le  bandiere  di  Spagna,  nel  Napoletano,  in  Lorabardi&, 
come  avevano  militato  in  Toscana  e  in  Lombardia  con  Federlco  II  e  Manfredi,  come 
avevano  itfilitato  con  Giovanni  Ventimiglia  sotto  Alfonso  il  Magnanimo.  E  fanti  e 
cavalli  toscani  e  d'altre  parti  d' Italia  militavano  con  I'Angioino,  come  avevano  mi- 
litato con  gli  Svevi.  Queste  relazioni  e  questi  scambi  d'uomini  cessarono  con  la  do- 
minazione  spagnuola;  ma  allora  il  canto  siciliano  era  g}k  fatto  cittadino  d'ltalia. 

II  D'Ancona  accennando  ad  alcuni  canti  siciliani,  nei  quali  h  ricordo  di  awe- 
nimenti  storici,  nega,  contro  I'opinione  dei  nostri  raccoglitori,  che  essi  possono  es- 
sere  coevi  deiravvenimento,  ci6  che  darebbe  ai  canti  una  venerabile  vetustil.  Egli 
nota  con  molte  accuse  che  la  memoria  dei  grandi  awenimenti  rimane  fitta  nell'a- 
nima  popolare,  per  cui  nessuna  meraviglia  se  essi  riappariscono  in  canti  poste- 
riori anche  di  qualche  secolo.  Questo  h  vero,  in  generale;  e  se  accanto  alia  poesia 
lirica  siciliana  non  fossero  canti  narrativi  della  cui  etk  non  d  lecito  dubitare,  I'os- 
servazione  deirillustre  professore  pisano  avrebbe  valore  incontestabile.  Ma  io  non 
so  perch^,  se  k  lecito  riconoscere  che  una  sloria  sia  del  secolo  decimo  Xlll  0  dei 
primi  anni  del  secolo  successivo,  non  si  possa  assegnare  al  secolo  XIV  (al  pid  tardi) 
uno  strambotto  che  ricordi  il  Vespro  come  cosa  viva  airimmaginazione.  Ricordo 
qui  la  storia  del  Conte  di  Borgetto,  che  in  nessun  modo  pu6  essere  posteriore  al 
1360,  anno  in  cui  la  contea  di  Borgetto  fu  data  in  feudo  con  tutti  i  suoi  diritti  al 
Monastero  di  S.  Martino,  perch^  ivi  si  parla  del  dominio  tenuto  in  atto  dal  conte 
di  Borgetto,  e  vi  si  ricorda  il  rito  col  quale  lo  scudiero  veniva  armato  cavallere, 
usanza  strettamente  medioevale.  E  ricordo  anche  Taltra  storia  dei  due  bandit!  del 
bosco  del  Partinico,  i  quali  sono  armati  di  frecce  e  balestre,  11  che  evidentemente 
riporta  il  poemetto  a  prima  deiruso  delle  armi  da  fuoco;  e  per  citare  un  canto  li- 
rico,  rammento  vers!  (non  so  se  inediti)  comunicatimi  da  un  egregio  slgnore  di 
Ragusa,  i  quali  si  riferiscono  ai  casi  di  Costanza  Chiaramonte,  moglie  divorziata 
dl  Ladislao, 

lu  papa  Chi  la  sciosi  di  riggina 
ccl  dissi :  Rgghia  nia  fa  la  b... 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  379 

il  quale  canto  non  trattandosi  di  un  gran  fatto,  ma  dell'eco  dei  casi  della  gentile 

e  sventurata  figlia  di  Manfredi  Chiaramonte,  giunto  nella  contea  patema,  non  pu6 

non  essere  contemporaneo  ali*avvenimento  quando,  confiscata  la  contea  all'ultima 

Chiaramonte  e  data  al  Cabrera,  nel  1392,  viveva  la  memoria  della  Illustre  famiglia 

nel  culto  del  vassallo. 

LUIGI  NATOLI. 


LuiGi  BONFiGLi.  St^faoo  Guazzo  e  la  sua  Raccolta  ^1  Froverbl. 

Arezzo,  Linatti  1905.  In-8,  pp.  82. 

La  Raccolta  per  la  quale  il  Guazzo  6  specialmente  ricordato  6  «  La  Civil  Con- 
versazione... divisa  in  quattro  libri  ne'  quali  dolcemente  si  ragiona  di  tutte  le  ma- 
niere  di  conversare  (Venezia,  Perchacino,  1581)  >. 

Quesfopera  ebbe  la  fortuna  di  venti  edizioni,  di  due  versioni  francesi,  di  una 
spagnuola  e  di  una  latina :  fortuna  singolare  0,  per  lo  meno,  rarissima  per  altre 
opere  congeneri  ed  anche  infinitamente  superiori. 

Da  essa  trae  ragione  al  presente  studio  il  Bonfigli,  e  la  trae  con  molta  deli- 
catezza  ed  acume.  Infatti  egli  crea,  per  cosl  dire,  la  biografia  del  Guazzo  attin- 
gendo  alle  scarse  notizie  che  ne  corrono  pei  libri,  ma  soprattutto  presentandone  il 
ritratto  morale.  Questo  tentativo  6  ben  riuscito,  perch6  ha  per  base  le  varie  pub- 
blicazioni  di  lui  e  parti colarmente  le  lettere,  che  di  preferenza  rivelano  chi  le  scrisse 
fin  nei  suoi  piu  reconditi  pensieri  e  nelPanima  sua. 

L'esame  della  Civil  Conversazione  k  condotto   accuratamente :  ed  il  Bonfigli 

10  completa  ripubblicandone  i  Proverbi  secondo  la  tavola  della  edizione  di  Venezia 
del  1678.  Dopo  questi,  ripubblica  i  proverbi  dei  Dialoghi  piacevoli  secondo  la  ta- 
vola della  edizione  di  Venezia  del  1610;  e  finalmente  quelli  delle  /^//^r^  secondo 
uno  spoglio  da  lui  fatto  sulla  edizione  di  Venezia  del  1599;  e  della  Ghirlanda 
della  Conlessa  Beccaria  secondo  la  edizione  genovese  del  1595. 

Questi  quattro  manipoli  di  Proverbi  formanti  una  bella  raccoltina  non  pid 
messa  insieme  finora  dalle  diverse  opere  del  Guazzo,  sono  accuratamente  presentati. 

11  Bonfigli  li  ha  accompagnati  coi  rlchiami  alia  raccolta  toscana  Giusti-Capponi  ed 
alia  nostra  siciliana :  richiami  parchi,  ma  acconci  a  dimostrare  come  i  motti  e  le 
frasi  proverbiali  del  Guazzo  siano  ancora,  dopo  tre  secoli,  vivi  nella  tradizione 
popolare. 

<  11  materiale  Guazziano  non  sar^  inutile  anche  per  un  venturo  libro  di  pro- 
verbi italiani  che  abbia  a  fondamento  una  raccolta  in  lingua  nella  quale  sia  te- 
nuto  conto  per  quanto  si  sa  e  pu6  della  ragione  cronologica  ». 

Quesfuna  tra  le  molte  osservazioni  del  critico  baster^  a  dare  un'idea  degli 
intendimenti  di  lui  nello  studio  e  nello  spoglio  paremigrafico  delle  opere  Guazziane. 

A  siffatti  intendimenti  rende  giustizia  VArchivio,  che  nel  Bonfigli  vede  una 
mente  ben  preparata  alle  ricerche  di  paremiologia. 

G.  PiTRfe. 

ArchUoio  per  le  tradieioni  popolari  Vol.  XX lU.  48 


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380  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

SEBASTIANO  Salomone.   Storia  dl  Augusta.  1905.  II  Edizione.  In-i6»  gr.. 
pp.  342.  L.  4. 

Sulla  prima  edizione  molto  si  awantaggia  questa  seconda  tanto  per  notevoli 
aggiunte  al  testo  quanto  per  le  iliustrazioni,  che  in  quella  mancavano  del  tutto. 

La  parte  nostra  6  presto  trovata  in  un  lungo,  particolareggiato  capitolo,  il 
XIX  della  Demopsicologia  Augustana  (pp.  292-323). 

In  forma  rapida  TA.  vi  dice  dello  spirito  di  un  certo  Tulfe  giustiziato,  che  va- 
gola  pel  territorio  di  Augusta,  delle  donne  di  fuori,  del  gobbo  raddrizzato,  e  del 
gobbo  maltrattato,  e  delle  malie  e  maliarde.  Questo  per  le  credenze;  pei  co- 
stumi  e  le  usanze  poi  ha  notizie  del  caratteristico  cappottone  delle  donne,  delle 
uova  a  mezza  quaresima,  della  rottura  della  pignatta  e  della  serramonaca  della 
medesima  ricorrenza,  della  fusione  del  piombo  pel  giorno  di  S.  Giovanni  e  del 
battesimo  del  pupo,  della  festa  infantile  del  giorno  dei  defunti,  del  Natale  con  la 
sua  Novena,  i  suoi  presepi,  le  sue  canzonette,  e  dei  pescatori  che  vanno  alia 
pesca  delle  sarde.  Un  saggio  di  canti  popolari  (316-21)  fa  compagnia  a  cosiffatte 
usanze  tradizionali,  che  son  seguite  da  un  altro  capitolo  (XXI,  pp.  328-39)  sopra 
la  festa  in  onore  di  S.  Domenico  nel  1738,  patrono  della  citti.  Qua  e  U,  per  altro, 
(v.  pp.  281-2)  sono  dei  cenni  di  luoghi  tradizionali. 

Pid  che  tutti  i  canti  qui  pubblicati  a  noi  sembra  non  trascurabile  —  espressione 
del  momento  storico  e  delle  abitudini  del  popolo  —  il  canto  che  si  udiva  per  le 
vie  di  Augusta  alle  prime  voci  di  coscrizione  militare: 

Vulemu  a  Garibaldi, 
Cun  pattu:  senza  leva; 
E  s'  iddu  fa  la  leva 
Canciamu  la  bannera. 
Lallararrra,  lallarardf  (p.  213). 

E  piCi  che  alcune  costumanze  ed  ubbie,  comunissime  non  pure  in  Sicilia,  non 
pure  in  Italia,  ma  anche  in  tutta  Europa  e  magari  fuori,  come  le  belle  signore 
(deae  matres  dei  Latini),  il  gobbo  raddrizzato  (che  h  il  gobbo  di  Peretola  del  Redi 
e  di  tutta  la  letteratura  novellistica  dei  popoli  di  razza  latina,  anglo-sassone  ecc), 
e  le  fatture  sulle  quali  esiste  tutta  una  biblioteca  (si  confronti  per  lo  meno  Die 
Bibliothek  eines  Hexenmeisters  di  P.  Beck  e  J.  Bolte  nella  Zeiischrift  des 
Vereins  fUr  Volkskunde,  a.  15,  fasc.  4,  pp.  412-24,  1905),  e  il  S.  Giovanni  (che 
fu  gid  tema  d'inchiesta  in  varie  annate  ^^W Archivio  e  conta  oltre  una  sessan- 
tina  di  scritti  per  Tltalia  insulare  e  continentale  ed  un  lavoro  generale  dei  Baroni 
Reinsberg-Duringsfeld  e  d'una  dozzina  di  altri  autori)  e  il  Natale  ed  il  pesce 
d'Aprile:  piCi  che  queste  costumanze,  diciamo,  sarebbe  stata  ben  adatta  ad  una 
descrizione  la  raccolta  del  sale,  che  cosl  in  Angusta  come  in  Trapani  attende  chi 
la  faccia.  I  canti  delle  saline  sono  la  vera  specialitc\  poetica  delle  due  citt^.  Spe^ 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 


381 


cialit^  non  unica  ma  pure  artistica  e  pittoresca  6  il  quadretto  delle  operazioni  dei 
sardari  (321-22);  e  di  queste  pagine,  buone  al  folklore,  il  prof.  Sebastiano  Salo- 
mone  avrebbe  potato  dettarne  piu  d'una.  G.  PlTRfi. 


£mile  BL^MONT.  Ue  G^oie  du  Feuple.    Paris,  Alphonse  Lemerre,    6diteur 
MDCCCCV.  In-i2»,  pp.  IV  -  342,  fr.  3,50. 

Poeta  elegante  e  folklorista  appassionato,  11  sig.  B16mont  cerca  nella  tradi- 
zione  popolare  il  bello  ed  il  buono,  e  lo  addita  agli  artisti  della  poesia  e  della 
letteratura  erudita. 

II  lavoro  principale  che  forma  un  saggio  originale  ed  organico  del  volume,  si 
aggira  intorno  alia  estetica  della  tradizione  del  popolo.  Per  TA.  11  bello  6  d'ori- 
gine  essenzialmente  popolare;  e  poichd  il  popolo  medesimo  ha  istinto  affettivo 
ed  il  suo  carattere  lo  porta  al  disinteresse,  possiede  nel  piCi  alto  grado  la  facoltA 
estetica.  Proprio  per  questo,  quindi,  come  per  altre  ragioni,  il  B.  tiene  in  onore  la 
poesia  e  la  tradizione;  ond'egli  opina  (opinione,  del  resto,  non  nuova)  che  la  poesia 
d'arte  avrebbe  molto  da  guadagnare  se  si  adoperasse  a  conoscere  la  sua  sorella 
rustica  ed  incolta:  ed  illustra  I'estetica  della  tradizione  cercando  la  storia  di 
qualche  leggenda  popolare  nelle  sue  origini  e  nel  suo  sviluppo. 

Una  di  siffatte  leggende  costituisce  il  motivo  della  Megara  addomesticata, 
tema  d'una  commedia  di  Shaktspeare,  che  ha  la  sua  fonte  primitiva  in  una  cro- 
naca  del  sec.  XII. 

Una  dozzina  di  altri  scritti  forma  buona  parte  del  volume  ;  ed  eccone  la 
numerazione : 

L'EU  de  la  Saint  -  Martin,  leggenda  raccolta  in  Azay-le-Rideau,  in  omaggio 
alia  quale  I  conciapelle  piccardi  ogni  anno  offrono  al  loro  vescovo  una  pelle  di 
agnello  da  servirsi  a  chi  monteril  di  guardia  nel  palazzo  vescovile. 

Adam  de  la  Halle,  uno  dei  pld  lodati  poeti  di  Arras  (Francia),  nel  sec.  XIII, 
morto  verso  la  fine  del  secolo  a  Napoli,  e  ben  noto  per  la  sua  pastorale  scenica: 
Jen  de  Robin  et  Marion  e  per  /<?  Jeu  de  la  FeuilUe,  componimenti  che  fanno 
pensare  a  Shakespeare  ed  a  Moli^re,  i  quali  vi  attinsero  come  sanno  attingere  i 
geni  e  dove  k  da  notare  —  rivelazione  della  critica  storica  di  oggidl  —  che  le  parti  can- 
tate  del>>w  de  Robin  non  sono  di  Mastro  Adamo,  ma  canzoni  tradizionali  del  tempo. 

Aa  farce  d'un  Gentilhomme,  esame  d'una  antica,  ma  freschissima  farsa  giA 
stampata  a  Rouen. 

L'Arioste  et  la  tradition  fran^aise,  dove  per6  si  cerca  invano  il  nome  di 
Pio  Rajna,  il  pid  dotto  ricercatore  delle /o»//  delVAriosto.  Le paradoxe  de  Judas; 
Le  Diable  sur  la  seine;  Andrew  Lang  et  la  Mythologie primitive :  Un  Congris 
de  Folklore  a  Londres ;  Programme  pour  une  Revue  tradilionniste ;  La  chaTtson 
populaire  en  France,  a  proposito  della  Histoire  del  medesimo  argomento  di 
J.  Thiersot  e  Aa  Tradition  podtique  chiudono  il  volume.  G.  PITRfe. 


}82  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONl  POPOLARI 

Faptaisi^s  biblico-n7ytl>olosiques  d'uo  cbef  d'^col^s  t\.  1^4. 
5tucHeo  et  le  FolH-Lore  par  Emmanuel  cosquin,  Correspondant 
de  I'Institut.  Paris,  LecQffre  1905.  ln-8«,  pp.  36. 

Gli  errori  degli  uomini  dMngegno  sono  0  possono  essere  pericolosi  per  chi  si 
abbandoni  a  seguirii  ed  a  fame  base  di  scienza:  ed  il  Cosquin,  in  cui  il  senso 
pratico  va  di  pari  passo  con  la  svariata  dottrina  e  coltura,  ha  fatto  bene  a  met- 
tere  in  guardia  contro  le  fantasticherie  del  prof.  Edoardo  Stucken,  test6  procla- 
mato  capo  scuola  dall'assiriologo  Winckler. 

Nel  campo  della  novella  e  della  leggenda  lo  Stucken  dava  fuori,  or  non  ^ 
molto,  un  lavoro  intitolato :  Beitrdge  zur  orientalise  hen  Mythologie,  dove  ap- 
plicava  alia  interpretazione  dei  miti  un  metodo  che  saril,  anzi  vogliamo  ritenere, 
originale,  ma  che  non  pu6  accettarsi  senza  il  beneficio  delPinventario. 

Con  un  bel  numero  di  circostanze  spigolate  nella  Bibbia,  egli  viene  rifrugando 
in  tutte  le  ragioni  motivi  che  ne  dimostrino  la  identity:  e  riesce  a  metteme  insieme 
tanti  da  far  maravigliare  come  altri  prima  di  lui  non  se  ne  sieno  accorti. 

Ora  Tesame  minutissirao  del  Cosquin  ci  fa  vedere  che  il  metodo  comparative 
di  miti  creatosi  dallo  Stucken  e  radicalmente  falso  in  quanto  non  mette  a  raffronto 
rinsieme  d'un  racconto,  d'un  tema  ad  un  altro  racconto  o  ad  altro  tema,  ma  i  par- 
ticolari,  e  certi  detlagli  talora  insignificant!  di  esso.  Le  prove  sono  lumi nose;  ma 
un  esempio  brevissimo  ne  d^  un  saggio.  Trascriviamo  un   periodo  del  Cosquin: 

«  Le  dieu  japonais  Izanagi  se  deshabille  (naturellementl)  avant  de  prendre 
un  bain  pour  se  <  nettoyer  >  des  souillures  des  Enfers;  MoYse  enl6ve  au  grand- 
pretre  Aaron  mourant  ses  vetements  sacerdotaux  pour  en  revetir  le  nouveau 
grand-pretre ;  la  deesse  babylonienne  Ishtar  est  oblige  de  d^poser  ses  vetements 
et  ses  joyaux  avant  de  penetrer  dans  le  sejour  des  morts,  011  Ton  entre  depouill^ 
de  tout.  Ces  trois  traits,  si  compl^tement  differents,  de  recits  qui  ne  different  pas 
moins  entre  eux  pour  I'ensemble,  sont  assimiles  les  uns  aux  autres  par  M.  Stucken 
et  cela,  parce  que,  dans  les  trois,  il  y  a  des  vetements  enleves,  pour  une  cause 
ou  pour  une  autre  ». 

Tutto  questo,  come  si  vede,  h  un  sognare  ravvicinamenti  e  paragoni  che  non 
esistono;  6  un  voler  dare  ad  ogni  costo  documenti  di  mitologia  comparata,  un 
voler  costruire  grandi  edifici,  non  gi^  coi  grandi  massi  che  occorrono,  ma  con  pie- 
truzze  prive  di  soliditA,  che  subiscono  un  quarto  d'ora  di  coesione  dal  po'  di  cfalce 
che  le  tiene  insieme,  calce  che  non  resiste  al  piCi  lieve  soffiar  di  vento. 

11  molto  ingegno  dello  Stucken  non  varr^  a  salvare  Tedificio  dei   suoi  picco- 

lissimi  motivi  dall'assurditA  e  quindi  dalla  rovina. 

G.  PlTRfe, 


BULLETTINO   BIBLIOGRAFICO 


A.  DE  BLASIO.  Pregiudizi  sugli  eventi 
umani,  NapoH,  Pierro,  1906.  In-i6, 
pp.  75-  L.  I. 

Con  copia  di  notizie  dilip^entemente 
cercate  e  classificate  l*A.  si  occupa:  i<» 
dei  giomi  fausti  ed  infausti ;  a»  dei  nu- 
meri;  y  di  altre  superstizioni.  Non  6 
tutto ;  ma  per  un  libricino  destinato  ad 
un  pubblico  di  leggitori  colti  6  bastevole 
a  far  rilevare  le  aberrazioni  deilo  spi- 
rito  umano  nei  tempi  antichi,  in  quelli 
di  mezzo  e  nei  modemi. 

II  De  Blasio  ci  fa  passare  rapida- 
mente  sott'occhio  moltissimi  fatti  popo- 
lari  e  storici  di  gente  volgare  e  di  per- 
sonaggi  insigni;  e  noi  siarao  costretti 
ar.cora  questa  volta  a  deplorare  che  di 
fronte  alia  paura  ed  al  pregiudizio  anche 
gli  uomini  piCi  eminenti  son  volgo  con 
tutte  le  miserie  e  le  piccinerie  della  pie- 
becula  di  Orazio.  Gli  k  che  dove  vive 
un  uomo  che  teme,  che  spera,  che  ama 
h  un  cuore  debole  a  tutte  le  ubbie  e 
credenze  superstiziose. 

Gli  spiriti  forti  sono  assai  meno  nu- 
merosi  di  quel  che  si  creda:  ed  essi 
hanno  sempre  qualche  fisima  che  li  fa 
scendere  al  livello  comune.  Molte  delle 
notizie  che  ci  riferiscono  in  contrario  le 
stone  sono  pure  leggende. 


ALBINO  ZENATTI:  Un  Canto  pot>olare 
d'  Ampezzo  e  Giosui  Carducci.  Trento, 
Zippel  1906.  In-8,  pp.  22. 

Nei  1892  trovandosi  ad  Ampezzo  nel 
Cadore  insieme  con  Albino  Zenatti. 
Giosu^  Carducci  udi  a  cantare  da  una 
comitiva  di  giovani  una  canzonetta, 
che  pel  poeta  fu  una  dolce  rivelazione  di 
italianitk  in  quella  regione  divisa  da  se- 
coli  dalla  madre  patria.  Su  quella  can- 
zonetta chiamd  Pattenzione  del  giovane 
amico  Zenatti,  11  quale  vi  chiama  ora 
alia  sua  vx)lta  la  simpatia  degli  studiosi 


e  ne  fa  argomento  di  svariate  note  com- 
parative. 

E  poich^  si  tratta  d*un  tema  diffuso 
nella  letteratura  orale  rusticana,  quello, 
cio^,  dei  giomi  delta  settimana,  che 
principia  cosi: 

Vegniri  po'  'I  di  de  LunI 
Sul  marca  comprar  le  funi. 

e  che  k  anche  uno  dei  tipi  di  crescendo 
con  esercizi  mnemonici,  il  Zenatti  fa 
una  corsa  a  tra verso  il  ciclo  poetico 
della  settimana  degli  amanti,  delle  in- 
fingarde,  dei  fannulloni,  dei  pigri,  degli 
oziosi :  aggiungendo  alle  indicazioni  bi- 
bliografiche  del  Giannini,  del  D'Ancona 
e  d'altri  le  proprie,  che  sono  nuove. 

L'opuscolo  va  guardato  sotto  Taspetto 
folklorico  o,  meglio  etnografico  e,  sotto 
Taspetto  patriottico:  e  come  tale  h  anche 
una  buona  azione. 


Faustissimc    Nozze    Fabris  -  Savardo. 
Udine,  Del  Bianco  1906.  In-8,  pp.  38. 

Con  un  contributo  alia  storia  della 
poesia  ascetica  il  prof.  Giovanni  FahrYs 
festeggia  le  recenti  nozze  del  suo  buon 
amico  si}-^  Luigi  Fabris:  ed  il  contributo 
parte  dalle  laudi  medioevali  dei  discipli- 
nanti  del  Veneto  e  viene  alle  laudi  mo- 
deme:  sei  canzoni  0  lamenti,  mezzo  tra  il 
genere  lirico  ed  il  genere  narrative,  che 
TEditore  parte  (nn.  i  e  5)  prese  da  un 
prezioso  ms.  udinese  rimasto  finora  sco- 
nosciuto,  parte  raccolse  dalla  viva  voce 
del  popolo  (nn.  2,  3,  4»  6). 

L'analogia  tra  il  genere  antico  ed  il 
modemo,  tra  i  componimenti  stati  tra- 
scritti  nei  secoli  andati  e  le  leggende 
prese  dalla  bocca  dei  volghi  d'oggi  6 
molto  notevole  e  da  raccomandarsi  a  co- 
lor© che  da  ora  in  poi  vorranno  iniziare 
questa  ragione  di  studi  per  glMtaliani 
che  parlano  il  dialetto  Veneto. 


384 


ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 


Dott.  Prof.  EUCLIDE  MILANO.  La  Leg- 
genda  e  la  Storia  del  luogo  di  Au- 
cc^ech,  Torino,  Paravia  1905.  In-4S 
pp.27. 

Tra  Bra  e  Pocapaglia  6  una  vallata 
detta  di  Maria.  Da  essa  si  leva  un  aito 
colle  a  forma  di  cono  tronco,  il  quale 
italianamente  si  chiama  Picco  Miliocchi 
(Brie  Mileui), 

A  questo  coUesi  legano  varie  leggende, 
Che  il  Dr.  Milano  ha  accuratamente  rac- 
coite  e  studiate,  per  servirsene  come 
punto  di  part:enza  per  una  monografia 
storica  di  Aucabech. 

Non  potendo  seguirlo  in  un  argomento 
Che  muove  si  dal  folklore,  ma  giunge,  fe- 
licemente  del  resto  e  col  sussidio  di  do- 
cumenti  inediti,  a  risultati  che  non  en- 
trano  nella  cerchia  delle  ricerche  demo- 
psichiche,  ci  fermiamo  a  questo  sem- 
plice  annunzio. 


Nozze  Rizzica-La  Villa.  Tre  Leggende 
caltanissettesi  per  G.  MULfe  BERT6lO. 
Caltanissetta,  1906.  In-4%  pp.  32. 

A  quanti  seguono  qualsiasi  manife- 
stazione  della  vita  del  proprio  paese 
piaceranno  queste  tre  leggenduole  dal 
titolo:  I.  Pelracucca\  II.  I  maccheroni 
colsugo;  III.  Pizzorossello,  tutte  di  ar- 
gomento plutonico,  le  quali  il  MuI6  Ber- 
t61o,  benemerito  della  storia  della  sua 
provincia  natale,  ha  tratte  /^a  un  suo 
volume  ms.  di  prossima  pubblicazione. 

La  forma  di  codeste  leggende  6  let- 
teraria;  la  edizione,  molto  elegante. 


ELVIRA  MANCUSO.  (Ruggero  Torres). 
Risede  e  Ortiche.  Caltanissetta,  Ar- 
none,  1906.  In-i2«,  pp.  87. 

Diamo  di  questo  volumetto  notizia  bi- 
bliografica  per  tre  leggende  in  esso  ri- 


ferite,  e  sono,  di  S.  Michele  Arcangelo, 
della  Madonna  nella  lava  e  della  Ma- 
donna delle  grazie,  patroni,  il  primo  di 
Caltanissetta,  la  seconda  di  Pietraperzia, 
la  terza  di  S.  Caterina  Villarmosa. 

Non  sono  del  tutto  nuove,  perche 
anche  sei  anni  fa  noi  le  demmo  nella 
descrizione  di  quelle  feste  (cfr.  Feste  pa- 
ironali  siciliane),  ma  la  signora  Man- 
cuso  le  presenta  con  molta  delicatezza: 
il  che  se  non  ai  folkloristi,  —  i  quail 
non  raccolgono  se  non  d'apres  nature^ 
—  deve  ahneno  riuscire  gradito  ai  leg- 
gitori  di  amena  letteratura. 


Ensaios  etnographicos  por  J.  LEITE  DE 
VASCONCELLOS.  Vol.  111.  Lisboa,  Im- 
prensa  Lucas  1906.  In-i6*,  pp.  408. 
700  Reis. 

Volume  composto  di  articoli  venuti  in 
luce  in  giomali  e  riviste  e  di  una  ras- 
segna  bibliografica  inedita  di  tradizioni 
popolari  portoghesi. 

Vi  sono  descritti  tanti  libri,  messi  in 
evidenza  tanti  fatti,  rilevati  tanti  ri- 
scontri,  pubblicate  per  la  prima  volta 
tante  reliquie  di  etnografia  e  di  lettera- 
tura tradizionale  che  una  notizia  parti- 
colareggiata  di  esso  h  malagevole.  Ai 
lettori  di  questo  breve  cenno  dovrA  ba- 
stare  il  nudo  annunzio  della  moltepli- 
citA  delle  rubriche  sotto  le  quali  sono 
classificati  ed  offerti  pregiudizi,credenze, 
costumi,  racconti,  proverbi,  indovinelli 
di  popoli  di  razza  latina. 

Sia  che  si  indugi  sulle  ricerche  altrul. 
sia  che  partecipi  ricerche  proprie,  il  de 
Vasconcellos  riesce  a  dare  notizie  di 
cose  di  qualche  interesse. 


RECENTI  PUBBLICAZIONI  -  SOMMARIO  DEI  GIORNALI 


385 


RECENTI   PUBBLICAZIONI. 


AMALFI  (G.).  Partenio  di  Nicea  e  le 
favole  milesie.  Parte  1.  Napoli,  Priore, 
1906.  In-i6.  gr. 

MAJORCA  MORTILLARO(Luigi 
Maria).  Lettighe,  port^ntine  e  perso- 
naggi  del  settecento.  Terza  edizione. 
Palermo,  A.  Reber,  1906.  In-i6,  pp.  312. 

MANASSERO  (Aristide).  II  Libro  delle 
Leggende.  Roma-Torino,  Roux  e  Via- 
rengo,  1906.  In-i6,  pp.  96.  L.  a. 

MORGANA  (M.).  Canzonette  napo- 
letane  del  cinquecento.  Napoli,  Priore 
1906.  In-i8,  pp.  17- 

NIERI  (1.).  Cento  racconti  popolari 
lucchesi.  Livomo,  Giusti  1906.  In-i6, 
pp.  XX-280.  L.  2.50. 

PITRfe  (G.).  L'esercizio  della  Chirurgia 
in  Sicilia  dal  XIV  al  XVIIl  secolo.  Pa- 
lermo, Tip.  del  Giorn.  di  Skilia  1905. 
ln-8,  pp.  14. 

PROVENZAL  (D.).  I  nuovi  orizzonti 
del  Folk-Lore.  Bologna,  1906.  ln-8. 

PUGLISl  (G.).  Minicu  e  Turiddu.  Mo- 
nografia  popolare.  Palermo.  1906. 


TEZA  (E.).  Di  una  nuova  raccolta  di 
canzoni  e  di  arie  greche  di  popolo.  Nota 
Padova,  G.  B.  Randi  1906.  ln-8,  pp.  24. 

NICOLA'iD^S  (J.).  Contes  licencieux 
de  Constantinople  et  de  TAsie  mineure. 
Kleinbronn,  Librairie  Gustave  Picker 
(1906).  In-i6. 

St  BILLOT  (P.).  Le  Folk-Lore  de 
France.  T.  111.  La  Faune  et  la  Flore. 
Paris,  Guilmotte  1906.  ln-8. 

SLADEN  (Douglas)  a.  LORIMER 
(Norma).  Queer  Things  about  Sicily. 
London,  1905.  In-i6,  pp.  421. 


k'uCK  (Ed.).  Das  alte  Bauemleben 
der  Liineburger  Heide.  Studien  zur  nie- 
dersachsischen  Volkskunde,ecc.  Leipzig, 
Thomas  1906.  in-8,  pp.  XVI-279-        ^ 

HAUPT  (R.).  Katalog  10:  Volkskunde, 
Kultur-und  Sittengeschichte.  Halle  a.  S. 
1906.  ln-8,  pp.  120. 

ORTIZ  (F.).  Hampa  Afro<ubana.  Los 
Negros  Brujos.  Madrid,  Fe.  1906.  In-i6. 


SOMMARIO  DEI  GIORNALI. 


ARCHIVIO  STORICO  LOMBARDO,  5  S. 
XXXV,  I,  1905,  F.  Savini:  Sui  Jiagel- 
lantiy  e  sui  Bizocchi  nel  Teramano 
durante  i  secoli  XUl  e  XIV  e  una  bolla 
di  Bonifacio  VIII  del  1297  contro  i  Bi- 
zocchi ivi  rifugiati. 

GIORNALE  STORICO  DELLA  LETTE- 
RATURA  ITALIANA.  Vol,  XXIII,  fasc.  133. 
Torino,  1905,  pag.  156-57.  PUri,  La  vita 
in  Palermo^  recensione. 

IL  MARZOCCO,  XI,  12.  G.  S.  Garg^no: 
Folklore  e  Poesia  italiana. 


IL  PROGRESSO  DEL  CANAVESE  E 
DELLE  VALLI  STURA.  Ciri6,  1906,  a.  VI, 
nn.  II,  12,  13,  14,  15,  16,  17,  18,  23, 
30  marzo;  6,  13,  27  aprile;  4  maggio. 
A.  Rambaudi :  Storie  e  leggende  Cana- 
vesane,  narrate  da  uno  zingaro.  I,  Le 
Fate;  II,  Streghe  e  stregoni;  III,  II  Dia- 
volo. 

IL  SECOLO  XX.  Milano,  1905.  IV,  6. 
F.  Sabelli :  IJorigine  della  festa  del 
Corpus  Domini. 

9.   L.    Pagano:    Piedigrotta. 


386 


ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 


LA  LETTURA.  Milano,  1905,  V,  6.  P. 
Molmenti:  Nozze  vcneziane,  storia  del 
costume. 

7.  F.  Malaguzzi-Valeri :  Unapa^tTtadi 
storia  del  costume.  Da  disegni  inediti  del 
trecento. 

LA  RASSEGNA  Nazionale.  Firenze, 
16'  Aprile  1906.  G.  Lanzalone:  Sulla 
Griselda  del  Boccaccio. 

LA  SICILIA  UNIVERSITARIA,  a.  II,  fa- 
scicolo  3.  Palermo,  Marzo  1906.  S.  Prato: 
Un  distico  popolare  livornese^  illustrato 
da  note  comparative.  II  distico  h  questo: 
<  Siete  piu  bella  che  non  d  la  luna,  - 
Quando  che  in  quintadecima  si  leva  ». 

L'ORA,  a.  VII,  1906.  N.  80,  21  Marzo. 
La  festa  di  S.  Giuseppe/  usi  e  COStu- 
manze  in  Borgetto. 

N.  82,  23  Marzo.  Raffaele  Scala-En- 
rico:  La  festa  del  Ramadan  at  Poll- 
teama:  origine,  usi  e  costurai. 

L'ORA  ILLUSTRATA,  a.  Ill,  n.  25.  Pa- 
lermo, 24  giugno  1906.  La  processione 
dei  «  Gigli  »,  antichissima  e  caratteri- 
stica  usanza  di  Nola.  -  La  festa  del 
«  LHvino  A  more  >  a  Marino.  -  G.  De- 
Giacomo:  II  giorno  di  San  Giovanni. 
leggende  calabresi. 

NAPOLI  NOBILISSIMA,  1905,  XIV,  n.  9, 
II,  12.  B.  C[roce]:  Varietd  inlorno  ai 
€  Lazzari  ».  L'origine  del  nome  dato  alia 
plebe  napoletana;  la  leggenda  dei  Laz- 


XV,  3-4.  //  giuoco  delle  canne.  o  il 
carosello.  Ristampa  dell'art.  gi^  pub- 
blicato  in  quest Mr<:// /?'/<;,  v.  XIX,  pa- 
gina  417. 

PIEMONTE.  Saluzzo,  1905.  MI,  17,  E. 
Milano:  Ultime  reliquie  del  dramma 
sacro  in  Piemonte. 

PIFF-PAFF,  a.  XXIX.  Dal  mese  di  feb- 
braio  ad  oggi,  nel  solito  numero  setti- 
manale  questo  giomaletto  umoristico 
viene  descrivendo  La  vita  in  Palermo 
trenta  e  piu  a?tni  fa  in  confrotito  a 
quella  attuale.  Lo  studio  h  vivace  e  ri- 
trae  pratiche  e  costumanze  palermitane 
molto  diverse  dalle  attuali.  Ne  e  autore 
un  giovane  avvocato,  Oreste  Lo  Valvo, 
che  si  nasconde  sotto  lo  pseudorcino 
di  Oleandro. 

RIVISTA  ABRUZZESE.  Teramo,  1905. 
XX,  2.  L.  Di  Pretoro:  Canzoni  popolari 
haruzzesi. 


2,  4,  7.  T.  Bruni:  Credenze  ed  usi 
abruzzesi.  Continuazione. 

RIVISTA  STORICO  -  CRITICA  DELLE 
SCIENZE  TEOLOGICHE.  Roma,  1905,  I.  6. 
^^  leggende  agiografiche  a  proposito 
del  vol.  del  P.  Delhaye. 

ROMAGNA,  Jesi,  Nov.-Dic.  1905.  II, 
P.  Fabbri :  Rispetti  e  stornelli  raccolti 
sui  monti  della  Romagna-Toscana. 

THE  SICILIAN  TIMES,  I,  1906.  nn.  X, 
2,  3,  4.  II,  19,  26  Febbraio,  5  Marzo. 
Edw.  C.  Strutt:  Sicilian  Folk-Songs, 
studio  sulla  poesia  popolare  siciliana 
con  saggi  tradotti  in  inglese.  -  A  Fla- 
neur in  Sicily^  I.  The  marionette",  ar- 
ticolo  sul  teatro  dei  Paladini  in  Pa- 
lermo. 


REVUE  DES  TRADITIONS  POPULAIRES, 
T.  XXI,  1906,  n.  I,  Gennaio.  P.  Scbillot: 
Legendes  et  superstitions  prehistori- 
ques,  CXLVII.  -  J.  Prison:  Traditions 
et  superstitions  de  la  Basse-Bretagne. 
-  P.  Sebillot:  Chansons  de  la  Haute 
Bretagne,  1,  XXVI.  -  Maria-Edm^e  Vau- 
geois :  C  ontcs  et  Legendes  de  la  Haute 
Bretagne,  LVIII-LXVII. 

N.  2,  Febbraio.  J.  A.  Decourdemna- 
Ch6:  Sur  quelques  pratiques  de  divitia- 
lion  Chez  les  Arabes.-  A.  Van  Gennep: 
A  propos  de  l'origine  des  runes,  se- 
condo  un  recente  lavoro  di  Wilser  Lud- 
wig.  -  Dupuis-Yacouba :  Les  Legendes 
de  Farang  Roi  de  Gao.  -  Continua 
al  n.  3.  -  Bibliographic .  11  sig.  R. 
Borset  s'intrattienedel  II  vol.  del  Folk- 
lore de  France  del  S^illot  e  Van  Gennep 
della  Sage  von  den  vier  Haimonskin- 
dem  di  L.  Jordan. 

N.  3,  marzo.  A.  Van  Gennep:  I^s 
marques  de  propriety  chez  les  indigenes 
derAustralie,  XXIV.  -  L.  G.  Seurat:  Ltf- 
gendes  des  PiiumotoUy  IX-Xll.  -  Ed. 
Vaugeois:  Rimes  et  jeux  dti  Pays 
Nantais.  -  L.  Desaivre:  Les  traditions 
pop.  chez  les  auteurs  poitevins.  -Biblio- 
graphic di  recenti  pubblicazioni  di  Ri- 
chard-Andr^e,  Thomas,  Ledieu,  ecc. 


FOLK-LORE.  Vol.  XVII.  n.  i,  London, 
Marzo  1906.  Questo  primo  fascicolo  si 
apre  con  la  relazione  dell'adunanza  ge- 
nerale  del  Consiglio  della  Societit  di 
folklore  di  Londra  e  col  discorso  del  pre- 
sidents sig.  W.  H.  D.  Rouse,  lucido 
riassunto  dei  lavori  stati  comunicati  ad 
ad  essa  durante  I'anno.  Segue  la  conti- 


SOMMARIO  DEI  GIORNALl 


387 


nuazione  dello  studio  di  G.  B.  Cook 
sopra  The  European  Sky-God,  che  6  da 
classiticare  tra  i  piii  seri  finora  usciti 
nel  Folk-Lore.  Sotto  la  rubrica  Collec- 
tanea e  uno  scritto  illustrativo  dei 
giuochi  col  filo,  dovuto  a  W.  Innes 
Pocock.  Continuano  le  aggiunte  di  B.  C. 
Maclagan  ai  Gornes  of  Arogvleshire . 


ZEITSCHRIFT  DES  VEREINS  FUR 
VOLKSKUNDE,  a.  XVI,  1906.  i.  R.  Wos- 
Sidlo :  Ueber  die  Technik  des  Sammels 
volkstilmlicher  Veberlieferungen.  -  P. 
Toklo:  Aus  alien  Novellen  und  Le- 
f^enden,  nn.  11  e  12.  -  B.  Chalatianz: 
Kurdische  Sagen,  6,  10.  -  Elisabeth 
Lemke:  Das  Fangsleinchenspiel.  Minuta 
illustrazione  comparativa  del  giuoco  ai 
sassi:  pentalita  dei  Greci.  -  R.  Mielke: 
AUe  BauUberlieferungen:  3-4,  con  van 
disegni.  -  Kleine  Millellungen:  J.  Bolte: 
Das  Sprichwori  <  den  Hiind  vor  Lowen 
schlagen  »,  con  due  disegni.  -  O.  Schutte: 
Die  Hornsprache  im  Volksmunde.  - 
J.  Bolte:  Die  Legende  Z'on  Auguslinus 


und  dem  Kn'dblein  am.  Meere,  -  O. 
Knoop :  Sagen  aus  Kujawien.-  Berichte 
und  Biicheranzeigen.  \\  dott.  O.  Lauffer 
fa  una  relazione  delle  recenti  pubblica- 
zioni  tedesche  di  folklore.  Continua. 

2.  Th.  Zachariae:  Indische  M'drchen 
aus  den  Lettres  edifianles  et  curieuses. 
-  J.  Hertel:  Eine  alte  Pahcatanlra  - 
Erzdhlung  bei  Babrius,  -  R.  Leh- 
man n:  March  en  der  argentinischen 
Iiidianer.  -  Max  Hofler:  Das  Haus- 
bauop/er  im  Jsarwinkel,  -  C.  Dahl: 
Die  I'olkstrachl  der  Insel  Rom.  -  O. 
Schell:  Borgische  Tauberformeln,  nu- 
mero  33.  -  Emil  Schnippel;  Eine  mo- 
derne  Sage  von  einem  Gotlesfrevler.  - 
J.  Bolte:  Zum  deutschen  lolksliede.  -  A. 
Bruckner,  G.  Polivka:  Neuere  Arbeiten 
zur  slawischen  I'olkskunde:  pubblica- 
zioni  della  Lituania,  della  Polonia,  della 
Boemia,  della  Russia.  Continua  la  re- 
censione  critica  delle  pubblicazioni  folk- 
loriche,  %\k  stata  annunziata,  dal  dott. 
Lauffer. 

G.  PURE. 


NOTIZIE  VARIE, 


Dal  di  28  Aprile  di  quest' anno  il 
dott.  G.  Pitre  lavora  a  mettere  in  luce 
disegni  e  grafiti  d'un  carcere  del  S.  Uf- 
fizio  da  lui  scoperto  nell'antico  palazzo 
Chiaramonte  in  Palermo.  Notevole  6  il 
gran  numero  dei  palimsesti  di  quel  car- 
cere,  dei  quali  ssivk  data  notizia  in 
(XMQsVArchivio. 

—  L'onor.  Pietro  Lanza  di  Scalea,  ex 
Sotto-segretario  di  Stato  agli  Esteri, 
dirA  prossimamente  una  conferenza  in 
Milano  sopra  le  Leggende  del  mare. 

—  Un  volumetto  di  Leggende  pae- 
sajie  e  di  prossima  pubblicazione  presso 
N.  Giannotta  in  Catania. 

N'e  autore  il  giovane  studioso  Ettore 
Capra. 

—  Dopo  i  due  grossi  volumi  del 
Krauss:  Anthropophileia,  si  h  incomin- 
ciata  in  Kleinbronn  una  serie  di  Con- 
tributions au  Folklore  erotique  ecc.  II 
lo  volume  coqtiene  Conies  licentieux  de 


Constantinople  et  de  I'Asie  uiineure 
raccolti  dal  compianto  Jean  NicolaYd^s. 
Ne  parleremo. 

—  Tesi  di  laurea  sulla  university  di  Ro- 
stock: Der  Aberglaube  in  derfranzo- 
sichen  Novelle  des  XVIJahrhunderts. 

—  fe  in  soscrizione  presso  I'editore 
Franz  Malota  in  Vienna  una  raccolta 
di  canti  popolari  erotici  dell'Austria  fatta 
dal  sig.  E.  K.  Bliimml.  II  prezzo  del 
volume  sar^  di  10  marchi. 

—  Nato  nel  Settembre  del  1855,  mo- 
riva  in  Gubbio  sua  patria  il  15  Aprile 
1906 Giuseppe Mazzatinti.Di  lui  abbiamo 
nel  campo  del  Folklore  un  volume  di 
Canti  pop.  umbri  raccolti  a  Gubbio 
(Bologna,  1883). 

—  II  nostro  egregio  collaboratore  ed 
amico,  prof.  Carlo  Simiani,  preside  del- 
ristituto  tecnico  di  Girgenti,  cessava  di 
vivere  il  16  Giugno. 

/  Dire t tori: 
GIUSEPPE   PlTRE 

SALVATORE  salomone-marino. 


Cirie  —  Stabilimento  Tipoifrattco  G.  Capblla  —  Cirift 


'if'^mwm 


OPERf=  DEL  D.R  GIUSEPPE  PiTRf  di  PALERMO 

BlBLllJTECAMi/riUDlZlUNIFiJPOmilSltUlANE 

mccolte  ed  nlustrate  d-^  "■  *t.  QtUSEPPE  PITRE 


ICIenco  riei   %'oltitni   piifirl-itlcot L 


.    .     .     ,     ^  •     4- 

?!»&«<.  HOT  en*  ♦  «^*" 


7 at  e  w»tv.  ,']itii 

9941 

P<>pdlo  aicillatio.  1  v<}J,ili|M. 

pa|(.  :«T£,  LMtj  (  tiifrttiu     ,    .  ,    ,     s 

ill  tef8:eiide  uonijiitri  in  fii^dlli 
9  tiU9irm  rac  /.q  ^i- 


tii  *    T     I        -rtiiaftft,  1  1-,:,  ^    ^ 

/j*ffii«*(»  <  "»>  /J  !f  fi'  '  rto  di  i,  115 

:  L  BO 


CURI05ITA  POPOLARI  TRADIZIONALI 

iccolta  diretta  dal  Dott.  GIUSEPPE  PITRE' 


Ufi  <*  PTC 

RoraDL  - 


Suptn 


Cant 

1  vol. 

Trmn 


1  ««li»             Moirer 

■1*               Autl 

iiu*dl.  fdcfoiii  lid  J I 

->i, 

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SO--  /v 

Ukmk  (Idle  Ti'sdizioiii  fupolari  io  Italia 

Don.  CIUSEPFE  FITRE 

Uu  t;  '8^  icr,  di  nitre  1©  — 


7}ir*rjr}  > 


...  _   ..„j  CLAUSEN  -  HANS  RINCK  ?Hf, 
Via  Po,  11  —  TOniHO  -  Via  ['„,  U 


A  H  C  H  1  \   I 


FL> 


riO   DELLE 


XRADIZIONI     POPOI,AKl 


si    pubblk  I 


irca   ;50  pegm 


]]  prez^o  di  figai  vuJume  t  per  TJiaLa  L,  15 

postak  m  francbi  18,  pi     *  ucipaumenti*. 

Sa«.)  In  Tiiiw,  Via  Po  n,-  e  fresso  i  princip^ii  i  ^la^  ^J' 

Per  quanto  concerni;  rAmminmtmrione, 
feditore  stesso.  are  iirvece  tett^re^  manos 

d6  che  riflette  \si   Redasdt'  Qi«»fpne  Plirl  m  Pikr»t 

S*  Oliva,  35,  11  quale  f;iri  pute  xeano  nejr*^  A/ci 
tr^ifmpm  pQpolari  c  crranno  spediti;  in  doppio jescmpbr* 

Le  annate  arrffU^ile  sonu  in  vendita  a1  pr^z2u  di  L.  21  >: 
k  annate  I*  t  II*  •-e^aufite*  delle  quali  IVditore  posaiede  ijiiai^ri^;  eH^jii- 
plare  al  pt^zm  da  conv  enir^^ 

fianchi  iSI. 


ii 


Vol.  XXIII. 


Fase.  IV. 


ARCHIVIO 


HCR    M>    STUDIO 


D£Lr^ 


TRADIZIONI  POPOLARI 


RIVISTA  TRIMESTRALE 

DIRETTA   ©A 

e.  PfTRE  E  5.  5flL0M0NE-MAf^lN0 


CARLO  CLAtJ> 


PubbUcato  U  IS  Maggio  1907 


r  r" 


SOMMAKIO  DEL  PKESENTE  FASCiCOLO 


Saggi  di  Folklore  Salcntina  (A,  E.  FABRiaioi 

Novelle  pdpolari   toscane  (G-  Prtnt) 

Leggenda  popolari   sarde   racasUe  in   uzieri  (r\\ALLA 

Invettiva   di   ue  c^ntadino  confcro  il  governo   pro\'\isurio 

in  Toscana  (P.  GioKm)       .♦'•<* 
Proverbi  e  sentenze  tedesche  (A.  D«  Mahchi)  . 
Canti  pop&lan  raccohi  a  Prasso  Tdesitio  (C.  Calandu 
Can^  ppqlari  laccoltl  in  Novam  Sicula  (S*  RACGuaUA)  . 
Usages  et  cmyatices  ila  Kiztba  sui  la  cftte  sud-ovie^-t 

be  Vlctoria*NUnza 
Canti  popolari  in  Custciu. 


P03 


..Inrw^L 


IHIJi-i      \yt  ' 


itili-vH!  iU    P.un^o 


389 

440 
450 

477 
484 


Mi^ 


(J.  ^ 


■■..lit    /-*'   t/. 


■.-  ^O-  Pn. 


ReceiTli  pubblictt^ioi 


520 
522 


SAGGI    Dl    FOLKLORE   SALENTINO 


L  -  La  graq  settimaoa. 

Chi,  durante  la  settimana  santa,  capita  in  una  borp^ata  della 
estrema  penisola  salentina,  crede  che  I'antico  sentimento  religioso, 
con  la  sua  semplicit^  e  la  sua  poesia,  con  le  legjrjadre  costumanze 
del  buon  tempo,  incalzato  dallo  scetticismo  della  vita  moderna,  si 
sia  rifugiato  in  questo  cantuccio  di  terra:  alio  stesso  modo  die  qui 
appunto,  secondo  un'  attraente  iplbtesi,  fu  so*^pinto  ii  primo  popob 
che  scese  nella  penisola  italica  dal  soprai^giungere  di  nuove  immt- 
grazioni.  Le  cerimonie  dei  giorni  aanti  hanno  eccezionaie  importanza 
per  questo  popolo  si  ricco  di  fantasia,  il  quale  con  fede  sincera  assiste, 
spettatore  e  attore  insieme,  al  dramma,  che,  iniziato  in  chiesa,  si 
svolge  e  s'allarga  per  le  vie  e  per  le  plazze, 

Siamo  a  Maglie,  ch'^  come  la  capitaie  di  quello  che  suol  chia- 
marsi  il  Capo  di  Leuca,  la  domenica  Jelle  Palme,  Una  vera  selva 
di  olivi  si  assiepa  attorno  al  presbiterio,  ri^ur^ita  nelle  navate  e  si 
stende  fin  nella  piazzetta  della  chiesa ;  di  tanto  in  tanto,  tra  Tondeg- 
giare  dei  pallidi  rami,  spicca  il  verde  lucente  dei  palmizi,  che  produce 
questa  ferace  contrada.  A  un  tratto  cessa  il  cicaleccio,  le  chiome 
fronzute  si  agitano:  h  la  benedizione.  Quindi  la  fitta  oliveta  si  diso;rega, 
ed  i  rami  benedetti  corrono  di  qua  e  di  la  per  le  strade  del  paese, 
entrano  nelle  case,  piglian  la  via  dei  cam  pi,  e  dopo  pochi  istantip 
eccoli  rizzati  sulle  torri  e  sui  comignoli,  nei  prati,  negli  orti,  nelle 
vigne;  sono  messi  a  ruba  e  sfrondati,   e  coi  rametti  si  adornano  gli 

Archivio  per  le  tradizioni  popolari  Vol.  XX III.  19 


^gO  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

usci  e  le  testate  dei  letti.  Delle  foglie  di  palma  alcuni  contadini 
sanno  intrecciare  graziosi  gingilli,  a  guisa  di  croci  e  di  panierini, 
talvolta  fioriti  di  confetti  colorati,  ai  quali  s'attribuiscono  quality  di 
amuleti:  li  sospendono  ad  un  gran  ramo  d*  olivo  e  ii  mettono  in 
vendita  per  la  via  che  mena  alia  chiesa,  richiamando  I'attenzione 
dei  passanti  con  parole  non  dissimili  a  quelle  della  contadina  toscana: 

Fin  dove  li  ho  portati  a  benedire, 
La  gente  non  ha  fatto  altro  che  dire: 
^  S'accosti  e  guardi  pur  chi  non  lo  crede. 

Come  questi  che  qui  non  se  ne  vede   x). 

Quelli  che  s'avviano  alia  campagna  allungano  il  passo,  p)erch^ 
non  li  colga  il  colmo  della  pioggia,  che  immancabilmente  deve  venir 
giu  in  questo  d\,  acciocch^  il  ramo  entri  dolce  nelia  terra  moile  a). 
I  piu  lesti  s'  affrettano  di  nuovo  alia  chiesa,  per  esser  presenti  alia 
scena  deH'aprirsi  della  gran  ix)rta  al  picchio  della  croce,  e  per  cantare 
a  loro  modo  V  inno  deir  abate  Teodolfo  d'  Orleans.  Si  narra  infatti 
che  quest'abate,  mentr'era  prigioniero  in  Angers  per  aver  tenuto  di 
mano  alia  congiura  di  Ludovico  iW  Bonario,  componesse  quest'  inno 
e  lo  cantasse  nel  momento  che  la  processione  delle  Palme  passava 
davanti  al  carcere :  Timperatore,  ch'era  nel  seguito  della  processione, 
I'udl  e,  compiaciutosi,  lo  rese  libero.  Ma  oramai  questa  ed  altre 
leggende  medioevali   consimili   di  poeti  prigionieri  che  compongono 


i)  MARIANNA  GlARRfe  BILLI,  La  vendiirice  di  rami  d'olivo, 
2)  In  alcuni  luoghi  si  crede  che  per  la  campagna  sia  di  buon  augurio  la  pioggia 
della  domenica  delle  Palme,  in  altri  invece  quella  di  Pasqua,  ma  tra  le  due  opinioni 
non  c'6  contradizione,  perchd  insomma  si  vuol  dire  che  in  marzo  e  in  aprile, 
in  cui  cade  sempre  la  settimana  santa  {Marzu  nu  po'  stare  senza  Ca- 
remma)y  la  pioggia  6  benefica  ivale  cchiui  n'  acqua  de  Marzu  o  de  'brile  ca  lu 
carru  tau  cu  tuttu  V  avire  —  Marzu  chioi  chioi;  *brile  chioi  e  teni ;  masciu 
una  bona,  ogni  puddicedda  se  rinnova).  Le  due  opinioni  infatti  sono  conciliate 
in  un  adagio  tedesco :  Se  non  piove  sulle  Palme,  piove  suUe  uova.  In  questo 
senso  bisogna  intendere  un'altra  sentenza  salentina : 

Q  61  cu  veinui  na  bona  'nnata, 
Natale  'ssuttu  e  Pasca  muddata. 


SAGGI  DI  FOLKLORE  SALENTlNO  ^% 

cantici  sacri  in  carcere,  sono  accolte  con  diffidenza  dagli  studios! 
della  poesia  Hturgica  i). 

II  lunedl,  il  martedl  e  il  mercoledl  santo  si  posson  chiamare 
giorni  di  preparazione:  s'apparecchia  la  tavola  ddla  Cena,  si  costmisce 
il  Sepolcro,  si  da-  Tultima  mano  al  teatro,  sesih  allestito  il  dram  ma 
della  Passione.  A  Maglie  V  uso  di  questa  rappresentazione  k  scom- 
parso,  ma  molti  paesi  vi  rimangono  ancorafedeli.  Nel  vicino  villaggio 
di  Muro,  negli  anni  in  cui  la  raccolta  delie  oliv^e  e  abbondante,  la 
tragedia,  come  si  chiama,  non  pu6  mancare,  fe  la  solita  parafrasi 
dialogizzata  dei  fatti  della  passione  e  terming  con  la  scena  del  calvario 
che,  come  nelle  Devozioni  umbre,  si  rappresenta  muta.  La  tragedia 
si  suole  ripetere  piu  volte,  e  nella  settimana  in  albis  s'  aggiunge  la 
scena  della  risurrezione. 

Quando  queste  sacre  rappresentazioni  erano  piu  in  voga  e  in- 
cominciavano  fin  dal  giorno  delle  Ceneri,  gli  argomenti  desunti  dalla 
passione  di  Cristo  s'alternavano,  per  varieta,  con  quelli  relativi  alia 
vita  dei  Santi,  come  si  fece  a  Lecce  nella  quaresima  del  1497,  in 
occasione  del  soggiorno  d'lsabella  del  Balzo,  maglie  di  Federico  di 
Aragona.  Un  poeta  sincrono  nota  il  fatto  : 

Li  giorni  sancti  de  la  Quarantatia 
Cose  de  sancti  se  representava; 
Molti  martirii  in  rima  se  dispiana, 
In  publico  per  Tordinarii  se  cantava; 
Rendendo  ciaschauna  mente  hum  ana 
Contrita,  ad  devocione  la  incitavai 
Ancora  de  po'  Pasqua,  alcune  teste 
Sen  fecero  devote,  assai  honeste  a). 


1)  Vedi  la  recente  discussione  tra  F.  ERMINI  e  O.  MaRUCCHJ  sul  GiomaU 
d'  Italia  del  settembre  scorso  intomo  a  Jacopone  da  Todi,  che*  secondo  la  tradl- 
dizione,  avrebbe  composta  la  sequenza  dello  Sladal,  mentr^era  prfgioniero  di  Bonl- 
fazio  VIII. 

2)  RUGGIERO  DI  PAZIENZA  da  Nardd,  Lo  Balzino.  Di  qu&sto  curioso  poema 
inedito,  interessante  anchedal  punto  di  vista  folklorico,  illiastrato  gid  da  B.  Croce 
neW Arch,  stor,  nap. f  XXII,  pp.  632-701,  ora  Tamico  S.  Ponareo  pubblica  la  parte 
che  riguarda  la  Terra  Santa  d'Otranto:  Irani,  Vecctii  e  C,^  1906. 


•  392  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARf 

Dalla  mattina  del  giovedl  le  campane  non  suonano,  e  tutte  le 
funzioni  sono  annunziate  con  la  b^ttola  (trhiula)  che,  portata  in 
giro,  fa  uno  strepito  assordante,  mentre  nelle  chiese,  quando  si 
dovrebbe  sonare  il  campanello,  si  danno  botte  da  orbo  sulle  panche 
e  sui  confessionali,  e  i  fanciulli  fanno  stridere  a  centinaia  le  raganelle 
(trdzeule).  Fino  i  carrettieri  toigono  i  bubboli  ai  cavalli,  i  caprai  alle 
capre,  e  mi  ricordo  che  un  vecchio  portiere  del  collegio  Capece,  in 
questi  giorni,  quando  entrava  qualcuno,  invece  di  dare  il  solito  segnale 
col  campanello,  picchiava  a  buono  con  un  suo  martellaccio  sul  portone. 

Uno  dei  piu  ricchi  del  paese,  come  T  antico  corego  in  Atene, 
s'addossa  la  spesa  della  Cena.  Questa  si  fa  nella  chiesa  principale, 
e  vi  s'  imbandiscono  agnelFi  di  pasta  dolce,  frutta  serbate  fresche 
dairestate  dell'anno  avanti  e  ciambelle  di  pane  azzimo.  Gli  apostoli, 
che  son  dei  vecchi  poverelli,  insaccati  in  lunghi  camici  azzurri,  fanno 
la  la^anda  dei  piedi  e  mangiano  serviti  dal  ricco  liturgo  in  persona ; 
il  quale  dona  a  ciascuno  di  loro  due  carlini,  e  alia  fine  dispensa 
al  popolo  il  pane  benedetto,  che  poi  si  conserva  gelosamente,  perch&, 
esposto  innanzi  all'uscio  durante  il  temporale,  preservera  la  casa  dai 
fulmini.  La  sera  del  giovedl  si  fa  la  visita  ai  sepolcri :  va  la  gente  a 
coppie  a  lunghe  file,  recitando  preghiere,  fino  a  tarda  notte,  al  sereno, 
con  la  certezza  d'essere  preservata  da  ogni  malanno.  II  sepolcro  nella 
parte  inferiore  rappresenta  la  tomba  di  Gesii,  circondata  di  fiori  e  di 
lumi;  nella  parte  sui:>eriore  b  figurato,  di  grandezza  al  naturale,  qualche 
episodio  della  passione.  Intorno  al  sepolcro  poi  si  dispongono  dei 
piattelli  contenenti  dei  cespi  di  frumento  in  erba,  perch^  il  Redentore 
lo  benedica.  S'  b  fatta  V  ipotesi  che  questi  non  siano  altro  che  gli 
orti  di  Adone  offerti  dai  Greci  dell' Asia  minore  al  giovane  Dio,  che 
muore  per  indi  rinascere,  immagine  della  vegetazione  risorgente  a 
nuova  vita.  Cosl,  per  un  fenomeno  comunissimo  nella  liturgia,  una 
festa  pagana  si  sarebbe  trasformata  in  una  festa  cristiana:  la  morte 
e  la  risurrezione  di  Cristo  corrisponderebbero  ai  casi  di  Adone,  e  il 
pianto  di  Maria  avrebbe  riscontro  nel  lamento  di  Venere  {repetita 
mortis  imago  annua  plangoris  peraget  simulacrum)  i). 


i)  OVIDIO,  Metam,  X,  722  e  sgg.  Nell'  isola  di  Malta  pare  che  S.  Giovanni 


SAGGI   Dl   FOLKLORE  SALENTINO  jgj 

Intanto  nella  chiesa  principale  il  predicatore  con  grand 'enfasi 
vien  narrando,  tra  i  pianti  dei  fedeli,  i  partkolari  del  giudizio  e  della 
morte  di  Gesu.  Un  tempo  si  costruiva  presso  il  pulpito  un  palco, 
sill  quale,  quando  11  racconto  prendeva  mo  vi  men  to  drammatico,  si 
rappresentava  qualche  scena  isolata,  che  in  certo  qual  moda  serviva 
ad  illustrare  la  parola  dell'oratore.  Queste  scene  staccate,  dl  sempli- 
cissimo  svolgimento  e  forse  ridotte  talvolta  a  mute  pantomime,  eb- 
bero  senza  dubbio  efficacia  sulle  origini  delhi  sacra  rappresentazinne, 
pur  continuando  -ad  usarsi  allorch^  questa,  resnsi  indipendente,  as- 
sunse  forma  di  dramma  regolare:  ora,  a  memoria  della  vecchia 
usanza,  si  vedono  gli  accennati  gruppi  di  figure  nella  parte  supe- 
riore  del  sepolcro.  fe  notevole  per  la  storia  del  teatro  che  spesso  tali 
scene  riproducevano  episodi  comici;  si  rammenta,  per  esempio,  che 
una  volta  riuscl  oltremodo  esilarante  il  battibecco  tra  Pietro  e  la  fan* 
tesca  neiratrio  della  casa  del  Gran  Sacerdute,  dove  ii  cauto  disce- 
polo  faceva  mostra  di  stare  a  scaldarsi  a  un  hraciere  insieme  con  gli 
inservienti. 

La  cerimonia  piu   interessante  tra  tutte   k    la  processione   de! 


prendesse  il  luogo  di  Adone:  uno  storico  arabo,  AL  Hasan  AL  BURiNI,  racconta 
che  intomo  al  1591  in  primavera  gli  abitanti  deH'isoki  piange\'^ano  per  tre  giorni 
la  scomparsa  di  una  statua  di  S.  Giovanni,  che  quinJi,  rttrovata,  era  riportata 
con  gran  festa  nella  chiesa.  Questa  cerimonia  si  sarebbe  isostltuita  ad  un'antica 
festa  nata  dalla  combinazione  della  festa  semitica  Ji  Adone  con  le  Antesterie 
ioniche.  Cfr.  WUNSCH,  Bas  Frilhlingsfest  cUr  Insc/  Jfalia,  Lipsia^  1903.  La  qui- 
stione  6  interessante  e  mi  dispiace  che  i  limiti  di  una  nota  non  mf  consentano  di 
trattarla  a  tutt'agio.  Secondo  me,  la  cerimonia  popolare  che*  sotto  divers*  fonne 
si  compie  dovunque  in  primavera  e  simboleggia  la  palingenesi  del  la  vegetazione 
gii  morta  nellMnvemo,  da  una  parte  si  collega,  attra verso  !l  tramite  delle  Adonie^ 
ad  una  festa  antichisslma  della  razza  indogermanica,  dairaJtra  ha  relazione  con 
le  Quattro  Tempora  primaverili.  Questa  determinazione  cristiana  delTantica  festa 
floreale,  avvenuta  spontaneamente  nella  coscienza  del  popolo,  fu  in  effetto  rico- 
nosciuta  da  Leone  L  mentre  prima  le  Tempora" erano  solo  tre:  estive,  autunnaSi* 
Invemali,  corrispondenti  alle  tre /ertae  conceptivae  dei  Romanl:  mtjjiV.  vinde^ 
mialesy  sementinae^  analoghe  alle  tre  menzionate  m  an  adagio  sidlfano:  i^mpi 
di  lu  Signuri  (del  Corpus  Domini),  di  H  vinnigni,  di  Xa/ait,  {Cfr.  G,  PlTKfi* 
Bidl.  delle  tradiz,  pop.  sic,  vol.  X,  pp.  9-10). 


394  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

venerdl  santo.  Fin  dalle  prime  ore  del  giorno  una  turba  di  ragazzi, 
coronati  di  spine,  percorrono  le  vie,  battendosi  le  spalle  con  una  fune 
nodosa,  gridando  a  squarciagola  <fi  Sanda  Maria,  ora  pro  nobis !  p 
o  tirandosi  dietro  un  carro,  su  cui  h  costruito  il  calvario  con  le  tre 
croci.  Seguono  lentamente,  miaeri  ItMsi  come  i  superbi  del  purga- 
torio  dantesco,  quelli  carichi  di  grosse  pietre  e  di  pesantissime  croci, 
0  muniti  di  discipline  di  ferro  :  son  peccatori  pentiti,  che  un  tempo, 
nudati  fino  alia  cintola,  s'  insanguinavano  le  spalle  a  furia  di  batti- 
ture.  Piu  ordinate  ^  il  resto  della  processibne:  due  lunghe  file  di 
confratelli  con  le  statue  dei  Misteri  i),  indi  una  schiera  di  fanciulli 
vestiti  d'angeli,  recanti  gli  strumenti  della  passione,  e  di  fanciulle, 
che  cantano,  accompagnate  dalla  musica,  un  inno  d'occasione;  in 
fine  la  bara  di  Cristo  e  la  statua  della  Madonna,  intorno  a  cui  s'afr 
foila  una  moltitudine  di  donne  velate  di  nero.  Lungo  il  percorso  della 
processione,  i  bottegai  espongono  dei  saggi  della  loro  merce,  ed  anche 
i  beccai  devono  fin  da  questo  giorno  aver  macellata  la  came  che  si 
vendera  di  Pasqua,  e  metterne  in  mostra  i  tagli  fregiati  di  stellucce 
di  carta  dorata. 

Molti  anni  fa  la  processione  si  fermava  in  piazza,  e  il  predica- 
tore  della  quaresima  faceva  rappresentare  una  devozione,  che  per  lo 
piu  terminava  con  una  disputa  tra  Tarcangelo  Michele  e  il  demonio. 
Abbiamo  modo  di  sapere  come  si  svolgessero  tali  rappresentazioni 
all'aperto,  perch^  ci  resta  la  descrizione  di  una,  ordinata  da  un  mo- 
naco  salentino,  fra  Roberto  Caracciolo,  a,  Perugia,  il  venerdl  santo 
del  1448.  «  Frsrte  Ruberto  predicava  in  capo  della  piazza,  dove  era  ordi- 
nato  uno  terrato,  et  Fl,  quando  se  dev&  mostrare  el  Crucifisso,  uscl 
fuora  Eliseo  de  Cristofano  barbiere,  a  guisa  de  Cristo  nudo,  con  la 
croce  in  spalla,  con  la  corona  di  spine  in  testa,  e  le  suoi  carne 
parevano  battute  e  flagellate  come  quando  Cristo  fu  battuto.  Et  W 


I)  Si  dice  che  per  queste  statue  solevano  servire  di  modello  all'artista  i  per- 
sonage piCi  iliustri  del  paese.  Cos)  h  tradizione  che  il  Modanino  per  modellare 
alcune  statue  del  Sepolcro  della  chiesa  degli  Olivetani  di  Napoll,  nella  prima  metk 
del  sec.  XV,  riproducesse  la  figura  di  Alfonso  11  (Giovanni),  del  Sannazzaro  (Giu- 
seppe), del  Pontano  (Nicodemo). 


SAGGl  DI  FOLKLORB  SALENTINO  ^g; 

parecchie  armate  lo  menavano  a  crocifigere^  et  intraro  nel  dicto 
terrato,  e  l\  a  mezo  al  terra  to,  glie  se  fece  incontra  una>  a  guisa  de 
la  Vergine  Maria,  vestita  tutta  de  negro,  pia^i^rendo  e  parlando  cordo- 
gliosamente  quillo  che  accadeva  in  simile  misterio  deda  passione  de 
Jesu  Cristo.  E  glunti  che  fuf^ro  al  pergolo  de  frate  Ruberto,  h  stette 
un  pezo  con  la  croce  in  ispalla,  et  sempre  tutto  el  pr^polo  piangt^va 
e  gridando  misericordia;  e  puui  poseno  giu  la  dicta  croce^  e  presone 
uno  crucifisso  che  ce  stava  prima,  e  dirizaro  su  la  dicta  croce,  et 
allora  li  stridi  del  populo  fuoro  assai  mag^^iori,  e  ai  piei  deila  dicta 
croce  la  Nostra  Donna  comen^;^  el  lamento  in^^ieme  con  S.  Giovanni 
et  Maria  Madalena  e  Maria  So^one,  li  quali  dissero  alciine  stanzie 
del  lamento  della  passione.  B  puni  venne  Nicodema  e  Joseph  ab  Ari- 
mathia  e  scavigliarono  el  corpo  de  Jesu  Cristo^  quale  lo  poseno  in 
gremio  della  Nostra  Donna  e  puoi  lo  misero  nel  monumentOL  et 
sempre  tutto  el  populo  piangenJo  ad  aita  voce  ^l  »  Ora  una  canti- 
lena popolare  di  Muro  rammenta  I'antica  usanza: 

A  raenzu  chiazza  sa  cere  A  piatate, 

Mancu  ia  ptir^lssione  nci  capla. 
Puggidra  Ge.sCl  Cristo  cu  soa  Mdtre, 

Ogn'  angiuLu  Ju  jersu  sou  Jkia, 
Sant'Angiulu  s'la  misu  pe  *ucatu, 

La  parte  de  lii  populu  facia: 
«Satana,  nu  tantare  le  paTsone, 

Cu  nu  fac[  difridda  la  diuzlone   a) ». 

Un  altr'uso  che  va  scomparendo  k  quello  del  cos^  detto  trapasso, 
per  cui  si  deve  star  digiuni  da  gioved\  a  sabato  santo,  con  questo 
patto  non  molto  lusinghiero:  chi  ci  lascla  la  pelle,  si  danna  Tanima; 
chi  la  scampa  si  guadagna  non  so  che  indulgenze. 

La  mattina  del  sabato,  a  I  momento  della  risurrezione,  il  paese 
diventa  un  vero  campo  di  battaglia,  un  pandemonio  simile  a  quello 


1)  Cfr.  A.  D'ANCONA,  OHginl  del  Teatro,  vol.   I,  pag.  348,  dov'  &  la  narra- 
zione  in  esteso. 

2)  Con  qualche  variante  fu  pubblicata  alcuni  anni  fa  da  ?,  PELLlzZAitJ  in 
una  sua  pregevole  raccolta  di  scritti   vari- 


196  ARCHIVIO   PER   LE  TRADiZIONI   POPOLARI 

che  si  fa  a  Firenze  alio  acoppio  del  carro:  tutte  le  campane  suo- 
nano;  chi  ha  iin  facile,  deve  spararlo;  chi  si  trova  vicino  a  una  porta, 
a  una  tavola,  a  deve  picchiare  su  ;  e  poi  bisogna  ridurre  in  cocci 
tutte  le  stoviglie  vecchie  di  casa.  Immaginarsi  che  fracasso!  Coloro 
che  non  ne  fanno  altrimenti,  si  picchiano  a  vicenda,  questa  volta 
dawero  di  sunU^  ra^^ione,  perch^  quei  coipi  tolgono  il  peccato:  si 
batte  anche  il  letto,  e  fm  le  pareti,  per  santificar  tutto! 

[  fucili  pi^^ian  di  mira  specialmente  le  Caremme,  goffe  figure 
femminili  di  cencio,  vestite  di  nero,  in  atto  di  filare,  che  dal  giorno 
delle  Cf  neri  stanno  su  tutte  le  terrazze  per  rappresentare,  come  dice 
il  nome,  la  Quaresima.  A!  posto  del  fusaiolo  hanno  un'arancia,  intorno 
a  cui  stanno  attaccate  sette  penne,  le  settimane  della  quaresima, 
che  si  tolgono  una  o^ni  domenica,  T ultima  il  sabato  santo.  Sarebbe 
questa  una  lontana  immagine  della  Moira,  la  Parca  i),  che  filava 
il  destinu  degli  uumini  e  in  origine  indicava  specialmente  V  ultima 
parte  della  vita,  cio^  Tcsistenza  che  si  spegne?  Anche  etimologica- 
mente  v'^  accurjo  tra  il  nome  Moira,  che  deriva  dal  verbo  jietpcD 
dividoj  e  il  simbolo  popolare,  che  espressamente  raffigura  la  quare- 
sima Jivisa  nelle  sette  settimane. 

Ma  intanto,  col  suono  delle  campane  a  gloria,  termina  il  lutto, 
s'inizia  il  giubilo  della  festa  tantd  sospirata  e,  tra  le  lacrime  per  le 
busse,,.^lu^trali»  s*addenta  la  cuddura,  la  ciambella  di  rito,  che  le 
giovanette  sagliono  dona  re  ai  fidanzati : 

Sabiitu  santu,  veni  currennu, 
Le  ^:aruse  vannu  chiangennu, 
Vannu  chiangennu  cu  tuttu  lu  core, 
Sabatu  santu,  cuddure  cu  Tove. 

La  cnddtira^  cWh  un  altro  residuo  di  cerimonie  pagane  e  .conserva 
il  nome  ^reco  xoU-ip^t,  deve  avere  un  numero  dispari  di  uova,  perch^ 


i)  La  poesla  omerica  fa  menzione  di  una  Moira,  e  solo  nella  Teogonia 
esiodea  questa  divmitzi  si  distingue  nelle  sue  tre  funzioni,  dando  origine  a  tre 
dee  diverse:  Cloto  teneva  la  canocchia,  Lachesi  filava  e  Atropo  tagliava  il  filo. 
Cosi  SilenQ,  Tritone,  la  Gorgone  diedero  luogo  ai  Sileni,  ai  Tritoni,  alle  Gorgoni. 


SAGGl  Dl   FOLKLORE  SALENTINO  397 

Mumero  deo  impare  gaudei  1).  Chi  nasce  0  h  battezzato  di  sabato 
saiito  si  ritiene  fortunate,  e  un  tempo,  se  era  un  maschio  e  di  gente 
povera,  cresciuto,  era  fatto  prete  a  sf)ese  del  Capitolo. 

In  memoria  delie  ricerche  che  fece  la  Madonna  per  ritrovare  il 
figliuolo,  la  notte  del  sabato  si  va  in  giro  per  le  chiese,  si  danno  tre 
colpi  alia  porta,  e  si  passa  innanzi.  A  questo  proiX)sito  il  popolo 
racconta  che  in  quel  tempo  Maria  domandd  di  Gesu  a  una  donna 
che  si  stava  pettinando,  e  questa  non  le  diede  retta;  invece  un'ahra, 
che  stava  impastando  il  pane,  accorse  premurosa  a  darle .  qualche 
indizio.  Maria  benedV  la  prima  e  maledisse  la  seconda :  ond'^  vietato 
di  pettinarsi  di  venerdi,  mentre  h  benedetto  il  pane  fatto  in  tal 
giorno : 

Maliditta  quidda  fietta, 

Ci  de  Vennardia  s^gnetta. 
Beniditta  quidda  pasta, 

Ci  de  Vennardia  se  'mpasta  2). 

Per  la  stessa  ragione  si  crede  che  le  imprecazioni  dette  di  venerdi 
si  debbano  effettuare. 

II  giorno  di  Pasqua  si  festeggia  intervenendo  immancabilmente, 
sotto  pena  d'un  cumulo  di  sventure,  alia  benedizione  che  si  da  in 
chiesa  3,  mettendosi  in  ghingheri,  e  facendo  rialto  a  desinare.  I 
piu  umili  devono  vestir  gli  abiti  di  festa,  fm  le  fornaie,  per  le  quali 
tutti  i  giorni  sono  uguali: 

De  la  strina  —  se  mmuta  la  ricina 

De  la  Bifanla  —  se  mmuta  la  signuria. 

De  Pasca  e  de  Natale  —  se  mmutane  le  fumare 

E  a  mezzogiorno  tutti  di  famiglia,    nessuno  escluso,   devono  essere 


t)  VIRGILIO,  Egri,  vill,  75.  Quindi  k  invalso  l*uso  che  un  presente  d*uova 
debba  essere  sempre  in  caffo. 

2)  Vedi  una  variante  di  questa  novellina  in  G.  PiTRt,  Bidl.  cit,  vol.  Xf, 
pag.  366. 

2)  Per  indicare  un  fatto  straordinario  si  dice:  Pbrci  a  missa  la  mane  de 
Pascal  Come  se  di  Pasqua  anche  le  bestie  andassero  in  chiesa. 

ArekMo  pw  le  tradiMiotU  popolari,  —  Vol.  XXIIL  60 


398  ARCHIVIOPER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

uniti  a  tavola,  per  gustare  I'agnello  pasquale,  o  almeno  \a  pace, 
sorta  di  panone  attorto  a  modo  di  braccia  in  croce: 

Pasca  e  Natale  cu  li  toi, 
Camiale  a  ddu  te  troi  i). 

Ma  nu  senipre  ^  P(Mca!  Con  questo  monito  il  popolo  salentino,  in 
mezzo  alia  gioia,  tristamente  si  ricorda  che  i  giorni  lieti  sono  fugaci, 
che  il  piacere  6  eccezione  e  non  regola  della  vita. 

Ma^lie,  12  ottohre  1906, 
/ 

Angelo  Db  Fabrtzio. 


i)    Secondo  un  altro  detto  invece 


Pasca  e  Natale  cu  cl  di, 
L'urtimi  sriumi  cu  If  toi. 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE 


I.   Ceoerognola. 

Cera  una  volta  un  uomo  vedovo,  che  aveva  due  figliuoli:  un 
citto  e  una  citta.  Questa  citta  si  chiamava  Cenerognola,  perch^ 
stava  sempre  fra  la  cenere  a  frugare. 

Disse  un  giorno  quest'uomo  a*  figliuoli :  —  «Sapete,  figliuoli  miei? 
sono  costretto  a  prendere  moglie,  perch^  voialtri  siete  piccoli,  ed  io 
non  posso  andare  piu  avanti». 

Risposero  tutti  e  due :  —  «  No,  babbo,  non  prendete  moglie,  perch^ 
quando  ci  sar^  la  matrigna,  la  c\  picchiera,  la  c\  far^  patire  fame, 
ce  ne  fara  di  tutte». 

—  «  No,  no,  bambini  miei;  voi  vedrete:  piglio  una  donna  che 
vi  vorra  bene  *. 

Quest'uomo  tanto  fece,  che  prese  moglie. 

Questa  donna  quando  fu  stata  quindici  giorni,  la  cominci6  a 
pigliare  a  noia  questi  figlioli,  a  bastonarli,  a  fargli  patire  fame. 

Sapete  che  il  tempo  delle  novelle  passa  presto ;  la  fece  una  citta. 
Questa  citta  venne  grande,  ma  era  brutta,  e  la  Cenerognola  era  tanto 
bellina.  Cera  la  Citti  li  vicina  che  il  re  dava  tre  festini  di  ballo 
tutti  gli  anni. 

Quest'uomo  un  giorno  disse  alia  su'  donna:  « lo  vado  alia  fiera 
a  comprarvi  i  vestimenti ». 

Dopo  ad  Adolfo  (che  era  suo  fratello,  della  Cenerognola):  «Cosa 
tu  vuoi?  io  vado  alia  fiera  ». 

—  «  Portami  un  bel  vestiraento  ». 


^00  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

E  cosl  fece  alia  figliuola  della  su'  moglie. 

Va  dalla  Cenerognola,  e  dice:  —  «  Te cosa  tu  vuoi,  Cenerognola? 
Che  io  vado  alia  fiera.  C'^  la  festa  da  ballo....  per  poterti  portare 
qualche  cosa». 

—  «  Sentite,  babbo;  vu'  mi  dovete  jx)rtare  un  uccellino  di  tutti 
i  colori ». 

E  costl  quest'uomo  and5  via. 

La  matrigna  che  sentl  che  aveva  chiesto  Tuccellino,  disse:  — 
«  Ah  Cenerognolacciola !  tu  vuoi  Tuccellino,  ma  neppure  alia  festa 
da  ballo  tu  'un  verrai ». 

—  «A  me  'un  m'importa». 

Torna  il  babbo  della  Cenerognola,  porta  il  vestito  ad  Adolfo, 
porta  il  vestito  alia  sua  moglie  e  alia  figliuola  della  sua  moglie,  e 
alia  Cenerognola  gli  presenta  Tuccellino. 

La  sera  che  dovevano  andar  alia  festa  da  ballo,  si  vestono  tutte 
e  quattro,  e  la  Cenerognola  resta  in  casa.  La  matrigna:  —  «  Vedi, 
Cenerognolaccia :  se  tu  ti  facevi  portare  il  vestito,  venivi  anche  te, 
e  cosl  tu  stai  fra  la  cenere». 

Questa:  t-  «  A  me  'un  m'importa  nulla ». 

Al  fratello  gli  dispiaceva  lasciar  la  sorella  in  casa,  bene  che  ci 
aveva  quell'altra. 

Cenerognola  appena  che  furono  passate  I'uscio,  n'esce  fra  la 
cenere,  e  va  \k  dal  su'  uccellino;  la  dice: 

<  Uccellin  verderid, 
Fammi  bella  piti  che  'un  so'; 
Fammi  bella  quanto  il  sole 
Possa  piacere  alio  mio  amore ! » 

L'uccellino  gli  domanda:  —  «  Di  che  colore  lo  vuoi  il^vestito?» 

—  «  Tu  me  lo  devi  dare  colore  d'aria,  con  tutti  bubbolini  d'oro, 
che  sonino  tutti  i  balli  del  mondo  ». 

Questa  si  vede  apparire  tutto  questo  bel  vestito,  con  due  came- 
riere  che  la  vestono;  e  poi  chiede  una  pariglia  con  quattro  cavalli. 

Questa  Cenerognola  la  monta  in  carrozza,  e  la  va  al  festino 
di  ballo. 

II  re,  appena  che  la  vedde,   gli   va  incontro,   e  costt   la  invita 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  40I 

a  ballare  per  tutta  la  sera;  e  lei  gli  dice  che  lei  'un  si  pole  trattenere 
che  infino  alle  undid. 

Quando  furono  I'undici  lei  si  disimpegna  con  il  re,  la  dice  che 
vole  andar  via;  e  costt  tanto  fece  che  and6  via. 

II  re  diede  ordine  alle  guardie  che  stessero  attenti  dove  entrava 
questa  donna.  Questi,  attenti,  via  dietro  a  il  legno  che  correva. 

Questa  la  batte  la  su'  bacchettina  fatata,  fa  venire  una  gran  nebbia 
che  non  vedessero  piu,  dove  andava.  Le  guardie  tornarono  indietro, 
e  andarono  da  il  re  e  gli  dissero  che  'un  avevano  potuto  vedere 
dove  entrava  questa  donna,  che  li  aveva  fatto  venire  una  gran  nebbia; 
'un  avevano  potuto  veder  nulla. 

II  re  gli  disse:  —  «  Bene,  starete  attenti  domani  sera  ». 

Ecco  questa  qui  (tornamo  alia  Cenerognola),  la  torna  a  casa, 
lei  lesta  la  si  spoglia,  la  si  riveste  come  era  prima,  e  la  ritorna  fra 
la  cenere. 

E  cosi  fenisce  la  festa  da  ballo,  e  torna  a  casa  il  babbo,  la  ma- 
trigna,  il  fratello  e  quelPaltra  sorella. 

La  gli  dice  la  su'  matrigna:  -—  «  Se  tu  avessi  veduto  la  bella 
signora  che  c'era!  Ha  ballato  tutta  la  sera  con  il  re». 

Loro  'un  I'avevano  conosciuto  che  era  la  Cenerognola  .quella 
signora  che  ballava. 

Lei  dice:  —  «  Cosa  m'importa  a  me?  A  me  non  importa  nulla  ». 

Sapete  che  il  tempo  delle  novelle  passa  presto ;  e  si  ritorna  alia 
sera  seconda. 

Queste  di  casa  sua  si  vestono  per  andare  alia  festa  da  ballo. 

Gli  fa  il  fratello  alia  Cenerognola :  —  «  Vedi  Cenerognolina :  se 
tu  t'eri  fatto  portare  il  vestito,  cosi  venivi  anche  te  alia  festa  di  ballo  ». 

—  «  Cosa  m'importa  a  me  ?  A  me  'un  m'importa  nulla.  Andate, 
andate  voialtri  a  divertirvi ». 

Quando  furono  andati  via,  la  va  1^  da  il  su'  solito  uccellino, 
e  gli  T\fk  la  solita  storia  : 

€  Uccellin  verderid, 
Farami  piCi  bella  che  io  'un  so* ; 
Fammi  bella  quanto  il  sole 
Possa  piacere  alio  mio  amore  I  » 


402  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

L'ucceNino  gli  risponde :  —  «  Che  veste  tu  vuoi  ? » 

—  «  Tli  me  lo  devi  dare  color  del  sole». 

Questo  uccelllno  gli  fa  apparire  un  vestito  color  del  sole,  con 
due  donne,  e  una  bella  toeletta;  la  vestirono  e  la  pettinaro  'un  po- 
tete  treder  come.  E  chiede  una  pariglia  a  otto  cavalll. 

II  re  quando  vede  apparire  questa  donna  rimase  stupido. 

Questa  la  va  nella  sala  da  ballo,  e  s'impegna  con  il  re  per  bal- 
lare.  Lei  gli  dice  che  'un  pu5  ballare  piu  che  sino  alle  undici.  Quando 
furono  le  undici,  lei  si  disimpegna,  si  impegna  per  quest'altra  sera, 
e  va  via* 

Le  guardie,  attente  a  veder  dove  entrava  questa  donna.  Quando 
lei  fu  vicina  a  casa  sua  gli  butta  cos^  uno  sbruffodi  quattrini.  Questi 
\in  steJono  a  vedere  dove  andava  la  donna,  si  messero  a  raccat- 
tare  quattrini. 

Questi  quando  si  furono  avvisti  che  avevano  fatto  del  male: 
—  <^  Uh,  poerini!  come  si  ha  a  fare  a  tornare  da  il  re?» 

Tarnano  da  11  re,  e  gli  dicono  impauriti,  che  questa  gli  ha 
buttato  quattrini;  si  sono  messi  a  raccattarli,  che  avesse  tanto  pazienza 
che  a  loro  nvevano  fatto  gola  i  quattrini. 

—  *  Sentite:  se  voialtri  'un  state  attenti  domani  sera,  che  h  Tul- 
tima  festa  da  ballo,  io  v'ammazzo!  » 

LMsciamo  il  re  e  torniamo  alia  Cenerognola,  che  correva  co*  ca- 
valli.  La  tnrna  a  casa,  la  si  spoglia,  si  riveste  co'  suoi  cenciarelli,  e 
ritorna  a  buttare  all'aria  la  cenere. 

Torna  i  su'  genitori  e  gli  dicano:  —  «  Tu  avessi  veduto,  Cene- 
rognola, ct>m*era  vestita  quella  signora!  *  —  ««  Cosa  m'importa?  a 
me  ^in  importa  nulla.  Io  mi  diverto  fra  la  mia  cenere,  'un  mi  diverto 
alia  festa  da  ballo  ». 

Co?ta  3\  fratello  gli  dispiaceva  (che  era  fratello  vero)  'un  potere 
pt>rtare  la  sorella. 

11  tempo  delle  novelle  passa  presto;  si  ritorna  alia  terza  sera, 
I 'ultima  sera  delle  teste  da  ballo. 

Quelli  di  casa  si  vestono  e  vanno  via,  e  la  Cenerognola  rimane 
sola  come  il  solito.  Quando  furono  andati  via,  la  va  da  il  su'  uc- 
celimo,  e  git  dice: 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  403 

«  Uccellin  verderi6, 
Fammi  piCi  bella  ch'io  non  so*; 
Fammi  bella  quanto  il  sole, 
Possa  placere  alio  mio  amore !  » 

L'uccellina  gli  domanda  che  vestito  vuole. 

—  «Tu  mi  devi  dare  un  vestito  colore  del  mare,  con  una  pa- 
rigiia  di  dodici  cavalli ». 

Cost!  gli  appare  questo  vestito  color  del  mare,  con  due  donne; 
la  vestirono,  e  monta  in  legno  nella  parigiia  di  dodici  cavalli ;  e  va 
al  festino  da  ballo. 

Quando  il  re  la  vedde  va  a  pigliarla  per  ballare;  gli  domanda 
di  dove  era.  E  lei  gli  rispose  che  lei  'un  sapeva  di  dove  era." 

Costi,  quando  fu  arrivata  la  solita  ora  delle  altre  sere,  la  si  di- 
simpegna  da  il  re,  e  va  via. 

Le  guardie,  attente,  che  era  Tuliima  sera. 

Lei  'un  sapendo  come  fare  per  'un  farsi  vedere  dove  entrava, 
gli  butta  una  Scarpa ;  e  loro  lesti,  piglia  la  scarpa,  e  la  portano  a  il  re. 

II  re  tutto  contento:  se  'un  ho  veduto  dove  1'^  entrata,  ander5 
a  misurare  la  scarpa,  e  la  trover5. 

Si  messe  in  giro  con  du'  servitori  a  vedere  di  chi  era  questa 
Scarpa.  Aveva  girato  tutta  la  citt^,  ma  'un  aveva  trovata  nessuna 
che  gli  potesse  stare  questa  scarpina. 

Disse  il  re :  —  «  Ora  si  'un  so  piu  dove  debbo  andare  a  girare, 
per  vedere  a  chi  ^  bono  questa  scarpa !  » 

I  servitori  gli  dissero:  —  «  Signora  Altezza,  si  ^girato  tanto  e  'un 
siamo  andati  in  quel  castelletto  di  case  (i)  che  c'^  laggiu  ». 

—  «Uh!  fammi  il  piacerel...  Chi  ci  deve  stare  lassu  in  quelle 
casacce  ?  » 

—  «  Ma  proviamo,  Signora  Altezza ;  tante  volte  sa,  proviamo  ». 

—  «  Proviamo  ». 

Vanno  in  questo  castelletto  di  case  e  awiarono  a  girare,  e  a 
tutte  le  citte  che  erano  in  questo  castelletto,  le  fecero  venire  gid 
sulla  porta  per  misurargli  questa  scarpa. 


x)  CasielUito  di  case,  gnippo  di  case. 


^T' 


404  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

La  matrigna  della  Cenerognola  aveva  portato  la  su'  figliola  vera. 
E  disse  il  re  (la  misura  a  questa  citta) :  -—  «  Neppure  al  dito  mi- 
gnolo  va  ». 

El  re  gU  domanda  a  questa  donna  se  ci  aveva  piu  citte. 

H  lei  gli  risponde: «  Che  ce  ne  ho  una  che  sta  sempre  fra  la  cenere!  * 

II  re  gli  dice:  —  «  Fatemela  vedere  ». 

—  «  Ma  che,  Sor  Altezza !  La  vedesse,  fa  infino  paura  ». 

—  «  No,  io  la  voglio  vedere  »* 

Questa  matrigna  va  su  dalla  Cenerognola  :  —  «  Oh  Cenerogno- 
laccia,  c'^  il  re:  ti  vole  misurare  la  Scarpa.  Come  tu  non  hai  nep- 
pure vestito,  come  tu  puoi  fare  a  venire  giu  da  11  re  ? » 

—  «  SI  andate  a  dirgli  che  ora  vengo,  'un  ci  pensate  voi  ». 
La  Cenerognola  la  va  da  il  su'  uccellino:  dice: 

«  Uccellin  verderid, 
Fammi'bella  piii  che  *un  so\ 
Fammi  bella  quanto  il  sole, 
Possa  piacere  alio  mio  amore ! 

Dammi  un  vestito  da  casa  ». 

Questa  quando  la  fu  vestita  la  va  giu.  La  matrigna  quando  la 
Vedde  la  rimase  incantata.  Dopo  il  re:  —  «Che  k  questa  la  citta 
brutta  che  vu'  ci  avevi?  » 

Questa  la  scampari  con  il  re.  Lui  gli  misura  la  Scarpa,  la  gli 
stava  Jipinta.  II  re  disse:  —  «Oh!...  ora  io  Tho  trovata.  Sentite : 
domani  io  vi  mander6  a  pigliare  con  una  bella  carrozza,  e  venite 
VQlaltri  a  accompagnarla,  venite  tutti  laggiu  ». 

La  mattina  11  re  gli  manda  una  bella  carrozza  perch^  ci  mon- 
tasse  questa  Cenerognola.  E  costi  montarono  tutti  in  carrozza :  il 
babbo  della  Cenerognola,  la  matrigna,  il  fratello  e  la  sorella. 

Quando  furono  a  il  palazzo  vicino  di  il  re,  la  matrigna  la  gli 
leva  la  bacchettina  fatata  che  aveva  qui  a  cintola,  e  la  fa  'gnuda, 
e  la  fa  diventare  una  serpe ;  e  gli  dice  a  il  fratello :  —  «  Lo  vedi  come 
ho  fatto  a  lei  ?   se  tu  parli,  faccio  cos^  anche  a  te  j>. 

Questo  poveto  citto,  zitto,  'un  parlava. 

Vanno  da  il  re  e  gli  riporta  la  figliola,  ma  il  re  'un  gli  pareva 
piii  la  solita  di  ieri.  Costl  il  re  la  spos5,  gua.  Ma  queste  du'  donne 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  405 

birbone,  per  la  paura  di  questo  Adolfo  che  gli  scoprisse,  che  la  so- 
rella  era  diventata  serpe,  un  giorno  a  tavola,  la  disse  la  matrigna, 
a  il  re :  —  «  Lo  sa,  Signora  Altezza,  che  cosa  si  h  vantato  Adolfo?  (lo 
calunniava,  avete  inteso?)  Si  ^  vantato  che  in  un  forno  brucerebbe 
tutte  le  serpi  che  c'^  nel  mondo  ». 

II  re:  —  «  Se  si  h  vantato,  lo  fara  >►. 

Considerate  questo  figliolo !  Chiede  tutte  le  scuse,  che  'un  era  vero. 

Questo  Adolfo  per  paura  della  matrigna  ebbe  a  stare  zitto,  e 
non  dir  niente.  Se  ne  va  fuori  a  piangere  li  per  il  giardino,  e  si 
sente  chiamare:  «  Adolfo,  cosa  tu  fai  qui,  povero  sciagurato?  Lo  so, 
lo  so,  cosa  ti  hanno  calunniato  ! » 

Si  volta  cos)  e  vede  questa  serpe,  e  dice:  —  «  Ah,  sorellina  mia!  » 

—  «  Senti :  'un  ti  perdere  di  coraggio ;  dk  retta  a  me,  che  poi 
ti  riescir^  di  far  bene.  Senti:  te  stanotte  devi  bruciare  tutte  le  serpi, 
h  vero?  Da  il  re  fatti  dare  uno  staio  di  confetti  piccini,  e  te  met- 
titili  tutti  in  seno.  Senti:  tu  vedi  quando  a  me  la  mi  gnud6,  la  mi 
lasci6  questo  vezzirfo  nero,  che  ho  a  il  collo.  Tu  vedrai :  passeranno 
tante  serpi,  passeranno  a  migliaia;  quando  fu  le  vedrai  scemare,  I'ul- 
tima  sar5  io.  Sta  attento  a  questo  vezzino  nero.  Tu  vedrai:  ci  sara 
il  re  W  attento.  Senti:  tu  ti  accosterai  alia  bocca  d'  il  forno;  quando 
vedrai  me,  apriti  il  seno ;  fa  vista  di  prendere  la  pezzola  che  io  ti  possa 
entrare  in  seno;  e  te  sei  lesto  a  portarmi  in  cantina,  perch^  io,  quando 
ho  finito  i  confetti  che   hai  in  seno,    io  comincio  a  mangiare  te  ». 

Questo  torna  a  casa  e  va  da  il  re,  e  dice  che  tutte  le  serpi  le 
avrebbe  bruciate  nella  nottata,  e  che  preparasse  le  legna  e  uno  staio 
di  confetti. 

11  re  gli  prepara  della  legna  giu  nel  forno,  e  questo  staio  di  con- 
fetti. Questo  citto,  quando  furono  le  dodici,  va  a  dar  fuoco  a  11 
forno.  Venian  serponi,  ne  venian  grossi,  ne  venian  a  migliaia.  Quando 
ne  fu  passate  tante  tante,  c'era  il  re  W  a  vedere;  avviarono  a 
scemare;  ne  passava  una,  due.  Quando  lui  k  H,  e  vede  questa 
serpe,  lui  lesto,  e  va  cos\  attento  alia  bocca  d'  il  forno.  Si  leva  la 
pezzola,  si  asciuga  il  sudore,  e  gli  entra  la  serpe  in  seno;  e  W  passa 
un'altra  serpe,  e  chiude  il  forno  e  dice  a  il  re: 

—  «  Ora  delle  serpi  non  ce  n'fe  piu  »,  e  lui  lesto  corre  in  can- 

Archivio  per  le  trckligioni  popolari,  —  Vol.  XXHI.  51 


4d6  archivio  per  le  tradizioni  popolari 

tina.  Questa  serpe  gli  dice:  «Guarda;  io  I'ho  finite  tutti  i  confetti, 
ce  n'ho  uno;  se  tu  'un  facevi  lesto,  bisognava  che  mangiassi  te». 
E  costl  la  lascia  in  cantina,  e  lui  va  su  da  il  re. 

La  madrigna  la  gli  dice  alia  sua  figliuola,  che  era  diventata  la 
sposa  d*  11  re:  —  «  Ora  ^  morta  lei,  ma  si  ha  vedere :  si  fa  morire 
anche  lui  con  qualche  calunnia». 

Un  altro  giorno  la  dice,  la  matrigna  di  Adolfo,  a  it  re :  —  «  Lo  sa, 
Signora  Altezza,  che  cosa  si  h  vantato  Adolfo  ?» 

—  «  Cosa  si  ^  vantato  ? » 

—  «  Si  fe  vantato  di  fare  un  palazzo  di  faccia  a  il  suo,  ma  piu 
btiUo,  piu  grande,  e  piii  valore  d'  il  suo.  E  devono  essere  dugento 
cinquanta  stanze.  In  una  nottata  lo  vol  fare». 

Rispose  il  re :  —  «  Quando  si  ^  vantato,  lui  lo  fara  ». 

Adolfo  che  sente:  «  Ma  le  pare,  Signora  Altezza,  che  io  possa 
fare  questo  palazzo  in  una  nottata?  »  —  «S\,  una  volta  che  tu  I'ha 
detto,  tu  lo  devi  fare  ».  Questo  si  mise  a  piangere,  e.  va  giii  in 
cantina  dove  aveva  la  su'  bella  serpe. 

Lei  dice  :  —  «  Cosa  tu  hai,  sciagurato  ? » 

Gil  fa  il  racconto  cosa  aveva  calunniato  la  su'  matrigna. 

La  gli  dice  :  —  «  Senti :  'un  ti  devi  spaventare ;  quello  sar6  io  che 
aiuter<j  te.  Senti:  va  da  il  re,  tu  ti  devi  far  dare  tutti  gli  arnesi  che 
pole  avere  un  muratore,  calcina,  rena,  tutto  il  bisogno  per  fare  un 
palazzo.  Tieni  questo  mazzo  di  crini:  sono  dugento  cinq uanta;  te  vai 
a  letto  stasera.  Questi  crini  mettili  sul  cassettone;  tuvedrai  che  do- 
mattma  il  re  dalla  bramosia  di  vedere  il  palazzo,  si  levera  fino  piu  presto. 
Senti:  se  verr^  alia  tu'  camera  a  chiamarti,  te  fa'  vista  di  avere  un 
gran  sonno.  Lui  ti  dira:  Adolfo,  vieni  a  farmi  vedere  il  palazzo.  —  La 
mi  lasci  stare,  Signora  Altezza !  sono  stanco,  ho  lavorato  tutta  la  notte. 
Tieni:  lo  te  ne  ho  dato  dugento  quarantanove  di  queste  crini,  questo 
crine  mettilo  da  s^  solo  sul  cassettone,  che  domattina  tu  troverai 
tutte  chiavi.  Questa  chiave  che  ti  ho  dato  da  sh,  sara  di  una  stan- 
Hina  che  gli  farai  vedere  1' ultima,  ma  fatti  pregare  di  molto  per  far- 
gliela  vedere.  Tu  gli  dirai  che  c'^  la  roba  che  ti  ^  avanzato  per  fare 
il  palazzo.  In  quello  stanzino  ci  sar5  io  a  sedere.  Se  lui  ti  domanda 
chi  ^  quella,  tu  gli  devi  dire  :  «  6  mia  sorella  su'  sposa  ». 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  407 

Questo  giovane  tanto  fa,  e  va  da  il  re,  e  gli  dice : 

—  «  La  senta,  Signora  Altezza :  lei  mi  deve  dare  tutto  il  bi- 
sogno  che  ci  vole  a  un  muratore,  che  a  me  non  mi  mette  pensiero 
a  fare  questo  palazzo  ». 

II  re  gli  d^  tutto  che  ci  voleva.  Questo  giovane  va  via,  e  va 
a  letto  di  nascosto  a  il  re,  che  'un  lo  vedesse  nissuno. 

Pensate  che  il  tempo  delle  novelle  passa  presto;  s'awia  a  far 
giorno.Il  re  curioso  dalla  bramosia,  si  affaccia  alia  finestra  e  vede  que- 
sto palazzo  accanto  a  il  suo  che  faccia  abbagliare  da  tanto  bello 
che  era. 

11  re  si  leva  lesto  lesto,  e  va  alia  camera  di  Adolfo.  —  «  Adolfo, 
Adolfo  (lo  chiama  per  tre  volte),  vieni  per  farmi  vedere  il  palazzo, 
vieni ». 

Questo  citto  dice :  —  «  Mi  liasci  stare,  Signora  Altezza,  che  io 
ho  tanto  sonno,  io  sono  stanco  ». 

—  «  No,  vieni,  Adolfo,  fammi  il  piacere,  vieni  a  farmelo  vedere  ». 
Questo  citto  si  leva  e  va  con  il  re  nel  palazzo.  Gira,  gira  tutte 

le  stanze,  il  re  rimaneva  rincordonito :  era  una  piu  bella  deH'altra. 
Fa  questo  giovane:  «  Questa  ^  Tultima  stanza,  Signora  Altezza; 
dopo  questa  *un  ce  n'^  piu». 

Gli  fa  vedere  questa  stanza,  e  poi  questo  citto  se  ne  andava  via. 

—  «  Adolfo:  oh,  quella  stanzina  W  piccola,  perch^  'un  me  lafai 
vedere  ?  » 

—  ««  La  senta,  Signora  Altezza,  'un  importa  che  gli  faccia  vedere 
quella  stanzina;  c'^  del  legname  che  mi  t  avanzato,  della  calcina, 
dell'arena,  tutti  gli  arnesi,  'un  vorrei  che  gli  cascasse  qualche  cosa 
addosso  ». 

—  «  No,  Adolfo,  fammi  vedere  anche  quella;  bene  che  sia  brutta, 
voglio  vedere  anche  quella  n». 

Questo  giovane,  I'aveva  pregato  tanto  il  re,  e  gli  apre  I'uscio. 
11  re,  quando  fu  aperto  quest'uscio,  I'abbaglib  e  perse  il  lume 
degli  occhi  dal  tanto  splendore  che  mandava  quella  stanza. 

—  <«  Dimmi,  Adolfo,  chi  b  quella  donna? 

—  «  Mia  sorella,  sua  sposa  ». 

—  «  Mia  sposa?  » 


408  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

—  «S\,  Quando  la  mia  sorella  doveva  venire  da  lei,  la  mia 
matrigna  raffat6  serpe»,  e  gli  fece  tutto  il  racconto. 

Va  la,  abbraccia  questa  ragazza,  e  gli  dice :  —  «  Dimmi  che 
morte  si  deve  dare  alia  tu'  matrigna  e  alia  su*  figliuola  ?  » 

La  gli  dice  lei :  —  «  Debbono  essere  bruciate  nel  mezzo  di  piazza  >. 

La  matrigna,  quando  la  vede  la  su'  figliastra  che  prima  era  Ce- 
nerognola,  la  rimase  morta. 

II  re  diede  ordine  che  facessero  de*  vestiti  di  pece  e  vestirono 
tutte  e  due  queste  donne :  la  figliola  e  la  matrigna,  le  portarono  in 
mezzo  di  piazza  e  gli  diedero  foco,  e  il  re  e  la  regina  stediero  a  il 
terrazzino  a  ridere. 

Fecero  le  nozze  e  un  bel  convito : 

Alia  Maria  gli  tocc6  un  bel  topo  arrostito. 

Pratovecchio.  i) 

VARIANT!   E   RISCONTRI 

Questa  novella  h  uno  dei  piii  bei  tip!  del  tema  della  Cenereniola^  e  nella  se- 
conda  parte  contiene  quasi  un  secondo  tipo,  che  h  quella  della  matrigna. 

A  risparmio  delle  moltissime  indicazioni  di  variant!  che  dovrei  fare,  rimando 
il  lettore  alle  note  della  Ciabattina  d'Oro  di  Monte  Mignaio  n^"^* Archivio  delle 
tradizioni  popolari,  v.  I,  pp.  190-200,  n.  VII,  ed  al  prezioso  volume  della  Cox:  Cin- 
derella. Three  Hundred  and  forty-Jive  variants  of  Cinderella,  Catskin  a.  Cap. 
o*  Rushes,  ecc.  (London,  Nutt  1893),  che  orraai  e  capitale  per  lo  studio  del  fa- 
moso  argomento.  Del  quale  volume  6  una  larga  notizia  neXV Archivio  raedesimo, 
V.  Xlll,  pp.  441-448.  (Pal.  1894).  Le  varianti  posteriormente  pubblicate  in  Italia  e 
fuori  non  hanno  in  nulla  modificato  le  conclusion!  del  libro. 


II.  —  La  Tramoataaa. 

Cera  una  volta  un  contadino.  Questo  contadino  aveva  tre  citti 
piccini.  Un  giorno  gli  arriv5  un  temporale,  e  gli  sciup6  tutta  la  roba 
che  Taveva  nel  podere.    Questo   povero  omo,  figuratevi,  disperato ! 

E'  sentt  dire  che  c'era  un  convento  di  monache;  in  questo  con- 
vento  di  monache,  c'era  la  Tramontana,    (una  monaca  si  chiamava 


i)  Raccontata  da  Maria  Pierazzoli  di  Pratovecchio  nel  Casentino. 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  409 

la  Tramontana).  Quest'omo,  va  a  questo  convento,  e  picchia.  Viene 
una  monaca,  e  gli  domanda  cosa  vole. 

—  «  lo  ho  b'sogno  della  loro  Tramontana ,  io  ho  bisogno  di 
vederla  *. 

Sta  monaca : «  SI,  subito,  aspettate  un  pochino,  vado  a  chiamarla  >►. 
Eccoti  questa  monaca.  La  gli  fa  a  quest'omo:  «  Che  volete»? 

—  «  La  sappia  che  io  ho  tre  figliuoli,  e  Lei  mi  ha  sciupato 
grano;  m*ha  sciupato  tutto  ». 

—  «  O  poerino!  aspettate*. 

La  va  questa  monaca,  e  ritorna  con  uno  scatolino. 

—  «  Tenete,  galantuomo  ». 

Quest'omo  fa,  da  s^  da  s^:  «  Eh  permio !  i)  c'^  da  mangiare 
di  molto  con  questa  scatola !  » 

Quando  quest' omo  fu  per  la  strada,  gli  venne  la  curiosita  d* 
vedere  che  cosa  c'  era  dentro  a  questa  scatola.  Quest'  omo  apre 
questa  scatola,  e  scappa  quattro  giovanotti. 

—  «  Cosa  tu  comandi  ? » 

—  «Comando  che  io  voglio  da  mangiare  ». 

—  «  Cosa  voi  ? » 

—  «Tutte  le  delizie  che  c*^  nel  mondo». 

Gli  apparecchiano  una  tavola,  tutta  roba  da  mangiare.  Questo 
omo  rimase  incantato.  Mangi5,  e  poi  richiuse  la  su'  scatola,  e  via 
a  casa.  Quando  fu  a  casa,  i  bambini  andavano  incontro  a  il  babbo 
per  vedere  se  aveva  portato  nulla,  avevano  fame. 

—  «S1,  venite  a  casa,  bambini  miei,  ora  vu'  mangerete». 
Sicch^  lasciamo  il  contadino;  torniamo  a  il  padrone  d'  il  podere. 
Fa  questo  signore :  —  «  Povero  a  me !  ^  meglio  che  io  vada  a 

vedere  il  mi'  contadino,   che  sara  morto  di  fame:   la  grandine  ha 
sciupato  ogni  cosa ;  non  pu6  fare  a  meno  di-  essere  morto  ». 

Va  da  questo  contadino,  Quando  fu  nel  parchetto  2),  e  vede 
uno  di  que'  figlioli  grasso. 


I)  Ptfrmio/  iinvece  di  perdiof)  esclaraazione  in  bocca  di  persona  che  non 
voglia  nominare  il  nome  di  Dio  invano. 

*2)  Parchetto,  piCi  correttaraente,  balchetto,  h  quel  terrazzino  in  una  delle  scale 
esteme  delle  case  di  campagna. 


410  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

— •  «  Oh  bambino  !  » 

—  «  Oh  babbo,  c'^  il  signer  padrone  ». 

—  «  Oh  dimmi :  come  la  ti  va  ? » 

—  «Bene,  signor  padrone*. 

—  «Credevo  che  tu  fossi  morto*. 

—  «  S\  ?  Si  vol  rinfrescare,  signor  padrone  ? » 

—  «S1». 

Gli  apre  il  su'  scatolino,  questo  contadino,  e  fa  venire  un  rin* 
fresco  magnifico. 

Questo  signore  rimase  rincordonito. 

—  «Senti:  ci  ho  un  pranzo,  tu  mi  devi  dare  questo  scatolino, 
non  ci  ho  i  servitori;  tu  me  lo  devi  dare  per  otto  giorni ;  piuttosto 
ti  mando  un  sacco  di  grano  ». 

Prese  la  scatola,  e  l'and6  via.  Quando  fu  a  casa,  mand6  il  grano 
a  il  su'  contadino. 

Pensate  che  11  tempo  delle  novelle  passa  presto,  II  contadino 
finl  11  grano,  e  il  caro  padrone  nun  rimandava  la  scatola.  Questo 
contadino  disse:  —  «  fe  meglio  che  io  torni  dalla  monaca)>.  Va  a 
questo  convento,  questo  contadino,  e  picchia.  Viene  una  monaca  e 
gli  domanda  cosa  vole.  Lui  dice  chevuole  la  Tramontana.  Gli  dice 
questo  contadino :  —  «  Senta,  signora,  il  mi'  padrone  mi  ha  portato 
via  lo  scatolino,  se  lei  me  ne  rende  un  altro...». 

Questa  signora  dice :  —  «  Aspettate  »,  e  gli  riport6  un  altro 
scatolino. 

Quell'omo,  quando  fu  per  la  strada,  Taprl,  venne  fori  quattro 
giovanotti,  gli  dissero :  —  «  Cosa  tu  voi  ? » 

—  <(  lo  volevo  da  mangiare». 

—  *fAspetta».  Avevano  un  legno  per  uno  :  legnate,  legnate  a 
questo  pover'omo,  che  se  non  h  lesto  a  chiudere  lo  scatolino,  I'am- 
mazzavano. 

—  *  Ora  gliela  voglio  far  bella;  avanti  di  tornare  a  casa,  glielo 
voglio  portare  a  il  mi'  padrone;  se  posso  vedere  il  mio,  glielo  ab- 
ba rattoj*. 

Va,  da  il  su'  padrone,  picchia,  va  su : 

—  <(  Ah,  sor  padrone,  sono  venuto  a  fare  una  visita». 


NOVELLE  POPOLARI   TOSCANE  4II 

— -  «  Bravo!  ». 

Vedde  il  su'  scatolino  sopra  un  caminetto.  Va,  piglia  quelle 
scatolino,  ci  mette  quello  che  aveva  in  tasca ;  quancjo  fu  stato  un 
po'  H:  —  «  Arrivedello,  signer  padrone  !  » 

—  «  Oh  tu  vai  via  ?  » 

—  «  SI  ». 

Questo  signore,  il  giorno  dopo,  aveva  invitato  tutti  signori  a 
pranzo. 

.  Nissuno  vedeva  apparecchiato  nulla.  Tutti  dicevano :  «  Quando 
s'ha  a  mangiare  ?  quando  ci  fanno  mangiare  ? »  Questo  signore,  venne 
Tora  d'  il  pranzo,  -va  e  piglia  lo  scatolino.  Scappa  fuori  questi  quattro 
giovanotti ;  non  stettero  a  dire  che  c'egli  ?  botte,  botte,  botte.  Figu- 
ratevi  come  quel  signore  rimase  male.  Chi  scapp6  di  H,  e  chi  scapp6 
di  1^. 

Questo  signore :  —  «  Oh  questo  h  stato  il  contadino  che  me 
Tha  fatta  bella!  Ora  voglio  andare  a  dargli  subito  licenza*. 

Va  da  il  contadino: 

—  «  Ah,  brutto  birbante,  tu  me  I'hai  fatta  bella !  » 

Lo  mand6  via  da  il  podere.  Questo  contadino  and6  in  una 
brava  cittk,  con  la  sua  moglie  e  i  su'  figlioli,  e  con  il  su'  caro  sca- 
tolino. Se  ne  faceva  il  signore,  se  ne  stava  in  santa  pace. 

Pratovecchio  i). 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 
Si  confront!  con  La  Fava,  n.  XXIX  delle  mie  Novelle  popolari  ioscancy  dove 
son  pure  notate  le  variant!  del  medesimo  tipo  in  Italia. 

III.  —  I  tre  cacciatori  fidi. 

Tre  amici  andarono  a  caccia,  T  uno  si  chiamava  Cecco,  1'  altro 
Federico  e  quell'altro  Antonio.  Dissero  questi  tre  amici:  ~  «  Si  ha 
d'  andare  a  caccia  per  vedere  se  si  trova  di  molto  uccellame,  e 
nello  stesso  tempo  guardiamo  se  si  incontra  fortuna*.  Tutti  dissero: 

—  <:  Andiamo,  se  si  trova  un  po'  di  fortuna». 


i)  Raccontata  da  Maria  Pierazzoli. 


412  ARCHIVIO  PER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

Furono  in  un  posto  molto  lontano ;  quando  furono  vicino  alia 
sera,  trovarono  le  strade  incrociate.  Disse  Cecco  alii  altri:  —  «  Voi 
altri  prendete  una  strada  per  uno,  e  io  prender5  questa,  ci  ritrove- 
remo  insieme  qui  in  capo  a  ventiquattr'  ore  ».  Si  diedero  la  mano ; 
e  ognuno  prese  la  su'  strada. 

Federico  la  sera  tardi  vide  un  lumicino  lontano  lontano,  disse: 
—  «L^  ci  deve  essere  qualche  casa,  perche  c'^  un  lume  ».  Arriva  la 
e  picchia.  S'affaccia  una  bella  ragazza  (questa  bella  ragazza  era  una 
maga).  Disse:  — •  «Chi  ^?  chi  picchia  alia  mia  porta?* 

Rispose:  — •  «  Un  povero  cacciatore,  un  po'  di  alloggio  per  carita  ». 

Suona  il  campanello  al  servitore  che  andasse  a  aprirle.  II  servi- 
tore  va  aprirlo,  lo  fa  passare  nella  stanza  di  questa  bella  ragazza. 

Disse  la  ragazza:  —  «  Come  mai  vi  siete  trovato  in  questa 
boscaglia  ? » 

Rispose:  —  «  lo  sono  molto  amante  della  caccia,  e  poi  sono 
molto  sfortunato  nello  amore  ». 

Rispose  lei:  —  *  Anch'io  sono  sfortunata,  perch^  sono  in  questa 
boscaglia,  non  vedo  nessuno». 

—  «  Vuol  dire  siamo  due  sfortunati  insieme*. 

—  «  Basta,  lasciamo  la  sfortuna,  parliamo  se  lei  vuol  cenare  ». 

—  «Ceniamo;  giusto  mi  trovo  molto  appetito>. 

Battendo  la  bacchetta,  comparve  una  tavola,  apparecchiata  di 
ogni  sorta  di  quality.  Cenarono  tranquillamente,  dopo  cenare  disse 
lei:  —  «Io  ho  bisogno  di  andare  a  riposare*. 

Rispose  lui :  —  «  Ancora  io,  perch^  mi  trovo  molto  stanco  >►. 

—  -«  Ma  se  volete  andare  a  letto  non  c'  ^  nel  mio  palazzo  che 
un  letto  solo.  Se  volete  venire  con  me  » ? 

Rispose  lui:  —  <«  L'aggradisco  volentieri». 

—  «  Basta  che  nel  far  del  giorno  lei  s'alzi  e  vada  via  ». 
Lui  rispose :  —  «  Mi  basta  di  riposare  la  notte  solamente ». 
Allora  s'inviarono,  andarono  in  camera.  Lei  si  spogli6  lesta  lesta 

ed  entr6  in  letto. 

Disse:  —  «  Mi  displace  d' incomodarlo,  ma  mi  fa  il  piacere  di 
serrare  quel  licet  che  k  in  quello  stanzino  ?  *  —  E  lui  era  in  camicia, 
e  la  stagione  era  anche  molto  fredda. 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  413 

Disse:  —  <«  Volentieri,  comandi  tutto   quello   che  le  bisogna*. 

—  «  Se  mi  chiudete  quel  licet  la  che  rende  puzzo,  mi  farete  un 
gran  piacere  *. 

Disse  lui :  —  «  Volentieri  »,  e  and6  a  chiudere  il  licet. 

In  questo  licet  c'era  anche  una  finestra  aperta  molto  grande:  lui 
chiudere  il  licet  ed  il  licet  aprirsi,  fece  il  giomo  grande,  e  non  era 
chiuso  il  licet, 

Lui  disse :  —  «  Questa  mi  pare  una  canzonatura  di  stare  tutta 
la  notte  ignudo  a  chiudere  questo  licet,  e  poi  anche  al.  puzzo  ». 

Rispose  lei:  —  «  Non  siete  stato  buono  a  nulla,  neppure  a 
chiudere  un  licet  >>. 

Disse  lui :  —  -«  Ma  ora  b  giorno,  io  desidero  venire  a  letto  un 
poco  a  riposare*. 

Rispose  lei :  —  -«  fe  giorno ;  il  fissato  ^  finito,  bisogna  che  lei  se 
ne  vada».  Allora  lei  si  alz6.  Lui  gli  convenne  vestirsi  e  andar  via. 

Arriv6  alle  strade  che  aveva  combinato  con  i  suoi  amici.  Gli 
dissero  i  suoi  amici :  —  «  Hai  trovato  della  caccia  te  ? » 

Lui  rispose :  —  «  Io  non  ho  trovato  della  caccia,  ma  ho  trovato 
una  bella  ragazza  1^  in  quella  boscaglia,  che  c'&  una  casa  ». 

Disse  il  minore :  —  «  Anch'io  voglio  andare  a  divertirmi  un  poco  ». 

And6:  la  sera  si  fece  notte,  vidde  il  solito  lumicino.  Picchi6. 
S'affaccia  la  medesima  bella  ragazza. 

Disse:  —  *Chi  ^?» 

— •  «  Un  povero  cacciatore,  se  gli  d^  un  po'  di  alloggio ». 

Disse  al  servitore :  — •  -%  Subito  fatelo  passare  quel  povero  gio- 
vane  )►. 

Lo  fece  passare  nella  sala  dov'era  la  bella  ragazza. 

—  «  Come  mai  voi  siete  qu^  in  questa  folta  boscaglia  ?  * 

—  <f.  Perch^  sono  un  povero  cacciatore  sfortunato  nella  caccia  e 
nello  amore». 

—  «  Anch'io,  disse,  sono  sfortunata,  perchfe  qua  non  vedo 
nessun  giovane  di  poterci  parlare*. 

—  «Vuol  dire  ci  si  pu6  fare  felid  insieme». 

—  «No,  non  ci  si  pud  fare  felici  insieme,  perchfe  sono.sotto  i 
pupilli,  non  posso  prender  marito.  Se  vuol  venire  a  cena». 


414  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Rispose  lui :  —  «  Volentieri :  ancora  io  mi  trovo  molto  appetito  ». 
Lei  battiede  la  sua  bacciietta  fatata,  comparve  la  tavola  apparec- 
chiata,  con  tutte  le  sorti  di  quality  di  piatti. 

Quando  ebbero  cenato,  disse  la  ragazza :  —  «  Io  bisogna  che 
vada  a  riposare,  perch^  mi  trovo  moltissimo  stanca*. 

Rispose  lui:  —  <«  Anche  io  sono  stanco;  mi  farebbe  piacere  se 
mi  lasciasse  riposare  ancora  me  ». 

Disse:  —  «  Volentieri:  ma  non  c'h  nella  mia  casa  altrocheun 
letto ;  se  volete  venire  con  me  vi  ci  gradisco  volentieri ». 

—  «  Volentieri:  V^  quello  che  desidero  di  venire  a  letto  con  lei  ». 
Disse  la   ragazza  da  s^  da  sfe:   —  «  Chi  sa  se  a  letto  con  me 

ci  verrai !....  ». 

Allora  s'incamminarono,  andarono  in  camera.  La  ragazza  subito 
si  spogli6,  entr6  a  letto. 

Disse :  «  Guardi  \k  che  quella  finestra  mi  fe  rimasta  spalancata 
che  h  cosl  tanto  freddo,  mi  fa  piacere  di  serraria  ». 

Lui  and6  subito  a  chiudere  la  finestra :  lui  chiuderla  e  lei  aprirsi, 
combin6  il  fissato  di  quell'altro  davanti,  che  non  era  andato  a  letto. 

Lui  disse:  —  «Signorina,  mi  pare  che  lei  pigli  a  canzonare  le 
persone  I » 

Gli  rispose  la  bella  ragazza:  —  «Chi  gli  ha  insegnato  a  desi- 
derare  le  donne  che  non  son  sue?» 

Allora  il  giovane  dispiacente  se  ne  and6  via;  e  riprese  la  con- 
trada  per  andare  da  quelli  altri  due  amici. 

Disse  Francesco :  —  «  Che  ti  sei  divertito  da  quella  signorina?  * 

—  «  Moltissimo,  anche  di  piu  di  quello  che  mi  credevo». 

In  fra  loro  duedissero:  —  Ci  siamo  rimasti  anche  noi,  anche 
lui  ci  deve  rimanere  ». 

Francescas'invi6  per  andare  in  questa  folta  boscaglia.  Facendosi 
notte,  vidde  il  solito  lumicino ;  arriva  la,  e  picchia  alia  porta. 

S'affaccia  la  bella  ragazza,  e  dice:  —  4(Chi  h  che  picchia  alia 
mia  porta  ?  » 

Rispose  Francesco,  e  disse :  —  <«  Un  povero  giovane  sfortunato, 
che  si  k  inoltrato  molto  nelle  miseries. 

Lei  son6  il  campanello  al  servitore,  e  disse :  —  «  Fate  passare 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  415 

subito  quel  povero  giovane.  Allora  il  servitore  scese,  e  lo  fece  passare 
nella  sala  di  questa  bella  ragazza. 

La  bella  ragazza  disse:  —  «E  come  mai  slete  vol  in  questa 
folta  boscaglia,  che  qu^  non  c'^  venuto  mai  nissuno  ? » 

Rispose  il  giovane:  —  «  Per  le  miserie  in  cui  mi  ritrovo,  vado 
a  cercare  se  trovo  un  poco  di  fortuna  ». 

Rispose  la  ragazza :  —  «  Come  mai  vi  trovate  in  queste  miserie? » 

—  «  Per  le  malattie  che  ho  avuto  nella  mia  famiglia,  si  h  finito 
tutto  il  mio  patrimonio». 

—  *Che  eri  molto  ricco  forse?» 

—  « Ricchissimo,  perch^  tutto  il  mio  patrimonio  passava  un 
milione*. 

—  «  Se  vu'  siete  stato  tanto  male,  ragioniamo  di  andare  a  cena, 
che  vu'  starete  stasera  un  poco  bene*. 

—  «  Mi  pare  che  sia  un  po'  troppo  a  venire  a  cena  con  lei,  mi 
contento  che  mi  mandi  in  cucina  con  il  su'  servitore*. 

—  -«  No,  verrete  con  me,  fate  con  to  di  essere  con  il  servitore  ». 

—  « Allora  fo  come  lei  desidera,  pure  che  non  Tabbia  a  di- 
sturbarla  >►. 

Allora  andarono  a  cena,  battiede  la  bacchetta  fatata,  e  venne 
una  tavola  apparecchiata  di  tutte  le  sorti  di  qualita  di  pietanze.  Allora 
si  messero  a  cenare ;  dopo  cenato  disse  la  bella  ragazza :  —  «  lo  sono 
stanca :  bisogna  che  vada  a  riposare  un  poco  a  letto ». 

Rispose  lui :  —  «  Vada  pure,  non  usi  riguardi ». 

Allora  gli  disse  lei :  —  «  Bisognera  che  venga  a  letto  con  me, 
perch^  non  ho  altri  letti  che  uno  solo  ». 

Gli  disse  lui :  —  «  Sono  venuto  qui  per  venire  a  alloggio,  ma 
non  per  venire  a  letto  con  lei,  specialmente  con  una  ragazza.  Sappia 
che  la  vicinanza  fa  I'uomo  ladro,  son  contento  mi  faccia  dormire  in 
questa  sieda*. 

Rispose  lei :  —  «  Allora  riposi  in  codesta  sieda  come  a  lei  le  fa 
piacere  *. 

Dopo  la  ragazza,  da  s^  da  s^,  mentr'era  a  letto :  —  «  Questo  k 
un  uomo  sincero  e  onesto,  che  non  k  come  gli  altri  che  venivano 
per  illudermi  ». 


4l6  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

La  mattina  appena  alzata  ancl6  da  questo  giovane  e  gli  disse: 
— ^  «  Ha  riposato  bene  stanotte  in  codesta  sieda  ? » 

^  «  Benissimo,  e  se  vo,  vo  via  contento,  che  la  lascio  onesta 
come  I'ho  trovata  ». 

—  « Se  lei  vuol  diventare  ricco  piu  di  prima,  vuole  me  per 
isposa  ? » 

—  «  Volentieri,  ma  mi  pare  di  essere  troppo  affortunato  ». 

^  «  Non  ^  troppo  affortunato,  perch^  io  lo  desidero  molto  per 
mio  consorte  ». 

Ailora  si  sposarono,  e  lei  battiede  la  sua  bacchetta  fatata  e  fece 
comparire  una  beliissima  carrozza  con  cavalli  e  servitori  in  livrea,  e 
partirono  per  la  citta  dove  abitava  lui. 

Gli  disse  la  ragazza :  —  «  Ora  che  io  sono  tua .  sposa  ti  confide 
tutti  i  miei  segreti:  io  sono  una  fata;  con  la  mia  bacchetta  io  ho 
quel  che  voglio*.  Quando  furono  a  quelle  contrade,  gli  altri  due 
amici  viddero  quella  carrozza  venire  appresso  di  loro,  e  dissero : 
—  «  Questo  pare  che  sia  Francesco  ». 

Lei  a  quelP  ora  gli  aveva  confidato  tutto  anche  degli  altri  due. 

Gli  dissero:  —  «  Francesco,  come  hai  tu  fatto  a  sposare  questa 
beila  mgazza?» 

Rispose:  —  «Cari  amici,  mi  displace  il  diryelo,  ma  bisogna  che 
io  ve  lo  dica:  sappiate  che  nel  mondo  chi  troppo  vuole  niente  ha  ». 

Dissero  tra  loro  due :  —  «  Vuol  dire  che  quella  bella  ragazza  noi 
si  voleva  sedurre,  e  lui  non  ha  cercato  di  sedurla  ». 

Aliora  gli  sposi  s'  inviarono  a  quella  citt^,  mandarono  T  avviso 
avanti  di  arrivarci.  Tutti  i  parenti  aspettarono  alia  porta  Francesco 
con  la  sua  sposa.  La  presero  e  la  condussero  in  palazzo,  fecero  un 
gran  pranzo,  stiedero  tranquillamente,  e  si  goderono  tutto  il  tempo 
del  la  su  vita. 

Terrine  i) 


I)  Raccontata  da  una  serva,  chiamata  Teresina  di  Terrine  nel  Val  d'Amo  supe- 
riore*  da  molti  anni  a  Firenze. 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  417 


IV.  La  lattaiola. 

Una  volta  c'era  un  re  e  una  regina,  e  non  avevano  avuto  figli. 
Una  vecchina  disse  loro,  che  dovevano  contentarsi  di  scegliere :  tra 
un  figliolo,  che  sarebbe  andato  via  dalla  casa  paterna,  e  non  Tavreb- 
bero  piu  veduto ;  ed  una  figliola  che  se  riesciva  loro  a  guardaria,  senza 
farle  conoscere  nulla,  slno  a*  18,  sarebbe  rimasta  co'  genitoh.  Si  con- 
ten  tarono  della  figliola ;  e  difatti,  poco  dopo  venne  al  mondo  una 
bambina.  II  re  fece  fare  un  palazzo  sotto  terra,  dove  fu  educata  e 
cresciuta  questa  bambina,  senza  sapere  nulla  di  questo  monJo, 

Ma,  arrivata  vicino  a'  18  anni,  poco  per  volta  persuase  la  gover- 
nanle  che  le  aprisse  una  porta  che  metteva  in  giardino,  e  rimase 
incantata  vedendo  il  sole,  i  colori,  i  fiori. 

Un  giorno  che  si  trovava  in  giardino,  cal6  un  grossissimo  ttc- 
cello,  e  la  port6  via  lasciandola  sopra  i  tetti  di  una  casa  di  campagna, 

Due  contadini  vedevano  da  lontano  qualche  cosa  che  luccicava, 
ed  era  la  corona  di  brillante  della  figlia  del  re.  Questi  contadini, 
erano  padre  e  figliolo  ;  salirono  sui  tetti,  e  la  ragazza  narrando  la  sua 
storia,  li  scongiur6  che  la  levassero  da  quel  posto.  I  boni  contadini 
non  seppero  immaginare  nulla  di  meglio  che  portarla  a  casa  di  loro, 
dandola  per  compagna  alle  cinque  figliole  contadine  che  facevano  le 
lattaiole. 

Da  principio  vissero  tutti  sui  brillanti  della  corona,  ma  alia  fine 
questi  brillanti  finirono. 

La  figlia  del  re,  non  volendo  vivere  sulle  spalle  di  quella  povera 
gente,  chiam6  la  moglie  del  contadino,  che  oramai  chiamava  mamma, 
e  la  scongiur6  di  andare  dalla  regina  di  quel  paese,  e  farsi  dare 
qualche  cosa  per  ricamarvi  sopra.  La  regina  la  prima  volta  le  mand5 
per  dispregio  un  canovaccio,  ma  ella  seppe  cavarne  un  lavoro  cosl 
meraviglioso,  che  quando  la  contadina  glielo  riport6,  rimase,  e  le  mand6 
due  monete  d'oro.  Le  mand6  un  altro  cencio,  e  dopo  qualche  giorno 
la  contadina  le  riport6  un  lavoro  da  sbalordire.  Per  provare,  la  regina 
faceva  le  viste  di  non  essere  molto  meravigliata,  ed  assieme  con  le 


4l8  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

due  monete  d'oro  le  mand6  una  gonnellaccia  sdrucita ;  per6  quando 
la  contadina  gliela  riport6  ricamata,  quella  voleva  in  tutti  i  modi 
sapere  il  modo  come  le  procacciava  que'  lavori  che  non  potevano 
essere  usciti  dalle  mani  di  una  contadina. 

La  povera  donna  le  diceva  che  la  sua  figliola  era  stata  educata 
in  convento  dalle  monache,  ma  la  regina  ci*  credeva  poco.  Final- 
mente  ordin6  tutto  il  corredo  per  il  matrimonio  del  figliolo. 

II  figliolo  del  re,  sentendo  questa  storia  dalla  mamma,  voile 
conoscere  la  lattaiola,  e  I'andava  a  trovare  mentre  lavorava,  e  siccome 
era  un  capaccio,  le  dava  anche  noia.  Un  giorno  d^i,  picchia  e  mena, 
le  di  un  bacio.  Ma  la  lattaiola  pronta  con  il  bucarolo  gli  strapp5 
il  core. 

La  cosa  non  poteva  occultarsi,  e  la  povera  ragazza  fu  condotta 
al  tribunale.  II  re  aveva  quattro  figliole ;  la  maggiore  la  voleva  con- 
dannata  a  vita,  un'altra  alia  morte,  un'altra  a  20  anni,  e  la  piccina, 
che  era  la  piu  bona,  e  che  dentro  di  s&  la  scusava,  solamente  ad 
otto  anni,  ma  chiusa  in  una  torre  assieme  con  il  cadavere  del  gio- 
vane  re,  per  averlo  sempre  presente,  e  sentirne  rimorso.  Vinse  il 
consiglio  della  piu  piccina  ;  la  quale,  fattasi  all'orecchio  della  lattaiola, 
le  disse  che  Tavrebbe  protetta  ed  aiutata.  Difatti,  quando  la  lattaiola 
fu  chiusa  nella  torre,  ogni  giorno  le  mandava  i  migliori  cibi. 

Erano  passati  tre  anni  che  IMnfelice  prigioniera  languiva  nella 
solitudine,  quando  rividde  neH'aria  lo  stesso  uccello  che  Taveva 
rapita,  il  quale  scosse  le  ali,  e  lasci6  cascare  a'  suoi  piedi  dieci  uccel- 
lini  morti.  La  povera  lattaiola  non  sapeva  darsi  pace,  come  queU'ani- 
male  continuasse  a  perseguitarla  e  darle  noia.  L'indomani  rividde  lo 
stesso  uccello,  che,  calando  dove  erano  gli  uccellini,  li  strusci6  con 
una  erba  che  aveva  portato,  e  tutti  e  dieci  ripresero  il  volo.  La  lat- 
taiola capl  quello  che  voleva  insegnarle  Tuccello  ;  per6  non  pot^  tro- 
vare per  terra  un  solo  filo  di  quell'erba  miracolosa. 

L'indomani  Tuccello  si  fece  vedere  daccapo,  e  le  butt6  un 
mucchio  di  erba.  La  lattaiola  subito  corse  al  cadavere  del  re,  ed 
a  strofinarlo  con  queU'erba  in  tutto  il  corpo,  ed  il  re  poco  per  volta 
resuscit5. 

Contenta,  mand6  ad  awisare  segretamente  la  figliola  del  re  che 


NOVELLE  POPOLARI  TOSCANE  4x9 

la  proteggeva,  e  quando  venne  a  trovarla   nella   torre,  la  prepar6  a 
quella  novita  inattesa. 

Fu  stabilito  di  comune  accordo  che  il  re  sarebbe  rimasto  chiuso 
nella  torre,  sino  che  la  lattaiola  non  avesse  scontato  la  sua  condanna. 
Intanto  la  sorella  mandava  ogni  giorno  a  loro  ogni  ben  di  dio,  ed  aven- 
dole  il  re  richiesta  una  chitarra,  la  sorella  mand6  anche  la  chitarra. 
Questi  due  amanti,  che  tali  oramai  erano  diventati,  passavano 
la  sera  a  strimpellare  sulla  chitarra  ed  a  cantare. 

Allato  alia  torre  c'era  il  palazzo  del  vicer^,  che  sentendo  quel 
soni  e  quel  canti,  mand6  a  rammaricarsi  dalla  prigioniera.  La  lat- 
taiola neg6  tutto,  e  facendo  stendere  il  re  come  morto  sul  letto,  fece 
vedere  che  era  sempre  sola. 

Intanto  continuavano  i  soni  ed  i  canti.  II  vicer^,  non  potendo  tol- 
lerare  lo  scandalo  che  una  prigionera  si  divertisse,  ordin5  che  fosse 
cambiata  di   prigione. 

La  lattaiola  si  consigli5  colla  bona  sorella  del  re,  e  come  fu 
stabilito  tra  loro,  quando  vennero  a  pigliarla,  escl  dalla  torre  a  brac- 
cetto  con  il  re. 

Tutti  rimasero  sbalorditi.  Allora  il  re  dichiar6  subito  che  la 
voleva  isposare  quella  lattaiola,  e  la  spos6. 

Le  tre  sorelle  maggiori  del  re  non  smettevano  intanto  di  astiare 
e  di  canzonare  la  cognata  lattaiola.  Un  giorno  lei,  p>er  confonderle, 
manifest6  che  voleva  tornare  per  qualche  tempo  alia  sua  casa,  e 
domand6  che  dicessero  cosa  volevano  portato  di  regalo.  —  «  Un  fiasco 
di  latte  »,  disse  la  maggiore ;  la  seconda :  —  «  lo  voglio  una  ri- 
cotta»;  I'altra:  —  «  lo  una  cresta  di  aglio  ». 

La  lattaiola  parti  ed  and6  abbracciare  il  re  suo  padre,  che  per 
tanto  tempo  Taveva  fatta  guardare  inutilmente  nel  palazzo  sotterraneo. 
A  capo  a  certo  tempo  ritorn6  dal  marito  in  una  bella  pariglia.  Le 
cognate  non  sapevano  come  spiegarsi  che  la  lattaiola  avesse  una 
pariglia.  Maggiore  fu  poi  la  sorpresa  quando  viddero  i  regali,  perch^ 
il  fiasco  di  latte  era  d'argento  con  la  veste  d'oro;  la  ricotta,  d'argento, 
piena  di  brillanti  e  di  pietre  preziose,  ed  anche  la  cresta  d 'aglio  era 
un  superbo  lavoro  di  oreficeria. 

Ma  la  lattaiola  non  aveva  dimenticato  la  quarta  cognata,  la  sola 


420  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

che  fosse  stata  dolce  e  affettuosa  con  lei.  Per  lei  port6  un  suo  fra- 
tellino  che  aveva  trovato  nato  in  corte,  e  glielo  destin6  per  isposo. 
E  cosl  furono  tutti  felici; 

E  se  ne  vissero  e  se  ne  godettero, 
E  a  me  nulla  mi  dettero. 

Livomo.  *) 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 
Nel  /?tf  Avaro  della  Novellaja  fioreniina  di  V.  IMBRIANI  k  una  ragazza  tro- 
vata  da  marinai  ed  accolta  da  un  di  loro,  che  manda  a  vendere  ricami  preziosis- 
simi  alia  casa  del  re,  il  quale  se  ne  innamora  e  la  sposa. 

G.    PlTRi. 


i)  Questa  novella  6  stata  in  parecchi  punti  riassunta,  non  essendosi  potuto 
seguire  la  narratrice. 


LEGGENDE  POPOLARl  SARDE 

RACCOLTE    IN    OZIERl  i) 


(Versione  letterale) 


I.  Leggenda  di  San  Cipriano. 

San  Cipriano  era  un  fattucchiere  dei  peggiori  che  fossero  in 
Roma,  e  vide  una  giovane  bella  (affacciata)  ad  una  finestra,  ed  egli 
se  ne  innamor5,  ma  pass6  molto  tempo  senza  che  potesse  mai  par- 
larle.  Egli  non  aveva  quiete  n&  di  giomo  n^  di  notte,  e  pensava 
sempre  al  modo  di  poter  aver  questa  giovane;  e  cosl  trascorsero  due 
0  tre  anni  senza  che  le  potesse  mai  parlare;  finalmente  vedendo  che 
non  sarebbe  riuscito  ad  averla,  pien  di  stizza  e  di  sconforto,  prese  ad 
invocare  il  diavolo,  e  cosl  dopo  tante  preghiere  e  scongiuri  gli  si 
presenta  il  demonio,  e  gli  dice  il  demonio:  —  Eccomi  venuto  per 
servirti,  giacch^  so  che  tu  hai  bisogno  di  me.  Cipriano  gli  dice :  —  Se 
tu  mi  fai  avere  la  tale  giovine,  io  ti  do  Tanima  mia. 

—  SI,  dice  il  diavolo. 

—  Ebbene,  —  gli  dice  Cipriano,  — -  quanto  tempo  ti  riserbi  per 
farmela  avere?  —  II  demonio  risponde:  —  II  tempo  di  tre  mesi. 

Fecero  il  loro  contratto  per  iscritto  usando  sangue  per  inchiostro ; 
il  demonio  si  obbligava  a  fargli  avere  quella  giovane,  e  S.  Cipriano 
a  dargli,  a  suo  tempo,  Tanima. 

Cosl  si  separarono:  il  demonio  ritorn5  dond'era  venuto,  e  Ci- 
priano rimase  in  Roma. 


I)  Raccontate  da  Antonio  Contini  di  Ozieri. 
ArehMo  per  le  tradieioni  papolaH.  —  Vol.  XXIII.  52 


422  ARCHIVIO   PER    LE   TRADIZIONI    POPOLARI 

E  cosl  aspetta  una  settimana,  quindici  giorni,  un  mese,  ed  il 
demonio  non  si  faceva  vedere,  n&  la  giovine  appariva;  aspetta  un 
mese  e  mezzo,  e  nulla  di  nuovo;  aspetta  due  mesi,  niente,  ne  vide 
il  demonio  n^  la  giovine;  aspetta  tre  mesi,  nulla,  anzi  meno  di  prima: 
non  comparve  n^  il  demonio,  n^  quella  giovine. 

AdJolorato  e  pieno  di  sconforto,  credendo  che  il  demonio  Ta- 
vesse  ingannato,  usd  fuori  di  Roma  per  invocare  il  demonio,  ed 
ecco  che  questo  gli  si  presenta,  tutto  mortificato,  perch^  non  aveva 
mantenuto  la  promessa  di  fargli  avere  quella  giovane. 

Cipriano  gli  dice:  —  E  dove  ^  (come  hai  adempito  alia  tua  pro- 
messa?) la  promessa,  ch^  non  ti  sei  piu  visto  dopo  la  conclusione 
del  patto? 

11  demonio  rispose:  —  Che  vuoi?  lo  mi  sono  bensl  ingegnato 
con  tutte  le  mie  massime  per  avere  quella  giovine,  ma  non  potei  riu- 
scire,  perch^  quella  giovine  porta  (con  sh)  la  corona  (del  rosario),  ed 
io  non  riuscii  nel  mio  intento,  perch^  porta  la  corona  anche  quando 
va  ad  urinare,  e  la  persona  che  porta  la  corona  con  tanta  fede,  e 
inespugnabile,  perch^  queste  (persone)  sono  assistite  da  quella  che  h 
senza  macchie  (la  Madonna). 

Cipriano  dice:  —  E  come?  ^  piu  potente  la  corona  che  i  demoni? 

Eh !  —  risponde  il  demonio  —  pur  troppo:  non  c'^  neppur  para- 
gone;  contro  coloro  che  usano  la  corona  mai  non  possiamo  far  nulla. 

Cipriano,  addolorato,  gli  risponde:  —  Via,  dammi  il  contratto 
(scritto)  —  e  lo  fa  in  pezzetti ;  e  cosl  fin\  ogni  cosa. 

Fu  da  questo  fatto  che  incominci6  la  conversione  di  San  Ci- 
priano, che  si  fece  santo. 

II.  La  leggenda  di  Sant' Isidoro. 

Dunque,  SantMsidoro  era  servo  (altrui)  e  prestava  servizio  nella 
casa  di  un  gran  signore :  e  questo  signore  lo  mandava  a  fare  11  giogo 
(a  coltivare  i  suoi  poderi);  e  cosl  appena  venuto  il  tempo  di  semi- 
nare  il  grano,  (il  padrone)  lo  mand6  a  fare  il  giogo;  ed  egli  tolse 
seco  Taratro  ed  i  bovi,  ed  and6  alia  tanca,  dove  erano  gli  altri  servi, 


LEGGENDE  POPOLARI  SARDE  42^ 

perch^  erano  magari  cinque  0  sei.  Cosl  incominciarono  a  lavorare  la 
terra,  e  quegli  (Isidore)  se  la  spassava  (andando)  da  un  punto  alPaltro 
della  tanca;  e  cos\  gli  altri  lavorarono  per  tre  settimane  od  un  mese, 
e  Isidore  (stava)  sempre  ozioso  (lett.  senza  lavorare  mai),  cos)  che 
gli  altri  una  domenica  dissero  al  padrone,  che  egli  non  aveva  seminato 
affatto.  II  padrone  disse:  —  E  come  (va),  Isidoro,  che  gli  altri  stanno 
perfinire  in  ques.ta  settimana;  e  tu,  mi  dicono,  che  non  hai  aggiogato 
(i  bovi)  neppure  un  giorno? 

Egli  risponde  al  padrone :  —  Gi^,  h  vero,  che  non  ho  lavorato, 
ma  per6  spero,  che  di  questi  giorni  terminer6,  al  par  di  essi. 

-—  Ebbfe !  rispose  il  padrone,  pensando  tra  s^ :  gia  ci  vengo  (verr6) 
io  giovedl  a  dare  un'occhiata.  -  Cos)  Isidoro  si  da  attorno  (si  fx)ne 
al  punto)  che  sia  pronto  il  lavoro,  e  aggioga  i  bovi  e  li  fa  lavo- 
rare soli  (senza  che  egli  guidasse  I'aratro).  Cos!  fra  il  lunedl,  il 
martedl  ed  il  mercoledl  semin6  tutta  la  sua  porzione  di  grano,  che 
doveva  seminare. 

E  come  i  bovi  ararono  la  terra  (cosl)  il  grano  nasceva  talmente 
bello  e  piu  bello  di  quello  degli  altri  contadini* 

1  compagni  (furono)  pieni  di  alta  meraviglia,  quando  videro  che 
Isidoro  in  tre  giorni  aveva  seminato  tutta  la  sua  porzione  di  grano, 
e  (questo)  era  gi^  nato,  bello  e  alto,  migliore  di  quello  che  avevano 
seminato  loro  un  mese  prima.  Viene  il  padrone  e  domanda  ad  Isi- 
dore di  chi  fosse  quella  porzione  di  grano  cos)  bello.  Egli  rispose:  fe 
di  V.  Signoria  (I'ho  seminato  io,  per  conto  vostro,  —  in  altri  ter- 
mini). Allora  il  padrone  ripens5  a  ci6  che  gli  avean  detto  gli  altri 
contadini,  che  (cio^)  egli  non  aveva  seminato,  mentre  (in  realta) 
aveva  miglior  grano  di  tutti  gli  altri.  Diede  un'occhiata  al  (lavoro 
fatto)  da  tutti  gli  altri  contadini,  e  se  ne  ritorn5  in  paese. 

Dopo  venne  il  tempo  della  mietitura,  e  tutti  andarono  nella 
ianca  a  mietere,  e  Isidoro  insieme  cogli  altri ;  gli  altri  cominciarono 
a  mietere,  ed  egli  se  ne  stava  sempre  all'ombra.  Cos!  gli  altri  in 
breve  tempo  dopo  d'aver  mietuto  se  ne  ritornarono  in  paese  per  pre- 
sentarsi  al  padrone  ed  invitarlo  a  preparare  Toccorrente  per  le  aie 
(per  i  lavori  della  trebbiatura)  e  gli  dicono  perch^  il  servo  suo  (Isi- 
doro) non  miete  (ch^)  non  ha  neppure  mietuto  una  manata  di  grano. 


424  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

II  padrone  fece  le  meraviglie:  —  Ecome?  non  miete  forse  in- 
sieme  con  voi?  —  Ed  ecco  la  sera  Isidoro  in  casa  (del  padrone).  11 
padrone,  come  lo  vide,  gli  disse: 

—  E  hai  ancor  molto,  dimmi,  da  mietere,  Isidoro?  —  Risponde 
(Isidoro):  —  Sto  per  finire. 

Quegli  fa  sorpresa;  ma  Isidoro  dice:  —  Per  il  ta!  giorno,  prepara: 
tieni  Poccofrente  per  i  lavori  della  trebbiatura.  —  Cosl  il  giorno  dtopo 
Isidoro  va  alia  tanca,  prepara  la  carruca,  e,  aggiogati  i  bovi,  (mentre) 
eglf  mieteva,  i  bovi  trasportavano  nell'aja  la  messe.  Quegli  (altri)  che 
erano  nella  tanca,  (furono)  tutti  meravigliati,  perch^  videro  che  in 
un  giorno  (Isidoro)  aveva  mietuto  e  (trasportato)  tutto  nelPaja.  Cosl 
venne  il  c(Mone  colle  cavalle.  Steso  tutto  quanto  il  frumento  nel- 
Taja,  s'accostarono  alle  cavalle,  ed  il  padrone  incominci5  a  voler 
fermare  le  cavalle  colla  aoga.  Ma  non  ne  poteva  fermare  una,  n^ 
egli,  nfe  gli  altri  (che  erano  con  lui),  e  perci5  indispettito  cominci6 
a  lanciar  imprecazioni  contro  Isidoro,  che  se  ne  stava  seduto.  Isidoro 
allora  pian  piano  s'alz6,  e  si  awicinb  a  loro,  e  disse :  —  Fate  largo, 
lasciatemi  passare.  S'accosta  egli  (alle  cavalle,  e  senza  bisogno  di 
soga)  colla  mano  fermava  le  cavalle,  e  le  legava.  Tutti  i  present! 
(furono)  meravigliati  quando  videro  Isidoro  che  fermava  le  cavalle 
colla  (sola)  mano. 

Cosl  legate  tutte  le  cavalle  (alia  catena),  egli  se  ne  torn6  a  se- 
dere.  II  padrone  and6  per  incamminare  le  cavalle  e  non  ne  pot6  far 
avviare  neppure  una,  e  comincia  ad  arrabbiarsi  nuovamente,  e  ad 
imprecare. 

Infine  s'alz6  di  nuovo  (da  sedere)  Isidoro  e  dice:  -•  Fatemi  largo, 
ritiratevi;  e  s'accosta  alle  cavalle  e  dice:  —  Andate,  su,  movetevi, 
ch^  b  fatica  che  tocca  a  voi.  Ed  esse  si  mossero  prestamente  tutte 
con  grande  ardore,  e  dopo  tre  o  quattro  giri  quelle  che  erano  piu 
in  fuori  se  ne  venivano  piu  verso  il  centro,  e  quelle  del  centro  (se 
ne  andarono)  verso  Testerno  delPaja,  perch^  cosl  (le  altre)  potessero 
riposarsi ;  ed  in  poche  ore  trebbiarono  tutto  il  grano.  GU  altri  allora 
credettero  che  Isidoro  fosse  un  santo. 


LEGGENDE  POPOLARI  SARDE  425 


III.  S.  Bernardo  e  saa  sorella. 

Cera  una  volta  un  re,  che  era  ammogUato  da  tanti  anni,  e  non 
poteva  mai  avere  figli;  poi  gli  venne  dichiarata  la  guerra. 

II  re  con  tanti  pensieri  in  capo  non  sapeva  come  regolarsi.  Non 
gli  jx)teva  uscir  di  mente,  che  se  (per  ceso)  fosse  stato  ucciso  in 
guerra  non  gli  sarebbero  rimasti  figli  per  il  goverrio  del  regno  dopo 
la  (sua)  morte;  e  viveva  con  questi  pensieri  d)  e  notte.  Ed  ecco 
che  un  giorno  usc^  a  passeggio,  e  sMmbatte  in  un  gran  signore,  che 
lo  saluta  e  gli  dice :  —  Maesta,  voi  sembrate  molto  pensieroso. 

—  SI,  risponde  il  re,  perchfe  ho  tanti  affanni,  e  debbo  par- 
tire  per  la  guerra,  e  se  per  caso  vi  lascio  la  vita,  non  ho  figli  che 
mi  governino  il  regno. 

II  signore  gli  risjx)nde: 

—  Se  Ella  mi  dk  c\b  che  porta  in  corpo  sua  moglie,  io  La  faccio 
vincere  in  guerra.   - 

II  re,  sicuro  che  la  moglie  sua  non  era  incinta,  giacch^  dopo 
tanti  anni  di  matrimonio  (non  aveva  ancora  avuto  figli),  rispose: 

—  S^,  volentieri  ti  far6  dono  di  ci6  che  partoriri  mia  moglie; 
ma  tu  Chi  sei?  —  disse  il  re  al  signore. 

—  Io  sono  il  demonio,  risponde. 

—  Ebbene,  dice  il  re,  fammi  vincere  in  guerra,  e  tu  sarai  pa- 
drone del  figlio,  che  mia  moglie  dar^  alia  luce. 

II  demonio  d^  di  piglio  a  carta  e  penna,  e  tutti  e  due  fanno 
il  contratto,  dicendo:  «  All'eti  di  quattordici  anni,  io  (il  demonio)  mi 
terr6  il  figlio  »;  ci6  fatto  ciascun  va  per  le  sue  faccende. 

II  re  va  alia  guerra  e  vince,  e  quando  torn6,  trova  che  la  moglie 
si  era  sgravata  di  un  bel  maschietto :  e  cos\  Tallevarono  come  si 
conveniva  ad  un  figlio  di  re,  e  crescendo  arriv6  aWetk  di  dodici  anni. 

II  padre  incomincia  a  farsi  triste  e  malinconico  come  la  morte, 
giacch^  pensava  che  il  figlio  non  doveva  rimanere  con  lui  piii  di 
altri  due  -anni. 

II  figlio,  un  giorno  fra  gli  altri,  si  presenta  al  babbo  e  gli  dice : 


426  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

—  Padre,  voglio  sapere  il  motivo  di  questa  sua  malinconia ; 
voglio  sapere  perche  non  ^  mai  allegro. 

II  padre  gli  risponde:  —  Non  ho  nulla,  figlio  mio. 

E  intanto  il  figlio  ripiglia:  ■—  Se  non  mi  svela  il  secreto  che 
Ella  ha  in  cuore,  me  ne  vado  a  correre  per  il  mondo. 

II  padre,  avendo  udito  che  il  figlio  se  ne  sarebbe  andato,  non 
sapeva  a  qual  partito  appigliarsi,  e  intanto  dice  al  figlio: 

—  Figlio  mio,  il  secreto  del  mio  cuore  b  questo,  che  tu  sei  vo- 
tato  al  demonio  fin  dal  tempo,  in  cui  ti  trovavi  neir  utero  di  tua 
madre. 

II  figlio  risponde  pacatamente  e  dice : 

—  Ecch^?  per  questo  occorre  abbandonarsi  a  tanta  melanconia? 
Mi  dia  denaro,  che  m'incarico  io  di  pensare  al  contratto. 

Cosl  il  padre  gli  diede  danari  quanti  ne  voile,  ed  egli  parte 
dalla  reggia. 

Camminando  giorno  e  notte  senza  mai  arrestarsi,  s*abbatte  in 
un  famoso  bandito.  Non  appena  questo  scorse  il  giovinetto,  gli  si 
presenta  con  armi,  fucili,  pistola,  stili  e  gli  dice: 

—  Dove  vai,  o  ragazzo? 
Questo  risponde: 

—  Vado  all'inferno. 

—  Giacch^  vai  alT  inferno,  io  ti  lascio  la  vita,  ch^  altrimenti 
t'avrei  ucciso;  tu  per5  m'hai  da  fare  un  favore. 

—  E  quale  sarebbe?  rispose  il  ragazzo. 

—  Quando  sarai  arrivato  alPinferno,  sta  ben  attento  ad  udire 
se  mi  nominano,  se  pronunziano  il  nome  di  Bernardo;  nel  ritorno 
ripasserai  di  qui  per  darmi  una  risposta. 

S'allontanarono,  e  il  ragazzo  va  allMnferno,  e  il  bandito  rimane 
nella  campagna  come  bandito.  II  giovanetto  arriv6  all'inferno ;  entrato, 
viene  condotto  alia  presenza  del  capo  dei  demoni. 

—  E  che  desideri? 

—  Son  venuto  per  fare  un  verbale. 

—  E  di  qual  verbale  parli  tu?  interrog6  il  capo  dei  demoni. 

—  Dica :  un  padre  pu6  disporre  della  vita  di  un  figlio,  se  questo 
ancora  nel  ventre  della  madre? 


LEGGENDE  POPOLARI  SARDE  427 

Lucifero  risponde:  —  Non  si  pu6  affatto,  giacchfe  il  babbo  non 
^  padrone  deiranima  del  figlio  . 

—  Eppure  mio  padre  dispose  di  me,  consegnandomi  per  con- 
tralto al  demonio.  Subito  Lucifero  si  arrabbia,  e  chiama  a  raccoita 
i  demoni. 

—  Chi  e,  disse,  di  voi  che  fece  questo   contratto  con  tal  re? 

—  Ehi !  sono  io,  risponde  uno  tutto  tremante. 

—  Presto,  afferratelo  e  fategli  sopportare  le  pene  ed  i  tormenti, 
che  erano  preparati  per  Bernardo,  e  rimandate  sano  e  salvo  neiraltro 
mondo  questo  ragazzo ;  e  guai  a  chi  gii  torce  un  capello ! 

Afferrano  il  demonio,  e  lo  riducono  in  pezzi,  in  pezzettini,  in  pil- 
lole,  poi  lo  "ricompongono  e  lo  affondono  in  recipienti  pieni  di  fuoco 
e  pece  bollente. 

Quel  ragazzo  poi  fu  ricondotto  alia  porta  delFinferno;  mentre  egli 
esaminava  tutte  le  cose  meravigliose  deirinferno,  ci  vide  un  grande 
palazzo,  fabbricato  con  teste  di  morti,  e  il  giovinetto  dimanda  ai  de- 
moni :  E  di  chi  ^  questo  palazzo  ? 

Gli  risposero  che  era  di  Bernardo,  e  che  dopo  un 'ultima  ucci- 
sione,  egli  (Bernardo)  avrebbe  terminato  i  suoi  giorni. 

11  giovinetto  esce  fuori,  e  torna  sano  e  salvo  nel  mondo,  ed  in- 
contra  nuovamente  Bernardo. 

Appena  lo  scorge,  Bernardo  gli  tocca  la  mano  con  allegria :  — 
E  quali  notizie  mi  rechi  ? 

Gli  risponde :  —  Cattive,  e  gli  racconta  tutto  ci5  che  aveva 
visto  e  gli  dice  che  dopo  un 'ultimo  omicidio  egli  sarebbe  piombato 
airinferno. 

E  gli  narra  :  —  Se  dai  retta  a  me,  abbandoni  questa  cattiva  vita, 
e  vieni  con  me  e  ti  condurr6  a  casa  di  mio  padre,  che  ^  re,  e  la 
io  penser6  al  bene  della  tua  anima.  Io  ti  far6  chiamare  il  migliore 
dei  confessori,  che  sono  nella  citta  di  mio  padre. 

—  Eh !  rispose  Bernardo,  e  impossibile  che  Dio  mi  usi  miseri- 
cordia,  perch^  io  ho  ucciso  persone  di  ogni  qualita  e  condizione. 

—  Non  importa,  gli  dice  il  ragazzo,  se  ti  penti  il  Signore  ti  perdona. 
E  cosl  (il  bandito)  depone  le  armi,  e  s'incammina  col  ragazzo 

alia  volta  del  palazzo  reale. 


428  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Arrivati,  il  giovinetto  non  fa  altro  che  cercargli  un  confessore, 
e  cosl  (il  bandito)  confessa  tutto  il  male  che  aveva  fatto,  e  dopo 
d'aver  fatto  penitenza,  muore  e  muore  santo. 

Egli  entr6  in  cielo  direttamente  senza  passare  per  il  purgatorio, 
e  fanno  tre  giorni  di  festa  in  cielo,  perchfe  Bernardo  s'era  salvato;  a 
questa  festa  non  manc6  nessuno ;  tutti  erano  presenti,  santi,  angeli;  ecc. 

Viveva  in  quel  tempo  una  romita,  detta  Margherita:  nel  bosco 
ove  stava,  scendeva  un  angelo  tutti  i  giorni,  ma  in  causa  di  detta 
festa  per  tre  d)  consecutivi  non  scese  a  visitarla,  ed  essa  non  sapeva 
che  dirsi  di  questa  assenza,  e  credeva  di  aver  commesso  qualche  pec- 
cato.  Finalmente  dopo  tre  giorni  I'angelo  le  si  presenta  nuovamente. 

—  Eh!  angelo  mio,  era  ormai  tempo  che  ti  lasciassi  vedere; 
forse  io  avr6  commesso  qualche  mancanza  verso  Dio. 

—  No,  risponde  I'angelo,  abbiamo  fatto  in  cielo  una  grande  al- 
legria  e  grandi  teste. 

—  E  perchfe  questa  allegria  e  queste  teste? 

—  Lo  vuoi  sapere?  disse  I'angelo. 

—  SI,  angelo  mio. 

—  Facemmo  festa  per  tre  giorni  di  seguito,  perchfe  s'fe  fatto 
santo  il  fratel  tuo,  Bernardo. 

Essa  :  —  Come  ?  mio  fratello  santo  ? 

—  SI,  tuo  fratello  k  santo. 

—  Ed  io  qui  da  tanti  anni  faccio  penitenza  e  soffro  il  caldo,  il 
freddo ! 

Disparve  I'angelo,  perch6  essa  s'era  insuperbita,  ed  essa  muore 
e  va  aH'inferno  ed  occupa  il  posto  che  era  riservato  a  Bernardo. 


IV.  Gennaio  e  Febbraio. 

Questo  era  un  pastore  di  pecore ;  quando  vide  il  mese  di  Gennaio 
fuori  (passato  il  mese  di  gennajo),  si  rallegr6,  dicendo  che  il  mese 
pill  freddo  non  aveva  danneggiato  il  suo  gregge.  Gennajo  a  queste 
parole  del  pastore,  si  present5  a  Febbrajo  dicendogli: 

—  Febbrajo,  prestami  due  giorni  t-  per  far  acqua  e  neve,  — 


LEGGENDE  POPOLARI  SARDE  429 

acqua  e  neve  e  fiocca,  a  segno  che  gli  (al  pastore)  uccide  tutto  il 
gregge,  eccetto  il  zo^piccone  (il  becco  ^oppo). 

E  Gennaio  si  ebbe  i  due  giorni  in  imprestito,  e  cos\  questi  due 
giorni  li  spese  a  fare  acqua  e  neve,  come  gli  (a  Febbrajo)  aveva  detto, 
(e)  cos\  che  al  pastore  morirono  tutte  le  p)ecore,  solamente  gli  (al 
pastore)  rest6  il  becco  zoppo.  11  pastore  disperato  se  ne  stava  nella 
pinnetta  (sorta  di  capannetta)  con  quel  becco  vivo,  che  gli  era  restato. 
Ed  ecco  che  vide  venire  un  povero  vecchio:  (il  quale)  accostandosi 
al  pastore  gli  domanda  la  limosina  per  amor  di  Dio.  II  pastore 
risponde: 

—  Buon  uomo,  non  ho  (cosa)  n^  per  dame  a  te  e  neppure  per 
darne  a  me,  chfe  il  mal  tempo  degli  ultimi  giorni  mi  uccise  tutte  le 
pecore.  Aspettate,  dice,  che  m'fe  restato  questo  solo  becco.  E  cos\ 
uccide  il  becco,  e  lo  mangiano.  E  dopo  che  fu  cotto,  entrarono  (nella 
pinnetta)  per  mangiarlo.  Ma  quel  vecchio  disse: 

—  Non  buttar  via  neppure  un  osso;  mettili  tutti  qui;  e  intanto 
essi  mangiarono.  Appena  ebbero  mangiato,  quel  vecchio  si  alz5,  emette 
una  voce,  dicendo:  rrr  rrr;  ed  ecco  le  pecore  sane  e  prospere  come 
erano  prima. 

II  pastore  si  volta  per  vedere  il  vecchio:  ma  questo,  che  era 
Dio,  era  sparito. 

FiLippo  Vau.a. 


INVETTIVA    D'UN    CONTADINO 
CONTRO    IL    GOVERNO    PROVVISORIO     IN    TOSCANA. 


Questa  umile  ma  notevole  invettiva  popolare  contro  il  Governo 
prowisorio  toscano  e  la  Dittatura  del  Guerrazzi  dopo  la  fuga  di 
Leopoldo  II,  scritta  contemporaneamente  ai  fatti  da  un  contadino 
Senese  che,  vegeto  a  82  anni,'me  la  dette  nel  1899  con  parecchie 
altre  sue  poesie,  h  riprova  delle  tremende  difificolta  che  dovettero 
travolgere  quel   Governo. 

II  mezzadro  Toscano  non  avr^  ottenuto,  pel  ritorno  deWAgnello 
scortato  dalle  invocate  baionette  austriache,  gli  attesi*  due  terzi 
del  frutto,  come  non  ebbe  a  veder  cadere  la  testa  al  Serpente, 
quella  testa  di  cui  si   diceva  invece  a  Livorno: 

Guerrazzi  e  Montanelli, 
Due  teste  e  tre  cervelli. 

Ma  il  Guerrazzi,  insultato  dal  popolo,  tradito  anche  da '  amici 
(dei  quail  alcuno  piu  buono  port6  il  pentimento  sino  alia  tomba), 
carcerato  lunghi  anni  e  poi  esule,  prov6  amaramente  la  ingrati- 
tudine  umana.  Visse  per  quasi  un  altro  quarto  di  secolo,  scrivendo 
opere  di  arte  un  po'  torblda  ma  potente,  che  vanno  dalla  B.  Cenci^ 
opera  in  cui  confessava  aver  rovesciato  i  cavalloni  dell'  anima  sua, 
aWAssedio  di  Roma,  in  cui  invocava  magari  il  Demonio  a  ricom- 
porre  I'ltalia,  al  Secolo  che  muore,  che  si  chiude  con  un  commovente 
inno  alljl  divina  Speranza;  sempre  fervido  apostolo,  nella  vita  politica 
e  nella  privata,  della  Liberta  e  della  Democrazia. 


INVETTIVA  D*UN  CONTADINO  43 1 

Poteva  ripetere  airultimo  quello  che  gia  scriveva  nel  '47: 
«  Nato  dalle  piti  intime  viscere  del  popolo,  io  non  posso  adi- 
rarmi  con  lui.  Io  gli  sar6  amico  sempre,  non  servo,  io  gli  sar6  fra- 
tello,  non  adulatore,  ch^  operando  diversamente  dovrei  rinnegare  la 
mia  natura,  la  mia  educazione,  la  memoria  degli  esempi  paterni  e 
cancellare  tutta  una  vita  ». 

Paolo  Giorgi. 

Ai  sigaori  cittadini  toscani 

Avvertimento. 

I.  Io  vo'  cantare  li  miei  sentimenti 
e  tutti  quelli  de'  compagni  miei; 
e  Chi  mi  ascolterA  saran  content!, 
se  non  son  pubbricani  falsi  e  rei; 
e  voglio  darvi  degli  avvertimenti : 
Chi  non  li  prender^,  saran  giudei 
per  condurre  il  granduca,  a  quanto  ho  visto, 
come  gli  sgherri  condussero  Cristo. 

11.  Poco  giovogli  I'essere  agnellino, 
conceder  quanto  ognuno  gli  chiedeva; 
ora  e  ridotto  assai  cosi  piccino, 
scappar  conviene  e  questo  non  credeva; 
abbandona  il  senese  e  il  fiorentino, 
Livomo  e  quanto  a  lui  si  apparteneva ; 
e  gli  convien  fuggir  per  disperato, 
come  se  fosse  un  cane  al  mondo  stato. 

III.  Che  serve  sghignazzar,  ridergli  dietro 
se  fra  non  molto  voi  Io  piangerete, 
quando  qu^  giungeri  nuovo  decreto, 
del  male  fatto  allor  ve  ne  avvedrete. 
Umile  un  uom  cosl  e  mansueto 

di  ritrovarlo  sperar  non  dovete : 
finora  ha  fatto  sempre  a  mo'  di  voi; 
or  salvati,  Toscana,  se  tu  poi. 

IV.  Lodo  la  sua  bonta,  la  suaprudenza, 
che  da  ogni  parte  sarii  decantato; 


4J2 


ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

lodo  per  fin  di  qui  la  sua  |>artenza, 
e  lasci  in  abbandono  questo  stato; 
Chi  sa  se  il  contadino  avr^  pazienza 
die  il  cittadino  non  resti  domato 
e  il  fiato  non  g!i  resti  per  parlare* 
cos)  insegnarti  allora  al  mondo  stare. 

V.  lOt  contadino,  anchMo  questa  giomata, 
da  quanto  mi  dispiace  di  tal  fatto, 
che  la  nostra  duchessa  tanto  grata 

in  Siena  non  si  volse  a  nessun  patto, 
noi  chiameremo  TAustria  irritata 
da  tanti  insulti  che  gli  avete  fatto; 
questo  b  il  mio  pensier,  cost  la  voglio 
abbassar  dei  signor  cotanto  orgoglio. 

VI.  Cosa  vi  ha  fatto  mo'  '1  nostro  sovrano, 
cosa  di  pid  volete  da  colui, 

or  che  volete  star  da  lui  lontano 
rispettar  non  volete  i  dritti  suoi 
or,  prendeva  la  penna  in  sulla  mano, 
vedrk  se  al  mondo  c'6  nessun  per  lui, 
e  voi  vedrete  tanto  meglio  assai : 
dopo  le  feste  succedono  i  guai. 

VII.  Per  mezzo  di  un  corriere  certamente 
ci  fa  sapere  il  nostro  buon  sovrano 
che  qu^  vuol  ritomar  con  molta  gente. 
Noi  contadini  gli  daremo  mano, 

ch^  vuol  punir  la  facoltosa  gente, 
per  essi  si  b  trovato  a  un  caso  strano, 
e  gli  vuol  mette  un  giogo  tanto  grave, 
p\ix  grosso  e  pid  pesante  d'una  trave. 

VIII.  Di  quanto  si  raccoglie  nel  podere 

e  quanto  si  guadagna  nel  bestiame, 

di  tutto  questo  fateci  godere 

felici  allor  saran  le  vostre  brame; 

diversamente  vi  faccio  sapere 

che  i  contadini  han  fatto  delle  trame 

e  rivoglion  per  forza  il  suo  grandua 

che  gli  ha  promesso  di  tre  parti  dua. 

IX.  Trema,  Toscana,  tremate,  o  palazzi, 
tremate  tutti  quanti,  o  cittadini, 


INVETTIVA  D'UN  CONTADINO  433 

dope  tante  allegrie,  tanti  sollazzi, 

cosa  farete,  poveri  meschini ; 

e  te  ancora,  0  ladro  di  Guerrazzi, 

Thai  da  pagar  con  tutti  i  fiorentini ; 

tu  fosti  la  cagion  di  tanta  pesta, 

ma  un  di'  qascar  ti  vo'  veder  la  testa!... 

X.  E  dei  ribelli  abbiamo  tante  nuove 
come  finita  sia  la  lor  questione ; 
parlar  non  voglio  g\k  di  Marie  e  Giove, 
solo  dirowi  di  Napoleone: 
al  mondo  fece  tante  belle  prove, 
la  sua  vita  finl  nella  prigione 
\  voi  non  farete  niente  alia  rovescia, 
come  Assalonne  appiccato  a  una  quercia. 

XI.  Se  pr  ima  di  partir  '1  nostro  sovrano 

soccorso  ci  chiedeva,  certamente 
tutti  si  andava,  e  colla  propria  mano 
schiacciavamo  la  testa  a  quel  serpente; 
tutto  il  contado  vicino  e  lontano 
e  tutta  quanta  la  villana  gente, 
tutti  per  lui  si  vole  dar  la  vita: 
Topera  chiudo  e  la  far6  finita. 

XII.  Voi  sorridete  a  questi  avvertimenti 
che  in  rozzi  versi  qui  vi  ho  raccontato; 
credo  per6  piii  d'uno  se  ne  penti 
d'essersi  coi  ribelli  accompagnato ; 

e  tante  piCi  fatiche,  assai  piu  stenti 
e  tanti  mali  che  avete  operato, 
ed  il  peggio  delitto  certo  parmi 
quello  di  romper  e  insudiciar  I'armi. 

XIII.  E  se  qualcosa  sorge  alia  cittade, 
e  se  ci  risolviamo  di  partire, 
nulla  diremo  di  queste  cenciade, 

le  nostre  donne  ne  vanno  a  morire; 
piuttosto  gli  darem  delle  legnate 
se  credono  di  farci  scomparire: 
piangan  le  donne,  oppur  gridi  il  curato, 
quello  che  si  vuol  far  noi  si  k  giurato. 


434  ARCHIVIO  PhR  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

XIV.  Senza  tamburi  e  senza  le  bandiere, 
senza  nessun  segnale  di  far  guerra, 
armi  da  tagllo  sol  con  gran  potere 
le  teste  si  vedran  cadere  in  terra; 
pochi  fucili  e  poche  palle  avere 
cosi  principierA  la  nostra  guerra: 
govemi  non  vogliamo  provvisori : 
uno  ne  abbiam  che  val  cento  tesori. 


\ 


L 


PROVERBl  E  SENTENZE  TEDESCHE 


1.  Chi  tiene  un'anguilla  per  la  coda,  non  Tha,  ne  mezza,  n^  intiera. 

2.  Ci6  che  non  da  il  campo,  deve  dare  la  schiena. 

3.  Aquila  non  cova  mai  colomba. 

4.  L'aquila  non  caccia  mai  mosche. 

5.  L'aquila  ha  grandi  ali,  ma  anche  grandi  artigli. 

6.  II  migliore  avvocato  h  il  peggior  vicino. 

7.  Le  scimie  e  i  preti  non  si  lasciano  mai  punire. 

8.  Chi  troppo  vuole,  nulla  stringe. 

9.  Ai  vecchi  il  consiglio,  ai  giovani  Tazione. 

10.  I  vecchi  si  onorano,  i  giovani  s'istruiscono,  i  sapienti  s'interro- 
gano  e  i  pazzi  si  sopportano. 

11.  Vecchi  amici,  vecchio  vino  e  vecchi  danari  hanno  valore  dovunque. 

12.  Vecchie  chiese  hanno  oscure  fmestre. 

13.  Impiego  senza  stipendio  fa  ladri. 

14.  Chi  molte  cose  comincia,  non  ne  compie  alcuna. 

15.  Come  il  lavoro,  cosl  la  ricompensa. 

16.  II  lavoro  ha  radici  amare,  ma  dolci  frutti. 

17.  Chi  viene  al  lavoro  non  chiamato,  non  ha  diritto  a  ricompensa. 

18.  Colui  soltanto  diventa  povero,  che  non  sa  conteggiare. 

19.  La  poverta  ^  la  mano  ed  il  piede  della  ricchezza. 

20.  La  poverta  h  il  sesto  senso. 

21.  Fra  ricchezza  e  'f)overta  b  la  vita  migliore. 

22.  Medico  novello,  nuovo  cimitero. 


i)  Sprichwdrler  und  Spruchreden  der  Deiitschen,  Leipzig,  bei  Otto  Wigand. 


436  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

23.  Chi  non  apre  gli  occhi,  apre  la  borsa. 

24.  Fuori  si  hanno  cent'occhi,  a  xasa  appena  uno. 

25.  Gli  occhi  sono  piu  grandi  del  ventre. 

26.  Quando  gli  occhi  non  vogliono  vedere,  non  valgono  n^  occhiali, 
n^  luce 

2T.  Ci6  che  si  impresta  non  si  migliora  mai. 

28.  Chi  vuol  fabbricare  deve  calcolare  due  soldi  per  uno. 

29.  Chi  impresta  s\  crea  impicci ;  chi  restituisce,  rammarico. 

30.  Ricompensa  anticipata  rende  pigr »  il  lavoratore. 

31.  Chi  fa  fuoco  con  piu  fucili,  colpisce  raramente  nel  segno. 

32.  Ci6  che  non  prende  Cristo,  si  prende  il  fisco. 

33.  A  casa  sua  un  uomo  vale  f)er  due. 

34.  Chi  d^  mangiare  senza  bere,  non  pu6  essere  ringraziato. 

35.  Troppa  umilta  k  orgoglio. 

36.  Non  tutti  sanno  far  versi,  ma  tutti  vogliono  giudicare. 

37.  I  piccoli  ladri  si  impiccano,  i  grandi  si  onorano. 

38.  1  ladri  grandi  impiccano  i  piccoli. 

39.  Chi  ti  minaccia  lungamente,  non  ti  uccide. 

40.  Stato  matrimoniale,  stato  di  dolori. 

41.  Non  cade  la  quercia  al  primo  colpo. 

42.  Senza  gelosia  nessun  amore. 

43.  La  lode  propria  displace,  la  lode  fattadall'amicofe  dubbia,  quella 
fatta  da  chi  non  ti  conosce  h  la  migliore. 

44.  L'unione  fa  la  forza. 

45.  Conviene  battere  il  ferro  quando  h  caldo. 

46.  Un  uomo  di  esperienza  vale  piu  di  dieci  sapienti. 

47.  Allorchfe  due  asini  si  istruiscono  vicendevolmente,   nessuno  dei 
due  diventa  dottore. 

48.  Lascia  partire  chi  non  vuol  rimanere. 

49.  Un  nemico  h  troppo  e  cento  amici  son  pochi. 

50.  Chi  ha  tre  nemici,  deve  rappacificarsi  con  due. 

51.  A  nemico  che  fugge,  ponte  d'oro. 

52.  Chi  vuole  il  fuoco  deve  sopportare  il  fumo. 

53.  Fuoco  nel  cuore,  fumo  nella  testa. 


PROVERBI  E  SENTENZE  TEDESCHE  437 

54.  11  fuoco  e  Tacqua  sono  buoni  servi,  ma  cattivi  padroni. 

55.  Non  spegnere  il  fuoco  che  non  ti  abbrucia. 

56.  Un  piccolo  pesce  sulla  tavola  &  migliore  di  un  pesce  grande 
nel  fiume. 

57.  Chi  vuol  pescare  deve  prima  preparare  le  reti. 

58.  Non  volare  se  prima  non  ti  sono  interamente  cresciute   le   ali. 

59.  Chi  vola  tropp'alto,  ha  la  vergogna  d'una  piu    grande   caduta. 

60.  Tutti  i  fiumi  corrono  al  mare. 

61    Meglio  libero  in  terra  straniera,  che  schiavo  in  patria. 

62.  Gioia  e  dolore  sono  stretti  amici. 

63.  L'amicizia  nata  fra  il  vino,  dura  come  Peffetto  di  questo :  una 
sola  notte. 

64    La  pace  nutre,  Tinqyietudine  consuma. 

65.  Una  pace  ingiusta  ^  migliore  di  una  guerra  giusta. 

66.  Metti  una  rana  sopra  un  seggio  dorato,  essa  saltera  sempre  di 
nuovo  nella  palude. 

67.  II  frutto  proibito  ha  miglior  sapore. 

68.  La  vecchia  volpe  lascia  il  pelo,  ma  non  il  vizio. 

69.  La  polve  deve  prendersi  con  la  volpe. 

70.  Da  una  scintilla  un  grande  incendio. 

71.  I  sudditi  ballano  la  musica  dei  principi. 

•72.  I  principi  hanno  lunghe  mani  e  molti  orecchi. 

73.  II  favore  dei  principi  e  il  tempo  di  primavera,  I'amore  di  donna 
e  le  foglie  delle  rose,  il  giuoco  dei  dadi  e  quello  delle  carte  va- 
riano  ad  ogni  momento. 

74.  Se  un'oca  beve,  bevono  tutte  Taltre. 

75.  Chi  va  superbo  per  la  via,  non  ha  quattrini  in  tasca. 

76.  Un'ospite  non  invitato  ^  un  peso. 

77.  II  primo  giorno  I'ospite  fe  caro,  il  secondo  h  pesante,  il  terzo 
h  insopportabile. 

78.  Chi  da  volentieri,  non  interroga  molto. 

79.  L'undicesimo  comandamento  dice:  non  lasciarti  sorprendere. 

80.  Quando  il  pericolo  cessa,  il  santo  6  deriso. 

81.  II  danaro  domina  il  mondo. 

82.  II  danaro  apre  anche  Pinferno. 

Archivio  per  le  tradieioni  popolari.  —  Vol.  XIXIII.  63 


438  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

83.  Molto  danaro,  molti  amici. 

84.  Se  la  sposa  h  il  danaro,  il  matrimonio  h  raramente  felice. 

85.  Chi  va  piano,  va  lontano. 

86.  Chi  vuole  il  suo  comodo  rimanga  a  casa  sua. 

B7.  La  voce  pubblica   ti   fa   il  lupo  piu  grande  di  quello  ch'esso  ^ 
veramente. 

88.  Quante  piu  leggi,  tanti  piu  delitti. 

89.  Nel  gran  guadagno  v'^  grande  inganno. 

90.  fe  meglio  una  cosa  certa  che  cento  incerte. 

91.  Ognuno  vale  quanto  ha. 

92.  Ognuno  ^  fabbro  della  propria  sorte. 

93.  La  fortuna  d'uno  h  spesso  la  sventura  d'un  altro. 

94.  L'oro  h  sepolto  nella  profondit^  della  terra,  il  fango   invece  si 
trova  sulla  via. 

95.  Dio  guarda  attraverso  le  dita,  ma  non  eternamente. 

96.  Prima  che  tu  cerchi  Dio,  egli  ti  ha  gia  trovato. 

97.  Dio  ti  risana  e  il  medico  ne  riceve  la  ricompensa. 

98.  Colui  che  scava  ad  altri  la  fossa,  non  la  scava  talvolta  che  a 
s^  stesso. 

99.  La  bont^  fa  cattivi  servi. 

100.  Un  buon  gatto  raramente  ingrassa. 
loi.  Mani  fredde,  cuor  caldo. 

102.  Nel  commercio  nessuna  amicizia. 

103.  Chi  deve  morire  appiccato,  non  pu6  annegare. 

104.  Nessuna  corazza  ti  salva  dalla  morte. 

105.  Alcuni  pigliano  la  lepre,  altri  la  mangiano. 

106.  Chi  d^  la  caccia  a  due  lepri,  non  ne  prende  nessuna. 

107.  L'onore  della  casa  riposa  sull'uomo  e  non  sulla  donna. 

108.  Chi  serve  a  piu  santi,  ha  molti  padroni  e  nessuna  ricomf)ensa, 

109.  Non  v'^  santo,  per  quanto  piccolo,  che  non  voglia  la  sua  candela. 
no.  Chi  si  marita  fa  bene,  chi  non  si  marita  meglio. 

111.  Meglio  morire  appesi  che  annegati. 

112.  Ai  gran  signori  e  alle  belle  donne  si  presti  volentieri   servigio, 
ma  non  si  ponga  in  essi  grande  fiducia. 

113.  Meglio  piccolo  signore  che  gran  servo. 


PROVERBI  E  SENTENZE  TEDESCHE  439 

114.  Oggi  a  me,  domani  a  te. 

115.  Come  i I  pastore,  cos^  la  greggia. 

116.  Chi  vive  sperando,  muore  digiuno. 

117*  Se  lo  spaccar  legna  fosse  un  ordine,  non  sarebbero  i  monaci 

in  si  gran  numero. 
118.  Dal  legno  si  fanno  santi  grandi  e  piccoli. 

Antonio  db  Marchi 

tradusse. 


CANTI  POPOLARI 
RACCOLTI   A    FRASSO    TELESINO 


I. 

Jietti  I)  a  Tinferno  e  me  diciero:  Canta; 
E  i'  non  cantai  pe'  tenere  mente, 
Cera  'na  ronna  ch'era  bella  tanto 
Ce  commatteva  co'  lo  ffuoco  ardente. 
N'addimannai  lo  ccome  e  lo  quanto: 
«  Donna,  pecch^  le  ppati  tanti  tormenti?  » 
Chella  se  vota  co'  'n  'amaro  chianto: 
«  Ci  aggio  fatto  Tamore  e  mo'  me  pento  ». 

2. 

Fiore  d'amenta: 
'Sto  saluto  te  manno  a  Reggimento. 

3. 
Bella!  ce  voglio  i  a  rA[v]olivella, 
Addo'  ce  stanno  le  donne  a  lavane; 
Lk  me  la  voglio  sceglie  la  cchiu  bella, 
Portare  me  la  voglio  pe'  la  mano. 
[O]gnuno  che  sconto  dice  «  Quant'  h  bella  ^ 

Add6  Ta'  fatta  'ssa  caccia  riale?  » 
«  Ce  I'aggio  fatta  a  lo  bosco  de  Anella, 
Dove  lo  vicer^  n'a  pQto  andane  2)». 

ti  h'fft  0  ghieiii  pass.  rem.  di  i  oghiy  andare.  Confr.  venufllidsiveni,  tenietti 

51  QJuesto  canto  risalira  dunque  al  tempo  dei  vicerfe  spagnoli.  I  luoghi  nomi- 
nat(  ntin  tis1$tono  pero  nel  tenimento  del  paese;  il  che  mi  fa  pensare  che  sia 
iit^itfi  jtnpurtato  da  altre  terre  del  Mezzogiorno. 


CANTI  POPOLARI 
4. 

Che  ai,  amore  mio,  che  tenite, 
Quacc'arma  proibita  ce  porta te? 
M'a'  menato  a  lo  pietto  e  m'a'  ferito, 
Le  vvene  de  lo  core  m'a'  ntaccate, 
E  tanto  de  lo  sango  che  c'e  'sciuto 
Che  m'6  bastato  a  ffa  'na  sciuriata. 

Dinto  a  'sto  vico  ce  se  po'   cantane, 
Ce  sta'  nennella  mia  che  me  onora, 
Bellizzi  ce  ne  tene  'nquantitane, 
Tene  sapienzia  cchiii  de  no  dottore. 
Si  nenna  mia  s'avesse  a  pesane, 
'Na  banna  metto  Toro  e  'n'auta  voi, 
Si  m'attoccasse  a  me  giustizia  fane, 
Lassera  Toro  e  me  pigliera  a  voi*. 
6. 

1'  sempe  'ntorno  a  vui'  voglio  girane, 
Come  gira  la  lapa  i)  *ntorno  a  li  fiuri. 

7. 

Dicimo  tutti  che  la  prima  h  bella, 
La  'reto  2)  me  trafigge  'e   passione; 
Si  Dio  da  lo  cielo  Ta  destinato, 
Una  pe'  sposa  e  n'ata  pe'  cognata. 
8. 

Manno  un  saluto  a  la  mia  'nnammorata, 
N'ato  a  la  sua  sorella  uocchi  'ardito; 
O  uocchi  'ardito,  0  uocchi  delicato, 
Vui  site  la  cchiu  bella  de  *sto  vico. 

9. 

Faccia  de  'na  nova  campanella, 
Sango  dale  de  nennella  mia, 


441 


i)  La  lapa:  I'ape. 

2)  La  'reto,  cio^  quella  che  vien  dietro,  la  seconda.  La  messa  'reto  dicesi  da 
noi  Tultima  messa  dei  giorni  festivl. 


442  ARCHIVIO  PER   LE   TRADIZIONI    POPOLARI 

'No  bacio  te  darri  'a  'ssa  bocca  bella, 
Doppo  baciato  che  pena  farria? 
Sarria  la  pena  de  me  te  spusane; 
[Emb^]  chillo  sarria  lo  genio  mio. 

lO. 

Dint'a  'sto  vico  ce  cantan'a  dui' 
Pe'  una  figliolella  che  ce  stane; 
1      La  mamma  le  ccontenta  a  tutt'e  dui', 
La  figlia  monacella  ce  fa  fane. 
«  Mamma,  lo  manto  niro  i  'no'  lo  voglio, 
Pure  m'aggi  'a  piglia  chillo  che  voglio  ». 
II. 

Ce  sta  'na  figliolella  tanto  scapace, 
Nisciun  'amante  I'a  pQta  arriduce,  i) 
Voglio  vedene  de  la  fa  capace 
Mo'  co'  lo  mio  parlare  tanto  doce; 
Si  pe'  'no  caso  non  se  fa  capace, 
Abbocc  'a  porta  ce  pianto  la  croce. 

12. 

Dint'  a  sto  vico  ce  voglio  fa  'n'arco 
De  rosmarino  e  de  gigli  coverto; 
A'  2)  finistrella  toa  la  meglio  parte. 
Dove  riposa  'sso  gentile  petto. 

13. 

Fior  de  cerasa: 
Aggio  girato  il  mondo,  tu  me  piaci. 
14. 

Siti  cchiu  bella  vui  ca  'no  sole, 
V'anno  venuti  I'angiol  *a  trovane; 
Tieni  'na  casa  tutta  'nnargentata, 
Dinto  e  da  fore  ce  ietta  sbrendore. 
Quanno  iate  a  la  tavola  a  mangiane 


I)  Arriduce:  ridurre  mansueta,  ammansire. 
2   Qui  ed  altrove  Va'  equivale  a/la  (a'a). 


CANTI  POPOLARI  443 

'Nnante  tenite  'no  valente  fiore; 
Quanno  iate  a  lo  lietto  a  riposane, 
La  ce  trovate  Dio  e  lo  Sarvatore. 

15. 

Mo'  se  parte  lo  sole  e  va'  calane 
'Ncopp'a  le  trecce  de  nennella  mia, 
'Ncopp'a  'sse  trecce  n'auciello  d'oro 
'Ncopp'a  'sse  trecce  lo  farria  cantane; 
'Ncoppa  a  'sso  pietto  'na  catena  d'oro. 
Trentatr^  once  la  farria  pesane; 

Ce  venesse  lo  masto  de  Toro, 
Chillo  che  fece  Taquila  romana; 
Ce  venesse  lo  rre  co*  la  corona, 
Dice  che  me  volesse  'ncoronare, 
1'  pure  ne  dicera:  None^  none, 
Lo  prim'  amore  non  se  scorda  mai. 

16. 
Ci  aggio  venuto  de  lontan  paese, 
Pe  ve  veni  a  trova,  gentile  rosa, 
Ce  tieni  'ssa  boccuccia  sempe  a  riso, 
Pare  che  me  vuo'  ricere  caccosa; 
Tieni  'sso  petto,  addora  'e  paraviso, 
Ce  stanno  pastenati  i)  fiuri  e  rose. 
1'  tanno  2)  me  ne  vavo  *a  'sto  paese 
Quanno  si  mmorta  tu,  gentile  rosa ; 
Quanno  si  mmorta,  vai  'nserbitura,  3) 
Tu  polvere  addivienti,  i'  t'amo  pure. 

17. 
Palazzo  d'oro  e  le  mmure  gentile, 
Quanno  te  viddi  me  ne  'nnammorai, 
Quanno  te  viddi  le  grade  sagline, 


i)  Pastenati:  piantati.  Pastenare  d  fare  un  aio  di  pianticelle  da  trapiantare. 

2)  lanno:  allora. 

3)  'nserbitura:  \Xi  sepoltura. 


444  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

No  cusciniello  'nsina  i)  ricamava; 
Ce  ricamava  carmosino  fino, 
Li  punti  le  mmetteva  a  la  romana. 
i8. 

«  Site  cchiu  bella  vui'  che  la  bellezza, 
Ce  'rrasomigli  a  la  neve  de  Marzo, 
Ce  puozz  'av^  'na  grossa  contentezza, 
Come  Tavio  Maria  co  Giesu  'mbrazzo  *. 
«  'Cossi  la  puozz'ave,  ninnillo  mio, 
Co'  ghi  CO'  nenna  toa  a  brazzo  a  brazzo  ». 
19. 

Voglio  iettane  'no  luongo  sospiro, 
A  Santo  Luco  2>  o  voglio  fa'  arrivane; 
Ne  voglio  dice:  «  Santo  Luco  mio, 
Le  donne  belle  pecche  I'a  'criatej? 
Ce  i'a'  criate  pe'  me  fa'  morine, 
O  puramente  pe'  me  fa'  dannane?  » 
20. 

Faccia  rossa  mia  com'  a  granato, 
Voglio  sape'    da  me  che  pretennite. 
Pe  vui'  'no  figliolillo  s'e  'ncrapicciato, 
A'  ditto  ca  ce  vo'  perdere  la  vita. 
A'  ditto  la  vostra  mamma  e  lo  vostro  pate, 
Ca  chessa  lite  vui'  no'  la  vincite. 
De  una  cosa  me  ne  displace 
Tenite  lo  iuricio  e  ve  perdite. 
21. 

Sera  la  viddi  la  chiantina  d'oro, 
Stera  a  la  finistrella  che  coseva ; 
Ce  steva  cchiu  da  dinto  che  da  fore, 
Suio  lo  bianco  petto  ce  pareva. 
lo  ne  dissi:  Addio,  chiantina  bella, 

ti  'nsina:  in  seno. 

2)  San  Luca  Evangelista,  il  santo  pittore  della  tradizione  popolare.    Quante 
immagini  della  Vergine,  annerite  dal  tempo  e  venerande,  sono  attribuite  a  lui! 


CANTI  POPOLARI  445 

No  giorno  c\  ai  a  essere  la  mia. 
Chella  se  vota  co'  'na  grazia  bella: 
«  Cchiu  de  la  vosta  che  de  mamma  mia  *. 
22. 
Sera  i)  la  viddi  la  callabreseUa, 
Tutta  bagnata  de  acqua  de  neve. 
lo  ne  dissi:  «  Addio,  calabresella, 
'Na  veppeta  3)  de  'ss  'acqua  me  farria  ». 
Chella  se  vota  co'  na  grazia  bella : 
«  Non  €ulo  Tacqua,  la  persona  mia  3) ». 

23- 

Amore  mio,  no'  me  ne  fa'  tante, 
Che  non  so'  d'oro  li  tuoi  pannamenti, 
Che  non  si  figlia  de  quacche  mercante, 
Figlia  de  zappatore  veramente. 
Tu  te  cridi  de  veve  a  lo  bicchiere, 
Te  cali  'nterra  e  vivi  a  lo  pantano. 

•24. 

Dint'a  sto  vico  addora  de  moscato 
Chiu  che  n 'addora  a  la  speziaria, 
'No  pede  de  cetrangolo  c'^  nato. 
Li  rami  ann'arrivati  a'  casa  mia. 
'Ncapo  de  I'anno  ce  vieno  tagliati, 
Pe'  ffa'  lo  telariello  a  nenna  mia, 
Chella  ce  tesse  I'oro  e  lo  fifilato, 
E  se  la  spassa  la  soa  fantasia. 
[P5]  I'oro  e  lo  fifilato  resta  a  vui', 
La  figliolella  me  la  spuso  io. 


1)  S^rai  leri  sera. 

2)  Veppeta:  bevuta,  da  vei^e,  here. 

3)  Questo  canto,  diverse  nel  concetto,  h  per6  simile  per  andamento  e  forma 
al  precedente.  Tali  simiglianze  sono  frequentissime  nelia  poesia  popolare,  dove 
la  forma  ky  in  certo  modo,  cosa  di  tutti  e  di  nessuno. 

ArchMo  per  le  iradMoni  popolari,  —  Vol.  XXIU.  51 


1 


446  ARCHIVIOPER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

25. 

Figliola,  figliolella,  t'aggi  'amata, 
Co'  li  carizzi  t'aggio  mantenuta; 
Co  le  mmie  mani  non  t'aggio  toccata, 
Sempe  co'  Tuochi  t'aggio  liveruta  i); 
Sempe  dint'a  sto  petto  t'aggio  portata, 
Come  int'a  'n'abetiello  de  velluto. 
26. 

[fe]  partuto  ninno  mio,  6  ghiuto  a  Foggia, 
C'^  ghiuto  a  fare  la  fera  de  Maggio. 
Vorria  sapere  a  qua'  taverna  alloggia, 
Ce  le  vvorria  manni  quatto  messaggi; 
Vorria  manni  'na  chioppa  «)  de  rosielli : 
«  Va  pe'  la  parte  mia,  salutammillo  3) ». 

27. 

Faccia  de  'no  carofano  verdisco 
Quanno  ce  vidi  a  me  muti  colore; 
lo  comm'a  'na  fravol  'arrossisco: 
Pe'  vui'  non  ce  ne  tengo  passione. 
28. 

La  prima  vota  che  parlai  co  vui', 
'Sto  core  m'a  ferito  e  I'anima  pure. 
'No  ve  ci  avesse  mai  canosciuto, 
Sconsolatella  no'  me  trovarria! 
r  mo'  ce  stongo  'mmiez'a  tanti  guai, 
Consolame  pe'  piet^,  ninnillo  mio. 
E  si  consuolo  tu  no  me  ne  dai, 
'Ncoppa  a  'sse  bracce  toe  st'anima  spira. 


i)  Liveruta:  riverita. 

2)  Chioppa:  coppia. 

3)  Moiti  Frassesi  erano,  anni  fa,  zatecali,  cio6  commercianti  che,  carichi  i  loro 
muli  (vateche)  della  merce  pid  svariata,  la  portavano  a  vendere  nei  paesi  del  Mo- 
use, dell'Abbnizzo,  del  Foggiano.  E  parecchi  si  sono  stabiliti  in  quei  paesi  e  vi 
han  fatto  fortuna. 


CANTI  POPOLARI  447 

29. 

Sera  passai  da  cc^,  carcai  li  passi, 
Mammeta  contr'a  me  quante  ne  disse! 
Fassa,  ca  non  ce  avesse  mai  passato, 
Co'  st'uocchie  non  t'avesse  mai  guardata, 
'Ssa  rara  1)  no*  I 'avesse  mai  sagliuta, 
'Ssa  seggia  no'  m'avesse  mai  'ssettato, 
'Ssa  giarla  non  ce  avesse  mai  bevuto, 
'Sso  lietto  no'  m'avesse  mai  corcato, 
Figliola,  non  t'avesse  conosciuta! 
30. 

Bella!  si  me  lo  di[v]i  lo  maccaturo,  a) 
Me  lo  portava  a  lo  sciume  a  lavane; 
Me  ce  metteva  a  no  canto  de  fiume, 
Ogni  'ncrespata  'no  bacio  d'amore. 
Ce  lo  spanneva  a  chillo  bianco  sole, 
Ogni  stirata  'no  mazzo  de  fiure. 
Po'  te  lo  deva  quanno  stivi  sulo, 
Pe'  te  le  manii  'sse  bianche  mane. 

31. 

Me  so'  sossuta  3)  a  I'arba  stamattina 
Pe'  gW  a  ved^  lo  sole  add6  riposa; 
Chillo  riposa  'nfacci  'a  la  marina, 
Dint'a  'no  giardinello  a  coglie  rose. 
[A]rriva  la  rosa  e  me  pogne  'no  dito: 
Chisto  ^  ninnillo  mio  che  vo'  caccosa. 
Ninnillo  mio,  non  aggio  che  te  dane,.  . 
Te  manno  'no  carofano  ch'addora. 
Te  lo  mitti  a  la  ta[v]ola  quanno  mangi : 
Ric5rdate  de  me  tre  vote  I'ora. 


i)  'Ssa  rara:  cotesta  scala.  'Rara  sta  per  grada.  —  *Ssa  e   'sso   nei    vers! 
es3nenti  valgono:  a  cotesta,  a  cotesto. 
a)  Maccaiuro:  moccichino,  fazzoletto. 
3)  Sdiserse  vale  levarsi  di  letto. 


448  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Tre  vote  Tora  e  po'  tre  vote  Tanno : 
Lo  Natale,  la  Pasqua  e  lo  Capx)  d'anno. 

32. 
Aota  e  diritta  comm'a  na  canna, 
Non  so  addo'  i)  iate  ce  mittite  tenna ; 
♦      Tieni  'no  naso,  me  pare  capanna, 
L'uocchi  parino  *e  porte  de  Tinferno. 
La  faccia  carpecata  a  banna  a  banna  2) 
Pare  lo  crivo  che  lo  grano  cerne. 
Li  'nnammorati  tuoi  so'  stati  tanti, 
Tutti  te  Tanno  data  la  licenza. 
Si  mo'  ce  aspettarrai  le  mmie  speranze, 
Dannata  morarrai,  aggi  pacienza! 

33. 
lesci  'mmiez'a  la  chiazza  e  fai  lo  guappo: 
Non  tieni  cinco  'rane  dint'a  la  sacca. 

34. 
r  prima  te  tenea  pe'  uomo  esatto, 
Mo  te  ce  tengo  pe'  pignato  rutto; 
'Ste  doe  parole  te  le  scrivo  'nfronte: 
Che  chi  si  piglia  a  te  lo  ciuccio  accatta. 

35. 
«  No  'me  ne  fate  tante,  pure  h  peccato ; 
L'acqua  stutaa)  le  llegne  e  more  lo  f¥uoco  ». 
«  Pe'  ce  stuta  lo  ffuoco  ce  vo'  l'acqua, 
Pe  ce  spartere  a  nui'  ce  vo  la  morte  ». 
36. 
Chi  ce  se  'nzora  e  chi  se  vo   'nzorane.U) 
Si  h  pe'  mene  non  conosco  amore. 
'Ncapo  de  I'anno  ce  vieno  li  guai, 


r)  Non  so  addd^  cio^  non  so  dove:  dovunque. 

2)  Carpecata  a  banna  a  banna:  butterata  da  una  parte  alFaltra. 

3)  Siutd:  spegnere. 

4)  N'zorarse^  ammogliarsi. 


CANTI  POPOLARI  449 

Vieno  li  figli  e  chilli  so'  li  pei'. 
Qiianno  iate  a  la  tavola  a  mangiane, 
N'accuordi  cinco  e  ne  chiagnino  sei, 
Quanno  iat'a  lo  lietto  a  riposane, 
Non  ce  lo  puoi  st^nnere  'no  pere;  i) 
Lo  pate  le  ccomincia  a  schiaffiane, 
Esce  la  mamma:  So'  fatiche  mei'. 

37. 

Tutti  li  miezMuorni  anno  sonati, 
Sulo  lo  mio  n'a  sonato  ancora, 
Vacce  zi  pre[v]ete  mio,  vacce  lo  sona, 
Lassa  mangi^  chi  n'a  mangiato  ancora. 
38. 

Tutti  li  prie[v]iti  pozzano  morine, 
Sulo  lo  mio  ce  pozza  campane! 
Dice  la  messa  matina  matina, 
Po'  ce  se  mette  a  tavola  a  mangiane. 

39- 

Com'abballano  belle  ste  figliole! 
Le  voglio  'mmariti  a  Santa  Lucia  2). 
Ne  voglio  dk  no  ricco  pescatore, 
Chillo  che  pesca  la  luna  e  lo  sole. 
La  luna  co'  lo  sole  so'  pariente, 
Le  stelle  de  lo  cielo  tutte  quante. 

Carmine  Calandra. 


1)  1  figlioletti  minori  e  talvolta,  purtroppo,  anche  i  pid  grandi,  donnono  nel  letto 
stesso  dei  genitoii,  quando  la  famiglia  h  povera. 

2)  Santa  Lucia  6  il  quartiere  dei  pescatori  a  Napoli.  Di  li  6  venuto  questo  canto, 
insieme  con  la  tarantella,  a  cui  serve  d'accompagnamento. 


CANTI  POPOLARI  KACCOLTI  IN   NOVARA-SICULA 


Parlata  di  S.  Basilio. 

I. 

Undici  regni  e  li  capi  maggiuri, 
Dudici  donni  cu  tanti  grannizzi, 
Tridici  cori  e  quattordici  amuri, 
Chinnici  su'  li  re  di  ssi  billizzi, 
Sidici  stilli  e  dicissetti  luni, 
Dicidottu  arceri  cu  tanti  grannizzi, 
Vintidu'  speri  e  diciannovi  suli 
Tutti  stannu  suggetti  a  ssi  billizzi. 

2. 

Oh  Diu  chi  un  pisci  d'oru  divintassi 
Quant'a  mmenzu  a  lu  mari  mi  ni  jissi, 
Vinissi  lu  marinaru  e  mi  pigghiassi, 
Mi  purtassi  a  la  chiazza  e  mi  vinnissi; 
Vinissi  la  ma  'manti  e  mi  catassi, 
Nta  na  padedda  d'oru  mi  friissi; 
lu  nun  mi  spagun  s'ella  mi  mangiassi 
Basta  nta  li  so  braccia  mi  tinissi. 

3. 
Hai  Tocchi  niri  chi  mi  fai  muriri, 
Sempri  versu  di  tia  mi  fai  guardari ; 
Si'  carta  bianca  e  si'  troppu  gintiri, 
Li  toi  modi  mi  fannu  apaccYari; 


CANTI  POPOLARI  IN  NOVARA-SICULA 

Sugnu  d'arrassu  e  lu  cori  mi  tiri, 
Penza  s'iu  nun  avessi  di  parlari! 
Mi  cuntentu  a  fari  na  morti  scrudiri 
P'un  fari  la  spartenza  di  ramuri. 

4. 
Ho  firriatu  li  Spagni  e  I'lgnisdei, 
L'Africa  e  la  mita  di  la  Turchia, 
Ho  vistu  'Ngrisi  aiutari  ludei, 
Macrezia  rumanza  a  la  Bafia, 
Ho  vistu  ninfi  belli  fatti  onsdei 
Pi  pYantari  la  to  signuria, 
Ma  quantu  n'hannu  vistu  st'occhi  mei 
Tutti  su  belli  e  nulla  comu  a  tia. 

5. 
O  rindinella  chi  passi  lu  mari 
Ferma  quantu  ti  dicu  du'  palori, 
Dammi  na  pinna  di  lu  to  vulari 
Quantu  fazzu  na  littra  a  lu  miu  amuri. 
D'ora  cWh  fatta  lo  vogghiu  firmari, 
Firmata  cu  du'  centu  chiavaturi, 
Pigghiu  li  chiavi  e  po'  li  jettu  a  mari 
Pi  nun  finiri  chiu  lu  nostru  amuri. 

6. 

Fui  Ninuzza  ca  la  morti  veni, 
Tutti  li  beddi  si  voli  pigghiari; 
Tu  chi  si  bedda  mettici  pinseri, 
Li  to  billizzi  a  cu  ci  Tha'  lassari? 
Nun  li  lassari  a  quarchi  jucaturi 
Chi  si  li  gioca  pi  roba  e  dinari, 
Ma  lassamili  a  mia  chi  su  arginteri, 
Nta  un  'ngastu  d'oru  li  vogliu  'ngastari. 

7. 

Mi  partu  e  mi  ni  vaiu  a  la  marina 
E  vaiu  viru  si  c*h  genti  assai, 


451 


452 


ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

L^  cc'^  na  picciuttedda  di  Missina, 
Di  li  billizzi  soi  mi  'nnamunai; 
Avi  un  jippupi  di  sita  arancina, 
Lu  mastru  fuggi  d'iu  chi  lu  tagliai, 
Di  li  ritagli  nni  fici  catina, 
Lu  ma  cori  a  lu  suu  lu  'ncatinai. 

8. 
Si  donna  d'ogni  pedi  chi  cumanni, 
Tu  si  patruna  di  li  setti  munni, 
D'unni  camini  tu,  d'unni  chi  hanni 
Scarpezi  oru  finu  e  petri  brunni, 
Si  lisciata  lu  ventu  a  tutti  banni, 
E  di  lu  mari  chi  ci  sunu  Tunni, 
E  tanti  su  li  grazi  chi  tu  spanni 
Chi  chiami  a  lu  to  'manti  e  ti  rispunni. 

9. 

Giuvinu,  si  fidili  e  no  custanti, 
Cu  quali  cori  bandunasti  a  mia ! 
Tu  m'hai  giuratu  di  suspiri  e  chianti 
Dicennu  chi  la  morti  ni  spartia; 
Giru  e  girir6,  nun  trovu  amanti, 
Comu  nun  ci  appi  la  sorti  cu  tia ! 
Tu  ti  sciardiirai  cu  la  to  'manti, 
Ma  iu  mi  sciarrir6  megliu  di  tia. 

10. 
Vurria  sapiri  unni  stati  e  lu  'nvernu 
Chi  stavu  friscu  e  beni  la  stagiuni. 
Staiu  ne  lu  giardinu  di  Palermu 
Unna  c'fe  spampanati  rosi  e  fiuri, 
Unna  si  gira  Tom  supra  un  pernu 
Di  lu  palazzu  di  su  maest^; 
Oh  chi  t'avissi  na  notti  di  invernu 
Granna  quantu  dui  jorna  di  Test^l 


CANT!  POPOLARI  Dl  NOVARA-SICULA  453 

II. 

Santu  Antuninu  quann'era  malatu 
Fici  111  vutu  di  annari  'n  Turchia, 
Ma  po'  ristau  tuttu  sbarrucatu 
Pinsannu  ch'avia  a  fari  tanta  via, 
Chi  avissi  un  cavaluzzu  ben  firratu ! 

Lu  Santu  Sacramentu  sa  ralatu, 
E  viva  di  lu  Carminu  Maria ! 
12. 
Simu  dui  cori  fidili  'ntra  un  pettu, 
Simu  dui  picciutelli  uguali  uguali, 
E  nui  n'amamu  e  ni  vulemu  beni 
E  tutti  cosi  n'avemu  a  fidari ; 
Supra  di  nui  no  c'^  nullu  oggettu, 
Sunu  li  genti  chi  vonnu  sparari, 
Nui  megliu  n'amu  a   amari  a   so   dispettu, 
La  testa  pi  li  mura  s'hannu  a  dari, 

13- 

Arsira  di  Palermli  ci  passai 
Cera  facciati  a  na  finestra  dui, 
E  chiu  d'un'ura  e  menzu  li  guardai. 
«  A  tia  picciottu,  pirchi  guarni  a  nui  ?  » 
«  Vi  guarnu  pirchi  siti  bella  assai 
E  vostra  soru  e  chiu  bella  di  vui  >►. 
«  Chiana,  birbanti,  discurri  cu  nui, 
Ma  allu  matinu  a  jomu  ti  ni  vai  ». 

14. 

No  ti  vogliu,  no,  no,  iu  chiu  p'amanti, 
Ti  I'haiu  ditu  risulutamenti, 
M'hannu  passatu  li  speci  d'avanti, 
Ora  nun  ci  si  chiu  nta  la  me  menti  ; 
Si  ti  viiu  parra  cu  n'atra  amanti, 
Sbasciu  Tocchi  a  la  terra  e  su  cuntenti, 

Archivio  per  le  trcuiizioni  popolari.  —  Vol.  XXIU.  55 


'^wv. 


454  ARCHIVIO  PfcR  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Ma  si  mi  prighirai  comu  li  santi, 
Sdegnu  nni  truvirai,  amuri  nenti. 

15. 

Signura  zita,  mi  fazzu  la  scusa, 
Apposta  vinni  a  stu  logu  a  cantari, 
Vui  siti  na  picciotta  graziusa, 
Siti  allu  puntu  di  vi  maritari, 
Vui  siti  bella  assai,  siti  vizzusa, 
Da  I'arcu  di  Nu^  putiti  stari ; 
Biatu  Tomu  chi  v'avi  pi  spusa, 
Chi  notti  e  iornu  si  ni  po  prigari ! 
16. 

No  vi  salutu  pirchi  siti  tanti, 
Apposta  n'  parru  e  no  vi  dicu  nenti 
Pi  n'  dimustrari  chi  vi  sunu  amanti, 
Pi  no  c\  dari  scannalu  a  la  genti; 
Bella  quannu  pass'iu  di  ca  vanti 
Tutti  salutu  e  tu  sula  mi  senti, 
Chi  c'^  li  tradituri  e  li  frofanti, 
Iddi  di  pena  hannu  a  muriri  e  stenti. 

17. 

Garofanu,  di  Spagna  sivinutu, 
'Di  li  crastuzzi  me  fusti  chiantatu, 
Ma  chi"  bella  criscenza  ch'a'ffaciutu  1 
Sira  e  matina  Taiu  biviratu, 
Nuddu  vinticeddu  ci  ha  pututu, 
Nemmenu  pampanedda  t'ha  livatu, 
Quannu  ti  coglir5  sarai  compiutu, 
Garofanu  d 'amuri  spampanatu. 

18. 
Ti  vogliu  beni,  amuri  miu  prifettu, 
Sempri  fermu  e  fidili  senza  pattu, 
Pi  sigillu  ti  tegnu  'da  lu  pettu 
Comu  fattu  I'avissimu  a  cuntrattu; 


CANTI  POPOLARf  Dl  NOVARA-SICULA  455 

A  mezzu  di  mia  e  vui  nun  c'^  difettu, 
Si  ni  amamu  nui  dui  nun  fu  gran  fattu, 
Tannu  vi  Iascir6  di  lu  me  pettu 
Quannu  la  vita  mia  ^  misa  'ntrattu. 
19. 

U'  iornu  da  li  scusi  iu  scriviva, 
L'anima  da  lu  pettu  mi  staccava, 
Pinsava  la  tardanza  e  chianciva, 
La  carta  cu  li  lagrimi  bagnava, 
Quannu  lu  brazzu  miu  iu  spingiva 
La  pinna  di  li  manu  mi  trimava, 
Bedda  pensulu  tu  chi  pena  aviva 
Quannu  a  rasu  di  tia  luntanu  stava. 
20. 

No  vogliu  bedda  che  ti  scozzi  nenti 
Nemmenu  chi  mutassi  fantasia, 
Pigliati  a  cu  ti  veni  da  la  menti 
Ca  nun  ^  persu  Iu  munnu  pri  mia. 
Ora  li  sapi  li  to  comprimenti, 
Lu  cori  epi  e  ti  Iu  desi  a  tia 
E  tu  mi  Thai  rinutu  a  mancamenti, 
Ci  curpu  iu  chi  vasi  amari  a  tia. 
21. 

Lasciu  na  petra  virda  suttirrata 
D*ora  Tamanti  mia  nu  lu  sapia, 
Si  petra  virdi  e  si  petra  'ncastata, 
Petra  chi  no  ci  n'&  all'argintaria, 
Bucuzza  di  n'anellu  sigillata 
Ognunu  chi  ti  vidi  ti  vulia, 
D'ora  la  nostra  sorti  ^  distinata, 
A  Tautri  ci  ristau  la  gilusia. 
22. 

Siti  vinuta  da  luntana  via, 
Scriviri  mi  la  vogliu  sta  giurnata, 


456  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONl   POPOLARI 

lu  sta  cosa  no  mi  la  cridia 

Di  veni  'da  sta  casa  cunsulata; 

Prima  salutu  la  sogira  mia> 

Di  'dornu  a  *domu  tutta  la  casata, 

Dopu  salutu  a  cu  vo'  t)eni  a  mia 

Fugliuzza  d'una  rosa  spampanata. 

23. 

Tu  sii  na  ninfa  d'oru  senza  'gannu, 
StamjMita  fusti  'da  un  libru  d'altizza, 
Moriri  lu  facivi  a  lu  tirannu 
Quanu  spicivi  chista  bruna  trizza; 
Cu  pratica  cu  tia  non  sinti  affannu, 
E  cu  ti  guarda  mori  di  ligrizza, 
Chi  pozza  mi  campati  centu  e  un  annu 
Pi  grazia  di  Diu,  pi  cuntidizza. 

24.* 

Giuvanu,  di  mia  chi  n'hai  saputu 
Chi  notti  e  iornu  m' hai  murmuriatu? 
Sunu  i'oricchi  mei  ch'anu  sintutu 
Ma  iu  pi  mali  nu  haiu  parratu, 
Mi  sentu  comu  un  arbiru  cadutu 
Di  ramu  e  ramu  tuttu  caricatu, 
Si  la  sorti  mi  duna  quarchi  aiutu 
Risposta  ci  dar5  a  cu  m'ha  sparratu. 

25. 
No  su  scava  no  no,  libira  sugnu, 
No  patu  chiu  li  peni  chi  patia, 
Comu  judea  mi  tinivi  in  pugnu, 
Li  passi  mi  cuntavi  un'^  chi  ia; 
Mastica  feru  e  'ghiuti  stu  cutugnu, 
Muciti  quanti  voti  vi'di  a  mia, 
A  chilo  locu  ch'era  ancora  sugnu 
E  si  ti  vogliu  amari  sta  a  'da  mia. 


CANTI  POPOLARI  Dl  NOVARA-SICULA  457 

26. 

Amuri,  amuri,  no  mi  maltrattari, 
Di  mia  no  po\  pruvari  gilusia, 
D'amari  a  nautru  ti  lu  poi  scurdari, 
Un  cori  api  e  te  lu  deti  a  tia, 
Li  sensi  mi  Tha'  fatu  straviari 
Cu  lu  tantu  vuliri  beni  a  tia, 
Ninuzzu  beddu,  ti  lu  po'  vantari: 
Tu  si  patruni  di  la  vita  mia. 

lu  mi  ni  vaiu  chi  mi  n'aiu  a  iri, 
E  ti  lu  lasciu  stu  cori  custanti, 
Si  ti  lu  lasciu  no  mi  lu  tradiri, 
Pusessu  no  ni  dari  a  autru  amanti ; 
lu  tra  lu  sognu  ti  vegnu  a  vidiri, 
Comu  na  umbra  ti  staiu  davanti, 
Mina  lu  ventu  di  li  mei  suspiri, 
L'acqua  chi  bivi  sunu  li  me  chianti. 

28. 
O  cugnatuzza  china  di  valuri, 
Chiddu  chi  vi  prumisi  v'aiu  a  dari, 
Vi  prumisi  un  biancu  mucaturi 
Cu  quattru  lazzi  di  sita  pi  signari, 
Ci  n'era  unu  di  milli  culuri, 
Lu  giarnirellu  mi  fa  pazziari, 
E  tannu  si  fara  lu  nostru  amuri 
Qua  nu  veni  giunettu  'da  natari. 

29. 
Quannu  nascisti  tu,  rosa  'castata, 
To  mamma  parturl  senza  duluri, 
Nascisti  la  notti  di  la  Nunziata 
Chi  li  campani  sunavanu  suri, 
A  lu  fonti  di  Roma  fusti  battizzata, 
E  lu  cumpari  fu  Timperaturi, 


458  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

Di  bona  genti  e  di  bona  casata 
Bella  chi  no  ci  n'^  sutta  lu  suri. 

30. 
Facciazza  d'una  tonica  baggiana 
Metti  'n  scumpigliu  mezzu  Barcillona, 
Genti  n'hanu  vinutu  di  la  chiana 
Pri  vidi  sa  picciotta  s'evi  bona, 
E  rifunuta  comu  na  campana, 
Unna  la  tocca  tocca  idda  sona, 
Va  pigliti  la  rgca  e  fila  lana, 
Muciti  intra  e  no  nesci  chiu  fora. 

31- 
Di  chista  strata  no  ci  haiu  passatu, 
A  vostra  figlia  no  vi  la  sapia, 
A  lu  barcuni  la  vitti  facciata 
1  quattru  cantuneri  stralucia ; 
Cu  so  padruzzu  iu  n'haiu  parratu 
Ed  ^  so  mamma  la  socira  mia, 
La  rosa  ancora  no  ha  spampanatu, 
Quanu  spampanara  sara  la  mia. 
32. 
Sdegnu  e  risdegnu  comu  ti  sdignai, 
Focu  di  Tariu  si  ci  pensu  chiui, 
Di  sta  catina  mi  ni  scatinai 
E  'catinari  no  mi  vogliu  chiui, 
Ora  figliuzza  chi  mi  cunfissai 
A  lu  to  latu  no  ci  vegnu  chiui. 

33. 
Su  virdi  chi  significa  firmizza, 
Lu  cori  miu  h  sempri  fermu  in  vui, 
Su  coru  si  lamica  stizza  a  stizza 
E  si  lamica  chi  no  vidi  a  vui, 
Voi  chi  Taduramu  sta  bilizza? 
A  mia  aviti  a  amari  e  a  nuddu  chiui. 


CANTI  POPOLARI  DI  NOVARA-SICULA 

Curnutu,  curnutazzu,  malantrinu 
No  ci  passari  chiu  di  la  firrera, 
Chi  si  ti  'ncagliu  la  barba  ti  tiru 
E  mi  la  mettu  tra  lu  saccapani, 
E  mi  ni  fazzu  cauzetti  di  piru, 
E  mi  li  vinu  a  tri  carini  u  paru. 

35. 
A  via  n'anellu  ch'era  tantu  finu 
Ch'era  'castatu  'da  na  virga  doru, 
Ho  persu  lu  domandi  e  lu  zicchinu 
Unna  li  scusi  mei  aicati  foru; 
Oh  celu  e  terra,  stilla  dijnatinu, 
D'ora  dunami  tu  quarchi  cunsoru 
O  quarchi  iornu  sintiriti  diri 
Sutta  la  to  fmestra  vegnu  a  moru. 

36. 

Gintili  donna  e  gintili  signura 
Gintili  evi  lu  lettu  uni  chi  stai, 
'Da  lu  pituzzo  toe  teni  du  puma 
Li  teni  virdi  e  nun  sicunu  mai, 
Ti  pregu  bedda  dunaminni  una, 
Si  su  malatu  sanari  mi  fai. 

37. 
Cera  na  donna  facciata  a  barcuni 
Chi  bivirava  lu  bascinic6, 
lu  ci  dissi :  damini  na  rama, 
Idda  mi  dissi :  pi'  sta  vota  no, 
Veni  dumani  quannu  c'^  me  mama 
Ca  ti  lu  dugnu  cu  tutta  la  grasta. 

38. 
Catarinedda,  sciuri  di  bilizzi, 
No  vidi  ca  ti  pendunu  li  lazzi ! 
O  ti  li  tacchi  0  nunca  ti  li  'drizzi 
Ca  Tomini  pir  tia  nesciun  pazzi. 


459 


i 


460  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI   POPOURI 

T'amai,  ti  disamai;  t'api  gidenza  (?) 
Si  t'aiu  a  amari  chiu  Diu  mi  ni  scanza, 
Fuggi  cuntenta  di  la  to  partenza 
E  puramente  di  la  to  luntananza, 
Sicca  lu  sciuri  e  cadi  la  simenza, 
Giuvinu  cu  mia  no  hai  spiranza, 
Cantannu  ti  dumannu  la  licenza 


40. 
Sciatu  di  Parma  mia  quantu  hai  patutu ! 
Quantu  peni  a  lu  cori  t'hanu  datu  ! 
Sunu  li  genti  chi  n^hanu  tradutu, 
Li  parenti  chi  n'hanu  banunatu. 
Facemuni  na  pocu  surdi  e  mutu 
Sinu  chi  hanu  lu  munnu  achiustatu, 
E  a  dispettu  di  cu  n'ha  tradutu 
Amamuni  comu  n'havemu  amatu. 

41. 

Comu  dui  palumelli  nui  n'amamu, 
L'amuri  di  luntanu  ni  facemu, 
Pi  fariti  carizzi  moru'e  bramu. 
No  ti  ni  fazzu,  pi  to  mamma  tremu. 
Va  pigliati  sta  littra  chi  ti  manu, 
Comu  ti  rha'  passatu  amuri  estremu, 
lu  mi  dinocchiu  e  ti  baciu  la  manu, 
Cu  sa  si  nautru  jornu  ni  videmu. 

42. 
Sugnu  a  rasu  di  tia,  su  fora  regnu, 
Mi  ardu  e  brusciu  comu  un  siccu  lignu, 
S'avia  carta,  calamaiu  e  'gegnu 
Scriviri  mi  vulia  su  nomu  dignu, 
Spero  ne  li  tro  brazzi  mi  ci  vegnu 
Si  la  morti  no  fa  quarchi  disignu. 


CANTI  POPOLARI  DI  NOVARA-SICULA  461 

43. 

Siccan  lu  gigliu  e  la  simenza  fici 
Cantau  Tucceddu  e  dissi  fici  fici, 
No  chiu  scerra  no  no,  facemu  paci 
Avanti  d'ora  eramu  nimici 
Ora  saremu  na  casa  furaci  (?) 
Tu  ti  scialirai  cu  li  to'  amici, 
lu  mi  divertir6  cu  cu  mi  piaci. 
44. 

Tu  mi  lasciasti  e  nu  moru  pi  chissu, 
N'haiu  megliu  di  tia  si  vogliu  spassu, 
L*amuri  lu  canciasti  da  tia  stissu, 
E  nun  hai  guadagnatu  quantu  hai  persu, 
Dopo  chi  fici  viaggi  allu  spissu 
No  t'haiu  datu  nesciunu  teressu. 

45. 
Si  russa  e  bruna  comu  la  castagna 
E  agra  e  duci  comu  na  lumia, 
Fustivu  fatta  a  lu  funti  di  Spagna 
E  la  nomina  tua  passa  Turchia, 
Lu  pisci  fora  Tacqua  pocu  campa 
E  ix)cu  campu  iu  pinsannu  a  tia. 

46. 

No  su  mortu  no  no,  su  vivu  ancora, 
L'oliu  di  la  lamba  ancora  dura. 
No  m'ha  mancatu  lu  spiritu  ancora 
N^  mancu  la  me  'manti  mi  bannuna, 
A  chi  m'ha  ofifisu  ci  dugnu  palora 
Ci  ci  miscu  la  testa  pi  li  mura. 

47. 

Li  to  gigli  su  rimi  n'autu  mari, 
Si  barca  chi  navichi  senza  veri, 
Piu  bella  di  chi  si  no  ti  poi  fari, 
Si  n'angiula  calata  di  li  celi. 

Archivio  per  le  treuUaioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  56 


462  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Bedda  pi  tia  masticu  tossu  e  feri 
Chi  da  la  genti  ti  lasciu  parari, 
Chi  Tapa  no  si  parti  da  lu  meli. 

48. 
Vaiu  giranu  comu  fa  lu  nigliu 
E  'da  li  matinati  mi  ricogliu, 
Rustutu  mi  lu  mangiu  lu  cunigliu 
Comu  nu  pisciu  banatu  'da  I'ogliu, 
Ma  d'iu  di  si  pi^^iotti  no  ni  pigliu, 
Cosi  'n  cumunitati  no  ni  vogliu. 

49. 

Quannu  si  arza  si  lava  li  mani 
Si  sciuga  cu  nu  biancu  mucaturi, 
Dopu  lu  manna  a  lu  sciumi  a  lavari, 
Acqua  d'argentu  e  sapuni  d'amuri. 
E  poi  lu  scendi  a  na  raia  di  suli 
Supra  na  rosa  pi  no  tacchiari; 
Quannu  chi  sciuca  lu  fagi  cugliri 
Adagiu  adagiu  ci  metti  I'oduri, 
E  po'  lu  manna  a  la  cascia  a  sarvari 
E  po'  lo  nesci  cu  lu  primu  amuri. 
50. 

La  to  billizza  na  chiaga  m'ha  fattu 
A  la  parti  sinistra  'da  stu  pettu, 
Si  tu  pati  pri  mia  no  ^  gran  fattu 
Chi  d'iu  p'amari  a  tia  la  morti  aspettu, 
E  si  sar6  a  la  sipultura  trattu 
Di  li  me  ossa  stissi  avrai  rispettu, 
Bedda  p'amari  a  tia  su  com'  un  mattu, 
Si  rosa  spampanata  di  stu  pettu. 

51. 

Ngrata  spartenza,  comu  vi  lasciai, 
Pensa  su  cori  si  n'avi  duluri! 
lu  pensu  li  suspiri  chi  tu  fai, 


CANTl  POPOLARI  DI  NOVARA-SICULA  463 

E  a  stu  ucchiuzzu  chi  chianci  pi  vui ! 
Comu  n'avemu  amatu  tu  lu  sai, 
E  comu  mi  appi  a  spartiri  di  vui ! 
Siddu  malatu  cascu,  zara  mai, 
Lu  saciu  certu  chi  moru  pri  vui, 
52. 
No  ti  lasciu  no  no,  piu  no  ti  lasciu 
Mentri  chi  sugnu  'da  turmenti  e  peni, 
Da  lu  latu  to  chiu  no  mi  rasu, 
Chi  notti  e  jornu  lu  me  cori  gemi, 
Si  stavi  un'ura  e  mezzu  da  tia  a  rasu; 
Evi  Tamuri  tovu  chi  mi  tratteni; 
Vi  desi  la  parola  chi  u'  vi  lassu 
Sempri  avir6  cu  vui  lu  me  pinseri. 

53- 
A  mezzu  di  lu  mari  c'^  un  scogliu 
Chi  notti  e  iurnu  lu  batti  lu  mari, 
A  tia  midemma  iu  battlri  vogliu 
Cu  li  missaggi  chi  t'haiu  a  manari, 
Comu  ti  fici  to  matri  ti  vogliu, 
Cu  roba  0  senza  roba  n'amu  a  amari. 

54. 
No  mi  sprizzati  no,  no  mi  sprizzati 
Pirchi  'bascia  furtuna  mi  viditi, 
Pirchi  li  robi  mei  sunnu  strazzati ; 
Un  iornu  un  foru  comu  II  viditi. 
Si  vi  mittiti  e  mi  cunsidirati, 
Com'^  chi  di  la  pena  no  muriti? 
O  pi  lu  menu  quannu  ci  pinsati 
La  testa  pi  li  nura  nVi  sbattiti? 


464  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI    POPOLARI 

Parlata  di  Fondachelli. 

55. 

Da  tantu  tempu  chi  pumpusa  vai 
Ti  appi  a  miu  vuliri  e  tantu  basta, 
Ti  visti,  ti  tuccai,  ti  maniggial 
La  megghiu  cosa  chi  tinivi  'ngrasta, 
Sacciu  lu  ben  sapuri  e  tu  chi  hai,  - 
Sacciu  s'^  molla  o  dura  la  to  pasta, 
Non  mi  nna  curu  si  nun  n'  appi  assai 
Ca  a  Tomu  ci  suverchia  quantu  tasta. 

56. 

Quantu  biddizzi  c'avi  sta  signura 
Nun  i'avi  no  Palermu  e  no  Missina, 
Avi  li  billizzuzzi  di  la  luna 
E  di  lu  suli  la  cilesti  spera, 
L'ancili  vennu  'nterra  a  una  a  una 
Pir  vidiri  a  vui  granni  signura, 
Chi  pariti  la  stidda  matutina, 
Chidda  chi  sta  a  latu  di  la  luna. 

57: 

Ca  lu  jettu  un  suspiru  e  ca  lu  lassu 
Pir  tia  figghiuzza  ca  mi  fai  muriri, 
Chista  ^  la  strata  di  lu  curtu  passu 
Jeu  chiu  avanti  di  ca  nun  pozzu  iri, 
Facciti  bedda  s'anunca  trapassu, 
L'arma  mi  sentu  di  stu  j)ettu  usciri, 
E  s'  iu  moru  tistamentu  lassu : 
La  causa  si  tu  mi  fai  muriri. 
58. 

Sti  occhi  cu  li  toi  fanu  I'amuri, 
Nun  sacciu  chi  rimediu  truvari, 
Ardiri  mi  dumanna  lu  ma  cori 
Sempri  vicinu  a  tia  vurrissi  stari; 


CANTI  POPOLARI  DI  NOVARA-SICULA  465 

Mi  prumittisti  chi  nun  canci  amuri 
E  nemmenu  cane  'iu,  nun  dubitari, 
Si  li  to  genti  sunu  tradituri 
Tu  di  mia  nun  ti  po'  lamintari. 

59. 
E  tanta  cruda  la  donna  d'amari, 
Crudu  e  malignu  avi  lu  so  cori, 
Cannazza  masca  e  farsa  di  pinsari 
Cunfunni  Tomu  cu  finti  palori, 
Ma  Tomu  si  si  sapi  addipurtari 
Nun  tantu  assai  ni  spinna  e  ni  mori, 
Di  lu  so  amuri  ni  fa  na  risata, 
Doppu  la  donna  rimani  gabbata. 

60. 
Pri  mia  lu  virdi  nun  finisci  mai 
La  me  spiranza  si  fisa  cu  tia, 
Risorvi  anima  mia  chi  cosa  fai, 
No  mi  mizzari  chiu  sta  tirannia, 
Allura  chi  ti  visti  suspirai 
Sempri  spirannu  di  godiri  a  tia, 
L'occhi  e  li  gigli  e  li  to  belli  rai, 
•Chi  sempi  t'aiu  nta  la  fantasia. 

61. 

Beddi  nun  c'^  ni  c'e  ca  t'assumigghia, 
Qualunqui  donna  a  lu  to  ladu  amagghia, 
Mancu  si  la  natura  s'assutigghia 
Po  fari  nautra  bedra  mi  f  aguagghia. 
Fu  amuri  chi  ti  figi,  bedra  figghia, 
E  ad  ogni  omu  cadiri  fai  tra  la  to  magghia, 
Bedri  su  Tocchi,  la  vucca,  li  gigghia, 
Bedru  lu  visu  chi  la  vista  abagghia. 

62. 
Bedda  li  to  bidrizzi  sunnu  cosa 
Sapurita,  simpatica  e  graziusa, 


^66  ARCHtVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

To  mamma  figi  a  tia,  figi  na  rosa 

Culurita,  gintili  ed  odurusa. 

Nil  la  svigghiadi  quann'  idra  riposa, 

Cantatici  la  ninna  ch'^  carusa; 

Lu  digu  tra  sti  versi  e  puru  'mprosa: 

Miiadu  Tomu  chi  Tavi  pi  spusa. 

63. 
L'amuri  mi  ligau  all'impizzata 
Cu  na  giuvina  tra  tutti  prifiruta; 
Pirchl  di  mia  la  visti  namurata, 
L'amai  di  cori  e  alPinsaputa. 
Donna  perfida  iniqua  e  scillirata 
L'amuri  'n  tirannia  mi  tramuta, 
E  nu  fu  chista  na  cugghiuniata 
Ch'a  mia  mi  fici  sta  becca  fututa? 

64. 
Sdegnu  sdegnila  tu,  nu  n'aiu  cori 
lu  di  sdignari  a  cui  tantu  m'amava, 
M'amava  cu  li  fmti  so  palori, 
Palori  finti  la  bedra  parrava, 
Parrava  e  li  disgla  di  bucca  in  fori 
Fori  di  bucca  iu  fidi  ci  dava. 
Mi  dava  fidi,  mi  disgla  chi  mori, 
Mori  ringrata,  ed  idra  ad  autri  amava. 

65. 

Cui  zappa  zappa  e  cui  ci  puda  puda 
La  vigna  u  n'^  chiu  mia,  finiu  I'annada, 
M'haiu  coltu  la  grossa  e  la  minuda, 
Ci  ha  ristatu  la  vigna  svinignada, 
Cu  voli  mustu  la  tina  ^  funnuda, 
Nu  ristau  autru  che  la  vinazzada, 
E  ora  ch'  ogni  spiranza  ^  gia  pirduda 
Mustu  nu  ci  n'^  chiu,  nu  vogghio  acquada. 


CANTI  POPOLARI  DI  NOVARA-SICULA  467 

66. 

Cara  lu  nostru  amuri  fici  loi. 
Si  mancanza  facisti  tu  lu  sai, 
Pigghiti  spassu  cu  ramici  toi 
Chi  a  mia  nudru  geniu  chiu  mi  fai; 
Ma  si  carnuzzi  dilicati  toi 
lu  fui  lu  primu  chi  li  maniai, 
Dici  a  chiss'  atru  chi  vini  di  poi 
Mi  si  rusica  Tossu  chi  lassai. 

67. 
'Ngrata,  ti  pintirai,  ti  pintirai 
Tra  lu  curuzzu  t6  sigritamenti, 
La  testa  pi  li  mura  ti  darai. 
La  carni  ti  la  strazzi  cu  li  denti ; 
Tu  a  perdiri  a  mia  pirdisti  assai, 
lu  a  perdiri  a  tia  un  persi  nenti, 
La  curpa  nu  fu  mia  chi  ti  lassai, 
Foru  li  inganni  toi,  li  tradimenti. 

68. 
Sugnu  arrassu  di  tia,  patisciu  tantu, 
Ahi  quantu  ^  feru  chistu  miu  turmentu! 
Si  mangiu  e  bivu,  si  riposu  e  cantu, 
Bella,  pinsannu  a  tia,  nun  haiu  abentu. 
Si  vaiu  a  lettu  a  ripusari  un  tantu, 
Cu  li  lagrimi  aH'occhi  m'addurmentu; 
Si  cercu  mi  mi  votu  alPautri  latu 
Vaiu  mi  brazzu  a  tia,  brazzu  lu  ventu. 

69. 

Lu  dissi  e  veru  fu,  pri  quantu  fici, 
ChMu  fidu  e  tu  spietata  a  li  me  chianti, 
Tu  crudili,  tiranna,  ingannatrici, 
lu  tuttu  amuri  ed  a  li  guai  custanti. 
Cu  sa  si  la  me  sorti  ha  giorni  amici! 
Si  un  tempu  vutira  la  roda  erranti, 


468  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Vidremu  a  tia  scuntenti,  a  mia  filici. 
Chi  voli  diri  perdiri  n'amanti ! 

70. 
Ti  segutu,  ti  fuiu,  amu  e  disamu, 
Prisumu,  timu,  m'accostu,  m'arrassu, 
Parru,  ammutisciu,  ti  rifiutu  e  bramu, 
Ti  segutu,  ti  fuiu,  pigghiu  e  lassu, 
E  mentri  0  'ntempu  stissu  t'odiu  ed  amu, 
M'ardu,  mi  gelu,  mi  riscardu  e  tassu, 
Macara  sin'a  quannu  ni  'cuntramu 
Ti  guardu,  caru  I'occhi,  fermu  e  passu. 

71. 

Moviti  a  pTeta  d'un  cori  afflittu, 
Ingrata  donna,  dimmi  ch'aiu  fattu, 
Quali  fu  lu  me  erruri  e  lu  dilittu? 
Prima  m'amasti,  mi  banduni  in  attu  ! 
Lu  iornu  chi  t'amai  sia  malidittu, 
E  malidittu  cui  t'avissi  fattu  ! 
O  picciutelii,  vi  lu  lassu  scrittu: 
Prima  d'amari  fagidi  cuntrattu? 
72. 

Persi  la  giuvintu,  pigghiavi  erruri, 
Megliu  di  Tautri  mi  pudia  scialari, 
Circai  d'amari  un  cori  tradituri, 
Moru  di  pena,  un  ci  pozzu  pinsari, 
Ora  mi  cangi  pri  darmi  duluri! 
O  picciutedri  nu  v'avid  'a  scurdari 
Chi  donni  buoni  e  fidili  in  amuri 
Comu  li  corvi  ianchi  sunnu  rari. 

73. 
Figghiu  nascisti  troppu  mammaluccu, 
Cu  pedi  e  testa  Tiladi  tro'  saccu  ! 
Ti  maridasti,  e,  ch'erivi  di  stuccu! 
Cu  la  tabbacchera  unpigghiasti  tabaccu! 


CANTI  POPOLARI  Dl  NOVARA-SICULA  469 

O  ti  scantasti  forsi  di  lu  trabuccu? 
lu  cu  la  testa  na  petra  la  spaccu 
E  uni  vidu  n  'purtusu  mi  ci  buccu, 
E  tu  si  cosa  mi  t'armi  lu  chiaccu. 

74. 
M'ami,  ti  amu,  si  mi  vol,  ti  vogghiu, 

Lu  mari  s'arrivadu  cu  lu  scogghiu, 
Tra  I'aria  ha  rivadu  u  corvu  u  nigghiu, 
La  lampa  si  stut6,  ci  manca  Togghiu, 
Siccau  Terba  e  sciuriu  lu  gigghiu, 
Ora  figghiuzza  chianciri  ti  vogghiu, 
Ti  guardu,  ti  tariu  e  nu  ti  pigghiu. 

75. 
Dimmi  bella  pirchl  nu  mi  vo'  amari 
Chi  mi  distruggi  di  tutti  maneri, 
Cu  Tocchi  mi  firisti  e  m'ha  sanari 
Prichi  da  I'occhi  I'amuri  ni  veni. 
Di  sonnu  e  sonnu  ti  vurria  parrari, 
Cuntafi  ti  vurrisci  li  ma  peni, 
A  lu  to  amanti  nu  lu  bandunari 
Chi  ti  stima  di  cori  e  ti  vo'  beni. 

76. 
Chi  valantia  chi  figi  Badaladu, 
Nu  fu  minchiuni  e  vi  lu  digu  iu  ; 
'Li  dinari  nun  ^  chi  I'a  rubadu, 
L'avutu  a  mani  so  e  si  ni  sirviu, 
Lu  cori  nu  Tavudu  tantu  ngratu, 
L'amigi  e  li  parenti  li  ricchiu, 
Ora  avi  a  stari  'n  pocu  carciaradu 
E  s'illu  nesci  avi  a  ludari  a  Diu. 

Mastr'Addecu  mi  ficci  la  canzuna 
Supra  di  me  cucina  Mariana. 


470 


ARCHIVIOPER   LE   TRADIZIONI    POPOLARI 

Un  giornu  avia  sidi.pi  sfurtuna 
Andai  pi  mbiviri  a  la  funtana, 
Stu  capu  mariolu  si  nn'adduna, 
Si  metti  a  vinni  tupici  pi  lana. 
Comu  la  po'  nfamari  a  dda  pirsuna 
Cucuzzaru  futtutu  di  la  chiana? 

78. 
Cucuzzaru  futtutu  di  la  chiana 
A  mia  mi  dici  ca  su  bagasceri? 
*E  iddu  chi  mi  teni  la  buttana 
Ammatula  mi  avi  la  mugghieri, 
Quantu  scali  cc'h  tanti  ni  nchiana 
Po'  si  la  scusa  cu  mastru  Micheri, 
E  notti  e  giornu  va  nni  la  buttana 
Chi  la  teni  a  lu  fegu  a  lu  Figueri. 

79- 
Bella  quantu  t'amu  nun  si  cridi, 
Mi  fai  Campari  ntra  peni  e  turmenti, 
A  lu  me  cori  nun  prestu  chiu  fidi, 
Dumannu  quannu  passanu  Taventi, 
La  ma  bucuzza  nun  sempri  ti  ridi 
Pi  nun  ci  dari  scannalu  a  li  genti, 
Teniti  forti  nta  si  belli  ridi, 
Scurdari  nun  ti  pozzu  di  la  menti. 

Salvatore  Raccuglia. 


USAGES  ET  CROYANCES  DU  KIZIBA 
SUR  LA  COTE  SUD-OUEST  DU  LAC  VICTORIA-NYANZA 


Les  Rots.  —  Dans  le  vicariat  de  Mgr  Hirth,  il  y  a  bien  Line 
soixantaine  de  rois;  toutefois  la  multitude  des  roitelets  regne  an  sud 
du  lac.  Sur  la  c5te  ouest,  ils  ne  sont  que  huit  ou  neuf.  Le  Rwanda, 
rUsui,  par  exemple,  sont  de  tres  grands  royaumes,  dominant  sur 
d'autres  rois  tributaires. 

Les  rois  de  ce  pays  sont  tous  sorciers.  lis  avaient  jadis  des  droits 
absolus  sur  tous  leurs  sujets ;  le  gouvernement  allemand  a  apporte 
legalement  quelques  restrictions  a  cette  omnipotence,  mais,  en  fait^ 
ils  la  conservent  presque  entierement.  Ainsi,  on  a  retire  aux  rois  le 
,droit  de  vie  et  de  mort,  dont  ils  abusaient  terriblement.  Un  ancien 
usage  voulait  que,  lorsqu'un  homme  mourait  sans  heritier  m^le,  les 
femmes,  les  filles  et  tous  les  biens  du  defunt  revinssent  a  la  cou- 
ronne.  En  droit,  cette  pratique  est  aussi  abolie  ;  mais  en  fait,  lor^que 
I'occasion  se  presente,  les  biens  continuent  a  revenir  au  roi.  Quant 
aux  femmes  et  aux  filles,  elles  sont  libres  de  resister  k  leur  sort,  et 
si  elles  sont  assez  intelligentes  et  assez  osees  pour  s'en  ailer  plaider 
au  fort  allemand,  elles  sont  assurees  d'avoir  gain  de  cause;  mais  si 
elles  acceptent  en  silence  la  situation,  il  en  va  tout  com  me  autrefois. 
Les  rois  ont  ainsi  une  cour  composee  de  quelques  centaines  de 
femmes ;  ils  les  donnent  en  mariage  a  qui  bon  leur  semble,  mais  en 
prelevant  toujours  le  tribut  d'une  fille  sur  les  menages  qu'ils  eta- 
blissent  ainsi. 

Les  rois  demeurent  maitres  absolus  de  toutes  les  bananeraies  de 
leur  royaume :  ils  en  confie'nt  le  soin  a  qui  ils  veulent,  chassant  leurs 


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472  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

sujets  de  chez  eux,  selon  leur  bon  plaisir.  Ici  encore,  le  gouvernement 
reclame  certaines  formalites :  le  roi  doit  fournir  un  motif  plausible  de 
sa  conduite  quand  il  exproprie  son  monde,  mais  on  comprend  que 
les  pretextes  ne  doivent  jamais  lui  manquer.  Le  roi  a  encore  droit 
au  travail  de  tous  ses  gens,  il  peut  prendre  dans  leurs  bananeraies 
tout  le  mm4r4  qu'il  lui  plait.  Bref,  ses  sujets  sont  par  lui  taillables 
et  corveables  a  merci.... 

Les  proems  graves  reinvent  du  Fort;  celui-ci  prel^ve  des  imf>5ts, 
et  fait  faire  par  corvees  obligatoires  tous  les  travaux  europ)eens  : 
routes,  constructions,  etc.  ;  en  sorte  que  douanes  et  imp5ts  sont  ici 
comme  dans  le  British -East- Africa,  les  premiers  bienfaits  de  la  civi- 
lisation dont  les  indigenes  goOtent  les  douceurs. 

11  faut  dire,  i  la  louange  du  gouvernement  allemand,  qu'  il 
s'efforce  de  seconder  les  Missionnaires,  en  decretant  pour  tous  la 
liberte  de  venir  a  la  Mission  ;  mais  ce  decret,  notifie  et  rappele  assez 
souvent  aux  rois,  reste  souvent  lettre  morte  pour  ceux<i,  de  sorte 
que  souvent  la  persecution  sevit  a  la  sourdine  contre  les  malheureux 
catechum^nes.  Comme  au  temps  des  catacombes,  ceux-ci  ne  peuvent 
s'assembler  que  la  nuit  chez  le  catechiste;  ils  viennent  en  secret  a 
la  Mission  tremblant  d'etre  decouverts;  car  si  le  roi  apprend  qu'un 
tel  prie,  il  envoie  immediatement  piller  sa  maison,  couper  ses  ba- 
naniers,  il  lui  impose  des  travaux  excessifs  et  mille  autres  vexations. 
Remarquez  que  cela  n'emp^che  pas  le  roi  du  Bugabo  de  se  dire 
le  meilleur  ami  des  P^res  et  des  Soeurs,  qu*il  vient  frequemment 
visiter. 

Un  de  ces  derniers  dimanches,  un  pauvre  catechum^ne  arrivait 
pour  le  catechisme,  tout  roue  de  coups.  Qu'avait-il  done  fait?  — 
Le  roi,  sachant  quMl  etait  alle  a  la  Mission,  Tavait  fait  appeler  et 
lui  avait  demande  pourquoi  il  n'avait  pas  pris  part  a  la  chasse  de 
ce  jour.  «  J'etais  k  Marienberg  »,  repondit  notre  homme  sans  detour. 
C'en  fut  assez  pour  motiver  une  volee  de  coups  de  baton,  et  le  ca- 
techum&ne  comprit  fort  bien  que  la  cause  de  ce  traitement  n'etait 
pas  son  absence  de  la  chasse,  mais  le  seul  fait  qu'il  priait  avec  les 
catholiques. 


USAGES  ET  CROYANCES  DU  KIZIBA  473 

La  chasse  royale.  —  Je  viens  de  parler  de  la  chasse  ;  cVst 
un  episode  assez  curieux.  II  y  a  dans  le  pays  iine  esp^ce  dt-  cerf 
quMl  est  d'usage  de  chasser  dans  les  marais,  une  fuis  par  an,  Appelez 
cela  battue  ou  chasse  a  courre,  comme  vous  voudrez;  toujoucs  est-il 
que  parfois  on  prend  en  une  seuie  chasse  jusqu'a  deux  cents  de 
ces  animaux.  Le  roi  assiste  du  haut  d'une  colline  dominant  le  ma- 
recage ;  tous  ses  gens  doivent  s*y  trouver  avec  leurs  chiens;  les 
cerfs  sont  poursuivi?,  cernes,  amenes  au  point  designe,  et  la,  les 
chasseurs  les  percent  de  leurs  lances.  Les  chiens  sont  exited  a  la 
poursuite  au  moyen  de  grelots,  qui  remplacent  le  cor  de  chasse  \  le 
jeu  du  grelot  imite  tout  le  mouvement  de  la  chasse;  on  suit  fort 
bien  le  depart  de  la  meute,  sa  course  entrarnee  Irirsqu'elle  est  sur 
la  piste,  son  ralentissement,  la  prise  de  la  b^te,  le  combat  et  ki  mort 
des  cerfs. 

Lea  sorciers  du  Kiziba.  —  J'ai  dit  que  les  rois  sont  comptes 
parmi  les  principaux  sorciers  du  pays;  il  y  en  a  pourtant  d'autres, 
qui  les  surpassent  en  pouvoir  comme  en  mechancete.  Les  sorciers 
du  Kiziba  sont  renommes  entre  tous  ceux  du  centre  de  TAfrique. 
Le  sorcier  a  la  toute-puissance  sur  le  pays,  parce  qu'il  est  cense 
tenir  entre  ses  mains  la  pluie  et  le  beau  temps,  les  recoltes,  les  ma- 
ladies, les  guerisons,  etc.  Nul  n'ensemencera  son  champ  sans  avoir 
consulte  le  sorcier;  souvent  celui-ci  interdit  telle  ou  telle  culture  pour 
cette  annee-1^ ;  il  designe  les  endroits  qui  seront  fertiles,  et  le  reste* 
Dans  beaucoup  de  champs  on  rencontre  de  petites  huttes  du  diable. 
C'est  un  faisceau  de  paille  dispose  en  forme  de  case,  et  renfermitnt 
pour  I'ordinaire  des  cauris  i),  une  branche  du  vegetal  que  Ton  de- 
sire voir  prosperer,  ou  un  peu  de  nourriture.  Le  signe  du  diable  est 
ici  la  corne  du  mouton  ;  les  sorciers  en  suspendent  sur  eux,  au  cou, 
aux  bras  et  de  tous  c5tes  ;  les  dev5ts  du  demon  portent  aussi  au 
cou  des  cornes  de  mouton  comme  amulettes.  Chaque  village  a  ses 
arbres  msimv,  arbres  sacres  a  I'ombre  desquels  on  fait  les  sacrifices 
de  peu  de   valeur:   quelques  cauris,  de  la  nourriture,   parfois   une 


I)  Petit  coquillage  repr^sentant  la  valeur  de  menue  roonnale. 


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474  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

ch^vre,  un  boeuf  m§me  dans  les  grandes  occasions ;  de  temps  en 
temps,  on  brOle  les  petites  offrandes  quotidiennes.  Les  sorciers  du 
Kiziba  ont-ils  reellement  des  rapports  avec  le  diable?  On  n'a  pas 
encore  pu  avoir  la-dessus  des  renseignement  precis ;  on  sait  seulement 
qu'a  certains  moments  ils  paraissent  possedes ;  c'est  alors  qu'  ils 
rendent  leurs  oracles.  Or,  ils  ne  sont  pas  possedes  quand  ils  le 
veulent ;  ces  scenes  sont  independantes  de  leur  volonte.  La  puissance 
infernale  des  sorciers  du  Kiziba  reside,  parait-il,  au  sommet  de  leur 
t^te,  d'ailleurs  couverte  d'amulettes  et  garnie  de  longs  cheveux ; 
aussi  ne  peuvent-ils  supporter  qu'on  mette  la  main  sur  leur  t^te, 
cela  leur  cause  souffrance  etrange,  ou  tout  au  moins  une  impression 
fort  desagreable. 

Un  Missionnaire  s'en  alia  un  jour  a  la  recherche  du  plus  fameux 
sorcier  des  environs.  Je  ne  saurais  vous  dire  le  nom  de  ce  sorcier, 
mais  ce  que  je  sais,  c'est  que  le  demon  qui  le  f)ossede  se  nomme 
Ishawanga,  et,  ce  qui  est  assez  curieux,  c'est  qu'on  attribue  a  ce 
demon  un  p^re  et  une  m^re  repondant  aux  noms  de  Mpabuka  et 
de  Kiniuli, 

L'homme  s'esquiva  quand  il  connut  I'approche  du  Missionnaire, 
mais  celui-ci,  tenant  en  main  une  mysterieuse  petite  boite,  fit  plu- 
sieurs  fois  le  tour  du  mzimu  sacre  en  appelant  le  diable  a  grands 
cris ;  puis  au  milieu  de  la  foule  reunie,  il  entr'ouvrit  sa  boite  et 
montra  un  diablotin  sorti  de  quelque  bazar  europeen,  disant  a  Tas- 
semblee  stupefaite  qu'il  emportait  le  diable  de  Buma.  Le  tour  reussit 
au-dela  des  esperances  du  Missionnaire,  car,  durant  deux  annees,  le 
sorcier  de  Buma  n'eut  plus  aucune  sc^ne  de  possession,  et  le  demon 
ne  rendit  plus  d'oracles.  Les  gens  du  pays  disaient :  «  Le  diable  de 
Buma  est  k  Marienberg,  prisonnier  des  P^res  ».  Chose  etrange!  II 
y  a  six  mois  environ,  le  m^me  Missionnaire  voulut  etablir  ijn  Chretien 
dans  ce  village,  et  il  alia  lui-m^me  Vy  installer ;  or,  le  diable  revint 
en  m^me  temps  dans  son  pays ;  depuis  lors  le  sorcier  a  repris  toutes 
ses  attributions,  et  les  gens  disent  maintenant :  «  Le  diable  a  quitte 
Marienberg  et  il  est  revenu  chez  nous  ». 

Plusieurs  fois  encore,  ce  Missionnaire  essaya  de  surprendre  le 
fameux    sorcier,    mais   toujours    celui-ci    echappa   aux    recherches. 


USAGES  ET  CROYANCES  DU  KIZIBA  475 

«  Jamais,  jurait-il,  il  ne  verrait  face  de  Blanc  ».  De  fait,  la  vue 
m^me  d'un  n^gre  Chretien  suffit  pour  le  faire  fuir.  Un  officier  al- 
lemand,  voulut  a  tout  prix  voir  ce  mysterieux  personnage ;  il  se 
rendit  k  Buma.  Comme  toujours,  le  sorcier  etait  absent.  Le  lieu- 
tenant fit  capturer  tous  les  troupeaux  du  village,  y  compris  le  boeuf 
sacre,  objet  de  veneration  universelle,  et  alia  camper  a  quelque  di- 
stance, declarant  quMI  ferait  tuer  toutes  les  b§tes  en  sa  possession 
si  le  sorcier  ne  se  presentait  a  lui,  Le  personnage  dut  done  s'exe- 
cuter:  il  vint  tout  tremblant,  les  yeux  baisses  pour  ne  pas  voir  la 
face  du  Blanc,  et  il  fut  impossible  d'en  tirer  deux  mots,  Lorsqu'il 
fut  hors  de  la  presence  de  Tofficier,  il  tomba  k  terre  avec  de  grands 
vomissements,  qui  se  prolong^rent,  dit-on,  indefiniment 

II  n'est  pas  etonnant  que  quelques  sorciers  du  pays  aient  voue 
une  veritable  haine  au  Missionnaire;  aussi  ont-ils  plusieurs  fots  es- 
saye,  par  eux-m^mes  ou  par  des  intermediaires,  de  lui  jeter  des 
sorts.  C'est  ainsi  que  le  P^re  trouva  plus  d'une  fois  sur  le  .seuil  de 
sa  porte,  et  jusque  sous  sa  tente,  quelques  cauris  places  sur  une 
feuille  de  mulingi;  d'apr^s  la  croyance  des  indigenes,  quiconque 
met  le  pied  sur  ce  dawa  en  meurt ;  que  si,  aux  cauris  on  joint  la 
queue  de  certain  petit  poisson,  le  sort  a  une  consequence  plus  fu- 
neste  et  plus  infaillible  encore.  II  n'est  pas  besoin  de  dire  que  le 
Missionnaire  n'^a  jamais  eprouve  aucun  mal  de  tous  ces  precedes, 
aussi  superstitieux  que  mechants. 

Les  deux  fils  d'un  autre  sorcier,  viennent  de  se  faire  Chretiens. 
L'aine,  ^ge  de  quinze  ans,  fut  Tobjet  d'une  rude  persecution.  Quand 
son  p^re  s'aperfut  quMI  priait  a  la  Mission,  apr^s  quelques  observa- 
tions qui  rest^rent  sans  effet,  il  lia  une  jambe  de  I'enfant  a  une 
poutre,  au  sommet  de  sa  hutte,  et,  apr^s  Tavoir  rudement  frappe, 
il  le  laissa  ainsi  suspendu  dans  une  position  intolerable,  Les  cris  de 
I'enfant  attir^rent  un  voisin  qui,  le  trouvant  seul,  s'empressa  de  le 
delier.  L'enfant  n'en  continua  pas  moins  de  venir  au  catechisme ; 
son  p^re,  voyant  qu'il  ne  pouvait  le  retenir,  le  chassa  de  chez  lui. 
II  regut  alors  le  bapt^me,  que  sa  genereuse  perseverance  lui  avail 
bien  merite.  Mais  notre  jeune  confesseur  de  la  foi  ne  s*en  tint  pas 
la  :  il  attira  a  la  Mission  son  frere,  moins  ^ge  que  lui  d'un  an  ;  c*etait 


476  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

le  fils  prefere  du  sorcier,  et  il  doit  recevoir  le  bapt^me  a  Noel.  A 
cette  nouvelle,  le  p^re  chassa  son  second  fils  comme  il  avait  chasse 
le  premier.  Cette  epreuve  est  plus  penible  pour  un  Muziba  que  pour 
un  habitant  de  TOuganda,  k  cause  de  Tesprit  de  famille  qui  r^ne 
au  Kiziba   i). 


i)  Voir:  Missions  drs  Pires  Blancs,  15  Oct.  1906.  Anvers. 


CANTI  POPOLARI  IN  CASTELDELFINO 


II  compianto  ed  indimenticabile  mio  amico,  Chiattone  professore 
Domenico  (rapito  immaturamente,  nel  luglio  1906,  alia  famigiiap  agli 
studi,  alia  Patria,  quando,  lavorando  e  scrivendo,  aveva  dato  di  s& 
le  piu  belle  speranze)  mi  mandava  nel  1904  da  Casteldelfino,  un 
canto  nuziale  in  lingua  francese,  raccolto  dalla  bocca  di  una  vecchia 
mendicante.  Egli  aggiungeva  che  riteneva  il  canto  inedito  e  popo- 
larCy  simile,  del  resto,  a  parecchie  poesie  francesi,  raccolte  quindici 
anni  or  sono  dalla  sig.ra  professora  Maria  Bobba,  nativa  di  Castel- 
delfmo,  e  pubblicate  sulla  Gazsetta  del  popolo  della  Domemca. 
Mi  procurai  quelle  poesie,  esaminai  bene  il  canto  invtato  dall'amico 
Chiattone,  e  miaccorsi  subito  che,  al  solito,  si  confondeva  Torpello 
coU'oro  vero  della  poesia  popolare.  Colla  speranza  di  avere  ma^rgiori 
informazioni  mi  volsi  al  dotto  e  modesto  Segretario  Comunate  di 
Casteldelfino,  il  sig.  Chiaffredo  Bernard,  osservando  die  il  canto 
inviatomi  era  in  francese  letterario,  e  che  il  dialetto  di  Casteldelfino 
non  poteva  essere  coal  infranceaato.  11  16  marzo  1906  e^li  rispon- 
deva :  «  II  dialetto  di  Casteldelfino  trovasi  ora  inf rancesato  come  era 
un  secolo  fa  i) :  o,  meglio,  direi  che  tutto  quanto  nel  nostru  dialetto 
non  e  piemontese,  ^  straniero,  cio^  francese- pro venzale,  II  canto 
trasmesso  a  V.  S.  che  comincia  colle  parole: 
J'avais  jur6  dans  ma  jeunesse 

De  jamais  plus  me  marier 

Mais  aujourd'hui  c'est  le  contraire 

Tous  mes  parents  je  dois  quitter, 

^  cantato  qui  comuriemente  nelle  feste  nuziali,  tradizionalmente. 


i)  Col  trattato  di  Utrecht  (171 3)  Casteldelfino,  Bellino,  Pontechianale  venJvano 
ceduti  dalla  Francia  al  Regno  di  Sardegna. 

Arehivio  per  le  tradiaioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  Bj 


478  ARCHIVK)  PbR  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

4  Se  si  dovesse  tradurre  in  dialetto  parlato,  suonerebbe  cosi: 

Aviu  gior^  din  ma  giunesso, 
De  giamai  pus  me  mariii: 
Ma  angiiirdati  Tes  hi  cantrari, 
Tucc    i  mes  parent  devn  chiti. 

«  Non  i  dunque,  come  crede  V.  S.,  o  come  Lefu  scritto,  che 
il  canto  sia  popolare  nel  dialetto  del  nostro  paese,  ma  perch^  qui 
non  v'ha  persona  che  ignori  il  francese  e  che  non  sia  piii  volte  an- 
nualmente  emigrata  in  Francia.  Quindi,  per  abitudine,  essendo  le 
canzoni  cantate  per  comodiia  quasi  tutte  in  pretto  francese,  epoche 
in  piemontese,  anche  il  canto  nuziale  in  questione,  non  poteva 
essere  se  non  in  francese  ». 

L'aver  potuto  riconoscere  che  il  canto  p)opolare  nuziale,  tras- 
messomi  dal  compianto  prof.  Chiattone,  non  era  popolare  nel  vero 
senso  della  parola,  mi  port6  ad  interrogare  il  gentile  sig.  Bernard  se 
nel  Comune,  e  nel  dialetto  di  Casteldelfino,  il  volgo  non  cantasse 
proprio  nulla:  «  non  c*^  popolo  senza  poesia  folklorica,  come  non 
c'^  selva  senza  uccelli  canori  »,  gli  scrissi. 

II  signor  Segretario  capl  che  io  cercavo  poesie  non  di  tersit^ 
classica,  ma  di  tersit^  plebea,  e  mi  mand6  queste  prove  dell'esistenza 
della  poesia  popolare  in  Casteldelfino,  in  Bellino,  in  Pontechianale, 
i  tre  Comuni  che  formano  la  cos\  detta  Castellata,  ceduta  dalla 
Francia  a  Casa  Savoia  nel  171 3.  Certamente  il  saggio  ddla  poesia 
popolare  dei  3  Comuni,  non  ^  in  relazione  diretta  coH'occasione  in 
cui  viene  pubblicato,  ma  io  ho  preferito  ad  un  canto  nuziale  fran- 
cese, di  fattura  letteraria,  una  piccola  raccolta  di  canti  popolari, 
genuini,  schietti. 

Mi  displace  che  specialissime  circostanze  individuali  mi  impedi- 
scano  di  coltivare  la  miniera  della  quale  ho  scoperto  il  filone:  auguro 
che  altri  abbia  tempo  e  fortuna  piu  propizi,  e  seguiti  il  lavoro  era 
appena  incominciato. 

Prof.  G.  Fbrraro. 


CANTI  POPOLARI  IN  CASTELDELFINO  479 

I.  Orazione. 

Piccolo  dramma  pastorale,   chiamato  Oraxlooe,  Ouresitn,   che   si 

canta  nella  parrocchia  di  Pontechianale  per  la  messa  di  mezzanotte 
di  Natale  (secondo  pronunzia). 

I. 

Chita,  filli^res,  vostre  fus, 
E  me  fas^  pa  a  chel  refus, 
De  m'escutar  e  mi  entendre  a  parlar, 
D'uno  bono  nuvelo, 
D'uno  Vi^rgio  pius^lo.  — 

2. 

Oh  Diu!  qu'avevu  entendu?    -  . 
—  Lu  Messio  es  belo  vengu, 
Nus  I'attendiu  dai  sero  ai  londeman; 
L^  purto  ben  esser, 
Ay  cumenso  a  sey  esser. 

3- 
An^mus-en   Bethlem, 
Nus  trubar^n  certenament, 
Dins  un  Casal,  la  Vi^rgio  senso  mal, 
Nus  sai,  lu  Rei  de  j'ongel ; 
Lu  cas  parfeis  estrange. 

4. 
Tapa  a  chello  culugno  a  lai, 
Un'  autre  sero  filar^  mai, 
E  an^musen  e  purten  caicar^n,  (qualche  coaa) 
Ana  chelo  pauro  miire. 
E  a  chel  fils  senso  p^ire. 

5. 
lu  v^u  pernor  cliche  pias^t,  (pezeuole) 
Ec  bun^t,  ti  vus  purtar^^che 


480  ARCHIVIOPER   LE   TRADIZIONI   POPOLARI 

La  cal  partir,  e  lu  l^issa  pa  partir, 

A  na  chesto  circustanso, 

Ai  ne  purto  aver  mancanso.  — 

6. 

—  Cumensa  cumaire  a  parlar, 
Vus  che  entend^  da  chel  affar, 
De  benestrar  (benedire)  a  vus  nen  parlen  pas, 
E  nus  estar^n  en  r^ire, 
Ml  che  puisson  ben  v^ire.    - 

7. 
Benestra  sb  la  gen  nuvel, 
Che  nus  ha  prepara  lu  ciel; 
Da  chel  fantet,  che  n'es  tut  pulidet, 
La  grassio  nus  en  cunto, 
E  sa  culur  remunto.  — 

8. 
Nus  sen  d^abort  partt, 
Qu*  Tongel  uns  agu'  averti, 

Chel'eronadedins  lopanreta;  {paretata,ca8ainrovina) 
Nus  sa  vuli6ns  pa  cr^ire, 
Sen  vurgii  venir  v^ire, 

9. 

Adiu  sia-nus  sen  an^n, 
£  fas^  che  tut  ane  ben. 
Suven^  vus  un  autre  jur  de  nus, 
E  fas^  nus  la  grassio, 
De  v^ire  vostro  fassio. 

Questa  rozza  rappresentazione  si  recita  e  canta  dopo  la  messa 
di  Natiile.  Vengono  sempre  ripetuti  i  3  ultimi  versi  di  ogni  strofa, 
dalle  fiUiereSf  e  da  un  ongel  (angelo)  senza  per6  che  (almeno  oggidl) 
indossino  un  vestito  speciale. 


k 


CANT!  POPOLARI  IN  CASTELDELFINO  481 

Traduzione.  —  1.  Fermate,  filatrici,  il  vostro  fuso  —  E  non  mi  fate  (quel) 
il  rifiuto  —  D'ascoltarmi,  e  di  sentirmi  a  parlare  —  Una  buona  novella  —  Di 
una  Vergine  pulzella. 

a.  Oh  Dio,  che  cosa  avete  voi  inteso?  —  II  Messia  h  oramai  venuto.  —  Noi 
I'attendevamo  dalla  sera  airindomani  —  \.k  potrebbe  ben  essere  —  Ci  comincio  a 
credere,  ad  essere  deiropinione  (delPangelo  annunziatore). 

3.  Andiamocene  a  Betlemme  —  Noi  troveremo  certamente  —  Dentro  una  ca- 
panna,  la  Vergine  senza  pecca  —  Noi  sappiamo  che  egli  e  il  Re  degli  Angeli  — 
(Bench6)  un  caso  simile  sia  strano. 

4.  Chiudete  quella  conocchia  {quenouille),  fermate  quella  conocchia  a  fianco  — 
Un'altra  sera  filerete  di  piii  —  Andiamocene  e  portiamo  qualche  cosa  —  A  quella 
povera  madre  —  Ed  ha  quel  figlio  senza  padre. 

5.  lo  vado  a  prendere  qualche  pezzuola  —  E  voi  porterete  qualche  cuflRa.... 
—  In  questa  circostanza  —  Ne  potrebbe  aver  roancanza. 

6.  Cominciate,  comare,  a  parlare  — Voi  che  sapete  di  quell'affare  —  Di  benedire 
a  voi  non  parliamo  neppure  —  Noi  staremo  indietra —  Ma  che  possiamo  ben  vedere. 

7.  Benedetta  sia  la  gente  novella  —  Che  a  noi  prepar5  il  cielo  —  Di  quel 
fantino  che  h  cosi  bellino  —  La  grazia  a  noi  pur  conti  —  E  il  suo  color  rifiorisca. 

8.  Noi  siamo  subito  partite  —  Quando  TAngelo  ci  ha  avvertite  —  Che  il  fan- 
tino era  nato  dentro  la  capanna  —  Noi  non  volevamo  credere  —  Siamo  volute 
venire  a  vedere. 

9.  Addio  a  voi  —  Salutati  voi  siate,  noi  ce  ne  andiamo  —  Fate  in  modo  che 
tutto  vada  bene.  Ricordatevi  un  altro  giorno  di  noi  —  E  fateci  la  grazia  —  Di 
(farci)  vedere  la  vostra  faccia. 


II.  Esorcismo  contro  le  erpeti. 

Fu^c  vinlage  envaite  ; 
Manges  pas  la  cam  dal  Crestian  isi ; 
Vai  mingia  la  cam, 
Dar^ire  lu  buc  d'  rise. 

L'esorcizzatore  sputa  poscia  sulla  parte  ammalata  e  fa  un  segno  di 
croce,  ad  ogni  parola  che  ripronuncia. 

Traduzione.  —  Fuoco  violaceo  (vinato),  vittene  —  Non  mangiare  (corrodere) 
la  came  del  Cristiano  qui  (dove  tocco)  —  Va  a  mangiare  la  came  —  Di  dietro  il 
buco  deirasino. 


482  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 


UK  Preghiera  delta  sera.  '> 

Dedin  mon  liec  me  cuigiu  chlu 
Set  ange  trabuchlu, 
Tres  d'a-mun,  tres  d'a-val, 
Gesu  Crist  ent  al  mezz, 
Sal  m'ha  di(!(!  ca  m'en  durm^ss, 
E  pour  a  n'  aghfess.— 
Moun  cor  du^rm, 
Moun  armo  v^jo, 
Sont  Esprit  mal  nu  meno, 
Sonto  Cms  desubre  nus, 
Lu  bun  Diu  e  la  Vi^rgio  Mario, 
Desubre  nus,  desubre  nus,  v^jo. 

Traduzione.  —  Dentro  il  mfo  letto  mi  corico  —  Sette  angeli  vi  accorrono  — 
Tre  a  monte  (dalla  testa),  tre  a  valle  (dai  piedi)  —  G.  Cristo  sta  nel  mezzo.  — 
EgU  mi  ha  detto  che  me  ne  dormissi  —  E  paura  non  avessi.  —  II  mio  cuore  dorme 

—  II  mio  spirito,  la  mia  anima  veglia  —  Lo  Spirito  Santo  male  non  adduca,  meni 

—  La  Santa  Croce  sia  sopra  di  noi  —  II  buon  Dio  e  la  Vergine  Maria  —  Sopra 
di  noi,  sopra  di  noi,  vegliano. 

IV.  Lu  pionc  de  Mario.  *> 

Maire  (de)  Mario  se  levo  en  gran  piur,  en  gran  pi6nc 
Tiro  vio  per  sa  dreco  vio, 
Rescuntro  sa  Santo  Vi^rgio 
Sut  la  crus  de  sun  cor.  — 
«  S&  isi,  ma  santo  Viergio.?  — 
—  Sut  la  crus  de  ma  mort  — 
Chi  dirfe  stu-urasun  isl, 
42  viage  lu  V^nre  Sont, 


I)  Presso  alcune  famiglie  di  Casteldelfino. 
2  Bellino  e  Casteldelfino. 


CANT!  POPOLARI  IN  CASTELDELFINO  485 

Sarto  sutero  sacra: 
Sun  armo  sarto  illumina, 
Un  dli  pene  nen  trairio 
Sun  armo  salva  sari6. 

Traduzione.  —  II  Pianto  di  Maria.  —  La  Madre  (di)  Maria  si  Jeva  In  gran 
plorato,  in  gran  pianto  —  Tira  via  per  la  sua  dritta  via  —  {Riscojitra)  incontra 
la  Santa  Vergine  —  Sotto  la  croce  del  suo  cuore:  —  Siete  qui,  mia  Santa  Vergine? 
—  (Son  qui)  sotto  la  croce  della  mia  morte.  —  Chi  d\xk  quest' orazione  qui  — 
42  fiate  il  Venerdi  Santo  —  Sar^  sotto  terra  sacrata  —  La  sua  anima  sara  tJa 
Dio)  illuminata  —  Uno  dalle  pene  (del  purgatorio)  trarrA  •—  La  sua  anjma  sai- 
vata  saril. 

V.  Lu  cucu. 

Se  lu  cucu  conto  pas  dal  mes  d'abril^ 
U  ca  I'es  mort,  u  ca  Tes  ferl, 
U  che  rha  na  ghero  a  sun  pais. 
Cucu  dia  barbo  bi5ncio 
Contu  an  est^cu  enca  d'esse  en  la  tampo? 
Cucu  dla  barbo  russo 
Contu  an  est&cu  enca  d'esse  spuso.?  * 

Traduzione.  —  II  cucolo.  •—  Se  il  cucolo  non  canta  nel  mese  df  Aprile  —  O 
che  egli  6  morto,  0  che  egli  6  ferito  —  O  che  ha  una  guerra  al  suo  paese.  —  Cucolo 
dalla  barba  bianca,  -  Quanti  anni  sto  ancora  ad  essere  nella  fossa  fsto  ancora 
zitella)?  —  Cucolo  dalla  barba  rossa  —  Quanti  anni  sto  ancora  prima  di  essere 
sposa? 

VI.  Alia  Coccinella  dei  7  puntini, 

Barbaroto  dal  Bundlu 
Volo,  volo,  se  nu  mi  te  tuou. 

Traduzione.  —  Bestiolina  del  buon  Dio  —  Vola,  vola,  se  no  lo  ti  ucdda< 


PROVERB!   GIURIDiCI    ITALIAN! 


JNTRODUZIONE. 

SOMMARIO. 

La  sopriivvivenza  e  I'archeologta  giuridica,  -  La  imitazione  e  la  tradizione,  -  M 
veccfito  e  la  us^n^a  fiu't^rrhiala.  -  La  coasuetudme  {mus  comffrobaius)  e  il 
proverlno  fprobatum  I'cr^Jtim}^  -  I  carmina  fii'rrssana.  -  Societa  selvagg:^ 
rejjDiate  da  proverbi  giuridici.  -  Le  fonti  popolari  del  diritto  e  i  suggeriraenti 
di  nforma*  -  Diritto  ntrale. 

Raiicogliere  e  illustmre  proverb!  giuriJici  significa  cercare  neUa 
letteratura  orale  e  tradizionale  tsspressioni  e  motti;  significa  ricostruire 
formule,  e  indi  risaiendo  il  cammino  dei  tempi,  accostarle  all'epoca 
alia  qLiale  si  liferi^^cono,  inte|;rarlt^  negli  usi  civicl  e  popolari;  vuol 
dire,  insomma,  fare  la  storia  di  frammeati  di  ctvilta  scomparse> 
L'insienne  di  tiili  franriinenti,  resti  di  strati  social i,  staccati  dal  tempo 
in  ciii  nacquero  per  forza  di  vicende  e  per  I'attivita  collettiva,  cost!- 
tuiscono  quel  la  sum  ma  di  cose  che  il  Tylor  chiama  soprawivenza  J). 

Lo  studio  del  simbolu  —  !a  parol  a  del  mistero  che,  penetrata^ 
pu6  rivelare  ii  mudellit  civile  e  sociale  d^aitre  eta  —  non  e  recente, 
Per6  nel  passato,  seguendo  i  metodi  del  Vico,  dei  Grimm,  la  ricerDi 
era  fatta  con  criteria  grammatico  e  non  sociologico,  Spetta  alia  nuova 
scienza,    Tetnografia,   fornire   i   Tnateriali,  im  insieme  di  segni  e  di 


1}  TYLOR,  /m  Cii*iiisaiiofi  primtlw^,  voL  L  ML  pag,  to^,  104 »  e  se^.  (187BK 
^  La  parola  stihersiiziotLr,  che  etimologicamente  vuol  dire  ci6  che  persiste  delle 
antictie  etA,  &  propria  per  esprfmere  I'idea  di  soprawivenza.  Ma  per  la  5i:ieaia 
etnografica  e  indispensablle  introdurre  11  termine  solyravvn'tn::a,  tale  che  sia  de- 
stJTiato  a  designate  II  f\jilo  siorico^  che  non  puO  esprimere  la  parola  superstt^ione* 
TYLOR,  op.  cit.,  pag.  B3, 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIAN!  485 

enimmi,  perch^  si  allarghi  e  si  afforzi  quella  indagine  che  potrebbe 
portare  ii  nome  di  archeologia  giuridica,  la  scienza  delle  reliquie  so- 
ciali  e  morali,  dei  simboli  frammentari  e  delle  infrante  istituzioni, 
per  comprendere  quanto  del  passato  ^  scomparso,  quanto  del  vecchio 
rivive,  quanto  sulle  antiche  tracce  si  rinnova. 

fe  per  questo  che  il  metodo  deirarcheologia  giuridica  h  distinto, 
e  nettamente,  da  quelle  della  psicologia  sociale,  che  indaga  le  leggi, 
psicologiche  del  simbolismo  attraverso  il  giuoco  perpetuo  e  combinato 
delle  tre  forme  d'imitazione:  la  moda,  il  costume,  T  abitudine  i). 
L'archeologia  giuridica  invece,  che  esamina  il  materiale  frammentario 
e  in  forma  di  ruderi  delle  istituzioni  passate,  ha  per  la  storia  del 
diritto,  la  stessa  importanza  che  ha  per  la  storia  il  materiale  archeo- 
logico  e  paleografico  2).  fe  Tarcheologia  giuridica  che  studia  e  investiga 
la  eredit^  barbarica  del  diritto,  i  resti  dei  monumenti*  giuridici,  gli 
avanzi  delle  legislazioni  attraverso  le  ruine,  le  trasformazioni,  le  sosti- 
tuzioni  nel  tempo  e  nello  spazio.  Cosl  distinta  la  nuova  scienza,  la- 
sciando  da  parte  ogni  ricerca  deontologica  e  ogni  esegesi  psicologica, 
resta  nel  campo  storico-giuridico,  attingendo  alle  fonti  popolari  del 
diritto,  alle  fonti  etnografiche,  e  porta  il  suo  contribute  alia  sociologia. 
Lo  studio  dei  simboli  del  diritto  e  delle  fonti  orali  che  soprawivono, 
fatto  con  metodo  storico,  senza  indagine  psicologica,  h  di  straordinaria 
importanza;  pjerch^  quel  che  importa  conoscere,  ^  il  vedere  quanto 
dell'antico  simbolismo  resti  radicato  nei   codici    moderni.  Se  questi 


i)  TARDE,  L^s  transformations  du  droit,  ch.  VII,  \  IV,  pag.  199. 

II  fondamento  psicologico  del  simbolo  h  stato  studiato  da  sociologi  e  psicologi 
illustri,  e  nel  campo  normale  collettivo  e  nel  campo  criminale.  Cfr.  TARDE,  I^s 
lots  de  I'imitation  (1892).  Les  lots  sociales,  Les  trans/,  du  droit  (1900).  FERRERO, 
/  simboli  ecc.  Bocca  1893,  e  meglio:  Les  his  psycohgi^ues  du  symbolisme  (1895). 
MICELI,  I^  fonti  del  diritto  dal  punto  di  vista  psichico-sociale . 

2)  «  Grace  a  la  semplicit6  de  ces  survivances,  on  peut  d^couvrir  si  la  civilisa- 
tion du  peuple  qui  les  fournit  est  deriv^e  d'un  6tat  anterieur,  oO  ces  choses  ont 
leur  juste  place  et  leur  signification  propre;  on  arrive  ainsi  k  colliger  tout  un 
ensemble  de  faits,  susceptibles  d'etre  exploit^s  pour  Thistoire  h.  la  fa?on  de  v6ri- 
tables  mines  >.  TYLOR,  Civilisation  primit.  chap.  Ill,  pag.  82. 

Arthivio  per  le  Ueudieioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  68 


486  ARCHIVIO   PER   LE  TRADIZIONI   POPOLARI 

appariscono  come  opera  astratta  di  legislator!  —  dice  lo  Chassan  — 
pur  non  di  meno  sono  pallido  riflesso  del  diritto  antico  i .  Perch^  un 
codice  pu6  essere  considerato  come  la  conclusione,  piu  o  meno  ben 
tirata,  d'un  gigantesco  sillogismo  pratico,  risultante  da  due  forze,  la 
maggiore  delle  quali  k  fornita  dalle  aspirazioni,  dalle  passioni,  dai 
sentiment!;  e  la  minore  dallo  stato  delle  conoscenze,  delle credenze, 
delle  idee  2).  Non  tutto  i  legislator!  han  trascurato  del  materiale 
antico:  qualche  foglia  della  genealogia  giuridica  b  rimasta  ancora 
nel  nuovo  formulario  che  ^  il  Codice.  Lo  Chassan  ha  fatto  tale 
indagine  delle  font!  simboliche,  investigando  tutti  i  Codici  francesi : 
sarebbe  opera  di  utilitJl  0  di  curiosity  estenderla  a!  Codici  degli  altri 
StaXi  civil!?  lo  credo  alPutilit^,  ]:>erch&  cosl  si  potrebbero  notare  le 
influenze  alle  quali  ancora  soggiace,  guardando  gli  atti  e  le  solennita 
simboliche,  il  nostro  diritto  positivo;  le  bas!  su  cui  esso  poggia,  il 
fondamento  atavico,  sia  esso  etnogenico  0  d'importazione  straniera; 
i  mutamenti,  le  rinnovazioni,  le  evoluzioni  e  le  rivoluzioni  operate 
dal  tempo,  dalla  collettivit^,  0  dal  singolo  legislatore. 

E  sarebbe,  per  altro,  una  delle  piu  important!  investigazioni  socio- 
logiche,  quella  sulle  font!  giuridiche  popwlari,  cercando  gli  usi  e  le 
tradizioni  giuridiche,  perseguendoli  nelle  costumanze  delle  generazioni, 
e  mettendoli  in  rapporto  colla  storia.  Uno  sguardo,  a  mo'  d'esempio: 
LMmmagine  dell'albero,  conservata  nella  simbolica  germanica  3), 
e   che   vive    ancora    nella    espressione    araldica    dell'albero   genea- 


i)  CHASSAN,  Essai  sur  la  symbolique  du  droit. 

2)  TARDE,  L«  transform,  du  droit,  loc.  cit.,  192. 

3)  Per  rendere  sensibili  le  relazioni  di  parentela,  mentre  i  Romani  erano  ri- 
corsi  al  confronto  di  una  scala,  i  Germani  usarono  del  raffronto  con  un  albero  o 
colle  membra  del  corpo:  non  contavano  a  gradi,  ma  cominciavano  dalla  testa,  e 
scendevano  fino  alle  unghie  della  mano  e  alle  ginocchia.  SALVIOLI,  Sior.  Diritto 
Hal.,  pag.  30. 

II  popolo  -  ironicamente  -  per  indicate  i  collaterali,  stende  le  braccie,  dicendo 
che  come  le  braccia,  aprendole,  si  allontanano,  cosi  i  parenti  collaterali  stanno 
in  antitesi   tra  loro.   II  detto  e  il  gesto  Pho  notato  in   SanVAgata  de*    Goti 
Benevento),  ma  credo  sia  comune  ad  altre  regioni  d'ltalia. 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIANI  487 

logico,  h  il  concetto  reso  sensibile  mediante  il  simbolo,  cheTjoeredes 
gignuntur   come  le  piante,  come  i  ramoscelli ;  e  la  generation  ge- 
nealogia,  il  genus,  germoglia  dal  tronco  del  capo  stipite  (sippe-fara). 
Ma  ancora  il  popolo,  con  simbolo  non  meno  sensibile,  dice: 

N'arburu  fu  chi  si  spartiu  'ntanti  arr^mi; 

cio^  un  albero  si  ^  diviso  e  moltiplicato  in  tanti  rami. 
E  j>er  indicare  la  responsabilita  famigliare  : 

L'arburu  picca  e  rarrama  ricivi  i); 

formula  questa  che  oggi  ha  significato  morale,  intendendo :  molte  fiate 
piangono  i  figli  j:>er  colpa  dei  padri. 

Questa  derivazione,  questa  opera  di  riscontro,  se  non  attesta 
Torigine,  addita  i  principi  comuni  di  certi  criteri  morali  e  giuridici. 
A  questo  modo  il  dogmd  giuridico  —  e  non  altrimenti  si  pu6  chia- 
mare  un  concetto  consolidato  nella  vita  e  nella  scienza  —  che  Terede 
h  il  continuatore  della  personalita  del  defunto,  e  quindi  il  vendicatore 
dell'onta,  non  possa  succedere  senza  aver  compito  la  solennit^  vendi- 
cativa;  riscontrato  tal  principio  presso  i  romani,  i  germani,  i  popoli 
selvaggi,  nella  etnografia  e  nelle  sopravvivenze  di  costumi  popolari, 
come  dovere  morale  (Sicilia,  Sardegna,  Corsica,  Calabria  2),  e  il 
rilevarlo  consacrato  nel  Codice  di  Napoleone  (art.  727),  conduce  lo 
studioso  sulle  orme  e  ai  primi  principi  deiristituto  della  indegnita!  3 

DalPosservare  che  il  disposto  paterna  paternis^  materna  ma- 
ternis,  il  principio  dei  beni  propri, .  rigettato  dai  Codici  moderni 
perch^  favoriva  tendenze  aristocratiche,  &  conservato  da  un  Codice 


i)  Formula  calabrese. 

2)  Le  formulette  popolari  sul  diritto  di  vendetta  verranno  riferite  in  seguito. 
Cfr.  PlTRfe,  Bidl,  Irad.  pop.  sic. 

3)  V.  KOHLER,  Shakspeare  vor  forum  lurisprudenz,  p.  157  (1883).  -  <  II 
nostro  Cod.  Pen.  -  dice  il  Sergi  -  consacra  la  vendetta,  vergognosamente,  nel- 
razione  detta  perironia  parte  civile  contro  un  querelato  0  un  imputato  ».  SERGI, 
Per  la  psicoloj^ia   del  pop.   Sardo.  (Nuova  Antologia,  16  genn.  1907). 


488  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

importante,  Taustriaco  i);  dairosservare  —  ripeto  —  questo  feno- 
meno  di.  sopravvivenza,  in  quanto  riproduce  oggi,  criteri  di  giustizia 
medievale,  rifacciamo  il  corso  del  jus  recadentiae,  espresso  in 
un  numero  grande  di  massime  popolari,  e  tutte  trovano  Targo- 
mento  favorevole  nel  pregiudizio  delta  caduta  nel  seno.  Ed  h  cosl 
che  guardiamo  le  condizioni  e  le  ragioni  per  le  quali  un  tal  diritto, 
scomparso  in  Francia,  condannato  dal  legislatore,  scomparso  in  Ger- 
mania,  in  Italia,  resiste  ancora  in  Austria,  fe  per  I'influenza  del  di- 
ritto romano,  il  quale  non  riconosce  divisione  tra  linea  paterna  e 
materna,  o  &  per  condizioni  etnologiche  che  presso  alcuni  popoli  a 
civilta  latina  h  andato  in  desuetudine,  e  presso  altri  invece  k  in  vigore? 
Con  que^e  indagini  si  potrebbe  tracciare  la  zona  legale  d'un  Codice, 
la  geografia  giuridica,  come  espressione  del  bisogno  d'un  popolo  che 
abita  una  determinata  regione.  Perch^  —  noto  subito  —  se  soprav- 
vivenze  si  possono  o  si  devono  dire  le  reliquie  di  costumanze  primitive 
e  d'altre  eta  poco  civili  rispetto  alia  nostra,  reliquie  che  informano 
alcuni  titoli  e  articoli  dei  moderni  codici,  esse  non  soprawivono  per 
arbitrio  di  legislatore,  ma  per  necessita  sociali.  Insomma  la  soprav- 
vivenza, trovando  la  ragione  nella  eredita  sociale,  non  6  qualche 
cosa  di  isolato,  di  inorganico,  ma  ha  una  base  e  una  necessita,  ha 
una  funzione  sociale,  e  nel  nostro  caso,  giuridica.  Essa  soddisfa  o 
corrisponde  a  un  bisogno  popwlare;  bisogno  che  b  relativo  al  grado 
di  civilta,  ed  b  mutevole  da  periodo  a  periodo,  da  luogo  a  luogo. 
11  fondamento  della  ineguaglianza  giuridica  dei  due  sessi  trovato  nella 
ineguaglianza  naturale  2),  bandito  dal  diritto  nuovo  e  dalla  civilta, 
sopravvive  nel  concetto  pwpolare.  In  Sicilia  si  dice: 

Casa  senza  omu, 
Casa  senza  nnomu; 


i)  LEHR,  fiilements  de  droit  civil  germ,,  no  374.  Cff.  Le  massime  germaniche 
che  accennano  a  tal  diritto.  CHAISEMARTIN,  Prov.  et  max.  du  droit  germ,,  417. 

2)  «  II  exsiste  entre  les  deux  s6xes  une  in6galit6  naturelle,  une  difference 
d'aptidudes  et  de  forces  qu'on  ne  saurait  m^connaitre,  et  dont  plusieurs  legislation 
germaniques,  mdme  fort  avancees,  n'ont  pas  cru  devoir  faire  compl^tement  ab- 
straction; elles  attribuent  aux  fils,  qui,  en  definitive  continuent  lafamille  etont 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIAN!  489 

oppure : 

Finisci  Tomu, 
E  finisci  lu  nnomu. 
E  in  Calabria: 

Omu  sempi  firma; 

e  simili  espressioni  sintetiche,  che  trovano  riscontro  nelle  formule 
dei  contratti  matrimoniali  in  tali  regioni.  E  ci6  ^  manifestazione  si- 
cura  della  costante  consuetudine  di  distribuire,  in  queste  province, 
rintero  patrimonio  tra  i  maschi,  concedendo  alle  donne  la  sola 
porzione  legittima,  talvolta  menomata  con  frodei).  Ora,  chiamo 
sopravvivenza  la  traccia  d'un  uso  barbaro  e  primitivo  che  non 
avrebbe  ragione  di  vivere  oggi,  in  quanto  non  ^  al  livello  medio 
della  morality  e  della  scienza,  ma  pur  resiste  spiegando  la  sua  azione 
e  la  sua  funzione. 

Da  ci6  si  ricava  che  non  tutti  gli  usi  ereditati  siano  da  condan- 
nare,  ma  soltanto  quelli  che  non  corrispondono  ad  esigenze  e  realty 
sociali  e  scientifiche.  Tutti  i  diritti  privilegiati,  i  diritti  storici  e  feu- 
dal!, i  diritti  angarici  non  hanno  ragione  di  vita,  e  mantenuti  ancora 
in  alcuni  luoghi,  sopravvivono  mal  sopportati.  Altri  usi  invece,  cor- 
rispondenti  a  bisogni  locali,  tradizionali,  naturali,  specie  di  diritto 
rurale,  anche  di  fronte  e  contro  il  codice,  debbono  essere  protetti  e 
accolti  dalle  leggi.  Da  qu^  la  necessity  di  accennare  alia  funzione 
giuridica  del  proverbio,  e  ai  criteri  e  suggerimenti  di  riforma  che  na- 
scono  dalle  inchieste  sugli  usi  giuridici  popolari. 

*  * 

Ma  Tarcheologia  giuridica,  che  non  investiga  il  fondamento  e  la 
ragione  della  sopravvivenza,  sibbene  studia  questo  come  frammento 


les  plus  lourdes  charges  k  supporter,  tantdt  un  droit  de  pr6f6rence  sur  les  im- 
meubles  (Sollur,  Zurich,  Argovie),  tantdt  meme  une  part  plus  fort>.  LEHR,  i^//- 
menis  (U  droit  civil  germanique,  n^  371.  Cfr.  art.  1885  e  1902  Cod.  di  Zurigo  e 
I'eloquente  commento  di  M.  Buntschli.  -  V.  CHAISEMARTIN,  Prov.  et  maxim,  du 
droit  germ.,  397. 

i)  DELAGUE.  Antol.  Giurid,  anno  1,  v.  I.  fasc.  VI. 


490  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

storico  soltanto,  alio  scopo  di  portar  contribute  alia  storia  delle  isti- 
tuzioni,  ricava  il  materiale  dalle  ricerche  folklorlche,  dalla  vasta  let- 
teratura  popolarei);  dai  miti,  dalle  leggende,  dai  simboli.  E  p)oich^ 
il  gran  fenomeno  delia  imitazione,  che  se  non  b  tutta  la  realta^),  ^ 
certamente  Tespressione  delia  simpatia  sociale,  svela  il  mistero  delle 
similitudini  nella  storia,  b  necessario  che  si  osservi  quanto  di  sim- 
bolico  e  di  tradizionale  vi  sia  negli  atti  imitativi,  per  ix)ter  penetrare 
il  passato.  A  tale  scopx)  i  sociologi  han  personificato  le  tre  leggi  — 
imitazione,  tradizione,  specificazione  —  che  regolano  il  corso  delia 
umanita,  nel  fanciullo,  nel  vecchio,  nella  donnas).  11  primo  nella 
evoluzione  organica,*  presenta  le  fasi  estinte  delPuomo  primitivo;  la 
donna  k  Telemento  essenziale  delia  attivita  etnogenica,  per  le  condi- 
zioni  sociali,  per  le  sue  relazioni  e  subordinazioni  airuomo;)  i  vecchi 
poi,  sono  un  importante  fenomeno  psicologico  di  regresso  morale.  E 
gia  si  raccolgono,  ordinano  i  giuochi,  e  si  ^  intraweduta  e  intra- 
presa  una  ricerca  originale,  cio^  il  folklore  giuridico  dei  giuochi  fan- 
ciulleschi,  i  quali  riproducono  gli  atti  solenni  delia  vita  —  dalla  na- 
scita,  alle  nozze,  alia  morte  —  e  con  simbolismo  cosl  verace,  da 
scorgervi  la  scena  reale  a  notevole  trascorso  di  tempi  4).  Nel  corso  del 
nostro  lavoro,  verranno  riferiti  alcuni  giuochi,  che  ricostruiscono  il 
simbolismo  delia  procedura  penale  e  civile  di  altri  tempi.  Per  esempio, 
il  cedo  bonis  dei  falliti,  che  si  cdmpiva  dando  del  ctUo  in  aul  lor 


r)  II  termine  «  letteratura  »  non  6  ristretto  al  senso  etimologico,  e  non  com- 
prende  solaraente  le  composizioi  elevate,  scritte,  d'una  civiltA  avanzata,  ma  tutta 
quella  produzione  spontanea,  folklorica,  che  in  tutta  la  terra  ha  preceduto  la  let- 
teratura sapiente,  e  si  riattacca  per  certi  capi,  e  non  poco  importanti,  alia  antro- 
pologia  -  Cfr.  LETOURNEAU,  L'ez'olution  litteraire,  pref.  (Paris  1894). 

2)  TARDE,  Les  transform,  du  droit,  pag.  171. 

3)  Crf.  BRAGA,  O  povo  porluguez  nos  sens  costumes,  cre^tfos^  tradifdes^ 
vol.  II,  c.  v.,  pag.  272,  3. 

4)  Gi^  J.  Grimm  nel  libro  Dcutsch.  Mylhol.  aveva  indicato  come  alcuni  raccontj 
di  fanciulli  non  erano  che  il  sogno  ripetuto  nei  secoli  dei  miti  oriental!.  Sul  folk- 
lore giurid.  dei  giuochi  fanciulleschi.  Cfr.  PITR6,  Bibl.  trad.  pop.  sic.,  Introdu- 
zione  ai  giuochi:  0  anche  il  cap.  Folk-lore  giur.  ecc.  Vedi  Lai  MHusine,  Tomo  III, 
1886,  1887,  pag.  156,  157,  158,  i59»  160. 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIANI  49I 

atrone^)  —  come  dicono  i  Toscani  —  rivive  in  un  giuoco  di  fanciuUi 
della  Sicilia,  con  sincerity  e  solenniti  che  sono  il   riflesso  del  reale. 

Delia  donna  lo  Spencer  2),  rilevando  nella  psicologia  comparata 
del  due  sessi,  la  subordinazione  airuomo;  e  d'altra  parte,  Tin- 
fluenza  diretta  e  indiretta  sulle  passion!,  sui  sentimenti  domestici 
e  civili,  ha  posto  e  risoluto  la  questione  sociale,  se  la  influenza 
della  donna  sulPuomo  e  sulle  opinioni  della  vita,  pregiudichi  il  pro- 
gresso  e  Tevoluzione  della  society.  Senza  rifarci  al  problema.  pretta- 
mente  psicologico,  notiamo  che  le  funzioni  familiari  della  donna, 
sposa  e  madre,  sono  quelle  che  formano,  informano  la  psiche  del  fan- 
ciullo,  son  quelle  che  generano  la  f>ersonalita  nel  bimbo,  dandogli 
un'altra  vita,  la  vita  dello  spirito  e  delle  prime  conoscenze  materiali 
e  morali.  La  madre  ripete  i  nomi  delle  cose,  rinnova  e  fa  rivivere 
le  imagini  deirOrco,  le  Fate,  i  Cavalieri,  i  Re  e  le  Regine;  tutto  il 
mondo  dei  sogni,  insieme  coi  primi  precetti  religiosi  e  morally  che 
ha  ereditati  nella  educazione  domestica.  Del  vecchio,  il  tipo  caratte- 
ristico  della  tradizione,  il  laudator  temporis  acH,  diremo  tra  breve. 
Intanto  mi  place  accennare,  indicato  il  gruppo  trino  del  fanciullo, 
della  donna  e  del  vecchio,  ad  una  figura  collettiva,  che  offre  vergine 
sorgente  alle  ricerche  folkloriche:  la  tribu  agricola  e  montanara. 

I  nuclei  della  montagna,  le  collettivita  boscaiuole,  fuori  delForbita 
della  agitazione  nuovissima,  vivono  di  usi,  costumi,  consuetudini 
vecchie,  stretti  neW elite  della  domestica  tradizione.  fe  questo  popolo 
della  montagna  che  conserva  la  religione  del  focolare,  il  culto  degli 
avi,  la  morale  dei  padri,  il  diritto  rurale  e  civile  degli  antenati,  e  alia 
parola  scritta  supplisce  con  la  parola  tradizionale.  fe  il  popolo  con- 
servatore  per  eccellenza! 

La  letteratura  orale  offre  un  materiale  di  simbolica  giuridica, 
misto  di  usi  civici  e  pregiudizi  religiosi ;  donde  la  necessita  di  studiare 


1)  Cfr.  PITRI^,  op.  cit.  loc.  cit.  -  Cfr.  anche  FLANDINA,  //  miserrimo 
rifugio   ecc.  Archiv.  sioric,  sicil.^  anno  X,  pag.  112  a  120. 

2)  SPENCER,  Introd,  a  la  science  sociale^  pag.  405-412.  Dall 'influenza  della 
donna  sui  costumi  e  sulle  tendenze  ne  deriva  la  responsabilitA  famigliare.  Vedi 
SPENCER,  op.  Cit,  loc.  cit 


492  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

la  vita  pubblica  e  privata  di  quelle  pyopolazioni  che  si  pwtrebbero 
chiamare  colonic  barbare  Contemporanee,  e  che  si  raccolgono  nei 
boschi  e  sulle  montagne  fuggentlo  lo  strepito  della  modernita  che 
rinnova  uomini  e  cose.  Le  popolazloni  della  Sardegna,  che  si  sono 
ritirate  sui  monti,  dedite  alia  industria  agricola,  invece  di  cercare 
gli  sbocchi  del  mare,  la  gran  via  del  commercio,  conservano  la  te- 
nacia  delle  antiche  cose.  Immune  dalle  invasioni  germaniche,  la  Sar- 
degna, con  le  sue  consuetudini  e  i  suoi  costumi,  potrebbe  svelare  i 
principi  etnici,  latini,  italic!  del  diritto  antichissimo.  LMstituzione  dei 
baracellii)  fa  pensare  ad  un  avanzo  di  comunismo;  la  ricostituzione 
del  peculio  del  mandriano,  che  ha  perduto  i  suoi  beni,  fatta  dai  na- 
tural!, ^  un'altra  prova  di  comunismo. 
Nella  Calabria  il  proverbio: 

'U  maassani 
E*  seggia  e  notaru ; 

fa  ricordare  la  potesta  dell'antico  patriarca  nella  tribua>.  —  Si 
ricorda  nella  terra  di  loppolo  (Catanzaro)  che  i  contadini,  or  non  son 
molti  anni,  radunati  sotto  il  grande  olmo  della  piazza,  regolavano  i 
loro  rapporti  giuridici ;  e  ci6  non  so  se  per  comodita  o  per  soprawivenza 
di  costume,  diffuso  nel  medio  evo,  e  n'h  traccia  nella  espressione: 

Attendez-moi  souz  Torme  3). 


1)  Sull'istit.  dei  baracelli,  sorti  fin  dal  medio  evo,  per  guardare  dagli  attentati 
II  godimento  degll  averi,  vedi  Osserv,  e  proposle  del  Comitalo  popolare  di  Ca- 
gliari  ecc.  1869  -  V.  anche  C.  CORBETTA,  Sardegna  e  Corscia^  pag  109  (1877). 
-  MANTEGAZZA,  Profili  e  paesaggi  d^lla  Sardegna  (1870)  pag.  ai. 

2)  «  II  massaro  rientra  in  paese  ogni  sera  di  sabato;  la  dimane  esce  in  piazza, 
siede  nel  sacrario  della  Chiesa,  e  1^1  tutti  i  contadini  lo  circondano,  gli  chiedono  con- 
siglio,  gli  domandono  soccorso,  lo  pigliano  ad  arbitro  nelle  loro  controversie  >. 
PADULA,  //  Bru-Ao  (2*  ediz.),  pag.  270. 

3)  «  Se  dit  proverbialement  quand  on  donne  un  rendez-vous  auquel  on  n'a  pas 
desseln  de  se  trouver.  L'origine  de  ce  proverbe  vient  de  ce  que  les  justices  sei- 
gneuriales,  au  moyen  dge,  se  tenaient  g^neralement  aux  portes  des  palais  ou  des 
hotels  du  roi  ou  des  seigneurs  ayant  fief,  sous  un  orme  qui  y  6talt  plants.  II  ar- 
rivait  souvent  que  les  parties  assignees  manquaient  au  rendez-vouz  et  se  fai- 
saient  attendre  vainement  ».  LEROUX  DE  L\\^C\,  Le  livredes  Proverbes  fran^ais^ 
vol.  II.  598. 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIANI  493 

Dalla  quale  h  derivata  la  frase  comune  «lasciarealI'olmo  >►,  pel 
fatto  che  awenendo  le  vendite  e  i  contrattl  in  genere,  neU'eti  media, 
nelle  piazze  ombrate  d'ordinario  da  olmi  o  altrl  alberi  giganteschi,  e  per- 
fezionandosi  i  contrattl  con  I'offerta  del  vino,  cosl  restava  all'olmo 
colui  che  non  compiva  la  vendita. 

Gli  esempi  richiederebbero  non  un  solo  volume:  ma  troncando 
questo  argomento,  osservo  che  i  costumi,  le  tradizioni  —  in  genere 
—  si  compjendiano  in  proverbi;  in  frasi  e  in  formule  originali,  sin- 
tetiche  e  simboliche,  le  quali  formano  un  brevissimo  codice  di  pra- 
tiche  diffuse.  Un  codice  tradizionale,  che  dal  canone  morale  va  fino 
al  comma  giuridico.  famigliare  e  rurale;  un  codice  di  sapienza  pro- 
fonda,  per  quanto  semplice,  cosl  intrinseco  alia  vita,  che  invano  ti 
offre  il  modo  e  Toccasione  di  cercarlo,  ordinarlo  per  intero. 

* 

Prima  di  dire  della  necessita  del  proverbio,  come  regola  giuridica, 
nello  sviluppo  del  diritto  consuetudinario,  e  prima  ancora  di  dire 
deirutilit^  ai  nostri  giorni,  come  supplemento  nei  casi  non  previsti 
dal  Codice,  io  credo  opportune  rilevare  la  distinzione  tra  brocardico  i) 
e  proverbio.  II  primo  b  la  regola  del  giurista,  la  formula  che  coglie 
in  ritmo  ed  in  sintesi  la  dottrina  e  la  teoria,  epper6  al  nome  bro- 
cardico si  aggiunge:  de  aula  et  de  schola, 

II  proverbio,  T  adagio  popolare,  di  verso  dal  brocardico,  per  la 
spontaneita,  per  la  imagine  viva  e  grossolana,  ^  lavoro  collettivo,  h 
\o  spirito  e  la  forma  del  buon  senso  comune,  senza  che  porti  la 
solennita  e  la  gravity  dell*  aforisma.  Per6  se  il  proverbio  indica  il 
bisogno  vivente  del  pof)olo,  poich^  ^  Tespressione  della  lingua  parlata, 
del  verbo  morale  e  del  diritto  in  uso,  il  brocardico  rappresenta  Tim- 
mobilita  del  diritto,  rispondendo  a  speciali  condizioni  giuridiche  de- 


i)  SuH'origine  della  parola  brocardico.  Cfr.  DUPLESSIS,  Bid/,  panfom.  pag.  101. 
-  <  Brocardica  dicuntur  enuntiata  quae  usum  habent  ancipitera  et  in  utramque 
partem  flectuntur  ».  Dal  vescovo  Bnrchardus,  che  formul6  in  massima  i  primi 
precetti  giuridici. 

Arehivio  per  le  inMOmioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  50 


494  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

rivate  di  istituti  che  ormai  appartengono.alla  storia  ^K  E  il  Tibaut 
se  ne  prometteva  la  scomparsa  non  appena  si  fossero  pubblicati  i 
Codici,  poichfe  la  regula  juris  non  era  che  la  legge,  la  disposizione 
formulata,  in  un'epoca  di  multiformi  consuetudini  e  diritti.  Varie 
raccolte  di  brocardici  restano  ad  attestare  la  funzione  che  essi  ebbero 
nella  scienza  e  nella  pratica  2).  Ma  ad  attestare  la  funzione  giuridica 
del    proverbio,    altre   raccolte   si    sono    curate   in    Francia,  in   Ger- 


i)  SALVIOLC,  G/i  aforismi  giuridici  (Scuol.  PosU.  anno  I,   N.  7). 

2)  Le  collezioni  di  Dir.  romano  ci  offrono  un  gran  numero  di  regole  giuridiche, 
rimaste  con  una  autorita  quasi  universale.  Una  parte  di  tali  aforismi  si  trovano 
in  un  titolo  speciale  del  Digesto  iDe  diversis  reguHs  juris  antiqui,  50,  17); 
un'altra  parte  sono  sparsi  nei  testi  0  nelle  dissertazioni  dei  commentatori.  Nel 
sec.  XIV,  MENOCHIO  diede  alia  luce  il  libro  De  praesomptionibvs,  conjeiiuris 
et  signis  (Ginevra,  1670,  ultim.  ediz.);  e  nella  prima  met4  del  XVII,  I.  GODEFROY 
pubblic6  il  Florilegium  sententiarum,  che  forma  la  terza  parte  del  Ma- 
nuale  Juris  (Paris  1806,  ultim.  ediz.).  E  fra  le  vere  e  gravi  raccolte,  si  notano 
una  serie  numerosa  di  dissertazioni,  quasi  monografie,  su  singoli  brocardici.  Per 
curiosity  ne  citiamo  qualcuna,  almeno  per  conoscere  di  quale  importanza  e  utilitA 
era  riconosciuto  il  brocardico:  THOMASII,  Dissertaiio  in  Symbolum:  Suum  cuiqite... 
(Halae,  1694).  THOMASIUS,  />  inutilitate  Brocardici :  Quae  sunt  turiiorio  ttc. 
(Halae  1799).  THOMASII,  Dissertatio  df  faiuilate  Broc,  vulg:  Causa  faiua  ex'^ 
cusai  a  dolo.  GASSER,  de  beneficio:  Non  dedticta,  deducam  etc,  (Halae  1724). 
WAGNERI,  Traclatio  j'urid.  Regula:  Necessitas  non  habet  legem  (Lipsiae,  1725). 
FICHTNER,  Dissertatio  de  trito  sermone  proverbio:  Parvi/ures  etc.  (Altorfi,  1716). 
SCHMIT,  Historischer  Tractat  iiber  das  Spriworter:  Juris t en  gute  Cristen  (Ro- 
stochii  1730).  -  CHARRACH,  Programma  de  Broc.  <  Iltiquidi  cum  liquido  nulla 
est  compensation  (Halae  1741).  -  KAESTNER,  Problema  criticO'juridicum,osten^ 
dens  falsitatem  broc:  <  Bonus  Institutista,  bonus  lurista  >  (lenae,  1744).  HAR- 
TUNG:  De  redentione  vexae,  vulgo:  «  Ein  magerer  I'ergleich  ist  bessen  denn 
^in  feist  Rndartheil  »  (lenae,  1751).  -  KLUVER,  De  axiomate:  Cuilibet  in 
suo  ad  coelum  usque  aedi/icare  licet  (\en3ie  17^4),  HACK,  Exegesis  in  Proverbium 
juris:  Major  dividit,  Minor  eligit  »  (Bambergae  1761).  WERHERI,  Epistola 
ad  I.  G.  DietriclaSy  de  utililate^Regul.  rom.:  Ubi  rem  meam  iuvenio,  ibi  eam 
vindico ;  et  de  utititate  germdnicae:  Man  us  dans  reposcat  a  manu  accipiente 
(Hand  muss,  Hand  wahrenj  (Erlengae,  1767).  -  Ed  altre  ed  altre  dissertazioni, 
che  fanno  capo  all 'una  0  airaltra  delle  diverse  teorie  dei  giuristi  e  delle  varie 
SCUOle.  Cfr.  DUPLESSIS,  Bibl.  parim,,    1847. 


PROVERBI  GIURIDICl  ITALIANl  495 

mania  D,  insieme  alle  ricerche  di  diritto  consuetudinario,  questo 
gran  cendrillon  della  giurisprudenza,  per  dirla  con  un  illustre  fran- 
cese.  Neiritalia  nostra  tentativi  di  raccolte  mancano,  e  il  bisogno 
di  una  codificazione  di  usi  giuridici  popolari  si  sente  oggi,  dopo  il 
forte  impulse  di  studi  folklorici  per  opera  del  Pitrfe,  del  D'Ancona, 
del  Nigra  e  di  altri  non  meno  illustri. 

Una  tradizione  attribuisce  la  formazione  del  proverbio  ai  vecchi : 
donde  il  nome  di  detti  dell'antico,  perch^  Tesperienza,  individuale 
e  collettiva,  trasmessa  alle  generazioni  per  mezzo  della  parola,  rest6 
nella  vita  come  regola,  come  legge  a  .  E  prima  che  la  voce  scritta 
sostituisse  interamente  la  orale,  era  necessity  quella  che  i  par'emio- 
grafi  indicano  col  nome  di  affabulazione  3).  E  cio^,   una  favola  ab- 


i)  A.  LOYSEL  nel  1607  raccolse  Les  rigles,  seniences  tri  proverbes  du  droit 
coutumUr  le  plus  ordinaire  de  la  France.  (Ripubblicati  con  le  note  del  Lauri6re, 
nel  1846,  SOttO  il  titolo:  Institution  coutumiires  etc.). 

CHATERINOT,   Les  axiomes  du  droit  franr.ois,  1683. 

CRAPELET,  Proverbcs  ed  Dictons  populaires,  avec  les  dits  de  merciers  ed 
des  marchands  etc.  auxXIl  et  XIV*.  -  BOUTHORS,  Proverbes,  Dictons  et  maximes 
du  droit  rural  traditionnel  etc.  (1858). 

In  Xjermania  poi  nel  1758  I.  F.  EISENHART,  consigliere  del  duca  di  Brun- 
swick, pubblicd:  Grunds'dlze  des  deutschen  Rechte  in  SprUchwdrtern  durch  An- 
merkunoren  erlailtert.  Wiegand,  Leipzig,  1823,  ult.  ediz.).  -  Nel  1858,  HILLE- 
BRAND,  professore  deirUniversitd  di  Zurigo  raccolse:  Deutsche  Rechtssprichwdrter 
(Zurigo,  Meyer  e  Zellen).  -  Nel  1857  PUniversit^  Luigi  Massimiliano  di  Munich, 
scelse  come  tesi  di  concorso:  Collezione^  classificazione  ed  esplicazione  sommaria 
dei  proverbi  di  diritto  germanico  dal  sec.  XIII  ai  XIT.  Ebbero  la  vittoria  le 
memorie  di  E.  GRAF  e  M.  DIETHERER  pubblicate  in  una:  Deutsche  Rechtssprich- 
wOrter  unler  Milwirkung  der  Prof.  I.  C.  Bluntschli  und  K.  Maurer,  gesammeli 
und  erkldrt  von  E.  GRAF  und  M.  DIETEURR.  (Nordlingen  1869). 

2)  <  Lu  muttu  di  I'anticu  mai  mintiu  »  oppure:  <  Proverbio  no  fala  >  veneto. 
Ma  due  concetti  ferma  il  detto  popolare:  <  Li  proverbi  su'  iutti  pruvati>,  op- 
pure  con  significato  alto,  sacrosanto,   e  con   immagine  tratta  dal   confronto  col- 

TEvangelo: 

L!  muttl  di  Tantichi 
Su  vanc^lii  nichi ; 
cio6  piccoli  evangeli.  Cfr.  PiTRfe,  Bibl.  trad.  pop.  sic.  —  'Proverbi  I.  11. 

3)  Quintiliano  nel  V  libro  delle  Istit.  not6  Tesistenza  d'un  genere  di  proverbio, 
che  h  come  una  favola  abbreviata,  e  non  v'fe  paese  che  non   offra  dei   proverbi 


496  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

breviata  di  miti,  leggende,  d»  aneddoti,  compendiata,  riassunta  in 
periodi  e  filastrocche  di  formule  rltmiche.  pjerch^  piu  facilmente 
s'imprima  nella  memoria  e  resista.  E  come  ii  proverbio,  in  genere, 
^  il  compendio  d'un'idea  morale,  d'una  favola,  di  un  racconto,  egual- 
mente  il  proverbio  giuridico  {ad  agendum  aptuni)  ^  legato  alia 
consuetudine,  della  quale  h  come  la  sintesi  formulata.  Perch^  la 
consuetudine  h  definita  come  un  insieme  di  precedent!  consolidatisi 
in  una  norma  i),  e  ci5  a  causa  di  una  serie  di  ripetizioni  e  di  imita- 
zioni  nel  dominio  delle  dee  e  dei  sentimenti,  di  una  serie  di  impulsi 
che  hanno  costantemente  agito  nella  volonta  sociale,  finch^  a  poco 
a  poco  si  b  determinata  la  regola  del  costume.  E  ci6  perdueforze: 
la  prima  ^  rappresentata  dsiWignoto,  il  misterioso  nel  tempo,  che  si 
cinge  deirautorita  dell'antico,  e  si  viene  formando  V  imperio  del 
8i  dice,  della  voce  pubblica,  della  pubblica  fama ;  la  seconda  rappre- 
sentata dal  numero  delle  persone  che  si  sommettono  a  quell' uso,  e  ci6 
forma  il  misterioso  nello  spazio,  perch^  perduta  la  percezione  della 
prima  origine,  rimane  e  sempre  piu  si  afferma  Tidea  che  tutti  in  quei 
dati  casi  hanno  agito  sempre  a  quel  modo  2). 

E  questo  sentimento  nelFautorita  .'elPantico,  nella  saviezza  del 
vecchio,  neWipse  dixit ^  se  ^  la  caratteristica  essenziale  del  proverbio, 
11  quale  h  attribuito  dal  popolo  alPesperienza  dei  tempi  trascorsi, 
donde  il  precetto: 

Usanza  'nvicchiata  addiventa  liggi  3), 
trova  riscontro  nella  storia  della  consuetudine. 

Uno  sguardo  al  passato.  Compiuto  il  gran  fatto  storico,  da  noi 
detto  Pinvasione  dei  barbari,  dai  germani  I'emigrazione  delle   tribu» 


che  sono  delle  vere  affabul^zioni  di  miti,  di  leggende,  di  aneddot^.  Cfr.  PITRE, 
op.  cit.,  Prov,  vol.  I.  Introd.  CXV. 

1)  MlCELI,  I^  fonli  del  diritio  dal  piinio  ecc.  pag.  41  U905)- 

2)  Cfr.  MICELI,  op.  cit.,  pag.  44,  45. 

3)  PiTRfe,  op.  cit..  Proverbi.  Un  prov.  tedesco  con  identic©  significato  dice: 
(CHAISEMARTIN.  Prov.  et  max.  du  droit  germ.  8-1 1).  Eine  Gewhnheit  soU  man 
nicht. 

Sull'wjo  antico  Montaigne  scrisse  un  curioso  capitolo  intitolato :  De  la  cou- 
stume  et  de  ne  changer  ayseement  une  hn  recevue  (Essais,  liv.  1,  ch.  XXII). 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIANl  497 

dal  conflitto  dei  vari  diritti,  nasceva  con  Tunita  nazionale,  Tunita 
gmridica :  perch^,  come  per  I'unificazione,  le  stirpi  assunsero  un  solo 
linguaggio,  cosi  a  poco  a  poco  abbracciarono  un  solo  diritto.  Dopo 
i  contrast!  degii  element!  romano,  germanico,  canon!co,  la  fusione 
dei  medesimi  trova  11  centro  di  elaborazione  nella  funzione  dello 
scabinato,  istituzione  la  quale  se  da  un  lato  fa  scomparire  la  diffe- 
renza  delle  nazionalita  riguardo  al  foro,  dall'altro  deve  condurre  alia 
confusione  delle  varie  leggi.  Cos^  che  il  d!ritto  nuovo,  risultato  d! 
divers!  element!,  costituito  a  poco  a  poco,  non  trova  espressione 
adeguata  in  nessuna  delle  leggi  scritte.  Rilevato  ancora  il  fatto  della 
estinzione  dei  govern!  che  avevano  emanato  le  leggi,  lo  scomparire 
di  molte  istituzioni  per  le  quali  erano  fatte,  per  cui  dair  un  canto 
perdono  d'autorita,  e  dalPaltro  diventano  superflue;  rilevato  il  fatto 
della  formazione  dei  modern!  volgari,  che  portano  alia  rarita  dei 
codici,  e  alia  diificolta  di  decifrarl!  per  la  lingua  in  cui  sono  scritti, 
non  resta  come  necessita  giuridico-sociale  che  il  diritto  consuetudinario, 
e  per5  gl!  statuti  impongono  a!  giudici  di  sentenziare  secundum  leges 
aut  jus  vel  consuetudines  i). 

Dovunque  Tuso  ha  la  prevalenza,  che  trova  sostegno  nel  tribu- 
nale  popolare;  e  il  detto: 

Juristen  sind  bose  Christen  a), 

non  ^  che  Tespressione  ironica  del  malcontento  popolare,  che  si  ri- 
bella  a!  giudici  e  ai  giuristi,  !  quali  seguono  il  diritto  pagano  3). 


i)  FERTILE,  Man.  Stor.  Diritto  Ital.,  vol.  I,  \  4a.  Cons.  pag.  388. 

2)  SIMROK,  Die  deutschen  Sprichvorter  (2*  ediz.  Francfurt)  pag.  283. 

3)  Tale  irritazione  non  si  manifesta  solamente  colla  satira,  raa  colla  critica 
ragionata'  e  stringente  di  qualche  spirito  elevato.  V.  ZOPFL,  Deutsche  Recht- 
geschichte,  (4«»  ediz.  Brunwich),  1871,  I;  ^  55,  I,  D.  Nel  secolo  XVI  in  Germania, 
a  Frauenfeld,  un  dottore  di  Costanza,  per  aver  citato  Bartolo  e  Baldo  davanti  il 
tribunale  degli  Scabini,  venne  espulso:  <  Ascoltate,  dottore:  -  dicevano  i  giudici - 
noi,  scabini,  non  giudichiamo  secondo  la  opinione  di  Bartolo  e  di  Baldo.  Noi  ab- 
biamo  i  nostri  usi  e  il  nostro  diritto  comune.  Uscite,  dottore,  uscitel  >  ZOPFL,  op. 
cit.,  loc.  cit.,  nota  5.  W.  GOETHE,  nel  dramma  Goeizde  Berlinchingen,  ha  dipinto 
in  maniera  originale  la  supremazia  del  diritto  romano  in  Germania  nel  sec.  XVI, 
e  Tavversione  che  ispirava  alle  classi  popoiari.  -  Ecco  come  Oleario  dice  aJPAb- 


498  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONl  POPOLARI 

Molte  per6  sono  le  difficolta  nel  verificare  e  definire  la  consue- 
tudine,  e  in  fatto,  or  si  usa  domandare  d'ufficio,  sotto  religione  di 
giuramento  i  naturali  del  luogo,  preferenda  i  piu  vecchi  i),  ora  si 
precede  alle  cosl  dette  inchieste  e  altri  mezzi  di  accertare  il  costume ; 
ma  in  casi  eccezionali  decide  il  tribunale  popolare  degli  scabini,  o  si 
ricorre  all'infallibile  prova  di  Dio.  E  dovunque  il  vecchio  predomina 
per  la  sua  esperienza  e  per  la  sua  -saggezza :  sia  che  trattisi  di  rac- 
cogliere  le  consuetudini  nazionali,  sia  che  trattisi  di  prova  nei  sin- 
goli  giudizi,  sempre  per  il  principio  della  inveterata  constietudo, 
in  volgare  Vusanza  'nvicchiata.  E  gii  lo  Scabino  che  nei  primi  qua- 
rant'anni  del  1200,  raccoglie  le  consuetudini,  nei  prologo  rimato 
dello  Speculum  Saxotiuniy  canta  : 

Diz  Recht  ne  han  ich  selve  nicht  underdacht, 
Iz  haben  von  aldere  an  unsich  gebracht 

Unse  gute  vore  varen  2). 

Confessa  il  giudice  compilatore  e  premette:  I  nostri  buoni 
vecchi  han  conservato  questo  diritto  delle  antiche  eti.  E  dovunque, 
guardando  le  origini  e  le  fonti  del  diritto,  i  veteres  mores,  autoriz- 
zati  dalla  esperienza  del  vecchio,  e  per  if  potere  della  affabulazione, 
si  assommano  in  formule  ritmiche,  figurate,  sillabate,   tanto  da  far 


bate:  «  Le  tribunal  des  ^chevins  qui,  jusqu'^  ce'  moment,  jouissait  dans  le  pays 
d'une  grand?  consideration,  est  entierement  compost  d'hommes  qui  n'ont  ancune 
notion  du  droit  romain.  On  croit  qu'il  sufftt  d'avoir  acquis  par  Vdge  et  Pexpi- 
rience  une  parfaite  connaissance  du  regime  int^rieur  ed  ext^rieur  de  la  ville.  Et 
ainsi  les  habitants  et  ceux  du  voisinage  sont  Jug^s  d'apr^s  Tandenne  coutume 
et  quelques  statuts.  -  Atto  I,  scena  IV. 

1)  Cum  D.  Episcopus  (trident.)  vellet  jura  et  rationes  S.  Virgilii  -  in  casto  Pra- 
talie  libenter  invenire  -  et  in  scriptis  redigere,  BASSUS  et  ZanELLUS  de  Pratallia. 
qui  de  aniiquioribus,  hominibus  illius  loci  erant...  dixerunt-quod  sciuntm  z'<fr^ 
iate  et  visu  et  audit u  aliorum  predecessorum  suorum,  et  antiquorum  hominum 
illius  terre,  quod  omnes  debent  ect.  Cod.  wang.  134.  Alia  maniera  stessa  prbce- 
deva  PAbbate  di  Montecassino  per  accertare  i  doveri  degli  uomini  di  S.  Elia.  V. 
PERTILE,  Star.  Dir.  Ital.,  v.  I  (a^ediz.),  pag.  390,  nota. 

2)  Sono  i  versi  151-153,  riferiti  dal  BRUNQUELLUS,  Hisi.  Jur,  rom,  germ. 
(MDCCXXX).  Cfr.  anche  HOMEYER,  Des  Sachsenspiegels  erster  Theil,  oder  das 
s'ichsisrhe  Laudrechi  (3*  ediz.,  Berlino,  1861). 


PROVERBI  GIURJDICI  ITALIANI  ^^^ 

pensare  a  una  poesia  del  dirittoi).  E  dire  financo  che  qualcuno 
ha  creduto  che  i  vefsetti  dei  Q^nti  popolari  si  chiamino  leggi  a)  sem- 
plicemente  per  il  loro  significato  originario  giuridico  ;  poich^  si  sa 
che  la  consuetudo,  la  tradizlone,  la  catarfeda  veniva  tramandata 
da  una  generazione  all'altra  per  verso  e  per  rima  3).  A  Roma,  un 
popolo  di  fanciulli  cantava  pubblicanjente  la  lex  orrendl  car  minis; 
forse  per  quella  tale  forza  di  resistenza  imitativa,  che  vive  nel  fafi- 
ciuUo,  quando  gia  il  costume  6  scomparso.  Che  il  nome  carmen  non 
sia  dato  alia  legge  delle  XII  Tavole  per  tropo,  per  figura,  ma  sia  re- 
miniscenza  di  un  antico  ordine  di  cose,  h  incontestabile  quando  si 
guardi  alia  storia  della  promulgazione  delle  leggi,  che  in  origine  e 
quasi  presso  tutti  i  popoli,  era  fatta  coU'uso  del  canto  4).  Ma  se  non 


i)  Dopo  il  geniale  lavoro  del  GRIMM,  I  on  der  Poesie  in  Rechl  (Zeitschrifl 
fiir  geschichiliche  Rechtswissenschafl-  Berlino  i8i6)  sono  notevoli  le  pagine  dello 
CHASSAN,  /cJ^ji^  du  droit,  (V-  Essai  sur  la  aymb.  du  droit,  1847)  e  del  BRAGA, 
Poesia  do  direito  (Porto  1865). 

2)  Dice  il  Bninquellus:  <  et  hodie  nunc  singtili  versiculi  cantionum  leges 
(gesetze)  vocentur  ».  Hist.  jur.  rom.  gerni.y  L.  IV.  cap.  2,  \  III. 

3)  FERTILE,  St,  Dir.  Ital.,  vol.  1, 124.  -  La  catarfeda  si  ha  ancora  nelle  consuete 
Baresi  di  Sparano.  FERTILE,  op.  cit.,  loc.  cit.  nota. 

4)  La  storia  delle  religioni  e  quella  del  diritto  si  trovano  unite,  nella  origine, 
alia  storia  deH'arte.  La  lingua  materiale  ebbe  due  strumenti :  la  parola  gestico- 
lala,  ovvero  simbolica,  che  si  dirige  agli  occhi;  e  la  parola  inarticolata,  pariata 
poi,  che  si  dirige  all'orecchio.  La  religione  e  un  canto  -  scrive  Chassan-;  il  di- 
ritto legato  alia  religione,  non  si  scrive,  ma  si  canta.  Un'antica  tradizione  mostra 
Apollo  come  uno  dei  primi  legislatori,  il  quale  ha  pubblicato  le  sue  leggi  al  suono 
della  cetra.  Orfeo,  Lino,  Anfione,  Museo,  fondatori  di  citt^,  civilizzatori  di  popoli, 
conquistarono  col  canto.  Questo  nell'et^  mitologica:  ma  seguiamo  la  storia  ancora. 
Dracone  mise  in  versi  le  leggi  Ateniesi,  come  anche  Solone;  e  si  dice  che  Licurgo 
pregasse  I'amico  Tebete  di  preparare  i  suoi  compatrioti  con  la  melodia  delle  sue 
odi,  a  ricevere  le  leggi.  V.  CHASSAN,  Podsi^  du  droit  (Essai  sur  le  symd,, , etc), 
VII-XI.  V.  DE  LA  BARRE,  £claic.  sur  rhist.  de  Lye.  -  Fer  il  Vico  L^yra  vuol  dire 
legge.  (Fol.  degli  Eroi)  Scienza  Nuova. 

La  dea  Iside  dett6  le  leggi  agli  Egiziani  in  poesia;  il  codice  di  Manou  k  in 
distici  di  trentadue  sillabe;  Maometto  diede  le  sue  leggi  in  una  forma  tra  la  prosa 
volgare  e  la  composizione  poetica.  CHASSAN,  Poisie  du  droit,  etc  V.  Note. 
Usage  du  chant  dans  le  promulgation  des  lots,  dans  la  prononciation  des  for- 


500  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

vi  ha  dubbio  che  la  redazione  della  legge  primitiva  abbia  avuto 
forma  ritmica,  figurata,  o  meglio,  forma  poetica,  quando  si  consideri 
la  necessity  di  tramandare  gll  usi  alle  generazioni  posteriori ;  io  credo 
non  vi  sia  neanco  dubbio  intravedere  nella  formula  proverbiale,  con- 
slderata  come  regola  morale-giuridica,  una  soprawivenza  deH'anti- 
chissimo  costume  d.  Che  anche  il  proverbio,  si  chiami  adagio  o  si 
chiami  respite  sia  un  tarmen  necessarium  f)er  la  vita  sociale, 
^  attestato  dalla  forza  colla  quale  sMmf>one  tra  gli  uomini  tutti,  anche 
tra  quelli  che  piu  schivano  il  pregiudizio  misoneista.  Ed  ^  curioso, 
e  notevole  come  confronto  storico,  una  fonte  contemporanea,  che 
indica  la  funzione  necessaria  del  proverbio  nella  vita  sociale  primi- 
tiva. Scrive  il  Post,  che  fmo  a  quando  un  popolo  non  conosce  Tuso 
della  scrittura,  le  norme  di  diritto  consuetudinario,  custodite  nella 
memoria  dai  piu  vecchi,  hanno  frequentemente  la  forma  di  proverbi 
giuridici  2),  dei  quali  si  trovano  esempi  un  po'  dappertutto  nel  mondo. 
Notizie  di  viaggiatori  e  di  esploratori  ci  rivelano  i  nuclei  sociali,  il 
meccanismo  semplice  della  vita  di  questi  popoli  poco  civili,  i  quali 
conservano  in  formule  e  massime  figurate,  allegoriche  i  primi  prin- 
cipi  del  loro  diritto. 

11  Tylor,  sulle  indagini  del  capitano  Bouthons,  dice  di  un  po- 
polo deirAfrica  australe,  il  quale  regola  la  vita  degli  affarj  con 
massime  che  hanno  figura  di  proverbi.  Ecco  qualche  canone  di  tale 
giurisprudenza  apoftemmatica:  Quando  qualcuno  cerca  regolare  un 
interesse  nella  assenza  delfaltra  parte:  -  Voi  non potete  —  obbiet- 
tano  i  negri  —  tagliare  la  testa  di  tm  aasente.  E  per  esprimere  che 
il  padrone  non  deve  essere  giudicato  dalla  villania  del  suo  servo, 
dicono :  —  II  cavalier e  non  ^  uno  sciocco,  percM  il  suo  cavallo  sia 


mules  furidifies  el  des  %enlences,    ainsi  que  dans    les  proclamations pubiiqu^s^ 
pag.  374. 

1)  I  poeti  comici  conservano  delle  espressioni  proverbiali  -  dice  il  Ballanche  - 
che  dovettero  essere  nella  lingua  popolare  d*un'epoca,  e  appartennero  certamente 
alia  lingua  eroica  precedente,  oppure  ad  una  lingua  religiosa.  BALLANCHE,  Palin- 
genesie^  i6o. 

2)  POST,    Grnndriss    der   ctnologischen  Jurisprudenz.  (Erst.  Band,  ii-54) 


PROVERBl  GIURIDICI  ITALIANI  50I 

tale,  i)  Alcuni  di  tali  modi  che  entrano  nella  le^e  comune,  sono 
per  noi  incomprensibili,  perche  un  simbolismo  strano  d'lmagini  e  di 
parole  li  informa  e  li  veste.  Presso  i  Bogos,  Tassoluta  incapacity  di 
diritto  delle  donne  ^  designata  col  dire :  —  La  donna  ^  una  jena, 
Cosl  pure  presso  i  Malesi  del  Menaug-Kabau,  |.^r  indicare  le  canse- 
guenze  che  colgono  chi  non  pu6  pagare  la  composizione:  —  Se  ai  ha 
oro  —  si  dice  —  si  resta  vivi,  se  non  si  ha  oro  bisogna  morire  2), 
E  senza  accennar  altre  di  tali  norme,  che  hanno  il  carattere  di  una 
vera  casuistica,  noto  che  solo  considerando  la  forza  e  il  corso  della 
parola  tradizionale  presso  i  barbari  modcrni,  noi  possiamo  intuire  e 
penetrare  il  mistero  delle  origini  giuridiche  presso  i  barbari  antic  hi, 
e  spiegare  il  perch^  delle  leggi  ritmiche,  da  alcuni  paragonate  a  veri 
poemi  giuridici. 

Gli  studi  sul  tamu  portano  gran  luce  nella  costituzione  primitiva 
della  societa,  rivelandoci  i  dommi  della  prima  saplenza  religiosa  e 
civile,  e  facendoci  intendere  che  se  il  proverbio  presso  i  selvaggi 
non  h  che  un  vero  carmen  necessarintn  ^\  nella  sua  f undone  giu- 
ridico-sociale,  presso  i  civili  non  b  che  una  lontana  forma  di  soprav- 
vivenza,  d'altreeta  quando  i  precetti  morali  e  giuridici  si  tramandavano 
di  memoria  in  memoria  nel  sacrario  delle  generazioni  4  ,  Co5i  forte 
e  sacra  e  stata  IMnfluenza  della  tt^anea  intccchiata,  della  inveterata 
consuetudo,  che  se  le  masse  sMnchinavano  alia  voce  delTantico,  che 
riferiva  per  bocca  dei  vecchi,  oracoli  viventi,  altrettanto  praticavano 
i  re,   nell'et^l  media.  « 


i)  TYLOR,  Civilisation  primitive,  vol.  I,  cap,  11 L 

a)  POST,  op.  cit.,  loc.  cit.,  nota  2».  -  V.  anche  Afrtl^.  lurisp.,  I,  f  2Q5. 

3)  La  parola  carmen  significa  verso,  canto,  formula,  leiJ^ge,  patto  e  sentenza, 
e  ci6  prova  che  originariamente  la  legge  era  in  furraa  ritmica,  ChaSSAN,  Po^sU 
du  droits  nota  a  pag.  373. 

4)  Gli  antichi  scrittori  citano  esempi  di  molte  nazioni  le  quati  non  conoscevano 
alcuna  legge  fuori  degli  usi.  I  popoli  della  Licia  Bon  avevano  libro  akuno  nel 
quale  fossero  trascitte  le  leggi;  essi  non  si  govern  a  vano  che  cogli  usi,  Nelle  Indie 
da  tempo  immemorabile  le  sentenze  sono  appoggiate  sopra  alcuni  costumi  che  \ 
padri  tramandavano  ai  figli.  V.  GOGUET,  DeWorigne  delle  leggi,  etc,  (MDCCCll), 
vol.  1,  pag.  lo-ii.  E  presso  i  Germani?  Vedi  Salveoli,  GRIMM,  V<^n  der  pueiu- 
im  Recht.  §  5.  Cfr.  anche  FERTILE,  St.  Dir.  Ital.  ciL 

ArehUfio  p«r  le  tradiMtoni  popolari.  —  Vol.  XXYll.  tt 


502  ARCHIVIO  PER   LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

1  re,  quando  si  intese  il  bisogno  per  il  moltiplicarsi  delle  consue- 
tudini,  di  raccogliere  e  disciplinare  le  regole  del  buon  uso,  si  sono 
avvalsi  dei  sapientes,  della  attestazione  dei  vecchi,  e  la  loro  parola 
era  consacrata  nella  legge  i).  E  non  solo,  quando  la  legge  lasciava 
margine  ad  interpretazioni  dubbie,  o  non  contemplava  casi  special!, 
il  pojx)lo  e  il  re  si  rimettevano  alPautorit^l  del  proverbio  a).  E  difatti 
se  la  consuetudine  era  Vnsna  morihus  utentium  comprobatiMt  non 
altrimenti  era  il  proverbio:  probatunt  verbum.  In  questo  concetto 
del  probatum  sta  la  forza  del  proverbio  come  della  consuetudine, 
e  Tadagio  popolare  detta: 

I  proverbi  son  tutti  provati. 

Chi  volesse  indagare  le  origini  e  i   principi   —   religiosi  e  giu- 
ridici   —  ai  quali  mette  capo  11   proverbio,   che    h    regola    rurale, 
Lu  lavore  dure  quande  lu  sole, 

dovrebbe  collegare  la  disposizione  agli  atti  simbolici  delPantichiti 
classica  e  della  procedura  medievale,  che  proibivano  di  fare  alcuni 
atti   prima  del  sorgere  e  dopo  il   tramonto  del  sole  3).    Insomma, 


1)  «  Come  trattavasi  di  raccogliere  le  consuetudini  nazionali,  la  corapilazione 
si  faceva  pei  sapientes  o  vecchi,  cio6  per  uomini  esperti  del  diritto  della  propria 
nazione ;  e  il  re,  che  presiedeva  a  questa  compilazione  e  promulgava  la  legge,  faceva 
al  dettato  loro  le  modificazioni  che  trovava  necessarie,  non  senza  riportame  prima 
I'assenza  del  popolo  od  almeno  dei  grand!  >.  Cosi  il  PERTILE,  Delle  leggi  dei 
barbaric  prima  e  durante  la  dominazione  in  Italia,  Slor.  Dir,  ItaL,  vol.  I,  125. 
Tali  leggi  eran  chiamate  leges populorum  0  populares.  yolksrechte,o\>.  cit.  id.  126. 

2)  II  grande  vicer6  dellMndia,  Alfonso  di  Albuquerque,  di  risoluta  determina- 
zione,  dirigeva  e  sosteneva  i  suoi  giudizi  con  I'autoritA  dei  proverbi.  -  Alfonso  III 
di  Spagna,  volendo  decidere  della  santitA  del  rito  messarabico  e  del  romano,  or- 
din6  la  prova  del  fuoco,  ed  essendo  fallita  al  suo  intento,  egli  si  rimise  all'au- 
toritil  del  proverbio: 

Alia  van  Leyes  do  quiren  Reyes ; 

quasi  per  legittimare  11  suo  assolutisrao  con  la  voce  del   popolo.    Cfr-  BRAGA, 
O  povo  portugueZf  ecc. 

3)  Soils  occusus  suprema  tempestas  ecc,  XII  Tab.  -  E  come  del  giudlzio  ro- 
mano^ cosi  di  quello  dei  barbari:  Leg,  salicae^  tit.  LII;  presso  i  Franchi  le  for- 
mule  dei  duelli  ammoniscono  che  ante  solis  occasum  adversarium  znncere  ne^ 
cesse  erat. 


PROVERBI  GIURIDICI  ITALIAN  I  503 

la  religione  della  procedura,  la  religione  del  rito  religioso  e  giuridico, 
la  religione  del  lavoro,  doveva  compiersi  col  sole,  neUa  ora  del  fer- 
vore  e  della  luce.  E  la  formula  che  le  ore  di  iavoro  ruraie  vanno 
dal  sole  al  sole,  de  area  ad  aream,  consacrata  in  tutti  i  bandi 
di  marzo  e  di  agosto,  che  venivano  aflfissi  avanti  le  chkse;  san- 
zionata  nel  Fuero  de  Aragon,  nel  Fuero  de  Na^arra,  persiste 
ancora  nel  simbolismo  popolare  n,  per  db  che  riguarda  il  lavoro 
rurale.  Corre  in   Sicilia  la  segueute  formula: 

E  lu  suli  ^  juntu  a  LI  tnura: 

—  Lavura,  viddanu,  ch' ancora  6  daiira.  — 
E  lu  suli  6  juntu  a  U  'ntinni : 

—  Spaia,  curatulu,   jamuninni.  —  a). 

E  in  Calabria: 

A  vintin'ura 

A  jomata  £  sicura : 
oppure,   come  cantano  le  racco^litrici  d'olive: 

E  lu  suli  e  ftubba  a  U  petti 
lamuncindi,  tiggtiioli  schetti:  3) 

0  ancora: 

A  la  galta  nd  ludnu  I'acchi, 
lamuncindi  fig^MoH  ch*e  notti. 

A  quesfe  disposizioni  si  riferisce,  comunemente  in  Siciiia,  un 
fatto  che  non  pu6  esser  leggenda,  ^<  Al  monte^  Pellegrino  —  scri- 
veva  verso  il  161 5  V.  Di  Giovanni  —  v'^  un  sasso  che  si  dice 
la  pietra  dell'  Imperatore.  E  questo  fu  die  essendovi  dissenzione 
tra  il  padrone  ed  un  villano  —  ch^  costui  domandava  la  mercede 


I  Bandi  di  marzo  e  di  agosto  stabtUvano ;  QuMl  ne  soit  nulz  qui  quarrie  de- 
vant  soleil  escoursant,  sur  I'amende  de  X  soubz.  (Ban  d'Onguies.  V.  BOUTHORS, 
Somce  dti  droit  rural,  pag.  495  a  503), 

i)  FUERO  D'ARAGON,  Obsett'aniia  ronsuefudinesi^tie^  liber  VJI  -  de  pascuis^ 
gregibus  et  cabaunis.  Nel  Fuero  de  Navarra,  lib.  II],  tit,  V,  cap,  19:  Quando  los 
villanos  van  A  labrar  para  les  seinoreSj  deven  Ir  de  sol  a  sol.  Vedi  WOLF,  Ein 
Beit  rag  zur  Rechtsymbolick  aus  a/tspan^  (Sittungshtrichten  drr  philos*  hist. 
Classe  der  Vi^ner  akad.  a.  1865).  ' 

2)  PiTRfe,  Bibl.  trad'  pop,  sic.-  Ust  e  costumii  v.  Ill,  pag.  ni. 

3)  PITRE,  Bibl,  trad.  pop.  sicil.  -  Usi ^  costnmi,  volJIJ,  tii,  *  Per  la  Calabria 
Cfr.  PADULA,  n  Bruzio,  a»  ediz.,  voK  I,  pag.  276,  Sg,  97,  309,  335 ,  330. 


504  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

della  giornata  dal  padrone,  e  diceva  il  padrone  che  non  Taveva 
compita  —  essendo  il  tempo  delPesta,  determin6  IMmperatore  (Fe- 
derico  II)  tal  controversia,  e  fece  che  il  padrone  gli  pagasse  intera 
la  giornata,  e  f^  statuto  clie  nei  tempo  dell'esta,  toccando  I'ombra 
del  monte  quella  pietra,  fosse  finita  la  giornata;  il  che  si  osserva 
nei  trappeti  delle  cannam^le,  che  si  leva  ognuno  al  travaglio  ad 
ore  venti,  quando  h  obbligato  il  padrone  pagarlo  interamente  per 
tutta  la  giornata  »  i). 

Effettivamente  IMmperatore  non  faceva  che  riconoscer  come 
legge,  una  consuetudine  antichissima.  E  qiiesto  in  tempi  in  cui  la 
consuetudine  aveva  vigore,  o  anche  prevalenza  sulla  legge  scritta; 
e  ci6  per  il  carattere  degli  antichi  stati,  ristretti  a  piccoli  territori, 
a  cui  era  piii  facile  la  formazione  di  quelle  abitudini  comuni  ad  un 
consorzio  di  uomini,  le  quali  sono  il  fondamento  psicologico  della 
consuetudine  a .  Per  questo  fatto  si  crede  oggi  che  la  consuetudine 
ha  compito  il  suo  cicio  storico,  ed  e  perci5  che  essa  non  ha  funzione 
generale  di  fronte  alia  legge.  Pur  tuttavia,  per  V  utilita  storica,  se 
si  potessero  raccogliere  ed  ordinare  le  massime  e  i  proverbi  che  il 
popolo  ancora  conserva,  quelli  relativi  al  matrimonio,  per  esempio, 
si  avrebbe  il  modo  di  ricostruire  in  compendio  la  storia  di  una  istitu- 
zione,  e  nei  caso  delPesempio,  lo  sviluppo  e  il  progresso  del  matri- 
monio nei  diritto  popolare  antico. 

Quattru  mura  havi  *a  casa: 
Dui  'u  raaritu  e  dui  'a  mugghieri; 

detta  ancora  il  popolo,  in  Calabria,  pur  di  fronte  alle  nuove  dispo- 
sizioni  del  Codice  3).  Ma  il  proverbio   si   riannoda,   pel   filo   tenace 


i)  Oppure : 

E  lu  suU  cala  e  nchiana,  ^ 

E  'u  patruni  scangia  e  pag^a. 

2)  MICELI,  La  forza  obbligat,   della  consuet,  ecc.  (Perugia,  1899). 

Introd.  28,  29,  30.  La  legge  era  detta  sanciio  sania^  la  consuetudine,  sanciio 
sancttor.  BRUGI,  Istituzioni  Dlr.  Civil,  ItaL 

3)  La  legge  vigente  non  stabilisce  la  coraunione  di  beni  tra'  coniugi,  ma  ne 
permette  la  stipulazione,  e  non  giA  per  la  comunione  universale  dei  beni;  invece 
soltanto  per  quella  degli  utili-  Cfr.  la  Relazione  del  Pisanelli,  al  Senato,  1433-34, 
e  36.  LOMONACO,  Ist,  D.  Civ,,  vol.  IV  (1884)  pag.  40,  41. 


PROVERBI  GlURIDia  ITALIANr  505 

della  tradizione,  alia  comunione  0  societi  di  beni,  che  pel  solo  fatto 
del  matrimonio,  si  formava  nelle  province  consuetudinarie.  Espressione 
di  bisogni  viventi.  In  un'  eta  nella  quale  1q  scompaginamento  dtilla 
societa  rendeva  necessario  Taggrupparsi,  il  collegarsi  in  classi,  per 
resistere  alia  forza  scompagnata  dal  diritto,  —  il  sistema  della  comu- 
nione  dal  tugurio  pass6  nei  palagi  dei  magna tL  In  alcuni  p^jesi  il 
sistema  della  comunione  imper6  a  lato  del  sistema  dotale,  in  altri 
lo  escluse  del  tutto  i).  Ed  era  cosl  vario  il  modo  di  regolare  la  so- 
ciety coniugale  che,  ogni  citta  si  pu6  dire,  avesse  una  con  suet  udine 
propria,  e  in  alcuni  luoghi  neanco  la  legge  regolava  la  comunione 
popolare,  che  rappresentava  il  diritto  nuovo  e  libero  3).  Ebbene,  se 
noi  oggi  potessimo  raccogliere  le  formule  matrimoniali,  noi,  potremmo 
ricostruire  la  storia  e  il  codice  consueUidinario  popolare.  In  lUcuni 
paesi  la  confusione  dei  beni  aveva  luo^o  dalla  nascita  della  prole; 
in  altri  pel  solo  trascorrimento  di  un  anno  dalle  nozze>  in  altri  dalla 
benedizione  nuziale,  in  altri  dalPentrata  nel  letto.  Onde: 

Tavula  e  lettu 
Metti  affettu; 

Entre  dans  le  lit, 
Le  droit  est  acquis;  3) 


i)  LA  MANTIA,  Sioria  della  le^isl,  sicil.:  vol-  U  pag.  156,  57^  5^-  -  Cfr- ClC- 
CAGLIONE,    I^  leggi  e  le  piu  note  consueiudim  etc..  iBBr. 

a)  <  La  regola  dotale  rimaneva  vigente  in  dlfetto  di  prole,  la  oi\  nnscita 
soltanto  dava  origine  alia  confusione  e  comunione  dei  beni-  -  11  testo  degH  sUHtutl 
Italian!  prova  come  fosse  ignota  alle  genti  itaiiane  la  comunione  fra  coniugir  e 
sempre  in  uso  la  regola  dotale,  oalla  grichhcha  >.  V-  LAMAKTIA,  op-  cit-,  loc.  cit-. 

CICCAGLIONE,  Op.  cit- 

3)  CHAISEMARTIN,  Proverbes  et  maximes  du  droit  germ,  318.  Oggi  ancora^ 
in  certe  contrade  germaniche,  specialmente  del  Wurtemterg,  si  usa  rlconoscere  la 
comunione  dei  beni  dal  giomo  della  entrata  fiei  letto  nuziate  iHlLLEBRAND, 
Sprichw.,  n-  174).  Nella  Coutume  de  Chartres,  art^  5a*  si  nota  I 'adagio:  <  Ftmme 
gagne  son  douaire  d  mettre  son  pied  au  lit  >•  \\  letto.  *^ul  quale  I'uoma  riposa. 
h  simbolo  del  matrimonio :  donde  figlio  del  primo  letto,  del  %ecnndo  teito.  Neiran- 
tico  costume  di  Bar,  lit  brisi,  significa  la  separazione  del  corpa  Cfr.  CHASSAN, 
Essai  sur  la  sytnbolique,  163. 


506  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

Oppure: 

1st  das  Bett  beschritten, 

ist  das  Rechte  erstritten-  x) 

E  il  diritto  consuetudinario  disponeva:  <<  On  disait  jadis:  Au 
coucher  gagne  la  femme  son  douaire;  maintenant,  des  lors  de  la 
benediction  nuptiale  »  2). 

Cosi  si  fa  sempre  piu  chiaro  e  certo  il  principio  che,  prima  che 
la  legge  disciplinasse  i  rapporti  matrimonial!  —  in  Sicilia  solo  sotto 
Ferdinando  d'Aragona  3)  —  il  detto  popolare  era  la  veriti  sintetica 
dell'uso,  e  aveva  vigore  di  legge  tradizionale.  In  questo  la  funzione 
giuridica  del  proverbio,  che  si  allarga  man  mano  che  cerchiamo, 
spinti  da  curiosity  scientifica,  quanto  di  diritto  abbia  ciascun  pro- 
verbio, quanto  di  storia  in  s&  chiude  e  conserva,  quanto  di  diritto 
dimenticato,  e  quanto  di  bisogno  sentito  e  vivente  ancora  conservi. 

{Continua).  Rappaele  Corso. 


1)  EISENART,  Grundsdtze  der  Deutschen  Rechi  in  SpH€hwdrter,  p.  13a.  HlL- 
LEBRAND,  DeiUsche  Rechkssprichwdrler,  n.  174.  PiCi  simbolica  la  seguente  for- 
mula: <  Isi  die  Decke  Uber  den  Kopf,  so  sind  die  Eheleute  gleich  reich  >.  El- 
SENHART,  134.  HILLEBRAND,  175;  inoltre  le  espressioni:  Beschreitung  des  Ehebettes 
-entrata  nel  letto  nuziale  -  Beschlagung  der  Decke  -  collare  della  copertura, 
delle  COltre.  CHAISEMARTIN,  Prov,  et  maximcs  du  droit  germ.,  319. 

2)  LOYSEL,  Institutes  Coutumi^res,  liv.  II,  tit.  in,r6g.  5 -oppure:  €El  sont  les 
maries  communs  en  tons  biens  et  conquSts  immeubles,  dujour  de  leur  binidictitm 
nuptiale  >.  LOYSEL,  Op.  cit,  lib.  I. 

3)  La  sola  legge  sicula  che  fa  menzione  h  il  cap.  6  di  Federic.  Aragonese. 
Molti  atti  e  memorie  storiche  del  medio  evo  offrono  argomenti  che  mostrano  la 
tacita  comunione  fra  le  genti  agricole,  per6  il  sistema  dotale  vigeva  accanto  alfa 
comunione  e  si  disse  secundum  morem,  consuetudinem  et  ritum  Graeorum,  ut 
vulgo  dicitur,  alia  greca,  grecaria,  e  nel  c-  17  e  28  delle  consuet.  di  Corleone  si 
dice  alia  Grichisca.  LA  MANTIA,  op.  cit,  loc.  dt,  note- 


T' 


MISCELLANEA 


Dae  aotichissimi  proverb!. 

Viareggio,  14  novembre  1906. 
Caro  amico  Dott.  Pitr6, 

Le  trascrivo  due  righe  dl  Quinto  Curzio  che  mi  sembrano  meritare  un  posticino 
neWArchwto,  Leggonsi  nel  resoconto  del  discorso  che  tenne  il  savio  Cobares 
(«  moderatus  et  probus »)  a  quelle  smargiasso  e  millantatore  di  Besso  (« ferox 
verbis  >)  che  pretendeva  dl  vincere  un  Alessandro  Magno :  «  ...  Aggiunse  poi  quel 
detto  che  volgarmente  usavasi  presso  ai  Battriani  che  il  cane  timido  pid  forte 
abbaja  che  non  morde,  e  che  i  fiumi  pid  profondi  scorrono  con  minor  rumore 
(Adiicit  deinde,  quod  apud  Bactrianos  vulgo  usurpabant,  canem  timidum  vehementius 
latrare,  quam  mordere,  altissima  quaeque  fluroina  minimo  sono  labi)  >.  E  il  buon  Quinto 
Curzio  soggiunge :  «  Quae  inserui,  ut,  qualiscunque  inter  barbaros  potuit  esse 
prudentia,  traderetur  > :  sicch§  mi  sembra  quasi  di  eseguire  una  di  lui  volontA  co- 
municando  questi  proverbi  Battriani  a]VArchivw  delle  tradizioni  popolari, 

Deirabbajar  di  piccoli  cani  e  rumoreggiar  di  piccole  correnti,  h  pieno  pur  troppo 
anche  il  mondo  non  barbaro :  e  forse»  mentre  Quinto  Curzio  scriveva  in  Roma  ed 
io  trascrivo  in  Viareggio,  a  Roma  ed  a  Viareggio  erano  e  sono  in  uso  quegli  stessi 
proverbii.  Certo  h  che  non  siamo  nella  Battriana,  quando  Ammiano  Marcellino 
(XXII,  16,  16)  ci  parla  di  un  critico  di  Cicerone  e  Io  paragona  ad  un  piccolo  b6tolo 
che  s'aggiri  discosto  latrando  con  miserabll  vocina  intomo  a  un  leone  di  tremendo 
ruggito  (<  ut  inmania  frementem  leonem  putredulis  vocibus  canis  catulus  longius 
clrcumlatrans  »).  i). 

Aff'ez.mo 
GIACOMO  LUMBROSO. 


i)  Ntl  z*  fascicolo  del  Vol.  XXIV  dellMrcJMeto  sotto  la  nibrica  d^seelUmea  sarA  una  nota 
to  questi  proverbi  (G.  Pitri). 


508  '  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARf 


La  commemorazioae  del  morti  sarebbe  di  ori^ae  sidliaoa? 

La  storia  ha  rintracciato  nell'antica  Gallia  le  origini  della  commemorazione 
del  defunti  11  2  novembre.  I  Druidi  infatti  celebravano  con  grandi  cerimonie  tale 
ricoirenza  nella  notte  dal  i»  al  2  novembre;  poi,  quando  I'invasione  romana  dap- 
prima*  poi  auella  franca,  completate  dalFintroduzione  del  Cristianesimo,  cancel- 
larono  le  usonze  celtiche,  anche  questo  costume  fu  quasi  dimenticato,  fino  a  che 
Sant^OJilone,  abate  di  Ciuny,  pens6  verso  ii  998,  ali'approssimarsi  del  xooo,  di 
far  risurgere  la  sua  abitudine,  dandole  carattere  e  forma  cristiana. 

Sant'Odilone  prescrisse  che  in  tutti  i  convent!  della  sua  congregazione  si  ce- 
lebrassii  il  3  novembre  la  commemorazione  di  tutti  i  fedeli  defunti.  L'istituzione 
fu  approvata  success! vamente  da  parecchi  papi,  e  si  sparse  rapidamente  in  tutto 
r  Occidents. 

Fin  qui  la  storia  conosciuta. 

Ma  ecco  che  nella  prima  metk  del  1700  uno  storico  tedesco  introduce  un  nuovo 
particolare  nel  racconto,  che  in  qualche  modo  modificherebbe  le  origini  della  gen- 
tile usanza,  Gian  Lorenzo  Mochein,  nato  a  Lubecca  nel  1694  e  morto  a  Gottinga 
nel  17-^5,  convertito  al  protestantesimo,  fu  non  soltanto  storico  ammirato,  ma  anche 
dotto  taalf)go,  il  quale  rest6  alieno  dalle  iraconde  polemiche  del  suo  tempo.  Egli 
acrisse  ben  160  opere,  in  gran  parte  dimenticate,  una  delle  quali  ha  avuto  per6 
parecchie  tdizioni,  e  che  non  e  difficile  trovare  anche  oggi :  Instiiutionum  Hi- 
ston'ae  eccienasticae  antiquioris  et  recentioris  libri  IV.  In  quest* opera  egli  asse- 
risce  chfaramente  che  Sant'Odilone  fu  consigliato  ed  incitato  alia  nuova  istituzione 
da  un  eremiia  venuto  dalla  Sicilia,  che  pretendeva  aver  avuto  delle  rivelazioni, 
secondo  le  quali  le  preghiere  dei  monaci  di  Cluny  avevano  una  particolare  efflcacia 
per  libera  re  le  anime  del  Purgatorio. 

Ora^  h  difficile  ammettere  che  Mochein  abbia  inventato  di  sana  pianta  questo 
particoJare.  Ove  egli  lo  ha  dunque  attinto?  E  chi  era  questo  ignoto  eremita  venuto 
dalla  SicilU?  i). 

La  festa  di  Sant'Antonio  ia  ftalfa. 

Passato  Sant* Antonio,  si  parla  di  Sant' Antonio  e  la  VUa  ricorda  ana  delle  piOi 
caratteristiche  cerimonie  che  accompagnavano  un  tal  giomo  nell'antica  Roma:  la 
bened]2ione  dei  cavalli  fatta  con  gran  pompa,  cosicchd  cortei  di  bestie  fiorite,  im- 
pennacchiate  e  suntuosamente  bardate  traversavano  la  cittA  recandosi  innanzi  alia 


1}  IJOra,  n.  305,  Palermo,  2  nov.  1906. 


MISCELLANEA 


509 


chiesa  del  Santo,  ove  un  monaco  in  corta  e  stola  11  aspargeva  d'acqua  lustrale. 
Oggi  il  rito  permane  nel  Lazio  e  in  Campania,  ma  non  permane  la  pompa.  Si  por- 
tano  ancora  a  benedire  suila  soglia  delle  chiese  cavalli,  asini  e  muli,  ma  senza 
trine  e  pennacchi,  n6  la  guida  d'eleganti  cocchieri.  Dippiti,  ricordandosi  che  al  Santo 
fu  sacro  il  fuoco  e  fido  compagno  un  maiale,  in  alcuni  Comuni  si  lascia  libero  un 
majaletto  d'andar  per  le  case  d'onde  normalmente  verrebbe  cacciato  ed  ovunque 
ha  cibo  e  carezze.  L'ultima  casa,  quella  in  cui  stanco  si  accoccola,  saril  da  quel 
giomo  sua  fissa  dimora  e  in  essa  egli  diviene  sacro...  fino  al  Sant' Antonio  suc- 
cessivo,  nel  qual  giorno  vien  messo  in  lotteria.  Chi  lo  vince  lo  scanna  e,  in  onore 
del  Santo,  lo  mangia.  L'omaggio  del  fuoco  6-  fatto  con  grandl  fal6,  per  cui  tutti 
contribuiscono  donando  legna,  mobili  vecchi,  combustibili.  11  fal6  6  acceso  nella 
piazzetta  e  quand'esso  divampa  ecco  dalle  finestre  circostanti  venir  gittati  altri 
seggioloni  rotti,  fascine,  tronchi  d'albero,  pali.  —  Ed  anche  le  tentazioni  vengono 
ricordate  del  Santo.  A  Lanciano  la  sera  della  vigilia  un  contadino  travestito  da  ere- 
mita  esce  con  bisacce,  bastone  forcuto  e  campanello  In  mano;  e  circondato  dalla 
musica.  A  uno  svolto  ecco  balzargli  davanti  un  contadino  vestito  da  diavolo,  tutto 
rosso  con  coma  e  forcons.  Questi  lo  tormenta  con  lazzi  e  con  spassi ;  ma  il  Santo 
6  paziente  e  quando  il  diavolo  si:an:o  scorapare,  il  popolo  intona  una  laude  di 
gloria* 


La  mattanza  del  tonni  a  Pavigoana. 

Eraergono  i  primi  dors!  lucenti,  enormi,  bruni  come  dorsi  di  bestie  impazzate ;  al- 
lora  coraincia  la  mattanza,  cio6  I'uccisione  dei  tonni :  i  marinai  dalle  due  grandi 
barche  si  curvano,  e  tutti,  armati  di  accette,  attendono  che  le  vittime  siano  a  tiro 
per  agganciarle ;  quelle  si  dibattono  e  qualche  volta  portano  via  I'accetta,  ancora  in- 
fitta  nella  ferita,  la  quale,  nella  fuga,  da  fiotti  di  sangue. 

Quando  il  tonno  non  sfu?ge,  i  marinai  con  le  accette  lo  traggon  su ;  il  pesce 
enorme  d^  tremendi  balzi,  tre  0  quattro  marinai  fanno  sforzi  erculei  nel  tirarlo,  il 
ventre  e  tutto  uno  splenJore  di  iridescenze  che  si  macchia  rapidamente  di  sangue ; 
il  tonno  vien  tirato  fin  sul  bordo,  e  poi,  con  un  rapidissimo  moto,  per  scansare  i 
colpi  di  coda,  dagli  stessi  marinai  che  Than  preso  6  spinto  dentro  la  barcaccia, 
dove  il  fiociniere  gli  dk  il  colpo  mortale  e  il  tonno  continua  a  sbattere  furiosaraente 
la  coda. 

Nello  stesso  tempo  che  ne  6  preso  uno,  ne  son  presi  cinque,  dieci  insieme  dagli 
altri  marinai ;  mentre  Pacqua,  agitata  fortemente,  6  tutta  coperta  di  schiuma :  da 
ogni  tratto  i  dorsi  e  i  ventri  luccicano  suUe  sponde  delle  due  grandi  barche :  feriti 
sobbalzanti,  trattenuti  dagli  uncini,  certuni  si  tingono  d'un  sangue  cupo,  che  par 
quasi  nero  quando  scorre  sul  bruno  dei  dorsi ;  altri  si  tingono  d'un  sangue  ver- 
miglio  quasi  giocondo :  certe  ferite  ddnno  un  sol  fiotto  di  sangue ;  certe  altre  ne 

ArchUfio  per  le  trciditfioni  popolari.  —  Vol.  XXIII.  61 


510  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

versano  con  gran  furia  e  in  gran  copia  come  se  fosse  cacciato  fuori  da  un  intemo 
lavaggio ;  e  I'uccisione  dura  spietata  per  circa  un'ora  fra  quel  frastuono  di  colpi, 
di  voci,  di  spume  agitantisi  che  fan  i'acqua  in  molti  punti  tutta  rossa  come  se 
sul  campo  di  queiruccisione  fosse  caduto  e  vi  ondeggiasse  lungamente  il  drappo 
rosso  d'un'enorme  bandiera  sconfitta. 

Ora  questo  spettacolo  pieno  di  imponenza,  non  scevro  di  una  beliezza  rude  e 
solenne,  quasi  epica,  assume  aspetto  assoiutamente  grandioso  nelle  Tonnare  del 
commendatore  Florio  a  Favignana,  che,  come  si  sa,  oltre  ad  essere  le  piO  impor- 
tanti  del  Mediterraneo,  d^no,  esse  sole,  la  sicurezza  di  assistere  alia  meravigliosa 
pesca,  per  il  fatto  che  quasi  ogni  giomo  si  fanno  copiose  mattanze. 


II  tesoro  di  Porciaao  oel   Casentioo. 

Si  crede  in  tutto  il  Casentino  che  in  Porciano  sia  nascosto  un  gran  tesoro ;  e 
la  credenza  6  formulata  nel  seguenti  versi  popolari : 

A  Porciano  in  Casentino 
Tra  una  fonte  e  uno  spino 
Si  trova  una  compera  d'oro  fino 
Che  vale  quanto   tutto  il  Casentino   i). 


x)  C.  BENI,  Guida   illustrala  del  CasenHnOy   p.  i68.  Firenze,   Niccolai   1889. 


RIVISTA  BIBl.IOGRAFICA 


EMMA  PERODI.  L.e  OOVCll^  dclla  t}Ot}t}9k-  Fiabe  fantastichc.  Part^  quattro. 
Firenze,  Adriano  Salani,  editore,  1906.  In-i6«,  pp.  291,  343,  317,  341. 

Non  nuove  pei  cultori  del  folklore,  queste  NovelU  vennero  tninutaniente  de- 
scritte  nel  n.  5854  del  la  nostra  Bibliografia  delle  Iradizioni  papolari  d*  Italia 
(Torino-Palermo," Clausen,  1894)  poco  dopo  che  Edoardo  Perino  ne  diede  fuori  La 
prima  edizione.  Se  non  che,  in  quella  le  novelle  erano  ventisette  e  qui  son  qua- 
rantasei,  cio6  piii  di  died  per  ogni  volume. 

II  titolo  di  novelle  sta  bene  pel  gran  pubblico  pel  quale  furono  esse  scritte,  ma 
parte  di  esse  sono  appunto  novelle  0  fiabe  che  voglia  dirsi,  parte  s*5no  leggende;  e 
riconoscono  origini  diverse  e  provenienza  non  del  tutto  popolare.  L'  arte  vi  cam- 
psggia,  e  tutte  le  investe,  le  plasma  coraponendone  tanti  racconti  ^uanti  sono  1 
motivi  che  I'Autrice  pu6  aver  trovati  in  raccolte  italiane  e  tedesche,  0  rilevati  ni 
libri  toscani  0  uditi  dalla  viva  voce  di  donne  e  di  uomini  dell  a  sua  dolce  e  bena- 
mata  Toscana.  A  questa  specialraente  si  devono  gli  element!  piii  copiosi  onde  son 
format!  codesti  racconti;  e  la  Toscana  coi  suoi  Appennini,  coi  suoi  burroni.  ^:on  ie 
sue  baize  ridenti  0  paurose,  coi  suoi  castelli,  appresta  larga  materia  di  ricordi 
storici  trasformati  0  perdentisi  in  leggende,  che  la  Perodi  prende  e  raette  a  profvtto 
per  rendere  le  sue  narrazioni  (che  a  noi  si  presentano  fulgide  Ji  imm.iginifc,  squi- 
site  di  sentimenti,  gaie,  affascinanti  di  stile,  morali  di  scopo.  Cosi  quando  6  tutto 
un  fondo  storico  e  quando  storiche  e  sempre  topograficamenle  esatte  sono  soltanto 
le  circostanze  0,  come  oggi  si  direbbe,  I'arabiente.  In  quella  region*  d' Italia  dove 
la  storia  h  stata  scupolosamente  conservata,  dove  tutto  parla  di  avveniroeuti,  di 
aneddoti,  di  persone  e  di  cose  dei  tempi  andati,  la  maestria  d'una  donna  dj  alto 
ingegno  e  di  singolare  attitudine  a  cosiffatte  opere  non  pu6  non  rjuscire  a  com- 
posizioni  notevoli  per  la  incipiente  fanciullezza.  ^  un  merito,  questo,  del  quale, 
checch6  se  ne  possa  pensare  dagli  specialist!  —  e  noi  pensiamo  con  essi  —  bisogna 
tener  conto  nella  Perodi.  II  fatto,  Paneddoto,  il  nome  6  il  nucleo  d'  an  racconto, 
come  un  pregiudizio,  una  credenza,  una  tradizione  toponomastjcat  un  uso  lo  & 
di  una  fiaba.  La  tradizione  ed  anche  la  ubbia  sono  le  basi  deiredificio  fantastico 
dalla  Perodi  creato  a  diletto  delle  menti  tenerelle  vaghe  di  racconti  maravigliosi 
e  stupefacenti 


512 


ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 


Scrivendo  per  VArchivio  noi  non  possiamo  accettare  senza  il  beneficio  deirin- 
ventario,  senza  distinguere  cosa  da  cosa,  tradizione  da  creazione,  la  materia 
novellesca  di  una  raccolta.  Noi  abbiamo  il  dovere  di  controllarae  la  natura  e  la 
materia,  perch6  non  si  concorra  anche  dalla  parte  nostra  ad  accrescere  equivoci 
0  a  creare  malintesi  intorno  all'una  e  all'  altra.  Noi  cooperiamo  alia  luce  della 
letteratura  e  della  etnografia  tradizionale.  Ma  dobbiamo  tener  presente  che  la 
pubblicazione  in  esarae  non  fu  fatta  per  noi,  non  ha  nessun  accenno  alia  ordinaria 
indicazione  dei  nostri  studi :  Novclle  pop.  raccolte^  ecc.  La  Perodi  le  dk  come  sue:  e 
sue  sono,  e  noi  non  abbiamo  diritto  di  esigere  da  lei  quello  che  essa  non  s!  propose  di 
fare,  essa  che  parti  da  punti  diversi  dai  nostri,  ed  intorno  a  principi  letterari  ed 
educativi  che  non  sono  deW A rchhf to  e  che  VArchivio  non  ha  diritto  di  discutere. 

Ecco  perch6  ci  limitiamo  a  rilevarne  solo  I'indole :  la  quale  ha  pure  un  grande 
addentellato  nel  folklore,  anzi  dal  folklore  parte  e  forse  un  giomo  al  folklore  dovra 
ritornare. 

La  edizione  6  illustrata,  e  ciascuno  dei  quattro  volumi  ha  una  vignetta  a  cromo- 

litografia:  "quattro  squisiti  quadretti  rappresentanti  delle  nonne  che  raccontano  a 

bambini  ed  a  fanciulli,  quattro  simpatiche  vecchiette  che  ci  fanno  ricordare  esseri 

cari  che,  ahim6!  non  rivedremo  mai  piii. 

G.  PURE. 


Cootes  lic^nti^ux  d^  Constantinople  et  de  I'Asi^  f^ineure 

recueillis  par  JEAN  NICOLAID^S,  Professeur  au  Lycee  de  Chios.  Kleinbronn, 
Gustave  Picker,  Libraire  depositaire.  Paris,  1906.  T.  1.  d.  «  Contributions  au 
Folklore  (^rotique  >. 

In  una  recente  rassegna  bibliografica  de\V Archivio  (p.  256)  abbiamo  detto, 
e  qui  stesso,  nel  seguente  articolo,  diciamo  della  grande  raccolta  di  document!  della 
vita  naturale  e  morale  che  il  Dr.  Krauss  viene  facendo  e  che  una  nota  Casa  edi- 
trice  tedesca  viene  pubblicando   col   titolo  suggest! vo  di  Antropofiteia. 

Ecco  ora  un'altra  raccolta  congenere  di  proporzioni  piii  raodeste,  la  quale  si 
propone  di  accrescere  la  materia  conosciuta  dei  racconti,  delle  canzoni,  degli  usi 
osceni  presi  dalla  tradizione  orale  del  popolo. 

La  parola  popolo  vuolsi  qui  prendere  in  un  senso  piCi  lato  che  comunemente 
s'intende.  Molti  racconti  grassocci  si  narrano  in  mezzo  ad  allegre  brigate  per  lo 
pill  civili  e  di  una  mediocre  se  non  elevata  cultura;  e  quelli  contenuti  nel  volume 
del  prof.  NicolaTdes  ne  son  documento.  Intrecci  drammaticamente  comici,  situazioni 
equivoche,  soluzioni  inaspettatamente  lubriche,  motti  sboccati,  audaci,  ne  compon- 
gono  la  tela,  ne  formano  il  complesso,  ragioni  sempre  aroene  di  ilaritil  malizlosa 
e  di  scollacciati  commenti. 

I  sessanta  racconti  di  questo  volume  offrono  i  tipi  piCj  bizzarri  della  novel- 
listica  erotica,  Tuno  pid  vivace  delPaltro,  e  tutti   d'  una  crudezza  di  frasi  e  di 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  5 1  3 

espressioni  che  rispondono  pienamente  alia  crudezza  deJla  invenzione  o,  meglio, 
della  composizione ;  giacchd  se  moiti  del  racconti  di  questo  genere  possono  ritrarre 
fatti  realmente  accaduti,  molti  altri  possono  egualmente  avere,  come  hanno,  ori- 
gine  erudita  0  d'arte.  Bisognerebbe  prender  le  mosse  dalla  piCi  remota  antichitii 
letteraria  e  fermarsi  alia  medioevale  per  aveme  le  prove  documentali. 

Tanta  crudezza  di  narrazione,  che  farebbe  arrossire  anche  i  piii  adusati  a  cosif- 
fatte  narrazioni,  pu6  trovare  spiegazione  nello  scopo  eminentemente  scientifico  dei 
raccoglitori,  senza  del  quale  non  avrebbe  ragione  di  essere.  11  racconto  pel  racconto, 
messo  in  luce  per  allettamento  dei  sensi,  per  soddisfazione  di  libertinaggio  sarebbe 
colpevole.  Solo  glMntendimenti  retti  dell'editore  lo  spiegano  e  giustificano.  1  cultori 
di  novellistica,  pei  quali  la  raccolta  presente  e  fatta  e  con  altre  raccolte  simili 
potr^  formare  collezione,  vi  avranno  molto  ma  molto  da  studiare:  la  roedesima 
novella  presso  van  popoli,  i  fili  conduttori  verso  temi  delPeta  di  mezzo,  qualche 
reminiscenza  conosciuta  nell'antica,  e  le  forme  piii  o  meno  nude  che  essa  assume 
in  una  regione  e  perchd  le  assume  e  come  si  modifica  ed  in  che  maniera  si 
localizza,  e  gli  adattamenti  ai  quali,  per  farsi  strada,  passarei  vivere,  perpetuarsi. 
si  sottopone. 

Pagine  degne  di  considerazione  sono  preposte  al  volume  del  Nicolaides,  intomo 
ai  racconti  erotici  dell'antica  Grecia.  Vi  si  rileva  la  poca  conoscenza  nostra  della 
letteratura  popolare  di  essa,  la  fortuna  delle  fa  vole  milesie,  prima  forma  dei  rac- 
conti erotici  della  classica  antichiti^,  la  leggerezza  e  rapidita  delle  quali  viene 
richiamata  dai  fad/tau.v,  dalle  novelle  boccaccesche  sia  del  Certaldese,  sia  degli 
Imitatori  di  lui  e  da  altri  scrittori  d'ltalia,  di  Francia  e  di  fuori.  Autore  di  questo 
studietto  h  G.  Froidure  d'Aubigne,  pseudonimo,  che  forse  e  da  identificare  col 
biografo  del  povero  NicolaYdes,  C.  de  W.,  altro  pseudonimo  d'un  dotto  folklorista 
e  pubblicista  francese,  professore  al  Liceo  Bonaparte  a  Parigi ;  e  di  lui,  uno  degli 
editori,  dev'essere  Tavvertimento  proemiale  della  Raccolta,  che  si  apre  con  la  se- 
guente  osservazione : 

<  Si  Ton  considere  que  la  litt^rature  erotique  populaire  ou  savante,  est  une 

des  bases  de  la  mythologie,  de  I'histoire  des  religions  et  des  philosophies,  et  du 

folklore,  en  meme  temps  qu'  une  des  assises  de  la  litterature  de  tous  les  peuples, 

nous  pensons  qu*  il  est  n^cessaire  de  completer  les   colletions  existantes  et  de 

recueillir  pendant  qu'  il  en  est  temps  encore,  ce  qui,  demain,  sera  submerge  par 

I'instruction  gen^rale  (i). 

G.  PITRE. 


(i)  Mentre  correggiamo  le  stampe  di  questo  annunzio  ci  giunge  il  11  vol.  delle 
Contributions:  Contes  licentieux  de  I' Alsace.  Sarli  peril  seguente  fascicolo. 


514  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONl  POPOLARI 

Aotropofiteia.  -  JahrbUcher  fur  Folkloristische  Erhebungen  und  Forschungen 
zur  EntwicklungsgeschicKte  der  geschlechtlichen  Moral  herausgegeben  von 
Dr.  FR.  S.  KRAUSS.  III.  Band.  Leip-ig,  Deutsche  Verlagsactiengesellschaft  1906. 
ln-8  gr.,  pp.  449.  Mark.  30. 

Nella  corrente  annata  deWArchivio  ci  siamo  occupati  dei  primi  due  volumi,  ed 
abbiamo  significato  le  nostre  impressioni  su  di  essi.  Eccoci  ora  al  terzo,  che  cofH 
tinua  la  materia  di  quelli,  e  nuova  e  diversa  ne  aggiunge. 

Continuazione  di  materia  g\k  incominciata  6  la  raccolta  di  racconti  e  aned- 
doti  slavi  meridional],  la  quale  era  stata  interrotta  al  n.  466,  e  qui  tocca  alia 
cifra  tonda  di  569 :  testo,  versione  tedesca  e  note  comparative.  Avevamo  rilevato 
ventidue  titoli  per  la  classificazione  di  siffatti  racconti ;  ora  dobbiamo  notare  che 
la  parte  nuova  e  distribuita  in  altri  quattro  titoli,  che  siamo  costretti  a  riferire  nel  testo 
tedesco:XXin.  I'on  sodomiiisc'i^n  Verirrungen ;  XXW .  Von  jenen,  die  zur  Aus- 
Ubting  des  Beischla/es  unfdhig geworden,  XXV.  Von  Arsch  ;  XXVI.  Von  Farzen.  I 
conoscitori  della  lingua  restano  intesi  di  che  si  tratta,  e  dei  generi  di  narrazioni 
che  vi  sono  esposti  fino  aH'orificio  della  defecazione  ed  a  quello  che  in  latino 
grasso  si  chiama  crepUus  veniris.  Se  hanno  vaghezza  di  conoscere  la  provenienza 
di  queste,  sapranno  che  esse  sono  di  van  comuni  dell'  Ungheria  meridionale, 
della  Bosnia,  della  Serbia,  della  Croazia  e  di  altre  contrade:  provenienza  non 
certamente  isolata  e  originaria.  ma  sorpresa  in  quel  comuni  come  purtroppo  po- 
trebbe  sorprendersi  0  accertarsi  in  altri.  Giacchd  il  pid  volgare  buonsenso,  se  non 
la  critica  piu  eleraentare,  richiama  ad  altri  paesi,  nei  quali  molte  di  quelle  narra- 
zioni sono  state  udite.  0  a  libri  che  le  hanno  pubblicate.  Col  Dr.  Krauss,  che  ora  le 
mette  in  luce,  si  ha  argomento  di  vedere  che  se  esse  sono  sparse  un  po'  qua,  un 
po*  1^,  presso  popoli  di  razze  diverse,  tutte  si  trovano  presso  gente  d'una  me- 
desima  lingua;  il  che  significa  che  quella  gente  k  ben  disposta  ad  accoglierie,  ed 
anche  k  terreno  propizio  alia  loro  localizzazione  e,  ci  si  lasci  dire  la  parola, 
alia  loro  irapostatura.  Niente,  infatti,  manca  alle  circostanze,  alle  persone  ed  ai 
luoghi;  ed  anzi,  in  un  dato  numero  di  novelline  h  cosi  perfetto  Pambiente,  dain- 
durre  ad  ammettere  una  larga  produzione  slava  e  slovena;  donde  la  particolare 
importanza  della  Raccolta. 

Tomando  un  po'indietro^al  principiodel  volume, epercorrendolotutto,vitroviamo 
i-Un  saggiodi  idiotismi  erotic!  della  lingua  magiara,  messo  insieme  dal  D.  Aladar 
R^tfalu.  Notevoli  i  sinonirai  dell'amplesso,  degli  organi  sessuali,  della  donna  pubblica. 
2«  Commercio  del  proprio  corpo  come  esercizio  di  culto  nelle  donne :  notizie  spigo- 
late  nella  storia  antica  e  modema,  presso  popoli  civih  e  non  civili,  dal  Dr.  Krauss. 
3"  n  parte  nelle  credenze  e  negli  usi  delPAlta  Austria  e  di  Salzburg  di  A.  M.  Pa- 
chinger.  4"  Canzonette  della  Stiria,  trascritte  da  E.  K.  Blumml.  50  Rime  e  canzoni 
magiare  di   Eisenburg.   di   Grosswardein  e  d'altri  posti,  6*  La  prova  della  ver- 


RIVISTA  BIBLIOGRAFICA  515 

giniti  del  la  ragazza,  di  W.  Godeliick.  T  Racconti  magiari  dei  dintomi  di  Gross- 
wardein.  8*  Racconti  dei  contadini  tedeschi,  raccoltf  da  F.  Wernert,  che  sommano 
al  bei  numero  di  centoquattro.  9"  Centosettantacinque  proverbi  e  modi  proverbiali 
alsaziani.  io«  Diciotto  altri  magiari.  11"  Dugentrentotto  francesi.  > 

Nella  rubrica  degli  indovinelli,  120,  ve  ne  ha  otto  alsaziani ;  sei  magiari ;  otto 
francesi,  in  forma  di  domande.  Segue:  13"  Cento  canti  erotici  austriaci  raccoiti  ed 
annotati  dai  citato  E.  K.  Blumml  e  seguiti  da  trentatrfe  meiodie,  dalle  quali   non 
sari  difficile  tirare  qualche  conseguenza  suila  possibile,  anzi  probabile  e  forse  na- 
turale  armonia  tra  la  malizia  e  la  scollacciatura  delle  parole  e  le  note  musicali.  i4<»  Can- 
zonette  erotiche  e  scatologiche,  fanciullesche  e  .giovanili.  A  proposito  di  queste  e 
da   avvertire   che   la  qualificazione   di   scatologkhe  non   e   esclusiva,  perch^  si 
estende  a  tutta  la  materia  del  volume,  anzi  della  collezione  del  Dr.  Krauss,  senza 
di  che  non  sarebbe  essa  una  speciality,  n6  avrebbe  ragione  di  portare  il  titolo  ge- 
'  nerale  che  porta.  Sia  che  sorpassi  alia  decenza,  sia  che  si  allontani  dalla  morale 
quale  comunemente  s'intende,  sia  che  scivoli  nelle  manifestazioni  piii  audaci  di 
lubricitii  0  di  oscenita,  tutto   il    contenuto  deW Aniropo/ileia  6  addirittura  scato- 
logico.  E  scatologiche,  anche  nel  titolo  che  portano,  sono :  15"  Alcune  iscrizioni  da 
cessi :  piccolo,  ma  efficace  contributo  alia  letteratura  murale.  i6'  Scritto  curioso  6 
quello  del  D.  Krauss  sopra  lo  strumento  tradizionalmente  giunto  a  noi  per  assi- 
curare  la  fedeltd  della  donna.  II  Kr.  richiama  a  scritti  precedent!  e  in  fine  del  vo- 
lume riporta  un  antico  disegno,  che  non  dev'essere  stato  ne  il  piu  comodo,  ne  il 
pid  gradito,  com'era  certamente  il  piu  demoralizzante  per  la  donna  che  doveva 
averlo  applicato  da  mariti  gelosi  fino  all'aberrazione.  II  lettore  lo  vedra  col  titolo: 
fCeuschheitsgUter.  17"  L'uomo  sessuale  secondo  le  fonti  scritte  dei  Greci.   i8«»  La 
sopra  nominata  raccolta  di  racconti  slavi  del  Krauss. 

Articoli  nuovi,  ma  di  non  minore  curiositd  chiudono  il  volume,  e  fra  essi  uno 
di  amuleti  fallici,  illustrati  con  disegni  e  tavole  fototipiche  di  originali  in  bronzo  0 
in  terracotta  del  Museo  di  Berlino. 

G.  PITRE 


L.Ob^cK>scl)^s  Spi^l-uo^  RatselbucI)  von  calmar  Schumann.  Druck- 
und  Verlag  von  Gebr.  Borchers.  Lubeck  1906.  ln-8,  pp.  XXII-ao8. 

Giuochi  fanciuUeschi,  giuochi  di  giovani,  di  adulti  e  di  uomini  fatti ;  indovi- 
nelli :  ecco  il  contenuto  di  questo  libro.  I  giuochi  son  preceduti  da  un  centinaio  di 
canzonette  a  ballo  e  d'altro  genere,  nelle  quali  la  metrica  fa  proprio  sentire  i  mo- 
vimenti  della  danza,  e  ne  ritrae  il  salterellio  cadenzato  e  monotono.  Uno  studio 
accurate  su  di  essi  ne  rileverebbe  allusioni,  accenni  e  riminiscenza  di  persone  e 
di  luoghi,  che  a  noi,  fugacemente  scorrendoli,  richiamano  antiche  usanze  e  vecchie 
istituzioni  e  fatti  ora  del  tutto  scomparsi.  CosI  h  non  di  rado  nella  poesia  popolare 
nfantile  ed  anche  giovanile,  dove  sopravvivono,  in  semplici  inintelligibili  vocaboli, 


5l6  ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 

parsone  e  cose  sottrattesi  alia  vigilanza  della  storia.  Riferiamo  com'essa  viene, 
aprendo  il  libro,  una  dl  queste  canzoa^tte,  le  quali,  come  le  tradizioni  tutte  del 
libro,  provengono  da  Lubecca: 

Kling,  Klang,  Kloria, 
Wer  sitzt  in  der  Kantoria? 
Da  ist  die  Konigstochter  drin : 
Kann  man  sie  nicht  zu  sehen  Kriegn? 
Nein,  Mutter,  nein» 
Die  Mauern  wo!  In  wir  stechen 
Die  Steine  wolln  wIr  brechen. 
Koram  her  und  fass  an  meinen  Rock  I 

Questa  canzonatci  ha  quattro  variant!. 

Tra  cant!  e  giu3:hi  i!  S\^.  Schumann  di  fuori  346  tradizioni,  altre  consac rate 
nella  forma  ri'tsnica,  altre  de.v:ri:te  da  lui  ed  altre  miste,  quelle  cioe  nelle  quali  la  de- 
scrizione  d'un  giuoco  b  interrotta  ed  intercalata  con  versi  e  formolette  poetiche.  Di- 
ciamo  giuoco,  e  intendiamo  la  parola  nel  si<nifi:atocDmplessivodi  passatempo,  di- 
vertimento ed  anche  balocco.  La  divisione  che  I'editore  ne  ha  fatto  6  per  gruppi  in 
ragione  del  tipo  dominante,  del  gesi:o,  delle  raosse,  della  mimica,  della  destrezza 
del  corpo,  deiracutezza  dello  splrito.  Perci6  gli  esercizi  di  agiliti  si  altemano  con 
la  prova  di  forza  ed  i  passatempi  da  slancio  e  da  salto  con  le  sottigliezze  dello 
spirito,  che  pur  tanto  dominaao  nelle  society  e  nelle  pvenitenze  e  nei  pegni  ad  esse 
inerenti  e  quasi  da  esse  indivisibili. 

Orindovlnelli  son  i!;o;  cominciano  in  versi  e  finiscono  a  domande  in  prosa,  cosi 
semplici,  mapurcosi  imbarazzanti  perchl  va  cercando  con  la  mente  Tarcana  risposta 
da  dare.  Basta  aprire  una  delle  principali  raccolte  di  enigmi  pertrovarne  di  simili  ed 
anche  di  eguali.  Lo  ingegno  umano  6  un  po'  dappertutto  lo  stesso,  e  dove  non  invent! 
accetta  le  invenzioni  altrui,  e  poi  modihca  a  modo  suo  1' invenzione,  e  ne  fa  una 
tradizione. 

La  copiosa  raccolta,  oltre  che  bene  ordinata,  h  annotata  con  giudiziosa  e 
parca  erudizione. 

G.  PiTRfc. 


BULl.ETTINO  BIBLIOGRAFICO 


E.  CAPRA  CORDOVA.  Uggende  pae- 
sane.  Catania,  Giannotta  1906.  In-i6*, 
pp.  56. 

Son  tre,  artisticamente  scritte  su  roo- 
tivi  popolari.  La  prima  6  ia  Leggenda  del 
Crista  di  Sant'Anna,  fondamento  della 
quale  h  una  statua  che  I'artista  ha  ia- 
vorato  di  tutto  punto  senza  per6  sa- 
peme  compire  la  testa,  non  trovando 
forma  plastica  che  risponda  al  suo  al- 
tissimo  ideale ;  onde  egli,  colto  dal  sonno 
e  svegliatosi,  la  trova  fatta,  divinamente 
bella.  La  seconda  e  //  tesoro  di  San 
Marco,  leggenda  plutonica  sopra  un 
tesoro  immenso  fatato,  il  disincanto 
del  quale  e  pqssibile  durante  la  fiera 
nottuma  che  ricorre  ogni  sette  anni,  alia 
tale  ora  e  con  le  tali  e  tal'altre  impre- 
scindibili  condizioni,  ragione  d' impossi- 
bility di  riuscita.  La  terza,  Ignis  ae- 
j/Ma«5(nome  preso  da  una  giovine  suora) 
dipinge  un  mtracolo:  un  incendio  di  roba 
portata  da  Catania,  oveinfieriva  lapeste, 
da  un  forestiere.  che  la  previggenza  dei 
capi  di  Aidone  avea  tenuto  fuori  dal  co- 
mune,  in  campagna.  11  miracolo  sarebbe 
avvenuto  nella  ricorrenza  della  duplice 
festa  della  Madonna  delie  Grazie  e  di 
S.  Lorenzo  nel  mese  di  agosto. 

Questi  tre  motivi  localizzati  in  Ai- 
done, dove  corroho  popolari  e  donde  li 
ha  tratti  I' A.  facendone  tre  racconti  let- 
terariamente  belli  (specialmente  il  primo) 
son  patrimonio  di  parecchi  paesi  della 
Sicilia.  Noi  abbiamo  riscontrato  il  primo 
nelle  tradizioni  dei  Crocifissi  di  Monte- 
lepre  e  di  S.  Margherita  del  Belice,  del 
S.  Giovanni  di  Ragusa,  del  S.  Michele  Ar- 
cangelo  di  Caltanissetta,  della  Madonna 
della  Neve,  di  S.  Lucia  del  Mela,  del 
S.  Placido  martire  di  Biancavilla  (cfr. 
FesU  paironali  in  Sicilia).  Tipo  del  se- 
condo  6  la  fiera  nella  notte  di  S.  Gio- 
vanni, che  si  fa  specialmente  nella  grotta 
di  Marabedda,  a  S.  Giuseppe  Jato,  nella 
provincia  di  Palermo. 

Frammento  di  variante  dei  terzo  6  la 


pi  a  leggenda,  sopra  citata,  di  S,  Michete 
Arcangelo  in  Caltanissetta  (cfr,  Frsu 
paironali^  n.  LI  1 1). 


Can.  Dott.  Prof.  MARCO  BELLI,  ^ftigia 
e  Pregindizi  in  Tito  Lucrezio  Caro, 
Monza,  Tip.  Artigianelli  1906,  In-flo, 
pp.  26. 

—  De  quibnsdatn  praeiiidicatis  vni^a- 
ribus  opinionibtts  deque  artii  ttiagiiae 
vesligiis  in  G.  Lucilii  saiirarum 
fras^mentis.  Romae.  Typis  Cuggiani 
MDCCCCVI.  ln-8»,  pp.  15. 

Continuando  attivamente  i  suoi  stuJi 
sopra  il  folklore  negli  scrittori  latini,  il 
Prof.  Belli  ci  d^  quello  sul  Dr  trrum 
nalura  di  Lucrezio  Caro  e  suJ  fram- 
menti  delle  satire  di  G.  Lucilio*  La  ma- 
teria, a  paragone  dell'altra  da  IT  A.  rile- 
vata  in  altri  poeti,  non  h  copiosLi;  ma 
k.  pur  sempre  baStevole  a  confermare 
che  anche  i  piii  grandi,  anche  spiriti  i\>rti 
come  Lucrezio,  non  seppero  o  non  po- 
terono  serbarsi  immuni  dalle  ubbie  Jel 
tempo.  Diciamo  ubbie,  e  dobbiamo  ag- 
giungere  errori,  perche  la  mancanza  di 
conoscenze  induceva  in  errore  e  poeti  e 
prosatori  e  scrittori  di  ogni  grade.  CosI 
si  spiega  la  negazione  della  esistenza 
degli  antipodi  secondo  Lucrezio.  nega- 
zione che  era  dottrina  d'allora.  Cusi  an- 
che si  spiegano  le  teorie  intorno  alle 
zone,  ai  venti,  alia  terra,  al  sole  oriente, 
alle  nuove  lune,  alia  fonte  d'  acqua 
dolce  nel  mare,  ed  all'origine  dei  niorbi: 
argomenti  tutti  cantati  per  esteso  0  cen- 
nati  appena  dal  filosofo  epicureo  btino. 
Comune,  del  resto  egli  ha  con  i  suoi 
contemporanei  le  superstizioni  intomo 
alle  larve  0  apparizioni  dei  morti,  agli 
scherzi  dei  Satiri  e  dei  Fauni,  alia  sa- 
liva umana  letale  pel  serpente,  al  ijallo 
che  uccide  il  leone,  ai  centauri.  al  fiore 
d'Elicona  che  uccide  col   suo  odore.  ecc. 

Lucilio  di  Sessa  Aurunca  (n.  574*  m.  651 
di  Cr.)  ha  ricordi  delle  prefiche  e   delle 


Archimo  per  le  tradisioni  popolari.  —  V'ol.  XXIIL 


H 


5i8 


ARCHIVIO  PER  LE  XRADIZIONI  POPOLARI 


saghe,  dei  terrori  notturni,  che  per  Lu- 
crezio  son  pure  diumi,  e  di  stregonerie 
e  della  scirpe  palustre  e  dei  vati  marsi 
e  dell'arco,  donde  il  Belli  ne  trae  la  con- 
clusione :  «  Romanos  uti  et  ceteras  gen- 
tes,  ab  incunabulis,  supers titionibus 
imbutos  fuisse  ;  cuius  supers :itionis  na- 
tura  est  ea  quae  in  dies  proticiat,  quo 
magis  homo  libidinibus  indulgens  a  veri 
Dei  cultu  deflectat>. 


LUIGI  M.  MAJORCA  MORTILLARO,  conte 
di  Francavllla.  Letlighe,  Portantine  e 
Personaggi  del  Seitecento.  Ricerche 
sloriche-artistiche .  Terza  edizione.  Pa- 
lermo, Reber  1906.  In-I6». 

Lodiamo  I'egr.  autore  del  nuovo  for- 
mate della  presence  edizione,  che  al- 
meno  rende  maneggevole  e  leggibile  il 
lavoro;  mentre  le  altre  due  sono  im- 
possibili  per  Vin-folio. 

Su  quelle  prime  questa  edizione  si  av- 
vantaggia  per  un  bel  numero  di  notizie 
nuove  od  ora  messe  in  evidenza,  le 
quali  lumeggiano  I'argomento  special- 
mente  della  portantina,  e  rendono  at- 
traente  e  diletftevole  la  lettura  delPopera. 


EUCLIDE  MILANO.  Folklore  Pienioniese: 
La  Strega  Micilina.  Bra  1906.  In-8«, 
pp.  24. 

La  Strega  Micilina  fu  una  sciagurata 
donna,  stata  bruciata  viva  per  ordine 
delPautoritil  del  villaggio  di  Pocapaglia 
del  secolo  XVII. 

11  processo  di  lei,  visto  da  molte  per- 
sone,  non  si  6  potuto  avere  n6  in  origi- 
ginale,  n6  in  copia ;  ed  altro  documento 
in  proposito,  non  ostensibile  per  malin- 
teso  zelo  dei  custodi,  giace  nell'archivio 
della  parrocchia  del  luogo. 


Quello  che  ora  ne  racconta  il  diligente 
prof.  Milano  viene  dalla  tradizione:  e 
questa  racconta  cose  terribili  e  inaudite, 
componendo  una  leggenda,  anzi  piu  leg- 
gende,  strane  e  paurose  con  parti  colari 
provenienti  da  altre  leggende  del  ciclo 
della  stregheria  e  della  stregoneria. 

Nella  difficoltA  di  rappresentarle,  ri- 
mandiamo  alia  lettura  del  presente  opu- 
scolo,  che-  minutamente  le  raccoglie. 

P. 


Romances  Popular es  de  Castilla,  reco- 
gidos  por  NARCISO  ALONSO  A.  COR- 
TES. Valladolid,  Imprenta  Sienz.  1906. 

t  noto  che  i  romances  costituiscono 
tuttora  una  ricchezza  viva  nei  canti  po- 
polari  della  Spagna ;  bench^  di  essi  sia 
accaduto,  come  dei  nostri,  che  troppo 
spesso  I'opera  del  poeta  d'arte  si  sia 
scambiata  con  quella  degli  indotti,oscuri, 
ignoti  cantori  di  popolo;  tuttavia  il  dif- 
fonaersi  e  il  sopravvivere  nel  favore  e 
nelPuso  del  popolo  stesso,  indica  che  ri- 
spondono  ai  suoi  sentimenti,  e  al  tempo 
stesso  si  colorano  delle  schiette  e  sem- 
plici  tinte,  care  ai  gusti  semplici.  Percid 
interessano  ognora  il  paremiologo :  e  gli 
studios!  non  della  sola  Spagna,  saranno 
grati  al  prof.  Alonso  Cortes  d'aveme 
raccol'.o  un  buon  manipolo,  dalla  viva 
bocca  dei  recitanti,  che  spesso  del  me- 
desimo  romance  ddnno*  piQ  varieta. 
Avrebbe  giovato  tuttavia  porre  accanto 
al  nome  del  recitante  anzi  che  TetA,  la 
condizione  sociale,  che  non  e  senza  in- 
teresse  in  quest'ordine  di  ricerche.  L'A. 
premette  un'illustrazione  critica  alia  rac- 
colta;  e  sarA  certo  utile.  Noto  intanto 
un  romance  del  ciclo  carolingio  (vedi 
anche  Cancionero  general  del  1554)  e 
uno  in  cui  «  Biancaflor  »  si  rattrista  sul 
mito  classico  di  Tereo. 

E.  C 


RECENTI   PUBBLICAZIONI 


SI9 


RECENTI  PUBBLICAZIONI, 


DE  FRANCISCIS  (P.).  L'ltaliano  nei 
paesi  dove  si  parla  I'Inglese :  Nuovis- 
sima  Guida  della  conversazione  inj^lese, 
con  i  noti  proverbi  e  idiotismi.  Palermo, 
R.  Sandron  1906.  In-i6o.  L.  1,50. 

DIONISI  (Livia).  Saggio  di  vemacolo 
onegliese: contributo  al  folk-lore  italiano. 
Roma-Miiano,  Societa  ed.  Dante  Aii- 
ghieri  di  Albrighi,  Segati  &  C.  (Oneglia, 
tip.  eredi  G.  Ghilini)  i9o6.1n-8o,  pp.  137. 

FANFANI  (Pietro).  Cento  proverbi  e 
mot  i  itaiiani  d'origine  greca  e  latlna 
dichiarati.  Terza  edizione.  Milano,  Tip. 
F.  Genolini  1906.  In-i6*',  pp.  64. 

Gasperoni  (G.).  Storia  e  vita  romana 
nel  sec.  XVI  (1519-1545).  Jesi,  Stab.  tip. 
cooperativo  1906.  In-8«,  pp.  i8i.  L.  4. 

—  11  palio  di  Siena:  notizie  storiche 
sull'origine  Jelle  corse,  con  aggiunta  la 
descrizione  del  corteo  medioevale  nel 
nuovo  ordinamento  e  nei  nuovi  costumi. 
Siena,  Tip.  Nuova  1906.  ln-8,  pp.  16. 

MELE  (F.).  Napoli  descritta  da  Lean- 
dro  Fernandez  da  Moratin.  Trani,  Vecchi 
1906.  In-i6",  pp.  54. 

MOLMENTI  (P.).  La  storia  di  Venezia 
nella  vita  privata  dalle  origini  alia  ca- 
duta  della  Rerubbli<;a.  Ouarta  edizione 
interamente  rifatta.  Parte  II  (Lo  splen- 
dore).  Bergamo,  1st.  ital.  d'arti  grafiche 
1906.  Iir-80,  fig.,  pp.  656.  Con  14  tavole. 

VADALA'  CELONA  (A.).  Le  feste  so- 
lenni  del  Corpus  Domini  nella  citta  di 
Messina.  Messina,  1906.  ln-8. 

VALLA  (D.).  Notizie  Storiche  sul  muttu. 
Cagliari,  1906.  In-I6^  pp.  16. 


CABANtS  (Dr.).  Commentse  soignalent 
nos  p^res.  Rem^des  d'autrefois.  Paris, 
Maloine  1906.  ln-I6^  pp.  Xl-486.  Fr.  5I 

CABANAS  et  BARRAUD.  Comment  se 
soigne  aujourd'hui.  Remedes  de  bonne 
femme.  Paris,  Maloine  1906.  In -16", 
pp.  390.  Fr.  4.  Bibliothdque  de  curiosiUs 
ei  singularil^s   medicales), 

Cadic  (F.).  Contes  et  L^gendes  de 
Bretagne.    3^  s^rie.  Paris,  1906.  In-8<'. 

DAGUIN  (A.)  et  DUBREUIL  (A.).  Le  ma- 
nage dans  les  pays  musulmans.  Paris, 
Dorbou,  1906.  ln-8'»,  pp.  68. 


LEDitiU  iAlcius).  Contributions  au  tra- 
di  tion  n  i  s  nie  pic  a  rJ :  Bap  temes  .Maria  ges , 
Enterrements,  Cayeux,  OlJivier,  1906, 
In-Sn. 

MlLLIKN  (Achillea  Chants  et  chansons 
recuefllis  e .  classes  avec  les  airs  notes 
par  J.  P.  Penavaire.  T.  I.  Complaints^ 
chants  historiques.  Pahs,  Leroux,  1906. 
In^e^  pp.  XtV^-32S. 

PiNEAU  {Lj.  Le  Rotnancero  Scandi- 
nave.  Choix  de  vieux  chants  pop.  du 
Dane  marc,  de  Suede,  de  la  Norv&ge,  de 
risbnUe  et  des  iles  Feroe.  Traduction 
en  vers  pop.  assonants.  Paris.  E.  Le- 
roux, 1906.  In-B'J. 


DE  COCK  (A,)  en  TlilRLINCK  {ISJ. 
Kinderspel  en  Kindedust  in  Zuid.  Ne- 
deriand,  6  DeeL  Gent.  A.  Siffer,  1906. 
In-e^  pp.  3B1. 


DlirrERiCH  (Alb.).  Mutter  Erde.  Ein 
Versuch  ijber  Voiksreligton.  Leipzig, 
Teuliner  1905.  ln-S»  pp.  Vl-123* 

—  Somraertag.  Leipzig.  Teubner  1906. 
In-S"^'  pice  pp.  38. 

GUEnther  IH.).  Legenden  -  Studlen. 
KOln.  B.ichem  1906.  In-e'\  pp,  tga. 

List  A  Fran  eke.  Kulturgeschichte. 
Folklore.  Auto^raphen.  Lager-Verzei- 
chnis  nr.  383.  Leipzig  1906. 

MOGKfEj.GermanischeMythologle. 
Leip^ii^t  G()schen  1906.  In-a-',  pp.  laQ. 

Passarge  (LJ.  EIti  Ostpreussisches 
Ju^endleben  Zweite  umgearbaitete  u. 
ur^Titerte  Auflage.  Leipzig,  Nachf  i9o6> 
ln'S'\  pp.  338. 

Rudolf  HaupL  Katalog  10.  Volkskunde 
Kultur-und  Sittengeschichte.  Halle  a.  S. 
1906. 

VON  LlPPERHEIDE(Fr.Freiherr).  Spru- 
chwdrterhuch.  Berlin.  1906. 


Library  of  Harvard  Univerelty.  Biblio- 
graphical Contributions  edited  by  W. 
Lane.  n.  56.  Catalogue  of  English  a. 
American  Chap'  Books  a.  Broadside 
Ballade  in  Harravd  College  Library.  Cam- 
bridge,  Moss, 


520 


ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 


SOIVIMARIO    DEI    GIORNALI. 


AUGUSTA  PERUSIA.  A.  I,n.  i.  Perugia 
1906.  U.  Frittelli :  Stoi-nelli  e  Rispetti 
castellani,  neirUmbria. 

N.  2.  Z.  Zanetti  :  Alcune  ninne-nanne 
del  conlado  fra  Perugia  e  Assist. 

N.  7-8.  G.  Nicasi:  Folklore  lifemate, 
variantedellacanzoneZ^oz/waAowdarrfa. 

N.  9.  U.  Frittelli ;  /  Canta-maggio 
nell'Alta   Valle  del  Tevere. 

BOLLETTINO  DI  FILOLOGIA  MO 
DERNA.  A.  Vlli,  n.  8.  Palermo,  ottobre 
1906.  V.   Graziadei :  Pasquino. 

CORRIERE  DELLA  SERA.  A.  XXXI, 
n.  200.  Milano,  24  luglio  1906,  L.  Bar- 
zini :  Dall' interno  del  Marocco.  Vita 
del  la  citt^  di  Fez. 

•  CRONACA  DI  CALABRIA.  Suppl.  n.  7. 
G.  De  Giacomo:  Canti  sacrie  una  laude, 
raffronti. 

FLORENTIA  NOVA.  A.  IV,  n.  i.  Fi- 
renze,  Genova  1907.  [P.  Giorgi]:  Natale 
Calabrese,  canto  popolare  per  la  festa 
di  Natale  raccolto  a  ReRgio  Calabria. 
—  P.  Giorgi  :  Crista  e  S.  PielrOy  tra- 
dizioni  siciliane  raccolte  a  Castroreale, 
riassunte  e  tradotte. 

GAZZETTA  DEL  POPOLO.  A.  LIX, 
n.  210.  Torino,  31  luglio  1906.  E.  Mi- 
lano :  //  coniratto  di  matrimonio  nelle 
Lang  he. 

IL  NUOVO  GIORNALE.  A.  I,  n.  305. 
Firetize,  9  dicembre  1906.  Nello  Puc- 
cioni:  //  Museo  einografico  ilaliano^ 
che  si  viene  istituendo  in  Firenze  per 
opera  del  Prof.  Mochi  e  del  Dr.  Lam- 
berto  Loria  per  generose  largizioni  di 
quest' ultimo  e  del  conte  Giovanni  An- 
gel 0  Bastogi. 

IL  PROGRESSO  DEL  CANAVESE. 
A.  VI,  nn.  19,  25,  26.  Ciri6,  11  maggio, 
22,  29  giugno  1906.  A.  Rambaudi:  Storie 
e  Leggende  Canavesane  narrate  da  uno 
zingaro. 

LA  SICILIA  UNIVERSITARIA.  A.  II, 
fasc.  4-6.  Palermo,  aprile-giugno  1906. 


Stan.  Prato:  Demologia.  Un  disticopop. 
livornese  illustrate  da  note  comparative. 

L'ORA.  A.  VIII,  n.  248.  Palermo,  7  set- 
tembre  1906:  Le  tradizionali  fesle  del 
sett,  sacre  (dla  Madonna  del  Consdlo. 

MINERVA.  A.  XVH,  n.  5.  Roma,  6gen- 
naio  1907.  Vsi  natalizi,  riassunto  di  un 
articolo  tedesco  di  R.  Hennig  pubblicato 
nel  n.  22  dicembre  1906  nel  giomale  te- 
desco Die  Nation.  Discorre  della  data 
del  Natale,  del  Weihnachtsmann,  delle 
mele,  noci  e  altri  doni  di  quest'essere 
fantastico,  deiralbero  natalizio  e  delle 
origin!  della  sua  illuminazione,  delta 
probabile  sua  origine  Indiana  e  della 
sua  diffusione. 

PALERMO,  Xil  MAGGIO  MCMVI. 
Pel  nuovo  Spedale.  Ricordo.  G.  Pitre : 
Gli  antichi  spedali  di  Palernw  net 
motti  popolari. 

RIVISTA  MARCHIGIANA  ILLUSTRATA. 
A.  IV,  n.  I.  Roma,  gennaio  1907.  Luigi 
Bonflgli:  La  letleratura  popolaresca 
march igiana.  Spigolature  da  vecchie 
stampe  del  cinquecento,  con  riprodu- 
zioni  fototipiche.  —  L.  Mannocchi :  Feste 
e  Costumame popolari:  la  fiera  e  la  festa 
dl  S.  Antonio  a  Petri  toll. 

>  SICANIA.  N.  5.  Messina,  agosto  1906. 
G.  Mazzola:  Panorama  tripolino,  VIII. 
Credenze  religiose  e  pregiudizi. 

VOX  URBIS.  Roma,  Ott.-Nov.  1906. 
A.  IX,  nn.  X  e  XL  M.  Belli:  De  qui- 
busdam  praeiudicatis  vulgaribus  opi- 
nionibus  ecc.  in  G.  Lucilii  satirarum 
fragment  is.  Vedi  BollettinoBibliografico. 
—  De  arbornm  cultu  apud  antiques. 


REVISTA  LUSITANA.  Vol.  VIII  (n.  IV). 
Lisboa,  1905.  J.  J.  Nunes;  A  Visdo 
de  Tundalo,  antico  testo  portoghese.  — 
A.  Th.  Pires :  Investigacdes  ethnogra- 
phicas,  n.  22  document!  d'archivio  in- 
tomo  a  costumi,  usanze  e  superstizioni 
in  Portogallo.  -  J.  Moreira :  Factos  da 
linguagem  popular.  -  J.  L.  de  V  [ascon- 
cellos] :    Tradi^Oes   pop.   poriuguesas. 

Vol.  IX,  1906.  N.  I  e  a.  P.  A.  de  Aze- 
vedo :  Duas  poesias  popular es  em  pro- 


SOM MARIO  DEI  GlORNALl 


521 


Cfssos  da  Inquisicio.  -  Pf^tias  popu- 
lares  Portugueses,  IV:  O  }Yfira^^osXQte^ 
poeta  campestre  di  grande  e  ben  meri- 
tata  fama.  -  Miscfilanca :  Prfstft/fs 
pelas  festas  un  d[>ciimento  |K>n:uKhese 
del  1344,  tolto  dairArchivio  Jella  Torre 
do  Tombo,  che  ricofda  Tuso  dei  regali 
che  Oggi  si  dicono  Buone  fesie. 


LA  TRADITION.  A.  XX.  1906.  Genn. 
H.  Camoy:  Conies  ffop.  iirabts.  Conti- 
nuano  nei  nn.  seguenti  -  J.  NicolaTd^s: 
Chansons  pop.  de  Lonstantinofti's  et  dr 
I' Arch'ipel,  Continuami  nei  nn.  s^guenti. 

-  L^onie  Harmois-Ran:iud :  Le  mavia^e 
chez  les  Arabes. 

Febbr.  Eugene  Monseur:  Formations 
religieiises  primitiiei.  Si  occupa  del 
metodo  da  seguire  nelJo  studio  dl  i^ueste 
formazioni.  -  Henriette  Camoy:  Chan- 
sons d' Alsace,  testo  tede^co  ti  verb;ione 
letterale.  Continua  ncl  fasc,  se^uente. 

-  Lucien  Jeny:  Les  /r^endt-s  de  la  na^ 
///r<f.-composizioni  d'arte.  H,  Van  Hiven; 
Les  legendes  des  /tMii*ns  dtiHitti  la 
science  e  I' his  tot  re.  CoiUinua  net  nn.  se- 
guenti.  —  Alph.  Certeux:  l^nt:  Ute  dans 
le  Sahara. 

Marzo-Aprile.  D.  Bourchenin;  Les  no^ 
ces  de  campagne  en  Biat  n.  Continua 
nei  n.  di  giugno-Iuglio.  -  A.  Ledieu  :  /lla- 
son  pop.  de  la  Picardie.  Continua  al  n. 
seguente. 

Giugno-Luglio.  Continuano  gU  articQli 
dei  nn.  precedent!. 

Ages  to  1906..  A.  Gasser:  Omtei  pop, 
de  la  Franc  he-Co  tit  pi  r^  quattro  favole 
del  ciclo  del  lupo.  -  l-  ViJette:  (oHit^s 
des  Flandres.  —  H.  Camoy  :  O^nUs  pop. 
arabes.  —  Henriette  Camov.  Chartxttns 
pop.  d' Alsace,  VHUjX.  ^  Henry  V:in 
Elven:  La  chanson  f/i- 1?  mtlons  dr'i'an/  la 
science  et  I'histoiri-,  —  D*  Th»  Syne- 
phias :  Folklore  mediiat, 

REVUE  DES  QUESTIONS  HISTORI- 
QUES.  N.  159.  P.  Allard:  Les  tJgendes 
hagiographiques,  a  proposito  del  libro 
di  Delehaye. 

REVUE  DES  TRADITIONS  POPU- 
LAIRES.  T.  XXI.  T901.  Nn.  4-5*  Aprile- 
maggio.  P.  Sebillot:  PeUrins  e,'  peieri^ 
nages,  CLVII-CLX.  -  /Jgendis  ei  su- 
perstitions  prehislor  iqufs.    CL-CLVIIL 

-  P.  S.  Qnelques  jftrotis  dans  Ralkeiais. 

-  A.  Robert:  La  Zerda  da  Me  to  bet  Zine. 

-  R.  Basset:  Conte.\  et  Legendes  arabes^ 
DCCX-DCCXVI.  -  R.  L  Lacuve:  Con- 
tribution au  Folk-lore  dtt  Potloti.  -  L. 
Desaivre:  Les  traditions  pop^  chez  tes 
auteurs  poitevins,  V-Vl. 


N.  6,  Giugno.  R.  Basset:  Contei 
iegendes  de  la  Grece  ancirnne,  L-Ll.  " 
Diipuis  Yacouba  :  Lege  tides  de  Cao.  " 
Marie  Ed.  Vaugeoif^:  Conies  ei  Le-endes 
de  Fougerres.  -  C,  Fraysse:  Au  Pays 
de  Baugi,  X. 

N.  8-9.  Aj^.-Sett.  D 'Israeli:  La phitty- 
Sopkie  des  proverbrs,  versione  J^l'ori* 
gin  ale  inglese,  Jatta  da  Ed.  Latham. -P, 
S.   Gijrgantua  dans  les  trad,  pop.,  XVL 

-  Bd.  Edmont;  La  met  et  les  ean.v, 
CCCXVIL  -  D.  Yacouba:  Legemies  du 
Pays  de  i^ao,  Continua  al  n.  seguente 
ed'al  n,  n. 

N.  TO  Dtt.  B.  Heller:  lariantesbon- 
groisea  de  *  L'estttrmi  i-.  -  P.  S^billot : 
f/argautna  ecc,  XVIL  -  R.  Basset: 
Con  tes  el  Lege  f  ides  arabes^  DCCXVIII- 
DCCXV,  Continua  al  n.  la. 

N*  11,  Nov,  Fr,  Macler:  //fsioire  d€ 
Pharmani  As  man,  trad,  dairarmeno 
sopra  un  ms.  del  la  BtbL  nazionale  dl 
Pariii£i.  SI  tratta  di  un  romanzo  0  storia, 
JoiTuraento  di  poesta  proJana  del  meJio- 
evo*  traduzione  d'un  orijcinale  persiano 
o  pehlevi.  Continua  e  finiSi:e  al  n*  la. 

-  Piientts  ei  p^leHnages,  CXLV-CXLIX. 
I.  Filippi  :  Conies  de  Pile  de  Corse. 

K,  iz.  Die,  Con  tes  ti  L^^rndes  de 
liasse-Brriagne,  XLVl-L.  -  Le petiphe 
ei  i'hisioire. 


FOLK-LORE.  vol.  XVIII,  106.  N.  3, 
giugno.  A,  T.Crawford  Cree:  Hack-Foo* 
ted  JJrifiga.,  -  A.  B.  Cook  :  Jlte  lutto- 
peati  Skv-god.  V,  ]  Celti.  Continua  a  I 
n.  3.  -  A.  W.  Ho  Witt:  The  Native  Tribes 
of  SoHth'East  Australia.  -  Colteclanea.- 
A.  H.  Sayce:  Cairetie  Folkb^re.  ML  * 
J.  Meehan:  The  cure  of  Fif-sbonting 
in  the  Xorth'ii'est  of  Ireland  -  R.  C, 
Ma^ilajian:  Additions  to  «  (iawes  of  Ar- 
gyteshire  >  -  Correspondence  -  J^ezttves* 
Vi  si  paria  di  recenti  pubblicazioni  di 
A.  Lan^,  R.  Karsten,  M.  L.  HewiU,  A. 
Wiinscbe*  Ed.  Clodd* 

N,  ^  Sett.  N,  W.  Thomas:  The  Snipe* 
tjitat  in  Ftfropean  Folklore.  -  A.  Lang: 
Azotes  itt  reply  to  Mr,    H**n'ifi   a,    Mr. 

felons,  -  N.  M,  Thomas :  IK  Ho^t  tit's 
Dt fence  of  Group  Martia}fe.  -  Cuilecta- 
nea  *  E.  Wri^at:  A  Vork shire.  *  Was- 
sail Box  ^,  *  W.  Inne^s  Pock:  Some  En- 
\jlfsh  String  Tricks.  Sono  27  giuochi  Che 
si  fan  no  col  filo  0  con  lo  spago.  -  Cnr- 
respondence  Revieu^s. 

A  questo  fascicolo  va  unito  una  targa 
llibliograptiy  of  Folklore  J  f^o^  (London, 
Nutt  1906);  nella  quale  sono  indicati  gJi 
articoli  p\u  importanti  di  giomali,  ri- 
viste,  period! ci,  atti  e  menjorie  di  folk- 


522 


ARCHIVIO  PER  LE  TRADIZIONI  POPOLARI 


lore  in  tutta  I'lnghilterra  e  nelle  colonic 
inglesi. 

THE  ATHENAEUM.  N.  4104.  Paget 
Toynbee:  Cain  as  a  synonim  of  the 
moon.  La  sinonimia  0  identificazione  di 
Caino  con  la  luna  secondo  il  noto  passo 
dantesco,  si  riscontra  in  un  libro  inglese 
del  sec.  XVII. 


ZEITSCHRIFT  DES  VEREINS  FUR 
VOLKSKUNDE.  16  Jahrg.,  1906.  3.  J. 
Hertel :  Megha  njavas  Auszug  aus  dent 
Pancatantra.  -  Ad.  Dorler:  Mhrchen 
und Schuanke aus  Nordiirol u.  I 'orarl- 
berg.  -H.  Carstens:  Topographischer 
Volkshumor  aus  Schleswig-Holstein.  - 
B.  Kahle:  ^'olkskundliche  Nachtrdge. 
Continua  nel  fascicolo  seguente.  -  E.  K. 
Blumml:  Notizen  zum  sieirischen  P'olks- 
liede.  -  Berichte  und  Bilcheranzeigen. 
Notizie  bibliografiche  di  costumi  del  po- 
polo  tedesco. 


4.  O.  Dahnhardt":  Beitrdge  xur  ver- 
gleichenden  Sage nforsc hung.  -  H.  Car- 
stens: Topographischer  Volkshumor  aus 
Schleswiz-ffolsiein,  -  B.  Schalatianz: 
Kurdische  Sag  en.  -Kleine  Mitleilungen. 
-  J.  Bolte  :   Neuere  MUrchenliteratur . 

.  THE  JOURNAL  OF  AMERICAN  FOLK- 
LORE. Vol.  XIX,  1906.  N.  LXXII.  Genn.- 
marzo.  W.  W.   Newel :  Individual  and 


Collective  Characteristics  in  Folk-lore. 

-  P.   A.    Hutchison:    Sailors'  Chanties. 

-  F.  R.  Walker:  Sioux  Games.  -  S.  A. 
Barrett :  A  Composite  myth  of  the  Porno 
Indians.  -  Constance  Goddard  Du  Bois : 
Mythology  of  the  Missions  Indians.  - 
Record  of  American  Folk-I^re.  -  Re- 
cord  of  Philippine  Folk-Lore.  -  Record 
of  Negro  Folk-lore. 

N.  LXXIII.  Apr.-giugno.  B.  L.  Maxfield 
a.  W.  CI.  Millington:  Visayan  Folk- 
Tales.  -  J.  B.  StOMdi:  Pennsylvania  Ger^ 
man  Riddles  a.  Nursery  Rhymes.  -  A. 
Fortier:  Four  Louisiana  Folk-Tales.  - 
PI.  Earle  Goddard:  Lasstk  Tales.  -  F.  B. 
Washington:  Notes  on  California  Folk- 
Lore.  -  Constance  Goddard  Du  Bois: 
mythology  of  the  mission  Indians. 

V.  XIX.  F.  LXXIV.  Luglio-Sett.  1906. 
A.  F.  Chamberlain:  Variation  in  Early 
Culture.  -  Fletcher  Gardner :  Philippine 
(Tagalog)  Superstitions.  -  W.  H.  Mil- 
lington a.  Berton  L.  Maxfield:  Philip- 
pine (Visayan)  Superstitions.  -  A.  T. 
Sinclair:  Notes  on  the  Gypsies.  -  H.  J. 
Smith:  Some  Objibwa  Myths  a.  Tra- 
ditions. -  H.  M.  Belden:  Old-Country 
Ballads  in  Missouri.  -  W.  F.  Wintem- 
berg:  German  Tables  collected  in  Ca- 
nada. -  A.  F.  C  a.  J.  C.  C.  Record 
of  American  Folk-Lore. 

G.  PITRE 


NOTIZIE  VARIE. 


Nel  la  recente  Esposizione  regional  e  di 
Macerata  ebbe  una  sezione  speciale  una 
mostra  bibliografica  del  folklore  marchi- 
giano.  11  prof.  G.  Crocioni,  che  ne  dii 
ragguaglio  negli  Studj  romanzi  editi  a 
cura  del  Monaci  (IV,  303-5)  ricorda  libri, 
opuscoli  e  mss.  di  22  raccoglitori  di  canti 
popolari,  di  8  di  proverbi,  di  11  di  feste, 
costumanze  e  superstizioni,  di  4  di  no- 
velle. 

—  Sopra  L'Erudito  Mons.  Pompeo 
Sarnelli,  autore  della  Pasilecheala,  un 
volume  e  stato  dato  in  luce  da  Nicola 
De  Donato  (Bitonto,  Garofolo,   1906). 

—  Un 'opera  ricca  di  interessanti  no- 
tizie intomo  ai  presepi  di  Parigi,  della 
Franca  Contea,  della  Provenza,  del 
Belgio,  della  Baviera,  del  Tirolo  e  del- 
ritalia  meridionale  k  quella  testft  pub- 
blicata  da  Mons.  Chabot  col  titolo :  Les 
criches  de  Norl  dans  tons  les  pays. 


—  L'instancabile  Dr.  Fr.  Krauss  ha 
impresa  una  collezione  di  documenti  ine- 
diti  0  rari  relativi  alia  vita  delle  diverse 
nazioni  e  dei  diversi  popoli.  Ha  per  ti- 
tolo :  Der  P'olksmund,  Alte  und  neue 
Beitr  ge  sur  I'olksforschung.  Ne  sono 
usciti  cinque  voluraetti  e  ne  ^  editrice 
la  ^Deutsche  Verlagsactiengesellschaft>. 
in  Lipsia,  al  prezzo  d'un  marco  ciascuno. 

—  Nel  XIV  congresso  degli  Orientalist! 
d'Algeri  (Apr.  1905)  vennero  trattati 
vari  argomenti  di  folklore  e  di  mitologia. 
Notevoli  le  osservazioni  di  R.  Basset 
sulle  fonti  di  Salouat  al  Anfas ;  di  A.  Bel 
sopra  alcuni  riti  per  ottenere  la  pioggia 
presso  i  Musulmani  Maghribini;  di  M. 
ben  Cheneb  sulla  trasmissione  della  rac- 
colta  di  tradizioni  di  Bokhary  agli  abitanti 
di  Algeri ;  di  SaTd  Boulifa  sul  diritto  locale 
dei  Kabill  d'Adni,  che  6  I'ideale  del  go- 
verno  libero  a  buon  mercato ;  di  E.  De- 


NOTlZfE  VARiE 


521 


staing  sul  tema  della  novella  deMe  so- 
relle  gelose;  di  E.  Doutte  sulla  festa  stu- 
dentesca  dei  Tolba  al  Marocco,  av:in?,o 
di  quelle  burlesche  medioevali;  e  di  nUri 
dotti. 

—  II  Sig.  A  T.  Sinclair  in  Alls  ion 
(Boston)  ha  diramato  una  serie  di  que- 
siti  intomo  agli  zingari,  loro  nariJinn- 
litA,  residenze,  lingue,  occupazioni,  ap- 
parenze  esteriori,  carrozzoni,  strumeiitl 
musicali,  vocaboli  relativi  ai  numeH,  ca- 
valli,  naso,  bocca,  mani,  madre,  padre  ecc. 
tradizioni,  leggende,  canti,  supersti- 
zioni,  ecc. 

—  Dal  Journal  of  A  merican  Folk-  Lare 
del  Genn.-Marzo  di  quest'anno  si  rileva 
il  non  comune  risveglio  deirAmeric;i  set- 
tentrionale  a  favore  degli  studi  di  tra- 
dizioni popolari.  Molte  sono  le  sucietA» 
diremo  filiali,  che  si  son  venute  isti- 
tuendo  in  molte  cittA  degli  Stati  Uniti, 
primeggiando  tra  tutte  la  piii  antics,  che 
ha  sede  in  Boston  e  trae  vita  e  forza 
intellettiva  da  Cambridge  Mass. 

—  VArchivio  ha  perduto  una  hrava 
collaboratriceconlamorte  della  signorina 
Maria  Carmi.  Nel  volume  XII  essa  avea 
pubblicato  XV  Canti  popolari  emUiani^ 
seguito  di  altri  da  lei  precedentemente 
dati  fuori  (Firenze,  1891)  per  nozze  della 
sorella  Paolina.  //  Dramma  delta  pas- 
sione  ad  Oberammerp^an  k  un  diligente 
e  minuto  studio  che  vide  la  luce  net  voU. 
XIX  e  XX. 


—  La  nntte  dal  aa  a  I  33  ottobre  1906 
inoriva  in  Pietroburgo  Alessandro  wes- 
selafskVt  professore  di  quel  la  university. 
Era  nato  a  Mos^a  nel  1838. 

Come  nel  la  letttratura  d'Huropa  e  in 
qaella  partkolarnitnie  d' Italia,  cosi  nej 
Folklore  egM  lascia  Importante  materia 
di  studto  nel  campo  della  nov^Uislica. 
Non  vanno  dimenticftte  te  sue  ricerche 
i^ulle  Tradi^itmi  fujp,  nci  pot'mi  di  A, 
Purri,  sulla  \,Kr//a  dellij  figlJ<2  del  re 
di  Duriis  {Prsa.  NistrJ  rKfi6l  e  soprat* 
tuttfi  //  Piradisii  dr^li  A I  herd  di  G* 
Gherardi  da  Prato  (Rtjlogna  1 867-69 j  che 
ha  una  introUuzione  dT  molto  pregio, 
Ultimamente  avea  pubbUcato  un  magi- 
stral e  lavoro  sul  Drtitmrroni*  del  Boc* 
cacdo* 

—  Si  ^  pubbb1i,-ata  In  vni-  ediziojie 
di?iropera  dtl  cotnpiiVnto  D.  H.  Ploss: 
Ihi^  ii'Hff  tJi  df^r  Xalffr-uud  t/dki'r- 
ktittdi'.  E«isa  e^ce  dalla  casa  Th.  Grie- 
hen  di  Llpsia,  ed  e  suta  curata  dal 
D.  Max  Bartels,  Consi^llere  Ji  sanita 
in  Berlinon  il  quale  vi  ha  fatte  moite 
aggiunta  anche  Ji  disegnci  a  I  teste. 

—  ftimandiamo  a  I  futuro  fascicolo  una 
notizia  interessante  j  nostri  studi:  la 
!Stitu:^ione  di  un  museo  di  Etnografia 
Italiana  in  Firenze  per  opera  ^elante, 
attiv]S5rtma  del  Dn  Loria,  del  Conte  EJa- 
stoj^i  e  coopera/ione  intelligente  del  Dr. 
MochI, 


m^ 


INDICK 


NOVELLE,  MITl,  LEGGENDE, 


Alcune  leggende  popolari  di  Pavia  e  dei  suoi  dintomi  (Ktitirfi  FHippbi 
Leggende,  novelle  e  fiabe  piemonte5i  (Datio  Carranfftj 
Napoleon  d'apres  les  idees  d'un  rausulman  de  TAsie  mineure 
La  leggenda  di  Alfredo  Knipp  f/tdj^.  Rosa) 
Impronte  meravigliose  in  Italia  (Saivatort:  Raait^Haj : 

CXLIil.  La  pedata  del  diavolo  In  S.  Pietro  ClarerJfa 
CXLIV.  La  pedata  di  S.  Agata  in  Mascali    . 
CXLV.  II  bastone  di  S.  Pancm^io  tn  Taonninii     . 
CXLVI.  Le  pedate  dei  buoi  d*Ercole  in  Agira 
CXLVIl.  La  pedata  di  S.  Placido  in  Adernft  . 
CXLVIIL  Le  ginocchia  di  S.  Vaieriano  sulle  Alpi 
CXLIX.  Le  dita  del  diavolo  sulla  Rocca  di  Cavour 
CL.  II  piede  del  diavolo  in  Salerno  ((7.  /*,)  . 
CLl.  I  piedi  di  G.  Cristo  in  Roma  \A.  CantiM  . 
Leggende  bibliche  e  religiose  di  Siciha  (Rajfaele  Cast^lii/  r 

VIII.  Lu  lagnusu       .        .        s        . 

IX.  La  gula  di  S.  Petru  . 

X.  La  morti 

XL  Comu  'na  picciotta  si  majiciau  un 

XII.  Lu  nimitu         .... 

XIII.  Lu  Signuri  di  Luttisi 
La  torre  dei  diavoli  nel  Casentino 
Leggende  popolari  piemontesi  (Eudide  Mifauoj 

I.  La  rocca  dei  sette  fratelM    . 

II.  II  cesto  del  diavolo     . 

III.  La  macchia  del  sangue 

IV.  La  pietra  del  diavolo 

V.  11  colle  del  prete 

VI.  II  castello  della  volta 
VU.  La  fontana  delPoIio 


ori  e  nisciu  gr^vita 


i)      Pag.  24 


»  3oa 

*  k*i 

*  aog 

*  ivi 
p  a  10 

>  1t6 

>  317 

>  nn 

*-  3^7 

*  ail 

*  h  i 

*  214 

>  319 

»    246 

*  304 

*  (vi 

*  30s 


1 


526  INDfCE 

Leggende  plutonidie  in  SicilU  iS.  /^atrcitj^/m}:. 

La  trovatura  di  S.  Leonardo   ....*,*.  Pag.  336 
La  trovatura  di  S,  Margherita       .       ^       ,..,.>  337 

I  tesori  dl  S.  Maria         ,        ,  >  338 

Palazzflzio »    tVi 

II  tesoro  del  S,  Calogero        ,,,.,,..»  340 

|]  tesoro  tJel  Torracchio ,        .        >  341 

Lo  spirito  di  Mastr'Alfio ^        .        ,        .        >   ivi 

ho  spmto  deM'otre ...»  342 

Legetide  gourmande  du  *  Colombler  »  ,,,,,..»  373 

Novelle  popolari  toscane  iG.  /*f/r^}: 

L  Cenerognola »        ,        ,        .        >  399 

IT.  La  tramontana     ...,,,..*.»  408 

lit,  I  tre  cacciatori  M\ .        ,        .        >  411 

tV,  La  lattaiola >  417 

Leggende  popolari  sarde  raccolte  tn  Oz\Qr\  iFiUp/k}  VaiiaM 

I.  Leggenda  di  S.  Ciphano      .........  421 

IL  Leggenda  Ji  S.  Isfdoro       .....,..>  422 

IIL  S.  Bernardo  e  sua  sorella        ,.,....>  425 

IV.  Gennaio  e  Febbraio »  428 

II  tesoro  di  Porciano  nel  Casentino >  510 

CREDENZE,  SUPERSTIZIONI,  FOKMOLE. 

Magi  a  c  pr^Kiudizi  in  P.  Vergfllo  Marone  i^fareo  J/rf/tl: 

Introdiizmne >  5 

I.  Dei  ,        , »  8 

\\.  Astrologia      . »  12 

Ml.  1  Venti  . ...»  16 

IV.  AnimaJi >  18 

V,  Arte  magica  ..,.,.*.*        ^        .  »  145 
VL  Riti  espiatori  e  funebd       *        -       -       •       -        -               •  >  i55 

VU.  Arte  augurale »  267 

VIIL  Sogni >  278 

iX.  Varia »  282 

r 

Le  n.  13  A  Saint-Cyr >  128 

La  magia  a  Parigi  ,...-..'*»*•»  247 
1  preKiudiiti  volgari  corabattuti  da   un    verseggiatore   veneziano   del  se- 

colo  XVil  iCi'^iirt'  Mifsiiiti)  .*...►.*.»  291 
La    superstizione   del    popolino    napoletano    nella   recente  emzione  del 

Vesuvlo  {Maurnsy         .        .       ,       * >  295 


IN  DICE  527 

USI,  COSTUMI,  PRATICHE, 

La  fiera  di  Grottaferrata  {R.  Panationi): 

L'origine  delle  fiere .Pag.  117 

L'editto  cardinalizio  .        .        ,       .       ,       ,       .       .        .       ,  »  iiS 

Allora  e  adesso  .               ,        .        .        .        .       -        .       ,       .  *  119 

II  Redentore.  Festa  popolare  veneiiana^^/, /*.^ »  laa 

La  strina,  ossia  festa  di  regali  in  Vicari  Wittfra) »  ia6 

Usi  nuziali  piemontesir  II  contra tto  di  matrimonio  nelle  Langhe  iE.MI/atw)  *  366 

La  festa  del  Natale  in  Caltanissetta  {FranceSi^  Pulei)     ,        *        .        .  »  184 

L'arrivo  del  sacerdote  novello  in  Caste  I  termini  irincrnz^  Sr/a/ani-Ca/ht)  >  207 

I  negri  di  Agiara  nel  Dahomey  in  Africa  ir.  Adriana  mu2in\i 

1.  Popolazione       .       .        .       ,        , »  ajo 

U.  li  mercato »  333 

111.  Feticci  e  stregoni »  ^33 

Le  donne  nei  centimoli  in  Licata  nel  iS(^}  {Garlantf  IH  Ginvattfn) .        »  »  345 

II  porco  di  S.  Antonio  in  Noto  {M&itia  Di  Mariino)  .  .  .  *  346 
Usi  funebri  in  Rocca  Canterano  .  .  ^  -  *  .  ,  .  •■373 
Saggi  di  folklore  salentino  f.  N/jf^fM  Pe  Fabri:^0): 

1.  La  gran  settimana        .......-.»  389 

Usages  et  croyances  de  Kiziba »       *  *  471 

La  commemorazione  dei  morti  sarebbe  di  origine  siciUana?       .        .        ,  »  50S 

La  festa  di  S.  Antonio  in  Italia     .....*.,.  jt   iVjf 

La  mattanza  del  tonno  in  Favignana  - »  509 

MOTTl,  VOCl,  LlNCiUA  POPOLARH, 

Di  alcuni  diminutivi  nel  dialetto  sicillano  \G.  Pit  re)         ^        .        .        »  *  343 

PROVERBI. 

Proverbi  siciliani  {G,  Oimi-Lo  Gitidutj »  114 

Due  centurie  di  proverbi  veronesi  {Arn^o  liailadoro)       *        *        .        .  »  173 

Modi  di  dire  del  volgare  df  Cherso  {Jncopo  Ct^Ha) »  024 

L'origine  deU'espressione  francese:  «  Passer  a  tabao  {Afhtrrhf  Lumdrosa)  *  318 

Blasone  popolare  dei  Jititomi  di  Cervara  {A.  CamiUf)       ,        .       -       .  ►  3?5*^37j5 

Proverbi  e  sentenze  tedesche  {Anion to  De  Marchi] *  435 

Proverbi  giuridici  italiani  {/Ca^af/c  Corsn): 

Introduzione        .        .        .       .        .        ^       -       -        ■        ■       ■  *  484 

Due  antichissimi  proverbi  tlettera  a  G.  Pitrfe  di  Giaa^mo  Utmbrttso]       ,  »  507 


i 


528        '  INDICE 

CANTl,  POESIE. 

Un  mazzetto  di  stomelli  genzanesi  Kl.uigi  Bonjigli):         .        .        .        .Pag.    84 

Canto.  Stomelli  amorosi .        >    86 

Pregi  e  difetti  dell'uomo  e  della  donna  ......>    92 

Gelosia,  sdegno  e  stomelli  ironici    ••.....»    93 

Canti  popolari  Sicilian!  raccolti  a  Fantina  ed  a  S.  Basilio,  frazione  di  No- 

vara  Sicula  {Salvalore  Raccuglia) >    98 

Una  canzone  popolare  italiana  in  Plauto  {A.  Lumbroso)  .        .        .\      .        >  ia8 

Musica  popolare  fonografata ,       .       .       ,        >  130 

QUattro  canzoni  e  una  ninna-nanna  in  Naso  {G.  CHmUI^  Giudicr)  .  >  306 
Due  poesie  popolaresche  del  cinquecento  ricordate  neir  incatenatura  del 

EmnchmQ  {Luig-i  Bonjiffli)     .        . >  322 

Un*eco  modema  di  antiche  laude  {Giovanni  Fabris) "^325 

Preghiere  popolari  sarde  {Giuseppe  Ferraro) »  346 

Colui  che  fece  il  gran  rifiuto  (-^.  Camilli) >  37a 

Invettiva  di   un  contadino  contro  il   Govemo  provvisorio   in   Toscana 

{Paolo  Giorgi) "^  430 

Canti  popolari  raccolti  a  Frasso  Telesino  {C,  Calandra)  ,  .  .  .  >  440 
Canti  popolari  siciliani  di  Novara  Sicula  {Sa/v.  RaccugHa)  .  ,  .  .  p  450 
Canti  popolari  in  Casteldelfino  {G.  Ferraro): »  477 

GIUOCHI,  PASSATEMPI,  CANTI   INFANTILI. 

Filastrocche  infantili  di  Temi    .........>  127 

Filastrocche  fanciullesche  in  Roma  {A.  Camilli)    .....*»  189 

Cantilene  popolari  fanciullesche  in  Cherso  {lacopo  Cella)    •        .        .        .       »  310 

INDOVINELLI. 

IndoVinelli  salentini  {Salvaiore  Panareo)        . >  236 

STORIA  DEL  FOLKLORE. 

Ai  Lettori  {G.  Pitr^) >  3 

Un  libro  di  esorcismi  del  1616  {G.  Ferraro) : 

3.  Gli  spiriti  dominatori  dei  corpi >  40 

4,  Malefici,  maleficiati,  magia »  60 


INDICE 


529 


RIVISTA   BIBLIOGRAFICA. 

BL^MONT,  Le  genie  du  peuple  {G,  Piire) Pa^^.  ^8r 

BONFIGLI,  Stefano  Guazzo  e  la  sua  raccolta  di  proverbi  {Id.)  .        .        .  *-  379 

CIACERI,  La  festa  di  Sant'Agata  e  Tantico  culto  d'Iside  in  Catania  {Id.\  p  349 
COSQUIN,  Fantaisies  biblico-mythologiques  (Id.).        ....»»  3g2 

D'ANCONA,   La  poesia  popoiare  italiana  {Luij^i  Naioli)     .       .        .        .  »  37s 

DE  VaSCONCELLOS,  Religioes  da  Lusitania  (G.  Pilre)       .        .        .       .  »  355 

DONCIEUX,  Le  Romancero  populaire  de  la  France  Ud.)     .       .       .       .  >  iB3 

DULAURE.  Des  Divinites  generatrices  chez  les  anciens  et  les  modemes  (/f/.l  *  25a 

ELIOT,  Vedi  Haliis    . *  136 

FURNO,  II  sentimento  del  mare  nella  poesia  italiana  (/</.)     .       .       .       ■  ►  rja 

HALUIS,  The  Masai,  their  Language  and  folklore  (Id) »  136 

KRAUSS,  Antropofiteia  (Id.) »  456,  514 

MEGALI  DEL  GIUDICE,  Nel  paese  degli  ulivi  (Id.)       .        .        .        .        ,  *  i^i 

NICOLAID^S,  Contes  licencieux  de  Constantinople  ild.)     .       .       .       ,  »  51a 

PERODI,  Le  novelle  della  nonna  (Id.)    .       .       .       .        .       .        .       ,  *  511 

PIRES,  Cantos  populares  portuguezes  (Id.)   .        .        .        .        .        .       .  *  i|* 

SALOMONE,  Storia  di  Augusta  (Id.) ,  *  3S0 

SCHUMANN,  LObeckisches  Spiel-  und  Ratselbuch  (Id.)       .        .        .        ,  »  519 

S^BILLOT,  Le  Folk-Lore  de  France  (Id.)       .       .        .        .        .        .        .  »  ^51 

TIERSOT,  vedi  DONCIEUX        ...........   135 

TRAUZZI,  Bologna  nelle  opere  di  G.  C.  Croce  ild.) *  ^50 

VAN  GENNEP,  Tabou  et  Totemisme  a  Madagascar  (Id.)     .               .        .  *  2\\ 

BULLETTINO     BIBLIOGRAFICO. 

(Vi  si  paria  di  recenti  pubbiicazioni  del  seguertti:) 

Almanacco  Bemporad,  260.  —  Baragiola  A.»  138.  —  Belli  M.,5i7,  —  Capra-Cor- 
dova  E.,  517.  —  Carutti  A.,  139.  —  Cortes  N.  A.  A.,  518.  —  Croce  B.,  138.  — 
D'Ancona  A.,  139.  —  De  Blasio  A.,  383.  —  De  Fabrizio  A.,  139.  —  De  Schoult?.  M,, 
140.  —  De  Vasconcellos  J.  L.,  384.  —  Ehrenreiche  P.,  140.—  Fabris  G.,  383. 

—  Filippini  E.,  138.  —  Majorca  Mortillaro  L.  M.,  518.  —  Mancuso  E..  384.  — 
Mandalari  M.,  138.  —  Megali  Del  Giudice  G.,  260.  —  Milano  E.,  384  e  518. 

—  Mule  Bertolo  G.,  384.  —  Panareo  S.,  139.  —  Pilot  A.,  2S9.  —  Revelli  P.. 
139.  —  Welcome  H.  S.,  259.  —  Wiedemann  A.,  260.  —  Zenatti  A.,  383.  — 
Zennaro  A.,  259. 


RECENTI  PUBBLICAZIONI     . 
SOMMARIO  DEI  GIORNALI  [G.  JiirS) 
NOTIZIE  VARIE         ..... 


141,  261,  585.  519 

142,  262,  38^,  53a 
263.  387,  5aa 


I 


COLLABORATOR!    DELL' ARCHIVIO 
(Vol.   XXIII). 


1 

1 


Balladoro  a. 
Bauzin  a. 
Belli  M. 
bonfiglt  l. 

BUTERA 

Calandra  C. 
Camilli  a.. 
Carraroli  D. 
Castelli  R. 
Cella  J. 

Cr1MI-Lo  GiDDlCE  G. 

De  Fabrizio  a. 
De  Marchi  a. 
Di  Giovanni  G. 
Di  Martino  M. 
Fabris  G. 
Ferraro  G. 


FiLippixr  E. 

GlORGI    P. 

lumbroso  a. 
lumbroso  g, 
Mauruk, 

MlL\NO   E. 

musattj  c. 
Natoli  L. 
Panarf.0  S, 
Panattoni  R. 
PiTRf:  G. 

PULGI    F, 
RACCU«LtA  S- 

Rosa  E. 

SCLAFANl   GaLLO   V, 

Valla  F. 


L'ARCHIVIO 


PER  LO  STUDIO   DELLE 


TRADIZIONI    POPOI.ARI 


pubhika   a   v*t>lumi  di  cSica   550  po^ 


iri  quattru  fascicoli* 


ii  pi'cxzo  41   ^^ ^.r^  , 

Sttcc,)  in  Tarliio,  Vi;j 

IV;  cooceme  rAmii. 

rediti^re  sicsso,  Indi 

che  riflette  H   Rt^daziu. 


ift^    ■-.f'lnri     .n 


pfore  ^1  prezfo  Jfi  convr 


't  IriiiiTTii 

SO  f't^ditore  Csrlo  ClAnseo  (Kaos  Rlnck 

\i!i  tibmi  JMUfia  dJeH'esterb, 

r  amente  al- 

rnalLe  tuttO 

Uitifrct)p€   1*1  trc    m    PnleriDQ,  P};i;xi 

^  delic  opere  ui 

ppiii  nscrnpkrt;. 

-XXII)  al  pmaoo  dt  hetti 


iiliiriMHHiiiii 


iiMM 


Mil 


^^^^^^^operAM^^^^^^^^^^^^^^ 

^TlJlllLIOIECAw  JRllllzii  POPDUKI  SlCiLIANE 

^^^K               racculte  ed  illustrate  dal  Dott.  aiUSEFPE  PITRE*          M 

^^^^^^B                                   ... 

umi  pulnblicat*                       B 

^B  CUR  05  TA  popolari  tradizionali 

^^^^ft^                    Rirrrnltn  rltrerfi  dnl  Hr^rt    fitirSFPPF  PfTpp'         ^j 

1 

^^^^^v 

^^^^^^H 

^^^^^^^k; 

1 

^^^^^^k' 

^^^^^^^B 
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Mil                                                           as               B 

r^ni^f  t!^ll«  prev'                                  ^^^H 

^^^^^^^^v                                                                                 ^^^^1 

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