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Full text of "Archivio storico marchigiano"

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lìarvarò  Colteoe  Xt&rain? 


in  hehort  of 
Franklin  Tehple  Ingrahah 

Ciau  of  19U 

A   SoUtlKB    IN   TDK  EcBOPKAN   WaB 

WBO   DIED 
IN    THE    SeBTICE    of  BIS     CoDNTBT 

Apbii.  11,  191S 


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ARCHIVIO 


STORICO  MARCHIGIANO 


DIRETTO 


dal  Prof.  CBSARS  ROSA 


VOX^UMJQ    !.• 


Ad  ogni  nazione  come  ad  ogni  uomo  è 
necessaria  la  retUtadine  della  propria  co- 
scienza, il  rendersi  conto  giusto  de*  pro- 
pri fatti  passati,  per  ben  fare  neiraTYenire; 
e  la  storia  è  coscienza  delle  nazioni,  ne- 
cessaria a  quelle  cbe  sono  in  alto  stato  per 
veder  come  continuarvi,  necessaria  a  quelle 
cbe  in  mediocre  o  basso  per  iscoprir  come 
se  ne  risalga. 

Bauio  Meditaùom  Storiche^  medU,  XIV, 


ANCONA 

UBREMA  EOmUCE  GIUSEPPE  AURELJ 


1879. 


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X-lsJj;^^^^©.^.^^ 


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NMVARD  OOUGQE  UMIMnr 
MaRAHAMFUNO 


Proprietà  Letteraria. 


Ancona  -  Tip.  di  N.  Mengarelu  -  1879. 


AI  LETTORI 


Giampietro  Vieusseux,  a  cui  l'Italia  va  de- 
l>itrice  (lì  parecchie  opere   degne,   clie   potente- 
mente contribuirono  al   progresso  della  civiltà, 
come  ebbe  a  notare  nelle  memorie  che,  con  aflFetto 
sincero  d'amico,  scriveva  di  lui  il  Tommaseo,  fu 
cjuegli  a  cui  prima  venne  in  animo,  e  felicemente 
seppe  attuare  Videa  di  un  Archivio  Storico  Ita- 
liano, il  quale    raccolse  intorno  a  sé  gl'ingegni 
più  eletti  della  penisola,  stringendoli  cosi  insieme 
nell'amore   della  scienza  che  preparava  e  com- 
pieva l'unità  morale  d'Italia,  strumento  potente 
ad  apparecchiare  l'unità   civile  alla  quale  gl'I- 
taliani,  oppressi   da   male   signorie   nostrane   e 
straniere,  ardentemente  anelavano.  E  quello  fu 
oAompio  nobile,  che  valse  a  conservare  ed  accre- 
Rcere  il  culto  delle  patrie  memorie,  le  quali  do- 
vevano  mantener   viva   la   fede  nell'avvenire  e 
nella  futura  grandezza   d'Italia   cogli   insegna- 
menti  del   passato;   fu   opera   che  contribuì  in 
nìodo  efficace  a  portar  luce  in  molti  fatti  delle 
storie  nostre,  avvolti  nelle  tenebre  e  turpemente 
Hvìsati,  o  per  male  inteso  amor  proprio  nazionale, 
<)  per  ignoranza,  o  per  malvagità  di  uomini  e 
di  tempL 

E  V Archivio  del  Vieusseux,  come  tutti  san- 
no, diede  occasione  ad  interessantissime  mono- 
grafie  storiche,   mise  in  luce  ed  illustrò   spesso 


4  AI  LETTORI 

con  sapiente  critica  documenti  importantissimi 
COSI  per  la  storia  municipale  come  per  la  nazio- 
nale, e  questa,  checché  da  alcuni  dir  se  ne  vogKa, 
da  noi  in  quella  ha  suo  fondamento,  perchè  nel 
Medio  Evo  quasi  ogni  città  si  reggeva  a  Muni- 
cipio, e,  cadute  le  libertà  municipali,  si  innalza- 
vano su  le  loro  rovine  tante  signorie,  ma  la 
nazione,  quale  la  intendiamo  e  finalmente  ab- 
biamo costituita  noi  oggi,  inai  non  si  ebbe,  e 
quindi  è  che  in  gran  parte  la  storia  fino  agli 
ultimi  anni  restò  municipale,  e  perciò  le  glorie 
o  le  sventure  delle  smgole  città  della  penisola  si 
hamio  a  reputare  glorie  o  sventure  nazionali,  per- 
chè se  ad  esse  noi  rinimziare  volessimo  per  atte- 
nerci solo  a  quei  fatti  che  esercitarono  una  certa 
influenza  su  tutte  le  terre  d'Italia  a  troppa  gran 
parte  della  storia  nostra  dovremmo  rinunziare. 

Riacquistata  la  libertà,  l'indipendenza  e  l'u- 
nità mercè  il  valore,  i  sacrifizi  di  de.uaro  e  di 
sangue  di  tutti  gl'Italiani  per  quella  fortunata 
serie  di  eventi  che,  per  essere  molto  vicini  a  noi, 
tutti  conoscono  e  non  giova  ripetere,  nella  intera 
penisola  si  risveghò  l'amore  a  quegU  studii  che 
possono  non  poco  contribuire  al  progresso  della 
civiltà,  e  specialmente  in  molti  rinacque  il  desi- 
derio delle  ricerche  storiche,  e,  sull'esempio  del- 
l'Archivio Storico  del  Vieusseux,  altri  ne  nacque- 
ro nelle  diverse  regioni  d'Italia,  tra'  quali  basterà 
che  ricordi  quello  Lombardo,  quello  Veneto,  quel- 
lo Romano  ed  il  SiciKano  che  subito  rivaleggia- 
rono per  importanza  di  studii  con  quello  che  di 


AI  LETTORI  5 

alcuni  anni  li  avea  con  buona  fortuna  preceduti. 
In  tanto  movimento,  in  tanta  febbre,  se  cosi 
m'è  permesso  di  dire,  per  illustrare  le  memorie 
delle  terre  italiane  sole  le  Marche  sinora  non  fe- 
cero il  loro  Archivio,  e  ciò   non    perchè  in  esse 
manchino  i  pazienti  ed  accurati  cultori  delle  pa- 
trie memorie,  ma  perchè  mancò  sinora  un  editore 
il  quale  si  mettesse  a  capo    dell'impresa,   sprez- 
zando  generosamente  le  molte    difficoltà  da  cui 
essa  poteva  essere  attraversata;  ma  le  Marche  che 
nella  vita  italiana  hanno  avuto  non  minor  parte 
delle  altre  regioni;  ma  le  Marche  che  furono  in 
oinii  tempo  culla  di  uomini  sommi  nelle  lettere, 
nelle  arti  e  nelle   scienze;  le  Marche  che  hanno 
archivi  ricchi  di  preziosi  documenti  non  potevano 
più  oltre  tardare  d'avere  il  loro  periodico  in  cui 
8Ì  raccogliessero  i  frutti   degli   studii  e  delle  ri- 
cerche di  tanti    operosi    uomini  e  li  si  facessero 
conoscere,  ed  ecco  il  perchè   di   questa  publica- 
zione  la  quale,  coadiu\  ata  com'è  da  uomini  egregi 
per  ingegno  e  dottrina,   voglio  sperare   che  sia 
per  riuscire  bene  accetta  non  solo  in  queste  pro- 
vince, ma  anche  altrove,  mentre  ad  ottenere  ciò 
non  ri  rispamiierà  cura  né  fatica  per  parte  della 
Redazione  e  dell'Editore. 

E  qui  dovrei  adesso  dire  dei  concetti  che 
ri  seguiranno  nella  compilazione  del  periodico, 
ma  solo  brevemente  ne  accu^nnerò  perchè  non 
amo  di  fare  più  larghe  promesse  di  quelle  che 
81  possano  attenere,  e  i>erchè  il  nome  che  s'è  im- 
porto a  questa  periodica  publicazione  è  già  per 
«e  stesso  un  programma. 


6  AI   LETTORI 

L'Archivio  storico  pubUcherà  ed  illustrerà 
studii  e  documenti  che  si  riferiscono  specialmente 
alla  storia  medioevale  delle  città  e  terre  marchi- 
giane,  avendo  cura  di  scegliere  tra  le  molte  cose 
che  potrebbero  essere  oggetto  di  studio  quelle 
che  valgano  a  far  meglio  conoscere  le  idee  do- 
minanti, la  coltura  letteraria  ed  artìstica,  la  ci- 
viltà, i  costumi,  le  istituzioni  e  la  politica  dei 
tempi  andati.  Né  con  questo  intendo  dire  che  si 
trascurerà  quanto  alle  epoche  anteriori  e  poste- 
riori si  riferisce,  quando  alcuna  cosa  degna  di 
richiamare  sopra  di  se  l'attenzione  degli  studiosi 
si  presentasse,  ma  la  parte  più  larga  verrà  fatta 
al  medio  evo  perchè  è  quella  l'epoca  in  cui  sen- 
za fallo  regnano  maggiore  incertezza  ed  oscurità, 
ed  il  tentar  di  sollevare  qualche  lembo  di  quel 
fitto  velo  che  a  noi  nasconde  il  vero,  è  servigio 
grande  che  rendiamo  a  noi  stessi  i  quali  alla 
scuola  del  vero  acquisteremo  quelle  cittadine  vir- 
tù, quel  carattere  di  ferma  lealtà  che  fanno  grandi 
e  potenti  le  nazioni.  Ed  anche  di  quanto  si  rife- 
risce alla  storia  generale  italiana,  il  periodico  si 
occuperà,  quando  ciò  ofira  un  interesse  speciale, 
od  abbia  particolarmente  rapporto  colla  nostra 
storia  regionale.  Delle  più  importanti  publica- 
zioni  storiche  che  gli  autori  ed  editori  faranno 
pervenire  alla  Direzione  sarà  reso  conto,  avendo 
cura  di  metterne  in  luce  pregi  e  difetti  con  one- 
sta e  garbata  franchezza,  stando  lontano  così  da 
quel  sistema  per  cui  si  loda  o  si  biasima  un  libro 
non  per  il  merito  o  demerito  di  esso  ma  per  il 


Al  LBTTÒRT  Ì 

colore  politico,  o  la  scuola  letteraria  a  cui  ap- 
partiene lo  scrittore^  come  dall'altro  per  cui  si 
dàn  lodi  o  biasimi  sulle  generali  senza  dar  modo 
ai  lettori  di  conoscere  se  il  giudizio  sia  basato 
sul  vero.  Come  ognun  vede  tali  sistemi  di  critica, 
che  oggi  son  seguiti  da  molti  publicisti,  non 
danno  autorità  alla  critica  medesima  e  non  gio- 
vano al  vero  progresso  degli  studii,  perciò  è  da 
augurarsi  che  non  abbiano  dei  seguaci;  e  chi  in 
questo  periodico  si  occuperà  della  bibliografia, 
senza  pretendere  alla  infallibilità,  che  non  è  dote 
degli  umani,  farà  vedere  di  non  essere  timido 
amico  del  vero,  di  non  essere  mosso  a  parlare 
per  bassa  e  vile  partigianeria.  Delle  altre  opere, 
che  per  mole  od  importanza  non  meritassero  un 
lungo  esame,  sarà  sempre  fatto  un  cenno  tale  che 
valga  a  dame  una  chiara  idea.  Ed  in  questa  par- 
te della  bibliografia  non  si  renderà  conto  solo 
delie  opere  dettate  da  marchigiani  o  vertenti  su 
cose  marchigiane,  ma  ancora  di  quelle  che  veg- 
gono la  luce  altrove  e  che  non  si  occupano  delle 
cose  nostre,  perchè  vorrei  offrire  ai  lettori  un'i- 
dea possibilmente  completa  del  movimento  e 
progresso  generale  degli  studii  storici,  al  quale 
scopo  gioveranno  ancora  le  notizie  storiche  e  bi- 
bliografiche che  nel  periodico  saranno  raccolte. 
Agli  scrittori  che  public^mo  i  loro  lavori 
h  lasciata  piena  libertà  nella  nianifestazione  delle 
loro  idee  politiche  e  scientifiche,  perche  è  appun- 
to dalla  libera  discussione  che  la  verìtii  può  ve- 
nir fuori  vestita  di  luce  più  pura,  ma  nella  cri- 


8  AI  LITTORI 

tica  delle  opiiik>m  altrui  non  si  permetterà  mai 
dalla  Direzione  che  si  passino  i  limiti  di  queUa 
pacatezza  ed  urbanità  che  sole  possono  giovare 
alla  ricerca  del  vero. 

La  Direzione  si  è  assicurata  Topera  di  va- 
lenti scrittori  e  qui  si  sente  in  dovere  di  publi- 
camente  renderne  loro  le  più  vive  azioni  di  gra- 
zia, perchè  cosi  il  compito  suo  è  di  gran  lunga 
reso  più  facile,  ma  ancora  è  pronta  ad  accettare 
qualunque  lavoro  serio  ed  importante  che  le  si 
presentasse  da  altri^  purché  risponda  all'indole 
del  periodico.  E  ben  lieto  sarei  se  le  pagine  di 
questo  Archivio  valessero  a  riunire  le  forze  di 
tutti  quelli  che,  specialmente  nelle  nostre  Marche» 
si  occupano  delle  materie  storiche,  per  fare  tutti 
insieme  un'opera  che  contribuisca  al  decoro  ed 
al  bene  del  nostro  paese. 

E  qui  non  credo  di  aggiungere  altre  parole; 
voglia  il  publico  fare  buon  viso  agli  sforzi  che 
insieme  all'editore  si  &.nno  per  produrre  un'opera 
non  al  tutto  indegna  del  nostro  paese,  che  se  le 
nostre  fatiche  saranno  incoraggiate  ne  terremo 
argomento  non  a  vana  superbia  ma  a  continuar 
nell'impresa  e  a  farvi  tutte  quelle  migliorie  che 
il  tempo  e  l'esperienza  ci  consiglieranno. 

Cesare  Rqsa 


UNIVERSITÀ  DEGLI  STUDI 


DI 


NOTIZIE  STORICHE 


iti  CtT.  A«T. 


VINCENZO  CURI 


^^^^^^^^^^^^^ 


PREFAZIONE 


•  Da  ultimo  che  dirò  deiranUdiitsiniM  Uni- 
versitii,  e  leUeratura  Ferniaoa?  In  on  tempo, 
in  cui  questo  ramo  di  storia  è  ogni  d^  più 
coltivato,  per  conto  di  Fermo  non  tI  è  neppur 
libercolOi  onde  poterne  apprendere  alcunché.  > 

(II.  Catalani) 
Lettera  critica  direte  ad  im  cavalier 
fermano  sai  tomo  ti  delle  antichità  picene 
dell'abate  Giufeppe  Colucci. 


Chi  a  Fermo  osserva  il  palagio,  che  sorge  maestoso 
nella  piazza  di  fronte  a  quello  del  Governo,  e  si  congiunge 
all^altro  del  Municipio  per  mezzo  di  un  ponte,  si  accor- 
gerà di  leggeri  dal  modo  di  costruzione  e  dalla  sua 
gravità,  che  non  è  privato  ma  pubblico  edificio.  Esso 
ricorda  una  gloria  della  patria  nostra,  vo'  dire  Tuniver- 
sità  degli  studi  di  antica  rinomanza  eretta  da  Bonifacio 
Vili,  confermata  da  Calisto  III,  beneficata  da  Eugenio  IV, 
restituita  al  primiero  splendore  da  Sisto  V,  come  leg- 
gesi  nelle  epigrafi  sottoposte  ai  semibusti  dei  detti  Pon- 
tefici, che  si  vedono  tuttora  sugli  architravi  delle  quattro 
finestre  (I). 

(1)  Il  Ponlefice  Sisto  V  rolle  che  si  ristorasse  questo  ediGcio 
già  destinalo  agli  studi,  e  la  città  lo  fece  a  sue  spese  come  si  ha 
dalla  cerniu  30  Ottobre  1S85.  Ne  fu  quindi  allegato  il  prospetto  al 
Cav.  Domenico  Fontana  di  Heli,  e  da  Giaonaotonio  Procacchi  di 


12  PREFAZIONE 

11  nostro  studio,  la  cui  fondazione  risale  al  IX 
secolo  e  si  deve  alPImperatore  Lotario  I,  conta  dei  pe- 
riodi di  vita  rigogliosissima,  eppure  appena  v^ha  chi  ora 
lo  rammenti,  né  alcuno  prese  a  trattarne  (1),  quantun- 
que molti  e  prestanti  ingegni   in   ogni  tempo  fino  a'  dì 

Yalsolda  furono  condotti  i  busti  dei  quattro  Sommi  Pontefici,  sotto 
i  quali  81  leggono  le  seguenti  iscrizioni 

BONiF.  vm 

PONT.  OPT.  MAX.  INSTITVTOR 

CALISTVS    ni 
PONT.  OPT.  MAX.  CONIIBMATOR 

SIXTYS   V 
PONT.  OPT.  MAX.  RBSTITVTOB 

EVGBN.    UH 
PONT.   OPT.    MAX.    BBNBFACrOR 

La  statua  della  Vergine  Assunta  è  da  riferire  alFopera  di  un 
Paolo  Veneziano  per  commissione  di  un  Adami  giusta  l'iscriziond 
die  vedesi  sopra  detta  statua 

GANOKIGVS 

SACRIPANTSS  ADAMI 

SWM  IN  DKIPABAM  AMOBBM 

HOC  SGYLPSIT  IN  MABMOBB 

VT   niMOBTALBM    BFFICBBET. 

Gli  ornamenti  alla  statua  della  Madonna  si  ordinarono  dal  Co- 
mune il  28  Settembre  del  1694  e  vi  furono  spesi  scudi  centosessanta, 
come  si  ba  dal  libro  dell'adunanza  deirUniversità  degli  studi. 

(1)  Ne  parla  brevemente  PmRo  Aubispa  professore  nella  U- 
niversiti  di  Macerata  in  una  sua  prolusione  intitolata  e  PraeUctio 
anni  CI^  IC  SCFéXXVII  amplissimo  Maceratensium  Senatui  dicala 
a  Pyrro  Awrispa  lurisconsulto  et  in  Gymnasio  antecessore  primario. 
Macerata  1778  typis  Bartbolomei  Capitani  >  ove  espongonsì  i  prin- 
cipii  delle  più  antiche  Università  ditalia  e  di  quelle  di  Macerata  e 
4i  Fermo. 


PREFAZIONE  Ì3 

nostri   si   siano   onorevolmente  occupati  dMUustrare  la 
storia  ed  i  monumenti  fermani  (1). 

Michele  Catalani,  che  per  dottrina,  profondità  di 
criticai  diligenza  ed  attività  nelle  pazienti  ricerche  può 
a  buon  diritto  appellarsi  il  Maffei  di  Fermo^  se  da  i ma- 
rnatura morte  non  fosse  stato  rapito,  avrebbe  aggiunto 
anche  una  compiuta  storia  civile  della  sua  terra  natale 
ed  una  particolare  deirUniversità,  poiché  sappiamo,  che 
tali  lavori  andava  meditando  e  ne  riceveva  continui  sti- 
moli dagli  uomini  più  insigni  del  suo  tempo.  11  Lan- 
cellotti  così  gli  scriveva  da  Staffolo  il  27  Luglio  1777 
€  Passando  alla  storia  di  cotesta  Università,  che  vorrei 
alcuno  prendesse  a  scrivere  di  proposito,  e  cui  istigherò 
mai  sempre  voi  a  dar  mano,  giacché  siete  dotto,  stu*» 
diosissimo  cittadino  e  giovane  patrizio,  dicovi,  che  que- 
sto è  un  argomento  degnissimo  di  voi.  L'Università  di 
Fermo  gareggia  per  antichità  e  per  merito  colle  prime 
di  nostra  Italia.  Padova,  Bologna,  Pavia,  Siena,  Pisa 
sono  elleno  rinomate  e  note  perchè  hanno  gli  annalisti, 
le  nostre  Università  Picene  neglette  se  ne  rimangono, 
e  per  dir  così  ignote  carent  quia  vate  sacro  »  (2).  E 

(1)  Fra  i  molli  che  sì  $ono  occupali  d^illnstrare  la  storia  e  i 
monomeDli  di  Fermo  citeremo  Francesco  Adami,  Cesare  Ouinelli 
nel  secolo  xvi;  Alessandro  Borgia,  Padre  Eduardo  da  S.  Saverio 
(Filippo  Saverio  f  raDceschini  da  Massa),  Domenico  Haggiori,  Michele 
Catalani,  Giuseppe  Colocci  nel  sec:  xviu;  e  a*  nostri  tempi  il  Ca- 
nonico Giuseppe  Porti,  l'Avv.  Cav.  Giuseppe  Fracassetti,  i  fratelli 
Aw.  Raffaele  e  Avv.  Cav.  Gaetano  De-Minicis  il  quale  olire  ì  molti 
sooi  lavori  sopra  Fermo  pubblicò  per  la  prima  volta  con  erudite 
annotazioni  in  Firenze  nel  1870  le  antiche  cronache  fermane  scritte 
da  Antonio  dì  Niccolò,  da  Luca  Costantini,  da  Giampaolo  Montani  a 
da  autore  anonimo  che  si  crede  essere  Francesco  Saverio  MorroiM. 

(8)  Intorno  alle  altre  Università  Marchigiane,  che  più  fortunale 
della  nostra  vivono  ancora,  si  hanno  alcune  notizie  storiche  di  re* 
eente  pubblicate  e  sono: 


14  PREFA2I0NB 

più  tardi  tornava  ad  animarlo  a  quella  letteraria  im- 
presa con  altra  lettera  del  17  Marzo  1780  €  Fermatevi 
fermatevi  nel  tessere  una  serie  de^  Vescovi  fermani  e 
vi  troverete  materia  e  pascolo  indicibile,  e  quindi  pren- 
dete a  tessere  la  storia  di  cotesta  Università.  Mentre 
studiate  per  la  prima  opera,  notate  tutto  ciò  vi  capita 
nelle  mani  per  la  seconda,  che  alfine  darete  senza  av- 
vedervene  il  miglior  lustro,  che  dar  si  può  alla  vostra 
Fermo,  città  ad  immaginar  mio  la  principale  della  pro- 
vincia e  la  più  potente  da  molti  e  molti  secoli  anche  i 
più  remoti...  »  (1).  Né  tali  incitamenti  furono  vani,  che 
scrisse  SulPorigine  dei  Piceni^  Sulle  origini  ed  antichità 
fermane^  Sulla  zecca  fet^tnana^  non  che  la  sua  opera  di 
maggior  lena  De  firmana  Eccle^a  eiusque  episcopis  et 
archiepiscopis,  e  da  ultimo  De  vita  et  scriptis  Dominici 
Capramcae  Cat^^dinalis  et  Antistitis  firmaniy  ma  sventu- 
ratamente non  gli  bastò  la  vita  per  incarnare  il  disegno 
degli  altri  meditati  lavori. 

QuandMo  cominciai  a  svolgere  le  patrie  memorie 
per  compilare  la  Guida  storica  e  artistica  di  Fermo  pub- 
blicata nel  1864,  mi  sorse  il  pensiero  di  scrivere  qual- 
che cosa  intorno    agli  scudi,  che  grandemente   onorano 


Memoria  intorno  T  Università  di  Macerata,  Macerala  tipografia 
Biaochini  1868. 

Degli  studi  universitari  di  Camerino  e  de  suoi  fasti  letterari 
e  politici  memoria  compilata  da  Fbancesgo  FioRGsimLi  nella  J?o< 
mana  Curia  avvocato  Rettore  e  professore  di  diritto  Giustiniano 
e  patrio  nel  camerte  Ateneo,  corredata  di  note  e  documentif  Game* 
rino  tip.  Sarti  1864. 

Cenno  storico  sopra  ^F Università  di  Urbino  scritto  da  Airromo 
Ragazzi,  Urbino  tip.  del  Hetaaro  1873. 

(1)  Y.  Albssardbo  Evangsusta  Memorie  sulla  vita  e  su  gli 
scritti  del  Canonico  Michele  de'  Conti  Catalani  di  Fermo^  Fermo 
tip.  Paccasassi  1834i 


la  patria  nostra  anche  in  secoli  di  ignoranza  e  di  bar- 
barie, ma  altre  occupazioni  non  mi  permisero  di  met- 
ter tosto  ad  effetto  il  mio  divisamente*  Non  mancai  però 
nei  pochissimi  ritagli  di  tempo  di  andare  spigolando 
qua  e  là,  come  mi  si  preseniava  il  destro,  opportune 
notizie,  le  quali  ora  presento  al  pubblico  insieme  riunite. 
Mi  propongo  di  dire  brevemente  della  istituzione  dello 
studio  fermano,  della  origine  della  Università,  delle  sue 
vicende,  infine  dello  stato  presente  delle  scuole,  per  di- 
mostrare, che  le  rive  del  Ténna  non  furono  giammai 
inospitali  alle  scienze  ed  alle  lettere,  e  che  vi  ebber 
sede  da  tempi  remotissimi.  Non  lascerò  di  ricordare  le 
Accademie  ed  i  Collegi  che  un  giorno  fiorirono,  alcuni 
de*  migliori  alunni  che  uscirono  dalle  nostre  scuole  ed 
i  più  rinomati  professori  che  vi  lessero,  de'  quali  se 
non  mi  venne  fatto  di  dare  più  copioso  numero,  è  a 
cagione  della  scarsezza  di  notizie  a  noi  pervenute  es- 
sendo perite  molte  carte  preziose,  vuoi  per  violenze  sof- 
ferte, vuoi  per  incendi,  vuoi  per  Tincuria  dei  '  passati 
nel  serbare  le  antiche  memorie  e  monumenti. 

Comprendo  pur  troppo  di  non  poter  degnamente 
rispondere  al  nobile  soggetto  da  me  tolto  a  trattare, 
come  era  da  attendersi  dal  nostro  Catalani»  al  cui  pa- 
raggio  anche  uomini  eminenti  temerebbero  avventurarsi, 
nollameno  spero,  che  i  gentili  lettori  vorranno  apprez- 
lare  il  mio  buon  volere,  se  non  seppi  far  meglio,  ed  il  * 
desiderio  che  ebbi  dUUustrare  una  pagina  gloriosa  della 
nostra  storia,  avvegnaché  dalla  coltura  si  misuri  la 
grandezza  e  la  civiltà  di  un  paese. 


^nsTiTiBWiB  n  lìKO  STONO  ciNiiAU  A  rnuio 

Fermo,  città  antichissima,  fu  una  delle  pia  nobili  e 
grandi  del  Piceno,  lo  che  si  deduce  dall'avere  avuto  il 
diritto  della  monetazione,  coqie  fan  fede  le  tre  monete 
gravi,  cioè  il  triente^  il  quadrante  ed  il  sestante  con  la 
leggenda  FIR,  or  diretta  ora  retrograda,  in  esse  impron- 
tata, e  dairessere  slata  fra  tutte  scelta  ad  accogliere  la 
prima  colonia  romana  trapiantata  in  questa  regione  nel- 
Tacno  di  Roma  489  in  sul  principio  della  prima  guerra 
panica  a  testimonianza  di  Yelleio  Patercolo  (1).  Anche 
Tito  Livio  ricorda  la  nostra  città,  che  si  mantenne  fe- 
dele alla  Elepubblica  Romana  nella  seconda  guerra  pu- 
nica (2).  Appiano  Alessandrino  ci  riferisce  che  nella  gparra 
sociale  fu  la  salvezza  de*  Romani  (3),  Cicerone  chia- 
ma i  fermani  fratelli  (4),  e  Plinio  giuniore  intitola  Fer* 
mo  colonia  omatissima  (5).  Allo  sfasciarsi  della  gran  mo- 
le del  romano  impero  anche  essa  patì  tutte  le  barbariche 
invasioni,  finché  i  Longobardi  la  fecero  sede  di  un  Du- 
ca (6).  Fu  arricchita  di  privilegi  dagli  Imperatori  e  dai 
Papi,  si  governò  poi  a  repubblica,  ebbe  una  storia  pro<- 
pria  ed  una  preponderanza  sulle  altre  città  marchigiane 
fino  alla  metà  del  secolo  XVI,  in  cui  si  mantenne  indi- 

(1)  JImI.  Rum.  Lib.  i.  oap,  15  t  Inilio  primi  belli  punici  Fir- 
mnm  ei  Casiram.colonis  oecopalt.  » 

(2)  Hi8i.  Ram.  Lib.  27  cap.  12. 

(3)  De  bello  cioili  Lib.  i. 

(4)  Lib.  IV  episL  8  ad  AUic. 

(5)  Lib.  VI  epist.  i8. 

(6)  Nell'impero  de'  Longobardi  fu  Fermo  in  grande  eslìmaiione 
e  pare  anzi  che  tenesse  Tapice  della  sua  floridezza  ed  acqnislassa 
vasta  giurisdizione.  Sappiamo  dalla  celebre  antica  lapide  di  Falerono 


INSTITU2I0NB  17 

pendente,  e  questa  preponderanza  le  venne  e  le  fu  man- 
tenuta da  speciali  circostanze  per  aver  preso  parte  in 
tatti  ì  più  grandi  avvenimenti  politici  di  quell'epoca  e 
sopra  tutto  dal  suo  Studio  ordinato  ad  Università  fino 
dal  secolo  IX  come  in  appresso  diremo. 

L^amore  agli  studi  fin  da  tempi  più  remoti  fu 
grande  appo  i  fermani:  e  se  fosse  certo  doversi  leggere 
nutmtìm  come  molti  han  letto,  in  un  passo  di  Àristos- 
«seno  riportato  da  Porfirio  (1)  ed  in  altro  di  Diogene 
Laerzio  (2) ,  dove  alcuni  leggono  invece  ntMinn  sareb- 
be a  dire,  che  i  Fermani  pure  concorsero  con  gli  altri 
Pironi  a  Crotone  Città  della  Magna  Grecia  per  ascol- 
tarvi le  lezioni  del  filosofo  Pitagora,  fondatore  della  scuola 
italica.  Ben  certe  per  altro  sono  le  antichissime  rela- 
tioni  dei  Piceni  coi  Greci  delP  Italia  meridionale  e  del- 
la Sicilia,  le  quali  dovettero  senza  meno  influire  d'assai 
solla  loro  coltura.  Dalla  deduzione  della  colonia  ferma- 
na  alla  caduta  delFimpero  occidentale,  quantunque  la 
più  parte  de*  padri  nostri  sì  desse  al  mestiere  delle  ar- 
mi, pur  non  mancarono  di  quelli  che  allo  studio  delle 
scienze  e  delle  lettere  s'applicarono.  Ricorderemo  innanzi 

che  Tasbaoo  fosse  Duca  di  Fermo  Tanno  770  a*  tempi  dei  Re  De- 
siderio e  Adalgiso  —  Tasbanus  —  Dux  Firmi  —  Anche  il  Fat- 
TtscHi  (Memorie  istorico  -  diplomatiche  riguardanti  la  Serie  dei 
Ihichi,  e  la  topografia  de*  tempi  di  mezzo  del  Ducato  di  Spoleto, 
io  Camerino,  1801  presso  Vincenzo  Gori  stampatore  arcivescovile 
pag.  4S)  parla  di  Tasbano  Doca  di  Fermo,  e  ne  fa  pur  menzione  il 
Pkboou  Campaicklu  nella  Giunta  alla  serie  de'  Rettori  della  Marca. 

(1)  De  vUa  Pytkag. 

(2)  De  vita  et  moribus  Philosopk,  lib.  viii  in  pythagoras  — 
T.  DoMGCioo  Magg:ori  --  De  Firn.  Urb.  origine  atque  ornamentis 
ptgiiia  6  —  Fiuppo  EuGS!fio  Mecchi  —  Saggio  storico  della  col' 
iitra  scientifica  e  letteraria  degli  antichi  Fermani,  Fermo  dalla  Ti- 
pograia Paecasassi  1860. 

JMi  5ior.  March.  Voi  L  U 


l8  DI   UNO   STUDIO   CENTRALE   A   FfiRllO 

tutto  Lucio  TarunziOy  il  quale  par  certo  nascesse  prima 
della  metà  del  secolo  VII  di  Roma,  essendo  fiorito  ai 
tempi  della  Dittatura  di  Siila  (1).  Studiosissimo  della  fi- 
losofia pitagorica  si  versò  eziandio  nelle  lettere  greche 
e  latine,  e  recatosi  in  Roma  si  diede  anche  per  suo 
diletto  airastrologia  giudiziaria  introdotta  colà  dai  Cal- 
dei, e  Solino  e  Plutarco  gli  dan  lode  di  nobilissimo  fi- 
losofo e  matematico.  Fu  familiare  di  Tullio  e  di  Var-- 
rene,  da  cui  gli  venne  commesso  d^investigare  il  giorno 
e  Torà  della  concezione  di  Romolo,  alla  quale  inchiesta 
si  die  con  ogni  cura  a  soddisfare;  e  fissò  poi  la  data 
della  fondazione  di  Roma  accettata  da  Varrone  e  poscia 
dall^universale  fino  a^  di  nostri:  scrisse  in  greco  sugli 
astri,  come  apprendiamo  da  Plinio  il  vecchio  che  enu- 
merando gli  autori  da^  quali  trasse  partito  nella  sua 
Storia  Naturale^  pone  anche  il  nostro  Tarunzio  nel 
libro  diciottesimo,  ove  tratta  della  relazione  deiragricot- 
tura  coi  segni  celesti  (2).  Molti  antichi  e  moderni  scrit- 
tori con  parole  di  encomio  rammentano  quelPillustre  fer- 
mano e  più  particolarmente  il  principe  della  Romana 
eloquenza  (3).  Uomo  di  non  poca  coltura  fu  indubbia- 
mente quel  nostro  Lucio  Gavio  seguace  di  Publio  Clodio, 


(1)  6.  Batt.  Ricciou  uno  dei  più  dotti  astronomi  del  secolo 
Ti\Lì  cosi  scrìve  di  Tarunzio  nel  suo  Almagestiiim  novum  asfrono- 
mtaifi  veteretn,  novamqui  camplectens  P.  n.  «  Lucius  Tanmtius 
Grmanus  Varroni  familiaris  floruit  anno  ante  Ghristam  86.  > 

(2)  Hi$t.  nat.  Lìb.  i.  t  Libro  xvm  ex L.  Tarontio, 

qui  graece  de  astris  scripsit  »  —  V.  Giovanni  Santini  —  Picenarum 
Mathematicorum  elogia  p.  51. 

(3)  CicBRONB  de  dwinat.  lib.  ii  cap.  47  «  L.  Tarunlios  fir* 
manus  familiaris  noster  in  primis  chaldaicis  rationibns  emdilus 
urbis  etiam  nostrae  natalem  diem  repetebat  ab  ipsis  Palilibns,  qnibus 
eam  a  Romulo  conditam  accepimus,  eamqoe  in  ingo  qaum  esset 
Luna  natam  esse  dicebat,  nec  ejos  fata  canere  dobitabat,    e  Y. 


IN8TITUZI0NE  19 

amico  dì  Tito  Pomponio  Attico  e  negoziatore  di  Marco 
Bruto,  che  gli  ottenne  da  Cicerone,  mentre  era  questi 
al  governo  della  Cilicia,  l'ufficio  di  Prefetto  delle  esa- 
zioni delle  gabelle  (I).  Nelle  lettere,  oltreché  nelle  ar- 
mi, si  segnalò  assaissimo  un  tal  Sabino  in  guisa  che  C. 
Plinio  Cecilie  Secondo  giuniore  il  consultava  e  gli  man« 
dava  a  leggere  i  suoi  scritti  per  averne  il  parere  prima 
di  pubblicarli;  che  anzi  interessato  da  lui  a  difendere 
una  causa  pubblica  dei  fermani  contro  i  Faleriensi  per 
titolo  dei  confini  non  solo  annuì,  ma  gli  rispose  una 
lettera,  che  vale  il  più  bel  monumento  per  Fermo  e  il 
più  grande  elogio  per  Sabino,  mostrando  in  qual  conto 
lo  avesse,  e  quanto  gli  fosse  cara  la  sua  familiarità  (2). 
Ma  giureconsulto  valente  si  fu  Marco  Gavio  Massimo 
della  antichissima  gente  Gavia,  che  trapiantata  da  Roma 
per  le  coionio  in  molte  città  d'Italia,   primeggiò   anche 


PuTTAiCB.  AHMiitu  SoLRf.  Polyhist:  2  —  I.  L.  Ltdos  De  mensilms  1,  i4. 
bue  buoni  articoli  si  leggono  sopra  il  nostro  Taranzio  nel  A'cltem- 
maire  kùlort^ue  et  eritiqne  de  Pisrbi  Batlb,  e  nella  biografia  unt- 
t€r$ùU  antica  e  mocferfia  edita  dal  Missugua:  di  Ini  parlarono 
li  BtAOTOBT,  il  VAicicuca,  il  MomisiN  ed  altri:  1* autore  di  queste 
Dolizie  storiche  ne  ha  pubblicalo  una  breve  vita  (Y.  Cubi  e  F.  E. 
Miaan  —  Vile  degli  illuitri  fermani.  Fermo,  tipografia  Pacca- 
sassi  1862). 

(1)  CicnoKi  ad  Attic.  epist.  i  lib.  vi.  t  Ego  tamen,  quas  per 
le  Bruto  promiseram  praefectoras,  M.  Scaptio»  L.  Gavio,  qui  in 
refDo  rem  Bruti  procnrabant,  detnli;  nec  enim  in  provincia  mea 
negoUabantor.  Tu  antem  meministi  nos  sic  agore,  ut  quot  vellet 
praefectoras  someret,  dnm  ne  negotiatori. 

(2)  Fumo  epist  18  lib.  vi  t  C.  Plinios  Sabino  suo  salntem 
—  Rogas  Qt  agam  Firmanomm  pablicam  caosam:  qnod  ego  quam- 
quam plorimis  occapationibns  distentos  adnitar«  Cupio  enim  et 
omalissimam  coloniam  advocationis  oflicio,  et  te  gratissimo  tibt 
miniere  obstringero.  Nam  qnom  familiaritatem  nostram,  nt  soles 
pracdieart  ad  praesidinm  omamentomqoe  Ubi  sampseris,  nibil  est 


^0  DI  UNO   STUDIO   CBNTtlÀLB  A  PERICO 

a  Fermo  tra  le  piil  cospicue  famiglie  (1).  Dopo  essere 
stato  dairimperatore  Antonino  Pio  mandato  ad  ordinare 
lo  stato  deirAcaia,  e  quindi  fatto  Prefetto  del  Pretorio, 
ufficio  tenuto  venti  anni,  ottenne  anche  gli  onori  con- 
solari (2).  E  mentre  il  nominato  Imperatore  diede  pro- 
ve di  affetto  ai  Permani  facendone  a  sue  spese  restau- 
rare il  teatro,  è  da  pensare  che  li  provvedesse  di  maestri 
e  di  scuole,  forse  favoreggiate  anche  dal  suo  successore 
Marco  Aurelio,  al  quale  innalzarono  i  Permani  a  cagion 
di  onore  una  statua  nello  stesso  teatro,  la  cui  esistenza, 
al  dir  del  Tiraboschi,  è  una  prova  del  fiorente  stato 
degli  studi,  massime  della  poesia.  Che  diremo  del  cele- 
bre Lucio  Celio  Lattanzio?  Retore  a  Nicomedia,  precet- 

qood  negare  debeam,  praesertim  prò  patria  petenti.  Quid  enim  pre- 
cibns  aut  honestios  piis,  aot  efScacias  amaotis?  Proinde  Firmanis  lais 
ac  iam  potios  nosiris  obliga  Gdem  meam:  qaos  labore  et  stadio  meo 
dignos  cain  splendor  ipsoruin,  tum  hoc  maxime  poilicetor,  qood  ere* 
dibile  est  optimos  esse»  inter  qaos  to  talis  extiteris.  Yale  >  Due 
altre  lettere  da  noi  si  conoscono  scritte  da  Plinio  a  Sabino,  cioè 
epìst.  2  e  i7  lib.  ui,  che  appalesano  la  stima  e  ramìctzia,  che  egli 
nutriva  per  lui. 

(1)  Intorno  alla  genie  Cavia  V.  Cabdikau  —  DipUmi  imfermlù 

(2)  Una  iscrizione  sopra  Marco  Gavio  Massimo  esisteva  ai 
tempi  dell'Adami  (ne\  sec.  xvi)  in  nna  base  posta  nella  Chiesa  di 
S.  Hocco  di  questa  città  ed  ora  più  non  si  trova,  ma  fii  già  dallo 
stesso  Adami,  dal  Moratori  e  da  altri  riferita  nelle  loro  raccolte  di 
iscrizioni.  Essa  era  la  seguente 

M.   GAVIO.   M.  F.  PAL. 

MAXIMO     PRABF.     PBABT. 

OONSYLARIBYS  ORNAMBMTIS  OBNATO 

T.  CLAVDIVS.    FIBMVS.   P.   P. 

SX  GOBMICYU^R.  IP31TS 

L.  D.  D«   D. 

Dai  commenti  di  Giovakici  Maria  Cattanbo  alle  lettere  di  Plinio 
gioniore  (ep.  2  lib,  ni.)  apprendiamo  che  Gavio  Massimo  fu  inviato 


INSTITUZIONB  21 

toro  a  Crispo  Cesare,  figlio  deirimperatore  Costantino, 
laminare  del  IV  secolo  per  vastità  di  dottrina  e  dentei- 
letto,  che  si  rileva  nelle  molte  e  dottissime  sae  opere, 
meritossi  il  nome  di  Cicerone  Cristiano.  Checché  abbia- 
no volato  dire  alcuni  in  contrario  nel  ritenerlo  piuttosto 
africano,  il  P.  Edoardo  da  S.  Saverio,  Zefirino  Re  ed 
il  mio  collega  Prof.  Filippo  Eugenio  Mecchi  nel  suo 
erudito  lavoro  or  ora  pubblicato,  con  validissimi  argo- 
menti hanno  a  Fermo  questa  gloria  rivendicato  (1). 

Venuta  alla  perfine  Tepoca  delFuniversale  deca- 
denza cagionata  dalle  luttuose  incursioni  di  tante  orde 
barbariche  dopo  la  caduta  deirimpero  romano  in  occi- 
dente, non  meno  che  dalla  corruttela  ognor  più  crescen- 
te dei  costumi^  era  dato  alla  nostra  città  di  conservare 
il  prezioso  deposito  delle  scien7.e  e  delle  lettere.  Difatti^ 
al  pari  delle  altre  più  ragguardevoli  essa  ebbe  pubblici 
registri,  ne*  quali  venivano  annotate  le  cose  memorabili 
sacre  e  civili.  Volendo  Valeriane  far  consacrare  Torato- 
rio  di  S.  Savino  prossimo  alle  mura  di  Fermo,  San  Gre- 
gorio nel  599  scrisse  a  Passivo,  il  vescovo  della  città, 
d^accettare  la  donazione  d^esso  Valeriane  facendola  re- 
gistrare nelle  Geste  Municipali  {Gestisque  municipalibus 


ad  ordinare  lo  stato  deirAcaia  e  fatto  poi  prefetto  dei  pretorio.  Di 
detto  Gavio  Hassimo  si  fa  onorata  menzione  nelle  lettere  di  Feon- 
T05I  messe  in  loce  dal  cardinal  Mai  (epist,  tv  ad  Antonin.  Piom), 
<)  l^gg^si  in  una  nota  <  Cavias  sea  Gavìns  Maximus,  vir  severis- 
stOMis,  praefeetos  praetorii  sub  Pio  annis  xx.  —  Vide  et  Grat.  inscr. 
oavm  —  el  Plin.  epist.  iii.  2.  > 

(t)  V.  il  P.  EpuABDO  DA  S.  Savkrio  (PìUppo  Saverio  Fran- 
eesehioi  da  Hassa)  /«  omnia  Lactantii  opera  ditserlationum  prae^ 
riantm  ^oir s  —  ZsFmi!fo  Rk  —  Ragionamento  intorno  alla  patria, 
aiU  vita  ed  alle  opere  di  L.  C  Lattanzio  Firmiano  —  Filippo 
Ew»io  HaccHi  -^  iMtanzio  e  la  sua  patria^  Fermo  Stab.  tip. 
Bacber  1875. 


22  DI   UNO   STUDIO   CENTRALE  A  FERMO 

alligata) .  (1  ).  E  questo  indizio  manifesto,  che  non  era 
spenta  ogni  coltura  fra  noi  in  mezzo  a  sì  grossolana 
ignoranza. 

Se  non  che  il  più  splendido  monumento  di  gloria 
per  Fermo  in  ordine  agli  studi  sì  è  senza  meno  il  cele- 
bre editto  di  Lotario  1,  a  cui  dobbiamo  la  prima  ori- 
gine delle  pubbliche  scuole  in  molte  delle  nostre  città. 
Già  fin  dairottocento,  quando  per  opera  di  Papa  Leo- 
ne III  risorse  Timpero  d'Oriente  nella  persona  di  Carlo 
il  grande,  questo  principe  pieno  di  zelo  accolse  il  ge- 
neroso intendimento  dì  spegnere  le  reliquie  de'  barbari 
e  di  dare  agli  studi  un  repentino  impulso,  valendosi 
del  suo  genio  e  deiraiuto  degli  amici  suoi  iniziati  nella 
letteratura  classica  de'  Romani.  I  succeditori  di  lui  con- 
tinuarono con  pari  indirizzo,  finché  Lotario,  spedito  in 
Italia  dall'Imperatore  Ludovico  suo  padre  acciocché  agli 
affari  di  questo  regno  accudisse,  al  vedere  la  desolante 
condizione  nella  quale  erano  ridotte  tutte  le  contrade 
sotto  questo  bel  cielo  percorse  e  devastate  da  barbari- 
che orde,  fermò  a  darvi  pronto  riparo  quel  suo  capito- 
lare, che  il  Muratori  riferisce  air823  e  negli  annali 
d'Italia  dice  essere  incerto  l'anno  (ad  an.  829),  alla 
quale  opinione  inclina  anche  il  Tiraboschi,  ma  che  fu 
dato  nel  Maggio  deir825  da  Olona,  siccome  ci  accerta 
il  Gregorovius  (18).  In  esso  deplorando  l'abbandono  del- 
lo studio  delle  lettere  per  colpa  e  dappocaggine  dei  mi- 
nistri sacri  e  profani,  dice  di  aver  deputato  maestri  che 
insegnino  le  lettere  col  raccomandar  loro  di  usare  tutta 
la  possibile  premura,  afiinchè  i  giovani  ne  traggano  pro- 
fitto. Viene  poi  noverando   le   città,    in    ciascuna  delle 


(1)  S.  Gregobio  epist.  lxx.  lìb.  tx  in  dict.  ii. 

(2)  Storia   della  città  di  Roma  nel  medio  evo  dal  sec,  v  al 
vxi.  Voi.  HI  p,  174  (Venezia  Giuseppe  Antonelli  1873). 


INSTITUZIONB  23 

quali  era  destinato  un  maestro^  onde  colà  concorressero 
a  studiare  i  discepoli  delle  circonvicine  città,  e  comin- 
cia da  Pavia,  ove  Dungallo  monaco  avrebbe  insegnato 
a  quei  di  Milano,  Brescia,  Lodi,  Bergamo,  Novara,  Ver- 
celli, Tortona,  Aqui,  Genova,  Asti  e  Como.  Poi  soggiun- 
ge che  in  Ivrea  lo  stesso  vescovo  insegnerà  le  lettere. 
A  Torino  concorreranno  quei  di  Ventimiglia,  Albenga^ 
Vado  ed  Alba.  A  Cremona  quei  di  Reggio,  Piacenza^ 
Parma  e  Modena.  A  Firenze  tutti  gli  studenti  della 
Toscana.  A  Fermo  quei  del  ducato  di  Spoleto.  A  Ve- 
rona quei  di  Mantova  e  Trento.  A  Vicenza  quei  di  Pa- 
dova, Trevigi,  Feltro,  Oeneda  ed  Asolo.  Le  altre  città 
di  quelle  parti  manderanno  i  loro  giovani  alla  scuola 
del  Foro  di  Giulio,  cioè  a  Cividale  del  Friuli  (1). 

Da  ciò  si  par  manifesto  in  quanto  pregio  fosse  al- 
lora tenuta  la  nostra  città  dalVImperatore  che  la  pose 
fra  le  nove  prescelte,  d'onde  dovevasi  come  da  altret- 
tanti centri  per  tutto  il  regno  dltalia  diffondere  la  scien- 
za. E  siccome  non  vediamo  altro  luogo  del  Piceno  as- 
segnato per  sede  delle  scuole,  cosi  fa  d^juopo  inferire, 
che  Fermo  avesse  di  quel  tempo  un  concorso  di  stu- 
denti fuor  di  modo  numeroso,  mentre  vi  dovevano  con- 
correre non  soltanto  quelli  del  proprio  paese  e  dintorni, 
ma  gli  altri  eziandio  delle  città  del  Ducato  Spoletino, 
che  era  allora  assai  esteso.  11  Fatteschi  (2)  stabilisce, 
che,  oltre  parte  dell'Umbria  fino  alla  sommità  degli  Ap* 
pennini  comprendeva  osso  la  Sabina  nelFantica  sua  di- 
mensione fino  ai  Vestini  e  Norcia;  gli  Equi  o  Equicoli, 


(1)  Vedi  il  capitolare  dell'Imperatore  Lotario  i.  al  N.  i  dei 
docomeoti  io  fine  —  Girolaho  Tiraboschi  —  Storta  della  lettera" 
(fftt  iialiéna.  Voi.  1  p.  458,  Milano  per  Nicolò  Bettoni  e  comp. 
1833. 

(2)  Op.  Git 


24  DI  UNO   STUDIO   CKNTRÀLB  A  FERMO 

i  Marsi  i  Peligni  e  Vestini,  e  quindi  dilatandosi  fino  al 
mare  Adriatico,  tutto  il  Piceno  dal  fiume  Miseo  o  Mu« 
sene  fino  al  fiume  Aterno  o  Pescara,  racchiudendo  in 
6Ò  tanto  i  Pretuzi,  quanto  Tagro  Adriano  anticamente 
uniti  agli  stessi  Piceni.  Al  principio  del  nono  secolo  fu 
aggiunto  a  questo  Ducato  il  paese  de*  Marrucini  o  sia 
il  Castaldato  Teatense  o  di  Chieti  fino  al  fiume  Sangro. 
La  patria  nostra  adunque  fin  da  quel  secolo,  sopranno- 
minato a  buon  diritto  di  ferro,  fu  per  avventura  una 
fra  le  prime  a  risvegliare  l'ardore  degli  studi,  che  da 
lunghissimi  anni  erano  sventuratamente  menomati  e 
pressoché  spenti,  e  ad  avere  pubbliche  scuole. 

I  cronisti  fermani  fin  qua  le  ritennero  prima  di 
Lotario  fondate  da  Lupo  Vescovo  di  Fermo  al  suo  ri- 
torno da  Roma  dopo  il  Concilio  tenuto  sotto  Papa  Eu- 
genio li  alla  presenza  di  sessantatre  vescovi,  che,  oltre 
alla  disciplina  ecclesiastica,  si  occuparono  della  ripara- 
zione delle  scuole,  come  si  ha  dall'ultimo  canone  «  De 
scholis  reparandts  prò  studio  litierorum  »  eccitati  forse 
dal  recente  decreto  di  Lotario,  che  non  estendevasi  a 
Roma  ed  alle  provincie  della  Chiesa.  Ma  riflettendo  che 
questo  Concilio  si  celebrò  neir826,  ossia  un  anno  dopo 
che  Lotario  emanò  il  suo  decreto^  la  cui  data  è  ora  ac- 
certata air825  devesi  ritenere  Lupo  favoreggiatore,  an- 
ziché fondatore  delle  pubbliche  scuole  fermane. 

E  qui  mette  bene  a  proposito  di  osservare  che 
cosa  fossero  i  maestri  e  le  scuole  di  allora.  L^aperta 
dichiarazione  delFImperatore  che  s'era  spento  del  tutto 
rinsegnamento  di  scuole,  fa  che  s'argomenti  lo  stato 
miserrimo  in  cui  era  l'istruzione  in  Italia.  Di  istituti 
scolastici  maggiori  non  puossi  pur  pensare  ed  era  già 
gran  mercè  in  quei  secoli  rozzi  il  potere  avere  un  buon 
maestro,  il  cui  compito  si  riduceva  ad  insegnare  la  gram- 
matica, nome  che  abbracciava  nondimeno  oltre  la  lingua 


IN8TITUZI0NB  25 

latina^  anche  le  lettere  umane,  la  spiegazione  degli  at- 
tichì  scrittori  e  poeti  latini,  una  qualche  tintura  delle 
sacre  scritture,  e  da  vantaggio  la  cognizione  artis  com" 
putatoriae  o  de  computo  per  intendere  le  lunazioni  e 
simili  cose.  Siffatte  scuole  si  trovavano  in  molti  mona- 
steri di  monaci,  ed  in  alcune  città  insegnavano  talora 
anche  i  vescovi,  ed  i  parrochi  di  Villa  eran  tenuti  ad 
ammaestrare  nelle  lettere  1  fanciulli.  Può  darsi  che  le 
dottrine  giuridiche  fiorissero  ancora  di  qualche  po^  di 
cultura,  e  veramente,  in  seguito  allo  statuto  di  Lotario, 
dovevano  trovarsi  dei  professori  di  giure  che  fossero 
addottrinati  nelle  leggi  di  Giustiniano  e  che  le  inse- 
gnassero in  compendio;  né  potevano  gli  avvocati  e  i 
notai  essere  del  tutto  digiuni  di  scienza  della  legge  sa- 
lica e  di  quella  longobarda. 

Che  se  non  mi  è  dato  di  riferire  i  nomi  di  coloro 
che  nelle  nostre  scuole  insegnarono  dal  secolo  IX  a  tut- 
to il  secolo  XIII,  è  mestieri  attribuirlo  alla  impossibilità 
di  rintracciare  notizie  di  tempi  a  noi  lontani  dopo  le 
tristi  vicende  subite  dalla  nostra  città  che,  come  tutte 
le  altre,  ebbe  a  lamentare,  per  la  distruzione  e  disper- 
sone degli  archivi,  la  infelice  perdita  di  preziosi  docu- 
menti, i  quali  ci  avrebbero  senza  meno  assai  glorie  di- 
svelato. Sappiamo  che  per  la  rarità  dei  maestri  in  Italia, 
si  fece  venire  di  Scozia  un  monaco  chiamato  Dungalo 
famoso  pel  suo  sapere:  sebbene  in  particolare  tenesse  il 
reggimento  dello  studio  di  Pavia,  fu  in  pari  tempo  Tau- 
tore  e  quasi  il  fondatore  delle  scuole  d'Ivrea,  di  Torino^ 
dì  Cremona,  di  Firenze,  di  Fermo,  di  Verona,  di  Vicen- 
za, di  Cividale  del  Friuli  destinate  a  ricevere  ripartita- 
mente  gli  scolari  da  tutte  le  altre  parti.  Lo  studio  fer- 
mano dovette  essere  rinomalo  in  proporzione  de'  teftipi 
oscurissimi,  della  ninna  comodità  di  libri  non  solo,  m^ 


26  DI  UNA  SCUOLA  CBHTRALE  A   FERMO 

di  nomini  che  adatti  fossero  ad  istruire  (1).  Perocché 
nel  X  secolo  quando  pochi  eran  coloro  che  più  delPaba- 
co  e  dei  primi  rudimenti  di  grammatica  imparassero, 
onde  qualche  storico  lo  pose  al  disotto  del  secolo  ante- 
cedente, vi  ricevè  Tistruzione  quel  Giovanni  figlio  di  un 
Siccone  o  Sicco  da  Rapagnano,  castello  posto  poco  lun- 
gi da  Fermo,  che  andato  poscia  in  Roma  e  consacratosi 
allo  stato  clericale,  venne  in  tanta  rinomanza  da  essere 
creato  Cardinale  da  Papa  Gregorio  V,  e  poi  innalzato 
per  la  sua  dottrina  e  per  le  sue  virtù  alla  pontificale 
dignità  il  9  Giugno  1003  col  nomfe  di  Giovanni  XVII 
regnando  Ardoino  Re  d'Italia  (2). 

I  fermani  che  si  segnalarono  per  i  studia  per  di- 
gnità ecclesiastiche,  per  magistrature  non  può  revocarsi 
in  dubbio  che  in  patria  Tistruzione  ricevessero.  Abbia- 
mo nel  secolo  XI  i  vescovi  Uberto  ed  Atto,  o  anche  Azze 
e  Azzolino,  in  greco  versatissimo  (3):  nel  secolo  XII  un 
altro  vescovo  in  Alessandro  II,  Filippo  Azzolino  giudice 
e  Ruggiero  Savini  uno  dei   consoli  di  Fermo  ed  alcuni 

# 

(1)  Mancava  in  qaei  tempi  la  carta  ed  erano  assai  rari  i  libri 

membranacei  o  cartacei,  quindi  si  dovevano  acquistare  ad  assai  caro 
prezzo.  Le  librerie  erano  in  Italia  pochissime  e  qaeste,  il  più,  pres- 
so i  Monaci  molto  doviziosi. 

(2)  Ciò  si  apprende  da  una  lapide  incisa  in  caratteri  corsivi 
chiamati  anche  gotici  minuscoli  ritrovata  nella  Chiesa  di  S.  Maria 
in  Rapagnano  nel  1750  dal  pievano  Francescantonio  Grifoni,  ed  ora 
esistente  neirintemo  della  Chiesa  Collegiata  insieme  col  ritratto  in 
plastica  del  Pontefice.  Giovanni  di  Siccone  di  Rapagnano  è  il  primo 
dei  nove  Papi  che  ebbero  lor  nascimento  nel  Piceno,  o  nella  Marca 
di  Ancona;  gli  altri  sono  Niccolò  iv  di  Ascoli,  Marcello  n  di  Mon- 
tefano,  Sisto  v  di  Grottammare,  Clemente  vin  di  Fano,  Clemente  n 
di  Urbino,  Leone  xii  di  Genga  presso  Fabriano,  Pio  viii  di  Cin- 
goli, Pio  IX  di  Senigaglìa. 

(3)  Il  Catalani  —  De  Ecclesia,  firmana  ecc.  (pag.  131)  par- 
lando di  questo  Vescovo  riporta  un  brano  di  un* antica   cronaca,  da 


IN8TITUZI0NB  27 

della  nobile  famiglia  Vinci.  E  primo  un  Baongiovanni, 
figlio  di  Agostino,  perfettamente  addottrinato  nella  giù* 
rìsprudenza,  a  cui  dedicossi,  quando  quella  scienza  alle 
altre  preferivasi,  perchè  risorgendo  nelle  italiche  scuole 
dopo  i  tenebrosi  e  lamentati  secoli  delFignoranza  e  del- 
la barbarie^  prima  fecesi  udire  dalle  cattedre  con  ap- 
plauso e  concorso  grande  di  studenti,  procacciando  al- 
l'Italia il  titolo  di  maestra  e  madre  delle  scienze  e  delle 
nobili  discipline.  Due  figli  del  detto  Buongiovanni  eb- 
bero fama  negli  studi.  Pace  o  Pacide  eccellente  profes- 
sore di  medicina,  che  vorrebbe  essere  aggiunto  agli  il- 
lustri medici  del  Piceno,  de^  quali  pubblicò  le  memorie 
il  Dott  Giovanni  Panelli,  e  Domenico  che  seguendo  il 
paterno  esempio  diede  opera  con  ottimo  successo  alla 
scienza  delle  leggi,  la  quale  si  andava  diffondendo  per 
ogni  parte,  ed  era  omai  tempo  che  ai  sanguinosi  con- 
quistatori ed  ai  crudeli  soldati  i  maestri  delle  pacifiche 
ed  utili  dottrine  si  anteponessero  (1). 

Nel  cominciare  del  secolo  XIII  il  quasi  contem- 
poraneo sorgere  dei  due  regolari  ordini  de'  Predicatori 
e  de'  Minori^  istituito  Fune  da  S.  Domenico  e  Taltro  da 
S.  Francesco  arrecò  opportuno  soccorso  agli  studi,  e 
massime  ai  teologici.   A   Fermo   ambedue   vennero  nel 


coi  si  apprende,  che  viaggiando  con  Reginaldo  console  della  ciuà 
alla  volta  di  Gerasalemme  e  fermatosi  a  Smirne,  a  Ini  vennero  mo- 
strato alcune  iscrisioni  greche  scolpite  in  arche  marmoree,  ed  egli 
le  ìoiarpretó  immedialaraente  in  latino  •  et  aecipiens  Arcbiepiscopos 
Pirmanuin  presolem  et  per  Eeciesiam  earo  dedaeens  arcas  marmo* 
reas  onde  Yenetici  Sanctos  abstolerant  illi  presenti  aliter  ostendit, 
et  in  ipsis  sÌDgolorum  epitapbia  Grecis  litterìs  legit,  qoe  Firmanus 
ifttarpretans  moto  seqoenti  latiniali  explanavit  • 

(I)  V.  GtAairro  Cantalambssa  Carboki  •*  Memorie  stùrick4 
ini&mo  gli  illustri  uomini  della  nobilissima  famiglia  dei  Conti 
Vinci  di  Fermo,  MaceraU  tip.  Cortesi  1818. 


28  DI  UNO   STUDIO   CENTEALB  A  FERMO 

principio  di  quel  secolo  fondati,  ed  in  quanto  al  primo 
vi  contribuì  in  parte  il  nostro  Giovanni  Albertoni  Pac- 
careni  legato  del  Papa  Innocenzo  III  in  Francia,  ove 
avendo  stretto  amicizia  con  S.  Domenico  lo  te"  venire 
a  Fermo  nel  1214  e  gli  donò  la  sua  chiesa  di  S.  Tom* 
maso  per  istabilirvi  i  frati  del  suo  ordine.  Un  Vinci,  il 
B.  Giovanni,  ne  vesti  Pabito,  vivente  S.  Domenico,  e 
colla  rigidissima  vita,  cogli  studi  delle  divine  scritture 
e  della  teologia,  colla  predicazione,  in  cui  si  afferma 
essere  stato  prestantissimo,  venne  in  molta  fama,  sicché 
in  Bologna  lo  si  additava  a  modello  ed  esempio  (1).  I 
frati  minori  nel  1240  vi  erano  già  stanziati^  riferendosi 
a  quell'anno  Terezione  del  tempio  dedicato  a  S.  Fran- 
cesco con  disegno  del  bravo  architetto  ascolano  Antonio 
Vipera  (2),  il  migliore  che  si  vegga  a  Fermo:  ed  essi 
pure,  insieme  coi  Domenicani,  contribuirono  al  progredire 
degli  studi  nelle  nostre  scuole,  d'onde,  oltre  i  due  ri- 
cordati, uscirono  in  quell'epoca  Stefano  Paccaroni  Priore 
in  S.  Pietro  Vaticano  nel  1250,  un  Egidio  Arcidiacono 
di  Fermo  giudice  nel  1255  alla  Corte  di  Azze  Nono  di 
Este  Marchese  di  Ferrara  e  della  Marca  d'Ancona,  Ge- 
rardo da  Fermo  riportato  tra  gli  uomini  illustri  delPU- 
niversità  di  Bologna  nel  1284^  Stefano  Azzolino  prestante 
giureconsulto  giudice  in  Macerata,  Nicola  da  Fermo  me- 
dico, Beltrando  Morici  lettori  ambedue  nella  menzionata 
Università  Bolognese  (3).  In  questo  secolo  pare  inse- 
gnasse grammatica  e  belle  lettere  un  bravo  poeta  della 

(1)  y.  Cautalambssa  —  Op.  cit. 

(2)  V.  YiNGKN»)  Curi  —  Guida  storica  e  artntiea  della  Città 
di  Fermo  pag.  «^6. 

(3)  Alconi  poetici  componimenti  del  Morici  plrte  indiritti  al 
celebre  Francesco  Stabili  detto  Cecco  d* Ascoli  si  serbano  nelle  Bi- 
blioteche Vaticana,  Barberini,  Chigi,  giusta  quanto  lasciò  scritlo  il 
J^ncellotti, 


IN8TITUZI0NE  29 

illastre  famiglia  Reggiana  degli  Arlotti,  venuto  qui  ve- 
rosimilmente in  compagnia  di  Guglielmo  de'  Roberti  di 
Reggio,  podestà  a  Fermo  nell'anno  1236  (1).  Avemmo 
finalmente  una  schiera  di  cospicui  Magistrati  che  ressero 
il  governo  in  altre  città,  fra  cui  perfino  un  Senatore  di 
Roma  in  Giacomo  Aceti  (2),  menzionati  in  antiche  iscri- 
lioni,  i  quali  tutti  mentre  dimostrano  Tamore  per  le 
scienze  é  le  lettere  nella  patria  nostra,  sono  di  non  poco 
lustro  allo  studio  fermano,  che  può  senza  fallo  gareg- 
giare con  Tantichità  delle  principali  scuole  dUtalia. 


(1)  Ciò  si  poo  dedarre  dalla  segoente  iscrizione  incisa  a  de- 
stra dei  rigoardanie  in  un  marmo,  che  servi  un  tempo  dì  architrave 
sopra  la  porta  del  Palazzo  della  Podesteria  di  Fermo,  ed  ora  farà 
parte  dell'iniziato  moseo  epigrafico  fermano  presso  la  biblioteca, 
quale  iscrizione  riscontrala  sul  marmo  stesso  do  qui  corretta  nella 
leru  linea  dove  altri  avean  letto  de  licentia 

HOS  digtàvit  arlotin 

BITRMOS  CITIS  RKGtlf 

òin  DiLiGBirriA 
rr  riRMAif  coaos  toto 

DAT  SR  ILUS  01  YOTO 
AD  SVA  SSaVITIA 

Questo  poeta  dettava  %$crizioni  rilmicke  latine  di  stile  assai  ragio- 
oevole  in  riguardo  ai  tempi,  due  delle  quali  furono  da  Ini  dettate 
per  due  delle  porte  di  Reggio  sua  patria  e  due  altre  per  la  rocca 
e  pel  Palauo  della  Podesteria  di  Fermo  faUo  costruire  da  GuglieU 
me,  Tofflassino  e  Ugo  de*  Roberti  succedutisi  nel  governo  di  que5ta 
città  (1236,  1237,  1238)  V.  Raffabli  Ds-Mimcis  —  Le  iuriziani 
fermane  antiche  e  wu>deme  con  note.  Fermo  tipografia  di  Gaetano 
Paecasassi  1857  N.  605  al  609.  941.  —  Ciuestiiio  Cavbdoui  — 
AbriiM  Uileraria  di  «n  poeta  ritmico  reggiano  del  ucolo  xiii  (Dal 
Meeeoggere  di  Modena,  N.  1571,  U  Luglio  1887). 

(2)  Giostpps  Porti  —  Tavole  Sinottiche  di  co$e  ptii  notabili 
della  città  di  Fermo  e  eoo  antico  Stato^  redatte  eopra  OM^tentid 
doeameeUi^  Fermo  mdoccxxxvi  tipografia  arciv.  del  Bartolini. 


n. 


EREZIONE,  PRIVILEGI,  COKPERMA  DELLA  INIVERSITA*  DI  PERNO 

Nel  secolo  XIV  Tltalìa  non  cessava  punto  dalFes- 
sere  agitata  per  le  intestine  discordie,  funeste  conse- 
guenze delle  guerre  straniere  e  dello  fazioni  de^  Guelfi 
e  Ghibellini,  così  che  pareva  mal  potersi  accoppiare 
alle  condizioni  de^  tempi  il  nobile  desiderio  di  erudirsi 
che  solo  airombra  della  pace  può  felicemente  svilup- 
parsi. Ma  essa,  vincendo  con  animo  grande  e  generoso 
gli  ostacoli  che  a  lei  si  paravano  dinanzi,  si  slancia  nel 
campo  del  sapere  e  produce  quei  tre  grandi  luminari 
Dante,  il  Petrarca,  il  Boccaccio,  ai  quali  noi  dobbiamo 
il  rifiorimento  dei  buoni  studi.  Di  quella  stagione  si 
aprono  copiose  biblioteche,  antichi  codici,  che  negletti 
si  giacevano  nelle  tenebre,  riveggono  la  luce;  s'intra- 
prendono lontane  peregrinazioni  allo  scoprimento  di  sco- 
nosciute dottrine;  finalmente  nasce  un  certo  fervore  per 
aprire  pubbliche  scuole  e  per  ottenere  dai  governi  i 
privilegi  e  i  diritti  delle  Università;  e  fra  quelle  di  Bo- 
logna, di  Padova,  di  Napoli,  di  Pisa,  di  Pavia,  di  Pia- 
cenza, di  Firenze,  di  Arezzo,  di  Siena,  di  Lucca,  di 
Roma,  di  Verona  e  di  altre  parti,  le  quali  o  sorgono, 
0  prosperose  rifioriscono,  vediamo  Tantico  studio  di 
Fermo  fra  i  primi  conseguire  la  qualifica  di  Università. 

Bonifacio  Vili,  cui  il  cronista  Giovanni  Villani 
definisce  «  uomo  dotto,  fornito  dMngegno  vivace,  nato 
fatto  per  magnanime  virtù  e  sommamente  liberale  verso 
gli  uomini  eruditi  di  beneficii  arricchendoli  »  nelFultimo 
anno  della  travagliata  sua  vita  volle  alFincremento  de- 
gli studi  provvedere,  e  considerando  che  la  città  di 
Fermo  per  la  postura  del  luogo^  amenità  del  clima, 
abbondanza  di  tutte  le  cose  al  vivere  nacessarie,  era  la 


EREZIONE,  PRIVIUGI,  CONFERMA  DELLA  UNIVERSlTl  DI  FERMO    31 

più  acconcia  alla  tranquillità  degli  studi  ed  a  prodarre 
uomini  cospicui  per  la  maturità  del  consiglio,  risplen- 
denti per  gli  ornamenti  della  virtù  ed  eruditi  nei  gradi 
delle  diverse  facoltà,  dai  quali  possono  apprendere  tutti 
gli  altri  che  desiderano  essere  imbevuti  ne^  documenti 
del  sapere,  con  sua  bolla  del  16  Gennaro  1303  ordinò 
vi  fosse  eretta  la  Università  del  tutto  conforme  a  quella 
tanto  celebre  di  Bologna,  concedendo  alle  nostre  scuole 
nuovi  favori  e  privilegi  «  sit  studium  generale  ad  in- 
«  star  studii  Bononiensis^  illudque  perpetuis  temporibus 
«  inibì  vigeat  tam  in  theologia,  iure  canonico  ac  civili 
<  et  artibuSy  quam  in  alia  qualibet  licita  facultate,  quod- 
«  que  legentes,  et  studentes  ibidem  omnibus  privilegiis, 
«  libertatibusy  et  immuniiatibus  gaudeant  et  utantur 
«  concessis  magistris  in  theologia,  et  doctoribus  legen- 
€  tibus  et  studentibus  commorantibus  in  studio  bono- 
€  niensi  >  (1) 

La  nostra  Università  oltreché  potrebbe  dirsi  la 
prima  di  pontificia  fondazione,  ove  si  mettan  fuori  dal 
numero  quelle  che  i  Papi  non  fondarono,  ma  sol  con- 
fermarono^ 0  di  privilegi  fornirono,  ha  certo  un  grado 
di  anzianità  sopra  il  Romano  Archiginnasio  istituito  tre 
meBì  o  meglio  di  poi  con  bolla  20  Aprile  1303  dallo 
stesso  Bonifacio  Vili,  il  quale  nello  stabilire  le  diverse 
facoltà  che  vi  si  dovevano  insegnare,  prese  norma  dal- 
la Permana  (2) 

Ma  uno  dei  più  segnalati  privilegi  ad  essa  accor- 
dati si  fu  al  certo  di  averle  concesso  pria  d^ogni  altra 
città  d'Italia  la  cattedra  ed  il  diritto  di  conferire  la  lau- 

(1)  V.  U  bolU  16  Gennaro  1303  riporiau  in  fine  al  N.  S 
dei  docQoienii  «^  Tuiabosri  —  Storia  della  letUraiura  italiana  v.  2 
p.  355  Ed:  Milanese. 

^8)  Carafa  De  Arekigymnaiio  romano  Lib,  1  cap,  6  —  Ri* 
tuoi  —  Storia  dilla  Uni90riità  de$li  $tudi  di  Roma  Lib.  !•  cap.  3. 


32  EREZIONE,   PRIVILEGI,   CONFERMA 

ra  in  teologìa,  come  dice  il  Brandimarte  (1),  citando 
Taulorilà  dello  storico  Bereault-Bercaslel.  Ciò  si  argo- 
menta innanzi  tutto  dalla  sopramenzionata  bolla  Boni- 
faciana,  ove  si  concede  a  Fermo  espressamente  Io  sta- 
dio generale  di  teologia;  poi  da  altra  bolla  di  Papa 
Innocenzo  VI  del  21  Giugno  1362,  da  cui  chiaramente 
apparisce,  che  non  prima  della  emanazione  di  questa 
nella  Università  di  Bologna  eravi  stata  la  cattedra  di 
teologia,  poiché  quel  Pontefice  ve  la  istituì  accordan- 
dole i  privilegi,  de'  quali  godevano  i  maestri  e  gli 
studenti  della  Università  di  Parigi  e  di  altre  famose 
nella  facoltà  teologica;  infine  da  altre  espressioni  che 
leggonsi  nella  stessa  bolla,  usate  da  papa  Innocenzo,  di- 
cendo egli  che  in  riguardo  della  fulgida  luce,  di  cui 
era  divenuto  chiaro  e  rinomato  quello  studio  nel  diritto 
canonico  e  ciaile  e  nelle  arti  liberali,  Io  credeva  degno 
di  ampliarlo  coiraccordargli  detnceps  ancor  la  cattedra 
di  Teologia  con  diritto  al  vescovo  di  Bologna  di  confe- 
rire in  tale  facoltà  i  gradi  di  licenza  ed  il  titolo  di 
maestro.  Così  pure  in  Firenze  non  prima  del  1358  fu 
conferita  la  laurea  teologica  (2). 

Esaminando  il  tenore  della  citata  bolla  di  Boni- 
facio rileviamo  che  si  preiscriveva  a  chiunque  aspira  a 
conseguire  il  dottorato  di  presentarsi  al  vescovo  ferma- 
no prò  tempoì^ej  od  al  vicario  idoneo  da  lui  delegato^ 
od  in  sua  mancanza,  quando  sia  vacante  la  sede,  a  chi 
verrà  deputato  dal  Capitolo,  all'oggetto  di  sostenere  il 
competente  esperimento  alla  presenza  dei  maestri  e  dot- 
tori secondo  i  modi  e  le  consuetudini  osservate  negli 
studi   generali^   ed   un   tal   privilegio   conservarono    in 

(1)  Antonio  Brandimartb  —  Plinio  tenion  Ulu$tralo  nella 
desa-iùone  del  J^iceno,  Roma  1815  nella  stamperia  dell' ospixio 
apostolico  presso  Carlo  Mordaccliini  pag.  43*44. 

(2)  TiRABosGHi  Op.  citi  Tomo  S  pag.  234  H  1^^*  Milaoese. 


DBLL4  mnvgRsiTi  Bi  PwaMo  ss 

sbatto  i  nostri  vescovi  che  ebbero  il  diritto  di  confo* 
rire  in  ogni  facoltà  la  lanrea  dottorale  ed  altri  gradi 
accademici.  Tutti  coloro,  che  fossero  stati  reputati  degni 
del  dottorato  potevano  pubblicamente  insegnare  in  qua- 
lunque università  non  solo  Tuno  e  P  altro  diritto,  ma 
tutte  le  altre  discipline,  nelle  quali  avevano  ottenuto 
la  laurea  senza  bisogno  di  sostenere  ulteriore  esame  o 
riportare  nuova  approvazione.  A  tutta  ragione  adunque 
i  nostri  padri  potevano  andare  superbi  di  così  singolari 
favori  della  sovrana  affezione  verso  il  nostro  sorgente 
istituto,  il  quale  seppe  presto  procacciarsi  quella  fama, 
che  altri  non  raggiunsero  se  non  per  lenta  opera  del 
tempo. 

La  scienza  legale  in  ispecial  modo  era  nella  nostra 
città  cosi  rinomata  fin  dai  primi  tempi  del  nuovo  ordina- 
mento delle  scuole,  che  vi  fu  stabilita  la  Curia  generale 
della  Provincia  della  Marca  dal  Cardinale  Egidio  Al-* 
bomoz  spagnuolo  legato  apostolico  dopo  di  aver  con* 
quistata  tutta  la  provincia  della  Marca,  ove  dettò  tutte 
quelle  costituzioni  che  vanno  sotto  il  nome  di  Costituì 
ziani  Egidiane.  Contro  di  essa  indarno  reclamarono  inge- 
lositi i  Maceratesi,  poiché  il  Cardinale  Ugone  del  titolo 
di  Santa  Maria  in  Portico  per  ordine  di  Papa  Orego<- 
rio  XI  ricevuto  vivae  vocis  oraculo  ingiunse  agli  Offi- 
ciali della  legazione  della  Marca,  non  dovessero  in  modo 
alcuno  muoversi  da  Fermo,  ma  vi  continuassero  a  ri* 
siedere,  come  già  si  era  fatto  fin  dal  tempo  del  detto 
Egidio^  ed  usa  queste  precise  parole:  e  Quod  cum  rector 
€  et  Curia  generalis  praedicti  temporis  bonae  memoriao 
«  dicti  Egidii  Sabinen.  Episcopi,  tunc  in  illis  partibus 
«  Sedia  Apostolicae  Legati,  et  ab  ilio  tempore  cìtra  re* 
€  sidentiam  fecerit  in  civitate  firmana  prout  adhuc  far 
€  eiunt  de  praesenti  tanquam  in  loco  honorabiliori  et 
«  prò  stattt  sanctae  Romanae   Ecclesiae    conservando 


34  BRBZtOKlS,  PRlVILBai,  COKl^KRMA 

tutiori  (1)  ».  Che  la  residenza  di  detta  Curia  Generale 
fosse  ih  Fermo  apparisce  da  una  ripetizione  del  Roselli 
lettore  nella  nostra  Università,  dicendosi  nelPantben. 
Ingressi  C.  de  sacros.  Eccles.  «  Habita  per  me  Rosel- 
li luin  do  Rosellìs  àe  Aretio  legum  doctorem  in  civita- 
«  .te  Firmana,  ubi  tenebatur  Curia  generalis  Marchiae 
<  1370  die  19  0ctobris  annoseptimolecturaeordinarìae.» 
E  «Bonifacio  IX*  che  di  molte  e  singolari  grazie  colmò 
la  città  nostra  da  meritare  in  una  iscrizione  esistente 
nel  salone  del  Palazzo  degli  Studi  il  titolo  di  benefat- 
tore (2),  rese  anche  più  stabile  la  Curia  generale  in 
Fermo,  e  dichiaiò  con  un  breve  che  vi  dovesse  avere 
stanza  neiravvenirc,  come  nei  tempi  passati,  esprimen- 
done così  le  ragioni:  «  Nos  igitur  attendentes  idoneità- 
«  tem  dictae  civiiatis  tam  in  mansionum  coromoditatibus, 
€  aeris  tranquilla  temperie,  marinis  portìbus,  vescibilinm 
«  omnium  copia,  confluentium  necessitatibus  ad  eamdem 
€  et  consuetudinem  antiquis  olim  temporibus  observatam, 
€  nec  non  fidelitatem  et  sincerae  devotionis  effectum 
«  bijyusmodi  rcsidentiam  Oeneralis  Curiae  totius  prò- 
«  vinciae  Marchiae,  prout  in  praefata  Civitate  de  eoe- 
€  tero  perpetuis  temporibus  permansuram  cum  privilegiis 
«  concedi  m  US  »  (3). 

(1)  Cksabb  Ottihblu  —  De  Firmo  Piceni  urbe  nobilissima  eUh 
jium  ad  Xiitum  quintum  ponL  max, 

(2)  NeirìDteroo  del  salone  nel  Palazzo  degli  Studi  ieggesi  la  se* 
guenie  iscrizione 

BONIFACIO  vun 

TOMACKLLO  MEAPOLlTAlfO 

POHTIF.  OPT.  MAX. 

BBKBFAGTOBI 

S.  P.  Q.  F. 

[}\  OrriNRLLi  ciu  elogio  —  Doxksigo  Raccahadori  Cronaca 
fermiana  Hs.  p.  oj.  . 


Ebbe  la  città  nostra  senza  meno  in  qnesfepoea 
im  collegio  di  dottori  comprovato  abbastanza  dal  di- 
ritto di  conferire  la  laarea  e  dalle  parole  del  ginrecon- 
salto  Cesare  Ottinelli  nel  suo  elogio  di  Fermo  a  Sisto 
V:  «  Extat  in  hac  ci  vitate  CoUegium  lurisconsnltomm;, 
«  iam  inde  ab  immemorabiK  tempore  crnatissimumy  oc 
€  numero  et  doctarum  praestantia  insigne.  Hoc  quidem 
€  tempore  ultra  LXX  doctores  conscripti  reperinn- 
€  tur,  eodemqoe  modo  et  ratione  Procoratores  et  No- 
€  tarii  sunt  quam  plurimi  >  (1)«  Inoltre  rilevasi  dalPe- 
sistenza  del  suo  antico  altare  nella  Chiesa  Metropolitana 
dedicato  al  suo  protettore  S.  Giovanni  Battista  Apostolo 
ed  Evangelista,  ristaurato  sul  finire  del  secolo  XVi  per 
eccitamento  del  card.  Bandini,  nella  quale  occasione  v! 
fa  posto  un  pregevole  quadro  rappresentante  detto  San- 
to commesso  dal  Collegio  alPurbinate  pittore  Alessandro 
Vitali  scolare  di  Federico  Barocci  (2).  Che  anzi  a  ben 
ponderare  la  espressione  ab  immemorabili  tempore  usata 
dairOttinelli  vissuto  sullo  scorcio  del  secolo  decimosesto 
è  d' uopo  inferire,  che  il  collegio  de^  giureconsulti  deb- 
ba riportarsi  anche  a  tempo  assai  più  remoto,  mentre 
86  la  istituzione  fosse  soliamo  avvenuta  nel  secolo  de- 
cimoquarto  non  gli  sarebbe  slato  difficile  il  determinarla 
in  modo  positivo* 

Se  non  che  il  fiorire  dei  nostri  studi  appare  ennor 

dalla  compilazione  dello  Statuto.  Fermo,  che  go- 


(1)  Ottriblli  eit  elogio. 

(i)  Questo  quadro  è  uno  dei  più  belli  cbe  esisUuo  a  Fermo»  e 
lo  per  alcou  tempo  ritenuto  opera  del  Barocci  stesso,  tanto  si  ap- 
prossima allo  stile  del  Maestro.  Si  rileva  da  on*  adunanza  eolie* 
giaie  dei  SO  Settembre  1740  essersi  offerta,  quando  si  fosse  voluto 
vendere,  la  somma  di  Se.  0000  dal  pittore  bolognese  Dal  SdOi  che 
allora  trovavui  a  FermOt  acquistandolo  per  il  serenissimo  Eletlore 


9è  BREZtOKB,  t>RiyÌLÌSGt.  CONJ^RÌtÀ 

yernavasi  a  guisa  di  repubblica  ed  a  libero  stato  popò- 
jftfe  sotto  i  Re,  grimperatori,  i  Pontefici,  ebbe  sempre 
leggi. proprie,  che  di  tempo  io  tempo  secondo  il  bisogno 
si  andjsivano  riformando  e  riordinando  dagli  stessi  fer* 
mani,  e  verso  la  fine  del  secolo  quariodecimo  se  ne 
trovano  compilatori  lulianus  Ser  Francisci  Contratae 
Castelli,  Antonius  Egidiutii  Contratae  Pilae«  D.  Cola  H 
Yannìs  Contratae  Sancti  Martini,  Ser  Clericus  Brunicti 
Contratae  Florentiae^  Ausovinus  D.  Philippi  Contratae 
Sancti  Bartholomei,  Magister  Philìppus  Magistri  Domir 
nici  Contratae  Cam  pile tii.  Di  questo  Statuto,  riordinato 
nel  secolo  di  poi  dal  celebre  giureconsulto  Paolo  di 
Castro,  così  lasciò  scritto  l'erudita  penna  di  monsignor 
Francesco  Maurizio  Gontieri  Vicegovernatore  di  Fermo 
nel  1690.(1):  «  Statuto,  in  cui  vedesi  ristretto  quan- 
to la  politica  e  la  giurisprudenza  seppe  dettare  e  di 
s^anto.  e  di  giusto  per  il  pubblico  maneggio»  e  per  il 
pommercio  e  traffico  di  mare  e  di  terra,  per  la  buona 
direzione  delle,  controversie  criminali  e  civili,  e  leggi 
Municipalii  statuto  che  servire  potrebbe  di  norma  al 
governo  e  regime  delle  migliori  repubbliche  »•  Eugenio 
IV,  dopo  la  dominazione  .sforzesca,  con  bolla  del  25 
Marzo  1446  Decens  reptitamus,  che  vi  si  legge  in  fronte^ 
lo  conjfermò  insiem  con  tutti  i  privilegi  concessi  dai  suoi 
antecessori  sulle  antiche  giurisdizioni,  sul  mero  e  misto 
imperio,  sul  pieno  dominio  della  città^  sopra  il  suo  cotkr 

PalatiDo.  V.  Raffàrlb  Db  Minicis  —  Cenni  storici  tntomo  al 
quadro  rappresentante  S.  Giovanni  Evangelista  esistente  nel  diurno 
di  Fermo,  18il.  —  Il  detto  Collegio  aveva  il  proprio  sigillo  eon 
Dtraquila  sedente  ad  ali  spiegate  sorreggente  il  mezio  boslo  di  Sl 
Giovanni  Evangelista. che  tiene  dispiegato  il  libro  dell* Apocalisse  e 
intorno  Tepigrafe  —  gollegivm  Fuuuimi. 

(l)  Fermo  antico  e  moderno  discoreo  acca4Ìeiiiìco..FeroM>|40&2 
per  Gìq:  Francesco  Bolis  e  fratelli. 


»KLLA  UmVERSITl  DI  FERMO  3T 

tado,  ne*  quali  privilegi  furono  inclusi  anche  quelli  ri^ 
guardanti  la  Università,  per  il  che  venne  '  appellato* 
benefattore  nella  iecrizione  posta  sotto*  al  suo  TÌt?*atlo' 
nella  focciata  del  Palazzo  de^i  Studi.  Dopo  di  Ini  ben^ 
altri  quattordici  Pontefici  lodarono  ed  approvarono  11* 
Boetro  Statuto  osservato  sino  al  finire  del  secolo  XVIIt  (Ij^ 
Assunto  al  Pontificato  Calisto  III  non  Vuole  mèiio' 
benefico  e  generoso  mostrarsi  verso  i  Permani,  e'  cori^ 
9no  breve  del  26  Giugno  1455  (2),  mentre  loro  cort- 
serva  tutti  i  privilegi,  indulti  e  grazie  già  per  lo  ìnnAnzl 
ricevute,  conferma  espressamente  lo  stiidio  genefalòr 
Reggeva  allora  la  nostra  Chiesa  il  cardinale  Domént- 
co  Capranici  che  tanta  parie  ebbe  nei  pubblici'  avve- 
nimenti, primo  fra  1  cinque  di  quella'  famiglia,  i  quali 
SI  succedettero  nella  sede  voscovilfe  di  Fermo  dal  1425' 
al  1484.      vy^^^    VMiemcrito  porporato  è    debitrice  WH* 

« 

molto    la    letteratura    di  quel  secolo,  ed  anco    nof  sor- 
biamo graia  memoria  dol  suo  impegno  per  la  istrlizibrfò'* 
0-  coltura   degli    studi.  Da  quanto  ne  narra  il  àuó  blo-' 


o. •.  * 


(1)  GtosKPPB  Porti    —    TatoU  iinottieke.  di .  cose  pt4  notofrt/t 
iflta  citlà  di  Fermo  e  tuo  antico  stato  redatto  sopra  autentici  do* 
fMWfwlt,  p»g.  13  —  Gli  statoti   fermani  furono  impresi  h  prlhia  * 
volu  «  Vraexia  ael  IB07  per  opera  ed  a  spese  del  gioretoiistttle 
Mareo  Martello  nobile  fermano  e  veneaiano.  I  bibliograG  e  aòritlcrn  . 
di  casa  fermaDO  ìndiearone  due  sole  edizioni  di  questo  statolo  la  pri^  . 
na  del  1S07,  <*  la  seconda  del  1580;   però  ne  sodo   not^  cinque^ 
cioè  quella  di  Venezia  nel  1507,  aUra  fatta  in  Venezia  poco  appresso 
coma  pare  da  un  frammento  esistente  nella  nostra  biblioteca,  la  terza, 
la  qoaru  e  la  qninta  a  Pernio  nel  1389,  1688,  1691;  qoest* ultima 

è  ricordata  da  Niccula  Alianecxi  nel  soo  pregiato  lavoro- ^^//c  aa*, 
Ucke  cmiwitudini  e  leggi  marittime  delle  provincie  napoletane, 

(2)  V.  il  breve  del  26  Giugno  I4S5  riporuio  ia  flne  al  N.  3 
documenti.  .:.«*: 


38  EREZIONE,  FRITlLBai,  CONFERMA 

grafo  Catalani  (1)  sembra  potersi  raccogliere  che,  il  pri« 
mo  collegio  fondato  da  lui  in  Roma  portante  il  suo  nome» 
fosse  in  origine  a  beneficio  de*  soli  fermani,  o  almeno 
gli  alunni  per  la  massima  parte  fossero  di  Fermo,  ciò 
risultando  da  un  codice  intitolato;  e  Uber  constitutionum 
seu  ordmationum  coUegii  pavperum  scholarium  sapiens 
titte  firmanae  ediius  per  reverendissimum  D.  Damintcum 
de  Capranica  T.  se.  e  in  ierlem  preshiter.  Card.  Firman. 
vulgariter  nunctq^atum  diate  domus  fundatorem.  »  Questo 
manoscritto  dalla  biblioteca  dei  Capranica  passato  in 
altra  di  Roma  non  fu  potuto  rinvenire  dal  menzionato 
Catalani,  che  però  afferma  essere  stato  accertato  deire- 
sistenza  da  quel  solerte  scrutatore  degli  antichi  menu-* 
menti  che  fu  Stefano  Borgia  (2).  I  vescovi  fermani  suoi 
successori  conservano  ed  esercitano  tuttavia  il  diritto 
di  mandarvi  un  alunno. 

Non  è  a  dire  dopo  ciò  le  fervide  e  continue  pre- 
mure, onde  i  nostri  maggiori  cercarono  di  promuovere 
il  decoro  ed  il  lustro  del  pubblico  studio  per  rispon» 
dere  alla  munificenza  dei  Pontefici,  che  di  privilegi  e 
di  onori  si  compiacquero  mai  sempre  fregiarlo.  Il  con- 
corso degli  studenti  fu  grande  ed  a  quanto  ci  riferi- 
scono gli  storici  vi  concorrevano  da  ogni  banda  oltre  a 
mille  ad  apparare  le  scienze  e  le  lettere.  Né  meno  dei 
forestieri  ne  profittarono  i  cittadini,  come  si  par  mani- 
festo dai  molti,  i  quali  in  quei  due  secoli  al  nome  fer- 
mano novello  decoro  portarono.  Ambasciatori  e  magistrati 
in  gran  numero,  che  erano  allora  sempre  scelti  fra  i  più 


(1)  De  viia  et  scriptis  Dominici  Gipranicae  Card,  et  Antistitis 
frmani,  1793  in  otBcina  firmana  Palladis.  — 

(ì)  Catalani  —  De  Ecclesia  firmana  ejusque  Episcopis  et  Ar- 
^Uepiscopis  Commentarius.  Firmi  an.  1783  ex  typ.  losepbì  Ao* 
gusti  Paccaroni,  pag.  255. 


DELLA.   CNIVBRSITI  DJ^  FERMO  39 

dotti  aomini;  sei  vescovi  cioè  Lodovico  da  Feriub  mi- 
nore osservante,  Francesco  Nòbili  Uditore  di  Rotei  al 
tempo  dì  Celestino  V>  GiroUiQO  .Azzolino  per  le  sue  emi- 
neQti  virtii  creato  Cardinale  (1)^  Giovanni,  de  FirinoDÌ-« 
bus,  Luca  Famani  o  Fumoni  eremitano,  G.  Battista  Porto 
donenicano;  un  generale  deirordine  di  S.  Domenico  Tom* 
iiiaso  Paccaroniy  a  cui  è  dovuta  la  fondazione  della  li* 
breria  nel  eonvento  di  Fermo;  G.  Battista  Mancini  lettore 
neirUniversità  di  Padova  del  sesto  libro  delle  decretali, 
Troilo  Azzolino  chiarissimo  giureconsulto,  che  Re  Fer- 
dinando d^  Aragona  cìiiamò  Conte  Palatino  e  suo  intimo 
consigliere,  Girolamo  Rosati  valente  dottore  in  teologia 
ed  in  leggi  legato  di  Martino  V  in  Bologna,  Orazio  Do 
Giastis  d"  Antonio  professore  di  diritto  civile  giudice  ed 
assessore  in  Macerata,  Piermarino  Vinci  dottissimo  nella 
giurisprudenza  giudicato  meritevole  deirimportantissima 
carica  di  Podestà  di  Firenze,  Pietro  Assalti  professore 
di  Botanica  a  Roma,  Gianfrancesco  Azzolino  sì  esperto 
nella  scienza  delle  leggi,  che  in  un  consiglio  generale 
tenutosi  nel  1450  si  decretò  che  non  fosse  alcuna  cosa 
decisa  senza  il  suo  giudizio,  Sante  Flocco  celebre  me- 

(1)  Benché  il  nome  del  Card:  Girolamo  Azzoliao  lavano  si 
cerehi  nei  diversi  cataloghi  dei  porporati  di  S.  Chiesa,  pare  non 
po6  dnbilarsi  che  egli  non  rivestisse  tile  dignità.  Perocché  ce  ne 
fooservò  primo  la  memoria  Giovanni  Bbrtaccr:ni  fermano  celebre 
gioreeottsollo  nella  sua  opera  Bepertorium  ecc.  alla  voce  acUo  tniu- 
riórum  pag:  il  della  prima  parte  (Veneliis  1570  Bevilacqua),  <jvo 
si  legge:  «  Et  ita  congultus  respondi  damino  cardin:  Azolino  df 
Firmo  ioctori  clariisimo  eie.  •  Ora  il  Bertacchini  morto  nel  I486 
od  in  qoel  torno  fa  contemporaneo  ad  esso  Cardinale,  nò  è  credi- 
bilo  dia  ne  avesse  sopposta  la  esistenza.  A  ciò  pone  il  suggello  la 
bolla  spedita  da  Papa  Sisto  v  a  Decio  Azzolino  seniore,  poiché  vi 
>ì  ricorda  qoesto  porporato  qual  prima  gloria  e  splendore  di  (ua 
famiglia.  Si  crede  da  alcuni  che  fosse  creato  cardinale  da  Eugenio 
vr^  da  altri  da  Pio  ii.  Gli  è  certo  che  Buri  sotto  Sisto  iv. 


40  SRRZIOnK»  PRIVILBOr^   CONFSRMA. 

dico  di  Paolo  II,  per  tacere  di  tanti  altri  nelle  nostre 
storie  municipali  noverati  (1), 

Rammenteremo  ora  alcuni  lettori  di   cui   ci   per- 
venne notizia. 

Nel  Secolo  XIV 

AcBTi  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 
Antonio  da  Loro  in  grammatica  e  retorica.  • 
EuFRBDDUcci  TOMMASO  da  Falerouc  in  medicina  (3). 
Giannino  da  Fermo  in  grammatica  e  retorica. 

(1)  Poeti  —  Op.  ciL 

(2)  Di  nobilissima  famiglia  fermana  molto  ragguardevole  per 
le  sue  ricchezze  e  per  la  sua  parentela  con  Bernardo  Varani  Signore 
di  Camerino  sno  genero.  Tenne  per  un  triennio  l'assoluto  reggi- 
mento di  Fermo,  ma  per  gelosia  di  comando  fu  fatto  uccidere  da 
Lodovico  Migliorati  il  i  Settembre  1407.  Fu  uomo  dottissimo  spe- 
cialmente in  giurisprudenza  ed  assai  amico  di  Baldo  in  Perugia, 
ove  lesse  noli'  Università,  come  si  rileva  da  un  codice  vaticano 
N.  2618  contenente  alcune  ripetizioni  fer  D,  Antonium  Aceti  de 
Firmo  actu  hgentem  Perusii.  Il  Bini  nelle  memorie  storiche  della 
Perugina  Vnivensità  degli  studi  e  dei  suoi  professori  (Perugia  pres- 
so Calindrì,  Santucci,  e  Garbinosi  stampatori  camerali  1816)  lo  ha 
trascurato.  Pubblicò  alcune  lettere  sopra  il  Digesto  Vecchio,  da  cui 
si  desume  essere  stato  anche  lettore  in  Patria.  Il  BsBTAOcmKi 
nel  suo  Bepertorium  alla  parola  vulnus  lo  appella  vir  singularis, 
aggiungendo,  che  quando  egli  era  Podestà  in  Fano  <  reperi  (dice) 
ibi  lecturam  suam  super  digesto  veteri  manu  sua  carrectam,  quam 
dono  diderat  Papae  Bonifacio.  Parlano  dell*  Aceti  Francesco  Fbb- 
RBTTi  nella  Pietra  [del  paragone  ossia  della  vera  nobiltà  discorso  ge- 
nealogico pag.  72  e  la  Bibliotbca  Picena  Tom.  i  pag.  35. 

(3)  Medico  insigne.  Ludovico  gli  pose  il  monumento  sepolcrale  in- 
sieme al  padre  suo  e  chiaroollo  nobilitatis  auctori  propriae.  Fu  eleUo 
medico  a  Fermo  il  13  Aprile  1388  mentre  stavasì  a  Fano  (Cons.  di 
Cern,  di  quel  giorno).  Se  egli  è,  come  pare,  il  padre  di  Giovanni 
e  di  Giacomo  ebbe  il  tìtolo  di  conte  di  Monte  Chiaro.  Mori  nel 
1403  —  Due  epigrafi  relative  a  Ini  esistevano  già  nella  cappella 
g^tilizia  degli  Eufreducci  in  S.  Francesco  di  Fermo  riportata  dal 


XRXZIOHB,  PRIVILSai,   CONFERMA  41 

PiBTRO  DI  Giannino  da  Fermo  in  grammatica  e  retorica. 
Pucci  Tommaso  da  Fermo  domenicano  in  teologia. 
R08BLLI  RosELLO  da  Arezzo  in  giurisprudenza  (1). 
Salucci  Nkrio  da  Monte  Santo  del  Ducato  Spoletino  in 
grammatica  e  retorica. 

Nel  secolo  XV 

Antonio  da  S.  Giusto  in  grammatica  e  retorica. 
Bartolomeo  da  Macerata  in  grammatica  e  retorica. 
Bbrtacchini  Giovanni  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 
Bertacchino  da  Smerlilo  in  grammatica  e  retorica. 

Pakelu  Tom.  (  pag:  401  delle  memorid  dei  medici  del  Piceno,  e 
dal  Db  Mixicis  hcrìziùni  fermane  Num.  321,  322,  42S.  Una  di 
queste  trovasi  ora  nel  Palazzo  Municipale. 

(1)  Famosissimo  giureconsulto  de'  tempi  suoi  è  chiamato  il 
Monarca  della  sapienza,  siccome  ieggesi  nel  sepolcro  erettogli  nella 
Basilica  Anloniana  in  Paiovi»,  ove  fu  pan:  professore  insieme  con 
Francesco  Capo  di  Lista  o  Capoiistìo.  Diferidoro  dapprima  deirim- 
peraloro  Sigismondo  e  poi  del  Re  di  Puglia  innanzi  a  Martino  v 
fti  da  Papa  Eogenio  iv  inviato  a  sostenere  i  diriuì  Pontificii  nel 
Concilio  di  Basilea»  e  ne  sperò  per  ricompensa  il  cappello  cardi- 
nalìzio, rat  eome  quegli  che  vedovo  era  di  doe  mogli  decadde  per 
qnesU  sua  bigamia  dall'alta  speranza,  sicché  n*  ebbe  torbato  Vintel- 
lelto  ed  il  cuore.  Che  fosse  professore  a  Fermo  consta  da  una  stessa 
soa  ripetizione  (V.  pag.  34.  Ottifiblli  op.  cit.  pag.  9,  10).  Del 
Boseiii  paria  I'Aucslucci  neiremdite  note  poste  ad  illustrazione  del* 
le  jioe  $iamu  intorno  la  città  e  gli  uomini  cekbri  di  Arezzo  (Pisa) 
(816). 

(2)  Sost*)Dne  molte  cariche,  ed  essendo  assessore  della  Repub- 
blica di  Firenze  ebbe  opportonità  di  osservare  insieme  coi  legati 
raiUnesi  il  famoso  codice  delle  Pandette,  che  da  Pisa  vi  era  stato 
insferilo  nel  1406  e  si  gelosamente  guardato  nel  Palazzo  del  Pub- 
blieo  che  non  iscoprivasi  se  non  a  grandi  personaggi  e  eoironore 
dì  aeeesi  doppieri.  Studiò  nella  patria  Università  e  poi  in  quella  di 
Padova  sotto  il  Capolislio  ed  il  Roselli  giureconsulti  di  assai  nome, 
ad  Hrì  si  laureò  giovanissimo  giusta  la  testimonianza  di  Niccolò 


49  DEÌéhk  UNIYBRSITÀ  DI  PBRMO 

CisCl  (di  Francesco/J  AsTomo  da  Fermo  in  giurisp,*(l). 

DoMBNico agostiniano  da.,.,  in  filosofia. 

Fabrizio  di  Mariano  da  Montefalcone  in  grammatica  e 
retorica. 

Giovanni  da  Loro  in  grammatica  e  retorica 

Giuliano  di  Sbr  Vannuccio  da  S.  Angelo  in  gramma- 
tica e  retorica. 

Lauri  Giovanni  da.....  in  grammatica  e  retorica. 

Lepido  ds  Antiqu^s  da  Forlì  in  grammatica  e  retorica. 

Mariano  da  Montefalcone  in  grammatica. 

Marino  da  Montegiorgio  in  grammatica  e  retorica. 

Pasquale  da  Petritoli  in  grammatica  e  retorica. 

SiLBNi  Girolamo  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 

CoMifRCO  Papadopou  Hiitoria  Gymnagii  Patatini  Tom.  n  pag. 
29.  Tornato  a  Fermo  lesse  ragion  civile  e  criminale  neirUni- 
versila.  Fa  giudice  in  Campidoglio,  avvocato  concistoriale,  autore 
di  opere  legali,  e  dette  per  il  primo  un  Bepertorio  chiamato  Lucer^ 
na  jurìi:  ebbe  ingegno  anche  alla  poesia  italiana  e  fu  amantissimo 
dello  stadio  di  Dante  ed  alcana  volta  improvvisò  in  latino.  Mori 
clrea  ti  1486  in  Patria  e  nella  Chiesa  di  S  Domenico  se  ne  vede 
tuttora  il  sepolcro  con  sopravi  una  pietra  a  basso  rilievo,  ov*è 
scolpita  la  sua  persona  in  abito  da  Avvocato  del  concistoro,  e  vi 
si  legge  TepitaiBo.  Y.  R.  Db-Minicis  le  i$critiùn%  fermane  N.  187.  Vi 
è  uni  bella  biografia  scrina  dairAwocato  Cav.  Giusbpps  Fbacas- 
sBm  nel  1839  ed  in  erita  nella  colleiione  delle  biografie  e  dei 
ritraiti  degli  uomini  illaslri  di  tutto  lo  stalo  pontificio  che  si  pub- 
blicarono da  Antonio  Hercolani  in  Forlì.  V.  pure  Boiuotbca  Pigicna 
Tom.  u  pag.  220. 

(1)  Nella  risoluzione  presa  dal  Consiglio  di  Cernita  il  5  Aprite 
1831  si  trova  che  Antoniut  Cuci  ciois  firmanus  fu  incaricato  in- 
sieme con  dae  altri  cittadini  di  formare  i  capitoli  di  confederazione 
con  la  terra  di  Monlegiargio.  Nella  Chiesa  del  Carmine  vi  ha  il 
soo  sepolcro  con  una  iscrizione  postagli  nel  1409.  V.  R.  Db-Mihigis 
U  iicrhioni  fermane  N.  148 

(2)  Alcuni  suoi  versi  latini  trovansì  stampati  in  principio  del- 
lo Statuto  di  Fermo. 


XRKnONV,  PRIYn^BOIy  CONPBRIU  43 

TusLLi  F1UNCB8CO  Oucoìfo  da...  francescano  in  teologia» 
Zambiccahi  Fiuiicssco  da  Bologna  in  retorica  (l)« 


(1)  Cafaliere»  oratore  e  poeu  Itoreito.  Nella  soa  {irima  |ioTÌ* 
iasegnò  lettere  a  Trevigi  ed  a  Capo  d*  blria.  Viaggiò  per 
là  Greeta,  ote  raeeolse  le  lettere  del  soBsU  Lìbaaio  800  al  ninnerò  di 
1500,  pana  delle  qoali  egli  tradusse  in  latioo.  Lesse  a  Fermo  dal» 
1446  al  1473»  eome  si  rileta  dalle  eemite,e  fa  tanta  labeneToIen* 
sa  che  ti  acquistò  per  la  soa  molUuima  dotlrioa,  che  al  partire  fii. 
donalo  di  on  Tessillo  ovvero  insegna  di. seta  a  soo  onore,  ed  egli^ 
no  ringrasiò  il  popolo  fermano  con  i  seguenti  distici  latini  «he  iro- 
Tansi  fra  le  poesie  dello  Zarobeccari  nella  biblioteca  vaticana  cod.. 
N.  4S1S  fegi,  04.  nei  qoali  crediamo  conservare  Tortografia,  «asia 
cacograHa,  del  codice:  il  senso  inflne  rimane  sospeso,  forse  manca 
nn  nllimo  distico^  però  la  carta  del  codice  è  intera  ed  hawi  tnno 
qnanio  lo  scrittore  antico  quivi  segnò 

Ad  uginda$  gratiai  Firmamù  yppulo 
4$  vernilo  iiU  dono  dalo 

8is  nubi  jam  qnaeso  fantrit  pia  turba  soromm 

Qoanun  sii  dams  loppiter  ipso  pater 
Bc  mihi  pbebe  jirecor  niseeqne  bache  faveto 

El  qnae  de  capite  es  nau  minerva  pairlf 
Qnas  elenim  popnlo  Armano  solvere  graies 

Debeo  non  potis  est  lingula  parva  loqnt 
Tìeirìcee  aqniUs  romanaqne  signa  dedlstls 

Qnae  nrihi  divini  muneris  instar  emnt 
Qnaa  ego  sed  Unta  reddaa  prò  mnnere  grates 

Qnae  poCerii  musa  monera  unta  loqoi 
Si  mihi  longevae  comicis  tempora  dentor 

Mesloreos  poesia  et  soperare  dies 
Non  tamen  aeqnarim  flrmanae  debiu  genti 

Praemia  qnae  eerte  mnaera  unu  petunt 
Qnare  iam  clari  qnaeso  doMMqna  patt^oe 

Qnod  nego  me  dono  emKoet  esse  pan^m 
Qnodqne  pia  semper  per  caccola  looga  camena 

EitoUei  miris  mnnera  «nastri  modie 


44  DALLA    UNFWRSItX.  DI  FERMO 

Zviwi  Battista  da  Geoova  in  grammatica  e  retorica. 

(continua) 

Id  od  Godiee  Harlejano  che  sta  nolU  biblioteca  del  Museo  Bri- 
tafonlòo 'a  Ldadra  trovasi  una  lettera  aDooima  favoritami  insieme, 
eoi'-dìjlio  dalla  gentileiza  del  Marchese   Filtppo'  Raffaeli!  nostro  bi- 
bliotecario, nella  qaàle  si  fa  elogio  delio  Zambeccari  e  di  Mariano 
da  Montefaleone  mentre  erano  professori  a  Ferm9  e  Cam  provéstra^ 
in  me  snmma  *  benevòlentia   et  fide   tantam   mihi   trìbaerìtis  nt  de. 
Francisco  Zambeccari  o  oratore  magno  e(  Mariano  Falchqneasi  quid 
seiii'rarto  espectaretis:  non  alienam  existimavi  si  sentenliam  nieam.àd, 
vos  scriberem.  Postridie  ejus  diei  quo  Firnium  veni  uìrosque^pra.e• 
ceptores  vestros' audivi  quos  legentes  audiyi  libentissimd  ex.  quo  non 
mediocrem  cépi  voluptatem  quod  vestram  rempublicam'virps  ea  di* 
ghos  et  moribus  et  disciplina  praestantes  liabere  inteljìgebknir  G^^l-. 
tillor  igitur  ci  vitati  vestrae  qoae  lam  diidum  viros  doctos  obsepv^.re,^ 

ceperit Frahcìscus  in  graecfs  ita  Trabutus* 

est  ut  cnm.^raece  loqoeretur'perinde  videatur  atiice  loqoi  ac  si  me- 
diis  Athenis  natas  essét,  si  véro  ad'  latinos  se  conferàt  non  secus  ac 
si  in  media  Roma  —  Vie  perhumaous  est  et  aalsus  atque  ad  ami- 
oitiam  permaxima  pronos.  Quem  insolens  et  imperitura  vulgus  a  me 
publice  oppagnari  expectavit,  ut  qaod  nos  in  suo  'gymnasio  mane 
deseruimus  idem  in  senatn  deiecto  pudore  ei  impìe  auderemns  sed 
haec  de  Frane,  nostro.  De  Mariano  autem  Faleonensi  pati^  meo 
hoc  vere  praodioare .  posaom  Romana  Jingua  non  modiocpiter  instru- 
ctum.  llabetìs  igitur  meum  de  veatris  praeeeptoribns  jodìoiafh  vere 
magii  quam  amie)  ^criptom,  Sacrosancti  Igitar  vestri  concivis  ego 
seutentiam  approbavi  meaeque  naturae  ac  moribus  «atisfeot;'  egoque 
si  dabitur  tempos  vobis.  i^periam  me  firnuÈinos  apque  ac  A$culano$ 
observare.  Valete  t  — Sieeome  nella  cernita  2?  Ottobre  147i  si 
legge  e  /it  justitia  speetabUi.  equiii  Domino  Franeiseo  Poeiae  de 
quodam  dedecore  xibi  illato  in  »ta  eathsdra  •  così  è  da  ritenere 
che  U  suddetta  lett'Ta  riferisca  a  queiranoo;  dalle  parole  poi  patre 
meo  può  dednrsi  che  fosse  scritta  da  Fabrizio  figlio  di  Mariano  da 
Montdfalcone  che  fu  ripetitore  come  si  ha  dalia  cernita  23  Ottobre 
li69.  Partito  da  Fermo  lesse  a  Perugia  nel  1474  e  dopo  uà  anno 
fu  chiamato  ad  insegnare  nelllUniversità  di  Napoli  da  Ferdinando  1. 
Ne  parla  il  FAirram  Scrittori  Bolognai,  Tom.  viu  pag.  221,  ed  il 
Bini  op.  cit.  Yol.  i  parte  2  pag^  684. 


FESTA  DI  S.  FLORIANO  MARTIRE 


jrs3sx 


TIRO  A  SEGNO  COLLA  BALESTRA 


iulìuiu  iB  oeetsiooe  della  nedetima  TaoBo  115S. 


L 


Antichissimi  in  Jesi  sono  il  culto  e  la  festa  di  San 
Floriano  martire,  già  principale  patrono  e  oggi  compro- 
tettore della  città.  Una  tradizione  costante  narra^  come 
al  tempo  di  Diocleziano  egli  patisse  morte  per  la  fede 
cristiana,  gitlato  con  una  pietra  al  collo  nel  vicino  fiu- 
me. E  aggiunge,  che  il  carnefice,  il  quale  non  assen- 
tendo  ai  suoi  preghi  di  lasciarlo  alcuni  istanti  orare, 
frettolosamente  ve  lo  spinse,  restò  subito  privo  del  lume 
degli  occhi.  Secondo  la  tradizione  stessa  ciò  sarebbe  av« 
venuto,  essendo  preside  o  prefetto  imperiale  un  tale  Aqui-* 
lino.  U  qual  fatto  muove  il  buon  Grizi,  nostro  primo 
storico,  (1)  a  considerare,  che  Jesi  era  per  conseguensa 
molto  famosa,  poiché  gV  Imperatori  vi  mandavano  i  Pre* 
•ideati  in  governo.  Se  non  che  altri  vogliono,  e  il  Grizi 
•tMSo  noi  tace  «  che  questo  santo  huomo  patisse  morte 
in  Lamagna  appresso  Lauriaco^  luogo  vicino  a  Norim* 
berga;  e  altri  neiriUiria  o  in  Polonia.  »  Se  ciò  fosse 
vero,  potrebbe  anche  inferirsene,  ch^es.^o  sia  d^  origine 
straniera  al  pari  dell^  altro  protettore  e  primo  vescovo 
della  città,  il  martire  San  Settimio,  nativo  di  Treviri. 
Ila  un^altra  tradizione,  accettata  dagli  storici  nostri,  non 
•i  appaga  solo  di  rivendicarlo  alP  Italia;  che  lo  vuole 
bensì  marchigiano^  nativo  di  Cingoli,  nel  quartiere  di 
Strada,  della  famiglia  de'  Zanobi.  E  V  Avicenna^  stori- 
co cingolano,  naturalmente  accogliendola,  cerca  di  av- 
valorarla col  fatto,  che  fino  a  un  centocinquanta  anni  in- 
nansi  a  lui  (scrisse  nel  sec.  XVil)  i  discendenti  di  quella 

(1)  Fiero,  della  Ulutire  famiglili  Grilla,  tuUora  eiiiteote»  scritte  lel  tte. 
IVI  m  t  QmpaUUo  éelU  htorie  di  Zen  •  che  fa  tUmpalo  U  prlaa  ed  ■alct 
?elu  U  lUeeraU,  appretto  Sebutitoo  MarteUioI  Bel  1578.  Tale  ediiitao  è  tra 
dif  esala  rarittuaa* 


48  PfiSTA  Dt  fi.  FLORIANO  lORftRfi 

famiglia  erano  usi  di  portare  in  Jesi  nella  festa  del  Mar- 
tire, ab  immemorabile  consuetudine,  doni  e  voti  al  suo 
sacro  corpo.  Della  qual  cosa  per  vero  lo  non  trovo  nes- 
sun ricordo  né  negli  storici  sopradetti,  nò  per  entro  alla 
copiosissima  raccolta^  che  abbiamo,  dei  Sindacati  o  Man* 
dati  ad  paUium  offerendum  dai  secolo  XII  in  poi. 


II. 


Ma  di  tali  tradizioni,  come  pure  di  quella^  ricor- 
data dal  Grizi,  di  una  fossa  nella  selva  di  Gangalia  (1), 
ove  Floriano  talora  si  riduceva  ad  orare,  poco  o  nulla  ri- 
mane oggi  nelle  menti  popolari.  Non  così  è  di  due  altre 
leggende  d^assai  più  poetiche  intorno  a  due  miracoli, 
che  a  lui  si  riferiscono;  universalmente  conte  e  ripetute 
in  tutta  la  valle  deir  Esino.  Secondo  la  prima  egli  sa- 
rebbe autore  della  strada  aperta  e  cavata  sul  vivo  sasso 
per  entro  l'aspra  montagna  detta  della  Rossa,  in  un'an- 
gusta gola  lunga  circa  tre  miglia,  in  fondo  alla  quale 
corre  spumeggiante  il  fiume  suddetto.  La  strada  pende 
sopra  il  burrone,  e  la  montagna  scoscesa  in  mille  biz- 
zarre guise,  talvolta  si  protende  con  qualche  enorme 
roccia  sul  capo  del  viandante,  tal  altra  si  trae  per  poco 
indietro  scendendo  però  con  ertissima  costa.  Lungo  le 
coste  e  le  frane  si  veggono  sparsi  qua  e  là  enormi  ma- 
cigni, altri  sembrano  incastrati  negli  angoli  che  la 
montagna  fa  ne'  suoi  rapidi  svolti.  Quei  macigni  so- 
no gli  ostacoli,  che  all'opera  del  campione  di  Cristo 
oppose,  come  in  altre  simili   tradizioni,   il  diavolo,  di- 

(1)  Tra  le  molte  telve,  che  occupavano  tempo  addietro  una  baona  parto  del 
torrttorlo  della  cittk,  qoella  di  Gangalia,  chiamala  anche  più  anticamente  Ange* 
te,  era  forse  la  maggiore.  Essa  stendevasl  nelle  colline  e  nel  piano  a  and-est 
della  città  stessa;  e  la  contrada  ne  serba  taUora  il  nome.  V.  raltra  mia  memo* 
ria:  Il  Palano  del  Comune  di  Jesi:  Jesi  Fili  Roxilnl  pag.  tO  in  nota 


B  TAO  ▲  &BGNO  COLLA  BALlBSTIU  40 

dupettoso  ch^egli  Tincesse  la  natura.  E  certe  strisce  o 
corrosioni,  che  si  vedono  in  qualche  punto  lungo  le  roc- 
eie  in  basso,  sono  gli  stropicciamenti  del  carro,  che  Fio- 
riano  guidava  nell' aprirsi  T  arduo  sentiero.  Il  diavolo, 
segue  la  tradizione,  gli  propose  allora  il  cimento  di  una 
corsa  fino  a  Jesi,  dove  chi  prima  pervenisse  avrebbe 
fatto  suonare  tutte  le  campane  a  letizia.  Accettò  Flo- 
riano» e  per  tener  discosto  il  suo  nemico,  pur  correndo, 
veniva  ogni  tanto  inchinandosi  e  disegnando  segni  di 
croce  sul  terreno.  Onde  in  breve  lasciatoselo  addietro  a 
lunga  distanza  potè  toccare  la  meta;  e  le  campane  suo- 
narono da  sole  miracolosamente.  Alla  via,  in  cui  egli 
fermossi  rimase  il  nome  di  borgo  San  Floriano  (1):  le 
campane  di  terra  cotta  recate  sul  mercato  fino  ad  oggi 
nel  dì  della  sua  festa  e  nella  sera  della  vigilia,  lungo 
desiderio  e  sollazzo  dei  fanciulli,  sono  una  reminiscenza, 
secondo  il  volgo,  di  quelle  campane  suonate  a  letizia. 
«—  L^  altra  leggenda,  non  tenendo  conto  della  discre- 
panza di  tempo,  dà  al  nostro  Santo  il  merito  di  avere 
estratto  dal  mare  presso  Ancona  la  cassa  marmorea,  in 
cui  era  racchiuso  il  corpo  di  San  Ciriaco  protettore  di 
quella  città.  É  noto  come  questi  patisse  il  martirio  a  Oe* 
rusalemme,  e  come  la  sua  salma  fosse  traslatata  in  Ancona 
Tanno  418  per  i  buoni  uffici  di  Galla  Placidia,  che  ad  istan- 
za degli  anconetani  Tottenne  dair  Imperatore  d^  Oriente 
Teodosio  li.  (2)  A  tenore  della  nostra  leggenda  invece 
Tarca  marmorea,  non  recata  in  nave,  ma  gittata  nelle 
onde  dagli  uccisori  del  martire,  fu  prodigiosamente  spinta 


if  )  t  qMfM  iBO  d«l  Ire  eotpieiii  sobborghi  di  leti,  a  nord  della  aedotisa» 
la  fia  CleBcatiaa  per  Ancona  e  al  di  fliori  della  porta  nominala  pur  etaa 
4i  Sm  florianOto  dalla  v Iclnaaia  alla  piaua  e  alla  Chiesa  omoDlma.  GII  altri  doo 
■  libirtM  sono  ^mIIo  di  San  Franeeseo  di  Paola  o  delle  Valcbo  (Gnalehiere)  a 
snd  0  fMHo  di  Sttt*  Alò  o  del  gran  Mercato  a  est  della  cHtà. 

(ti  Vodansl  gli  storte!  nnoonttanl  Poroui,  Saradnl,  CiaTarinl  od  altri. 

Aita.  Sl9r.  Iknk.  Voi  I.  i 


&Ò  Fiisf  ▲  DI  s.  Floriano  martire 

galleggiando  verso  la  spiaggia  della  metropoli  picena,  ap- 
piè delle  rupi  del  monte  Guasco.  (1)  Quivi,  appena  vedutasi, 
corse  gran  numero  di  gente  a  tentare  con  vari  ingegni  di 
argani,  di  corde  e  di  bovi  aggiogati  a  bovi  di  tirarla  in 
secco.  Ma  tutto  indarno!  Quand^ecco  sopravvenire  nn 
giovane  contadino  con  due  non  ancor  mature  vitelle  e, 
fattosi  largo  in  mezzo  alla  folla,  dichiarare  che  a  lui  sa- 
rebbe bastato  Tanimo  di  vincer  la  prova.  Quel  contadino 
era  Floriano,  che  il  giorno  istesso,  tolto  recisamente  con- 
gedo dal  sno  padrone,  senza  volergliene  dire  il  motivo, 
n^aveva  avuto  appunto  in  compenso  del  lungo  e  fedele 
servigio  quelle  due  vitelline.  Fattosi  egli  una  fune  di 
giunchi  0  vimini,  quivi  raccolti  e  insieme  contesti  con 
rapidità  mirabile,  lega  con  essa  V  enorme  blocco  e,  rac- 
comandatine i  capi  al  giogo  delle  sue  besUuole,  lo  trae 
fuori  in  un  attimo.  Gli  astanti,  che  prima  Favevano  scher- 
nito, gli  si  fanno  allora  tutti  attorno  adorandolo  qual 
Santo,  e  contendendosi  per  devozione  i  brani  della  pre- 
ziosa fune.  Uuso,  che  da  tempo  immemorabile  vige  tuttora, 
di  distribuire  il  giorno  della  festa  di  San  Ciriaco  nel 
suo  tempio  monumentale  in  Ancona,  dei  mazzettini  di 
giunco  benedetto  si  vuol  riferire  a  questa  pia  tradizione. 


IH. 


Qual  è  il  fondamento  storico  di  tutto  ciò  ?  quando 
e  come  tali  racconti  ebbero  origine  e  si  propagarono? 
Non  credo  possibile,  che  sia  dato  rispondere  a  siffatte 
domande.  Il  fatto  indubitabile  è  che  il  culto  del  Martire 
e  la  sua  festa^  che  celebravasi,  come  Fuso  ne  dura  tut- 


(1)  Ora  deUo  monte  di  San  Ciriaco.  £  desso  piattosto  un  promontorio  t  oriente 
della  città,  il  quale  curvandosi  in  lido  si  addentrava  nel  maro  molto  più  che 
ai  <fi  nostri.^,  daoanm.  Sommario  della  Sloria  d^Anama.  Ancona  1867  p.  13. 


torà,  il  giorno  4  di  maggio,  vigevano  fin  dal  secolo  XII; 
(1)  qoantnnque  le  reliquie  di  lui,  che  oggi  si  venerano 
non  fossero  scoperte  che  nei  primordi  del  secolo  XV. 
Ciò  avvenne  propriamente  Fanno  141 1>  essendo  la  città 
signoreggiata  da  Malatesta  dei  Malatesti,  conforme  ri- 
solta, in  mancanza  d'altri  documenti,  da  unMscrìsione 
marmorea  del  tempo,  durata  fino  ai  giorni  nostri.  (2)  Ma 
per  quali  circostanze  e  in  che  modo  tornassero  esse  alla 
luce  non  saprei  dirlo,  non  altro  dalPeplgrafe  apprendendosi 
sul  proposito,  se  non  che  il  sacro  corpo  fu  rinvenuto 
poenes  ripam  flummis  Aem.  Alcunché  davantaggio  ce  ne 
avrebbero  forse  potuto  indicare  i  nostri  storici;  se  lo 
studio  del  chiarire  i  fatti  e  di  tener  conto  dei  partico- 
lari  non  fosse  quello,  che  più  in  loro  si  desidera.  Onde 
non  solo  di  tale  avvenimento  e*  si  passano  con  assai  po- 
che parole;  ma  invano  eziandio  si  ricercherebbe  nei  loro 
aeritti  una  descrizione  anche  sommaria  di  quella  festa,  in 
cui  la  maestà,  per  così  dire,  e  il  potere  giurìdico  deir  an- 
tico Comune  erano   di  anno  in  anno   solennemente  ri- 


(t)  9«  9k  tattaiottie  ratto  di  loggesione  al  Conane  di  Jesi  lel  119i  di  Tra* 
«■«ìdo  costo  di  Morrò,  il  qaalo  tra  gli  altri  obblighi  aasonse  per  aè  e  «voi 
quello  di  pagare  io  ogni  anno  tre  libbre  di  eera  nella  festa  di  San  rioriaao.  Il 
ét$^  atto  esiste  ia  copia  del  sec.  1111  in  uno  dei  codici  moabranacei  del  nostro 
AtcWtIo  mmtcipalo,  segnato  ♦  a  pag.  Vili.  V.  App.  N.  1. 

(t)  Beco  Tiscrisione,  qnale  Tiene  riferita  dai  due  Baldassini,  nostri  istorici, 
■OÉ  avendo  io  potata  Tederla. 

Tenpora  Halalostao  de  Malatostis  Domini  Aesli  Bt  Domini  Jacob!  de  Bonri- 
posis  de  Pemxio  Episcopi  Et  Domini  Ardenghi  de  Papia  Potestatis  Poenes  BÌ-> 
pam  Plnminis  AesU  loTentom  est  Corpos  Beati  Ploriani  Et  Hic  reconditum  Mense 
Decembris  lill  Qal  precipitatos  De  Ponte  in  Plomine  praedicto  Martirio  Coro- 
natas  est  Tempore  Maximlani  et  DiocloUani  imperatoram  Et  Procmnte  Magistro 
Mattboo  Boc  Opus  Decoratom  D.  Floriano.  Dedicai.  MDXl. 

Girolamo  Baldassial,  ossia  il  gluniore,  narra  ancora,  che  e  afllncbè  di  si  so- 
lenne Iraaslaxione  sempre  Tifa  e  gloriosa  ne  restasse  ne'  fatnri  tempi  la  memoria 
fn  il  tatto  da  antico  peanello  la  Agore  elegantemente  espresse  nel  frontisptsio 
del  sagro  sao  Deposito,  che  etistcTa  nell*anUca  Chiesa,  quantunque  in  oggi  per 
toafvertonsa  di  chi  alla  fabbrica  della  nuova  Chiesa  allora  presiedeva  sia  li  tutto 
ondalo  in  rulna.^..  Mem,  iitoricAe  deii'onfiefcifràrui  e  reifig  Cilln  ài  Jm  éi  Giro- 

Jm  1765  BonellL  Lib.  II.  (Àp.  HI  p€g.  iH 


52  B   TIRO  À  SfiQNO  COLLA.  BALJfiSfRA 

confermati.  Cosi  noi,  ben  lontani  dai  tempi,  in  coi  la 
prisca  consuetudine  durava  ancora  in  tutta  la  sua  pie- 
nezza, non  possiamo  farcene  che  un  assai  languido  con- 
cetto, anche  accozzando  tutto  ciò  che  ne  resta  delle  san- 
zioni statutarie  e  dei  ricordi  spigolati  per  entro  gli  atti 
dei  pubblici  Consigli  e  i  Registri  dei  Camerlenghi.  Dac- 
ché tali  sanzioni  e  ricordi  ci  mostreranno  in  certo  modo 
il  programma  della  solennità;  ma  la  parte  di  essa  più 
viva  e  caratteristica,  lo  splendore  cioè  e  la  pompa  della 
cerimonia  religiosa  e  civile,  la  magnificenza  dei  cortei 
e  delle  parate,  la  libera  ed  espansiva  gioia  popolare; 
tutto  ciò  non  possiamo  ricostruircelo  in  mente  che  per 
forza  di  fantasia.  Senza  dire,  che  incominciando  nel  no- 
stro Archivio  la  serie  degli  Atti  consigliari  e  dei  Regi- 
stri dei  Camerlenghi  non  prima  del  quarto  decennio  del 
secolo  XV,  (1)  e  degli  Statuti  non  rimanendoci  che  la  più 
moderna  compilazione,  ossia  quella  fatta  circa  la  metà 
del  secolo  suddetto,  (2)  i  particolari  che  ne  possiamo  ri- 
cavare si  riferiscono  a  un^epoca  relativamente  moderna. 
E  sia  pure  che  di  parecchi  di  essi,  massime  di  alcune 
prescrizioni  statutarie,  si  abbiano  argomenti  a  credere 
.  la  preesistenza  in  tempi  più  antichi,  non  crederemo  per- 
ciò di  non  avere  molto  perduto.  Il  fatto,  da  noi  osser- 
vato, che  nel  proceder  dei  tempi  dal  secolo  XV  al  XVI 
e  oltre,  i  particolari  suddetti  vengono  di  mano  in  mano 
scemando,  ci  ravvalora  in  siffatta  opinione.  Del  resto  i 
documenti  più  antichi,    che  si  disse  sussistere  relativa- 


(1)  Lt  serie  delle  Riformanze  comincia  yeramente  dal  142S;  ma  di  tale  anno 
e  del  successivo  non  restano  che  pochi  atti  (3  noy.  1428  -  17  aprile  1429)  V'è 
qoindi  nna  lacuna  fino  al  1434  (1  settembre)  e  altre  molte  in  seguito. 

(2)  Ne  furono  autori  Ser  Angelo  Colocci  e  Antonio  di  Angelo  lesini,  Stefano 
Onofri  da  Massaccio  (  Cupramontana)  e  ser  Domenico  Bartoli  da  Castelplanio.  Di 
essi  Statuti  abbiamo  due  edizioni  in  foglio,  Tuna  del  1516,  in  aedibut  Hyeronimi 
Soncmi,  Fano:  raltra  del  1561  per  Lucétn  Bmum  JtfiuUtMfitim,  Macerata.  Della 
prima  il  nostro  Municipio  possiede  una  bella  copia  in  pergamena. 


FKSTA  DI  S.   FLORIANO  MARTIRB  53 

mente  alla  festa  di  San  Floriano,  e  che  fknno  parte 
della  collezione  membranacea,  chiamata  già  Archivio  se- 
greto, non  trattano  che  dei  pallii  soliti  a  presentarsi, 
come  vedremo,  in  tale  congiuntura  dai  magistrati  del 
Comune,  dalle  Terre  e  castella  soggette  od  amiche,  dai 
feudatari  dei  dintorni. 


IV, 


Il  volume  degli  Statuti  del  Comune  e  popolo  della 
Città  di  Jesi,  eiusque  comitatus^  fbrtie  et  districtus,  ha 
principio  colla  seguente  sanzione,  che  forma  il  soggetto 
della  Rubrica  I:  Libro  I  <  De  Consilio  fiendo  prò  festa 
Sancii  Floriani  protectoris  nostri.  »  11  Consiglio,  gene- 
rale e  di  credenza^  dalla  città  e  del  contado,  dev'essere 
adunato  secondo  essa  ante  festum  Beati  Floriani  de 
mense  Maxi.  Al  potestà,  al  gonfaloniere  e  ai  priori,  qui 
prò  tempore  fuerint^  è  fatto  obbligo  di  convocarlo  vin^ 
culo  juramenti  et  sub  poena  XXV  Kb.  den.  de  eorum 
uUariOf  praedicto  Comuni  opplicandorum^  si  contrafecennt 
aut  negUgentes  fuerint.  In  tal  Consiglio  è  prescritto  do- 
versi  trattare  la  proposta: 

€  Quid  placeat  previdero  de  feste  Beati  Floriani 
celebrando,  ad  hoc  ut  populus  eiusdem  civitatis  ad  ea, 
quae  ad  ipsum  festum  expediunt  celebrando  solenniter 
se  valeant  preparare.  » 

S  si  ^giungo»  che  quidquid  exinde  exliterit  ordì- 
natum  per  dictos  Potestatem^  Confalonerium  et  Priores 
executioni  mandetur.  Ma  per  vero  rare  volte  trovo  nelle 
Riformanze,  che  simile  sanzione  sia  stata  messa  ad  ef- 
fetto! Oli  stessi  Statuti  alla  Rub.  VI  dello  stesso  libro  I 
fanno  precetto,  che  ogni  anno  «  do  bonis  et  pecuniis 
dicti  Communis  ematur  unum  pallium  valoris  et  extima- 


54        B  TIRO  A  SBaNO  COLLA  BALBSTRA 

tionis  XL  sol.,  et  portetnr  in  festo  Sancti  Floriani  gii« 

bernatorìs  et  defensoris  diete  civitatis.  (1)  Quod  portetnr 

per  dictnm  Potestatem,  Confalon.  et  Priores  et  alios  no- 

biles  diete  civitatis  de  mane  in  dicto  feste,  et  cnm  san- 

cto  Oeorgio  noviter  induto  et  ornato^  et  dupleriis  emandis 

per  dictum  Gomnne  et  dandis  Potestati,  Gonfaloniere  et 

prioribtts,  nobilibus  et  conciliariis  predictis  et  offerendis 

per  eos  et  reliqnendis  praesbyteris  dictae  Ecclesiae.  »  (2) 

Inoltre»  che  il  Gonfaloniere  e  i  Priori  debbano  e  siano 

tenuti   ordinare,  che  tutti  gli  uomini  ilella  città  e  del 

contado  retinentes  asinos  et  boves  offrano  loco  cerei  iam 

ordinati  et  consueti  un  tributo  in  cagione  di  pallio  nella 

seguente  misura.  <  Quod  quicumque  habent  et  retinent 

boveS|  quamvis  sint  plura  paria  solvant  prò  uno  jugo 

tantum  et  non  plus.  Reliqui  vero  retinentes  unum  bovem 

vel  unum  par  bovum  solvant  prò  rata  prout  retinent,  et 

prout  hactenus  facere  consueverunt  prò  tempore.  »  E  i 

denari  riscossi  ante  dictum  festum  dal  collettore  della 

città  e  dai  Sindaci  dei  castelli  vengano  nelle  mani  ope^ 

rariorum  diete  Ecclesiae  Sancti  Flortani.  Come  pure  che 

simili  pallii  od  offerte  siano  portate  <  post  portationem 

Sancti  Qeorgii,  et  sequantur  ea  omnes  usq.  ad  Ecclesiam 

(i)  Questo  paUio  era  di  teU  rosta,  sospeso  sd  an*uU,  e  forse  ?i  campeg* 
gisTs  nel  messo  il  leone  d*argento,  rampante  e  coronato  ch*è  lo  stemma  del  Co- 
mune. Non  trovo  però,  cbe  all'intensione  dei  legislatori  ^9.  stngiiiis  wndt  ematur 
«mnn  pallmm  ecc.  corrispondesse  Teffetto,  poiché  il  pallio  stesso  veniTa  di  anno 
in  anno  riscattato  pel  presso  di  venti  bolognini,  affine  di  ofirirlo  di  nnovo.  V. 
pMsim  nei  Camerlengati. 

(t)  Oltre  tali  doppieri,  trovo  che  il  Comune  offrisse  annoalmente  dve  cerei, 
che  per  ona  mens.  nel  Camerl.  1548;  a  prop.  delle  spese  straord.  pel  bim.  maggio- 
giugno  appariscono  del  peso  complessivo  di  libbre  doicento  gwinmtaquattro.  E 
che  fossero  realmente  beo  grossi  risulterebbe  anche  dal  fatto,  che^i  ricava  da 
piii  mensioni  nei  Camerlengati  stessi,  de'  due  facchini  impiegati  a  portarti  dal 
Palazzo  alla  Chiesa.  Ma  questi  cerei  non  si  rilasciavano,  come  gli  altri  doppieri 
e  sembra  solo,  che  si  facessero  ardere  durante  le  funzioni  religiose;  aggiungen- 
dovi poi  di  anno  in  anno,  come  ne  dimostrano  altre  menzioni,  tanta  cera,  quanta 
se  n*era  consumata,  per  mantenerli  forse  dello  stesso  peso  normale.  V.  pasiim 
nei  Camerlengati. 


FB8TA  DI  8.   FLORIANO    IIARTHUB  55 

Sancti  Florian],  nec  secedant  a  dieta  Ecclesia  prout  vi- 
debitur  et  placebit  praedictis  domino  Potestati  ecc.,  et 
omoes  artes  cum  eorum  palliis  imitentur.  »  Infine  che 
€  sampto  prandio  (1)  in  dicto  festo  curratur  palium  e- 
qnestre  valorìs  CC  sol.  et  plus  arbitrio  dominorum  Con- 
faloaerìi  et  Prioram.  » 


V. 


Tutto  questo  in  generale,  ove  si  eccettui  quel  Adm- 
eto Georgia  noviter  induto  et  ornato^  è  così  chiaro  da 
scusare,  mi  sembra,  qualunque  spiegazione.  Ma  intorno 
appunto  a  quel  Sancto  Georgia  non  saprei  io  stesso  sen- 
tenziare definitivamente.  La  chiesa  in  cui  prima  la  me- 
moria, quindi  le  ossa  di  San  Floriano  si  veneravano  era 
di  certo,  e  lo  fu  sino  a  forse  tutto  il  secolo  XV,  dedi- 
cata a  San  Giorgio.  Di  qui  anche  il  nome  della  vasta 
piazza,  che  le  si  stende  dinnanzi,  detta  ora  piazza  Fe- 
dericoy  dairesservi  nato  lo  svevo  Federico  il.  Che  un 
simulacro  di  San  Giorgio  in  quella  si  venerasse^  nulla 
di  più  probabile.  Il  Comune  quindi  si  sarà  fatto  un  ob- 
bligo,  penso,  di  rivestire  ogni  anno  il  detto  simulacro; 
dacché  non  si  potrebbe  supporre,  che  ogni  anno  si  pre- 
sentasse un  simulacro  nuovo,  come,  interpretata  lette- 
rariamente, suona  la  prescrizione.  Ma  perchè  festeggiando 
San  Floriano  s^avesse  da  rivestire  ed  ornare  il  simulacro 


(I)  La  spesa  eoasaeta  per  siffatto  praazo,  a  cui  forse  erano  loTltati  i  prlad- 
paB  deUa  cHtà  e  del  eontado,  risolta  dai  Camerlengati  di  fiorini  4,  circa  lire  dieci 
di  BMcta  nostra.  Ma  per  Talntarla  glostamente  fa  d*  uopo  rammentarsi,  che  il 
praaso  BMdio  d'ogni  genere  alimentare  era»  massime  nei  sec.  XV  e  IVI,  almeno 
olire  qaiadlcl  Tolte  minore  dell* odierno.  Basti  per  ogni  altra  alleguione  che  con 
■1  bologntoo,  circa  sei  centesimi,  potCTano  acquistarsi  libb.  t  (grammi  666)  di 
vMalla;  eoa  otto  an  agnello  di  giusto  peso;  con  tredici  Dna  coppa  /Ett.  0,35)  di 
grato  e  con  tre  e  mezzo  cinqae  boccali,  ossia  dieci  litri  di  vino.  V.  pastm  nei 
Camcriong.  t  nei  Begistri 


56        B  TIRO  A  SBaNO  COLLA  BALBSTRA 

di  San  Giorgio,  ciò  mi  riesce  incomprensibile.  Né  meno 
sarebbe  malagevole  spiegarsi,  come  di  tanti  vestimenti, 
lasciando  indietro  il  simulacro,  che  destituito  del  suo 
culto  primitivo  potò  facilmente  andar  perduto,  non  sia 
rimasta  alcuna  traccia,  senza  ammettere  o  Tuno  o  Tal- 
tro  di  questi  due  casi.  Primo  che  un  vestito  o£Eerto  una 
volta  fosse  di  anno  in  anno  lino  alla  sua  consunzione 
rilevato  dai  Sindaci  o  fabbricieri  della  Chiesa,  mediante 
un  equivalente  compenso,  per  rio£frirlo  di  nuovo.  U  che 
invero  risulta  da  parecchi  documenti,  che  si  praticasse 
rispetto  al  pallio  di  seta  offerto  dal  Comune.  Secondo; 
che  Tequivalente  compenso  sostituisse  più  volte  Tofferta 
nominale  del  vestito  medesimo.  E  questa  ultima  ipotesi 
ne  sembra  per  avventura  convalidata  dalle  seguenti  due 
menzioni,  registrate  Tuna  nel  Camerlengato  1433,  Taltra 
in  quello  del  1434  fra  le  spese  straordinarie  pel  mese 
di  maggio: 

€  IX  maii  —  Johani  pacis  prò  vestimento  Seti 
Oeorgii  in  feste  Seti  Floriani,  ducatum  unum.  » 

€  31  maii  —  Sindico  Santi  floriani  dedit  et  soluit 
dictus  camerarius  (un  providus  vir  magr.  Lucas  sutor) 
ducatum  unum  p.  indumento  Seti  Georgii  secundum  for- 
mam  Statuti.  » 

il  vecchio  statuto,  a  cui  per  tal  menzione  apparisce  chiaro 
che  in  questa  parte,  e  forse  in  moltissime  altre,  si  con- 
formasse, come  si  ò  detto,  il  nuovo.  Ma  è  singolare,  che 
dopo  la  redazione  appunto  di  questo  non  si  trovi  più. 
cenno  nò  nei  Camerlengati  nò  altrove  di  tale  curiosa  co- 
stumanza, già  smessa  forse  prima  del  finire  del  secolo  XV. 

VI. 

Gli  Statuti  però  non  parlano,  nò  mi  riesce  d'indo- 
vinarne il  motivo,  di  quella,   che   dev'essere   stata   per 


FBSTA  DI  S.   FLORIANO   MARTIRB  57 

certo  la  più  cospicua  cerimonia  civile  di  un  tal  giorno 
solenne;  Toglìo  dire  la  presentazione  dei  pallii  delle  ca* 
stella  del  dominio.  Eppure  noi  sappiamo,  che  si  annet- 
teva ad  essa  tanta  importanza  da  considerar  quest'atto 
come  la  sanzione  più  inconcussa  dei  diritti  e  delle  pre« 
rogative  del  Comune.  Onde  in  tempo  più  antico  vediamo 
obbligati  alla  presentazione  del  pallio  anche  i  feudatari 
dei  dintorni,  che  al  Comune  medesimo  si  sottomettevano, 

(1)  come  troviamo,  che  facessero  simile  omaggio  parecchie 
Terre  e  Castella  circonvicine,  quantunque  non  immediata- 
mente soggette,  per  testimonianza  di  rispetto  e  di  devozione. 

(2)  I  documenti,  membranacei  e  cartacei,  che  intorno  a 
questo  negozio  si  conservano  nel  nostro  Archivio  sono  in 
numero  veramente  strabocchevole;  e  col  loro  numero 
stesso  stanno  a  riprova  dell'  importanza  predetta.  I  pallii 
di  cui  è  parola,  appellati  anche  Bravi  (Bravia)  e  tal* 
volta  vessilli,  apparisce  che  dovessero  esser  di  seta,  de 
wricOj  rossa  per  lo  più,  al  pari  di  quello  del  Comune. 
A  presentarli  era  deputato  un  sindaco,  procuratore,  at- 
tore o  nunzio  eletto  ogni  anno  in  general  parlamento  o 
Consiglio  delle  Terre  o  Castella  mandanti.  Del  censi* 
glie  veniva  esteso  Patto  per  man  di  notaio,  secondo  una 
norma  per  lo  più  comune,  col  titolo  di  Sindacatum  o 
Mandatum  ad  pallium  offerendum;  e  questo  altresì  in 
originale  o  in  copia  era  dal  Sindaco  stesso  recato.  An- 
tìchissimamentiie  vi  si  accompagnava  un'offerta  di  cera, 
della  quale  però  in  seguito  non  rinvengo  menzione.  Nei 


(1)  ▼.  jMMim  nel  Codice  membranaceo  segnato  ^  tomo  I®  e  1® 

(2)  Tali  sono,  aecondo  i  Dos  tri  storici  e  secondo  le  indagini  da  me  fatte,  Api- 
re,  Domo,  Frontale,  Montalboddo,  MontenoYO,  Montefano,  Serra  de*  Conti,  Serra 
S.  Onirico,  Staflblo,  Sasso,  Tornaziano.  A  cui  aggiung^nsi  queste  altre,  soggette 
temporaneamente:  Accoli,  Avoltore,  Barbara,  Cbiaravalle,  Castel  Montano,  Cori- 
saldo,  Follonica,  Rotorscio  e  Rovelliano;  sensa  dire  di  qualcbe  altra  TÌlla  di  mi<^ 
•ore  taportania. 


58  FESTA  DI  S.   FLORIANO   MARTIRB 

Sindacatus  o  Mandata  leggesi  anche  il  valore  del  pallio 
che  pei  Castelli  soggetti  era  determinato  dal  nostro  Co* 
mune  secondo  la  maggiore  o  minore  importanza  loro 
dedotta  dal  numero  dei  fumanti^  ossia  delle  famiglie. 
Cosi  nel  Consiglio  di  credenza  del  5  maggio  1453  trovo 
per  grinfrascritti  castelli  statuita  la  seguente  gradazione 
Mftssaccio  (Cupramontana)  Montecarotto , 
Poggio  San  Marcello  e  Belvedere  ....  bologn.  XXV 
Maiolatiy  San  Marcello,  Musiano  (Monsano) 

e  Monteroberto »        XX 

CastelplaniOy  Rosora,  S.  Paolo,  Castelghi- 
bellino  (Castelbellino)  Poggio  cupo,  Sissiano  »  XV 
Similmente  vi  si  legge,  oltre  al  giuramento  di  obbedienza 
alla  S.  Romana  Chiesa,  al  Sommo  Pontefice  ac  Inclite 
et  Magnifice  Comunitate  Exine^  la  promessa  di  conser^ 
vare  il  buono,  pacifico  e  tranquillo  stato  della  Comunità 
e  di  cooperare  alla  distruzione  omniumy  qtd  contra  ^sni$ 
Gois  pacificu.  statum  in  altquo  attentaverint  vel  pertuf^^ 
bavermt  tacite  vel  palam;  obbligando  tutti  gli  uomini  di 
ciascun  castello  se  stessi  e  i  proprii  beni  mobilia  et  im« 
mobilia.  La  presentazione  doveva  farsi  MagS^  Doìninis 
Confalon.  et  prioribus  diete  civitatis  Exni  più  anticamente 
nella  Chiesa  stessa  di  San  Floriano,  quindi  in  Palazzo. 
Da  un  brano  di  una  curiosa  sentenza  data  nel  1748  dal 
governatore  di  Jesi  in  una  delle  tante  questioni  fra  la 
Città  e  i  Comuni  del  contado  ricavo,  qualg  avesse  ad  es- 
sere anche  in  tempo  più  antico  la  prammatica  di  tale 
atto  solenne.  I  palili,  vi  si  dice,  dei  castelli  soggetti  de- 
vono presentarsi  innanzi  al  Oonfaloniere  e  ai  Priori  no- 
bili, ossia  i  soli  priori  cittadini  (1)  habitu  magistf^ali  m- 

(1)  Erano  questi  da  poco  oltre  la  metà  del  see.  XV  in  giù  in  nomerò  di  due, 
e  tre  erano  i  priori  del  contado;  i  quali  insieme  col  Gonfaloniere,  sempre  citta- 
dino, formaTano  la  Magistratura  della  Magnifica  e  Regia  Città  di  Iesi.  Tale  ma- 
gistratura, come  la  piìi  parte  degli  altri  officiali  pubblici  estraevasi  a  sorte  bi- 
mestralmente da  un  bussolo,  detto  il  bussolo  del  Regime  o  del  Reggimento.  L'uso 
ht  durato  fino  ai  primi  anni  del  secolo  presente. 


X  TIRO  A  8BGK0  COLLA  BALESTRA         50 

dutis^  sedentibus  in  parte  digniori  primariae  mansionis 
seu  cubiculi  publsci  Palata  cum  strato  subtus  pedes,  con^ 
Mcdente  ab  uno  latere  in  linea  transversali  Sindaco  Civi^ 
tatis  et  Universitalis  huitismodi.  Quanto  ai  priori  comita- 
tivi,  esser   loro  lecito  interesse  actui  predicto,  hoc  tor 
men  conditione^   quod   tunc   consedeant  induH  consueto 
habitu  magistrali  in  linea   transversali  ab  altero  latere 
predtctae  mansionis  extra  stratum.  Né  per  la  loro  pre- 
senza nullo  modo  praetendi  possiti  quin  Civitas  et  Comu^ 
nitas    AesH  iur amenta  et  pallia  recipe^^e  intelligatury  et 
qmn  eidem    Civiiati  et  Comunitati  praedicta  castra  et 
loca  fidelitatis  et  obedientae  juramenta  praestare  ac  pre^ 
sentore  censeatur.  Se  poi  detti  pallii  si  offrissero  in  ho- 
guito  alla  Chiesa,  e  quindi  si  riscattassero   per  rioffrirli 
successi vamentOj  come  abbiamo  veduto  praticarsi  pel  pai*' 
lio  dei  Magistrati  della  Città,  niun  documento  mi  auto-* 
risza  ad  asseverarlo.  Poiché  le  menzioni,  che  si  trovano 
spesso  nei  Camerlengati  (ed  ecco   un   altro   particolare) 
di  trombetti  a  cavallo  deputati  ad  accompagnare  i  pallii 
delle  castella,  (1)  tanto  si  possono  riferire   airaccompa- 
gnamento  in  Palazzo^  quanto  in  Chiesa.  Del  resto  si  sa, 
che  in  Chiesa  erano  recati  tutti  gli  altri  pallii,  di  cui  si 
ÙL  cenno  nella  Rub.  IV  Lib.  I  degli  Statuti,  addietro  ri- 
ferita. 

VII. 

Oli  altri  ricordi,  che  attinenti  alla  festa,  di  cui  par- 
liamOi  trovammo  nei  libri  pubblici,  massime  nei  Camer* 

(t)  Tali  mmsloBi  le  ho  troTate  in  itpecie  nei  Camerleng.  del  see.  XVI.  Tal- 
gaso  4*eteaplo  le  due  segg. 

Caaerl.  Ì5i7  exit  eitr.  malMunil 
Per  tre  caTalli  p.  li  trombetti  eh.  accompagnò  (sic)  li  palli  il  di  de  San 

ftoraao,  a  boleg.  sei  Tono boi.  18 

Con.  1548  e  s. 

F.  la  THtora  d.  dot  eavaUi  menati  dalli  Trombetti  p.  accompagnar  II  botai  11 


60  FESTA  DI  8.   FLORIANO  MARTIRE 

lengati  si  riferiscono  a  queste  quattro  consuetudini:  l^ 
alParmata  prò  festa  Sancii  Floriani;  29  ai  pifferi,  tam- 
burini, suonatori  di  liuto  ed  altri  strumenti  invitati  dal 
Comune  ad  allietare  la  solennità;  3^  all'anello  da  cor- 
rere; 4^  alla  luminaria.  Per  armata  intendevasi,  con  un 
po'  di  amplificazione,  un  certo  numero  di  cittadini  o  comi- 
tativi,  chiamati,  com'oggi  si  direbbe,  a  prestar  servizio, 
a  tutela  dell'ordine  e  decoro  della  festa.  La  città  aveva 
in  quei  tempi,  e  il  privilegio  glien'è  durato  sino  al  fi- 
nire del  secolo  scorso,  una  milizia  propria  divisa  in 
quattro  compagnie.  Ma  non  credo  che  almeno  una  com- 
pagnia intera  fosse  volta  per  volta  invitata  a  tale  ufficio; 
perocché  le  spese  di  pane,  vino  e  altri  comestibili  regi- 
strate prò  armata  Sancti  Floriani  fanno  supporre  il  nu- 
mero de'  suoi  componenti  piuttosto  ristretto.  (1)  Tuttavia 
colla  stessa  amplificazione  l'ufficiale  eletto  di  anno  in 
anno  a  comandarla  fu  per  qualche  tempo  chiamato  co- 
nestabile,  e  solo  dal  primo  quarto  del  sec.  XVI  in  poi 
più  modestamente  capitano.  (2) 

Dei  piffariy  trombetti  e  tamburini  spesseggiano  le 
menzioni  nel  secolo  XV  e  nel  primo  ventennio  del  XVI, 
in  cui  per  qualche  anno  ne  trova  invitati  da  dieci  a 
a  quindici  tutti  forestieri;  e  con  essi  altri  suonatori  di 
ciarambelle,  di  liuto,' 4j!A{pdt  di  cetra  e  di  ritechini.  Ve 
ne  son  da  Cingoli,  da  Tolentino,  da  Montenovo,  da  Fano, 

(1)  Valgano  le  segg.  meniS^ni- 

Camerl.  1433  22  magg.  —  Becchariis  p.  earnibos  in  festo  Seti  Floriani  dn- 
ti8  armatis  p.  libri»  trìginta  agnellinia  bolon  tresdecinu 

Id.  1475  bim.  maii-jun.  Pane  per  armata  e.  a.  boi.  30:  vino  aeasanta  boc- 
cali, boi.  42 

Id.  1540  bim.  e.  a.  Spese  de  li  fanti  d.  l*armaU  di  S.  Fiorano  fior.  2  boi.  12. 

Id.  1550  bim.  e  s.  Giulio  fomaro  p.  pane  dato  p.  la  spesa  d.  fanti  nel  di 
di  S.  Floriano  cioè  pizzicate  66,  monta  fior.  3.  12.  61. 

(2)  Ksso  era  un  nobile  e  retribuito  per  tale  ufficio,  semplicemente  d* onore,  con 
fiorini  quattro.  Solo  nel  1535  trovo  essersi  dato  a  Girolamo  Ripanti,  né  so  per 
qnal  causa,  la  cospicaa  somma  di  fiorini  venti.  V.  Camerleng.  ad  anu. 


B  TIRO  ▲  SBQNO  COLLA  BALBSTRA         61 

da  Sanseverino,  da  Matelica,  da  Urbino,  da  Macerata, 
da  Serra  de'  Conti,  da  Sassoferrato,  da  Recanati,  da 
Montelapone,  da  Camerino.  Noto  fra  gli  altri,  nel  1475 
doi  trombetti  delF  IlL  Signor  Duca  cf  Urbino^  retribuiti 
con  nn  fiorino  per  ciascuno,  e  nel  1520  (1)  un  luttino  e  un 
Trombettino  tubicinibus  III.  dm  Io.  de  Medicis  (Qiovanni 
dalle  Bande  nere)  pulsantibus  ut  supruj  cui  fu  dato  flo^ 
renum  unum  cum  dimidio.  (2)  Di  suonatori  iesini  non  è 
fatta  parola;  ma  v*è  ragione  di  credere,  che  almeno  i 
tubicini  0  trombetti  e  i  tamburini  di  palazzo  e  della  mi- 
lizia per  obbligo  di  servizio  prendessero  parte  alla  f^sta. 
La  corsa  all'anello,  la  più  importante  e  popolare 
di  tali  consuetudini,  è  quella  altresì,  di  cui  ci  resta  il 
maggior  numero  di  ricordi,  e  ch'ebbe  una  durata  lun- 
ghissima^ trovandosi  ancora  in  pieno  vigore,  quando  le 
altre  o  erano  cadute  o  illanguidivano.  Giuoco  o  eser- 
cizio di  trarre  alla  mira,  che  si  voglia  chiamare,  la  sua 
pratica  è  delle  più  comuni  da  per  tutto.  E  superfluo  quindi 
il  diffondersi  a  descriverla.  L^anello,  d^argenlo,  o  di  rame 
inargentato  appiccato  ad  una  corda  (3)  era  corso  nella 
nostra  festa  sulla  piazza  di  San  Giorgio  o  di  San  Fio- 
rianoy  probabilmente  da  uomini  a  piedi;  e  il  vincitore 
Taveva  in  premio.  Il  Comune  riscattavalo  quindi  da  lui 


(I)  V«  CaflMrl«Bg.  ti7i-77  nel  protp  delle  spese  straord.  p.  bfin.  magglo- 
gittgBO  t47S»  BOB  ettaado  questo  codice  cartoUlo. 

(t)  V.  Camerl.  1M9-Ì0,  bob  ctrtolaio  esso  pure,  al  titolo  exit  eitraord.  ma- 
it*laìi  1590. 

(3)  V.  le  flieniioBi  relative  Bei  CamerìeBgali  pMtim:  la  eorda  v'è  detta  pt- 
rccckle  volte  ngcne/lo.  eone  Bel  seg.  esempio: 

«  Bastiaoello  Trìccolo  p.  Baa  pest  e  mesa  d.  rigaBello  p.  attaccar  V  aBollo 
Mi  A  de  S.  FioraBO  ■  Camerl.  1549. 

•  •••  volta,  Bel  CamerL  1476^  corda  piaona,  QaaBto  alPaBello  ehe,  come  si  dice 
appresao.  riscattavasi  dai  viacitori,  lo  vedo  registrato  Begl*  laveatari  delle  soppel- 
leuill  del  Palazto.  Ma  ael  1590,  aaebe  questa  piccola  Botiila  voglio  aggiangera 

•  4ev'aaserai  perduta  a  bob  dev*es8ere  stato  riscattato,  trovaodo  ael  prasp.  della 
ayaaa  slraard.  del  bim.  flMgg.»ging.  essersi  pagaU 

Magra  la.  bapu  aariZcl  p.  aaalo  la  festa  8act  Florlanl  bolog.  80. 


6^  PESTA  DI  8.   PLORtAKO   MARTIRB 

pel  prezzo  di  venti  boiognini,  ossia  mezzo  fiorino,  affine 
di  servirsene  per  Tanno  venturo  o  per  altra  occasione: 
avendo  trovato,  che  Fanello  si  correva  anche  nella  cele- 
bre solennità  annuale  per  la  riconferma  di  dominio  sulla 
Badia  di  Chiaravalle*  Alla  corsa  partecipavano  i  cittadini 
e  i  comitativi  e  anche  i  forastieri,  essendo  registrato  nel 
1475  come  vincitore  un  trombettino  da  Fabriano:  (1)  e 
tra  i  cittadini  i  nobili  altresì,  come  risulta  da  quesf  altra 
registrazione  d^l  1522  (2). 

€  Nicolao  Polidori  Sanctoni  p.  anulo  p.  ipsuìn  vieto 
in  feste  Sti  Floriani  et  ab  eo  redempto,  bolon.  vigint.  » 

Della  luminaria  infine,  quella  fatta  a  spese  del  pub- 
blico, s'intende,  nulTaltro  si  può  dire,  se  non  che  il  Co- 
mune impiegava  per  essa  annualmente  venticinque  libbre 
di  cera  (3). 


Vili. 


Tale  la  pratica  ordinaria;  a  cui  fu  aggiunto  nel 
1453  Tesercizio  del  trarre  a  segno  o  a  bersaglio  colla 
balestra.  Questa  nobile  e  utilissima  istituzione  ha  in  Ita- 
lia una  storia  molto  antica  e  gloriosa.  Essa  fu  già  scritta; 
e  noi  la  dobbiamo  a  quel  benemerito  patriotta,  ufficiale 
valoroso  e  non  meno  valoroso  artista^  ch'è  il  cav.  .An- 
gelo Angelucci.  (4)  Nel  suo  lavoro,  è  superfluo  il  dirlo, 
Terudizione  è  pari  air  importanza  deir  argomento  e  al- 
Taffetto  dell'Autore  per  tutto  ciò  che  concerne  il  decoro 
e  la  grandezza  della  Nazione.  Molti  e  preziosi  sono  i  do- 

(1)  V«  Canerl.  1474-77  nel  prosp.  delle  spese  strnord.  p.  bio.  na^.^gis.  1475 
{t)  Cunerl.  Ì53I-»  e.  1167. 

(3)  V.  pesnm  nei  Camerìeogatì. 

(4)  H  Tiro  a  Mgiio  «i  Italia  dalla  tua  originf.tmo  ai  nottri  giomi:  Cenni  $i9^ 
rid  con  documenti  inediti  di  Angelo  Angeìucd  capitano  d*artigtieria:  formo  1866^ 
Tip,  BagUme  e  Camp, 


fi  Ttko  A  sbGNo  Colla  bALBstRA  6d 

coment!  allegati  vi,  e  bella  mostra  fanno  per  essi  in  quel 
libro  anche  le  città  delle  nostre  Marche;  Osimo  innanzi 
a  tutto,  ove  Tislitazione  del  Tiro  è  anteriore  al  1338; 
Recanatii  Ancona,  Cingoli  e  Jesi,  che  Tebbero  nel  secolo 
XV.  Ma  quanto  a  Jesi,  in  cai  da  un  documento  prodotto 
dail^Angelucci  parrebbe,  che  Tesercizio  suddetto  avesse 
avuto  principio  nel  1486,  le  mie  indagini  mi  posero  in 
grado  di  riportare,  come  si  vede,  un  tal  fatto  a  ben  tren- 
tatrè  anni  più  addietro.  —  Ho  cercato  con  molta  cura 
nei  nostri  Storici  e  negli  atti  pubblici  del  tempo,  per  co- 
noscere se  esso  si  collegasse  per  avventura  a  qualche 
avvenimento  di  speciale  importanza  nel  Comune.  Peroc- 
ché si  sa,  che  l'istituzione^  e  meglio  si  direbbe  ora  rin- 
novazione, del  Tiro  nel  1486,  resa  nota  dall'  Angelucci, 
(1)  ebbe  origine  dalla  festa  statuita  per  pubblico  decreto 
a  ricordo  della  vittoria  riportata  dalla  parte  fedele  alla 
Chiesa  contro  i  ribelli  di  essa  (2).  Della  qual  cosa  si  fa 
motto  nel  medesimo  atto  consigliare  del  19  novem]i>re 
di  quell'anno.  Ma  nel  caso  nostro  TAtto  consigliare  ifon 
ne  dà  veruna  spiegazione;  né  T  esame  di  tutti  gli  ajtri 
atti  di  quelUanno  e  deir antecedente  m'offrì  alcQ)i  che  di 
aomma  rilevanza.  Non  parliamo  dei  nostri  Storici,  pei 
quali  al  solito  ciò  che  più  si  desidera  di  trovarvi  o  man* 
ea  del  tutto,  o  v'è  appena  accennato.  L'unico  fatto  im- 
portante*  che  risulti  dalle  Riformanze  nei  primi  m^si 
del  1453,  è  la  riforma  degli  Statuti  per  opera  di  un  Fra 
Giovanni,  che  dev^essere  senz'altro  Giovanni  da  Capistrapo. 
Egli  era  qui  venuto,  come  appare  dal  Consiglio  generale 

(1)  Intorno  a  questa  il  cbUrissino  scrittore  pubblicò  anche  una  Memoria  a 
^arte  col  titolo:  Feste  mumeipali  commemorante  e  Tiro  a  tegno  in  Italia  net  m- 
eolo  jrV.  Brano  4i  Storia  ieiàia  oon  documenti  inediti  ecc.  —  Torino  BagUone 
1861 

(t)  Di  tale  importantissimo  Tatto  della  nostra  Storia  municipale  mi  oceoperò 
fra  non  molto;  oTondo  già  raccolto  e  ordinato  tatti  I  non  pochi  documenti  rela- 
tivi al  medetlmo. 


64  FESTA  DI   S.  FLORIANO   MARTIRE 

del  7  gennaio  delPanno  suddetto  a  far  pace  tra  la  città 
e  il  contado;  (1)  ma  di  che  pace  qui  si  tratti  non  sap- 
piamo,  mancandocene  ogni  altro  indizio. 


IX. 


Ecco  ora  il  prezioso  documento,  che  trascrivo  nella 
sua  integrità  dal  voi.  delle  Riformanze  1452-55  carte  124 

die  XXVIII  aplis  1453 

€  Consilio  credentie  Givitatis  Exii.  In  quo  fuit  de- 
cretum  q.  omni  anno  in  feste  Seti  Floriani  suptibus  Cois 
extrabatur  una  balista  valoris  ducator.  duo;  ad  quam 
no.  possint  trahere  nisi  Cives  et  comitativi  Exii;  et  me- 
lior  ad  verzaglìum  habeat  balistam  cu.  duobus  sagiptis;  et 
nomini  liceat  trabere  nisi  habeat  balistam  suam  ppriam.  » 

L^atto  consigliare,  che  così  comincia,  ed  è  re- 
datto in  modo  piuttosto  diverso  dal  consueto,  reca  quin- 
di altre  tre  sanzioni  di  non  molta  importanza.  Dico  re- 
datto in  modo  diverso  dal  consueto,  perchè  la  pratica 
comune  era  d^ndicar  prima  la  proposta;  quindi  riferire 
il  dictum  consultorts  sopra  la  medesima  e  infine  la  ri- 
formanza  o  deliberazione  col  relativo  risultato  dello  scru- 
tinio. Ma  si  vede,  che  il  cancelliere  di  quel  tempo,  un 
certo  Vanni  di  Simone  da  S.  Angelo  in  Fontano,  amava 
d^andare  per  le  brevi;  dacché  parecchi  altri  atti  antece- 
denti a  questo,  e  parecchi  de^  susseguenti  sono  scritti  col 
medesimo  tenore.  Non  potendo  quindi  dire  alcuna  cosa 
davantaggio  relativamente  al  documento  suddetto  mi  terrò 
pago  di  riferire  i  nomi  de^  Signori^  nella  cui  reggenza  la 
deliberazione  fu  presa-  e^.di  quelli  che  dovettero  darle 
esecuzione.  I  primi  sonò: 

(1)  V.  Rffora.  iid2r55  a  e.  8».  t<^* 


B  tmO  A  SBGKO  COLLA  fiALBftf HA  06 

Angelus  Petrismonis  (Ghislieri)  conf. 

Florianus  Thome 

Johannes  Fabri  de  Belvederi  o  ) 

Tomas  Buldrini  de  Sto  Paulo  )  ^^^^ 
estratti  ai  18  febbraio  1453  pel  bimestre  marzo*aprile 
i  secondi: 

Corradus  Jobannis  Manuiii  Confalon. 
Oalvanns  Antonii  Galvani  ] 

Jobes  Brenchi  de  Monteroberto  ?  priores 

Franciscus  Maziroi  de  podio  Sti  Marcelli  ) 

estratti  ai  22  aprile  pel  bimestre  maggio-giugno. 

E  poiché  ai  Consìgli  interveniva  anche  il  potestà 
0  pretore,  non  parmi  di  dover  lasciar  indietro  il  nome 
di  questo  un  dominns  Benedictus  de  Cintiis  de  Visse, 
stato  in  carica  dal  P  marzo  a  tutto  agosto  del  più  volte 
nominato  anno.  (1) 


X. 


Ma  si  ha  ricordo,  potrebbe  domandarsi,  che  negli 
anni  successivi  la  deliberazione  del  Consiglio  credenziale 
del  28  aprile  1453  fosse  messa  in  esecuzione,  ossia  che 
queiresercizio  del  Tiro  a  segno  diventasse  una  pratica 
ordinaria?  Nei  libri  delle  Riformanze  per  vero,  posteriori  a 
quella  data,  esaminati  da  me  colla  piii  scrupolosa  diligenza, 
non  ne  trovo  più  motto  fino  alFanno  I486.  Ma  devo  dire, 
che  dopo  il  volume  contenente  gli  atti  dal  1  aprile  1452  al 
9  marzo  1455  abbiamo  nella  serie  di  quelle  una  lacuna 
di  dodici  anni,  fino  al  10  febb.  1467  e  un'altra  di  due  dal 

(1)  n  potestà  seeondo  le  leggi  della  anUea  iiostrA  repobbltca  era  aeisettrale; 
■a  poteva  veair  rifemato;  Il  ebe  per  altro  toeeedeTa  raramente.  Ogni  poteità 
aveva  obbligo  di  condor  eeeo  un  gindiee  collaterale  e  nn  certo  numero  di  doo- 
telli,  eatelliti  o  ablrri,  ebiamatl  tutti  Insieme  la  sua  famigUa,  V.  ^afswi.  i  voL 
Mie  Bifora,  e  del  Registri. 

Àrtk.  St  Jforvà  F.  /.  I 


66  ¥ÉStJL  DI  S.  FLORUKO   MARTtRB 

16  luglio  1481  al  25  giugno  1483;  senza  tener  conto  di 
lacune  parziali,  che  qua  e  là  si  riscontrano.  Similmente 
non  se  ne  trova  indizio  di  sorta  nei  Registri,  la  cui  col- 
lezione, non  è  a  dire  quanto  preziosa,  comincia  nel  nostro 
Archivio  coiranno  1474.  Pure,  che  il  Tiro  si  facesse  nel 
1467  è  chiaramente  testimoniato,  mi  sembra,  dalla  se- 
guente menzione,  registrata  entro  il  libro  del  Camerlen- 
gate  di  quell^anoo  nel  prospetto  delle  spese  straordinarie 
pel  bimestre  maggio  e  giugno. 

€  Item  dedit  (il  camerlengo,  Evangelista  Angeli 
Vagnoli)  et  soluit  p.  balista,  que  empta  fuit  prò  feste 
Seti  Floriani,  ducat.  unum.  » 

Dove  senz'altro  deve  intendersi  la  balestra,  che 
secondo  la  deliberazione  del  Consiglio  sopra  nominato 
era  assegnata  al  miglior  tiratore.  Et  melior  ad  verzon 
glium  haheat  bahstam  cum  duohus  sagipiis.  Che  se  tal 
menzione  non  si  riscontra  nei  Camerlengati  del  1465  e 
66  e  in  quelli  del  75  e  76,  degli  altri  anni  non  potendo 
dir  nulla  per  la  mancanza  dei  codici  relativi,  ciò  potrebbe 
far  supporre,  che  non  vi  fosse  stato  bisogno  di  com- 
prare la  suddetta  balestra.  Certo  il  Comune  ne  avrebbe 
dovuto  possedere  in  proprio  più  d^una  ! 


XI. 


Restami  a  dire  alcuna  cosa  della  fiera,  che  come 
a  tutte  le  feste  di  maggior  momento,  così  alla  nostra 
trovasi  inseparabilmente  congiunta.  Anche  di  essa  però 
si  perde  Torigine  neirincertezza  delle  prische  memorie; 
quantunque  non  andrebbe  forse  molto  lungi  dal  vero  chi 
la  reputasse  contemporanea  o  quasi  alla  festa  stessa. 
Certo  nel  secolo  XV  apparisce  già  come  una  consuetu- 
dine ordinaria;  e  anno  per  anno  si  trova  mentovata  nelle 


K  TIRO  A  SBGNO  COLLA  BALESTRA         67 

Rifonnanze,  nei  Camerlengati  e  nei  Registri  insieme  colle 
altre  dae  similmente   assai   antiche  di  Santa  Maria   di 
mano  e  di  San  Settimio  in   settembre   (1).  La  sua  du- 
rata allora  e  per  più  tempo  appresso  era  di  otto  giorni, 
quattro  inDanzi  e  quattro  dopo  la  festa;  e  pubblicamente 
si  bandiva  ogni  anno  per   Tanno   successivo.  Nel  1498 
poi,  (Consiglio   generale   del  20  maggio)  (2),  trovo  che 
s'istituissero  dei  consoli^  qui  ias  dicant  mercatoribus  in 
g»5»  nundins;  Aé*  quali,  non  altrimenti  che  del  conestabile 
già  nominato,  ordinasi  q.  fiat  bussolus  duraturus  p,  tato 
tempore  htdus  cùnfecti  regiminiSy  cioè  del  rinnovato  Reg- 
gimento. Dal  Consiglio  stesso  apparisce  ciò  farsi  in  con-* 
formità  di  quanto  praticavasi  nella  fiera  di  Recanati  (og-* 
gi  di  Loreto)  (3),  la  più  celebre  forse  in  quei  tempi  di 
tutta  la  Marca.  E  secundum  formam  et  modum  diete  d^ 
titatis  reehanatensis  v^è  deliberato  di  ordinare  dei  capi* 
teli  così  per  detta  fiera,  come  per  quella  di  Santa  Ma* 
ria  di  marzo;  i  quali  in  effetto  furono  facti  e  instituti 
neiranno  susseguente.  (4)  Le  due  fiere,  è  in  essi  dispo^^ 
sto,  debbono  essere  franche  a  tutti;  cittadini  contadini  e 
forastieri  all'infuori  dei  ribelli,  sbanditi  o  nemici  della 
Santa  Romana  Chiesa  et  sopra  ad  tucto  singulariter  la- 
iranij  faltarU  et  tucti  li  altri  de  mala  fama;  dalla  cui 
uumza  ad  tucto  ne  abdicamo  et  refutamo.  Ognuno  nel 
dieta  tempo  possa  mettere^  vendere^  trahere  et  comprare 
ogne  generatione  de  mercantie  et  de  animali  senza  datio  al' 


(t;  Ddla  iera  di  Sin  Settimio  abbiamo  memoria  fin  dal  1904  in  una  onriofa 
reltiiaiit,  in  pergamena,  di  an  Banditore  del  Comune,  andato  a  pubblicarla  il  % 
•  0  4  acttcmbre  di  quell'anno  a  Perugia  e  in  AssieL  La  Aera  t*è  detto  aver  prin- 
cipio ni  ti  teltembre  e  terminare  al  15  d'ottobre.  V.  Libro  delle  pergamene  se- 
gnala eoUa  letL  C.  num.  progress.  19. 

(S)  ▼.  Bliorm.  od  annnm. 

(3)  I  rteordata  spessir  elmo  nei  nostri  libri  pubblkl  per  le  eompore  dm  Q 
it  TI  faceva. 

(4)  Bnglstrv  1198-1501  e.  46  t,  M  t  51 


68  PESfJL  DI  S.  BXORtAKO  MAllTtRfi 

ctmo  overo  gabelUty  excepta  la  tracia  detti  grani  et  hiadij  U 
quali  debiano  pagare  p.  omne  tempo  li  dai  holog.  p.  soma 
secondo  el  consueto.  La  franchigia  sia  duratura  dagli  otto 
dì  innanzi  fino  agli  otto  dì  de  poi  delle  dette  fiere;  (l) 
durante  il  qual  tempo  ninno  possa  essere  cosirecto  et 
convenuto  da  alcuno  suo  creditore  per  debito  contratto 
in  antecedenza,  né  p.  represaglie  del  Comune^  salvo  che 
p.  débito  se  contrahesse  o  facesse  nel  tempo  delle  diete  fiere 
p.  lo  quale  se  possa  convenir  e  costregner  ad  quello  che 
rasione  volesse.  Inoltre  che  per  qualunque  quistione  lite 
e  controversia  p.  qtuxlunq,  modo  se  fusse  e  con  qualunq. 
casione  se  contrahesse  nelle  fiere  predette  debbasi  e  si 
possa  recorer  atti  consoli  deputati  della  fiera  ^  li  quali 
debiano  havere  el  loro  notaro  el  qtuile  scriva  tucto;  li  quaU 
consoli  habiano  arbitrio  diete  questioni  deddet^e  et  ter-' 
minare  sumanCy  simpliciter  et  de  plano;  et  nullo  advo^ 
calo  né  procuratore  possa  intervenir,  p.  nullo  litigante 
denante  atti  dicti  consoli  sotto  pena  de  XXV  libr.  p.  cia^ 
schuna  volta.  E  da  ultimo,  lasciando  indietro  altri  par* 
ticolari  di  minore  importanza,  che  non  sia  licito  ad  al^ 
cono  reponere  mercantie  in  le  chiesi  (sic)  né  anche  in 
esse  alcuna  cosa  vender  o  comprar;  et  se  alcuna  per^ 
sona  contrafacesse  cada  in  pena  de  libr.  XXV^  et  lu  re* 
ctore  de  la  chiesia  consentiente  et  non  protestante  al  mer^ 
chatante  sia  tenuto  ad  interesse.  Et  intendasi  de  le  chiesi 
che  sonno  in  la  ciptà.  Ma  lìeì  vero^  rispetto  alla  fran- 
chigia e  r  esenzione  da  dazi  e  gabelle^  non  altrimenti 
che  all^eccezione  di  ribelli  e  nemici,  parecchie  di  tali 
prescrizioni  erano  già  in  vigore  precedentemente;  trovan- 
dole ricordate  ne^  bandi  annuali  per  le  fiere  stesse. 

(1)  In  questo  modo  doTO  intendersi  il  primo  eapoTerso  dei  capit  suddetti; 

•  In  prima  eh.  le  diete  fiere  cominzeno  felicemente  ceto  dì  nanxi  le  diete  fe- 
ste, et  dureno  fine  ad  oeto  dk  de  poL  • 

•Tendosi  per  altri  doeumenti  antecedenti  contemporanei  e  posteriori,  ebe  la  du- 
rata dell'una  e  deU*  altra  non  sorpassava  gli  otto  giorni  o  i  nere,  compitata  la 
festa. 


S   TIRO  A    SEONO  COLLA  BALESTRA  69 


Xll. 


E  qui  è  tatto.  I  fatti  del  genere  di  quello,  che  mi 
sono  ingegnato  di  ritrarre  hanno  anch^essi  un  valore  non 
lieve  nella  storia  dei  popoli.  Culto,  tradizionii  leggi»  co* 
stumi)  lingu.iggio  mutano  e  si  trasformano  continuamente. 
Ma  non  restano  meno  soggetto  costante  di  studio  pro- 
fondo^ fonti  inesauribili  di  peregrine  e  utilissime  inve- 
stigazioni, di  applicazioni  pratiche  iti  ogni  tempo  e  in 
ogni  caso.  Di  qui  la  necessità  che  nulla  si  perda,  che 
si  cerchi  anzi  raccogliere  il  più  che  sia  possibile  di  ma- 
teriali di  qualsiasi  specie.  A  noi  quest'ufficio^  altri  me- 
glio valenti  facciano  il  resto. 

Jesi.  15  LogliollSra 

Antonio  Ounandrha 


APPENDICE 


DOCUMENTO  I. 

Il  aeg.  alto  si  rìrerisce  pei  trovarvisi  la  più  antica  menzione  del 
culto  di  S.  Floriano  in  Jesi. 

IKSTRUH.  GOSrCBSSIONIS  FACTE  A  TRASMUNDO  ET  HU6l)Tri0!IB  P.  SE 
ET  FlUIS  COMITIS  RAINALDI  EOR.  NEPOTIBS  DB  CASTRO  MURRl  ET  SltS 
CURIA  COHUNII  ESII.      ' 

Exemplttm  cuiusdam  instri  btc  incipientis.  Anno  dnice  incar- 
naiiouis  Millo  e  xc  mi  mense  madii  IndicL  xii  et  regnante  hen- 
rico  romanor.  Imperatore.  Ego  quidem  in  dei  nomine  Trasmando 
Comes  et  uguccione  filio  meo  et  p.  filiis  comes  rainaldo  meisq. 
nepotibs  q.  est  in  mea  dominatione  et  meam  segnoriam  ipsis  et 
omnia  sua  bona  q.  pater  suus  in  obitu  suo  conmisit  in  me  facere 
et  faciendi  qoicquid  michi  placuit  de  ipsis  et  de  omnia  sua  bona. 
Ego  pdictus  Comes  dono  et  trado  et  concedo  atq.  sacro  iure  pro- 
pietatis  p.  donationem.  It.  p.  dictis  personis  concessit  et  conGrma- 
vit  ipsam  donatione.  vobis  comune  hesine  civitatis  tam  maioribs 
q.  minoribs  in  ppetuum  possidendum.  Id  est  castro  muiTO  et  eius 
curia  et  cum  ombis  suis  ptinentiis  tam  intus  quam  de  forìs  et 
cum  bominibs  et  cum  suis  possesionibs  q.  nnllam  relevationem  fa- 
cimns  neq.  p.  nos  neq.  p.  allis  p.  nos  Ila  ut  habeatis  leneatis 
possidealis  a  die  psente  in  antea  p.  guerram  p.  pacem  et  facere 
et  faciendi  quicquid  vobìs  inde  placuerit  sine  omni  querimonia  et 
sine  omni  occasione  legis  in  ppleum  quod  exlramus  nos  pdcte  psooe 
de  p.  dieta  nra  pprietatis  (sic)  et  de  nra  donatione  et  donamus  et 
coroìltimus  alq.  Iransactamus  in  vostro  dominio  et  donatione  et 
in  vostram  pprietatem  iussimus,  et  liceat  vobis  facere  quicquid 
vobis  placuerit  p.  omi  tempore.  Ilem  pdiclis  psonis  hanc  dona- 
tioem  concessit  cum  bono  animo  et  cum  ppriam  bonam  volunlatem 
ipsam  donatioem  iussit  pdiclum  castro  (sic)  ab  bominibs  de  ipo 


APPBNBICB  71 

eoamno  de  hesioe  civìtatis  p.  claves  et  portes  et  p.  totis  aliis  suis 
ptioenliis  3icut  sopra  dictum  est  et  insup.  proitimus  et  obligamus 
Bos  sopra  die  ti  datori  (sic)  vi  nris  heredibs  vobis  pdctis  coinuDO 
aoaiiBe  pensione  dare  annualitbr  ih  lib.  cera  a  Sangtu  Floriano 
et  pmiilinuis  et  obligamas  dos  auprascripti  datori  omia  supra  scripta 
res  qood  sicot  super  legunlur  firmu.  tenere  et  bene   obsvare  p. 
ooìi  lepore  in  ppetuum  et  si  contra  hanc  cartuiam  donatiois  ire, 
leDlare,  agere,  causare  aul  ininuare  vi  disruropare  seo  falsare  vo- 
IneruDus  et  omia  que  supra  scripta  suot  et  pmissa  no.  observa- 
verimus  et  concta  no.  adimpleverimus,   pmitlimus  vobis  dare  co- 
mano  Domica  pene  gcg  libras  bonor.  luce  et  post  pena  soluta  hane 
eartolaoi  dcoatioem  firmam  et  stabilem  p.  maneat  in  pptuom.  It. 
sopra  seripii  datori  beo  carlula  donationis  Oeri  rogavit  et  p.  cor- 
paiem   sacramtum  affirmavit  firma,  tenere  p.  orni  tempore  omia 
sapra  scripia  sunt  et  concessione  et  dooatione  facta  ^  Matbeo 
de  villano  ti!stis  ^  Bernac^one  de  go^o  gislerij  ii«  Masetto  de  Si- 
mone t'  ^  Matbeo  de  falco  t.'  Marino  de  rigo  t."  >b  Spa  t."  lii 
Matheo  de  bemardo   t."   investitor  foìt.  Ego  Albertutins  tabeltio 
scrìpsL 

Ex  Libro  sub.  tit.  Memoriale  civìtatis  Aesii  et  antiquitatum 
soaram  pag.  iv. 


DOCUMENTO  H. 

BSBHPLARB  DI   MAXDATO   0   SINDACATO    «  AD  PALLIUM   OFFERENOUM.   » 

lo  dei  noie  Amen.  Anno  Dui  hdx,  Indictioe  tertiadecima, 
tempore  S."^  i  X.*  prixs  uri  dni  Julii  divina  pvidentia  pp.  secundi 
die  vero  prima  mens.  mail  pntis  Anni. 

Congregato  et  cohadunaio  pub.*^  et  gnali  Consilio  Cois,  ho- 
minom  et  oniversitatis  cast.  Belvederis  Coitalus  Civit.  Esii  ad  so- 
nom  campale  et  vocem  bayuli  de  mand.  puidor.  viror.  Sr.  Jo.  Au- 
gostioì  de  Fibris,  Gasparis  Quiriaci  et  Prancisci  Martini  Quatuor 
el  Massari!  (sic)  regiminis  dicti  castri  et  etiam  de  mand.  Sr  An- 
geli Peregrii.i  de  Musciano  capitan,  dicli  castri  Belvideris  i.  suffi- 
eieati  nomerò  more  solito  congregato  el  cohadunato  in  palatio  dicti 


72  APPBNDICB 

castri  anaoioùter  et  coocorditer  et  Demioe  discrepante,  spoote  et 
Olili  meliore  mo.,  via,  jure,  causa  et  forma  qoibus  magis  at  me- 
lius  potuenint,  fecerat,  costìtuerut,  creaverut  et  legttime  ordina- 
venit  eor.  et  cojasq.  ipsor.  veru.  et  legitmum  siodicum  comune  ao 
aetorem,  exìbitore.  et  certum  nuplium  specialem  vi  si  quo  alio  no- 
mine roefius  et  validius  de  Jure  et  secund.  consuetudinem  dici  et 
censerì  pot.  providum  virum  Guasparem  Quiriaci  de  dicto  castro 
pntem  et  acceptantem  specialiier  et  nomìnatim  ad  comparendn  i. 
die  festi  divi  Floriani  pntis  anni  et  ad  (emplum  ipsius  coram  Mag.*^ 
dno  Cancellano  Coitaiìs  Mag.""*  Civiialis  Esii  ad  èxìbend.  et  no- 
mine et  vice  Coitalis  et  universilatis  dicti  castri  presentandum  pai- 
liam  sive  vexillum  Coitatis  et  un  iversitalis  dicti  castri  in  signam 
carìtatis,  subiectionìs  et  sancte  obedienlie  habile  et  babende  p. 
pfatam  Coilalem  et  unìversit.  eidem  alme  civìtat  Esii.  Et  genera- 
iiter  ad  ernia  et  singla  alia  faciendum,  gerendu.  et  exercendu. 
que  in  prefata  subieclione  et  obedientia  et  augomentiim  rei  pub. 
eìd.  Mag,*^  Clvit.  Esii  pertinent  et  requirit.  Promictenles  dieta  Coi- 
tas  et  consilìum  consiìl.,  ratum,  cognitum  et  firmum  ppeluo  ba- 
bere,  inviolabil.  tenere  qid  quid  p.  dicium  eor.  pcuratorem  factum 
gestum  et  pcuratum  fuerit  sub  ypolheca  et  obligatioe  omiu.  suor, 
bonorum  diete  Coitatis  et  consìlii.  In  sup.  volentes  dicti  consti- 
tuentes  dictu.  pcurat.  ab  orni  onere  satisdationis  relevare  promise- 
runt  mihi  nota  rio  iofrascripto  ut  pub."^  p.*  p.nti,  stip.^'  et  recip.^ 
vice  et  nomine  quor.  inlerest.  vel  in  fulurum  interesse  poterit  de 
judicio  sisti  et  judicatum  solvendo  i.  omibs  suis  clausulis  p.  quibs 
omibs  et  singulis  juraverunt  in  omnem  casum  et  eventum  huius 
eu.  sub  pena  et  obligatioe  pdict.  et  virtule  dicti  pstiti  juramenti 
rogantes  me  not  infrascripL  ut  de  pdictis  omibs  pub.  conficerem 
instrum.  ad  omne  plenu.  et  validu.  in  jure  consist.  mandatum. 
Actum  i.  casL  Belvederis  in  palatio  dicti  castri  juxta  bona  Bla- 
xii  Jac.  Blaxiiy  bona  Comun.  et  alia  lat.  psenlibs.  Mgro  Benediclo 
de  podio  S.  Marcelli  et  Berardino  Antonii  de  Musciano  (eslibs  ad 
hoc  hitis  et  vocat.  Et  ego  Nicolaus  Aogelellus  de  castro  Belvede- 
ris comitatus  Civit.  Esii  pub.  imper.  auclorit.  noi.  pdictis  omibs 
et  singlis  inlerfui  eaq.  rogalus  scribere,  scripsi  et  publìcavi  si- 
gnumq.  meum  apposui. 

Ex  Registro  Cois  ano.  1510-14  e.  21  r.  et  l 


APPENDICE  73 

DOCUMENTO  HI. 

PiOIBaiOra  DI  RECARE  k  VEEDSR  BIADE  E  ALTRE  DERRATE  HELLE  TERRE, 
CU  AVESSERO  MANCATO  AL  DEBITO  DI  PORTARE  IL  PALLIO  IL  DÌ  DI 
8.  FtOBIAVO. 

1356  iO  luglio  —  In  publico  et  geDerali  Consiglio  Civiialis 
et  loUns  Comitatos  Esiì  ex  preceplo  dnì  Andrea  de  Thollentino 
CiviUL  predicle  potestatis  convocalo,  sup.  propos.  De  bono  et  uti- 
iitate  dieli  ComuDiSy  Petrus  Grinaaldi,  unus  de  diclis  consigliariis 
siif]geu  ad  arrengheriani  consuluit.  Quod  sit  lìcitum  unicuiq.  cìvi 
ei  cooiiuitivo  portare  eor.  biada  ad  vendendum  quocunq.  placue- 
rit»  salvo  q.  nemini  sit  liciL  portare  ullam  blador.  nec  vcrum  aliar. 
geflereliooein  ad  aliquam  illar.  terraruin,  qiie  non  apporlayeruni 
palia  dìeto  Comuni  io  festo  Seti  Floriani  prout  tenent.  secund. 
(onDam  pactor.  int.  dict.  Comune  et  dictas  terras.  Et  si  quis  con- 
trafeoerit  solvat  pene  nomine  xxv  lìbr.  deuarior.,  cuius  medietas 
sii  Comuois  predicti,  alia  vero  invenloris.  De  quo  misso  partito 
ia  Ine  forma  q.  quibs  placuerit  dìclum  dicli  Peiri  sedeant,  et  qui 
Tettali  eoDtrarìum  exurgant,  placuit  omnibs,  et  sic  obtentum  fuit. 
—  AeL  io  palatio  dicti  Comunis  preseotib.  Mulio  Lupi,  Contholino. 
Guidi,  Mariao  Albìxie.  Aotooio  Marini,  Alleuntio  Bariholomei,  An- 
giolao  Fratboni  et  pluribs  aliis  —  Johane  Vanutii  de  Esio  notarlo 
et  eaaoelL 

Eo.  Libro  C  n.  21. 

DOCUMENTO  IV. 
CAFITOU   PER   LE  FIERE  DI   S.   MARIA  DI  MARZO  E  DI  S.   FLORIAHO 

Io  mai^  Capitula  nundinar. 

b  dei  DOfDioe  am.  Anno  dni  mcccclxxxxvihi  Ind.  11  Tempor 
S.^  Uf  ehrislo  pris  et  dnì  nri  dni  Alexandri  divina  providentia 
pp.  scxti  et  die  xviii  martii.  Questi  ìnfra.sti  sonno  li  capitoli 
et  ordini  facti  iostitnti  et  ordinati  p.  la  M.*"*  comuita  della  cipta  de 
Esio  da  obsvarse  in  le  loro  fiere,  quali  «mnuatim  se  fanno  in  la 


74  APPBKDIOB 

festa  de  Sola  Maria  d.  marzo  et  de  Sancto  Fiorano  de  ordine  e 
decreto  del  consiglio  della  dota  cipta,  come  appare  p.  mano  del 
oro  cane* 

In  prima  che  le  diete  fiere  cominzeno  felicemente  oclo  di 
nanzi  le  diete  feste  et  dureno  fino  ad  octo  di  de  poi. 

Item  che  la  fiera  de  Seta  Maria  de  marzo  de  ogne  gnafione 
de  merchantia  eh.  siano,  se  faccia  ad  seta  Maria  del  piano  fora 
della  cipta  ac  et.  in  la  cipla  a  li  lochi  consneti  et  così  sia  e  in  la 
festa  de  San  Fiorano  eh.  se  faccia  la  dcta  fiera  in  la  dota  cipla  e 
li  lochi  consueti  excepta  la  fiera  delli  animali  qli  se  siano  la  qle 
in  le  dote  feste  se  debia  fare  nel  mercalale  come  è  consueto. 

Item  che  le  dcle  fiere  siano  et  essere  debiano  franche  ad  tacti 
ciptadini,  contadini  et  forestieri  eh.  condurrà,  compararà  o  venderà 
mercantie  in  le  diete  fiere  nel  doto  tempo  ciò  è  eh.  possano  met- 
tere»  vendere,  trahere  et  comprare  ogne  gnation.  de  mercantie  et 
de  animali  senza  datio  alcuno  overo  gabella,  excepta  la  tracta 
delli  grani  et  biadi  qualuq.  se  sia  eh.  se  trahessero,  li  qaali  debiano 
pagare  p.  ome  t.po  li  doi  boi.  p.  soma  ordinati  nel  cippo  delle 
mura  secondo  el  consueto. 

Item  che  ciaschuoo  possa  trahere  loro  merchantie,  quali  fos- 
sero conducte  alla  fiera  infra  doi  di  de  pò  finita  la  fiera  senza 
alcuno  pagam.to  de  datio,  salvo  eh.  se  vendesse  nel  doto  termine 
de  pò  la  fiera  eh.  debia  pagare  p.  qllo  vende. 

Item  eh.  qualunq.  psona  de  qualunq.  conditione  se  sia  overo 
stato  eh.  fraudasse  alcuna  marcaniia  per  vendere,  che  passato  el 
tminc  de  la  franchigia  debia  pagar  la  gabella;  et  no  assegnando 
cada  i.  pena  d.  fraudo  d.  gabella. 

Item  che  le  diete  fiere  siano  et  essere  debiano  franche  et  li- 
bere a  ogne  p.sooa  che  venire  vorrà  i  dote  fiere  ciò  è  eh  nullo 
ciptadino,  contadino  o  forestero  de  qualunq.  conditione  se  sia  possa 
essere  costrecto  et  convenuto  da  alcuno  suo  creditore  p.  veruno 
debito  contraeto  nanzi  el  tpo  della  dcta  fiera,  né  p.  repsagiie  de 
Comune  né  d.  spetiale  persona  salvo  eh.  p.  debito  se  contrahesse 
0  facesse  nel  tpo  delle  dote  fiere  p.  il  quale  se  possa  convenire 
et  costregner  ad  quello  eh.  rasione  volesse. 

Item  eh.  la  dcta  franchizia  non  se  intenda  de  veruno  ribello 
et  sbandito  o  inimico  o  condamnato  dalla  Sa.  Ro.  Ecc.  la  qle  noi 


APPBNDICB  75 

iMOgaoseemo  p.  nra  vera  madre  et  sopra  ad  lucto  aiogiilar.  nò  la* 
troDi  né  falzarìi  né  robatori  della  Dra  cipta  sbandii!  overo  con* 
damoati  el  loeti  li  altri  d.  mala  Tama,  dalla  cai  usanza  ad  tncto 
oe  abdicamo  et  refuiamo;  et  anche  de  qlli  eh.  delinquesse  o  come- 
desse  maleficio  durat.  el  tpo  de  le  dote  fiere  i  la  nra  cipta  silo  et 
dùlriclo:  quali  volemo  exp.sse  esser  puniti  secondo  la  forma  d.  nri 
statuti:  el  eh.  el  potestà  et  consuli  d.  la  fiera  et  altro  oIBciale  del  uro 
Goe  possano  loro  pigliar,  dctiner  et  punir  secondo  la  forma  delli  statuti 
pdclì  secondo  l'aititrìo  loro  da  cognoscerse  sumariamenL  senza 
strepito  et  figura  d.  iudicio  no.  obstanL  statuii  o  reformanze  eh. 
io  contrario  parlasse. 

Ilem  eh,  orane  merohantie  quale  se  vendesse  ad  peso  overo  me- 
sura.  no  se  possa  vendere  ad  altra  mesura  et  peso  eh.  alla  roesura 
el  peso  del  Comune:  et  qualunq.  terrero  o  forestiero  contrafacesse 
già  ponilo  secondo  la  forma  delli  statuti. 

Ilem  eh.  ad  ciascuno  ciptadino»  contadino  o  forastero  al  qle 
durante  el  tpo  delle  dcte  fiere  occorre  far  questione  lite  overo  con* 
Iroversie  civilmente  cusi  tra  ciptadino  et  contadino  o  forastiero  p, 
qoalooq.  modo  se  fosse  e  co.  qualunq.  casione  se  contrabesse  do* 
rame  el  tempo  delle  fiere  predcte  debbia  e  possa  recorer  alti  eoa* 
soli  depotati  della  fiera,  li  quali  debiano  bavere  el  loro  notare  el  qle 
scriva  lucto:  li  quali  consoli  babiano  arbitrio  dcte  questioni  decidere 
el  terminare  somarie  simpir  et  de  plano:  el  nullo  advocato  né 
pcorai,  possa  ilervnir  p.  nullo  litigant.  denante  alli  dti  consuli  sotto 
pena  de  xxv  libr.  p.  ciaschuna  volta. 

Item  che  durante  el  tempo  delle  dcte  fiere  ciptadini  el  con* 
ladini  li  q.li  conducesse  o  vendesse  o  sindicasse  (?)  o  com* 
prasse  o  trahesse  alcuna  mercanthia  no.  sia  tenuto  ad  pagar  al- 
cosa  gabella  ad  tanto  eh.  essi  ciptadini  ci  contadini  al  tpo  overo 
al  di  ohe  b  coodoce  la  debia  assignar  p.  scripto  la  dota  mercan- 
lia  qoale  vendesse  o  trahesse  ad  minuto  allora  remanga  ad  iudicio 
delli  consuli^  quali  hano  ad  cognosce,  et  tminar.  le  qstioni  della 
fiera  con  iur.**  d.  qlli  eh.  vendesse  o  trahesse  et  qlla  cIl  sindi- 
casse 0  remanesse  dopo  el  tempo  della  dota  fiera  siano  tenuti  ad 
pagar  la  gabella  usata.  Et  chi  contrafacesse  cada  i.  pena  de  frodo 
el  sia  punito  quanto  se  havesse  fraudata  la  galclla. 

Itero  sia  manifesto  eh.  p.  alcuna  convclion.  scripta,  obligation. 
lacla  0  da  farse  p.  merchatanti  forzieri  altrove  eh,  i.  le  nre  fiere 


76  APPSNDICB 

salvo  delle  eose  qaale  se  vendesse,  comprasse  o  pmatasse  L  le  dote 
fiere  no.  se  pò  convenir,  e  cosi  dorai  le  fiere  sebene  renatiasse  ai- 
le  dde  fiere  et  alli  capitoli  de  esse. 

Item  sia  manifeslo  eh.  qoalonq.  forestero  se  obligasse  p.  in- 
sCrom.  0  p.  scripto  de  man.  de  voler  essere  convenoto  in  qoeste  fiere 
eli.  li  consoli  in  qoesto  proceda  no.  obst  dicto  capitolo  de  sopra 
et  qoeste  oblìgatìon.  se  intenda  p.  mercatia  e  no.  p.  altro. 

Ileni  eh.  dorante  le  fiere  no.  sia  verone  eh.  ardisca  condarre 
lignami  co.  li  carri  né  anim  dalla  chiesia  d.  San  loca  fin.  al 
vescovado;  et  dalla  casa  delli  caldarari  fino  ad  casa  de  folio  de 
Sr.  fiorano  alla  pena  de  xxx  soldi  p.  volta. 

Item  eh.  nìsono  ardisca  de  far  monstra  de  cavalli  p.  la  piaza 
sotto  pena  de  xx^^  soldi  p.  ciascona  volta  et  ciaschono  contrafa- 
dente  dorante  le  fiere. 

Item  eh.  no.  sia  licito  ad  alcono  reponere  mercantie  in  le 
chiesi  (sic)  né  anche  in  esse  alcona  cosa  vender  o  comprar.:  et 
se  alcofla  persona  contrafacesse  cada  in  pena  de  lib.  xxv;  et  lo  rector 
de  la  chiesa  consentient  et  no  protestant  al  merchatante  sia  tenoto 
ad  interesse.  Et  intendasi  delle  chiesi,  eh.  sonno  in  la  cipta. 

In  margine.  Confirmatio  Ber.*  Bordov.  Cane.  ss. 

A.  flores  Eps  castellamaris  )  ^  . 
..  . .  {  Gobr 

provinole  marchio        ) 

Soprascripta  capitola  qt  iosta  et  honesta  sint  et  a  iore  ac 
sacris  Provincie  constitotionibs  no.  dìscrepantia  approbamos,  con- 
firmam.  et  validamos  etea  inviolabiliter  observarì  mandamos  qui 
boscooq.  no.  obsL  Reservato  ta  beneplacito  et  volontat  soperior. 
Dat  Macerate  xxiu  martii  1499. 
obmisso  sigillo 

Io.  B.  Staffolev. 
Qoe  capla  die  xx  martii  foeront  bandita  verbatim  p.  Laorentiom 
pobcm  preconem  Cois  p.  loca  p  bea  et  consoeta  civitatis,  legente  of- 
ficiale mentis  et  ipso  Laor.  bandiente. 
In  marg.  Ban.  caplor. 

Reg.  1498-1501  e.  SI,  92. 


CRONICA  DI  PESARO 


ATTRIBUITA 


TOMMASO  DIPLOVATAZIO 


edita  per  cura 


DI 


GIULIANO  VANZOLINI 


•^>S/S^^^^^^k^^^ 


Tommaso  Diplovatazio  nacque  in  Corfii  a^  25  di 
maggio  1468«  da  Giorgio  Diplovatazio  e  da  Maria  La- 
scarì,  ultimo  de^  sette  figli  ch^  essi  procrearono. 

A  nove  anni  partito  di  patria  per  raggiungere  il 
padre  ch'era  a  Napoli,  ebbe  la  sventura  di  veder  lui 
scendere  e  salire  indarno  le  scale  prima  di  quel  Re,  poi 
del  Papa  in  Roma,  per  implorarne  soccorso,  e  finalmente 
di  sentirlo  morto  nelle  guerre  di  Granata,  essendosi  per 
disperazione  portato  in  Ispagna  a'  servigi  di  quel  Re. 

Ben  è  vero  che  in  tanta  disgrazia  Costantino  La- 
scafi  cugino  di  sua  madre,  professore  di  lettere  greche 
in  Messina  venne  a  prenderlo  per  tenerlo  seco  ed  istru- 
irlo; ma  la  sua  genitrice  non  ebbe  cuore  di  distaccarselo , 
e  amò  meglio  che  in  Napoli,  e  sotto  gli  occhi  suoi  cre- 
scesse neireducazione  e  negli  sludi.  Ebbe  quivi  a  mae- 
stro di  grammatica  Gioviano  Fontano  e  Carlo  Sorrentino; 
passò  poscia  a  Salerno  a  studiarvi  logica  e  in  età  di 
dodici  anni  tenne  ivi  nella  Chiesa  di  S.  Matteo  pubblica 
conclosione. 

Ma  questo  valente  e  sventurato  giovane  trovò  pre- 
sto un  Mecenate  nel  Principe  di  Salerno,  Antonello  da 
Sanseverino;  che  gli  prese  amore  e  lo  eccitò  agli  studi 
legali  regalandogli  una  Istituta.  A  questa  adunque  egli 
applicossi  sotto  Antonio  da  Croce,  e  per  precettori  or- 
dinari ebbe  la  mattina  Niccolò  Capograsso,  e  la  sera 
Carlo  da  Ruggine.  Richiamato  poi  dalla  madre  a  Napoli 
seguitò  i  medesimi  studi  sotto  Antonio  de  Battimo  e 
Francesco  de  Balvino,  o,  come  opinò  Y  Olivieri  sulle  cui 
orme  andiamo  scrìvendo  questi  cenni  i  de  Bultino. 


80  Al  LETTORI 

Ma  invitata  la  madre  da  Demetrio  Spandolino  sao 
parente  a  recarsi  a  Venezia  con  tutta  la  famiglia,  fa 
egli  messo  nel  1486  allo  studio  di  Padova  sotto  il  Pe- 
sarese Oiasone  del  Magno,  e  Antonio  Corsetti.  Circa  il 
1488  passò  il  Diplovatazio  colla  madre  a  Pesaro  chia- 
matovi da  Camillo  Sforza  che  con  Giovanni  sao  figlia- 
stro vi  dominava,  all'uffizio  di  Vicario  delle  appellazioni 
e  gabelle.  Veggendolo  però  ella  ancora  imberbe,  deli- 
berò di  renderlo  più  atto  a  sostenere  T impiego  affidatogli 
mandandolo  prima  a  Perugia  sotto  la  disciplina  di  Baldo 
Bartolini,  Pietro  Filippo  Corneo,  e  Pietro  degli  Ubaldi. 

Tornato  poscia  a  Pesaro  non  vi  trovò  la  sua  be- 
nefattrice Camilla,  poiché  aM3  di  Novembre  del  1489 
con  approvazione  del  Papa  rinunziò  a  Giovanni  la  sua 
poizione  sulla  Signoria  di  Pesaro,  ed  avvenuto  il  ma- 
trimonio di  lui  colla  Gonzaga  sorella  del  Marchese  di 
Mantova,  se  ne  parti  a^  dì  7  di  maggio  deir  anno  ve* 
gnente  per  il  suo  castello  delle  Torricelle  nel  Parmi- 
giano affine  d^attendervi  quietamente  air  anima  sua.  Eb- 
be però  non  minor  protezione  da  Giovanni,  che  lo  fe^ 
suo  Gentiluomo,  e  con  sua  licenza  passato  a  Ferrara, 
vi  fu  a'  13  d'agosto  del  1490  laureato  per  mano  di  Gio. 
Maria  Riminaldi  in  età  di  22  anni. 

Tornato  a  Pesaro  ad  esercitarvi  la  sua  carica,  ebbe 
la  ben  meritata  sorte  di  passar  da  quella  ad  altra  mag- 
giore, poiché  morto  nel  1492  Almerico  Almerici  Dottore 
di  gran  nome  ed  Avvocato  fiscale  della  Camera,  lo  Sforza 
tosto  vel  sostituì.  E  perchè  un  uomo  che  lo  serviva  co- 
si bene  non  gli  sfuggisse,  pensò  di  trovargli  una  ricca 
moglie,  la  quale  fu  Catterina  di  Terenzio  di  Bartolomeo 
della  Corte,  adottata  in  figliuola  dal  Maggiordomo  di 
esso  Sforza,  Francesco  Beni,  nobile  fiorentino,  che  del 
suo  matrimonio  non  avea  avuto  figli.  Le  nozze  furono 
celebrate  nel  1494.  La  dote  fu  di  4000  ducati,  dote  a^ 


At  LETTORI  ^1 

qae^  tempi  assai  superiore  al  costarne  di  qualangue  delle 
primarie  famiglie  di  questi  paesi.  Stabilitosi  così  in  Pe- 
saro e  cominciatovi  a  possedere  fu  ascritto  al  Consiglio 
di  Credenza,  riservato  per  la  sola  nobiltà. 

Ma  intanto  accadde  che  Alessandro  VI,  tolta  a  Gio* 
vanni  Sforza  col  mentito  pretesto  dMmpotenza  la  seconda 
moglie  Lucrezia  Borgia  sua  figliuola^  per  collocarla  nel 
più  vantaggioso  partito  del  Duca  di  Ferrara,  toltagli 
avrebbe  anche  la  vita,  se  avvertito  egli  dalla  medesima 
Lncrezia  non  si  fosse  con  precipitosa  fuga  da  Roma  sal- 
vato a  Pesaro.  Fallito  il  colpo,  Alessandro  per  giungere 
al  suo  fine,  lo  accagionò  di  canone  non  pagato^  e  lo 
scomunicò,  e  dichiarollo  scaduto  dalla  Signoria  di  Pe* 
sarò,  investendone  il  Duca  Valentino  altro  suo  figliuolo. 

Ora  avrebbe  sembrato  che  il  Diplovatazio,  come 
creatura  dello  Sforza,  restar  dovesse  tra  i  dimenticati, 
ma  invece  il  Valentino  lo  dichiarò  in  Cesena  fiscale  di 
tutta  Romagna. 

E  qui  convien  dire  che  il  Diplovatazio  alla  probità 
ed  al  merito  aggiugnesse  una  prudenza  non  comune, 
giacché  morto  Alessandro  e  cacciato  il  Valentino,  Gio- 
vanni Sforza  tornato  Signore  di  Pesaro,  non  si  mostrò 
punto  offeso  della  sua  condotta,  ma  continuogli  sempre 
gli  stessi  atti  di  parzialità,  eleggendolo  nel  1503  per 
cara  degli  Anziani  del  Quartiere  di  S.  Niccolò;  e,  quel 
ch^è  più,  rimettendo  alla  direzione  di  lui  il  procurargli 
le  sicurezze  della  reintegrazione  sua  nella  Signoria  di 
Pesaro;  e  nel  1506  spedendolo  suo  Oratore  a  Bologna 
a  Papa  Giulio  II. 

Sembra  però  che  il  patrocinio  dal  Diplovatazio  pre- 
stato al  CoUenuccio  fin  dal  1500,  e  proseguito  alia  sua 
infelice  famiglia  anche  dopo  il  1505,  iu  cui  fu  fatto  uc- 
cidere dal  traditore  tiranno,  gliene  alienasse  Tanimo.  E 
siccome  Giulio  II  lo  aveva  accolto  in  Bologna  con  molta 

àrA.  Sior.  Ihrek.  YoL  l  6 


83  AI  LETTORI 

degnazione,  pensò  a  mettersi  sotto  T  usbergo  di  tanto 
Pontefice.  E  questi  lo  raccomandò  caldamente  a  Fran- 
cesco Maria  P  Duca  d^Urbino,  suo  nipote,  che  lo  dichiarò 
Governatore  di  Gubbio,  o,  come  anche  allora  dicevasi, 
suo  luogotenente. 

Mortagli  poi  senza  figli  la  moglie  e  il  di  lui  padre 
adottivo  Francesco  Beni,  e  da  ambidue  lasciato  erede 
di  tutti  i  loro  beni,  pensò  Tommaso  alle  seconde  nozze, 
e  a^  17  luglio  1511  sposò  Apollonia,  figliuola  del  celebre 
filosofo  Agostino  degli  Angeli,  nobile  pesarese^  ch^e- 
sercitava  in  Venezia  con  somma  riputazione  la  medicina. 

Tornò  Tommaso  colla  novella  sposa  a  Gubbio  a 
terminare  Timpiego  dal  Duca  confidatogli,  dopo  di  che 
restituissi  a  Pesaro,  e  quivi,  essendo  già  morto  Giovanni 
Sforza,  e  il  figlio  Costanzo  li,  accettò  V  impegno  di  trat- 
tare a  nome  di  Galeazzo  Sforza,  fratello  di  Giovanni  ed 
ultimo  rampollo,  benché  non  legittimo,  della  Casa  Sforza 
di  Pesaro,  col  Card.  Sigismondo  Gonzaga  e  col  March, 
di  Mantova  suo  fratello  per  far  accordare  al  medesimo 
Galeazzo  dal  Papa  vantaggiose  condizioni  nella  dimis- 
sione di  Pesaro. 

Mancato  cosi  il  dominio  della  Casa  Sforza  in  Pe- 
saro, e  richiamata  la  città  airimmediato  ossequio  della 
S.  Sede,  Tommaso  con  Camillo  Samperolo,  per  mandato 
del  Consiglio  di  Credenza,  e  Generale,  prestò  nel  1512 
giuramento  di  fedeltà  alla  S.  Sede  in  mano  del  Vescovo 
di  Monopoli,  Governatore  apposta  spedito  qua  da  Giu- 
lio U.  Ma  ben  presto  fini  il  Governatore  pontificio,  per- 
chè nel  marzo  del  1513  Francesco  Maria  1  Duca  d'Urbino 
nipote  del  Papa,  investito  dallo  zio  del  dominio  di  Pe- 
saro, ne  prese  tosto  possesso. 

Avea  questi,  come  s'è  detto,  esperimentato  il  va- 
lor di  Tommaso;  onde  non  sol  lo  vide  con  piacere  de- 
putato dal  Consiglio  il  di  6  di  febbraio  1514  per  restau- 
rare il  Monte  di  Pietà,  ma  lo  deputò  egli  stesso  il  di 


AI  LBTTORI  8d 

8  marzo  1515  per  ano  dei  Riformatori  dello  statato  di 
Pesaro  ;  e  vacato  nell'agosto  del  medesimo  anno  uno  dei 
tre  posti  del  supremo  suo  Consiglio,  da  cui  dipendeva 
il  governo  di  tutto  lo  Stato,  agli  8  di  questo  mese  ne 
provvide  Tommaso.  Poco  però  potè  egli  godere  di  questa 
illustre  carica,  poiché  nel  mese  di  maggio  del  seguente 
anno  1516  venne,  come  è  noto,  discacciato  il  Duca  Fran- 
cesco Maria,  onde  tornando  Tommaso  agli  uffizi  di  citta^ 
diao,  e,  tutto  quasi  dipendendo  dalla  sua  direzione,  ai 

9  di  giugno  del  detto  anno  fu  eletto  dal  Consiglio  a 
trattare  col  nuovo  Duca  Lorenzo  de'  Medici.  Ma  tentando 
poi  Francesco  Maria  con  forti  truppe  di  ricuperare  il 
suo  Stato,  tutto  era  in  isconvolgimento  ;  quindi  il  Con- 
siglio nelle  angustie  in  cui  metteva  una  guerra^  che  si 
aveva,  può  dirsi,  alle  porle  della  città,  ai  23  di  gennaio 
del  1517  pensò  di  elegger  sei,  e  tra  questi  Tommaso, 
a  provvedere  per  qualunque  cosa  con  tutta  quelPauto* 
rità  che  ha  tutto  il  magnifico  Consiglio  insieme. 

Ma  tante  mutazioni  di  Stato,  tanti  timori,  tanti  pe<- 
rìcoli  avendo  disgustato  Tommaso,  divisò  di  riparare  a 
Venezia  come  a  porto  di  tranquillità,  specie  avendo  colà 
congiunti  ed  amici  potenti,  e  nel  detto  anno  se  ne  partì. 
Quivi  ai  4  di  marzo  del  1520  gli  nacque  il  primo  fi- 
glìnol  maschio,  e  ai  24  di  novembre  del  1525  una  fem- 
mina, la  quale  ai  2  di  dicembre  gli  venne  battezzata  di 
propria  mano  dallo  stesso  Patriarca  di  Venezia  Girolamo 
Quirino;  tanta  era  la  riputazione  che  colla  sua  condotta 
e  col  suo  sapere  s^era  il  Diplovatazio  guadagnata. 

Troppo  doleva  però  ai  Pesaresi  la  lontananza  di 
un  tal  cittadino.  Quindi  quietate  le  cose  e  ritornato  dopo 
la  morte  di  Leone  X  pacificamente  in  possesso  del  suo 
Stato  il  Duca  Francesco  Maria  l,  non  lasciarono  essi  di 
sollecitarlo  al  ritorno,  ed  egli  lo  promise;  ma  la  per* 
suasione  del  suocero  e  dell'  Egnazio,  e  forse  anche  Tim- 
pegno  preso  dell^edizione  di  Bartolo,  gFimpedirono  di 


^  At  LBTTORt 

attener  la  promessa.  Onde  restò  tuttavia  in  Venezia  av- 
vocando al  foro  Ecclesiastico,  il  qaale  ufficio  lasciar  non 
volle,  quantunque  da^  signori  Riformatori  gli  fosse  offerta 
Cattedra  in  Padova;  né  tornò  a  Pesaro  che  verso  il  fine 
del  1532.  Ivi  nel  1535  accasò  il  suo  figliuolo  Alessandro 
con  Gerolama  di  Francesco  Ondedei,  e  nello  stesso  tempo 
maritò  Marina,  sua  seconda  figliuola,  ad  Ondedeo  Onde- 
Aeij  fratello  di  essa  Girolama,  avendo  già  maritata  pri- 
ma Francesca  sua'  primogenita,  a  Bernardino  Ondedei, 
faemiglia  illustre,  ricca  ed  antichissima,  estintasi  son  po- 
chi anni  nel  conte  Vincenzo. 

Nel  primo  trimestre  del  1538  esercitò  egli  la  carica 
..di  Gonfaloniere,  e  nel  Consiglio  dei  19  gennaio  avendo 
.  proposto  che  si  riformassero  quegli  Statuti  che  di  rifor- 
ma abbisognavano,  fu   egli  incaricato  di  tale  splendida 
deputazione  in  compagnia  di  Luca  degli  Abati  e  di  Gian- 
giacomo  Valenti. 

Nel  medesimo  anno  a*  20  di  aprile  fece  egli  il  suo 
.testamento,  al  qual   atto  non  sopravvisse  che  tre  anni, 
amato  da  tutti  e  stimato  ;  e  mancò  di  vita  a^  29  di  mag- 
gio del  1541    in  età  d'anni  73  e  giorni  4.   Fu  sepolto 

in  S.  Agostino,   avanti   la   Cappella  di  S.  Niccola^  con 
^quQsta  iscrizione: 

D.    0.    M. 

THOMi£.    DIPLOVATATIO. 

PHILOSOPH.    THEOLOa.    I.   V. 

DOCTORI.    MAGISTRATIB.    LEGATIONIB. 

CLARO. 

REIP.   VENETiE.   PISAUREN.    DNIS. 

SFORTIIS.   AC.    RUVSRBIS 

DILECTO 

PP,  PP, 


AI  LETTORI  85 

E  memoria  pur  di  Ini  si  fa  in  nn^  altra  iscrizione 
che  vedesi  nel  muro  della  medesima  cappella 

D.      0.      M. 

VALERIO   BX   DIPLOVATATIA   BISANTII   OLIM 

Alfa.    FAMILIA 

ANIMI   ST    CORPORIS   DOTIBUS 

EXIMIO 

IN   PERSOLVBNDIS    OPPICIIS 

SERENISS.    PRINCIPI  * 

PATRIA   ET    CONIUNCTIS 

STUDIOSISSIMO 

AETATIS   ANNO   LIIIL    XIX.    GAL.    lAN   MDC. 

RELIGIOSE   DEFUNCTO 

LUCIA   PIGNA   UX.   ALEXANDER   ET   IOANNBS   FF. 

MOESTISS.   PP. 
AC    ILLIUS   ET   THOM^   DIPLOYATATII  BJU8DEM   A^I 

I.    C.    CELEBERRIMI 
ALEXANDRIQ.    ET   JUNIPERiC   PARENTUM   OSSA 

NOVO  MONUMENTO 
C.  C. 

he  opere  sue  principali  sono  le  seguenti: 
\^  De  prestantia  doctarum  in  xii  libri,  il  nono  de* 
quali  tratta  De  claris  Jurisconsultìs.  Di  quest*  opera  non 
è  rimasto  che  copia  del  nono  libro,  il  qual  si  conserva 
nell'  Olivenana  di  Pesaro.  Delle  vile  de^  chiari  giurecon*^ 
salti  molte  sono  state  pubblicate  fin  dai  tempi  delVAu- 
tore,  molt  )  in  appresso,  ma  tutte  da  nessuno  ancora,  ben-- 
che  r  Olivieri  ne  desse  copia  e  facoltà  di  stamparle  al 
Bolognese  Giovanni  Fantucci. 

U  E  iitione  di  tutte  le  opere  di  Bartolo^  con  sue 
postille,  f:  tta  a  Venezia  nel  1521  e  dedicata  a  Giacomo 
Pesaro  Ve  scovo  di  Pafo  e  oriundo  pesarese,  come  suona 
i  suo  cognome. 


80  AI  LETTORI 

3^  Cammentaria  in  Lecluram  Alexandri  Tartagnae 
super  Cod.  et  Digest  Lugduni  1553. 

4l^  Tractatus  de  Testibus.  Coloni  1556. 

5®  Dei  Vicarj  temporcUi  detta  S.  Sede  e  delVImn 
pero. 

6®  Detta  libertà  e  privilegi  dé^  Veneziani. 

7®  Chronicon  Pisauri. 

Questo  codice  che  è  quello  che  pubblichiamo,  è 
posseduto  da  Giuliano  Vanzolini,  il  quale  lo  comprò  dai 
Marchesi  Baldassini  insieme  con  tutta  la  loro  libreria, 
nella  quale  era  passato  colla  eredità  dei  Gozze.  Marcan- 
tonio de  Gozze,  neir  interno  del  primo  cartone  appose 
quest^avvertenza  :  «Hunc-librum  Cronicarum  Pisanri  esse 
conscriptum  manu  pp.  D"**  Tfaomae  Diplovatatii  Constan- 
tinopolitani  ex  comparatione  literarum  dicimus,  et  prò 
ventate  indubitabili  credimus  et  atestarum. 

M.«   de   G. 

Scripsit  bunc  librum  circa  annum  D.  1500.  » 

L^Olivieri  però  nella  vita  del  Diplovatazio  dimostra 
che  questa  Cronaca  fu  scritta  poco  prima  del  1508,  per- 
chè nell'elenco  de*  Vescovi  di  Pesaro  in  essa  riportato, 
dopo  il  Rncellai,  morto  nel  1504,  si  nomina  VE^iscoptis 
praesenSf  il  quale  essendo  Francesco  Ricciardi,  che  mori 
nel  1508,  la  morte  di  lui  viene  a  mostrarsi  Tanno  prima 
di  cui  scrìsse  il  Diplovatazio  quest^opera. 

Esso  codice  è  alto  e.  29,  largo  22.  Consta  di  carte 
103  delle  quali  15  son  bianche  parte  framezzo  e  parte 
in  fine,  le  altre  scritte,  ma  non  sempre  interamente,  la- 
sciando TAutore  o  intere  facciate  bianche  o  de  Ile  lacune 
qua  e  là  per  le  aggiunte  che  gli  fossero  occorso.  E  stato 
poi  rilegato  in  pergamena  e  raffilato  come  ap])arc  dalla 
e.  9  verso  dove    la   postilla   marginale  è  slato  in  parte 


AI  LBTTORI  97 

tagliata  via.  La  rilegatura  però  è  assai  sciupata,  e  il 
libro  ha  molto  sofferto  dalPacqua.  ed  è  specialmente 
macchiato  nella  parte  superiore.  La  marca  della  carta  è 
un^aquila  ad  ale  spiegate;  il  sesto  in  foglio. 

Comincia  coiranno  avanti  Cristo  3090  e  finisce 
coiranno  dopo  Cristo  1357.  É  in  latino  da  principio: 
parte  in  latino  e  parte  in  italiano  in  fine;  scritta  tutta 
d^ona  mano,  tranne  poche  giunte  in  margine,  che  piii 
che  d^altra  penna  sono  d'altro  inchiostro.  In  solo  un  luogo 
pare  che  il  carattere  sia  tutt'jaltro,  e  a  suo  tempo  rav- 
viseremo; come  pure  in  fine  in  due  carte  sono  registrate 
alcune  memorie  delle  quali  Tuna  dei  2  dicembre  1582, 
Taltra  dei  15  luglio  1584,  le  quali  che  non  siano  del 
Diplovatazio  Io  dice  il  millesimo  stesso. 

Del  resto  muove  questa  Cronaca  impacciata  fino  al 
257  dopo  Cristo.  Da  indi  corre  più  spedita  e  non  vi  sono 
che  raie  giunte  in  margine.  E  però  un  abbozzo  di  cro- 
naca più  che  una  cronaca,  e  spesso  ci  sono  periodi  non 
finiti  che  con  un  ecc.  ecc.  La  lingua  poi  è  spesso  sgram- 
maticata orribilmente,  tanto  eh'  io  ho  dubitato  molte  volte 
che,  specialmente  da  principio,  non  fosse  che  copia  di 
qualche  cronica  più  antica^  p.  e.  quella  del  Gabuzio,  ora 
perduta.  Insomma  è  scritta»  come  dice  il,  Fabricio  Bibl. 
Oraec.  Tom.  xn  p.  355  dell' al tr' Opera  sua  De  Chris 
Jnriscon^  spinosius  panilo  atque  incultius.  Ed  è  poi  non 
una  vera  cronaca  di  Pesaro,  ma  un  po'  di  tutto,  come 
accade  di  tutti  i  nostri  vecchi  cronisti,  i  quali  sono  di- 
screti se  cominciano  da  dopo  il  diluvio,  anziché  dalla 
ereaaione  mosaica  adirittura.  Contiene  perciò  notizie  an- 
che delle  vicine  città  e  Signorie  e  sopra  tutti  de'  MaliH 
testi,  i  più  potenti  a  que'  tempi. 

Contiene  parecchi  errori  e  di  date  e  di  faUi  e  di 
nomi,  e  noi  avevamo  incominciato  a  correggerla;  ma  vi- 
sto che  la  correzione  veniva  più  lunga  della  Cronica^  e 


88  ÀI  LBTTORI 

che  questa  fatica  non  riusciva  ad  alcun  prò  degli  eru« 

diti,  smettemmo.  Solo  a  pie  di  pagina   porremo   qualche 

rara  nota  per  le  cose  più  importanti. 

1/ Olivieri  che  primo   la   fece  conoscere,  ne  parla 

con  molta  enfasi  —  «  Due  cose,  dice^  in  leggendola, 
ho  io  osservate.  La  prima,  V  immensa  lettura  di  Tom- 
maso, e  le  immense  fatiche  fatte  per  compilarla^  veg* 
gendosi  che  non  solamente  con  somma  accuratezza 
spogliati  avea  tutti  gli  antichi  scrittori  e  tutte  le  cro- 
niche delle  città  confinanti  che  forse  correvano  allora 
manoscritte,  ma  ancora  che  visitati  avea  diligentemente 
tutti  gli  Archivi  di! Pesaro,  ed  usate  tutte  quelle  at- 
tenzioni che  usar  potrebbe  uno  scrittore  addottrinato 
dalle  riflessioni  del  nostro  secolo.  Ed  oh  avesse  pur 
egli  fatto  uso  ancora  delle  antiche  Iscrizioni,  che  non 
piagneremmo  oggi  inutilmente  la  perdita  di  quelle  che 
a*  suoi  di  erano  in  vista.  La  seconda,  la  somma  pe- 
netrazione sua  anche  in  materia  di  antichità,  lo  mi 
lusingava  di  avere,  quando  trattai  della  fondazione 
di  Pesaro,  sulle  tracce  lasciateci  dalFimmortal  Maffei, 
scoperto  il  primo  ed  assegnata  giustamente  la  nostra 
origine  ai  Siculi  del  Pelopponeso.  Restai  ben  mara- 
vigliato quando  vidi  che  prima  di  me  cosi  pensato 
avea  anche  Tommaso.  Se  quando  scrissi  quella  diser- 
tazione avessi  veduta  la  Cronica  del  Diplovatazio^  gli 
avrei  resa  la  dovuta  giustizia  e  mi  sarei  fatto  scudo 
deirautorità  di  un  tanto  uomo.  » 

A  noi  queste  lodi  paiono  esagerate;  ma  avendole 
messe  T  Olivieri  le  abbiamo  messe  anche  noi.  Del  resto 
abbiamo  espunto  dalla  Cronica  tutte  quelle  aggiunte  nei 
margini  che  non  avevano  che  far  nulla  coll^argomento 
e  che  erano  d'una  erudizione  fuor  di  luogo,  come  tutto 
quel  tratto  dove  parlando  del  nostro  fiume  Isauro  chia- 


AI  LBTTORI  89 

mate  così  da  Lucano  per  licenza  prosodiaca^  anziché 
Pàauro,  corneo  il  suo  vero  nome,  fesco  fuori  coìVIsatiria 
regione  delFAsia  minore^  e  ti  discorre  di  essa  con  una 
lunghezza  soverchia  anche  se  Tlsauria  avesse  qualche 
relazione  col  nostro  Isauro.  Abbiamo  poi  mantenuto  sem- 
pre la  grafia  dell* Autore,  scogliendone  solamente  ì  nessi 
e  n^abbiamo  ricopiati  fedelmente  anche  gli  errori,  facendo 
soltanto  qualche  nota  ai  più  madornali. 

La  storia  italiana  guadagnerà  poco  da  questa  pub* 
blicazione;  ma  per  noi  che  abbiamo  intenzione  di  pub- 
blicare in  quest* Archivio  altri  lavori  sulla  storia  pesarese 
conveniva  cominciare,  come  dal  più  antico,  da  questo. 


CHRONICON  PISAURI 


Pisaurum  Urbem,  de  qua  scripturi  sumus,  aliqui 
dicunt  eam  esse  ìd  Picenam,  cum  quibus  et  Blondus  fo- 
roliviensis,  lib.^  5,^  Italie  illustrate,  aliqui  in  agrum  gal- 
licum,  cura  quibus  est  T.  Livius  patavinus,  lib  9.^  4^  de- 
cadis,  et  Sozobonus  (1)  pistòriensis  faistoriographus,  lib. 
p.®  in  principio. 

Nos  autem  sequendo  Plinium  lib.®  3.®  naiuralis 
historie^  Gap.  13/  (2)  dicimus,  eam  in  Umbria  et  gallico 
agro  esse. 

Et  in  sinu  adriatico  Umbriam  incipimus  a  flumine 
Esis  et  sequitur  Senegallia,  Metaurus  fluvius,  colonia  (3) 
Fanum  Fortune,  Pisaurum  cum  amne,  usque  ad  fluvium 
Crustumium,  nunc  Concam  dictum.  Intus  Hispellum,  Tu- 
derlum  et  alias  civitates  esse. 

Pomponius  Mella  cosmographus  de  situ  orbis,  de 
Italia  dicit:  A  Pado  ad  Ànconam  transitar  Ravenna,  Ari- 
minum,  Pisaurum,  fanestris  colonia,  flumen  Metaurus, 
atque.Esis,  et  illa  in  angusto  illorum  duorum  promon- 
toriorum  ex  diverso  coeuntium  inflexi  cubiti  (4)  imagine 
scdcns,  et  ideo  a  Grais  dieta  Ancona. 

Antonina  Partenius  veronensis  super  commentariis 
suis  super  poeta  Catullo,  in  epigrammate 

Nemone  in  tanto  potuit  populo  esse,  Inventi]  etc. 

moHbunda  a  sede  PisauH  etc. 

ubi  sic  inquit:  «  Pisaurum  Umbrie  opidum  est  Romanorum 

(1)  Veramente  Soutmene. 
(S)  NeUa  aod.  ediz.  e.  XIX. 

(3)  L'edii.  mod.  eoUmiaet  rifereodolo  Unto  a  Fano  che  a  Pesaro. 

(4)  (Miti  nasca  nel  testo. 


CHRONICOK  PISAURI  91 

colonia,  non  a  pensato  auro  dictum,  sed  ab  Isauro  amne 
▼ìcìno,  ut  Plinius  judicat. 

Pisauri  menia  attingit   Isaurus  amnis,  Folia  nunc 
dictos  ex  Apenino  ad  Cotulum   arcem  ortum  habens,  et 
portoni  apertnm  facit,  de  quo  meminit  Lucanus. 
.     .     .    •    jungitur  Idaspis  Isauro  (1). 

Anno  ante  Xpi  adventum  390  —  Anno  mundi  4809, 
Urbem  Pisauri  antiquissimam  fuisse  credìmus,  ipsamque 
aliqui  Siculos  et  Liburnos  tenuisse  existimant,  alii  Um- 
brorum  gentem  antiquìssimam  Italie  [habitasse,  et  eam 
intra  trecentum  eorum  oppida  a  Thuscis  debellata  fuisse. 
Alii  eam  conditam  fuisse  dicunt  anno  mundi  4809  et 
ante  Xpi  adventum  390  a  M.  Furio  Camillo,  cum  qui- 
bas  et  Servius  lib.  6.**  super  Virgilium,  euius  verba  sunt 
hec:  Breno  duce,  Galli,  apud  Aliam  fluvium  legionibus 
delettis  everterunt  Romam  absque  Capitolio,  prò  quo  in- 
mensam  pecuniam  acceperunt.  Tunc  Camillus  absens 
dictator  est  factus,  cum  diu  apud  Ardeam  esset  in  exilio 
propter  venientanam  (2)  predam  non  equo  jure  divisam, 
et  Galles  jam  abeuntes  prosequtus  est,'  quibus  interem- 
pti8  aorum  omnem  recepii  et  signa.  Quod  (3)  illic  ap- 
pendisset,  ci  vitati  noroen  dedit;  nam  Pisaurum  dìcitur, 
qnod  illic  aurum  pensatum  est.  Sed  vere  Pisaurum,  quod 
penes  Isaurum  est,  nomen  habet.  Alii  tamen  dicnnt  Pi- 
saurum quod  in  edificatione  civitatis  pes  quidam  aùri 
inventos  fuit  (4). 

(1)  n  Terto  di  Lncano  lib.  3.  406  suona  cosi:  Crustumiuque  rapax  et  junehu 
SArn  htnro;  e  ridxspe,  fiume  deU*  India  non  ci  ha  qui  a  far  nulla. 

(t)  Legfi  vejentmmn. 

(S)  Manca  11  ami. 

(4)  G.  B.  Passeri  con  miglior  criterio  deriva  il  nome  di  Pitaurum  da  pUca 
grecamente  paiude  e  da  oroB^  monte,  quasi  la  palude  tra'  monti  per  troTarsi 
P«aaro  circondata  dagli  ultimi  contrafforti.degli  Appeninl  da  smbedue  le  parti,  chia- 
mali monti  Arrisio  dalla  parte  di  Fano  e  Monte  Accio,  oggi  S.  Bartolo,  dal  Tal- 
Ira  parte.  Il  Pmmrus  poi,  oggi  Foglia,  Impaludava  anticamente,  e  il  mare  Innol- 
traadoai  pHi  d»  ora  dentro  terra  rendeva  r^ria  dellii  città  malsana. 


92  CHROKICON  PISAURI 

Anno  ante  Xpi  adventum  187  —  Anno  mtm^^'5012 
Anno  ante  Xpi  adventum  187.  et  anno  ab  Urbe  condita 
563  creati  consnles  fuerunt  M.  Emilius  Lepidus  et  C. 
Flaminius  Rome,  in  quo  consulatu  straverunt  viam  ab 
Arimino  per  Pisaurum,  per  Umbriam  et  Tusciam  Romam 
usque,  que  Flaminia  dieta  fuit.  Et  licet  Blondus  lib.  3/ 
de  Roma  instaurata  dicat  incertum  esse  unde  habuerit 
cognomen  via  Flaminia,  verum  non  eadem  ratione  et 
Regio  Italie,  nunc  Romandiola,  a  Foro  Cornelii,  nunc 
Imola,  ad  Pisaurum,  et  via  omnis  ab  ipso  Foro  Cornelii 
usque  in  Urbem  Romam  Flaminium  habuerit  cognomen 
incertum  est.  Tamen  ut  percipitur  ex  Cornu  Copia  (1): 
Flamineus  vero  Circus  et  Flaminea  via  non  a  Flamine, 
sed  a  Flaminio  consule  dieta  sunt,  qui  ab  Annibale  in- 
terfettus  est  ad  lacum  Transimenum  (2).  Strabo  vero  et 
melius  quam  alii  lib.  5."*  de  situ  orbis  sic  scribit:  Hic  ilio 
Scaurus  est  qui  per  Pisas  et  Lunam  usque  Sabbatios 
viam  stravit  Emiliam,  et  bine  per  Darthonem.  Alia  vero 
Emilia  est,  que  per  Flaminiam  excipit.  Eodem  enim  in 
consulatu  M.  Lepidus,  et  C.  Flaminius  college  fuerunt. 
Victores  autem  Ligurum  stravere.  Hic  quidem  Flaminiam 
e  Roma  per  Thusciam  et  Umbriam  usque  Ariminum  etc. 
T.  Livius  lib.  9^  4  decadis  in  principio.  M.  Emilius  al- 
ter consul  agnos  Ligurum  vicosque  qui  in  campis  and 
valibus  erant:  ipsis  monles  duos  Balistam  Suismontium- 
que  tenentibus  deusit  depopulatusque  est.  Deinde  eos  qui 
in  montibus  erant,  adortus,  primo  levibus  preliis  fatigant, 
postremo  cohactos  in  aciem  descendere  justo  prelio  devi- 
cit,  in  quo  et  edem  Diane  vovit.  Subactis  cis  Appeninum 
omnibus,  tum  trasmontanos  adortus  (in  hiis  et  Frisins^tes 
Ligunes  erant)   quos  non  adierat   C.    Flaminius,    omnes 

(1)  Intende  dell'opera  di  Niccolò  Penalti  intitolata  Comvcopiae  sive  Unguae 
latinge  CommentarU  stampati  la  prima  volta  in  Venezia  dal  Paganino  nel  1489. 

(2)  teggi  TnuUnenum. 


CHRONICOK  PÌSAtRt  9^ 

OBmilius  subjecit  armaque  ademit,  et  de  montibus  in 
campos  multitudinem  deduxit.  Pacatis  Liguribus  in  a- 
gram  gallicum  exercitum  duxìt,  viamque  ab  Placentia, 
ut  Flaminee  commiteret  Ariminum  perduxit  (1). 

Hoc  anno  fertur  per  Flaminiam  consulem  strata 
vie  Flaminia;  pontem  magna  impensa  et  magnis  lapi- 
dibuSy  non  prout  nunc  est,  Isauro  dedisse, 

Anno  ante  Xpi  adventum  184  —  Anno  mundi  5015. 
Anno  ante  Xpi  adventum  184,  et  ab  Urbe  condita  566 
Colonia  in  Pisaurum  deducla  fuit  teste  T,  Livio  Pata- 
vino Lib.  9^  4®  decadis.  Colonie  due  Poteniia  in  Pice- 
num,  et  Pisaurum  in  gallicum  agrum  deducte  sunt.  Pena 
jugera  in  singulos  data;  diviserunt  agros,  coloniasque 
deduxerunt  iidem  tresviri,  Quintus  Fabius  Labeo  et  M. 
et  Quintus  Fulvii  Flaccus,  et  Nobilior. 

Hoc  anno  Accius  tragediarum  scriptor  inter  colo- 
D08  ex  Urbe  Pisaurum  fuit  deductus,  teste  Eusebio  de 
temporibus,  qui  postea  Rome  multum  claruìt. 

Anno  ante  Xpi  adventum  183  —  Anno  munefi  5015. 
Consules  huius  hanni  nec  domi,  nec  militie  memorabile 
quicquam  egcrunt.  Erant  consules  P.  Claudius  Pulcher 
et  L.  Licinius  Pontius.  Anno  ante  Xpi  adventum  183. 
Mutina  et  Parma  colonie  Romanorum  civium  sunt  de- 
ducte. Bina  milia  hominum  in  agrum  qui  proxime  Bojo- 
rum,  ante  Tuscorum  fuerat:  octona  jugera  Parme,  quina 
Matine  acceperunt.  Deduxerunt  triumviri  M.  OGmilias 
Lepidns,  T.  Ebutius  Carus,  L.  Quintius  Crispinus. 

Hoc  anno  P.  Scipionem  Africanum  Philopemenem 
et  Anibalem,  maximos  imperatores  mortuos  aliqui  scribunt 

Anno  ante  Xpi  adventum  137  —  Anno  domini  5062. 
Anno  ante  Xpi  adventum  137  et  ab  Urbe   condita  613, 


(1)  Una  folta  per  sempre  avvisiamo  il  leUore  che  diamo  questa  Cronica  co* 
fU  errori  che  ha  tanto  In  sé,  quanto  nelle  citasloni,  e  che  non  essendo  questa 
opera  da  andare  per  le  mani  degii  scolari,  non  correggiamo  in  essa  che  gli  stra« 
fdolofel  pili  grossi.  CU  eruditi  non  hanno  bisogno  di  noi. 


94  CHRONIGON  PISÀURI 

Accias  tragediarum  scriptor,  Rome  darus  habetur,  ut 
Easebius  de  temporibus  testatur.  Hic  Àccius  natus  fu- 
it,  Mancino  et  Serano  consulibus,  parentibus  libertinis, 
et  seni  jam  Pacunio  Brundusino  tragediarum  scriptori 
Tarenti  sua  scripta  recitavil.  A  quo  et  fundus  accianus 
jttxta  Pisaurum  dictus,  quia  illuc  ex  Urbe  inter  colo* 
nos  fuerat  deductus.  Credimusque  fuisse  ubi  nunc  corupte 
dicitur  fundus  montis  Atti.  Ibi  ecclesia  Sancti  Bartboli 
fratrum  congregationis  beati  Petri  de  Pisis  est  constructa 
a  qua  nunc  fundus  Sancti  Bartboli  dicitur. 

Anno  ante  Xpi  adventum  120  —  Anno  mundi  5(1^9. 
Fuit  et  alter  Quintus  Marcius  Accius  Repens  magister 
vici,  cuius  figura  et  littore  sunt  in  pariete  illarum  de 
Pardis  in  centrata  Episcopatus,  et  sunt  infrascripte  (W 

Anno  ante  Xpi  adventum  120  e  ab  Urbe  condita 
620  civitas  Pisauri  multum  fuit  illustrata,  quod  etiam 
patet  in  quadam  tabula  marmorea  magna  reperta,  tem- 
pore domini  Constantii  Sfortie  in  fundamentis  castelli 
sui«  (2)  et  nunc  est  in  Domo  Petri  Georgii  de  Almericis 
de  Pisauro,  et  est  infrascipta. 

Epithoma  Petronii  Antigenidis  in  quadam  tabula 
marmorea  reperta  in  fundamentis  Castelli  Constantii  nunc 
in  domo  Petrii  Georgii  De  Almericis. 

Isiis  temporibus  aqueductus  magna  impensa  facti  sunt 
per  quos  aqua  ex  fontibus  nunc  Nubilarie  et  Candelarie 
a  miliario  4%  item  ex  fonte  Montis  Granarii  miliario  uno 
in  urbem  Pisauri  et  in  plateara  nunc  dictam  plateam 
quarti  (3)  perduta  fuit,  ubi  fons  maximus  constructus. 


(1)  Non  8*  è  mai  curato  di  copiarle  le  iscrizioni.  Rimandiafluo  il  lettore  ai 
Marmorea  pisauretuia  deir  Olivieri. 

(3)  Si  ebiamò  in  fatti  Rocca  Costanza,  Oggi  è  convertita  In  carceri  pubbliche! 

(3)  Piatta  del  quarto  ti  disse  nei  medio  evo  dal  quarto  lato  di  eaaa,  ove 
oggi  ò  una  volta  detta  h  volta  del  quarto.  Questa  piatita  poi  oggi  chiamasi  mag^ 
giort. 


CHRONICON  PISAURI  95 

Anno  ante  Xpt  adventum  50  ^  Anna  mundi  bì  49. 
Civitas  Pisaori  a  die  Colonie  semper  ia  obendeatia  Ro- 
manoram  fait  Anno  tamen  ante  Xpi  adrentum  50  et 
auM)  ab  Urbe  condita  760  Gayus  Julius  Cesar^  capto 
Arimino,  jamque  lallissimis  belli  porlis  terra  marique 
pattefactis,  confusis  Provincie  terminis,  patrie  legibns 
perturbatis,  Picenum,  Umbriam  occupavit  et  sic  Pisau* 
min.  Caesar  in  suis  Commeutariis  lib.""  p/  de  bello  civili 
in  2/  cap.*  in  fine:  Ipse  Ari  mini  cum  duabus  legionibus 
sabsisUti  delettum  habere  constituit.  Pisaurum,  Fanum, 
Anconam  singulis  cohortìbus  occupat. 

Idem  inferius  facit  mentionem  de  Plsauro,  M.  T.  C. 
lib.  alt/  suarum  epislolarum»  in  epistola  que  incipt:  Quo 
m  dùcritnine^  quam  dirigit  Tjroni  suo: 

Itaque  cum  Caesar  amentiam  quadam  reaperetury 
et  oblitus  Dominis  atque  honorum  suorum,  Ariminum, 
Piaaarum,  Anconam,  Aretium  occupasset. 

Anno  ante  Xpi  adventum  25  —  Anno  mundi  5173. 
Istit  temporibus  floruit  T.  Accius  pisaurensis  orator  su- 
premus  et  juris  civilis  doctissimus  Rome.  De  isto  M.  T* 
C.  de  claris  oratoribus  12/  carta  sic  inquit:  T  Accium 
pisanrensem  cuius  accusationi  respondi  prò  A.  Cluentio 
qui  et  acurate  dicebat  et  satis  copiose.  Erat  quoque  pre- 
tarea  doctus  Hermagore  preceptis,  quibus  et  si  ornamenta 
non  satis  optima  dicendi,  tamen,  ut  baste  velitibus  amen- 
tale, sic  apte  quedam  et  parata  singulis  causarum  gene- 
rìbns  argumenta  traduntur.  Studio  autem  neminem  nec 
industria  majorem  congnovi.  Exstant  orationes  prò  Au- 
lo Cluentio  centra  Tiltum  Accium  in  orationibun  M.  T. 
C.  Istid  temporibus  floruit  Rome  Cn.  Pisarensis,  mer- 
eator  dives,  de  quo  sic  scribit  C.  Plinius  naturalis  hi- 
storìe  lib.  7/  cap/  SQJ"  Precium  hominis  in  servitio  gè- 
Diti  maximum  ad  hunc  diem,  quod  equidem  compererim, 
fait  gramaticae  artis  Daphindis,  Cn.  pisaurense  vendente} 


96  èERONIÒON  PISAtmt 

et  M.  Scauro  principe  civitatis  ni  m  d  ce  sesterties  licente. 

Anno  ante  Xpi  adventum  45  —  Anno  mundi  5154. 
Anno  ante  Xpi  adventum  45,  et  ab  Urbe  condita  705 
malo  ac  peximo  aere  fuit  infecta  adeo  quod  cives  pisaa- 
renses  multi  recesserunt,  et  quod  non  erat  salutifera  sic 
scribit,  qui  illis  temporibus  floruit,  Catullus  poeta  Ve- 
ronensis  in  suis  carminibus  amatoriis: 
moìfibunda  sede  Ptsauri 

Hospes  inaurata  palidior  statua. 

Anno  ante  Xpi  adventum  40  —  Anno  mundi  5159. 
Anno  ante  Xpi  adventum  40  et  ab  Urbe  condita  710 
in  Pisaurum  nova  colonia  deducta  fuit  per  M.  Antho- 
nium  de  qua  sic  scribit  Plutarcbus  grecus  philosophus 
atque  stoicus  eloquentissimus,  et  Trayani  imperatoris  ma- 
gister  in  vieta  M.  Antonii  circa  medium:  Pisaurum  ur- 
bem  non  longe  ab  Hadria,  in  qua  M.  Antonius  colonas 
deduxit  etc. 

Anno  ante  Xpi  adventum  31  —  Anno  mundi  5168. 
Anno  ante  Xpi  adventum  31  et  ab  Urbe  condita  719 
civitas  Pisauri  hiatu  terre  absorta  ferit,  ut  atthestatar 
idem  Plutarcus  grecus  in  vieta  M.  Anthonii  circa  me- 
dium: Pisaurum  non  longe  ab  Hadria  in  qua  M.  An- 
tonius colones  deduxit,  hiactu  terre  absortum  fuisse  fer- 
tur.  Credimus  partem  civitatis  fuisse  absortam  ubi  nunc 
dicitur  le  padule  (1)  in  burgo,  et  non  totam  civitatem. 

Hac   anno   mortuus   fuit  Alexandrie  M.  Antonius 
predictus^  qui  deduzit  coloniam  in  Pisaurum. 

Anno  ante  Xpi  adventum  183  —  Anno  mundi  5381. 
Anno  ante  Xpi  (sic)  183  et  tempore  Commodi  Antonini 
imperatoris  Fronte  consul  cum  essel  Pisauri,  M.  AnfidiuEu 
Frontonem  filium   admisit.   Iste  M.   Ausidius  fuit  prò- 
nepos  Comelii  Frontonis   oratoris  supremi  et  consuli  et 

(1)  Oggi  corrolUfflente  Piatta  padella.  Oh!  la  fortuna  delle  parole  un  paduim 
miiUto  in  p§ieUa. 


CHRONICON  PISAURI  97 

magtstri  imperalorìs  Antonini  et  Vitelli  filii  ac  etiam 
magister  M.  Antonini  Veri  imperatoris,  ut  reffert  Julius 
Capitolinus  in  vieta  Veri  imperatoris  ad  Dìoclitiannm, 
obi  dicit  quod  Verus  imperator  audivit  CorneliuBi  Fron- 
lonem  oratorem.  Quo  tempore  floruit  Comelius  Priscia- 
ntts  de  quo  per  Marcianum  in  1.  proxime  §  de  hiis  qui 
in  testamento.  Fuit  etiam  nepos  Anfidii  Victorinì  pre- 
fecti  Urbis  et  bis  consulis,  quem  M.  Antonius  imperator 
ex  condiscipulis  multum  amavit,  ut  reffert  Julius  Capi- 
tolinus in  vieta  M.  Antonii  ad  Dioelitianum,  qui  fuit  ju- 
risconsuitus  supremus,  ut  Ixabetur  per  Pan.  in  1.  Aufi- 
dius  If.  de  privilegi  ereditor.  De  istis  etiam  Papirius 
Fronte  qui  in  jure  civili  preelarum  opus  responsorum 
composuit^  de  quo  per  Calistratum  in  1.  liberorum  fi.  de 
Verbo,  signi.  Cui  M.  Aufidio  filio  duleissimo  Fronto  eon- 
sul  pater  dedit  sepulcrum  Pisauri,  et  est  in  Abatia  San- 
ctoram  Decentii  et  Germani,  extra  portam  phanestrem 
in  quodam  tumulo  marmoreo  posito  prò  altare  in  con- 
fessione diete  Ecclesie,  videlicet  in  capella  inferiori  ubi 
sant  infrascriptc  littere  et  infra  designate  figure. 

In  vieta  Saueti  Severi  episcopi  ravenatis  qui  sanctus 
Sevorus  fuit  xiii  episcopus  ravenas  a  Sancto  Apolinare, 
iegìtur  quod  iste  Sanctus  Severus  Sanctum  Herachlea- 
nom  pisauriensem  episcopum  enutrivit  et  ad  pontifica- 
tam  ipsius  urbis  promovit. 

Evaristus  Papa. 

Anno  ante  Xpi  adtentum  247  —  Anno  mundi  5446. 
Hoc  anno  Florentius  episcopus  pisauriensis  etc.  Anno 
Xpi  2Ì4T.  8"  calcndas  oetobris  Pontificatus  Pape  Cornelii 
iJ  anno  3.*  tempore  Decii,  28  imperatoris.  Romanorum 
et  7/  persecutionis  Christianorum  fuit  corpus  Saueti  mar- 
tirìs  Terentii  reconditum  in  catacumba  inferiori  Episco- 
|>alus  (1)  Pisaurì    quam    ecclesiam    consecravit   Deo  et 

(1)  n  VescovAto  Allora,  e  la  Cattedrale,  stava  dove  poi  r  Abbaila  ora  cbiesa 
4m  &.  Deceazo,  e  il  pubblico  Cimitero. 

Ar^M.  Slor.  March.  K  /.  7 


98  CHRONICON   PISAURl 

Sanctis,  et  dedicavit  Beato  Terentio  R™"*  dns  florentius 
episcopus  pisaurensis.  Hic  Decius  e  Panonia  inferiore, 
civitate  Undalia  naius,  cum  ab  exercitu  fuisset  cum  filio 
suo  Cesar  declaratus,  interfectis  duobus  Philippis,  patre  | 

scilicet  et  tilio,  viris  christianissimis,  dominis  suis,  sta- 
tim  in  eorum  odium  septitnam  in  Christianos  post  Ne* 
rouem  movit  perseq^untionem,  qua  quidem  diversis  ia 
locis  multi  prò  Mei  constaatia  paxi  fuere,  inter  quos 
Terentius  pannonius^  nobilis  miles,  coronam  oiartirii  de- 
siderans,  non  potuil  obtiuere.  Angolus  enim  Domini  apa- 
ruit  et  precepit  sibi  ut  iter  suum  ariperet  versus  Pisau- 
rum,  civitatem  picenam,  quod  factum  est  por  sanctum 
hominem,  et  ingressus  coutinia  civitatis«  in  rivo  nomine 
malaj  qui  nunc  est  subclus  Castrum  Mentis  Abatis  ver- 
sus Pisaurum,  a  latronibus  fuit  interfectus,  et  ibi  mar- 
tini coronam  suscepii.  Corpus  vero  buurn  prolectum  fuit 
in  dicto  rivo.  £l  cum  hoc  ad  notitiam  Episcopi  et  po- 
puli  pisaurensis  de  venisse  t,  per  visionem  angelicam  fac- 
tam  domine  Teodosio  nobilis  (sic)  matrone  pisaurensis, 
episcopus  cum  tote  clero  reposuit  corpus  sanctissimum 
in  domu  ipsius  nobilis  mulieris,  quam  consecravit  Bea- 
to Terentio  sub  nomine  Sancte  Marie  (Ilinc  Episcopi 
dicebantur  —  Henrìcus  Sancte  Marie  episcopus  et  pre-- 
ceptor  pisaurensis  — Jy  per  quem  Dominus  noster  multa 
miracuia  ostendit.  Mortuus  est  ergo  sub  Decio  im- 
peratore, et  Cornelio  summo  pontifico;  et  licet  Euse- 
bius  et  alii^scriptores  dicant  uno  tantum  anno  et  tribus 
regnasse  Decium  predictum  (quod  si  esset  verum,  non 
regnasset  tempore  Cornelii  >ummi  Pontificis);  tamen  ali- 
qui  tribus  anni  imperasse  scribuut,  et  secundum  marti* 
rologium  sexdecim  aunis  regnasse  videtur,  alioquin  non 
videretur  stare  posse  quod  tot  Summi  Pontilìces,  vide- 
licet  Fabianus  Cornelius,  Lucius,  Stefanus  et  Sistus  le- 
gantur  passi  sub  Decio.^lnde  quidam  volunt  exhiis  sex- 


CHRONIGON  PISAURl  99 

decim  annis  et  duobus  aaQÌs(l)  Galerii  restaurarunt  dam- 
num  illorum  decem  et  octo  annorum  qnod  in  cronicìs 
Eosebii  et  Bede  desunt  ab  anno  s.  15  imperii  Tiberii 
Cesario  usque  ad  id  tempus.  Sed  inter  hec  puto  quod 
Decius  hic,  unius  tempore  sanctus  martir  Terentias  mor- 
tuus  fuit,  tribus  annis  imperavit  sub  quo  paxus  est  Fa- 
bianus  et  Cornelius  summi  Pontifices.  Et  sic  Cornelius 
fuit  tempore  Decii.  Fuit  alins  junior  Decius  Cesar  qui- 
dem  sed  non  Imperator,  sub  quo  paxi  fuerunt  multi 
sancti,  inter  quos  Lucius,  Stefanus  et  Sistus  summi  pon- 
tifices, et  Laurentius  diaconus,  et  Ipolitus  cum  omni 
domo  sua. 


(ConHnuaJ 


lì)  Efitetaseate  det  dirti  mmnhUi 


MEMORIE  DELL'ASSEDIO  DI  ANCONA  DE  1799 


E  DEGLI  A??BHIIIEMTI  CIE  LO  lAHMO  PRECEDUTO 


Opera  di 


CAMILLO  ALBERTINI 


Oli  PER  U  PUMA  VOLTA  FDBNJBATA  CON  PSOEMO  l  IWfl 


te 


OESARES    ROSA 


PROEMIO 


Se  degli  avvenimenti  più  importanti  di  ciascuna  città 
8i  avessero  in  ogni  età  narrazioni  fatte  con  scrupolosa 
esaltezza  da  alcuno  dei  contemporanei,  le  nostre  storie 
cittadine  sarebbero  di  gran  lunga  più  compiute  di  quello 
che  siano,  e  più  lodevoli  por  ciò  che  spetta  alla  verità 
della  narrazione.  Egli  è  vero  che,  in  mancanza  di  nar- 
ratori dello  cose  accadute  al  loro  tempo,  gli  storici  pos- 
sono con  lo  diligenti  ricerche  tra  vecchie  e  corrose  carte 
degli  archivi  ed  interrogando  i  monumenti  che  restano, 
tessere  la  storia  d'  un'  epoca,  ma  non  sempre  tutti  i  ne- 
cessari documenti  si  ritrovano  per  le  varie  vicende  a 
cui  gli  uomini  e  le  cose  vanno  soggetti;  e  poi  non  sem- 
pre da'  documenti  si  possono  così  fedelmente  come  dal 
racconto  d'  un  contemporaneo  ritrarre  la  vita,  i  costumi 
le  idee  di  un  popolo  in  un  dato  secolo. 

È  vero  altresì  che  i  contemporanei  possono,  dalle 
passioni  politiche  nella  loro  epoca  predominanti,  essere 
tratti  a  giudicare  delle  umano  azioni  in  un  modo  non 
sempre  spassionato;  ma  se  lo  storico  sia  uomo  leale, 
sotto  qualunque  bandiera  politica  egli  militi,  non  sarà 
timido  amico  del  vero,  o  non  tacerà  cosa  alcuna  che 
valga  d'uua  data  vicenda  a  dare  una  perfetta  cogni- 
zione; se  egli  poi  non  la  apprezzerà  come  si  deve  pos- 
sono giudi<!are  i  lettori  dello  <^tà  a  lui  successive,  i  quali 
nei  propri  giudizi  sulle  co^o  passate  non  sono  mossi  da- 
pli  stessi  interessi  dì  partito  che  animavano  lo  scrittore. 

E  por  qu'^sto  che  io  sono  di  avviso  che  quando  si 
trovano  memorie  storiche  intorno  a  fatti  a  cui  i  loro  au- 


104  PROEMIO 

tori  ebbero  parte  o  furon  presenti  si,  debbano  avere  per 
preziosissime  e  corame^  per  quanto  è  possibile,  la  con- 
servazione moltiplicandone  colla  stampa  il  numero  degli 
esemplari,  di  maniera  che  ancor  quando,  per  malignità 
d^uomini  e  di  tempi»  si  avessero  a  perdere  i  manoscritti 
che  ne  sono  rimasi,  pure  sia  dato  almeno  conservarne, 
a  beneficio  degli  studii  ed  esempio  degli  avvenire,  al- 
cuni degli  esemplari  a  stampa. 

Ed  appunto,  guidato  da  questi  pensieri,  rovistando 
nel  nostro  archivio  municipale,  ho  creduto  di  dovere  tra 
le  molte  cose  importantissime  che  vi  hanno,  scegliere 
per  ora  di  pubblicare  le  memorie  che,  dell'assedio  soste- 
nuto dai  Francesi  in  Ancona  nel  1799,  dettava  Camillo 
Albertini,  che  vi  si  trovò  e  v'ebbe  parte  non  piccola; 
quel  Camillo  Albertini,  che  fu  il  più  paziente  e  diligente 
raccoglitore  delle  memorie  di  questa  principale  città 
delle  Marche,  memorie  che  ordinò  in  molti  e  grossi  vo- 
lumi, tuttora,  per  massima  vergogna  nostra,  inediti,  ma 
i  quali  pur  meriterebbero  di  venire  alla  luce  per  van- 
taggio di  chi  voglia  compilare  una  completa  storia  an- 
conitana. 

L' Albertini  nacque  in  Ancona  il  17  di  Gennaio  del 
1741  e  morì  nel  Maggio  del  1824  dopo  una  vita  labo- 
riosissima e  degna  d'essere  portata  ad  esempio  dei  po- 
steri per  la  illibatezza  dei  costumi,  per  la  modestia  e 
per  Fattività  dispiegata  in  opere  utili.  Non  è  mio  ufficio 
di  qui  narrarne  la  vita,  e  del  resto  coloro  i  quali  desi- 
derassero maggiori  notizie  possono  leggere  il  ricordo 
biografico  dettatone  pochi  anni  sono  dal  Ciavarini  (1); 
solo  io  dirò,  come  erudito  nei  suoi  primi  auni  se- 
condo che  alla  sua  civìl  condizione  era  conveniente, 
divenuto  adulto  fu  dapprima  eletto  sostituto  nella  segre- 

(1)  V.  CiATARiMi:  Camillo  Alberimi  AnconUatio. 


PROEMIO  105 

teria,  e  in  seguito  venne  chiamalo  airuflScio  di  archi- 
vista municipale,  ufficio  che  tenne  sino  alla  morte  quan- 
tunque dalla  .patria  magistratura  in  benemerenza  dei 
servigi  prestati  fosse  stato  alcuni  anni  innanzi  giubilato 
coU'intero  stipendio. 

Neir  incarico  che  ebbe  dimostrò  il  più  gran  zelo,  o 
sin  da  principio  si  diede,  ad  onta  di  molti  ostacoli  in- 
contrati, ad  esaminare  con  diligenza,  e  qualche  tempo 
appresso  a  riordinare  le  carte  e  documenti  deirarchivio 
affidatogli,  e  fu  allora  che  scoprì  quali  e  quanti  tesori 
vi  fossero  nascosti,  e  concepì  il  disegno  dì  dettare  le 
storie  della  sua  città  natale  dalle  origini  sino  ai  tempi 
moderni,  disegno  che,  come  ebbe  raccolto  con  cura  pa- 
ziente ed  amorevole  tutti  i  materiali  necessari^  mandò 
ad  effetto,  scrivendo  quei  grossi  volumi  i  quali  fan  te- 
stimonio della  instancabilità  sua,  e  che  lo  rendono  gran- 
demente benemerito  delle  nostre  storie  cittadine  intorno 
alle  quali  nessuno  sinora  ha  saputo  darei  un  lavoro  più 
completo  ed  esatto  del  suo. 

Ollreia  Storia  rf*  Ancona  V  Albertini  dettò  altri  scritti 
storici,  che  possono  dirsi  un  complemento  di  quella,  se 
non  che  ai  suoi  lavori  per  quanto  vasti  di  mole,  a  mio 
credere,  conviensi  meglio  il  nome  di  Cronache  che  quello 
di  Storie,  perchè,  per  quanto  sì  riferisce  all'apprezzamento 
dei  fatti  che  narra,  e  per  quanto  ha  riguardo  alle  cause 
delle  varie  vicende  e  agli  elletti  che  ne  derivarono,  si 
mostra  deficiente  dal  lato  della  critica  storica;  però  come 
narratore  ò  esatto  e  veridico;  delle  cose  cha  narra  ri- 
ferisce i  documenti  ch^  valgono  a  testimoniarne  la  ve- 
rità, e  quando  questo  non  può  cita  le  fonti  d'onde  gli 
vennero  le  notizie;  sicché  egli,  o  por  la  natura  dello  in- 
gegno, e  per  il  genere  dogli  studii  a  cui  attese,  e  per 
il  modo  col  quale  vi  applicò,  polrohbo  in  corto  modo 
appellarsi    il   Muratori   della    Storia    anconittina.    Come 


106  PROEMIO 

scrittore  non  è  gran  fatto  castigato  ed  elegante,  però  in 
generale  è  semplice  e  chiaro,  e  quando  avesse  lasciato 
i  gallicismi,  e  certi  squarci  che  senton  troppo  della  ret- 
torica  della  scuola,  difetti  del  resto  che  ebbe  comuni  con 
altri  parecchi  del  suo  tempo,  avrebbe  potuto  anche  come 
scrittore  conseguire  non  picciola  lode. 

Ma  se  airAlbertini  va  Ancona  debitrice  della  più. 
completa  delle  sue  cronache,  ella  ne  ha  ricevuto  un  be- 
nefizio di  gran  lunga  maggiore. 

Sugli  ultimi  anni  del  passato  secolo,  essendosi  qui, 
come  altrove,  costituito  un  governo  repubblicano,  ven- 
nero emanati  ordini  per  cui  si  dovesse  dar  fuoco  a  tutti 
gli  archivi  comunali  ed  apostolici,  sotto  colore  di  di- 
struggere persino  la  memoria  del  governo  clericale; 
l'Albertini  a  tutto  suo  rischio  e  pericolo  salvò  dal  co- 
mandato incendio  tutte  le  carte  deirArchivio  aflSdatogli, 
e  così  a  lui  debbono  ^gli  studiosi  se  oggi  possono  an- 
cora giovarsi  di  quelle  nei  loro  studii,  e  all'Albertini 
per  questo  si  deve  lode  come  scienziato,  e  come  amante 
della  propria  città. 

Lo  scritto,  che  ora  per  la  prima  volta  viene  alla  luce, 
è  interessantissimo  perchè,  secondo  il  consueto,  l'autore 
narra  gli  avvenimenti,  dei  quali  fu  spettatore  e  in  cui 
ebbe  parte,  con  esattezza  scrupolosa;  e  se  egli  vi  si  mo- 
stra più  amante  del  governo  pontificio  che  del  republi- 
cano,  e  sì  mostra  feroce  avversario  dei  Francesi,  non  gli 
si  può  dare  tutto  il  torto,  perchè  la  Francia,  che  gri- 
dava libertà^  vgiiaglianza^  fraternità,  non  dubitava  di 
trattare  ì  paesi  nei  quali  i  suoi  eserciti  erano  venuti 
per  costituire  un  governo  libero,  come  terre  conquistate, 
e  di  commettervi  atti  feroci  e  barbari,  e  la  republica 
allora  costituita  lo  era  più  di  nome  che  di  fatto;  perchè 
libertà  di  culto  e  di  opinioni  erano  solo  un  pio  desi- 
derio. Però  TAlbertini  non  seppe  vedere  che  in  quelKa- 


PROEMIO  107 

gitarsi  di  popoli,  in  quelle  continue  rivoluzioni  si  get- 
tavano i  semi  che  dovevano  dopo  raolti  anni  fruttare 
gli  ordinamenti  liberali  delle  moderne  società. 

Qua  e  là  ho  creduto  di  aggiungere  alcune  annota- 
zioni non  a  vano  sfoggio  dì  erudizione,  che  sarebbe 
stato  un  fuor  di  proposito,  ma  perché  Tho  stimato  ne- 
cessario tanto  per  far  risaltare  V  importanza  dello  cose 
narrate  dall'  autore,  quanto  per  stabilire  quale  sìa  la  vera 
versione  di  un  fatto  quand'osso  venga  in  modo  diverso 
da  altri  raccontato,  o  per  dare  schiarimenti  intorno  a 
cose  e  persone,  alle  quali  nel  corso  del  lavoro  si  ac- 
cenna. Se  poi  alcuno  queste  annotazioni  stimerà  di 
niun  valore^  mi  dorrà  di  avere  gittato  la  fatica  ed  il 
tempo,  ma  mi  riconforterà  il  pensiero  che  per  esse  T  im- 
portante narrazione  dell' Albertini  non  sarà  per  ricevere 
danno  alcuno. 

Di  Ancona  il  2  Novembre  del  1878. 

Cesare  Rosa 


MEMORIE 


DELL'ASSEDIO  DI  ANCONA  E  DEGLI  AVVENIMENTI  CHE  LO  HANNO  PRECEDUTO  (>> 


L^assedìo  di  Ancona^  e  molti  avvenimenti  politici,  e 
militari,  che  l'hanno  preceduto,  non  sembreranno  degni 
di  essere  registrati.  Non  vi  si  riscontreranno  in  fatti 
quei  tratti  di  eroismo  propri  a  sorprendere  il  Lettore, 
colla  pittura  di  una  furiosa  animosità  degli  Assedianti, 
o  d^una  ferma  ostinatezza  per  una  decisa  guarnigione; 
niente  di  ciò  (2). 

Ma  vi  si  vedranno  in  vece  di  reali  disastri  di  molte 
rovinate  Popolazioni,  e  li  più  gravi  delitti  contro  le  Leggi 
tutti  sociali,  che  hanno  potuto  generalizzare  un  aria  di 
funestame  negli  abitanti  di  una  florida  Provincia.  Vi  si 
udranno  i  giusti   lamenti  di   una   Città   strascinata  per 

(1)  n  manoscriUo  dì  quesfopera  si  conserva  neirArchivio  Comunale  di  An- 
cona insieme  agli  altri  manoscritti  deir  Aibertioi.  £  un  grosso  volume  cartaceo 
legato  In  pergamena,  di  pag.  2^3  scritte  da  ambe  le  parti  in  carattere  inteUigi* 
bilìssimo;  in  ogni  facciata  e  un  piccolo  margine  ai  due  Iati.  In  fondo  al  volume 
sono  molti  quaderni  bianchi  della  stessa  carta  in  cui  è  scritto  il  testo.  Il  libro 
è  benissimo  conservato,  tutto  vergato  d'una  stessa  mano,  né  vi  ha  alcun  segno 
da  cui  si  possa  congetturare  che  possa  aver  subito  alterazioni  per  parte  di  al- 
cuno. — 

(S)  Sebbene  nel  titolo  delF  opera  non  sia  indicato  V  anno  deU*  assedio,  pure 
dal  seguito  del  racconto  e  dal  titolo  scritto  sul  dorso  del  libro  si  rileva  che  rau- 
tore  racconta  dell'  assedio  che  i  Francesi  sostennero  in  Ancona  nel  1799.  —  Del 
medesimo  argomento  si  occupa  un'opera  a  stampa,  che  ho  trovato  nello  stesso 
Archivio  municipale  di  Ancona  la  quale  ha  il  seguente  titolo:  Mangourit:  De- 
fense  d'  Ancone  eie.  2  voi.  in  16.  —  Paris:  Charles  Pongens  —  An.  X  —  1802. 
Sulla  coperta  del  1®  voi.  di  questo  libro  ho  trovato  la  seguente  indicazione 
d'un* altra  opera  sullo  slesso  soggetto,  ma  sinora  non  ho  potuto  vederla  né 
consultarla,  eccone  il  tìtolo:  Liict  Perozzi  —  Rapporto  delle  operazioni  militari 
della  Divisione  di  Ancotia  comandata  dal  Gen-  Monnier  dal  29  Fiorile  Anno  VII 
RepublieoRO  -  Tradotto  dal  Francese  da  P.  C.  per  sentire  d' istruzione  e  d'esempio 
alla  brava  Giovenlii  Italiana  -  Milano^  nella  stamperia  os.  Mattia  alla  Monet.:.  — 


MEM.   DKLL^ASS.   DI    ANCONA   ETC:  109 

molti  Mesi  dai  caprìcci  di  un  despota   crudele   ad   una 
lacrimevole  sofferenza. 

Poco  importa,  se  il  Militare  non  vi  troverà  i  semi 
luminosi  del  coraggio,  e  della  generosità,  se  vi  manche- 
ranno gli  esempi  di  una  ricercata  industria,  e  di  una 
estrema  privazione  di  sussistenza;  sarà  bastante  che  Tetà 
venture  vi  possino  leggere  quanto  sia  costato  air  Italia 
tutta,  ed  a  noi  specialmente  la  nostra  facilità  di  essere 
sedotti,  r  inestricabile  Kabala  di  una  Nazione  ambiziosa 
avara,  e  potente;  e  quanto  finalmente  ci  sia  stato  fatale 
la  nostra  Nazionale  debolezza.  11  Politico  ci  troverà  qual- 
che cosa  di  sua  istruzione. 

Rivedendo  ognuno  nella  Storia  di  questi  giorni  il 
quadro  luttuoso  della  nostra  sofferenza,  e  le  cagioni  che 
r  hanno  prodotta,  prenderà  le  più  forti  misure  per  al- 
lontanarne in  appresso  il  ritorno.  Anzi  ogni  Magistrato 
dovrebbe  le  sofferte  angustie  della  sua  popolazione  pro- 
fondamente incidere^  ed  esporre  alla  publica  veduta. 

I  continui  attentati  contro  la  proprietà,  le  profonde 
giornaliere  ferite,  che  si  facevano  al  culto,  la  malver- 
sazione de'  mezzi  destinati  air  agricoltura,  i  strapazzi, 
alli  quali  brutalmente  la  truppa  Francese  esponeva  gli 
agricoltori,  il  trionfo  dei  più  scolorati  spinsero  la  più 
gran  parte  delle  nostre  popolazioni  al  malcontento;  o 
meglio  ancora  alla  disperazione. 

Molte  altre  cause  avevano  del  pari  agito  sopra  le 
nostre  più  ragionevoli  passioni,  e  ci  disponevano  a  sen- 
tire più  acutamente  le  crudeli  punture  che  ci  laceravano. 
Era  troppo  recente  la  memoria  dell'  estinto  Governo, 
troppo  violento  T  intruso,  troppo  facile  il  confronto,  e  di 
questo  gli  effetti  erano  troppo  forti  sul  cuore  del  Po- 
polo, perchè  si  scuotesse. 

Nacque  il  malcontento  in  alcune  Provincie  col  cam* 
biamento  òtesso  del  Governo.    La   Campagna   Romana) 


110  CAMILLO    ALBERTIKI 

molte  Città  del  Patrimonio,  dello  Slato  dì  Castn»  s'op- 
posero sin  dal  principio  alla  novità,  ed  all'introduzione 
del  Francese  Presidio.  Ma  quale  è  mai  quella  società, 
che  disgraziatamente  non  racchiuda  nel  seno  qualche 
scelerato,  qualche  Empio!  E  de'  rovinati  dalli  istessi  loro 
vizi,  che  sono  inimici  de'  buoni,  perchè  appunto  da  que- 
sti dissimili!  (1) 

Una  dose  di  tal  gente  è  la  tara  d' ogni  società,  e  le 
nostre  non  ne  mancavano. 

Si  associarono  a  questi  un  altra  Classe  di  Persone, 
gli  amanti  delle  innovazioni;  questi  sebbene  d'intenzioni 
meno  criminose,  e  con  una  palina  di  probità  non  furono 
d'essi  meno  pregiudicevoli  alla  Patria  (2).  Tutti  poi  si 
riunirono  in  Roma  per  rovesciare  l'ordine,  ch'esisteva 
colla  chimera  d' introdurne  un  altro,  che  non  poteva  sus- 
sistere, e  dandosi  sfacciatamente  il  nome  di  Rappresen- 
tanti pubblici,  di  depositari  della  pubblica  volontà  pre- 
tesero d'impegnare  con  cabalistici  giuramenti,  con  formole 
da  loro  stessi  non  intese  la  società,  che,  o  erano  a  ciò 
direttamente  contrarie,  o  del  tutto  ignare  di  quanto  essi 
facevano. 

Roversciarono  pertanto  all'  ombra  delle  Armi  Fran- 
cesi l'antiche  Leggi  del  Governo;  alTogarono  i  ridami 
d'intiere  provincie  nello   strepito  del  fuoco,  del  ferro,  e 

(1)  Questo  periodo  è  un  poco  iotralciato,  ma  nel  manoscriUo  trovasi  tal  quale* 
e  avverto  che  ho  credulo  di  copiar  il  ms.  fedelmente,  anche  per  ciò  che  riguarda 
r ortografia.  Io  quanto  alle  aspirazioni  pel  ritorno  del  governo  clericale  non  bisogna 
meravigliarsi,  sia  perchè  allora  non  potevano  aversi  dal  maggior  numero  le  stesse 
idee  che  oggi  abbiamo,  sia  perche  molti  preferivano  uu  governo  proprio,  fosse 
pur  tirannico,  ad  uno  straniero,  il  quale  del  resto  non  s'era  saputo  acquistarle 
publiche  simpatie  con  rinstituire  un  regime  veramente  liberale. 

(1)  Gli  amanti  cC  timorasiont,  di  cui  qui  parla  1*  Albertini,  erano  i  liberali,  I 
quali  giustamente  mal  potevano  soffrire  di  veder  la  Patria  fatta  serva  dai  sa- 
cerdoti, e  tentavano  di  rivendicarla  generosamente  in  libertà:  se  essi  ebbero  un 
torto  si  fu  quello  di  sperare  che  il  giogo  della  nostra  servilii  ci  potesse  estere 
tolto  da  una  nazione  straniera:  ma  per  ciò  i  loro  sforzi  non  erano  meno  lodevoli 
e  degni.  — 


MEM.    DELL'aSS.    di   ANCONA   ETC:  111 

de*  massacri,  aggiacciarono  per  un  momento   nel    cuore 
do'  più  decisi  il  movimento  del  più  virtuoso  sdegno. 

Allora  fu  che  le  popolazioni  colpite  dal  terrore,  e 
sorprese,  parvero  di  aver  perduto  gli  occhi  per  vedere, 
gli  orecchi  per  ascoltare  ;  fu  allora,  che  V  arte  de'  mal- 
vaggi  confondendo  la  pazienza  de'  buoni,  e  la  sorpresa 
de'  popoli  eoa  la  da  loro  supposta  stupidità  ardirono  di 
svellere  il  Celeste  Albero  della  Religione  Cattolica,  quella 
Palma  Evangelica  feconda  propagatrice  della  più  soda 
consolazione,  della  più  bella  morale  per  suppiantarvi  il 
seme  velenoso  d'ogni  vizio,  d'ogni  sceleratezza  d'ogni 
àociale  immoralità,  i!  trionfo  dell'  Empio,  e,  non  di  raro 
r  innaffiarono  per  fino  col  sangue  de'  virtuosi  loro  fra- 
telli. (1) 

Nel  torbido  ondeggiamento  di  tale  anarchica  confu- 
sione, ed  in  meno  d' otto  giorni  sotto  così  terribili  au- 
spici!^ fu  divulgata  una  costituzione,  non  facile  per  altro 
ad  addattarsi  alla  natura,  alli  costumi,  alla  Religione 
degli  abitanti,  ai  clima,  all'istessa  nostra  località  (2). 
Furono  alTastellati  li  fradici  materiali  della  Repubblica 
Romana,  e  scelti  fra  di  loio  più  di  tre  nula  Magistrati; 
non  forse  r  organizzazione  di  una  Compagnia  di  Pastori 
non  domanda  maggiori  attenzioni,  e  più  lungo  tempo? 
E  se  si  \idde  posto  al  fianco  di  essi  un  qualche  sog- 
getto di  onesta  riputazione,  o  d' illibatezza  al  di  sopra 
d*ogni    censura,  vi  fu    strascinato    con    violenza,  e  con 


(I I  Si  riconli  che  lo  scridore  di  questa  storia  era  religiosissimo,  e  che  al 
tioi  giorni  le  idee  che  si  proressavano  a  tale  riguardo  noo  erano  quali  oggi 
•i  baano.  C  \ero  che  allora  tra  il  trnipo  degli  enciclopedisti,  ma  la  gran  mag* 
gioranxa,  tpeculDiente  nei  paesi  marchigiani,  forse  per  r  influenia  grandissima 
cbe  «s«rciUva  il  sacerdozio,  la  pensava  poco  diversamente  daU'  Albertiri. 

»tì  Fu  certamente  un  errore  di  voler  trapiantare  le  costitutioni  di  FrMcia 
il  softtro  paese;  se  si  fosse  a>ut:i  r  accortotxa  dMntrodurvi  le  necessarie  modi» 
dibcMloBì,  tenendo  conto  della  diversità  del  clima,  del  costumi  e  delle  tradizioni 
il  sarebbe  potuta  fare  da  quel  nostrt  padri  opera  più  durevole  ed  utile. 


112  CAMILLO    ALBERTINI 

minaccie,  acciò  accreditasse  T  iniqua  merce,  le  insociali 
misure  de'  scelerati. 

Fu  breve  però  di  questi  la  pubblica  Rappresentanza, 
e  piena  sempre  di  spine.  0  si  tacquero  pussilanirai , 
com'è  proprio  della  timida  probità  alla  vista  della  più 
orribile  empietà,  e  furono  sorpresi  da  una  tempesta  di 
rimorsi  che  li  si  distaccarono  ricolmi  di  confusione,  e 
pentimento,  e  vollero  dire  con  franchezza  la  verità,  op- 
ponendosi con  quella  energia,  che  non  conosce  umani 
rispetti,  alla  folla  delle  ingiustizie,  che  si  commettevano 
e  furono  bruscamente  scacciati  col  nome  di  rivoltosi  a- 
rislocratici,  riportandone  in  premio  un'interno  sdegno 
divoratore. 

Qual  meraviglia  pertanto,  se  alla  caduta  di  così  spa- 
ventevole caos  si  credettero  le  popolazioni  fuori  d'ogni 
obbligazione  nel  dover  riconoscere  il  nuovo  potere  so- 
ciale su  d'esse  in  tal  maniera  stabilito?  ed  osservarne 
le  Leggi  per  se  medesime  innosservabili?  Si  aggiunga  a 
ciò  la  buona  fede,  che  in  ogni  buon  cittadino  doveva 
ispirare  la  profonda  tranquillità,  goduta  specialmente 
dopo  la  pace  di  Tolentino.  (1) 

Non  oravi  neppure  uno  fra  di  noi,  che  sospettasse 
l'esplosione  d'una  guerra  colle  Francesi  armate;  ninno 
la  vidde,  o  ne  senti  da  lontano  il  fragore,  e  perciò  ninno 
poteva  persuadersi  d'aver  corso  la  sorte  d'una  conqui- 
stata Nazione  prima  d' aver  brandito  le  armi.  Tutti  giu- 
stamente credevano  adunque  di  aver  conservato  il  sa- 
grosanto  diritto  di  continuare  nel  Governo  accettato  dai 
nostri  maggiori,  ed  alf  ombra  del  quale  eravamo  felici 
0  d'esserne  per  lo  meno  consultati  nello  stabilimento 
d'uno  nuovo. 

(1)  Quella  pace  fti  segnata»  nella  città  da  cui  prese  il  nome,  nel  1797  tra 
Napoleone  Bonaparte  ed  il  PonteGce  Pio  VI.  Quest*  ultimo  redeUe  alla  Francia 
U  Contea,  ed  alla  Republìca  Cisalpina  il  Bolognese)  il  Ferrarese  e  U  Romagna. 


MEM.    dell' ASS.    DI   ANCONA   ETC:  113 

Si  udiva,  ò  vero,  ovunque  risuonare  lo  strepitoso  no- 
me di  Libertà^  della  rientrata  sovranità  nel  popolo,  ma 
ciò  fu  sempre,  e  nella  piìi  grande  estensione  contradetlo 
dai  fatti,  ne  il  Popolo  fu  mai  di  sentimento  di  farne 
uso,  e  volendolo  ancora,  non  avrebbe  potuto  modificare 
una  Larva. 

Ed  infatti  apparvero  nuovamente  li  più  parlanti  sc- 
arni della  popolare  contrarietà  aile  intruse  inriovazioni 
ne  la  momoria  del  doppio  massacro  dì  Città  di  Castello^ 
iwìlo  ruiiu>  di  Prosinone,  Terracina,  Nepi,  ne  il  recen- 
lis'iimo  luituoso  aspetto  d  altri  luoghi  miseramente  ab- 
bandonali alli  sanguinari  trofei  della  Francese  generosità 
fa  capar.»  d'aggiacciare  il  cuore  de'  Difensori  della  Pa- 
tria (^);  anzi  dimostrarono  Eglino  alla  giornata  un  mag- 
j>i(»r  sde;jno,  una  maggioro  decisione,  un^ncessante  at- 
tività, riunendosi  da  ogni  parte  in  piccoli  corpi.  Di 
qu**Mi  ognuno  ebbe  dal  primo  momento  della  di  loro  unione 
un  qualciio  Capo,  tale  però,  che  non  un  merito  reale  lo 
<li<Miiguova  dal  roste,  ma  scolto  soltanto  da  quella  na- 
turali* wMidonza,  che  hanno  gli  uomini  per  Tordine,  e 
dalla  noc<*ssiià  di  riunire  le  forze,  e  li  voleri  di  un  Corpo 
in   uno,  vho  lo  ronda  poi  capace    d'ordinate  operazioni. 

Si  è  dovuto  di:?('endero  in  un  dettaglio,  che  so,  può 
forsf  sembrare  deviato  dal  proposito  di  queste  memorie, 
ma  che  era  allatto  necessario  p.  ritogliere  dall'  obbro- 
hri'iso  nomo  d' insorgenza,  di  brigantaggio,  di  ribellione, 
••  più  giusto  ri.<on!imonto  d'una  nazione  oppressa  colle 
più  rictM-rato,  o  pungenti  maniere;  d  di  Lei  sforzo  per 
assiruraro  la  sua  politica  esistenza  minacciata  sotto  un 
ferreo  Dcspotismo. 

'•  Col  nome  di  Difensori  dcUa  PAtria  sono  chiamati  tuUI  qa«lH,  ebe  hanno 
prt^o  lo  «roii  p.  abhrtttiTc  il  F^nn^e^o  Dc^potbnio,  p.  ritornare  alla  Patria  rao- 
Ileo  Governo,  ciò  tara  deUagli»to  in  appresso. 

^Vofa  deWtMtort) 

Ar€k,  Sior,  March.  V.  L  i 


114  CAkILLO   ÀLBERTtKI 

E  dovendosi  nel  progresso  nominare  sovente  Parme 
italiane^  che  si  sono  unite  aireslere  Truppe  neir  Assedio 
di  Ancona,  non  si  farà  adesso  certamente  il  gran  torto 
di  darle  il  nome  di  Briganti,  di  ribelli  appropriato  loro 
dal  Despota  Francese,  e  suoi  scelerati  Proseliti,  ma  sa- 
ranno sempre  distinti  col  nome  di  Difemori  della  Patria. 

Dopo  che  r  Armata  Francese  sotto  gli  ordini  del  ge- 
nerale Cherer  fu  intieramente  battuta  in  Lombardia,  le 
Truppe  Repubblicane,  che  soggiornavano  nel  Regno  di 
Napoli,  nello  Stato  di  Roma,  ed  in  Firenze  sfilarono 
sotto  il  comando  del  Generale  Macdonal  (1)  p.  Lucca  nel 
Modenese. 

Non  credette  però  d' intieramente  evacuare  il  secondo 
lasciando  una  Divisione  in  Roma  di  circa  4000  uomini 
con  qualche  Corpo  di  Cavalleria  greve^  e  di  Giandar- 
moria,  e  la  coraggiosa,  ma  debole  Legione  Romana  sotto 
il  Comando  di  Garnier  Generale  Divisionario,  ed  altra 
eguale  in  Ancona,  forse  anch'Essa  degl' incompleti  Bat- 
taglioni di  tre  Dipartimenti,  e  de'  bravi  Giandarmi  sotto 
la  Direzione  di  Monnier  Generale  di  Brigata,  subordì*- 
nato  però  a  Garnier  (^). 

Non  sono  ignoti  i  talenti  militari,  le  politiche  vedute, 
il  Carattere  sociale,  e  gli  eventi  delle  manovre  di  Gar-> 
nier,  poiché  corre  oramai  il  sesto  Mese  dell' in  terotte 
corrispondenze  fra  questa  Provincia  e  Roma  e  special- 
mente doppo  la  seconda  caduta  di  Macerata,  e  di  Fano, 

(1)  Giacomo  Giuseppe  Macdonald,  duca  di  Taranto,  maresciallo  di  Franciai 
Mcqoe  a  Sèdan  nel  1765  e  mori  nel  18 U).  Ebbe  modo  di  distiogaerst  nella  bat* 
taglia  di  Jemmapes,  e  poi  in  altre  battaglie.  Venne  mandato  in  Italia  a  sostituire 
Championnct  nei  comando  di  Napoli  nel  1798,  e  soggiogò  la  Calabria,  e  con-* 
tese  a  Souvarow  U  passaggio  della  Trebbia.  Nel  1816  eletto  gran  cancelliere 
della  Lcgion  d*  Onore,  conservò  tale  ufficio  fino  al  1831. 

\^)  \\  Generale  Dufres,  e  quindi  Rusca  erano  destinaU  al  Comando  di  Ancona, 
n  primo  fu  tradoUo  al  Congresso  Uilitare  di  Modena,  ed  il  secondo  per  esserne 
minaocitl^  eadde  r  opportunità  a  Mounier  di  domandarlo  a  Macdonal  con  qual- 
che giro,  che  non  fa  onore  a  Chi  il  conosce,  ed  a  Chi  Io  richiese,  questo  perO 
B*  è  seDsMe  «U*  onore,  «  (ìioUk  deU'wtor^ 


UBM.  DBLL^ÀSS.   DI  ANCONA  BTC:  115 

nel  qnal  tempo  le  ben^  intese  misure  delle  Armi  Alleate 
ci  hanno  gettati  in  un  buio  impenetrabile,  ed  altronde 
questa  Francese  Cometa  veniva  allora  di  comparire  sol- 
r  infelice  Orizzonte  Romano. 

Si  può  non  di  meno  dar  luogo  a  qualche  generale 
riflessione.  Si  ostinò  Egli  a  tener  lontane  le  due  forze, 
divise  runa  dall'altra  dalla  Catena  degli  Appennini,  e 
permise  che  li  Difensori  della  Patria  potessero*  primo, 
toglier  loro  ogni  corrispondenza,  secondo,  la  possibilità 
di  riunirsi,  e  finalmente  sì  Tuna,  che  P  altra  Divisione 
strettamente  assediata. 

Se  si  fossero  riunite  a  tempo,  prima  cioè  del  di  loro 
snervamento  sarebbero  stati  capaci  di  qualche  sforzo,  e 
forse  di  raggiungere  Magdonal.  (*)  (1). 

Concentrò  in  Mounier  l'assoluto  Comando  non  solo 
della  Divisione,  de'  Forti  d' Ancona,  ma  ancora  della  Ma- 
rina, 0  ciò  in  vista  d' una  Istanza  del  medesimo,  che  me« 
rìtava  una  qualche  analisi;  Mounier  si  aveva  con  un 
astuto  ripiego  preventivamente  procurato  un  Decreto,  il 
quale  dichiarava  i  tre  Dipartimenti  Tronto,  Musone,  e 
Metauro  in  islato  d' assedio  per  riunire  con  tal  mezzo  in 
se  stesso  ogni  potere,  che  quindi  si  è  reso  la  larga,  e 
perenne  sorgente  di  tutte  le  concessioni,  e  violenze  da 
noi  sofferte. 

Garnier  espose  anch'  Egli  la  sua  Divisione  ad  essere 
logorata  da  frequenti  spedizioni,  e  non  sempre  ancora 
ben  intese  (sebbene  non  sappiasi,  siano  state  dirette  dal- 
l' avarizia,  e  da  non  crudele  entusiasmo)  e  la  ridusse  in 
uno  stato  di  meschinità,  e  d'impotenza  0. 


(I)  Qii  Irafui  A«l  iMlo  ona  ehItnaU  per  m*  MBoUtloat,  m  It  mU  sgb 
itisla.  — 

{^)  Ofgl  fO  Ottobre  corre  U  ?ooe,  ehe  taato  Egli  che  U  Trippa  riaiasta|li 
il  trotiao  Prigioniera,  e  che  tiaao  cadali  il  Porte  di  S.  Aageio,  e  CI? ilat eedilt* 


116  CAMILLO    ALBERTIKI 

Non  8i  ardisce  di  fare  il  ritratto  di  Monnier;  man- 
cano i  colori,  che  possine  esprimerlo  al  naturale,  ne 
ogni  penna  vale  a  descrivere  meritamente  questo  Eroe 
deir Egoismo;  se  ne  abbandona  'perciò  il  lavoro  a  de' 
soggetti,  che  si  avranno  forze,  e  talenti  proporzionati, 
ed  ora  mi  limito  alla  semplice  descrizione  di  quanto  ha 
Egli  qui  operato^  e  ne'  tre  Dipartimenti,  potendosi  così 
sodisfare  alla  necessità  di  renderne  in  qualche  modo 
istruito  il  Lettore. 

Parve  che  dopo  l'anzidetta  Marcia  di  Magdonal  re- 
stassero le  Provincie  oppresse  dalla  pesante  ^rnole  de* 
Francesi^  che  ne  paralizzava  le  sue  forze,  e  cominciarono 
a  dare  i  più  forti  segni  d'  ordinata  reazione. 

Si  viddero  allora  in  più  luoghi  riunirsi  in  più  grossi 
Corpi  li  Difensori  della  Patria;  e  se  prima  avevano  ap- 
pena inesperti  Capi,  che  qua,  e  là  più  tosto  al  proprio 
massacro^  che  a  qualche  utile  impresa  li  conducessero, 
ora  vi  correttero  a  folla  Uomini  di  qualche  genio  mili- 
tari tanto  deir  antico  Governo  Romano,  che  Napolitano, 
e  per  sino  non  pochi,  che  vi  erano  p.  particolare  di  loro 
volizione  dedicali  a  più  pacifico  impegno. 

L'organizzazione  però,  T approvvigionamento  d'una 
armata  non  è  l'opera  di  un  giorno,  ne  delle  più  facili 
ad  essere  eseguite;  e  comunque  la  più  ferma  decisione 
d'una  Nazione  irritata,  e  disposta  a  tutto  sagrificare  p. 
la  difesa  di  quanto  ha  di  più  sacro,  sia  il  più  poderoso 
materiale  d'un  Esercito,  pure  nella  deficienza  dei  resto, 
egli  spenderà  senza  profitto  li  stessi  più  grandi  suoi 
sforzi  (*). 

(*}  La  Requisizione  deU*  Armi,  e  Munizioni  era  stata  generale,  e  spesso  ri- 
noTtta  dal  tirannico  Governo  Francese;  non  di  meno  può  dirsi  di  noi  quanto 
disse  Virgilio  .  .  .  .  , 

,  .  .  Furor  arma  minUtraL 

(Nota  deWAutore) 


MEM.    DELL'aSS.   di  ANCONA  KTC:  117 

Tanto  avvenne  nelle  primo  mosse  de'  Difensori  della 
Patria,  essi  non  avevano,  che  un  core  penetrato  pro- 
fondamente dallo  sdegno,  e  dalla  necessità  di  battersi; 
del  resto  mancavano  affatto  di  ogni  altra  risorsa  (*).  E 
ben  vero  che  i  Francesi  n  oUemente  vestiti  avevano  spo- 
gliato queir  entusiastico  coraggio,  che  fra  li  Giacci  del- 
l'Alpi  presso  che  nudi,  formava  T  intiero  loro  sostenta- 
mento ;  erano  però  divenuti  più  crudeli,  più  sanguinari, 
più  avari;  erano  non  vi  ha  dubbio  più  effeminati,  ma 
avevano  il  vantaggio  d' una  sperimentala  tattica,  d'ordi-* 
nata  corrispondenza,  d'Artiglieri,  di  munizioni;  final- 
mente avevano  in  mano  a  profusione  li  mezzi  tutti  della 
guerra  (1). 

Con  si  fatta  disparità  di  forze,  e  dopo  ancora  li  svan- 
taggiosi avvenimenti,  che  seguirono  ogni  azzione  (se- 
gnalata sempre  col  sacco,  violazione,  massacro,  e  bar- 
baro trattamento  di  una  qualche  infelice  popolazione) 
lontano  da  scemare  l'ardore  de'  difensori  della  Patria 
adderebbero  in  essi  il  Coraggio,  T  attività,  V  industria.  Sep- 
pero tirare  partito  dalle  più  deboli  risorse,  e  poterono 
di  bel  nuovo  presentare  al  suo  oppressore  la  fronte. 

Ogni  Provincia  contava  oramai  una  qualche  forza 
riunita,  e  qualche  Popolazione  giunse  persino  a  gettare 
alle  fiamme  gV  infernali  delubri  della  sfrenatezza,  del- 
Tempietà.  Potè  vagli  ciò  costare  la  più  terribile  desola- 
zione, com'era  a  tanti  avvenuto,  e  a  molti  ancora  av- 
venne ;  non  di  meno  non  davano  indietro  dal  pericoloso 
preso  partito. 

I*)  La  macchitTellesca  condotta  Francese  ci  ha  prima  spogliati  d'ogni  neiM 
di  reaxiooe,  quindi  ba  spiegato  tutto  il  treno  dell'  oppressione. 

(Sota  deU'ttuiore) 

(It  Si  o«<er>i  come  I' Albrrtini.  ^ebbene  non  nbbin  simpAtia  pei  Francesi  e 
■oa  lasci  sfuggirai  orcasionc  per  dirne  tutto  il  m^l  poMÌbile,  pare  nella  saa 
mpariialiià  non  trascura  di  arrenn:!'**  a  quello  che  r'era  di  buono  nei  loro  or- 
dinamenti militari.  Ciò  torna  a  lude  «!ello  siortco,  il  (|ii:ile  non  lascia  acciecarsl 
dalla  px%«ionc  tli  parte,  o  mai  non  ^i  allontana  da  quella  impaniai  ita  che  deve 
diitmgaere  lo  scrittore  co9cienxio$o. 


118  CAMILLO   ALBBRTINI 

Intanto  cominciavano  a  nascondersi  fugiaschi  nell^av- 
vilimento  li  Proseliti  rovinati  dalla  Francese  licenza, 
palesando  nel  di  loro  spavento  Tesecrabilità  dei  di  loro 
delitti,  e  si  riordinavano  le  file  del  passato  (Governo. 
Cadevano  in  nn  motto  da  tutte  le  parti  a  rovina  li  male 
assortiti,  e  peggio  ancora  apposti  materiali  d^nn  effi- 
mera Repubblica. 

Non  si  era  però  espiata  bastantemente  ancora  Tul- 
trìce  giustizia  di  un  Dio  offeso  sino  ne' suoi  tempii  con 
una  continuazione  di  sagrilegii  e  dMmpietà! 

Non  si  erano  ancora  sparse  abbastanza  le  lacrime 
deir  afflizione,  del  pentimento,  e  vi  rimaneva  a  sorbirsi 
una  qualche  parte  del  Calice  amarissimo.  Dovevano  an- 
cora molte  Città  essere  abbandonate  alla  furia  dell' Armi 
Francesi;  perfezionate  nell'arte  di  desolare. 

Si  avrà  qui  il  solo  dettaglio  di  quanto  ba  in  questi 
ultimi  mesi  sofferto  il  Piceno.  Dell'altre  Provincie  non 
corrono  finora,  che  notizie  vaghe,  e  confuse.  E  se  ciò 
ancora  non  avesse  il  più  stretto  rapporto  coU'assedio  di 
Ancona  si  tralascierebbe  volentieri  di  ritornare  lo  sguardo 
sopra  un  quadro,  che  non  può  essere  riguardato  dagli 
Italiani  senza  effusione  di  dolore.  Fosse  egli  almeno  del 
tutto  compito!  La  deboUezza  dell'Italia,  la  divisione  delle 
volontà  Italiane,  che  la  sua  debolezza  produce  riduranno 
gli  abitanti  di  così  bella  parte  dell'Europa  alla  condi- 
zione de'  nazionali  della  Barbarla. 


FRAMMENTO  INEDITO  DI  UNA  LETTERA 


eli    Olaoomo    ILieoparclI   a   Pietro   Olordànl 


L'egregio  signor  Prof.  Giuseppe  Piergili  da  Recanati  ci  manda 
tto  frammento  inedito  d'una  lettera  che  l'illustre  Giacomo  {.eopardi 
dirigeva  al  suo  non  meno  illustre  amico  Pietro  Giordani,  e  noi, 
benché  non  sia  un  lavoro  storico,  crediamo  di  far  cosa  grata  ai 
nostri  lettori  dandogli  luogo  in  questa  nostra  puhiicazione. 

Se  questo  nuovo  scritto  nulla  aggiunge  e  nulla  toglie  alla  fa- 
ma grandissima  che  il  Leopardi  coll'iugegno  e  collo  studio  seppe 
acquistarsi»  vale  tuttavia  a  confermare  come  i  patimenti  Gsici  e 
morali,  a  cui  la  matrigna  fortuna  lo  fece  bersaglio,  contribuissero 
a  persuaderlo  della  vanita  del  tutto,  della  perversità  degli  uomini, 
come  amore  e  virtù  fossero  nomi  vani  senza  soggetto.  Qui  non 
è  ora  il  luogo  di  entrare  a  discutere  della  filosoGa  del  Leopardi, 
di  coi  avremo  occasione  d'intrattenerci  nella  biografia  che  nei 
prossimi  fascicoli  stamperemo,  ma  è  certo  che  questo  frammento 
d  mostra  sempre  più  la  verità  della  sentenza  del  Buffon  ohe  lo 
$iik  è  tumio,  e  ne  persuade  della  utilità  di  mettere  in  luce  gli 
scrìtti  degli  uomini  grandi,  ancor  che  siano  brevi  e  non  dettati 
certo  coH'intenzione  di  farli  conoscere  al  publico,  perchè  in  essi 
rnomo  si  mostra  proprio  quale  è,  colle  sue  passioni,  coi  suoi 
sentimenti,  e  cosi  i  biografi  ne  ricevono  lume  per  tesserne  la  vita 
eoo  maggiore  esattezza  e  farne  un  più  fedele  ritratto:  i  critici  poi 
io  questi  scritti,  se  possiamo  cosi  chiamarli,  intimi,  hanno  modo  il 
piò  delle  volte  di  scoprire  la  ragione  psicologica  delle  opere  dello 
scrittore. 

Queste  furono  le  principali  tra  le  cause  che  ne  fecero  credere 
noQ  al  tutto  alieno  dall'indole  del  nostro  periodico  lo  scritto  del 
Leopardi,  oltre  di  che  il  nomo  stesso  dell'autore  c'indoceva  a 
lasciare  da  parte  ogni  dubbio  sulla   opportunità   almeno  di  darlo 


120  LETTERA   INEDITA 

noi  alla  luce,  perchè  siamo  persuasi  che  quanti  lo  le^^geranuo  si 
stimeranoo  fortunali  di  poterlo  mercè  le  cure  intelligenti  dei  bravo 
Piergili,  che  all' illustre  poeta  Marchigiano,  onore  del  nostro  secolo, 
professa  un  culto  ed  un'ammirazione  sinceri. 

E  qui  basta,  che  non  vogliamo  colle  nostre  vane  parole  ritar- 
dare più  oltre  ai  nostri  lettori  il  piacere  di  leggere  lo  scritto  del 
Leopardi. 

La  Direzione 


9  Ap^^le  1821, 

Fu  detto  con  verità  che  quegli  che  non  è  stato  in- 
felice non  sa  nulla;  ma  è  parimente  vero  che  T infelice 
non  può  nulla:  e  io  credo  che  il  Tasso  non  per  altra 
cagione  sieda  piuttosto  sotto  che  a  fianco  dei  tre  sommi 
nostri  poeti,  se  non  perch'egli  fu  sempre  infelicissimo. 
Tutti  i  beni  di  questo  mondo  souo  inganni.  Ma  dunque 
togliete  via  quest'inganni:  che  bene  ci  resta?  dove  ci 
ripariamo?  che  cosa  è  la  sapienza?  che  altro  c'insegna 
fuorché  la  nostra  infelicità?  In  sostanza  il  felice  non  è 
felice,  ma  il  misero  è  veramente  misero  per  molto  che 
la  sapienza  anche  più  misera  sì  adopri  di  consolarlo. 
Era  un  tempo  che  io  mi  fidava  della  virtù,  e  dispregiava 
la  fortuna:  ora  dopo  lunghissima  battaglia  son  domo  e 
disteso  per  terra,  perchè  nìi  trovo  in  termine  che  se 
molti  sapienti  hanno  conosciuto  la  tristezza  e  vanità 
delle  cose,  io,  come  parecchi  nitri,  ho  conosciuto  anche 
la  tristezza  e  vanità  della  sapienza 

Le  corti,  Roma;  il  Valicano?  Olii  non  con  )sre  quel 
covile  della  superstizione,   doirignoranza  e  do'  vizi?  Ma 


DI   GIACOMO   LBOPARDI  121 

presso  a  poco  lutto  il  mondo  ò  purgatorio.  Questo  è 
proprio  inferno,  dove  bisogna  che  Tuomo  guardi  bene 
di  non  mostrare  che  sappia  leggere;  dove  non  si  discorre 
d'altra  materia  che  di  nuvolo  o  di  sereno,  ovvero  di 
donne  collo  parole  delle  taverne  e  de'  bordelli;  mentre 
per  r  una  parte  non  resta  all'  uomo  di  senno  altra  oc- 
cupazione che  gli  studi,  altro  riposo  che  gli  studi;  per 
r altra  parte  in  tanta  distanza  d'ogni  paese  e  d'ogni 
animo  colto  manca  agli  studi  anche  la  speranza  della 
gloria,  ultimo  inganno  del  sapiente. 


^.^x  ^  *■   '^  *^y^^^ 


LE  COSPIRAZIONI  IMPERIALI 


di  nomm^nwk  e  T*o«oana 


CONTRO  LA  LEGA  LOMBARDA 


(11«T-11TJ() 


LE  COSPIRAZIONI  IHPERIALl  DI  ROMAGNA  E  TOSCANA 

CONTRO  LA  LEGA  LOMBARDA 

(1167-1175) 


Gli  Storici  che  narrarono  della  guerra  in  cui  i  Co- 
muni italiani,  nel  secolo  xir,  confederati  della  Società 
di  Lombardia^  Marca  e  Romatinola^  resistettero  a  Fe- 
derico I,  svolsero  mollo  diffusamente  T  intreccio  dei  fatti 
passatisi  neir  alta  Italia  o  in  Roma,  e  poca  parte,  e  poca 
importanza  concessero  agli  avvenimenti  deirita^ia  centrale. 

Anzi  la  rapidità  con  cui  si  accennò  a  certi  fatti  iso- 
lati,  che  pur  era  impossibile  non  registrare  e  accogliere 
nel  campo  obbiettivo  della  narrazione,  ingenerò  diversi 
equivoci.  Troppo  facilmente  si  usava  rigettare  fuori  dal- 
r  ambiente  della  Lega,  quanto  non  giustificava  di  prima 
vista  un  esplicito  collegamento  alle  cose  di  Lombardia 
o  non  aveva  eco  nel  racconto  dei  cronisti  di  Milano 
o  tedeschi:  aggiungendovi  anzi  per  parte  della  critica 
un  rimprovero,  che  in  una  stessa  accusa  di  fratricide 
lotte,  inutili,  dannose  anzi  alla  concordia  dei  comuni 
lombardi^  avvolse  quanto  guerre  annotano  i  cronisti  delle 
▼arie  città  deir  Italia  media,  in  questi  anni  che  corsero 
dal  1167  al  117G:  dai  convegni  di  Bergamo  e  Pontida 
alla  vittoria  di  Legnano. 

E  invece  ben  ragionevole  che  gli  avvenimenti  meno 
clamorosi  di  Romagna,  Toscana  e  Marche  non  isfuggis-* 
5ero  a  ciò  che  era  T  influenza  generale:  il  conflitto  fra 
Federico  e  i  Comuni. 

Neirordine  delle  idee  Federico  si  proponeva  mutare 
il  concetto  federativo  dell'Impero  cristiano  di  Carloma- 


126  LB   COSPIRAZIONI  DCPBRIALI 

gQO  in  una  unità  statuale,  ripristinando  la  lettera  del 
diritto  cesareo  di  Roma:  neirordine  dei  fatti  la  sua  o- 
pera  voleva  essere  un  abrogazione  di  tutte  le  buone  iisait- 
ze  introdottesi,  privilegiate  o  no  dai  suoi  antecessori; 
con  cui  Tequila  mitigava  man  mano  il  diritto  feudale, 
convertendo  ognor  più  di  materiali  in  morali  i  vincoli 
con  cui  la  federazione  cementavasi  e  incardinavasi  nel- 
r autorità  dell'Imperatore. 

Nel  campo  delle  idee,  Topera  di  Federico  pareva  un 
progresso  consigliato  dalla  scienza:  in  ordine  ai  fatti, 
una  reazione.  Come  maturamente  della  universa  costitu- 
zione politica  cristiana,  di  ciò  che  era  la  tradizione  del 
Sacro  Romano  Impero,  creato  dalla  spada  dei  Carolingi, 
emanato  dal  Papa  e  acclamato  d;il  popolo  di  Roma  nel- 
rSOO,  Topera  di  Federico  incontrava  la  resistenza  del 
Pontificato:  come  reazione  di  fatto  contro  il  progresso 
perenne  in  cui  logicamente  svolgevansi  le  libertà  rnuni* 
cipali  in  un  ambiente  federativo  qual  era  Tlmpero,  dovea 
Topera  di  Federico  sollevare  contro  di  sé  quanti  senti- 
vano liberalmente  in  Italia.  Di  qui  raccordo  spontaneo 
di  Papa  Alessandro  III  colla  Lega  Lombarda. 

La  quistione  rivestiva  pertanto  unendole  così  gè- 
nerale,  che  o  speculativamente  o  realmente  ninno  pote- 
vasi  esimere  dal  parteciparvi.  Quella  lotta  ebbe  un^eco 
ovunque,  giacché  la  politica  delFaula  imperiale  scuoteva 
tutto  l'organismo  costituzionale  europeo.  Il  re  di  Francia 
e  il  re  dMnghilterra  medesimi,  dovettero  manifestare 
un^opinione  in  proposito  e  dichiararla  coi  fatti. 

Non  è  il  luogo  qui  di  definire  tutto  T  orizzonte  di 
quel  conflitto  vastissimo  :  ma  mi  basta  accennarvi  perchè 
sia  giustificato  T  intendimento,  che  mi  propongo  con 
questo  saggio.  11  quale  può  valere,  se  non  altro,  come 
desiderio  che  le  future  monografie  storiche  della  Lega 
Lombarda  non  trascurino  più  tanto,  come  avvenne  fin 


Dt  ROMAOKà  fi  TOdCAKA  BCC  :  1^7 

qnij  le  cose  sìncrone  accadute  in  Romagna  e  Toscana 
sopratutto. 

Ponendomi  quasi  a  rigaardare  gli  avvenimenti  di  Bo- 
logna, il  cui  mandato  in  seno  alla  Società  di  Lombardia^ 
Marca  e  Romagna  fu  più  specialmente  la  sorveglianza 
delle  cospirazioni  a  favore  di  Federico  che  avean  loro 
centro  in  Romagna  e  Toscana,  mi  limito  però  a  prendere 
le  mosse  da  quanto  accadeva  dopo  il  1167,  dopo  cioè 
la  costituzione  della  Lega,  anche  perchè  riguardo  le  due 
Tenute  deirimperatore  in  Bologna  nel  1162  e  nel  1166 
abbastanza  furono  ricordate  nei  lavori  che  si  posseggono, 
e  massime  nelle  parecchie  monografie  venute  alla  luce 
in  Bologna  nel  1876,  celebrandosi  il  settimo  centenario 
della  battaglia  di  Legnano  dalle  nostre  associazioni  po- 
polari e  scientifiche. 

Bologna  entrò  nella  Lega  nel  1167,  e  fino  a  quel 
punto  sembrami  accettabilissimo  quanto  ne  scrive,  coirap- 
poggio  dei  documenti,  il  Vignati  nel  suo  prezioso  lavoro. 

11  mio  racconto  si  stacca  da  quella  data,  e  divagando 
pel  territorio  della  Italia  media,  raggiunge  la  narrativa 
generale  al  1175,  quando  Federico  è  sotto  Alessandria, 
poco  prima  degli  armistizii  di  Montebello. 


^Ki^^^i^^i^^i^k/oa^^ 


128  IM   00SPIRÀ2I0NI   IMPERIALI 


L 


L'acquisto  di  Bologna  tornava  vantaggioso  oltre  mo- 
do alla  sicurezza  della  Lega,  la  quale  veniva  così  va- 
lidamente protetta  contro  ogni  insurrezione  del  partito 
di  Romandiola  da  un  Comune  forte  e  popoloso,  che 
conosceva  bene  quella  regione  pericolosa  né  vi  mancava 
di  influenza. 

I  consoli  di  Bologna  presero  però  ben  presto  parte 
attiva  agli  affari  della  Lega,  e  alli  3  di  Maggio  1168 
ne  troviamo  già  due,  Ildebrando  Gualfredi,  Munse  Asi- 
nelli^  presenti  a  un  convegno  o  concordia^  tenutosi  in 
Lodi,  in  cui,  stabilite  le  norme  più  acconcie  ad  evitare 
e  a  spegnere  lo  scoppio  di  ogni  questione  giurisdizionale 
fra  le  città  collegate,  dicbiaravasi  sospeso  temporanea- 
mente e  privo  di  valore  alcuno  ogni  appello  all' impera- 
tore Federico  fatto  senza  consentimento  della  maggioranza 
dei  comuni  aderenti  alla  Lega  (1). 

Tale  voto  aveva  il  vantaggio  di  conferire  a  Bologna 
una  piena  libertà  d'azione,  rompendo  ogni  addentellato 
colle  vecchie  lotte  di  giurisdizione  che  essa  aveva  pur 
sempre  vive  in  Romagna,  e  il  definire  le  quali  sarebbe 
spettato  di  diritto  all'  Imperatore. 

Una  volta  convenuto  per  ragioni  di  interesse  gene- 
rale di  libertà  italiana  che  si  facesse  in  pratica  eccezione 
a  questo  incontestabile  diritto  imperiale,  ogni  azione  mi- 
litare di  Bologna  contro  la  città  di  Romaniola  perdeva 
il  carattere  odioso  di  rivalità  municipale,  acquistando  il 


(1)  Muratori.  Anlùi,  Med,  Aeti  tom.  IV.  colon.  263  —  Vio^nati  Storia  Di« 
plom.  deUa  Lega  Lombarda  pag.  177. 


DI  ROM  AON  A  B   TOSCANA   ffCC  :  19d 

senso  e  il  merito  di  un  concorso  a  più  alto  e  giostissimo 
intendimento  quale  appuato  proponevasi  la  Lega. 

I  Rettori  della  Lega  in  Bologna  intervennero  ad  uìi 
altro  convegno  nei  primi  mesi  delPanno  1170  coi  dele<> 
gati  della  città  di  Modena,  Parma,  Reggio  e  Mantova^ 
e  vi  giurarono  nuovamente  di  aiutarsi  a  vicenda.  Ne 
esiste  Tatto  tratto  del  Codice  Bolognese  ma  vi  manca 
la  data  del  luogo  (1). 

Questo  convegno,  ristretto  solamente  alle  cinque  città 
sunnominate,  non  era  del  resto  uua  novità,  e  i  vari  co«^ 
muni  ascritti  alla  Lega  li  convocavano  quando  speciali' 
interessi^  attinenti  però  sempre  a  quello  supremo  della 
pace  interna,  lo  richiedevano.  Li  convocavano  altresì 
quando  un  Signore  del  contado  domandava  di  ossero, 
accettato  come  cittadino  del  Comune  ed  ammesso  a  giù-* 
rare  fedeltà  alla  Lega.  Nella  solennità  di  tali  cerimonie 
le  città  trovavano  una  guarentigia  reciproca.  Del  resto 
non  facean  difetto  buoni  argomenti  per  consigliare  le 
città  d'Emilia  e  della  Romagna  a  stringere  vieppiù  tra 
loro  i  vincoli  della  santa  alleanza. 

L^atto  giurato  in  questo  convegno  dai  rettori  di  Bo^ 
logna^  Parma,  Reggio  e  Modena,  in  quel  tanto  che  ne* 
rimane,  tiene  parola  di  speciali  ed  energiche  misure 
da  prendersi  contro  quel  Gazzedonio  tedesco  che  Fe- 
derico avea  collocato  fino  dal  1159  nella  sede  vesco- 
vile di  Mantova  e  che,  scacciato  poscia  come  eretico  e 
nemico  delle  libertà  italiche,  allora  nuovamente  aggi-» 
ravasi  da  queste  parti,  rinfocolando  le  ire  degli  imperiali 
che  tenevano  i  castelli  sparsi  nel.  contado.  —  Prosegue 
Tatto  di  questo  convegno  denunziando  Tesistensa  di  una 
congiura  e  di  una  cospirazione  contro  la  società  di  Lom- 
bardia, e  a  questo  proposito  si  determinava  dai  radunati 
« 

(t)  flClUTt  op.  S«C.  pug.  fìì, 

ArdL  5fof.  If«rdk.  K  /.  D 


199  LK  C0&P1RA2I0NI  IlfPSiUALI 

di  mettere  a  nudo  le  cose  invitando  le  città  e  i  Signori 
sospetti  ad  entrare  nella  Lega,  e  nel  caso  si  rifiutasseroi 
4i.. intimare  loro  viva  guerra.  (1) 

Infatti  la  villa  di  Frignano  ed  i  nobili  di  Monteve- 
glio  eransi  stretti  in  lega  per  rialzare  le  parti  imperiali, 
e. il  Muratori  ne  porta  i  patti  (2).  E  molto  probabile  che 
fimili  intelligenze  corressero  altresì  fra  questi  e  gli  altri 
partigiani  dell'  Imperatore.  In  ogni  modo  è  fuor  di  dubbio 
che  verso  il  1170  si  ebbero  numerose  sottomissioni  di 
feudatari  ai  Comuni  di  Modena  e  di  Bologna,  fra  cui  i 
Signori  di  Monte  veglio,  Frignano,  Carpaneto>  Montecuc-*. 
colo  e  gli  Abbati  di  Frassinoro  (3);  così  che  resta  chiaro 
come  una  lega  fra  le  cinque  città  suddette  ripetesse  ap- 
punto sua  ragione  dalle  insolenze,  più  ardite  dei  valvas- 
sori imperiali,  e  come  fortunatamente  quelle  città  me- 
diante un^  unione  li  riducessero  al  dovere. 

Ma  il  grosso  affare  dei  Bolognesi  non  era  verso  i 
monti  del  Frignano:  bensì,  come  dissi,  dal  lato  di  Ro- 
magna, da  cui  il  feudalismo  ripristinato  colle  famose  co- 
stituzioni di  Roncaglia^  sporgeva  minaccioso,  tenendo 
Imola»  Medicina,  San  Cassiano  come  altrettante  rocche 
avanzate  fino  a  poche  miglia  da  Bologna. 

Faenza  erasi  però  volonterosamente  alleata  coi  Bo- 
lognesi, ma  ad  Imola  ed  a  S.  Cassiano  fu  mestieri  im- 
porre colla  forza  delle  armi  V  adesione  alla  Lega*  Li  16 
giugno  del  1 168  gli  imolesi,  comparendo  al  pubblico  ar- 
ringo in  Bologna  dinanzi  ai  nostri  consoli,  avean  dovuto 
prestar  giuramento  di  conservare  pei  bolognesi  e  faen- 

(1)  ViouTi,  eom  sopra  —  Muratori.  AnUq,  Med,  Aevi  Tom.  IV.  col.  t66  — 
Rifiìfro  Onttù  —  Cam.  degli  atti  in  Bologna. 

«  et  homines  de  meo  distrìeta  qui  sant'in  iora  et  conspIraUone  eontra  so* 
cieUteii  lombardie  si  faerint  appellati  qnod  .veniant^ad  societatem  et  si  venire 
■òlttrint  gnervan  eie  faeiam  etc.  • 

(2)  Foedas  Montebelliensiam  cam  Castellanis  Friniani  aliisqae  Proceribas 
entra  Mutinenses.  Anno  1170.  ^  Muratori  Antiq.  Med,  Aevi  tom.  IV.  col.  871. 

(3)  TiGKATi  pag,  m  V.  RoU  S  pag.  SS^note  1.  %  8. 


DI  ROMAGNA  TOSCANA   BCCT  131 

tini  Castel  S.  Gassiano  e  Castel  d' Imola,  di  riconoscere 
la  giurisdizione  loro  su  quelle   popolazioni,  di  levare  le 
colte  a  loro  profitto,  e  armati  e  cavalieri  quando  i  bolo- 
gnesi od  i  faentini  il  comandassero  (1). 

Siccome  però  Bologna  non  la  pretendeva  con  ciò  a 
prepotenza,  ma  solo  a  riannodare   e  mantenere  in  forti 
vincoli  di  fratellevole  patriottismo  i  dissidenti,  così  i  Bo- 
lognesi unitamente  ai  loro  alleati   di  Faenza  giuravano 
per  proprio  conto  di  difendere  con   ogni   possa  gli  uo- 
mini e  le  cose  di  San  Cassiano  e  di  Castel  Imolese,  e 
di  adoperarsi  in  prò  loro  tanto  quanto  per  sé  medesimi 
facevano  od  avrebbero  fatto. 

A  questo  punto  è  merito  delFopera  porre  ogni  studio 

a  dissipare  una  confusione  di  fatti,  venula  accreditandosi 

a  disdoro  dì  Bologna,  la  quale,  cioè,  secondo  quanto  ne 

dissero  in  genere  parecchi  storici,   avrebbe   gittato  sue 

forze  in  una  guerra  indecente,  nel  tener  vive  civili  e 

fraCrìcide  discordie^  mentre  in  quella  vece  urgeva  serbar 

pace  e  concordia   per   ritrar   poi   dalla   unione  fortezza 

contro  la  prossima  calata  di  Federico.» 

A  cosi  triste  giudizio  sulla  nostra  città  vennero  senza 
fallo  condotti  gli  storici  considerando  la  dolorosa  ed  ar- 
ruffata vicenda  di  battaglie,  di  assedii  e  di  conflitti  per 
cui  arse  la  Romagna  dal  1168  al  1172  nel  cuore  ap* 
punto  deir  epoca  di  lotta  italica  contro  Federico  L 

Oli  stessi  compilatori  di  annali  bolognesi,  con  troppa 
facilità  accettando  questa  sentenza,  con  pari  ingenuità 
riconobbero  il  torto  attribuito  ai  padri  nostri  di  avere 
nel  1171  rotta  fede  a  Faenza,  con  cui  eransi  nel  1168 
congiunti  in  lega,  come  superiormente  fu  detto,  per  isni- 
dare  da  Imola  e  da  S.  Gassiano  il  partito  imperiale* 
Prima  però  di  mettere  nella  sua  vera  luce  questo  pe- 
ti) SATtoix  Aaoali  Bolognesi  tol.  11.  ptrte  11.  pag.  5  o  sof • 


132  ^  COSPULAZIOKI   IMPERIALI 

riodo  storico  in  cui  Bologna  non  T  infamia,  come  più 
tardi  fa  asserito,  ma  verace  gloria  ed  alto  merito  si  ac- 
quistò presso  la  Lega  Lombarda,  giova  indagare  le  ra- 
gioni per  cui  forse  si  ingenerò  negli  animi  si  deplorevole 

confusione. 

« 

La  maggior  parte  degli  antichi  nostri  cronisti  ebbe 
il  mal  vezzo  di  registrare  le  imprese  guerresche,  di  no- 
tare come  e  contro  chi  si  mandassero  alla  campagna 
eserciti  cittadini  ;  ma  quasi  mai  aggiunse  parola  sui  mo- 
tivi e  sulle  origini  di  codeste  municipali  inimicizie.  On«? 
d^è  che  il  più  delle  volte  si  veggono  con  ingrata  sor- 
presa gli  amici  e  gli  alleati  d^  oggi,  divenire  nemici 
Tanno  appresso,  senza  che  sia  detto  a  quale  delle  due 
parti  contendenti  fosse  in  così  inopinato  cangiamento  il 
diritto  od  il  torto.  E  così,  abbandonati  gli  scrittori  e 
giudicando  solo  dai  fatti,  troppo  spesso  è  avvenuto  che 
di  due  città  già  insieme  alleate,  quella  sembrasse  fredi- 
fraga  e  sleale  che  per  prima  aveva  materialmente  rivolte 
\e  acmi  contro  deir  altra;  quasi  che  la  cosa  non  potesse 
invece  star  tutta  ^trimenti. 

Ora  ripigliamo  la  narrazione. 

Mentre  Bologna,  seguendo  T  esempio  degli  altri  co- 
muni lombardi,  poneva  ogni  suo  studio  a  rafforzare  la 
causa  delle  privilegiate  libertà  italiche  nel  centro  della 
penisola,  ed  a  guadagnarsi  alleanze  pei  tristi  tempi  che 
la  pertinacia  di  Barbarossa  minacciava,  quel  Oazzedonio 
vescovo  di  Mantova  esigliato  dai  diocesani  perchè  tede- 
sco e  scismatico,  era  disceso  in  Romagna,  e  colla  qua- 
lità di  Vicario  Imperiale  (Imperialis  aulae  VtcartusJ 
come  egli  stesso  si  chiama  in  un  atto  che  si  conserva 
tuttora  nell^  Archivio  degli  Arcivescovi  di  Ravenna  (1) 
si  adoperava  a  pacificare  le  città  guerreggiantl  fra  loro 
per  questione  di  giurisdizione  e  di  confine. 

(1)  Satioli  —  Annali  di  Bologna. 


I 

DI   TOSCANA  B   DI  ROMAGNA  BGC  :  133 

Era  sogno  dorato  e  costante  della  politica  imperiale 
il  creare  nemici  alla  Lega  Lombarda  nel  seno  medesimo 
d^  Italia,  ed  i  legati  di  Federico  si  argomentavano  di 
riuscirvi  efficacemente  mediante  V  influenza  ed  il  predo- 
minio che  si  acquistavano  in  codeste  opere  di  pacifica- 
xione.  Si  voleva  contrapporre  leghe  a  leghe,  confede- 
razioni a  confederazioni,  italiani *ad  italiani;  e,  ciò  che 
poco  dopo  ebbe  intrapreso  in  Toscana  il  Cancelliere  me- 
desimo di  Federico,  Cristiano  ;  tentava  fin  d^  allora  in  Ro- 
magna Gazzedonio.  È  quindi  evidente  che  un  tal  progetto 
esisteva,  e  che  in  Germania  se  ne  teneva  gran  conto.  (1)' 

Gazzedonio  trovava  un  appoggio  naturale  e  sponta- 
neo in  Guido  Arcivescovo  di  Ravenna,  figlio  del  Conte 
di  Briandrate,  acerrimo  sostenitore  di  Federico  e  di- 
chiarato nemico  di  Milano,  nonché  nel  giovane  Conte' 
Guido  Guerra,  figlio  di  Guido  andato  tra  i  più  nel 
1124. 

La  politica  aulica  di  Federico   riguardo  alla  Roma- 
gna aveva  del  resto   un  buon  fondamento    nelle  tradi-' 
zioni  che  il  nome  stesso  conservato  gelosamente  a  quei- 
paesi,  i  quali  formavano   Tantico  esarcato  di  Ravenna, 
manteneva  in  ricordanza  e  in  vivo  diritto. 

Quando  Pipino  e  Carlo  Magno  ebbero  prostrato  e* 
disfatto  la  dominazione  dei  Longobardi  fu  questione  del 
come  spegnere  radicalmente  la  stirpe  longobarda  tra- 
piantatasi in  Italia^  ma  tanto  eransi  questi  già  assimi*' 
lati  e  confusi  colle  genti  italiche  che  si  dovè  rinunziare 
ad  ogni  altro  progetto  il  quale  non  fosse  una  semplice 
e  grossolana  limitazione*  deirappellativo  di   Longobardia 

fi)  Eeao  BoBconpigBi  detcrivendo  l'assedio  di  Ancoiia  dH  1174  di  cui  Ai 
cottt^aporaaeo,  acceooa  ancb'egli  allo  ttodio  posto  dal  Cancelliere  Cristiano  in 
ftiflalle  nancivre  e  soggiunge:  ■  Non  credo  che  Italia  possa  divenire  tributaria 
ad  alcano;  e  rio  non  procede  da  maliiia  o  livore  degli  italiani,  giacché  nella 
legge  è  detto  :  ÌVm  e$i  provincia,  uè  domma  provùèòarum  •  MunATont  —  De 
llerva  Ital.  Sertptoribos.  voi.  VI.  pag.  930* 


134  LB    COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

in  cui  ormai  il  nome  dUtalia  identificavasi  e  disfaceva- 
si  si  che,  minacciava  già  di  scomparire  dairuso  comune. 

Convennero  quindi  a'  que^  dì  V  Imperatore  e  Papa 
Adriano  che  il  paese,  dove  i  Longobardi  aveano  posto 
il  fondamento  del  loro  regno  e  dove  da  più  lungo  tem- 
po risiedevano,  mantenesse  il  nome  di  Longobardia;  ma 
volendo  demarcare  un'  confine  airespansione,  da  cui 
mostravasi  animata  la  tradizione  lombarda,  stabilirono 
si  appellasse  Romaniola  o  Romandiola  quanto  di  paese 
raccoglievasi  ancora  attorno  alla  memoria  delPEsarcato 
di  Ravenna;  e  che  nelle  lotte  contro  i  re  Longobardi 
avendo  mostrato  tenacissima  fede  airautorità  di  Roma, 
ne  avrebbe  in  processo  perpetuato  il  nome  e  la  temen- 
za, respingendo  cosi  da  vicino  ogni  moto  lombardo  sia 
che  roinaciasse  propagarsi  come  un  desiderio  contagio- 
so degli  usi  longobardi,  sia  che  venisse  tentato  quando 
che  fosse  colla  violenza.  (1) 

Ma  non  tutto  T  antico  Esarcato  potè  mai  ricono- 
scersi per  Romandiola:  e  per  quanto  questa  denominazione 
giungesse  sino  quasi  alle  porte  di  Bologna  col  gran- 
dioso castello  matildico  di  Medicina;  di  cui  Dante,  a 
testimonianza  di  Benvenuto  da  Imola,  soleva  dire  non 
esservi  il  più  ))ello  in  Romandiola  (2),  si  tenne  sempre 
Bologna  più  come  paese  longobardo,  o  almeno  come 
zona  neutrale    di    confine,  quella  che    stendevasi   tra  la 

(1)  FLAV1U8  Blokd.  lìb.  1.  Deead.  ^  «  LoDgobardorum  genteiu  tam  mulUs  Ita- 
liae  popvlis,  affinitatibus  ac  sangoinitate  conianctam,  nec  elicere  tutum,  nec  de- 
lere  bamanam  Yìderetur;  Pontifex  Imperatorqae  costitoenint,  obi  sedem  diu  et 
status  sui  fuodamenta  babueraDt,  genti  Longobardiae  nomen  et  solum  patriom 
conservare:  otque  propinqutur  eonjoDCtlprqae  pominis  Romani  memoria  fines 
illis  faceret  eertiores,  baberentqoe  illi  probatae  erga  Romanos  fidelitatis  vi- 
ciaos,  quibus  cura  esset  aut  motus  eonim  compeseeodi,  aut  magistratus  re- 
DOBciaBdi,  quidqvid  Exarcatus  RaTenaatls  fioos  complectuntur,  BiommidmUaai, 
placult  appellarì. 

(2)  Et  interrogatua  quid  sibi  Tìderetur  de  Curia  illa,  respoudK  se  nou  vi- 
disse  palcrìorem  in  Romandiola,  si  ibi  esset  raodicum  ordinis.  Benven  db  Imola 
in  Comoed.  Daotis  (Mnrat  Anliq,  Hai.  tned.  aevi  v.  1.  col.  1123) 


DI  ROMAGNA  8   TOSCANA   BCC  :  ISS^ 

Sapena  e  il  Reno  in  mezzo  ai  quali  torrenti  sorge  Bo* 
legna  e  che  delimitaTano  il  paese  in  cui  era  già  fino 
dai  tempi  di  Dante  caratteristica  e  antichissima  a&r- 
masione  Tolgare  di  sipa  (1). 

Nel  linguaggio  poi  dei  bolognesi  trovava  Dante  nelle 
8Qe  pazienti  comparazioni  filologiche  chiarissimo  Tele^ 
mento  longobardo  (2). 

La  dominazione  longobarda  del  resto  aveva  gittato 
radici  in  Bologna  e  ci  restano  monumenti  preziosi  a 
provare  come  la  chiesa  bolognese  riconoscesse  con  sim- 
patia per  sovrani  e  re  Adolfo  dapprima,  quindi  Liut- 
prando  e  Uprando  (3). 

Oltre  a  ciò  è  a  notarsi  come  lo  stesso  Carlo  Magno, 
il  quale  proponevasi  rendere  giustizia  ad  ognuno'  dei 
suoi  popoli  in  conformità  alle  sue  proprie  leggi  ed 
usanze,  quando  di  ritorno  da  Roma  nelPSOl  campeggiò 
sul  Reno,  (4)  mostrasse  riconoscere  fra  noi  gli  atti  reh^ 
lì  dei  principii  longobardi,  è  anzi  memoria  espressa  di 
un  privilegio  di  Re  Astolfo  ivi  alla  curia  carolingia* 
prodotto  dair Abate  di  Nonantola  contro  il  Vescovo  di 
Bologna  che  ne  contestava  la  validità  e  che  Carlo  Ma-- 
gno  riconobbe  come  legge  tuttavia  osservabile  nel  ter- 
ritorio bolognese.  (5) 

L^illustre  Ficher  ha  trovato  negli  Archivi  di  Classe 
a  Ravenna  un  documento  che  dimostra  quanto  abilmente 
rimperatorc  Federico  si  richiamasse  alle  antiche  tradi- 
zioni  delle   città   di    Romandìola    per   mantenerle  ogni 


(4)  A  4tker  Mipa  tra  Savena  e  Reno.  Dante  lof.  ran   18  t.  40. 

\,t\  Db  Vot^GAHi  Ei^uio.  CBpui  XV,  Facit  magnani  discossionem  da  idhwiate 

(3>  t  Qarilfbit  vota  tnscliie  Domine  Dominis  nostri  Lintprante  et  Uprante  re- 
irfkaa  et  Domino  Barbalu  Episcopo  Sacrae  Ecclesiae  Bononiensls  etc,  —  Inaeri- 
Beila  Basilica  di  S.  Stefano. 
(i)  SAfiOLi  AnnaU  bolognesi  —  Sicomo  Hist.  Bon.  Ub.  I. 

(5)  Hi. 


jt86  LB  X^OSPIIiAZfOKI   lMPKiaAI.1 

pia  s(p6Ue  al  nome  romano  rivissuto  nella  corona  del 
sacro  Impero  e  allora  da  lui  portato. 

Nel  giììgfio  1162  Federico  marciava  verso  Bologna, 
ed  è  colla  data  del  26  di  detto  mese  dal  piano  Mode- 
nese- di  Castel  Savignano  che  egli  rivolgeva  ai  Raven- 
nati-queste importanti  parole.  (1) 

€  La  città  vostra  di  Ravenna  e  per  antichità  di  tem- 
pi, 6' dignità  di  onori,  e  valore  di  opere  e  sincerità  di 
fede,  fu  mai  sempre  gloriosa  e  famosissima  fra  tutte  le 
città,  italiane. 

.  €  Fino  dall'antico  essa  si  palesò  fervorosa  e  gagliar- 
da in  fedeltà  alla  gloria  della  imperiale  corona  e  nel- 
r^ibisione  di  preclari  e  sinceri  aiuti. 

e  Tuttociò  udimmo  e  vero  sapemmo.  Epperò  desi- 
deriamo di  tenerci  ognor  più  e  più  cara  codesta  città 
dr  Ravenna,  e  vogliamo  onorarne  i  cittadini  di  tanta 
prerogativa  di  affetto  e  di  grazia:  così  che  la  città^  la 
quale  fra  le  altre  d'Italia  con  magnificenza  estolle  il 
capo  per  i  suoi  titoli  di  onore,  risplenda  eziandio  per 
ipaggipr  lustro  di  larghezze  imperiali  e  di  abbondanza 
di  benefici.  »  (2) 

QQe9te  parole  piuttosto  sentite  che  di  mera  formali- 
tà, Federico  metteva  in  capo  alle  disposizioni  con  che 
meditava  fin  d'allora  rendere  per  sé  efficace  e  proficua 
le  fedeltà  romagnola  all'imperio  di  Roma. 

Proseguiva  per  altro  ingiungendo  che  tutti  i  Raven- 
nati, cioè,  capitani,  valvassori  e  quanti  fatto  ancor  non 
l'avessero,  giurassero  fedeltà  airimperalore:  stabiliva 
che  i  consoli  starebbero  nella  città  per  autorità  dell'Im- 
peratore, né  potrebbero  essere  eletti  se  non  alla  pre- 
senza del  Legato  Imperiale  col  diritto  a  questo  di  con- 

(lj  FiCHER.  ForschuDgen  tur  Reicbs-ond  reclitsgescbtclila  ilMliens  •  Vierter 
B«Bd.  Ertte  Abtiieilgng  •  pag.  171. 
(9)  Fkher.  op.  toc.  pag.  171- 


DI   ROMAONA  B   TOSOAHA   BCG  :  137 

fermarli.  E  disponeva  che,  se  Tlmperatare  fosse  iu  Ro- 
magna o  nel  Ferrarese,  la  maggioranza  dei  Consoli 
dovesse  recarsi  alla  curia  da  lui  per  ricevervi  Tinve* 
sutura  del  Consolato:  andassero  invece  due  soli  quando 
rimperatore  si  trovasse  più  lungi  in  altra  parte  dUtalia: 
fossero  tutti  dispensati  da  tale  obbligo  solo  essendo 
rimperatore  oltr'alpi,  in  Germania. 

Ordinava  quindi  Federico  che  a  Ravenna  il  giura- 
mento di  fedeltà  dovesse  rinnovarsi  ogni  cinque  anni 
da  tutti  i  cittadini  che  compiuto  avessero  i  quindici 
anni  e  non  superassero  i  settanta. 

E  intendeva  rimperatore  che  tutti  i  cittadini  di 
Ravenna  si  obbligassero  con  questo  giuramento  a  ras- 
segnare e  ricuperare  a  favore  di  lui  tutte  le  antiche 
regdtet  già  per  vecchie  consuetudini  e  per  forza  di 
buone  ed  eque  usanze  poco  a  poco  passate  in  godi- 
mento della  comunità  ravennate  (1) 

Era  al  campo  in  Savignano  Tarcivescovo  eletto  di 
Ravenna  Guido  di  Biandrate  (2)  e  però  forse  la  sua 
intercessione  potè  ottenere  che  di  tutto  Tarretrato  di 
datii,  ripatici,  ed  altre  regalie  dianzi  esatto  a  proprio 
favore  dai  Ravennati  detto  quindi  maltoletum  o  maltolto 
secondo  la  lettera  dello  stretto  diritto  feudale^  Federico 
rìnanziasse  ad  esigere  la  retrodazione  in  intero,  e  si 
limitasse  a  ritenerne  pel  fisso  aulico  sol  la  metà;  quan- 
tunque egli  si  fosse  messo  in  campo  con  animo  di 
ottenere  piena  la  giustizia  ai  pretesi  diritti  della  corona. 

Nel  disordine  dello  scisma  pare  avvenisse  spesso 
che  i  conduttori  ed    enfiteoti  dei  beni  delle  chiese  nie* 

(I)  Fienili,  doc.  tad. 

(S)  La  dita  del  docameato  tcoperto  dal  Ficher  ia  Ravenna  è  la  seguente: 

•  Dalaa  In  territorio  Motinenf  i  in  plano  catlrì  Savignanl,  pott  destructlo- 

Milani.  VI  kal.  folli.  Feliciler.  Amen.  • 
Tra  I  Ibvatl  come  presenti  alla  rogaxione  dell'atto,  leggesi;  Cméo  HmtamoM 


138  LK   COSPIRAZIONI  IKFBRIALI 

gasserò  i  tributi  delle  terre  e  si  rifiutassero  all'osser- 
vanza dei  contratti  pattuiti  quando  le  sedi  cadevano  in 
mano  di  scismatici  o  di  intrusi  ecclesiastici. 

Né  Federico  dimenticavasi  però  di  quella  sua  co- 
stituzione di  Roncaglia  relativa  alla  protezione  delle 
proprietà  ecclesiastiche  feudali  con  cui  intendeva  favo- 
rire fra  il  clero  l'adesione  allo  scisma  e  alla  sua  poli- 
tica. E  cosi  condannava  i  clienti  e  debitori  di  pensioni 
alle  chiese  ravennati  a  restituire  in  integrum  ì  capitali: 
condonando  loro  solo  i  frutti  arretrati. 

Mancano  i  dati  a  giudicare  con  sicuro  criterio  altre 
disposizioni  che  Federico  emanò  in  quella  circostanza 
per  la  Romagna  relative  alla  validità  dei  contratti  ri- 
sultanti da  strumenti;  ma  non  pare  che  egli  vi  usasse 
l'imperiale  autorità  molto  conforme  ai  consigli  di  una 
delicata  equità,  come  diffatti  sembra  accennare  una  spe- 
cie di  nullità  di  cui  colpisse  spietatamente  tutti  gli  atti 
recenti  relativi  a  fondi  agricoli  dove  fosse  contesta- 
zione fra  il  Signore  del  suolo  e  il  possessore  enflteota* 
del  medesimo. 

Mirava  probabilmente  questa  disposizione  ad  annien- 
tare quella  grande  e  salutare  trasformazione  della  pro- 
prietà, che  Venfitetisi  aveva  iniziato,  che  separando  il 
dominio  diretto  dal  dominio  utile  del  suolo  portava  a 
libertà  i  servi  della  gleba.  Era  un  movimento  promosso 
da  ragioni  morali  ed  economiche,  che  distemperava  la 
base  materiale  massima  degli  ordini  feudali  e  riversava 
poco  a  poco  le  genti  agricole  dalla  giurisdizione  delle 
corti  feudali  nella  giurisdizione  dei  Comuni. 

Il  proposito  in  cui  era  Federico  di  richiamare  in 
vigore  alla  lettera  il  diritto  feudale,  dovea  però  trarlo 
a  provvedimenti  contro  questa  specie  di  liquidazione 
dell'asse  feudale  che  favoriva  egregiamente  i  Comuni 

Promise  finalmente  l'Imperatore,  sempre  nel  privilegio 


DI   ROMAGNA   K    TOSCANA   ECC  :  139 

di  Savignano,  che  avrebbe  reso  giustizia  a  Ravenna 
nelle  questioni  che  avea  colle  altre  città  nel  momento 
sottrattesi;  che  avrebbe  riattivato  il  canale  di  Po  verso 
Ravenna  appena  il  •  potesse  ponendo  int<into  al  bando 
deirìmpero  coloro  che  intercettate  aveano  quelle  acque: 
che  Tesercito  suo  non  avrebbe  campeggiato  nel  torri* 
terio  di  Ravenna  dalla  strada  (Emilia)  in  giù  verso  il 
piano:  ma  imponeva  ai  cittadini  che  avessero  a  ricevere 
ed  ospitare  coi  dovuti  onori  tanto  lui  che  Tlmperatrice 
e  i  principi  della  sua  Curia  ogni  volta  che  gli  piacesse 
di  calarvi  e  dimorarvi  come  in  casa  propria. 

In  siffatta  guisa  bandivasi  la  riforma  imperiale  in 
Romagna  e  l'arcivescovo  Guido  ne  riportava  a  Ravenna 
il  Decreto  aulico  a  cui  egli  medesimo  aveva  apposta  la 
sua  firma. 

E  mentre  le  città  di  Romagna  rientravano  cosi  in 
pieno  mondo  feudale:  il  contado  vi  veniva  rassodato 
mercè  di  un  privilegio  con  cui  addi  28  Settembre  1164 
dal  palazzo  di  San  Salvatore  presso  Pavia  Federico 
confermava  al  conte  Guido  Guerra  il  possesso  del  va* 
sUssimo  dominio  paterno. 

Il  documento  è  stato  tratto  dal  Ficher  dagli  archivi 
toscani  e  vi  sono  nominati  oltre  a  sessanta  fra  paesi, 
terre,  castelli,  corti,  badie  in  Romagna  n  157  in  To- 
scana; come  tenuti  in  proprietà  dal  Guerra,  nella  per- 
dona e  discendenza  del  quale  l'Imperatore  concentra  o 
rafforza  di  nuovo  la  pienezza  di  signoria  politica  e  di 
giurisdizione  civile,  cedendo  sopra  quei  ducente  e  più 
luoghi  al  medesimo  Conte  per  imperiale  investitura  ogni 
vecchio  diritto  regale;  le  albergarie,  i  ripotici,  i  pedaggi, 
le  pescagioni,  le  caccie  ccc,  e  tutto  il  sottosuolo  con 
ogni  miniera  e  cava  di  ferro  d'argento,  rame  ecc.  (1). 

(t)  FicneiL  Forschongen   Zur  Reicha-uml  Rechtsgeschichte   itallens.  Vietter 
bMd.  Crstfl  AbUieilung.  pag.  179  N.  138. 

U  privilegio  e  conlrassegnato  dal  CanceUiere  Cristiano. 


140  LK   COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

A  Rimioi  esisteva  un'altro  focolare  vivacissimo  del 
partito  ligio  a  Federico:  e  Tesame  di  alcuni  preziosi 
documenti  sincroni  esistenti  neirArchivio  di  quel  Capi<- 
tolo  e  alla  Biblioteca  della  Gambalunga  mi  permette 
dirne  qualche  cenno  (1). 

Fin  dal  1161  era  scoppiato  in  Rimini  lo  scisma 
religioso:  e  que^  canonici  nel  maggio  inviato  aveano 
una  deputazione  air  Imperato  re;  accampato  allora  at* 
torno  a  Milano  e  intento  a  devastare  le  campagne. 

Chiedevano  essi  in  compenso  di  loro  ribellione  al 
legittimo  Pontefice  privilegi  e  sicurtà,  e  Federico  con 
molta  benignità,  addì  30  Maggio,  ne  rilasciava  loro  di- 
ploma amplissimo  (2):  incaricandone  deiradempimento 
rigoroso  il  Podestà  che  era  conte  dell'Impero  (3).  Nel 
testo  del  privilegio  con  cui  Federico  rimunera  Tatto 
sciagurato  compiuto  dal  capitolo  riminese,  si  tradiscono 
ripetutamente  e  forse  non  a  caso  le  segrete  idee  va- 
gheggiate dalla  politica  imperiale  riguardo  alla  Chiesa. 
^Imperatore  non  vi  si  qualifica  più,  come  era  d^uso 
dei  Sacri  Imperatori,  protettore  della  Chiesa  ma  bensì 
della  Chiesa  di  Dio  (4),  e  vi  ricorda  anzi  il  carattere 
aulico  dato  a  queste  chiese  in  Roncaglia  col  pretesto 
di  purgarle  dalle  intromissioni  dei  laici,  (5)  in  realtà 
coirintendimento  di  asservirsele,  sottraendo  di  mano  le 
proprietà  chiesastiche  e  gli  interessi  religiosi  alla  tutela 

(1)  Editi  nel  1856  dal  ToDini  bibliotecario  delU  Gambalunga  In  Rimtni. 

(2)  L'originale  del  privilegio  esiste  oelFArchivio  del  Capitolo  di  Rimini:  mu- 
nito in  una  parte  rilevante  dal  sigillo  aulico  in  cera  e  di  questa  data  Da'- 
tum  ante  porta»  Medijolanentis  CivitatiSy  tempore  vastationis  • 

(3)  «  potestas  civitatis,  videlicet  dominicus  Comes  qui  nunc  est  vel  alia 
futura  potestas,  plenariaro  ipsornm  querelis  iustitiaro  Tacere  non  diflferant  • 
Privilegio  succ,  — 

(4)  «  Quia  vera  ecclesias  defcndendi  nobis  a  Deo  est  ooUata  potestas....  > 
•  Ad  eoniervandam  etiam  pacem  eccle$iamn  dei..  *  Privilegio  succitato. 
(5;  •  ex  actiones   illas   quas   laici  super  bona  ecclesiarum  malo  osu  Tacere 

consueverunt  omnino  fieri  proibemus  sicut.  Nos  in  generali  curia   Runchaliae 
per  nostras  leges  Augustas  sancivimus.  —  pRiv.  succ. 


Di   ROlfAQNA   B   TOSCANA   KCCl  141 

che  qua  e  là  aveano  assunto  i  comuni,  pii\  generosa  e 
leale. 

Quattro  anni  dopo  lo  scisma,  cioò  nel  1165  ferveva 
in  Rimini  vivacissimo  quello  studio  di  guadagnarsi  in- 
flaenza  sulle  città  e  sui  luoghi  circostanti  di  Romagna, 
per  cui  si  distinse  anche  Forlì  pure  in  senso  imperiale 
e  con  contrarii  propositi  alle  concordie  parziali  che  si 
giuravano  dai  comuni  rimasti  devoti  alle  proprie  antiche 
libertà  e  alieni  dallo  scisma. 

In  una  radunanza  tenuta  li  30  Maggio  1165  i  Ce^ 
senati  obbligavansi  infatti  per  atto  pubblico  a  stare  agli 
ordini  di  Rimini  per  la  pace  e  per  la  guerra  e  a  pre- 
star milizia  (1)  :  e  un  Cavalconte  di  Bertinoro  vi  cedeva 
a  Rimini  il  suo  Castello  di  Calbano,  giurando  di  gio- 
varle eziandio  in  guerra,  di  dar  opera  a  mantenere  in 
fede  i  cesenati,  di  abitare  un  mese  dell'anno  in  città.  (2) 

Di  tal  guisa,  quando  Federico  nel  1167  da  Bologna 
calò  in  Romagna,  e  attendendo  T  esito  della  spedizione 
contro  Roma  affidata  a  Rainaldo,  con  ordine  espresso 
di  impadronirsi  della  persona  di  Alessandro  IH  e  che 
fini  colla  famosa  pestilenza  di  febbri,  marciava  a  piccole 
giornate  verso  Ancona:  come  fu  a  Rimini,  ospitato  in 
casa  del  Vescovo  ebbe  trovato  tanto  da  rimunerare  che 
11  23  Marzo  cede  al  Comune  di  Rimini  pienissima  giu- 
risdizione sia  civile  sia  criminale  sopra  un  territorio, 
che  lungo  il  littorale  adriatico  determinò  dalla  foce  del 
Rubicone  a  quella  del  Foglia,  annullando,  a  favore  del 
Comune  di  Rimini,  ogni  placito  anteriore  di  giurisdizione 
da  lui  0  da  suoi  predecessori  concesso  ad  altri  sopra 
luoghi  del  medesimo  te.'*ritorio  riminese  (3). 


(t)  Da  codice  membraDacco  delto:  -*  Liher  tnMirumenhrum  Conumù  Àrimin* 
paf.  It  —  nella  Garabalooga.  Ed.  dal  Tonini. 

(S)  Cod.  sttdd.  dolla  Ganbalanga  in  Rimisi.  Ed.  dal  TodIbI,  pag.  19. 


142  LE   COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

E  degno  qui  di  nota  eziandio  un  fatto  risultante  da 
un  documento  esistente  nelF  archivio  di  stato  in  Firenze 
ed  edito  da  Ficher  (1)  il  quale  prova  come  i  Legati  di 
Federicq  imperatore,  si  studiassero  di  profittare  del  mo* 
vimento  cristiano  che  portato  avea  i  proprietari  a  met« 
tere  in  libertà  i  loro  servi,  avocando  alla  diretta  giuri- 
sdizione imperiale  i  nuovi  liberi  rurali  col  costituirli  in 
comunità  indipendenti  dalle  città  circostanti. 

Un  Bernando  Sedonio  sul  letto  di  morte  avea  man-* 
dati  liberi  tutti  i  suoi  servi  che  aveva  in  Castel  d'An- 
ghiari,  donando  per  dippiù  la  terza  parte  de^  suoi  fondi 
ai  suoi  uomini  di  mascenata.  Sorse  questione  tra  Arezzo 
e  San  Sepolcro,  a  quale  delle  due  città  spettasse  la  giu- 
risdizione degli  uomini  d^  Anghiari:  quistione  che  fu  tron- 
cata con  un  decreto  dell'  Arcicancelliere  Rinaldo  il  quale 
confermando  la  libertà  e  la  donazione  conferita  dal  pre- 
fato Bernardino  e  giudicava  il  Castello  e  il  popolo  d^An- 
ghiari  appartenere  direttamente  al  solo  Imperatore  e  al- 
l'Itopero.  » 

La  Sentenza  fu  data  da  Rainaldo  li  2  Settembre  1163 
in  piena  curia,  presenti  i  Consoli  di  Arezzo  e  di  Borgo 
San  Sepolcro  né  alcuno  potè  fare  eccezione. 

Durava  da  molto  tempo  in  Cesena  un'accanita  osti- 
lità fra  gli  abitanti  del  suburbio  montano  e  quei  di  den- 
tro le  mura.  Si  frappose  il  Vicario  Imperiale,  ed  invitati 
i  suburbani  a  discendere  dal  monte  ebbe  rappacificate 
le  parti.  Ma  Cesena  per  cotal  fatto  vincolavasi  necessa- 
riamente alla  causa  imperiale  (2). 

Narrano  pure  le  cronache  di  Cesena,  come  nel  1169 
i  Faentini  stringessero  coi  Forlivesi  una  convenzione  por 
la  quale  i  primi  dichiaravano  di  ricevere  da  Forlì  i  Pre- 

(1)  Ficher  op.  cit  p.ig.  173. 

(S)  QroDicx  ADtiqua  civiuUs  Cesenae.  Apod  Muritori  —  De  Return  lUd, 
Script  XIV. 


Bl   ROlUaNA.B  TOSCANA  BCC:  143 

sidi  od  i  Capitani  t  ed  a  Forlì  risiedevano  i  Commissarii 
Imperiali  e  probabilmente  lo  stesso  vicario  Gazzedonio  (1). 

Cosi,  poco  a  poco,  venivasi  formando  in  Romagna 
una  lega  imperiale  in  cui  cospiravano  Faenza,  Forlì, 
Ravenna,  Cesena,  Rimini,  i  conti  Guerra,  Montefeltro, 
Malvacino  ed  altri  valvassori,  sulle  forze  riunite  dei  quali 
tutti  contavasi  per  assalire  Bologna  e  prendere  a  tergo 
gli  eserciti  lombardi  al  ripigliarsi  delle  ostilità. 

£  lo  si  vide  infatti  tìel  1175  alla  battaglia  di  San 
Cassiano,  dove  ai  Bolognesi,  soccorsi  dai  confederati  lom- 
bardi, toccò  appunto  di  dover  rintuzzare  le  forze  del 
Cancelliere  Cristiano  il  quale  avanzavasi  con  un  esercito, 
al  cui  nucleo  composto  di  cavalieri  tedeschi,  prestavan 
rinforzo  milizie  delle  suddette  città  e  conte  di  Romagna 
e  di  Toscana. 

Ma  intanto  un  primo  colpo  air  opera  di  Gazzedonio 
Teniva  portato  da  un  avvenimento  imprevisto  che  porse 
occasione  a  Ravenna  di  francarsi,  almeno  per  allora  in 
jMU'te,  dalla  influenza  Imperiale.  L'arcivescovo  Guido  di 
Biandrate  moriva  sul  finire  del  1290  e  liella  sede  me-* 
tropolitana  succede  vagli  certo  Gerardo,  tutto  favorevole 
a  Papa  Alessandro  IH.  Conseguenza  immediata  di  ciò 
la  r  ingresso  di  Ravenna  nella  Lega  Lombarda  (2)  ed 
ano  scoppio  di  nuove  ostilità  tra  Faenza  e  Ravenna  di 
coi  si  assegna  il  motivo  in  una  questione  di  confine.  E 
forse  anche  allora  si  disse  così  ;  giacché  nella  lontananza 
di  Federico  dovea  parer  prudente  a  Gazzedonio  il  mac* 
chinare  tenebrosamente,  ed  a  Faenza  il  deludere,  piut* 
tosto  che  rompere  troppo  pomposamente  con  Bologna,  i 
trattati  del  1168:  nò  d'altronde  Ravenna  accerchiata  da 
tanti  che  le  sarebbero  sorti  contro  nemici,  palesò  forse 
tosto  gli  accordi,    mercé   T  Arcivescovo   Gerardo,  stretti 

(I)  CbfwIcA  utiq.  ciT.  G«Miia«  •-  i«d. 
(t)  ViMun  ^  scarto  Diplonatica  pag.  tt9. 


144  LB.  COSPJRAJUOm   IMPJBRIALI 

allora  allora  calla  Lega  Lombarda.  Fatto  è  che  si  com- 
battè tra  Faenaa  e  Ravenna,  che  in  aiuto  dei  Faentini 
vennero  i  Commissaii  àAV  Imperatore,  i  Forlivesi,  e  gli 
altri  confederati  (1)  e  che  mentre  in  Faenza  si  attende^ 
vano  eziandio,  i  Bolognesi  invocati  come  antichi  alleati, 
questi  comparivano  d^un  tratto  sul  territorio  Faentino 
ma  non  come  alleati  bensì  come  nemici,  annunciando 
invece  di  lontano  colle  fiamme  degli  incendii  (2),  che  a 
Bologna  i  Rettori  della  Lega,  vigilando,  avevano  scoperto 
le  macchinazioni  ;  e  la  verità  delle  cose  non  ignoravano 
al  punto  da  permettere  ai  Consoli,  tratti  in  inganno, 
di  aiutare  gli  amici  occulti  delP  Imperatore.  Bologna 
manteneva  così  l'ultimo  giuramento  concordato  in  Lodi 
di  rompere  guerra  ai  congiurati  contro  la  Società  di 
Lombardia,  e  stracciava  il  velo  misterioso  in  cui  la  co- 
spirazione in  Romagna  erasi  fino  allora  ravvolta. 

E  per  ispiegare  il  perchè  T  irruzione  dei  Bolognesi 
nel  territorio  Faentino  fosse  accompagnata  da  tanto  in- 
cendio di  ville  ed  esterminio,  quale  dai  cronisti  ci  è  ri- 
ferito, giova  ricordare  come  appunto  in  quel  convegno 
della  Lega  tenuto  a  Lodi  li  24  Ottobre  1169,  si  fosse 
giurato  e  mandato  di  far  giurare  a  tutti  i  soci,  questo 
fra  gli  altri  patti:  che  cioè  si  sarebbero  con  tutta  seve- 
rità distrutte  le  ville  e  le  abitazioni  e  saccheggiati  i  beni 
di  quelle  città  e  persone  che  rompendo  la  fede  data  alla 
Lega,  si  dessero  al  partito  di  Federico  detto  Imperatore 
(3)  come  appunto  con  segrete  arti  fatto  aveva  Faenza. 


(1)  Albbrti  e  VmzAm  —  Anni  1169e  1170  — Chronica  antiqua  miUtit  Ce- 
sanae  apad  Muratori  —  De  Rerum  Ital.  Script.  XiV.  pag.  1070. 

(2)  Savtoli  ^  Annali  di  Bologna  Anno  1171. 

(3)  QuelFatto  di  giuramento  era  inedito  e  fu  tratto  dal  Uber  Juremm  di  Lodi 
del  Vignati.  Esso  è  considerevole  per  la  sicuroua  e  V  ardire  che  la  Lega  vi  di- 
mostra. Federico  Barbarossa  essendo  stato  scomunicato  dal  Papn,  in  lui  piii  non 
era  riconosciuta  Tautorità  imperiale;  e  le  cittii  dietro  Teaempio  del  Papa  lo  chia- 
mano Friderkum  imperaiorem  dictum  —  cioè  Federico  coca  detto  Jmper%tori 


DI   ROM  AON  A   B   TOSCANA  BOO.*  145 

E  Stando  così  le  cose,  non  sarebbe  da  far  colpa  ai 
coDSoli  bolognesi  di  sterili  tradimenti  verso  di  Faenza  e 
di  insulsa  barbarie  ;  ma  anzi  meritò  di  avere  scoperte  le 
trame  del  Vicario  Imperiale  di  Romagna  e  adoperata 
rai  fedifraghi  la  vindice  giustizia  della  Lega  Lombarda. 
E  eosl  avesse  corrisposto  alla  prudenza  dei  Rettori  della 
Lega  di  Bologna  la  fortuna  delle  armi  e  la  vigilanza  di 
Prendiparte  Prendiparti  ed  Artemisio  Artemisii  consoli 
io  quell'anno  e  capitani  delle  milizie  bolognesi. 

Sul  Senio  a  tre  miglia  dalla  città  furono  essi  ineon» 
trsli  il  1  Marzo  1170  dai  Faentini  e  confederati  t  tre  ore 
dorò  la  pugna  che  alla  perfine  cessava  con  incredibile 
danno  dei  Bolognesi,  quattrocento  dei  quali,  compresi  i 
coasoli  e  rettori  della  Lega  fatti  prigionieri  Tenivano 
trascinati  a  Faenza.  (1) 

11  fatto  che  nell'oste  Faentina  si  trovarono  non  po- 
chi conti  e  vassalli  d^mpero  le  cui  forze  componevansi 
specialmente  di  cavalleria,  mentre  di  questa  difettavano 
le  milizie  dei  Comuni^  come  dirò  più  innanzi,  rende  Te^ 
rosimile  P  asserzione  di  fra  Leandro  Alberti  e  del  Vir» 
lani  che  la  sconfitta  dei  Bolognesi  fosse  dovuta  ad  una 
manovra  di  cavalleria  per  cui  e  furono  presi  alle  spalle 
ed  accerchiati. 


n. 


Come  la  notizia  di  tanto  disastro  giunse  a  Bologna, 
fo  gran  lutto  nella  città  :  e  il  cronista  della  PugUola  l^* 
tciò  scritto  che  le  donne  vestirono  a  brano.  I  Rettori 
compresero  tosto  il  grave  pericolo  che  correvano  gli  in- 
teressi della  Lega  se  Bologna  con  uno  sforzo  supremo 

{\)  Satiou.  ABDftli  Bologneti  1170  —  Vedi  Cliroiiie«  deUa  Pigllola,  e  k  •Mrt 
WL  atta  Biklloleca  MI*  UaifersiU  i«  Bol0gia« 

Aftk,  SiùT.  Ihrch,  y  I.  IO 


146  LB   COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

non  sorgeva  tosto  arditamente  come  un  sol  uomo,  per 
ripristinare  il  prestigio  delle  sue  armi  e  deprimere  le 
speranze  dei  Commissarii  imperiali  di  Romagna. 

I  banditori  andarono  in  giro  per  le  strade  (1)  la 
campana  dell^arrengo  battuta  con  insistenza  suonò  a  rac- 
colta (2),  ed  il  popolo  dai  diversi  quartieri  accorse  nella 
Corte  di  S.  Ambrogio  (3)  dove  i  supremi  consigli  po- 
nevansi  a  partito,  uditi  gli  oratori.  Fu  decretato  che  i 
bolognesi  uscirebbero  in  oste  contro  Faenza,  che  si  co- 
struirebbe il  carroccio  (4),  che  le  Compagnie  delle  arti 
armerebbero  i  loro  ascritti,  che  si  intimerebbe  ai  signori 
del  contado  sottomessi  di  cavalcare  colPoste  bolognese. 

In  tre  modi  i  Comuni  conducevano  la  guerra  in  cam- 
pagna aperta.  Dicevasi  gualdana  T  improvvisa  scorrerìa 
lanciata  a  guastare  le  terre  nemiche  (5):  cavalcata^  una 
spedizione  di  cavalli,  arcieri  e  balestrieri  che  mettevasi 
a  breve  impresa  di  assalto  senza  carroccio  e  senza  sten- 
dardo maestro  (6):  oste  finalmente  quando  tutta  la  po- 
polazione scendeva  armata  a  piedi  ed  a  cavallo  e  si 
traeva  fuori  il  carroccio  ed  i  Consoli  assumevano  il 
comando  della  spedizione.  (7) 

Ogni  cittadino  che  trovavasi  in  grado  di  sostenere 
pubblici  uffizi  in  tempo  di  pace,  era  soldato  durante 
la  guerra  (8),  quelli  che  o  per  età  o  per  malattia  o  per 


fi)  Ricotti  Ercole.  Milizia  dei  Comuni.  Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze 
in  Tonno.  Serie  II.  Tom.  1^ 

(2)  Ricotti  Ercole:  Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  in  Tonno.  Sene 
IL  Tono  2. 

(3)  GozzAOUO.  studi  Arch,  Top.  di  Bolagtuu  Atti  della  Deputazione  di  Storia 
Patria.  Anno  VII. 

(4)  —  Cronica  di  Bologna  di  Fra  Bartolomeo  delle  Pogliole.  —  f  Rei  f  170 
i  bolognesi  fecero  il  primo  carrozzo  e  andarono  con  quello  contro  Faenza  che 
stava  cogli  Imperiali.  ■  — 

In  Maratori  —  Rer.  Ital.  ScripL  Voi.  11.  pag.  490  si  legge  che  nel  1170  i 
bolognesi  fecero  il  loro  primo  carroccio  Imitati  subito  dai  Padovani,  Veronesi, 
Bresciani,  Cremonesi,  Piacentini,  Pavesi. 

(5,  6,  7,  8)  Ricotti  :  Atti  della  R.  Accademia  deUe  Sclenie  in  Torlno«  Serio 
II.  Tomo  1 


DI    ROMAGNA    B    TOSCANA   BCC  :  147 

ispecicali  incarichi  di  pubblico  interesse  restavano  in  città 
intimata  Toste,  pagar  doveano  T  importo  o  dell'arco  o 
della  balestra^  secondo  che  iscritti  erano  o  tra  gli  arcieri 
o  tra  i  balestrieri  (1).  Ninno  poteva  esimersi  dalla  for- 
malità di  iscrizione  nei  ruoli,  e,  non  potendo  servire, 
dalla  tassa  di  campagna. 

La  milizia  del  'Comune  nel  secolo  duodecimo  (2)  era 
disUata  pei  diversi  quartieri  delle  città;  ed  i  quartieri 
prcndevan  nome  dalle  porte  e  serragli.  In  Bologna  però 
aU'epoca  di  cui  qui  si  parla,  durava  ancora  e  durò  sem- 
pre anzi,  benché  la  cinta  del  1070  noverasse  sedici  porte, 
Tantichissimo  riparto  a  cui  davan  nome  le  quattro  porte 
della  cinta  romana  distrutte:  e  cioè  Porta  Piera,  Porta 
Siiera,  Porta  Procula,  Porla  Ravegnana.  E  così  divide- 
vansi  le  milìzie  del  nostro  Comune  (3).  Anche  il  contado 
nostro  suburbano  che  si  disse  guardia  civitatis  perchè 
gli  abitanti  di  esso,  erano  tenuti  a  prestare,  in  ragione 
del  loro  censo,  diversi  servigii  di  scolte  diurne  o  net- 
tarne ai  ha^  accani  o  guardiole  della  cinta,  a  mantenere 
le  fosse  e  i  muraglioni  traversali  (transversas  lapideor 
in  forscis  eonstentesj  y  a  rompervi  e  mantenervi  rotto  il 
ghiaccio  onde  ninno  potesse  accostarsi,  era  diviso  in 
quattro  dipendenze  dai  suddetti  quartieri  di  città  secondo 
che  più  direttamente  vi  mettean  capo  le  strade  forali. 
Rilevasi  da  ciò  con  facilissima  quanto  fondata  induzione 
da  una  lunga  Provvisione  emanata  dal  Reggimento  di 


(I)  Ricotti:  AUi  della  R.  Acciid.  ecc. 

(t\  ~~  L'ordìDiimento  qoì  esposto  restò  leUeralneDte  in  vigore  tioo  a  eho 
It  fanoni  creando  infiniti  imbarazzi,  non  condussero  alla  triste  seetMità  di  ts- 
••Mare  Compagnie  di  Tentora,  straniere  od  indigene.  Ma  nebe  prima  r  antorìi- 
udone  data  alle  Arti,  di  armarti,  aveTa  portato  eolle  eocesioni  laa  grava  par- 
tarbaiiooe  nel  sistema  primitivo. 

\ì}  Camera  degli  Atti  (Arch.  NoL)  in  Hologoa.  Libar  continant  aamtaa  dno* 
ram  mtllium  peditom  popoli  portis  Galerlae  et  portis  Ceremeatinm  cifitatie  Bo» 
•oaiac  del  \ì»l. 


148  LK   COSPIRAZIONI   IHPBRIALI 

Bologna  li  13  Aprile  1475  (1),  per  regolare  gli  oneri 
della  Guardia  e  comitato  di  Bologna.  Benché  nel  1475 
la  Cfuardia  cimtatis  non  fosse  più  considerata  come  una 
Zona  amministrativai  pure  e  pei  richiami  a  tempi  ante- 
riori e  pei  nomi  che  conservavano  i  deputati  a  curare 
gli  interessi  della  popolazione  in  quella  compresi^  e  per 
Tappellativo  suo  medesimo,  è  chiaro  che  in  tempi  più 
antichi  la  guardia  cimtatis  fu  in  Bologna,  come  se  ne 
hanno  memorie  positive  per  le  città  di  Germania  (2) 
un^istituzione  se  non  esclusivamente,  certo  anche  militare. 

Unità  organica  della  fanteria  in  Bologna  apparisce 
il  guandmento  che  componevasi  di  venti  armati  :  della 
cavalleria  la  cavalcata  di  dieci  uomini  montati  (3). 
Quando  si  autorizzavano  le  Compagnie  delle  arti  ad  ar* 
mare  i  loro  soci,  era  lecito  a  questi  optare  o  per  la  mi» 
Uria  del  quartiere  in  cui  abitavano,  o  per  quella  della 
compagnia  d^arte  a  cui  appartenevano  (4)  La  divisione  delle 
milizie  per  quartieri  non  impediva  però  che  Toste  dei 
Comuni  Italiani  nel  secolo  duodecimo  rimanesse  dinanzi 
al  nemico  distinta  in  tre  file  o  categorie,  a  seconda  del- 
Tetà  e  quindi  della  maggiore  attitudine  alla  pugna. 

Riescivano  quindi  in  prima  fila  i  cittadini  dai  18  ai 
35  anni.  In  seconda  quelli  dai  35  ai  50,  e  nella  tersa 
i  più  vecchi,  quanti  altri  comecché  non  tenuti,  amassero 
provarsi  al  cimento  delie  armi^  e  gli  alleati  (5). 

11  concetto  fondamentale  della  miliria  dei  Comuni 
era  Tattitudine  più  alla  difesa  che  all'offesa.  Nelle  città 
viveva  una  popolazione  laboriosa,  tenerissiiAa  delle  buo- 

<i)  Ifcom  o|^  sad. 

ìfL)  CknmuL  Me  piMcaUma.  Anno  1161  -*  Di  tal  gaisa  è  descrìtta  in  qMttn 
CroniM  rordinn  dei  Bllnnesi  e  bresdani  nella  battaglia  di  Careano  contro  Fe- 
derico I. 

<8)  OnnAMO.  SlorìÈ  iella  $(àùtmtù  e  della  9enUù  iella  (/Mm. 

(i)  Sacchl  StatHto  GiTitatia  Bononiae.  Tom.  IL  pag.  47. 

(5)  —  Iti. 


DI  ROMAGNA  R   TOSCANA   BCC:  149 

ne  usanze  acquistate  man  mano  dopo  le  invasioni  bar- 
bariche ed  elevate  a  franchigie  privilegiate  dagli  Impe- 
ratori: una  gente  che  non  desiderava  le  avventure  dei 
cavalieri  erranti  ma  solo  la  felicità  del  suolo  nativo. 
Questa  gente  si  armava  solo  il  di  in  cui  faceva  mestie- 
ri correre  alle  mura. 

Quindi  poco  o  nulla  di  cavallerìa,  alla  quale  solo 
allora  si  pensò  quando  la  Lega  Lombarda  dovè  costi- 
taire  eserciti  destinati  a  battersi  in  campagna  aperta 
contro  altri  eserciti  i  quali  erano  formidabili  per  mol- 
tissimi cavalli. 

Il  nucleo  della  cavalleria  dei  Comuni  fu  costituito 
dai  Signori  del  Contado  vassalli^  valvassori  e  Cattaui 
feudali  che  le  città  andarono  sottomettendo  con  obbligo 
di  tenere  e  guardare  pel  popolo  le  rocche  e  i  passi 
che  dianzi  tenevano  pel  solo  Imperatore;  di  dimorare 
certi  mesi  delFanno  in  città.  Cosi  le  cose  si  decisero  di 
per  sé.  1  borghesi  trafficanti  che  non  avean  tempo  di 
addestrarsi  in  tempo  di  pace,  rimasero  pedoni  in  guer* 
ra:  i  nobili  ed  i  ricchi  preferirono  militare  a  Savallo  e 
furono  i  milites.  (1) 

La  mobilizzazione  delle  milizie  comunali  die  pure 
un  certo  impulso  allo  studio  degli  artificii  con  cui 
mantenere  intelligenze  fra  un  corpo  e  Taltro  dei  con- 
federati  insieme  operanti.  Si  conservano  ancora  esatte 
memorie  di  ingegnosi  sistemi  di  fuochi  (falò)^  così  bene 
concertati  da  significare  anche  di  lontano  quale,  perfi- 
no, il  numero  delle  forze  nemiche  in  marcia,  quale  la 
direzione  loro,  quali  le  mosse  da  preferirsi.  (2) 


(1)  Bigotti.  Atti  della  R.  Accademia  di  Torino,  Tolome  citato. 

(t)  Qoetto  sistema  di  segnali  era  già  perfesiOBatissimo  nella  prima  metà 
del  secolo  Xlll  Vedi  •  libro  de  U  conducta  et  del  campo  del  Comooe  di  Fio» 
rcau,  el  qaal  libro  ci  fo  tolto  quando  Air  scomfitU  a  MoBteaperti.  •  RiCOTTt 
Atti  dotta  a.  Accademia  delie  Scienxe  io  Torino.  Serie  11.  —  Tomo  1 


150  LB   COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

In  virtù  pertanto  dell'ordinamento  di  cui  mi  studio 
dare  un'  idea,  Bologna  trovossi  ben  presto  in  pronto 
per  marciare  alla  riscossa  contro  il  partito  imperiale  di 
Romagna. 

11  dì  convenuto,  ai  primo  rintocco  della  campana 
deirarrengo,  dovè  accendersi  secondo  l'usanza  di  que' 
dì,  la  torcia  a  Porta  Ravegnana  (1).  E  prima  che  il 
lucignolo  agonizzasse,  Toste  di  Bologna  dovè  trovarsi 
colà  radunata  attorno  al  nuovo  carroccio^  e  allo  squillo 
delle  trombe  usciva  dalle  mura  avviandosi  lungo  Ta- 
pennino  per  via  Emilia. 

Parecchie  descrizioni  del  carroccio  bolognese  ci  ri- 
mangono nelle  opere  dei  nostri  scrittori,  e  forse  desse 
possono  dirsi  esatte  se  intese  per  avventura  a  descri- 
vere l'ultimo  non  certo  il  primo  carrozzo  fatto  in  Bo- 
logna. 

Solo  il  Conte  Virzani  nella  sua  Storia  di  Bologna 
ha  tratto  dalle  cronache,  che  ebbe  sott'occhio,  e  dà  sot- 
to l'anno  1170  la  descrizione  di  un  carrozzo  di  Bolo-- 
gna  che  mentre  la  foggia  semplice  di  prima  invenzione  e 
che  dovrà  essere  in  ogni  modo  dei  più  antichi.  Ecco 
le  sue  parole:  «  Era  il  carrozzo  un  carro  di  quattro  ruo- 
te, assai  grande,  acconcio  di  sopra  in  quadro  a  guisa 
di  un  tribunale,  nel  quale  dieci  uomini  potevano  sedere: 
uno  di  essi  che  era  di  panno  rosso  e  bianco  alla  divisa 
dei  bolognesi  coperto,  vi  portava  lo  stendardo  princi- 
pale della  città  attaccalo  ad  un'antenna  la  quale  era 
piantata   nel    mezzo   ed  aveva  in  cima  una  croce  d'oro. 

(1)  I  Al  primo  squillo  della  campana  si  piantava  una  torcia  alla  porta  per 
cui  uscir  dovea  la  spediiione:  e  quanti  fosser  giunti  dopo  che  la  torcia  era 
consumata,  venivano  puniti  o  di  multa,  o  di  esilio  o  di  nota  infame.  Ricotti.  ■ 

A  Bologna  nel  131  i  punivansi  gli  stessi  Comuni  del  Contado  per  ogni  loro 
pedone  mancato  all'osto,  con  imn  mulla  di  Lire  <iii;jtlr<»  e  ^ol^li  (Hi*<t.  5r.\r.\- 
BF.LLI  Luciano  —  Relazione  dell'importanza  e  dello  sl.ilo  degli  Archivii  bolo- 
gnesi pag.  53. 


DI   ROMAGNA  K   TOSCANA  BGG  :  151 

Da  questo,  come  da  un  tribunale,  si  rendeva  dagli  uf- 
ficiali della  guerra  ragione  a  tutto  Tesercito:  ed  era 
ancora  ordinato  che  un  sacerdote  sopra  vi  stesse,  si 
per  dire  la  Messa  come  per  ministrare  i  sacramenti  ai 
feriti,  e  questo  tiravano  molte  paja  di  buoi  coperti  di 
panno  scarlatto  e  bianco  alla  divisa  della  città,  et  vi 
era  deputato  alla  guardia  un  valoroso  cavaliere  a  cui, 
perchè  fosse  più  ragguardevole,  era  dal  pubblico  dona- 
ta una  bella  falda  di  maglia,  una  spada  ed  una  cintu- 
ra dorata.  » 

Virzani  omette  dei  particolari  che  riscontransi  nei 
carrocci  più  antichi  e  dei  quali  Sigonio  e  Falleoni 
fanno  menzione,  descrivendo  appunto  quello,  secondo 
loro,  costrutto  in  Bologna  Tanno  1170,  e  cioè:  la  pic- 
cola campana  infissa  all'antenna,  dove  chiamata  Nola^ 
dove  Martinella^  e  le  funi  o  nastri  che  scendevano 
dairalto  delTantenna  medesima,  come  il  cordame  delle 
navi,  e  che,  o  fermate  alla  cornice  del  carro  nelle 
marcie  servivano  a  togliere  Teffetto  delle  scosse  sull'asta 
medesima,  od  in  più  lieti  momenti  erano  tenuti  pei  loro 
capi  dai  cavalieri  e  sapienti 

A  completare  siffatti  cenni  gioverà  dire  che  lo  sten- 
dardo maestro  di  Bologna  era  in  quei  tempi,  e  fu  anche 
per  tutto  il  secolo  decimoterzo,  una  bandiera  a  tre  ori- 
fiamme,  recante  una  croce  rossa  in  campo  bianco. 

Narrano  Sigonio  (1)  e  Falleoni  (2)  che  il  Vescovo 
Giovanni,  venuto  a  Porta  Ravennate  benedisse  piamen- 
te il  carroccio  e  che  dairalto  di  esso  i  consoli  come 
d^iso  arringarono  le  truppe. 

Coireste  bolognese  uscì  in  campo  contro  gli  Impe- 
riali di  Romagna,  anche  una  Compagnia  militare  detta 
dei  Lombardi  (3)  a  cui  si  volle  affidata  la  custodia  del 

(1)  C^nou  SicoMii  —  Do  cpiscopis  boDoniensibu». 
\  i)  Fallkomi  —  Storia  delU  Chiesa  Bolognese. 
(3)  CaroU  Sicomi  —  Uk»t.  Bon.  Lib.  IV. 


162  LB   COSPIRAZIONI   lUPKRIALI 

earfoceio  ateesoi  Compagnia  fondata  Tanno  innanzi  da 
150  famiglie  di  Milano,  Cremona  e  d'altri  luoghi  di 
Lombardia  che  nel  1162  fuggendo  dalle  rovine  ancor 
fumanti  delle  patrie  terre  desolate  dal  Barbarossa  eran- 
ài  ricoverate  sul  nostro  territorio  chiedendo  ospitalità. 

Il  popolo  bolognese  ebbe  di  que^  dì  subito  accolto 
òon  gran  favore  le  vittime  della  prepotenza  imperiale; 
e  con  atto  di  perpetua  concessione  assegnato  loro,  per 
abitàrvii  le  valli  di  Altedo  e  di  Minerbio.  In  compenso 
delle  quali  liberalità,  le  suddette  famiglie  lombarde 
sborsavano  alla  città  di  Bologna  la  somma  di  lire  due 
mila, 

Alle  distrette  in  cui  versò  Bologna  dopo  la  rotta 
del  Senio,  si  commossero  nobilmente  questi  ospiti,  e 
chiesero  di  armare  a  proprie  spese  una  compagnia,  la 
quale  infatti,  con  vessillo  a  rastelli  bianchi  su  fondò 
rosso,  (1)  militò  al  seguito  dell'oste  condotta  nel  1170 
èontro  i  federati  imperiali  di  Romagna  ed  anzi,  come 
dissi,  ebbe  in  difesa  il  novello  Carroccio.  Cosi  ne  parla 
Bartolomeo  della  Pugliola  nella  sua  cronaca  «  La  Com- 
pagnia dei  Lombardi  fu  cominciata  a  questo  tempo 
d'haomini  lombardi  fugiti  di  più  luoghi  di  Lombardia 
a  bologna  per  le  guerre  di  Federico  Imperatore:  questi 
armarono  e  condussero  detta  compagnia  contra  faentini 
pei  bolognesi  e  li  furono  in  apito:  poi  mantennero  det- 
ta compagnia  con  sua  bandiera  et  armi  per  li  bisogni; 
et  il  suo  ridotto  et  armario  si  conservano  in  S  Stefano 
che  vi  era  modo  di  armare  ogni  gran  compagnia  (1)  i 

(1)  La  Compagnia  dei  Lombardi  ha  soprarvissuto  felicemente  alle  Ticende 
di  tette  seeoli,  e  darà  tuttavia  in  Bologna,  costituita  da  50  famiglie  nobili,  con 
residensa  atUgna  alla  Basilica  di  S.  Stefano,  là  dove  ebbe  sede  ed  armeria  fino 
dagli  infiii  suoi. 

Si  hanno  memorie  di  tre  riforme  degli  statuti:  la  prima  del  1291  la  seconda 
del  1480:  la  terxa  del  17i8. 

Ho  presente  appunto  uoa  copia  manoscritta  di  questi  ultimi  statuti  riformati 


DI   ROMAGNA   B   TOSCANA  BCC  :  153 

È  poi  molto  verosimile  che  la  deliberazione  in  cui 
venne  il  Comune  di  Bologna  di  addottare  per  Toste  sua 
il  Carroccio  simbolo  della  patria  e  poderoso  argomento 
di  salda  tattica  militare,  si  dovesse  ai  consigli    di    quei 


•ol  IStt  ai  quali  va  innaoii  una  introduxione  storìoa  che  mi  piace  togliere  aUa 
•na  oseorìtà  eome  quella  che  può  dirsi  ana  (radixione  perpetuasi  di  generazione 
in  generaaione  in  seno  alla  Compagnia. 

fl  Essendo,  fino  dalP  anno  di  grazia  1170  stata  eretta  in  questa  città  di 
Bologna  U  Compagnia  militare  de*  Lombardi  da  150  fomiglie  di  Lombardia  fug- 
gite dalle  proprie  città  a  cagione  della  crudelissima  guerra  delPImperatore Fe<> 
derieo  I  Barbarbssa,  le  quali  furono  già  ricoverate  dagli  Eccellentissimi  Padri  di 
questa  nostra  patria  nel  116S,  che  con  molta  Liberalità  d*  animo  dieder  loro  a 
godere  la  Villa  di  Altedo  e  Mlnerbio  et  altro  DistreUo:  in  ricompensa  e  gratKn- 
dine  de*  quali  benefizi,  non  meno  che  ad  oggetto  di  non  esseme  pih  rimossi,  li 
medesimi  Lombardi  sborsarono  alli  suddetti  Padri  Lire  due  milla,  somma  per  altro 
te  quei  tempi  molto  considerabile.  Militarono  poi  in  vari  tempi  e  pili  volte  in 
congiuntura  di  Guerra  a  proprie  spese  sotto  le  Insigne  gloriose  dei  Bolognesi, 
COI  grosso  numero  di  Persone  ed  in  ispezie  nel  12^  contro  gli  Imolesi  ove  die- 
dero chiare  prove  del  loro  valore,  riportandone  segni  di  virtii  e  di  gloria,  eome 
di  ciò  ne  fanno  sicuro  Testimonio  e  le  Istorie  stampate  e  le  inedite,  oltre  un 
debole  avanzo  di  due  Chiavi  di  Ferro  che  la  edacltà  del  tempo  non  ha  potuto 
distruggere  e  che,  tuttavia  esistenti  nella  nostra  Residenza,  sono  dalle  Istorie 
medesime  e  dalle  tradizioni  annoverate  tra  le  spoglie  dei  saccheggiati  nemicL 

•  Per  le  quali  gesta  la  Repubblica  di  Bologna  onorò  i  Lombardi  conceden- 
dogli lo  stendardo  Rosso  col  distintivo  della  Giustizia,  come  altri  n*  ebbero  la 
Cespagttia  della  Griffonii  o  Branca,  affine  ancora  che  in  ogni  sediziosa  oceuione 
si  intromettessero  a  sedar  le  discordie  e  guerre  civili,  che  in  que*  tempi  Insor- 
gevano. In  proova  di  che  già  è  noto  che  questa  nostra  Compagnia  sostenne  la 
parte  de'  Geremei  che  aderivano  alla  fazione  Guelfa  neir acerbe  discordie  che 
questa  ebbe  coi  Ghibellini  che  favorivano  Y  Impero  contro  la  Chiesa,  rome  ben 
si  conosce  dalla  Prefazione  della  Matricola  d*  essi  Lombardi  deH*  anno  133i.  La 
Gospagula  del  quali  in  seguilo  dei  tempi  si  è  mantenuto  e  conservata  e  di  ge- 
nio per  la  patria  e  di  numero,  come  si  vede  da  una  numerosissima  matricola 
scritta  fino  dal  1C69  esistente  neU* Archivio  pubblico  o  Camera  degli  Atti  annessa 
agli  SUtnti  fatti  da  essa  nel  1tR7,  copia  autentica  delle  quali  si  serba  neU* Ar- 
chivio della  nostra  Compagnia,  come  pure  della  mentovata  Matricola  del  133i 
enunsiata  anche  negli  Statuti  fatti  nel  mese  di  Giugno  IMO  per  Rogito  di  ser 
Bonaventura  Paleotti  suo  Notare  e  di  due  altre  matricole,  una  del  1524.  r altra 
del  1564,  che  tutte  e  tre  rolla  moderna  si  ritrovano  nel  nostro  Archivio.  Dalle 
quali  cose  resta  abbastanza  assicurata  La  non  mai  intermessa  Loro  Radunanza.  • 

La  maggior  parte  dei  documenti  superiormente  citati  pare  non  esista  più 
neir  Archivio  attuale  della  Compagnia,  e  di  originali  depositati  alla  Camera  de- 
gli Atti  non  furono  esibite  che  le  riforme  del  l^t.  come  di9»i  piti  sopra. 

Ebbi  campo  di  osservarle:  sono  in  un  fascicolo  membranaceo  ben  conser- 
vato e  scritto  in  gotico  bellissimo.  Que'  statuti  recano  la  seguente  intestazione. 


154  LE   COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

lombardi  i  quali  ne  erano  stati  già  gli  inventori  ed  è 
rimarchevole  fatto,  anche  a  questo  proposilo,  come  li 
genere  d'armamento  dagli  statuti  più  antichi  che  abbia- 
mo della  città  di  Bologna  (1250)  prescritto  agli  uomini 
incaricati  di  vegliare  il  carroccio  appunto  rivelasse  un 
origine  o  una  tradizione  lombarda.  L'arma  dei  difensori 
del  carroccio  dovea  essere  cioè  la  raanaia  lombarda  a 
lungo  manico  volgarmente    detta   roncone   e    più   tardi 

Hec  sunt  ttatutùt  ordinamenta  et  sacramenta  socie  tatis  lombardorum  dvUatis 
bononiae  facto  et  condita  ad  honorem  omnipotentis  dei  et  intemerate  virginis  ma^ 
tris  ejus  prò  boM  et  ameno  et  pacifico  statu  societatìs  predicie. 

Nel  1i91  la  Compagnia  aveva  ancora  carattere  militare  e  conservava  r  ar- 
meria come  apparisce  dal  tenore  del  giuramento  dei  ministrali 

Le  cariche  rilevavansi  due  volte  r  anno  e  gli  ufficiali  percepivano  nn  ono- 
rario mensile:  i  militi  ricevevano  stipendio  dai  fondi  della  Compagnia  sola  quando 
marciavano  coli'  oste  o  cavalcavano  per  ordine  del  Podestà  di  Bologna. 

Le  infrazioni  commesse  dai  ministrali  come  dai  soci  venivano  punite  con 
multe  pecunarie  :  officio  di  un  Sindico  era  sorvegliare  anzi  i  ministrali  medesimi. 
Assisteva  il  Massaro  e  i  ministrali  un' assunteria  di  sei  sapienti 

Minute  disposizioni  vi  regolano  i  modi  di  elezione  alla  carica  e  vi  tessono 
tutta  la  graduatoria  delle  penalità  pecunarie. 

La  Compagnia  festeggiava  la  Festa  della  Purificazione  (S  febbraio)  e  Pasqua 
Rosa,  conforme  si  esprimeva  Io  statuto:  e  faceva  celebrare  una  messa  ogni  pri- 
ma domenica  del  mese. 

Anche  attualmente  la  Compagnia  dei  Lombardi  si  raduna  ogni  anno  neirot- 
tava  della  Purificazione  per  assistere  ad  un  servizio  religioso  e  rinnovare  le 
cariche  del  Massaro  e  dei  Ministrali,  come  tuttavia  chiamansi. 

Né  il  formulario  di  questa  solennità  religiosa  e  amministrativa  si  modificò 
gran  fatto  :  anche  oggi  a  un*ora  data  le  porte  si  chiudono  a  chiave  dietro  i  passi 
degli  entrati  e  in  faccia  ai  tardi:  anche  oggi  si  distribuisce  ai  singoli  soci  una 
fogaccia  e  un  cero  come  nel  1291.  É  in  tal  cerimonia  tutto  profumo  di  una  com- 
memorazione, ed  un  capitolo  degli  statuti  del  1291,  provvedeva  anzi  alla  nomina 
di  due  buoni  uomini  (boni  homiiies)  ai  quali  spetti  fabbricare  le  fogaccie  (foga- 
cias),  disponendo  che  le  fogaccie  abbiano  ad  essere  depositate  in  un  sacco  nella 
sacrestia  dei  Frati  Predicatori  prima  del  giorno  della  distribuzione,  donde  aspor- 
tare si  dovevano  alla  Residenza  della  Compagnia.  Forse  ricordavansi  e  ricor- 
dansi  cosi  i  mesti  giorni  della  guerra  e  dell'  esiglio,  le  patrie  terre  arse  e  di- 
strutte dal  Barbarossa,  gli  stenti  del  lungo  pellegrinare,  erano  forse  i  pani  fatti 
nella  fuga;  analogamente  all' aumo  che  ricordava  agli  Ebrei  Tesodo  dair Egitto 
0  il  viaggio  nel  deserto.  —  (Esodo  cap.  XXXIV  v.  18).  Piii  ampie  e  sicure  no- 
tizie di  questa  Compagnia,  che  perpetua  in  Bologna  la  tradizione  delle  due  al- 
leanze comunali  italiche  contro  Federico  1  e-  Federico  11,  si  avranno  quanto 
prima  da  una  preziosa  monografia  che  sta  scrivendo  il  conte  Neri  Malvezzi  di 
Bologna. 


DI  ROMAGNA   B   TOSCANA  BCC  :  155 

alabarda:  mille  e  cinquecento  guerrieri  almeno,  muniti 
di  sì  formidabile  arma  chiusi  in  osbergbi  e  gambiere 
ài  ferro,  circondarono  il  carroccio  di  Bologna  ogni  qual 
volta  per  decreto  del  Consiglio  generale  e  della  Credenza 
usc\  alla  Campagna  (1). 

Né  dai  consigli  bolognesi  si  era  mancato  di  chiedere 
aiuto  al  Conte  di  Bertinoro  ed  a  Guglielmo  III  della 
Marchesella  influentissimo  su  i  borghesi  di  Ferrara,  co- 
me a  due  migliori  e  più  prossimi  alleati  che  avesse  la 
causa  delle  libertà  municipali  e  religiose.  Era  questi 
Guglielmo  figlio  maggiore  di  Guglielmo  II  della  Mar- 
chesella, alla  munificente  pietà  del  quale  si  attribuisce 
la  stupenda  facciata  delFantico  duomo  ferrarese.  Parlilo 
quegli  nel  1146  per  la  crociata  in  Palestina,  restò  Fer- 
rara sotto  Tinfluenza  dei  Salinguerra  assai  favorevoli 
alle  rìgide  prerogative  imperiali,  ma  dal  1163  Guglielmo 
III,  reduce  di  Palestina,  avea  già  riavuto  in  mano  la 
direzione  della  pubblica  cosa;  ed  alla  calata  di  Federico  I 
nel  1 167  Ferrara  apparteneva  al  novero  delle  città  aper- 
tamente fedeli  al  Papa  Alessandro  e  favorevoli  alla  causa 
dei  Comuni  in  guisa  che  solo  l'ampiezza  dei  paduli  da 
cui  era  accerchiata  salvolla  in  quel  sopravento  passeg* 
giero  del  partito  di  Barbarossa  da  gravi  danni.  Appena 


(1)  —  D;il  Voi.  S  toUo  stmopa  deUa  stupenda  edliiooe  che  il  cav  Luigi 
Frati  per  ordine  del  Municipio  sta  compiendo  degli  ^  StaMa  Cmiaiù  Bononiae 
—  da  codici  membranacei  del  1i50-5i-59-60-^2-67,- potei  per  cortesia  del  sul- 
lodalo  illustre  paleografo  trascrivere  il  brano  seguente. 

•  ti  enm  tractatur  de  Caroccio  trahenda  for»s»  fiant  super  hoc  Consilia  gè- 
neralla  et  credentle  et  de  voi  untate  duorom  pariium  consiliorura  generaliom  sa- 
per hiis  »peciiiii(er  f:ictoruro  tcnptU  dktw  et  voluntatibug  et  consiliorum  Hloruro 
qui  eruol  ad  consiUum,  extrahatur  foras  carocium.  et  non  aliter;  et  ante  qoaro 
extrabatur  foras  carocium  elligantur  boroines  qui  debeant  esse  bene  armati,  qui 
associent  carrocium  temprt  esercitM  iila  quantflale  que  placet  ronsilio  et  sapien- 
tibus:  que  quantitas  sit  ultra  MV/  quorum  quilibet  habeat  usbergum  vel  pan- 
reriaro  cum  gamberi»  de  ferro;  rt  habitat  quilibet  unam  n\nnaratn  lombardam 
immanigalaro  longam  seo  ronconem;  et  nullus  sii  de  illts  quibus  impooantur  e- 
qnt,  vel  habeant  eqnos  de  armis.  ^  tlB.  x.  RtB.  XLiv. 


156  LB  COSPIRAZIONI  IMPXRUU  VCC: 

una  debole  mano  di  truppe  imperiali  riuscì  allora  a  va«- 
licare  gli  stagni  circostanti  ed  a  ristorarvi  momentanea* 
mente  Tosservanaa  rigorosa  delle  leggi  di  Roncaglia. 
All'epoca  di  cui  parliamo,  Guglielmo  IH  della  Marche^ 
sella  avea  già  riacquistato  in  patria  tutta  la  influenza  (1). 

D^altra  parte  erano  accorse  in  aiuto  di  Faenza  le 
milizie  della  Lega  imperiale  di  Romagna. 

Anche  questa  volta  lo  scontro  dei  due  eserciti  av<» 
venne  sul  Senio  al  ponte  detto  di  S.  Proculo.  In  un 
baleno  la  mischia  si  appiccò  violentissima  d^ambe  le 
parti  (1).  Parve  dapprima  che  la  vittoria  restasse  ai 
faentini  e  collegati,  ma  Toste  di  Bologna  con  uno  sforzo 
supremo  li  superò  e  pose  in  fuga  verso  la  città  (2).  Te* 
metterò  i  Consoli  bolognesi  di  qualche  nuova  insidia  e 
non  incalzarono  più  oltre  i  fuggitivi,  ma  cautamente 
avanzate  le  truppe  e  chiusa  ogni  via  posero  assedio  a 
Faenza  (3). 

Parve  dapprima  che  fosse  nelTanimo  degli  assediati 
resistere,  ma,  sopraggiunto  all'oste  bolognese,  Guglielmo 
della  Marchesella  (4)  i  faentini  inviarono  legati  al  campo 
per  trattar  la  pace  la  quale  fu  conchiusa  con  obbligar 
zione  ai  vinti  di  riparare  i  danni  e  render  piena  ragione 
a  Ravenna  (5).  E  in  effetto,  riavuti  i  prigionieri,  Toste 
di  Bologna  ritornò  gloriosamente  in  patria. 

(cmtinua) 

Alporso  RuBBum 


(f)  FRizn  —  Memorie  per  la  storia  di  Ferrara.  MAiom  Pemuhti  —  Coap. 
di  Storia  Sacra  e  Profana  di  Ferrara. 
(i)  Sicoiili  Carou  —  Hitth   Boa. 

(3)  —  iTi. 

(4)  La  marcia  dei  Ferraresi  è  segialata   nel  Frissi  e  nel  Maaini  coir  ocoi- 
pasiooe  di  Argenta. 

(5)  SiGomi  Garoli  —  HistlL  Bob. 


RASSEGNA  BIBLIOGRÀFICA 


NOTIZIE  STORICHE 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


Rassegna  BiUiograOea 


Collezione  di  documenti  siorici  antichi  inedili  ed  editi  rari  delle 
città  e  terre  fnarchigiane,  eseguita  da  una  società  di  studiosi 
ed  eruditi^  coadiuvata  e  sussidiata  dalla  Commissione  conser^ 
vatrice  dei  motiumenti  nelle  Marche,  per  cura  di  C.  Ciavarixi 
—  Tomi  1%  2^  e  3^  —  Aucona,  Tip.  del  Commercio,  1871 
a  1874.  — 

Non  crederei  di  potere  in  miglior  modo  dare  principio  alla 
rassegna  bibliograGca  di  questo  periodico  che  coi  parlare  di  un'  o- 
pera  che»  publicata  da  alcuni  anni,  non  ha  perduto  niente  della 
sua  opportunità  e  fa  molto  onore  a  chi  primo  l'ideava»  a  chi 
in  modo  efficace  l'aiutava  ed  anche  al  paese  in  cui  viene  in  luce, 
e  che  meriterebbe  di  essere  più  conosciuta  di  quello  che  sia  dagli 
studiosi  delle  patrie  memorie,  perchè  vi  rinverrebbero  un  tesoro 
di  documenti  preziosissimi  saggiamente  ordinati  con  opportune  av- 
vertenie  sull' importanza  loro,  e  dei  quali  potrebbero  valersi  con 
vantaggio  per  raccontare  molto  più  veridicamente  di  quello  che 
si  sia  fatto  sinora  parecchie  delle  vicende  storiche  del  nostro 
paese. 

Pino  che  i  documenti  stanno  nascosti  sotto  la  polvere  negli 
scaflali  degli  archivi  cittadini,  spesso  disposti  senza  alcun  ordine 
e  senza  alcun  criterio  sia  cronologico,  sia  delle  materie  di  cui 
tratiano,  riesce  malagevole  e  noioso  ai  più  il  consultarli;  oltre  di 
che  il  dovere  recarsi  in  un  Archivio  per  consultarne  le  carte,  le 
quali  naturalmente  non  si  possono  di  li  esportare  per  poter  con 
tutto  l'agio  esaminarle  per  valersene  allo  scopo  per  cui  debbono 
servire,  l'orario  spesso  incomodo  per  cui  nelle  ore  che  uno  ha 
di  ozio  e  che  consacrerebbe  allo  studio  degli  antichi  codici,  non 
sempre  è  possibile  l'accedere  nel  locale  dell'archivio,  sono  ragioni 
tutte  che  fanno  desiderare  che  almeno  i  documenti  più  importanti 
che  vi  stanno  racchiusi  vedano  la  luce  per  le  stampe.  A  questo 


160  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

iooltre  bisogna  aggiungere  che  quand'  uno  abbia  necessità  di  con- 
sultare le  carte  esistenti  in  un  archivio  di  un'altra  città,  o  biso- 
gna che  vi  si  rechi,  il  che  non  sempre  è  possibile,  o  deve  farle 
esaminare  da  altri  che,  non  conoscendo  lo  scopo  per  cui  Y  esame 
vien  fatto,  possono  trascorare  dei  particolari   interessanti  i  quali 
lor  non  paiono  tali.  Questi  furono,   secondo  me,  i  principali  mo- 
tivi che  spinsero  qua  e  là  alcuni  valenti  cultori  delle  antiche  me- 
morie a  trascrivere  e  a  publicare  ordinati   secondo  certi   crìterìt 
i  pia  importanti  documenti;   e   nel   genere  di   tali  publicazioni, 
molto  più  frequenti  all'estero  che  in  Italia,  non  si  deve  certo  Fui- 
limo  luogo  alla  collezione  a  cui  con  intelletto  d'amore  attende  il 
cav.  prof.  Carisio  Ciavarini,  il  quale  nel  primo  volume  cosi  rende 
conto  dello  scopo   nobilissimo  che  la  sua  impresa   si   propone: 
«  Raccogliere  dagli   Archivi  publici  e  privati  delle  Marche  i  do- 
«  eumenti  storici  più  importanti  dei  tempi   di   mezzo  inediti  ed 
«  editi  rari,  e   publicarli  per  assicurarne   la  conservazione,  per 
«  moltiplicarli  a  beneficio  delli  studiosi,  per  compilarne  la  storia 
«  marchigiana  a  vantaggio  del  futuro  scrittore  dell'  Italiana,  è  il 
«  vero  intendimento  di  questa  Collezione.  »  Ed  i  tre  volumi  che 
sinora  furono  publicati  non  vengono  meno  a  tale  intendimento,  e 
meritano  che  qui  se  ne  dica  alcuna  cosa. 

Il  primo  volume  contiene  le  Cronache  Anconitane  di  Lazzaro 
Beraabei,  sinora  inedite,  nelle  quali  sono  narrati  gli.  avvenimenti 
dei  secolo  XII  sino  al  1497,  e  sono  importantissime  per  l'ingenuo 
candore  con  cui  il  cronista  racconta  i  fatti,  sebbene  mostri,  come 
tutti  i  cronisti  di  quell'epoca,  di  non  bene  conoscere  quell'arte 
critica  per  la  quale  lo  storico  deve  in  mezzo  alle  tradizioni  degli 
avvenimenti  succeduti  in  epoche  da  lui  lontane  saper  scemere 
quanto  v'abbia  di  vero  e  quanto  di  falso  e  non  lasciarsi  abbagliare 
dagli  splendori  delle  creazioni  della  fantasia  popolare,  che,  nei 
primordi  di  ciascuna  civiltà,  mescola  al  vero  il  soprannaturale 
ed  il  meraviglioso  per  fare  maggiore  impressione  sugli  ascoltatori; 
però,  nelle  condizioni  in  cui  si  trovava  la  coltura  generale  di  quel 
tempo,  non  si  può  pretendere  che  il  Bemabei  restasse  immune 
dai  difetti  in  cui  incapparono  gli  altri  scrittori  suoi  contemporanei; 
ma  quando  viene  a  dire  dei  fatti  che  gli  erano  benissimo  noti, 
si  ammira  in   lui  lo  studio  che  pone  a  raccontarli   con  scropo* 


KASSKONA    KIBLIOaKAFICA  161 

Iosa  rcfiolln  sino  noi  più  ininnli  parlicolari,  e  con  queiraorcti 
scuipliciui  e  forbilc/za  ili  lingua  o  di  stile  por  cut  sono  gran- 
dotneote  lodati  gli  scrillori  dol  quaUrocento.  —  Per  la  qaal 
cosa  questa  Cronaca  del  Bornaboi  non  solo  ha  una  grandissima 
importanza  dal  lato  storico,  ma  ancora  da  quello  letterario,  ed 
io  credo  che,  come  nelle  nostre  scuole  si  usatio  per  lesti  di 
lingua  altre  cronache  di  quell'epoca  meritamente  famosa,  vi  si 
p'itesso  introdurre  ancor  questa  da  cui  i  giovani  imparerebbero 
come  la  proprietà  del  linguaggio  conferisca  non  poco  all'eleganza 
dello  scrivere,  e  come  la  naturale  semplicità  sia  da  preferirsi 
agli  artificiosi  giri  di  parole  coi  quali  sembra  che  alcuni  rogliano 
quasi  nascondere  la  vacuità  delle  idee.  E  a  meglio  raggiangercr 
questo  scopo  che  lopera  del  Bernabei  divenisse  libro  di  lesto  per 
le  scuole  sarebbe  da  augurarsi  che  il  benemerito  editore  si  ae- 
cingesse  a  farne  un'edizione  economica,  che  fosse  faeiiroetile  ae« 
cessibile  ai  giovani  studiosi. 

Intorno  al  Bernabei  ed  alle  sue  Cronache  il  Cav.  Ciavarinf 
dà  con  diligenza  tutte  quelle  maggiori  notizie  che  pu^,  e  tu  non 
sai  se  in  «luesta  prefazione  la  dottrina  vinca  la  paziente  eura 
delle  ricerche  storiche,  o  se  debbasi  al  Ciavartni  maggior  lode 
come  scrittore  facile  ed  elegante  o  come  storico.  La  pnbblicatio» 
DO  è  pei  arricchita  di  opportune  note  iUustrative,  daHe  quali 
appariscono  le  varie  lezioni  dei  codici  e  vi  si  accennano  le  ni« 
gioni  per  le  quali  si  è  creduto  nel  lesto  di  seguir  piuttosto  Tmiaf 
che  l'altra;  né  a  questo  solo  si  bada,  ma  si  chiariscono  ancora 
i  luoghi  dubbi  e  la  diversità  che  in  alcuni  punii  si  riscontra  dal 
racconto  che  fa  di  certi  fatti  il  Bernabei  con  quello  di  altri  slorict 
che  i  medesimi  ricordarono,  cercando  di  mostrare  con  sanane»* 
me  critico  chi  sia  nel  vero.  A  questo  poi  si  aggiunge  un  indice 
storico  geografico,  lavoro  di  pazienza  e  diligenliaaimo  delle  stesso 
Ciavarini  che  accresce  il  pregio  del  volume.  Ma  se  importnnti 
erano  gli  avvenimenti  ricordati  dal  Bernabei  sino  al  1497»  e 
cioè  durante  il  maggior  periodo  della  libertà  di  Anoonai  che  nel 
medio  evo  al  pari  delle  altre  terre  italiane  si  resse  a  repnbbliea, 
non  meno  iinporlaiUi  erano  quelli  degli  anni  successivi  sino  ni 
Vólii,  epoca  io  cui  per  tradimento  di  un  papa,  Clemente  Vili 
di  casa  Medici,  cadeva  la  libertà  Anconitana,  oome  per  tradimen* 

Arch.  Star,  ìlarrh.  V  l  \\ 


162  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

lo  dello  stesso  cadde  la  gloriosa  Repubblica  Fioreoiina;  e  ben 
fece  il  Ciavarini  ad  aggìuogere  come  appeodice  alle  Crooache 
del  Bernabei  uà  Capitolo  della  Cronaca  di  Bartolomeo  Alfeo,  re* 
lalivo  alla  sottomissiooe  di  Aocona  al  dominio  pontificio,  e  il 
Processo  di  Vincenzo  Fanelli,  che  del  malgoverno  pontificio  in 
Aocona  sino  dai  primi  momenti  di  sua  esistenza  fa  lai^  testi- 
monianza, cosi  venne  a  dare  raccolte  tutte  in  un  volume  le  prin- 
cipali vicende  della  Repubblica  Anconitana  in  un'epoca  importan- 
tissima. Non  è  questo  il  luogp  di  riassumere  quei  due  documenti, 
ma  certo  leggendoli  vedrebbero  coloro  che  vantano  il  legitti- 
mo dominio  della  Chiesa  su  Ancona  per  quali  arti  subdole  per- 
venisse la  Curia  Romana  ad  impossessarsene,  ed  a  consolidarlo.  — 
Né  qui  è  da  passare  sotto  silenzio  la  bibliografia  marchigiana  di 
cui  il  Ciavarini  ha  voluto  il  suo  libro  arricchire,  nella  quale  se 
per  avventura  alcuno  potrà  notare  l'assenza  di  qualche  opera, 
pure  il  ricordo  che  vi  si  fa  di  moltissime  può  giovare  non  poco 
a  quelli  che  volessero  darci  un  completo  catalogo  dei  libri  che 
nelle  Marche  furono  stampati  nelle  varie  epoche. 

Il  secondo  volume  di  questa  Collezione  è  il  primo  delle  Carte 
Diplomatiche  Fabrianesi,  raccolte,  ordinate  e  collazionate  su 
diversi  codici  con  diligente  dottrina  dal  prof.  can.  A.  Zonghi,  ed 
è  volume  preziosissimo  in  cui  gli  studiosi  rinverranno  messe 
copiosa  per  i  loro  studii,  essendone  grati  al  dotto  e  benemerito 
collettore  il  quale  coll'apprestare  questo  volume  ha  reso  un  im- 
portante servigio  non  solo  alla  storia  municipale,  ma  ancora 
alla  nazionale. 

La  moltiplicità  e  varietà  dei  documenti  mi  dispensa  dal  fame 
qui  un  riassunto  perchè  dovrei  andare  soverchiamente  in  lungo, 
anche  volendo  darne  soltanto  una  pallida  idea,  quindi  mi  limi- 
terò solo  a  ricordare  come  una  dotta  prefazione  dello  Zoq^ 
fende  ragione  dell'ordine  tenuto  nella  publicazione  dei  documenti 
eh'è  il  medesimo  seguito  in  consimili  libri  dal  Turelli,  dal  Vo- 
gel,  dall'Acquacotta,  dal  Deminicis,  dal  Bonaini  e  da  altri,  non 
dimenticando  di  far  rilevare  l'importanza  dei  documenti  medesi* 
mi.  L'inventario  dell'Archivio  comunale  di  Fabriano,  l'elenco  delie 
castella  e  ville  dipendenti  dal  comune  di  Fabriano  nell'epoca  me- 
dioevale  e  la  bibliografia  storica  fabrianese  accrescono  il  valore 


KAS^BONA   BIBLIOGRAFICA  163 

e  Tinteressc  di  questo  secondo  tomo  della  Collezione  storica. 

Nel  terzo  volume,  che  è  ruilimo  venuto  in  luce,  soo  pubbli- 
cati gii  Siaiuti  del  Montefeltro,  di  Peglio  e  di  Gradava  trascrit- 
ti ed  annotati  dal  prof.  cav.  Giuliano  Vanzolini,  a  cui  vanno  ìd- 
oanzì  alcune  parole  di  prefazione  del  prof.  Ciavarini,  colle  quali 
sì  mostra  quanta  e  qoale  importanza  storica  abbia  la  pubblica* 
zione  degli  statuti  delle  tre  terre  pesaresi  fatta  dal  Vanzolini.  E 
dopo  dì  questo  il  Ciavarini  viene  a  dire,  giustamente,  come  da 
essi  rilevasi  che  nei  nostri  popoli  l'amore  della  libertà  e  dell'in- 
dipendenza fu  sempre  potente,  e  che  negli  ordinamenti  della  ci- 
vile amministrazione  si  hanno  forse  i  più  antichi  esempi  delle 
moderne  monarchie  costituzionali,  che  invece  molti  vanno  a  cer- 
care presso  le  nazioni  straniere.  Lamenta  poscia  che  la  storia 
nostra  in  molte  parti  sia  stata  raccontata  in  modo  falso»  special- 
mente per  adulazione  ai  vari  padroni  che  ebbero  gli  italiani»  a 
cui  premeva  di  spegnere  io  essi  ogni  civile  virtù,  ogni  fiducia 
selle  proprie  forze  morali  e  materiali  pel  riacquisto  di  quei  som- 
mi beni  dei  quali  possono  i  popoli  godere,  che  sono  la  libertà  e 
riodipendenza. 

Acerbo  mi  pare  e  troppo  assoluto  il  giudizio  che  dei  mar- 
chigiani dei  giorni  nostri  fa  il  Ciavarini,  il  quale  dice:  «  Confes- 

•  siamo  che  tuttavia  nelle  popolazioni  marchigiane  faltri   il  dica 

•  delle  altre  italiane)  tutto  è  da  riformare:  spazzare  la  vigliac- 

•  eheria  delle  plebi  titolate  o  no,  abbrutite  dalla  schiavitù  di 
«  tre  secoli  (dal  XVI  al  XIX;;  abbassare  l'alterigia  dei  feudatari, 
«  nobili  e  preti  sebbene  eredi  i  più  del  casato,  pochi  eziandio 
«  del  censo  avito,  pochissimi  delle  virtù;  moderare  l'insolenza 
«  delia  gente  nuova;  purgare  le  menti  dei  pregiudizi.  •  —  Dopo 
di  che  insiste  sulla  necessità  di  mettere  in  luce  tutti  i  veri  do- 
cumenti della  vita  italiana  per  poterne  compilare  la  istoria  infal* 
libile,  senza  vituperande  adulazioni,  senza  secondi  fini,  che  sono 
sempre  nn  attentato  alla  verità  e  falsano  lo  scopo  della  storia, 
che  è  d'insegnare  ai  presenti  ed  ai  futuri  coll'esempio  del  pas- 
sato. Però  in  quest'opera  di  mettere  in  luce  i  documenti  che  si 
riferiscono  alle  epoche  anteriori  alla  presente,  trova  il  Ciavarini 
cbe  neNe  Marche  molti  studiosi  hanno  atteso  sinora  a  pubblicare 
carte  di  piccolissimo  valore,  mentre  gli  Archivi  offrono  coso 


164  Rassegna  bibliografica 

importantissime.  «  Se  non  che,  soggiunge  il  Ciavarini,  i  più 
«  valenti  sono  (inora  sgumeulali  da  due  cagioni:  la  mancanza  di 
«  adegualo  compenso  alle  fatiche  necessarie  a  siffatti  studi,  e  la 
<  mancanza  di  archivi  storici.  »  Per  la  qual  cosa  fa  voti,  ed  in 
questo  tutti  si  uniranno  a  lui,  perchè  almeno  si  pensi  al  riordi- 
namento degli  archivi,  perchè  le  ricerche  e  gli  studi  dei  dotti 
e  pazienti  cultori  delle  patrie  memorie  siano  agevolati.  — 

Ma  il  tempo  stringe,  e  a  me  conviene  lasciar  di  discorrere 
della  bella  prefazione  del  Ciavarini  per  venir  a  dire  alcuna  cosa 
della  materia  contenuta  in  questo  tomo  terzo,  messo  insieme  per 
le  diligenti  cure  del  chiarissimo  sig.  prof.  cav.  Giuliano  Vanzolini. 

É  per  la  prima  volta  che  l'egregio  professore  pesarese  fa 
conoscere  gli  Slattiti  di  Gradar  a^  Peglio  e  Monte  feltro  che  sono 
dei  più  antichi  della  Provincia  di  Pesaro  e  Urbino  i  cui  originali 
si  conservano  neìV Archivio  metaurense,  ed  in  essi  gii  studiosi 
troveranno  grande  copia  di  notizie  che  varranno,  come  ben  dice 
il  cav.  Vanzolini,  a  rendere  testimonianza  degli  usi,  delle  fogge 
del  vivere^  della  civiltà  ed  ancfie  del  buon  senno  de'  nostri  an- 
tepassati.  Gli  statuti  di  Gradara  vennero  dati  da  Malatesta,  come 
può  anche  vedersi  nelle  Famiglie  illustri  italiane  del  Passerini 
(Tav.  IV  col.  ulL);  sono  dettati  in  latino  e  vi  si  contengono  le 
disposizioni  per  le  procedure  civili  ed  altre  giudiziarie,  per  i 
mercati,  per  la  proprietà  e  le  formalità  da  adempiersi  per  tra- 
smetterla ad  altrui,  per  i  rapporti  tra  padroni  e  coloni  delle 
terre,  per  le  opere  di  publica  utilità  come  sarebbero  ponti  e 
stradCi  per  le  pene  contro  i  ladri,  gli  assassini  ed  i  falsari,  per 
la  nettezza  publica  etc.  etc.  Agli  Statuti  tengono  dietro  varie 
istanze  del  Comune  di  Gradara  alla  Duchessa  di  Urbino  per  re- 
clamare contro  le  vessazioni  degli  esattori  dei  tributi,  o  per  ot« 
tenere  grazie  speciali,  ed  i  rescritti  ed  ordinanze  fatte  in  propo- 
sito. Gii  Statuti  di  Peglio,  largiti  da  Francesco  Maria  della  Ro- 
vere duca  di  Urbino  nel  1617,  si  dividono  in  tre  libri,  dei  quali 
il  primo  si  occupa  delle  cose  civili,  il  secondo  delle  cose  cri- 
minali, il  terzo  infine  si  occupa  dei  danni  recati  ad  altrui  per 
qualsiasi  modo.  Seguono  vari  decreti  e  lettere  ducali  importantissime. 

Gii  Statuti  del  Monlefeltro  sono  dettati  in  italiano  in  essi  pure 
sono  disposizioni  intorno  alle  cose  civili,  criminali  e  penali.  — 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  ìfSÒ 

lo  non  posso  in  una  rassegna  neppur  brevemente  riassumere  tul- 
le le  disposizioni  contenute  in  queste  leggi  o  statuti,  ma  chi  vor- 
rà studiarli  vi  troverà  notizie  preziose  sotto  ogni  riguardo,  e 
vedrà  come  molti  di  quegli  ordinamenti  siano  informati  a  savie 
massime  di  governo,  come  molti  ancora  oggi  coi  progressi  delie 
seieoze  econoroiciie  e  legislative  non  sarebbero  più  neppur  tolle- 
rabili, da  cui  si  conosce  come  Io  stato  ed  il  comune  tendevano 
a  regolare  ogni  cosa  e  ad  assorbire  per  sé  la  maggior  parte  dei 
diritti  degli  individui,  il  che  ora  non  può  esser  di  certo  rìcono- 
scinto  per  giusto,  poiché  si  sa  che  lo  stato  deve  essere  il  tutore 
e  non  il  violatore  dei  diritti  di  lutti  e  di  ciascuno  e  che  solo 
può  limitare  la  libertà  e  diritti  dei  cittadini  quando  ciò  sia  re- 
clamalo dalla  tutela  della  libertà  di  tutti.  Cosi  oggi  che  la  libertà 
di  coscienza  si  reputa  a  buon  diritto  cosa  sacrosanta  non  po- 
trebbe ammettersi  che  lo  stato  venisse  fuori  con  disposizioni 
come  quelle  contenute  negli  statuti  dei  duchi  di  Urbino,  come 
colle  teorìe  moderne  sulla  libertà  di  commercio  non  si  potreb- 
bero conciliare  le  disposizioni  restrittive  che  in  quei  tempi  si 
prendevano.  Ma  con  tutto  questo  ci  sono  degli  ordinamenti  savi 
da  cui  i  nostri  uomini  di  stalo  potrebbero  trarre  profitto  nel 
governo  della  publica  cosa,  e  gli  studiosi  poi  da  questa  publi- 
cazione  del  Vanzolinì  possono,  come  già  dissi,  trarre  gran  lume 
per  ben  intendere  i  costumi  e  gli  ordinamenti  civili  che  in  quei 
giorni  vigevano.  —  Il  benemerito  editore  ha  aggiunto  a  pie'  del 
volarne  un  accurato  e  paziente  indice  alfabetico  dei  nomi  e  del- 
le cose  più  importanti  indicate  nel  libro,  che  agevola  non  poco 
le  ricerche  che  si  volessero  fare,  però  io  credo  che  se  egli  aves- 
se premesso  all'opera  sua  una  introduzione  che  servisse  ad  il- 
lustrare i  codici  da  lui  mes^i  in  luco,  a  farne  rilevare  le  dispo- 
sizioni più  tm|M)rtanti  avrebbe  fatto  cosa  di  cui  quanti  si  occu- 
pano dello  ricerche  islorichc  gli  sarebbero  stati  grandemente 
tenuti. 

E  qui  per  questa  volta  basti  della  ColUzioue  storica  tnar- 
cféiffiattn,  della  quale  avrò  occasione  di  tornar  a  discorrere  quan- 
do narà  pubblicato  il  IV  tomo,  che  sta  per  darsi  alle  stampe. 

Cbs.vae  Rosa 


166  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  palazzo  del  Comune  di  lesi  —  MonograGa  con  appeodicc  dì 
doGumeoti  per  Asttoxio  Giakahdrea.  —  lesi,  Tip.  Fratelli 
Ruzzini,  1877.  — 

£  questo  un  lavoro  serio,  condotto  con  dottrina  e  diligenza 
gomme  come  suol  fare  in  tntte  le  cose  sue  l'egregio  raccoglitore 
ed  illustratore  dei  Comi  popolari  marchigiani^  e  merita  che  qui 
se  ne  dica  alcuna  cosa. 

Comincia  l'autore  coiraccennare  come  il  palazzo  del  Comune  di 
Iesi  sia  una  delle  più  pregevoli  opere  dell'epoca  del  rinascimento, 
dall'indioare  qual  sia  la  posizione  sua,  quale  la  sua  architettura. 
Ricorda  che  :  una  svelta  aliissima  e  assai  bella,  torre  a  tre  or- 
dini ne  sormontava  m  origine  l'angolo  anteriore  destro;  ma  ro- 
vinata per  difettosa  struttura  nel  1657  venne  sostituita  dalla 
presente^  cht^  goffa  e  disadatta^  troppo  inai  corrisponde  all'ar- 
monia dell'insieme.  Poi  passa  a  descrivere  la  struttura  e  la  di- 
sposizione delle  parli  interne,  mettendone  in  rilievo  la  regolarità, 
la  ricchezza  ed  eleganza,  dopo  di  avere  a  ragione  biasimato  che 
alle  colonne  del  secondo  portico,  a  parecchi  conci  in  pietra  ed 
agli  affreschi  un  50  anni  fa  sia  stalo  dato  il  bianco.  —  Dì  poi 
l'autore  con  sana  critica  viene  a  stabilire  che  l'alluale  palazzo 
del  Comune  di  Iesi  fu  opera  di  Francesco  di  Giorgio  Martini  se- 
nese, pittore,  scultore,  architetto  celebralissimo  del  suo  tempo 
mentre  altri  lavori  e  decorazioni  del  palazzo  medesimo  furono 
opera  d'altri  valenti  artefici  tra'  quali  si  ricordano  Andrea  Con- 
lucci  di  Monte  Sansovino,  Pielropaolo  Agapili  da  Sassoferrato, 
forse  Ottaviano  Zuccari  e  Pompeo  da  Fano,  lo  non  seguirò  qui 
passo  passo  l'egregio  scrittore  in  tutto  quello  che  dice  per  con* 
Altare  le  opinioni  diverse  con  cui  l'opera  viene  ad  altri  attri- 
buita e  per  mostrare  la  verità  della  sua,  solo  accennerò  come 
egli  per  questo  si  appoggia  all'autorità  di  documenti  importan- 
tissimi da  lui  ritrovati  negli  Archivi  di  Iesi,  e  contro  i  quali 
nulla  si  può  opporre. 

Questa  importante  monografia  dell'egregio  Prof.  Gianandrca 
si  chiude  colla  pubblicazione  di  documenti  inediti  che  si  riferi- 
scono all'argomento  àtì  lui  Irallato,  e  cioè:  1.  Istrumento  di  lo- 
cazione  della   fabbrica   del   palazzo.    Reg.    1485-90   e.  26,  27. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  167 

9*  Due  tariffe  dì  prezzi  di  carni  eslratle  dai  capitoli  per  l'ap- 
pillo  della  beccherìa.  —  S!*  loveotario  delle  suppellettili  del  pa* 
lazio.  —  4*  Conto  di  lavori  fatti  per  il  palazzo  da  Michele  da 
MilaDO  e  Alvise  suo  figliuolo.  Reg.  1496-98.  e.  165  tergo.  — 
5*  Stima  delle  finestre  del  palazzo  lavorate  da  Michele  da  MU 
bno  e  Alvise  suo  figliuolo:  2  maggio  1499.  Lib.  dei  Reg.  e.  63. 
—  6*  CoAveozioiie  per  la  pittura  della  Cona  della  cappella  con 
■Mestro  Pompeo  da  Pano.  —  Spec.  debita  1K32-39  e.  184  f.  e 
185.  —  7*  .Cessioni  parziale  e  lotale  del  palazzo  ai  governatori 


E  qui  ora  altro  non  mi  resta  che  rallegrarmi  coll'egregio  prof. 
Gianandrea  per  Tamore  con  cui  attende  al  culto  delle  patrie  me- 
morie, augurando  ch'egli  continui  ad  illustrare  la  storia  ed  i 
moQumenU  delle  nostre  Marche  con  altre  importanti  monografie. 

.  Cesare  Rosa 

Bruto  Amaitte  —  Di  Amedeo  d%  Savoia^  figlio  di  Emmanuel  Fi' 
liberto  —  Ricerche  Biografiche  —  Macerata,  Cortesi,  1877. 

Molto  erudito  lavoro  è  questo  di  Bruto  Amante  che  già  noto 
a^i  storici  per  un  brillante  studio  su  La  Rivoluzione  Francese  e 
r  ottimo  de'  pretesi  Luigi  XVII  e  per  la  Commemorazione  del  3638® 
Natale  di  Roma  da  lui  fatta  il  2 1  Aprile  1 878,  fu  anni  sono  gior- 
nalista battagliero  e  vittorioso  dirigendo  in  Macerata  da  libero 
Italiano  e  da  pensatore  libero  la  Confederazione  Latina.  B  mag- 
gior fama  l'Amante  otterrà  allora  che  verrà  publicando  (involon* 
lario  rivale  del  Lanzani)  lo  Studio  su  gli  Storici  Italiani  dal  1800 
al  1860. 

Propostosi  di  rinnovare  la  fama  d'Amedeo  figlio  d'Emanuele 
Filiberto  e  dipingerne  i  tempi  e  l'età,  l'Amante  ha  sotto  l'aspetto 
d'in  tenui  tabor  molto  condensato,  e  proprio  si  vede  l'uomo  che 
sa  più  di  quello  che  mette  fuori  e  sente  il  bisogno  di  manifestare 
t  giudizi  propri  con  un  inciso,  un'aggettivo,  una  reticenza.  E  di- 
stribuita l'opera  in  tre  parti,  egli  passa  dalle  notizie  di  Anton 
Francesco  Scaramuccia  educatore  d'Amedeo  nella  marchigiana 
Mootecassiano  a  quelle  della  gioventù  del  Prìncipe  e  delle  sue  am- 


168  Rassegna  bibliografica 

iiasciale,  per  chiuder  poi  con  uu  cccellenle  sommario  de' costumi, 
laUi  d'arme  ìd  Piemonte,  iu  Savoia  e  in  Provenza.  Né  tace  che 
Gibrarìo  sulla  tomba  del  Principe  là  a  S.  Michele  della  Chiusa  ha 
scrino:  Amedeus  —  Ducis  Emm.  Philiberli  Nolhus  —  Marchio  S. 
Raguemberti  —  Decessit  A  MDCX.  — 

Perocché  nato  da  Filiberto  e  Lucrezia  Proba  verso  il  ISSO,  Don 
Anedeo  (e  Tonso  che  scrisse  sedici  anni  appena  dopo  la  morie 
deir  illustre  Sabaudo  era  iu  caso  di  sapere  addentro  ed  esatta- 
meDie  ogni  cosa)  fu  adolescente  ancora  mandalo  a  Montecassiano 
perché  vi  si  istruisse,  e  il  matrimonio  di  suo  padre  con  Marghe- 
rita di  Francia  non  gliene  scemò  TafTetto  grandissimo  e  costante. 
Aazi,  insignitolo  di  Commende  e  titoli,  ancora  venticinquenne  crcollo 
Capitano  dei  Cavalleggieri  e  Marchese  di  S.  Ramberlo,  e  il  30 
Agosto  1580  morendo  lo  raccomandò  a  Carlo  Emanuele  I  perché 
se  ne  servisse  sempre  come  di  braccio  fedele  e  diplomatico  sa- 
gace. Il  giovane  Duca  inflitti  e  per  ben  trenl'anni  ebbe  caro  Ame- 
deo; e  io  inviò  ambasciadore  di  sue  nozze  in  Ispagna  e  alla  Corte 
di  quel  terribile  Sisto  V  che  trovate  le  chiavi  che  cercate  aveva 
guardava  baldo  il  cielo  e  meditava  atterrare  i  Turchi  alleando 
contro  di  loro  iin  la  Persia,  i  Drusi  e  gli  Arabi,  andò  negoziatore 
delicatissimo,  e  dal  Lilla  e  dal  Demonpieìncliamp  e  dal  Videi  (la 
cui  Storia  del  Coneslabile  di  Legdiguières  sarà  quanto  prima  an- 
tiquata da  uu  francese  che  sta  rilessendola  su  documenti  nuovi) 
risappiamo  che  il  valoroso  Principe  combatlò  per  la  Casa  e  Tln- 
dipendenza  sotto  Ginevra  e  in  Provenza  e  a  Ponlcharra  ove  il 
generale  del  Bearnese  vinse  come  Pirro.  E  più  di  una  volta  Ame- 
deo insegnò  ai  Francesi  il  rispetto  delie  armi  italiane  e  fu  soltanto 
dopo  Vervins  che  si  rinfoderarono  le  spade,  e  in  Fontaìnebleau 
Enrico  IV  e  i  suoi  gentiluomini  si  onorarono  di  stringere  in  pace 
la  mano  del  prode  piemontese.  Il  quale  nel  1600,  malato  da  un 
pezzo,  abbandonò  l'esercito;  e  dieci  anni  dopo  mori  pianto  dalla 
sua  Torino  e  dal  Duca. 

V'é  però  in  quest'opuscolo  dell' Amante  un  difetto  e  sono  le 
troppe  divagazioni,  che  se  da  una  parte  illeggiadriscono  e  ador- 
nano la  Storia,  dall'altra  impediscono  l'attonta  lettura  e  sviano  la 
mente.  E  valga  il  vero,  quelle  sue  ricerche  genealogiche  sugli 
Scaramuccia   sono  soverchie  e  non  amriuni'ono    nulla  alla  nomèa 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  169 

di  Anton  Francesco  «  eccellente  filosofo  e  Poeta,  che  fu  per  vcn- 
totlanni  Maestro  Generale  delle  Poste  in  Piemonte»  e  custode  ed 
educatore  •  del  Reale  fanciullctto.  » 

E  ben  spiegata  ma  forse  non  necessaria  è  la  causa  delle  po- 
che pubblicazioni  dei  letterati  del  Cinquecento,  i  quali  è  certo  ohe 
non  potevano  né  avere  agio,  nò  aver  voglia  di  stampare  intricati 
com'erano  nelle  matasse  politiche  e  imbavagliati  dagli  anatemi  e 
inquisizioni;  «  solo  l'Aretino  ebbe  il  privilegio  di  insultare  Cariò  V, 
celiare  sulla  religione,  bistrattare  monarchi,  prìncipi  e  dotti,  e 
s'ebbe  una  croce  dal  Papa,  corone,  lodi,  busti,  trionfi  e  ricchezze 
moltissime:  Miracolo  di  audacia  abbagliò  i  potenti,  come  Cagliostro 
abbagliò  le  masse.  •  E  penso  che  non  sia  aO^itto  reale  il  ritratto 
di  Filippo  II  che  >  a  modo  di  Tiberio,  dall'  Escuriale  e  dal  ca- 
stello di  Madrid  timoneggiava  i  suoi  stali  e  tutto  voleva  sapere  e 
lutto  guidar  con  fila  misteriose  »  non  fu  però  né  in  ingegno,  né 
in  malizia,  né  in  potenza  superiore  al  Padre  grandioso. 

E  il  documento  inedito  che  l' Amante  reca,  non  è  altro  che 
la  lettera  colla  quale  il  23  Novembre  1580  da  Roma  Don  Ame* 
deo  ringrazia  i  Molto  Magnìfici  Signori  Priori  di  Monte  Santa  Ma- 
ria in  Cassiano  della  loro  afleltuosissima  preghiera  di  passare  per 
la  Città  ov'  Egli  fanciullo  aveva  dimorato  un  buon  lustro.  Questo 
biglietto  ritestimonia  tuttavia  come  uncor  dopo  ventitré  anni  \ 
Marchigiani  ricordavano  con  amore  e  reverenza  il  potente  ram- 
pollo  di  Savoja. 

Voglia  ora  l'amico  professore  Bruto  Amante  scrivere  altri  opu- 
scoli pari  a  questo  e  prepnrare  per  questo  nascente  Archivio  Sto* 
vico  Mirchiiiioìio  altre  robuste  ed  utili  sintesi  di  storia  cittadina. 

Gaetano  SANuiunaiu 

U'Qji  dei   Vtsitjofi   —    Studio   di    Costanzo   Rinauoo  —   Torino, 
Botta,  1878,  in-8. 

Anche  stavolta  il  Rinaudo  ha  peccalo  di  troppa  brevità  e  di 
stile  qua>i  :i(T;nino>o.  lij(i:isin  ciò  non  h>\:\'u*  importanza  ai  suo  la- 
voro, il  quale  pur  qua  e  là  dil*iMl<Ko  e  viNirretlo  r  prc^ìevolissimo 
|KT  erudizione  v  chiarezza.    Di    cusilTatti    lavori  ne  auguro  molti 


170  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

alh  leiteratura  storica,  e  di  professori  come  il  Rinaudo  io  vorrei 
abbondanza  per  tutte  le  scuole  italiane. 

Arduo  ed  intricato  problema  egli  s'è  messo  innanzi  trattando 
cosi  compendiosamente  e  sotto  forma  dissertatoria  delle  Leggi  dei 
Visigoti,  popolo  ancora  poco  studialo  e  che  pur  ebbe  il  suo  se- 
colo di  splendore  allora  che  sulle  rovine  vandaliche  costruì  la 
Monarchia  di  Toledo,  e  dalla  Lou*a  alle  colonne  di  Ercole,  e  dal- 
l' Atlantico  alle  Baleari,  preparò  ai  conquistati  una  civiltà  non  pe- 
ritura.  Ed  Eurico»  e  Alarico  II,  e  Recaredo,  furono  re  degni  delia 
fama  di  Teodorico  e  Glodoveo  e  Rotari. 

Ma  ormai  è  risaputo  che  ad  intender  bene  la  Storia  civile 
d'un  paese  è  necessario  l'esame  accurato  e  profondo  de'  costui 
diritti  e  attenta  comparazione  di  questi  cogli  altri  anteriori  con- 
temporanei e  posteriori;  e  il  Rinaudo,  limitandosi  alla  pura  espo- 
sizione delle  leggi  personali  e  territoriali  dei  Visigoti,  parmi  non 
abbia  risolto  appieno  il  suo  problema,  e  non  interamente  illustrato 
lo  stalo  sociale',  politico-amministrativo  e  religioso,  del  maschio 
Reame  dei  trentadue  eredi  d'Ataulfo. 

Nondimeno  questo  poco  che  ci  offre,  egli  l'ha  esposto  con 
quella  abilità  e  quella  sagacia  che  ammirai  nelle  Origini  del  Gth 
verno  Bappreseniativo  nell'Europa  occidentale.  E  già  nel  Capitolo 
Primo  il  Rinaudo  riassume  la  storia  della  formazione  e  delle  vi- 
cende di  questa  Monarchia  che  (giusta  l'espressione  di  Paclieco) 
«  fu  la  più  forte  unità  politica  del  medio  evo  » .  Cantando  sull'arpa 
le  loro  canzoni  di  guerra,  i  Goti  tempestarono  a  procelle  i  Cesari 
decadenti,  Alarico  invasa  Roma  dalla  sua  tomba  di  Cosenza  mi- 
nacciò ancora  l'Italia  diroccata,  staccato  poi  dall'Impero  affranto 
e  disonorato  Eurico  invase  le  Spagne  e  vi  s'acquartierò  sovrano, 
Suintila  quasi  a  mezzo  del  settimo  secolo  prostrò  gli  ultimi  rivali 
e  unificò  sotto  il  suo  scettro  la  Ibcria,  Recaredo  battezzatosi  nel 
589  troncò  ogni  lotta  di  fede  e  confuse  sapiente  in  un  solo  popolo 
le  discordi  tribù  e  le  influenze  cozzanti,  e  solo  dopo  sette  giorni 
di  battaglia  micidiale  fu  possibile  a  Tarik  di  spegnere  nel  sangue 
di  Rodrigo  (Teja  dei  Visigoti)  una  Monarchia  trecentenne.  I  Goti 
però  pugnarono  e  perirono  da  prodi,  e  inselvatisi  sulle  giogaje 
delle  Asturie  e  della  Biscaglia  vi  resistettero  eroici  agli  Arabi  vin- 
citori, fondaronvi  (chi  non  li  ricorda?...^  molti   principati  indipen- 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  171 

denti  e  cristiaoi,  ed  una  vera  odissea  guerriera  fu  quella  loro 
crociala  di  otto  secoli  che  immorlalata  nel  Cid  fini  col  trionfo 
della  indipendenza  nazionale.  Che  i  Visigoti  erano  ormai  divenuti 
Spagnoli,  come  in  Italia  i  Longobardi. 

Ma  più  che  coll'armi,  essi  (vedansi  Haenel,  Canciani,  Tapia, 
Arìtequer)  decorarono  la  loro  storia  colle  Leggi.  E  lor  primo  Giu- 
dice fu  Heifferich  Vallia  terzo  re  e  dal  466  ai  484  Eurico  die  un 
Codice  scritto  che  influì  lungamente  sui  costumi  e  sulla  economia 
dei  Visigoti.  E  Alarico  ^  fu  il  Legislatore  per  eccellenza,  e  l'opera 
goiariciana  tutta  lavorata  sulle  fonti  romane  e  sulle  consuetudini 
indigene  tenne  sin  da  allora  nobile  posto  e  sopravisse  alle  altre 
giurisprudenze  barbariche.  Lo  stesso  Fuero  Juzgo  (Lardizàbal 
iofonni)  sgorgò  latinamente  copioso  e  vitale  da  coatei,  e  parve 
tanto  superiore  all'età  che  Cujacio  con  omerica  ammirazione  pa- 
ragondlo  alle  Pandette.  Partito  in  dodici  libri,  questo  Forum  Ju- 
dkum^  larga  legge  territoriale  e  cioè  obbligatoria  per  tutti  i  sud- 
diti fossero  Visigoti  o  non  Visigoti,  liberi  o  affrancali  o  schiavi, 
fu  d'altra  parte  l'emanazione  di  quei  Concili!  toledani  che,  vere 
assemblee  nazionali  della  Monarchia  elettorale  finirono  coirinfeu- 
dare  il  Primo  Recaredo  e  i  suoi  successori  al  Clero  Cattolico  on- 
aipotenle.  E  sarebbe  giusto  sostenere  che  la  soverchia  influenza 
dei  Vescovi  e  nei  Coocilii  e  in  Corte  piegò  troppo  a  ootàtempla- 
zione  e  pietà  i  Visigoti,  e  li  indebolì;  e  sotto  siffatto  aspetto  ebbe 
ragione  Carlo  Cattaneo  di  sentenziar  reciso  che  «  una  sola  bat- 
taglia  campale  rovesciò  codesta  fiacca  dominazione  ■! 

Vorrà  ora  il  Rinaudo  compir  l'opera  e  farci  dono,  lui  affina- 
tovi da  lutto  questo  vasto  sistema  di  studi,  e  capace  di  erudizione 
più  vasta,  di  una  Storia  Generale  esterna  e  intema  della  Civiltà 
Gotica?....  Ben/e ficiwn  agenti  bis  dal  qui  dal  celerùerì 

Gaetako  Sahgiorgio 

Della  Isioriografia  Italiana  nel  secolo  XIX  studio  del  Prof.  Prax- 
ctsco  Lanzavi.  Padova;  Sacchetto,  1878. 

Una  delle  maggiori  necessita  della  scienza  storica  è  oggi  la 
di  lei  storia,  la  quale  sarebbe  essa  stessa  un  avvenimento,  e  rias- 


172  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

suolerebbe  a  bencGcio  degli  studiosi  gli  elementi  molteplici  del 
pensiero  storico.  Gabriele  Rosa  (per  limitarmi  agli  scrittori  italiani) 
l'ba-jià  tentata  con  arditezza  di  programma  e  d'indirizzo,  distri- 
buendola in  nove  periodi  assai  spaziosi,  ma  questo  primo  saggio 
laTorato  io  furia  e  quasi  senza  precedenti  naturalmente  riuscito  sterile 
e  poco  razionale^  il  nesso  indispensabile  tra  le  opere  e  le  età  non  vi 
appare  e  a  lettura  compiuta  non  se  ne  traggo  quella  gran  sintesi 
deirumauo  sapere  ch'è  appunto  lo  scopo  della  Storia;  e  quindi  la 
necessità  dura  ancora.  Ora  pero  che  ho  letto  questo  lucido  Studio 
deirabilissimo  Lanzaui,  studio  ben  degno  di  lui  che  commentò  la 
Motìarchia  di  Dante  e  che  sia  lavorando  cauto  e  solerte  intorno 
/  Comuni^  nutro  la  speranza  che  la  Storia  della  [storiografia  possa 
finalmente  essere  scritta.  Pensi  lamico  Lanzani  che  oramai  il  pub- 
blico è  in  diritto  di  pretenderla,  ch'egli  ne  ha  tracciate  abilissimo 
le  prime  linee  con  questo  studio  succoso,  e  ad  ogni  modo  rifletta 
con  Publio  Siro  che  animus  hominis,  quidquid  sibi  imperata  obtineL 
E  più  che  altrove  la  Storia  delie  Storie  è  necessaria  in  Italia. 
Ivi,  per  l'indole  delle  cose  e  per  ragione  dei  tempi  TIstoriograGa 
ebbe  sempre  in  se  qualche  cosa  di  militante,  i  dotti  restaurando 
con  paziente  lavoro  i  particolari  del  passato  e  facendo  proprie 
le  patriottiche  passioni  dell'età  trascorse  accentuavano  con  corag- 
giosa vivacità  rinncgabile  conflitto  delie  istituzioni  antiche  colle 
nuove  idee  e  rivelavano  a  lei  medesima  la  patria  calunniata,  e 
dal  cozzo  delle  teoriche  colla  realtà  era  per  essi  risuscitala  la 
speranza  sacra  dell'Italia  Una  d'armi^  di  lingua,  d'aliare  —  Di 
memorie^  di  sangue,  di  cor!  Disputando  sulle  origini  del  popolo, 
evocando  il  Medio  Evo,  mognificantlo,  epicamente  Ponlida,  la  Lega 
Lombarda,  Legnano  e  la  Magna  Charta  di  Costanza,  illustrando 
in  mille  modi  i  titoli  d'Italia  al  godimeulo  della  Libertà^  e  sempre 
gloriticando  i  beneficii  della  Concordia  i  nostri  scrittori  (dal  negato 
Dino  Compagni  al  Maechiavelli,  al  Muratori,  al  Gianuone  allo  Sclopis 
e  al  Villari),  abborrenli  dal  (aedium  vitae  del  secolo  di  Lucrezio, 
e  tutti  campioni  di  (|uella  nobile  critica  che  non  dirocca  ma  rin- 
nova, fecondarono  la  fruttuosa  sperienza  del  disinganno  e  agli 
Italiani  tulli  dall'Arsa  al  V^aro  ìnsoirnarono  la  virii  coscienza  dei 
diritti  delia  gran  Terra.  «  E  nelle  iniMuorio  della  patria,  appunto 
in  quel  tempo  da  iinmorlali  crudili  dissepolic  in  copia  grandissima 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  173 

e  sotto  gli  influssi  delle  novelle  idee,  potevano  gli  storici  nostri 
moiitrare  che  quei  diritti,  le  cui  nflFermazioni  sembravano  balzar 
fuori  per  ta  prima  volta  dai  procellosi  dibattili  delle  francesi  as- 
semblee, eran  stati  parecchi  secoli  prima  proclamati  e  conquistati 
dagli  artieri  e  dai  mercanti  di  Milano  e  Fiorenza,  e  che  la  terri- 
bile riscossa  del  popolo  contro  i  castelli  ed  il  trono,  capitanata 
dagli  arbitri  della  Convenzione,  era  stata  una  volta  vittoriosa  e 
feconda  tra  le  mura  delle  nostre  città  ».  E  i  libri  del  Balbo,  il 
quale  (disse  giusto  Marco  Tabarrini)  pose  egli  solo  più  questioni 
di  storia  italiana  che  non  tutti  gli  storici  che  lo  precedettero, 
entusiasmarono  all'amor  della  Patria  i  Tirtei  della  nostra  eroica 
Rivoluzione,  e  le  cento  Storie  dell'Italia  federali^  ridimostrando  i 
danni  delle  civili  discordie  esagitate  dai  cento  Pecora  e  dai  cento 
Gualtieri,  ribadirono  la  volontà  dell'Unione  e  (lasciatemelo  dire) 
persino  nelle  infinite  pubblicazioni  dell'instancabile  nostro  Cantu 
s'è  imparata  la  religione  deirindipendenza. 

Ricco  di  tanti  studii  preparatorii,  si  metta  dunque  il  Lanzani 
a  scrivere  almeno  la  Storia  delle  Storie  Italiane  e  la  divida  pure, 
com'egli  propone,  nelle  quattro  epoche  dei  Comuni,  del  Rinasci- 
mento,  del  secolo  XVIII  e  dell'età  contemporanea.  Quest'  ultima» 
anzi,  egli  non  dovrebbe  che  completarla  e  allargarla^  perocché 
già  vi  ha  risposto  e  tanto  bene  col  presente  lavoro,  nelle  cui  pagine 
io  ravviso  il  filosofo  e  l'artista.  La  scriva,  e  vi  dispensi  senza  am- 
bagi  e  pregiudizi  biasimi  e  lodi,  e  vi  combatta  quello  scetticismo 
fatale  ch'è  vizio  delle  età  depravate  e  dei  fiacchi  caratteri,  e  vi 
riscolpisca  que'  sublìmi  ideali  che  Clio  severa  già  immortalò  in 
Omero  e  nell'Allighieri. 

Ma  nel  presente  Studio  il  Lanzani  s'  ò  lasciata  sfuggire  una 
paura  che  non  divido.  R  davvero  come  e  perchè  «  dietro  la  croce 
bizantina  »  egli  scorge  e  teme  «  una  nuova  barbarie,  foric  di 
scaltre  perfidie,  forte  delle  armi  e  delle  arti  stesse  della  civiltà, 
una  nuova  barbarie  che  s'avanza  minacciosa  sull'Europa  dalle 
contrade,  per  cui  già  irruppero  in  tempi  calamitosi  le  orde  degli 

Yong-nu,  di  Argad,  e  di  Batu-Kan  » ?  0  non  ha    lette  il  Lan« 

Zani,  non  dirò  le  libere  pagine  dello  slavo  GereblzoflT,  ma  quelle 
dell'inglese  Wallace  tutt'altro  che  russofilo,  quelle  d'Hippeaù  e  le 
altre  dottissime  e  spassionate  degl'italiani  Ascoli  e  Rosa?.*.. 


174  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

lolanto»  vedauo  i  vari!  Archivii  e  le  Rioisle  d'Italia,  dall'^r- 
cheografo  Triestino  alle  Effemeridi  Siciliane^  di  allestire  al  Lan- 
zaoi  i  materiali  iodispensabili  alla  grossa  impresa;  e  tutti  i  dotti, 
dal  Minieri  Riccio  al  Cosci,  gli  siano  aDticipali  collaboratori.  €  La 
materia  della  Storia  fnota  il  Rosa)  è  divenuta  si  copiosa  da  parere 
labirinto  inestricabile,  impervadibile  se  non  si  coordina,  si  riassu- 
me si  riduce  a  categorie  »,  e  però  affrettiamoci  se  non  vogliamo 
correre  il  rischio  di  vederci  presentato  da  qualche  nuovo  straniero 
un  altro  e  miglior  metodo  di  classazione  istoriografica  e  di  essere 
dolorosamente  costretti  a  relegare  tra  le  opere  morte  anche  questa 
del  Lanzani  non  ancor  nata. 

Gaetano  Sahgiorgio 

//  primo  Re  d'Ilalia  —  Ricordi  biografici  di  Vittorio  Emanuek 
lì.  raccolti  da  1.  Ghiron.  —  Un  voi.  in  8^  con  ritratto  di 
pag.  XIV  256  —  Milano,  1878,  Ulrico  Hoepli  editore. 

Il  nome  di  Vittorio  Emanuele  vivrà  glorioso  fra  i  posteri,  non 
già  per  le  smodate  ambizioni,  per  cui  tanti  principi  si  resero  in- 
faustamente famosi,  ma  per  la  magnanimità  e  lealtà  sua,  che 
gli  acquistarono  il  nobilissimo  epiteto  di  Re  Galantuomo^  e  per 
Topera  grandiosa  da  lui  compiuta  dell'unità  d'Italia,  opera  che 
alcuni  stimavano  uua  solenne  utopia. 

Coloro  che  chiameranno  questo  tempo  antico  dovranno  sem- 
pre parlare  di  Vittorio  Emanuele  con  riverenza,  come  di  uno  dei 
più  grandi  benefattori  dei  popoli.  Egli  trovò  la  penisola  divisa  e 
avvilita  da  una  secolare  servitù,  e  si  pose  a  capo  di  quei  gene- 
rosi che,  spinti  dall'amore  di  patria,  volevan  redimerla,  e  fu 
prima  cittadino  d'Italia  che  re,  e  della  posizione  in  cui  era  non 
si  ricordò  che  per  adempiere  ai  doveri  di  cittadino,  e  non  du- 
bitò di  avventurare  la  vita  e  la  corona  stessa  sui  campi  di  bat- 
taglia per  dare  alla  Patria  unità,  indipendenza  e  libertà;  sacrificò 
sempre  i  privati  interessi  al  bene  publico.  All'Italia,  sgovernata 
da  dcspotici  tirannelli  in  cui  la  cupidigia  del  potere  andava  con- 
giunta alla  crudeltà  ed  a  tutti  i  vizii  i  più  obbrobriosi,  parve 
Vittorio  Emanuele  un  miracolo  di  re,  ed  il  popolo  si  strinse  iq* 


Rassegna  bibliografica  .175 

tomo  suo  ai  trono  e,  compagno  a  lui  nei  cimenli  e  nei  sacri- 
fici, lo  riguardò  come  Padre  amoroso  cui  innanzi  ad  ogni  altra 
cosa  sta  a  cuore  il  bene  dei  propri  Agli;  ed  alla  morie  sua 
gl'Italiani  lutti,  che  sapevano  quanto  egli  avesse  fatto  per  ilnostro 
paese,  piansero  come  di  domestica  sventura,  e  con  nuovo,  so- 
lenne e  spontaneo  plebiscito,  reso  sacro  dai  dolore,  riaflferroaro- 
no  sulla  tomba  del  Gran  Re  l'unità  e  liberta  della  Patria. 

Non  è  questo  il  luogo  per  rammentare  le  gesta  del  Primo 
Re  d'Italia,  ma  però  giova  ricordare  quei  libri  in  cui  o  per  un 
modo,  0  per  un  altro  si  <!èrca  di  farci  conoscere  in  tutti  i  par- 
ticolari la  vita  di  Vittorio  Emanuele,  alla  cui  memoria  dobbiamo 
aflélto  riconoscente  di  figli,  quando  col  pensiero  si  ricorda  alia 
infelicità  dei  tempi  che  corsero  prima  del  1859  e  se  ne  faccia 
il  confronto  colio  stato  attuale,  di  cui  nella  massima  parte  an- 
diamo debitori  a  lui.  —  Fra  i  varii  libri  che  di  questi  ultimi 
mesi  si  sono  publicati  intorno  al  nostro  primo  re  mi  par  degno 
di  ooa  speciale  menzione  quello  di  cui  ho  posto  il  titolo  in  capo 
a  questo  scritto,  dettato  dal  sig.  Isaia  Gbiron,  nome  ben  noto 
nella  republica  delle  lettere  per  altre  interessanti  pubitcazìonl. 

L'opera  del  Ghiron  non  è  una  biografia,  ma  una  raccolta 
bene  ordinata  di  ricordi  biografici  di  cui  i  futuri  biografi  si  gio* 
veruno  non  poco  per  ritrarre  una  fedele  immagine  di  chi,  se 
non  fu  il  solo,  fu  certo  uno  dei  principali  fattori  dell'indipendenza 
nazionale,  di  chi  ebbe  parte  non  piccola  a  render  l'Italia  dorma 
di  province^  quale  la  voleva  il  gran  padre  Alighieri,  oltre  di  che 
essa  fornisce  a  tatti  una  copia  tale  di  esenìpi  che  dimostrano 
un  forte  carattere,  di  generosità  e  di  grandi  virtù  cittadine,  che 
gioveranno  assaissimo  alla  educazione  dol  popolo  italiano,  a  cui 
Vitlofio  Emanuele,  cogli  atti  della  sua  vita,  volle  mostrare  che 
ai  debba  lare  per  mantenere  ed  accrescere  i  beni  preziosi  che 
abbiamo  acquistato.  E  questo  è  pregio  non  piccolo  del  libro  del- 
l'egregio Ghiron,  che  lo  rende  degno  di  diffonderai  in  mezzo  agli 
Italiani  per  recar  loro  tutti  quei  vantaggi  di  cui  può  essere 
apportatore,  e  dicendo  questo,  senza  ombra  di  adulazione,  credo 
inutile  aaggìungere  altre  parole  di  raccomandazione. 

Impossibile  sarebbe  negli  angusti  limili  di  una  rassegna  re* 
Stringere  convenientemente  tutta  la  materia  di  cui  si  occupi 


176  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

questo  libro,  per  il  che,  sebbene  a  malincuore,  bisogna  che  mi 
conienti  di  darne  una  pallida  idea,  fortunato  riputandomi  se  essa 
gioverà  ad  invogliare  alcuno  a  leggerlo.  Nel  primo  capitolo  l'au- 
tore dimostra  come  nella  storia  dei  secoli  passati  Cidea  dett'u- 
nità  nazionale  si  manifestasse  meno  che  altrove  in  Piemonte  per 
molle  e  molte  ragioni,  ma  pure  tratto  tratto  ne  balenò  Tidea 
nella  mente  di  qualche  nobile  ingegno.  Ma  l'idea  italiana^  ilice 
il  Ghiroo,  fu  robusta  pia  ihe  in  ogni  altra  mente  in  quella  del 
re  Carlo  Alberto,  principe  infelicissimo,  che,  per  la  fatale  rotta 
di  Novara,  dovette  terminare  i  suoi  giorni  nella  terra  dell'esilio. 
Ma  in  quegli  anni,  come  ognun  sa,  la  corrente  unitaria  si  era 
falla  strada  anche  presso  altri  uomini  del  Piemonte,  che  era 
quello  che  solo  possedesse  una  dinastia  veramente  italiana  che 
I-idea  italiana  era  chiamala  ad  attuare.  —  Il  secondo  capitolo  è 
intitolato  //  Duca  di  Savoia  dalla  culla  all'altare,  e  appunta  vi 
9i  tratta  dell'educazione  che  a  Vittorio  Emanuele  fu  impartita; 
delle  prove  di  carattere  fermo,  d'ingegno  acuto  da  lui  date,  e 
delle  idee  nobili  che  sin  da  quei  primi  anni  manifestava.  Il  ca- 
pitolo si  chiude  accennando  al  matrimonio  dei  Duca  cou  Maria 
Adelaide,  donna  di  sante  virtù,  risei*bata  a  durissime  prove;  e 
di  lei  parlando  giustamente  dice  il  Gbiron:  «  Ma  dolorosi  giorni 
«  si  preparavano  frattanto  all'animo  suo;  il  suo  cuore  stava  per 
t  essere  diviso  fra  due:  tra  l'amore  del  padre  e  quello  del  ma- 
«  rito;  tra  le  gioie  di  questo  e  i  dolori  di^  quello...  la  santa  don- 
«  na  si  ritraeva  allora  in  chiesa  e  pregava...  per  chi  ?...  per 
«  lutti  (pag.  24j.  »   — 

Tocca  quindi  il  Ghiron  degli  eventi  dal  184G  al  1849,  che 
non  starò  a*  riassumere,  perchè  son  cose  a  tulli  note;  tutti  sanno 
degli  entusiasmi,  delle  vittorie  e  degli  orrori  di  allora,  che  però 
dovevano  esserci  scuola  per  preparare  i  trionfi  dell'avvenire.  In 
mezzo  a  quelle  vicende  il  giovane  Vittorio  Emanuele  dava  le 
prpve  del  suo  «coraggio  e  del  suo  valore,  e  vari  aneddoti  che 
l'autore  racconta  valgono  a  mostrare  come  in  lui  non  fosse  aU 
tra  ambizione  che  di  adempiere  ai  propri  doveri  di  buon  cittadino. 

Divenuto  re,  diede  sempre  opera  a  preparare  Tunità,  I  indi- 
pendenza e  libertà  d'ilalia,  e  per  poter  meglio  raggiungei'e  Tin- 
ìQWìo  fu  sua  cura  di   dare  al  piccolo    Pìemonle   quei  savio  ordì* 


HASSEONA   HIBLIOOIUPICA  177 

uanieoto,  che  doveva  mcUerlo  in  grado  di   dirigere  e  regolare  il 
mulo   italiano   contro    tulli  i  nostri  nemici.  Viltorio   Emanuele  si 
mostrò,  in  tutte  le  fasi  per  cui  dovè  passare  r.epopea   nazionale, 
saggio  politico,   scevro  da  quelle  arti  subdole  che  per  tanti   se- 
coli sì  credettero  una  necessità  della  politica,  guerriero  valoroso; 
Si  circondò  degli   uomini    più  eletti  per  le   virtù  dell'ingegno  e 
dell'animo,  e  d'accordo  con  essi  il  gran  re  compiva  l'opera  della 
sua  vita,  potendo  Analmente  dire  le  memorande  parole:  Siamo  in 
Roma  e  et  resteremo,  che  se  non  altro  fanno  testimonianza  della 
fermezza  del  suo  carattere;  come  della  sua  lealtà,   tra  le  molte, 
soD  prova  non  dubbia   le  parole  dette  al  senatore   Plezza:    «  Io 
•  ho  promesso   di  mantenere  la  Costituzione,  e  non   mancherò 
«  mai  ai  mio  giuramento;  piuttosto  di  far  simile   cosa,  piuttosto 
m  che  sottometterci  alla  volontà  straniera,  andremo  tutti  in  Ame- 
«  ficai  (pag.  64).  » 

Ripeto  il  lavoro  del  Ghiron  più  che  una  biografia  è  una  ben 
ordinata  raccolta  d'aneddoti,  molti  dei  quali  lo  storico  trascurerà, 
ma  che  pure  giovano  a  far  meglio  conoscere  la  bella  e  maschia 
figura  dei  Re  Galantuomo,  ed  il  libro  sarà  letto  con  piacere  da 
quanti  serberanno  sempre  riconoscente  afletto  verso  di  quegli  che 
fu  davvero  Padre  della  Patria. 

Cbsarb  Rosa 

iMiere  di  Giacomo  Pergamino  con  brevi  notizie  sulla  vita  e 
sulle  opere  dello  stesso  —  per  cura  di  Gabtaho  Dbuò.  — 
Torino,  1878,  Tip.  Salesiana.  Un  voi.  in  16  mo.  di  pag.  363. 
—  Prezzo  cent.  75.  — 

Chi  fosse  Giacomo  Pergamino  non  solo  nei  resto  d'Italia  ma 
anche  nelle  nostre  Marche  moltissimi  ignorano,  per  il  che,  pi- 
gliando occasione  dal  libro  venuto  or  non  è  guari  alla  luce,  vo- 
glio dame  un  brevissimo  cenno,  augurandomi  che  alcuno  dei 
sooi  dotti  concittadini  ne  scriva  un'accurata  biografia  pel  nostro 
Archivio^  non  polendo  in  Fossombrone  mancare  documenti  fan* 
portanti  intorno  al  Pergamino  stesso.  — 

Giacomo   nacque  in  Fossombrone  nel  1531  e  morì   ai  5  no* 

Arth,  5tor  March.  V  L  n 


178  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

vembm  1615,  cioè  dopo  aver  vissuto  84  anni.  Uomo  d'ingegno 
non  comune,  come  tale  era  apprezzalo  dai  conlemporauei,  e  fu 
segretario  di  Carlo  Visconti,  legalo  di  Pio  IV  ai  concilio  Triden- 
lino,  e  quando  il  Visconti  fu  mandalo  Nunzio  in  Ispagna  ed  in 
Germania  condusse  sempre  seco  il  Pergamino.  Tornò  in  Roma,  e 
fu  segretario  del  cardinale  Serbelloni  e  ricopri  altri  onorevoli 
uffici. 

Stanco  della  vita  publica  si  dedicò  ludo  agli  sludii  della 
lingua  italiana,  e  frutto  di  essi  furono  varii  interessanti  lavori, 
tra'  quali  un  importantissimo  Dizionario  della  Ungila  italiana 
lodalo  assai  dal  Perticar!,  ed  un  Trattato  sulle  regole  di  nostra 
liììgua^  che  per  più  di  uu  secolo  fu  tenuto  in  pregio  dai  dolU, 
specialmente  da  Gianvincenzo  Gravina.  —  Lasciò  inedili  molti  lavori, 
e  cioè:  Il  volgarizzamento  di  Sulpizio  Severo,  un  libro  di  Senten- 
ze, Proverbi  e  Motti,  un  dialogo  delle  Usanze,  ma  questi  lavori 
sono  andati  perduti.  Ebbe  rapporti  di  amicizia  coi  più  illustri  del 
suo  tempo,  e  basta  per  tulli  ricordare  il  grande  ed  infelice  Tor- 
quato Tasso. 

Nel  1618  si  stamparono  in  Venezia  per  la  prima  volta  le 
lettere  del  Pergamino  a  cura  del  Neri,  ed  ora  il  Dehò  ne  ha 
falla  un'altra  edizione  più  completa  e  meglio  ordinala  di  quella 
del  Neri,  che  per  la  tenuità  del  prezzo  credo  che  facilmente 
correrà  per  le  mani  degli  studiosi,  i  quali  vi  troveranno  quella 
venusta  ed  aurea  semplicità  che  si  rinviene  nelle  lettere  di  An- 
nibal  Caro,  che  rimarranno  sempre  un  ottimo  esempio  di  stile 
epistolare.  —  Olire  di  che,  per  gli  importanti  incarichi  che  l'il- 
lustre ielleralo  Fossombronese  ebbe  a  sostenere,  e  per  le  relazio- 
ni che  ebbe  con  i  più  illustri  uomini  del  suo  tempo,  nelle  epi- 
stole di  lui  si  trovano  particolari  interessanti  che  le  rendono  degne 
di  una  speciale  raccomandazione. 

Cesare  Rosa 

La  vita  ed  il  regno   di  Vittorio  Emanuele  II  di  Savoia  primo 
Re  d'Italia  —  per  Giuseppe   iMassari.  —   VoL  I.  in  16"**  di 
pag.  402.  —  Voi.  IL  di  pag.  500.    Milano,   Fratelli  Treves 
editori,  1878.  —  Prezzo  L.  7,50. 
Se  il  libro  del  Gbiroui  di  coi  ho  già  tenuto  parola^  vale  a 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  179 

reodcrci    rimmagine,    a  cosi    dire,  morale  di  Vittorio   Emanuele, 
quello  del  Massari  ha  di  mini  di  mostrarcelo  in  azione  nella  vita 
publica,  e  cosi  i  due  libri  sì  completano  a  vicenda,  e  chi  li  ab- 
bia felli  può  dire   di  conoscere  bene  in  tutti  i  lati  la  figura  del 
Gran  Ke.  —  Da  coloro  che  verranno  dopo  di  noi,  cessate  le  gare 
partigiane   dell'oggi    che   fanno   velo  al    retto   giudizio,   Vittorio 
Emanuele  verrà  collocato  in  un  posto  assai  distinto,  come   mira- 
colo  di  Re   leale  e  Galantuomo,   come   Re  in  cui   non   fu   altra 
ambizione  che  di  mostrarsi   sinceramente    italiano,  e  di  farlo  co- 
noscere  rendendo  il  suo  paese    unito,  indipendente   e  libero.  — 
Il    Massari    nel    primo    volume    della    sua    biografia    prende   le 
mosse   dalla   nascita  del  Duca  di  Savoia,   che  poi  doveva   esse- 
re Re  di   Sardegna   e,  più    tardi,  Re  d'Italia,  e  giunge  sino  alla 
dichiarazione   di   guerra   frìtta    all' Austria    nel    1859,   mentre  il 
li"  volume,   venuto   or   non  è  guari  alla  luce,   compendia  le  vi- 
cende occorse  dal  1859  sino  alla  morte  del    Primo  soldato  del- 
f  Indipendenza  italiana;  ed  il  racconto  è  notevole  per  la    oppor- 
tunità della  scelta  di  tutti  quei   fatti  ed  aneddoti   che   valessero 
a  mostrare  la   italianità  dei  propositi  di  Vittorio   Emanuele,  l'ac- 
cortezza di  lui  e  dei  suoi  ministri  nel  condurre  le  politiche  fac- 
cende per  modo   che  il  piccolo  Piemonte  fosse  l'altare  in  cui  si 
mantenesse  il  sacro  fuoco  della  libertà  e  si   ponesse  a  capo  del 
movimento  italiano.  È  notevole  ancora  la  sobrietà  e  moderazione 
dei  giudizi  dello  storico  intorno  alle  persone  ed  alle  cose;  egli  si 
contenta  di  narrare   le  vicende,  di  ricordare  le   persone  che  eb- 
bero in  esse  parte   principale  perchè  intende   che   il  buon  senso 
dei  lettori  può  su  queste  e  su  quelle  portare  un  adeguato  giudi- 
zio; oltre  di  che  volendo  piuttosto  raccogliere  fatti  e  memorie  ed 
esporre    il   tutto    ordinatamente   meglio   che   tessere   una  storia 
contemporanea,  che   sarebbe   slata  difficile  impresa  sotto  più  ri- 
spetti e  specialmente  sotto  quello  dei  giudizi,  era  da  attenersi  al 
modo   seguito   dal   Massari.  1  futuri  biografi   dovranno   poi  colla 
scorta  dei  materiali  lor  forniti  dai  contemporanei  aggiungere  alla 
narrazione  della  gloriosa   epopea  del  nostro   risorgimento  e  della 
parie  che  Vittorio   Emanuele  vi  ebbe,  tutte  quelle   considerazioni 
che  sono  del  caso  e  che  valgono  a  metter   le   cose  sotto  il  loro 
vero  punto  di  luce. 


180  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Non  è  mìo  compilo  di  riassumere  il  lavoro  deironorevole 
Massari,  però  mi  basta  averlo  indicato  ai  miei  cortesi  leUori  si- 
curo elle  essi  leggendolo  lo  troveranno  degno  del  Gran  Re  di  cui 
celebra  la  memoria. 

Cesare  Rosa 

Lettere  scritte  a  Giacomo  I^eopardi  dai  suoi  parenti  con  giunta 
di  cose  inedile  o  rare,  —  Edizione  curata  sugli  au4ografi  da 
Giuseppe  Piergili  e  corredata  dei  ritratti  di  Giacomo  e  dei 
genitori  di  lui.  —  Firenze.  Successori  Le  Monnier  1878. 

Alcuni  pensano  che  la  publicazionc  di  lettere  familiari  dirette 
ad  uomini  i  quali  acquistarono  fama  nelle  lettere,  nelle  scienze 
e  nelle  arti  non  sempre  riesca  opportuna,  specialmente  se  quelli 
a  cui  le  lettere  furono  indirizzate  non  sono  per  tempo  molto  lon- 
tani da  noi»  e  ciò  perchè  si  possono  urtare  delle  suscettibilità  di 
persone  tuttora  viventi  che  in  quelle  sono  poco  benignamente  giu- 
dicate. Io  non  nego  che  coloro  che  pensano  in  tal  guisa  non  pos- 
sano avere  in  molti  casi  ragione,  però  ritengo  che  la  pubblica- 
zione di  epistolari  domestici  (se  cosi  possono  chiamarsi^  se  fatta 
da  persone  accorte  abbia  a  riuscire  importantissima  perchè  ten- 
dente a  mostrarci  Tuomo  nella  sua  vita  intima»  nella  vita  degli 
affetti,  la  quale  spesso,  se  non  forse  sempre,  è  spiegazione  di 
quella  letteraria  e  scientiGca.  Quindi  è  che,  per  quanto  altri  abbia 
manifestalo  diverso  avviso,  io  penso  che  della  publicazionc  di 
questo  volume  saran  grati  al  conte  Giacomo  Leopardi,  degno  di- 
scendente dell'illustre  poeta  recanatese,  che  ne  permetteva  la  stam- 
pa, ed  all'egregio  Prof.  Giuseppe  Piergili,  che  ne  ha  curalo  l'edi- 
zione, quelli  che  ricercano  con  amore  tutto  quanto  si  riferisce 
alla  vita  di  colui  che  fu  certo  una  delle  maggiori  glorie  del 
nostro  secolo. 

E  particolari  interessantissimi  sono  in  questo  libro,  i  quali 
sinora  furono  sconosciuti  e  varranno  certamente  a  correggere 
molti  torti  giudizi  che  intorno  alla  vita  del  Leopardi  ed  ai  suoi 
rapporti  colla  famiglia  vennero  dai  suoi  biografi  pronunziati. 

Si  dice  che  per  questo  volume  non  sarà  né  accresciuta,  né 
diminuita  la  gloria  di  Giacomo,  né  nulla  ci  guadagneranno  i  suoi 


RASSEGNA   BIBLIOQRAFICA  181 

pareoli;  qaesto  potrà  essere  benìssimo,  ma  se  loro  non  ne  verrà 
accrcscimenio  di  gloria  ben  si  può  dire  che  serviranno  a  farceli 
eoQoscere  meglio  ed  a  dare,  come  documenli,  importanza  maggiore 
a  qoanto  i  biografi  deirillastre  poeta  hanno  sin  qui  affermato, 
oppure  a  mostrare  gli  errori  in  cui  caddero;  e  questo,  a  me  pare, 
è  servigio  di  non  pìcciol  momento  reso  alla  storia,  la  quale  fino 
dei  minimi  particolari  può  grandemente  giovarsi  in  servigio  della 
verità. 

Da  queste  lettere  si  vedrà  che  il  conte  Monaldo,  sebbene  di 
opinioni  diverse  da  quelle  del  figlio,  non  era  come  molti  l'hanno 
dipinto  tiranno  verso  chi  infine  accresceva  il  lustro  della  sua  fa- 
miglia» ma  in  quella  vece  lo  amava  di  affetto  veramente  paterno, 
e  se  non  veniva  in  soccorso  di  lui  era  perchè  sua  moglie  gli  te- 
neva, secondo  egli  dice,  stretta  la  borsa.  Ed  a  tale  proposito  è 
notevole  come  in  una  sua  lettera  mentre  dice  il  padrone  di  casa 
tono  iOf  ed  invita  il  figlio  a  chiedergli  quel  denaro  che  potesse 
occorrergli,  poi,  per  paura  che  la  risposta  di  Giacomo  possa  ca- 
pitar in  roani  della  moglie,  lo  consiglia  ad  indirizzargliela  sotto 
altro  nome. 

Delle  150  lettere  che  comprende  questo  volume,  e  che  vanno 
dal  97  novembre  1819  al  15  marzo  1829,  soltanto  due  sono 
delia  madre,  il  che  forse  accenna  ad  una  non  grande  espansione 
aSéUoosa  per  parte  di  lei.  cosa  del  resto  piuttosto  strana,  perchè 
d'ordinario  le  madri  sogliono  abbellire  la  vita  dei  loro  figli  coi 
più  dolci  tesori  dell'amore,  che  spesso  giova  a  temperare  la  so- 
perchia severità  dei  padri.  —  Invece  piene  di  affetto  di  una  soave 
BMlmconia  e  di  consigli  amorevoli  sono  le  lettere  scrittegli  dalla 
oa  Ferdinanda.  —  Quello  che  Carlo  e  Paolina  scrìvono  al  fratello 
mostra  una  certa  uniformità  di  sentire  con  Giacomo,  ed  offre  dei 
particobri  interessanti  per  chi  voglia  conoscere  a  fondo  la  vita 
deHlllustre  poeta,  e  trovare  la  spiegazione  dei  sentimenti  da  lui 
■aaìfeslati  nei  suoi  scritti. 

li  volume,  che  il  Piergili  ha  con  una  gentile  lettera  dedicato 
aBa  contessa  Sofia  Bruschetti  moglie  del  conte  Giacomo  Leopardi, 
t  arncchito  di  una  memoria  scritta  da  Paolina  intorno  a  Monnldo 
Léffpardi  e  i  suoi  figli,  di  un  brano  deiruntobins^rnfìa  di  Monnldo 
alle  sue  Qualild  fisiche,    rollurn    esteriori  e  carattere,  di 


182  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

uoa  epistola  Ialina  del  Sanchini  dirclla  ai  suoi  discepoli,  di  una 
lettera  di  Giacomo  a  Don  Paolo  Leopardi,  di  una  poesìa  di  Gia- 
como, Im  Dimmticanza,  scritta  a  14  anni;  della  genealogia  dei 
Leopardi,  e  inflne  di  uno  scritto  filologico  di  Giacomo  stesso. 

Questa  pubblicazione,  ripeto,  non  ha  soltanto  un  interesse  let- 
terario, ma  un'importanza  storica  speciale  che  non  isfuggirà  a 
quanti  la  leggeranno,  perciò  non  dubito  di  raccomandarla  calda- 
mente a  quanti  amano  i  buoni  studii  ed  hanno  a  cuore  le  glorie 
nostre,  mentre  publicamenle  mi  congratulo  col  degno  erede  del 
nome  dei  Leopardi,  il  quale  col  permettere  al  prof.  Piergili  di  dar 
alla  luce  queste  lettere  ha  fatto  opera  utile  e  che  serve  a  far  ri- 
fulgere di  luce  più  viva  la  bella  figura  dell'illustre  suo  zio. 

Cesare  Rosa 

Cesare  Borgia  Duca  di  Romagna.  —  Notizie  e  documenti  rac- 
colti e  pubblicati  da  Edoardo  Alvisi.  —  Un  voi.  in  16  di 
pag,  A7/-592.  —  Imola,  Tip.  d'Ignazio  Galeati  —  1878. 
Prezzo  L.  5. 

Il  nome  dei  Borgia  suona  infaustamente  famoso  per  atroci 
scene  di  sangue,  per  ambizione  di  dominio,  per  atti  brutalmente 
immorali;  ma  se  le  azioni  di  Alessandro  VI  e  dei  suoi  figliuoli 
furono  in  gran  parie  tali  da  acquistar  loro  meritamente  una  tri- 
ste fama,  e  da  far  si  che  l'immaginazione  popolare  e  l'odio  degli 
avversarii  attribuisse  loro  più  delitti  di  quelli  che  realmente  ab- 
bian  commessi,  alla  storia  però,  che  deve  essere  giusta  distribu* 
trice  di  lode  e  di  biasimo,  spetta  il  dovere  di  verificare  con  sana 
critica  quanto  ci  sia  di  vero  nei  racconti  che  corrono.  E  se  in- 
torno ai  Borgia  si  scrissero  molle  fantasie  poetiche,  ai  giorni 
nostri  degli  spassionali  e  dotti  ricerratori  delle  istoriche  memorie 
portarono  molta  luce  su  quell'epoca  che,  politicamente  parlando, 
fu  infelicissima  per  l'Italia. 

La  Lucrcz''f  lì'jrjìa  del  Gregorovius  ha.  dietro  la  scorta  di 
prove  irrefrnj^rjìhili,  !'U).-Ualo  la  ivjLÌ'r)  di  A!'^s'=jnndro  VI  sotto  un 
nuovo  punto  di  luce,  e  le  ha  lolio  il  poso  di  molte  colpe  che 
sinora  le  vennero  atlrihuile:  cobi  lo  opere  del  Campori  e  di  altri 


RASSKONA   BIBLIOGRAFICA  183 

giovarono  non  poco  alla  verità,  ma  intorno  a  Cesare,  che  è  senza 
fallo  la  iigura  più  importante  dì  quella  famiglia  e  di  quell'epoca, 
si  è  desideralo  sinora  uuo  studio  accurato  che  ne  mostrasse 
quanto  di  vero  fosse  in  ciò  che  comunemente  si  è  detto  di  lui, 
ed  ora  a  questo  difetto  rimedia  in  gran  parte  il  recente  libro  del 
signor  Alvisi,  che  promette  d' essere  il  primo  d' una  serie  di  la- 
vori storici  che  alla  Romagna  si  riferiscono,  e  che  ci  auguriamo 
di  poter  presto  studiare. 

E  questo  non  solo  per  la  Romagna  ma  ancora  per  le  Marche 
ha  un  interesse  speciale,  poiché  tutti  sanno  che  gli  efletti  del  do- 
minio del  Duca  Valentino  si  ebbero  a  sentire  eziandio  nei  nostri 
paesi,  che  i  Pesaresi  mandarono  ad  offrirgli  la  signoria,  ch'egli 
assunse  di  fatto  insieme  a  quella  di  Pano,  e  contro  Gutdobaldo  di 
Urbino  mosse  Cesare  le  armi  e  per  la  fuga  di  Guidobaldo  stesso 
restò  padrone  del  ducato,  e  s' impadroni  ancora  di  Camerino  e  di 
Senigallia  e  d'altri  luoghi,  quantunque  per  poco  ne  potesse  rite- 
nere  il  dominio. 

L'opera  è  condotta  sulla  scorta  di  numerosi  documenti  per  la 
maggior  parte  inediti,  e  nel  mentre  è  una  larga  contribuzione  alla 
storia  di  quell'epoca,  imperocché  si  riferisce  al  tempo  in  cui  il 
dominio  borgiano  durò  in  Romagna  cioè  dal  1499  al  1503,  fa 
fede  ancora  della  dottrina  severa  e  dell'ingegno  del  giovane  au- 
tore, il  quale  con  arte  critica  rigorosa  ed  imparziale  passa  in  e- 
same  le  tradizioni  ed  i  racconti  dei  cronisti  e  degli  storici  d'allora 
per  stabilire  quanto  di  vero  ci  sia  in  quello  che  alla  nostra  me* 
moria  tramandarono.  E  questa  publicazione  dissiperà  errori  di  molti 
che  da  gran  tempo  si  leggevano  nei  libri  e  s'imparavano  nelle  scuole 
come  verità,  mentre  conferma  a  quanti  e  quali  abominandi  delitti 
sia  l'uomo  condotto  dall'ambizione  eli  dominare.  Il  racconto  pro- 
cede ordinatamente  e  con  quella  nobiltà  di  siile  e  di  forma  che 
alla  storia  si  addire,  senza  inutili  divaga/ioni,  e  so  qua  e  l;ì  al- 
cuna volta  accusa  la  j^iovinezza  del  suo  autore,  ó  però  sempre 
certo  che  è  un  libro  il  (piale  fa  molto  onore  alla  critica  storica 
italiana,  e  morirà  chianmenle  non  essere  vero  che  sìa  noce>sario 
che  la  storia  nostra  w  la  \ rugano  ad  illustrare  gli  stranieri  a 
modo  loro,  menlre  r'r  tra  noi  ehi  ha  injrojjno  e  studii  da  ciò. 

lo  non  dirò  che  il  hbro  dell  . Vivisi  Ma  iti  ogni  >ua  parte  per- 


e 


184  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

fello,  ma  se  alcuni  difetli  chi  cerca  eoo  la  lente  potrà  tro?arei, 
credo  che  non  saranno  mai  tali  che  valgano  ad  oscurare  i  pregi 
molli  di  cui  quest'opera  va  adoma. 

Cesare  Rosa 

Ferdinahoo  Bosio:  Ricordi  personali —  Un  voi.  in-16  di  pag.  209 
—  Milano,  Tip.  Editrice  Lombarda,  1878  —  Prezzo  L.  3. 

A  ben  conoscere  gli  uomini  che  ebbero  una  non  ultima  parte 
nelle  vicende  politiche  del  loro  tempo,  o  sì  distinsero  nelle  lettere 
e  nelle  scienze,  oltre  la  parte  che  ebbero  nelle  vicende  stesse,  e 
i  pregi  delle  opere  che  scrissero  gio^^  indagarne  la  vita  intima 
nella  quale  si  trovano  le  ragioni  delle  azioni  loro.  Ed  a  questo 
fine,  come  ognun  sa,  tornano  utilissimi  gli  epistolari,  poiché  nelle 
lettere,  scritte  non  certo  coli' intenzione  di  renderle  di  publica  ra- 
gione, quegli  uomini  mostrarono  aperto  l'animo  proprio  ai  loro 
intimi  e  fecero  rivelazioni  preziose  e  giudicarono  apertamente  uo- 
mini e  cose,  dando  cosi  meglio  a  conoscere  le  virtù  dell'animo  e 
dell'  ingegno.  Ma  inoltre  per  avere  una  più  completa  immagine 
degli  uomini  che  in  alcun  modo  s'illustrarono  è  bene  sapere  i 
rapporti  in  cui  vissero  coi  loro  contemporanei,  i  quali  ci  danno 
modo  di  più  equamente  giudicarli. 

Sotto  questo  riguardo  mi  pare  che  il  Comm.  Ferdinando  Bosio 
abbia  reso  un  utile  servigio  colla  publicazione  del  suo  libro,  in 
cui  fa  menzione  di  opinioni  politiche,  letterarie,  scientifiche  mani- 
festate da  BrofTerio,  Dall'  Ongaro,  De  Boni,  Guerrazzi,  Peretti,  Rat- 
lazzi,  Ravina,  Sineo  nelle  relazioni  che  passarono  tra  essi  ed  il 
Bosio  stesso;  e  chi  legga  il  libro,  scritto  con  quell'eleganza  che 
sa  l'egregio  professore,  vi  troverà  delle  cose  di  non  lieve  impor- 
tanza, le  quali  varranno  a  correggere  molti  torli  giudizi  che  su 
quei  valenti  uomini  che  onorarono  non  poco  se  stessi  e  la  patria, 
alla  cui  libertà  potentemente  cooperarono,  vennero  pronunziati.  In- 
fatti intorno  all'accusa  di  rcpublicanismo  che  i  nemici  lanciarono  con- 
tro il  BrofTerio,  il  nostro  autore  scrive:  «  Nel  fatto  riusci  tempera- 
«  tissimo  sempre,  lonlano  almeno  le  mille  miglia  da  quella  re- 
c  publica  che  i  suoi  nemici  lo  accusavano  di  promuovere  e  ch'egli 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  185 

Dominava  qualche  fiala  per  classica  reminiscenza.  A  rigore  non 
credo  sarebbe  mai  uscito  dalle  istituzioni  presenti,  contentan- 
dosi  di  vedere  avverati  nella  Monarchia  costituzionale  d' Italia 
il  sogno  del  Lafayette  svanito  nella  Monarchia  Costituzionale  di 
Francia.  Perciò  il  Cavour  lo  preferiva  un  giorno  al  Revel  per 
deputato  di  Torino.  » 
Calde  d'affetto  sono  le  pagine  intorno  al  Dall' Ongaro,  che 
amò  r  Italia  e  non  ebbe  premio  condegno  ai  dolori  sostenuti  per 
la  libertà  di  lei.  E  raffelio  riverente  del  discepolo  è  in  quanto  il 
Bosio  scrìve  intomo  al  Paravia,  che  in  tempi  difficili  educava  la 
gioventà  a  liberi^ sensi.  E  se  qui  altro  non  soggiungo,  non  è  per^ 
cbè  nel  libro  noe  siano  altre  pagine  interessantissime  per  la  sto- 
ria di  parecchi  illustri  contemporanei,  ma  perchè  mi  fa  difetto  lo 
spazio,  e  me  ne  duole  mentre  avrei  voluto  dir  meglio  e  di  più 
di  queUo  che  abbia  detto  per  invogliare  la  gioventù  a  leggere  un 
libro  che  può  non  poco  valere  con  la  efficacia  degli  esempi  a  for- 
nuinie  il  carattere.  Certamente  queste  non  sono  biografie  e  non  ne 
banao  la  pretesa»  ma  sono  semplici  aneddoti  i  quali  però  contri- 
baiscooo  a  dare  una  non  pallida  immagine  degli  uomini  a  cui  si 
riferiscono  e  dei  tempi  in  cui  vissero,  e  questa  è  cosa  di  non 
beve  importanza,  di  cui  gli  studiosi  devono  essere  grati  all'e- 
gregio signor  Comm.  Prof.  Bosio. 

Cesare  Rosa 


NOTIZIE  STORICHE  E  BIBLIOGRAFICHE 


Gli  studii  storici  in  Italia  dopo  il  1839.  —  SoUo  questo  li- 
lolo  il  signor  Antonio  Cosci  ha  compiuto  nella  Rivista  Europea 
di  Firenze  la  pubblicazione  di  un  suo  lavoro  in  cui  cerca  di  ren- 
dere conto  di  quanto  dal  1839  in  poi  si  è  venuto  stampando 
intorno  alla  storia  delle  varie  regioni  italiane.  Questa  publicazione 
può  riescire  assai  opportuna  per  quanti  occupandosi  delle  ricer- 
che storiche  hanno  bisogno  di  conoscere  quali  libri  e  studii  siano 
stati  fatti  intorno  agli  argomenti  a  cui  intendono  di  dare  opera. 
Fra  le  opere  storiche  ricordate  dal  Cosci  vediamo  la  Collezione 
Storica  marchigiana,d\  cui  ci  occupiamo  lungamente  in  altra 
parte  di  questo  fascicolo;  però  noi  dobbiamo  avvertire  all' pregio 
scrittore  che  non  due  ma  tre  sono  i  volumi  publicati,  e  che  sta 
per  uscire  alla  luce  il  quarto;  dobbiamo  avvertire  che  anche  il 
primo  tomo  è  importantissimo  sia  dal  lato  storico  che  dal 
letterario. 

Vita  di  A  Ifomo  Lamarmora.  —  Sappiamo  che  il  solerte  edi- 
tore G.  Barbèra  di  Firenze  manderà  olla  luce  una  Vita  del 
generale  Alfonso  Lamarmora  dettala  dall'onorevole  Giuseppe  Mas- 
sari. L'opera  sarà  compresa  in  un  sol  volume  adorno  di  un  ri- 
tratto dell'illustre  generale,  disegnato  dal  signor  Raffaele  Buona- 
iuti  ed  inciso  in  rame  dal  prof.  Bisola. 

La  vita  e  le  opere  di  Trajann  Boccalini.  —  Intorno  al  Boc- 
calini, onore  delle  nostre  Marche,  il  chiarissimo  prof.  Mestica  ha 
scritto  una  dotta  ed  elegante  biografia,  che  è  stata  stampata  dal 
Barbèra  insieme  alle  opere  dello  slesso  Boccalini. 

Viaggi  di  Francesco  Carlctfi  Fiorentino  ndle  Indie  occidetì- 
taliy  al  Giappone  ed  in  altri  paesi.  —  Le  interessanti  relazioni 
che  dei  suoi  viaggi  ha  lascialo  il  Cnrlelli,  saranno  rose  di  pub- 
blica ragione  per  cura  del  chiarissimo  Prof.  Cav.  Carlo  Gargiolli, 
R.  Provveditore  agli  sludii  nella  nostra  Provincia,  il  quale  vi  hvk 
precedere  una  sua  hiogrnfia  del  Cnrlolli.  Editore  del  libro  è  lo 
stesso  Barbèra. 


NOTIZIE    STORICHE  187 

La  Storia  Greca  di  Ernesto  Curtius,  —  Conliuua  la  stampa 
in  grossi  fascicoli  della  traduzione  italiana  della  Storia  Greca  del 
Curtius,  che  è  meritamente  uno  dei  più  celebrati  lavori  che  sulle 
orìgini  e  lo  sviluppo  della  meravigliosa  civiltà  dell'antico  popolo 
ellenico  siano  stati  scritti.  Noi  crediamo  che  in  Italia  gli  stu- 
diosi della  classica  antichità  accoglieranno  con  favore  il  dotto  la- 
voro dell'illustre  storico  tedesco,  il  quale  ha  saputo  con  sana  cri- 
tica scernere  il  vero  dal  falso  nei  racconti  tradizionali  che  sin  qui 
son  corsi  sui  fatti  dell'antica  Grecia,  e  ciò  senza  ombra  di  noiosa 
pedanteria,  e  per  questo  slimiamo  inutile  di  aggiungere  le  nostre 
raccomandazioni.  Solo  un'osservazione  vogliam  fare  sulla  tradu- 
zione dei  Professori  Giuseppe  Mùller  e  Gaetano  OHva,  e  cioè  che 
la  forma  e  la  dizione  non  sono  sempre  perfettamente  italiane,  al 
che  i  valenti  ellenisti  avrebbero  dovuto  por  mente,  rendendo  cosi 
la  loro  fatfca  doppiamente  pregevole. 

//  primo  libro  stampato  in  Ancona,  —  Intorno  a  questo  ar- 
gomento leggiamo  nella  Bibliografia  Italiana^  anno  XII  nuro.  7,  un  . 
articolo  del  sig.  Ottino  dal  quale  desumiamo  alcune  notizie  di  cui 
crediamo  far  regalo  ai  nostri  cortesi  lettori.  —  Il  sig.  Federico 
Sacchi  in  un  suo  studio  bibliografico  intitolato  /  tipografi  Ebrei 
di  Soncino  alla  nota  hi  pag.  *i9  scrive:  « ....  e  un  tal  Guerralda 
e  da  Vercelli  produsse  nel  131^  ad  istanza  del  Soncino  Tedi- 
«  zione  in  4**  dell'operetta  //  perché  di  Girolamo  Manfredi^  in  An- 
«  cona  che  ha  il  vanto  d'essere  il  primo  libro  stampalo  in  quella 
•  Città.  »  L'  Ottino  dimostra  che  questo  è  un  errore,  come  sono 
in  errore  quelli  che  han  credulo  sin  qui,  per  quanto  ne  scrisse 
neìV Archivio  Storico  Itnliano  del  1870  il  signor  Hongi,  che  il 
primo  libro  stampalo  dal  (ìuerralda  in  Ancona  fosse  quello  intito- 
lato CoMtitutiones  ,vve  Sf'itufa  Civitatìs  Anronnc,  venuto  in  luce 
nel  Ili  13.  Invece  il  sii?.  Ouino  ha  potuto  vedere  un'edizione  del 
libro  del  Manfredi  stampala  nel  1:'ì̱  Il  \ol.  consta  di  8  carte 
non  numerate  in  principio,  (|uindi  da  1  a  7j  con  segnature  A-T, 
è  stampato  in  carattere  semigolici)  bellissimo  in  due  coloiuie  da 
quaranUisei  linee.  Il  titolo  comincia  colle  parole  Jisus  Maria,  ed 
ò  circondato  da  un  inla;:lio  in  h»;:no,  m:u»slrevolmenle  lavorato.  Il 
libro  lerniiua  ctisi:  Sftuup'tf  :  in  .1 /#"'//'/  ptr  Mtcsfr^j  lìvrnnrdino 
—  Oliva  nvl  tanno  dtii  Chn^itinnn  snluU  M  —  IJ  li  di  io  de 


188  E    BIBLIOGRAFICHE 

marzo  nel  pontificalo  del  beatissimo  signor  —  Julto  nostro  — 
Papa  ij  —  L'uUima  carta  è  in  bianco.  Il  signor  Oltino  conclude 
il  suo  scrino  cosi:  «  In  seguito  alla  scoperta  di  questo  volume, 
«  la  data  deirintroduzione  della  stampa  in  Ancona  può  venir  pre- 
«  cisata  nell'anno  1512,  e  la  serie  delle  edizioni  dei  Perchè  ac* 
e  cresciuta  di  una  rarissima  fra  le  più  rare.  » 

La  sta^npa  a  Camerino.  —  Nel  num.  22  del  giornale  V Ap- 
pennino troviamo  un  articolo  di  quel  dotto  illustratore  delle  me- 
morie storiche  delle  Marche  che  è  il  sig.  M.  Santoni  intorno  al- 
rintroduzione  della  stampa  in  Camerino.  Dolenti  di  non  poter  qui 
riprodurlo  per  intero,  ne  riassumiamo  le  notizie  più  importanti, 
sicuri  di  far  cosa  grata  ai  nostri  lettori  —  Le  prime  tipografie 
nelle  Marche  e  nell'Umbria  soi'sero  in  Foligno,  Trevi  e  Jesi  tra  il 
1470  ed  il  1472.  —  Solamente  nell'aimo  1523  Giangiacomo  De 
Benedictis  di  Bologna  venuto  in  Camerino  stampava  le  poesie  di 
Pacifico  Massimo  Ascolano  dedicandole  a  Giulio  Cesare,  figlio  na- 
turale del  Duca  Gio:  Maria  Varano.  Nella  prefazione  si  trovano 
queste  parole  —  laborumy  officinaeque  nostrae  primitias  —  le 
quali  tolgono  ogni  dubbio  che  quello  sia  stato  il  primo  libro  che 
in  quella  città  venna  stampalo.  Ecco  gli  appunti  bibliografici  su 
tre  opere  dal  De  Benedictis  date  in  luce.  La  prima,  assai  rara, 
porta  il  seguente  titolo:  Pacifici  Maximi  Poetae^  Asculani  elegiae 
nonnuUae  —  jocosae  et  festioae.  Laudes  summorum  virorum  — 
Urbium  et  locorum.  Invectivae  in  quosdam.  Laudes  patriae  AscU'^ 
lanae  et  alia  —  quaedam  iucunda  et  docta.  Sotto  il  titolo  è  Timma- 
gine  dell'  autore.  Nel  davanti  della  tavola  è  lo  stemma  dei  Varano 
a  cui  segue  la  dedica.  Il  voi.  è  in  quarto  piccolo  di  pag.  96  e 
neirultima  son  stampate  le  seguenti  parole:  —  Joannes  Jacobus 
De  Benedictis  Bononietisis  —  Camerini  excudebat:  suis  et  Ludo- 
vici —  Placidi  Cameriis  sodi  sumplibus:  —  Regnante  inclito  Jo: 
Maria  —  Varano  Duce:  —  Quintili  —  Mense  medio  hujus  — 
Anni  —  Cristiani  riius,  M.D.XXIII.  — 

Più  raro  è  il  secondo  volume,  stampalo  nell'anno  successivo: 
unica  notizia  che  di  esso  si  abbia  è  questa  :  Ilìeriommus  Mutius 
—  Competuiiosa  ars  metrica  —  Catìierini  per  Jo:  Jacobum  Bo- 
noniensem  an,  1 524  tempore  Jo:  Marine  Varani  Camertium  Du- 
cis  et  Almae  Urbis  Praefecti,  cui  opus  dedicavit, 

\\  terzo  cimelio  del  De  Benedictis  è  un  opusculetto  di  quutlro 


NOTIZIE   STORICHE   E    BIBLIOGRAFICHE  189 

carie  iii-8  pie.  che  ha  per  titolo  —  Restauro  —  amoroso  —  dove 
si  conliefie  wia  bellissi-ma  Lillera  Amorosa,  —  Co7i  Sonetti  a 
più  propositi,  —  et  un  Capitolo  in  laude  delle  bellezze  di  —  una 
donna,  —  Aggiuntovi  uìia  ma  tinaia.  —  Con  la  ricercata  di  Ve* 
nere  —  per  la  perdita  di  Cupido.  —  Il  titolo  è  ìd  un  cartello 
inciso  in  legno,  sostenuto  per  mezzo  di  nna  catenella  tenuta  in 
bocca  da  un  mascherone,  ed  in  basso  vi  è  un  tronco  d'albero  da 
cai  partono  quattro  rami  di  alloro  e  di  palma.  —  Di  sotto,  in 
una  fascia,  è  scritto:  —  In  Camerino  —  e  nell'  ultima  facciata 
sta  scritto:  —  Ad  {stantia  di  Mafeo  Tagieti  —  detto  il  Fortu* 
nato  —  L'anno  ed  il  nome  del  tipografo  non  sono  indicati,  però 
confrontando  i  tipi  di  questo  libro  con  quelli  usati  per  le  poesie 
di  PaciGco  Massimo,  si  può  dedurre  con  certezza  opera  di  Gian- 
giaoomo  De  Benedictis. 

Cosianlin  BuUe:  Geschichte  der  Jahre  1871  bis  1877.  — 
VoL  primo  —  I  giornali  si  occupano  di  questa  storia  universale 
degli  ultimi  anni,  e  danno  lode  all'autore  di  un'esposizione  ordi- 
nata dei  fatti,  d' imparzialità  nei  giudizi!  e  di  eleganza  e  facilità 
nella  forma.  —  In  questo  primo  volume  l'autore  si  occupa  della 
storta  della  Francia  e  della  Germania  e  nel  secondo,  che  uscirà 
in  breve,  si  occuperà  delle  altre  nazioni. 

L' ILLUSTRE  STORICO  TEDESCO  Teodoru  .Mommsbk  fu  ttci  passati 
mesi  in  parecchi  luoghi  delle  nostre  Marche  per  trascrivere  le  i- 
scrizioni  dell'epoca  romana  che  vi  si  trovano^  e  cosi  completare 
la  sua  Raccolta  delle  Iscrizioni  latine,  É  inutile  il  dire  che  il 
dotto  uomo  fu  dovunque  accollo  con  quelle  dimostrazioni  di  stima 
di  cui  è  deguo  chi  ha  consacrato  la  vita  e  l'ingegno  ad  illustrare 
la  storia  dei  nostri  padri. 

Là  Bibbia,  primo  libro  stampato  dal  Guttemberg  nel  1455,  e 
di  cui  si  trovano  pochissimi  esemplari,  venne  venduta  a  Parigi 
all'asta  publica  per  L.  50,000. 

La  Storia  di  Jesi  scritta  nel  secolo  XVI  da  Pietro  Grizio,  di 
cui  l'edizione  fatta  nel  1578  in  Macerata  dal  Martellini  è  divenuta 
rarissima,  verrà  ora  ristampata  dalla  Tipografia  dei  Fratdili  Ruz* 
Zini  di  Jesi.  Il  valente  nostro  collaboratore  Prof.  Gianandrea  sor- 
veglierà  r  edizione  e  t' arricchirà  d' importanti  documenti.  Il  prezzo 
del  volume  sarà  di  L  3,50;  ne  verranno  publicati  degli  esem* 
plari  in  carta  distinta  che  costeranno  L.  5. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


Pervennero  alla  Direzione  le  seguenti  pubblicazioni 
delle  quali  ora  ci  limitiamo  a  dare  un  semplice  annun- 
zio, riservandoci  di  parlare  più  a  lungo  nei  venturi  fa- 
scicoli di  alcune  delle  più  importanti  fra  esse. 

Avv.  Prof.  Vincenzo  Ciri  —  Le  Accademie  di  Fermo  —  Lei- 
tura  tenuta  nell'adunanza  pubblica  della  Società  SlorìcoArchcolo- 
gica  delle  Marche  io  Fermo  il  4  Febbraio  1876  —  Un  fase,  io-8 
di  pag.  19  —  Fermo,  Slab.  TipograGco  Bacher  1877. 

March.  Filippo  Raffaelli,  Bibliotecario  della  Comunale  di  Fermo 

—  Storia    del  Card,    Giacomo    Ptcoraria    Vescovo   di    Preneste 
(1170-1244)  per  D.  Gaetano  Toooni  (Parma  Tip.  Fiaccadori  1877) 

—  Rassegna   bibliograGca.    Un   fase,  in-16  di  pag.  16  —  Rocca 
S.  Casciano  Stab.  Tip.  di  Federico  Cappelli  1877. 

Id.  —  La  Imparziale  e  vei'itiera  istoria  della  unione  della 
Biblioteca  Ducale  di  Urbino  alla  Vaticana  di  Roma  —  Lettera 
e  documenti  —  Uo  fase.  ìn-8  di  pag.  27  —  Fermo,  Stab.  Tip. 
Bacher  1877. 

Id.  —  Di  alcufie  opere  di  scultura  e  tarsia  in  legno  esislefUi 
a  Recanali  —  Memoria  eoo  documeoti  e  note  —  Un  fase,  in-8 
di  pag.  28  —  Fermo  Stab.  Tip.  Bacher  1877. 

Id.  —  //  Monumento  di  Papa  Gregorio  XII  ed  i  suoi  dona- 
tivi alla  Cattedrale  Basilica  di  Recanati  —  Memoria  con  docu- 
menti —  Un  opuscolo  in-8  di  pag.  23  —  Fermo,  Slab.  Tip.  Ba- 
cher 1877. 

Id.  —  Statuti  deli'  arte  della  calzoleria  in  Monte  Giorgio  com* 
pitali  nel  mccclxxxv,  volgarizzati  nel  mcccclxxxiv,  riformati  e 
corretti  nel  mccccxlviii  —  ora  per  la  prima  volta  messi  in  luce 
ed  illustrati  —  Un  opuscolo  in-8  di  pag.  3S  —  Fermo  Stab. 
Tip.  Bacher  1877. 

Id.  —  Alla  memoria  del  cav.  Gio.  Baf lista  Carducci^  morto 
il  giorno  27  Marzo  1878  —  Parole  pronunziale  in  omaggio  del* 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  191 

Tamicizia  a  Magliano  di  Tcnua,   la   maUina  del  29  Marzo  1878, 
dopo  i  solenni  funerali  —  Un  opuscolo  di  pag.  viii. 

Id.  —  lUmtrazmie  storico  descrittiva  del  Santuario  di  San 
Niccola  in  Tolentino  —  (Estrallo  dal  II  voi.  degli  Alti  della  Soc. 
Storico  Archeologica  delle  Marche  in  Fermo)  —  Un  opuscolo  in-8 
di  pag.  38  —  Fermo,  Slab.  Tip.  Bacher. 

Id.  —  Di  una  tavola  dipinta  da  Lorenzo  Urbani  da  Sanse- 
Severino  per  il  Comune  di  Recanati  —  Illustrazione  con  note  — 
Un  opuscolo  in-8  di  pag.  18  —  Fermo,  Tip.  Bacher  1873. 

Id.  —  Della  Tregua  avvetiuta  nell'Ottobre  del  mcdxi  fra  0- 
nofria  Smeducci  di  Sanseverino  ed  il  Comune  della  Città  di  Ma- 
cerata —  Documenti  storici  publicati  per  la  prima  volta  —  Un 
opuscolo  in-8  di  pag.  16  —  Macerata,  Tip.  A.  Mancini^  1869. 

Id.  —  Catalogo  di  Sfragistog rafia  della  privata  collezione  — 
Un  opusc.  in-8  di  pag.  27  —  Fermo,  Tip.  Paccasassi  1878. 

Id.  —  //  Monumento  di  Vittorio  Alfieri  in  Santa  Croce  di 
Firenze  —  Lettere  del  Senat.  Giovanni  degli  Alessandri  e  di  An- 
tonio Canova  publicate  per  la  prima  volta  ed  illustrate  —  Un  fase. 
in-8  di  pag.  xxiii  —  Fermo,  Tip.  Paccasassi  1878. 

Ab.  Giuseppe  Roderti  —  Risposta  al  giornale  Im  Civiltà  Cai* 
tolica  intorno  al  Diario  degl'Italiani  Illustri  —  Un  op.  in-16  di 
pag.  24  —  Milano,  Regia  Stamperia  1878. 

Giulio  Cesale  Varano  signore  di  Camerino  difeso  contro  la 
Civiltà  Cattolica  dall'accusa  di  fratricidio  e  di  tirannia.  —  Un 
opusc.  in-16  di  pag.  23  —  Camerino  Tip.  Savioi  1878. 

A.  Conti  —  Eugenio  Salbatini  —  Cenni  biografici  —  Un  op. 
di  pag.  lo  —  Camerino,  Tip.  Savini  1877. 

Prof.  Aristide  Costi  —  Intorno  alla  fama  di  Cristoforo  Co' 
lombo  e  al  nome  dvl  \uovo  Mondo,  —  Un  opusc.  in-8  di  pag. 
26  —  Camerino  1872,  Tip.  Borgarelli. 

Pietro  Rotondi  —  /  Migliori  Esempi  della  storia  d'Italia  — 
Con  vignette  illustrative  —  Un  bel  voi.  in-16  di  pag.  vii-239  — 
Milano  Ditta  Giacomo  Agnelli  1878  —  Prezzo  L.  2. 

Angelo  Xasi  —  Zara  v  i  suoi  contorni  descritti  al  forestiere 

—  Un  voi.  in- 16  di  pag.  97  —  Zara.  Tip.  Artale.  Prezzo  L  1.20. 

Km  della  Società  Storico- Archeologica  delle  Marche  in  Firmo 

~  VoL  flno-8  di  pag.  .\xvi«231  —  Fermo,  Stab.  ^Tip.  Bacher 

1878. 


192  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

Emanuele  Gaetàni-Tambcrini  —  Nicola  Gaetani-TamburùU  — 
Studio  biograflco  —  Un  opusc.  in-16  di  pag.  43  —  Firenze  coi 
lipi  di  M.  Cellinì  e  G,  alia  Galileiana  1878  —  Prezzo  L  1. 

Prof.  A.  GiANAXDREA  —  Di  una  immigrazione  di  Lombardi 
nella  città  e  nel  contado  di  Jesi  intorno  aWuUimo  quarto  del  se- 
colo XV  —  Notizie  e  documenti  —  Un  opusc.  in-16  di  pag.  23. 
—  Milano,  Tip.  Bernardoni  i878. 

Alcibiade  Moretti  —  Memorie  degli  illustri  Jesini  —  Un  voi. 
in-16  di  pag.  131  —  Jesi/  Tip.  Fratelli  Polidori  e  C.  1870  — 
Prezzo  L.  1. 

B.  E.  Mainbri  e  G.  Càiroli  —  Spedizione  dei  Monti  Parioli 
(^Z  ottobre  1867)  con  proemio  e  note  —  Un  voi.  elzeviriano  di 
pag.  187  —  Milano,  A  cura  dell'editore  L.  Levi  1878  —  Prezzo 
L.  2,50. 

Genio  e  Lavoro, —  BiograBa  e  breve  storia  delle  principali 
opere  dei  celebri  intarsiatori  Giuseppe  e  Cario  Francesco  Mag- 
giolini —  Un  voi.  in- 16  di  pag.  112  —  Milano,  Ditta  Giacomo 
Agnelli,  1878  —  Prezzo  L.  1.25. 

Prof.  Vincenzo  Curi  —  Guida  storica  e  artistica  della  città 
di  Fermo  —  Un  voi.  in-16  picc.  di  pag.  136  —  Fermo.  Tipogr. 
Bacher,  1864. 

Benedetto  Peina  —  Biografia  di  Luigi  Sani  —  Sec.  Ediz. 
Un  op.  in-16  di  pag.  69  —  Milano,  Ditta  Giacomo  Agnelli  1878. 

Alfredo  Margltti  —  Senigallia  e  i  suoi  dintorni  —  Cenni 
bibliograGciy  storici  e  descrittivi  —  Un  op.  in-16  di  pag.  76  — 
Fano,  Tip.  Lana,  1877. 

Giosuè  Cbcconi  —  Monte  Sa»i(o  Pietro  —  Cenni  storici*  Un 
op.  iu-8  di  pag.  35  —  Osimo,  Tip.  dei  Fratelli  Quercetti  1878. 


avvertenza  —  Abbiamo  detto  alU  pag.  119  che  la  lettera  del  Leopardi 
da  cai  è  tolto  il  frammento  da  noi  publicato  per  la  prima  tolta  in  questa  di- 
ipensa,  era  diretta  a  Pietro  Giordani;  ora. dobbiamo  rimediare  a  tale  involontaria 
inesattezza,  cagionata  dairaver  trascrìtto  quel  frammento  da  una  copia  di  Pao- 
lina sorella  di  Giacomo.  La  lettera  è  diretta  a  Giulio  Perticari,  come  ce  ne  aT- 
rerte  U  prof.  Piergili,  che  ne  ha  potuto  vedere  r  originale.        "^^ 


DI  m  smi'i  iMEi  m\i\ 


DONATA    DAL   CONSOLE   L.    MUMMIO 


ALLA  CITTÀ  1)1  PALMA 


PEL 

BARONK  DOMENICO  DE^  GUIDOBALIM 

SOCIU   III    VAHIK    ACCADKMIK 


.41  .-/i    òV.'f    V/irWi.  .V   f  11 


DI  i\i  m[\  imiiiFJ 


i«ni^ 


(JniVf»  o  s(n-proii<l''iito  ò  il  rorso  dolio  j^onerazioni  uina- 
ii^'i  o  <  hi  svolp^  I(»  pa.ufini'  ove  sono  rojifistniti  i  fatti 
«r  HnTUd;  noti  jotni  di  sovonto  che  maravigliare  o  s(»ii- 
tir  i\\V'\  brivido  di  olio  s(*uotonsi  lo  più  rigido  animo 
o  ](»  più  s(^vòro.  I  fatti  di  (inolia  vecchia  Metropoli  dol 
inondo ,  o  d<*gli  nomini  cho  riepilogano  la  sna  {xditica 
ili  concjui^tji,  o  r  oi^oismo  di  (piol  ])opolo  cupido  di  ven- 
dere ai  snoi  [nò  umìliatf»  o  suttomosso  le  genti  univer- 
se, la  mettevano  ro'  suoi  <lnci  i  più  celebrati  e  potenti 
iieir  a't'ìlena  ora  delle  atrocità  e  della  fierezza;  ed  ora 
la  crudeltà  di  si>ogliatori  di  i>opoli  o  di  Città,  faeeva- 
8Ì  mito,  f»  rrasformavasi  in  lH»neHcenza  j)er  altre  genti  e 
jHT  altre  (*ittà.  Cotanto  possono  le  jnù  inconciliabili 
qualità^  dello  spirito  umano! 

Ad  uno  di  sì  o])posti  caratteri,  e  a4l  un*  affetto  verso 
una  città  or  miseramente  «listrutta ,  Palma ,  metro|M>li 
della  Palmense  regi<me,  parte  dell*  attuale   Mandamento 


DI  is\  m[\ 


IL 


<inivo  o  sor|nMi(l«nte  l^  il  rorso  (lolle  jifonorazioni  unia- 
n»':  n  «hi  sv()l>»:(^  h»  pai^in*'  ove  sono  rep^i.strati  i  fatti 
«r  HiHiui;  noli  ] otni  di  sovente  che  maravigliare  e  sen- 
tir (\\v*\  hriviih»  (li  ehe  seuotonai  le  più  rigide  anime 
o  h»  più  s<'V(Te.  I  fatti  di  (|uella  vecchia  Metropoli  dd 
inondo ,  (»  d(»gli  uomini  che  riepilogano  la  sua  jxditiea 
di  <'on(|UÌstit,  e  V  ei^oismo  di  (juel  ]>opolo  cupido  di  ven- 
dere ai  suoi  pif*  umiliate*  e  sottomesse  le  genti  univer- 
se, la  mettevano  co'  suoi  duci  i  più  c(»l(»l)rati  e  patenti 
nt'ir  alt'tiena  om  delle  atrocità  e  della  fierezza;  ed  ora 
la  crudeltà  di  s|)ogIiatori  di  }H)|k>1ì  e  di  Città,  faceva- 
sl  mite,  e  trasformavasi  in  l)(»neHcenza  per  altre  genti  e 
jHT  altre  Città.  (*otanto  poss(»no  le  j>iù  inconciliahili 
(|ualità  dello  spirito  umano! 

Ad  uno  di  SI  (»pposti  caratt(*ri,  e  ad  un'  affetto  verso 
una  citta  or  nnserami^nti»  distrutta.  Palma,  metn)jM>li 
della  Palmeub*^  pigione,  parte  dell'  attuale   Mandamento 


196        DI  UNA  STÀTUA  MARMOREA  ACEFALA 

di  Nereto  nel  1/  Abruzzo  Ultra,  rimonta  l'origine  di 
una  Statua  marmorea,  che  forma  il  subbietto  di  questo 
mio  umile  scritto.  H  famoso  spogliatore  della  celebre 
città  di  Corinto,  L.  Mummio,  la  donava  a  tal  Città,  sic- 
come parmi  poter  dedurre  dall'  arcaica  iscrizione  fin  qui 
ignorata,  e  scolpita  sotto  la  base  della  Statua. 

Codesta  fu  da  me  veduta  la  prima  volta  nella  casa 
di  Campagna  del  Signor  Spinozzi,  sita  ne'  piani  di  S. 
Omero,  son  già  molti  anni,  senza  che  avessi  potuto  dar- 
ne conto  subito,  essendone  stato  impedito  da  molte  cir- 
costanze, e  specialmente  dalla  dimora  a  Napoli ,  e  da 
altre  cure:  ed  ora  non  voglio  ulteriormente  trasandarlo, 
avendone  V  opportunità.  Dispiacevolmente  la  Statua  è 
acefala  ;  manca  del  destro  braccio  ;  il  sinistro  è  monco 
dal  metatarso  a  tutta  la  mano.  Il  davanti  quasi  dalla 
cinta  in  giù  è  bruttamente  guasto  sino  alla  base,  non 
del  tutto  integra.  H  di  dietro  è  piuttosto  in  buono  stato, 
e  presenta  il  ripiegato  peplo  artisticamente  sculto,  di  cui 
un  lembo  ricadendo  dair*omero  sinistro  scende  sul  petto. 
I  fianchi  sono  allacciati  da  una  zona,  la  quale  aggiugne 
grazia  alla  imagine,  rilevando  il  petto,  coverto  dalle  ben 
disposte  pieghe  della  tunica  che  il  ricuopre.  L' altezza 
della  Statua  dalla  punta  degli  omeri  a  tutta  la  base  è  di 
m,  1.32;  e  se  avesse  conservato  il  capo,  sarebbe  stata 
quasi  più  del  naturale.  Ho  credutp  fame  eseguire  il  di- 
segno, che  vedesi  nella  tavola  litografica.  Quel  che  fa 
più  prezioso  un  tal  monumento  si  è  l' iscrizione  arcaica 
non  vista  né  dallo  Storico  Palma,  che  parlò  solo  della 
Statua  (1);  né  dal  Ricci,  che  pur  ne  fece  parola  in  un 

(I)  Sloria  Aprul,  VoK  V.  agg.  al  l.«  Voi.  217. 


DI    UNA   STATUA   MARMORRA    ACEFALA  197 

SUO  opuscolo  (1);  o  il  quale  conghietturò  rappresentasse 
una  (liunono.  Eglino  non  ebbero  V  accorgimento  di  os- 
servarla da  tutt'  i  Iati,  ed  anco  sotto  la  base:  imperoc- 
ché avrebbero  dovuto  ricordare  che  Plinio ,  ed  altri 
scrittori  parlano  dplle  memorie  che  ponevansi  spesso 
sotto  le  basi  delle  imagini  sculte,  per  designare  la  de- 
dicazione, il  dono  od  altro  (2).  Ed  ecco  qui  la  sculta 
iscrizione  a  bastanza  erosa. 

J-  Jv\  '\MA 


ARTICOLO  I. 

U'OGO    OVE    pr    RINVENUTA    LA    STATUA    ACEFALA.    

DELLA    SUA  IFCRIZIONE  ALLA  BARE:   SUO  ARCAISMO. 

La  statua,  mi  si  assicurò  dal  Signor  Spinozzi,  fosse 
stata  rinvenuta  jhvo  lungi  dal  luogo,  ov'  ebbe  la  ven- 
tura di  8cuo^)rire  la  lapide  con  V  arcaica  iscrizione  da 
me  prima  <li  (»gni  altro  scoverta  e  pubblicata  (3).  Fu 
trovata  insieme  ad  una  base  di  colonna  fra  i  ruderi  di 
vecchie  fabbriche,  che  possono  essere  assomigliate  a  quelle 

M>   \ntirhilè  r.iÌfnenM,  p,  i9  •  43 

l«)  Plin.  M.  .V.  XXMV,  e.  LX  c«I.  W«m4 

fZ)  Il  Ch.  F«l>ri*(li  ulliinamcnltf  Ubi  riprudolla  ih'I  suo  III  Supplemento  alle 
•  •criiiMii  anliclitM.  d'Hai,  p.  U7  publilic^lo  ne!  1878,  dopo  svernn  a  ne  richie- 
sto OH*  apoctafj  accur4li»4Ìino  carlareo.  È  di»placcvole  che  fio  qu)  non  liatene 
polttlo  trarre  «enfo  alcuno. 


498        DI  TNA  STATUA  MARMOREA  ACKFALA 

che  Plinio  disse  appartenere  all'  Opus  .<tignhìum  (1);  o 
di  cui  sonvi  reliquie  sparse  in  moltissime  contradi^  di 
queste  regioni  Palmense  e  Pretuziana.  Vogliono  il  Pal- 
ma, e  il  Ricci  (11.  cc.\  che  di  tali  fabbriche,  che  i  na- 
turali dicono  Saracinesche,  durissin  e  e  inespugnabili, 
ve  ne  fossero  nella  contrada  detta  Cisterna:  ove  anco 
io  le  ho  viste  in  una  vaga  collinetta  ad  occidente  del- 
l' incastellato  S.  Omero,  alla  distanza  da  esso  di  circa 
un  chilometro ,  e  quasi  altrettanta  da  S/  M."*  a  Vico 
nel  piano  Santomerese.  Colà  il  Palma  primo,  indi  il 
Ricci  s'  imbatterono  in  una  edicola,  che  io  non  ho  po- 
tuto rinvenire.  Ho  avuto  però  l'agio  d'osservare  le  nu- 
meros.^  fabbriche  dai  medesimi  ricordate  del  genere  Si- 
yninum.  Ma  anco  dopo  le  ideo  dal  Ricci  esposte  (2), 
parmi  essere  rimasto  più  digiuno  che  prinia  ,  non  sa- 
ppnd:)mi  rass'^gnare  a  crederle  destinato  all'uso  di  con- 
serve di  acque,  dopo  che  in  altre  fabbriche  simili  sjiai^si* 
in  tanta  copia  nel  territorio  Santoneiese,  e  nel  fondo 
AA  Signor  Pelliccioni ,  e  in  quello  del  Signor  Pilotti , 
sonovisi  rinvenuti,  moltissimi  anni  or  sono,  vasi  di  ve- 
tro, monete,  ed  altri  utensili;  né  la  loro  costruzione,  e 
le  aperture  laterali  che  vi  sono  fanno  sicuro  certamente 
il  giudizio  di  essere  state  conserve  di  acqua.  Un  labi- 
rinto quasi  di  tali  fabriche  osservasi  ad  Oriente  di  S. 
Omero  in  una  contrada  detta  Case  alte;  né  mancano 
qui  in  Nereto  in  contrada  detta  sopra  il  ponte;  a  S.  Mar- 
tino a  Galliano,  e  altrove.  Nella  edicola  pertanto,  dicesi, 
essere  stata  rinvenuta  la  Statua  acefala;  della  cui  iscrizio- 

(i;  St,  X.  Uh.  XXXV.  e.   19. 
(2)  Anlich.  Palmcnsi   I.  e. 


DI    TNA   STATl.V    MAAMORKA   ACICI'^ALÀ  199 

ne  eccomi  a  dire  la  interpretazione  e  le  idee,  che  parmi 
venffano  spontanee  dall'  esame  che  andrò  facendone  nel- 
la mia  pochezza,  rinfrancato  soltanto  da  utilissimi  con- 
fronti, che  ho  potuto  fortunatamente  stabilire  con  altri 
monumenti  analoghi. 

Innanzi  tratto,  credo  ciie  a  prima  (giunta  l'epigrafe 
pili  Hopra  riportata  possa  leggersi, 

L.  ATV'Mniius 

Civitati  Pahnae 

• 

L'  arcaisiiìO  della  iscrizione  è  chiaro  abbastanza,  e 
ci  permette  delle  oss-rvazioni  paleografiche.  Nel  segno  1/ 
prenome  di  M*immio,  non  può  non  ravvisarsi  Tuso  del- 
la L  ad  angolo  quasi  acuto,  o  meglio  medio.  Sorpren- 
derà forse  veder  questa  lettera  sculta  retrograda,  di  che 
non  ^  A  facile  trovare  un'  esempio  negli  alfabeti  arcai- 
co-latini  e  nella  scrittura  da  sinistra  a  debtra;  il  che 
non  isgomentf*rebl)e  nei  dialetti  Etruschi,  Osci,  e  nel- 
r  alfabeto  Chiusino  (1).  Ma  o  questa  iorma  è  dovuta 
alla  ignoranza  del  lapidicida,  o  sarà  stata  una  imitazioni? 
delle  suddette  scritture  del  ramo  non  latino.  Però  K  c(  n 
forma  retrograda  potrebbe  essere  stata  scritta  e  posta 
in  tal  senso,  come  erasi  praticato  alcAina  volta  con  T  ele- 
mento 1  per  F  (2).  Il  veder  poi  slargate  le  gambe 
nella  M  è  altro  argomento  di  arciiismo.  H  P  raramente 
trovasi  atloperato  nella  latina  scrittura,  se  non  che  ci 
»i/*corre  un'  Iscrizione  Picena  presso  il  eh.  Fabrettì  (3); 

M)  A.  Kiibrrlll,  Sttppi,  I.  Omerv:  Paieograf,  p.   188;  o  $  IV  B.  d.  i. 
(i)  Garrucei,  S^Uog,  p.  9. 
(SI  Closfsr.  M.  n.  i4t78.  bis. 


iùO  DI   UNA   STATUA   MARMORKA    ACS.?\LK 

avente  il  valore  di  p,  non  lasciando  <li  avere  la  fisio* 
nomia  della  forma  quadrata  quale  in  p,  cui  adombra. 
La  ragionevolezza  della  interpretazione  da  me  qui 
data,  cioè  di  L.  Mummio,  che  do^ia  alla  Città  di  Palma 
la  Statua,  emerge  da  varie  non  difficili  investigazioni  e 
riflessioni,  che  ho  il  debito  di  esporre  e  sotton^ett«re  ai 
dotti  Epigrafisti,  dopo  una  breve  notizia  di  Palma. 

ARTICOLO    II.' 


BEGIONE    PALMEN6E.    PALMA    SUA    MFTROPOLI.    OV     ERA 

SITUATA,    SUOI    VICHI.    SALARIA    A)?TJCH1RSIMA    CHE    LE 

CORREVA    VICINA.      OCCUPAVA      IL    CKNTRO     DET.l'  AGRO 

TRA    8.    OMERO    E    S.''    M.**    A    VICO. 


La  statua  rinvenuta  nella  Regione  Palmense,  di  cui 
Palma  era  sicuramente  la  metropoli,  fn  donata  a  tal 
Cina  da  Mummio.  Ella  dovea  essere  poco  lungi  dal 
Castello  di  Palma  sito  sul  territorio  di  Tortoreto  ai  suoi 
confini  verso  sud-ovest,  vicino  a  quello  di  Lauro,  di  cui 
si  hanno  notizie  e  nel  Palma,  e  nel  Ricci,  e  specialmen- 
te in  questo  (1),  e  che  io  credo  ben  distinti  dalla  Metro- 
poli propriamente  detta  Palma;  imperocché  il  Castello 
di  Palma,  non  dovette  essere  che  una  dipendenza  di 
quella,  come  accade  vedere  di  Truentum  e  di  Castrum 
Traenìinum.  Palma  dovè  sedere    vicino  alle    numerose 


(1)  AtUiehilà  Pabnenù  i>.  i9  e  sf^.  Il  Cjslellu  ili  lauro  ii>c>j:)tlo  il  Biiint*Ui 
prr5S0  Io  Storico  Palmn  (IV.  9i9.  p.  Bruneili  p.  (51)  cn  un  mi;:lio  dishinlc  dal 
Caslfllo  Ji  Palma,  p  dal  i^.  Slcfaiio  al  Po^i^ionion'Ilo  nel  Inriforio  «H  S.  Onioro 
iccondo  lo  sli'sso  Brunetti,  poco  tiistanlc  dal  Caslclio  di  Palma. 


DI   rXA   stATVA   MARMOHRA   AP.ErAf.A  201 

fjibbrioho,  di  (miì  ho  parlato,  non  lungi  da  S."  M."  a  Vico, 
vicino  al  luogo  ov'  «"^  stata  rinvenuta  la  Statua  donata 
da  L.  Mummio.  E  Vico  naturalmente  dovea  far  parte, 
o  almeno  esser  poco  discosto  dalla  Città,  della  quale  era 
un'appendice  (1).  Che  la  Città  di  Palma  fosse  ivi  vici- 
no, ce  ne  per.Miadono  le  tante  anticaglie  rinvenute  tra 
S.  Omero  e  S."  M."  a  Vico.  Ivi  su  di  una  lieta  colli- 
netta correva  T antichissima  Salaria,  andante  da  Oriente 
ad  Occidente;  e  colà  poco  distanto  fii  rinvenuta  fra  ru- 
deri r  is(TÌzione  arcaica  sopra  mentovata.  Che  ivi  cor- 
resse la  vecchia  Salaria,  ho  ragione  di  crederlo,  e  non 
la  pretesa  iletella  del  Palma,  ignota  a  tutti  gli  autori 
degf  Itinerari  Romani,  e  alla  Tavola  Peutingeriana,  -su 
di  die  s])ero  fra  jkx'o  dare  una  particolare  trattazione, 
pe^•h^  i  Signori  Spinozzi  mi  hanno  assicurato  essersi  rin- 
venute le  reliquie  di  un  selciato  della  larghezza  di  cir- 
ca metri  cinque  con  direzione  di  0''iente  m\  Occidente 
formato  da  j)ietre  poligonali  hen  connesse;  selciatura  che 
l)en  si  addice,  giusta  Livio  ed  altri,  alla  primitiva  Sala- 
ria (2);  diversa  dalla  Salaria  nuova  che  da  Falacrine  ed 
Aa<*ol i-Piceno  mettea  cajM>  a  Castel  Truentino,  ove  s' in- 
nestiiva  alla  via  Flaminia.  La  Salaria  antichissima  che 
piTCorreva  la  Palmense  regione  e  toccava  Palma,  nìe- 
nava  a  Roma  più  prestamente;  e  ristorata  dal  Consoli» 
Metello  al  037  di  R.  come  dal  cipj)o  miliaiv  di  Val- 
lorino,  fece  j)ensare  al  Palma  a  darle  V  improprio  nome 
di   Via  Metella. 

Siam  tratti  a  cr»^dere  eziandio  in  tali  luoghi  la  ca- 
ci» V.  e.  D.'  P,lra.  ^ut/e  V.omtizioiti  thllr  Otiti  hat,  rr  p,  «7  •  ^. 
.<!  B'irgli'"»!   fiptie  T.  VI.  lelt^e  T.  I.  pip.  501». 


■ 


! 

I 


r 


^0:2  Df    UNA   STATUA   MARMORl!:A   ACEFALA 

pitale  Palraense,  dal  sapere  quivi  rinvenute  iscrizioni; 
colonne,  torsi  di  Statue  marmoreo  (due  ne  ho  presso  di 
me),  monca  iscrizione  accennante  all'  Ottovirato,  niagi- 
stratura  municipale,  come  da  dotti  Epigrafisti  ora  è  ri- 
tenuto. Fino  poi  a  pochi  anni  addietro  era  visibile  una 
specie  di  sotterraneo  cammino  detto  dal  volgo  Grotte  di 
Maria  Francesca,  prossima  a  S."  M/  a  Vico  avente  di- 
rezione da  Settentrione  a  Mezzodì,  con  potervi  and^r 
dentro  un'  uomo  all'  impiedi,  fabbricato  con  volta  e  ma- 
teriali a  calcistruzzo,  cioè  della  specie  deìV  opus  -  signi- 
num;  per  una  lunghezza  inesplorata,  mettendo  orrore  il 
penetrarvi  e  vanamente  tentato  da  vari.  Né  mancava- 
no lunghe  distese  di  tombe,  antichissime  e  meno  anti- 
che; e  canali  di  piombo  barbaramente  liquefatti;  immen- 
sa quantità  di  cotto;  e  residui  di  anfore,  di  grandi  do- 
lii;  tegoloni  piani  e  rottami  di  fabbriche  di  ogni  guisa; 
monete  svariate  di  bronzo,  di  argento  dell'epoca  roma- 
na, molte  di  bronzo  dell'  aes  grave,  sperdute  senza  no- 
tizia di  luogo  dai  trovatori  di  nulla  curanti.  Ho  saputo, 
che  il  quinipondio,  posseduto  dal  De  Paulis,  di  cui  di- 
scorsero il  Gennarelli  ed  altri,  e  che  si  disse  rinvenuto 
o  proveniente  da  Nereto,  fosse  ritrovato  vicino  S/  M.* 
a   Vico,  epperò  ì.on  lungi  da  Palma  (IV 

Che  la  metropoli  del  Palmense  dovesse  essere  ap- 
punto tra  S.  Omero,  e  S/  M/  a  Vico,  mi  darebbe  per 
avventura  ragione  la  centralità  di  tal  luogo  nella  Re- 
gione Palmense,  una  delle  tre,  rammentata  da  Plinio  (2), 


(1)  Genoirelli,  ttoncl.  U.  priinil.  p.  17;  c^*.  Anoal.  di  Numis.  del  Fiorelli  II, 
p.  153  rfegli  Excop.  del  Cav    Avellino. 
(5>  //.  .V.  lib.  HI,  cap.  XIV.  5.  19. 


^" 


1)1    UNA   STATUA    MAHMOHKA    ACRPALA  ÌOH 

insieme  alla  Protuziana,  e  V  Adriana;  la  quale  confina- 
va ad  oriente  con  1'  Adriatico  ;  ove  alla  foce  deìVAlbti" 
li  (fiumf»  Vibrata)  avea  emporio^  e  dove  propriamente 
nn  luogo  detto  Srenie^  di  cui  ho  detto  altrove  la  signi- 
ficazione di  rifugio  di  navi  (1).  A  Settentrione  col  fiu- 
me Truento  alla  cui  foce  il  Castello  Truentino  col  por- 
to; a  Mezzodì  col  Salinello  (Ilelvitìiis);  e  ad  occidente 
coi  monti  di  Campii  e  Civitella  del  Tronto  (2).  Che  le 
uìetropoli  fossero  poste  nei  centri  di  una  regione,  non 
vorrà  discredersi,  tale  esìgendo  relativamente  a  tutto  il 
Palmense  il  luogo  tra  S.  Omero,  e  S/  M/  a  Vico,  per- 
ebbe <n\  j>recetto  degli  antichi,  come  eia  Platone  e  da 
Ciceronf%  di  collortirsi  nelle  posizioni  mediane;  o  disco- 
ste dal  mure  (3). 

Codesta  cospicua  Città  di  Palma  seder  dovea  adun- 
que nel  mezzo  dol  suo  Agro,  al  (juale  avea  dato  nome. 
Di  essa  ntilla  esiste  più;  fra  rottami  giace  il  suo  Vico 
detto  ora  di  S."  M.'  All'  est  dovea  avere  il  citato  Ca- 
stello di  Palma  nel  territorio  di  Tortoreto  ,  ove  anche 
Lauro;  mentre  al  sud-est  il  -luogo  detto  Case  alto  ric- 
chissimo, come  abbiam  notato,  di  fabbriche  appartenenti 
aWoptis-sif/ninum,  dovea  esserne  una  dipendenza:  e  ad 
occidente  Garrufo,  appendice  ora  del  Comune  di  S.  0- 
mero,  presso  il  quale  volle  credere  il  Mozjsetti  (4)  un 
minato  anfiteatnì,  di  cui  essendo  distrutte  sin  le  ultima 
reliquie,  non  ho  potuto  vederne  orma. 


{ì)  Mem.  per  In  FetTuvia  di  Torfnrrfo, 

{i)  Meni.  cH.  (Iella  Rampigna,  p.  13  e  m>s. 

t^}  PUI.  Lr».  IV.  —  Cirrr:  il.«  Ri^puhhlira   lib.  II.  r.  Ili  oil   Vn. 

i4>  fhtlUti.   lieir  hfit,  Arfh,  rii   R     l^À-ì 


204  DI    UNA   STAtUA   MARMOREA   ACRPALA 

Non  cercherò  qui  ritornare  su  la  contrastata  deno- 
minazione Plinìana  di  ager  Palmensis;  voluta  sostituire 
dal  Delfico  e  dal  Palma  con  quella  di  Phinensis^  stra- 
nissima opinione  da  me  altrove  combattuta  (2). 

ARTICOLO  III: 


Ti.  MTrMMIO  DISTRUTTO  CORINTO,  DE*  CAPOLAVORI  DI  ARTE  FA 
DONO  A  ROMA  E  AD  ALTRE  CTTTÀ  d'  ITAUA  E  FUORI. 
STATUA    MARMOREA    DA    LUI    DONATA    A    PALMA.  . 


A  chi  non  è  conto  come  Roma  disbrigatasi  delle 
due  guerre  italiche  di  Annibale,  e  di  Pirro;  debellato 
Perseo  ,  e  ridottolo  prigioniero  in  Alba  Fucente  y  ago- 
gnasse alla  sovranità  piena  della  Grecia?  L' orgoglio  Car- 
taginese era  stato  abbassata  dalla  ostinatezzifi  proverbiale 
romana  nella  guerra.  Cartagine  era  stata  vinta,  distrut- 
ta e  desolata.  Capua ,  1'  emula  di  Roma  e  della  sua 
potenza,  lusingata  e  tradita,  come  di  ordinario ,  dallo 
straniero,  era  ridotta  a  pascersi  di  obbrobriose  condi- 
zioni. Corinto  emporio  di  civiltà,  e  doviziosa  di  mo- 
numenti del  popolo  il  più  artistico  del  mondo,  dovea 
incurvarsi  alla  onnipotenza  di  Roma.  Paolo  Emilio, 
Metello  e  L.  Mummio  aveano  condotta  la  guerra  la 
più  fatale  ad  una  nazione,  la  quale  dovette  subire  la 
sorte  la  più  cruda  per  dissidii,  rovinatori  di  ogni  so- 
cietA,  deir  aristocrazia  e  della  democrazia.  Avvinta  dal- 
le  catene    romane,    la  Grecia    fu    interamente    ruinata, 

(1)  Della  Rampigna  p.  15. 


DI    UUA   STATUA   MAfìMORKA    ACEFALA  203 

Le  più  cospicue  e  nobili  città  vennero  spogliate,  e  il 
ludibrio  e  V  obbrobrio  del  guai  ai  vinti  !  cadde  supremo 
8U  la  miseranda  Corinto.  Il  Console  L.  Mummio,  succe- 
duto a  Metello  il  Macedonie:)  nel  comando  »' eli' esercito 
rumano,  pose  il  campo  presso  quella  costernata  Città, 
entro  la  quale  eransi  rinchiusi  14  mila  valorosi  soldati 
comandati  da  Dico,  il  quale  disperatamente  pugnando 
fu  vinto  vicino  I^eucopetra  all'  ingresso  dell'  istmo.  Co- 
rinto, disertata  da  tutti  gli  abitatori  fuggiti  in  Arcadia, 
dopo  tre  giorni,  scomparso  ogni  timore  di  agguati,  fu 
iW  Romani  messa  a  sacco  e  fuoco.  La  città  già  decoro 
della  Grecia  e  metropoli  dell'  Acaia  (1);  opulentissima, 
come  la  dichiarano  Diodoro  Siculo ,  Pausania  ed  Oro- 
sio  (2),  em  ricchissima  di  capolavori  di  arte,  giusta  la 
testimonianza  di  quest'  ultimo,  che  scrive,  velut  o/Jicina 
omnium  artificHm  atque  artificiorum  et  emjMjrinm  comu- 
ne Asiae  ahjue  Europae  per  multa  retro  sitecula  fuit. 
Or,  venduti  gli  abitatori  infelicissimi,  M'immio  non 
risparmiò  a  crudeltà  di  sorta  nò  verso  di  questi ,  \\h 
viTso  c|Up11ì,  Statue,  e  dipinti  celel)ratÌHsinìi  furono  in- 
viati a  Roma,  ed  ebbe  sovrannome  di  Achìco;  ejiperò 
Virgilio  di  lui  disse  (3). 

lUe  triumphatn  dipitolin  ad  alta  Corintho  Victor 
ituget  currum  caesis  insignis   Achiris. 

L.  Mummio  del  gran  bottino  facendo  scelta,  (?  ab- 
Itandonando  la  parte  men  buona  a  Filopemeno,  le  nii- 
fflìuri  sculture,   i  dipinti,    e  le  ricche  suppellettjli  serlìò 

•t;  Fior.  Il,    16. 

K%)  Diod  XXXII  Fragm.  Y.  Patisnn.  VII.  It'>;  nn»^.  V.  .1 

(3i  Atn,  \  \,  ^y7  ci  >cq. 


201»  DI    INA    STATIA    MAUMOHKA    ACl!»FALA 

por  Ronuì  non  soltanto  (1),  ma  arricchiniio  molte  città 
d'  Italia,  e  fin  le  Provincie,  come  chiaramente  è  dett<» 
da  Frontino  (2)  con  qnest*»  parole;  L.  Mummim  qui 
Coriniho  capta  non  Italiatn  soIuìh,  sed  etiam  proiiìicktm 
tabulis,  Statuisqne  exonuivit  ^  adeo  nihil  ex  tantis  ma- 
nubiis  in  suum  conrertìt  ut  Jilinm  cins  inopem  seììatns 
ex  piMico  dotavent. 

Convien  dire  che  L.  Mummio  j)er  quanto  fiero  e 
crudele,  avesse  animo  vólto  ad  una  ci  rta  forma  religio- 
sa, della  quale  si  ammantan  sempre  i  conquistatoli.  In 
fatto,  una  lapide  in  TomA  lo  rende  manifesto  con  la 
dedicazione  ad  Ercole  vincitore,  d^l  cui  culto  fu  ejj^li 
tenero  ,  grato  della  vittoria  ottenuta  in  Acaia,  (»  per 
la  disti'uzione  di  Corinto:  (ccola   (3) 

L.  MYMMr-L.  F  Cos  DYCT 
AVSPICIO.    IMPERIOQVK 
FiYS  •  ACHAIA  •  CAPT  •  CORINTO 
DtlLETO  ROMAM  REDIEIT 
TRIYMPIIANS  •  OB  •  IIASCE 
RES  •  BENE  •  GESTAS  •  QYOD 
IX  •  BELLO  •  YOYERAT 
HANC  •  AEDEM  •  ET.  8I(INY 
IIERCYLIS  •  YICTORIS 
LMPERATOR  •  DEDICAT 

Qui  non  mi  occoitc  riportare  un'altra  iscrizione  da  uk* 
l'ecata  nel  mio  libro  >u   Y  iscrizione  Arcaica  di  T.  Ye- 

(I)  Pau>an.  VI,  IG.  > 

Ci)  Straiag.  IV,  5,   15;  tlfr.  V  ci.    tte  vit.  ///«</;.  <♦.  CO;  V  U<»j.  I,    IT»;    Mùl. 
l«*r,  S/an  d'AiclicoI.  ^   167  noi.  9. 

(r>)  3loinii)5en  1.  L.  .\n(i«|in^.>.  ii.  r>il. 


ni  t'NA  STATrA  MARMOBKA  ACKFALA         Ì07 

7Ìo  (  1  ),  ove  il  niodpsirao  L.  Mummio  viiicitoro  consacra 
li  d»n*ima,  se<»ondo  l'antico  rito,  ad  Ercole  por  bottino 
fatto  ai  noraic*.  Ma  L.  Mummio  non  fu  sol  grato  ad 
Ercole;  ma  sparse  i  suoi  donativi  a  vari  luoghi  ;  e  lo 
iscrizioni  ce  ne  danno  un  sicuro  attestato. 

Pare,  che  i  donativi,  tratti  di  Corinto,  fossero  stati 
fatti  ai  medesimi  nello  stesso  anno  in  cui  L.  Mummio 
ebbe  trionfato  per  la  vittoria  dell' Acaia,  e  per  la  distni- 
ziono  di  Corinto,  cioè  tra  il  fi08  e  il  609  di  R.  E  pare 
che  in  tutti  i  donativi  fosse  stata  ado])erata  quasi  la 
medesima  formola  epigrafica;  e  V  iscrizione  che  n'  era 
r  obì>ietto,  posta  sempre'  alla  base  delle  statue  donate. 
<*o8Ì  vediamo  essersi  praticato  per  le  due  iscrizioni  di 
Trebiila  Mutuesra  dei  nostri  Abruzzi  nelle  basi  delle 
statue  donate  a  codesto  paese,  che  noli'  iscrizione  ))orta 
il  nome  di  IVco,  perchè  al  tem]>o  di  L.  Mummio  du- 
rava sotto  tale  denonìinazione.    Yi  ni  leggeva  (2) 

L  •  MYMMIVS  •  COS 
VICO 

Altra  fu  rinvenuta   nell'agro    di  Norciti,    jmuo  lon- 
tana ila  Ascoli-Piceno,  nella  Sabina,  ov'  era  scritto. 

L  •  MVMMIYS 
COS  •  DEI)  •  N 

in  cui  il  DEI)  •  N  A  stato  interpretato  de<lit  Nursinis.  (li) 

iU  N-*P«  l'^iC»  V'  ^7;  rfi.  HtUcliL  Ili.  Mumin.  p.  I\.  MI  •'  Wll;  ••  Uoii. 
à|».  tr.  Cip,  II.  II.  li  •  IS:  cfr.  IV.  Lai.  M)ìì.  Snppl,  I.  p,  I  »•••«.:  XIII;  ••  l*i'. 
Lai.  ■.  Itb.  1.  \.;  a  «uppl.  III.  p.  Vili. 

il)  K4bri*Mi  ion,  i'jri;  Ctiinp).  JUtténun  d*  Ho  rare,  .1,  '.).'):  SI(iuimi»i'II.  /.  /.«/. 
AMt»qMÌ9$.  p.   ISi«  n.  Sii;  G.triurci:   SyMny.  J.  |.  p.  *{'(  nn.  mm.i  .  54'). 

«5»  Vural.  )SA;   t;   Momnivii  o.  «.  n.  oii. 


208  DI    UNA   STATUA    MAIIMOIIKA    ACKFAI.A 

Altra  n^l  Teatro  Parmense  scDperta,  offeriva  questa 
iscrizione  (1); 

L  •  MVMM1Y8 
COS  •  P  •  P 

Scrive  il  Gamicci,  che  R.  Giiarini  rettamente  avesse 
interpretato  P  .  P  Popnlo  Parmensi^  e  fu  seguito  dal 
Ritschl ,    dal  Mammsen,  non  così    dalT  Henzen,   ne  dal 

Borghesi,  al  quale    pÌHC(iue   leggere.    L,    Mummìus 

§  jjvjefectu^  fabnim  §  co  §  n  if  s  i}  u!i$  §  p  §  ri- 
miis  §  p  §  iltis  §...  Li  quale  interpretazione,  hi  detto 
il  Mommsen,  è  in  contraddizione  co'  titoli  Mummiani. 

In  una  tabella  piccola  marmorea  rinvenuta  sulle  ro- 
vine d' Italica  non  lungi  di  Siviglia  in  Ispagna  legge- 
vasi  (2); 

M.  mumm  lYS  •  L  •  F  •  IMP 

ded.  coRINTHO  CAPTA 

vico   itaLICENSI 

Io  sono  fortunato  potere  fornire  un  nuovo  esempio 
di  Monumenti  Mummiani  donati  tra  il  (iOS  e  609;  e  mi 
credo  in  diritto  di  poter  invocare  o  V  uno  o  V  altro 
anno  per  la  iscrizione  della  Statua  Palmense  donata  da 
L.  Muromio  alla  Città  di  Palma.  Saria  un  voler  negnre 
l'evidenza  il  contrastare  a  tal  Città  il  dono  ricevuto , 
dopo  che  ne  vediamo    gli  esempi  aiTccati    per  gli  altri 

(1)  RHsrlil,   P.  L.  M.  lab.  LiV  D;  Ilcnzcn   n.  3549;  Monimsen,    O.  e.  n.  Si5, 
(J.ir  rucci  o.  e.  p.  925. 

(2)  Ivo  de  la  Coilinn.  .iniiguettades  do  llahca   IS 40;  Mommsen  o,  e.  n.  bÌ6. 


DI  UNA  STATIA  MARMOREA  ACEFALA        209 

luoghi  indicati.  L'  arcaismo  della  scrittura  prestasi  an- 
ch' esso  air  argomento,  essendo  quello  dell'  epoca  Mum- 
miana;  nò  credo  possan  altramente  interpretarsi  il  C.  e 
il  P,  che  Civitati  Palmae,  come  si  è  visto  essere  state 
intese  le  sigle  indicanti  Vico,  Norcia,  Parma  ed  Italica. 
La  città  nostra,  Palma,  esser  doveva  fiorente  ai  tempi  di 
L.  Mummie;  e  cel  dichiarano,  oltre  le  tanto  indicate  an- 
ticaglie che  nel  suo  suolo  si  rinvengono,  anche  i  due 
torsi  di  marmo  più  sopra  citati  ne  dimostrano  il  lustro; 
o  massimamente  1'  arcaica  iscrizione  di  sopra  mentovata. 
Ija  nostra  Iscrizione  posta  pertanto  nella  statua  offerta  da 
L.  Mummie  alla  Città  di  Palma  è  nuovo  e  strenuo  ar- 
gomento per  vieppiù  confermare  che  la  regione  Palmese 
descritta  da  Plinio  (2)  fosse  non  al  di  là  del  fiume  Tru- 
onto ,  com'  è  piaciuto  a  vari  scrittori ,  sibbene  tra  il 
Truonto  e  il  fiume  Elvino,  V  odierno  Salinello,  ove  in- 
comincia/va  il  Pretuziano;  e  che  la  metropoli  Palmese  do- 
voss'  essere  tra  S.  Omero,  e  S.  M/  a  Vico.  Delle  quali 
cose  lascio  il  giudizio  ai  dotti  Epigrafisti. 


2     II.  N.  111.   XMll. 

Arch    .Wor.  y.irch    VI  ÌA 


UN  DOCUMENTO  INEDITO 


PER  SERVIRE  ALLA  STORIA  D'  ALESSANDRO  VI. 


E  DELLA 


CITTÀ  1)1  CAMERINO 


UN  DOCUMENTO  INEDITO 

PER  SERVIRE  ALLA  STORIA  DWLESSANDRO  VI 

E  DELLA  CITTÀ  DI  CAMERINO 


Sono  stato  gran  pezza  in  forse  se ,  intomo  a  questo 
documento,  io  dovessi  fare  una  molto  particolareggiata 
prefazione  e  se  mi  convenisse  dichiarare  alcuni  luoghi 
che  possono  sembrare  oscuri  a  chi  poco  conosco  la  storia 
della  nostra  città. 

E,  per  vero  diro,  se  di  qualsivoglia  altro  periodo 
storico  si  fosse  trattato  che  di  quello  relativo  al  dominio 
Ik)i^sco,  la  prefazione  e  le  note  sarebbero  state  da  ognu- 
no credute  necessarie.  Imperocché  quantunque  la  storia 
dì  Camerino,  alla  quale  il  documento  si  riferisce,  sia  stata 
prolissamente  narrata  dal  nostro  Lilii  e  a  lui  si  fosse 
potuto  dal  diligente  lettore  ricorrere  ad  ogni  passo,  tutta- 
volta,  sia  perchè  quei  vecchi  volumi  son  divenuti  assai 
rari,  sia  perchè  la  critica  che  li  domina  non  è  più  con- 
forme a  quella  che  oggi  dai  meglio  addottrinati  si  profes- 
sa, alquante  note  e  dichiarazioni  sai  ebbero  state  opportune. 

Ma  questo  documento,  siccome  ho  accennato,  ha  rela- 
zione con  la  signoria  dei  Borgia,  e  i  fatti  di  questa  casa 


2l4  UN   DOCUMENTO   INEDITO   ECC. 

sono  stati  di  fresco  così  diligenteinente  studiati  e  tanto  si 
sono  divulgati  perfino  sulle  scene,  che  il  volerli  pur  anco 
esaminare  sarebbe  opera,  nonché  inutile,  eziandio  temera- 
ria. E  però  mi  astengo  al  tutto  dalle  note,  che  sulle  prime 
ebbi  in  animo  di  dettare  ed  anche  per  ciò  che  al  docu- 
mento in  generale  si  riferisce  non  avrò  da  dire  che 
poche  parole. 

A  dì  21  luglio  1502  pigliata  per  sorpresa  Camerino 
da  Cesare  Borgia  e  disfatta  con  crudeli  esecuzioni  la  casa 
Varana,  papa  Alessandro  mandò  Giovamii  Olivieri,  vesco- 
vo d'  Isemia,  a  governar  la  città ,  poco  stante ,  nel  2 
settembre  dell'  anno  stesso,  eretta  a  ducato  a  favore  del 
giovinetto  Giovanni  Borgia,  frutto  d'  infami  amori.  Ma 
sullo  scorcio  dell'  anno  il  fuoruscito  G.  Maria  Varano , 
scampato  alla  :::trage  di  sua  famiglia,  fatta  per  mano  di 
D.  Michele  e  di  altri  scherani,  potè,  coli'  aiuto  dei  suoi 
partigiani,  rientrare  in  città,  vendicarsi  di  coloro  che  i 
suoi  vivevano  oltraggiati  o  traditi ,  munirsi  di  dauiiri 
spogliando  degli  argenti  le  chiese ,  e  tentar  di  ripigliare 
la  signoria. 

H  tentativo,  comechè  non  riuscisse  completamente, 
per  la  forza  prevalente  dei  Borgia,  bastò  a  mettere  in  pen- 
siero il  papa  e  la  sua  &miglia  sulle  di£Glcoltà  di  reggere 
e  tenere  in  soggezione  lo  stato  di  Camerino;  imperocché, 
siccome  insegna  il  Guicciardini;  sia  cosa  assai  meno 
agevole  il  mantenere  le  conquiste  che  il  farle.  E  perciò 
Alessandro  divisò  di  mandare  }i  Camerino  un  astutissimo 
suo  famigliare  per  nome  Lodovico  Clodio  arciprete  di 
Caldarola  già  commissario  e  castellano  delle  rocche  di 
Iesi,  Osimo  e  Offida;  poi  creato  vescovo  di  Nocera  da 


iÌH   DOGUMKNTO   INBDITO   ECC.  215 

Giulio  IL  L'  arciprete  venne,  pigliò  esatte  notizie  sulle 
condizioni  morali  e  politiche  della  città  e  diligentemente 
le  espose  al  papa,  acciocché  gli  servissero  di  regola  e 
consiglio  sul  modo  migliore  di  conservare  la  signorìa 
della  terra. 

La  lettera  del  Clodio  a  papa  Alessandro  VI,  onde 
si  pare  quali  fossero  i  costumi^  le  parti,  le  condizioni  eco- 
nomiche della  città  di  Camerino,  non  fu  mai  per  intero 
pubblicata,  sebbene  di  pubblicità  sia  stata  da  ognuno 
che  r  ha  veduta  degnissima  giudicata.  U  Lilii  ne  riportò 
un  brano,  quello  stesso  che  1'  Alvisi,  nel  suo  recente  li- 
bro su  Cesare  Borgia  (  1  )  ha  trascritto  parola  per  parola. 
Né  meno  che  air  Alvisi  è  questo  documento  sfuggito  al 
Gregorovius  e  a  tutti  gli  altri  che  di  cose  borgosche  hanno 
scrìtto.  E  oiò  non  dee  recar  meraviglia,  imperocché  il 
documento  stesso  sia  giaciuto  lunga  stagione  insieme  ad 
altre  carte  nascosto,  né  a  me  venne  in  mano  avanti  che 
imprendessi  a  scrivere  il  mio  libro  su  Camerìno  (2),  e  lo 
devo  alla  cortesia  del  mio  dotto  amico  il  prof.  Milziade 
Santoni  che  lo  ha  saputo  scoprire.  E  poiché  il  mio  libro 
più  che  una  storia^  doveva  essere  pna  guida  di  Camerino, 
mi  astenni  allora  dal  pubblicare  la  lettera  intera  pensando 
eziandio  che  non  mancherebl)e  occasione  di  farlo  e  ne 
trassi  soltanto  quel  che  al  mio  disegno  meglio  mi  pareva 
che  rispondesse. 

Ma  ora  V  occasiono  è  venutjì,  perché  in  nessun  altra 


(1)  CcMrr  B«)rgia  duca  di  Homapna.  —  Notitii*  r  documenti  raccoUi  «  pubblicali 
<!•  Edoardo  Alvini.  —  Imola  Tip.  d*  Ignazio  Gakali  e  fiyMn.  —  1879. 

(S)  Camerino  a  i  tuji  dioloroi ,  e  lUa  piaula  della  ciHà.  —  Camctino  Sorga* 
rctli  t074. 


216  UN  DOCUMENTO   INEDITO   ECC. 

opera  meglio  può  questx)  documento  trovar  convenevole 
luogo  che  nell'  Archivio  Storico  marchigiano ,  dove  si 
vuol  raccogliere  quanto  può  valere  ad  arricchire  e  me- 
glio dichiarar  la  storia  delle  nostre  contrade. 

E  il  dar  per  intero  la  relazione  del  Clodio,  oltre  allo 
^Murger  gran  lume  sui  costumi  e  gli  umori  dei  nostri 
vecchi  del  cinquecento,  ha,  secondo  mi  pare,  anche  un'  al- 
tra importanza,  quella  cioè  di  restituire  la  vera  e  schietta 
lezione  originale  dal  Lilii ,  che  ne  trascrisse  un  brano 
finale,  alquanto  cangiata,  non  meno  che  dall'  Al  visi  il 
quale  V  ha  letteralmente  dal  Lilii  copiata.  E  così,  quando 
agli  storici  futuri  piaccia  tornare  ad  esaminare  i  fatti  di 
casa  Borgia,  o  di  casa  Varano,  e  di  rifar  la  storia  di  Ca- 
merino potranno,  senza  cercarlo  di  seconda  mano,  trovare 
in  questa  raccolta  il  documento  originale. 

A.  Conti 


RELAZIONE  DELLO  STATO  DI  CAMERINO 

DI   IX)D0V1C0  CLODIO 

AtGtmtTI   »l   CALDAHOLA    COVIRNATOil    PIL  DUCA    GIOVA Jl.tl    B0K6IA 


A  PAPA  AÌ.ESSANDRO  VI. 
Beatiss^  Pater. 

Obediondo  io  a  comandamenti  della  Sta  Vtra  per  la 
liin)}^  isperionza  che  ho  havuto  di  Camerino  e  degli 
Uomini  di  quella  Terra,  fedelmente  dirò  quanto  circa 
ciò  mi  occorra. 

Questo  6  un  bello,  buono  e  importante  Stato  il  q**' 
r  havea  il  Sig.  Giulio  Cesare  ridotto  molto  quieto  e  »i- 
onro,  e  chi  V  havesse  intesa  (essendo  il  motivo  tanto 
fn^^ndc)  avrebbe  tutta  la  Terra  fatto  contro  Casa  di  Va- 
rano, e  saria  stato  molto  tranquillo;  ma  in  questa  rivo- 
luzione è  tornato  alla  sua  difficoltà  antica  più  che  Stato 
che  sia  in  Italia,  incognito  a  Forastieri,  e  i  Tenìeri  non 
diranno  mai  il  vero  il  quale  tutto  consiste  in  governo 
et  ò  alieno  in  tutto  dal  governo  degli  altri  stati  d'Italia 
il  q'%  se  si  terranno  le  vie  che  richiede  la  natura  del 
luogo,  e  degli  Uomini  si  ridurrà  beniss"*  alla  conserva- 
zione di  Casa  Borgia,  ma  angora  se  non  si  piglieranno 
le  vie  convenienti  ogni  dì  pìglierà  nuove  alterazioni  oc- 
culte, le  quali  a  mutazione  di  tempo  faranno  rivoluzioni. 

Hora  questo  stato  ha  in  si"^  due  certiss:""  e  vere 
volontadi.  Una  immutabile  di  quelli  che  vorriano  la  li- 


218  UN   DOCUMENTO   INEDITO   ECC. 

bertÀ  e  V  altra  mutabile  dei  Varaneschi.  La  volontà  im- 
mutabile  libertesca  bisogna  saperla  tenere  per  modo  che 
la  non  possa  mai  aver  forza  a  fare  la  libertà.  La  mu- 
tabile Varanesca  bisogna  con  modi  et  artifizi  trasmutare 
in  Borgesca;  come  ci  sono  ottime  vie  chi  le  sa  pigliare 
a  r  una  et  a  V  altra. 

La  voluntà  immutabile  di  quella  Teri'a  è  che  tutti 
gli  uomini  di  Camerino  li  quali  hanno  facultadi,  paren- 
tado ,  animo ,  e  ingegno  tutti  infallibilm:*»  tendono  alla 
libertà,  così  quelli  che  si  tengono  Varaneschi  come  Du- 
eheschi  non  avendo  questi  tali  altro  desiderio  al  mondo, 
né  mai  pensando  altro,  et  in  tutti  i  suoi  andamenti  ove 
possono  mai  non  facendo  altro  salvo  che  a  questo  fine, 
e  tutte  le  rivoluzioni  che  hanno  fatto  così  per  la  Sta  V. 
come  centra,  tutte  tendono  a  questo  suo  desiderato,  e 
secreto  fine,  perchè  nelle  rivoluzioni  guastano  lo  stato 
che  era  quieto  mettendolo  in  alterazione  et  acquistano 
seguito  e  grandezza  con  le  quali  possono  a  tempi  fare 
la  libertà,  et  esser  Signori,  mangiar  con  pifferi  e  trombe 
come  altre  volte  fecero,  e  godersi  fra  loro  V  entrate  dello 
Stato.  Hora  questa  voluntà  libertesca  bisogna  con  molto 
ingegno  e  modi  tenerla  bassa,  che  mai  non  possa  haver 
forza  a  far  libertà,  come  poi  al  suo  luogo  mostrerò ,  e 
per  distinguere  ogni  cosa  chiaro. 

Questa  voluntà  libertesca  mostra  adesso,  due  affezioni. 
Una  Duchesca  e  l'^altra  Vétranesca  cercando  V  un  1'  altro 
sotto  queste  due  simulazioni  di  affezione  o  vero  farsi 
grande,  o  vero  non  lasciarsi  smaccare  da  chi  vuole  in- 
grandire ,  come  è  accaduto  adesso ,  che  alzandosi  quelli 
che  si  dicono    Ducheschi    col  favor   della  S.  V.    questi 


UN    DOCUMENTO   INEDITO   ECC.  219 

che  si  dicono  Yaraneschi  per  non  lasciarsi  smaccare  e 
per  odio  de[  suo  crescere  hanno  chiamato  Giovammaria 
per  maneggiar  loro,  e  minare  essi,  ma  se  ci  era  tempo  di 
far  la  libertà,  la  facevano  certo. 

La  simulata  affezione  Yaranesca  è  ancora  divisa  in 
due  voluntadi,  una  la  quale  tende  alli  Figliuoli  del  Sig. 
Rodolfo,  9  r  altra  che  tende  a  Qiovan  Maria,  et  a  que- 
sti altri,  che  ogni  cosa  è  da  sapere  per  proceder  bene 
nel  governo  secondo  4i  tempi. 

Hanno  ancora  queste  due  simulazioni  d'  affezione  due 
sorta  di  uomini  :  una  da  travagliare  e  far  mutazione 
r  altra  da  starsi  a  obedienza  del  Palazzo.  Li  accarezzati 
e  beneficati  da  Yaranì,  e  li  accarezzati  e  beneficati  dalla 
8.  Y.  0  dal  Duca  di  tali  nature  quiete^  io  credo  che 
fossero  da  lasciar  vivere  in  pace,  e  non  farli  Yaraneschi 
|)er  forza  e  cosi  verrebbe  a  esser  ridotta  tutta  la  terra  a 
q^  sorte  di  vomini  come  era  a  tempo  del  vecchio.  Li  altri 
cosi  quelli  che  si  dicono  Ducheschi  come  Yaraneschi  di 
nature  travagliose,  che  tendono  a  mutazione  e  superio- 
rità, questi  dico  bene,  che  saria  da  tenerli  tutti  fìiorì 
ed  al  fine  per  ostaggi,  o  vero  ridurli  all'  egualità  e  bas- 
sezza degli  altri,  perchè  questi  sono  quelli  che  muovono 
la  Terra  e  che  tendono  alla  libertà  e  £eu^ì  Signori,  co- 
me faranno,  se  non  è  chi  gli  provveda, 

L'  altra  voluntà  mutabile  è  di  plebei,  poveri  e  con- 
tadini, li  quali  non  tendono  a  stato,  questi  quasi  tutti, 
anzi  tutti  vorriano  Casa  di  Yarano  ,  perchè  queste  tre 
sorti  di  vomini  godono  V  entrato  di  Casa  Yarana,  li 
plebei  la  vomano  perchè  sono  sempre  250:  e  300: 
bocche  di  loro  al  pane  di  Casa  Yarana  la  q'*  gli  dà  il 


220  0N   DOCUMENTO   INEDITO    ECC. 

vitto ,  vestire  e  qualche  beneficazioncella ,  che  accade 
nello  stato,  né  altro  mondo  questi  tali  conoscono  né  desi- 
derano. Li  poveri  la  vorriano  per  le  grandi  elemosine  che 
ha  sempre  la  povertà  di  Camerino  da  q*»  Casa,  Giovan  Ma- 
ria li  dava  ogni  dì  di  ordinario  un  ducato  e  mezzo  dì  solo 
pane  e  il  simile  ha  sempre  fatto  la  Casa.  Li  contadini 
vorriano  questa  Casa  per  le  grazie  che  ricevono,  li  quali 
poro  contentava  tutti  con  mille  ducati  V  anno  di  grazie, 
e  per  le  carezze,  e  domestichezze  ch,e  usava  con  loro  tutti 
favorendoli  più  che  i  Cittadini  in  audienze  et  in  ogni 
cosa.  Or  con  queste  tre  sorti  di  vuomini  Casa  Varana 
aveva  abbassati  li  liberteschi  e  tenevali  oppressi  come 
galline:  le  quali  tre  sorta  di  vernini  stanno  talmente 
edificati  verso  Casa  Varana,  che  ad  ogni  mutazione  di 
tempo  se  apparisse  una  mosca  di  Ca^  Yarana  (dico  non 
pigliandosi  altro  governo  di  quello  che  ho  visto)  sempre 
queste  tre  sorta  di  vomini  farìano  rivoluzione,  o  vero 
quelli  che  tendono  alla  libertà  se  pigliassero  forza  in 
aver  seguito  da  queste  tre  sorta  d'  uomini,  come  già 
hanno  cominciato  bavere,  gridariano  al  favore  di  un  Papa 
la  libertà  che  per  firmare  e  quietare  al  Sig.  Duca  Gio- 
vanni bisogna  provvedere  a  Y  una  et  a  Y  altra  di  queste 
due  voluntadi,  come  è  possibile,  anzi  £sicile  a  chi  piglia 
le  vie  convenienti  ed  atte. 

Da  queste  due  voluntadi  sono  nate  cinque  cause 
efficaciss:»*  le  q"  hanno  causata  questa  ribellione. 

La  prima  causa  la  quale  è  stata  Y  origine  et  ha 
tirato  le  altre  cause,  é  stata  Y  indolenza  di  questi  tre 
fratelli  de'  Medici  di  Moss:»*  Gioan  Paolo  di  Stenaco  e 
certi  suoi    seguaci,  li  quali  per  il  ^favore    che  avevano 


UN   DOCUMENTO   INEDITO    ECC.  221 

avuto  da  la  S.  V.  parendoli  aver  datx)  Camerino  a  quella 
voleano  ingrandire  al  Cielo,  dando  di  petto  agli  altri 
sotto  nome  di  Yaraneschi  cercando  di  metterli  a  fondo, 
o  facendoli  con  questi  modi  diventar  molto  più  Yara- 
neschi di  quel  che  erano  :  li  quali  e  per  V  odio  dell'  in- 
grandire di  questi  tali  e  per  li  modi  insolentì  vedendosi 
essi  al  basdo,  pensavano  non  volersi  lasciare  smaccare, 
e  così  venuta  V  occasione  di  Gio  :  Maria  fecero  quel  che 
forerò  più  presto  per  malivolenza  centra  questi  tali  per 
minarli  ot  esser  loro  in  favore,  che  per  vero  amore  verso 
li  Yarani  perchè,  comò  ho  detto,  tutti  questi  vernano  la 
libertà  ma  non  vedevano  il  tempo  di  farla,  però  chia- 
mavano i  Yarani,  e  così  V  altra  volontà  vera  Yaranesca 
di  plebei  e  poveri   tutta  seguitò  a  la  voce  Yarana. 

La  seconda  è  stata  il  dare  uffizi  e  benefìzi  cosi  a 
Roma,  come  a  Camerino ,  senza  ragione  e  misura ,  per 
modo  che  molti  bisognosi  di  buon  sangue,  e  quelli  alli 
quali  erano  state  bruciato  lo  case,  e  rimasti  disfatti  non 
avevano  cosa  alcuna,  e  quelli  che  non  avevano  avuto 
malo  alcuno,  et  altri  ricchi^  et  altri  non  a  proposito  ave- 
vano ogni  cosa,  il  che  causò  un  odio,  un  rancore,  una 
disperazion  agli  altri  non  solo  di  mutar  stato,  ma  di  dire 
^  muoia  Hansone  con  i  compagni  „  per  la  natura  di  que- 
sti vernini  di  tal  sorte,  e  così  tutta  qust' altra  sorta  di 
vernini  sogni  al  suono  di  Yarano. 

La  terza  causa  è  stata  una  univcrsal  perdita  di  tutta 
la  terra,  e  massime  di  Giovani,  di  tutta  la  rie.  eazione 
sua,  che  avevano  in  Camerino  la  quale  tutta  era  nella 
Corte  di  Casa  Yarana;  adesso  come  erano  ventiquattro 
on*  tiitta-  la  Terra  andava  a  Corte;  chi  a  scaldarsi,  chi 


222  UN   DOCUMENTO   INEDITO   ECC. 

a  giuocare ,  chi  a  ronfa ,  chi  a  tavolieri ,  chi  a  sentir 
nuove,  chi  a  parlare  al  Signore  fino  a  tre  e  quattr'  ore 
di  notte,  poi  il  giorno  chi  a  giuocare  alla  palla,  chi  a 
ucc. Ilare  col  Signore,  e  questo  sempre  ad  ogni  tempo 
per  modo  che  ricordandosi  ogni  dì  e  sera  la  università 
.tutta  de  la  privazione  di  tal  ricreazione  non  le  pareva 
saper  vivere ,  sospirando  ogni  Vomo  la  sera  a  casa  al 
fòco  dicendo:  „  Ove  sta  Casa  Varana?  „  Crescendoli  ogni 
di  più  il  desiderio  di  averla  ed  anco  la  ricreazione  delle 
donne  di  Camerino  perchè  la  Madonna  aiutava  questa 
passione  per  modo  che  quando  sentirono  Giovan  Maria 
corsero  tutti  con  desiderio  gridando  ^  Varano  con  ogni 
ricreazione  sua  venuta  „  son  cos»  che  non  paiono  niente 
e  nondimeno  importano  tutto  Io  Stato. 

La  quarta  causa  è  stata  che  per  Y  assenzia  de'  Varani 
era  mancalo  il  vivere  e  vestire  a  250  e  300  bocche  di 
Camerino  le  quali  non  havevano  altro  vivere  al  mondo, 
che  con  questa  Casa,  similm:**  il  mancare  de  le  elemo- 
sine a  Poveri  di  Camerino  ogni  dì  queste  due  sorta 
d'  uomini,  morivano  d'  affanno  di  casa  Varana,  deside- 
randola, aspettandola  come  il  messia  che  li  dava  la  vita, 
per  modo  che  quando  sentirono  Giovan  Maria  beato  il 
primo  che  poteva  correr  con  1'  armi  e  gridar  Varani. 

Queste  quattro  cause  dentro  la  Terra  sono  state  vere 
e  certiss:"*  a  tal  ribellione,  e  ciascuna  di  esse  bastava, 
or  pensi  la  S.  V.  Tesser  concorse  tutt6  insieme,  che  cosa 
viene  a  importare. 

La  quinta  causa  fu  fuori  di  Camerino  la  quale  diede 
favori  ed  huomini  a  Giovan  Maria  di  venir  così  all'  im- 
proviso  con  qualche   gente  ed  haver   subito  il  Contado 


UN    DOCUMBNTO   INEDITO   ECC.  Ì23 

SUO  dove  passava;  fu  V  odio  che  aveva  preso  tutto  il 
contado  contro  questo  Stato  per  pagamento  nuovo  che 
ri  faceva  d'  un  Carlino  di  lettera;  che  al  tempo  de  Va- 
rani non  pagavano  mai  né  di  lettera  né  di  sigillo  cosa 
alcuna.  Facevano  i  contadini  spesso  Circolo  insieme  sem- 
pre lamentandosi  di  questo  e  sospirando  che  ora  si  co- 
nosceva Casa  Varana  così  desiderandola;  però  come 
Oiovan  Maria  cominciò  a  mandar  lettere  per  il  contado 
chQ  fu  il  dì  innanti  che  entrasse  In  Camerino,  venivano 
i  C  ntadini  correndo  con  armi  e  senza  come  potevano 
hcnché  naturalmente  a  Contadini  pareva  strano  star 
senza  Varani,  non  dimeno  q*""  nuovo  pagamento  li  faceva 
accrescer  V  affezione  et  infiammavali  a  mutazione. 

Hora  per  stabilire  pe'  tempi  futuri  questo  Stato  al 
Duca  Giovanni  mi  pare,  che  sia  necessario  che  la  S.  V. 
faccia  elezione  d'  un  Governatore  laico  più  presto  che 
Prelato,  di  molto  ingegno  e  notizia  di  quelle  nature  e 
volontadi  di  vomini  tanto  occulte,  di  molto  animo,  fatica, 
l)ontà,  et  amore  verso  il  Duca,  il  quale  serve  (serbi) 
quelli  medesimi  modi  e  stile  che  faceva  il  S.  Vecchio 
che  son  veri  e  perfettiss:"*  per  le  nature  degli  vomini 
e  stabilire,  et  edificare  verso  il  Duc^  Giovanni  lo  Stato 
il  quale  ha  tanti  capi  cosi  difficili,  e  in  tutto  rimoti  da- 
ffìì  altri  governi ,  e  Stati,  et  incogniti  a  forastieri  per 
modo  che  il  Governatore  tenera  modi  laudabili  in  altro 
Govemo;  e  farà  cose  buone  altrove,  e  non  di  meno  non 
81  avvederà  che  farà  strabalzi  da  metter  lo  Stato  in  mille 
alterazioni  le  quali  poi  a  tempi  faranno  mutazione;  come 
hanno  fatto  adesso  che  lo  Stato  non  era  inteso,  e  con 
una   autorità  da  Signore    senza    paura   che    vengano  a 


224  UN   DOCUMENTO   INEDITO   ECC. 

lamentarsi  a  Koma  et  essere  ascoltati,  dico  ove  va  lo 
statO;  sappia  esso  Gov:'*  essere  un  Angelo  et  un  diavolo 
a  tempi  secondo  le  materie,  come  a  suoi  luoghi  e  pro- 
positi io  mostrerò.  Certificando  la  S.  V.  eh'  una  delle 
gran  speranze  che  Giovan  Maria  haveva  è  che  la  S,  V. 
n'  avrà  mai  huomo  eh'  intenda  quello  Stato.  Vero  è  che 
a  Loro  Varani  non  par  tanto  difficile  perchè  vi  nascono, 
poi  per  lungo  tempo  hanno  quelle  tre  sorti  di  huomini 
Plebei,  Poveri,  e  Contadini ,  veri  suoi,  co'  quali  domi- 
nano; nondimeno  chi  la  piglia  per  verso  tanto  si  formerà 
questo  Stato,  e  drizzerasei  verso  il  duca  Giovanni  ch'ogni 
uomo  se  ne  maravigliera. 

Questo  Governatore  adunque  bisogna  che  abbia  sem- 
pre 1'  occhio  e  cervello  a  queste  due  nominate  voluntadi 
di  tener  la  libertosca  per  modo  che  non  possa  mai  aver 
forza  a  far  libertà  e  drizzare  il  core  della  Varanesca  verso 
Casa  Borgia ,  che  V  imo  e  1'  altro  effetto  è  possibile  e 
fattibile  assai;  anzi  mi  parono  facili,  e  per  far  questi 
due  effetti  io  venirò  a  dare  i  rimedj  a  le  cinque  cause 
dalle  quali  è  nata  la  ribellione  acciocché  non  abbia  mai 
a  cadere  tal  caso. 

n  primo  Rimedio  de  la  prima  causa  de  la  ribellione 
è  che  la  S:*^  V.  e  il  Governatore  tengano  la  Terra  senza 
parte  non  nominando  Varaneschi  né  altra,  sorte,  ma  tutti 
buoni  ducheschi,  tenendoli  tutti  eguali  senza  idoli,  e 
bassi  quanto  sia  possibile  a  pensare,  per  modo  che  tanto 
favore  abbia  e  possa  il  minimo  guattaro,  quanto  il  mag- 
giore né  che  alcuno  possa  intercedere  per  1'  altro  per 
una  sol  paglia,  ma  ognuno  egualm:*'  dipenda  dal  Gover-^ 
natore  e  guardandosi  più  che  dal  fuoco  non  fare  huo- 


UN    DOCUMENTO  INEDITO   ECC.  2Ì5 

mini  né  in  riputazione  né  in  ricchezze  de'  bcnefizj  né 
di  olfizj  honorevoli,  perchè  bisogna  non  pensare  esser 
possibile  a  poter  mai  acquistare  o  trasmutare  gli  animi 
di  quelli  che  t^^ndono  a  la  libertà,  li  quali  quanto  più 
gustano  riputazione,  gf&zj  e  benefizj  che  procedono  dal 
Papa  tanto  più  li  cresce  1  ardore  e  la  libertà;  e  la  po- 
tenza o  credito  a  poterla  fare,  che  tutte  sariano  così 
contro  il  Duca  Giovanni,  oltre  gli  odj  e  rancori  che 
crescono  fra  loro  per  la  malignità  di  sue  nature,  causano 
mutazione',  oom^*  hanno  fatto  al  prosente,  che  quattro  o 
cinque  di  qnostti  oosf»  di  qursta  sorte  hanno  causata  tutta 
qu<»stii  riln*l  ione:  se  ben  dico  che  non  si  debba  restare 
di  far  de'  piaceri,  e  l)onificazioncelle  a  tutti,  ma  con 
tal  ta  consi<leraziono,  misura,  bassezza,  ed  egualità,  che 
ncs^^uno  cresca  più  drlT  altro  un  capello,  e  che  gli  odj 
ce8>ino;  ma  far  come  faceva  il  S':  Vecchio,  il  quale  li 
contentiva  d'  un  benefizio  d'  un  quattro  some  di  giano, 
e  d'  un  uffizio  di  vinti  fiorini,  e  parevali  ancora  essere 
un  Papa,  né  più  desideravano,  e  se  pur  nessuno  si  vo- 
Ies8e  innalzare  e  farsi  innanti  come  ognuno  sta  sollevato 
con  gli  animi  che  ciascun  vorria  o  di  riputazioni,  o  be- 
nefizj,  o  uffizj  ingrandire,  pure  a  questo  suo  fine  di  li- 
Urth  farlo  con  sbrigliate  da  cieco  tornare  indietro  cento 
passi,  e  come  uno  falla,  sia  chi  si  voglia,  castigarlo, 
corno  V  infimo;  non  dimencr  ove  va  sangue  esserci  molto 
ritenuto,  ma  con  altre  servitudi  usar  la  giustizia,  et  ove 
accade  dominare  et  obbedienza  farli  tremare  a  uno  sguar- 
do, et  advertirc  supremam:*'  che  nessuno  piglìe  animo 
sopra  il  Governatore  di  venire  a  Roma  contro  Lui  quanto 
allo  Stato  ohe  lo  conoscono  vile,  com'  avevano  già  fatto 

Arrh    Sfor   March    V.   f.  r> 


226  UN   DOCUMENTN    INEDITO   ECC. 

sopra  Isernia,  perchè  mai  non  si  potria  drizzare  lo  Stato 
e  sempre  anderebbe  ogni  cosa  di  male  in  peggio  che 
non  se  n'  avvedrebbe  la  S:**  Y.  ne  il  Card:  che  sono 
così  occulti  et  astuti  vomini  al  male  quanto  sieno  in 
tutto  il  mondo;  e  non  dimeno  accarezzarli  tutti  egualm: 
esserli  grato  e  paziente  all'  audienze  a  hittp  le  ore,  te- 
nerli in  relazione  di  nuove,  di  giuochi  domestici,  di 
caccia  e  simili  refrigerj  come  solevano  con  A^arani. 

Hor  con  queste  severità,  bassezza,  ed  egualitade  con 
questi  arteRzj  avea  il  signore  Vecchio  ridutto  questo 
Stato  tanto  quieto,  il  quale  lo  conobbe  meglio  che  homo 
che  fosse  mai,  e  son  quelle  vie  le  quali  ogni  ora  im- 
portano tutto  lo  Stato  e  che  tenevano  la  volontà  liberte- 
8ca,  che  non  potrà  mai  aver  forza  di  farla,  e  ridurranno 
la  terra  senza  parte,  senza  idoli,  senza  rancori,  et  odii, 
senza  vomini  da  sapere  né  potere  n^  pur  pensare  di 
far  mutazione,  e  dico  questo  che  come  li  vomini  di  Ca- 
merino solamente  vedeno  il  cervello  d'  un  Governatore 
et  animoso  e  con  autorità,  il  quale  conosca  li  tratti  e 
cammini  suoi,  subito  si  leveranno  da  queste  sui  imprese 
secrete  di  libertà,  e  così  ogni  vomo  tornerà  a  suoi  eser- 
cizj  di  lana ,  et  altre  industrie ,  e  da  questa  voluntà 
libertesca  lo  Stato  rimarrà  fermo  per  il  Duca  Giovanni 
e  quieto,  certificando  la  S.  V.  che  il  S:"  Vecchio  non 
per  amor  della  Terra,  perchè  come  ho  detto,  non  è  pos- 
sibile d'  acquistar  mai  questi  tali,  ma  per  averli  con- 
dutti  in  tanta  bassezza,  egualità,  viltà  et  ignoranza,  come 
galline,  fece  la  resistenza  ohe  fece  che  non  ci  era  h  no- 
mo che  sapesse  né  potesse,  e  se  havea  XXV  mila  ducati 
da  tener  fanti  forestieri  e  provvedersi  a  grani,  tutto  il 


UN   DOCUMENTO   INEDITO   ECC.  227 

mondo  non  gli  arerebbe  levato,  e  non  bisognava  con 
torriori  por  lo  ragioni  dette  pensare  a  potersi  mai  te- 
nen*  —  Ego  omnia  ìntns  et  in  cute  vidi  et  palpavi  — 
o  sono  cose  che  eredo  che  pochi  le  abbiano  conosciute 
per  essere  occ\ilte  et  incognite  a  forestieri,  e  i  terrieri 
noi  diranno  mai;  però  concludo  circa  questo  non  potermi 
saziar  di  dire  con  quanta  prudentia,  notÌ7:ia,  animo^  pia- 
cevolezza e  8f»verità  bisogna  sempre  al  Gtovematore  stare 
in  questi  riraedj  e  vie  ove  si  principia  ogni  cosa  e  ti- 
rano poi  dietro  le  altre,  altrim*/''  non  tenendosi  q/'  modi 
se  ben  vi  fossero  XX  rocche,  le  q."  dicono  gli  vomini 
di  Cam:""  che  si  pigliano  alla  prima  disposizione  di  tempo 
o  liberteschi  o  varaneschi  fariano  rivoluzione  e  '1  Duca 
Gì  )vanni  sarebbe  quello  degli  affanni. 

Certificando  la  S.  V.  che  se  ci  era  adesso  un  Papa 
disposto  loro  facevano  certo  la  libertà  e  fra  loro  si  ta- 
gliavano a  pezzi;  ma  questi  che  si  chiamano  Ducheschi 
perdevano,  perche^  non  hanno  seguito,  e  son  p)chi,  or 
la  S.  V.  proveda  e  faccia  tenere  queste  vie  e  modi  no 
quali    —  agitur  de  toto  statu.  — 

Il  secondo  Rimedio  de  la  seconda  causa  di  ril)ellione 
è  con  grandissima  considerazione  e  misura  <listribuire 
gli  uffizj  di  Cam:""  e  del  Contado,  li  quali  sono  molti, 
e  per  grado  de  le  buone  Case  le  q".  sieno  bisognose 
partirli,  e  massime  fra  quelli  a  quali  sono  stato  bru- 
ciate le  case,  e  darli  per  sei  mesi  solo  et  non  ad  vita, 
arciocch(>  ogni  huomo  habbia  a  partecipare,  et  anco 
acciocché  nissuno  si  possa  far  grande,  come  si  può  in 
ai<  uni  uffizi,  c(»mo  ^  il  Capitano  della  Guardia,  il  quale 
tiene  ragione;  da  questo  tifficio  hebbo  origine  Casa  Va- 


228  UN   DOCUMENTO  INEDITO   ECC. 

rana.  Cosi  ogni  huomo  rimaiTà  contento,  e  cesseranno 
tanti  odij,  li  quali  disperavano  la  brigati,  e  facevano 
pensar  mutazione  come  fecero;  e  fare  che  chi  avrà  uf- 
fizj  e  benefizj  li  riconosca  dal  Duca  Giovanni.  Questa 
medesima  misura  bisogna  anco  che  la  S:*^  V.  habbia  ne 
benefizj  et  offizj,  che  dando  a  uno  di  questa  terra  in 
Roma  fa  mille  inimici  al  Duca  in  Cam:"*"  senza  l'altro 
inconveniente  grande  che  pur  allora  imparavano  che  ox)8a 
è  la  Chiesa,  e  per  conseguente  la  libertà,  crescendoli 
r  ardore  che  tutte  sono  cose  contra  il  Duca  Giovanni; 
però  1  isogna  averci  gran  considerazione,  ncn  dico  restare 
di  dare,  ma  con  tal  misura,  bassezza  et  egualità  eh'  ogni 
huomo  resta  8oddi?«fatto  senza  odj  e  senza  farsi  grande 
ne  acquistare  amore  alla  Chiesa,  che  ad  ogni  cosa  è  ri- 
medio, e  «i  viene  a  poter  dare  a  molti  più. 

Il  terzo  Rimedio  della  terza  causa  de  la  ribellione 
è  che  il  Governatore  tenga  in  Corte  quelli  stili  ohe 
facevano  i  Varani  di  fuochi,  torcie  accese  la  sera ,  di 
giochi  domestici,  dar  qualche  nuova  a  chi  se  ne  diletta, 
menar  questo  e  quel  altro  a  uccellare ,  tener  qualche 
volta  questo  e  quello  a  mangiare ,  ma  egualm'^  rerò 
senza  riputazione  di  nessuno,  e  così  tener  la  Terra  in 
questi  refrigeri,  la  quale  non  ne  può  haver  altro,  sem- 
pre havendo  Casa  Borgia  in  bocca,  acciocché  non  hab- 
biano  per  la  privazione  di  tutta  la  ricreazione  sua  so- 
spirare ogni  dì  Casa  Varana,  e  desiderarla.  Questa  b 
una  cosa  la  quale  non  par  niente,  ma  è  di  tanto  mo- 
mento quanto  sia  possibile  pensare,  la  quale  farà  tanto 
dimenticare  i  Varani,  e  drizzare  gli  animi  de  la  Terra 
verso  casa   Borgia,  eh'  ognuno    se    ne  maraviglierà ,  e 


UN   DOCUMENTO  INEDITO  ECC.  220 

se  '1  Governatore  bave -se  donna  sarebbe  anco  l>ene 
eh'  Ella  qualche  volta  desse  le  medesime  ricreazioni  a 
lo  donne  e  farli  di  piaceri. 

Il  quarto  rimedio  de  la  quarta  causa  sana  che  la 
S:^  Y.  non  stimasse  mille  ducati  V  anno  per  qualche 
tempo  per  firmar  bene  questo  Stato ,  e  per  far  che  il 
Gov'*:  come  Vice  Duca  ricogliesse  almeno  una  part^  di 
questi  di  Camerino,  li  quali  vivevano  con  Varani  e 
far  gran  parte  a  quasi  tutta  la  famiglia  sua,  e  tenerli 
bassi  come  gli  altri  et  a  poco  a  poco  Ievandosf4i  di 
Casa  darli  delle  cosette  che  accadono  nello  Stato,  se- 
condo gli  huomini  e  così  edificarli  in  Casa  Borgia,  ci 
è  tal  padre  che  ha  sti  figli  in  Casa,  che  haverne  uno 
o  duo  in  Corte  importa  un  cantone  di  quel  sasso  di 
Cam:"*  Similm:^  far  dare  ogni  di  del  pane  a  poveri  di 
Camerino  acciocché  queste  due  sorte  di  vomini  habbino 
a  lasciare  il  desiderio  de  Varani,  che  li  davano  il  pane 
e  drizzar  gli  animi  verso  la  casa  Borgia  che  li  darà 
la  vita  e  meglio,  come  riuscirà  perchè  qti  tali  sono 
Varaneschi  per  necessità  del  pane,  e  chi  li  da  la  vita 
lì  ha  suoi. 

Il  quinto  rimedio  de  la  quinta  causa  s*  intende  da 
ae  stesso  che  per  quante  lettere  si  faranno  a  Conta- 
dini ,  e  p<»r  quante  suppliche  segnerà  V  Auditore  del 
Gov:"  come  n'  accade  numero  infinito  non  si  lasci  ni" 
per  Sigillo  né  altro  pigliare  un  solo  bolognino,  ma  far 
come  Varani  che  pagavano  Auditori  e  Cancellieri,  vi 
ogni  cosa  si  faceva  gratis,  eccetto  che  per  una  grazia 
si  pigliava  un  bolognino  ;  che  come  sentono  innovare  di 
pagare  un    Carlino  per  Sigillo,  o  signatura  li  vanno  i 


230  UN    DOCUMENTO    INBDITO   ECC. 

sospiri  al  Cielo  verso  Varani,  crescendoli  ogni  dì  V  ar- 
dore, così  nel»  contado,  come  ne  la  Cittò.  Così  per  quanto 
io  conosco  cret^-O  certani:*'  e  tengo  senza  dubbio  questi 
cinque  rimedj  e  vie  a  le  cinque  cause  da  le  quali  è 
nata  questa  ribellione  essere  di  tale  efficacia  che  la  vo- 
luntà  immutabile  libertesca  non  })otrà  mai  haver  forza 
a  far  la  libertà,  e  la  mutabile  Yaranesca  si  drizzerà  e 
muterà  in  Borgesca,  e  p<^r  conseguente  lo  Stato  piglierà 
vera  fermezza  per  il  Duca  Giovanni  et  essendoli  huomo 
che  s'  intenda  bene,  e  con  animo  et  amore  tenga  queste 
vie  tanto  si  estinguerà  il  nome  Varano  in  quel  loco, 
che  tutti  gli  animi  si  drizzeranno  xorso  Casa  Borgia  et 
insieme  col  caldo  della  Rocca  tanto  necessaria  si  firmerà 
e  quieterà  lo  Stato  per  il  Duca  Giovanni  eh'  ognnno 
se  ne  maraviglierà;  altrimenti  io  tengo  e?rto  che  lo  Stato 
piglierebbe  sempre  nuove  altera/ioni ,  et  occultis:"*  che 
a  tempo  dieci  Rocche  noi  tenerebbero,  che  o  liberteschi 
o  Varaneschi  farebbero  mutazione. 

Sono  poi  molte  altre  considerazioni  di  advertire  in 
questo  Stato;  come  è  non  dar  conditione  in  milizia  ad 
alcuno  perchè  si  fanno  animosi  e  travagliosi  per  mu- 
tazione e  pigliano  seguito  di  Brigata. 

Non  darli  condizione  in  Roma,  anzi  tenerli  più  ri- 
moli dalle  pratiche  di  Roma  che  sia  possibile,  perchè 
pigliano  il  gusto  et  amicizia  de  la  Chiesa  per  la  quale 
li  cresce  V  ardore  e  potere  a  la  libertà,  ma  usare  tutte  le 
industrie  per  farli  star  mercanti,  eguali,  bassi  vili  et 
ignoranti. 

Non  patire  per  niente  che  i  Cittadini  facciano  il 
Consiglio,  perchè  imparano  a    dominare,  e  qualcuno  di 


LN    DOCtMENTO   INDDITO   ECC.  231 

loro  cresca  in  ripatazione,  e  credito  edificandosi  pure  a 
la  libertà,  dal  che  bisogna  tenerli  rimoti,  ma  si  eleg- 
gano dieci  o  dodici  consiglieri  tanti  per  Terziero  dal 
Duca  per  conferire  in  cento  anni  una  volta  qualche  cosa 
per  la  terni  con  loro^  non  consegnandoli  mai  cosa  dello 
Stato,  né  tenendoli  in  riputazione^  ma  come  gli  altri. 

Habbia  cura  il  Gov:*^  come  vede  una  inimicizia  in 
Cam:*''  entrare  subito  per  ogni  via  ad  assettarla,  perchè 
sono  cose  che  partoriscono  parti  e  pericoli  d'  armi  di 
che  nascono  desiderj  di  mutazione  di  Stato. 

Guardesi  la  famiglia  del  Governatore,  et  anco  Egli 
non  impacciarsi,  né  andar  dietro  a  donne  di  Cam:''''  che 
in  tal  caso  non  la  [)erdonerebbero  a  la  S:^  Y.  né  al 
Duca  a  metter  la  Terra  sottosopra.  Sono  cose  da  non 
crederle  de  la  Gelosia  et  impatientia  de  le  sue  d'tnne, 
e  per  le  nature  tanto  maligne  de  gli  huomini  ogni  mi- 
nimo di  queste  cose  può  metter  la  Terra  in  alterazione 
e  metterebbe  senza  dubbio. 

—  Adverta  bene  non  credere  a  huomo  di  Cam:""  né 
guardar  quel  che  dicono,  ma  saper  quel  che  pensano. 

Le  lettere  che  anderanno  da  Roma  al  Gov:"  mi 
pare  che  si  debbano  scrivere  a  nome  del  Duca  Giovanni, 
acciocché  il  nome  si  spai^  e  conoscano  il  suo  Signore. 

Attendasi  a  fare  il  Vescovato  iuspatronato  del  Duca, 
e  sua  signoria  conferisca  i  benefizi. 

Sarebbe  una  perfettiss:"**  cosa  che  la  S:"^  Y.  togliesse 
que  benefit]  di  quel  Francesco  in  Lei  e  con  molta  con- 
siderazione partirli  fra  tutta  la  Terra,  che  si  contente- 
rebbe quaranta  case  a  dieci  e  dodici  dens  ri  per  Casa, 
come  HI  contentavano  gli  huomini  di  Cam:""  e    se  ci  e 


i32  UN   DOCUMENTO   INEDITO   ECC. 

benefìcio  grande  far  rispondere  a  que]  tale  pensioni  ad 
altri  e  tener  modi,  che  questo  e  quello  venghi  al  Duca 
Giovanni  a  dimandar  questi  Benefìzi,  perchè  questi  tali 
saranno  ancora  nimicati  da  coltello  contro  Casa  Yarana 
per  aver  impetrati  i  benefizi  de  la  Casa  com'  era  que- 
sto Archidiacono  e  Fran-/"*  li  quali  Giovan  Maria  per  que- 
sto dispetto  volea  impiccare  se  altri  non  li  aiutava. 

'  Quel  sasso  di  Camerino  è  piccolo,  e  la  nimicizia  di 
trenta  o  quaranta  Case  per  questa  via  importa  grandmi** 

Sarebbe  anche  bene  che  il  Duca  Giovanni  di  qui 
a  qualche  giorno  sospendesse  tutti  gli  uffizi  di  Camerino 
e  Contado,  poi  con  consideratione  distribuirli,  massime 
fra  quelli  a  chi  sono  bruciate  le  case  et  avvertire  le 
nature  de  gli  uffizi. 

Angelo  di  Melchiorre  è  Tesauriero  del  Duca,  V  uffitio 
è  ben  locato,  per  essere  ricco,  et  huomo  da  bene,  ma 
è  maliss.""*  locato,  che  per  questo  uffizio  tutta  la  Terra 
gli  va  dietro  a  Lui,  et  a  figliuoli,  e  li  fa  seguito  gran- 
de^ saria  meglio  quello  nffitio  locato  in  persona  del 
Govr 

Accadono  poi  ogni  dì  cose  nuove  ove  la  prudenza 
del  Gov^"  con  nuovi  rimedj  bisogna  che  supplisca. 

Hora  la  S.  V.  elegga  vorr  o  di  cervello,  et  animo, 
e  notitia  di  quello  Stato,  eh'  è  un  bello  buono,  et  im- 
portante Stato,  e    d'  una  grandissm:"*   cura  e  difficoltà. 

In  questo  principio  perchè  la  Terra  si  scusa,  che 
Giovan  Maria  senza  partecipazione  di  Cittadini  intrò 
air  improviso  trovando  le  porte  aperte  senza  prò  visione, 
io  credo  che  fussi  bene  a  simulare  di  crederlo;  benché 
per    quel    eh'  ho    potuto  comprendere    fu  inventione  di 


UN   DOCUMENTO    INEDITO   ECC.  Ì33 

tre,  partecipazione  di  otto,  e  poi  la  terra  seguitò  per 
le  ragioni  predette  ;  di  tal  simulare  di  credere  mi  pare 
che  ne  nascerebbeno  due  beni  V  uno  che  molti  huomìni 
che  sapendo  esser  tenuti  da  la  S:**  V.  ribelli  e  traditori 
stanano  in  disperazione  che  £%  sempre  pensar  routatione 
si  quieterebbono  a  starsi  da  fedeli  sudditi,  e  non  pen- 
sar mai  più  altro;  V  altro  che  gli  uscita  fors?  tornereb- 
beno,  eh*  a  me  non  piacciono  che  stiano  fuori  per  esser 
troppo  potenti  di  Parenti  in  Cam-/",  e  chi  vol'^sse  cac- 
ciar i  Parenti  bisognerebbe  metter  mano  a  tutta  la  Terra. 
Ne  manco  mi  ]^iaccria  che  stessero  in  Cam:""  ma  con 
q.ualche  destro  modo  credo  che  fusse  bene  riderli  n 
ostaggi;  massime  quelli  che  sono  travagliosi,  che  tanto 
quelli  che  simulano  voluntà  duchesca,  come  Varanesca 
di  tal  natura  travagliose ,  e  dominatrici,  non  mi  pare 
che  fusse  al  fine  da  lasciarli  in  Cam:"**  perchè  questi 
sono  quelli,  che  tendono  al  segno  della  Hbertà  e  sono, 
da  poterla  fare  purché  il  tempo  li  venga;  e  che  fanno 
seguire  queste  rivoluzioni.  Io  so  ben  questo  certo  che 
Giovan  Maria  haveva  una  gran  paura,  che  nessuno  vo- 
lesse uscire,  e  voleva  menar  messer  Domenico.  Né  man- 
co mi  piaceria  che  si  facesse  sangue  come  alcuni  vor- 
reb))eno  vedere  correre  le  strade,  che  vanno  a  mal  cam- 
mino. La  Terra  sta  bene  in  gran  terrore,  *p^r  lo  errore 
commesso,  senza  tirarla  e  provocarsela  col  sangue;  non 
dimeno  la  S.  V.  è  sapientiss:""  a  la  q**  dico  V  opinione 
min  fedelm:**,  con  amore  e  devozione. 

Qtiando  vengono  Ambasciadorì  o  altri  da  Camerino 
A  la  8.  V.  li  ricordo  non  darli  cosa  alcuna  in  partico- 
larità   perché    ne    nasc  no  mille    inconvenienti ,    ma  se 


234  UN    DOCUMRNTO   INKDITO    ECC. 

pure  la  S.  Y.  li  vuole  far  qualche  gratta  saria  da  far 
di  modo  che  tutta  la  Terra  ne  partecipasse  qualche  co- 
setta  0  vero  dandoli  in  particolarità  darli  cossi  piccola, 
come  fu  quel  che  fu  fatto  esente,  et  anco  aver  conside- 
razione e  le  Persone  e  Case. 

H  far  de  la  Rocca  va  co'  suoi  piedi;  io  landarei 
ancora  molto  ei^rrare  alcune  porte  di  Carne:' '  che  non 
sono  necessarie  e  ridurre  quelle  due  o  tre,  che  reste- 
ranno aperte  in  fortezze  e  non  stiano  in  arbitrio  di 
huomini  di  Camerino ,  anzi  levar  Y  armi  a  tutti ,  e 
smantellare  parte  del  contado,  perchè  si  leverebbe  ogni 
volta  più  de  la  voluntà  de'  Varani  edificandoli  a  viveiy 
in  pace^  che  sotto  la  ribellione  fatta,  ogni  cosa  si  può 
fare  che  staranno  patienti  di  gratia,  mostrando  farlo  per 
loro  quiete  e  bene;  cx)sì  con  questi  modi  ^  con  le  vie 
e  governo  soprascritto  potrebbeno  Varani  a  sua  posta 
venire  nel  contado  e  muri  di  Camerino,  che  tomereb- 
beno  indietro  con  le  mani  piene  di  mosche. 


DELIA  VITA  E  «ELLE  OPERE 


DI 


GIACOMO  LEOPARDI 


CENNI   BIOUHAI'ICI    E  CRITICI 


DI 


CESARE   ROSA 


I. 


INTRODUZIONE 


Intorno  a  Giacomo  Leopardi  fu,  massimo  in  questi 
ultimi  tempi,  tanto  scritto  e  in  Italia  e  fuori  da  uomini 
egregi  per  ingegno  e  dottrina,  da  dover  quasi  disperare 
di  poter  dire  cose  che  da  altri  non  siano  state  dette; 
e  certo  io,  che  conosco  quanta  e  quale  sia  la  povertà 
delle  mie  forze,  non  mi  accingerei  a  parlare  del  Leo- 
pardi ora  se  il  raccogliere  in  poco  quello  che  scrittori 
più  autorevoli  hanno  detto  in  molto  non  stimassi  cosa 
utile  agli  studiosi,  e  se  le  nuove  pubblicazioni  che  si 
sono  fatte  ultimamente  e  di  opere  inedite  del  L'H>pardi 
stesso  e  delle  lettere  che  a  Giacomo  diressero  i  parenti 
di  lui,  non  mi  porgessero  il  destro  di  tentar  di  portare 
alcuna  volta  un  più  giusto  giudizio  sulle  condizioni  del- 
l' animo  suo,  sui  rapporti  che  lo  strinsero  a  quelli  della 
8fia  casa  ed  ai  suoi  amici  o  se  non  mi  fosse  dato  di  poter 
dire  qualcosa  che  non  è  stata  detta  da*  biografi  che  mi 
precedettero,  od  almeno  portar  un  po'  di  luce  in  qualche 


1 


238  DELLA    VITA    E    DELLR   OPERE 

pu  :to  ancora  oscuro.  Certamento,  per  quanto  ha  riguardo 
air  esame  critico  che  farò  delle  op'^ro  us'^ite  dall*  ingegno 
di  questo  straordinario  fenomeno  della  natura ,  non  io 
ardisco  di  promettere  di  dir  semp  e  cose  nuove,  ma  se 
non  sempre  nuovo  spero  di  riuscir  sempre  imparziale, 
lontano  così  dalle  esagerate  lodi  come  dai  biasimi  det- 
tati più  dalla  passione  che  dalla  ragione,  ed  infine  voglio 
credere  che  coloro,  massime  i  giovani,  i  quali  leggeranno 
queste  pagine  impareranno  a  pregiare  nel  grande  Marchi- 
giano le  nobili  doti  dell'  animo  e  dell' ingegno^  e  saranno 
stimolati  a  studiarne  le  opere  con  diligente  cura,  facendo 
tesoro  delle  infinite  bellezze  che  vi  si  racchiudono;  il 
che  sarà  con  vantaggio  non  lieve  delle  nostre  lettere, 
le  quali  per  tornare  a  fiorire  di  ridente  giovinezza,  bi- 
sogna che  lascino  di  aggirarsi  tra  beceri  di  mercato  ed 
il  fango  deHe  umane  passioni,  e  tornino  al  culto  di  que- 
gli scrittori  che  meglio  seppero  ritrarre  V  immagine  della 
bellezza  nell'  arte.  E  tra  questi  scrittori  è  senza  fallo  il 
Leopardi,  di  cui  se  molti  si  professano  seguaci  perchè 
ne  imitano ,  esagerandolo ,  e  non  sentendolo  (  se  così  è 
permesso  dire),  lo  scetticismo,  pochi  lo  studiano  come 
dovrebbe  esser  studiato,  e  pochi  sanno  appropriarsene  le 
peregrine  doti,  forse  anche  perchè,  cosa  indiscutibilmente 
vera,  quanto  un  artista  è  più  grande  tanto  più  difficile 
ne  è  r  imitazione,  bastando  d'  un  piccolo  tratto  passare 
i  limiti  da  esso  toccati  per  dare  nell'esagerato  e  nel  falso. 
Io  non  so  se  l'amore  e -lo  studio  continuo  fatto 
sulle  opere  dell'  illustre  Recanatese  m' avranno  posto  in 
grado  di  scrivere  degnamente  di  lui,  però  io  spero  che 
quanti    leggeranno   queste   pagine    scritte  senza  pretesa 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  239 

sapranno  compatirmi;  tenendo  conto  del  buon  volere  che 
mi  ha  animato  a  tentar  di  rendere  nella  mia  picciolezza 
un  qualche  onore  ad  un  uomo  grandissimo,  ed  a  man- 
tenerne viva  ed  onorata  la  memoria  tra'  giovani. 


IL 


ì^  «ondirJont  polltiehe  •  letterarie  in  Italia 
al  prìnelpio  del  secolo  XIX. 

Innanzi  di  cominciare  il  racconto  della  vita  del  Leo- 
pardi e  r  esame  degli  scrìtti  di  lui,  non  sarà  fuor  di 
proposito  il  fare  un  rapido  conno  delle  condizioni  poli- 
tiche italiane  dell'  epoca  in  cui  egli  visse  e  dello  stato 
in  cui  erano  le  lettere  nostre,  imperocché  se  egli  è  ven) 
che  i  grandi  ingegni,  come  quelli  che  avanzano  di  gran 
lunga  i  loro  contemporanei,  hanno  una  grande  influenza 
sul  loro  tempo  e  bene  e  spesso  lo  precorrono,  non  ^ 
men  vero  che  V  ambiente  politico  e  letterario  in  cui  gli 
scrittori,  anco  eccellenti,  vivono,  esercita  sulP  animo  di 
«*«8i  una  qualche  influenza;  e  tanto  meglio  si  spieghe- 
ranno le  condizioni  psicologiche  d' un  autore  quando 
Io  studio  della  vita  e  delle  oj)ere  di  lui  non  si  disgiunga 
da  quello  della  storia  politica  e  letteraria  del  suo  tempo. 

Gli  echi  (Iella  rivoluzione  francese  del  1789,  che 
pn)clamaya  i  diritti  dell'  uomo  e  dava  l' ultimo  crollo 
al  fedualismo,  si  ripercossero  anche  in  Italia,  dove  fe- 
ooro  nascere  nelle  moltitudini  il  desiderio  di  generali 
riforme  nello  stato,  per  le  quali  la  penisola  non  dovesse 
e«er  più  sotto  la    signoria  di  tanti  tirannelli  don^estici 


240  DELLA    VITA    R    DKLLI::   OPKRE 

p  stranieri ,  nei  quali  tinto  maggiori  erano  la  crudeltà 
0  la  ferocia  quanto  maggiori  V  inettitudine  e  V  impo- 
tenza a  saviamente  governare.  Si  voleva  dai  più  la  forma 
repubblicana  come  quella  che  pareva  dovesse  meglio 
rispettare  la  libertà  e  i  diritti  dei  cittadini,  dando  nelle 
loro  mani  il  governo  di  loro  stessi  ;  si  guardava  alla 
Francia,  sperando  che  da  lei  ci  }K)tesse  venire  la  li- 
berta,  e  i  poeti  scioglievano  i  loro  canti  di  lode  all'  a- 
stro  dei  nuovi  tempi.  Intanto  Napoleone,  console,  per 
ordine  della  Repubblica  Francese  passava  in  Italia,  e  se 
ne  impadroniva  in  seguito  a  varii  fatti  d'  arme ,  e  co- 
stituiva dapprima  la  Repubblica  Cisalpina  e  quindi  il 
Regno  d' Italia ,  dopo  vinti  gli  eserciti  pontifici ,  dopo 
avere  oc<?upata  il  12  maggio  1797  Venezia  e  le  città 
da  lei  dipendenti.  Ma  il  17  Ottobre  dello  stesso  anno 
Bonaparte,  guidato  più  dall'  ambizione  che  dall'  amore 
della  libertà  dei  popoli,  stipulava  coli'  Austria  il  trattato 
di  Campoformio  jer  cui  Venezia  veniva  resa  agli  au- 
striaci ;  il  che  come  si  sepi)e  risvegliò  le  ire  dei  buoni 
Italiani  contro  Napoleone ,  che,  nominato  nel  maggio 
1 804  imperatore  di  Francia,  nel  maggio  dell'  anno  ap- 
presso assumeva  il  titolo  di  re  d'  Italia ,  dividendo  in 
diversi  modi  la  penisola  ed  affidandone  il  governo  ai 
parenti  suoi. 

Ma  intanto  la  fortuna,  che  era  stata  lungo  tempo 
benigna  al  Bonaparte ,  gli  si  volgeva  contro ,  e  la  più 
terribile  reazione  si  faceva  risentire  in  tutta  Europa, 
e  gli  antichi  principi  tornavano  sui  loro  troni,  dopo 
Aver^  relegato  Napoleone  a  S.  Elena  dove  moriva,  e 
djopo  aver  fatto    vile  njercato  dei  popoli  nel   Congresso 


ni   GIACOMO   LEOPARDI  241 

di  Vienna    del   1815.  In    seguito    a   questo    Congresso 
ceco  come  rimaneva  divisa  e  governata  la  penisola: 

1/  Il  Regno  di  Sardegna,  che  comprendeva  il  Pie- 
monte ed  il  ducato  di  Oenova,  retto  dalla  Casa  di  Sa- 
voia. 

• 

2."  Il  Regno  Lombardo- Veneto,  composto  della  Lom- 
Imrdia  Valtellina  e  Venezia,  governato  dall'  Imperatore 
iV  Austria. 

3.**  Il  ducato  di  Modena  e  Reggio,  sotto  il  governo 
d'  un  arciduca  di  casa  d'  Austria. 

4.'  D  granducato  di  Toscana,  governato  pure  da 
un  anriduca  d'  Austria. 

5."  Il  ducato  di  Lucca,  affidato  ad  un  principe  di 
Borljone  ; 

6.°  I  ducati  di  Panna,  Piacenza  e  Guastalla,  sotto 
la  ilipendenza  di  Maria  Luigia'  d' Austria,  moglie  di 
Na]  oleone  ; 

7."  Lo  stato  ])ontificio; 

S.*"  Il  regno  delle  Due  Sicilie  sotto  i  Borboni; 

IK"  La  Repubblica  di  S.  Marino; 
10/  Il  canton  Ticino,  entrato  a  far  parte  della  con- 
federazione Svizzera; 

11."  11  principato  di  Monaco  ; 

12/  L' Isola  di  Malta,  passata  sotto  la  signoria  degli 
Inglesi  ; 

1 3,"  L'  is(^a    di    Corsica ,    sotto  la    dipendenza  della 
Francia. 

Come  ognuno  vede  la  preponderanza  dell'  Austria 
nella  penisola  era  somma ,  perchè  buona  parte  di  essa 
dipendeva    da  lei  direttamente ,    od  era  nelle    mani   di 

Archìv.  Stor.  March.  T.  /.  16 


242  DF.LLA   VITA   E   DELLE   OPERE 

principi  a  lei  devoti,  e  questo  era  un  male,  perchè  se 
i  Francesi  si  eran  portati  nel  governo  d' Italia  più  da 
conquistatori  che  da  liberatori,  gli  Austriaci  despotiz- 
zavano ,  e  d' accordo  cogli  altri  principi  tendevano  a 
reprimere  ogni  nobile  sentimento  nazionale,  e  toglievano 
ogni  ragionevole  libertà ,  di  cui  i  popoli  sentivano  an- 
che maggiormente  il  bisogno  dopo  che  avevano  risen- 
titi gli  effetti  della  rivoluzione  francese  e  s'  erano  im- 
medesimati delle  teorie  da  lei  proclamate,  sicché  comin- 
ciarono a  desiderarsi  ardentemente  due  cose:  la  libertà 
neir  ordinamento  interno  degli  stati ,  e  Y  indipendenza 
d' Italia  da  ogni  soggezione  straniera,  e  cominciò  il  po- 
]X)lo  ad  adoperarsi  in  secreto  per  raggiungere  questi 
due  nobilissimi  fini,  e  quei  conati  dovevano  pur  troppo 
essere  cagione  a  molti  Italiani  di  morte ,  di  carcere  e 
di  amarissimo  esilio,  ma  non  inrono  ultima  causa  del 
nostro  risorgimento  molti  anni  appresso. 

Accennato  così  di  volo  alle  condizioni  politiche  della 
penisola  nell'epoca  in  cui  si  trovò  a  vivere  il  Leopardi, 
ora  passerò  a  dire  alcun  che  dello  stato  in  cui  si  tro- 
vavano le  nostre  lettere,  condizione  del  resto  che  trova 
la  sua  ragione  di  essere  nelle  vicende  politiche  di  quei 
giorni.  — 

Il  secolo  decimononò  cominciò  per  la  letteratura  ita- 
liana in  mezzo  alla  lotta  di  due  scuole  opposte,  la  clas^^ 
sica  e  la  romantica ,  le  quali  diedero  iif  esagerazioni 
eh'  io  non  approverò  di  certo,  ma  da  cui  pure  alcuna 
cosa  di  bene  derivò.  I  seguaci  della  scuola  classica,  di- 
cevano il  bello  in  letteratura  ed  in  arte  non  trovarsi  che 
nelle  forme  esteriori,    quindi  se  si  voleva  che  le  lettere 


DI   GIACOMO   Ll!X}PABDI  ÌÌ3 

tornassero  a  rifiorire  esser  necessario  darsi  principalmente 
jjcnsiero  della  forma,  la  quale  si  avesse  a  modellare  in 
tutto  (»  j)er  tutto  sui  migliori  esemplari  greci,  latini  ed 
italiani  del  trecento  e  cinquecento,  chi  non  facesse  così 
esser  degno  dell'  ostracismo.  Che  le  parole  e  le  frasi 
siano  pn>j)rie  ed  eleganti  in  letteratura  essere  cosa  impor- 
tantissima e  da  curarsi,  non  nego,  ma  che  sia  la  sola 
e  la  prineipal  cura  di  chi  si  dà  allo  scrivere  non  posso 
ammettere ,  mentr  egli  è  necessario  innanzi  tutto  darsi 
I>ensien>  delle  idee  che  si  vogliono  esporre,  e  non  mai 
le  idee  alle  parole  sacrificare  si  debbono.  E  se  i  più 
hnlati  scrittori  <li  tutti  i  tem])i  e  di  tutti  i  luoghi  con- 
seguirono fama  durevole  si  fu  appunto  per  aver  saputo 
all.i  originaUtà  ed  opiK)rtunità  delle  idee  congiungero 
una  forma  elegante  che  valesse  a  presentarle  in  modo 
più  efficace  e  chian>.  —  La  scuola  romantica  jìer  con- 
rr«irio  negava  che  lo  scrittore  si  dovesse  curar  della 
maniera  dì  esjKirre  le  ])roprie  idee,  volgesse  ogni  studio 
a  (jueste  e  non  si  curasse  di  altro.  Anche  queste  mas- 
sime  non  enino  al  tutto  (*onformi  al  vero,  e  quelli  che 
vi  si  fossero  attenuti  in  tutto  e  j)er  tutto  non  avrebbero 
potuto  conseguire  la  fama  di  ottimi  scrittori. 

Il  fatto  sta  ch(»  la  lotta  fu  viva  assai ,  e  sebbene , 
a  chi  guardi  supei^ficialmente,  sembrar  jK)ssa  assai  ste- 
rile, tale  non  appare  a  quanti  vedono  in  essa  la  causa 
non  ultima  dell'  indirizzo  che  hanno  preso  di  jk>ì  le  let- 
tere nostre.  Conciossiachc^  se  tanto  i  romantici  che  i 
classicisti  diedero  in  esagerazioni  biasimevoli  sempn*  tra 
gonte  che  dovrebbe  essere  e  nim  parere  edu(*ata ,  da 
quote    vive  lotte    appunto  gli  uomini    spassionati  e  di 


2ii  DELLA    VITA    E   DELLE    OPERE 

buon  senso  appresero  che  la  ragione  ed  il  torto  non 
erano  esclusivamente  in  alcuna  delle  due  parti,  conoli- 
bero  in  quali  errori  cadesse  ciascuna  delle  due  scuole 
e  quanto  di  vero  vi  fosse  nelle  dottrine  diverse  da  loro 
professate.  E  per  tal  guisa  si  ottenne  che  i  più  impa- 
rassero non  doversi  il  pensiero  alla  forma  sacrificare,  ma 
che  neppure  questa  doveva  essere  negletta  in  quanto- 
che  giova  a  presentare  il  pensiero  con  veste  più  ele- 
gante e  piacevole  e  che  perciò  ci  guadagna  in  efficacia, 
e  questo  non  è  picciol  vantaggio  di  cui  non  si  abbia 
a  tener  conto  alcuno. 

Trovar  V  origine  vera  delle  due  scuole,  che  accani- 
tamente si  contesero  il  primato  letterario  nel  principio 
di  questo  secolo ,  mi  sembra  non  agevole  impresa ,  ma 
pur  mi  par  che  qualcosa  già  cominciasse  a  vedersene 
nel  secolo  decimosettimo,  poiché  accanto  ai  delirii  ed 
alle  gonfiezze  del  Cav.  Marini,  dell'  Achillini  e  dei  lon> 
seguaci,  ti'oviamo  l'elegante  semplicità  di  Galileo,  che 
ci  mostra  poter  essere  uno  semplice,  naturale  e  forbito 
scrittore  nel  tempo  stesso  che  j)resenta  nobili  e  degni 
concetti.  E  sebbene  le  due  scuole  sin  d' allora  non  esi- 
stessero con  un  nome  distinto  pur  di  fatto  vi  erano , 
perchè  Galileo  sin  da  quei  giorni  poneva  le  basi  d'  un 
savio  metodo  scientifico  fondato  sui  dettami  della  logica, 
ed  insegnava  agli  scrittori  che  nelle  opere  dello  ingegno 
non  bisogna  le  idee  alle  parole  sacrificare ,  insegnava 
che  volendo  far  consistere  tutta  la  valentia  dell'  arte  di 
scriverc  nella  forma  si  producono  cose  nulle  e  che  della 
lìellezza  hanno  soltanto  le  apparenze,  si  fanno  delle  imi- 
tazioni e  non  delle  o}ìen*  originali,  e  nella  forma,  anco 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  Ìi5 

imitando  i  classici,  por  andare  pur  in  traccia  di  alcuna 
cosa  di  nuovo  si  Ah  nello  strano,  come  appunto  acca- 
deva allora  a  quelli  che  facevano  professione  di  lette- 
ratura scompagnandola  dalla  scienza. 

L' epoca  però  in  cui  il  così  detto  romanticisìuo  si 
trovò  armato  <li  tutto  punto  di  fronte  al  classicismo  si 
fu  veramente  la  seconda  metà  del  secolo  decimottavo, 
e  le  battajflie,  e  le  scaramucce,  nelle  quali  non  si  diede 
w*mpre  Y  esempio  della  cariti^  e  dell'  educazione,  dura- 
rono ancora  per  alcuni  anni  del  secolo  j)resente. 

Disgfustati  alcuni  della  linjfua  barbara  e  corrotta 
che  s'  usava  di  quei  giorni ,  e  che  era  V  effetto  delle 
invasioni  stranien*  e  dei  libri  che  venivano  segnatamente 
ài  Francia,  i  quali  avidamente  si  studiavano  per  le  nuove 
teorie  politiche  ed  economiche  che  vi  si  j)roclamavano, 
pensarono  che  al  male  dovesse  porsi  un  riparo,  e  che 
questo  non  si  potesse  fare  altro  che  tornando  in  onore 
lo  studio  dei  classici,  in  sj)ecial  modo  di  quelli  dei  pri- 
missimi tempi  della  letteratura  nostra,  poiché  ormai  i 
maggiori  scrittori  italiani,  tra'  quali  Dante  che  ne  h  il 
principe,  erano  lasciati  j)oco  lodevolmente  da  banda,  e 
non  solo  i  nostri  ma  anche  i  classici  di  Grecia  e  di 
Roma,  nei  quali  V  ingegno  umano  seppe  mostrare  nel 
più  splendido  modo  quanto  j)ossa  V  amore  del  bello,  del 
buono  e  df»l  vero.  Né  in  ciò  erravano  del  tutto,  erran>no 
I)erò  in  questo,  che  V  imitazione  degli  autori  antichi 
j<j)insero  a  tal  punto  da  pretendere  che  nel  secolo  de- 
oimonono  si  scrivesse  ad  uso  trecento,  e  che  quindi  la 
letteratura  del  tempo  nostro  in  luogo  di  progredire  se- 
casse un  regresso ,  non  tenendo  così    ali»un  conto  dei 


24C  DKI-LA    VITA    K    DKI.LK    OPKRK 

progressi  dello  spirito  umano,  dello  murate  .(ondizioni 
dei  tempi^  dei  nuovi  bisogni  e  delle  nuove  aspii-azioni 
dei  popoli  a  cui  pur  deve  la  lettemtura  pmvvedere.  I 
classici  io  non  li  dispregio  punto,  li  tengo  anzi  nel  de- 
bito onore  e  dico  che  s'  hanno  a  studiare,  ma  in  mo<lo 
da  saper  scemere  quel  eh'  oggi  fa  per  noi  da  quello 
che  non  dobbiamo  curare  altrimenti,  poiché  V  imitazione 
servile  non  dà  gli  ottimi  scrittori,  non  dà  scrittori  che 
pensino  con  la  propria  testa  ma  con  V  altrui ,  scrittori 
pieni  di  periodi  rotondi  e  rimbombanti,  che  stringi  strin- 
gi però  non  dicono  nulla  di  nuovo  ne  di  l)uono,  lasciano 
il  tempo  che  trovano ,  accrescendo  il  numero  dei  libri 
inutili. 

L' altra  scuola ,  cioè  quella  dei  romantici ,  andava 
ad  altri  eccessi ,  che  non  possono  esseit*  approvati  da 
chi  abbia  un  poco  di  buon  senso  ;  e  cioè  affermava  che 
nelle  scritture  non  vai  la  pena  di  por  mente  alla  forma, 
e  che  le  idee  alle  parole  non  vanno  sagrificate,  nò.  in 
alcun  modo  rese  lor  serve  ;  né ,  affermando  ciò,  aveva 
tutto  il  torto,  imperocché  quello  scrittore  che  tutta  la 
valentia  sua  fa  consistere  in  frasi  e  parole  ricercate, 
senza  punto  curarsi  della  bontà  dei  pensieri ,  ma  anzi 
questi  sacrificando  a  quelle  non  merita  lode  di  corretto 
ed  elegante  scrittore.  Però  la  scuola  romantica  andava 
errata  quante  volte  voleva  che  la  eleganza  della  forma 
e  la  purezza  del  linguaggio  fossero  del  tutto  trascurate, 
mentre  sono ,  non  è  chi  noi  veda ,  acconcio  mezzo  a 
rendere  più  gradite  ed  efficaci  le  verità  che  vengono 
esposte.  E  tale  errore  abbastanza  grave  naturalmente 
portava  a  scrivere  in  una  maniera  bastarda  che  non  si 


DI   GIACOMO   LKOPAROI  247 

sapeva  se  italiana  od  altra  ella  si  fosse.  Per  la  prima 
sc'uola  ^  la  poesia ,  come  osservava  giustamente  uno 
scrittore  contemporaneo,  ncm  era  una  delle  più  grandi 
manifestazioni  delP  umano  pensiero  ;  ma  un'  arte  che 
s4)lo  doveva  avere  lo  scopo  di  piacere  altrui  colla  bel- 
lezza delle  forme  e  del  colorito,  senza  curarsi  di  alcun 
profondo  morale  concetto,  senza  rivelare  la  coscienza 
del  poeta  e  dei  tempi.  L' altra  invece  rifuggendo  dalla 
gaiezza  e  vivacità  di  tempi,  che  più  non  erano,  pareva 
che  più  n<m  sentisse  la  poesia,  un  giorno  così  potente, 
della  esteriore  bellezza,  ma  guidata  da  una  nuova  musa, 
la  Malinconia,  tutta  si  concentrasse  in  se  medesima, 
ascoltando  attentamente  le  segrete  voci  del  cuore,  il  som- 
messo fremito  delle  anime,  che  sentivano  i  dolori  del 
presente  e  cercavano  anelanti  di  scoprire  i  misteri  del- 
l' avvenire  (1).  ^ 

Ed  è  invero  da  dolersi  che  in  mezzo  a  tanto  que- 
stionar d'  accademie  e  di  nobili  ingegni  non  si  venisse 
alla  conclusion  più  logica,  e  più  giusta  di  tutte,  ciot"^ 
che  la  ragione  non  era  in  tutto  da  alcuna  delle  due 
parti ,  che  V  eleganza  della  forma  rende  più  chiarì  e 
più  nobili  i  pensieri,  e  che  V  eleganza  di  forme  senza 
idee  feconde  e  nobili ,  è  come  una  veste  di  finissimo 
broccato  usata  a  fine  di  coprire  un  coqx)  laido  e  deforme. 
A  tutto  questo  non  ci  si  pensò  né  punto  né  poco  e  i  let- 
terati diedero  il  più  grande  scandalo  di  sé ,  dicendosi 
contumelie  da  una  parte  e  dall'  altrs,  e  tirandosi  pei  ca- 
pelli con  una    carità    tutt'  altro    che    fraterna.    Esempio 

(I)  CArfiLiKA  .  Intorno  Jll*  vii»  ctl  agli  Hcritli  di  Giacomo  Leo|iardi. 


248  DELLA    VITA    E    DELLE   OPERE 

non  nuovo  del  resto  in  Italia ,  dolla  carità  che  si  usa 
ancora  in  questa  così  detta  Repubblica  letteraria^  dove 
di  solito  certi  si  erigono  a  dittatori,  senza  averne  la  le- 
gittima autorità,  per  la  manìa  di  abbattere  gli  emuli 
loro,  più  che  animati  dal  desiderio  di  giovare  all'  incre- 
mento degli  studii  e  delle  buone  lettere. 

Quegli  che  della  lotta  e  discissioni  grammaticali 
ebbe  la  disgraziata  idea  di  mettersi  a  capo  fu  Vin- 
cenzo Monti ,  che  alle  più  belle  doti  dell'  ingegno,  di 
cui  volle  natura  essergli  larga ,  ad  una  peregrina  me- 
moria, ad  uno  squisitisv^imo  gusto  dell'  arte  accoppiava 
cuore  ed  animo  debole,  che  lo  resero  jmabizioso  ed  in- 
giusto verso  non  pochi  scrittori  suoi  contemporanei,  e 
gli  fecero  adular  oggi  un  potente,  domani  un  altro  con 
grande  scapito  della  sua  reputazione  politica  di  buon 
cittadino.  E  a  me  duole  non  poco  d'  essere  astretto  a 
consigliare  ai  giovani  d' imitare  la  eleganza ,  forse  un 
po'  troppo  frondosa,  dello  scrivere  del  Monti ,  a  cui  si 
deve  riconoscere  il  merito  d'essersi,  come  Gasparo  Gozzi, 
efficacemente  adoperato  per  tornare  in  onore  lo  studio 
di  Dante,  che  una  falsa  scuola,  la  quale  ci  voleva  eterna- 
mente pargoleggianti,  aveva  condannato  all'  ostracismo^ 
e  doverli  poi  consigliare  di  non  imitar  il  cittadino  che 
usa  del  suo  fervidissimo  ingegno  in  servizio  delle  pro- 
prie passioni  non  buone,  per  adulare  i  potenti,  mentre 
io  vorrei  che  in  quanti  coltivan  le  lettere  fosse  argo- 
mento per  lodare  lo  scrittore  ed  il  cittadino.  Ed  è  al- 
tamente da  riprovarsi  chi  usa  dell'  ingegno  per  dividere 
gli  animi  dei  cultori  delle  lettere,  e  suscitare  questioni 
ed  ire  che,  se  non  facessero  compassione  e  dispetto,  muo- 


01   GIACOMO   LKOPARDl  ÌÌ9 

verobbero  il  riso.  Come  in  politica  noi  Italiani  por  tanto 
tempo  demmo  al  mondo  lo  spettacolo  di  deplorevoli 
Sfare  cittadine  che  la  patria  condussero  ad  una  servitù 
obbrobriosa,  così  anco  nel  campo  letterario  non  sapem- 
mo mostrarci  concordi  con  grave  danno  dei  buoni  studii: 
tanto  è  vero  che  la  letteratura,  per  quanto  altri  siano 
di  contraria  opinione,  si  risente  delle  condizioni  politi- 
che di  un  popolo,  ed  ò  di  esse  anzi  un'  immagine  fe- 
dele. Si  ricordi  la  gioventù  nostra  che  le  lettere  devono 
essere  ministre  di  civiltà  e  dì  luce ,  e  che  meritano 
onore  sopra  tiitti  quegli  scrittori  indipendenti  di  carat- 
tere che  alla  causa  del  progresso  intellettuale,  morale  e 
civile  del  proprio  paese  consacrano  tutte  le  forze  del 
loro  ingegno.  L'  arte  nobilissima  dello  scrivere  non  può 
e  non  deve  assolutamente  essere  ridotta  ad  una  pura 
esercitazione  rettorica  ;  deve  parlare  al  cuore  ed  all'  in- 
telletto dei  popoli,  deve  essere  incitamento  ad  azioni 
nobili  e  generose.  Quelli  che  non  hanno  la  potenza  di 
far  ciò  dovrebbero  il  campo  delle  lettere  abbandonare,  e 
rivolgere  Y  attività  propria  ad  altro  in  cui  potrebbero 
rendere  migliori  e  più  importanti  servigi. 

Anche  V  italiana  poesia ,  come  gli  altri  rami  della 
nostra  letteratura ,  al  principio  del  secol  presente  era 
in  due  scuole  divisa,  delle  quali  una  poneva  mente  solo 
alla  venustà  della  forma,  e  spesso  con  essa  copriva  sog- 
getti frivoli  e  nulli,  di  maniera  che  il  poeta,  senza  ri- 
velare se  stesso  e  lo  spirito  dei  tempi ,  veniva  meno 
alla  propria  missióne  civilizzatrice ,  e  così  avevansi  le 
Interne  lodi  dell*  età  dell'  oro,  cantate  su  tutti  i  metri, 
si  dipingevano  i  non  sentiti  amori  dei  pastori  di  Arcadia, 


2o0  BKIXA    VITA    R   DICLLK    OPKRG 

che  si  dimenticavano  di  avere  una  patria  governata  da 
tiranni  che  bisognava  ritornar  donna  di  proiwcie^  quale 
la  voleva  il  gran  padre  Alighieri.  La  seconda  scuola  abor- 
riva da  quanto  fosse  adornamento  artistico  di  forma , 
aborriva  la  giocondità  e  la  festevolezza,  e,  stanca  della 
vita  che  aveva  vista  piena  d' inganni,  e  di  dolori,  pre- 
stava il  suo  culto  alla  Melanconia  j  secondo  la-  giusta 
ed  jussennata  osservazione  del  Capellina  già  riferita.  La 
prima  paragonar  si  potrebbe  alla  gioventù  irriflessiva 
che  poco,  anzi  nulla,  si  cura  di  cercare  la  ragione  delle 
cose  ;  la  seconda  paragonar  si  potrebbe  all'  età  matura, 
cui  poco  importa  delle  cose  esteriori ,  che  non  si  cura 
deir  apparenza  ma  vuole  andare  alla  sostanza ,  vuole 
cercare  le  ragioni  le  più  recondite  delle  cose  che  bene 
e  spesso  non  le  vien  dato  di  ritrovare ,  e  perciò  tale 
studio  il  più  delle  volte  allo  scetticismo,  che  è  la  morte 
dell'  anima,  conduce;  mentre  la  spensierata  noncuranza, 
propria  della  giovinezza,  delle  ragioni  intime  di  quanto 
al  nostro  intelletto  si  affaccia,  par  fatta  a  bella  posta  per 
alimentare  nei  cuori  la  fede. 

Poesia  e  filosofia,  ambedue  figlie  dell'  umano  pensiero, 
il  quale  studia  di  spiegare  il  meglio  che  possa  se  stesso 
e  quanto  alla  conoscenza  sua  è  sottoposto,  procedon  di 
pari  passo,  e  le  trasformazioni  a  cui  una  va  sottoposta 
son  le  medesime  dell'  altra,  quindi  è  che  non  stimo  op- 
portuno diffondermi  a  dimostrare  come  fossero  pur  due 
le  scuole  filosofiche  principali  che  si  contendevano  il 
campo  in  Italia,  e  che  perfettamente,  si  può  dire,  cor- 
rispondevano a  quelle  poetiche.  A  quale  di  queste  due 
scuole  appartenesse  Giacomo  Leopardi  non  può  dirsi  as- 


DI   GIACOMO    KEOPARDI  Ìt)ì 

8olutanient<>,  jierehò  d'  ingegno  singolare  dotato,  di  pro- 
fmdi  e  severi  studii  nutrito,  come  vedremo,  della  prima 
prese  le  doti  dell'  arte ,  della  seconda  seguì  le  orme, 
traendo  dall'  anima  propria  note  leggiadramente  armo- 
niose di  dolore  melanconico  e  disperato ,  e  d' indigna- 
zione j)er  i  mali  da  cui  ò  1'  uman  genere  afflitto,  ed  a 
cui  egli ,  poeta  e  filosofo  non  volgare ,  avrebbe  voluto 
porre  efficace  rimedio  ,  e  con  i  propri  scritti  scuotere 
l' ignavia  altrui  e  spronare  all'  amore  del  vero  e  del 
giusto,  dal  cui  trionfo  dipende  la  felicità  e  prosperità 
delle  nazioni. 

Ma  a  far  viemmeglio  conoscere  il  nostro  scrittore, 
<*he  ^  gloria  somma  non  delle  Marche  soltanto  sibbene 
d*  Italia  tutta,  gioverà  studiarne  la  vita,  e  considerarla 
M)tto  i  varii  aspetti  nei  quali  si  presenta,  cioè  di  cit- 
tadino, di  poeta,  di  filosofo  e  di  dotto. 

III. 

1  primi  anni  41  Olacomo  Leopardi  e  la  sna  famiglia* 

Se  compito  del  biografo  fosse  sol  quello  di  racco- 
gliere ed  ordinare  fatti  ed  avventure,  assai  facile  riu- 
scirebbe il  mio  ufficio ,  perchè  la  vita  del  Leopardi  fu 
breve  e  non  ebbe  a  trascorrere  in  mezzo  a  molte  e 
avariate  vicende,  come  affermava'  il  fratello  di  lui  Carlo, 
in  una  sua  lettera  a  Prospero  Viani,  dove  dice:  •*  L' in- 
dole del  povero  Giacomo  apparisce  chiaramente  nei  suoi 
scrìtti,  e  chiunque  1'  ha  conosciuto  sa  che  vi  si  è  rap 
pres^ntato  tutto  intero.  Casi  memorabili  non  gli  avven- 
nero nel  tempo  che  ha  passato  con  me;  essendo  sempre 
stata    la    sua    vita    ririratissima  ed   uniforme,  dedita  al 


254  DEIXA    VITA    R    DFXLE    OPKRK 

solo  Studio,  come  si  dimostra  da  ciò  che  ha  fatto.  ^  (l) 
Ma  il  biografo  non  può  e  non  deve  rimanevi  contento 
al  racconto  delle  avventure,  e  ad  indicare  le  opere 
uscite  dftir  ingegno  di  quegli  di  cui  tesse  la  vita  ;  bi- 
sogna che  vada  ancora  ad  indagare  la  ragione  delle 
cose  che  narra ,  che  mostri  V  importanza  delle  cose 
principali  che  dall'  autore  furon  dettate ,  e  che  cerchi 
la  ragion  psicologica  delle  azioni  della  sua  vita  e  dei 
suoi  pensieri,  e  questa  non  è  cosa  tanto  agevole  quanto 
alcuno  potrebbe  credere,  sia  perchè  richiede  uno  studio 
parziale  ed  accurato  degli  scritti  dell-  autore  di  cui  si 
parla,  sia  perchè  nella  manifestazione  delle  proprie  opi- 
nioni si  corre  rischio  di  dover  urtare  contro  opinioni 
da  altri  manifestate,  e  già  accettate  dei  piii  e  quindi  di- 
venute abbastanza  autorevoli.  Ma,  sebbene  io  veda  queste 
ed  altre  difficoltà  non  poche,  tanto  è  il  culto  e  Y  amore 
che  pro'fesso  al  grande  scrittore  marchigiano  che  non  posso 
rimanermi  dal  tentar  di  dire,  come  meglio  mi  conce- 
dono il  piccolo  ingegno  e  la  scarsa  dottrina,  della  vita 
e  delle  opere  di  lui,  avvertendo  però  che  non  sarò  certo 
timido  amico  del  vero,  e  che  1'  avviso  mio  non  tacerò 
ancor  quando  m' avesse  a  sembrare  in  alcun  modo  di- 
verso da  quello  d'  altrui ,  che  io  son  di  pensiero  che 
dalla  discussione  calma  le  serena  abbia  sempre  a  gua- 
dagnare la  santa  causa  della  verità. 

Ai  29  di  Giugno  1798  in  Recanati^  piccola  città 
della  Marca  d'  Ancona,  apriva  gli  occhi  alla  bella  luce 
del  sole  Giacomo  Tadelgardo  Leopardi  :  suo  padre  fu  il 
conte  Monaldo,  e  sua  madre  fu  Adelaide  dei  Marchesi 

(1)  V.  LinpARDi:  Epistolario  voi.  I.  pag.   H. 


DI   GIACOMO   LeOPARDI  Ì53 

Alitici.  La  Bua  faniiglia  è  antichissima,  come  apparisce 
dalla  genealogia  Leopardiana  pubblicata  dal  Prof.  Giusep- 
pe Piergili  (1),  giacchò  il  primo  di  tal  famiglia  .di  cui 
s'  abbia  ricordo  è  un  tal  Attone,  vissuto  innanzi  il  1200; 
parecchi  poi  furono  quelli  che  si  distinsero  per  alti  uf- 
fici ricojerti  nell'amministrazione  civile  e  nell'ecclesia- 
stica, di  essi  ricorderò,  a  ragione  di  esempio,  Vanni  che 
fii  dei  capi  di  parte  (luelfa,  il  quale,  come  i  Ghibellini 
s'  insignorirono  di  Recanati  fu  cacciato  della  città,  dove 
rientrò  ai  3  di  maggio  del  1322  coir  esercito  della  Chiesa 
che  disfece  la  città.  Nel  1338  fu  podestà  di  Monte  Fano 
e  nel  1341  ebbe  ugual  carica  in  San  Ginesio.  Ricorderò 
«la  ultimo  Pietro  <li  Vanni  il  quale  venne  acclamato 
Padre  (Ielle  Patria  perchè  nel  1377  per  opera  sua  fu 
^ventata  una  congiura  ordita  dai  Ghibellini  j)er  rovesciare 
il  governi)  Statutario  di  Recenati. 

Nella  casa  paterna  Giacomo  ricevette  la  prima  edu- 
«-azione,  e  nei  primi  studii  delle  umane  lettere  si  ebbe 
a  maestro  un  Giuseppe  Torres;  nelle  belle  lettere  e  nella 
filosofia  gli  fu  guida  Sebastiano  Sanchini,  come  affermano 
i  biografi,  fino  a  14  anni;  ambiduc ,  come  pur  troppo 
jiortAvano  ancora  i  tempi,  sacerdoti;  oltre  di  questi  non 
n*  ebbe  altri  maestri,  ed  il  molto  eh'  egli  apprese ,  così 
(ia  divenire  forse»  il  più  dotto  dei  suoi  tempi,  lo  dovette 
H  se  medesimo  soltanto.  Cosa  che  vera  non  parrebbe  se 
irrefragrabili  prove  non  ce  ne  facesser  sicuri,  e  se  non 
sapos*-imo  coro'  egli  escisse  della  comune  schiera  per  j)o^ 
totìzsk  meravigliosa  di  ingegno  e  per  sentimento,  così  da 

(H  Pifrgili:  Lt*U(*ri!  scrii It^  a  ixiacomo  L'opardi  (l:ii  «u»i  iiarciili  — •  Kiivnzn 
-yfrf^M>ri  Ir  Monior.  1878. 


iSl  DELLA    ViTA    K    DKLLE   OPERE 

poter  fer  senza  di  quei  sussidi  clic  agli  altri  uomini  son 
necessari  perchè  loro  sia  dato  di  giungere  all'  acquisto 
della  dottrina.  Avevalo  difatti  natura  dotato  di  una  mente 
sì  eletta  e  di  tanto  amore  agli  stridii,  che  col  solo  aiuto 
della  vastissima  biblioteca  dei  maggiori  suoi,  in  un  pic- 
colo luogo  dove  gli  mancava  ogni  altro  sussidio  per  la 
propria  coltura,  pot*>  imparare  di  per  sé  solo  il  francese 
r  inglese,  lo  spagnolo,  e,  questo  sembra  davvero  miracolo, 
il  greco  e  V  ebraico,  sì  che  i  biografi  atte  tano  aver  egli 
in  quest'  ultima  lingua  sostenuto  con  onore  delle  dispute 
con  dotti  ebrei  anconitani. 

Un  uso  lodevole  che  da  Monaldo  era  seguito  neU'  e- 
ducazione  dei  figliuoli  voglio  qui  ricordare,  e  questo  era 
che  ogni  anno  essi  dovessero  dare  pubblico  saggio  dei 
loro  studii  ,  e  nell'  Archivio  dei  Conti  Leopardi  si  con- 
servano i  programmi  di  tali  esperimenti,  che  ne  fanno 
conoscere  con  quanta  cura  si  attendeva  perchè  avessen» 
una  coltura  svariata  e  profonda  quale  a  nobili  giovinetti 
era  conveniente.  A  dare  un'  idea  di  questi  saggi  mi 
piace  riferire  il  programma  di  quello  che  ebbero  a  so- 
stenere Giacomo  o  Carlo  nel   1810. 

PRIDIE  KALKNDAS  JIMAS 

AXNO   MILLESIMO  OCTINGENFESIMO   DECIMO 

DILECTO  PARENTI 
JACOBUS   ET  CAROLUS    LEOPARDI 

n.  n.  n. 

<  Pliilosophia,  tjuao  idem  est  ao  amor  sapieutia<%  scimitia  wt,  cuivs 
utilità»  <»xprimi  verbis  satis  uuquam  iiou  |)Ot<"st,  Ipsa  si  vera  sit,  et  recta 
homiiies  cultos,  atque  ci  «s'erto»  facit,  renimque  naturalium  oauj«sas.  siw 
ratioues  delogrit.  et  sine  ?})sa  doctus,  et  eru(iitus  haud  aliquis  esse  potest. 
Verstitur  haec  scientia  praoclarissima  oìix'h  ea  dumtaxat ,  quAe  \)er  jkìUu^ 
uaturae  vires,  Divina  seclusa  revelatione,  cog^nosci  po^sunt.  Qw'Mìiadmodiim 


ni   GIACOMO    LF.OPARDI  Ì5o 

i>^  ci^tovnf*  priiuum  a  FIpo  exortae  sunt ,  ita  etiam  Fhilosophia.  Primo?» 
«if[ui(leni  Paivnt<»s  noftti'os  padoni  a  \)eo  exornatos  in  bf*atiìiRÌiuo  inuocentia^» 
(Ktatu  fui«f»o,  Xonfìf^  «*8t  Kccl^siasticu»,  srribens  qurxi:  I)i*iis  rrvatit  iflis 
\rimtifitn  sjiintìia ,  ."w^ixm  impicrit  nn'  iU(n*H>ti  ^  rt  ma'ti  et  ffoi.a  osté*iidif 
•7/i>.  (Eccl.  Cip.  17).  —  Noqu*»  Adam  sine  scieiitia  rea  agno^i'ei'o  i)otui»s<»t 
a«*(itt4>  biniti»  nomali  iin|X)net*e  valuii^set.  In  hoc  tanti  momenti  studio  ini- 
tiati.  i>^r  iluos  nif^n^es  iam  olapso»  oidem  vacavimuR,  et  totam  Ontologiam 
lienninimuR.  Kn  bic  materias  per  tbeses  ex{K)sita«:  vide,  expende,  mcMÌi- 
tare.  t»t  liti  e«  Pa'er  ungter  amanti^simu^.  etiam  index  nostri  profectna 
«  <»n9ultiftsiinuR  8ÌfK.  » 

<»N-n)Lo<;iAK  Epitoma 

1.'    Prìuripìa  ontologica  pn)]K)iiuntur.  atque  •♦»nuileantur. 

"i."  Ciiva  rontradii'tlonis  prinoipium  veritates  demonstrantur,  validiR- 
t|U»*  ar>rouientÌH  il(>f(>n<hmtui*. 

.'t.  '  Nihil  es^e  in  mundo  materìali  siue  i-atiom»  8uflici**nte  onuiino 
«l**r«*iàdimu.«. 

4."  Nonnulla  d«*  #v«s4'ntìa.  et  éxi^«tentia  entis  dicenda  pn){K>nimuK. 

iV*  Irieutita»  et  siiiiilitudo  f|ui<l  J»it  demon<<traniu.<« 

iì."  I^uid  ìnttdligendum  .«it  nub  noniiiiH  enti?»  HÌugulari^t  et  imiv»Tsnli« 
«lu'eillU<. 

7."  Piiniipiuni  intlividuatioui.s  (|uid  9it  flemon^ttratur. 
S.'    I)e  pifiptMmito  et  )»ei*9ona  agendum  a  nobis  ei'it. 
*.^'*  Df  nfcc#»«*J*ano  et  <*outingent<*  disserendunj  est. 

IO."  Nostrum  erit  ageiv  de  gen»»r«itibus  entis  aflW'tionibu».  ac  de  uni- 
*At«*  «|uaiititate  et  i|Ualitat<'. 

1  1.'    Ciix'u    onÌin«'m,    verità t**m    et    p»M'f»Mtioneni    vprba    fat>ieii(U  pn»- 
inittimus. 

l^."  Quid  sit  enR  com|N»situm.  et  cfuid  simplex  deelarainus. 

Vi"  Km>  (ini t uni  et  infìnttum  («xponimus. 

14.*  De  eaussis  ae<'urate  trattare  }>rr)ponimus. 

V*r/ir/ì>  finnisqtu*  argumejUis  htis  thes**s  fjc  (hitfpfn;itt  tlt'snntptajt  tft»^ 
/^ntÌ4*»ifitir  rxjM mièti  US 

!.*■  Prineipium  eognitiouis  «tatuimns  esse:  IitijnKsMhìft'  *'ttt  ùfrtti  sùtm/ 

:f.*'  Popaibiiitas  ivrum  absoluta  est  independcns  a  \'oluutate  Divina. 

'X'  E«s«'iitiae  r-'iTim.  et  attrìbuta  ^unt  absolute  necessaria  immula'- 
Uilia  et  a4*tema. 

4."  IVìnrìpium .  imiivifluationis  est  omni  mo<lo  determìuatio  <H)rum . 
•|Ui«*  enti  aetu  iu^unt 


Ì56  DELLA    VITA    E   ÙEì.Lt  OPCRK 

Qui  per  meglio  dare  un'  idea  dei  progressi  che 
Giacomo  veniva  facendo  negli  studii  piacerai  riferire  al- 
cuni versi  di  lui,  tuttora  inediti,  che  si  conservano  tra 
i  manoscritti  .Leopardiani  in  Recannti,  i  quali  se  non  pre- 
sentano una  grande  importanza,  pure  per  T epoca  in  cui 
furono  dettati  (forse  nell'anno  1807)  sono  un  buon  augu- 
rio dell'  avvenire.  Eccoli 

Al  Signor  Conte  Monaldo  Leopardi 

Mentre  tu  godi  le  delizie  amene 
Del  cAmpo  amico,  o  Geni  ter  diletto. 
Con  l'ozza  penna  a  te  vergare  io  voglio 
Un  Eliconio  canto;  onde  a  te  possa 
I^a  mia  stima  svelare  e  il  mio  rispetto. 
Nel  fonte  d' Ippocren  la  penna  intingo , 
D"  alloro  cingo  V  Apollinea  ceti'a , 
K  di  mirto  la  fronte;  indi  m"  assido. 
Ma  che  mai  dico  ?  Che  pretendo  ?  Io  dunque 
Udir  farò  della  mia  cetra  il  suono 
Al  dotto  Geuitor?   No  che  i  miei  canni 
Di  te  degni  non  son;  ma  tu  }X)trai, 
Amato  Padi^,  compatirli,  e  insieme. 
Gradirli  ancor,  se  ciò  sperar  m'  è  dato. 

A  questi  versi  Monaldo  rispondeva  con  altri  versi 
non  belli ,  che  furono  dal  Piergili  stampati  per  nozze 
illustri,  nei  quali  in  sostanza  dice  al  figlio:  Che  è  con- 
tento di  lui  perchò  lo  vede  amico  dello  studio,  lo  con- 
siglia a  non  cercar  gli  onori  del  mondo ,  a  ricordarsi 
che  dobbiamo  cercare  di  acquistar  il  paradiso.  Tornato 
il  padre  di  campagna  Giacomo  lo  salutò  con  altro  suo 
componimento  poetico ,  che  son  lieto  di  poter  dare  per 
primo  alla  luce. 


ni   GIACOMO   tROPARDI  Ì57 

GIACOMO  LEOPARDI 

AI.     SUO     AMATISRIMO    GENITORE 
(V>NTK  MONALIK)   LKOPAHDI 

Tornasti  alfin  a'  tuoi  paterni  Lari, 
0  geaitor,  da  noi  tanto  bramato. 
Tornasti  a  rendere  il  contento  amico 
Al  nostm  albergo,  ed  a'  tuoi  figli  insieme. 
!^089ÌHmo  alfine  sulP  amata  destra 
Imprimer  baci  di  contento  e  affetto. 
Al  sonante  fragor  del  pi-esto  cocchio 
L*  ansioso  cor  |)el  giu1)ilo  improvviso 
Ha  terminato  la  mestizia  e  il  duolo. 
E  per  gwler  «li  tua  bramata  vista 
Termino  anch'  io,  poiché  risti-etto  ì*  il  temilo 
In  cui  vergar  m'  «>  dato  il  bianco  foglio. 

Corto  questi  son  versi  gettati  giù  molto  alla  buona, 
e  nulla  possono  aggiungere  alla  fama  di  Giacomo,  però 
se  8Ì  consideri  che  egli  nel  1807  non  aveva  che  nove 
anni  recherà  meraviglia  che  di  tanto  già  fosse  capace 
un  fanciullo,  mentre  i  suoi  coetanei  a  mala  pena  sanno 
mettere  insieme  pochi  perio<li  di  prosa  senza  errori. 

E  quanto  più  Gi.icomo  intendeva  con  tutte  le  forze 
agli  studii,  binto  maggiore  in  lui  diveniva  V  amore  per 
e»si  e  per  tutto  quanto  nell'  arte  e  nella  natura  avesse 
V  immortale  splendore  della  bellezza;  e  per  poter  soddi- 
sfare il  desiderio  ardentissimo  d' imparar  nuove  co  e,  di 
conoscere  il  mondo  nella  sua  realtà  più  che  dai  libri , 
che  del  reale  son  sempre  pallida  immagine,  avrebbe  vo- 
luto uscir  di  Recanati  e  andare  in  qualche  grande  centro 
dove  le  sue  brame  potessero  essere  meglio  soddisfatte, 
in  mezzo  a  gente  che  gli  pai'ova  dovesse  avere  le  idee 

Àrchu    Stor    Marcii    W  I,  17 


258  DELLA  VITA  E  DELLE  OPERE 

meno  grette  e  piccine  dei  suoi  concittadini  e  dello  stesso 
suo  padre.  H  quale  era  di  principii  ansterissimo  ed  ari- 
stocràtico; nemico  delle  nuove  idee  liberali  che  si  face- 
vano strada  tra  il  popolo;  ossequiosissimo  al  trono  ed 
all'altare,  insomma,  coni' ebbe  a  dire  il  gesuita  Roothan, 
un  Cristianone,  cui  piaceva  menar  vanto  delle  proprie 
idee,  e  farsene  apostolo  perche  pensava  che  solo  dal  loro 
trionfo  il  mondo  avesse  ad  aspettare  salvezza.  Ma  del 
resto  era  un  buon  uomo  e  nella  stessa  severità  di  modi 
con  i  quali  trattava  la  sua  famiglia  sapeva  mostrare  che 
i  figli  gli  erano  carissimi;  amava  Giacomo,  e  vedeva  che 
col  proprio  ingegno  e  gli  studii  accresceva  la  gloria  della 
casa,  né  verso  di  lui  si  mostrò  così  tiranno,come  alcuni 
biografi  hanno  creduto  di  poter  dedurre  da  qualche  frase 
delle  lettere  del  figlio.  E  questo  arguisco  da  quanto 
Monaldo  scrisse  a  Giacomo  quando  a  questi  riuscì  di 
andarsene  da  Recanati,  alla  quale  partenza  se  egli  aveva 
cercato  di  opporsi ,  deve  credersi  che  fosse,  sia  perche 
pensasse  che  il  figlio  sarebbe  dovuto  vivere  tra  molti 
disagi,  sia  perchè  credeva  che  un  giovane  in  mezzo  al 
mondo  potea  corrompersi  ed  acquistare  e  farsi  seguace 
delle  false  idee  del  secolo  ;  sia  perchè  avrebbe  voluto, 
per  eccesso  di  amor  paterno ,  che  i  figliuoli  gli  fossero 
sempre  vicini.  Infatti  ecco  quello  che  Monaldo  in  una 
sua  a  Giacomo  del  2)  novembre  1722  gli  dice:  *"  . . .  Se 
il  mio  cuore  non  applaude  a  questo  allontanamento,  la 
mia  ragione  non  lo  condanna;  ed  io  godo  che  voi  go- 
diate un  onesto  sollievo Abbiatevi  cura,  e  guarda- 
tevi, come  vi  dissi,  da  ogni  sorta  di  pericoli.  Figlio  mio, 
voi  siete  per  la  prima  volta  solo  in  mezzo  al  mondo;  e 


01   GiACOMO   LKOPAHDI  259 

(|uosto  mondo  ò  più  burrascoso  e  cattivo  che  non  pen- 
.siate.  CjII  scogli  che  appariscono  sono  meno  pericolosi; 
ma  non  e  facile  il  preservarsi  dai  nascosti  (1).  „  Altra 
accusa  che  a  ^lonaldo  si  fa  ò  di  non  avere  fornito  a 
Giacomo  i  mezzi  necessari  per  mantenersi  fuori  di  casa; 
non  80  se  V  accusa  si  abbia  a  ritener  giusta  ,  il  figlio 
r  un  fatto  che  nelle  suo  lettere  ai  fratelli  ed  agli  amici 
si  lamenta  spesso  della  strettezza  in  cui  è  condannato  a 
vivere ,  ma  è  un  fatto  ancora  che  da  alcune  lettere  di 
Monaldo  si  rileva  avergli  questi  inviato  a  quando  a 
quando  dei  denari,  ed  in  una  del  16  ottobre  182(i  gli 
scrive:  **  S(mo  oramai  quindici  mesi  che  state  fuori  di 
casa,  e  avete  viaggiato,  e  vi  siete  mantenuto  senza  il 
coi.corso  mio.  Dovete  conoscere  il  mio  cuore ,  e  potete 
ctedume  quanto  dolore  mi  abbia  arrecato  il  non  provve- 
drn»  alli  vostri  bisogni,  o  anche  alli  vostri  piaceri;  e  se 
pure  voi  non  avevate  bisogno  del  mio  concorso  io  avevo 
bisogno  e  desitlerio  ardentissimo  di  dimostrarvi  frequen- 
temente* il  mio  ardentissimo  affetto.  I  tempi  però  vera- 
mente funesti,  ma  più  di  tutti  mamma  vostra  che,  come 
saiieU»,  mi  tiene  non  solamente  in  dieta,  ma  in  un  per- 
fetto digiuno^  mi  hanno  costretto  ad  un  contegno,  ripro- 
vato prima  di  tutto  dal  mìo  cuore,  v  poi  dalla  equità 
o  quasi  dalla  convenienza.  Nulla  di  meno  son  vivo  e, 
quantun(|ue  alla  lontana  come  di  cosa  ormai  }irescrittii, 
pure  ho  memoria  che  scmo  il  padrone  di  casa  mia.  Voi 
state  sul  tornare.  So  nulla  vi  occorre,  tanto  n^eglio;  ma 
se  vi  bisogna  denaro  per  il  viaggio,  e  pc*r  j)agare  qual- 
che debituccio,  o  comunque,  ditelo  all'  orecchio  al  padn» 

M)  l'itii«it.i  :  Loltvre  tciillf  a  G.  L«?iiparUi  (l«i  tuoi  parenti  ~~  Và$,  51. 


260  DELLA   VITA    E  DELLE   OPERE 

e  amico  vostro.  Se  niente  volete,  scrivetemi  come  se  io 
non  vi  avessi  scritto  di  ciò,  perchè  le  vostre  lettere  si 
leggono  in  famiglia,  se  poi  volete,  ditemi  liberamente 
quanto,  e  dirigete  la  lettera  al  signor  Giorgio  Felini, 
Recanati.  Mi  avete  inteso.  (1).  ^  —  Da  queste  parole 
apparirebbe  piuttosto  la  debolezza  di  Monaldo,  che  si 
lasciava  guidare  dalla  moglie  e  non  era  padrone  di 
disporre  dei  suoi  denari  senza  1*  approvazione  dì  lei, 
come  ancora  vi  si  capisce  che  quella  che  il  povero  Gia- 
como teneva  corto  a  quattrini  era  proprio  la  madre,  la 
quale  anche  non  fa  mostra  di  molto  affetto  verso  del 
figlio^  cosa  piuttosto  strana,  ma  non  impossibile,  in  una 
madre,  che  sappiamo  come  le  madri  sogliano  con  le 
dolci  parole  che  lor  detta  V  amore  rendere  meno  amara 
la  vita  ai  proprii  figliuoli  :  e  se  della  marchesa  Adelaide 
Antici  io  m*  induco  a  pronunziare  un  non  troppo  favo- 
revole giudizio,  è  perchè  vedo  dalla  raccolta  di  lettere 
curata  dal  bravo  Piergili,  e  da  me  più  volte  citata, 
quanto  raramente  ella  scrivesse  al  figliuolo,  e  quando 
gli  scriveva  le  sue  lettere  erano  piuttosto  freddo,  mentre 
le  molte  di  Monaldo,  astrazion  fatta  dai  suoi  prìncipiì 
religiosi  e  politici,  sono  tutte  calde  di  affetto  sincero. 

Ho  creduto  debito  di  biografo  coscienzioso  spendere 
poche  parole  per  lavare  il  nome  di  Monaldo  Leopardi 
da  un'  accusa  ingiusta  e  troppo  grave  per  un  padre , 
cioè  di  non  aver  cuore.  E  il  Piergili  stesso  si  è  prima 
di  me  accinto  a  dimostrare  come  il  padre  dei  Leopardi 
non  fosse  quel  tiranno  che  fu  dai  più  con  tetri  colori 
dipinto;   ecco  le  sue  autorevoli  parole:    **  Ma,   benché 

(1)  PiBRciu:  loc.  cif.  pag.  iOS,  203. 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  261 

nemico  di  ogni  progresso,  e  campione  al-dentissimo  del 
trono  e  doli'  altare,  non  era  tanto  fanatico  partigiano  da 
far  tacere  la  voce  della  natura.  Che  anzi  il  suo  cuon* 
veramente  paterno  verso  i  figli  non  si  mutava  neppure 
quando  talora  essi  gli  chiudevano  il  loro;  amò  sempre 
Giacomo  e  lo  reputò  la  gloria  della  famiglia.  È  ben  vero 
che  in  una  lettera  che  questi  volea  mandargli,  quando 
uscito  dall'  età  minore  s'  era  proposto  di  fuggire  di  casa, 
si  leggono  tali  sentimenti  da  mostrare  fallace  la  mia 
opinione.  L  piaciuto  al  Cielo  per  nostro  castigo,  die' egli 
al  genitore,  che  i  soli  giovani  di  qmsta  città  che  aves- 
sero pensiero  alquanto  piti  che  Recanatese,  toccassero  a 
Lei  per  esercizio  di  pazienza;  e  che  il  solo  padre,  che 
riguardasse  questi  figli  come  una  disgrazia,  toccasse  a 
twi.  —  Queste  parole  sono  veramente  gravi,  e  torne- 
rebbero a  disdoro  e  di  Giacomo  e  di  Monaldo  insieme^ 
benché  la  lettera  non  fosse  poi  stata  mandata,  se  la 
stessa  non  contenesse  una  preziosa  confessione,  cioè  che 
colui  il  quale  seri  ve  vaia,  menava  una  vita  miserabilis- 
sima per  le  orribili  melanconie,  che  gli  procurava  la  sua 
strana  immaginazione  (1).  ^ 

Con  i  fratelli  Giacomo  fu  in  buoni  rapporti,  ma  più 
specialmente  con  Carlo  e  Paolina,  i  quali,  nelle  lettere 
che  gli  scrissero,  mostrano  con  lui  una  certa  uniformità 
di  sentire;  come  lui  non  vedevano  in  Recanati  nulla  di 
degno  per  elevatezza  di  sentimento  e  di  mente,  come 
lui  non  potevano  tollerare  il  soverchio  rigorismo  d*»lla 
casa  paternn.  Le  lettere  che  tra  di  loro  si  scambiano 
sono  piene  di  cuore,  piene  di  amichevole  confidenza,  né 

(I)  PitAoiLi:  toc.  cil.  pag.  Il,  MI. 


^Gi  DELLA    VITA    K    DKLLE   OPERE 

vi   manca    quella    tinta    di    melanconia   che   si   trova   in 
tutte  le  scritture  di   Giacomo.    Carlo  per  esempio  scri- 
veva il  31    dicembre   1825:    "   Ecco  un   anno,   in   cui 
non  ci  ve  Iremo  più;  ma  quello  che  è  di  una  verità  più 
dispiacevole,  è  che  ora  in   punto,  da  che  non  ci  vediamo, 
compie  la  misura  del  più  lungo  che  io  al  bia  mai  pas- 
sato lontano  da  te.  Questo  è  il  maximum  delle  tiie  as- 
senze   da   Recanati.  Tutto   quello   che   sta   per   scorrere, 
sarà  di  più;  puoi  credere  da  quanto  in  qua  sia  di  troppo. 
Io   certo  non   posso   far  un   passo   per   rivederti;   e  che 
cosa  mai  posso  io  fare  ?  Io  sono  animale  affatto  passivo, 
corpo  inerte;   credimi  che  la   tartaruga   ha  più   ]>rogetti 
e  fiù  mobilità  di  me.  Niente  mi  si  può  applicar  meglio 
di    quel   che    dicea    Gentiloni  :    —  Non    cado    a    faccia 
avanti  perchè  non  son  debole.  —  E  vero  eie  mi  sem- 
bra di  essere  uno  di  quegli  uomini  assorti  in  un  sogno 
penoso;    si  trovano   inchiodati   in   una    positura,  da  cui 
non  possono    liberarsi   che  collo    svegliarsi,   a  cui  sono 
vicinissimi;  un  piccolo  movimento  basta  a  loro;  e  a  me 
pure   basterebbe,  ma    niente    mi    soccorre,   ed    io  posso 
perire,  come  un  asfissiaco,  per  mancanza  di  una  mano 
che  raccolga  in   lui  la   vita  che   ancora   conserva.  Vol- 
garmente; è  vero  quanto  la  mia  parola  che  io  vado  ogni 
giorno  perdendo  attività,  allegria,  passioni  di  ogni  genere, 
e  quel  pochissimo  che  io  valeva,  si  diminuisce  continua- 
mente. Ciò  è  r  effetto  naturale  del  trovarsi  senza  occu- 
pazione, senza  speranze,  senza  godimenti  di  sorte  alcuna. 
La  mia  vita.  Buccio  mio,  h  divenuta  tutta   simile  alla 
tua,  quando  tutto  il  giorno  passeggiavi  all'  oscuro  in  una 
camera,  perchè  non  potevi  applicare.  La  sera,  invece  di 


DI   GIACOMO   LEOPABDl  26>t 

conversazione,  girerò  delle  ore  per  le  mura,,  diverten- 
domi a  tirar  sassi.  A  riflettervi,  mi  sembra  che  qualche 
circostanza  casuale  abbia  prodotto  un  vuoto  nelle  mie 
ore  ;  ma  il  vuoto  {^  perpetuo  ;  tutti  i  miei  giorni  son 
vacanze;  ed  io  son  di  più  nel  mondo.  Tutto  si  va  a 
jierdere,  ma,  lo  dico  e  lo  giuro,  la  perdita  che  più 
d'  ogni  altra  mi  fa  inconsolabile,  è  quella  del  talento; 
int  ndo  della  suscettibilità  d' ispirazione,  perchò  qui  sta 
la  vita  (  1  ).  „  Come  il  lettore  vede  da  questa  lunga  ci- 
tazione, e  potrebbe  vedere  da  molte  altre  che  sarei  al 
caso  di  moltiplicare,  V  intonazione,  lo  stile,  i  pensieri 
assomigliano  molto  a  quelli  che  si  riscontrano  nelle  let- 
ifere di  Giacomo.  Ed  il  medesimo  accade  in  parecchie 
di  quelle  di  Paolina,  la  quale  infatti  il  13  gennaio  1823 
scriveva  a  suo  fratello:  **  Ecco  cominciato  questo  nuovo 
anno,  che  io  vi  desidero  pieno  di  felicità,  e  lo  sarà 
senza  dubbio,  avendolo  cominciato  sotto  favorevoli  au- 
spici. Per  me  non  ho  altro  desiderio  a  formare,  che 
di  non  vt»derne  il  fine,  ed  ^  questo  desiderio  concepito 
con  il  più  intimo  sentimento  del  cuore,  e  voi  lo  crede- 
rete bene,  conoscendo  me  e  quelli  che  mi  governano. 
Dei  quali  io  sono  così  annoiata,  e  di  questo  modo  di 
vita,  che  non  ne  posso  più;  ed  il  peggio  è  il  non  avere 
alcuna  speranza,  neppur  lontana,  di  miglioramento;  no, 
non  vedere  per  fine  a  questo  stato  altro  che  la  morte. 
Ebbene,  venga  pure  questa  morte,  e  venga  anzi  pre- 
stissimo, chi"  s^'uipn»  sarà  tn^ppo  tanla  ai  miei  voti;  e 
AC  mi  si  assicurasse  di  morire  domani,  forse  dalla  con- 
Holazione  non  ci  arriderei.  Voi  dite  che  Y  allegria  e  la 

ri)  PiRMcui:  lor.  cii.  psg.  tiC,  U7  t*  U8. 


264  DELLA    VITA    R   DKLLE   OPERR 

malinconia  sono  frutti  d'  ogni  paese;  per  la  malinconia 
crederò  che  possa  essere  frutto  di  Roma,  ma  Y  allejfria 
di  Recanati  credo  che  sbagliate.  E  poi  il  paese  dove 
abito  io,  è  casa  Leopardi;  e  voi  sajete  meglio  di  me, 
c^me  vi  si  vive.  Insomma  io  sono  disperata,  ed  alla 
fine,  essendo  certa  di  dover  vivere  semj>re  miseramente, 
termino  sicuramente  col  farmi  monaca.  E  potessi  farlo 
adesso  in  questo  momento,  in  cui  piango  e  mi  dispero  ! 
Voi  mi  domanderete  forse,  cosa  mi  è  avvenuto  di  nuovo. 
Niente,  Giacomuccio  mio,  ma  ogni  giorno  che  j^assa,  ac- 
cresce la  mia  infelicità  (1).  r 

Una  donna  di  mente  eletta,  di  cuore  sensibilissima, 
Adelaide,  sorella  di  Monaldo  Leopardi  e  moglie  al  Cav. 
Pietro  Melchiorri,  che  passò  la  sua  vita  assai  malinco- 
nicamente, amò  Giacomo  di  vivissimo  affetto;  fu  la  prima 
a  capire  qual  tesoro  d' ingegno  fosse  in  lui,  ne  comprese 
i  sentimenti  e  i  dolori  che  cercò  con  ogni  studio  di  con- 
tribuire a  lenirgli ,  e  fu  per  opera  di  lei  se  il  nipote 
ottenne  finalmente  di  poter  uscire  di  Recanati;  ed  a  lei, 
che  cercò  colla  serenità  e  la  dolcezza  dell'  amore  di 
squarciare  quel  denso  nuvolo  di  affanni  che  opprimeva 
la  vita  dell'  illustre  poeta,  è  giusto  che  si  rivolga  un 
pensiero  di  gratitudine  e  di  riconoscenza.  E  quanto  e 
quale  fosse  V  affetto  di  Ferdinanda  per  Giacomo  può  ar- 
guirsi facilmente  dalle  lettere  che  ella  gli  dirigeva,  in 
una  delle  quali  gli  dice:  ^  Yi  assicuro  chef  nel  tempo 
che  ho  goduto  la  vostra  compagnia,  avete  interessato  il 
mio  cuore  totalmente,  e  vorrei  potervi  esser  utile  a  qua- 
lunque mio  costo  (2).  „  Ed  in  un'  altra:  *•  Voi  non  avete 

(1)  PiEaciLi:  loc.  cil.  pag.  7S,  73. 

(2)  PiFRCiu:  toc.  cil.  pag.  \, 


DI   GIACOMO   LI^OPARDI  265 

sbagliato  affatto,  allorché  avete  congetturato,  che  il  mio 
allegro  aspetto  non  sempre  si  accordasse  coir  allegrzza 
deir  animo.  Eccovi  il  mio  cuore  svelato;  io  vivo  quasi 
sempre  sola,  e  non  già  sola  di  persona,  perchè  o  in  fa- 
miglia 0  per  incidenza  necessitata  di  trattare,  ma  sola, 
perchè  quasi  mai  m'  incontro  con  persone  che  possano 
compiacere  il  mio  animo;  e  se  qualche  volta  nel  corso 
della  mia  vita  mi  sono  incontrata  di  trovarne  qualcuna, 
caro  nepote,  ho  dovuto  porvi  un  argine,  perchè  il  cuor 
nostro  è  troppo  debole  per  potersi  contenere,  e  non  ren- 
dere veleno  quello  che  sarebbe  in  sua  natura  stato  un 
antidoto  (1).  „  E  più  sotto  gli  soggiunge  queste  parole 
dì  conforto  :  **  La  malinconia  è  ancora  effetto  di  un  al- 
terato fisico,  e  per  questo  rimediateci  con  procurarvi  qual- 
che sollievo ,  ancorché  a  principio  troviate  nel  sollievo 
medesimo  della  noia.  A  poco  a  poco  ci  assuefacciamo  a 
scordarci  dei  nostri  mali  col  trascurarli,  o  con  il  lasciare 
di  coltivarne  continuamente  V  immagine;  è  la  ragione 
poi  quella  che  deve  a  ciò  persuaderci,  e  di  essa  ci  dob- 
biamo prevalere  per  felicitarci,  non  per  il  contrario.  Sono 
però  persuasa  che  voi  medesimo  convenite  meco ,  non 
doverci  per  sistema  rendere  infelici ,  ma  sopportar  con 
coraggio  i  mali  della  vita,  sperandone  sempre  il  fine  (2).  „ 
Però,  siccome  la  natura  eragli  stala  larga  dei  suoi 
più  preziosi  doni  morali ,  così  eragli  stata  avara  delle 
doti  fisiche,  ed  il  povero  Giacomo  fu  costretto  a  lottare 
coi  dolori,  che  bene  e  spesso  gli  impedirono  di  attendere 
mi  prediletti   suoi    studii.  E  questo   era  a  lui   tormento 

I;  P>c»ciLi .  toc.  ci(*  pag.  5. 
,i)  PitRciLi .  loc.  cM.  pag.  i. 


266  DELLA  VITA  E  DELLE  OPEBE 

cavissimo ,  che  gli  amareggiava  anco  di  più  la  già 
miseni  esistenza,  a  tale  da  farlo  uscire  in  queste  scon- 
fortanti parole,  le  quali,  meglio  di  quello  che  potessi  far 
io ,  rendono  V  immagine  vivissima  dei  sentimenti  del- 
l' animo  del  Leopardi  :  **  Sperai  che  i  cari  studii  avreln 
bero  sostentata  la  mia  vecchiezza,  e  credetti  colla  perdita 
di  tutti  gli  altri  piaceri ,  di  tutti  gli  altri  beni  della 
fanciullezza  e  della  gioventù  avere  acquistato  un  bene, 
che  da  nessuna  forza,  da  nessuna  sventura  mi  fosse  tolto. 
Ma  io  non  aveva  appena  vent'  anni  quando  da  quel- 
r  infermità  di  nervi  e  di  viscere,  che,  privandomi  della 
mia  vita,  non  mi  dà  speranza  della  morte,  quel  mio  solo 
bene  mi  fu  ridotto  a  meno  che  a  mezzo,  poi,  duf^  anni 
prima  dei  trenta,  mi  è  stato  tolto  del  tutto  e  credo  or- 
mai per  sempre.  Ben  sapete  che  queste  medesime  carte 
io  non  ho  potuto  leggere  e  per  emendarle  mi  è  conve- 
nuto  servirmi  degli  occhi  e  della  mano  di  altri.  Non 
mi  so  più  dolere,  miei  cari  amici,  e  la  coscienza  che  ho 
della  grandezza  della  mia  infelicità  non  comporta  V  uso 
delle  querimonie  (1).  „ 

lY. 

Le  prime  prove  dell'  ingegno  e  degli  stadii 
di  Giacomo  Leopardi. 

La  cura  e  l'amore  con  cui  Giacomo  s'era  dato  agli 
studii,  le  rare  qualità  del  suo  ingegno  lo  posero  ben 
presto  in  ^rado  di  scrivere  cose  tali  di  cui  uomini  di 
matura  età  si  sareblero  tenuti  onorati.  Per  non  parlare 
di  altre  cose  di  minor    momento  ;   ricorderò  che  in  età 

(I)  Leopìhdi.  Agii  amici  suoi  di  Tuscjiiìi, 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  267 

di  13  0  14  anni  componeva  la  prima  poosia  La  Dimetì^ 
ticama,  poesia  lirica  di  stile  faceto,  la  quale  si  pnò  dire 
un  buon  augurio  per  V  avvenire ,  quantunque  non  in 
tutto  perfetta  come  furono  le  -cose  posteriori^  vi  è  faci- 
litA  di  verso  e  purf^atezza  di  lingua,  e  non  ^  poca  cosa. 

Di  fervida  fantasia,  di  cuore  ardentissimo,  egli  era 
poeta.  Le  Ielle*  ze  della  natura  su  di  lui  esercitavano  un 
fascino  potente;  le  sventure  della  patria  lo  commovevano 
ad  ira  sdegnosa  e  generosa,  e  gli  facevano  scrivere  dei 
versi  così  belli  che  ti  parlano  al  cuore  e  ti  commuovono, 
perche^  V  eleganza  della  forma  non  è  usata. a  ricoprire, 
come  suole  accader^  nei  poeti  arcadici ,  la  vacuità  dei 
concetti.  In  quella  etA  in  cui  «Uri  uomini  non  hanno 
ancor  dato  un  saggio  dei  loro  «tudii  che  meriti  d'essere 
mandato  ai  posteri,  Oiacomo  avea  già  dettato  quella  bella 
canzone  all'  Italia,  la  quale  più  che  opera  di  giovanetto 
aembra  uscita  dalla  j:enna  d'  uomo  che  sìa  innanzi  nella 
via  delle  lettere,  e  già  fin  d*  allora  e  Pietro  Giordani, 
e  il  Cancellieri ,  e  lo  svedese  dotto  filologo  Akerblad 
predicevano  che  il  Leopardi  sarebbe  stata  una  delle  più 
vere  e  splendide  glorie  del  secol  nostro.  E  non  avevano 
torto,  perche  se  noi  imprendiamo  ad  esaminare  la  can- 
zone air  Italia  in  ogni  singola  parte  vediamo  che  ella 
può  stare  a  paragone  con  quella  altresì  bellissima  del 
Petrarca,  che  ^  pure  all'  Italia  intitolata. 

H  leopardi  con  questo  suo  lavoro  poetico  per  primo 
dato  alla  luce ,  dimostrava  di  aver  già  compreso  quale 
sia  la  mi  sione  del  pr.eta  civile,  ciot"^  scuotere  gli  inerti 
ed  animarli  alle  opere  generoso  e  virtuose,  far  tremare 
i  tiranni  che    conculcano  le  pubbliche    lil)ertA.   Per  me 


268  DELLA   VITA    K   DKLLe    OPRRR 

questa  canzone  è  un  segno  dei  tempi  nuovi,  in  cui 
r  Italia  cercava  scuoter  da  se  il  peso  delle  tirannidi  e 
nostrane  e  straniere,  opera  alla  quale  si  adoperarono  tutti 
i  più  nobili  ingegni  di  questi  tempi,  tra  cui  è  il  nostro 
Giacomo,  e  quelle  anime  altere  e  sdegnose  di  Ugo  Foscolo 
e  Vittorio  Alfieri.  Ecco  come  Francesco  De  Sanctis,  con 
queir  acume  critico  che  tanto  lo  distingue ,  parla  del 
concetto  di  questo  giovanile  lavoro  delF  illustre  R**- 
canatese  : 

"■  D  concetto  della  canzone  all'Italia  è  il  solito  luogo 
comune  :  già  fu  grande,  or  fwn  è  quella.  Un  luogo  co- 
mune qui  espresso  con  molta  vivacità  da  un  giovane  che 
aveva  nella  sua  immaginazione  V  Italia  di  Cicerone  e 
di  Livio.  Egli  entra  subito  in  argomento,  con  un  con- 
trasto commovente  tra  ciò  che  sopravvive  e  ciò  che  è 
morto  di  quella  grande  Italia: 

Vedo  le  mura  e  gli  archi 
E  le  colonne  e  i  simulacri  e  V  ermo 
Torri  degli  avi  nostri, 
Ma  la  gloiòa  non  vedo, 
Non  vedo  il  lauro  e  il  ferro  ond*  eran  carchi 
I  nostri  padri  antichi. 

^  Alzato  il  tuono,  seguita  a  suon  di  tromba,  accumu- 
lando interrogazioni,  esclamazioni,  ripetizioni,  tutto  quel 
ben  di  Dio ,  che  si  chiama  rettorica.  Non  è  una  seria 
elaborazione  sua  del  contenuto,  il  quale  rimane  una  ge- 
neralità; animato  da  un  sentimento  sincero  ma  vago, 
venuto  più  da  un  calore  giovanile  e  letterario,  che  da 
una  coscenza  politica  com'  è  in  B?rcheL  Non  è  dunque 
memviglia  che  la  forma  sia  tradizionale  e  letteraria,  con 


DI  GIACOMO   LEOPARDI  ÌUO 

la  solita  Htatua  allegorica  dell'  Italia^  e  le  solite  dissimu- 
lazioni e  sorprese  e  scene  convinizionRli ,  come  ò  nelle 
canzoni  di  questo  genere  (1).  ^ 

L'  osservazione  del  De  Sanctis  è  giusta  senza  alcun 
fallo,  ma  io  penso  che  il  sentimento  patriottico  nel  Leo- 
pardi non  potesse  cominciare  a  manifestarsi  altrimenti. 
Nato  e  cresciuto  in  una  piccola  città,  in  mezzo  ad  una 
famiglia  che,  come  vedemmo,  nutriva  sentimenti  tutt'  al- 
tro che  nazionali,  non  vissuto  in  mezzo  al  turbinio  ed 
alle  lotte  delle  passioni  politiche  moderne,  il  sentimento 
{wtriottico,  che  naturalmente  gli  scaldava  il  cuore,  non 
poteva  altro  che  rivestire  le  forme  classiche.  Il  giovane 
aveva  conosciuto  la  gloria  d'  Italia  negli  autori  latini, 
V  non  poteva  concepire  un'  Italia  moderna  gloriosa  al 
pari  dell'  antica  se  non  rifacendola  sul  medesimo  stampo; 
TOa  il  sentimento  e'  ò,  e  collo  studio  e  coli'  esperienza 
si  emanciperà  dai  pregiudizi  scolastici,  si  atFermerà  più 
profondamente,  sarà  più  pratico.  Tuttavia  il  giovane 
errittore  non  ft  puramente  scolastico  e  rettorico,  come  i 
suoi  critici  lo  vogliono,  egli  conosce  lo  stato  misero  in 
cui  è  r  Italia,  ve<le 

rh»»  tli  rateiH*  ha  taiihi»  ainlx»  1»»  ìiracria: 
SI  rh'*  P|»arte  h»  eh  ionio  v  sr»n/a  vi'lo 
Sì«hI»»  in  toiTa  n<»gl<»tta  f»  fcoiinolata . 
Nu'tt'oniliMì'lc}  la  farcia 
Tra  l«*  gincKohia.  o  |>iaufr»>. 

o  «I*  ne  commuove  penhò  fu  douna  ed  ora  b.  fatta  povera 
f$neella,  e  qui,  con  uno  slancio  lirico  efficacissimo,  chiesto 

Di  SàxcTit;  Giacomo  U'opardi.  Xll  —  nel  Ktoroalc  //  Diritto^ 


270  DELLA    VITA    K   DI^LLIi:    OPKRIC 

come  mai  sia  ridotta  a  sì  misero  stato  e  ninno  \ensì 
a  sollevarla  da  tanto  obbrobrio,  grida: 

L*  armi,  qua  rarmi:  io  .«olo 

Combatton).  pmcoinlieiy»  sol  io. 
Dammi,  o  liel.  che  già  foco 
Agi'  italici  |K»tti  il  sangue  mio. 

E  qui,  dopo  di  aver  lamentato  che 

Pugmin  |)er  alti-a  terra  itali  iuviari , 

mentre  dovrebbero  combattere  per  la  libertà  e  indipen- 
denza d'  Italia,  esclama: 

Oh  venturose  e  cai'e  e  l)ene< lette 

L'  antiche  età  che  a  morte 

per  la  patria  con*ean  le  genti  a  squadre, 

e  con  bel  passaggio  lirico ,  che  il  De  Sanctis  giusta- 
mente chiama  felice,  viene  a  celebrare  la  virtù  dei 
trecento  alle  Termopili 

ove  morendo 

Si  iiiot trasse  da  morte  il  santo  stuolo, 

e  fa  dire  a  Simonide: 

Prima  divette  in  mar  pt^ecipitando 
Silente  nelP  imo  gtridei'an  le  stelle 
Che  la  memoria  e  il  vostro 
Amor  trascorm  o  scemi. 

E  per  tal  modo  il  poeta  Recanatese,  ricordando,  ispi- 
rato da  sacro  entusiasmo,  la  morte  eroica  di  Leonida  e 
dei  suoi  trecento  compagni ,  ha  la  generosa  idea  di 
risvegliare    dal  loro  sopore    gì'  Italiani ,  e  spingerli    ad 


DI   GIACOMO    LKOPARDl  Ì7 1 

<>|>erare  ])or  il  ben  della  patria.  Il  che  se  fece  il  Po- 
trarcn  ai  suoi  tempi  colla  canzone  Al  potentati  italiani^ 
in  modo  più  efficace  e  jiù  mirabile  mi  sembra  che  abbia 
il  Leopardi  nel  secol  nostro  saputo  fare.  Fra  le  due 
canzoni  non  v'ò  dubbio,  nono  molti  punti  di  contatto, 
anzi  in  molti  luoghi  si  sente  che  il  nostro  poeta  aveva 
studiato  quella  del  padre  della  lirica  italiana ,  ma  nei 
versi  di  Leopardi  mi  par  di  scorgere  meglio  un  forte 
sentimento  dell'  animo,  che  nel  Petrarca  è  affogato  in 
un  mare  di  erudizione  storica. 

La  poesia  di  cui  è  discorso  non  potrebbe  essere 
scrìtta  con  forma  più  eletti ,  che  ci  fa  rivivere  ni  più 
bei  tempi  della  nostra  lettemtura,  non  potrebbe  trattare 
jùù  nobil  soggetto,  (contenere  concetti  più  sublimi.  E  si» 
tanto  sapea  produrne  un  giovanetto  di  venti  anni,  quanto 
«li  meglio  non  avrebbe  saputo  fare  V  uomo  quando  V  e- 
sfierienza  dol  mondo,  i  maggiori  studi i  lo  perfezionassero? 
od  in  fatti  fu  cosi,  —  (Mie  «f»tu  nella  canzone  all'  Italia 
vedi  il  jM>et*i  non  volgare,  vedi  dei  lamjù  di  luce  d'  una 
fervida  fantasia ,  pure  vi  sc^orgi  il  giovane  cho  fresco 
degli  studi i  fatti,  come  una  volta  si  faceano,  piuttosto 
pedantescamente ,  a  quando  a  (juando  ti  fa  sentir  la 
rettorica.  Ed  ancora  V  illustre  De  àSanctis  nel  suo  scrit- 
t*>,  in  cui  esamina  questa  canzone  <lel  jH)eta  di  Reca- 
imti,  riconosce  che  rifulge  di  meriti  singolari ,  ma  vi 
«ente  un  po',  come  già  feci  notare ,  la  rettorica  e  la 
scuola,  E  Luigi  Settembrini  nelle  sue  dotte  Ijczioni  di 
letteratura  italiatm,  accennando  al  giudizio  del  De  San* 
ctis,  dice  ragionevolniont'^ :  "^  La  scuola  si,  o  amico  mio, 
ma  in  contrasto  col  mondo;  T  una  e  T  altro  in  lotta  fra 


272  DKLLÀ    VITA    E   DtùLLE   OPI^Re 

loro:  quel  contrasto  e  quella  lotta  che  nel  1818,  quando 
fu  scritto  questo  Carme,  fu  la  vita  nostra  vera,  e  la  vita 
d'  Italia.  Dalla  scuola,  dalle  memorie,  dal  passato  è 
sorta  in  noi  la  vergogna,  la  fede,  V  azione.  Le  parole 
del  Poeta  sono  state  vero  foco,  le  abbiamo  ripetute  noi, 
e  le  hanno  ripetute  morendo  coloro  che  sono  caduti  per 
la  cara  e  sacra  patria  nostra;  ed  erano  giovanetti  usciti 
dalla  scuola,  e  alcuni  dalla  tua  scuola,  o  amico  mio  (1).  ^ 

Non  così  però  può  dirsi  delle  altre  poesie  che  a 
questa  tennero  dietro,  ed  in  cui  se  tu  ammiri  una  bel- 
lezza ed  una  grazia  veramente  incantevoli,  che  ci  ricor- 
dano le  felici  produzioni  dei  più  eleganti  tra'  poeti  greci 
se  tu  vi  scorgi  le  bellezze  più  vaghe  e  più  rare  che 
si  rinvengono  nei  classici  nostri,  non  vi  trovi  però  pe- 
dantesca imitazione  da  cui  V  originalità  venga  a  patir 
danno,  e  nulla  che  di  scolastico  abbia  V  impronta. 

Ai  primi  anni  della  vita  letteraria  di  Giacomo  si 
riferiscono  alcuni  lavori,  che  il  Prof.  Cugnoni  ha  dato 
ora  alla  stampa,  e  di  questi  dirò,  sulla  scorta  del  dotto 
editore,  poche  parole.  Nel  1814,  cioè  quando  aveva 
appena  1 6  anni ,  compose  i  Commentarti  de  vita  et 
scriptis  Khetorum  qtsorundam,  qui  secando  post  Chri^ 
stum  saeculOj  vel  primo  declinante  vixertmt^  auctore 
Jacob  Leopardi,  qui  et  selecta  Vet^rum  opt^scida  ad 
calcem  adjecit^  et  Observationibus  illustravit  Francesco 
Cancellieri  nel  1815  diede  notizia  di  quest'opera,  di- 
cendo eh'  era  stata  composta  in  poco  più  di  un  mese. 
Essa  merita  lode  per  la  copia  di  erudizione  e  la  sotti! 
critica  che  vi  si  rinvengono,    come   pure  per   la  buona 

(i)  Settexbrjm:  Lez.  di  leder.  i(.il.  Vi>l.  III.  \^^'^  551 


DI  GIAi:0\rO   LEOPABDI  273 

dìsposizioLC  (iella  materia,  la  spontanei ii  dello  stile, 
r  eleganza  del  dettato,  che  mostrano  quanto  fosse  ver- 
sato nello  studio  dei  buoni  autori  latini  sin  da  quella 
^giovanissima  età.  —  Nello  stesso  anno  componeva  il 
Commentano  della  vita  e  delle  opere  di  Esichio  Mile^o. 
Volgarizzamento  delle  sue  opere:  ^  Degli  uomini  iUu- 
stri  in  dottrina  —  Delle  cose  patrie  di  Costantinopoli  ^ 
ed  Osservazioni  sulle  medesime.  —  L'  accennato  Can- 
cellieri attesta  che  questo  lavoro  fu  composto  in  6  meA 
insieme  alla  tra'luzione  dal  greco  della  Vita  di  Plotino 
scritta  da  Porfirio.  Chi  lo  legga  vedrà  che  •  il  dettato 
non  è  nò  scelto  né  elegante,  però  non  vi  ha  difetto  di 
proprietà,  e  si  distingue  per  una  certa  disinvoltura.  Le 
o8.^'*rvazioni  peccano  di  sovrabbondanza,  ma  forse  non 
eran  tutte  fatti*  per  darsi  alle  stampe.  Fa  mostra  di 
molto  acume  e  sajere  filologico,  proponendo  savie  cor- 
rezioni nel  testo.  11  Cugnoni  chiama  questo  libro:  // 
primo  puetHle  schizzo  d*  un  grande  artista.  —  Poco  aj- 
presso,  ma  non  se  ne  può  })recisare  la  data,  compose 
il  Discorso  sopra  la  vita  e  le  opere  di  M.  Cornelio 
Frontone^  e  volgarizzamento  degli  scritti  che  il  Mai  ne 
pubblicò.  V  autore  è  interpretato  con  fedeltà,  ma  il  det- 
tato non  è  8emj>re  puro  ed  elegante,  perchè  questo  lavori) 
venne  fatto  quando  il  Leopardi  attendeva  allo  studio  dei 
moderni,  8j)ecialmente  dei  francesi,  e  disprezzava  i  clas- 
8ici.  A  questa  fatica  tenne  dietro  il  Volgirizzamento  dei 
Frammenti  di  Dionigi  d'Alicamasso  pubblicati  da!  Mai, 
nel  quale,  assai  fuor  di  proposito,  è  molto  nerln)  e  strin- 
gatezza, che  non  valgono  a  l)en  rendere  uno  scrittore 
che  ha  doti   del  tutto  opposte.  Ad   ogni   nrodo  si  vrde 

Atchiv-  Stui\  .Vai'c/i    V.  ì.  I^ 


274  DELLA   VITA   E  DELLE  OPERE 

come  il  Leopardi  fosse  tornato  familiare  coi  classici  per 
non  più  abbandonarli,  giovandosene  meglio  per  V  avve- 
nire. Quando  fu  all'  età  di  1 7  anni  compose  V  orazione 
Agr  Italiani  per  la  liberazione  del  Ficaio  nel  Maggio 
del  1815,  la  quale  è  una  veemente  filippica  contro  Gio- 
acchino Murat,  che,  volendo  costituire  V  unità  italiana, 
con  un  esercito  aveva  invaso  le  Marche.  Fallito  il 
tentativo,  s'ebbero  a  lamentare  le  licenze  dei  soldati. 
Leopardi,  per  V  educazione  ricevita,  non  dubitò  allora 
d'  anteporre  il  benessere  e  la  quiete  sperimentati  al- 
l' ideale  riscatto  della  patria.  Lo  stile  è  più  francese  che 
italiano;  v'  è  impeto,  breviloquenza  e  vi  si  riconosce  lo 
studio  fatto  sul  principe  degli  oratori  greci.  —  Risale 
a  qualche  tempo  prima  del  1813  la  Starici  delT  Astra^ 
nomia  dalla  sua  origine  fino  cUl'  anno  1811 ,  lavoro 
assai  imperfetto  dal  lato  scientifico  e  critico,  ma  in  cui 
è  tale  copia  di  erudizione  che  apparisce  immensa  avuto 
riguardo  all'  età  del  giovane  che  la  scriveva  con  uno 
stile  ed  una  lingua  veramente  barbari.  Ad  ogni  modo 
questo,  ed  altri  consimili  lavori  fanno  fede  della  ferrea 
volontà  e  della  pazienza  di  Giacomo.  —  Non  si  può 
precisar  V  epoca  in  cui  fu  composto  un  idillio  dal  titolo 
Le  Rimembranze,  ma  è  certo  cosa  giovanile  ed  assai 
lodevole,  per  cui  può  ripetersi  il  giudizio  di  F.  De  San- 
ctis  per  la  Vita  Solitaria:  **  Quei  paesaggi  così  freschi 
di  colorito,  così  semplici  e  precisi  di  disegno,  generano 
quella  pacata  impressione  idillica,  eh'  è  propria  della  vita 
campestre  (1).  „ 

(1)  V.  Diritto  aono  XXIil,  n.  226,  12  Agosto  1876. 


DI  (;i.\<:()\ro  LKopAnni  ST.'J 

Da  una  lettera  a]  Cancellieri  del  6  Aprile  181 0 
rilevasi  che  Giacomo  aveva  dato  opera  ad  un  commen- 
tario intorno  ai  Cesti  di  Giulio  Africano ,  commentario 
che,  p(*r  quanto  io  sapjùa,  h  tuttora  inedito  tra  le  carte 
possedute  da  Luigi  De  Sinner ,  le  quali  ora  si  conser- 
vano nella  Palatina  di  Firenze.  Tale  lavoro,  per  testi- 
raonianzi  dello  stesso  De  Sinner,  che  lo  chiama  dottis- 
simo, e  di  quanti  hanno  potuto  vederlo,  mostra  ur.a 
erudizione  non  comune  in  un  giovane  di  18  anni,  ed 
una  maniera  di  critica  diligente  ed  acuta,  quale  in  molti 
libri  di  simil  genere  si  lascia  desiderare  troppo  di  fre- 
quente. — •  Nello  stesso  anno  fece  altre  traduzioni  dal 
latino  e  dal  greco ,  ma  più  per  istudio  che  per  altro , 
im;  erocchft  egli  stimava  giustamente  utilissimo  il  tra- 
durre gli  autori  classici  per  acquistare  piena  conoscenra 
della  nostra  favella,  ma  nel  tempo  istesso  reputava  eh  » 
ninno  |M>8sa  riuscire  ottimo  traduttore  se  non  perfetta- 
mente conoscendo  e  la  lingua  da  cui  traduce  e  quella 
in  cui  volgarizzi  il  proprio  autore.  Del  resto  egli  iìi 
una  lett'Ta  allo  Stella,  editore  milanese,  dice  che  questa» 
sue  traduzioni  sou)  tutte  cattive,  tranne  quella  del  pri- 
mo cauto  deir  Odissea ,  che  ritmxatu  potrà  passare.  - 
Nel  1817  tradusse  ancora  i!  secondo  libro  deW  Eue'dc, 
—  Ad  ogni  modo,  qualunque  giudizio  severissimo  ehe 
la  critica  voglia  fare  intorno  a  questi  primi  lavori  del 
I-iOiipardi,  pure  dovrà  sempre  meravigliarsi  del  modo  con 
cui  cominciava  a  manifestarsi  quello  straordinarissimo 
ingegno,  e  dovrà  sempre  dire  che  sono  pochi,  uva  ;i.s<ai 
pochi,  i  giovani  che  conoscano  a  18  o  10  anni  così  jut»- 
fondamente  il  latino  ed  il  jjreco. 


276  DELLA   VITA   E   DELLE  OPERE 

Infatti  il  valente  Recanatese  per  sette  anni  continui 
attese  agli  studi  filologici  e  letterari,  ma  fatti  a  modo; 
anzi,  a  meglio  dire,  vi  attese  con  quell'ardore  intensis- 
simo con  cui  altri  giovani  attendono  a  studii  meno  se- 
veri ed  a  geniali  passatempi,  ed  al  fioco  lume  della 
lucerna,  secondo  ne  fa  testimonianza  suo  fratello  Carlo, 
tu  lo  trovavi  inteso  nelle  sue  preziose  ricerche  sino  alla 
più  tarda  notte  nella  ricca  biblioteca  patema.  E  da  que- 
sti studii  pazienti  sull'antichità  classica  traeva  tanto  te- 
soro di  erudizione  da  poter  fer  credere  ai  più  valenti 
letterati  un  suo  Inno  a  Nettuno  una  traduziime  dal  greco, 
e  da  ingannare  l'eruditissimo  padre  Cesari,  che  battez- 
zava per  scrittura  del  300  le  Memorie  del  martirio  de' 
padri  del  monte  Sinai,  come  conferma  Giacomo  stesso 
in  una  sua  lettera,  dove  dice:  *^  Presto  uscirà  in  Milano 
quel  mio  finto  testo  di  lingua  del  300.  Se  tu  lo  vedrai 
o  ne  sentirai  parlare  ti  prego  conservare  scrupolosa- 
mente il  segreto  della  sua  non  autenticità.  —  Intanto 
ti  dico  che  il  Cesari  lo  ha  letto  nel  mio  manoscritto 
e  che  ha  detto  che  è  una  cosa  ammirabile,  e  di  qual- 
che ottimo  autore  del  trecento.  „  Ma  non  si  pensi 
però  per  questo  che  egli  nella  sua  maniera  di  scrivere 
patisse  danno;  studiò  i  classici  delle  due  letterature  da 
cui  l' italiana  si  originò,  e  quelli  della  nostra,  e  mentre 
un  ingegno  volgare  sarebbe  da  ciò  stato  tratto  ad  una 
imitazione  pedantesca,  egli  no;  col  suo  finissimo  gusto 
seppe  far  succo  e  sangue  proprio  delle  bellezze  che  ri- 
scontrava nei  libri  che  formavano  l'oggetto  del  suo  studio, 
e  scegliere  quello  che  per  i  suoi  tempi  meglio  conve- 
niva.   Così  venne   a  formarsi  una   maniera  di   scrivere 


Di   GIACOMO  LROPAnDl  277 

tutta  propria,  nella  quale  si  ravvisan  congiunti  la  sem- 
plicità e  la  grazia  degli  scrittori  greci,  e  la  ingenuità, 
chiarezza  ed  eleganza  dei  nostri  scrittori  del  miglior  se- 
colo. Però,  siccome  già  dissi,  Giacomo  ebbe  oltre  il  più 
prezioso  dei  doni  della  natura ,  cioè  1'  intelletto  capace 
di  sentire  e  gustare  la  vera  bellezza,  ebbe,  dico,  a  pro- 
vare il  più  gran  male  della  vita,  il  dolore,  sicché  cantòj 
per  così  dire^  V  inferno  colle  melodie  del  Paradiso  (1). 


V. 


Oli  amori  di  tilaeoino  Leopardi. 

Per  quanto  madre  natura  fosse  col  Leopardi  stata 
matrigna,  pure  gli  aveva  dato  un  cuore  sensibilissimo, 
quindi  non  è  a  meravigliarsi  ch'egli  cominciasse  per 
tempo  a  provare  V  amore^  ma  quali  fossero  le  donne  da 
lui  amate  non  può  dirsi  con  piena  certezza  perchè  su 
questo  riguardo  fa  uso  di  grande  riserbo,  e  solo  da 
qualche  frase  delle  sue  lettere,  o  di  quelle  direttegli  dai 
suoi  il  biografo  può  argomentare  alcuna  cosa. 

Ma  innanzi  che  io  proceda  a  dire  degli  amori  del 
nostro  Giacomo,  è  bene  che  affermi  com'  egli  riguardasse 
la  donna  come  qualche  cosa  di  santo,  come  un  angelo 
posto  accanto  all'  uomo  per  lenirne  i  dolori  della  vita 
colla  soavità  e  la  purezza  dell'  affetto.  E  dell'  alto  con* 
cetto  eh'  egli  s' era  formato  della  donna  mi  pare  che  fac- 
ciano amplissima  testimonianza  i  seguenti  pensieri  che 
r amico  Prof.  Piergili  ha  trascritto  da  una  copia  di  mano 

(I)  Ranieri:  tolorno  alla  vita  Pil  sigli  «crilli  di  G.  Leopardi. 


Ì78  DELLA    VITA    K    DELLE    OPERE 

di  Paolina,  e  mi  ha  mandati  innanzi  ch»^  Prospero  Yiani 
lì  pubblicasse  nella  sua  recente  raccolta  di  scritti  inediti 
di  Giacomo  Leopardi. 

**  Una  donna  di  20  ,  25  o  30  anni  ha  forse  più 
d'  attraits,  pia  d'  illecebre,  ed  è  più  atta  a  ispirare,  e 
maggiormente  a  mantenere  una  passione.  Così  almeno 
è  paruto  a  me  sempre,  anche  nella  primissima  gioventù: 
così  anche  ad  altri  che  se  ne  intendono  (M.  Merle).  Ma 
veramente  una  giovane  dai  16  ai  18  anni  ha  nel  suo 
viso,  ne'  suoi  moti,  nelle  sue  voci,  salti  etc.  un  non  so 
che  di  divino ,  che  niente  può  agguagliare.  Qualunque 
sia  il  suo  carattere,  il  suo  gusto;  allegra  o  malinconica, 
capricciosa  o  grave,  vivace  o  modesta;  quel  fiore  puris- 
simo, intatto,  freschissimo  di  gioventù,  quella  speranza 
vergine  incolume  che  gli  si  legge  nel  viso  e  negli  atti, 
0  che  voi  nel  riguardarla  concepite  in  lei  e  per  lei , 
queir  aria  d' innocenza,  d' ignoranza  completa  del  male , 
delle  sventure,  de'  patimenti;  quel  fiore  insomma,  quel 
primissimo  fior  della  vita ,  tutte  queste  cose ,  anche 
senza  interessarvi ,  fanno  in  voi  un'  impressione  così 
viva ,  così  profonda ,  così  ineffabile ,  che  voi  non  vi 
saziate  di  guardare  quel  viso,  ed  io  non  conosco  cosa 
che  più  di  questa  sia  capace  di  elevarci  l' anima ,  di 
trasportarci  in  un  altro  mondo,  di  darci  un'  idea  d' an- 
geli, di  paradiso,  di  divinità,  di  felicità!  Tutto  questo, 
ripeto,  senza  innamorarci,  cioè  senza  muoverci  deside- 
rio di  possedere  quell'  oggetto.  la  stessa  divinità  che 
noi  vi  scorgiamo,  ce  ne  rende  in  certo  modo  alieni,  ce 
lo  fa  riguardare  come  di  una  sfera  diversa  e  superiore 
alla  nostra ,  a  cui    non  possiamo  aspirare.  Laddove    in 


DI   GÌACOMO  LEOPARDI  279 

queir  altre  donne  troviamo  più  umanità,  più  somiglianza 
con  noi  ;  quindi  più  inclinazione  in  noi  verso  loro,  e 
più  ardire  di  desiderare  una  corrispondenza  seco.  Del 
resto  se  a  quel  che  ho  detto,  nel  vedere  e  contemplare 
una  giovane  di  16  o  18  anni,  si  aggiunga  il  pensiero 
dei  patimenti  che  1'  aspettano,  delle  sventure  che  vanno 
ad  oscurare  e  a  spegnere  ben  tosto  quella  pura  gioia^ 
della  vanità  di  quelle  care  speranze,  della  indicibile  fuga- 
cità di  quel  fiore,  di  quello  stato,  di  quella  bellezza;  si 
aggiunga  il  ritomo  sopra  noi  medesimi,  e  quindi  un 
sentimento  di  compassione  per  quell'  angelo  di  felicità , 
per  noi  medesimi,  per  la  sorte  umana  (tutte  cose  che 
non  possono  mancare  di  venire  alla  mente)  ne  segue 
un  affetto  il  più  vago  e  il  più  sublime  che  possa  im- 
maginarsi. „  —  Queste  sono  linee  delle  più  belle  e  poe- 
tiche che  nel  nostro  secolo  siano  state  scrìtte  intorno  alla 
donna,  degne  d'  un  grande  ingegno  e  d'  un  nobile  cuore, 
e  che  meritano  d^  esser  considerate  da  coloro  che  nella 
gentile  metà  del  genere  umano  non  vedono  altro  che 
un  ignobile  strumento  di  voluttuosi  piaceri,  e  le  lettere 
nostre  trascinano  in  mezzo  al  fango  dei  trivi  e  dei  lupa- 
nari, che  vogliono  fietrci  credere  che  virtù  ed  onoratezza 
non  siano  più  patrimonio  di  alcuna,  E  certamente  quando 
Giacomo  scrisse  le  parole  or  or  riferite  doveva  essere 
inspirato  ed  animato  da  qualche  incantevole  bellezza,  che 
gli  scaldava  il  cuore  e  gli  accendeva  la  fontasia:  ma 
r  infelicità  fisica  fece  sì  che  le  donne  non  corrispon- 
dessero air  amore  di  lui,  di  maniera  che  più  tardi  scrì- 
veva: ^  Oramai  credo  che  tutto  sia  falso  in  questo  mon- 
do, anche  la  virtù,  anche  la  facoltà   sensitiva^  anche, 


280  DELLA    VITA    e   DELL^   OPERE 

r  amore  (1).  ^  E  con  V  andare  del  tempo  V  entusiasmo 
cessa  affatto,  e  scrive:  **  La  freddezza  e  V  egoismo  d'  og- 
gidì, V  ambizione,  V  interesse,  la  perfidia,  V  insensibilità 
delle  donne,  che  io  definisco  un  animale  senza  cuore, 
sono  cose  che  mi  spaventano  (2).  „  Però,  come  si  vede, 
egli  che  ha  cuore ,  costretto  a  fare  tal  confessione  non 
ci  scherza  e  ride  come  i  n^oderni  nostri  scrittori,  ma 
se  ne  addolora  perchè  sa  che  omnia  linci t  amor,  et  nos 
cedamus  amori. 

Ma  quali  furono  le  donne  amate  dal  grande  Keca- 
natese?  Tediamo  d*  indagarlo  dagli  scritti  suoi,  e  dalle 
lettere  della  sua  famiglia,  e  forse  le  ricerche  non  saran- 
no del  tutto  frustranee.  La  poesia  giovanile  che  ha  per 
titolo  11  primo  amore  non  si  ha  da  reputare  uno  di 
quei  componimenti  arcadici  in  cui  con  frasi  stereotipate 
si  dipingono  i  non  sentiti  amori;  essa  è  inspirata  da  un 
sentimento  vivo  e  potente,  ma  non  mi  pare  che  possa 
con  certezza  affermarsi,  come  fa  il  Giotti  nella  sua  bio- 
grafìa deir  illustre  recanatese ,  qual  fosse  la  musa  gen- 
tile inspiratrice  del  Leopardi,  sembra  però  che  ad  esso 
congiunta  per  legami  di  sangue ,  per  alcun  tempo  fa- 
cesse dimora  nella  casa  di  lui,  e  quivi  per  V  avvenenza 
del  corpo^  per  la  gentilezza  e  soavità  dei  modi  sapesse 
guadagnarsi  V  affetto  del  giovane  poeta,  senza  però  forse 
nemmeno  pensare  di  ricambiarlo  con  altrettanto  amore, 
od  anche  neppure  immaginare  eh'  egli  a  lei  volgesse  il 
pensiero.  Ma  la  partenza  della  donzella  fìi  cagione  di 
grave  dolore  al  povero  Giacomo,  che  cantava: 

(1)  Eptslolario:  Voi.  I.  p^s.  200. 
(3)  E|ììs!olario:  VoL  L  p»?.  909. 


DI   GIACOMO  LEOPARDI  281 

Tornami  a  mente  il  di  che  la  battaglia 
D*  amor  Betitii  la  prima  volta,  e  cUrsI: 
Oiraè,  ao  questue  amor,  com' ei  travairlia! 

Che  gli  occhi  al  puoi  tutt*  ora  intenti  e  flsgt , 
Io  mirava  colei  eh*  a  questo  core 
Primiera  il  varco  e<l  innocente  aprissi.  ^ 

Ahi  come  mal  mi  governanti,  amore! 
Perchè  seco  dovea  si  dolce  aflV'tto 
Recar  tanto  desìo,  tanto  dolore? 

K  non  sereno,  e  non  intero  e  schietto, 
Anzi  pien  di  travaglio  e  di  lamento 
Al  cor  mi  discendea  tanto  diletto? 

E  queir  amore  era  così  vivo  e  sentito  che 

come  per  febbre 

Rotto  e  deliro  il  sonno  venia  manco. 

Ma  pur  troppo  quella  fanciulla  andava  lontana  da 
lui  e  a  lui  non  avrebbe  forse  più  rivolto  un  pensiero, 
ed  i  sentimenti  provati  al  momento  della  partenza  cosi 
al  vivo  ci  dipinge  il  poeta: 

Senza  sonno  io  giacea  sul  di  novello, 
R  i  destrier  che  dovean  farmi  deserto, 
Battean  la  zampa  sotto  al  patrio  ostello. 

Ed  io  timido  e  cheto  ed  inesjierto, 
\^r  lo  balcone  al  buio  protendea 
L*  orecchio  avido  e  T  occhio  indamo  ajterto. 

La  voce  ail  ascoltar,  se  ne  dovea 
Di  quelle  labbra  uscir,  eh*  ultima  fosse; 
La  voce,  eh*  altro  il  cielo,  ahi,  mi  togliea. 

Quante  volte  plel>ea  voce  percosse 
n  dubitoso  orecchio,  e  un  gel  mi  prese, 
E  il  core  in  forse  a  palfiitar  si  mosse! 

E  poi  che  finalmente  mi  discese 
La  cara  voce  al  core  e  de*  cavai 
E  deUe  rote  U  romorto  s*  intese; 


282  DELLA    VITA   K   D£LLK   OPERE 

Orbo  liiuaso  allor.  nii  rauxiirchiai 
Palpitando  ne]  letto  e  chiusi  gli  occhi. 
Strìnsi  il  cor  con  la  mano  e  palpitai. 

Ma  se  quello  fii  il  primo  e  non  felice  amore  del 
nostro  Giacomo,  altre  donne  però  ne  possedettero  il  cuore; 
e  la  Silvia,  e  la  Xerina,  e  l'Aspasia  delle  sue  poesie 
rappresentano  senza  fallo  delle  fanciulle  di  cui  egli  ora 
grandemente  invaghito,  ma  nessuna  delle  quali  pare  cor- 
rispondesse al  suo  affetto,  non   trovandos'^ne  neppur  una 

• 

che  volesse  avere  la  gloria  di  far^i  consolatrice  della 
infelice  vita  del  leopardi,  non  troATmdosene  neppur  una 
che  volesse  esser  più  curante  delle  nobili  doti  dell' animo 
e  dell'  ingegno,  che  di  quelle  fisiche.  In  una  lettera  di 
Paolina  trovo  queste  parole:  •*  La.  vostra  Serafina  si  fa 
sposa  nel  giorno  ultimo  di  agosto  (1)  „  ;  le  quali  mi 
fanno  credere  che  la  donna  ivi  nominata  non  gli  sia 
dispiaciuta,  e  questa  era  una  Serafina  Basvecchi  figlia- 
stra di  Yito  Leopardi,  zio  di  Giacomo.  Vogliono  ancora 
alcuni  critici  che,  giovinetto,  il  recanatese  amasse  una 
fanciulla  del  popolo,  ma  io  non  ho  trovato  modo  di  ve- 
rificare la  cosa,  la  quale  del  resto  può  essere  benissimo, 
e  non  ha  nulla  dello  strano.  E  I'  Aspasia  che,  come 
egli  scrisse , 

Raggio  divino  al  mio  })ensìero  apparve 
Donna,  la  tua  beltà, 

quella  Aspasia 

Che  smisurato  amor,  che  afihnui  iutenf^i. 
Che  indicibili  moti  e  che  deliri 

(1)  Piergili:  LcIUtc  a  G.  Leopardi  eie.  p.  191. 


DI   GIACOMO   LeOPARDl  283 

mosse  in  Lui  p  chi  era  ella  mai  ?  Le  indagini  che  sì- 
nora  sono  state  fatte  per  giungere  a  conoscerlo,  sono 
riuscite  tutte  vane,  e  non  sarò  io  certo  colui  che  in- 
venti una  storiella  qualunque  per  appagare  la  curiosità 
dei  lettori. 

Alcuni ,  e  tra  questi  il  Posocco ,  hanno  voluto  far 
credere  che  il  nome  di  Aspasia  coprisse  quello  della 
Contessa  Teresa  Camiani  Malvezzi,  però  il  Viani  aflFer- 
nia  che  ella  non  è,  promettendo  di  farlo  toccar  con 
mano  nel  Supplemento  all'  Appendice  dell'  Epistolario,  e 
a  n)e  non  pare  che  gli  argomenti  addotti  dal  Posocco 
valgano  a  provare  in  modo  indubitabile  che  la  Mal- 
vezzi sia  r  Aspasia  «Ielle  poesie  di  Giacomo;  essi  val- 
gono soltanto  a  farci  sapere  che  anche  questa  donna  fu, 
per  le  doti  dell'  animo  e  dell'  ingegno,  tra  quelle  amate 
dal  Leopardi ,  quantunque  questi  si  periti  di  chiamar 
amore  il  sentimento  vivissimo  di  simpatia  eh'  egli  per 
lei  provava. 

In  una  sua  lettera  al  fratello  Carlo  il  30  Maggio 
1826  Giacomo  scriveva:  *^  Sono  entrato  con  una  donna.... 
in  una  relazione ,  che  forma  ora  una  gran  parte  della 
mia  vita.  Non  è  giovane,  ma  è  di  una  grazia  e  di  uno 
spirito  che  (credilo  a  m^,  che  finora  1'  avevo  creduto 
impossibile  )  supplisce  alla  gioventii ,  e  crea  un'  illusione 
niaravigliosa.  Xei  primi  giorni  che  la  conobbi,  vissi  in 
una  specie  di  delirio  e  di  febbre.  Non  abbiamo  mai  par- 
lato di  amore  se  non  per  ischerzo,  ma  viviamo  insieme 
in  un'  amicizia  tenera  e  sensibile,  con  un  interesse  scam- 
bievole, e  un  abbandono,  che  ò  come  un  amore  senza 
inquietudine.  Ha  per  me  una  stima  altissima;  se  le  leggo 


284  DKLLA   VITA   E   DELLE   OPEI^E 

qualche  mia  cosa,  spesso  piange  di  cuore  senz*  affettar 
zione;  le  lodi  degli  altri  non  hanno  per  me  nessuna  so- 
stanza: le  sue  mi  si  convertono  tutte  in  sangue,  e  mi  resi  a- 
no  tutte  neir  anima.  Ama  ed  intende  molto  le  lettere  e  la 
filosofia;  non  ci  manca  mai  materia  di  discorso,  e  quasi 
ogni  sera  io  sono  con  lei  dall'  avemaria  alla  mezzanotte 
passata,  e  mi  pare  un  momento.  Ci  confidir.mo  tutti  i 
nostri  segreti,  ci  riprendiamo,  ci  avvisiamo  dei  nostri 
difetti.  In  somma  questa  conoscenza  forma  e  formerà 
un'  epoca  ben  marcata  dalla  mia  vita,  perchè  mi  ha 
disingannato  d<^l  disinganno,  mi  ha  convinto  che  ci  sono 
veramente  al  mondo  dei  piaceri  che  io  credeva  impos- 
sibili ,  e  che  io  sono  ancor  capace  d' illusioni  stabili , 
malgrado  la  cognizione  e  V  assuefazione  contraria  così 
radicata,  ed  ha  risuscitato  il  mio  cuore,  dopo  un  sonno 
anzi  una  morte  completa,  durata  per  tanti  anni  (1).  ^ 
Ma  questa  donna  gentile  che  comprendeva  la  mente 
ed  il  cuore  del  Leopardi,  e  faceva  rinascere  in  lui  la  spe- 
ranza e  la  fede  era  proprio  la  colta  bolognese?  Prospero 
Yiani  in  una  nota  a  questa  lettera  ci  dice  ch:^  questa  donna 
è  nominata  sul  fiìie  della  lettet^a  293,  ed  infatti  in  questa 
lettera  si  accenna  ad  una  contessa  Malvezzi  di  Bologna, 
dama  di  molto  spirito  e  molta  coltura,  ma  non  vi  trovo 
neppure  una  sillaba  che  possa  far  credere  indubbiamente 
che  la  Malvezzi  fosse  quella  di  cui  Giacomo  parlava  con 
suo  fratello,  però  neir  Appendice  alt  Epistolario^  or  non 
ha  guari  venuta  alla  luce,  trovo  ristampata  la  lettera 
278  ,  da  cui  ho  tolto  il  brano  qui  riportato,  senza  la 
reticenza  che  è  nell'  Epistolario,  e  da  essa  chiaramente 

(1)  Loopcriti:  EpUlularìo  Voi.  I.  pag.  456-457. 


Dt  GIACOMO  LEOPARDI  Ì85 

risulta  che  la  donna  di  cui  vi  si  parla  è  in  realtà  la 
contessa  Malvezzi,  colla  quale  però  un  anno  appresso 
avea  già  rotto  ogni  intima  relazione  perchè  così  a  lei 
era  piaciuto  avendo  trovato  che  la  comyersmione  da  sola 
a  sola  con  Giacomo  r  annoiava. 

Né  altro  qui  mi  pare  di  poter  aggiungere  intomo 
agli  amori  del  Leopardi,  il  quale  non  fortunato  neppure 
in  questo  per  la  sua  deformità  fisica,  ebbe  però  tale  e 
cosi  grande  concetto  della  donna,  provò  per  lei  cosi  viva 
e  virtuosa  passione  che  a  ciò  l' Italiana  poesia  deve  al- 
cuni dei  canti  più  bolli  di  cui  essa   si  onori. 

TI 

Le  poesie  del  Leopardi 

Non  ò  di  mestieri  che  io  qui  parli  di  tutti  gli  scritti 
fioetici  che  del  Recanatese  ci  restarono,  che  basterà  a 
fame  conoscere  la  sua  anima  ed  il  suo  ingegno,  Tesamo 
di  alcuni. 

Col  sorgere  di  una  nuova  scuola  letteraria,  la  quale 
si  proponeva  il  patriottico  scopo  di  risvegliare  gli  ani- 
mi  degli  Italiani  assopiti  dalla  troppo  lunga  servitù,  ed 
innamorarli  della  libertà  ed  indipendenza,  era  naturai 
cosa  che  gli  scrittori  più  eletti  rivolgessero  il  pnsiero 
a  tornare  in  onore  lo  studio  di  quegli  che,  per  amore 
alla  indipendenza;  per  grandezza  di  animo  e  di  ingegno, 
fu  e  sarà  sempre  da  riguardarsi  non  solo  come  il  pa- 
dre della  nostra  letteratura,  ma  altresì  il  più  illustre  ed 
il  più  Italiano  degli  Italiani.  Se  con  sacrifizi  di  sangue 
e  di  denaro  giungemmo  finalmente  a  riconquistarci  una 


286  DELLA    VITA    B  DELLE  OI*ERE 

patria  libera,  non  bisogna  però  dimenticarsi  che  le  ri- 
voluzioni  e  le  barricate  furono  precedute  e  preparate  dai 
nostri  poeti  e  prosatori  che  dallo  scorcio  del  pas:ifato  se- 
colo fino  oltre  alla  metà  del  presente  diffusero  e  popò- 
larizzarono  le  idee  liberali,  ridestarono  V  en  tusiasmo  pa- 
triottico delle  moltitudini;  e  quindi  se  dobbiamo  grati- 
tudine a  quanti  imbrandendo  le  anni  ricacciarono  lo 
straniero  oltre  le  Alpi  ed  il  mare,  non  ne  dobbiamo 
meno  a  chi,  abbandonate  le  arcadiche  nenie  risvegliava 
la  nostra  coscienza  d'  Italiani,  e  ci  spronava  ad  opere 
generose  e  grandi. 

A  Dante  Alighieri,  lo  sdegnoso  ghibellino  che  di  per 
se  stesso  fece  parte,  volle  anche  il  Leopardi  rendere  il 
tributo  del  suo  ingegno  e  scrisse  la  bella  canzone  sopra 
il  monumento  che  eriger  gli  si  doveva  in  Firenze.  E 
qui  alla  mente  del  poeta  si  presenta  V  ingratitudine  del- 
la patria  verso  il  suo  maggior  figliuolo,  la  grandezza 
del  fiero  Ghibellino,  le  sventure  di  lui  e  quelle  d' Italia, 
e  ciò  trae  della  sua  lira  versi  divini  che  rivelano  i  sen- 
timenti provati  dallo  scrittore  nel  dettarli.  Chi  vuole  gu- 
star poesia  sublime  legga  questa  canzone,  e  l'anima  sua 
verrà  ricreata;  proverà  tutti  quei  sentimenti  da  cui  l'ani- 
mo e  la  fantasia  dello  scrittore  furon  commossi,  sì  da 
dover  convenire  che  il  Leopardi  non  è  certo  l' ultimo 
dei  moderni  cantori  di  Dante.  Qui  non  è  vano  sfoggio  di 
rettorica  e  di  erudizione,  da  cui  vengano  il  calor  dell'af- 
etto  e  l'eleganza  delle  poetiche  immaginazioni  oscurati,  ma 
ò  il  cuore  che  parla  e  dal  cuore  scaturisce  poesia  vera. 
Non  è  più  1'  Arcadia  dove  gli  scrittori  fanno  a  gara  a  chi 
Bappia  usare  maggior  numero  di  frasi  eleganti  incastonanr 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  28? 

dolo,  corno  Torefice  fa  dello  gioio,  spesso  senza  garbo, 
negli  scritti  propri,  ma  è  il  libero  poeta  che,  nauseato 
dello  lodi  che  i  venali  innalzano  ai  pot'^nti  i  quali  ne 
sono  immeritevoli,  schifito  di  vedere  con  morta  poesia 
descritti  i  non  sontiti  amori,  dico,  è  il  libero  poeta  che 
canti  la  libertà,  la  patria  e  le  sue  glorie  immortali.  Io 
credo  che  i  detrattori  del  povero  Leopardi,  a  cui  sem- 
bra che  alcuni  farisei  della  letteratura  non  vogliano  fare 
tn>var  pace  nemmeno  nel  sepolcro,  non  abbiano  letto 
nò  la  canzone  alT  Italia,  né  questa  pel  monumento  di 
Dante,  od  almeno  vogliono  far  le  viste  di  non  compren- 
derlo altrimenti  sarebbe  lor  forza  confessare  che  e'  ò  il 
dolore,  ma  non  la  disperazione,  e'  è  quel  dolore  che  ai 
suoi  tempi  ogni  buon  Italiano  doveva  provare  nel  veder 
la  patria  serva  di  tiranni  e  di  preti.  ^  L'  argomento 
patriottico ,  dice  Francoaco  De  Sanctis ,  e  nuovo  desta 
noi  poeta  una  viva  partecipazione,  e  gli  comunica 
uno  slancio  e  una  ispirazione  che  si  mantiene  in  sino 
alla  fino.  Ija  forma ,  ancorché  convenzionale  e  ri<*or- 
devolc ,  acquista  dal  calore  e  dalla  sincerità  dc*l  sen- 
timento un  moto  col**re  e  un'  aria  di  originalità ,  o 
te  no  senti  attirato  e  compiaciuto,  corno  di  forma  bel- 
lissima in  questo  genere  letterario.  ^ 

Ma  esaminiamo  nelle  sue  parti  questa  canzone  e 
meglio  co  ne  appariranno  lo  infinito  bellezze.  Il  poeta 
conosce  che  por  svegliar  la  sua  patria  dalT  antico  soi)or^ 
bisogna  che  lo  menti  si  rivolgano  ad  ammirare  i  nobili 
erompi  del  passato,  da  cui  possono  derivare  efficaci  in- 
segnamenti por  il  presente,  o  rivolto  all'  Italia  le  dico: 


O  Italia  a  cor  ti  stia 
Far  ai  passati  onor;  che  d^  altrettali 
Oggi  vedove  son  le  tue  contrade. 
Né  e'  è  chi  d'onorar  ti  si  couvegna. 
Volgiti  indietro  e  riguarda,  o  patria  mia. 
Quella  schiera  infinita  d*  immortali, 
E  piangi  e  di  te  stessa  ti  disdegna. 
Che  senza  sdegno  ornai  la  doglia  è  stolta! 
Volgiti  e  ti  vergogna  e  ti  rìse  noti, 
E  ti  punga  Una  vdlt^ 
Pensier  degli  avi  nostrì  e  de'  nèpoti. 

E  certo,  sebbene  l'Italia  non  fosse  allora  priva  al 
tutto  di  figli  generosi,  come  dice  il  poeta,  tuttavia  in 
non  prospere  condizioni  ma  in  infelicissime  si  ritrovava, 
che,  a  chi  1'  amava  d'ardentissimo  amore  come  il  Leo- 
pardi, facevan  desiderare  che  si  svegliasse  dal  torpore 
in  cui  sembrava  immersa,  né  a  ciò  nulla  poteva  tornare 
più  acconcio  dell'  eccitare  in  lei  la  vergogna  del  pre- 
sente, e  mostrare  la  grandezza  del  passato,  invitandola 
ad  onorarlo  ed  imitarlo.  Si  lamenta  poi  che  le  ossa 
di  Dante 

Oiaccian  esuli  ancora 

Dopo  il  funereo  di  sott"  altro  suolo. 

ma  si  riconforta  in  pensando  al  monumento  che  si  vuole 
innalzargli,  mostrando  almeno  che  le  arti  del  bello  pros- 
so  di  noi  sono  ancor  vive,  e 

Conforto  a  nostra  sventurata  gente, 

Fra  r  itale  ruine 

Gr  itali  pregi  a  celebrare  intente. 

Quindi  il  poeta,  dopo  di  avere  accennato  che  ancor  ^li 
vuole  all'opera  altrui  unire   il  suo  canto,   si  rivolge  a 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  289 

parlare  all'  Alighieri  e  gli  ricorda  i  danni  e  V  onte  del- 
la patria  con  efficace  vibratezza  ed  energia,  e  non  può 
a  meno  di  dirgli 

B<'ato  te  che  il  fato 

A  viver  non  dannò  fra  tanto  orrox'e. 

E  qui  gli  si  oflFre  occasione  di  ricordare  molti  e  molti 
dei  mali  d'  Italia,  e  questi  lo  affliggono  sì  che  non  può 
listarsi  dal   chiedere 

Perchè  veniniino  a  si  perversi  tempi? 
Perchè  il  nascer  ne  desti  o  perchè  prima 
Non  ne  desti  il  nioiii'c. 
Acerbo  fato? 

domanda  naturale  in  chi,  oppresso  dal  dolore,  ha  il  de- 
siderio di  concorrere  al  bene  del  proprio  paese,  e  non 
può  trovar  via  por  cui  a  questo  si  aggiunga;  come  ò 
naturalissimo  il  chiedere  in  appresso  se  tale  stato  mise- 
rando di  cose  non  debba  mai  aver  fine.  E  la  conclu- 
sione di  questo  mirabilissimo  canto,  il  cui  intento  pa- 
triottico è  evidentissimo  e  degno  della  più  alta  lode, 
mi  sembra  notevole  e  spontanea,  si  che  non  posso  ri- 
manermi dal  trascriverla. 

In  etemo  perimmo,  e  il  nostro  scoino 
Non  ha  verun  confine? 
Io  mentre  viva  andrò  sclamando   intorno: 
Volfrìti  agli  avi  tuoi,  guasto  legnagpo: 
Mira  queste  ruine 

E  le  carte  e  le  telo  e  i  marmi  o  i  t^^mpli: 
Pensa  qual  terra  premi;  e  se  destarti 
Non  può  la  luce  di  cotanti  esempli 
Che  stai  ?  levati  e  parti. 
Non  si  conviene  a  sì  corrotta   us^inza 
Questa  d*  animi  eccelsi  altrice  **  scola: 
S«  di  codardi  è  stanza^ 
Meglio  r  è  rimaner  vodova  e  soia. 

Àrehiv,  5tor.  March.  V.  I.  19 


290  DELLA   VITA   E  DELLE   OPERE 

Ma  V  Italia,  o  roagDanimo  j^oeta,  s'  è  risvegliata  alla 
potente  tua  voce,  e  a  quella  degli  altri  generosi  cui 
doleva  di  vedere  che  fosse 

Non  donna  di  province  ma  bordello, 

ed  ha  saputo  mostrare  al  mondo  che  non  era  di  codardi 
stanza]  s*  è  vendicata  da  ogni  vituperevole  servitù  di 
stranieri  e  di  chierici,  ed  ora  siede  regina  yvI  Campi- 
doglio, dove  speriamo  che  sappin  emulare  la  gloria  de- 
gli avi. 

Le  nozze,  poi  non  avvenute,  della  sorella  Paolina 
offrono  a  Giacomo  occasione  di  sciogliere  un  canto  di 
lui  non  indegno.  Non  è  questa  rna  delle  solite  poesie 
di  nozze  in  cui  entrano ,  come  cose  obbligale ,  le  faci 
d'  Imene,  V  elogio  di  virtù  che  spesso  gli  sposi  non 
hanno,  di  bellezze  fisiche  che  esistono  solo  nella  mente 
del  poeta,  no,  quello  di  Leopardi  non  è  uno  di  questi 
lavori  nulli  che  hanno  la  vita  di  un  giorno.  Egli  con 
affetto  di  fratello  si  rivolge  alla  sua  diletta  Paolina  per 
darle  l' addio  mentre  lascia  la  casa  patema  e  nel  tem- 
po istesso  mostra,  con  versi  impareggiabili,  quali  egli 
li  sapeva  fare ,  quanto  la  donna  sposa  e  madre ,  deve 
alla  famiglia,  deve  alla  patria. 

.  ^.  .  .  .  Madri  d' imbelle  prole 
V*  incresca  esser  nomate, 

egli  dice  alle  donne  italiane,  dopo  di  aver  loro  ricor- 
dato che  da  esse 

non  poco 

La  patria  aspetta. 


DI  GIACOMO   LEOPARDI  *  291 

La  carità  del  natio  loco,  che  accender  dovrebbe  il  cuore 
iV  ogni  anima  1  en  fatta,  8])iuge  il  poeta  a  parlare:  egli 
riconosce  la  potenza  dell'  educazione  per  migliorare  gli 
uomini,  e  ricorda  alla  sua  diletta  come  questo  sia  uno 
dei  doveri  più  santi  che  natura  impose  alla  madre;  guai 
a  colei  che  vi  manca!  guai  alla  terra  dove  la  donna 
non  ha  cura  dell'educazione  dei  figli!  l'attendono  vizii 
lirutali  ed  jobbrobriosa  servitù,  onde  giustamente  il  poe- 
ta nostro  esclama: 

Ragion  <li  nostra  etale 
lo  chioggo  a  voi. 

Quando  Giacomo  scrisse  questa  magnifica  canzone 
aveva  già  provato  il  dolore,  aveva  visto  la  corruzione 
dei  suoi  tempi,  ma  nel  mentre  scorge  che 

■ 

Immenno 

Tra  fortuna  <*  valor  (Usaidio  pone 
n  corrotto  coHtumo, 

non  gli  manca  la  fiducia  nell'  avvenire,  e  spera  che  per 
opera  delle  madri  la  nuova  generazione 

I  danni  e  U  pianti» 

Della  virtude  a  toUerar  k*  avvezzi 

e  qu(»l  che  pregia  e  cole 

ÌA  vergoguoM  etA  condanni  e  .«prv'zzi. 

Non  ^  il  credere  nella  assoluta  mancanza  della  virtù 
nel  mondo  che  fa  parlare  il  poeta,  non  è  il  credere  ohe 
il  cuore  umano  non  sia  più  capace  di  nutrire  sentimenti 
che  spronino  V  individuo  ad  azioni  generose,  no,  h  il  de- 
siderio del  meglio,  è  il  desiderio  di  spronare  ì  virtuosi 


292  DELLA   VITA   E  DELLE  OPERE 

a  far  sì  che  un  giorno  il  lene  regni  sovrano  tra  gli 
nomini,  il  quale  pone  in  bocca  allo  scrittore  accenti  se- 
veri e  di  sdegno  contro  i  mali  del  suo  tempo.  Si  sente 
r  uomo  stanco  e  nauseato  della  perversità  dell'  epoca  in 
cui  vive,  ma  un  raggio  di  speranza  gli  vive  ancora  nel 
cuore,  e  gli  fa  compire  la  più  noi  ile  delle  azioni  che 
dal  cittadino  possa  esser  compita,  Io  spinge  a  ridestare 
i  suoi  connazionali  che  pare  sonnecchino  e  non  s^  av- 
vedano come  siano  caduti   in  basso  loco. 

Per  eleganza  e  spontaneità  di  verso,  per  novità  e 
naturalezza  d'  immagini,  per  una  soave  armonia  che 
tutto  lo  domina,  ed  in  fine  per  essere  un  fedele  spec- 
chio dei  sentimenti  delf  animo  del  Leopardi  non  me- 
rita d'  esser  passato  sotto  silenzio  II  sabato  del  villaggio. 
In  questa  elettissima  poesia,  che  quante  volte  rileggo 
tante  trovo  mirabile,  il  concetto  dominante  è  che  un 
bene  il  quale  speriamo  ci  riesce  più  dolce  di  quando 
lo  abbiamo  ottenuto;  che  anzi  una  cosa  fino  a  tanto  che 
la  speriamo  è  un  bene,  ma  quando  siamo  pervenuti  a 
possederla  cessa  di  esserlo.  Da  ciò  consegue  la  massima 
sconsolante  che  domina  in  tutta  la  filosofia  del  Leopardi, 
che  il  bene  e  la  speranza  sono  cos^  vane ,  e  che  il 
solo  dolore  è  reale.  Filosofia  desolante,  non  nego,  ma  che 
fu  una  conseguenza  naturale  dei  dolori  fisici  e  morali 
da  cui  r  infelice  poeta  fu  oppresso,  ila  sebbene  vi  sìa 
tale  concetto  filosofico  predominante  questo  componimen- 
to poetico  è  uno  dei  più  belli  che  siano  usciti  dall'  in- 
gegno e  dal  cuore  dell'  illustre  Recanatese,  e  caro  ne 
riesce  per  1'  aggraziata  semplicità  con  cui  ci  pone  sot- 
t'  occhi  quella  donzeUetta  che  vie^i  dalla  campagna 


DI  GIACOMO  LEOPAHDt  293 

In  sul  calar  del  sole, 

e  la  vpcchiercUa  che 

Si(»(1e  con  le  vicine 
Su  la  scala  a  filar, 

rìof)rc)ando  i  bei  giorni  della  sua  fiorita  età.    E   ti  par 
di  vedere  e  d'  udire  che 

I  fanciulli  gridando 
Su  la  piazzuola  in  frotta, 
K  qua  e  là  saltando, 
Fanno  un  lieto  romore; 

ed  il  poeta  ti  fa  con  lui   entrare  nella  bottega   del  le- 
gnaiuolo, e  ti  fa  assistere  alla  diligenza  che  pone   per 


fornir  V  opra  anzi  il  chiarir  dell*  alba. 


Però  chiaro  aj^parisoe  tutto  il  concetto  filosofico  del- 
l' autore  nella  penultima  stanza,   in  cui  dice: 

Questo  di  nette  è  il  più  gradito  giorno 
Pien  di  «penie  e  di  gioia; 
Di  man  tristezza  e  noia 
Recheran  Toi^e,  ed  al  travaglio  u^ato 
Ciascuno  in  suo  pen^ier  farà  ritorao. 

Dalle  quali  parole  si  vede  come  il  Leopardi  credesse 
che:  ^  La  noia  non  ^  se  non  di  quelli  in  cui  Io  spi- 
rito è  qualche  cosa.  Più  può  lo  spirito  in  alcuno,  più 
la  noia  è  frequenta,  penosa  e  terribile;  ^  e  come  egli 
fosse  di  pensiero  che:  ^  L\  noia  ò  in  qualche  modo  il 
più  sublime  dei  sentimenti  umani  (1).  «  La  qual  cosa, 
e  molti  saran  del  mio  avviso,  non   posso  credere  vera. 


I 

294  DELLA    VITA    E   DELLE  OPERE 

altrimenti  bisognerebbe  convenire  che  la  povertà  di  spi- 
rito e  r  ignoranza  sono  i  più  grandi  beni  di  cui  possa 
r  uomo  godere,  mentre  non  sono  che  i  più  grandi  mali 
che  ne  possano  affliggere,  perciocché  allora  non  potrem- 
mo godere  della  civiltà,  la  quale  tanto  più  è  in  vigore 
quanto  più  gli  uomini  sono  colti  e  più  buoni.  Ma  eh*» 
a  tali  conclusioni  disperate  venisse  il  Leopardi  infeli- 
cissimo non  è  a  meravigliarsi,  solo  è  da  far  le  mera- 
viglie di  coloro  i  quali,  non  trovandosi  nelle  condizioni 
fisiche  e  morali  di  lui,  le  accettano  come  buone,  perchè 
vedendo  che  con  tutto  questo  egli  potè,  meritamente, 
conseguire  gloria  immortale ,  pensano  che  a  loro  sia 
dato  ottener  lo  stesso  fine  seguendone  la  dottrina  fi- 
losofica anco  in  quelle  parti  in  cui  non  può  e  non 
deve  essere   imitata. 

I^a  Ciinzone  A  Silvia,  in  cui  ricorda  l'amor  suo  per 
una  giovinetta  tessitrice  la  quale 

pria  che  l'erbe  inaridisse  il  verno. 

Da  chiuso  morbo  combattuta  e  vinta. 

cadeva  morta,  è  canzone  affettuosa,  piena  di  soave  me- 
lanconia, e  ti  commuove  sentire  il  poeta  che  si  lamenta 
del  suo  destino  con  queste  desolate  parole: 

Anche  peria  fra  poco 
La  speranza  mia  dolce:  agli  anni  miei 
Anche  negaix)  i  fati 
La  giovinezza.  Ahi  come. 
Ck>m6  passata  sei, 
Cara  compagna  dell'  età  mia  nova. 
Mia  lacrimata  speme! 
Questo  è  quel  mondo?  questi 
I  diletti,  r  amor,  1*  opre,  gli  eventi 
Onde  cotanto  ragionammo  insieme? 


DI  GIACOMO   LEOPARDI  295 

Quo^ta  la  sortp  delle  umanf"  genti  ? 
Air  ap|Kirir  del  v»»ro. 
Tu  niÌRprA,  c.ule«ti:  e  con  la  mano 
L:i  fn*  Ma  morte  e<l  una  tomba  ignuda 
Mostravi  di  lontano. 

La  poesia  <lol  Leopardi  è  eminentemente  soggettiva, 
perciò,  sìa  che  celebri  Un  vincitore  nel  giuoco  dtl  pal- 
lone^ sia  che  scioIj»:a  un  canto  a  Bruto  Minore  o  saluti 
La  Primavera^  sempre  vi  trovi  espresso  V  animo  intero 
dell'  autore,  e  la  cimdizione  i^sicologica  delle  varie  età 
di  lui  la  puoi  benissimo  dedurre  dall'  esame  dei  suoi 
parti  poetici,  i  quali  mentre  sono  condotti  con  un  pro- 
fondo gusto  deir  arte  non  cessano  di  essere  originali, 
non  si  allontanano  dalla  realtà  senza  però  dare,  come 
fanno  i  realisti  moderni,  nell'  osceno;  ed  esempio  di  rea- 
lismo (>  La  quiete  dopo  la  tempesta^  oltre  il  Sabato  del 
villaggio  che  già  esaminammo,  dove  sono  quadretti  de- 
licati, gentili  e  pieni  d'  incantevole  naturalezza,  si  che 
tu  non  sai  se  un  pittore  avrebbe  saputo  far  di  meglio 
per  quanto  valente  ed  esperto.  E  della  Primavera  ha 
scritto  di  lecente  una  analisi  accurata  lo  Zumbini,  il 
cui  valore  nella  critica  oggimai  tutti  conoscono,  mo- 
strando come  in  quei  versi  specialmente  si  riveli  nel 
Leopardi  T  amore  alle  favole  antiche,  che  gli  duole  sian 
spente,  come  già  se  n;'  dolsero  altri  poeti  stranieri,  e 
tra  noi  il  Monti.  Però  il  Recanatese  rimpiange  la 
morte  delle  favole  antiche  sotto  un  punto  di  vista  di- 
verso da  quello  che  fa  il  poeta  di  Fusignano;  questi 
considera  la  mitologia  solo  come  un  mezzo  per  adornare 
ed  abbellir*'  concetti  ed  idee  moderne  e  cristiane,  men- 
tre quegli   vorrebbe   che  ancora   fosse    viva   e  creduta, 


!É96  DELLA    VITA    E    DELLE   OPERE 

perchè  pensa  che  il  cuore  e  la  mente  debbano  appa- 
garsi meglio  delle  favole  che  non  di  certe  verità  le 
quali  dimostrano  la  vanità  delle  cose  umane.  Ciò  al- 
meno mi  sembra  dover  dire  in  quanto  all'  idea  inspi- 
ratrice  del  poeta,  riguardo  poi  alla  forma  della  canzone, 
consentendo  pienamente  collo  Zumbini  non  reputo  fuor 
di  luogo  citare  le  sue  stesse  parole. 

•*  .  .  .  Ciò  che  diparte  questa  canzone  leopardesea 
da  tutte  le  altre  poesie  moderne  intorno  alle  favole  an- 
tiche ,  sono  principalmente  le  sue  particolari  qualità 
estetiche.  Essa  canta  1'  antico,  appropriandosi  mirabil- 
mente le  forme  e  il  sentimento  dell'  arte  classica;  e  già 
notammo  in  essa  parecchie  immagini  di  antichi  poeti, 
nelle  quali  il  nostro,  trasportandole  in  questa  sua  can- 
zone, trasfuse  una  vita  e  un  calor  nuovo,  derivati  dal- 
la meditazione  amorosa  delle  proprie  idee,  del  suo  cuore 
stesso.  Ora,  come  abbiam  fatto  per  questa  canzone,  così 
per  tutte  le  altre,  e  specie  per  quelle  del  secondo  perio- 
do, si  potrebbe  studiare  questa  meravigliosa  appropria- 
zione di  forme  antiche,  compiuta  dal  Leopardi.  Potrebbe 
notarsi  come  talvolta  ei  togliesse  dagli  antichi  V  imma- 
gine insieme  con  1'  idea  a  cui  essa  faceva  luce;  come 
tal  altra  prendesse  1'  immagine  sola,  adoperandola  a  far 
poetico  un  concetto  tutto  suo  proprio.  Il  quale  secon- 
do modo  gli  riuscì  mirabilmente,  anche  quando  il  suo 
concetto  fondamentale  era  affatto  diverso  da  quello  del 
poeta,  da  cui  pigliava  immagini  o  concetti  particola- 
ri (1).  „    —  Ed  appunto  in  questo  io  son  di  pensiero 

(1)  V.  Zombi m:  Alla  Primavera,  o  dell»  Favole  antiche,  canzone  di  G/a> 
corno  Leopaì*di,  pag.  55.  —  Napoli,  Tip.  Pcrrotli   1879. 


6l  GIACOMO  LEOPARDI  207 

che  stia  il  segreto  dell'  arte  di  Leopardi,  che  è  antico 
e  moderno  ad  un  tempo:  antico  per  la  splendidezza, 
eleganza  e  luce  armoniosa  della  forma,  moderno  per  i 
pensieri  e  le  idee.  Egli,  piuttosto  che  servile  imitatore 
dell'  arte  antica,  può  dirsi  scrittore  originale  classico  che 
dai  latini  e  dai  greci  ha  saputo  prendere  quel  che  gli 
tornava  acconcio  alla  manifestazione  dei  suoi  concetti  ed 
appropriarselo  convenientemente. 

Ma  se  io  qui  volessi  mostrare  i  pregi  delle  poesie 
tutte  del  nostro  Giacomo,  troppe  altre  pagine  dovrei 
scrivere,  e  forse  farei  opera  vana  perchò  elleno  oggi- 
mai  corrono  per  le  mani  di  tutti,  ed  a  tutti  è  dato 
gustarle  ed  esaminarle  con  accuratezza,  a  me  basta  quel 
che  ne  ho  detto  sin  qui  per  far  vedere  che  la  fama  di 
sommo  poeta  dal  Leopardi  acquistata  gli  è  ben  dovuta, 
per  quanto  i  suoi  detrattori  ne  cantino. 

vn. 

Mali  fisici  e  morali  ée\  Leopardi. 
8aol  Tla^. 

Indebolito  più  che  mai  dagli  assidui  studii,  il  pò* 
vero  corpicciuolo  del  nostro  Giacomo  per  potere  corri- 
spondere alla  meravigliosa  attività  della  mente  sua,  as- 
salito da  grave  malore  agli  occhi,  si  che  non  potè  per 
qualche  tempo  studiare  sui  libri,  cominciò  a  meditare, 
quasi  unico  conforto  che  fosse  rimasto  al  suo  misero 
stato,  e  a  voler  cercare  la  ragione  delle  cose;  ed  inna- 
moratosi della  filosoBa  ma^  più  abbandonolla,  quantun- 
que da  lei  ricercasse  indarno  la  spiegazione  dei  grandi 
misteri  che  reggono  le  sorti  del  genere  umano,  e  le  vi- 
cende della  natura. 


298  HELLA   VITA    E   DELLE   OPERE 

Già  nel  1817  egli  si  lamentava  della  propria  sa- 
lute, scrivendo:  *"  Ma  mi  fa  infelice  primieramente  l'as- 
senza della  salute,  perchè,  oltre  che  io  non  sono  quel 
filosofo  che  non  mi  curi  della  vita,  mi  vedo  forzato  a 
star  lontano  dair  amor  mio,  che  è  Io  studio  (1).  r*  T^ 
pochi  giorni  appresso  soggiungeva.  "^  Sappiate  che  sono 
sei  mesi  che  io  non  iscrivo,  e  leggo  così  poco  che  si 
può  dir  niente  (2).  „  Ed  al  Giordani,  che  non  appena 
conobbe  il  Leopardi  ne  scoprì  il  grandissimo  ingegno 
e  strinse  con  lui  i  vincoli  della  più  sincera  e  calda  ami- 
cizia, in  data  del  29  agosto  del  1817  scriveva  queste 
altre  parole,  che  fanno  fede  dell'  infelice  stato  di  sua 
salute,  e  del  dolore  che  doveva  provarne:  *  Nella  prima 
vi  pregava  che  non  pensaste  di  me  quello  che  con  poco 
pericolo  ui  sbagliare  si  pensa  dei  giovani,  quando  di- 
cono di  essere  infelici:  vi  diceva  che  benché  io  abbia 
molti  desiderii,  nessuno  ha  potuto  mai  né  potrà  farmi 
infelice,  che  tale  mi  fa  V  assenza  della  salute,  che,  to- 
gliendomi lo  studio  in  Recanati  mi  toglie  tutto,  oltre  al 

■ 

pensiero,  che  è  stato  sempre  il  mio  carnefice,  e  sarà  il 
mio  distruttore,  se  io  durerò  in  poter  suo  in  questa 
solitudine  (3).  „ 

Riavutosi  alquanto  della  sua  malattia  oculare,  e  tor- 
nato alle  predilette  sue  occupazioni,  cominciò  a  provare 
vivissimo  il  desiderio  di  conoscere  uomini  e  cose,  e  di 
lasciare  Recanati  e  la  sua  famiglia  che  a  ciò  non  davan- 
gli  agio.  E  di  andare  in  una  città  pili  grande  consi- 
glia vanlo  ancora  gli  amici;  e  segnatamente  il  Giordani, 

(I)  LioPASDì:  Epistolirio,  Voi.  L  pig.  6t. 
(9)  LsopASDì:  Epi$(nIario,  Voi.  I.  pag.  65. 
(S)  LtovARDi:  EpisloUrio  VoL  I.  pag.  66.  • 


dì  GIACOMO     LEOPARDI  290 

il  quale  era  d^  avviso  che  altrove  avrebbe  avuto  mezzo 
di  far  conoscere  lo  straordinario  suo  inp^egno,  e  racco- 
gliere forse  ampia  messe  di  onori  e  di  gloria;  ma  ad 
attuare  tale  disegno  molti  ostacoli  gli  si  frapponevano 
dalla  famiglia,  la  quale  forse  fuori  di  casa  non  gli  avreb- 
be dati  i  mezzi  neoessari  per  vivere,  come  può  facil- 
mente arguirsi  da  molti  passi  di  lettere  di  Giacomo,  in 
una  delle  quali  egli  scrive:  **  Sappiate  che  io  non  ho 
un  baiocco  da  spendere;  ma  mio  padre  mi  provvede  di 
tutto  quello  che  io  gli  domando,  e  brama  e  vuole  che 
gli  domandi  quello  che  desidero.  E  io  tra  il  non  avere 
e  il  domandare  scelgo  il  non  avere,  eccetto  se  la  ne- 
cessità de'  miei  .tudii  o  la  voglia  troppo  ardente  di 
leggere  qualche  libro  non  mi  fa  forza  (1).  ^  —  E  qui 
ci  sarà  alcuno  che  chiamerà  stranezza  questa  del  poeta 
recanatese,  mentre  stranezza  non  è  in  un  giovane  che 
non  vuole  ormai  esser  governato  come  un  fanciullo,  in 
un  giovane  che  forse  sa  che  anche  alle  domande  dal 
padre  si  sarebbe  difficilmente  risposto  affermativamente, 
di  maniera  che  giunge  a  scrivere  queste  gravi  parole: 
"^  E  potrà  anche  far  la  fortuna  che  mi  manchi  il  vitto 
e  il  vestire,  ma  non  costringermi  a  domandarlo  neppure 
alla  mia  famiglia  (2).  „  E  tanta  avversione  non  vi  sa- 
rebl)e  stata  al  chiedere  se  avesse  conosciuto  facile  la 
condiscendenza.  Ma  in  Recanftti  si  vedeva  sempre  più  di 
mal  animo,  altresì  perch^  non  Io  stimavano  ancora  ca- 
pace di  pensieri  propri  e  non  avrebbero  voluto  che  agis- 
se di  sua  volontà,  ma  che  si  lasciasse  guidare  per  ma- 

(1)  LiorAftDi:  EpUtolirio,  Voi.  I.  pif.  86. 
(9)  LiofAiDi:  Epistolario,  Voi.  1.  pag.  118. 


300  DELLA  VITA  E  DELLE  ÒPERE 

no  quasi  un  fanciullo.  A  questo  proposito  mi  pare  im- 
portante riferire  il  seguente  brano  d'  una  sua  lettera, 
anche  a  costo  che  mi  si  abbia  a  biasimare  di  soverchie 
citazioni:  **  E  non  voglio  lasciar  di  dirvi  che  questi 
paesi  in  verità  sono  sterili  e  difficili,  ma  qualunque 
altro  colla  metà  della  mia  premura  ne  potrebbe  pur 
cavare  assai  più  eh'  io  non  potrei.  Alla  fine  io  sono  un 
fanciullo  e  trattato  da  fanciullo,  non  dico  in  casa,  dove 
mi  trattano  da  bambino,  ma  fuori  chiunque  ha  qualche 
notizia  della  mia  famiglia,  ricevendo  una  mia  lettera  e 
vedendo  questo  nuovo  Giacomo,  se  pure  non  mi  piglia 
per  r  anima  di  mio  nonno  morto  35  anni  fa,  che  portò 
questo  nome^  suppone  che  io  sia  uno  de'  fantocci  di 
casa,  e  considera  che  rispondendo  egli  uomo  fatto  (fosse 
ancora  un  castaido)  a  me  ragazzo,  mi  fa  un  favore;  e 
però  con  due  righe  mi  spaccia,  delle  quali  Y  una  con- 
tiene i  saluti  per  mio  padre.  In  Becanati  poi  io  sono 
tenuto  quello  che  sono,  un  vero  e  pretto  ragazzo,  e  i 
piti  ci  aggiungono  i  titoli  di  saccentuzzo,  di  filosofo, 
d'  eremita  e  che  so  io.  Di  maniera  che  s'  io  m'  arri- 
schio di  confortare  chicchessia  a  comperare  un  libro,  o 
mi  risponde  con  una  risata,  o  mi  si  mette  in  sul  serio 
e  mi  dice  che  non  è  più  quel  tempo;  che  venga  avanti 
e  vedrò  io;  che  anch'  egli  dell'  età  mia  aveva  questo 
genio  di  comprar  libri,  il  quale  se  n'  è  ito,  venendo 
il  giudizio;  che  il  medesimo  succ(^derà  a  me:  e  allora  io 
ragazzo  non  posso  alzar  la  voce  e  gridare:  razza  d'asini, 
se  vi  pensate  eh'  io  m'  abbia  a  venire  simile  a  voi  al- 
tri, v'  ingannate  a  partito:  che  io  non  lascerò  d' amare 
i  libri  se  non  quando  mi  lascerà    il  giudizio,    il  quale 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  301 

voi  non  avete   avuto  mai,    non   eh'  egli  vi  sia   venuto 
qunndo  avete  lasciato  d'  amare  i  libri  (1).  ^ 

Intanto  la  zia  Ferdinanda,  della  quale  ho  altrove 
parlatO;  scriveva  al  padre  di  Giacomo  per  indurlo  a  la- 
sciarlo andare,  almeno  per  qualche  tempo,  in  Roma  e 
sperava  di  riuscirci,  ma  ci  vollero  due  anni  innanzi  che 
egli  desse  a  ciò  il  suo  consentimento,  sia  perchè  la  strin- 
gatezza con  cui  Adelaide  teneva  il  marito  Monaldo  ed 
i  figli  faceva  sì  che  a  Giacomo  non  potesse  stabilirsi 
alcuna  somma  per  vivere  fuor  di  casa,  sia  perchè  il  pa- 
dre temeva  che  dal  contatto  coi  letterati  e  coi  giovani 
delle  università  il  figliuolo  potesse  divenire  seguace  dei 
principii  liberali.  E  questa  contrarietà,  ed  una  specie 
di  censura  domestica  che  s'  era  stabilita  perchè  "^  si 
sono  accorti,  scrive  Giacomo  al  Giordani,  che  io  ìxìòh- 
f«  0for«  vffi'  T^v  X9IV9ÌP  „  gli  accrescono  V  uggia  ed  il 
desiderio  d'  uscire  dalla  casa  patema,  dalla  quale  pur 
tenta  di  fuggire  chiedendo  al  conte  Xaverio  Broglio 
d'  Ajano  in  Macerata  il  passaporto,  che  però  viene  alle 
mani  di  Monaldo,  come  vedesi  da  una  lunga  lettera  del 
13  agosto  1819  allo  stesso  Broglio,  dove  V  infelice  gio- 
vane fa  una  vivissima  dipintura  della  crudeltà  del  d^ 
stino  e  della  domestica  tirannia,  che,  quantunque  sia 
stato  sempre  amante  della  virtù,  alla  fine  per  dispera- 
zione lo  condurranno  alla  colpa  perchè  la  virtù  m*  è 
stata  sempre  inutile  (2).  Anche  gli  amici  del  giovane 
filosofo  si  adoperavano  per  procurargli  un  mezzo  di  vi- 
co LiorAiiM:  Epistolirio  Voi.  I.  pag.  86  e  87. 

(9)  Vedasi  T  int<*res<anf«  scritto  del  Prof.  G.  Pierfili  toUtoltto.  Giacomo 
Lttpmrdi  vuoi  fuggire  dalla  caèa  patema,  clie  vide  la  luce  nella  muova  aw* 
roto«iA,  aooo  XIV  Fate.  IV  del   15  Febbraio  1879. 


302  DELLA   VITA   E   DELLE   OPERE 

vere  fuori  di  Recanati,  ed  il  Brighenli  da  Bologna 
scrivevagli  mostrandogli  come  in  quella  città  ci  sarebbe 
stata  una  cattedra  a  cui  egli  avrebbe  potuto  aspirare. 
Ma  per  poterla  ottenere  bisognava  far  degli  uffici  presso 
persone  potenti,  né  Monaldo  si  sarebbe  piegato  a  fame 
per  cosa  al  mondo.  "  Non  vuol  mantenermi  (scrive  il 
figlio),  fuori  di  qui  a  sue  sole  spese;  ma  non  move- 
rebbe una  paglia  per  procurarmi  altrove  un  mezzo  di 
sussistenza  che  mi  togliesse  da  questa  disperazione  (1).  ^ 
A  Roma  Ferdinanda  dal  canto  suo  si  adoperava,  ma 
indamo,  per  far  ottenere  al  nepote  la  cattedra  di  pro- 
fessore di  lingua  latina  alla  biblioteca  vaticana. 

Ma  per  quanti  fossero  gli  ostacoli  che  impedivano  a 
Giacomo  di  allontanarsi  dal  natio  borgo  selvaggio^  final- 
mente potè  superarli,  e  nel  mese  di  novembre  del  1822 
si  recò  a  Roma,  dove  trovò  le  vestigia  di  queir  antica 
grande?za  eh'  egli  insino  allora  aveva  studiata  sui  libri, 
ma  nulla  piti  che  le  vestigia,  poiché  scrive  alla  sorella 
Paolina:  ^  Parlando  sul  serio,  tenete  per  certissimo  che 
il  più  stolido  Recanatese  ha  una  maggior  dose  di  buon 
senso  che  il  più  savio  e  più  grave  Romano.  ^  Giudizio 
forse  in  gran  parte  esagerato  e  d^  un  uomo  di  pessimo 
umorBy  come  giustamente  osserva  il  Puccianti,  ma  che 
nasceva  naturale  in  lui,  che,  immerso  negli  studii  della 
veneranda  antichità,  si  figurava  di  trovare  i  nepoti  in 
tutto  e  per  tutto  degni  degli  avi,  mentre  invece  la  ti- 
rannide sacerdotale  aveva  tutto  guasto  e  corrotto. 

Quivi  si  pose  con  avidità  a  studiare  sui  codici  an- 
tichi,   e  frutto    di  questo   studio   si  fu  un  catalogo    di 

CO  LsopiBDi:  EpitCoItrio,  Voi.  I.  pag.  SII. 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  303 

manoscritti  greci  ed  altri  importanti  e  magnifici  lavori, 
p,  se  natura  e  fortuna  !*  avessero  favorito,  il  celebre 
Mai  non  sarebbe  stato  più  solo  nelle  sue  dotte  ricer- 
che. In  Roma  fu,  per  la  sua  molta  e  varia  dottrina, 
ammirabile  in  giovine  di  soli  27  anni,  amato  e  pre- 
murosamente cercato  dai  più  dotti  stranieri;  ed  il 
Xiebhur,  V  erudito  scrittore  della  storia  antica  di  Ro- 
ma, pubblicamente  rendeva  testimonianza  della  gran- 
dezza del  Recanatese,  ed  offerivagli,  ma  inutilmente, 
una  cattedra  di  filosofia  greca  in  Prussia,  ciò  che 
avrebbe  dovuto  fare  questa  ingratissima  e  sventura- 
ti.<sima  Italia,  dove  ben  di  rado  i  sommi  uomini  che 
vi  ebbero  i  natali  furono  degnamente  onorati;  e  ciò 
forse  perchè  la  grandezza  loro  poteva  esser  rimprovero 
alla  nullità  di  quelli  che,  solo  per  la  propria  servilità 
e  per  V  adulazione  ai  potenti  avean  potuto  conseguire 
onori  e  ricchezze.  —  Giacomo,  come  tutti  gli  uomini 
di  fermo  carattere  e  d'  eletto  ingegno,  rifuggiva  da  tali 
trasse  arti,  e  sebbene  desiderasse  uscire  della  mediocrità 
e  conseguire  fama  durevole  ,  non  voleva  conseguirlo  a 
prezzo  del  proprio  decoro  e  della  propria  dignità  se- 
condo egli  stesso  confessa  con  queste  parole:  *^  Ora- 
mai comincio,  o  mio  caro,  anch'  io  a  disprezzare  la 
gloria,  comincio  a  intendere  insieme  con  voi  che  cosa 
aia  contentarsi  di  se  medesimi,  e  mettersi  colla  mente 
più  in  su  della  fama  e  della  gloria  e  degli  uomini  e 
dì  tutto  il  mondo.  Ha  sentito  qualche  cosa  questo  mio 
cuore,  jìer  la  quale  mi  par  pure  eh'  egli  sia  nobile;  e 
mi  parete  pure  una  vii  cosa  voi  altri  uomini,  ai  quali  se 
per  avere  gloria  bisogna  che  m'  abbassi  a  domandar* 


304  DELLA   VITA   E  DELLE  OPEM 

la,  non  la  voglio  che  posso  l)en  io  farmi  glorioso  pres- 
so me  stesso^  avendo  ogni  co.sft  in  me,  e  più  assai  che 
voi  non  mi  potete  in  nessunissimo  modo  dare  (1).  ^ 
Queste  parole  scritte  al  Giordani,  che  possono  parere 
superbe,  non  sono,  ma  vengono  dettate  da  chi  ha  la 
coscienza  di  sé  e  si  sente  la  forza  di  disprezzare  ogni 
bassezza  e  volgarità  della  crassa  ignoranza  che,  masche- 
rata colle  vesti  della  sapienza,  vuol  fiirsi  dispensatrice 
di  fema  e'  di  lode. 

Ma,  ripeto,  se  i  monumenti  di  Roma  ricordavan  la 
sua  antica  grandezza,  non  così  gli  uomini  che  di  di- 
scendenti di  quegli  antichissimi  e  gloriosi  padri  non 
serbavan  altro  che  il  non:e;  mentre  essi,  oppressi  da  un 
mostro  di  governo,  eran  ridotti  un  vii  gregge  di  schiari; 
Leopardi  ciò  vide,  e  pianse  la  passata  e  morta  gran- 
dezza. D  Niebhur  si  adoperò  come  meglio  poteva  pres- 
so il  cardinal  Consalvi  a  fine  d'  ottenergli  un  impiego, 
e  questi  gli  offerse  la  prelatura,  facendogli  brillare  in- 
nanzi agli  occhi  la  speranza  di  rapidi  avanzamenri, 
ma  il  Recanatese  non  volle  saperne,  che  quello  non 
era  ufl&cio  il  qual  convenisse  al  suo  carattere  indipen- 
dente ed  al  suo  ingegno. 

E  che  di  prelature  e  di  cariche  non  volesse  saper- 
ne già  aveva  significato  al  Giordani  fin  dal  16  settem- 
bre 1817  con  queste  parole:  **  E  quando  dico  mondo^ 
intendo  questo  mondo  ordinario,  perchè  forse  volendo 
non  otterrei,  ma  certo  non  voglio  né  titoli,  né  onori, 
né  cariche;  e  Dio  mi  scampi  poi  dalle  prelature  che 
mi    vorrebbero  gittar  sul  muso  (2).  „ 

(1)  LiopARDi:  Epistolario,  Voi.  I.  pag.  96. 
(%}  LMPAasi:  fipiftoUiio,  Voi.  L  ptg.  70. 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  30S 

Nel  soggiorno  di  Roma  fatti  notevoli  non  gli  ac- 
caddero, ma  anche  qui  non  trovò  quello  che  pensava 
dovesse  essere  in  una  gran  città;  la  letteratura  era 
pettegola  e  ciarliera,  la  scienza  vacua  e  gonfia  di  vana 
superbia.  Ec<?o  com'  egli  scrive  dei  letterati  romani  a 
suo  padre,  nel  dicembro  del  1822:  ^  Quanto  ai  lette- 
rati, de'  quali  olla  mi  domanda ,  io  n'  ho  veramente 
conosciuto  pochi,  e  questi  pochi  m'  hanno  tolto  la  vo- 
glia di  conoscerne  altri.  Tutti  pretendono  d'  arrivare 
all'  immortalità  in  carrozza,  come  i  cattivi  cristiani  al 
paradiso.  Secondo  loro,  il  sommo  della  sapienza  uma- 
na, anzi  la  sola  e  vera  scienza  dell'  uomo,  è  V  Anti- 
quaria. Non  ho  ancora  potuto  conoscere  un  letterato 
romano  che  intonda  sotto  il  nome  di  letteratura  altro 
che  r  Archeologia.  Filosofia,  morale,  politica,  scienza  del 
cuore  umano,  eloquenza,  poesia,  filologia,  tutto  ciò  o 
straniero  in  Roma,  e  pur  un  giuoco  da  fanciulli,  a 
paragone  del  trovare  se  quel  pezzo  di  rame  o  di  sasso 
appartenne  a  Marcantonio  o  Marcagrippa.  La  bella  è 
che  non  si  trova  un  Romano  il  quale  realmente  pos- 
sieda il  latino  0  il  greco;  senza  la  perfetta  cognizione 
delle  quali  lingue,  olla  ben  vedo  che  cosa  mai  possa 
essere  lo  studio  doli'  antichità.  Tutto  il  giorno  ciarlano 
e  disputano,  e  si  motteggiano  no'  giornali^  e  fanno  ca- 
bale 0  partiti;  o  così  vivo  e  fa  progrossi  la  lott<*ratura 
romana  (1  ).  ^  Ma  se*  così  ora  la  gran  turba  dei  letterati 
dell'eterna  città,  puro  Giacomo  confossa  d'aver  tmvato 
il  Mai  tut(  altro  da  questa  canaglia,  e  parecchi  dotti 
forestieri  che  sono  ben  altra  cosa  che  i  Romani.  Sicch*"^ 

(1)  Lior*«Di:  Epi»tolari'S  Voi.  1.  pig.  968. 

ÀTchiv.  Slor.  March.  V  /.  20 


306  DELLA   VITA   E  DELLE  OPERE 

si  capisce  che  ben  presto  V  uggia  e  la  noia  lo  assal- 
gono anche  in  Roma,  ma  questo,  come  confessa  egli 
stesso  a  suo  fratello  Carlo,  viene  forse  dalla  sua  parti- 
colare costituzione  fisica  e  morale]  pur  tuttavia  il  ve- 
dere la  sciocchezza  e  vanità  de'  letterati  gli  fa  dispetto 
e  lo  avvilisce  in  modo  che  manderebbe  la  letteratura 
al  diavolo  mille  volte. 

Intanto  la  lontananza  dal  luogo  natio  facevagli  più 
prepotente  sentire  V  amore  dei  suoi,  facevagli  rinascere 
il  desiderio  di  riveder  quelle  cose  in  mezzo  alle  quali 
avea  trascorso  gli  anni  di  sua  prima  giovinezza,  ed  il 
cui  pensiero  ridestavagli  cari  ed  affettuosi  ricordi:  ab- 
bandonò dunque  Roma,  ed  in  Recanati  fece  ritorno,  ma 
diverso  da  quello  di  prima,  perchè  non  aveva  trovato 
che  la  società  appagasse  le  umane  illusioni,  ed  il  di- 
singanno cominciavalo  a  tormentare. 

Nel  luglio  1825  lasciò  di  nuovo  Recanati  a  fine  di 
recarsi  a  Milano,  dove  lo  aveva  chiamato  V  editore  A.  F. 
Stella  per  assistere  alla  pubblicazione  delle  opere  di 
Marco  Tullio  Cicerone  e  degli  altri  classici  latini.  Stra- 
da facendo  fermossi  in  Bologna,  dove  fu  accolto  da  quei 
letterati  in  guisa  che  parvegli  più  cordiale  di  quella  di 
Roma,  poiché,  scrivendo  a  Francesco  Puccinotti  in  data 
del  20  marzo  1826,  gli  dice:  ^  Mi  chiedevi  nella  tua 
ultima  come  mi  trattassero  questi  signori  letterati.  In 
verità  non  ho  di  che  lamentarmi;  mi  fanno  più  onore 
che  io  non  merito.  „  E  questa  ultima  frase  mostra  co- 
me la  vera  dottrina  vada  in  lui  accompagnata  ad  una 
rara  ed  imitabile   modestia. 

Trattenutosi  pochi  giorni,  per  allora,  a  Bologna  alla 


M  GIACOMO   LEOPAUm  M7 

fine  di  luirlio  era  a  Milano,  dov'  ebbe  oneste  acoojrHenre 
dallo  Stalla,  ma  dove  si  trovò  men  bene    che    a  Bolo- 
ìrna-  A  qaali  lavori  attendesse  nella  capitale  della  Lom- 
bardia ec-oo  come  egli  stesso  ce  lo  significa:    **   I    miei 
lavori  letterari    in  Mihno    sono  stati    il  combinare    gli 
elementi    di  una  edizione  latina,    e  di  un^  altra    latina 
e  italiana    di   tutte    le  o]*ere    di    Cicerone;    della  quale 
vedrai  presto  i  programmi,  Y  uno  latino,  Y  altro  italia- 
no, che  ho  fatto  io.  Conservo    qui   una  soprantendenza 
lontana  su  questa  intra] »n^a  e  su  quelli   che  vi  lavora- 
no, na  io  non  avrò  j»arte  alcuna  neMavori  stessi  (1)  ,» 
—  Ma  neir  ottobre  dello  stesso    anno   era  di  nuovo  a 
Bologna  dove  attese    alla  publicazione    delle  sue  poesie 
e  a  quella  delle  prose,    che  si  stampavano    in  Milano; 
ed  in  Bologna  dimorò  sino  al  novembre  del  1826,  e}>o- 
ca    in  cui  fece    ri  tomo  in  Recanati.    Quivi    attese,  p<T 
conto   dello  Stella    che     fino   al   1829    gli    pagò    scudi 
venti  mensili,  alla  compilazione  della  Antologia  classica 
italiana,  dopo  aver  data  Y  ultima  mano  ali*  edizione  del 
Petrarca,    nella  quale    sej)p(»    mostrare  quanto   profonda 
foase  la  sua  dottrina  filologica  e  quanta  Y  acutezza  della 
crìtica  che  per  lui  era  avviata  su  d'  una  nuova  strada 
più  ragionevole  e  più    utile.    Ma  nel  paese    natio    non 
rimase  a  lungo,  che  il  desiderio  anlentissimo  dì  rinve- 
nire quella   felicità,    eh'  egli  stesso    avea    cantato    esser 
cosa  vana,  lo  sjinse  di  nuovo  a  Bologna,  dove  fu  nel- 
r  aprile  del   1827;  dopo  due  mesi  andò  a  Firenze, 

Quivi  una  nuova    vita   gli  si  a{>erse    dinnanzi.    La 
purezza  del  cielo,  la  nìitezza  dell'  aere,  la  gentilezza  dei 

(1)  LtorARDi:  tpitlolaiio  \ol.  I.  ptft.  .V7. 


308  DELLA   VITA    E  DELLE  OPERE 

costumi ,  la  dolcezza  della  favella  lo  incantarono ,  e 
gli  fecero  per  breve  tempo  dimenticare  i  dolori  della 
sua  travagliata  esistenza;  dolori  allora  accresciuti  dalla 
malattia  agli  occhi  che  tornavalo  a  tormentare.  Nel- 
la Atene  italiana  entrò  presto  in  rapporti  d'  amicizia 
coi  più  valenti  cultori  delle  lettere  che  sono  tutti  molto 
sociali,  e  generalmente  pensano  e  valgono  assai  più  dei 
bolognesi,  ed  ebbe  la  ventura  di  conoscervi  queir  Ales- 
sandro Manzoni,  che  coi  suoi  Promessi  Sposi^  usciti  di 
quei  giorni,  arricchiva  la  nostra  letteratura  di  un  jre- 
ziosissimo  libro,  e  dimostrava  come  V  arte  debba  sapersi 
divincolare  dai  legami  e  dalle  pastoie  dei  retori  e  dei 
pedanti  se  non  vuole  riescire  una  statua  senza  vita  e 
senza  sangue,  che  non  ti  scuote  e  non  ti  commuove.  — 
Ecco  il  giudizio  di  Leopardi  su  Manzoni:  "  Io  qui  ho 
avuto  il  bene  di  conoscere  personalmente  il  signor  Man- 
zoni, e  di  trattenermi  seco  a  lungo:  uomo  pieno  di 
amabilità,  e  degno  della  sua  fama  (1).  „  E  se  Giaco- 
mo fosse  potuto  entrare  in  maggiori  vincoli  d'amicizia 
col  grande  milanese  non  solo  avrebbe  confermato  il 
primo  giudizio ,  ma  lo  avrebbe  ampliato  mostrando  la 
ragionevolezza  della  maggior  parte  delle  teorie  letterarie 
da  lui  professate. 

Nel  novembre  fu  a  Pisa,  del  cui  soggiorno  trovossi 
contento  perchè  la  dolcezza  del  clima  pareva  gli  gio- 
vasse alla  salute,  così  che  gli  cominciò  di  bel  nuovo  a 
sorridere  la  speranza,  e  potè  con  maggior  lena  attendere 
ai  suoi  lavori  letterari.  Ai  10  di  giugno  del  1828  era 
di  nuovo  a  Firenze,  dove    però    pel  caldo    tornarono    a 

(I)  Lbopabdi:  Epìs4olario:  Voi.  \\.  pag.  38. 


DI  GIACOMO   LEOPARDI  309 

tormentarlo  pifi  acerbamente  i  suoi  dolori  fisici,  sicché 
sospira  il  freddo  anche  per  poter  mettersi  in  viaggio 
e  tornar  a  vedere  la  sua  famiglia,  e  si  pente  di  aver 
lasciata  quella  bdV  aria  di  Pisa.  —  Avrebbe  voluto 
lasciar  Firenze  ed  avviarsi  a  Bologna,  perchè  l'assenza 
del  Giordani  gliela  rendeva  monotona  e  maliconica,  ma 
in  quella  stagione  gli  era  impossibile;  però  finalmente 
nel  novembre  dello  stesso  anno  tornava  in  patria. 

Quivi  neir  inverno,  che  corse  rigidissimo  tra  il  1829 
ed  il  1830,  tornò  a  venirgli  meno  la  speranza  nella 
felicità  e  nella  gloria,  porche  assalito  e  tormentato  più 
che  mai  dalle  sue  infermità.  ^  H  soggiorno  di  Reca- 
nati, scriveva  egli  al  Papadopoli,  non  mi  è  caro  certa- 
mente, e  la  mia  salute  ne  patisce  assai  assai;  ma  mio 
padre  non  ha  il  potere  o  la  volontà  di  mantenermi 
fuori  di  casa;  fa  conto  che  la  mia  vita  sia  termina- 
ta (1).  ^  Ma  pur  tuttavia  il  pensiero  di  Giacomo  era 
rivolto  a  poter  trovar  modo  di  vivere  fuori  di  Recanati, 
ed  a  tal  fine  si  adoj  eravano  i  suoi  amici,  tra  quali 
1'  avv.  Ferdinando  Maestri  si  brigò  insieme  al  barone 
Ferdinando  Cornacchia,  di  fargli  ottenere  una  cattedra 
neir  università  di  Parma,  e  infatti  al  Leopardi  venne 
o£ferta  la  cattedra  di  storia  naturale,  che  non  era  certo 
la  più  adatta  per  lui  il  quale  sino  allora  aveva  atteso 
ad  altri  studii,  sicché  si  credette  in  dovere  di  rifiutar- 
la, cosa  a  cui  altri  meno  coscienzioso  ed  onesto  di  lui 
non  avrebbe  badato  più  che  tanto.  Dunque  le  melan- 
conie, gli  bcoraggiamenti  più  fieramente  lo  assalivano, 
e  fu  in  tale  stato  dello  spirito  suo  che  wrìsse  una  delle 

(\)  LtopiKM:    Epi^loliiio,  Vu'.  II.  pa(t.  110. 


I 


310  DELLA   VltA  t  DELLE  OPERE 

più  belle  di  sue  poesie,  Le  Ricordanze;  dove  i  senti- 
menti che  tormentavanlo  sono  tutti  al  vivo  descritti, 
dove  si  vede  V  abbattimento  dell'  animo  suo  per  esser 
condannato  a  vivere  g^li  anni  di  sua  giovinezza  nel 

Natio  borgo  selvaggio,  intra  una  gente 
Zotica*  vii:  cui  nomi  strani  e  spesso 
Argomento  di  riso  o  di  trastullo 
Son  dottrina  e  saiier: 

dove  crede  di  essere  invidiato  bassamente.  E  V  infelice 
poeta  muove  lamento  d'  esser  costretto  a  passare  i  suoi 
verdi  anni 

abbandonato,  occulto. 

Senz"  amor,  senza  >*ita; 

e  quindi  soggiunge: 

Qui  di  pietà  mi  spoglio  e  di  virtudi. 

E  sprezzator  degli  uomini  mi  rendo. 

Per  la  greggia  e*  ho  appresso:  e  intanto  vola 

n  caro  tempo  giovani^  più  caro 

Che  la  fama  e  V  allòr,  più  che  la  pura 

Luce  del  giorno,  e  lo  spiran  ti  perdo 

Senza  un  diletto,  inutilmente,  in  questo 

Soggiorno  disumano,  intra  gli  affanni , 

0  deU*  arida  vita  unico  fioro. 

n  poeta  ha  bisogno  di  amore,  ma  indamo  lo  cerca  tra 
gli  uomini  e  le  cose  che  lo  circondano;  il  cuore  gli 
dice  ama,  ma  la  voce  più  potente  dell'  intelletto  gli 
mostra  che  in  niente  è  il  bene,  ed  egli  si  dispera  e 
piange  di  non  poter  conseguire  quello  che  brama  ar- 
dentemente, perchè 

Fantasmi,  intendo 

Son  la  gloria  e  V  onon  diletti  e  beni 
Mero  desìo:  non  ha  la  vita  un  frutto. 
Inutile  miseria. 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  311 

Ricorda  molte  delle  cose  che  lui  fanciullo  allietavano, 
ma  ora 

con  dolor  sottentra 

Il  penpìer  del  proaento,  un  van  desio 

Del  passato,  ancor  tristo,  e  il  dire:  io  fui. 

È  la  desolazione  che  si  è  impadronita  del  poeta, 
sono  i  dolori  e  le  nequizie  umane  che  gli  mettono  sul- 
le labbra  sì  sconfortanti  accenti,  ma  pure  un  barlume 
di  speranza  esisto  ancora  del  cuor  suo,  e,  riavutosi  al- 
quanto dalle  sue  infermità,  c^nta  11  Risorgimento^  dove 
confessa  essersi  accorto  che 

Pur  di  quel  pianto  orìgine 
Era  l'antico  afletto: 
Neir  intimo  del  petto 
Ancor  viveva  U  cor. 

Ed  il  cuore  suo,  sempre  buono  e  gentile,  si  riconforta  a 
vedere  le  cose  belle  della  natura,  e  a  quegli  affetti  che 
tornavano    ad    impadronirsi   di  lui,  coussolato  domanda: 

Siete  pur  voi  queir  unica 
Luce  de'  giorni  miei  ? 
Gli  afletti  che  io  perdei 
Nella  novella  etÀ? 

Ed  è  contento  che  quello  che  prima  per  lui  era  dive- 
nuto muto,  gli  tomi  a  favellare  dolcemente  al  cuore,  e 
glielo  riempia  d'  un  insolito  affetto,  il  quale  dà  speran- 
za di  miglior  avvenire: 

Meco  rìtonia  a  vivere 
La  piag^'ia.  il  bo«fo.   il  monte. 
Parla  al  mìo  con»  il  fonte. 
Mero  fa%'elU  il  mar. 


312  DELLA   VITA    E   DELLE   OPERE 

vm. 

eli  ultimi  anni. 

Frutto  dei  momenti  in  cui  più  grave  assalivalo  il 
dolore  e  la  melanconia,  che  rendevangli  la  vita  un .  in- 
sopportabile peso,  sono  altri  versi  come  La  Gifiestray 
i  quali,  sebbene  contengano  pensieri  tetri  e  dubbiosi, 
pure  ti  scendono  al  cuore,  ad  esso  ti  parlano,  ti  com- 
muovono, e  ti  fanno  restare  ammirato  di  loro  bellezza 
ed  armonia.  E  intorno  alla  Ginestra^  nella  quale^  ogni 
volta  che  la  rileggo,  trovo  nuovi  tesori  di  elettissima 
poesia,  vorrei  qui  ora  spendere  alcune  parole,  ma  non 
mi  par  di  poterne  far  meglio  rilevare  il  concetto  a  cui 
s'  informa  che  riportando  quanto  ne  scrive  il  Capellina 
nel  suo  studio  intomo  al  Leopardi. 

"  Tutti  questi  dolori  della  sua  vita  raccolse  come 
neir  ultimo  grido  dell'  anima  sua  nella  Ginestra^  dove 
tu  vedi  r  amara  ironia  deridere  i  canti  dell*  uomo  e 
i  sognati  progressi;  e  la  nullità  di  questo  in  faccia  del- 
la natura,  il  disprezzo  immenso  del  poeta  per  esso,  e 
pei  suoi  sogni  di  felicità,  e  la  persuasione  che  la  vera 
nobiltà  dell'  uomo  consista  nel  collocare  arditamente  lo 
sguardo  contro  il  &to  comune,  nel  confessare  franca- 
mente la  miseria  e  la  viltà  dell'  essere  suO;  e  nel  vo- 
lere, che  la  comunanza  dei  patimenti  sia  la  cagione 
dell'  amore  tra  gli  uomini  e  del  vicendevole  aiutarsi 
fra  loro.  La  contemplazione  dell'  immensità  della  natura 
accresce  nel  poeta  la  pietà  e  forse  più  ancora  lo  scher^ 
no  per  la  piccolezza  dell'  uomo;  la  vista  del  Vesuvio 
gli  rammenta,  come  questa  natura  in  un  istante  abbia 


01  GIACOMO   LEOPABDI  313 

distrutte  le  opere  di  molti  secoli  e  tante  speranze  di 
eternità  e  di  gloria,  e  il  pensiero  che  quel  debole  fiore 
del  deserto  potrà  essere  fra  poco  distrutto  dall'  ardente 
lava,  lo  induce  ad  invidiare  ;la  sorte  di  esso  in  para- 
gone di  quella  dei  mortali ,  perchè  meno  infermo  di 
loro  non  ha  sognato  una  Tana  felicità,  né  creduto  di 
sopravvivere  al  fato  e  di  durare  immortale.  ^  —  Ma 
questo  concetto  è  vestito  di  tutte  le  più  attraenti  forme 
della  bellezza  greca,  regna  per  entro  tutto  il  disperatis- 
simo canto  una  sì  dolce  armonia  che  tu,  mentre  non 
puoi  far  a  meno  di  lamentare  che  1'  infelice  poeta  sia 
seguace  di  quella  scuola  che  canta  la  vuota  nullità  del 
tutto,  non  puoi  non  ammirarlo,  non  puoi  non  sentirti 
rapire  soavemente  quasi  dal  dolce  suono  delle  lire  eolie, 
come  t'  accade  quante  volte  t'  avvieni  in  opera  d'  arte 
che  sia  informata  a  vera  bellezza.  Ed  anco  i  Parali- 
pomeni^ che  vogliono  riescire  una  specie  di  satira,  ci 
rivelano  il  riso  sarcastico  del  poeta  che  ormai  s'  è  do- 
vuto dolorosamente  convincere  che  bene^  virtù  e  felicità 
8on  cose  che  non  si  possono  aggiungere  dai  mortali,  i 
quali  però  di  tutto  ciò  menano  vanto,  e  quanto  meno 
lo  meritano  se  ne  gloriano;  e  di  qui  vengono  quei  frizzi 
che  certamente  devono  esser  diretti  dal  Leopardi  a  scrit- 
tori del  suo  tempo,  che  però  sarebbe  difficile  ora  argo- 
mentare quali  fossero. 

La  forma  letteraria  di  questo  poemetto,  non  mi  par 
che  possa  farlo  ascrivere  alle  migliori  cose  del  Recana- 
tese ,  però  ha  un'  importanza  speciale  per  rilevare  lo 
stato  psicologico  di  lui  in  quei  giorni,  e  perciò  non  è 
a  meravigliarsi  se  lo  Zumbini  si  sia  lungamente  diffuso 


314  DELLA   VITA   E   BELLE  OPERE 

a  scrivere  intorao  ai  Paralipomeni  ^  e  che  anche  il 
D'  Ovidio  v'  abbia  speso  intorno  non  poche  parole,  del- 
le quali  non  riuscirà  discaro  al  lettore  che  riporti  le 
seguenti:  "  Nei  Paralipomeni  il  Leopardi  usci  dal  suo 
genio.  Il  sentimento  della  relatività  di  tutte  le  cose 
umane,  della  subiettività  di  tutti  i  nostri  concetti  ed 
affetti ,  della  illusorietà  delle  nostre  speranze  e  de'  no- 
stri desiderii ,  i  quali  spesso  non  si  racfgiungono ,  e , 
anche  raggiunti  lascian  V  animo  in  gran  parte  insoddi- 
sfatto, è  un  sentimento  che  tutti  hanno:  anche  il  cre- 
dente, che  per  la  felicità  vera  sente  di  doversi  rimettere 
a  una  vita  diversa  da  questa.  Ma  in  tutti  vien  esso 
più  0  meno  a  ogni  istante  sospeso  dalla  forza  delle  im- 
pressioni momentanee,  o  consolato  colla  speranza  della 
vita  futura.  Nel  Leopardi  invece,  il  desiderio,  e  insieme, 
a  soddisfarlo,  almeno  in  parte,  ebbe  singolarmente  av- 
verse tutte  le  condizioni  fisiche,  economiche  e  sociali, 
quel  sentimento  si  concentrò.  La  fede  religiosa  avrebbe 
potuto  scemargli  il  dolore;  che  da  quel  sentimento  gli 
derivava,  col  lontano  conforto  della  vita  oltremondana; 
ma  le  dottrine  invece  eh'  ei  professava  non  faceano  che 
spiegargli  il  suo  male  e  mostrarglielo  naturale  ed  insa- 
nabile. Onde  che  lo  sconforto,  la  malinconia,  come  a 
dir  questa  luce  diffusa ,  che  tutti  gli  animi  specchiano 
moderatamente ,  trovò  nell'  animo  del  Leoj  ardi  come 
una  lente  ritorta  in  cui  concentrarsi  ed  avere  il  suo 
foco.  Ora  quando  esprime  lo  sconforto,  la  malinconia, 
egli  è  inarrivabile:  è  il  primo  lirico  del  mondo.  Quando 
n'  esce,  naufraga,  com'  è  nei  Paralipomeni  e  nella  Pa- 
linodia. Son  naufragi  da  buon  nocchiero,  ma  son  però 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  315 

naufragi.  Egli  vuol  riuscire  ironico,  satirico.  Ma  V  ironia 
sua  non  ha  finezza,  il  suo  scherzo  non  ha  grazia.  Tante 
volte  comincia  con  la  satira  e  finisce  parlando  sul  se- 
rio. Il  frizzo  sfrima  in  un  raziocinio,  la  caricatura  nel- 
r  invettiva.  Comincia  V  ottava  col  riso ,  ma  1'  ottava 
non  è  ancora  chiusa  e  il  riso  non  ancoT  finnito  di  for- 
mare, che  già  egli  digrigna  i  denti  (1).  ^  —  E  il 
D'  Ovidio  ha  perfettamente  ragione,  però  la  spiegazione 
del  perchè  il  Leopardi  nella  satira  sia  riuscito  inferiore 
ad  altri  che  la  satira  dettarono,  la  troviamo  nella  sua 
natura  fieramente  sdegnosa ,  cui  il  male  ed  il  vizio 
piuttosto  che  muovere  il  riso  muovono  T  ira  e  lo  sde- 
gno, e  se  anco  si  sforza  a  ridere  lo  sforzo  non  sa  col- 
r  arte  nascondere  sì  che  tu  non  se  t'  avveda. 

Il  10  maggio  1830  Giacomo  era  di  hel  nuovo  in 
Firenze,  dove  gli  amici  gli  fecero  le  più  liete  accoglien- 
ze, e  sotto  quel  mitissimo  cielo  la  sua  salute  da  princi- 
pio si  riebbe  un  poco.  La  familiarità  già  da  prima  con- 
tratta col  generale  Colletta,  (V  autore  illustre  di  quella 
Storia  del  Reame  di  Napoli^  che  fu  un  libro  di  ftioco 
contro  la  brutale  tirannide  dei  Borboni),  divenne  in 
questa  occasione  propriamente  intima  di  modo  che  ogni 
giorno  erano  insieme  e  si  comunicavano  a  vicenda  i 
propri  dolori,  le  speranze  dell'  avvenire,  e  V  uno  al- 
l' altro  porgeva  conforto  ai  prediletti  studii. 

In  questo  mezzo  un  filologo  tedesco,  il  signor  Luigi 
De  Sinner,  chiedeva  eri  otteneva  dal  Leopardi  tutti  i 
suoi  manoscritti  filologici  per  stamparli  in  Germania, 
ma  poi  non  ne  pubblicò  che  una  piccola  scelta  a  Bonna 

(I)  D*  Ovidio:  Saggi  Criltoi  pag.  s  v  6.  —  «Napoli  V.  Morano. 


I 


316  DELLA  VITA  E  DELLE  OFEBE 

nel  1834  col  titolo:  Excerpta  ex  schedi s  criticis  Jacobi 
Leopardi^  Giacomo  poi,  dal  canto  suo,  attendeva  alla 
ristampa  di  tutti  i  suoi  canti,  che  vennero  alla  luce  in 
Firenze  nel  1831  coi  tipi  di   Guglielmo  Piatti. 

Neir  ottobre  dello  stesso  anno  1831  si  portò  a 
Roma,  e  perchè  abbandonasse  Firenze  all'  improvviso 
non  apparisce  dalle  sue  lettere,  si  vede  che  anzi  pone 
grande  studio  a  non  manifestarlo ,  perchè  al  fratello 
Carlo ,  pel  quale  non  aveva  segreti ,  scrive:  ^  È  na- 
turale che  tu  non  possa  indovinare  il  motivo  del  mio 
viaggio  a  Roma,  quando  gli  stessi  miei  amici  di 
Firenze ,  che  hanno  pure  molti  dati  che  tu  non  hai, 
si  perdono  in  congetture  lontanissime.  Dispensami ,  ti 
prego,  dal  raccontarti  un  lungo  romanzo,  molto  do- 
lore e  molte  lagrime.  Se  un  giorno  ci  rivedremo, 
forse  avrò  forza  di  narrarti  ogni  cosa.  Per  ora  sappi 
che  la  mia  dimora  in  Roma  mi  è  come  un  esilio  acer- 
bissimo, e  che  al  pili  presto  possibile  tornerò  a  Firenze, 
forse  a  marzo,  forse  a  febbraio,  forse  ancor  prima  (1).  , 
E  nel  marzo  infatti  era  di  nuovo  nella  eulta  capitale 
della  gentile  Toscana,  dove  il  Leopardi  fu  eletto  acca- 
demico della  Crusca. 

In  questo  mezzo  era  venuto  alla  luce  il  libro  di 
Monaldo  Dialoghetti  sulle  materie  correnti  nell'  anno 
1831j  libro  che  fu  ricercatissimo,  sicché  in  tre  mesi  se 
ne  fecero  in  Italia  sei  edizioni,  e  contro  il  quale  l'aba- 
te La  Mennais  scrisse  un  articolo  virulento  col  titolo: 
De  V  Absolutisme  e  de  la  Libertèj  publicato  nella  Revue 
des  Detix  Mondes  del  1.  agosto  1834.  Si  capisce  facil- 

(1)  Lkopabdi;  Epislnbrio,  Vo).  II.  pap.  169. 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  31? 

mente  che  le  idee  manifestate  in  questi  Dialoffhetti  dal 
loro  autore  erano  tutt'  altro  che  liberali,  per  il  che,  es- 
sendosi sparsa  voce  che  Giacomo  li  avesse  dettati,  egli 
stimò  necessario  rifiutarne  pubblicamente  la  paternità, 
come  si  vede  dalla  sua  dichiarazione  al  Vieusseux  stam- 
pata nella  Antologia  di  quei  giorni. 

Ridotto  in  gravissime  circostanze  economiche  si  ri- 
volse al  padre  per  ottenere  un  assegno  mensile  dì  12 
francesconi,  che  ottenne.  Intanto  la  sua  salute  tornava 
a  riì^entire  forti  danni,  sicché  gli  era  impossibile  l'ap- 
plicare come  avrebbe  voluto,  e  la  noia  e  la  melanconia 
gli  rendevano  sempre  più  uggiosa  la  vita.  ^  Se  mai 
persona  desiderò  la  morte  così  sinceramente  e  viva- 
mente come  la  desidero  io  da  gran  tempo,  certamente 
nessuna  in  ciò  mi  fu  superiore.  Chiamo  Iddio  in  te- 
stimonio della  verità  di  queste  mie  parole  (1).  „  Ma 
pure  in  Rocanati  non  può  e  non  vuole  tornare,  perchè 
ivi  la  sua  vita  andrebbe  innanzi  ancor  più  misera  ed 
infelice. 

Consigliatagli  da  medici  V  aria  di  Napoli,  egli  che 
era  in  istretta  amicizia  con  Antonio  Ranieri  insieme 
con  lui  vi  si  reca  nell'  ottobre  del  1833,  in  seguito 
alle  sollecitazioni  della  sorella  dell'  amico  Paolina  Ranie- 
ri, che  al  frab^llo  diceva:  **  Se  ti  dà  cuore  di  menarlo 
qui,  io  ti  prometto  di  fargli  da  suora  di  Carità.  „  Ed 
in  fatti  al  Ix^opardi  fu  prodiga  di  tutte  le  più  amorevoli 
e  sollecite  cure,  fu  V  angelo  che  consolò  alcun  poco  gli 
ultimi  giorni  dell'  infelice  esistenza  del  grande  Recana- 
tese. Ma  Tìb  le  curo  affettuose  dell'  amicizia,  né  le  auro 

(1)  LiopAROi:  Epi^loUrio,  Vul.  U.  pag.  196. 


I 


318  DELLA  Vita  e  delle  opere 

balsamiche  del  Sebeto,  né  le  ridenti  piagge  di  Mergel- 
lina  hanno  tanto  di  potere  di  ritornare  in  lui  la  per- 
duta vigoria,  e,  dopo  aver  chiesto  che  gli  si  apra  la 
finestra  per  dare  un  ultimo  saluto  al  sole  della  sua 
Italia,  muore  tra  le  braccia  del  suo  diletto  amico  An- 
tonio Ranieri  il  14  giugno  1837  alle  cinque  pomeridia- 
ne. Il  dolore  provato  dal  Ranieri  per  la  perdita  del- 
l' amico  fa  immenso  come  rilevasi  dalle  tre  lettere  da 
lui  dirette  a  Monaldo  Leopardi,  che  farono  or  non  è 
guari  pubblicate  nel  1"**  volume  delle  opere  inedite  di 
Giacomo,  stampato  in  Halle  dal  Prof.  Cugnoni;  ed  alla 
pietosa  amicizia  di  lui  si  deve  se  il  cadavere  fu  salva- 
to dalla  comune  fossa  degli  appestati  (che  allora  il 
morbo  infieriva  in  Napoli),  e  venne  composto  in  una 
modesta  tomba  nella  chiesa  di  S.  Vitale,  sita  sulla 
strada  di  Pozzuoli  a  breve  disianza  dalla  grotta  di  Po- 
silipo,  ed  una  modestissima  pietra  ricorda  '  che  lì  sono 
le  ossa  di  colui  al  quale  1'  Italia  dovrebbe  una  volta 
innalzare  degno  monumento. 

Da  quanto  sono  venuto  sin  qui  dicendo  mi  sembra 
chiaramente  possa  rilevarsi  essere  il  Leopardi  stato  d'in- 
dole assai  mite,  di  natura  franca,  leale,  indipendente, 
e  che  se  il  dubbio  dai  suoi  scritti  traluce ,  anzi  bene 
e  spesso  li  domina  interamente,  ciò  devesi  ripetere  dal- 
le avversità  che  lo  travagliarono.  Ad  ogni  modo  io  non 
penso,  come  gli  avversarii  suoi,  che  il  dubbio,  il  quale 
agita  la  mente  ed  il  cuore  dell'  infelice  Recanatese,  sia 
tale  da  agghiacciar  1'  anima,  e  da  far  sì  che  s'  abbiano 
in  ispregio  le  cose  più  sacrosante  del  genere  umano-, 
tanto  è  vero  che  il  nostix)  poeta  cantò  le  bellezze  della 


DI  GIACOMO   LEOPARDI  319 

natura,  la  virtù,  la  jatria,  la  famiglia,  e  queste  cose 
ammirò  ed  amò  con  la  potenza  di  un  giovane  cuore: 
e  come  si  può,  domando  io^  fare  poesia  vera,  manife- 
stando sentimenti  che  non  si  provano  ?  Furono  i  segua- 
ci del  Leopardi  che ,  come  suole  avvenire  di  tutti  gli 
imitatori,  esagerarono  e  fecero  base  della  loro  poesia  il 
dubbio,  e  cui  parve  di  pili  avvicinarsi  al  loro  maestro 
mettendo  in  forse  tutto ,  e  bellezza ,  e  virtù ,  e  santità 
ili  affetti  domestici  e  cittadini.  I^eopardi  corre  dietro 
con  ansia  febbrile  alla  verità,  e,  come  tutte  le  anime 
grandi ,  quando  non  può  raggiungerla  si  dispera ,  si 
sconforta  e  dubita.  Egli  è  poeta,  i  suoi  imitatori  non 
lo  sono ,  perchè  dubitano  per  ostentazione ,  e  il  loro 
dubbio  non  è  il  risultato  delle  loro  ricerche ,  dei  loro 
buoni  desiderii  non  appagati.  Leopardi  ò  grande ,  è  e 
sarà  sempre  unico,  e  non  può  essere  imitato. 

E  qui ,  per  finir  di  parlare  del  poeta ,  non  saprei 
farlo  meglio  che  riportando  alcune  parole,  le  quali  scri- 
ve <li  lui  un  egregio  e  valoroso  amico  mio ,  il  Prof. 
Vittorio  Bacci ,  in  un  suo  dotto  lavoro  intorno  all'  il- 
lustre Recanatese.  "  Dotato  di  una  squisita  percezione 
poetica  egli  sebbene  col  subbiettivismo  regoli  le  «uè 
creazioni  arti.stichc,  pur  questo  fa  in  modo  migliore  di 
alcuni  anche  fra  i  sommi,  come  ad  esempio,  di  Alfieri 
il  quale  del  j)roi)rio  sentimento,  che  fu  V  odio  alla  ti- 
rannide, riveste  i  concetti,  forma  i  personaggi  come  jàù 
gli  piace,  tanto  so  il  voglia  o  no  la  storia  e  anche  la 
varietà  necessaria  dell'  arte;  ed  ò  però  monotono  so- 
vente ,  inverosimile  spsso ,  duro  anche  nella  forma, 
sebbene  Y  ingegno  potentissimo  apparisca  da  per  tutto. 


320  DELLA  MTÀ  E  DELLE  OPERE 

Ma  il  subiettivismo  di  Leopardi,  che  procede  dal  dolo- 
re ,  che  è  sentimento  più  generale  e  più  esteso ,  più 
agevolmente  anche  riesce  ad  accomodare  a  se  stesso 
tutti  i  tempi  e  tutti  i  mondi,  ed  ha  meno  bisogno 
d'  una  forma  speciale  e  monotona,  rivelandosi  negli 
stessi  quadri  di  colori  smaglianti  sotto  una  veste  arti- 
stica splendidissima  come  ad  esempio  nelle  Ricordanze^ 
onde  le  sue  poesie  piacciono  anche  a  coloro  che  non 
sieno  disperatamente  infelici.  Ma  ognuno  vi  ritrova  la 
verità  del  concetto  se  non  in  se  stesso  in  relazione 
almeno  a  colui  che  lo  espresse,  e  perchè  la  espressione 
è  spontanea  si  giudica  della  profondità  del  sentimen- 
to..... H  nostro  poeta  come  già  fece  Dante ,  Y  Ariosto 
e  pochi  altri ,  concepisce  il  subietto  artistico  insieme 
alla  sua  forma  che  non  è  vecchia  per  gretta  e  pedan- 
tesca imitazione,  non  nuova  per  neologismo  o  barbarie, 
ma  vera ,  potente ,  ed  originale  in  modo  che  per  Leo- 
pardi non  vi  abbiano  ad  essere  scuole  imitate ,  non 
formarsi  scuole  imitabili  (1).  „ 

IX. 

Leopardi  prosatore  e  filosofo. 

Se  il  Recanatese  segnò  nella  poesia  un'  orma  incan- 
cellabile, non  meno  grande  fu  come  prosatore.  Egli  era 
persuaso  che  gli  scrittori  possono  e  debbono  fare  un 
gran  bene ,  quando  la  mirabile  arte  loro  e  1'  ingegno 
potente  non  usino  a  meschino  trastullo  rettorico,  ma  in- 
dirizzino ad  un  nobile  ed  altissimo  fine ,    il  trionfo  del 

(I)  V.  Bacci:  Giacomo  Leopardi.  —  Studio  critico.  Nella  JtiDif fa  Airopeo. 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  321 

buono,  del  bello  e  del  vero.  Egli  però  non  voleva  la 
trascuranza  della  forma  di  cui  bì  vale  lo  scrittore  per 
^porre  le  proprie  idee ,  ma  inculcava  che  ad  essa  si 
dovesse  porre  mento  perchè  le  parole,  le  frasi,  il  giro 
stesso  da  darsi  al  periodo  siano  tali  che  alla  rappresen- 
tazione del  concetto  si  acconcino  convenientemente;  in- 
somma egli  stimava  question  capitale  che  i  letterati 
dessero  opera  a  formare  una  lingua  filosofica,  che  alla 
esposizione  di  tutti  i  più  alti  concepimenti  si  adatti. 
**  Chiunque,  scriveva  all'  amico  Pietro  Giordani,  vorrà 
far  bene  air  Italia,  prima  di  tutto  dovrà  mostrarle  una 
lingua  filosofica,  senza  la  quale  io  credo  eh'  ella  non 
avrà  mai  letteratura  moderna  sua  propria,  e  non  aven- 
do letteratura  moderna  propria,  non  sarà  mai  più  na- 
zione (1).  „  Ed  aveva  perfettamente  ragione,  perchè  in 
tal  modo  si  consegue  che  una  nazione  abbia  scrittori 
originali  i  quali,  abituatisi  a  pensare  fortemente  e  ret- 
tamente non  iscrivano  in  modo  barbaro,  ma  accomodato 
all'  indole  della  propria  favella  ed  alla  ragione  dei  tem- 
pi. Ora  con  queste  idee  per  il  capo  si  può  intendere 
facilmente  come  il  Leopardi  volgesse  ogni  suo  studio  a 
far  vedere  in  se  stesso  come  dovesse  essere  lo  scrittore 
italiano,  e  di  certo  non  molto  lontano  dall'  ideale  che 
H  era  nella  mente  formato  gli  fu  concesso  di  giungere, 
quantunque  forse  1'  avere  dato  opera  diuturna  agli  au- 
tori greci  e  latini  ed  ai  nostri  più  antichi  abbia  un  poco, 
s'  io  non  m'  inganno,  nuociuto  alcuna  volta  alla  scor- 
revolezza e  disinvoltura  dello  stile ,  di  maniera  che 
qtielia  tal  qtiale  oscurità   che  nasce    dalV  accuratissima 

(I)  Liormut:  Rpi»lolarii>,  VuL  I.  pa;;.  tSi. 

Archiv.  Slot,  March    Y.  I.  21 


322  DELLA   VITA   E   DELLR   OPERE 

fatbrica  e  stretta  legatura  dei  periodi  y  che  affaticano 
alquanto  il  lettore,  di  cui  accusava  le  scritture  del  Gior- 
dani, potrebbe  alcuna  volta,  sebbene  assai  più  di  rado^ 
anco  a  lui  rimproverarsi.  Ma  tutto  ciò  non  toglie  che 
gli  scritti  suoi  non  risplendano  per  non  comuni,  anzi 
rarissimi  pregi. 

Le  prose  che  di  lui  abbiamo  in  gran  parte  sono 
traduzioni  dal  greco,  o  imitazioni  delle  opere  dei  greci, 
ma  sono  dettate  con  elettissima  lingua  così  saggiamente 
ed  elegantemente  adoperata,  come  forse  nessun  moderno 
scrittore  sa  fare.  Nello  stesso  tempo  che  vi  rinvieni 
quella  semplicità  che  è  tutta  propria  degli  scrittori  del 
trecento,  vi  trovi  quella  perfezione  dell'  arte  di  scrivere, 
che  segna  i  progressi  fatti  dalla  letteratura  nostra  nei 
secoli  posteriori,  sapendosi  egli,  come  tutti  gli  uomini  di 
grande  ingegno  e  di  studii  profondi  sanno,  tenere  in 
un  giusto  mezzo,  senza  dare  nelle  volgarità  proprie  di 
ciascun  secolo.  Leopardi  è  classico ,  ma  non  pedante , 
egli  non  fa  consistere  il  classicismo  neir  usare  parole 
antiquate  e  costrutti  intricati ,  ma  sibbene  nell'  adope- 
rare il  linguaggio  con  proprietà,  sì  che  le  parole  ren- 
dano, come  sempre  dovrebbero,  immagine  vivissima  del- 
le idee  che  vuol  significare,  e  nel  fare  che  l'ordine  dei 
costrutti  segua  quello  logico  dei  pensieri,  sì  che  la  sua 
maniera  di  scrivere,  la  quale  vorrei  veder  studiata  più 
di  quel  che  lo  sia,  può  paragonarsi  alle  limpide  acque 
in  cui  ne  è  dato  di  veder  chiaramente  riflessa  V  ima- 
gine  nostra.  Sicché  a  ragione  può  dirsi  che:  ^  Giacomo 
Leopardi  fu  alla  nostra  memoria  un  ingegno  straordi- 
nario   ed  universale:    grecista    e  latinisti!   consumato    e 


DI   GIACOMO     I.KOPARDI  323 

fìnìssimo  in  quella  età  che  suole  appena  balbettare  gli 
elementi  delle  lotterò;  lirico  nuovo  e  stupendo,  prosatore 
squisitissimo,  erudito,  vasto  e  profondo,  acuto  osserva- 
tore del  cuore  umano,  non  ospite  in  alcuna  ragione  di 
scienze,  alienissimo  negli  studii,  nelle  opinioni  letterarie 
e  politiche,  dalla  levità  e  frivolezza  moderna,  dotato  di 
un  gusto  austero,  sobrio  e  delicatissimo;  egli  fu  insom- 
ma uno  di  quegli  uomini  d'  antica  stampa  italiana,  che 
non  furono  frequenti  in  alcuna  età,  ma  non  mai  così 
rari  come  al  dì  d'  oggi  (1).  „  Con  tutta  la  riverenza 
che  sempre  ebbi,  e  la  grata  memoria  che  serbo  di  Nic- 
colò Tommaseo,  che,  uomo  illustre  e  degnamente  fa- 
moso, non  isdegnava  a  me  giovinetto  e  facente  le  pri- 
me prove,  esser  largo  di  consigli  sapienti  ed  amorevoli, 
mi  è  forza  qui  confessare  che  non  sono  pienamente 
d'  accordo  con  lui  pel  giudizio  fatto  del  gran  Marchi- 
giano, con  brevi  parole,  qua  e  là  nei  diversi  suoi  scritti. 
Egli  trova  che  Giacomo  I^eopardi  è  elegantemente  di-- 
sperato,  prolissamente  dolente,  e  dottamente  annoiato  (2): 
io  certo  non  dirò  che  lo  scrittore  per  raggiungere  il 
sommo  dell'arte  debba  mostrarsi  scettico,  ma  se  il  Leo- 
pardi fu  disperati  mente  addolorato  non  voglio  negargli 
il  m(TÌt')  d'  artista  granalo,  perchò  egli  seppe  esprimere 
proprio  quel  che  sentiva.  Si  potrà,  non  nego,  dissentire 
dalle  opinioni  filosoKche  di  lui,  però  non  si  potrà  non 
ammirarne  T  arte,  come  ammiriamo  V  arte  di  Virgilio 
o  di  Lucrezio  per  quanto  V  uno  dall'  altro  nelle  idee 
differiscano,  |)er  quanto  in  molte  di  esse  non  ci  trovia- 

(!)  GioiiBTi:  Del  Primito  f(c. 

(i)  Scniti  ftul  Miiiiuni  qpkIi  sVMr/f  rt  itici. 


\ 


324  nEUA   MTK    K   DELLE   OPERE 

mo  d' accordo.  Così  pure  il  Tommaseo  stesso  ammonisce 
che:  **  Non  è  però  eh'  altri  debba  cercare  la  fede  pura, 
come  né  V  amore  potente,  né  il  forte  pensiero,  né  la 
pietà  generosa,  né  Y  operoso  coraggio,  né  quindi  la 
vera  bellezza,  negli  scritti  di  Giacomo  Leopardi  (1).  „ 
Ma  in  ciò  sembrami  che  il  Dalmata  illustre  non  pro- 
ceda con  quella  calma  serena  di  giudizio  che  gli  è  abi- 
tuale, e  guidato  da  quel  sentimento  di  fede  che  in  lui 
era  sincero  e  potente ,  sia  tratto  a  negare  quella  bel- 
lezza che  é  negli  scritti  del  Recanatese ,  sol  perchè  in 
questi  la  fede  nel  Cattolicismo  predicato  dalla  Curia 
Romana  era  spenta:  par  quasi  che  il  Tommaseo  voglia 
dire  che  al  di  fiiori  della  Religione  Romana  non  si*  ' 
possono  dare  i  veri  artisti.  Ma  però  egli,  a  me  sembra, 
non  considerò  come  in  Leopardi  non  ogni  fede  fosse 
spenta,  come  ben  seppe  rilevare  in  un  suo  recente  di- 
scorso queir  altro  lume  delle  nostre  Marche  che  é  il 
Conte  Terenzio  Mamiani,  il  quale  in  tra  Y  altre  cose 
sapientemente  osservò:  ^  H  grido  di  dolore  alzato  dal- 
l' anima  sua  svelò  all'  Italia  che  le  vecchie  credenze 
erano  ormai  troppo  logore  e  che  bisogna  oggi  o  inno- 
varle 0  perire.  Dacché  esse  porgono  il  fondamento  pri- 
mo del  vivere  sociale  e  del  progresso  civile.  Dietro  il 
Leopardi,  moltiplicò  una  schiera  infinita  di  scettici  che 
riempiono  il  mondo  di  lamentazioni  e  scurrilità,  sata- 
niche più  tosto  che  altamente  passionate  e  poetiche.  E 
mentre  imitano  del  sommo  Recanatese  le  forme  dello 
stile  e  certa  tetraggine  di  pensieri,  una  sola  cosa  non 
vi  trovano  e  non  la  imitano ,    il  solenne ,    perpetuo  ed 

(t)  Dizionario  Estetico  p»g«  587. 


nt   GIACOMO   LEOPARDI  32 S 

inalterabile  son-^o  di  moralità.  Il  marchigiano  Leopardi 
dubitò  d'ogni  cosa  eccetto  che  degli  oblighi  indeclina- 
bili dell'  uomo  onesto;  e  mentre  nell'  animo  suo  cade- 
vano tutti  gli  altari  delle  vecchie  deità  rimaneva  in 
su  stante,  radiosa  e  immortale,  la  religione  del  dovere. 
Certo,  o  il  mondo  sarà  infelice  davvero  com'  egli  an- 
nunziava, o  avrà  fede  incrollabile  nella  libertà  e  nella 
virtù  (1).  fl  —  Il  Tommaseo  non  disprezza,  come  al- 
cuni han  voluto  credere ,  il  nostro  Giacomo ,  non  lo 
irride  nella  infelicità  sua,  ne  riconosce  V  ingegno  po- 
tente, ma  sente  compassione  di  lui,  e  crede,  e  qui  pensò 
non  giustamente,  che  molto  gli  manchi  per  aggiungere 
alla  perfezione  dell'  arte. 

Siccome  nelle  poesie  del  Recanatese  vedemmo  l'uo- 
mo d' ingegno  straordinario,  di  carattere  franco  e  leale, 
l'uomo  che  è  oppresso  dal  dolore,  che  in  gran  parte  è 
causa  della  umana  perversità ,  così  vediamo  tralucerc 
r  uomo  istesso  nelle  sue  prose,  imperoccht"^  anche  nelle 
traduzioni  sceglie  sempre  quegli  scritti  che  meglio  ritrag- 
gono dei  sentimenti  suoi,  laonde  in  niun  caso  apparve 
più  vera  la  sentenza  del  Buffon  che  lo  stile  è  V  uomo 
di  quello   che  possa  vedersi  dagli  scritti  del  Leopardi. 

Ad  alcuni  dei  componimenti  in  prosa  del  nostro 
Giacomo  sono  venuto  accennando  mano  mano  che  me 
se  ne  presentava  1'  opportunità,  ora^  non  consentendolo 
i  confini  in  cui  questa  biografia  vuole  esser  ristretta, 
mi  limiterò  a  parlare  dei  principali  lavori  di  quel  som- 
mo ingegno,  potendo  questo  bastare  a  dar  un'  adeguata 
idea  del  valore  con  cui  seppe  attendere   a  varii  generi 

(I)  bi*ciir»o  nA  bAiiclxMlo  ulTtrtoKli  in  Ancona  nel  SeUembre  1879. 


3!26  DELLA   VITA    E  DELLE   OPERE 

fai  letteratura,  ed  essendo  più  che  sufficiente  a  ben  co- 
noscere lo  stato  psicologico  dello  scrittore.  Un'  analisi 
minuziosa  di  tutti  gli  scritti,  se  ad  alcuno  potrebbe 
riuscir  profittevole,  ai  più  tornerebbe  noiosa  ed  inutile, 
oltre  che  sarebbe  aliena  dall'  indole  di  questa  scrittura, 
che  non  vorrei  riuscisse  una  vana  e  pedantesca  eserci- 
tazione rettorica. 

I  dialoghi,  nei  quali  1'  autore  dimostra  in  sostanza 
che  gli  uomini  sono  zimbello  della  natura  e  non  pos- 
sono mai  conseguire  la  felicità,  sono  notevoli  per  un 
sarcasmo  ed  un'  ironia  molto  fina  che  li  avvicina  d'assai 
a  quelli  del  greco  Luciano;  vi  ha  poi  una  elettissima 
lingua ,  avvivata  da  molti  frizzi  naturali  ed  arguti , 
da  cui  traluce  lo  spirito  del  Leopardi  in  modo  chiaris- 
simo; però  lo  stile  non  sempre  è  così  sciolto  come  ve- 
diamo negli  scrittori  moderni,  e  vi  si  scorge  lo  studio 
e  r  artifizio  del  periodare ,  modellato  di  soverchio  su 
quello  dei  greci  e  dei  latini,  il  che  fa  si  che  la  lettura 
a  lungo  protratta  stanchi  il  lettore  sebbene  molte  e 
molte  bellezze  vi  siano  per  entro.  —  Anche  il  concetto 
dominante  è  tutt'  uno;  infatti  Farfarello  a  Malambruno, 
che  gli  chiede  di  farlo  felice  per  un  momento  di  tempo, 
risponde  che  ciò  non  è  in  suo  potere  né  di  alcun  al- 
tro: "  Se  anco,  gli  dice,  viene  Belzebù  con  tutta  la 
Qiudecca  e  tutte  le  Bolge,  non  potrà  farti  felice  né  te 
né  altri  della  tua  specie ,  più  che  abbia  potuto  io.  „ 
In  altro  luogo  la  Natura  nell'atto  che  manda  nel  mondo 
una  nuova  anima;  le  dice  :  Vivi  e  sii  grande  e  in/e- 
lice, e  a  lei  che  chiedeva  perché  deve  essere  infelice, 
tra  l'altre    cose    risponde    che  tutti  gli  uomini  per  ne- 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  327 

cessità  nascono  e  vivono  infelici.  Nella  scommessa  che 
Prometeo  fa  con  Momo  per  dimostrare  che  V  uomo  ò 
la  cosa  più  perfetta  che  sia  in  natura,  Prometeo  perde 
perchè  nel  giro  che  fanno  insieme  per  la  terra  trovano 
che  nessun  altro  animale  fuori  dell'  uomo  si  uccide 
volontariamente  esso  medesimo,  né  spegne  per  dispera- 
zione della  vita  i  figliuoli.  —  Altrove  muove  lamento 
che  le  cose  più  necessarie,  anzi  essenziali  alla  vita  degli 
uomini  sian  pur  quelle  che  lor  tornano  sempre  micidia- 
lissime,  e  via  dicendo. 

La  ragione  di  tutte  queste  idee  che  Leopardi  viene 
manifestando  V  ahbiamo  nella  sua  vita  stessa,  la  quale 
non  fu,  almeno  per  brevi  istanti,  rallegrata  da  un  rag- 
gio benefico  di  sole ,  ma  passò  in  mezzo  a  tormenti 
fisici  e  morali  inenarrabili,  che  a  lui,  innamorato  della 
virtù,  del  bello,  del  buono  e  del  vero  fece  perdere  ogni 
fede  nella  bontà  e  nella  bellezza,  accrescendo  questo  lo 
strazio  dell'  anima  sua. 

Intorno  a  Giuseppe  Parini,  poeta  che  la  Musa  non 
fece  serva  ed  adulatrice  di  potenti  e  tiranni,  ma  cor- 
reggitrice  di  corrotti  costumi,  intomo  al  Parini,  dico, 
che  fu  nobile  esempio  di  cittadino  Onesto  cui  il  bisogno 
non  fece  dimentico  dell'  umana  dignità,  nel  secolo  no- 
stro scrissero  parecchi  eletti  ingegni ,  ammirati  della 
simpatica  figura  d'  un  uomo  d' ingegno  che  in  un*  epoca 
di  corruzione  profonda  ò  colla  sua  vita  e  coi  suoi  scritti 
rimprovero  ai  concittadini  e  nel  tempo  stesso  esempio 
nobile  ed  efficace  ai  compatriotti.  —  Anche  il  Leopardi 
ammirò  il  Parini,  ne  conobbe  le  doti  dell'  animo  e  del- 
r  ingegno  rarissimo,  ma  che  non  valsero  a  procurargli 


328  DELLA   VITA   E   DELLE   OPEBE 

in  vita  quegli  onori  che  meritava,  anzi  fu  lasciato  vi- 
vere nella  più  deplorevole  miseria,  e  questo  suggerì  a 
Giacomo  Y  idea  del  suo  lavoro  intitolato  //  Parini^ 
ovvero  della  Gloria,  in  cui  potè  versare  a  piene  mani 
le  sue  teorie  filosofiche ,  alle  quali  pareva  che  la  vita 
del  poeta  lombardo  desse  piena  conferma.  Lo  stile  ed  il 
dettato  di  questo  lavoro  sono  degni  di  chi  lo  dettava,  e 
merita  d'essere  studiato  con  attenzione  perchè  v'  abbonda- 
no considerazioni  acute,  idee  profonde  che  possono  tornare 
profittevoli  così  al  filosofo  come  all'  uomo  di  lettere. 

Nei  Detti  memorabili  di  Filippo  Ottonieri  si  trova  la 
solita  melanconia  di  Giacomo,  ma  accompagnata  da  una 
calma  ironia,  con  cui  ride  della  effamosa  stoltezza  con  cui 
gli  uomini  corrono  dietro  alla  felicità,  non  si  accorgendo 
che  in  niuno  stato  la  si  può  conseguire.  E  nella  Com- 
parazione  delle  sentenze  di  Bruto  Minore  e  di  Teo/ror 
sto  vicini  a  morte,  se  il  nostro  autore  rivela  la  potenza 
ed  acutezza  del  suo  ingegno,  va  più  là  ancora  inquanto- 
chè  giunge  ad  affermare  che  la  virtù  è  nome  vano  senza 
soggetto,  nel  che,  per  quanto  egli  sia  ragionatore  elegan- 
te e  che  conosce  l'arte  di  convalidare  l'opinion  propria 
con  copia  di  argomenti  opportuni,  ben  pochi  gli  daranno 
ragione,  se  non  forse  quelli  soli  che  nella  vita  abbiano 
a  soffrire  le  stesse  infelicità  a  cui  egli  ebbe  a  sottostare. 

In  quanto  alle  traduzioni  dal  latino  e  dal  greco  dirò 
in  generale  che  vi  si  mostra  profondo  conoscitore  delle 
lingue  antiche  e  dell'  italiana,  che  nelle  note  ed  osser- 
vazioni si  rivela  filologo  di  altissimo  valore,  e  con  que- 
sto mi  sembra  di  dargli  non  piccola  lode. 

Nel  filoi^ofare,  come  or  ora  dovetti  osservare  parlan- 


m  GIACOMO  LEOPARDI  320 

do  delle  prose  che  quasi  tutte  sono  di  filosofico  argo- 
mento, fu  acuto  e  profondo.  Non  tutti  i  pensieri  suoi 
sono  giusti,  perchè  partono  da  cattive  premesse  e  dalla 
poca  conoscenza  che  egli  ebbe  della  società,  laonde  il 
vediamo  affermare  che  il  mondo  è  una  lega  di  birbanti 
contro  gli  uomini  da  bene,  e  di  vili  contro  i  generosi, 
e  che  r  uomo  è  quasi  sempre  tanto  malvagio  quanto 
gli  bisogna,  e  ciò  perchè  egli  era  stato  disgraziatissimo, 
ed  eragli  venuto  meno  quello  che  dal  mondo  aveva 
sperato:  ma  nel  giudicare  degli  uomini  bisogna  tener 
conto  delle  vicende  della  vita  loro,  e  delle  circostanze 
di  luogo  e  di  tempo  in  cui  vissero,  prima  di  condan- 
narli. E  appunto  la  società  in  cui  visse  il  nostro  Gia- 
como, l'osservazione  delle  miserie  umane  lo  condussero 
a  disperare  di  tutto  e  di  tutti,  quantunque  egli  avesse 
un  cuore  eccellente  ed  affettuosissimo  ;  e  alla  sorella 
Paolina  il  28  gennaio  1823  scrive  queste  parole  che 
sono  una  vera  rivelazione  del  suo  sistema  filosofico: 
^  Dopo  tutto  questo  non  ti  ripeterò  che  la  felicità 
umana  è  un  sogno ,  che  il  mondo  non  è  bello ,  anzi 
non  è  sopportabile ,  se  non  veduto  come  tu  lo  vedi , 
cioè  da  lontano  ;  che  il  piacere  è  un  nome ,  non  una 
cosa;  che  la  virtii,  la  sensibilità,  la  grandezza  d^animo 
sono  non  solamente  le  uniche  consolazioni  de'  nostri 
mali,  ma  anche  i  soli  beni  possibili  in  questa  vita,  e 
che  quelli  beni,  vivendo  nel  mondo  e  nella  società,  non 
si  godono  né  si  mettono  a  profitto,  come  sogliono  cre- 
dere i  giovani ,  ma  si  perdono  interamente,  restando 
r  animo  in  un  vuoto  spaventevole  (1).  „  —  E  a  pro- 
posito della  filosofia  di  Leopardi  mi  piace  riportare  quel 

{ì}  LtOMBftì:  EpitloUrio,  Voi.  I.  ptg.  116  •  187. 


330  DELLA   VITA    K  DELLE   OPERE 

che  ne  scrive  Vincenzo  Gioberti  con  quella  ampiezza 
di  vedute  e  quella  giustezza  di  giudizi,  che  son  tra  le 
non  ultime  doti  di  questo  scrittore  quando  la  passion 
politica  non  lo  tragga  a  giudicai:e  un  poco  troppo  se- 
veramente delle  persone.  ^  L'  errore  di  quel  grande 
infelice  consiste  nel  fermarsi  ai  fatti  presenti  e  sensati, 
e  nel  volere  con  essi  soli  costruire  la  scienza;  quasi 
che  il  fatto  contenga  in  se  stesso  la  propria  dichiara- 
zione, e  possa  essere  spiegata  senza  risalir  più  alto.  11 
fatto  è  muto  per  se  medesimo ,  essendo  numero  sensi- 
bile, e  non  può  pure  essere  pensato  senza  V  intelligibile, 
che  lo  rischiara  e  ne  porge  la  legge,  cessando  le  anti- 
nomie, e  conciliando  le  discordanze  che  possono  emer- 
gere tra  i  vari  fenomeni.  La  contrarietà  che  corre  tra 
il  fatto  del  dolore  e  il  desiderio  della  felicità ,  i  quali 
son  due  fenomeni  sensati  del  pari,  attuali  e  presentis- 
simi,  vien  tolta  via  dalla  ragione,  che,  appoggiandosi 
alle  notizie  ideali,  trova  la  spiegazione  di  questa  pugna 
in  quel  principio  universale  dello  scibile,  per  cui  tutte 
le  asprezze  si  raumiliano  e  le  ripugnanze  si  accordano, 
il  qual  principio,  rivelandoci  la  teleologia  del  creato  e 
r  intreccio  dei  due  cicli,  ci  mostra  nel  dolore  e  nel- 
r  appetito  del  piacere  due  mezzi  egualmente  ordinati 
alla  finalità  materiale  e  morale  del  mondo,  come  stru- 
menti di  conservazione  e  come  fomiti  di  perfezionamento; 
giacché  r  uomo  collocato  nel  tempo  ma  destinato  al- 
l'eterno,  non  può  anelarvi,  sia  che  la  brama  di  un'in- 
finita beatitudine  non  alberghi  nel  suo  animo ,  sia 
che  questa  sete  venga  saziata  nel  corso  della  vita  ter- 
restre;   poiché    in    ambo    i    casi    il   cuore    umano    non 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  331 

potrebbe  aspirare  all'  avvenire,  e  senza  uscire  dai  can- 
celli del  tempo,  troverebbe  il  suo  riposo  nella  presente 
apatia  o  nell'  attuai  godimento.  Oltre  che ,  le  ragioni 
speciali  dolla  religione,  le  tradizioni  dei  popoli  e  la 
conferenza  dell*  ordine  colle  antinomie  dell'  universo,  ci 
fanno  eziandio  considerare  il  dolore ,  come  un  vero 
morVo,  liberissimo  nella  sua  prima  ragione,  e  quindi 
giusto  e  .'  apient^^  nell'  effetto.  Ma  la  filosofia  che  il  Leo- 
pardi lM»vve  col  latte,  non  gli  permetteva  di  uscire  dai 
termini  sensibili,  onde  mosso  dalla  contraddizione  pre- 
sentanea  che  corre  fra  la  realtà  e  il  desiderio  negli 
ordini  di  questo  mondo,  egli  negò  che  la  moralità  e 
quindi  1'  intelligenza  preseggano  alla  natura;  senza  av- 
vedersi eh'  egli  ammetteva  1'  ordine  morale  nel  punto 
stesso  che  lo  negava,  e  per  non  risalire  a  un  principio 
superiore,  lo  riputava  discordante  dall'ordine  sensitivo. 
Io  porto  ferma  opinione  che  questo  precoce  ingegno , 
se  non  fosse  stato  costretto  da  un  morbo  insanabile  e 
fierissimo  a  dismetter  gli  studi  fin  dall'  entrare  della 
giovinezza ,  non  sarebbe  indugiato  a  scoprire  i  vizi 
cardinali  delle  dottrine  che  allora  regnavano;  tanta  era 
la  perspicacia  e  la  forza  della  sua  mente.  Con  lui  ri- 
vìsse r  estro  italogreco  in  tutta  la  sua  perfezione;  im- 
perocché io  non  conosco  scrittore  antico  o  moderno  di 
alcuna  lingua  che  per  1'  attiva  squisitezza  del  buon 
gusto  e  della  immaginativa  Io  superi.  Ma  I'  ingegno 
grecolatino  venne  in  lui  accompagnato  dai  difetti  di 
queir  antica  coltura  a  cui  appart3neva,  cioè  dalle  dot- 
trine scarse  e  alterate  del  paganesimo,  inette  a  edificare 
sodamente  la  scienza  (1).  „ 

(1)  GioiiBTi:  Del  PiiiualocCc. 


à32  DI^LLA    VITA    R   BELLE   OPE^È 

Che  Gioberti  giudicasse  in  tal  forma  della  filosofia 
leopardiana  come  prete  cattolico  non  y'  è  a  ridire,  ma 
io  son  di  pensiero  che  se  lo  studio  degli  scrittori  pa- 
gani può  avere  avuto  sull'  animo  e  la  mente  di  Giaco- 
mo un'  influenza ,  questa  non  poteva  esser  malefica  in 
tutto  e  per  tutto,  perchè  non  è  giusto  il  credere  che 
il  retto  filosofare  sia  privilegio  esclusivo  del  cattolice- 
simo; ed  anzi  dirò  che  gli  scrittori  antichi  furono  quelli 
che  dapprima  accesero  nel  suo  animo  r|amore  anzi 
r  idolatria  della  virtù,  di  cui  cominciò  a  dubitare  solo 
quando  venne  a  conoscere  gli  uomini  e  le  dottrine  del. 
suo  tempo.  Molti  vogliono  afltermare  che  lo  scetticismo 
del  Recanatese,  abbia  avuto  origine  dall'amicizia  intima 
che  ebbe  col  Giordani^  il  quale  professava  per  V  ingegno 
di  lui  un'  ammirazione  sconfinata,  ma  io  più  che  da 
altro  dico  che  debba  ripetersene  la  causa  dai  dolori  fi- 
sici a  cui  fu  soggetto  il  suo  povero  corpicciuolo,  e  ai 
dolori  morali  che  travagliarono  1'  infelicissima  sua  esi- 
stenza. Ed  in  questa  opinione  mi  conferma  un  brano 
di  lettera  che  Giacomo  dirigeva  a  Giulio  Pert icari,  che 
ho  pubblicato  nell'  Archivio  Storico  Marchigiano  (1). 
brano  interessantissimo  perchè  l' animo  e  la  mente  dello 
scrittore  vi  sono  riflessi  come  in  un  tersissimo  specchio. 
In  essa  lettera  egli  afferma  che  chi  nmi  è  stato  infe- 
lice non  sa  nulla  e  che  V  infelice  non  può  ntdla;  il 
Tasso,  perchè  infelicissimo  siede  piuttosto  sotto  che  a 
fianco  dei  tre  sommi  nostri  poeti.  Dice  che  i  beni  del 
mondo  sono  inganni;  che  la  sapienza  e'  insegna  la  no- 
stra infelicità,   che  in  sostanza    il  felice  non    è  felice^ 

(1)  Voi.  L  Di»p.   I.  iV4g.   119. 


DI  GIACOMO  LROPARDl  A33 

tna  il  misero  è  veramente  mt3ero.  Un  remjpo  e^Ii  fidava 
hellA  Vìttìi  e  spregiava  la  fortuna,  ma  ora  non  più  per- 
chè ha  conosciuto  la  tristezza  e  vanità  delle  cose^  la 
tristezza  e  vanità  della  sapienza.  —  Chiama  il  Vati- 
cano: cavile  della  superstizione,  deU^  ignoranza,  d^vizi] 
Recanatì  chiama  inferno  perchè  non  vi  si  apprezzan 
gli  studii  e  non  vi  si  parla  che  di  nuvolo  o  di  sereno 
ovvero  di  donne  colle  parole  delle  taverne  e  de  bordelli; 
perciò  non  vi  resta  al  sapiente  che  il  conforto  degli 
studii ,  i  quali  però  non  producono  gloria ,  ultimo  in- 
ganno del  sapiente.  Ora  il  fare  che  Giacomo  professasse 
tali  prìncipii  filosofici  io  ripeto  cl.e  non  può  esser  tutta 
colpa  del  Giordani,  ma  sì  bone  dell'ambiente  sociale  in 
cui  dovette  vivere  gran  parte  della  vita  sua,  in  mezzo 
a  contrarietà  d'  ogni  maniera,  in  mezzo  a  gente  che 
non  lo  comprendeva  e  lo  trattava  come  un  fanciullo, 
al  che  se  si  aggiungano  i  dolori  della  mal  ferma  sa- 
lute ,  si  vedrà  che  tutte  queste  cause  non  potevano 
non  influire  sull'animo  di  chi  sentiva  dentro  di  sé  la 
prepotenza  del  proprio  ingegno,  che  avrebbe  voluto  spie- 
gare tutta  r  attività  sua,  alla  quale  invece  gli  uomini 
e  la  natura  frapponevano  tanti  ostacoli.  E  se  tali  ragioni 
non  fanno  che  quelli  ohe  sono  errori  non  sieno  più  tali^ 
certo  oifrono  una  spiegazione  degli  errori  stessi  e  no 
sono  una  scusa. 

Ed  invero  io  credo  che  coloro  i  quali  accusano  il 
Leopardi  con  animo  poco  benevolo  non  lo  abbiano  bene 
studiato,  non  abbiano  cercato  di  vedere  quali  furono  le 
cause  che  lo  condussero  a  disperare  di  tutto  e  di  tutti 
altrimenti    ben    diversamente    lo  giudicherebbero;  altri-* 


334  DELLA    VITA    K   DKLLE    OPERE 

menti  dovrebbero  confes  are  che  fu  un  ingegno  singolare, 
un  pensatore  profondo  ed  acuto,  un  poeta  nuovo,  elegant'^, 
immaginoso  quant'  altri  mai,  e  direbbero  con  Gioberti: 
**  E  questo  mirabile  Leopardi  colla  sua  maestria  sin- 
golare nella  prosa  e  nel  verso,  colla  sua  perizia  incre- 
dibile nelle  lettere  patrie  ed  antiche,  quando  lo  ve- 
dremo ,  non  dico  già  rinnovato ,  ma  almeno  seguito 
dalla  lunga?  (1).  „  Se  gli  oppositori  dolio  sventurato 
poeta  avessero  intimamente  studiato  le  opere  del  Leo- 
pardi, dovrebbero  convenire  nel  seguente  giudizio  che 
ne  fii  lo  stesso  Gioberti  :  "  Pochi  uomini  resero  alla 
virtù  un  culto  così  caldo,  sincero,  profondo,  eil  ebbero 
intuito  di  essa  così  vivo  come  il  Leopardi,  malgrado 
gli  errori  suoi  (2).  „ 

Il  nostro  Giacomo  aveva  mediocre  statura,  la  per- 
sona era  esile  ed  alcun  poco  ricurva,  di  pallido  colore 
avea  tinte  le  gote ,  grosso  il  capo ,  la  fronte  larga  e 
quadra,  gli  occhi  di  colore  cilestre,  languido  lo  sguar- 
do, profilato  il  naso,  delicati  i  lineamenti,  la  voce  fioca, 
e  la  bocca  atteggiata  a  sorriso  che  tenea  del  celeste. 
Fu  affettuoso  co'  suoi,  cogli  amici,  co'  sventurati,  come 
dimostrano  assai  chiaramente  molte  delle  lettere  di  lui 
raccolte  nel  suo  Epistolario  j  che  vorrei  veder  correre 
per  le  mani  dei  nostri  giovani  per  apprendervi  ad  e- 
sprimere  i  propri  pensieri  con  naturale  semplicità  ed 
eleganza.  Desideroso  del  bene  odiava  il  male,  e  si  ado- 
però come  scrittore  civile  a  far  sì  che  gì'  Italiani  tornas- 
sero alle  antiche  virtù,  e  scuotessero  il  giogo  tirannico 

(1)  GiOBBiTi:  11  Gesuita  Moderno. 
Ci)  GiOBtRTi;  Del  Primato  ctc. 


DI   r.l.VCOMO   LKOPARDI  H3S 

che  li  opprimeva;  e  questo  fu  esempio  nobile  e  generose 
che,  come  il  seme  gettato  nella  terra  che  gli  conviene, 
produsse  ottimi  frutti.  Noi  ^  circondati  ed  ammorbati 
da  un  infinito  numero  di  poesie  povere  di  forma  e 
vuote  di  concetto,  o  che  ci  ripetono  cose  trite  e  ritrite, 
non  possiamo  far  a  meno  di  augurare  all'  Italia  risorta 
un  poeta  grande  come  Leopardi,  e  non  possiamo  far  a 
meno  di  dir  ai  giovani  nostri  che  seguano  nello  scri- 
vere le  orme  di  Ini  e  dei  nostri  più  grandi  scrittori, 
che  chiedano  le  ispirazioni  al  proprio  cuore  ed  al  pro- 
prio intelletto,  ma  si  guardino  dall'  accrescere  il  nume- 
ro infinito  degli  scribacchiatori;  poiché  se  la  mediocrità 
tanto  si  tollera  nella  prosa,  nella  poesia  non  può  a 
niun  patto  sopportarsi. 

Sventuratissimo  cercò  un  conforto  ai  suoi  dolori  il 
quale  non  rinvenne,  che  questi  lo  condussero  al  sepolcro 
innanzi  tempo.  Inchiniamoci  davanti  a  lui  come  ad  uno 
dei  più  grandi  genii  dei  tempi  moderni,  ed  auguriamoci 
che  una  buona  volta,  tra  tanti  monumenti  che  si  erigono 
a  chi  non  li  merita,  sorga  nella  sua  Recanati  quel  mo- 
numento che  ben  gli  è  dovuto,  e  pel  quale  quasi  tutti 
i  figli  d'  Italia  fraternamente  offersero  1'  obolo  loro  a 
fine  di  dimostrare  ammirazione  per  il  grande  poeta  e 
cittadino. 

X. 

lie  Idee  politiche  del  Leopardi. 
Saot  amlel  •  Sool  detrattori. 

Quantunque  il  Leopardi  per  il  genere  di  vita  che 
fu  costretto  a  vivere  ,    non  abbia  preso  mai   una  parte 


83Ó  dELLA   VITA   E   DELLE   O^ÉHÉ 

atti  Va  nelle  facfcende  politiche  del  suo  tempo,  pare  dai 
suoi  scritti,  dalle  sue  lettere  dpfpdrisée  ehiarànfiente 
com'  egli  amasse  di  amore  potente  l' Italia,  come  fos^ 
suo  desiderio  che  tornasse  nazione  e  gloriosa  nelle  arti, 
nelle  lettere ,  nelle  scienze ,  e  prospera  per  inteme  li- 
bertà e  floridezza  d'  industrie  e  commerci.  Quando  poi 
Ogni  altra  testimonianza  mancasse  a  farci  persuasi  che 
egli  appartenne  al  partito  liberale  italiano,  basterebbero 
le  stupende  canzoni  all'  Italia  e  pel  Monumento  di 
Dante  a  rivelarci  i  suoi  sentimenti  patriottici,  ma  ripeto 
che  qua  e  là  nelle  altre  cose  sue  questi  ci  appariscono 
in  modo  indubitabile.  —  Egli  voleva  che  anche  le 
lettere  avessero  uno  scopo  nobile  ed  alto,  e  non  fossero 
un  vano  giocherellare  di  paroline  e  frasucce  eleganti , 
essendo  in  ciò  d'  accordo  con  molti  dei  letterati  dei  suoi 
giorni,  i  quali  davano  opera  porche  la  letteratura  fosse 
strumento  di  educazione  nazionale ,  destasse  nei  cuori 
r  amore  della  patria  e  della  libertà;  davano  opera  per- 
chè ogni  lor  nuovo  libro  fosse  una  battaglia  contro  la 
tirannide.  E  la  schiera  dei  Tirtei  del  moderno  risorgi- 
mento italiano,  cominciata  con  Alfieri ,  Foscolo  e  Leo- 
pardi, e  continuata  sino  a  Berchet,  Mameli  e  Mercan- 
tini^  contribuì  non  poco  ad  accendere  la  fantasia  dei 
nostri  giovani,  che  cantando  le  loro  canzoni  baldanzosi 
corsero  alle  pugne  del  nazionale  riscatto ,  e  morirono 
6ul  campo  proferendo  il  nome  santo  d'  Italia.  —  A 
Francesco  Puccinotti,  il  nostro  Giacomo  scriveva  il  5 
giugno  1826  le  seguenti  parole,  le  quali  fanno  fede 
Àe\  concetto  che  s'  era  formato  dello  scopo  civile  che 
^'  hanno   a  proporre   le  letj;ere.    **   Andando   dietro   ai 


DI   G1AC(»M0   LKUI'AUDI  337 

vorsi  e  alle  frivolezze  (io  parlo  qui  generalmente),  noi 
facciamo  espresso  servizio  ai  nostri  tiranni:  perchè  ri- 
duciamo a  un  giuoco  o  ad  un  passatempo  la  letteratura, 
dalla  quale  sola  potrebbr»  aver  sodo  principio  la  rige- 
nerazione della  nostra  patria  (1).  „  —  E  dell'amor  suo 
air  Italia  fan  fede  alcune  parole  eh'  egli  scriveva  in 
una  delle  sue  prime  lettere  al  Giordani  il  21  marzo 
1817:  ^  Ma  mia  patria  è  Y  Italia,  per  la  quale  ardo 
di  amore ,  ringraziando  il  cielo  d'  avermi  fatto  ita- 
liano (2).  yy  E  dei  suoi  sentimenti  liberali  avemmo  a 
vedere  una  testimonianza  in  quello  qhe  scrìveva  al  Gior- 
dani stesso  e  che  riferìi  là  dove  ebbi  a  toccare  del 
suo  tentativo  di  fuga  dalla  casa  patema ,  e  nella  let- 
tera diretta  al  padre,  ma  che  non  venne  spedita,  nel- 
l'occasione stessa,  dove  sono  le  gravi  parole,  già  da  me 
riportate  in  altra  parte  di  questa  biografia,  che  rivelano 
come  le  opinioni  politiche  di  Giacomo  fossero  al  tutto 
opposte  a  quelle  di  Monaldo.  Altre  prove  non  dubbie  poi 
dei  patriottici  sentimenti  del  Leopardi  si  hanno  nella 
corrispondenza  di  lui  col  Montani,  la  quale  non  capisco 
perchè  non  abbia  trovato  luogo  nei  due  volumi  daWEpi- 
sfolario  ordinati  dal  Viani  e  stampati  dal  I^  Monnier, 
e  faccio  voti  pen»hè  venga  pubblicata,  mentre,  per  quanto 
mi  si  fifi  credere  da  ]iorsona  degna  di  fede,  in  quelle 
lettere  si  tn)vano  coh(»  importanti  assai  che  possono  recare 
non  poca  luce  intorno  alla  vita  del  poeta  recanatese. 

Nel  rapido  esame  da  me  fatto  sulle  poesie  di   Gia- 
como ebbi  già  a  notare   non  pochi    tratti    in  cui ,    con 

(I)  LtofkftDi:  Kpi^lolHrio,  Voi.  I.  pag.   43R  r  459. 
\i}   LtorAKifi:  Epislolaiiis  Vul.   t.  pai;*  98. 

Arehiv.  Slur.  March.  W  i  2*2 


338  DELLA   VITA  E   DELLE   OPERE 

verace  sentimento  di  italiano,  lamenta  i  mali  della  patria 
e  le  augura  libertà,  prosperità,  grandezza  e  gloria^  perciò 
non  istimo  necessario  di  qui  ripetere  le  citazioni  già  fatte 
0  di  aggiungerne  di  nuove  tolte  e  dalle  poesie  stesse  e 
dalle  prose  che  ormai  corrono  per  le  mani  di  tutti  e  fa- 
cilmente possono  essere  consultate  da  chi  il  voglia  per 
trovarvi  la  conferma  di  quanto  sono  venuto  asserendo. 

L'  ingegno  singolare  del  Leopardi,  i  dolori  di  cui 
fii  fatto  segno  dalla  matrigna  natura  gli  procurarono 
sinceri  amici  tra  uomini  che  per  le  doti  della  mente  e 
del  cuore  uscirono  della  volgare  schiera.  Ricorderò  tra  i 
primi  Pietro  Giordani  i  cui  rapporti  amichevoli  con 
Giacomo  cominciarono  nel  febbraio  del  1817,  e  dura- 
rono affettuosissimi  sino  alla  morte.  S  Giordani  in  mezzo 
allo  stuolo  dei  nobili  fanulloni  e  retrogradi  od  indiffe- 
renti restò  ammirato  di  chi  in  un  piccolo  paese  dava 
sin  da  principio  larga  promessa  d'  esssere  ben  diverso 
dagli  altri  nobili.  Egli  ne  lodò  i  primi  tentativi  lettera- 
rii ,  lo  sollecitò  all'  operare  e  lo  secondò  nell'  idea  che 
eragli  nata  d'  uscire  di  Recanati,  anzi  a  tal  fine  fece 
dei  tentativi  per  procurargli  in  alcuna  delle  grandi 
città  italiane  un  decoroso  mezzo  per  poter  vivere  senza 
dispendio  della  sua  famiglia,  ma  i  suoi  sforzi  riuscirono 
tutti  frustanei.  Finalmente  nel  settembre  del  1818  i 
due  amici  si  conoscevano  di  persona,  che  il  Giordani 
8Ì  recava  in  Recanati  e  dimorava  alquanti  giorni  in 
casa  del  Leopardi,  e  i  vincoli  dell'affetto  si  stringevano 
viemmaggiormente. 

Altri  eletti  ingegni  presero  ad  amare  e  stimare  il  no- 
stro Giacomo  per  opera  specialmente  di  Giordani:  ricor- 


DI    GIACOMO   LEOPARDI  339 

ilerò  r  avv.  Pietro  Brighenti,  la  famiglia  Tomassini,  il 
Montani,  il  Perticari,  il  Monti,  come  si  vede  dalle  lettere 
che  il  Ijeopardi  loro  diresse.  A  Firenze  conobbe  e  di- 
venne famigliarissimo  del  generale  Pietro  Colletta ,  il 
grande  patriota  e  storico  insigne,  e  gran  parte  del  giorno 
la  passjivaìio  insieme  intrattenendosi  a  discorrere  delle 
miserie  da  cui  era  afflitta  lu  patria,  e  di  materie  lette- 
rarie. E  tanto  era  V  affetto  che  Giacomo  pel  Colletta  nu- 
triva che,  quando  ebbe  notìzia  della  morte  di  lui,  ne  fu 
addoloratissimo. 

I  più  belli  esempi  di  amicizia  che  alla  nostra  memoria 
trauiandarono  i  poeti  ed  i  novellieri,  mi  sembrano  rinno- 
varsi quando  leggo  dell'  affetto  veramente  fraterno  che 
le}^;>  insieme  le  anime  sensibilissime  di  Antonio  Ranieri  e 
deir  infelice»  poeta  Recanatese. 

I  due  grandi  uomini  si  videro  la  prima  volta  in  Fi- 
renze nel  1827,  ma  poco  appresso  T illustre  scrittore  Na- 
politano jMirtì  per  la  Francia.  "  Xel  1830  Iddio  mi  con- 
ce<lette  la  consolazione  di  riabbracciarlo.  (1)  ^  E  il  Ra- 
nieri attenne  la  pmmcssa,  che  mai  più  si  staccò  dal  suo 
fianco ,  se  non  (piando  V  inesorabile  falce  della  morte 
venne  a  troncan*  la  preziosa  vita  di  Giacomo.  **  Se  la 
sjav^ntevole  desolazione  nella  quale  mi  trovo  non  mi  ri- 
congiungerà fm  jMichi  (lì  al  mio  solo  ed  eterno  amico, 
potrò  forse  descriverle  tutti  quei  j'articolari  che  possono 
essere  desiderio  del  cuoiv  di  un  padre.  Ma  })er  oggi  tutto 

ciò  che  potrò  dirle,  (^  troppo.  (2)  „    Queste  parole  del  Ra- 

« 

(1)  Cuc^ioiii:  Opere  iii«*Uil«  tii  (ì.  Leopardi.  PrefaiiODi*  ptg.  CXIX.  Seconda 
Irliera  di  A.  Ranieri  al  conte  Monaldo  Leopardi. 

(1)  Ci*i.iiu!«i:  Oporr  inedito  di  G.  Leopardi.  Prìni4  lettera  di  K,  Ranieri  a 
Monaldo  Leopardi. 


340  DELLA  VITA   E  DELLE  OPERE 

nieri  dimostrano  in  quale  dolore  restasse  egli  immerso 
per  la  perdita  deir  amico,  a  cui,  come  già  dissi  a  suo 
luogo,  fu  prodigo  di  tutte  quelle  cure  affettuose  che  le 
anime  ben  fatte  sanno  conc>epire  e  mandare  ad  effetto. 
Ma  se  non  pochi  estimarono  come  si  conviene  que- 
gli che  fii  uno  dei  piti  grandi  scrittori  del  nostro  secolo, 
vi  furono  ancora  di  quegli  che  a  lui  vivo  amareggia- 
rono l'esistenza  lanciandogli  contro  o  per  ignoranza,  o 
per  invidia  velenosi  strali;  ed  altri  dimentichi  del  parce 
sepulto  non  la  perdonarono  nemmeno  a  lui  morto,  sca- 
gliandogli contro  le  più  vergognose  ed  in&mi  calunnie. 
E  quelli  che  ciò  fecero,  con  carità  tutt'  altro  che  evan- 
gelica, .furono  gli  appartenenti  all'  empia  setta  di  coloro 
che  sono 

A  Dio  spiacenti  oA  a*  nìmici  sui. 

E  detto  questo  mi  pare  che  non  ci  sìa  bisogno  che 
venga  a  lordare  queste  pagine  coi  nomi  dei  detrattori 
del  Leopardi  che,  contro  un  morto  che  non  si  può  di- 
fendere, non  dubitano  di  far  credere  vere  le  più  infami 
menzogne. 

Qual  fosse  e  qual  sia  la  ragion  della  guerra  contro 
il  poeta  marchigiano,  facilmente  la  si  capisce:  egli  amò 
d' intensissimo  affetto  l' Italia,  e  l' amor  di  patria  per  i 
gesuiti  è  il  più  grande  dei  delitti,  professò  principii  fi- 
losofici che  non  possono  di  certo  accordarsi  colle  meta- 
fisicherie che  insegnano  i  preti  di  Roma,  e  questo  basta 
perchè  coloro  i  quali  non  vogliono  che  si  conosca  la 
corruzione  a  cui  si  sono  dati  in  braccio  muovano  guerra 


DI   GIACOMO   LEOPARDI  341 

all'ultimo  sangue,  a  chi  ha  voluto  pestar  la  coda   della 
vipera  velenosa  che  amnorba  il  mondo. 

Chi  vuole  avere  un  edificante  esempio  della  carità 
cristiana  di  coloro  che  indegnamente  si  appellano  dal 
nome  del  più  sapiente  riformatore  della  società  umana, 
legga  quanto  un  anonimo  scrittore,  intingendo  la  penna 
nel  fiele,  ha  scritto  e  pubblicato  intorno  al  Leopardi 
nella  Civiltà  Cattolica  del  dicembre  1878,  pigliando 
0(*CASÌone  dalle  recenti  publicazioni  del  Viani  e  del  Cu- 
gnoni.  Io,  che  per  rendere  questa  biografia  meno  man- 
chevole che  fosse  possibile,  ho  voluto  vedere  anche 
gli  scritti  degli  avversari  dell'  immortale  poeta  nostro, 
nel  leggere  quello  che  scrive  la  Civiltà  Cattolica  sono, 
il  confesso,  rimasto  scandalizzato,  perchè  non  credeva 
che  la  malignità  degli  uomini  potesse  essere  tale  e  tanta. 
Lo  scrittore  comincia  dal  riprendere  che  si  cerchi  dagli 
editori  di  metter  in  luce  tutto  quanto  al  Leopardi  si  rife- 
risce, dicendo  che  per  tal  modo  si  danneggia  più  di  quel 
che  si  giovi  alla  fama  dell'autore,  nel  che  mi  si  permetterà 
d'essere  di  contrario  avviso,  perchè  la  publicazione  dei 
lavori  inediti  ed  anche  incompiuti  di  uomini  che  già  la 
propria  gloria  si  sono  assicurati,  giova  a  far  vedere  quali 
furono  le  vie  seguite  per  aggiungere  alla  perfezione;  e 
la  stampa  poi  di  nuove  lettere  famigliari  od  altro  che 
alla  lor  vita  si  riferisca  giova  a  rischiarare  molti  punti 
di  essa,  a  dar  la  ragione  psicologica  di  molte  e  molte 
cose  che  altrimenti  rimarrebbero  inesplicabili.  Dopo  di 
ciò  l'articolista  d.  C.  di  6.  viene  a  biasimare  il  tenta- 
tivo fatto  da  Giacomo  nel  1819  per  fuggire  dalla  casa 
patema,  il  quale  atto  so  poteva  essere  sconsigliato  però 


3Ì2  DELLA    VITA   E   DELLE   OPERE 

era  il  necessario  effetto  della  tirannia  con  cui  quell'uomo 
d' ingegno  straordinario  .era  trattato,  e  tutti  gli  schiavi 
anelano  di  ricuperare  la  propria  libertà,  come  la  Civiltà 
Cattolic:i  deve  aver  imparato  dalla  storia  contemporanea 
d'Italia.  Quindi  è  che  se  la  ribellione  di  un  figlio  al- 
l'autorità paterna  ò  biasimevole,  bisogna  però  vedere  se 
quando  il  fatto  avvenga  esso  non  abbia  la  sua  scusa 
neir  abuso  della  paterna  autorità,  e  ciò  essendo,  allora 
mi  sembra  che  al  biasimo  non  vi  sia  più  luogo,  perchè 
nessun  uomo  può  abdicare  i  propri  diritti,  né  permet- 
tere che  si  conculchi  la  propria  dignità  e  libertà,  anche 
quando  il  conculcatore  fosse  il  proprio  padre.  A  questo 
proposito  è  importante  vedere  ciò  che  Giacomo  scrive  a 
suo  fratello  Carlo  nella  lettera  edita  dal  Cugnoni: 

^  Sono  stanco  della  prudenza  che  non  ci  poteva  con- 
durre se  non  a  perdere  la  nostra  gioventù  eh'  è  un  bene 
che  più  non  si  riacquista.  Mi  rivolgo  all'ardire  e  vedrò 
se  da  lui  potrò  cavare  maggior  vantaggio.  Tuttavia  que- 
sta deliberazione  non  è  repentina;  benché  fatta  nel  ca- 
lore ho  lasciato  passare  molti  giorni  per  maturarla;  e 
non  ho  avuto  mai  motivo  di  pentinnene.  Però  la  ese- 
guisco. (1)  „ 

Ma  le  ragioni  del  disperato  partito  della  fiiga  dalla 
casa  paterna  a  cui  voleva  appigliarsi  si  vedono  ancor 
più  chiare  nella  lettera  che  aveva  preparata  pel  padre, 
dove  ricorda  com'  egli  sia  stato  sempre  sottomesso,  e  gli 
rimprovera  che  irremovibilmente  abbia  persistito  nel  non 
volere  che  andasse  in  città  più  grande  dove  potesse  trar 
partito  di  quei  pochi  talenti  che  il  cielo  gli  aveva  con* 

(i)  Cugnoni:  Op.  cit.  pag.  CVIIL 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  343 

ceduti;  ricorda  come  a  21  anni  non  gli  fosse  accordata 
appena  un  terzo  della  libertà  che  si  concede  a  tutti  an- 
che in  età  più  giovanile,  poi  soggiunge:  **  Io  sapeva 
bene  i  proijetti  eh'  Ella  formava  di  noi,  e  come  assicu- 
rare la  felicità  di  uua  cosa  che  io  non  conosco,  ma  che 
sento  chiamar  casa  e  famiglia.  Ella  esigeva  da  noi  due 
il  sacrifizio,  non  di  roha,  nc^  di  cure,  ma  delle  nostre 
inclinazioni,  della  gioventù  e  di  tutta  la  nostra  vita. 
Il  quale  essendo  io  certo  che  Ella,  né  da  Carlo,  né  da 
me  avrebbe  mai  potuto  ottenere,  non  mi  restava  nes- 
suna considerazione  a  fare  su  questi  progetti ,  e  non 
pott»a  prenderli  per  mia  norma  in  verun  modo.  (1)  n 
E  poi,  dopo  dette  altre  cose,  continua:  ^  La  sola  diffe- 
renza di  principii,  che  non  era  in  verun  modo  appia- 
nabile, e  che  doveva  necessariamente  o  condurmi  a  mo- 
rire qui  di  disperazione,  o  a  questo  passo  chMo  fo,  é 
stata  cagione  della  mia  disavventura.  (2)  „ 

Lo  scrittore  della  Civiltà  Cattolica  con  triviali  pa- 
role vitupera  in  appresso  tutti  quelli  che  scrissero  del 
L^pardi  mettendo  in  luce  le  doti  non  poche  di  cui  gli 
scritti  di  lui  risplendono,  e  fa  special  segno  alle  proprie 
ire  quel  Francesco  De  Sanctis  che  è  onore  della  critica 
italiana,  e  che  per  la  causa  della  libertà  della  patria  si 
adoperò  più  coi  fatti  che  colle  parole.  H  rivistaio  lo  ap- 
pella pulcinellesco  critico,  il  che  vuol  dire  ch'egli,  Tar- 
ticolista,  se  n'  intende  più  di  marionette  che  di  lettere, 
altrimenti  si  guarderebbe  dal  riveder  le  bucce  a  chi  po- 
trebbe fargli  scuola  di  buon  senso,  di  patriottismo,  e  dì 

(t)  Coc!«n!«i:  toc.  cit.  paf.  CXI. 
(9)  CiCTiojii:  lor.  cH.  paf.  CXlll. 


34 i  DRLLA   VITA   E    DRI.LE   OPERE 

acuta  e  profonda  critica.  In  quanto  al  giudizio  che  il 
Tommaseo  sotto  il  pseudonimo  di  Angelo  Dalmistro 
avrebbe,  secondo  il  Viani,  pronunziato  intorno  al  Leo- 
pardi, giudizio  del  quale  pare  che  il  giornale  gesuitico 
faccia  gran  conto,  dirò  ch'esso  mi  pare  impossibile  sia 
stato  pronunziato  dal  Tommaseo,  il  quale,  secondo  quello 
che  mi  scriveva  in  una  sua  lettera  del  4  maggio  1864, 
ha  di  non  pochi  defunti  ragionato  con  riverenza  e  con 
gratitudine^  ad  ogni  modo  convengo  con  quanto  su  di 
tale  riguardo  scrive  il  Canna  nella  Rivista  di  fihdogia 
accennando  alla  recento  pubblicazione  delle  cose  Leo- 
pardiane per  opera  del  Viani:  ^  In  più  grave  cosa  è 
debito  manifestare  francamente  il  nostro  dissenso.  Non 
equo  ci  pare  il  giudizio  dato  dal  Yiani,  nella  citata  av- 
vertenza^ intomo  la  Dichiarazione  di  Nicolò  Tommaseo 
sopra  Giacomo  Leopirdi  riprodotta  fra  i  documenti;  non 
fondata  V  accusa,  mossa  o  rinnovata  dal  Viani,  che  il 
Tommaseo  sia  autore  di  un  epigramma  scipito,  oltrag- 
gioso al  Leopardi.  È  da  deplorare  che  il  Tommaseo  non 
abbia  giudicato  del  Leopardi  e  non  abbialo  amato  in- 
forme lo  amò  è  giudicò  quel  nobilissimo  amico  dell'uno 
e  dell'altro,  che  fu  Alessandro  Poerio;  a  ogni  modo  la 
dichiarazione  al  Ranieri  fìi  atto  lodevole  e  umano;  qò 
vi  traspare^  come  vuole  il  Viani,  un  parlar  nemico  e 
da  oracolo.  Da  alcune  opinioni  in  quello  scritto  espresse 
nella  forma  consueta  al  Tommaseo  si  può  dissentire,  ma 
non  si  può  fraintendere:  sincera  vi  è  la  riverenza  e  la 
pietà  alla  memoria  del  Leopardi,  l'estimazione  della  sin- 
golarità dell'ingegno  e  della  generosità  dell'animo;  sin- 
cero il  desiderio  di  chiarire  e  temperare  giudizii    ante- 


DI  GIACOMO   LROPAhDI  345 

fiori  per  lo  meno  troppo  recisi;  sincero  il  dolore  che 
altri  abbia  rapportando  aggravato  e  avvelenato  quei  giu- 
dizi. Della  quale  crudele  calunnia  e  inumanità  letteraria 
8i  scorgono  per  avventura  gli  effetti  in  alcune  espres- 
sioni di  queste  lettere,  espressioni  insuete  a  quel  mitis- 
simo  infelice.  Quanto  all'epigramma  di  cui  piace  al  Yiani 
ravvivare  la  notizia,  noi  crediamo  che  solo  un  avvocato 
fiscale  della  vecchia  scuola,  ma  non  mai  un  vec<*hio  giu- 
dice, possa,  sopra  i  due  indizi  addotti  nell'air t;^/en^a; 
dei  quali  uno  è  incerto,  1'  altro  è  tanto  dubbio  da  po- 
tarsi più  ragionevolmente  fame  illazione  contraria  a 
quella  che  ne  tira  il  processante,  aggravare  la  memoria 
di  Nicolò  Tommaseo  di  tanta  scipitezza  e  di  tanta  inu- 
manità. (1)  „ 

Ma  il  velerò  dello  scrittore  apparisce  tutto  in  quella 
parte  dell'articolo  dove  riferisconsi  le  parole  che  Carlo 
Leopardi  avrebbe  detto  intomo  a  suo  fratello:  **  Provò 
Giacomo  funestamente  precoce  la  sensibilità  della  natura. 
Anticipò  quattro  o  cinque  anni  l'età  dello  sviluppo.  Indi 
come  egli  mi  confessò,  tutti  i  mali  fisici  della  sua  vita. 
Yero  fenomeno!  La  stessa  natura^  concedendo  troppo  o 
precorrendo  il  tempo,  uccide  e  fa  miseri.  „  Dalle  quali 
si  vorrebbe  inferire  che  causa  dei  mali  da  cui  fu  tra- 
vagliata l'esistenza  dell'  infelice  Recanatese,  furono  vizi 
che  egli  non  ebbe  e  non  la  troppa  applicazione  allo 
studio,  non  pensando  che  Carlo  non  avrebbe  mai  prcv- 
ferite  quelle  parole  se  avessero  dovuto  tornare  a  disdoro 
della  fama  dell'adorato   fratello,  che  alla  virtù  professò 

(0  RWitla  di  Ololofla  e  d*Ulnitione  eUitica.  Anno  yil,  fhtc.  7,  8  —  1979 
«•  pag.  959. 


346  DELLA    VITA    E   DELLE   OPERE 

quel  culto  profondo  e  sincero  che  ben  pochi  tra  gli  uo- 
mini le  professano.  Un'  altra  causa  dei  malanni  di  lui 
fii  la  mancanza  di  fede,  perchè  Pietas  ad  omnia  utilis 
est,  ed  anche  alla  Mens  sana  in  corpore  sana,  almeno 
così  dice  lo  scrittore  della  Civiltà  Cattolica^  e  non  me 
ne  meraviglierò  io  perchè  i  ff.  d.  C.  d.  G.  non  possono 
mostrare  di  credere  altrimenti,  e  la  rovina  di  lui  fu,  se- 
condo loro,  oltre  V  abuso  della  precocità  di  natura,  la 
relazione  con  degli  empi  ed  eretici  come  Giordani,  Mon- 
tani e  Ranieri. 

Queste  sono  le  bestemmie  che  la  carità  cristiana  del- 
l'organo magno  dei  gesuiti  proferisce  contro  un  morto, 
che  non  può  difendersi,  e  per  di  più  vi  aggiungono  che 
ninno  degli  scritti  suoi  ha  un  grande  valore.  L'oracolo  ha 
parlato,  veneriamone  in  silenzio  la  sentenza  gravissima! 

Ho  voluto  diffondermi  ad  esaminare  l'articolo  della 
Civiltà  Cattolica  non  perchè  creda  eh'  esso  abbia  tanto 
di  potere  da  nuocere  alla  fama  grandissima  dello  scrit- 
tore marchigiano,  ma  per  far  vedere  a  quali  arti  infami 
ricorra  certa  gente  per  abbattere  le  glorie  della  patria, 
le  quali  ad  essi  fan  ombra  in  quanto  non  giovano  alle 
loro  mire  ambiziose  ed  ai  loro  antinazionali  intendimenti. 
Et  de  hoc  satis. 

XI. 

Conelnsione. 

Eccomi  giunto  alla  fine  di  questo  mio  lavoro,  il  quale 
voglio  sperare  non  sia  per  essere  giudicato  al  tutto  vano. 
Infatti  mio  intendimento  è  stato,  valendomi  anche  di  ma- 
teriali che  coloro  i  quali  mi  precedettero  non  ebbero  per 


DI  GIACOMO  LEOPARDI  347 

le  mani,  di  studiare  la  vita  intellettuale  del  Leopardi,  di 
indagare  le  cause  fisiche  e  morali,  interne  ed  esterne, 
che  potentemente  contribuirono  a  svilupparla  piuttosto  in 
un  modo  che  in  un  altro,  e  mi  sembra,  se  l'amor  pro- 
prio non  fa  velo  al  mio  intelletto,  che  tale  studio  e  tali 
indagini  non  sian  riuscite  al  tutto  destituite  d'ogni  utile 
risultato.  E  se  dal  lato  della  forma  e  dello  stile,  e  sotto 
altri  rispetti  questi  cenni  biografici,  ad  onta  del  lungo 
studio  ed  amore  posti  nel  compilarli,  non  saranno  riu- 
sciti degni  dell'  illustre  marchigiano,  ne  chieggo  venia 
al  lettore  cortese,  il  quale  vorrei  che  riguardasse  meglio 
all'  intenzione  buona  di  questo  scrìtto  che  alla  povertà 
di  osso. 

Se  poi  le  persone  eulte  in  queste  pagine  non  tutto 
troveranno  dispregevole,  ed  i  giovani  che  attendono  allo 
studio  delle  lettere  saranno  per  esse  tratti  a  fare  un  equo 
giudizio  dei  frutti  dell'  ingegno  del  poeta  e  filosofo  Re- 
canatese, e  tutti  sentiranno  vieppiti  accendersi  d'amore 
per  le  opere  di  lui^  sarà  questo  non  lieve  compenso  alle 
povere  mie  fatiche,  perchè  con  esse  avrò  contribuito  a 
mantener  vivo  il  culto  di  uno  dei  più  grandi  uomini 
che  abbiano  le  Marche  e  l'Italia  prodotto,  ed  il  calto 
delle  patrie  memorie  è  scuola  utile  ai  presenti  che  man- 
tiene e  prepara  la  grandezza  e  prosperità  della  patria 
nel  presente  e  nell'avvenire. 


umm  mmioGRiiFicii 


NOTIZIE    STORICHE 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


RASSEGNA  BlBLIOliRAFICA 


Di  una  immigrazione  di  Lombardi  nella  città  e  nel  contado  di 
Jesi  intorno  ali*  ultimo  quarto  del  secolo  XV.  —  Notizie  e 
documenti  per  Antonio. Giananorea.  —  Un  op.  in  16."® 
grande  di  pag.  23.  —  Milano,  Tip.  G.  Beruardoni,  1878. 

Questo  stadio,  fatto  con  qaella  diligenza  che  è  tutta  pro- 
pria del  GiANANDREA,  vide  già  la  luce  neir  Archivio  Storico 
IjombardOy  e  ciò  è  già  una  prova  del  suo  valore. 

Detto  della  pestilenza  che  serpeggiò  per  T  Italia  dal  1464 
al  1  i80,  recando  anche  non  lievi  danni  nella  provincia  d'An- 
cona e  segnatamente  nella  città  di  Iesi,  non  si  trattiene  a 
farne  descrizione  particolare  per  r  assoluta  mancanza  di  fonti 
da  cui  attingere  quelle  circostanze  speciali ,  che  aW  uopo  sono 
necessarie.  E  di  questo  gli  si  vorrà  dar  lode  da  quanti  pen- 
sano rettamente  che  lo  storico  non  deve  nelle  sue  scritture 
dar  prova  d' immaginazione  feconda  come  un  romanziere  od 
un  poeta.  Indagando  le  origini  del  contagio  nelle  Riformanze 
del  Comune  di  Iesi  trova  documenti,  che  provano  come  si 
reputasse  che  fosse  stato  importalo  dagli  Schiavoni  ed  Al- 
l)anesi,  perchè  si  stabiliscono  pene  per  quelli  che  entreranno 
nella  città  o  li  ricetteranno.  Il  fatto  sta  che  in  seguito  al 
funesto  morlK)  la  i)opolazione  era  di  molto  scemata,  sicché  i 
magistrati  dovettero  pensare  al  modo  di  ripopolare  i  luoghi 
rimasti  quasi  privi  d'  abitatori,  laondt'  dei  cittadini  lombardi 
furono  fatti  venir.*,  accordando  ad  essi  privilegi  e  favori  sin- 
golari che  il  Gian.'indrea,  appo>:giandosi  sempre  a  documenti 
di  non  dubbia  tVde,  enumera  con  diligenza,  dimostrando  co- 
me i  nuovi  venuti  nella  nuova  patria  portarono  i  semi  di 
quella  operosità  industriale  per  cui  le  città  lomlKirde  anche 
ai  nostri  giorni  vanno  distinte. 


352  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Questo  è  in  poche  parole  Targomeuto  di  cui  s'occupa  il 
bravo  professore  lesino,  ed  è  notevole  che  non  racconta  se 
non  quello  di  cui  ha  potuto  accertare  la  verità,  senza  abban- 
donarsi a  più  0  meno  probabili  congetture,  come  molti  so- 
gliono fare,  perchè  molte  volte  esse  tradiscono  la  storia^  sebbe- 
ne possano  soddisfare  la  curiosità  del  lettore.  —  Ma  al  Gia- 
nandrea  non  vuoisi  dar  lode  soltanto  come  a  narratore  stori- 
co veridico,  ma  ancora  è  degno  d'  encomfo  come  scrittore 
corretto,  e  che  usando  di  uno  stile  semplice  e  piano  sa  riu- 
scire chiaro  ed  elegante  in  un  tempo  medesimo,  come  già  i 
lettori  del  nostro  Archivio  hanno  avuto  occasione  di  vedere. 

Cesare  Rosa 

Gentile  da  Mogliano.  —  Storia  Picem  del  secolo  XIV  —  Givi- 
tanova-Marche  (volumi  tre)  Tip.  Natalucci,  1878. 

Autore  di  quest'  opera  è  il  chiarissimo  signor  Giambattista 
Ripamonti  da  Mogliano.  Esso  volle  scriveni  una  Storia  Picena 
del  secolo  decimoquarto,  perchè  il  Piceno  gli  parve  troppo 
maltrattato,  confuso  spesso  con  altre  provincie,  e  spesso  an> 
Cora  affatto  dimenticato,  eppure  il  terreno  n'è  bello,  limpido 
il  cielo,  temperato  il  clima  cosi  che  chi  vi  nacque  o  vi  dimorò, 
non  sa  partirne.  Le  città  furono  sempre  si  spesse,  da  formarne 
quasi  una  sola;  ogni  poggio  aveva  in  cima  un  castello  più  o 
meno  grande;  e  di  tali  castelli  tuttora  ne  rimangono.  Guerre, 
parti,  odii,  amori,  brutte  e  ammirabili  cose  avvennero  nel  Pi- 
ceno come  altrove.  Uomini  grandi,  ne  ebbe  tanti,  e  tali  da 
non  invidiare  nessuno.  Pergolese,  Ostilio  Ricci,  Annibal  Caro, 
Gentile  da  Fabriano,  Sisto  V,  Alberico  Gentili,  Bartolomeo  Eusta- 
chio, Raffaello,  Bramante,  Cestoni,  Persiani,  Vaccai,  Sponlini, 
Leopardi,  Puccinotti,  Giovanni  Marchetti,  Francesco  Cassi,  Ros- 
sini, Lanci,  Camerini,  per  tacere  di  mille  altri,  basterebbero 
ad  illustrare  una  nazione. 

L^autore  scelse  a  tema  della  sua  Storia  Picena  Gentile 
DA  Mogliano,  perchè  questi  gli  parve  conosciuto  meno  di 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  353 

quanto  merita;  perchè  tatto  ciò  che  ne  scrìssero  gli  antichi 
è  pieno  zeppo  di  anacronismi  e  calunnie,  ed  eziandio  perchè 
Gentile  è  suo  compatrìotta. 

Le  fonti  ov».  attinse  le  principali  notizie  sono  storiche:  per 
gli  aneddoti  e  gli  incidenti  ha  seguito  le  cronache  e  la  tradizione. 

Esso  tratteggiò  fisonomie  e  caratteri,  che  realmente  furono; 
rese  la  vita  e  la  parola  ad  uomini  che  esisterono;  sceneggiò 
casi  che  avyennero;  e  dipinse  con  esattezza  ed  evidenza  i  co- 
stumi, le  opinioni,  le  credenze,  i  pregiudizii,  le  passioni,  le 
virtù  ed  i  vizii  degli  abitanti  del  Piceno  del  secolo  XIV. 

In  questo  pregiatissimo  lavoro  il  dotto  scrittore  moglianese 
descrisse  ed  illustrò  principalmente  la  storia  dell' antichissima 
ed  insigne  città  di  Fermo,  a  cui  dedicò  meritatamente  il  suo 
libro  perchè  in  essa,  fino  da  giovanetto  apprese  ad  amare  il 
buono  ed  il  bello.  Esempio  imitabile  di  amorosa  riconoscenza. 

GenHle  da  Mugliano  apparteneva  alla  illustre  famiglia  dei  « 
nobili  di  Fermo:  era  bello  e  robusto  della  persona,  prode  assai 
nelle  armi,  di  forte  ingegno,  di  mente  elevata,  e  di  animo  al- 
tero, magnanimo  e  generoso.  Per  lo  che  i  Fermani,  stanchi 
del  mal  governo  de'  loro  Priori,  e  reputando  Gentile  for- 
nito di  quelle  tante  e  disparate  prerogative,  che  si  desiderano 
liunite  in  un  principe,  lo  vollero  e  lo  salutarono  Signore 
di  Fermo. 

Ma  nel  1353  vi  fu  assediato  da  Malatesta  generale  di  Santa 
Chiesa. 

Vedendo  Gentile  di  non  potergli  resistere,  si  recò  in  Fu- 
ligno  dal  Cardinale  Egidio  Albornoz  che,  vicario  del  Papa  in 
Italia,  riacquistò  le  Roniagne,  il  Piceno,  ed  altre  contrade  alla 
Santa  Sede,  giovandosi  non  tanto  delle  milizie  spagnole,  quanto 
delle  scomuniche,  degr  intrighi,  delle  indulgenze,  e  delle  false 
promesse  di  libertà  verso  coloro,  che  volessero  aiutarlo  ne' suoi 
divisamenti.  il  Cardinale  dichiarò  Gentile  gonfaloniere  della 
Chiesa,  e  lo  confermò  nel  dominio  di  Fermo. 

in  seguito  parve  alPAlbornoz,  che  Gentile  si  accostasse  al 
prode  Francesco  degli  OrdelaflB,  Signore  di  Forlì  e  di  Cesena 

Arehiv.  Slor.  March.  V.  /.  23 


354  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

di  Ini  suocero,  ed  agli  altri  Signori  di  Romagna.  Per  questo 
suo  sospetto,  il  Cardinale  gli  tolse  TofOcio  di  gonfaloniere  di 
Santa  Chiesa  e  lo  bandi  come  ribelle.  Gentile  allora  scacciò 
da  Fermo  le  milizie  pontificie,  e  si  rese  indipendente  dalla 
Corte  papale.  Ma  in  appresso  la  seguita  sommessione  della 
lega  dei  Signori  romagnoli  alle  soldatesche  del  Cardinale  Al- 
bornoz  fu  cagione  della  rovina  di  Gentile.  Perciocché  i  Per- 
mani, temendo  lo  sdegno  e  le  forze  del  Cardinale,  si  ribella- 
rono al  Moglianese  loro  Signore,  e  lo  assediarono  nella  fortezza 
di  Fermo,  denominata  il  Girifalco.  Gentile  dopo  calorosa  e  mi- 
rabile resistenza  fu  costretto  ad  arrendersi;  e  il  Cardinale  Àl- 
bornoz  lo  bandi:  ma  egli  tornato  a  Fermo  con  le  sue  milizie, 
fu  preso  e  decapitato. 

La  storia,  qui  appena  accennata,  fu  dal  valente  scrittore 
marchigiano  minutamente  esposta  in  forma  di  racconto  sem- 
plice, attraente,  piacevole,  e  ricco  di  svariatissimi  casi.  Nel 
tessere  questo  lavoro,  egli  si  è  giovato  bellameute  e  con  or- 
dinata mischianza  delle  forme  narrativa,  descrittiva  e  dram- 
tica.  Le  sue  descrizioni  di  cose,  di  paesi,  di  uomini,  di  bat- 
taglie, e  di  ogni  specie  di  avvenimenti,  sono  vere,  particola- 
reggiate, pittoresche;  i  dialoghi  naturalissimi  e  caratteristici; 
la  intiera  narrazione,  bene  ordinata  nelle  sue  parti;  gli  epi- 
sodii,  appropriati  e  ben  connessi  al  principale  racconto;  i  ca- 
ratteri dei  diversi  personaggi,  egregiamente  delineati  e  soste- 
nuti sempre  nella  loro  speciale  natura;  lo  stile  facile,  chiaro, 
e  variato  secondo  V  indole  delle  cose  descritte  e  dei  fatti  nar- 
rati; il  dettato,  puro,  spontaneo,  elegante,  e  veramente  ita- 
liano; oltreciò  Fautore,  scrivendo,  usufruttuò  parole,  frasi, 
motti,  e  proverbii  appresi  dalla  balia,  quanti  più  ha  potuto. 
E  cosi  egli  volle  arricchire  P  idioma  scrìtto  della  nazione  con 
un  tesoro  di  lingua  parlata  bella,  espressiva  efficace,  propria 
di  alcuni  popoli  del  Piceno.  Qnesta  lingua  parlata  dalle  Marche 
fu  ammirata  dal  celebre  scrittore  Pietro  Giordani  a  Recanati 
allorquando  vi  si  recò  a  visitare  Giacomo  Leopardi.  E  questo 
sommo  nostro  marchigiano,  poeta,  prosatore  e  filosofo  insigne, 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  355 

infiorò  spesso  le  sue  opere  immortali  di  molte  frasi  e  maniere 
di  dire  proprie  dì  alcuni  popoli  piceni,  specie  di  Recanati,  di 
Loreto,  di  Macerata,  di  Ancona  e  di  Jesi. 

Qaale  scopo  si  è  prefisso  il  nostro  autore  nello  scrivere  la 
Storta  Picena  del  secolo  XIV,  oltre  a  qaello  di  far  conoscere 
la  verità  dei  fatti  di  quell'epoca  medioevale,  ed  i  pregi  gran- 
dissimi del  suo  famoso  com[)atriotta  Gentik  da  Mogliano? 
Farmi  ch'esso  abbia  avuto  in  pensiero  anche  il  fine  di  far  note 
al  popolo  le  corruzioni,  le  ingiustizie,  le  crudeltà,  le  discordie 
civili,  le  stragi,  le  rovine,  gP  incendii  di  città  e  castelli,  cagio- 
nati nel  Piceno  dalle  masnade  straniere,  e  dalla  prepotenza 
papale  per  malnata  libidine  di  temporale  dominio. 

E  da  tanti  privati  e  pubblici  danni,  da  tante  nazionali  ca- 
lamità quale  vantaggio  ritrasse  la  Chiesa  Romana?  Fu  questo 
«  che  PAIbornoz  (come  il  suo  predecessore  Bertrando  del  Pog- 
getlo,  morto  poi  a  Viterbo)  scappando  alla  volta  di  Avignone, 
lasciarono  le  cose  in  peggior  condizione  che  non  le  avessero 
trovate,  dopo  avervi  sprecato  tanti  milioni  e  tanto  sangue, 
nulla  ac(|uistando,  molto  sperdendo,  fatto  abborrire  le  sanie 
chiavi,  e  più  desiderabile  la  libertà.  > 

DoTT.  Dazio  Olivi. 

Fette  Municipali  commemorative  e  Tiro  a  segno  in  Italia  nel 
secolo  XV.  Brano  di  Storia  lesina  con  documenti  inediti 
per  Angelo  Angelucci.  —  Torino,  Tip.  di  G.  Baglione, 
1862.  —  Un  opuscolo  di  pag.  16 

Il  maggiore  ing.  ANGi:LUca,  che,  oltre  ad  essere  un  di- 
stinto filologo,  è  on  valente  cultore  delle  patrie  memorie, 
come  ne  fan  fede  i  suoi  molti  lavori,  fin  dal  186i  mandava 
alla  luce  questo  opuscolo  in  cui  dimostra  che  T  esercizio  del 
TRARRE  A  MIRA  è  antico  quanto  le  armi  da  getto,  ed  è  dif- 
licite  il  poter  sicuramente  stabilire  la  data  di  questa  istituzione. 
Ma  pur  tuttavia,  per  indagare  quando  tale  esercizio  avesse 
origine  in  Italia,  crede  non  vi  siano  documenti  die  provino 


356  BASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

essere  aDteriore  al  secolo  XYI,  e  da  un  docamento,  tratto 
dalle  Riformanze  iesine,  vuoi  provare  che  ia  quella  città  il 
tiro  a  segno  ebbe  orìgine'nel  1486,  se  non  che  i  naovi  doca- 

meoti  messi,  in  luce  dal  nostro  Gianandrea  fanno  vedere,  sen- 

'•  •       ,  •       ■ 

za  .tema  di  errare,  che  queir  esercizio  si  cominciò  in  Iesi  nel 

•  •  ' .  ». 

1453  in  occasione  delle  feste  a  S.  Floriano  martire.  —  Però 
questa  anteriorità  di  data  non  toglie  nulla  deir  importanza 
che  ha  Topuscolo  del  Gav.  Aogelucci,  il  quale  è  una  nuova 
pi[^ya  della  erudizione  di  lui  e  dell'amore  che  porta  air  Ita- 
Uà  ed  in  particolare  alle  sue  Marche;  e  lo  studio  di  lui  e 
quello  del  Gianandrea  si  completano  a  vicenda ,  e  possono 
contribuire  non  poco  ad  accertare  che^  il  tiro  a  segno  in 
Italia  non  è  una  importazione  straniera. 

Cesare  Rosa 


Opuscoli  varii  del  Marchese  Filippo  Raffaelli. 

Ho  qui  sopra  il  mio  scrittoio  undici  opuscoli,  favoritimi 
dalla  squisita  cortesia  del  signor  marchese  Raffaelli,  Bibliote- 
cario della  Gomunàle  di  Fermo,  che  attendono  eh'  io  ne  renda 
conto  ai  lettori  di  queste  pagine  ,  ma  essendomi  impossibile, 
per  lo  spazio  di  cui  m' è  dato  disporre,  di  parlar  particolar- 
mente di  ciascuno,  come  vorrei  e  come  meriterebbero,  debbo 
limitarmi  a  dice  di  tutti  insieme  poche  parole  intrattenendomi 
più  su  quelli  che  presentano  un'  importanza  maggiore.  —  Ddla 
tregua  avvenuta  neW  ottóbre  dd  MCDXI  fra  Onofrio  Smeducci 
di  Sanseverino  ed  il  Comune  di  Macerata.  —  È  un  fascicolo 
di  16  pagine  pubblicato  in  occasione  di  nozze;  precedono  po- 
che parole  per  far  conoscere  i  tentativi  inutilmente  fatti  dallo 
Smeducci  per  togliere  a  Macerata  la  sua  libertà,  e  seguono 
tre  documenti  editi  per  la  prima  volta  dal  Raffaelli ,  relativi 
ai  preliminari  di  pace  tra  quel  libero  Comune  ed  il  Sanse- 
verinate.  Il  primo  documento  è  una  lettera  di  Onofrio  ai  Prio- 
ri di  Macerata  in  data  del  30  Settembre  1411  con  cui  prò- 


R/^SEGNA  BIBLIOGRAFICA  357 

mette  6$  none  offèndere,  ne  receptare  chi  offendesse,  quando  però 
i  Maceratesi  promettano  il  medesimo  entro  tre  di  altramenie 
non  ricei>endo  la  dieta  vostra  promixione,  questa  sia  de  nullo 
valore.  —  Il  secondo  documento  è  la  risposta  dei  Priori  del 
Gomane  allo  Smeducci,  e  porta  la  data  del  2  Ottobre  1411  ; 
con  essa  accettano  le  condizioni  di  Onofrio,  facendovi  qualche* 
modiBcazione,  la  quale  però  non  viene  da  lui  accettata  come 
apparisce  dal  terzo  documento.  11  RaffaeUi  fa  succedere  alla 
publicazione  delle  opportune  note  storiche,  le  quali  valgono 
a  dare  schiarimenti  intorno  ai  latti  ed  alle  persone  di  cui  si 
parla  nel  corso  dell'opuscolo.  — 

Di  una  tavola  dipinta  da  Lorenzo  Urbani  da  Sanseverino 
per  U  Comune  di  Recanati.  —  In  queste  pagine  si  danno  al- 
cune brevi  notizie  deir Urbani,  pittore  non  volgare  ai  »uoi 
giorni  e  di  cui  sarebbe  ad  augurarsi  che  alcuno  tessesse  una 
accurata  biograQa;  e  quindi  sì  viene  a  discorrere  di  una  tavola 
a  lui  allogata  dal  comune  di  Recanati  nel  1474 ,  in  cui  si 
rappresenta  S.  Sebastiano,  S.  Maria  e  S.  Benedetto.  Il  March. 
Rafiaelli  mostra  i  pregi  del  dipinto  ed  illustra  le  figure  e  le 
iscrizioni  che  vi  sono;  (\iiùostrando  buon  gusto  in  fatto  di  arte 
e  sana  arte  critica. 

La  Imparziale  e  veritiera  istoria  ddla  unione  della  BibUo- 
teca  Ducale  (f  Urbino  alla  Vaticana  di  Roma.  —  È  questa 
una  lettera  al  Conte  Giullari  di  Verona,  con  cui  il  Marchese 
Filippo  RaffaeUi  pretende  di  giustificare  T  unione  della  pre- 
ziosa biblioteca  dei  Duchi  di  Urbino  alla  Vaticana  di  Roma, 
ma  a  me  pare  che  la  cosa  non  sia  giustificata  che  in  picco- 
lissima parte,  mentre  nel  testamento  di  Francesco  Maria  della 
Rovere  si  stabiliva  tra  T altre  cose  che:  alla  Comunità  d'Ur- 
bino lascia  là  Libraria  ^  e  quindi  non  si  poteva  poi  da  un 
papa,  ò  chi  per  lui ,  derogare  alla  volontà  del  testatore.  — 
Ed  invero  mi  par  da  lamentare  che  Urbino  abbia  perduto  uno 
dei  suoi  più  pregievoli  ornamenti,  che  sarebbe  tornato  a  gran- 
de profitto  degli  studiosi,  ne  in  tale  lamento  giustissimo  deve 
vedei^i,  come  ci  vede  il  RàfTaelli,  un  pretesto  di  più  per  sca- 


358'  RASSEGNA   B1BL106RAPTCA 

gliarsi  contro  i  Pontefici,  che  sempre  fecero  mal  governo  delle 
cose  nostre,  ma  srbbene  V  amore  del  vero  e  della  giustizia. 

Di  alcune  opere  di  scultura  e  tarsia  in  legno  esistenti  a 
Recanati.  —  È  un  opuscolo  di  28  pagine  in  cui  si  ricordano 
valenti  artisti  marchigiani  ed  opere  di  scultura  e  tarsia  in  le- 
gno che  si  trovano  nelle  nostre  Marche,  delle  quali  hanno  ta- 
ciuto immeritamente  gli  scrittori  di  cose  d'arte.  E  ben  fece 
r  egregio  bibliotecario  delia  comunale  di  Fermo  a  toglierli 
dair  oblivione  aggiungendo  alla  sua  memoria  importanti  docu- 
menti, che  saranno  utilmente  consultati  da  chi  vorrà  darci  una 
completa  biografia  di  quelli,  che  coltivando  Tarte  con  amore  ed 
ingegno,  accrebbero  lustro  e  decoro  a  queste  nostre  provi ncie. 
Il  Monumento  di  papa  Gregorio  XII  ed  i  suoi  donativi 
alla  cattedrale  di  Recanati.  —  Di  queir  Angelo  Correr  che , 
eletto  papa  in  tempi  fortunosi,  abdicava  alla  sua  dignità  per 
tornar  vescovo  di  Recanati  sorge  in  questa  città  uno  stupendo 
monumento  marmoreo  di  cui  il  RafTaelli  fa  V  illustrazione,  ri- 
portando r  epigrafe  della  quale  cerca  interpretare  il  senso  nel 
modo  che  sembra  meno  lontano  dal  vero. 

Statuti  deW  arte  della  calzoleria  in  Monte  Giorgio.  —  Questi 
statuti  vennero  dapprima  compilati  nel  1385,  vennero  volga- 
rizzati nel  1484  e  quindi  riformati  e  corretti  nel  1448  (?). 
La  pubblicazione  degli  statuti  delle  arti  maggiori  e  minori , 
cosi  delle  grandi  che  delle  piccole  città,  è  da  riputarsi  utilis- 
sima perchè  vale  a  porgere  non  poca  luce  intorno  alla  vita 
civile,  morale,  ed  economica,  quindi  è  che  quanti  sono  di  que- 
sto persuasi  saran  grati  alla  cura  che  si  è  dato  il  Marchese 
RalTaelli  di  mettere  in  luce  gli  inediti  statuti  della  calzoleria 
di  Monte  Giorgio,  arricchendoli  di  opportune  note  illustrative. 
Se  non  che  a  me  sembra  che  tal  genere  di  publicazìoni  rie- 
sca di  gran  lunga  più  utile  quando  vi  si  accompagni  uno 
studio  che  metta  in  rilievo  le  disposizioni  più  importanti  che 
fa<xia  vedere  quali  vantaggi  o  danni  ne  risultarono  al  pro- 
gresso delle  arti  ed  industrie,  che  faccia  notare  come  i  nuovi 
prìncipii   proclamati  dalle  economiche  discipline  ed  il  nuovo 


aàssrgna  bibliografica  35d 

indirizzo  della  vita  publica  molle  di  quelle  disposizioni  ren- 
derebbero oggi  inopportune  e  via  dicendo.  Ora  di  tutto  questo 
nel  libretto  del  Raffaelli  non  trovo  sillaba,  e  penso  che  la  sua 
grave  fatica  se  ne  sarebbe  avvantaggiata,  rendendo  un  notevole 
servigio  agli  studiosi. 

n  Monumento  di  Vittorio  Alfieri  in  S.  Croce  di  Firenze.  — 
Sono  lettere,  sinora  state  inedite,  di  Giovanni  degli  Alessandri 
e  di  Antonio  Canova ,  dalle  quali  zi  rileva  che  V  Accademia 
Fiorentina  di  Belle  Lettere  per  prima  concepiva  V  idea  d' in- 
nalzare un  degno  monumento  all'immortale  Tragico  d'Asti 
ed  a  tal  fine  si  rivolgeva  a  queir  Antonio  Canova  che,  come 
scultore,  levò  si  gran  Tama  di  se  ;  ma  il  Canova  non  poteva 
accettare  V  incarico  atteso  t*  affoUafnento  la  tnoUitudine  de'  lavori 
da  me  intrapresi  a  quesf  ora.  Fu  poi  per  opera  della  Contessa 
D'Albany  che  il  grande  scultore  italiano  faceva  il  magnifico 
monumento  air  /  tfieri  che  ammiriamo  in  Santa  Croce,  e  che 
è  davvero  di^/no  leir  illustre  uomo.  —  La  publicazione  del 
RalTaelli,  (in  cui  vorrei  trovare  ana  forma  meno  rettorica,  di- 
fetto che  si  (leve  secondo  me  ìotare  in  tutti  ^li  scritti  li 
lui  ) ,  non  ò  al  lutto  dejtiiuila  d' importanza  |)erchè  se  non 
altro  mostra  che  gP  Italiani  apprezzarono  degnamente  V  Alueri 
e  tentarono  di  rendere  alla  sua  i  epioria  degne  onoranze. 

"Cesare  Rosa 

l  —  fVDoninic   liifvn    ^^     .)  fi  «ri  ?       '  s .   —    '*emrie 

''accolte  V  ,':^H''  r  '^cr  "lov"»  i       nibm-  i         \  si,  Tipo- 

*^;  n  Fn*    '  li  •  "i  .,  1  .  '  ;     colo  i .  !•'*'"  ^'rap.Je 

••/i:.       '  —  II.  —  ^*  Fed^^noo  Oe'  Corti  da  Verona 

rri    '  •       :  ^  in  lesi  —  Mora^^ralla  con  documenti  per 

•  V    :       ..  NiBAtDi  —  lesi,    Tip.  Framonti  Fazi,  1877. 

—  Li.  opuscolo  in  IO"*'  grande  di  pag.  84. 

Di  questi  due  opuscoli  che  s'occupano  Ji  artefici  venuti  in 
rinomanza,  i  quali  arricchirono  dei  loro  lavori  le  città  della 
Marca,  vorrei  poter  dire  il  miglior  bene  del  mondo ,  ma  nel 


360  tlASSBGNA   BlBLtOORAFlCA 

mentre  lodo  la  buona  volontà  di  mantener  viva  la  memoria 
di  artisti  non  volgari,  mentre  lodo  la  pazienza  con  cai  furono 
rovistate  le  antiche  carte  per  attingervi  le  maggiori  notizie 
possibili  intorno  alla  loro  vita»  non  posso  far  a  meno  di  la- 
mentare che  lo  scrittore  là  dove  gli  mancano  notizie  e  docu- 
menti per  accertare  i  fatti  che  racconta,  proceda  nelle  sue  ar- 
gomentazioni con  non  troppo  sana  critica,  e  basi  il  suo  ragiona- 
re su  non  troppo  solide  fondamenta:  a  provare  quanto  asserisco 
basterà  che  faccia  una  sola  citazione.  A  pag.  13  e  seguenti 
deir  opuscolo  intorno  al  De'  Conti  dopo  avere  supposto  che 
il  tipografo  veronese  andasse  a  Roma,  in  epoca  non  bene  ac- 
certata, ma  che  lo  scrittore  assicura  essere  il  1467 ,  ed  ivi 
imparasse  Tarte  sua,  ne  deduce  che  quivi  conoscesse  alcuni 
illustri  lesini,  colà  recatisi  per  ambascerie  presso  la  S.  Sede, 
i  quali  lo  persuadessero  a  recarsi  in  Iesi  a  stabilirvi  una  ti- 
pografia. —  Come  si  vede  qui  si  va  di  supposizione  in  sup- 
posizione e  se  questo  fosse  lecito  di  Care  lo  scrivere  la  storia 
sarebbe  una  delle  cose  più  facili  del  mondo. 

Ne'  di  supposizioni  patisce  diretto  la  memoria  intomo  al- 
l' Indivini  dove  tra  le  altre  cos^  per  dar  maggior  onore  a  Iesi, 
lo  scrittore  vien  fuori  con  Tidea  che  il  celebre  intagliatore 
sanseverinate  abbia  in  quella  città  studiato  Parte  sua,  senza 
nemmeno  portare  innanzi  una  qualche  prova  che  avvalori  la 
sua  idea.  Che  ogni  scrittore  porti  amore  grande  alla  città  na- 
tale è  ragionevole,  ma  che  per  accrescere  V  onore  di  lei 
voglia  attribuirle  più  di  quel  che  le  spetta  non  è  lodevol  cosa 
perchè  la  storia  non  si  può  e  non  si  deve  acconciare  come 
meglio  torna  comodo  al  narratore,  altrimenti  essa  riesce  tut- 
r  altro  che  la  luce  della  verità  e  la  maestra  della  vita,  come 
Cicerone  ha  insegnato  che  deve  essere. 

Ho  voluto  accennare  a  questi  difetti  capitalissimi  degli 
scrìtti  del  signor  Annibàldi  perchè  la  critica,  massime  quando 
si  tratta  di  lavori  storici ,  deve  essere  franca,  che  solo  a  tal 
condizione  può  recar  alcun  frutto  di  bene ,  e  perchè  vorrei 
che  r  egregio  scrittore,  il  quale  dimostra  molte  buone  qualità 


RASSEGNA   BlBLIOGRAriGA  361 

per  procedere  nelle  indagini  storiche ,  per  V  avvenire  proce- 
desse con  più  cautela  prima  di  mettere  innanzi  le  proprie 
opinioni,  essendo  qaesto  il  vero  modo  di  riuscir  atile  davvero 
al  progresso  degli  stadii  storici.  Voglia  danque  egli  accogliere 
in  benigno  modo  le  mie  osservazioni,  e  credere  che  esse  sono 
dettate  non  per  mancare  di  reverenza  ad  un  uomo  che  per 
molti  riguardi  è  rispettabile,  ma  per  amore  del  vero. 

Cesare  Rosa 


Camerino  e  i  suoi  dintorni  descritti  ed  ittustrati  dal  Prof.  Ari- 
STmE  Conti.  —  Un  voi.*  in  16.**  di  pag.  536.  Camerino, 
Tip.  Borgarelli,  1872-74.  —  Prezzo  L.  4: 25. 

Non  è  questa  una  delle  solite  guide  in  cui  sommariamente 
sono  indicate  1^  vie,  le  piazze  ed  i  monumenti  più  impor- 
tanti, ma  ò  un  libro  che  offre  una  lettura  piacevole  ed  istrut- 
tiva nel  tempo  istesso:  è  un  libro  ben  concepito,  saputo  at- 
tuare assai  felicemente  e,  rara  avi»,  bene  scritto,  bnmagina 
rautore  di  condurre  alla  visita  della  città  di  Camerino  e  suoi 
dintorni  il  lettore,  ed  in  questa  escursione  sa  dai  nuovi  no- 
mi imposti  alle  vie,  dalle  chiese,  dai  palazzi ,  dai  quadri  e 
via  dicendo,  cogliere  T  opportunità  per  narrare  le  principali 
vicende  storiche  della  capitale  dei  Duchi  di  Varano,  correg- 
gendo errori  in  cui  alcuna  volta  caddero  quelli  che  ne  scris- 
sero in  precedenza;  non  si  lascia  sfuggir  Toccasione  per  ricor- 
dare la  vita  e  le  opere  di  personaggi  illustri  nelle  lettere,  nelle 
scienze,  nelle  arti,  nelle  armi.  Né  il  Conti  si  occupa  solo  del 
passato,  ma  coglie  il  destro  ogni  volta  che  gli  si  presenta  per 
dire  della  vita  intellettuale,  morale  ed  economica  della  mo- 
derna Camerino,  la  quale  non  poteva  trovare  un  illustratore 
più  intelligente  ed  amorevole  di  lui. 

Cesare  Rosa 


362  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Guida  storica  e  artistica  della  città  di  Fermo  pel  prof.  Vin- 
cenzo Curi  —  Fermo,  Tip.  Bacher  1864  —  Un  voi.  in 
16"^  piccolo  dì  pag.  136. 

Della  diligenza  che  pone  il  Curi  nei  suoi  lavori  hanno  i 
lettori  testimonianza  amplissima  in  quello  che  vien  publi- 
cando  in  questo  Archivio,  perciò  è  inatile-che  venga  a  dire 
che  le  notizie  storiche  e  statistiche  raccolte  in  questa  guida 
sono  esatte,  che  V  autore  per  amore  di  novità  e  per  crescere 
lustro  alla  sua  terra  nativa  non  si  abbandona  ad  argomenta- 
zioni impossibili,  non  lavora  d'immaginazione  e  di  fantasia, 
e  questo  non  è  poco  in  un  tempo  in  cui  molti  mostrano  di 
credere  che  la  storia  si  crei  di  sana  pianta  come  un  romanzo 
od  un  poema. 

Se  alcun  appunto  sì  può  fare  al  libro  del  Curi  è  di  riu- 
scire un  pò  arido,  mentre  egli  dando  al  suo  scritto  una  forma 
più  disinvolta  e  meno  ricercata  non  avrebbe  per  nulla  nuo- 
ciuto alla  gravita  storica,  ed  intrattenendosi  a  parlare  con  più 
diffusione  degli  uomini  illustri  che  in  Fermo  fiorirono  e  delle 
loro  opere  avrebbe  accresciuto  l'interesse  ed  il  pregio  del 
volume,  il  quale  del  resto  anche  come  è  offre  preziose  notizie 
agli  studiosi. 

Cesare  Rosa 

Vittorio  Emanuele  e  la  Letteratura  politica.  —  Discorso  di 
Giovanni  Mestica.  —  Un  op.  in  16."*  grande  di  pag.  54. 
—  Iesi,  Tip.  F.'"  Ruzzini,  1878. 

Il  Gav.  Mestica  considera  a  larghi  tratti  V  influenza  che 
esercitarono  sulle  vincende  politiche  italiane  i  nostri  più 
grandi  pensatori  e  filosofi  dair  Alighieri  in  poi ,  intrattenen- 
dosi più  specialmente  a  parlare  dei  contemporanei,  che  i  semi 
posti  lungo  il  corso  dei  secoli  dai  loro  predecessori  finirono 
di  svolgere  e  completare,  cosi  che  le  idee  di  unità,  indipen- 
denza e  libertà,  prima  nobile  desiderio  di  pochi,  divennero 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  363 

comuni  alla  maggioranza,  e  resero  possibile  che  un  gran  Re 
si  ponesse  a  capo  del  movimento  nazionale,  e  lo  dirìgesse  in 
modo  da  poter  ottenere  il  fine  desiderato.  E  le  doti  dell'ani- 
mo nobilissime,  le  virtù  politiche  e  guerriere  per  le  quali 
Vittorio  Emanuele  sarà  sempre  degno  dì  onorata  memoria, 
come  di  uno  dei  bencrattori  dei  popoli  oppressi,  il  Mestica 
enumera,  mostrando  come  a  lui  a  buon  diritto  si  apparte- 
nesse il  nome  di  Re  Galaniuomo  con  cui  il  suo  popolo  volle 
chiamarlo. 

Questo  nuovo  discorso  dell'egregio  professore  marchigiano 
è  nuova  prova  del  suo  valore  nelP  arte  dello  Scrivere,  e  dei 
patriottici  sentimenti  che  lo  animano,  sentimenti  a  cui  i  gio- 
vani nostri  informar  dovrebbero  le  azioni  della  loro  vita , 
perchè,  come  ben  dice  il  Gav.  Mestica:  e  La  libertà  dei  pò- 
«  poli  non  sta  nei  nomi,  ma  nelle  istituzioni  che  la  guaren- 
«  tiscono,  la  fecondano  e  la  fan  prosperare.  »  —  Se  T  opera 
di  Vittorio  Emanuele  e  degli  altri  uomini  di  mente  e  di  cuore 
fu  grande,  bisogna  ora  rammentarsi  che:  t  spetta  alla  ge- 
c  nerazione  che  sorge  e  a  quelle  che  verranno  progredire 
e  neir  immensurabile  via  con  la  scienza  e  Tarte,  con  la  mo- 
«  ralità  ed  il  lavoro,  a  gloria  della  patria,  a  incremento  del- 
«  la  civiltà.  > 

Cesare  Rosa 

Zara  e  i  tuoi  oontorni  desarìtti  al  fòrattiara  da  Angelo 
Nani  —  Un  voi.  in  16  ■•  pie.  di  pag.  97  —  Zara,  Tip.  Ar- 
tale,  i878. 

Coi  nuovi  e  più  frequenti  rapporti  che  si  sono  stabiliti  fra 
le  due  rive  deir  Adriatico  in  seguito  alla  instituzione  di  una 
linea  di  vapori  postali  tra  Ancona  e  Zara,  è  bene  che  le  due 
città  imparino  a  conoscersi  il  più  intimamente  che  sia  possi- 
bile,  per  giovarsi  Tuna  T  altra  al  maggiore  sviluppo  della  vita 
intellettuale  ed  industriale;  ed  a  queste,  può  tornare  utile  il 
libro  dell'  egregio  Prof.  Nani,  in  cai  i  lettori  troveranno  non 


à64  llASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

solo  ana  gaida  della  città  moderna,  ed  un^  indicazioue  precisa 
della  vita  economica  di  lei,  ma  ancora  delle  importanti  no- 
tizie storiche. 

A  qnesto  riguardo  mi  piace  di  rilevare  dair  opera  del 
Nani  che  i  rapporti  fra  Ancona  e  Zara  rimontano  ad  un'  epoca 
più  antica  di  quello  che  comunemente  si  pensi.  In  fatti  alle 
pag.  2  e  3  il  chiaro  autore  scrive:  <  Fu  nel  XIV  secolo,  e 
precisamente  il  20  ottobre  1308,  che  a  consolidare  le  anti- 
che relazioni  di  commercio  e  di  amicizia  fra  Zara  ed  An- 
cona, venne  stipulata  una  convenzione  pel  trattamento  re- 
ciproco dei  devigli,  delle  merci,  delle  persone.  In  seguito 
a  questa  convenzione,  durante  l'assedio  che  nel  1346  so- 
stenue  la  città,  gli  Anconitani  spedirono  molti  aiuti.  Un'  or- 
dinanza di  data  15  luglio  dell'  anno  1448  dice  :  A  favore 
dei  pellegrini,  chejransitando  continuamenle ,  navigano  in 
grande  numero  e  spesso  fino  a  cenPD  e  più,  d*  ambo  i  sessi, 
da  Zara  verso  Ancona,  diretti,  per  divozione,  cUk  soglie  de-- 
gli  Apostoli^  e  ad  altri  Santuari  fu  confermato  e  di  nuovo 
stabilitOj  che  siano  da  tutti  bene  trattati  ^  e  possano  con  si- 
curtà  navigare^  previa  F  ispezion  de*  navigli  daW Ammiraglio 
delP Arsenale;  e  che  dal  conduttore  6  padrone  d*  ogni  naviglio 
non  si  ricevano  fuorché  soldi  50  per  ciascun  uomo,  ed  un 
ducato  d'oro  per  cadauno  cavaUo;  dal  che  ne  deriva  il  con- 
tinuo e  frequente  commercio  con  quelli  di  Ancona  e  di  Fer- 
mo, ed  eziandio  colle  popolazioni  finitime  ddla  Puglia  ecc.  > 
Il  lavoro  del  Nani  è  condotto  con  molta  diligenza,  e  ri- 
peto che  dà  molte  importanti  notizie  sotto  ogni  riguardo, 
solo  è  da  dolersi  che  queste  siano  date  assai  compendiosa- 
mente, méntre  V  autore  allargandosi  un  po'  più  nella  parte 
descrittiva,  biografica  e  storica  avrebbe  reso  il  suo  libro  più 
interessante  ed  ameno  alla  lettura;  ed  alla  amenità  avrebbe 
conferito  qua'  e  là  una  maggiore  eleganza  di  forma  e  di  stile 
e  correggendo  qualphé  vocabolo  che,  di  rado,  vi  s'incontra 
e  che  non  può  dirsi  prettamente  italiano.  —  Queste  osser- 
vazioni sembrefanno  pedanterie,  ma  pure  ho  volute  farle  per- 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  365 

che  so  che  P  egregio  professore  vorrà  prenderle  in  destra 
parte,  e  per  dimostrare  la  diligenza  con  cui  ho  letto  il  sao 
libro,  al  quale  certi  piccoli  nei  non  tolgono  gran  fatto  della 
utilità  eh'  esso  presenta,  ed  anzi  dirò  che  sono  ben  lieto  di 
poter  cogliere  r  opportunità  che  mi  si  presenta  di  raccoman- 
darlo ai  lettori  di  questo  Archivio,  sicuro  di  adempire  ad  un 
dovere  e  di  far  loro  una  cosa  gradita. 

Cesare  Rosa 

Storia  di  Cagli  nell*  età  antica  e  nel  medio  evo,  con  noie,  do- 
cumenti e  tavole  illustrative  per  Giuseppe  Moghi.  —  Parte 
prima.  Dalle  origini  aWanno  SOOdelTE.  V.  —  Cagli,  Giu- 
seppe Balloni  Tipografo  Editore,  1878  —  Un  voi.*  in  16."* 
grande  di  pag.  107.  —  Prezzo  L.  2,  50. 

Se  ogni  città  nostra  avesse  la  sua  storia,  scritta  non  a 
vana  boria  campanilesca,  ma  dettata  dietro  la  scorta  di  verì- 
dici documenti,  di  cui  gli  archivii  son  pieni;  con  sana  critica 
raccogliendo  e  vagliando  senza  inutili  vanterìe  le  popolari  tra- 
dizioni ed  illustrando  i  publici  monumenti,  la  storia  nazio- 
nale che  nelle  cittadine  ha  suo  fondamento,  specialmente  in 
Italia  dove  ogni  città  ha  vissuto  di  vita  propria,  se  ne  avvan- 
taggerebbe. Ma  giacché  questo  ancora  non  si  è  potuto  che  in 
parte  ottenere,  affrettiamo  col  desiderio  che  ogni  municipio 
possa  aver  la  sua  storia,  e  facciamo  buon  viso  a  quelle  che 
con  scienza  e  coscienza  si  vengono  publicando,  esaminandole 
brevemente  perchè  V  esempio  dei  volonterosi  venga  imitato. 

Oggi  è  della  Storia  di  Cagli,  dettata  da  Giuseppe  Moghi, 
di  cui  è  uscita  la  prima  parte  che  va  dalle  origini  alPanno 
800  deir  E.  V.,  che  debbo  render  conto  ai  lettori  di  questo 
Archivio.  Innanzi  tutto  dirò  che  questo  volume  la  testimonio 
della  diligenza  ed  amore  posti  dair  egregio  autore  nelle  ri- 
cerche fatte  perchè  il  suo  lavoro  avesse  a  riuscire  in  ogni 
sua  parte  completo,  diligenza  tanto  più  lodevole  quanto  più 
necessaria  e  meno  osservata  in  libri  di  questo  genere. 


366  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Descritta  la  postura  delPantica  città,  e  quella  che  ebbe  iu 
processo  di  tempo,  viene  a  discutere  ingegnosamente  suirori- 
gine  del  nome  che  le  fu  imposto,  se  non  che  tal  discussione 
riesce  soverchio  lunga,  mentre  avrebbe  bastato  T  accennare 
alle  varie  opinioni  che  si  sono  manifestate  adducendo  breve- 
mente le  ragioni  che  mostrano  come  il  primitivo  nome  fu 
Cale  e  sotto  i  barbari  Collis  Callum.  Delle  origini  del  paese, 
che  si  perdono  nella  più  remota  antichità,  nulla  si  può  dire 
con  certezza,  però  il  Mochi  pensa  che  gli  Umbri  lo  fondas- 
sero, e  la  sua  congettura,  non  saprei  io  qui  dire  quanto  fon- 
data, basa  su  questo  che  il  nome  Cale  non  è  latino,  e  per 
la  giacitura  in  monte  propria  di  altre  città  umbre  (pag.  32). 
Delle  vicende  dei  primi  tempi  poche  ed  incerte  sono  le  me- 
morie, quindi  e  che  brevemente  Pautore  ne  tocca^  illustrando 
in  special  modo  oggetti  antichi  rinvenuti  in  quel  territorio  e 
che  servono  a  dare  un'idea  deir importanza  della  coltura  che 
ebbe  in  quei  giorni  quella  città;  e  non  trascura  di  accennare 
alle  vie  che  la  mettevano  in  comunicazione  con  altri  paesi 
e  giovavano  alla  sua  prosperità.  La  mancanza  assoluta  di  ri- 
cordi civili  e  militari  fa  si  che  la  storia  di  Cagli  presenti  una 
lacuna  dal  476  al  534  dopo  la  qual  epoca  fece  parte  tlella 
seconda  Pentapoli,  e  nel  755,  in  seguito  alla  donazione  di 
Pipino  passò  sotto  il  potere  dei  papi. 

Riserbandomi  di  tornare  a  parlare  più  lungamente  di  que- 
st'  opera  quando  ne  sia  compita  la  publicazione,  qui  pongo 
fine  al  mio  dire  osservando  che  se  alcuna  volta  si  desidera 
una  critica  più  accurata,  che  se  alcune  lungaggini  si  vorreb- 
bero tolte,  tuttavia  è  opera  che  fa  onore  a  chi  V  ha  concepita 
e  mandata  in  atto,  e  che  agli  studiosi  delle  nostre  storie  cit- 
tadine non  deve  riuscire  discara,  perchè  intorno  a  molti  fatti 
sinora  sconosciuti  od  incerti  dà  utili  ed  assennati  schiarimenti. 

Cesare  Rosa 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  367 

Sinigaglia  e  suoi  dintorni  —  Cenni  bibliografici,  storici  e  de- 
scrittivi di  Alfredo  Margutti  —  Un  opuscolo  in  ifi*' 
grande  di  pag.  76,  —  Fano,  Tip.  Lana  1877. 

II  Pror.  Margutti  convinto  della  utilità  delle  storie  muni- 
cipali, per  indicare  le  fonti  di  quella  di  Sinigaglia  fa  una 
rassegna  bibliografica  delle  opere  a  stampa  o  manoscritte  in 
cui  si  parla  delle  cose  senigagliesi,  e  di  tali  opere  tesse  una 
brevissima  critica,  nella  quale  gli  appunti  che  si  fanno  molte 
volte  avrebbero  voluto  essere  accompagnati  da  prove  che  ne 
mostrassero  la  giustezza.  Così  pure  in  una  bibliografia  storica 
senigailiese  non  erano  da  lasciare  deliberatamente  certi  opu- 
scoli,  che  r  autore  non  nomina  ma  ci  dice  soltanto  essere  di 
poco  valore  :  allo  storico  ogni  più  piccola  notìzia  può  giovare 
per  rettificare  un  fatto,  una  data,  e  perciò  è  bene  che  almeno 
conosca  tutto  quanto  fu  scritto ,  perchè  possa  air  occasione 
valersi  di  quello  che  fu  dettato  innanzi  a  lui. 

I  cenni  storici  che  seguono  alla  bibliografia  sono  assai 
compendiosi,  e  non  offrono  grande  interes>e  per  chi  si  dedica 
agli  studi  storici  in  quanto  che  poche  notizie  nuove  vi  si 
comprendono,  e  di  esse  anche  vi  si  parla  cosi  in  breve  senza 
neppure  publicare  qualche  documento  sconosciuto  che  agli 
storiografi  avrebbe  potuto  giovare.  Se  degli  nomini  illustri 
che  ebbe  Senigallia  in  ogni  disciplina  il  Prof.  Margutti  avesse 
fornito  più  che  una  semplice  notizia,  avrebbe  reso  un  sei  vi- 
zio alla  nostra  storia  letteraria  e  civile,  ed  accresciuto  V  inte- 
resse del  suo  lavoro. 

La  descrizione  della  città,  che  è  quasi  tutta  moderna  per- 
chè glMncendii  e  le  devastazioni  dei  barbari  e  saraceni  di- 
strussero quanto  aveva  di  antico;  i  ricordi  delle  cose  d*arte 
che  vi  si  racchiudono,  le  notizie  industriali,  commerciali  e  via 
dicendo,  sono  fatte  con  bastante  diligenza  e  valgono  a  darci 
un*  adequata  idea  delle  condizioni  attuali  del  luogo,  condizioni 
non  certo  al  tutto  prospere ,  ma  che  danno  luogo  a  sperare 


368  B ASSEGNA  BlBLlOGRAnCA 

Che  mercè  i  benefici  infliissi  della  libertà,  la  diffasa  coltura , 
la  riaQimata  attività  degli  abitanti  tornino  a  rifiorire  a  van- 
taggio di  lei  e  della  nazione. 

Cesare  Rosa 

Arti  e  Artisti  in  Pieroonte.  Documenti  itiediti  con  note  per  An- 
gelo Angelucci.  —  Un  voi.*  in  16."''  grande  di  pag.  60. 
—  Torino,  Tip.  Reale  di  G.  B.  Paravia   e  Gomp.,  1878. 

È  questa  una  serie  di  XI  documenti  tratti  da  ir  Archivio 
di  Stato  di  Torino,  in  cui  sono  contratti,  liste  e  inventarli  di 
sculture,  pitture  ed  altri  oggetti  d'arte  dei  Reali  dì  Savoia, 
oggetti  preziosi,  e  che  dimostrano  come  i  Monarchi  Sabaudi 
quanto  altri  amassero  le  arti  del  bello  e  fossero  larghi  del 
loro  favore  a  quanti  le  coltivavano,  e  Ma  nel  leggere  quei 
e  documenti,  dice  T  Angelucci,  vi  sentite  straziare  il  cuore 
e  pensando  che  una  buona  parie  di  tante  preziosità  più  non 
e  esiste  fra  noi:  perchè  mani  ladre  di  stranieri,  ed  anche  di 
e  nostrani,  ne  spogliarono  la  reggia  nelle  ri  volture  del  passa- 
e  to  secolo,  ed  ora  sono  per  V  Italia  disgraziatamente  per- 
t  dute.  >  Con  tutto  ciò  con  questi  documenti  che  V  egregio 
Ingegnere  Marchigiano  ha  messo  in  luce,  ha  reso  un  importante 
servizio  alla  storia  dell'arte  perchè  ha  fatto  conoscere  resi- 
stenza di  cose  preziose,  indicatone  il  vero  valore,  e  dati  gli 
elementi  per  far  conoscere  a  chi  si  dovessero  alcune  di  quel- 
le opere  che  da  certi  erano  state  sin  qui  attribuite  ad  altti 
artefici  che  i  veri  non  erano.  Oltre  di  ciò  dalla  publicazione 
deir  Angelucci  la  Dinastia  Sabauda,  generalmente  considerata 
come  adorna  solo  di  nobilissime  virtù  civili  e  guerriere,  ci 
viene  mostrata  come  protettrice  ed  intelligente  estimatrìce  del- 
le arti  gentili, 

Gesarb  Rosa 


RASSEGNA    UIBUOGnAFICA  369 

Atti  della  Società  Storico-Archeologica  delle  Marche  in  Fermo. 
—  Voi.  II.  in  16"*^  grande  dì  pag.  XXVI,  231.  —  Fermo, 
Stab.  tipog.  Bacher,  1878. 

Col  lodevolissimo  scopo  d' indngare  le  antiche  memorie  che 
alle  Marche  si  riferiscono,  pochi  anni  sono  in  Fermo,  una  delle 
città  delle  nostre  provincie  in  cui  gli  studii  con  cura  ed  amore 
si  coltivano,  si  costituiva  una  Società  storico-archeologica  per 
opera  di  alcuni  egregi  cultori  della  storia.  E  beo  presto  si  vide 
che  tale  società  non  era  destinata  ad  essere  una  delle  solite 
accademie  scientifico-letterarie,  in  cui  i  signori  accademici  non 
hauno  altro  scopo  che  d'incensarsi  mutuamente  e  dettare 
scrìtti  ne'  quali  colla  ampollosità  della  forma  si  cerca  coprire  la 
vacuità  delle  idee,  ma  che  era  destinata  invece  a  rendere  no- 
tevoli servigi  agli  studii  storici,  iucitando  quanti  avessero  in- 
gegno da  ciò  ad  illustrare  la  storia  del  proprio  paese.  E  frutto 
della  operosità  dei  signori  accademici  furono  due  grossi  vo- 
lumi, in  cui  importanti  memorie  vennero  pubblicate.  Del  primo, 
che  fu  stampato  nel  1875,  sarebbe  fuor  di  luogo  il  discorrere 
ora  mentre  deve  essere  abbastanza  conosciuto,  farò  invece  un 
rapido  cenno  del  secondo  che,  con  patriottica  e  lodevole  idea, 
venne  dedicato  alla  memoria  di  quel  gran  Re  che,  rendendo 
la  patria  una,  libera,  indipendente  faceva  possibile  U  riQorìre 
degli  utili  studii. 

11  volume  comincia  con  un  elegante  discorso  del  distinto 
letterato  marchese  Cesare  Trevisani,  presidente  della  Società 
storica,  in  commemorazione  di  Vittorio  Emanuele  U,  il  quale 
è  senza  fallo  uno  dei  migliori  che  per  la  immensa  sciagura 
onde  fu  colpita  T  Italia  venner  dettati.  Ivi  le  più  squisite  grazie 
deir  orazione  vanno  congiunte  alla  intensità  dell' affetto,  e  con 
efficace  brevità  le  doti  deir  animo,  le  opere  della  vita  del  gran- 
de uomo,  che  lamentiamo  perduto,  sono  ricordate;  chi  legga  le 
parole  del  marchese  Trevisani  non  potrà  non  essergli  grato 
di  aver  saputo  con  arte  di  .pittore  valente  ritrarre  Pimagine 

Àrchiv.  Stor.  March.  V.  I.  2i 


370  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

delle  virtù  del  Gran  Re,  che  sarà  sempre  un  imitabile  esempio 
alle  nuove  generazioni. 

Pieno  di  generosi  sensi  e  di  abbastanza  buona  forma  poe- 
tica è  il  sonetto  del  prof.  Carlo  David,  né  certo  dispregievoli 
sono  i  versi  elegiaci  in  latino,  dettati  dal  prof.  Trillini.  Note- 
voli sono  per  concisione  ed  eleganza  le  iscrizioni  commemo- 
rative del  prof.  cav.  Curi,  che  i  migliori  epigrafìsli  non  sde- 
gnerebbero di  accettar  come  proprie;  ne  meno  degna  di  en- 
comio è  la  epigrafe  latina  del  prof  Pratesi. 

Dopo  di  questi  lavori  ai  quali  ho  brevemente  accennato,  il 
volume  contiene  delle  memorie  storiche  di  qualche  importanza 
intorno  alle  quali  gioverà  lo  spendere  poche  parole.  Quanto 
intorno  alle  Accademie  di  Fermo  scrive  il  prof.  cav.  avv.  Vin- 
cenzo Curi  vale  a  confermare  la  bella  fama  ch'egli  già  gode 
di  scrittore  accurato  ed  elegante,  nel  mentre  che  per  le  dili- 
genti ricerche  da  lui  fatte  offre  una  dotta  storia  di  quelle  ac- 
cademie che,  sorte  in  Italia  nel  secolo  decimoquinto  nei  prin- 
cipali centri  collo  scopo  di  far  rifiorire  gli  studii,  ben  presto 
si  moltiplicarono,  ma  degenerando  fu  più  il  male  che  il  bene 
che  fecero  alle  lettere,  e  divennero  in  mano  dei  despoti,  che 
si  divertivano  a  rinfocolare  le  ire  letterarie  degli  accademici, 
strumento  di  divisione  e  d'indebolimento  degli  Italiani,  i  quali 
fino  che  si  trattenevano  a  disputar  delle  parole  non  si  ricor- 
davano delle  idee,  ed  era  ciò  che  si  voleva,  lo  non  posso  dar 
un  sunto  del  lavoro  del  Cav.  Curi,  per  cui  mi  limiterò  a  dire 
che  la  prima  delle  accademie  fermane  sorse  nel  500  e  si  chiamò 
degli  ScioUi,  e  di  essa  fece  parte  anche  Torquato  Tasso.  In  se- 
guito si  fondarono  altre  società  letterarie,  tra  le  quali  quella 
dei  Vaganti,  quella  dei  Ravvivati,  quella  degli  Erranti  già 
Raffrontati,  La  Colonia  Arcade  ecc.  Tutte  queste  accademie 
se  giovavano  a  mantener  vivo  il  <;usto  delle  lettere  però  in  fine 
non  erano  che  riunioni  in  cui  si  facevano  delle  esercitazioni 
rettoriche ,  della  cui  utilità  mi  sarà  permesso  di  dubitare. 
Più  utile  riusci  senza  fallo  V  Accademia  oj^rarta,  istituita 
nel  1848,  che  servi  a  rimettere  in  onore  gli  studii  agrari!  ed 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  371 

a  farli  applicare  alla  coltivazione  delle  terre.  Ed  utilità  non 
lieve  porterà  agli  studiì  storici  la  nuova  Accademia  Storico- 
Archeologica,  presieduta  dal  chiarissimo  signor  March.  Cesare 
Trevisani,  perchè  essa  sarà  d*  incitamento  agli  studiosi  a  fare 
delle  ricerche  le  quali  correggano  molti  errori  e  pregiudìzi, 
e  L'Italia,  dice  giustamente  il  Curi,  non  ha  per  anco  una  vera 
storia  generale,  né  può  altrimenti  sperarsi  senza  T opera  col- 
lettiva dolle  cento  città;  a  quei  generosi  che  vi  contribuiranno 
coi  loro  studi,  andrà  essa  debitrice  del  finale  e  completo  suo 
risorgimento  (pag.  23).  » 

Intorno  agli  Antichi  Monasteri  Benedettini  in  Ascoli  Piceno 
offre  importanti  notizie  storiche  ed  artistiche  il  sig.  Emilio  Luzi, 
come  Sitili  Antichi  Monasteri  di  S.  Ippolito  e  S.  Giovanni  in 
Selva  espone  il  risultato  delle  sue  accurate  ricerche  il  Signor 
Artemio  Pennesi,  e  di  ambedue  questi  lavori  irarran  giovamento 
quanti  fanno  oggetto  dei  loro  studii  il  vantaggio  che  nelle  età 
di  mezzo  recarono  gli  ordini  monastici  alla  civiltà,  e  come  poi 
si  convertissero  colP  andare  del  tempo  in  ricovero,  di  gente, 
che  nascondeva  la  propria  infingardaggine  sotto  il  manto  del 
disprezzo  delle  mondane  vanità. 

11  signor  Marchese  Filippo  RafTaelli,  del  cui  amore  agli 
studii  storici  e  della  cui  meravigliosa  operosità  fanno  fede  i 
dotti  lavori  in  varie  occasioni  publicati,  scrive  una  elegante 
Iltustrazioìte  Storico  -  Descrittiva  del  Santuario  di  S.  Nicola  in 
Tolentifèo,  nella  quale  trovi  molte  nuove  ed  importanti  notizie 
insieme  ad  un'  accurata  descrizione  degli  oggetti  d'  arte  che 
si  racchiudono  in  quel  celebre  santuario.  La  sana  critica 
storica  ed  artistica  con  cui  si  correggono  alcuni  errori  in  cui 
caddero  altri  scrittori,  e  si  mettono  in  luce  pregi  e  difetti  delle 
pitture  e  scolture  che  vengono  esaminate,  credo  che  renderan- 
no utile  la  lettura  di  questa  monografia  tanto  a  quelli  che  si 
occupano  delle  ricerche  storiche,  quanto  a  quelli  che  dell'arte 
hanno  fatto  il  nobilissimo  culto  della  loro  vita. 

Una  bella  memoria  storico-critica  e  quella  dettata  dal  Prof.Gio- 
SUI'  Gecconi  di  Usimo  Intorno  alla  liberazione  di  Sinigaglia  dalla 


372  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

oppressiofie  del  Conte  GottibfMo.  L'egregio  autore  tenta  di  dimostra- 
re, contrariamente  a  quanto  affermarono  gli  storici  anconitani  dal 
Peruzzi  in  poi,  come  e  la  libei*azione  di  Sinigaglia  dall'oppres- 
sione del  Conte  Gottiboldo  avvenuta  nei  iprimordi  del  decimo- 
terzo secolo  non  si  compi  esclusivamente  per  opera  degli 
Anconitani,  ma  che  altri  popoli  marcliegianì  e  segnatimente 
gli  Osimani  e  gli  Esini  vi  ebbero  molta  parte.  •  Quindi  per 
provare  il  suo  assunto,  appoggiato  a  documenti  sinora  scono- 
sciuti, instituisce  delle  ricerche  colle  quali  riesce  a  far  chiaro 
che  il  Conte  Gottiboldo,  che  fu  cittadino  Osimano  e  non  Se- 
nigagliese,  come  il  Peruzzi  erroneamente  volle  chiamarlo,  in- 
vestito dall'impero  della  signoria  di  Sinigaglia,  miseramente 
r  opprimeva,  e  perciò  una  confederazione  di  alcune  città  della 
Marca  riusciva  a  liberare  dall'  oppressione  la  città  sorella  ;  e 
di  questa  impresa ,  secondo  le  buone  ragioni  che  il  Gecconi 
porta  innanzi,  fecero  parte  Anconitani,  Osimani  ed  Esini;  ed 
il  fatto  avvenne  nel  1200,  e  non  nel  1203  come  sinora  gli 
storici  hanno  affermato.  —  A  corredo  del  suo  dotto  lavoro  di 
cui  mi  duole  non  poter  rendere  più  esteso  conto,  V  egregio  Au- 
tore publica  tre  documenti  dai  quali  resulta  la  verità  di  quanto 
egli  asserisce. 

Il  Gav.  Giannangelo  Giulietti  intorno  all'  Antico  Statuto  di 
MoUelpare  scrive  una  accurata  memoria,  nella  quale  con  non 
comune  erudizione  cerca  di  provare  che  quello  Statuto  fu  com- 
pilato prima  dell'  invenzione  della  stampa,  e  forse  non  indub- 
biamente prima  del  1290,  poiché  colla  data  di  quest'anno  si 
ha  una  bolla  di  papa  Nicolò  IV  diretta  al  Consiglio  e  Comune 
di  Montelpare.  Dopo  di  che  l'egregio  autore  viene  a  discorrere 
dei  poteri  civili  ed  amministrativi  che  dal  detto  statuto  ven> 
nero  creati. 

11  Prof.  Filippo  Eugenio  Mecchi  suggerisce  alcune  emen- 
dazioni alle  Antiche  Iscrizioni  Fermane  della  raccoUa  De  Minicis, 
correzioni  che ,  per  quanto  mi  sembra ,  egli  basa  su  giusti  e 
solidi  argomenti,  che  valgono  a  dimostrare  la  sua  profonda  e 
varia  erudizione  in  fatto  di  archeologia. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  373 

Il  volume  sì  chiude  con  dei  cenni  intorno  ai  Soci  defunti 
e  coir  elenco  dei  Soci  onorari,  corrispondenti  e  residenti. 

Cesare  Rosa 

Spedizione  dei  Monti  Parioli  (23  ottobre  1867)  raccontata  da 
Giovanni  Cairoti,  con  proemio  e  note  di  B.  E.  Maineri. 
—  Un  volume  in  16  pie.  elzeviriano  di  pag.  187.  —  Mi- 
lano, Levi  editore,  1878.  —  Prezzo  L.  2  50. 

Della  spedizione  dei  settanta  ai  Monti  Parioli  che,  capita- 
nata da  Enrico  Cairoti,  tentava  nel  1867  di  togliere  Roma 
alla  signoria  clericale  e  ridonarla  air  Italia,  Giovanni  Cairoti,  il 
quale  ebbe  non  ultima  parte  in  quel  fatto  glorioso,  scrisse  il 
racconto  con  la  efficace  semplicità  dei  nostri  cronisti  del  tre- 
cento e  col  cuor  caldo  d'amor  patrio.  Però  quel  racconto  era 
presso  che  dimenticato,  e  ben  fece  B.  E.  Maineri  a  rimetterlo 
in  luce,  perchè  le  gesta  gloriose  che  vi  sono  ricordate,  e  che 
al  pensiero  ritornano  gli  eroici  fatti  dei  tempi  più  belli  del- 
l' antica  Grecia  e  di  Roma,  possono  giovare  a  mantenere  vivi 
nelle  giovani  generazioni  i  patriottici  sentimenti  e  a  far  che 
non  si  spenga  nel  cuore  dei  venturi  la  gratitudine  verso  co- 
toro  che  non  dubitarono  di  sacrificare  la  propria  vita  per  la 
santa  causa  della  libertà  e  indipendenza  nazionale. 

Si  potrà  discutere  sulla  opportunità  o  meno  del  tentativo 
in  quel  momento,  ma  non  si  potrà  mai  mettere  in  dubbio  la 
rettitudine  ed  il  patriottismo  dei  giovani  che  vi  si  accingevano 
pieni  di  fede  e  d'entusiasmo;  ad  ogni  modo  poi,  t)encl)è  t'im- 
presa fallisse,  i  posteri  vedranno  in  essa  un'opera  generosa, 
una  novella  affermazione  del  diritto  degli  Italiani  su  Roma,  un 
nuovo  e  non  al  tutto  inefficace  colpo  contro  la  sacerdotale 
tirannide. 

Ma  lasciando  di  proferire  un  giù  tizio  sull'opportunità  poli- 
tica della  spedizione  dei  Monti  Parioli,  giudizio  forse  tuttora 
intempestivo  e  che  per  quanto  sincero  peirebbe  se  non  altro 


374  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

sembrare  suggerito  da  spirito  partigiano,  il  che  lo  destituirebbe 
d'ogai  autorevolezza,  intorno  al  libro  di  cui  mi  occupo  dirò 
che  il  racconto  è  fatto  dal  Cairoti  con  scrupolosa  esattezza, 
senza  dare  in  ampollose  esagerazioni  che  al  narratore  toglie- 
rebbero ogni  fede,  e  sarà  sempre  documento  importante  per 
chi  vorrà  scrivere  la  storia  deir  italiano  risorgimento,  nella 
quale  una  bella  pagina  dovrà  sempre  consacrarsi  al  combatti- 
mento di  Villa  Glori,  dove  un  pugno  di  prodi  rinnovava  i  mi- 
racoli di  Leonida  e  dei  suoi  trecento  spartani  alle  Termopili, 
combattendo  come  questi  per  la  santa  causa  della  libertà. 

11  proemio  di  B.  E.  Maineri  al  racconto  di  Giovannino  Cai- 
roli  è  pieno  di  affetto  verso  i  generosi  che  caddero  per  la 
patria,  descrive  il  luogo  della  zuffa,  rammenta  brevemente,  ma 
con  calde  ed  efficaci  parole,  quanto  i  cinque  fratelli  Cairoti 
fecero  in  prò  dell'italiano  risorgimento,  e  tale  ricordo  se  venga 
letto  dai  giovani  nostri  varrà  non  poco  a  mantener  vivo  in 
essi  Pamor  della  patria,  per  la  quale  impareranno  dagli  illustri 
fratelli  Pavesi  che  bisogna  esser  pronti,  se  il  bisogno  lo  ri- 
chieda, a  far  sacridzio  di  se,  facendo  tacere  ogni  sentimento 
d'egoismo  dinanzi  all'interesse  del  publico  bene.  Ed  è  un 
libro  che  può,  in  mezzo  allo  scettismo  invadente,  far  brillare 
un  raggio  di  fede,  educare  a  nobili  sensi  civili  quindi  merita 
che  si  diffonda  in  mezzo  al  popolo  italiano,  che  deve  rendersi 
degno  degli  alti  destini  a  cui  è  chiamata  la  patria. 

Grsare  Rosa 

Traiano  Boccalini  o  la  letteratura  critica  e  politica  del  seicento. 

—  Discorno  di  Giovanni  Mestica.  —  Firenze,  Tip.  di  G. 
Barbèra,  1878.  —  Un  voi.  in  16""  di  pag.  128. 

Il  ritornare  alla  memoria  dei  contemporanei  i  fatti  degni 
di  quegli  uomini  che,  in  tempi  difficili,  potentemente  contri- 
buirono al  progresso  della  civiltà,  è  da  stimarsi  cosa  altamente 
lodevole,  sia  perchè  con  essa  si  scioglie  in  parte  il  debito  di 
riconoscenza  verso  i  passati  che  colP  ingegno  e  colle  opere  pre- 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  375 

pararono  i  nuovi  tempi  e  tennero  alto  il  decoro  d'Italia  quando 
il  proferire  il  nome  di  patria  era  attribuito  a  delitto,  sia  per- 
chè il  racconto  delle  vicende  dei  nostri  grandi  riesce  efficace 
esempio  ai  presenti  del  come  i  cittadini  s'abbiano  ad  adope- 
rare a  vantaggio  del  proprio  paese.  Quindi  è  che  ip  non  du- 
bito punto  di  afTermare  che  non  picciola  gratitudine  si  deve 
alPegregio  prof.  Mestica  per  aver  ricordato  con  nobili  parole  i 
titoli  molti  che  ha  alla  riconoscenza  degli  Italiani  Traiano  Boc- 
calini sia  come  uomo  politico,  sia  come  scrittore. 

Quantunque  lo  scritto  del  cav.  Mestica  si  presenti  sotto  il 
modestissimo  aspetto  di  un  discorso  e  non  colla  pretesa  di 
essere  una  completa  biografìa  dcir  illustre  Loretano,  pure  v'ha 
tanto  che  basta  a  farcelo  conoscere  sotto  il  duplice  aspetto  di 
cittadino  e  di  scrittore,  nò  nulla  fu  trascurato  di  quanto  po- 
teva giovare  a  dare  un'  adequata  idea  dei  tempi  travagliosi  in 
cui  visse  il  Boccalini  e  a  mettere,  sotto  il  vero  punto  di  luce 
quel  ch'egli  fece  in  servigio  del  proprio  paese.  Difatti,  detto 
della  sua  famiglia  e  dei  suoi  studii,  parla  degli  incarichi  pu* 
blici  che  ebbe,  esamina  gli  scritti  di  lui  mettendone  in  rilievo 
con  sana  arte  critica,  troppo  oggi  disconosciuta,  pregi  e  difetti 
parlando  delle  condizioni  infelici  in  cui  era  allora  l'Italia,  in 
gran  parte  schiava  degli  Spagnoli,  e  dell'amore  che  il  Bocca- 
lini portò  alla  libertà  politica,  amore  che  appare  manifesto  alla 
lettura  delle  opere  sue,  piene  di  utili  avvedimenti  politici,  e 
che  a  lui  costarono  persecuzioni  e  dolori  non  pochi  e  da  ultimo 
la  morte  per  veleno  fattogli  propinare  dalla  Corte  di  Spagna 
a  cui  certi  liberi  spiriti  non  potevano  andare  a  sangue. 

Non  è  mio  compito  ritessere  qui  la  vita  del  Boccalini,  ma 
solo  mi  piace  ricordare  che  egli  già  nel  seicento  proclamava 
la  necessità  dell'abolizione  del  dominio  temporale  dei  papi,  e 
mostrava  il  diritto  che  avevano  gli  Italiani  alla  indipendenza 
da  ogni  straniera  signoria;  sperando  fin  d'allora  che  la  rige- 
nerazione della  penisola  si  sarebbe  fatta  per  opera  dell'illustre 
Casa  Sabauda;  e  cosi  gettava  i  semi  di  quei  principii  che  do- 
vevano completamente  svolgersi  ed  attuarsi  ai  giorni  nostri. 


•  - 


376  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

E  di  tulle  queste  cose  discorre  il  Mestica  con  ampiezza  di 
vedute,  con  corredo  di  profonda  dottrina,  con  forma  robusta 
e  squisitamente  elegante,  mostrandosi  libero  dai  pregiudizi  della 
scuola,  come  chiaramente  si  vede  nel  parlare  che  fa  della  let- 
teratura del  seicento  troppo  leggermente  e  superficialmente 
giudicala  dai  più,  e  in  specie  da  quelli  che  come  pappagalli 
ripeterono  la  famosa  sentenza  di  Alfieri  che  il  seicento  de- 
lirava. 

E  se  l'egregio  autore  trascura  od  accenna  soltanto  a  molti 
falli  biografici,  giova  notare  che  non  son  di  quelli  che  valgono 
alla  dipintura  efficace  del  carattere  e  delP  influenza  esercitata 
a'suoi  giorni  dal  Boccalini,  e  blsc^na  rammentare  che  questo  è 
un  ricordo  biografico  e  non  una  biografia;  del  resto  ricordo 
amplissimo  e  degnissimo  dell'uomo  che  vi  sì  celebra. 

lo  vorrei  che  questo  discorso  dell'egregio  letterato  marchi- 
giano fosse  letto  da  molti  perchè  si  conoscesse  una  delle  più 
belle  glorie  nostre  di  cui  ci  eravamo  pressoché  dimenticali;  ed  i 
giovani  sopra  tutti  lo  leggano  con  cura  diligente,  che  s'invo- 
glieranno  di  studiarne  le  opere  dove  sempre  più  si  accende- 
ranno dell'amor  della  liberià  e  della  patria,  concependo  pro- 
posili magnanimi  e  degni,  tra'  quali  non  ultimo  quello  di  non 
mostrarsi  degeneri  dai  loro  padri. 

Grsarc  Rosa 


Biografia  di  Luigi  Sani  per  Benedetto  Prina  con  alcune  lettere 
di  illustri  italiani  —  .&.•  edizione  —  Un  \ol.  in  16"'  di 
pag.  69.  —  Milano,  Ditta  Giacomo  Agnelli,  1879. 

Luigi  Sani,  uomo  virtuosamente  operoso,  che  coltivò  le  let- 
tere con  non  comune  ingegno  e  si  adoperò  alla  diffusione  e  pro- 
gresso dell'  educazione  popolare,  nacque  in  Reggio  d'  Emilia. 
Datosi  agli  studii  con  amore,  e  specialmente  alla  poesia  publicò 
dei  versi  che  rivelano  lutto  l'animo  suo  buono  ed  affettuoso,  che 


RASSEGNA   BlBLtOGRAnCA  377 

meritano  lode  per  la  forma  e,  quel  che  più  monta,  per  la  no- 
biltà dei  propositi  e  dei  sentimenti;  per  la  qual  co.^a  si  acquistò 
ben  presto  la  stima  dei  migliori  poeti  nostri.  —  Chiamato  dai 
suoi  concittadini  a'  pubblici  ufQci,  vi  si  distinse  per  il  disinte- 
resse e  lo  zelo  con  cui  vi  attese.  Persuaso  che  V  istruzione  con- 
giunta ad  una  retta  educazione  del  cuore  è  il  mezzo  principale 
per  ottenere  che  la  plebe,  come  dice  il  Gioberti,  si  converta  in 
popolo,  si  diede  a  tutt*  uomo  a  promuoverla  nel  suo  paese,  e 
fondò  una  Società  per  la  diffusione  detP  educazion  popolare,  e 
promosse  la  istituzione  delle  Casse  di  risparmio  nelle  scuole 
esempio  poi  seguito  da  altri  perchè  ormai  si  comincia  a  capire 
esser  necessario  gettare  tra  il  popolo  i  semi  della  previdenza 
e  della  savia  economia  sino  dai  primi  anni.  —  Ed  io  che  ebbi 
la  fortuna  di  essere  in  rapporti  epistolari  coir  egregio  nomo 
posso  attestare  dell'amore  ch'egli  poneva  in  tutte  queste  opere, 
sebl)ene,  modesto  com'  era,  non  ne  menasse  inutile  vanto,  co- 
me quelli  che  dalP  ambizione  sono  mossi  air  operare  più  che 
da  un  bisogno  del  cuore.  —  Nei  rapporti  domestici  si  mostrò, 
e  non  poteva  essere  altrimenti,  ottimo  figlio,  marito  e  padre; 
alle  miserie  altrui  fu  largo,  per  quanto  poteva,  di  aiuti  e  di 
consolazioni,  non  per  ostentazione  di  filantropia  ma  per  senti- 
mento di  vera  carità. 

Questi  è  Puomo  di  cui  ora  Reggio,  e  quanti  il  conobbero, 
piangono  la  morte. 

L' egregio  Prof.  Cav.  Benedetto  Prìna  ha  del  Sani  dettata 
in  una  forma  corretta  ed  elegante  com*  egli  sa  fare,  una  dili- 
gente ad  affettuosa  biografia,  dove  le  virtù  del  cittadino,  ed  i 
pregi  del  letterato  sono  tutti  ricordati  senza  inutili  esagerazioni 
senza  lodi  immoderate,  che  più  nuocciono  di  quel  che  giovioo 
air  uomo  di  cui  si  parla;  ed  ha  fatto  bene  perchè  alle  nuove 
generazioni  oflre  un  imitabile  esempio,  che  io  pel  bene  d'Italia 
mi  auguro  che  sta  dai  giovani  nostri  seguito. 

Cesare  Rosa 


378  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Genio  e  Lavoro  —  Biografia  e  breve  storia  delle  principali  opere 
dei  celebri  intarsiatori  Giiis^pps  e  Carlo  Francesco  Maggio- 
lini  di  Parabiago  ecc.  dei  Sac,  6.  A.  M.  —  Un  volarne  in 
16."^  di  pag.  112.  —  Milano,  DitU  G.  Agnelli,  1879.  Prezzo 
L.  1,  25. 

Sebbene  non  in  tutti  i  casi  sia  vera  la  sentenza  che  volere 
è  potere ,  pare  è  certo  che  la  volontà  è  un  gran  mezzo  per 
poter  raggiungere  il  proprio  miglioramento  intellettuale,  morale 
e  materiale,  ed  è  bene  il  porre  sotto  gli  occhi  delle  moltitudini 
quegli  esempi  in  cui  la  forza  della  volontà  ha  saputo  operare 
dei  veri  prodigi,  perchè  ciò  vale  a  mantenere  viva  la  fiducia 
nelle  proprie  facoltà  ed  a  risvegliare  quella  opirosità  senza  di 
cui  il  progresso  nelle  arti  e  nelle  scienze  diviene  impossibile; 
è  per  questo  che  io  applaudirò  sempre  a  quei  libri  che  si  pro- 
pongono un  SI  nobile  fine;  è  per  questo  che  ora  mi  piace  di 
raccomandare  P  operetta  del  sig.  Mczzanzanica,  desideroso  che 
essa  si  diffonda  e  faccia  tutto  quel  bene  che  può  fare. 

Questo  volume  racchiude  il  racconto  della  vita  modesta  ed 
operosa  dei  fratelli  Maggiolini,  che,  venuti  d'  umile  condizione, 
seppero  coir  attività  ed  il  buon  volere  venire  in  grande  eccel- 
lenza nei  lavori  di  tarsia,  e  cosi  procacciarsi  onori  e  ricchezze 
ben  meritati.  Ma  non  si  creda  che  tutto  ad  un  tratto  i  due 
operai  pervenissero  all'acquisto  della  fama;  no,  ebbero  a  lot- 
tare con  delle  difficoltà,  le  quali  colla  perseveranza,  che  si  do- 
vrebbe aver  sempre  per  il  conseguimento  del  bjne,  giunsero  a 
vincere;  ed  il  loro  biografo  racconta  particolareggiatamente  co- 
me giungessero  alla  meta,  e  descrive  le  opere  uscite  della  loro 
mano.  È  un  ricordo  affettuoso  ed  accurato,  in  cui  se  qualche 
volta  si  desidera  una  maggior  correzione  di  lingua  e  di  stile  » 
pur  piacerebbe  di  vederlo  correre  nelle  mani  di  tutli  i  nostri 
operai. 

Cesare  Rosa 


-    -V "      ----- 


NOTIZIE  STORICHE  E  BIBLIOGRAFICHE 


La  Direzione  rende  grazie  a  tutti  quei  giornali  che  hanno 
con  cortesi  parole  d' incoraggiamento  e  di  lode  annunziata  la 
comparsa  del  primo  fascicolo  &àìV  Archivio  Storico  Marchigiano. 
Citiamo  i  titoli  dei  periodici  che  raccomandarono  la  nostra 
publicazione.  //  Manzoni  di  Fermo;  //  DiriUo  di  Roma;  La 
Rassegna  Settimanale  di  Roma;  //  Messaggero  di  Roma;  Il  Mar- 
chigiano di  Sanseverino;  //  Dalmata  di  Zara;  L'  Archivio  di 
pedagogia  e  scienze  affini  di  Palermo;  //  Cittadino  di  Modena; 
U  Adriatico  di  Pesaro;  il  Corriere  delle  Marche  di  Ancona; 
La  Gazzetta  di  Ascoli  Piceno;  La  Riforma  di  Roma;  V  Appen- 
nino di  Camerino;  La  Gazzetta  di  Venezia;  La  Nazione  di  Fi- 
renze: tt  Fanfiilla  di  Roma;  La  Rivista  Misena  di  Senigallia; 
La  Palestra  di  Zara;  V  Archivio  Storico  Italiano  di  Firenze; 
L*  Archivio  Storico  Lombardo  di  Milano.  —  Se  in  questo  elenco 
è  qualche  ommissione,  dessa  è  involontaria,  e  proviene  dai  non 
aver  avuto  notizia  di  altri  giornali  che  per  avventura  ne  ab- 
biano parlato. 

Il  Cav.  Prof.  Ivo  Ciavarini  Doni  ha  publicato  nel  Corriere 
dette  Marche  un  suo  scritto  in  cui  a  ragione  lamenta  il  disor- 
dine col  quale  nelle  Marche  sono  tenuti  gli  Archivi  storici,  e 
propugna  la  necessita  della  ìnstituzione  in  Ancona  degli  Ar- 
chivi di  Stato,  come  già  esistono  nelle  altre  regioni  italiane. 
Appoggiando  le  idee  dell'  egregio  professore,  auguriamo  che  per 
il  vantaggio  degli  studii  siano  bene  accolte  le  sue  proposte. 

Dal  Marchigiano  di  Sanseverino  apprendiamo  che  in  Castel- 
leone  di  Suasa  per  opera  dei  signori  Matteuccì  e  D.  Emanuele 
Raspoli  si  fanno  scavi  importanti,  per  i  quali  si  scoprono  mo- 
oamenti  preziosi  presso  le  mine  delP  antica  Suasa  e  di  Fo- 
rum  Sempronii  (Fossombrone). 


380  NOTIZIE    STORICHE 

Lo  stesso  giornale  c^  informa  che  devono  iniziarsi  gli  scavi 
sulle  rovine  delP  antica  Urbis  &ii(?/a  (Urbisaglia) ,  dai  quali  si 
ripromettono  scoperte  importa  .ti,  che  getteranno  non  poca  luce 
sulle  vicende  storiche  dei  più  bei  tempi  di  quella  città.  Si  dice 
che  il  Ministro  della  Pubblica  Istruzione  assegnerà  per  ora  li- 
re 5000  per  tale  impresa. 

Nel  giornale  di  Filologia  Romanza  il  dottor  Guido  Levi 
ha  publicato  un  documento  del  secolo  Xll  che  interessa  le 
Marche,  e  che  fu  dal  Levi  stesso  rinvenuto  in  un  ripostiglio 
del  Collegio  Romano.  Il  documénto  è  La  Carta  Volgare  Picena, 
che  si  riferisce  air  Abbadia  Cistercense  di  Piastra. . 

Il  chiarissimo  professor  Giuseppe  Castelli  ha  dato  in  luce 
nella  Gazzetta  di  Ascoli  -  Piceno  un  suo  scritto  intorno  ad  una 
Colonia  Ascolana  che  nel  XIII  secolo  fu  stabilita  in  Corsica, 
colonia  della  quale  finora  le  nostre  storie  hanno  taciuto. 

Da  una  lettera  al  Direttore  dell'  Archivio  Veneto  del  Cavalier 
G.  B.  Carlo  Giuliari,  Bibliotecario  della  Capitolare  di  Verona, 
apprendiamo  essersi  colà  rinvenuti  ì  Diplomi  Imperiali  e  Reali 
la  cui  serie  comincia  da  Carlo  il  Grosso  nel  li  Febbraio  882 
e  va  al  1514,  e  di  cui  sinora  era  rimasta  soltanto  la  notizia 
dell'esistenza.  La  scoperta  è  importantissima,  e  gioverà  non 
poco  alla  storia  Veronese  e  Veneta. 

Apprendiamo  con  piacere  che  in  Venezia  si  è  incominciata 
la  stampa  dei  Diari  di  Marino  Sanudo,  che  sono  dì  grandissimo 
valore  pel  lume  che  recano  alla  storia  del  secolo  decimosesto. 
L'  edizione  è  curata  dai  signori  Nicolò  Barozzi ,  Guglielmo 
Berchet,  Rinaldo  Fulin  e  Federico  Stefani,  il  cui  valore  aelle 
storiche  discipline  è  arra  sicura  della  diligenza  e  dottrina  con 
cui  r  impresa  sarà  condotta. 

Da  una  relazione  fatta  dal  Marchese  Cesare  Campori  alla 
R.  Deputazione  di  Storia  Patria  deir  Emilia  (sezione  di  Modena) 
intorno  alla  Cronaca  di  Leonello  Baldi,  si  rileva  come  questa 
sia  di  grande  interesse  per  gli  studiosi  della  storia  modenese, 
comprendendo  i  fatti  occorsi  dal  1512  al  1519,  fatti  ai  quali 
il  Baldi  si  trovò  in  mezzo  e  che  racconta  veridicamente. 


E   BIBLIOGRAFICHE  381 

La  Raccolta  degli  Slattiti  Italiani  presso  la  Biblioteca  del  Se- 
nato, ora  è  composta  di  1067  statuti  e  libri  che  ad  essi  si  riferi- 
scoDO,  di  4i3  tra  comuni,  provincie  e  antichi  stati  della  penisola 
più  8  statuti  d'  ordini  cavallereschi  italiani.  La  maggior  parte 
so:io  stampati,  molti  manoscritti. 

Il  Comune  di  Roma  ha  stanzialo  un  sussidio  per  le  pu- 
blicazioni  da  farsi  dalla  Società  Romana  di  Storia  Patria,  la 
(|uale  dà  prova  di  molta  operosità,  ed  ha  posto  mano  alla 
stampa  di  opere  importantissime. 

Dietro  la  scorta  d' importanti  documenti  rinvenuti  negli  ar- 
chivi della  casa  de  Nicolay,  il  signor  di  Boislisle  ha  condotto 
UD  lavoro  storico  circa  V  occupazione  del  regno  di  ;Napoli  pei 
Francesi  dal  1501  al  1503. 

La  pregevole  monografia  del  Gav.  Prof.  Vincenzo  Curi 
intorno  air  Università  degli  studii  di  Fermo,  che  abbiamo  To- 
nore  di  venir  publicando  in  queste  pagine,  ottenne  il  premio 
Evangelista. 

Il  Prof.  Gav.  CARism  Giavarini  ha  dettato  una  relazione 
storica  della  visita  che  fecero  i  Sovrani  d^  Italia  ad  Ancona , 
relazione  che  fu  stampata  a  spese  del  Municipio. 


1 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


Pervennero  alla  Direzione  i  seguenti  libri  ed  opuscoli^  dei 
più  importanti  dei  qtiali  si  parlerà  nella  rassegna  bibliografica 
dei  prossimi  fascicoli.  Di  tutte  le  pubblicazioni  storiche  che  gli 
autori  ed  editori  manderanno  al  Direttore  si  darà  annunzio  in 
questo  bollettino,  e,  quiindo  ne  sia  il  caso^  si  farà  una  speciale 
rivista  critica. 

1'  Sebvanzi  Gollio.  —  Pittura  in  tavola  di  Carlo  CrivclU 
Veneziano  nella  chiesa  di  S.  Francesco  in  Matetica.  —  Un 
Op.  in  8.'  di  pa^.  9.  —  Urbino,  Tip.  della  Cappella  — 
Per  E.  Righi,  1878. 

2.  Patrizio  Antolini.  —  Notizie  su  Leopoldo  Cicognara  e 
sua  famiglia,  —  Op.  in  16  di  pag.  45.  —  Ferrara,  Pre- 
miata Tipografia  Sociale,  1879.  —  Prezzo,  L.  1. 

3.  Foglietti  Avv.  Raffaele.  —  Cenni  Storici  suU'  Uni- 
versità di  Macerata,  —  Un  voi.  in  2.  fase,  in  8.  di  pag.  130. 
—  Macerata,  Stabilimento  Tip.  Bianchini,  1878. 

4.  Brunelli  Vitaliano.  —  La  cronaca  di  Mico-Madio 
con  note  dichiarative.  (  Nel  Programma  delV  L  R.  Ginnasio 
Superiore  di  i.*  classe  in  Zara  pel  1877-78)  —  Zara,  Tip. 
di  G.  Wodilzka,  1878. 

5.  Tommaseo  Niccolò.  —  //  Duca  d'Atene,  nuova  ediz.  con 
correzioni  inedite  deW  autore  e  aggiuntovi  II  Sacco  di  Lucca 
e  /'  Assedio  di  Tortona,  —  Un  voi.  in  16.  di  pag.  248.  — 
Firenze,  coi  Tipi  di  M.  Cellini  e  C.  1879.  —  Prezzo  L.  1,50. 

6.  Archivio  Veneto.  —  Pubblicazione  periodica  premiata 
a  Napoli  e  Venezia,  —  Tomo  XV IL  —  Parte  Le  II  —  Si  pub- 
blicano 4.  fase.  Tanno  in  8.  di  circa  250  pag.  L'abbonamento 
annuo  per  il  Regno  d' Italia  costa  L.  21.  —  Venezia,  Tip. 
del  Commercio  di  M.  Visentini,  1879. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  383 

7.  Archivio  Storico  Italiano.  —  Tomo  III^  dispense  L  He 
IH  del  1879.  —  Pubblicazione  bimestrale  in  fase,  di  circa  170 
pag.  —  Abbonamento  annuo  L.  21.  —  Firenze,  presso  G.  P. 
Vieusscux.  Tip.  Galileiana  di  M.  Cellini  e  C.  1879. 

8.  Lettere  di  Laura  Battiferri  Ammannati  a  Benedetto 
Varchi  con  prefazione  e  note  del  Prof  Cav.  Carlo  GargioUi. 
Un  voi.  in  16  di  pag.  65.  —  Bologna,  presso  Gaetano  Ro- 
magnoli, 1879.  —  Prezzo  L.  2,50. 

9.  Un  Paragrafo  dell* opera  di  Enrico  Guglielmo  Schultz 
sui  mtmumenli  dd  Medio  Evo  neW  Italia  meridionale  iUuslrato 
e  commp.ntato  con  docutnenti  inediti  da  G.  B.  Beltrani.  —  Un 
voi.  in  16.  di  pag.  66.  —  Spoleto,  Tip.  Bassoni,  1878-79. 

10.  G.  B.  Beltrani.  —  Cesare  Lambertini  e  la  società  fa- 
migliare in  Puglia  durante  i  secoli  XV  e  XVL  —  Parte  /.' 
documenti.  —  In  10.  grande  fase.  1.  di  pag.  XIV  —  32  — 
fase.  2  dalla  pag.  33  alla  64  —  fase.  3.  dalla  pag.  65  alla  96. 

—  Barletta  e  Trani,  Tip.  editrice   V.  Vecchi  e  Soci,  1879. 

11.  Bruto  .\mante.  —  //  Natale  di  Roma  —  saggio  sto- 
rico. —  Un  voi.  in  16  di  pag.  116.  —  2.  ediz.  —  Roma, 
Libreria  Manzoni,  1878.  —  Prezzo  L.  2. 

12.  Archivio  Storico  per  le  province  Napoletane.  —  Anno 
IV,  Fase.  I.  II.  e  III.  Napoli,  Stabilimento  Tipografico  del  Cav. 
F.  Giannini,  1879. 

13.  D.'  G.  Salvigli  —  Nuovi  studi  sulla  politica  e  le  vi- 
cende ddt  esercito  imperiale  in  Italia  nel  1586-87  etc.  —  Un 
op.  in  8.*  di  pag.  59  —  Venezia,  Tip.  del  Commercio,  1879. 

14.  P.  CeccHi.  —  Commemorazione  di  Bartolomeo  Marche- 
sini —  Un  op.  di  pag.  16  —  Macerata ,  Tip.  F"*  Mancini , 
1878. 

15.  Dei  Lancia  di  Brolo.  —  Albero  genealogico  e  biografie 

—  Un   voi.   in  8.*  di  pag.    VIII  —  312  —  Palermo,   Tip. 
Gaadiano,  1879. 

16.  Avv.  Ma?. -barelli.  —  Della  vita  e  delle  opere  di  Filippo 
Infetti  —  Un  voi.  di  pag.  Ili  —  Perugia,  Tip.  Santucci 
1879. 


384  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

17.  Carlo  Bullo.  —  /  Labia  m  Venezia  —  Notizie  storico 
genealogiche  —  Un  op.  in  8.^  con  fotografie,  di  pag.  40  — 
Venezia,  Tip.  Visentin!  1879. 

18  II  Mani  ani  c  la  Crusca  —  Risposta  di  A,  Angducci 
ed  A.  CerquetU  —  Op.  in  16.*  di  pag.  13  —  Torino,  Tip. 
editrice  G.  Gandeletti  1879. 

19.  Ab.  Prof.  E.  Bianchi  —  Storia  di  FUotirano  —  Air- 
te  /.  —  Un  voi.  in  8."  di  pag.  193  —  Foligno,  Tip.  Campi- 
telli  1879. 

20.  Archivio  Storico  Lombardo.  —  Anno  VI.  Fase.  1.  2. 
e  3.  Pabblicasi  in  fase,  trimestrali  di  12  a  15  fogli  di  stampa 
e  r  associazione  annua  costa  L.  20.  —  Milano,  Gaetano  Bri- 
gola  1879. 


OMAGGIO  A  S.  M.  U  RE 


La  Direzione  deir  Archivio  Storico  Marchigiano»  e  Tedi- 
tore  di  esso  E  Aorelj»  coDosceodo  quanto  interesse  prenda  al 
progresso  degli  stadii  storici  il  Nostro  Angusto  Sovrano,  pre- 
gavano il  nostro  egregio  concittadino  Gav.  Pio  Lazzarini  di 
presentare,  in  attestato  di  reverente  devozione,  a  S.  M.  il  RE 
un  esemplare,  elegantemente  legato  in  pergamena  ed  oro,  dei 
fascicoli  publicati  deir  Archivio,  come  pure  un  esemplare, 
ancor  esso  artisticamente  legato,  della  biograOa  dì  Giacomo 
Leopardi,  dettata  dal  nostro  direttore.  —  Il  Cav.  Lazzarini, 
con  quella  squisita  gentilezza  che  tanto  lo  distingue,  accettava 
di  buon  grado  V  incarico,  e  lo  adempiva  il  23  dello  scorso 
mese  di  Giugno,  e  noi  soddisfacciamo  ad  un  gradito  dovere 
rendendogliene  publicbe  azioni  di  grazia. 

La  Maestà  Sua  accoglieva  con  la  consueta  affabilità  Tegregio 
Professore,  e  mostrava  di  accettare  assai  di  buon  grado  le  due 
publicazioni  che  Le  venivano  presentate;  si  rallegrava  del- 
r  opera  intelligente  che  si  dà  dagli  studiosi  marchigiani  alle 
ricerche  storiche  e  a  mantener  vivi  i  nobili  esempi  che  diedero 
in  ogni  tempo  le  Marche,  non  seconde  ad  alcun  altra  regione 
d' Italia  per  patriottismo  ed  amore  alle  lettere ,  alle  scienze 
ed  alle  arti.  Lodava  quindi  V  iniziativa  presa  dal  Prof.  Rosa 
e  dalP  Aurelj,  chiedeva  conto  al  Gav.  Lazzarini  dei  singoli  col- 
laboratori deir  Archivio,  ed  espresse  per  tatti  benevoli  parole. 


^ 


À  proposito  della  publicazione  sa  Giacomo  Leopardi,  Saa 
Maestà  notò  la  coincidenza  di  essa  colla  erezione  del  mona- 
mento  al  grande  Recanatese  nella  sua  patria,  dovuto  allo  scal- 
pello del  valente  marchigiano  Ugolino  Panichi,  pel  quale  ebbe 
parole  di  lode.  Dopo  di  ciò  chiese  conto  del  movimento  let- 
terario nelle  Marche,  prendendo  grande  interesse  a  quanto  il 
Gav.  Lazzarini  in  proposito  Le  diceva. 

In  seguito  pervenivano  al  nostro  Direttore  ed  air  editore 
le  seguenti  lettere  del  Ministro  della  Beai  Casa. 


SEG^BTERI/  PARTICOLARE 

M  Anna  Tt  Giugno  IMO. 

S.  M.  IL  RE 

N,^  274i 


Dal  Signor  Cav.  Pio  Lazzarini  vennero  presentati  a  S.  M.  il  Re  i 
due  distinti  esemplari  dei  lavori  recentemente  pubblicati  daUa  S.  V.  Dima: 
Cenni  biografici  suUa  vita  e  sulle  opere  di  Giacomo  Leopardi:  nonché: 
L*  Archivio  Storico  Marchigiano, 

Gli  interessanti  studi  della  S.  V.  ebbero  la  più  benevola  accoglienza 
dall*  Augusto  Nostro  Sovrano  il  quale  mi  ordinava  di  collocarli  nella 
privata  sua  Biblioteca. 

La  M.  S.  mostravasi  pure  sensibile  al  tratto  di  affettuosa  devozione 
che  Ella  volle  usarle  colla  pregievole  di  Lei  offerta,  e  mi  incaricava  di 
interpretare  presso  Vossignoria  i  Reali  Suoi  ringraziamenti. 

Nel  compiere  ai  graziosi  voleri  del  Re  giovami  assicurarla.  Signor 
Professore,  della  mia  perfetta  osservanza. 

Il  Ministro 

VlSONB 

Illtno 
Sig.  Prof.  CESARE  ROSA 

Dimn-roftì  dell*  Aacaivio  Storico  II arcbioiamo 

Ancona 


SBGRCTERU  PAftTlCOL/RS 

M  Mo$m»  f7  ÌHm0>i0  ìitÙ. 

8.  M.  IL  RE 

M»  8747 


Per  mezzo  del  Sig.  Cav.  Pio  Lazzarìni  pervenne  a  mani  di  S.  M. 
il  Re  r  elegante  volume  Archivio  Storico  Marchigiano  eh*  Ella  in  unione 
al  Sig.  Cesare  Rosa  destinava  in  omaggio  alla  M.  S. 

Tornarono  assai  graditi  a  S.  M.  i  sentimenti  di  devoto  affetto  ai 
quali  Ella  si  ispirava  nella  offerta  di  quel  libro ,  ricco  d*  interessanti 
notizie  su  cotesta  illustre  contrada  e  non  meno  pregevole  per  la  accu- 
rata edizione  dovuta  alle  speciali  di  Lei  cure. 

Adempio  pertanto  ad  un  grazioso  incarico  affidatomi  dair  Augusto 
Nostro  Sovrano  presentando  alla  S.  V.  i  Suoi  ringraziamenti  per  il  gen- 
tile di  Lei  pensiero;  e  più  lieto  di  poterle  aggiungere  V  espressione  della 
mia  particolare  stima 

Il  Ministro 
V18OMS 
lUmo 
Sig.  ERNESTO  AUREU 

Ancona 

L*  Augusta  parola  del  Nostro  Sovrano  ci  dà  animo  a  prò* 
seguire  neir  impresa  a  cai  ci  accingemmo  col  desiderio  di  fare, 
secondo  le  nostre  povere  forze,  opera  che  tornasse  di  utile 
agli  stadii  e  di  decoro  a  queste  nostre  province,  fiduciosi  che 
non  sarà  mai  per  venirci  meno  la  valida  cooperazione  di  quanti 
sanno  che  il  passato  coi  suoi  errori  e  colle  sue  virtù  è  scuola 
efficace  al  presente  per  procurare  la  grandezza  e  prosperità 
della  Patria. 

U  DIREZIONE 


GLI  STATUTI  DfEDIH  DI  RIMffl 

AmouM 
STUDIl    DEL 

DoTT.   GIUSEPPE  SALVIGLI 


Arehii.  Mor.  Mardi.   f.  I 


GLI  STATUTI  INEDITI  DI  RlMINl 


Anno  1334. 


Studii  del  Doti.  GIUSEPPE  SALVIOU.  (1) 


Nella  biblioteca  Gambalunghiana  di  Rimini  si  con- 
sprva  un  codice  membranaceo  del  secolo  XV  composto 
di  144  foo;li,  contenenti  gli  statuti  della  città  di  Rimini. 
Sembra  accertato  che  fino  dal  secolo  XII,  negli  ultimi 
anni,  Rimini  avesse  le  sue  costituzioni  popolari,  giacché 
esiste  un  diploma  di  Enrico  VI  datato  nel  1195  con 
cui  condanna  il  nuovo  statuto  De  usantits  Ariminen" 
8ium^  chiamandolo  esecrabile  perché  sottraeva  alla  giu- 
risdizione degli  ecclesiastici  molti  diritti  e  perché  ne- 
gava giustizia  quando  persone  ecclesiastiche  conveni- 
vmo  laici  in  giudizio  (2).  Questa  disposizione  che  in- 
teressa moltissimo  per  la  storia  dei  rapporti  fra  chiesa 
e  Stato  in  Italia  alcuni  secoli  prima   della    legislazione 

(I)  QQ»nlunqae  qucslo  srrillo  non  ti  riferisca,  flreUamenls  ptrlaiMio,  alla 
•Iona  delle  pruvincift  niurchiRìano,  abbifino  credalo  di  dargli  laofo  nel  nostro 
periodico  p<»r  I'  tmportsinia  sp'-cialc  che  esso  ha,  e  di  questa  ecceiione  i  no- 
stri lettori  crediamo  che  vorranno  saperci  grado  in  luogo  di  rimpruYerarcene. 

(S.  d.  DJ 

(9)  È  pubblicalo  dal   Jo:«i?ii   Mmtni  dai  principio  dell'érn  volgmre,  (Ri- 
mini  1856)  I.  II.  pag.  600  e  379;  e  dal  Villani  Mi/9,  m&ae.  pag.  7. 


388  GLI  STATUTI   INEDITI   DI    RIMINI 

del  senato  veneto,  aveva  suscitato  le  ire  della  curia  ro- 
mana e  il  papa  aveva  già  minacciato  il  comune  di  in- 
terdetto, quando  il  decreto  venne  revocato  e  così  data 
soddisfazione  agli  ecclesiastici. 

Delle  antiche  costituzioni  del  libero  popolo  arimi- 
nese  non  rimane  oggidì  che  un  brano  statutario  inciso 
in  marmo,  il  quale  prescrive  come  qualunque  servo  che 
per  un  anno  e  un  giorno  avesse  abitato  nella  città;  acqui- 
stasse di  diritt9  la  suajmanumissione  (3). 

Si  trovano  altre  traccie  di  una  legislazione  statutaria 
nella  storia  di  Bimini  e  quello  che  è  più  singolare  ge- 
neralmente di  materie  religiose:  come  certi  statuti  con- 
trari alla  libertà  ecclesiastica  i  quali  furono  aboliti  nel 
1226  (4).  Ma  i  soli  che  si  conoscono,  sono  quelli  del 
1334  i  quali  contengono  rifuse  in  un  corpo  tutte  le  di- 
sposizioni precedenti  e  che  mano  a  mano  si  sono  modi- 
ficati, accresciuti,  completati  con  diverse  aggiunte  di  pre- 
scrizioni che  portano  le  date  degli  anni  1338  e  39, 
1351,  55,  58,  60,  74,  75,  85,  91  e  97.  Questi  suc- 
cessivi statuti  sono  del  massimo  interesse  per  la  storia 
delle  repubbliche  italiane  in  genere  e  di  quella  di  Ri- 
mini in  particolare,  imperocché  in  essi  si  scorge  il  cre- 
scere in  potenza  delle  grandi  famiglie,  il  formarsi  dei 
privilegi,  lo  scomparire  a  poco  a  poco  delle  libere  isti- 
tuzioni e  il  costituirsi  sulle  rovine  della  repubblica  il  do- 

(3)  Si  troYa  nel  Pla  nco  Novelle  letterarie  fiorentine,  contin.  <7i8  n.  S7. 

(i)  JoNiNi:  V.  e.  Ili,  pag.  1Ì-S8.  PLàMCo  li  crede  del  secolo  XI  o  Xlf:  Jo- 
nini  assegna  il  19!I0  basandosi  sa  on  documento  di  quest'anno  che  porta  «  in 
statuto  Arimini  noTìter  facto  tempore  dicli  podestatis.  »  AH*  affrancazione  dei 
serri  corrisponde  la  rubrica  109,  iOeSO  dello  Statuto  del  1334.  Cfr.GAaAMPi: 
Memorie  Bulla  B,  Chiara  pag.  36,  in  cui  li  atlribu  sce  al  secolo  XIII. 


GLI   STATUTI   INEDITI   DI    RIMINI  389 

minio  di  uomini  audaci  ed  intriganti.  Essi  segnano  il 
lento  passaggio  del  governo  democratico  al  dispotismo 
di  quelle  tirannidi  che  infuriarono  in  Romagna  nel  se- 
colo XV,  tramonto  misurato  e  compassato  di  due  forme 
di  Stato. 

Gli  statuti  presenti  che  noi  esaminiamo  dal  punto  di 
vista  della  storia  della  legislazione,  sono  interamente  ine- 
diti: il  Pardessus  li  conobbe  e  pubblicò  nella  sua  opera 
pregevole  due  disposizioni  relative  a  cose  di  mare.  (1) 
Crediamo  utile  di  far  conoscere  alcuni  studii  che  abbiamo 
fatto  su  quelli  statuti  e  di  mettere  in  rilievo  le  dispo- 
sizioni che  si  erano  adottate  a  Kimini  nelle  quistioni  di 
diritto  di  famiglia,  di  proprietà,  negli  ordinamenti  pub- 
blici e  amministrativi,  nella  legislazione  penale  e  in 
tutto  quello  che  faceva  parte  del  vivere  dei  comuni  ita- 
liani. 

n  primo  libro  riguarda  disposizioni  sul  sistema  di 
governo,  sulle  attribuzioni  e  le  cariche  dei  funzionari 
del  governo:  comincia  collo  stabilire  norme  relative  alla 
nomina  del  podestà.  Esso  deve  essere  proposto  dallo 
stesso  podestà  che  è  per  cessare  dall'  ufficio ,  due  mesi 
prima  di  scadere:  prima  qualità  del  podestà  è  di  essere 
^  fidelis  et  devotus  sete  romane  eclie  nec  sit  exititius 
vel  expulsus  de  terra  undo  est  oriundus  vel  civis  „  Non 
può  durare  in  carica  meno  di  sei  mesi,  né  più  di  un 
anno,  ma  spetta  al  consiglio  la  facoltà  di  determinare  il 
tempo  (rub.  V).  Col  podestà  entrano  nelle  cose  del  co- 
mune   persone    ohe    esso   deve  condurre  con  sé  e  sono 

(i)  PAftDstsut  V.  p.  99,  113. 


390  GLI  STàTUn   INEDITI   DÌ  RIMlKl 

^  unum  sotium  sive  militem^  tres  judices  bonos  et  perì- 
iix^  in  legibtts  quorum  duo  superesse  debeant  eivilibus  que- 
stionibus  et  eausis  ^  sei  uomini  ed  altre  persone  (nib.3>. 
L'  ordinamento  politico  ed  amministrativo  del  Co- 
mune t"^  diviso  fra  molte  persone,  il  tniles ,  il  rectar  e 
ì  Judices.  Tutti  questi  dovevano  giurare ,  come  pure  il 
podestà  >  una  formula  eguale  a  quella  usata  negli  altri 
Comuni*  (ruK  5  e  7).  I  giudici  promettevano  di  stare 
a  giudicare  nel  palazzo  comunale  dalla  ìnattina  ^  a  sono 
campanellae  usque  ad  tertiara  ^  tutti  i  giorni  (rub.  8). 
Yi  erano  giudici  per  le  materie  civili,  uno  per  le  cri- 
minali, judex  malefitiorum,  il  quale  nella  processura  di 
inquisitoria  deve  sempre  essere  assistito  da  un  cancelliere 
(  rub.  9  ).  Dopo  il  giudizio  di  prima  istanza  si  poteva 
ricorrere  a  un  tribunale  superiore,  cioè  al  judex  appel- 
lationis,  che  definiva  in  un'  ultima  decisione  A  sorve- 
gliare r  andamento  del  Comune  a  regolare  tutto  il  con- 
tenzioso amministrativo  si  nominava  un  judex  exffrava" 
toris  che  durava  in  carica  come  quello  Appeliationis  sei 
mesi,  e  che  aveva  le  sue  attribuzioni  **  in  cognoscendo 
et    difiniendo  „    tutte    le  cause    nelle  quali    entrava  il 

^  merum  et  mixtum  imperium  ,,  appelli  e  contese  su 
balzelli  ^  materiam  dilationum,  exceptiones,  frustatorias 
contentias  et  jurgia  testium  „  Questo  giudice  non  poteva 
essere  riconfermato  né  rieletto  se  non  dopo  5  anni 
(rub.  10):  era  soggetto  a  una  speciale  in  vigilanza:  nes- 
suno gli  poteva  far  dono  o  prestito  (rub.  12.)  Dopo  la 
sua  elezione,  siccome  non  poteva  mai  essere  della  città 
era  proibito  inviarli  un'  ambasciata ,  ma  solo  V  araldo 
del  Comune  gli  portava  1'  avviso    della  sua  elezione  e 


GLI   STATUTI   INEDITI   DI    RIMINE  391 

.  chiedeva  al  Comune  donde  usciva  la  licenza ,  che  per- 
mettesse air  eletto  dì  assumere  V  incarico  pubblico  in 
un  altro  paese  (rub.  12.).  Le  funzioni  di  questi  magi- 
strati sono  regolati  nella  rubrìca  14  ^  De  libertate  ar- 
bitrii, Tel  absolutione  vel  interpretatione  statutorum,  a 
potestate  exgravatore  sive  judice  appellationis  vel  suis 
offitialibus  non  petenda.  ,, 

Nel  Comune  vi  era  ancora  un  ordine  di  cittadini 
col  titolo  di  sindaci  e  procuratori  i  quali  esercitavano 
sorveglianza  sul  podestà,  sui  giudici  e  sui  loro  dipen- 
denti CfamiliaJ^  sui  quali  pesava  gravissima  la  respon- 
sabilità, quando  con  dolo  avessero  danneggiato  al  Comune 
nel  qual  caso  erano  condannati  ^  ad  restituendum  nostro 
Comuni  quadruplum  „  come  pure  in  caso  di  frode  ed 
ingiurie.  Erano  stipendiati  e  la  rub.  18  prescrive  sin- 
golarmente le  condizioni  per  essere  sindaco  e  le  sue 
funzioni. 

Oltre  questi  magistrati  di  sindacato  è  prescrìtta 
(  rub.  1 9  )  la  nomina  di  3  o  4  consiglieri  i  quali  ab- 
biano oltre  30  anni  coir  obbligo  di  invigilare  e  sorve- 
gliare al  buon  andamento  del  Comune.  Lo  statuto  dopo 
di  aver  parlato  di  altre  cariche  e  assegnate  le  funzioni, 
attribuzioni,  modi  di  elezione  e  formule  di  giuramento 
(  rub.  21  e  segg.  )  passa  a  prescrivere  la  nomina  del- 
l' awocatore  de'  poveri  ^  et  novorum  civium  qui  et  que 
propter  paupertatem  ipsorum  et  propter  potentiam  snorum 
adversariorum  advocatum  habere  non  possant  „  (rub.  33). 

Il  Comune  deve  ogni  anno  nominare  quattro  notai 
(rub.  20):  lo  statuto  regola  anche  i  loro  salarii  (rub.  36): 
vi  è  in    esso  una  specie  di    regolamento  del  notariato, 


392  6L1  StAtUti  tNÉDtTi  01   RlUlNt 

prescrivendo  a  ciascuno  di  essi'  di  tenere  un  protocollo  . 
per  notare  tutti  gli  atti  da  esso  rogati  (rub.  38)  anche 
il  vescovo  e  i  canonici  possono  ricevere  come  i  notai  e 
fare  tutte  le  funzioni  di  questi  (rub.  39).  H  notariato 
richiede  studi  speciali  e  una  licenza  jer  esercitarlo: 
quindi  lo  statuto  prescrive  1'  approvazione  per  mezzo  di 
esame  davanti  a  due  notai  dell'  ordine  dei  notai  di 
Rimini  (rub.  40). 

Le  restrizioni  stabilite  per  V  esercizio  del  notariato 
lo  sono  anche  per  quello  della  medicina.  La  rub.  37 
perchè  non  eserciti  medicina  gente  ignorante  e  non 
pratica,  prescrive  che  nessuno  possa  dirsi  medico  *^  nisi 
primo  fuerit  instructus  in  arte  medicine  et  examinatus 
in  studio  generali  vel  exminatus  et  approbatus  per  cole* 
gium  civitatis  Arimini  et  in  presentia  alicuius  vel  ali- 
quoram  ex  lectoribus  fratrium  minorum  vel  praedicar 
torum,  seu  heremitarura.  ^ 

Molti  altri  numerosi  magistrati  ogni  anno  si  dove- 
vano nominare  per  offici  pubblici  di  amministrazione 
interna  del  Omune:  troviamo  menzione  di  massari, 
istituzione  frequente  nelle  repubbliche  italiane  del  medio 
evo,  i  sospraintendenti  alle  navi  del  Comune,  ufficiali 
sui  pesi  e  misure,  gli  edili  per  sorvegliare  le  costruzioni, 
la  conservazione  delle  vie  e  delle  piazze  e  l' igiene  dei 
pozzi  e  delle  fontane  (rub.  48  e  49)  infine  un  pubblico 
stimatore.  Lo  statuto  determina  minutamente  le  funzioni 
dei  pkumorum ,  i  quali  erano  gli  uscieri ,  araldi  del 
Comune  e  avevano  V  incarico  di  difendere  le  persone 
e  le  cose  del  podestà,  fare  le  citazioni.  A  Rimini  era 
anche  organizzato  un  servizio  di  polizia  con  guardie  di 


tìLI   STAtUTt   INEDITI   Dt   MTAìHì  303 

notte  (rub.  57)  le  quali  dovevano  attendere  all' esecazione 
di  quei  regolamenti  sulle  arti  e  mestieri  dei  quali  così 
particolarmente  si  occupa  lo  statuto. 

Per  la  sicurezza  delle  cose  dei  cittadini  trovasi  no- 
minata la  carica  del  ffucUdanius  sul  quale  la  rub.  58 
dice  ^  debeat  bene  sollicite  et  diligenter  custodire  res 
.et  singulas  possessiones  clericorum  et  laicorum  existen- 

tes  inter  limites universitatis ita  et  tale 

quod  in  eis  vel  fructibus  vel  segetibus^  vel  pomis,  vel 
arboribus,  vel  paleis,  vel  feno  . . .  dampna  non  dentur  ^ 
La  sua  denunzia  non  ha  d'  uopo  di  essere  confermata 
da  testimonii;  basta  il  suo  giuramento.  Ma  le  sue  facoltà 
nelV  accusare  per  danni  sono  limitate  e  non  può  citare 
che  persone  ^  habiles,  faciles  et  ydoneas  ad  convenen- 
dum  et  ad  ezigendum  ad  ipsis  condempnationes  de  eis 
et  eorum  animalibus  factas  „  e  anche  sulla  materia  del 
danno  ^  non  teneantur  accusare  de  dampnis  quae  magis 
inter  dampna  computanter,  videlicet  de  incisione  arbo- 
rum  in  pendere  de  unius  currus,  de  incisione  vinca- 
rum  ec.  ^ 

Le  persone  giurìdiche  sono  regolate  co'  principii  del 
diritto  romano:  tutti  gli  enti  morali,  universitates  devono 
avere  un  procuratore  ^  sindicum  „  e  un  fideiussore 
*  de  solvendis  collectis:  „  (rub.  71)  e  sotto  questa  fin- 
zione gli  statuti  comprendono  le  diverse  corporazioni  di 
arti  e  mestieri. 

Dopo  questi  regolamenti  di  ordine  pubblico  e  gene- 
rale seguono  numerose  disposizioni  sull'ordinamento  dei 
mestieri  e  che  entrano  propriamente  nella  sfera  della 
polizia  intema.   Esse  acquistano    uno   speciale  interesso 


394  GLI   STATUTI   INEDITI   DI    RIMiKI 

nello  studio  storico  di  certe  arti,  delF  economia  pubblica 
del  medio  evo  e  delle  condizioni  della  vita  italiana  nei 
liberi  comuni.  Lo  sproclanus  deve  giurare  fedeltà  al 
comune ,  e  dare  fideiussori  della  sua  pratica  nell'  arte 
e  pagare  un  censo  (rub.  62).  Meno  cbe  V  affidamento 
di  un  mallevadore,  le  altre  due  condizioni  sono  comuni 
a  molti  mestieri.  Si  aveva  1'  ufficio  del  feciolarus  il  quale 
aveva  obbligo  di  abitare  in  città  e  doveva  "  custodire 
fundos  et  dogas  vegetum  quas  diffundant  et  remittere 
circulos  in  eis  (rub.  63)?  Seguono  altre  prescrizioni  sugli 
albergatori,  sul  tener  nota  delle  persone  che  alloggiano, 
sulle  misure  bollate  e  sulle  vendite  (rub.  64):  altri  sur 
vetturali  (rub.  65):  altre  sui  rivenduglioli,  tricholi  et 
chamangiaroli  dei  quali  ogni  anno  nel  gennaio  se  ne  fa 
un  ruolo,  e  i  quali  sono  obbligati  di  non  comprare  roba 
per  se  né  tenerla  per  se  (  rub.  66  ).  Lo  statuto  passa 
anche  a  regolare  sui  barbieri  che  sono  obbligati  anche 
a  cavar  sangue ,  sui  lavoratori  di  terre  e  vig^e ,  sui 
cartolari,  calzolai,  e  conciari.  Le  prescrizioni  sono  minu- 
ziose ma  provdde.  A  questi  ultimi  è  proibito  tenere 
in  vasi  acqua  marcia  o  con  calce  e  non  possano  ingom- 
brare le  strade  con  banchetti,  trespoli  e  tendatp  (rub.  75). 
Si  regolano  anche  le  attribuzioni  dei  mercanti,  cambisti, 
mutuatori:  vi  si  riscontrano  già  precetti  preziosi  di  diritto 
commerciale.  I  libri  dei  mercanti  e  banchieri  in  giudizio 
fanno  fede  e  sono  prova  valida  e  il  giudice  deve  pre- 
starvi fede.  Dopo  questo  lo  statuto  parla  dei  sarti  e 
viene  a  determinare  i  prezzi  dei  vestiti:  parla  di  quelli 
che  esercitano  l'arte  della  lana  e  della  bambagia  (rub,  78): 
dei  fornaciari  (rub.  79):  dei  mugnai  e  stabilisce  le  norme 


GLI   STATUTI   INÈDITI    DI    RIMINI  395 

per  la  misura  del  grano  (rub.  80):  dei  beccai,  da'  pre- 
scTÌzioni  sulle  carni  da  macellarsi  e  1'  obbligo  perchè 
poi  vengano  bollate:  considera  il  caso  di  uno  che  si 
richiami  contro  il  beccaio  per  cibi  da  lui  comprati , 
perchè  a  carico  di  lui,  basta  il  giuramento  del  compra- 
tore: il  giurare  contro  il  beccaio  è  prova  superiore  ad 
ogni  altra  testimonianza,  è  decisione  del  merito  (rub.  80). 
Accenna  anche  a  prescrizioni  suir  uccisione  degli  animali 
e  a  disposizioni  d'  igiene  sulla  carne  ammalata  :  e  per 
meglio  assicurare  la  responsabilità  di  beccai  e  la  sicu- 
rezza di  cittadini,  la  corporazione  de'  beccai  è  obbligata 
a  tenere  un  procuratore  presso  il  comune  responsabile 
(rub.  81).  Questa  disposizione  tanto  severa  fu  modificata 
con  uno  statuto  del  1343.  Ma  rimasero  sempre  in  vigore 
quelle  relative  alla  vendita  della  carne,  di  cui  minuta- 
mente si  era  occupato  lo  statuto  (rub.  84  alla  rub.  100). 
E  come  città  di  mare ,  è  ovvio  il  pensare  che  molte 
prescrizioni  circondassero  la  pesca  e  la  vendita  del  pesce. 
Lo  statuto  concede  a  tutti  la  più  gran  libertà  di  pescare, 
ma  al  contrario  con  una  proibizione  che  distrugge  la 
precedente  concessione,  stabilisce  che  nessuno  venda  o 
porti  fuori  della  città  il  pesce ,  e  che  per  la  vendita 
air  interno  della  città ,  il  podestà  debba  nominare  due 
arbitri  i  quali  focciano  la  mercuriale  del  pesce  e  che 
non  si  possa  vendere  e  contrattare  oltre  i  prezzi  in  quella 
determinati  (rub.  102). 

Così  regolata  la  vita  economica  del  Comune  lo  Sta- 
tuto passa  a  trattare  delle  arti  nobili  e  liberali.  In  quanto 
riguarda  i  giui*econ8ulti  stabilisce  ^  quod  in  civitate 
Arimini    habeatur  quidam    forensi-^  sapiens  et  expr^rtus 


396  GLI   STATUTI   INEDITI   DI   RIMINI 

in  jure  civili  qui  continue  legere  debeat  in  dicto  jure,... 
legare  in  jure  civili  ordinarios  libros  omnibus  tam  civi- 
libus,  quam  lorensibus  scholaribus  ^  (rub.  104):  e  che 
in  caso  di  negligenza  sia  multato  di  25  lire.  Pei  medici 
ha  già  stabilito,  (rub.  37)  H  Comune  è  obbligato  a  tenere 
anche  scuole  di  grammatica  e  a  stipendiarvi  un  maestro 

^  qui  sit  forensis ,  continue  docere  debeat  in  dieta 

arte  omnes  scolares  de  arimino  et  destrictu  et  aliunde  vo- 
lentes  venire  ad  studendum  in  dieta  civitate  (rub.  109)  ^^ 
Una  simile  disposizione  è  importante  per  la  storia  del- 
l' istruzione  pubblica  in  Italia,  tanto  più  che  di  raro  si 
trovano  menzionati  negli  istituti  italiani  i  maestri  e  le 
scuole  di  grammatica. 

Parimenti  deve  esservi  un  marescalco  esperto  (ru- 
br.  105):  e  per  curare  il  porto,  fere  gli  scavi  e  quanto 
altro  necessita  un  buon  ingegnerìa  (rub.  106):  come 
per  le  navi  che  approdano,  e  per  quelle  che  salpano  o 
che  sono  in  costruzione,  devono  esservi  degli  ispettori 
(rub.   110). 

Queste  disposizioni  generali  di  ordine  pubblico  e 
amministrativo,  che  sono  materie  del  primo  libro  degli 
Statuti  di  Rimini,  sono  in  gran  parte  comuni  a  quelle 
delle  città  italiane  del  medio  evo.  H  secondo  libro  tratta 
della  giurisdizione  del  podestà,  della  procedura  in  mate- 
ria civile  e  di  tutte  le  formalità  che  devono  accompa- 
gnare ogni  atto  per  ottenere  giustizia  e  più  distesamente 
del  diritto  privato,  condizione  delle  persone,  trattamento 
loro,  capacità  giuridica  degli  indivìdui,  ordinamento  della 
femiglia,  matrimonio,  regole,  solennità  ed  effetti,  della 
tutela  e  tutte  le  altre  materie  che  formano  parte  del 
diritto  civile. 


I 


GLI   STATUTI   INEDITI   DI    B^MINI  397 

In  quanto  riguarda  la  giurisdizione  del  podestà,  lo 
statuto  designa  le  singole  sue  funzioni,  consistenti  nel- 
r  esercizio  di  tutte  quelle  facoltà  necessarie,  per  gover- 
nare (^manuteìierej  la  città,  di  esercitare  tutti  gli  atti 
di  potere  sovrano,  mantenere  la  legge  e  il  principio  di 
autorità,  convocare  i  cQUsigli  ecc.  (id.  rub.  1.  2  e  3), 
I  cittadini  che  si  rifiuteranno  di  obbedire  al  podestà  e 
che  non  vogliono  stare  sotto  la  giurisdizione  del  Comune, 
sono  soggetti  a  pene  gravissime  (rub.  4). 

La  procedura  di  citazione  è  argomento  di  molte 
disposizioni.  Anzitutto  non  si  possono  citare  persone  del 
Comune  di  Rimini  presso  un'  altra  giurisdizione.  L^unica 
che  si  deve  riconoscere  è  quella  del  Comune:  sotto  la 
pena  che  ^  omnia  sua  bona  comuni  aplicentur  et  destì- 
nantur  „  e  che  1'  attore  sia  condannato  a  bando  per- 
petuo come  se  si  tmttesse  **  de  pubblico  crimine  ^  e 
da  ciò  si  piglia  occasione  per  tornare  sulle  contese  tra 
il  foro  ecclesiastico  e  il  foro  civile  delle  quali  già  abbiamo 
accennato,  stabilendo  che  il  laico  che  citerà  altro  laico 
davanti  il  tribunale  ecclesiastico  per  usura,  anche  se  sarà 
condannato,  le  cose  torneranno  nello  stato  di  prima  e  si 
passerà  a  un  nuovo  giudicato  dinanzi  al  podestà  a  cui 
Farà  rimessa  la  causa  (rub.  4). 

I  modi  di  citazione  sono  quelli  usati  nella  storia  del 
diritto  italiano.  La  cittazione  è  communicata  perHonal- 
mente:  se  è  contumace,  sia  fatta  la  causa.  Quando  molti 
siano  i  convenuti,  la  citazione  si  fa  per  bando  **  ad 
fenestras  pallii  per  bannitorem  „  (rub.  8).  La  citazione 
(libellus)  non  ^  obbligo  che  sia  fatta  per  una  somma 
di  cento  lire,  o  minore  (rub.  9).  Essa  «leve  contenero 


1 


I 

V 


398  GLI   STATUTI    INEDITI    DI    RIXINI 

gli  elementi  del  processo,  ma  il  fatto  di  cui  si  discute 
deve  esser  certo  e  non  si  può  muovere  azione  su  un  desi- 
derio o  una  cosa  probabile  (rub.  10).  Chi  tratta  la 
causa  devono  essere  gli  avvocati,  i  quali  hanno  diritto  di 
essere  rimunerati  (  rub.   13). 

Ma  prima  di  presentarsi  innanzi  ai  tribunali,  è  data 
facoltà  ai  contendenti  di  nominare  arbitri ,  la  cui  sen- 
ten7ii,  come  qualunque  altra  interlocutoria,  precetto^  lodo, 
quando  sia  passata  in  regiudicata  e  non  si  possa  appel- 
lare, spetta  al  podestà  di  fare  eseguire,  e  quando  trattasi 
di  persone  sotto  altra  giurisdizione,  denunziarla  e  *^  te- 
neatur  recuperare  ab  hominibus  illius  universitatis  unde 
sunt  illi  contra  quos  fuerint  lata  arbitria  sententiae  et 
centra  eos  qui  dederint  receptaculum  eis,  denunptiare  ec  , 
(rub.  15).  Anche  i  capitanei  castrorutn  avevano  giuri- 
sdizione per  una  somma  non  superiore  alle  lire  20. 
(rub.  16),  In  caso  di  appello  si  ricorreva  viXi^  exgravator 
il  quale  giudicava  in  ultima  istanza  e  sulle  cose  di 
denegata  giustizia.  L'  exgravator  però  non  era  un  ma- 
gistrato stabile,  ma  il  podestà  era  obbligato  a  nominarlo, 
sotto  gravi  pene,  volta  per  volta  quando  ne  fosse  richiesto. 
Così  il  procedimento  d'  appello  seguiva  spedito,  senza 
che  molte  cause  si  affollassero  su  un  solo  giudice.  Dopo 
tre  giorni  dalla  prima  sentenza,  era  perento  il  termine 
per  ricorrere;  ma  la  causa  una  volta  communicata  al 
exgravator  non  poteva  restar  sospesa  più  di  15  giorni, 
(rub.   17)  Questo  per  i  giudizii  innanzi  agli  arbitri. 

In  quanto  riguarda  la  procedura  per  le  cause  di 
un  valore  superiore  alle  20  lire ,  si  ricorreva  ai  tribu- 
nali  del  Comune   ed  anche    contro  queste    sentenze  si 


GLI   STATUTI   INEDITI   DI   R1MINI  399 

poteva  interporre  appello:  se  si  trattava  di  cause  civili 
doveva  essere  presentato  entro  10  giorni:  se  di  criminali 
entro  5.  (rub.  1 9).  L'  appello  era  deferito  a  un  giudice 
a  ciò  destinato,  ma  era  assistito,  probabilmente  caso  per 
caso  da  un  laico  non  perito  in  cose  giudiziarie  che  il 
podestà  aveva  obbligo  di  nominare  entro  10  giorni.  Fra 
questi  due  magistrati  vi  era  perfetta  eguaglianza  di 
facoltà:  solo  il  laico  non  poteva  essere  nominato  in  pili 
di  tre  commissioni  per  anno  (rub.  20).  Intanto  in  questo 
sistema  si  riscontra  1'  idea  di  un  sindacato  continuo  e 
vigile  neir  amministrazione  della  giustizia  e  le  prime 
vestigia  deir  istituzione  del  giuri. 

Tratta  anche  dei  giudizi  di  espropriazione  i  quali 
avvengono  con  asta  incanto  ecc.  (rub.  22):  e  la  cui  noti- 
6ca  si  fa  per  bando  e  per  affissione  (rub.  27).  Il  Comune 
ha  il  diritto  di  esigere  il  pagamento  delle  imposte  non 
per  mezzo  di  espropriazione  degli  immobili^  ma  con  se- 
questro dei  frutti:    ^  bona  mobilia  vel  immobilìa  rusti- 

corum  seu  laboratorum  possossionem  non  auferrantur 

occasione  collectae  vel  debiti  dominonim  sed  solumodo 
redditus  et  serviatia  teneatur  prestare  dominis  suis. 
(rub,  28) 

Seguono  le  prescrizioni  relative  ai  minori,  alla  tutela 
e  alla  procura.  Si  è  minore  prima  dei  18  anni,  e  T  in- 
capacità del  minorenne  è  in  gran  parte  regolata  co^prin- 
cipi  del  diritto  romano:  non  può  stare  in  giudizio  se 
non  assistito  dal  procuratore  (rub.  29)  e  non  può  fare 
nessun  atto  di  libera  amministrazione.  Il  giudice  nomina 
il  tutore  se  il  padre  è  morto  senza  designarlo,  e  lo  deve 
scegliere  fra  i  più  prossimi  parenti:  posano  avere  tutela 


400  GLI   STATUTI   INEDITI   IH   BIMIXI 

le  donne  le  madri ,  ave ,  sorelle ,  zie  :  non  è  ammessa 
scusa  alcuna  fuorché  quella  di  avere  20  anni  o  70  anni 
e  di  essere  ammalato.  H  tutore  però  può  pretendere  di 
avere  un'  indennità  che  verrà  stabilita  dal  giudice  (ru- 
br.  154).  Prima  che  sia  nominato,  il  giudice  deve  as- 
sumere informazioni  e  basta  la  testimo:  ianza  di  idoneità 
e  onestà  de'  vicini.  Non  vi  è  menzione  del  consiglio  di 
famiglia  e  quindi  il  tutore  finita  la  tutela  riceveva  Taa- 
soluzione  solo  dal  giudice,  davanti  al  quale  doveva  ren- 
dere i  conti  (rub.  147),  contrariamente  alle  regole  di 
diritto  romano,  secondo  cui  il  pupillo  medesimo  riceveva 
i  conti  e  li  approvava.  Ma  invece  gli  Statuti  di  Bimini 
si  attengono  al  diritto  romano  e  si  discostano  da  quello 
che  fìi  generalmente  praticato  negli  Statuti  del  medio 
evo,  stabilendo  che  i  conti  non  si  rendessero  ogni  anno 
0  a  tempi  appositamente  determinati  ma  solo  al  termine 
della  tutela.  Questa  disposizione  valeva  anche  per  i  cu- 
ratori (rub.  147).  Il  giudice  non  doveva  risparmiar  fatica 
per  accertarsi  sulla  resa  dei  conti  e  controllare  anche  sul 
luogo  la  verità  e  V  esattezza:  esso  doveva  procedere 
d'  uffizio  a  tutti  gli  atti  relativi  alla  tutela:  i  parenti 
venivano  chiamati  per  grado. 

Le  funzioni  del  tutore  e  dei  procuratori  erano  na- 
turalmente limitate,  non  potevano  alienare  beni,  né  legare 
la  responsabilità  del  pupillo  (rub.  31).  Essi  dovevano 
in  principio  dare  una  cauzione  qui  la  buona  ammini- 
strazione (rub.  33). 

Accanto  411a  tutela,  vi  era  l' istituto  della  curatale, 
alla  quale  si  passava  quando  alcuno  per  mal  governo 
0  per  vizii  dissipava  le  eue  sostanze  :  allora  Y  ammini- 


GLI   STATOTI   INEDITI   HI    RIMINI  401 

strazione  veniva  affidata  a  un  curatore.  Lo  statuto  as- 
segna curatori  ai  prodighi,  ai  furiosi,  agli  interdetti  e 
agli  assenti  (rub.  32  e  229).  Per  rivocarla,  doveva 
intervenire  il  giudice  con  un  decreto  e  non  poteva  &rIo 
se  non  era  cessata  la  causa  che  l'aveva  provocata. 

Le  condizioni  di  stato  per  le  persone  sono  tutte 
informate  a  quello  spirito  di  libertà  che  rese  grandi  i 
comuni  del  medio  evo,  dopo  1'  epoca  di  ferro  della 
servitù  feudale.  Nelle  sue  arti  e  nelle  sue  milizie  il 
comune  accoglieva  i  fuggiaschi  della  gleba,  ed  il  suo 
territorio  era  divenuto  un  luogo  firanco:  così  prescrive 
lo  statuto  nella  rubrica  109  che  ogni  famiglia  che  abita 
nel  territorio  di  Rimini  da  un  anno,  purché  sia  ^  sine 
questione  sibi  mota  per  hommantiam  ^  diviene  libero 
di  diritto  e  non  è  più  tenuto  a  prestarsi  agli  obblighi 
della  angheria,  homantie^  e  a  qualsiasi  soggezione.  Que- 
sto progresso  della  libertà  in  Italia  si  era  già  verificato 
ai  primordi  del  secolo  XTTT. 

Le  disposizioni  che  riguardano  la  libertà  del  Comune, 
contro  chi  tenta  far  prevalere  il  dominio  dei  grandi , 
sono  assai  severe:  la  città  si  afferma  libera  da  qualunque 
devozione  o  soggezione,  da  qualunque  promessa  di  fedeltà 
a  signori  ( rub.  111).  Ma  poi  negli  statuti  aggiunti  e 
che  portano  date  diverse  ma  posteriori  a  quella  del 
presente,  si  trova  V  introdursi  di  certi  privilegi  in  fa- 
vore di  alcune  famiglie  che  cominciavano  a  prevalere. 
Questo  sentimento  della  libertà  municipale ,  concorda 
perfettamente  col  complesso  delle  disposizioni  relative  ai 
poteri  dei  magistrati  e  alla  loro  durata  così  stabilita  da 
non  permettere  influenze  e  adesioni  pericolose. 

Archiv.  Stor.  March.  V,  /.  26 


402  GLI  STATUTI   INEDITI   DI   RIMINI 

Nel  diritto  ereditario  prevale  il  principio  germanico 
del  diritto  di  famiglia:  succedevano  i  parenti  in  pros- 
simità di  grado:  era  chiamata  per  prima  la  linea  dei 
discendenti  e  quindi  quella  dei  genitori:  dopo  gli  avi 
e  le  ave,  quindi  le  linee  non  erano  più  tenute  distinte 
e  succedeva  il  pili  prossimo  in  grado  di  qualunque  linea 
si  fosse. 

La  figlia  riceveva  dal  padre  la  dote  e  a  quella  do- 
veva restar  contenta,  ma  a  differenza  di  molti  altri  sta- 
tuti, nulla  è  prescritto  sull'ammontare  della  dote:  né 
appare  che  il  giudice  entrasse  nella  determinazione  delle 
doti:  la  quale  però  non  poteva  discendere  a  meno  della 
legittima. 

Di  tutti  i  beni  della  moglie  il  marito  ha  V  usofrutto, 
come  di  quelli  della  nuora,  siano  dotali  e  parafernali 
^  donec  sunt  simul  una  familia  „  e  la  moglie  non  possa 
su  questi  avanzare  nessuna  pretesa  (rub.   56). 

Molte  disposizioni  circondano  i  beni  delle  donne  e 
specialmente  le  doti.  Quando  trattasi  della  successione 
del  marito  nei  beni  della  moglie  per  quella  gelosia  mu- 
nicipale e  cura  di  conservare  i  beni  nel  comune,  si  sta- 
bilisce che  il  marito  succede  alla  moglie  nel  solo  caso 
che  muoia  senza  lasciar  discendenti,  ma  solo  nella  metà 
della  dote,  e  dell'altra  metà  sieno  eredi  gli  ascendenti 
ed  altri  parenti  e  che  proporzionalmente  si  dividano  i 
legati  da  essa  fatti;  se  poi  ha  figli,  il  marito  è  escluso 
dall'  eredità,  ed  eredi  universali  sono  i  figli  (rub.   102). 

Ma  pili  largezza  è  ammessa  nei  rapporti  fra  i  con- 
iugi:   per   le  obbligazioni  è  stabilito    il    principio    che 
**  omnia  bona  mulierum  ex  dote  sint   obbligata    credi- 


GLI   STATUTI   INEDiTl   DI    BIMINI  403 

tori  „  del  marito,  a  menochè  non  abiti  con  lui,  e  quando 
trattasi  di  obbligazioni,  per  le  quali  sia  stata  richiesta 
r  autorizzazione  del  marito,  allora  entrambo  sono  obbli- 
gati in  solido  per  le  persone  e  pei  beni  (rub.  57  e  58), 

Quanto  poi  riguarda  i  beni  estradotali  e  i  doni  re- 
cati dal  marito ,  di  questi  la  moglie  ha  1'  assoluta  pro- 
prietà (rub.  228)  e  ne  può  disporre  secondo  la  sua  vo- 
lontà. 

n  comune  per  i  beni  stabiliti  in  dote  richiedeva  che 
so  ne  facesse  denunzia  e  che  fosse  trascritta,  e  per  ciò 
si  pagava  un'  imposta  proporzionata  all'  ammontare  della 
somma. 

« 

Poche  altre  disposizioni  degne  d' importanza  restano 
relative  alle  persone  e  al  diritto  di  famiglia.  Notiamo 
una  relativa  ai  figli  illegittimi  che  a  torto  è  scacciata 
dai  nostri  codici,  ma  che  fu  ammessa  in  moltissime  le- 
gislazioni: la  ricerca  della  paternità  era  ammessa  e  si 
aveva  prova  della  filiazione,  come  della  consanguineità 
nel  possesso  di  stato  e  nella  fama.  Solo  una  procedura 
particolare  regolava  questa  ricerca:  il  giudizio  si  doveva 
compiere  *  sine  strepitu  et  figura  juditia  et  sine  aliqua 
scriptura  „  ed  era  proibito  di  fame  pubblicità  sia  che 
il  figlio  perdesse  o  desistesse  dalla  causa,  (rub.  177). 
Disposizione  notevolissima  e  che  ora  presso  noi  è  viva- 
mente reclamata. 

Sui  minori,  vi  è  ancora  una  disposizione  che  dichiara 
la  nullità  di  qualunque  atto  fotto  da  un  minore  senza 
il  consenso  dei  genitori;  perchè  acquisti  validità,  basta 
che  sia  assistito  da  un  parente  anche  in  terzo  grado 
(rub.   178). 


404  GLI   STATUTI   INEDITI  DI   RIMINI 

In  morte  del  marito,  la  moglie  riacquista  la  sua  dote, 
ma  non  concorre  nell'  eredità  coi  figli;  è  però  tenuta  di 
fare  l' inventario  di  tutti  i  beni  lasciati  dal  marito,  e  da 
queir  inventario  deve  sottrarre  V  ammontare  della  sua 
dote  e  dei  legati  del  marito  (rub.   141). 

Le  altre  disposizioni  che  vi  sono  relative  alla  fami- 
glia, sono  generalmente  informate  a  quei  principii  che 
prevalsero  nelle  legislazioni  dei  municipii  italiani  dei 
secoli  Xm  e  XIY. 

Gli  statuti  si  occupano  dei  contratti  che  possano  in- 
tervenire fira  i  cittadini  ma  in  essi  prevale  il  principio 
che  dei  beni  immobili  il  dominio  non  esca  da  abitanti 
e  sudditi  del  Comune:  così  è  disposto  che  il  forense  il 
quale  non  ha  la  giurisdizione  ariminese,  in  caso  di  ere- 
dità, non  può  alienare  i  beni  fuori  del  comune,  né  vin- 
colarli, se  non  dando  cauzione  ed  obbligandosi  a  sotto- 
stare agli  oneri  del  comune  per  le  tasse  dovute  sui  beni 
ereditati,  e  di  pagare  i  creditori:  in  caso  di  trasgres- 
sione i  beni  vengono  sequestrati  (rub.  34).  Del  resto, 
la  cittadinanza  ariminese  si  acquistava  senza  molte  for- 
malità; chiunque  intenda  acquistarla,  venga  in  città  e 
giuri  e  si  obblighi  di  pagare  le  tasse  e  tosto  sarà  li- 
bero ^  de  servitute  homantie,  vel  colonarie,  angarie  vel 
censite  „    (rub.  63  e  64). 

Sommariamente  anche  gli  altri  contratti  sono  rego- 
lati. Nelle  enfiteusi,  il  canone  pagasi  per  la  prima  metà, 
ai  primi  di  gennaio  (rub.  41).  H  pegno  può  durare  più 
di  un  anno  (rub.  36  e  37),  L'  usura  è  severamente 
proibita,  ne  si  può  esercitare  sotto  forme  simulate  e  il- 
legali (rub.  44).    La  soccida  non  poteva  durare  più  di 


GLI   STATUTI   INKDITI   DI   RIMINI  405 

cinque»  anni  (rub.  46).  Vi  sono  disposizioni  sui  rapporti 
fra  debitore  e  creditore,  sui  mutui,  interessi,  obbligazioni, 
e  sulle  restituzione  del  documento  di  debito  (rub.  51 
e  52),  ma  nulla  presentano  di  particolare  e  di  significante 
per  la  storia  del  diritto. 

Le  leggi  sulle   imposte  occupano  un  posto   partico- 
lare   nella    legislazione    statutaria    di    Rimini.  Neil' im- 
porre  un    balzello    bisogna  prima  nominare  quattro  uo- 
mini del  comune  di  Rimini  i  quali  hanno  l'incarico   di 
esaminare  la  giustizia  ed  opportunità  di  esso,  e  di  sor- 
vegliare per  esigerlo  (rub.  61).  Tutti  quelli  del  comune 
sono  tenuti  di  pagare   le    tasse    determinate  (rub.   62). 
Si  devono  tenere  i  registri  dell'ammontare  delle  quote 
}>agate  dai  cittadini  del  comune  o  libri  d'  estimo  (rub. 
66).  Sono  soggetti  a  imposta  particolare  i  beni  ricevuti 
in  dote  dalle  figlie,  di  cui  devesi  fare  esatta   denunzia 
(rub.  67):  Paga  un  dazio  il  sale  (rub.  74):  e  una  tassa 
le  navi  che  entrano  in  porto  detta ^fundaticum  (rub.  75): 
e  un  dazio  speciale  quando  passano  il   lido  con  mer- 
canzie (rub.  76):  e  siccome   una   gran    parte  del  com- 
mercio si  effettua  per  mare,  cosi  più  dettagliate  sono  le 
imposte  da  pagarsi  dalle  navi  che  oltre  al  dazio  devono 
anche  il  tholomeum:  ammenoché  non  siano  navi  venete 
(rub.  77).  Vi  sono  imposte  sui  venditori  di  vino  al  mi- 
nuto (rub.  80)  e   sul  vino  (rub.   124):  e  sopratutto  le 
imposte  sui  terreni,  fabbricati^  ecc.  (rub.  82).  Le  immu- 
nità dalle  imposizioni  sono  estese  a  molti:   non  pagano 
imposte  i  giudici,  i  medici,  i  quali  pure  sono   immuni 
dalle   ^  fationibus,  cemis,  impositionibus,  exercitibus,  ca- 
valcfttis,  custodi'^,  laboreriis,  etc.  ^  (rub.  89):  godono  le 


406  GLI   STATUTI   INKDITÌ   DI    Ì\\\Ì\H\ 

stesse  immunità;  gli  scoìisatores  (rub.  90):  gli  scolari 
e  maestri  rei  tempo  delle  lezioni  (rab,  91):  e  anche  ai 
scolari  forestieri  è  estesa  questa  ^  piena  fidantia  in  per- 
sona „  (rub.  92).  Per  macinato  è  proibito  mettere  al- 
cuna tassa  (rub.  93):  come  anche  per  V  introduzione  del 
ferro  (rub.   95). 

Per  la  difesa  della  città  e  in  tutto  quello  che  ri- 
guarda la  milizia  del  comune,  è  stabilito  che  all'occor- 
renza tutti  sono  soldati  (rub.   110). 

Lo  statuto  però  nelle  spese  che  il  comune  può  incon- 
trare prescrive  dei  termini  ed  è  che  quando  si  fanno  dei 
debiti,  bisogna  farli  in  guisa  che  non  gravitino  sui  po- 
steri: "  debitis  in  posterum  contrahendis  „  (rub.  120, 
porta  la  data  del  1295). 

Sono  stabilite  ancora  alcune  disposizioni  d^giene 
pubblica:  per  la  salubrità  dei  cittadini  è  proibito  di  te- 
nere in  città  **  animai  mortuum  seu  aliquam  putredi- 
nem  ,,  (rub.  130):  ed  altre  disposizioni  sulla  polizia  delle 
strade,'  dei  pozzi  e  delle  fonti. 

I  mercati  sono  regolati,  stabilendosi  che  né  il  ve- 
nerdì né  il  sabbato  mattina  non  si  potesse  comprare  per 
rivendere  vasi  di  terra  (rub.  132)  e  con  altre  minori 
disposizioni. 

Ha  un  capitolo  relativo  ai  boschi,  al  taglio  delle  piante 
che  prescrive  che  non  si  possono  vendere  boschi,  se  non 
ad  abitanti  nel  comune  e  sotto  l'arbitrato  di  due  uo- 
mini (rub.  142).  Contengono  anche  alcune  leggi  sun- 
tuarie e  in  particolare ,  relative  ai  funebri,  nei  quali  sono 
proibiti  i  segni  di  lutto  eccedenti  le  convenienze,  il  cor- 
rotto con  grida  e  schiamazzi   pubblici,  obbligando  con- 


>- 


GLI   STATUTI   INEDITI   Dt   RIMII^I  407 

temporaneamente  di  portare  i  feretri  coperti  (rub.  189). 
Altre  riguardano  il  lusso  delle  donne  nelle  nozze,  i  pranzi 
pei  sponsali  e  pei  matrimoni,  dei  quali  come  si  trova 
negli  altri  statuti  italiani,  è  regolato  il  numero  delle 
persone. 

Lo  statuto  regola  molti  altri  atti  della  vita  pubblica 
e  privata,  fra  le  quali  disposizioni  noi  scegliamo  al- 
cune. Oltre  i  registri  dei  notai  è  prescritto  di  tenere 
una  matricola  per  gli  avvocati  del  comune  (rub.  200): 
ma  per  essi  lo  statuto  è  anche  più  rigoroso,  prescri- 
vendo gli  onorari  che  devono  ricevere  per  la  loro  opera 
gli  avvocati  e  i  procuratori  (rub.  148).  I  figli  dei  frati 
gaudenti  e  degli  altri  di  religione  godono  tutti  i  diritti 
e  i  privilegi  dei  padri  loro  (rub.  69).  Sulla  procedura 
oltre  quelle  accennate,  è  menzionato  il  giudi/io  di  espro- 
priazione fatto  al  debitore  contumace  (rub.  137):  la 
prescrizione  dei  salari,  onorari  ed  altre  competenze  due 
mesi  dopo  che  sono  scaduti  (rub.  175):  per  obbligare 
le  parti  contendenti  a  definire  presto  le  loro  questioni, 
è  stabilito  che  trattandosi  di  una  causa  civile,  il  giudice 
deve  farla  discutere  e  risolvere  dentro  un  anno;  e  in 
caso  di  un'  azione  penale,  essa  deve  essere  decisa  entro 
due  mesi  e  nel  caso  contrario  sia  perenta  ogni  azione: 
però  è  lasciata  facoltà  al  giudice  di  accordare  dilazioni, 
se  trattasi  di  caubb  gravi  e  contestate,  dove  sia  neces- 
sario passare  a  prove  e  ad  audizioni  di  testimoni  (ru- 
brica 174). 

Sul  possesso  dei  beni  vi  è  la  seguente  rubrica,  che 
chi  possiede  dei  beni  di  chiesa  deve  **  innovare  suis 
filiis  et  nepotibus  d^  ipu  re  ^    (rub.  47):  o  un'  altra  re- 


408  GLI   StATUtl   INEDITI   DI    RIMANI 

lati  va  a  un'  imposta  col  titolo  "  de  vigesima  parte  reti- 
nenda  de  singuiis  solutionibus,  que  fiunt  per  Ck)munem 
prò  reparatione  portus.  „ 

Il  comune  poi  vuole  che  le  sue  leggi  non  debbano 
morire  entri  l'aula  delle  decisioni  popolari,  ma  prescrive 
che    degli  statuti  se  ne  facciano  tre    copie    (rub.  123). 

Queste  sono  le  principali  disposizioni  relative  al  di- 
ritto privato;  in  generale  esse  poco  si  allontanano  dal 
diritto  romano  conservato  mercè  il  diritto  canonico  e 
vigente  nei  paesi  della  Romagna  anche  quando  si  reg- 
gevano a  libere  repubbliche.  L' influenza  germanica  che 
così  si  fece  sentire  nella  legislazione  statutaria.  dell'Italia 
del  nord,  sulla  capacità  degli  individui,  il  matrimonio, 
la  dote,  ecc.,  non  è  molto  accentuata  negli  Statuti  di 
Rimini. 

n  terzo  libro  degli  Statuti  di  Rimini  comprende  il 
diritto  penale,  i  reati  e  pene,  la  procedura  giudiziaria 
e  i  modi  di  colpire  il  reo.  In  realtà  nei  sentimenti  che 
vi  prevalgono,  gli  statuti  ariminensi  nulla  hanno  a  in- 
vidiare in  simile  materia  a  quelli  che  erano  praticati 
nelle  altre  repubbliche  italiane:  nessuna  parsimonia  deUe 
pene  maggiori  e  sempre  rivolta  la  pena  a  vendetta  della 
società  sul  delinquente. 

La  rub.  1*  "  De  accusatoribus  malefitiorum  „  pre- 
scrìve che  V  accusatore  si  deve  presentare  avanti  il  po- 
destà 0  il  giudice  e  declinare  tutte  le  generalità  dell'ac- 
cusato, '  nome,  testimoni  e  reato.  Quando  però  1'  attore 
non  arriva  a  provare  la  colpa  di  cui  si  è  figttto  accusatore, 
è  considerato  come  un  calunniatore  e  soggetto  ad  una 
penalità:  così.ò  anche  severamente  punito  se    **  recipiat 


GLI   STATUTI   INKDITI   DI    RlMlNI  400 

salario  prò  aliquo  accusando  (rub.  2).  Trattandosi  di  reato 
non  grave,  l'accusato  è  citato  a  comparire  per  mezzo 
di  avviso  a  domicilio,  o  per  bando;  la  cedola  della  ci- 
tazione deve  contenere  il  titolo  del  reato  ed  altre  indi- 
cazioni: se  si  può  accertare  che  la  citazione  gli  è  per- 
venuta, basta  una  sola.  Il  carcere  preventivo  non  è  am- 
messo per  tutti  i  reati,  ma  solo  per  i  più  gravi  quando 
V  accusato  può  essere  pericoloso  in  libertà;  ma  una  volta 
spiccato  il  mandato  di  cattura,  è  proibita  qualunque  li- 
berazione provvisoria  sotto  cauzione.  È  proibita  anche  la 
tortura,  ma  è  eccettuato  il  caso  dell'  accusato  ^  atrociori 
maleficio,  quod  ingerat  poenam  sanguinis,  vel  ex  quo 
poena  centum  librorum....  sit  infligenda.  „  Colle  gravi 
pene  che  erano  stabilite,  questa  proibizione  corrisponde 
quasi  a  un'  irrisione.  E  per  le  prove  lo  statuto  dice  la- 
conicamente ^  si  non  comprovaverit  habeatur  prò  con- 
fesso „  (rub.  3).  Trattandosi  poi  di  reato  in  cui  sia 
stata  lesa  una  persona,  si  può  intentare  anche  una  causa 
civile  contemporaneamente  alle  penali  ^  simul  eodem 
libello  „   (rub.  5). 

Intanto  però  che  non  si  introducano  false  accuse, 
gravi  pene  sono  comminate  contro  gli  accusatori,  quando 
dal  dibattimento  restasse  provata  l'innocenza:  così  quando 
il  delitto  di  cui  si  accusa,  importa  una  pena  di  corpo 
e  sangue,  il  calunniatore  deve  subire  quella  pena  che 
sarebbe  toccata  all'  accusato  se  fosse  provata  V  accusa;  vm 
contro  ai  rigori  sul  proibire  le  cauzioni  è  però  stabilito 
che  nessuno  possa  essere  trattenuto  in  carcere  ^  nisi 
prius  formata  sit  inquisitio  ^  e  fatti  rigorosamente  i  ver- 
bali di  tutti  gli  interrogatori  ecc.,  ammenoché  non  tmt- 


4lO  GLI   STATUTI   INEDITI   Dt   RIMlKl 

tisi  di  reato  flagrante  e  di  tradimento  e  1'  accusato  non 
sia  persona  sospetta  e  non  sia  recidivo  (rub.  6).  Gli  si 
deve  però  sempre  dare  un  difensore  e  concedergli  il  ter- 
mine di  10  giorni  perchè  lo  possa  scegliere  un  avvo- 
cato. A  chi  è  reo  di  tradimento  contro  la  famiglia  dei 
Malatesta  deve  essere  giudicato  immediatamente  con  modo 
sommario  (rnb.  7);  con  ciò  si  vede  uno  dei  passi  dello 
stabilirsi  della  podestà  di  queste  grandi  famiglie  nelle 
città.  La  pena  dei  reati  di  tradimento  è  la  morte;  e  a 
chi  è  contumace  il  bando  e  1'  esilio  perpetuo  con  infa- 
mia (rub.  8). 

Pei  reati  dove  è  stata  effusione  di  sangue,  seguendo 
le  legislazioni  germaniche,  l'offesa  si  accomoda  pagando 
una  somma  dì  denaro:  trattasi,  p.  e.,  d'un  pugno  che  pro- 
duce una  ferita  ed  esce  sangue,  24  lire  di  pena;  non 
esce  sangue,  la  metà;  pugni  e  calci  con  effusione  di 
sangue,  lire  100;  senza  lo  spargimento,  lire  50;  ecc., 
(rub.   9). 

Nel  reato  d' omicidio ,  il  delinquente  è  decapitato  e 
le  sue  case  sono  distrutte  (rub.  10).  Nel  reato  di  &lsa 
moneta,  la  pena  è  d'  essere  abbruciati:  i  falsari,  quando 
vengono  trovati  in  atto,  sono  condannati  al  taglio  della 
mano;  i  falsi  testimoni  sono  severamente  multati  e  con- 
dannati al  taglio  del  naso  (rub.  11).  La  detenzione  pri- 
vata è  punita  con  pene  pecuniarie  (rub.   13). 

Altre  e  severissime  pene  sono  comminate  a  chi  ac^ 
cusa  ingiustamente  (rub.  16):  ai  bestemmiatori  (rub.  15): 
ai  detentori  e  portatori  di  armi  (rub.  19):  a  chi  acco- 
glie la  moglie^  la  sorella  o  la  figlia  fuggita  dal  tetto 
maritale  o  paterno  (rub.  21):  a  chi  dà  ricovoro  a'ban- 


(U.!   STATUTI   IMKDITI    DÌ   HIMlNl  4ll 

diti  (rub.  19)  e  questi  si  salva  solo  dalla  pena  conse- 
gnandoli nelle  mani  della  giustizia,  dalla  quale  dovrà 
ricevere  un  premio  (rub.  23  e  24).  I  banditi  possono 
essere  offesi  impunemente  e  mai  si  potranno  richiamare 
alla  giustizia. 

La  pena  per  i  ladri  è  la  forca,  la  fustigazione,  il 
bando  e  la  multa  di  40  lire  (rub.  27).  Quando  avviene 
un  ferimento,  il  giudice  deve  mandare  un  medico  e  un 
chirurgo  perchè  faccia  la  perizia  delle  ferite  toccate,  della 
quale  ispezione  essi  devono  fare  un  verbale;  se  fra  loro 
vi  è  discordia,  il  giudice  allora  deve  nominare  un  terzo 
medico,  e  il  verdetto  di  quest'  ultimo  è  assoluto.  Senza 
questa  perizia  e  V  ammissione  de'  medici  a  visitare  i  fe- 
riti ^  non  possit  aliquis  de  tali  maleficio  puniri  vel  con- 
dempnari.  „  La  perizia  deve  contenere  dati  sulla  gra- 
vità della  ferita,  la  regione  dove  si  trova,  la  possibilità 
di  incomodi  per  l'avvenire,  ecc.  (rub.  28). 

Quelli  che  hanno  subita  una  condanna  che  li  ha  in- 
famati, ^  per  omnia  gracia  maleficia  „  non  possono  piii 
abitare  in  città  (rub.  34).  Le  pene  pecuniarie  hanno  il 
privilegio  sagli  altri  debiti  che  gravassero  la  proprietà, 
e  in  caso  di  non  pagamento  si  possono  esigere  con  ese- 
cuzione forzata  (rub.  32). 

Le  corporazioni  della  città,  univ&rsitateSj  sono  ob- 
bligate a  consegnare  alla  giustìzia  i  loro  membri,  quando 
sieno  venuti  a  rissa  fra  di  loro  e  vi  sia  stato  spargi- 
mento di  sangue.  In  caso  contrario  si  riterrà  che  la  cor- 
porazione afferma  la  sua  solidarietà  col  reo,  e  tutti  i 
suoi  membri  saranno  condannati  a  un  landò,  al  paga- 
mento del  quale  tutti  saranno  tenuti  eccettuato  le  donne, 


412  GLI  dTATDTI   INEDITI   DI   RIMINI 

i  i*agazzi  minori  di  18  anni,  i  vecchi  oltre  i  70  anni, 
i  deboli,  gli  sciancati  e  gli  infermi,  come  quelli  che  non 
potevano  concorrere  col  loro  aiuto  a  commettere  un'  in- 
frazione alle  leggi  del  comune  (rub.  36). 

Altre,  pene  sono  comminate  a  chi  danneggia  la  città, 
il  porto,  imbratta  i  muri  e  infrange  i  regolamenti  di  po- 
lizia urbana  (rub.  45  a  54). 

Sulle  pene  pecuniarie  è  stabilito  che  il  marito  le 
sconta  anche  suir  usufrutto  dei  beni  della  moglie  (ru- 
brica 67). 

In  quanto  poi  riguarda  i  testimoni  e  le  prove  per 
mezzo  di  documenti  trovasi  una  rubrica  ^  de  inquirenda 
ventate  testium,  istrumentorum,  maleficiorum  per  duel- 
lum....,  si  equales  fuerint  divitiae  litigantium,  habeant 
campiones  quousque  voluerint,  „  e  sono  discordi  sulla 
scelta  dei  campioni  ^  si  discordes  Aierint  de  campioni- 
bus,  sit  in  arbitrio  accusati,  „    (rub.   14). 

Dopo  segue  una  specie  di  codice  correzionale  per  i 
reati  di  minor  conto  ci  limitiamo  a  notarne  alcuni.  Yi 
sono  leggi  sul  gioco  che  proibiscono  tutti  i  giuochi 
d'azzardo  e  vuole  che  ^  non  vendantur  alieni  personae 
aliqua  occasione,  modo  vel  ingenio  „  (rub.  114):  i  figli 
di  famiglia  non  possano  giocare,  frequentar  bische  e 
taverne  contro  il  volere  del  padre  (rub.   115), 

Si  hanno  numerose  disposizioni  di  edilità  (rub.  119 
123):  ai  lebbrosi  è  proibito  di  abitare  in  città  (rub.  124): 
cosi  è  vietata  la  macerazione  del  lino  vicino  all'  abitato 
(rub.  125),  e  il  lavare  i  panni  (rub.  126):  i  cimiteri 
devono  essere  fuori  delle  mura  (rub.  165).  Vi  si  leg- 
gono ancora  regole  sui  eorsi  d'  acqua  e  loro  servitù,  è 


GLI    STATUTI   INlilDITI   DI    RI.MINl  413 

stabilito  che  ^  nullus  possit  ducere  aquam  per  possessiones 
alterius  „  (rub.  147):  una  rubrica  porta  il  titolo  ^  De 
pena  mutantium  cursum  aque  ^  (rub.  148).  In  queste 
si  leggono  molte  disposizioni  sui  molini  (rub.  149  e  segg. 
come  ^  de  pena  molendinariorium  rumpentium  aquam 
quominus  ad  infcriora  molendina  decurrat  „  (rub.  153): 
^  quod  nullus  recipiat  ultra  modum  de  aqua  que  debet 
venire  ad  molendinum  comunis  ^  (rub.  166).  E  sui 
molini  in  particolare  leggesi  che  nessuno  possa  rompere 
**  collum  foveae  nisi  sit  domnus  molendini  „  (rub.  136): 
che  il  padrone  del  molino  possa  *"  ducere  aquam  per 
possessiones  alterius  ^  (  rub.  1 57  )  :  che  debba  pesare 
tutto  ciò  che  macina  (rub.  160)  Lo  statuto  giunge  fino 
a  prescrivere  la  forma  ^  foveae  magne  „  (  rub.  161). 
Si  contengono  molte  disposizioni  sulF  ordinamento  del 
porto f  sulle  navi  che  entrano,  i  carichi,  le  persone  di 
servizio  e  su  quanto  può  interessare  per  regolare  le  cose 
d'  una  città  di  mare  (rub.  139  e  segg.)  Le  leggi  sun- 
tuarie occupano  un  posto  speciale  in  questo  libro.  Le 
donne  non  possono  vestire  con  s&rzo:  trattandosi  di  cir- 
costanza di  nozze  o  sponsali  non  possono  fare  conviti 
dove  gli  invitati  siano  più  di  dieci.  Alla  promessa  di 
matrimonio  non  possano  assistere  piti  di  quattro  donne 
e  due  uomini  al  pranzo:  al  matrimonio  non  possono 
intervenire  più  di  otto  parenti  da  parte  della  sposa  e 
altrettanti  da  parte  del  marito,  (rub.  179).  Ninno  può 
&r  doni  e  presenti  ai  bambini  che  tiene  a  battesimo; 
al  massimo  è  un  vestitino  (rub.  180):  né  doni  si  possono 
fare  ai  frati  il  giorno  della  loro  vestizione,  nò  ai  preti 
quando  dicono  la  prima  messa,  se  non  un  bolognino  (ru^ 


414  GLI   STATOTI   INEDITI   DI   RIMINI 

brica  181).  Così  in  causa  di  morte  è  proibito  fare  corrotto 
ed  altre  spese  di  lusso  (rub.  182).  Persino  i  funeri  sono 
colla  stessa  parsimonia  regolati,  vietando  sotto  pene 
che  si  accendessero  attorno  al  feretro  più  di  quattro  torcie 
(rub.  189):  così  i  parenti  non  possono  per  morte  di 
alcuno  de'  suoi  vestire  il  nero  o  il  morello  e  questa 
facoltà  è  lasciata  solo  alla  moglie  (rub.   184), 

A  queste  disposizioni  si  trovano  commiste  alcune  di 
materia  assai  differente.  Sempre  nel  principio  che  di  tutta 
la  proprietà  mobile  ed  immobile  ne  restasse  il  più  pos- 
sibile nel  comune  di  Rimini,  è  prescritto  che  le  donne 
che  hanno  oltre  50  lire  non  possono  sposare  alcun  fo- 
rense ammenoché  questi  non  prenda  la  cittadinanza  ari- 
minense  e  non  dia  cauzione  di  abitare  nella  città,  di 
pagare  le  imposte  e  sottomettersi  a  tutte  le  leggi  del 
comune  (rub.   178). 

Delle  altre  disposizioni  di  polizia  notiamo:  la  facoltà 
accordata  di  tagliare  gli  alberi  che  si  trovano  nel  terreno 
altrui  (rub.  130):  la  proibizione  di  far  vie  sui  beni  altrui 
(  rub.  171):  di  comprare  **  paleam  vel  fenum  „  per  ri- 
venderlo (rub.  176.)  di  portare  armi  lunghe  ed  insidiose 
(rub.  190):  di  alloggiare  e  tenere  meretrici  (rub.  214). 
Con  altre  vengono  regolati  i  rapporti  che  possono  inter- 
cedere fra  i  padroni  delle  navi  e  i  loro  marinai  (rub.  220). 

Seguono  altre  disposizioni  alcune  delle  quali  in  lingua 
volgare,  ma  tutte  posteriori  al  complesso  delle  leg^  ora 
esaminate:  ve  ne  hanno  della  fine  del  secolo  XIY  e  del 
principio  del  XV:  sono  correzioni,  emende,  aggiunte  a 
molte  regole  antecedenti:  troviamo  rinnovato  l'obbligo  ai 
notai  di  tenere  un  registro  con  menzione  degli  atti  fatti 


GII   STUDENTI   INEDITI    DI    RIMINI  41*J 

personalmente  o  con  procura  (rub.  237):  e  di  tenere  im 
registro  delle  doti ,  poiché  su  queste  si  devono  pagare 
delle  tasse  le  quali  variano  se  la  dote  è  promessa  o 
pagata.  Vi  sono  menzionate  altre  tasse  per  la  restituzione 
della  dote,  la  sua  cessione  e  per  la  successione  nei  beni 
dotali:  Molte  disposizioni  regolano  i  legati  sotto  condi- 
zione ecc.  (rub.  244).  Una  circostanza  importante  di 
diritto  è  quella  portata  dalla  rub.  245  dell'anno  1377 
che  stabilisce  che  quando  in  cose  relative  a  padre,  madre, 
0  sorella  si  menzionano  ì  figli,  si  devre  intendere  non 
solo  i  figli  legittimi  ma  anche  i  naturali. 

Le  ultime  disposizioni  vengono  proclamate  in  nome  dei 
Malatesta  che  già  cominciavano  a  sovrastare  fra  i  potentati 
della  città.  In  quelle  intestazioni  si  legge  la  storia  della 
città  che  a  grado  a  grado  dal  libero  comune  passa  sotto 
la  soggezione  di  una  famiglia,  finché  da  teatro  di  libere 
discussioni  diviene  un  giorno  campo  a  scellerate  imprese 
di  tirranidi  e  alle  gesta  del  Borgia.  Ma  la  legislazione 
statuaria  si  era  formata  e  consolidata  assai  prima  di 
questi  fortunosi  tempi. 

Modena,  marzo  1879. 


UNIVERSITÀ  DEGLI  STUDI  IN  FERMO  O 


ILI 


EISTAURAZIOra  SOTTO  IL  POHTIFIGATO  DI  SISTO  V. 

Tutte  le  città  italiane  quale  più  quale  meno  ebbero 
i  loro  tiranni,  che  accecati  dall'  ambizione ,  strascinati 
da  private  e  da  pubbliche  vendette  inviluppavano  il 
nostro  infelice  paese  in  un  inestricabile  laberìnto  di 
contese  e  d'  intrighi,  lo  devastavano  con  guerre  inces- 
santi, lo  coprivano  di  cadaveri,  lo  inondavano  di  sangue. 
Anche  a  Fermo  negli  ultimi  secoli  del  medio  evo  fino 
al  principio  del  sestodecimo  si  successero  le  domina- 
zioni de'  Malesardi ,  che  andarono  poscia  a  Cesena ,  di 
Mercenario  da  Monte  Verde ,  di  Gentile  da  Mogliano , 
di  Giovanni  Visconti  d'  OleggiO;  di  Rinaldo  da  Monte 
Verde ,  di  Antonio  Aceti ,  di  Ludovico  Migliorati ,  di 
Francesco  Sforza  poi  duca  di  Milano ,  di  Liverotto  e 
Ludovico  Eufreducci,  sicché  gli  animi  de'  suoi  cittadini 
erano  spesso  divagati  dalle  inquiete  occupazioni  delle 
armi,  e  tratti  ad  intestine  pugne.  Oltre  che  dalla  guerra 
era  la  città  pauperata  dalla  carestia,  desolata  dalla  pe- 
stilenza e  da  aggravi  a  tal  segno  che  nel  1539  lamen- 
tava al  Pontefice  di  non  poter  più  sopportare  le  spese 
pel  maestro  delle  scuole  e  pel  Cancelliere  né  tenere  la 
residenza  del  Magistrato.  Non  è  perciò  da  meravigliare 

(*)  V.  Aono  1  Disp.  I.  pag.  9  —  i^.  ^ 

Àrckiv.  Star.  Mardi,  V.  L  27 


418  RISTAUR  AZIONE 

se  il  pubblico  studio  era  andato  declinando  e  venuto 
meno  per  modo ,  che  Sisto  V  nella  sua  bolla  di  ripri- 
stinazione  lo  definì  temporwn  iniuria  vel  ex  quavis  alia 
causa  intermissum  seti  extinctum.  Tuttavolta  nel  fortu- 
nato sec.  XVI,  che  al  dir  del  Tiraboschi  è  da  scriversi 
a  caratteri  d'  oro  nei  fasti  delle  lettere,  noi  possiamo 
asserire  senza  tema  di  errare  che  non  era  tra  noi  affatto 
spento  V  amore  agli  studi,  anche  pria  che  a  novella  e 
splendida  vita  risorgesse  la  nostra  Università. 

Infatti  fin  dal  1511  Io  stesso  consiglio  generale  si 
preoccupava  di  pubblica  istruzione  ordinando ,  che  do- 
vessero impiegarsi  cencinquanta  aurei  per  accrescere  di 
libri  la  biblioteca  (1);  e  non  pochi  avemmo  addottrinati 
qui  in  Fermo  professori  in  altre  università.  Orazio  Au- 
geni  di  Montesanto  lettore  di  logica  in  Macerata ,  di 
medicina  in  Roma ,  a  Torino ,  indi  a  Pavia ,  infine  a 
Padova  (2),  i  fermani  Giovanni  Carpini  lettore  d'istituti 

(1)  Non  abbiamo  notizie  più  remote  delta  biblioteca,  ma  c>stMi- 
dosi  deliberalo  di  accrescerla  si  comprende  che  già  vi  era,  né  doveva 
mancare,  ove  si  stabilì  già  da  motto  tempi  io  studio  generale.  Il 
pubblico  di  Fermo  la  riteneva  in  un  ampio  pd  ornato  vano  fatto 
fabbricaì'e  a  proprie  spese  nel  convento  dei  l'P.  Domi*nicani  con 
l'apposizione  del  suo  stemma.  Dopoché  l'abate  Romolo  Spezioti  fer- 
mano donò  \  suoi  libri  alla  città  di  P'ermo,  e  fu  fatto  l'acquisiu  della 
libreria  del  Card.  Ricci  si  formò  sul  Unire  del  secolo  XVIII  il  no- 
bile e  grandioso  locale,  ove  tutta  insieme  riunita  con  le  molte  ag- 
giunte posteriori  fattevi,  venne  collocata  la  pubblica  biblioteca.  Con 
risoluzione  consiliare  dell'  11  ottobre  1877  si  è  deliberato  di  porre 
le  iscrizioni,  gli  oggetti  d'arte  e  parte  dei  libri  iielT  antico  palazzo 
degli  Studi. 

(2)  Il  Papadopoli  assai  istrutto  delle  memorie  dell'  Università  di 
Fermo  dice  di  lui  (0^  Gym.  PatavJ  e  Humaniorum  tiiterarum,  philo- 
sophiam,  atque  etiam  theologiam  in  Lyoeo  Firmano  didicit,  et  ex 
eodem  laareatas  medicinae  doctor  prodi it.  » 


SOTTO  IL   PONTIFICATO  DI   SISTO  V.  419 

civili  e  Antonio  da  Fermo  di  matematica  nell'  Archi- 
ginnasio romano  (1);  Giacomo  Bertacchini  di  logica, 
Domenico  Carpini  di  medicina  nell'Università  di  Bologna; 
Nicola  Flocchi  di  Medicina  pratica  tìtraordinaria,  Andrea 
Flocchi  di  sofistica  a  Padova  (2),  ove  il  nostro  Marco 
Antonio  Morici  lesse  nel  5  Agosto  1558  la  funebre 
orazione  in  morte  del  prof.  Francesco  Frizimeliga  (3); 
Ostilio  Ricci  di  matematica  in  Firenze,  che  fu  maestro 
di  Galileo  (4);  Padre  Domenico  Berardelli  di  Teologia, 
Giovanni  Catalani  in  lingua  greca  in  Macerata.  Avemmo 
Girolamo  Cordella  roputatissimo  medico  del  Card.  Ales- 
sandro Farnese  e  di  Papa  Clemente  Vili  (5);  il  Cardinal 
Decio  Azzolino  seniore  segretario  di  Stato  di  Sisto  Y, 
0  Antonio  Porto  insigne  medico  di  detto  Pontefice  (6); 
i  giureconsulti  Montano  Montani  e  Marco  Martello  chia- 
mato in  Venezia  por  riformare  le  leggi.  Qui  in  Fermo 
fu  dichiarato  dottore  eziandio  lo  stesso  Pontefice  Sisto  V 
di  anni  27    il   1548   negli  studi  filosofici  e  teologici,  e 


(1)  Trovavasi  nelTArcbigìnnasio  romano  insiemo  cui  ceieherrimu 
inaieniaiicu  Fr  Luca  laccioli,  come  si  ba  dal  Marini  ne'  rao'o  dei 
Professori. 

(2)  Giovanni  Panelli  —  Memoria  degli  uomini  iliuslri  e  chiari  in 
m0dicina  del  Piceno  ossia  delta  Marea  d'Ancona,  iti  Ascoli  1757  per 
Niccola  Rioci.  Tom    I,  \hì;.  170.  Tom.  II,  pdg.  6S-lo.*i 

(3)  Nel  secolo  XVI  molli  Piceni  lessero  nella  rinomata  Univer- 
sità di  Padova,  specialmente  medicina. 

(4)  Santini»  op  cil.  pag.  51  —  FaACASSKrri  Giuseppe:  Elogio  di 
Mester  Oflilio  Ricr.i  di  Fenno  d'Ito  all'  .ice id^miti  Tib-:rina  nel  1830, 
Fermo  td30  «•  Biamp.  Camerale  Paccasassi. 

(5)  (Umblli:  op.  cit  Tom.  II,  pag.  2U7.  Lo  ricordano  con  lode  lo 
Scacchi,  TAvueni.  d  Bacoi  e  il  Givclli;  fu  amicissimo  ili  San  Fi- 
lippo Neri. 

(G)  pANBtxi.  op   ci^   Tom    II,  \)\^    .!3I. 


420  mSTAURAZlONE 

vi  tenne  con  somma  lode  le  pubbliche  conclusioni  presso 
i  Minori  Conventuali,  e  quindi  recatosi  al  Capitolo  ge- 
nerale in  Assisi  disputò  egregiamente  con  un  Marco 
Antonio  Calabrese  lettore  di  filosofia  a  Perugia  (1).  Né 
mancarono  alla  poesia  i  suoi  cultori  in  Pierio  Fontana, 
in  Giuseppe  e  Vincenzo  Elisei ,  ed  in  Anton  Maria 
Vinci  amico  dell'  immortale  cantore  della  Gerusalemme 
liberata.  Che  anzi  vi  era  anche  una  fiorente  Accademia 
intitolata  degli  Sciolti^  ricordata  dal  Quadrio  (2),  che 
vantò  nel  suo  albo  il  nome  di  Torquato  Tasso ,  come 
rilevasi  da  una  sua  lettera  posseduta  dalla  Famiglia 
Vinci,  con  la  quale  ringrazia  il  Principe  dell'  Accademia 
per  esservi  stato  aggregato.  Non  è  infine  da  tacere, 
come  nel  1576  si  aprì  fra  noi  la  prima  tipografia  da 
Astolfo  de'  Grandi  Veronese,  a  cui  furono  accordati 
scudi  trenta  in  dono ,  la  casa  per  stabilire  1'  officina 
ed  altri  privilegi  (3). 

(1)  V.  Giuseppe  Fracassetti  :  Biografia  dì  Sisto  l\  nello  bio^TaUe 
e  ritraili  di  uomini  illustri  Piceni,  pubblicati  per  cura  del  conte  An- 
tonio Hercolani  (Forlì  1837). 

(2)  V.  Vincenzo  Curi  :  Le  accjdemie  di  Fermo ,  teltura  tenuta  nel- 
l'adunanza  pubblica  della  società  storico-archeologica  dette  Marche  in 
Fermo  il  4  febbraio  1876.  Fernao.  Stab.  tipogralico  Bicher  1877 

(3)  Secondo  il  Mblzi  nella  sua  Biblioteca  dei  romanzi  (avaltereschi 
(pag.  ^71)  r  introduzione  della  stampa  in  Fermo  dovrebbe  farsi  ri- 
montare al  1562;  secondo  il  Porti,  tavole  sinottiche,  ecc.  (paj,'.  10'}) 
anche  ad  epoca  più  remota,  portandola  egli  al  1556,  però  mancano 
documenti  per  convalidare  tali  opinioni.  Il  primo  libro  impresso  da 
Astolfo  De*  Grandi  in  Fermo  colla  data  del  1577  ha  per  titolo  chec- 
ché da  altri  si  voglia  dire:  Capitoli  della  veneranda  Compagnia  del  SS. 
Nome  di  Dio;  a  questo  segui  nel  medesimo  anno  T  opera  di  Orazio 
Àvgeni  da  noi  ricordato  :  Del  modo  di  preservarsi  dalla  peste.  Non  sarà 
discaro  indagare  qui  quelli  che  nei  diversi  secoli  presero  ad  eserci- 
tare la  nobilissima  arte  della  stampa  in  Fermo,  avendone  avuta  no- 


SOTTO   IL   PONTIFICATO   DI  SISTO  V.  4Ìl 

Quel  Felice  Perctti ,  che  nato  sulle  amene  spiaggie 
deir Adriatico  in  Grottammare,  aveva  ricevuto  l'istruzione 
letteraria  e  scientifica  in  varie  città  del  Piceno  e  conse- 
seguito  il  titolo  di  Dottore  in  Fermo,  dopo  esser  passato 
per  molte  luminose  cariche  dell'ordine  francescano  e  della 
romana  curia,  fu  nominato  da  Pio  V  nel  17  Decembre 
1571  Vescovo,  o  amministratore  perpetuo  della  Chiesa 
fermana.  Durante  la  sua  amministrazione  non  si  ristette 
mai  dal  compiere  tutte  le  parti  di  zelantissimo  pastore. 
Provvide  all'  istruzione  dei  chierici  fondando  il  Seminario 
nel  1574  ordinato  poi  clal  suo  successore  Domenico  Pi- 
nelli  (1),  arricchì  la  Cattedrale  di  preziose  suppellettili, 


iiTÀa  dal  eh.  marchese  Filippo  RalTiolli,  che  viene  raccogliendo  i  ma- 
leriuli  per  dart>  una  piena  stona  della  tipografìa  nelle  provincie  delle 
Marche.  Esi^i  sono  nid  secolo  XVI,  oltre  il  nominalo  Astolfo  Ou 
Grandi,  Giovanni  Giubar  o  Jubar  veneziano,  Serlorio  De  Monti 
lombardo,  eredi  di  Sertorio  De  Monti  e  Giovanni  Bonihello;  nel  se- 
colo  XVII  Andrea  De  Monti,  Gio  Francesco  fìolis  e  fratelli,  Angelo 
Antonio  Monticelli;  nel  secolo  XVIIl  Domenico  Antonio  Bolis  e 
fratelli,  Giuseppe  Emidio  Valenti,  Filippo  e  Fabio  Maria  Lazzarini, 
erede  di  Domenico  Antonio  fìolis  e  Liberio  Angelini,  stamperia  di 
Fallade.  Giuseppe  Agostino  Paccaroni.  Giuseppe  Alessandro  Pacca- 
sassi,  Bartolomeo  La/zarini  ed  eredi  Bolis;  lo  stoFSo  ed  torede  Bar- 
tolomeo  Barlolini;  nel  secolo  XIX  Graiiliano  Bazzi  e  Giacomo  JatTei, 
Luigi  e  Savino  Ciferri  successori  a  D.  Niceforo  Bartolini  fìglio  di 
Bartolomeo,  Emilio  Paccasassi  successore  di  Antonio  Bolis  rappre* 
sentalo  da  Gaetano  Properzi,  Girolamo  e  Cesare  Ciferri,  Guglielmo 
Bacher  successore  a  Graiiliano  Bazzi  e  Giacomo  JafTei,  Gentile  Ba- 
cber,  Gioacchino  Mecchi. 

(1)  Nel  6  i,Mugno  l65vS  con  Bolla  di  Alessandro  VII  si  fece  li 
erezione  drl  Si^minario,  che  subentrò  noi  conviMiio  e  nei  diritti  dei 
PP.  (Carmelitani,  e  molti  pnxilogi  uli  furono  accordati.  A>endo  Kof- 
ferie  un  grave  incendio  il  17  Luglio  1714  fu  dall'arcivescovo  Monsig. 
Urbano  Paracoiani  migliorato  e  fornito  di  libreria,  e  dal  successore 
Monsig.  Andrea  Minnucoi  compiuta  la  fabbrica.  Questi  ne  fece  stam* 


Ì22  RISTAURÀZIONE 

che  anche  ora  si  ammirano,  accrebbe  il  Capitolo,  dotò 
la  Cappella  Musicale,  e  fece  molti  altri  benefizi  alla  città, 
i  quali  esser  dovevano  un'  arra  di  quelli  le  avrebbe  lar- 
gito come  fosse  asceso  al  trono  di  Pietro  (1).  Nel  1577 
spontaneamente  si  dimise  quando  gli  piacque  fisire  ritorno 
a  Roma  per  attendere  principalmente  a  pubblicare  con 
accuratezza  le  opere  de'  SS.  Padri,  e  là  nel  24  Aprile 
1585  fu  creato  Pontefice  col  nome  di  Sisto  V. 

Così  di  lui  Berauìt  Bercastel  nella  sua  storia  del 
Cristianesimo  (2):  *  Fu  costantemente  nemico  del  vizio 
e  protettore  della  virtù,  penetrante  e  giusto,  vigilante, 
severo  osservatore  dell'  ordine,  magnifico  in  tutto  ciò  che 
riguarda  lo  splendore  dello  stato  e  la  gloria  della  reli- 
gione, amico  delle  lettere  e  di  tutte  le  arti,  sommamente 
applicato  egli  stesso  allo  studio  in  cui  passava  una  parte 
della  notte,  dopo  avere  atteso  il  giorno  agli  affari.  Fi- 
nalmente 0  si  consideri  nel  regolamento  della  sua  casa, 
0  nella  pubblica  amministrazione ,  o  nelle  contese  che 
ebbe  con   diversi  principi ,  fa  d'  uopo  convenire  essere 

pare  le  ve^joU  nel  1794  pel  Barlolini,  Stamp.  Arciv.  le  quali  modifi- 
cale dairArcìv.  Card.  Filippo  De  Angelis  si  pubblicarono  nel  1857 
Tip.  Arciv.  Paccasassi  col  titolo:  Regole  di, disciplina  per  gli  alunni 
convillori  del  Seminario  arcivescovile  di  Fermo.  Il  dello  Card.  De  An- 
^eli8  gli  ba  legalo  la  sua  scelta  e  ricca  bibliolccd.  Ha  scuole  proprie 
con  circa  120  alunni:  e  dette  diversi  che  si  segnalarono  per  virtù, 
per  dignità  e  per  dottrina.  Vedi  le  note  deWorasione  funebre  neU'an- 
niversario  della  morie  dell'arciprete  D.  Francesco  Vilali  dì  Fermo  letta 
D.  Fedbriqo  par.  Fagotti  per  U  solenni  esequie  che  si  celférarono  in 
S»  Domenico  addì  26  novembre  i868.  Fermo  dalla  Tipografia  Gi- 
ferri  t«b9 

(1)  Catalani:  De  Eccl.  firm.  pu^'.  276. 

(2)  Tomo  XXIir,  Venezia  183U,  p.  2  —  Vedi  Biografia  di  Sisto  V 
del  Prof.  Domenico  Vagcolini.  Album  di  Roma,  An.  IV,  pag.  1. 


SOTTO  IL   PONTIFICATO  DI  SISTO  V.  423 

egli  stato  uno  di  quegli  uomini  rari,  che  fanno  onore 
all'umanità.  ^  E  Fermo  volgendo  appena  il  quinto  mese 
del  suo  PciUtificato  sperimentò  i  benefizi  della  sua  mu- 
nificenza. 

Già  i  nostri  maggiori  vedendo  che  tornavano  a  fiorire 
la  Sapienza  di  Roma  per  opera  di  Gregorio  XIII,  le 
Università  di  Pisa,  di  Firenze,  di  Siena  per  opera  di 
Cosimo  I  de' Medici  e  del  suo  successore  Francesco  Maria, 
e  quella  di  Ferrara  per  opera  di  Alfonso  I  degli  Estensi 
avevano  cominciato  a  rivolgere  le  loro  cure  verso  il  nostro, 
e  sappiamo,  che  col  mezzo  di  un  Battista  Colucci  oratore 
della  città  se  ne  trattava  in  Roma  la  conferma.  Intanto 
ordinavano  nel  1581  che  i  dottori  ammesssi  nel  Collegio 
dovessero  pubblicamente  leggere  e  spiegare  le  istituzioni 
come  era  di  costume  sotto  jiena  di  Se.  20,  successiva- 
mente stabilivano  somme  per  gli  onorari  dei  lettori,  ed 
eleggevano  alcuni  più  eminenti  cittadini,  perchè  si  ado- 
perassero di  ottenere  la  ricostituzione  dell'  Università , 
mandando  anche  a  tal  uopo  a  Roma  Domenico  Gigliucci 
e  Francesco  Assatti.  I  prescelti  furono  Felice  Aureli , 
Girolamo  Brancadori,  Vincenzo  Giotti,  Domenico  Gigliuc- 
ci, Adamo  Mancini;  Galeotto  Adami,  Vincenzo  Paccaroni, 
Adamo  Adami,  Belisario  Azzolino,  Baldassarre  Semproni, 
Fabio  Ricci,  Anton  Vincenzo  Valgarini. 

L' assunzione  al  trono  pontificio  del  quinto  Sisto  fa- 
cilitò la  via  per  raggiungere  il  desiderato  scopo;  infatti 
inviati  a  lui  oratori  i  giuret^onsulti  Sigismondo  Giotti  e 
Cesare  Ottinelli,  egli  accolse  l)enignamente  le  loro  istanze 
e  con  solenne  bolla  del  13  Settembre  1585  arricchì  la 
fermana  Università  di  privilegi  e  di  grazie  peculiari  ac- 


424  RESTACRAZ10NB 

compagnate  da  frasi  le  più  onorevoli,  che  amò  usare 
queir  immortale  Pontefice  e  che  il  suo  attaccamento  ad- 
dimostrano verso  questa  Città  e  questo  Studio,  il  quale 
splendidissima  luce  avea  sparso  di  reputato  sapere  (1). 
In  essa  ordinò  che  si  ristorasse  V  edificio  già  destinato 
a  tal  uopo,  se  ne  accrescessero  le  rendite  per  provvedere 
aUa  sua  perpetuità,  vi  si  chiamassero  ottimi  istitutori 
in  ogni  disciplina;  vi  s'  insegnassero  specialmente  l'uno 
e  r  altro  diritto ,  senza  cui  non  si  può  amministrare 
rettamente  la  repubblica,  e  da  cui  dipende  ogni  prospe- 
rità; la  Teologia,  la  Medicina,  le  arti  liberali  e  qualun- 
que altra  lecita  facoltà;  si  conferisse  il  grado  di  bacca- 
laureato, licenza  e  dottorato,  ed  i  laureati  potessero  do- 
vunque leggere ,  interpretare  e  disputare ,  godesse  gli 
stessi  onori  delle  Università  di  Bologna,  di  Padova,  di 
Perugia,  di  Siena,  di  Macerata  e  di  altre  italiane  e 
straniere;  presiedesse  all'  esame  il  Vescovo  fermano  col- 
1'  intervento  dei  professori  e  dottori  del  Collegio;  infine 
si  compilassero  gli  ordinamenti  e  gli  statuti  da  appro- 


(1)  Vedi  in  fine  riocamenli  N.  4  —  Tira  boschi:  Storia  ddla  lei- 
ieratura  italiana  voi.  Ili-  pag.  353,  Ed.  Milanese.  La  delta  bolla  fa 
pacata  Se.  500,  così  nella  cernita  del  28  maggio  1586  cart.  135  tergo, 
e  furono  presi  a  censo  al  7  per  cento  dal  principe  Falconieri  di 
Roma.  Questo  Pontefice  volendo  estendere  ancora  la  sua  beneficenza 
al  resto  delle  Marche  e  favorire  gli  studiosi,  istituì  in  Bologna  un 
collegio  per  50  giovani  di  varie  citrà  e  terre  del  Piceno,  che  deno- 
minò Monlallo  dalla  sua  patria  d* origine  allo  scopo  d*  istruirli  negli 
studi  maggiori.  Gli  destinò  un  Cardinal  protettore  nella  persona  del 
suo  nepote  Alessandro  e  dopo  di  lui  un  altro  Cardinale  di  sua  fa- 
miglia ed  in  mancanza  il  più  antico  Cardinale  del  Piceno,  quando 
poi  il  Piceno  non  ne  avesse  rilasciò  la  elezione  al  Collegio  mede- 
simo. Tale  beneficenza  venne  dimidiata.  quando  il  Pontefice  Ur- 
bano Vili  nel  1641  da  50  restrinse  a  30  gli  alunni  del  Collegio. 
Questa  pia  istituzione  sul  finire  del  passato  secolo  incontrò  la  sorte 
di  tante  altre  per  causa  delle  politiche  vicende;  di  quosto  Collegio 
fa  menzione  il  TinABOscHi  voi.  7,  par.  1,  lib.  1,  e.  3.  1^  nostra  città 
aveva  diritto  di  mandarvi  tre  alunni. 


SOTTO  IL   PONTIFICATO  DI  SISTO   V.  425 

varsi  e  Banzionarsi  dal  Vescovo,  cui  spetta  correggerli, 
riformarli,  dichiarare,  interpretare.  Vi  fu  anche  la  cat- 
tedra di  lingua  greca  come  risulta  dalle  cernite  del 
1585  e  1586. 

Un  filosofo  diceva  cerca  la  sapienza  fosse  anco  a 
capo  delle  Indie;  ed  i  nostri  padri  nel  Novembre  del  1585 
mandavano  deputati  Giacomo  Raccamadoro  ed  Oliverotto 
Manetti  a  Bologna,  a  Siena  ed  a  Perugia  per  avere 
ottimi  professori ,  che  risposero  alF  invito  per  far  cosa 
grata  al  novello  Pontefice,  e  furono  largamente  rimune- 
rati. Infatti  dalla  cernita  2  Luglio  1586  si  apprende 
che  Teodoro  Adami  e  Cesare  Ottinelli  ebbero  Tincarico 
di  recarsi  a  stabilire  con  Annibale  Marescotti  bolognese 
la  lettura  delle  leggi  civili  per  anni  quattro  a  cominciare 
dal  1.*"  Novembre  1586  col  rimborso  di  accesso,  recesso, 
abitazione  e  col  salario  o  provvisione  di  Se.  700  moneta 
della  Marca  per  ciascun  anno.  Inoltre  si  sa  che  i  Pro- 
fessori furono  esenti  da  ogni  gabella  o  tassa,  come  lo 
furono  eziandio  gli  studenti.  E  perchè  nulla  mancasse 
in  si  pregiata  istituzione  la  città  non  risparmiò  mai  a 
spese  ed  a  sacrifici,  ed  assegnò  per  la  sua  dotazione 
perpetua  scudi  duemila  delle  proprie  rendite,  a  cui  ag- 
giunse la  tassa  a  lei  pagata  dai  suoi  48  castelli,  sui 
quali  esercitò  il  diritto  dominio  feudale  fino  al  princi- 
pio di  questo  secolo  conosciuto  sotto  il  nome  di  dativa 
0  assetto  (1). 

(1)  Questo  diritto  feudale  col  mero  e  misto  imperio  era  in  parte 
proveniente  da  libere  dedizioni  defili  antichi  feudatari,  in  parte  acqui* 
siate  mediante  la  i»pesa  di  oltre  nocantamila  scudi  pagati  agli  ante- 
riori investiti  ed  alla  camera  apostolica.  I  4S  castelli  formanti  il 
contado  di  Termo  erano:    Acqua\iva,  Alteta,  Altidona,  Belmonte, 


426  RISTAUBAZIONE 

Il  4  Novembre  del  1585  alla  presenza  di  Sigismondo 
Zannettini  Vescovo  e  Principe  fermano,  di  Arcangelo 
Olivieri  Arcidiacono,  e  di  Gentilino  Tibaldi  Arciprete , 
esecutori  deputati  ,  che  sedevano  prò  UHbunali  furono 
lette  e  pubblicate  solennemente  le  bolle  pontificie  nel 
palazzo  dell'  Università  in  piazza  innanzi  a  una  molti- 
tudine di  gente  ;  ed  i  commissari  apostolici  ingiunsero 
di  osservare  ogni  cosa,  dando  facoltà  ai  Priori  e  Rego- 
latori di  prezzolare  i  lettori  di  ciascuna  scienza  e  di 
stabilire  le  cattedre.  Girolamo  Zoppio  bolojj^nese  lesse  una 
forbita  orazione  di  poi  stampata  e  dedicata  al  Cardinale 
Alessandro  Peretti.  Indi  a  provvedere  al  buon  andamento 
del  risorto  istituto  si  sancì  che  gli  scolari  dovessero 
studiare  tre  anni  a  Fermo  pria  di  condursi  altrove  e 
quivi  addottrinarsi  sotto  pena  di  Se.  25;  s'  ingiunse  al 
Capitano  ossia  amministratore  della  giustizia  di  leggere 
le  istituzioni  nelle  pubbliche  scuole,  e  si  compilarono 
i  capitoli  dello  studio  da  Vincenzo  Giotti,  Felice  Aureli, 
Belisario  Azzolino:  nell'Aprile  del  1586  fu  conferitala 
prima  laurea  ad  Antonio  Aureli  nobile  fermano.  La  ce- 


Gampofìlone,  Garassai,  Castel  dementino  (Ser vigliano),  Cerreto,  Col- 
lina, Falerone,  Francavilla,  Grottammare,  Grottazzolina,  Gualdo,  Lape- 
dona,  Loro.  Magliano,  Marano  (Cupramarittima),  Massa.  Massignano, 
Mogliano,  Monte  Appone.  Monte  Pacione,  Monte  Giberto,  Monte 
Leone,  Monte  Ottone,  Monte  Rinaldo,  Monte  S.  Pietro  Morico,  Moa- 
tarano.  Monte  Vidon  Combatte,  Monte  Vidon  Corrado,  Moregnano, 
Moresco,  Ortezzano,  Pedaso,  Petriolo,  Pelritoli,  Ponzano,  Porto  di 
Fermo,  Rapagnano,  Sant'Andrea,  Sant'Agnelo,  San  Benedetto,  San- 
t' Elpidio  Morico,  Smerillo,  Torcbiaro,  Torre  di  Palma,  Torre  San 
Patrizio.  In  detti  castelli  il  magistrato  fermano  inviava  giudici  che  li 
governassero  ed  anticamente  erano  80,  i  cui  nomi  trovansi  nello  sta- 
tuto di  Fermo. 


SOTTO   IL   PONTIFICATO  DI   SISTO   V.  427 

rimonia  si  celebrava  con  solennità  n^lla  sala  delF  A- 
quila  del  Palazzo  Municipale  assegnando  al  Candidato 
il  posto  fra  i  dottori  in  luogo  della  cattedra  magistrale, 
consegnandogli  in  mano  prima  chiusi  e  poi  aperti  i  libri 
della  facoltà  in  cui  si  laureava,  ponendogli  sul  capo  il 
berretto  dottorale  e  sul  dito  T  anello  simbolo  del  coniugio 
contratto  colla  facoltà  prescelta,  indi  Telmo,  la  spada  ed 
il  collare  insegne  della  milizia  aurata,  onde  si  decoravano 
i  laureati  nella  nostra  università  dal  Comune  di  Fermo, 
che  per  immemorabile  concessione  degli  Imperatori  con- 
feriva quest'  ordine  cavalleresco  con  la  croce  smaltata 
in  bianco  globata,  ove  erano  incise  le  lettere  LA.  C. 
P.  F.  (^imperiali  auctoritate  concessa  poptUo  firmano J. 
La  quale  onorificenza  però  non  si  concesse  innanzi  al 
26  Maggio  1592  e  per  il  primo  la  conseguì  Parme- 
nio  Luzi  di  Montefiore.  Di  tutto  ciò  veniva  redatto  un 
pubblico  istrumento  dal  notaio  e  cancelliere  munito 
del  maggior  sigillo  della  città  di  Fermo,  nel  mezzo 
del  quale  è  rappresentata  1'  antica  Chiesa  Cattedrale 
con  sopravi  il  busto  di  nostra  Donna  col  bambino,  e 
lo  stemma  della  città  fra  le  due  porte  laterali:  ha  im- 
presso  air  intomo   in    lettere   augustali   il   noto   motto 

FIRICUM     FIRMA     FTOBS     ROXAKORUM     COLONIA     (  1  ). 

L'  epigrafe   del  sigillo   dell'  Università  era  —  ykivir- 

8ITAS    GTXNASII    FlRMAKl    

ri)  V.  Il  modulo  del  diploma  ili  laurea  portato  in  fine  nei  docu- 
menti al  n.  5  La  cernita  il  23  mau'i^io  ISSO  opinò  cho  il  si^^illo  da 
adoperarsi  nei  privilo:;!  de'  Dottora (i  da\essA  a \ tire  Tetlìgie  i)ei  Pulris, 
Bmoé  Virginis,  S,  Jvannis  Evang,  S.  Sabini,  in(U  insignia  Episcopi  fir» 
mani.  Ma  dall'adunanza  dello  Studio  (la  quale  più  direttamente  pre- 
siedeva su  tali  materie)  si  ordinò  non  doversi  apporre  nei  suddetti 
privilegi  altro  sigillo,  che  il  maggiore  della  città. 


428  RISTAURAZIONE 

Essendo  state  inviate  lettere  a  tutte  le  città  d'Italia 
vi  accorsero  studenti  in  gran  copia,  e  non  soltanto  dalle 
varie  provincie,  ma  dal  Regno  Napoletano,  dalla  Toscana, 
dalla  Lombardia  e  sino  d'  oltre  mare  e  d'  oltre  monte; 
sicché  troviamo  fra  i  laureati  il  cremonese  Vincenzo 
Passi  famigliare  e  commensale  del  Card,  di  Montalto  che 
si  addottorò  in  canonica  con  intervento  del  Card.  Pinello, 
del  Vescovo  Zannettini,  di  Ottavio  Bandini  Yigoverna- 
tore  e  di  Felice  Gallo  di  Osimo;  Francesco  Yisdomini 
di  Como,  Giambattista  Stabellini  lombardo  e  Lelio  Sega 
di  Bologna  in  ambe  le  leggi,  Xiccola  Bustarelli  e  Gio- 
vanni Maria  Casada  di  Sassari,  il  primo  in  Teologia  e 
Filosofia ,  ed  il  secondo  in  ambe  le  leggi ,  Cristiano 
Hichettus  di  Parigi  in  medicina;  e  gli  spagnuoli  Gio- 
vanni Sabater  in  diritto  canonico  e  Pietro  Calvet  già 
dottore  nelle  arti  liberali,  in  ambe  le  leggi.  La  frequenza 
degli  alunni  da  diverse  contrade  apparisce  anche  dalla 
seguente  iscrizione,  la  quale  esiste  nella  sala  del  Palazzo 
degli  Studi. 


ART.   ET  MED.  D.   AC.   V.   V.  P.®    PR.«    MERITIS.*»"   ET  D     DIONISYO  SVCCIO  ET 

D.  LVDOVICO  ARBfATARIO  PRAESI."^"    SEQVENTES   COSILIARII   AERE 

PVBLIOO  POSVEREA  ANNO  D.  M.  D.   LXXXVII 

D.  IVLIVS  FVSCONIVS  DE   NVRSIA  P.  ROMANA.   D.   IVLIVS  OOSTBVS   LA 

VDESIS   P.   LOBARDA.  D.   HORAIVS  CASTELLVS  BON."   P.   BONONIA   D. 

BORATI  VS   lAOOMINVS  DE   FLVMINE   P.   DALMATI  A.  D.   SEBASTI  ANVS  BO 

LI8  ARIM."  P.  ROM."  D.   DIONISYVS  SVCCIVS  RAVE.^"  P.   RAVE.*   D.   DOMINI 

CVS  BERNARDVS  DE  AQVASPARTA   P.   VMBRIA.   D.  THEODORVS   MAZO 

NIVS  DE  IVLIA   N.   P.  ABRV.»^    D.    lOSEPH    BOCCA VECHIVS    DE    MOD.'®   P.  D.^^ 

VRB."*    D.    FRACISCVS    CIATTONVS    RECA."   YLTRA   CLVETV    D.    LVDOVICVS 

ARMATARIVS  DE   MOTO   GRA.°   CITRA   CLUETV.   D.   IVSTINVS  BERABDVS 

BIP.^«    P.   PRABS.*^  D.   IOANES  LAVRETIS.  RVFVS.   FIR.^»  P.   FIR."^   D.    OCTAVIVS 


SOTTO  IL    PONTIFICATO  DI  SISTO   V.  429 

Questa  iscrizione  sebbene  mancante  di  qualche  linea 
nel  i>rincipio,  ove  dovevano  esser  nominato  quegli  al 
quale  fu  eretta ,  e  T  altro  di  cui  vi  si  dice  artium  et 
medicinae  doctore  ac  utritisque  Universitatis  primo  priore 
meritissimo  y  nullameno  pare  possa  riferirsi  al  giurecon- 
sulto perugino  Marcantonio  Severo  eletto  da  Sisto  V  a 
primo  interprete  delle  leggi  nella  ristorata  Università 
di  Fermo,  ove  morì  nel  1587  data  corrispondente  a 
quella  della  iscrizione  ,  e  la  morte  fu  accompagnata  da 
pubbliche  dimostrazioni  di  condoglianza.  In  detta  lapide 
sono  enumerati  i  consiglieri  delle  diverse  provincie,  che 
erano  nominati  in  un  col  Priore  e  col  Preside  fra  gli 
studenti,  giusta  le  costituzioni,  e  formavano  come  un  col- 
legio, che  teneva  le  sue  adunanze,  delle  quali  abbiamo 
memoria  nei  relativi  libri  ancora  esistonti,  ed  era  com- 
posto di  scolari  rappresentanti  le  varie  regioni ,  da  cui 
provenivano.  Quelle  che  ivi  si  ricordano  sono  la  Romana, 
la  Ix)mbarda,  Bologna,  la  Dalmazia,  la  Romagna,  Ra- 
venna, r  Umbria,  V  Aprutina,  il  Ducato  d'  Urbino,  la 
Picena  al  di  là  del  Chienti ,  la  Picena  al  di  qua  del 
Chienti ,  il  Presidato  di  Montalto ,  la  Permana ,  rima- 
nendone innominate  altre  per  evidente  rottura  del  marmo, 
poichò  la  iscrizione  finisce  con  un  nome  rappresentante 
altra  provincia. 

I  Permani  lieti  del  ricevuto  beneficio,  deliberarono 
di  tramandare  alla  posterità  un  monumento  della  loro 
riconoscenza  e  gratitudine  ;  e  quindi  ne'  comizi  generali 
tenuti  il  24  novembre  1 585  coli'  intervento  eziandio  di 
tutti  i  deputati  dello  Stato  fermano  decretarono  unanime- 
mente che  alla  munificenza  di  tanto  prìncipe  si  erigesse 


430  niSTACRAZIONK 

una  statua  metallica,  acciocché  sempre  viva  nei  futuri 
rimanesse  la  memoria  dei  suoi  benefìcii,  ed  il  26  set- 
tembre dell'anno  successivo  furono  a  ciò  deputati  Beli- 
sario Azzolino,  Teodoro  Adami  e  Domenico  Gigliucci. 
Ne  allogarono  l'opera  ad  Accursio  Baldi  Sansoyino,  e  si 
raccoglie  poi  da  varie  risoluzioni  consiliari  dell'anno 
1588,  che  si  dettero  ogni  cura  di  provvedere  alla  spesa 
di  tal  monumento,  al  quale  anche  i  comuni  soggetti  alla 
città  contribuirono,  avendo  la  spesa  del  lavoro  oltrepas- 
sato gli  scudi  mille  e  settecento  (1). 

Per  la  buona  disposizione  del  Pontefice  nell' accor- 
dare nuovi  e  segnalati  privilegi  a  questa  città,  spinti  i 
Permani  dall'amor  di  patria  e  dal  desiderio  del  pubblico 
bene  non  posero  tempo  in  mezzo  a  chiedere,  che  la 
chiesa  di  Fermo  venisse  elevata  al  grado  di  metropoli- 
tana. In  questa  congiuntura  furono  dal  giureconsulto 
Cesare  Ottinelli  esposte  in  una  bella  orazione  le  ragioni 
per  cui  fra  le  altre  città  del  Piceno  a  Fermo  potesse 
accordarsi  il  primato  (2) ,  e  dopo  essere  state  prese  in 
maturo  esame  ottennero  interamente  il  desiderato  effetto. 
Sisto  V  con  altra  bolla  del  24  maggio  1589  (3)  si 
degnò  innalzare  la  chiesa  fermana  al  grado  di  sede  ar- 

(1)  Vedi  le  risoluzioni  del  Consiglio  fermano  tenuio  per  tale  ne- 
gozio nei  giorni  11  marzo,  8  aprile,  26  settembre  e  27  novembre 
1558.  Si  apprende  da  queste  che  Accursio  Baldi  Sansuvino  richiese: 
€  Pro  ejus  labore  ei  praecio  scjtos  mille  et  septingenlos  de  paoli  X 
prò  scutis;  quod   habuil   D.  Taddous  staiuarias,  qui   fecil  slatuam 

praefati  8.  D.  N,  in  Urbe pront  in  istrumento  convenlionis  factae 

cam  populo  romano.  ^ 

(2)  V   r  orazione  deirOTTiRBLLi  citata  nel  cap.  li. 

(3)  Questa  bolla  incomincia,  Onioerfi  orbis  EccUtiis,  e  si  legge 
nel  Boll.  rom.  tom.  V,  pari.  I,  pag  63. 


SOTTO   IL   PONTIFICATO  DI   SISTO   V.  431 

civesoovile ,  concedendole  quattro  vescovi  suffraganei , 
quelli  cioè  di  Macerata  e  Tolentino,  di  Ripatransone, 
di  Montalto,  di  S.  Severino  col  quale  ordine  sono  no- 
tati nella  bolla,  e  primo  arcivescovo  metropolitano  fu 
Sigismondo  Zannettini,  che  da  oltre  quattro  anni  era  ve- 
scovo di  Formo. 

Si  raddoppiarono  allora  le  premuro  perchè  il  monu- 
mento decretato  per  sì  magnanimo  principe  fo  se  recato 
al  suo  compimento;  onde  nel  maggio  del  1590  era  stata 
già  posta  in  un  basamento  sopra  V  ingresso  del  palazzo 
municipale  la  statua  metallica^  la  quale  ha  tutti  quei 
pregi ,  che  si  addicono  ai  migliori  lavori  di  tal  sorta , 
e  spezialmente  quello  di  far  conoscere  nel  volto,  nell'a- 
bito nel  portamento  il  personaggio  che  si  ritrae,  sicché 
ninno  abbia  d'uopo  di  leggervi  il  nome  per  ravvisarlo. 
La  statua  raffigura  sed^nt^  il  Pontefice  in  quella  mo- 
venza propria  di  principe,  che  riguarda  benevolo  il  suo 
popolo.  Colla  tosta  alquanto  curva  mostra  noli'  aria  del 
volto  nobiltà  e  dolcezza  insieme;  colla  mano  diritta  le- 
vata è  in  atto  di  benedire,  mentre  colla  sinistra  tiene 
appoggiato  alla  persona  un  libro,  forse  le  bolle  con  le 
qu^li  accordò  i  detti  due  privilegi  alla  città.  Il  piegar 
delle  vesti  ft  largo  ed  acconcio;  le  decorazioni  d'assai 
eleganti ,  e  tutta  la  scultura  b  del  più  purgato  e  raffi- 
nato disegno.  Nel  plinto  vi  è  la  seguente  iscrizione  che 
ricorda  i  duo  grandi  beneficii,  per  cui  fu  eretto  qqesto 
magnifico  e  durevole  monumento  di  riconoscenza 


432  RISTAUR  AZIONE 

XISTO   V.  PONT.   OPT.   MAX.  PATRIA 

FIRBfANO  OB.   EPISCOPALE!! 

IN  METROPOLITANAM.  ERECTAM 

ET  6TMNASIVM   VNIVERSALB 

RB8T1TVTVM   8.  P.  Q.   F.   POS. 

sotto  la  base  si  legge  quest'  altra  iscrizione 

8ENATVS.   POPVLVSQVE.   FIBMANVS 

PRO.  SVA.  IN.   PRINCIPEM.   OBSERVANTIA 

CVRIAH.  HANC.  AD.   MAGISTRATVM   CIVIVM 

OOMMODITATEM.  ET.  VRBIS.  ORNATVM 

AERE.  PVBLICO.   MAGNIFICENTI VS.   RESTITVIT. 

Da  tal  lavoro  con  mirabile  magistero  condotto  il  Baldi 
conseguì  assai  lodi,  ne  fu  rimunerato  sovra  il  prezzo 
convenuto  e  gli  furono  indirizzate  diverse  poesie  italiane 
e  latine,  le  quali  si  pubblicarono  poi  raccolte  in  un  li- 
bretto (1). 

La  nostra  Università,  copie  apprendiamo  da  un'epi- 
grafe che  scorgesi  nel  prospetto  del  palazzo  degli  studi, 
ebbe  eziandio  un  protettore  nel  Cardinale  Alessandro 
Foretti    di  Montalto   pronipote  di    Sisto  V  (2),  il  qual 

(l(  Eccone  il  tilolo:  Parie  prima  delle  rime  toscane  el  dà  versi  Ia- 
lini da  diversi  autori  composti  in  lode  di  Sisto  V  el  della  statua  di  bromo 
dalla  m.  illusi,  città  di  Fermo  dedicata  a  Sua  Santità  ei  falla  da  Accursio 
Baldi  Sansovino  all'illustr.  el  reverendiss.  Monsig.  il  Cardinal  Pinello, 
A  Fermo  presso  Sertorio  de'  Monti  MDXG. 

(2)  L'epigrafe  è  la  seguer.te: 

D.   o.   M.   A. 

SVB   FELIGIBVS   AVSPIGIIS 

ILLVST  RISSI  MI   AC    REVERENDISSIMI    O.    D     ALEXANDRI 

PIRBTTI   8.    R.    E.    CARD. 

AMPLTSUI    FIRMANI  GYMMA 

SII     PROTECTORIS 

COLEBDISSIMl 

Nel  medesimo  salone  sopra  la  epigrafe  a  Bonifacio  Villi  riportala 
in  nota  nel  cap.  II  vi  ha  lo  stemma  di  esso  pontefice  finamente 
lavorato  e  sotto  vi  si  legge  in  lettere  gotiche  in  gran  parte  logore: 

M. VEREZAll   ME   PECE 


SOTTO   IL   PONTIFICATO   DI   SISTO   ?.  Ì33 

Pontefice  volendo  dare  una  novella  prova  del  suo  affetto 
per  la  città  di  Fermo,  le  destinò  il  Cardinale  Peretti  a 
governatore  perpetuo  il  15  novembre  1586.  I  privati 
eziandio  non  mancarono  di  adoperarsi  a  tutt'  uomo,  ac- 
ciocché la  coltura  viemmeglio  fiorisse.  Bell'  esempio  ce 
ne  porge  il  canonico  Censorio  Marziali,  il  quale  per  ren- 
dere più  decoroso  e  profittevole  lo  studio  di  Fermo  tanto 
alla  città  quanto  al  di  fuori,  col  suo  testamento  del  10 
mai^o  1589  (1)  lasciò  erede  di  tutto  il  suo  avere  il 
Comune,  acciochè  si  erigesse  un  collegio  per  accogliervi 
nobili  giovani  forestieri,  ai  quali  si  aggiunsero  in  pro- 
gresso di  tempo  anche  fermani.  Questo  fu  aperto  nelle 
case  di  Francesco  ed  altri  degli  Assalti  nel  1594  con 
sei  alunni  di  diverse  città,  ed  il  Duca  di  Urbino  chiese 
vi  fosso  ricevuto  il  figlio  del  suo  tesoriere  cui  egli  rac- 
comandava (2).  Il  Consiglio  generale  stabilì,  che  una 
particolare  adunanza  si  deputa^sse  detta  del  Collegio  Mar- 
fi)  Questo  testamcnlo  trovasi  nei  nostro  Archivio  ed  ò  notato 
al  N.  339  del  catalogo  detto  il  Tedesco  in  data  die  X  martii  1589 
sedente  Sixto  V. 

(*2)  Sopra  la  porta  del  Collegio  Nfarziale  scorgasi  ancora  lo  stetnoia 
del  fondatore  consistente  in  due  mazzo  incrociate  e  stretto  con  un 
nastro.  3otto  «i  iegf^e  la  seguente  iscrizione  : 

D.   0.    II. 

CBNSOHIO   .    MARTIaLI    .   CANONICO   .   METROPOUTANO. 

OD   .    PVNOATVM   .   COLLBOIVM 

GIVI  .    DE   .   SE   .   OPTIMB   .    MERITO 

8.   P.  Q.   P.  FIOEI    .   C0MM188.   P. 

GOLI«E(HVU   .   IPSVU   .    DB   .   0BNTI8  .   NOMINE 

MARTIALE   .   NVNCVPAVIT 

A.    F.   8.    M.    0.   XXII. 

BUNIOANNE   .    VINCIO   I.  G.    i 

;    RBCT0RIB8. 
PERMATTHEO   .    SGATTONO    ) 

Archiv.  SlQT.  March.  K  /.  28 


434  RISTAUBAZIONE 

ziale  composta  di  18  gentiluomini  di  cernita,  acciò  da 
essi  si  compilassero  le  leggi,  i  decreti,  le  costituzioni  e 
tutt'  altro  che  reputarasi  necessario  per  il  buon  regola- 
mento del  suddetto  (1).  A  tale  adunanza  furono  concesse 
tutte  le  facoltà  di  provvedere  sì  alla  parte  economica 
come  al  governo  dei  giovani,  e  veniva  la  medesima  con- 


In  un  aliare  che  esiste  ncila  chìesd  <Jei  Minori  Osservami  di  Pe- 
Iritoli  nel  quadro  dipinto  in  tL'I.i  vedesi  il  riiraUo  ili'!  canonico  Cen- 
sorio Marziali  di  Fermo.  Ne  fu  primo  roitoro  Giacomo  Raccamadori 
seniore  prete  di  molla  scienza,  che  era  andato  ambasciatore  a  Papa 
Gregorio  XIV  per  la  eredita  del  canonico  Miiiziaii.  di  cjì  fu  esecu- 
tore testamenlario  Nel  secolo  XVI II  il  dotto  carbonico  Filippo  Rac- 
camadori rifece  quasi  per  intero  e  ridusse  a  miglior  forma  il  vasto 
editicio,  che  si  trovava  già  in  mal  termine  senza  curare  che  nep- 
pure una  iscrizione  si  ponesse  a  ricordanza  di  questa  saa  az  one  degna 
di  ogni  maggior  lode. 

(1)  Queste  costituzioni  compilate  dai  priori  del  popolo  della  città 
insieme  coi  signori  Bellisario  Àzzotini  e  Giacomo  Raccamadori  gen- 
tiluomini a  tale  effetto  deputati  ed  eletti  dal  gvM)era!e  Consi.^lio  fu- 
rono approvate  il  2  gennaio  1595,  quindi  nel  23  agosto  del  1603  e 
poi  nel  12  gennaio  1660  rivedute,  corrette  e  date  alle  stampe  col  ti- 
tolo: ConslUiUiones  et  capilula  Collegii  Marlialis  >n  urb>i  finnana  ereclL 
Firmi  apud  Andream  de  Montìbus  1660,  dd.  superiorum  permissu  — 
Riviste  ed  emendate  in  alcun  pani  si  ripubblicarono  collo  stesso 
titolo  nel  1710  apud  Jo  Frane  Bolis  ti  fralret  imp  priorales  domi- 
norum  superiorum  permissu.  —  Di  bel  nuovo  ridotte  e  riformate 
giusta  il  bisogno  e  T  opportunità  dei  tempi,  seguendo  f  esempio  dei 
più  rinomati  collegi  d*  Italia  e  volgarizzate  dal  conto  Gian.  Simono 
Vinci  Gigliucci  rettore  del  detto  collegio  e  dai  signori  Francesco 
Maria  Bortacchini  Pancotti  e  cap.  Melchiorre  Paccaroni  furono  ap- 
provate il  16  gennaio  1741  dall'adunanza  del  Collei^io  ed  impresse 
col  seguente  titolo:  CoslUuiioni  e  eapiloli  del  Collegio  Marziale  dello 
della  Sapienza  creilo  nella  cillà  di  Fermo.  Fermo  1741  per  Dom.  Ant. 
Bolis  e  frat.  Stamp.  priorati  con  licenza  de*  superiori.  Succe.^^sivamente 
vide  la  luce  un  rislrello  delle  cosliluzioni  del  Collegio  Marziale  o  sia 
della  Sapienza  dell'  illuslriss ima  cillà  di  Fermo  riformale  nell'anno  di 
noslra  salule  MUCCHI  (senza  nota  di  stampa) 


SOTTO   II.   PONTIFICATO   DI   SISTO   V.  435 

Yocata  Ogni  volta  che  i  Rettori  prò  tempore  ne  avessero 
fatta  richiesta  (1). 

Restano  ancora  due  cose  a  notare  in  questo  secolo 
XVI  concementi  la  pubblica  istruzione.  L'  una  che  il 
prof.  Girolamo  Alberti  senese  istituì  in  Fermo  il  24 
maggio  1594  T Accademia  detta  dei  Raffrontati^  la  cui 
impresa  fu  un  lucchetto  formato  da  vari  archetti,  in 
ciascuno  dei  quali  erano  inciso  diverse  lettere  dell'alfa- 
beto col  motto  —  vite  iunctis  —  ma  nulla  sappiamo  delle 
sue  costituzioni  (2).  L'altra  che  Licinio  Giorgi  di  M. 
S.  Pietro  Morico  a  mezzo  del  suo  fratello  Alcibiade  pro- 
fessore qui  in  Fermo  offrì  nello  stesso  anno  3000  fio- 
rini per  erigere  il  Collegio  dei  gesuiti,  i  quali  nel  1599 
sotti)  il  regime  di  Ottavio  Bandini  di  Firenze,  secondo 
arcivescovo  di  Fermo,  fun)no  chiamati  dalla  città  per 
aprire  il  loro  collegio. 

Del  resto  lo  studio  fermano  rivestito  di  un  nuovo  e 
pieno  splendore  e  divenuto   non  più  secondo  ad  alcun 

(1)  (^  chiusura  di  questo  CoIlc;,'io  ordinala  dalPArcìvescovo  Pa- 
facci  ni  dt»Ue  luo^o  roUo  TArcivoscovo  Minnucci,  che  voleva  servirsi 
delle  rendile  per  la  ricosiruziont*  della  chiesa  metropolitana,  a  serie 
contestazioni  da  parie  dei  Permani,  come  può  vedersi  nella  supplica 
della  ciUà  di  Fermo  ad  alcuni  eminenlìssimi  Cardinali  sulle  presenti  ver» 
lense  con  Monsig.  Minnucci  arcivescovo,  intorno  alla  chiesa  melropolUana 
e  Collegio  Marziale.  In  Villafranca  pi>r  BoniiglioI  Filalette  stamp.  alla 
buona  fede  t7S*2.  Pu  p)i  riaperto  per  le  energiche  premure  del  fer- 
mano Arcivescovo  Card.  Cesare  Brancadoro,  che  approvò  le  nuove 
regole  pubhlicate  col  titolo:  Regole  e  cosUtuzioni  del  nobile  Collegio 
Marziale  di  Fermo.  Formo  dai  torchi  di  Pallade  1807*  Venne  sop- 
preiiso  al  principio  di  questo  secolo  e  ì  beni  passarono  al  Comune 
di  Fermo. 

(2)  TiRABOSGHi:  op.  cii.  voi.  Ili,  pag.  363  ediz.  milanese.  —  Curi 
op«  cit. 


436  RISTACBAZ10NE 

altro  che  allora  esistesse  non  solo  nei  dominii  pontificii 
ma  in  Italia  per  la  munificenza  di  Sisto  V,  ebbe  j  er 
qualche  tempo  vita  gloriosissima,  fu  rinomato  persino 
in  lontane  regioni  in  ispecie  per  la  giurisprudenza,  aven- 
do un  collegio  di  dottori  formato  da  ben  settanta  tutti 
di  gran  valore,  e  dette  molti  uomini,  che  per  scienza  e 
per  i  carichi  sostenuti  altamente  si  segnalarono. 

Vi  lessero  nel  secolo  XVI: 
AcERBOTTi  Baldassarre  da  Monsampietrangeli  in  gram- 
matica e  retorica. 
Alberti  Girolamo  da  Siena  in  giurisprudenza  (1). 
Amoratti  Ansovino  da  Montegranaro  in  gramm.  e  retorica. 
Argentino  Giuliano  da  Fabriano  in  giurisprudenza. 
Arredi  Emilio  da  Samano  in  grammatica  e  retorica. 
Asclepio  Gìovanni  da  Sant'Elpidio  in  gramm.  e  retorica. 
Aureli  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 
BINDELLO  Matteo  da  Castelnuoyo    terra    del  Tortonese 
domenicano  in  retorica  (3). 

(1)  Dopo  avere  insegnalo  alcuni  anni  in  palria  vonr.e  a  Fermo 
lelture  ordinario  matutino  negli  anni  1592-93:  poi  passò  nelP  Uni- 
versità di  Macerata  e  vi  riusci  cosi  acceltu  cht*  fu  confermato;  ma 
egli  desideroso  di  vedere  altri  luoghi  si  lasciò  persuadere  ad  accet- 
tare la  cattedra  vespertina  di  Salerno  con  T onorario  di  Se.  600;  ivi 
si  mori.  —  V.  Gigli:  Diario  Sanese,  Lucc<i  1723,  p.  I.  —  Isidoro  Ugur- 
OBRi:  Pompe  Saneii  ovvero  relazione  degli  uomini  e  donne  illustri  di  Siena 
e  suoi  Siali,  Pistoia  1649,  p.  I. 

(2)  Giambattista  Evangelista  nella  sua  orazione  XXXIX  delta 
nella  nostra  Università  pag.  168  ne  fa  grande  elogio  con  queste  pa- 
role: <  Quid  Antonio  nostro  Aurelio  ad  inveniendum  subtilius,  ad 
iudicandum  prudentius,  ad  interpretandum  acutius.  ad  consulen- 
dum,  cavendum,  respondendum,  reliquaque  docti  viri  et  periti  iuris- 
coosulti  munera  obeunda  accomodali us?  » 

(3)  Autore  di  diverse  opere,  rimase  celebre  come  novelliere. 
Stando  a  Fermo  scrisse  una  orazione  in  lode  di  detta  città,  che  fu 


Sotto  il  pontificato  di  siSto  v.  43"? 

Bartolo  Plinio  da  Firenze  in  giurisprudenza. 
BoNiNSEQNA  Salustio  da  Siena  in  filosofìa. 
Brancadoro  Lucio  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 
Calvi  Cesare  da  Bologna  in  giurisprudenza  (2). 
Caucci  Giosuè  da  Fermo  in  matematica  e  astronomia  (3). 

dal  Senato  falla  porre  nell'Archivio,  ma  ad  onla  di  molle  diligenti 
ricerche  non  si  è  poiula  mai  rinvenire.  Ce  no  ha  lasciala  notizia 
Leandro  Aldrrti  {De  viribui  illustribus  ordinis  praedicatorum  libri  sex 
in  unum  congesti,  Boloì<na  tot 7),  il  quale  dopo  aver  chiamato  Matteo 
€  virum  in  scribendo  fluridum.  clarum,  niiidum,  emunclum  et  acca- 
ralum,  cuìus  insignes  dotes  si  narrare  voluero  me  polius  tempus  de- 
ficcret,  »  enumerando  alcune  sue  opere  inedite  soggiunge:  €  oraliones 
diversa  et  ìmprimis  Illa  por  eum  habita  coram  senalu  populoque  fir* 
mano  anno  Domini  MDXIH  prò  gratiarum  aciionibus  prò  Synodo 
nostra,  in  qua  origo  et  res  gestae  Ormanae  civilalis  lam  opulente, 
tam  ampie  ac  eleganler  continentur  ut  a  lirmanis  exemplum  con* 
tinuo  in  archi  vis  urbis  prò  aeterna  memoria  reponeret.  >  Fu  amico 
do*  letterali  e  degli  uomini  più  illustri  del  suo  tempo,  fra  cui  Giulio 
Cesare  Scaligero,  e  maestro  della  celebre  Lucrezia  Gonzaga.  Giulio  HI 
lo  creò  vescovo  d*Agen  il  1  settembre  1550.  Di  lui  parlarono  il  Maz- 
zucGHELLi  (Gli  scrillori  d'Ilaliaf,  Qurtib  et  Echard  iScrip,  ord,  praed.), 
il  Napione  (Piemontesi  illustri),  il  Tiraboschi  (Storia  della  leUeralura 
ilaL),  il  FoNTANiNt  (Della  eloquenza  italiana). 

(1)  Vesti  l'abito  di  S.  Filippo  Neri  e  mori  uel  25  ottobre  1609. 
Liesse  una  orazione,  quando  fu  ammesso  nel  Collegio  de* Dottori: 
Oralio  Ludi  Brancadori  civis  el  jurisperili  /ir mani  habila  dum  in  ani' 
piissimo  illustrium  firmanae  eivUatis  iurisconsullorum  collegio  coopta» 
relur.  Firmi  ex  Typographia  Sertorii  De  Monlibus  MDLXXXVI. 

(2)  È  nominato  da  Giovanni  Fantuzzi  (Notitie  degli  ScrUtori  Bo' 
lognesi,  Bologna  17S1)  fra  quei  bolognesi  che  lessero  in  Fermo  ai 
tempi  di  Monsig.  Zan  netti  ni.  Entrò  fra  i  gesuiti  e  vi  mori.  Vedi 
Nicolò  Alidosi  (i  dottori  bolognesi  di  legge  canonica  e  civile.  Bologna 
presso  Bartolomeo  Cochi  MDCXX). 

(3)  Fu  professore  d'astronomia  e  di  medicina  nell*  Università  di 
Padova  negli  anni  1403  u  1491,  come  riferisce  il  Papadopoli  up.  cit. 
Iib.  11,  sez.  Il,  cap.  XIX.  Da  quella  Ciiitcdra  pA^^Ò  medico  di  Rai- 
mondo di  Cardona  Viceré  di  Napoli,  Qnchò  as^sunto  al  pontiOcato  il 
Card.  Giulio  De  Medici  col  nomo  di  Clemente  VII  lo  chiamò  a  sue- 


438  RISTAURAZIONB 

Cavallini  Lorenzo  da  Bologna  in  giurisprudenza  (1). 
Clemente  da  Fano  min.  osser.  in  filosofia. 
Collaterali  Qucomo  da  Morrovalle  in  filosofia. 
Confetti  Francesco  da  Fermo  in  grammatica  e  retorica, 
Cruciani  Camul^lo  da  Monterubbiano  in  filosofia  (2). 
De  l^uRRiBus  Andrea  spagnuolo  in  giurisprudenza. 
Evangelista  Gio.  Battista  da  Marano  (Cupramarittima) 
in  eloquenza  (3). 

cedere  come  suo  archiatro  al  celebre  Frjncesco  Bonfìni  ascolano  ; 
così  leggesi  nella  iscrizione  sottoposta  al  suo  riirarto  che  abbiamo  a 
Fermo,  riportata  dal  !*anblli  op.  cit.  tom  II,  Append.  paji^.  2;  da 
Gaetano  Marini  fUejli  archiatri  pontificii,  Homa  1781),  da  R.  De  Mi> 
wcis  fiscr,  ferm.  N.  1193).  Del  Caucci  quale  eccpilentissimo  astro- 
nomo tesse  un  lungo  elogio  Francesco  Panfilo  nel  suo  poema  Pi- 
cenum  al  lib.  IH.  dove  ragiona  di  Fermo,  cominciando  così: 

Nobilis  hic  Josues  erranlidi  sidern  caliens 
Vera  malhemaficus  cuacta  futura  caniL 

Da  queir  hic  che  pare  si  riforisca  a  Fermo ,  argomentasi  che  inse- 
gnasse in  Patria,  in  cui  esercitò  pure  Tane  salutare.  Se  ne  ha  un 
rarissimo  opuscoletto  in  sei  carte  senza  nota  di  stampa  edito  nel  1523, 
o  in  quel  torno,  col  titolo:  ludicium  erudilissimum  el  mirabile  p.  aliis 
in  luccm  haclenus  pditis.  Excel.  Astronomi,  aiq.  arlium  el  medie.  Doc,  cete- 
ber  imi  Mag.  Josue  d.  Firmo  cotra  vociferales  futuro  diluviu  ann  px, 
futu,  1524  Feb  men.  quor.  crroneas  opinion,  20  argumenlis  et  ronibus 
reprobai. 

(1)  Fu  anche  lettore  nella  patria  Università,  come  presso  Tali- 
DOSI  op.  cit.,  il  quale  riporta  una  iscrizione  erettagli  nella  Sapienza 
di  Bologna.  È  nominato  eziandio  dal  Fantuzzi  op.  ciL 

(2)  Per  i  meriti  di  questo  esimio  professore  la  città  il  19  giugno 
1601  decretò,  che  quei  di  Monterubbiano  nei  dottorati  dovessero  sem- 
pre considerarsi  come  gli  stessi  cittadini  fermani. 

(3)  Chiaro  per  dottrina  e  per  perizia  in  diverse  lingue,  special- 
mente latina  e  greca,  fu  accettissimo  a  Sisto  V.  il  quale  esjiendo  an- 
cora Cardinale  procurò  che  succedesse  al  Sigonio  iieUa  cattedra  di 
eloquenza  nelP  Università  di  Bologna;  non  essendo  in  ciò  riuscito 
lo  elesse   neir  Università  di   Fermo,  il  che   apprendiamo  dalla  sua 


SOTTO  IL   PONTIFICATO   DI   SISTO   V.  439 

EusTACCHi  Alessandro  da  Montelparo  in  giurisprud. 
Fausto  Pier  Simone  da  Montolmo  in  medicina. 
Feuce  da  Acquaviva  min.  osser.  in  filosofia. 
Filareti  Napoleone  da  S.  Vittoria  in  gramm.  e  retorica. 
Fontana  Pierio  da  Fermo  in  retorica  (1). 

FoRTUNi  Gio.  Battista  da in  gramm.  e  retorica, 

Francouni  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 

urdzìone  ivi  letta  quando  successe  nella  cattedra  dì  eloquenza  allo 
Zo[ipio,  e  poi  iledicata  a  Sisto  V:  Ad  sancliss,  D.  nostrum  Stxlum  V. 
Ponli/icem  opÌ.  max  Io  Paplislae  Eoangelislae  Oralio  habita  in  almo  fir- 
manontm  Gymnasio  IIU  Jd.  Jjn,  MDLXXXVf.  Firmi  ex  Sertorii  De 
Montibus  Typogr.iphia  iriSG.  Portatosi  a  Venezia  per  isUmparvì  al- 
cune sue  opere  dedicò  un  libro  di  poesie  al  Card.  Peretti:  Ad  Ale- 
xandrum  PereUum  sanclae  rom.  Ecclesiae  Cardinalem  amplissimum  Joannis 
Dàplisiae  Evangeiislae  Lusus,  Venetìis  apud  Joannem  et  Àndream  Ze- 
narium  MDLXXXIX.  Colà  morì  nel  1593,  e  Pietro  Cresci  anconi- 
tano si  prese  cura  di  stampare  con  una  sua  prefazione  le  orazioni 
latine  di  lui,  fra  le  quali  ve  ne  ha  diverse  lette  nella  nostra  Uni- 
versità: Jo.  Baplistae  Evangeiislae  Piceni  oraliones  XUIll  ialinae  lou- 
lionis  miri/icam  elegantiam  magnamque  argumenlorum  varielaUm  accu- 
rate et  docte  dispostlam  conlinenles  ad  illuslrem  ac  generosum  virum  D, 
Simonem  Caslellariwn.  Veneti is  MDXCVI  ad  signum  I^onìs. 

(1)  Happresi'niò  a  Fermo  nel  1570  la  sua  tragicomedia  Susanna. 
Del  suo  valore  poetico  dette  bel  saggio  nel  poema  col  titolo  :  Pierii 
Fontani  firmani  Tages  ad  Franciscum  Medicene  Magnum  Etruriae  Dueem. 
Bononiae  apud  Jo.  Rossium  1577.  Vedi  Bibliofeca  Picena  Tom.  IV 
pag.  188. 

(2)  Fece  i  suoi  studi  legali  in  Ferrara,  ma  ebbe  la  laurea  in  Fermo 
da  Annibale  Marescotti,  ove  poi  lesse  istituzioni  civili.  Fu  così  noto 
per  il  suo  sapere  che  nel  1600  venne  chiamato  a  Parma  dal  Duca 
Ranuccio  Farnese,  che  aveva  rinnovalo  quella  Università,  insieme 
col  celebre  Sforza  Oddi  di  Perugia.  Vi  stette  sei  anni  accettissimo 
al  Duca,  a  Ottavio  e  ul  Card.  Farnese:  la  città  per  mostrare  il  gra- 
dimento del  suo  buon  servizio  gli  conferì  la  nobiltà  per  sé  e  i  suoi 
discendenti.  Nel  101)7  ritornò  a  Ieg.i;cre  nella  patria  Univerhilà.  e  morì 
in  Fermo  di  anni  73  ti«*l  1033,  come  si  ha  da  una  iscrizione  esi- 
stente in  casa  Francolini  e  riportala  da  R.  De  Mimcis  fiscr,  pirm.}  al 
N.  938. 


440  RESTAURAZIONE 

Giacomo  da  Patrignone  in  grammatica  e  retorica. 
Giorgi  Alcibiade  da  M.  S.  Pietro  Monco  in  giurisprud. 
GioRi  Vincenzo  da  Fenno  in  giurisprudenza. 
GiOTTi  Vincenzo  da  Fermo  im  grammatica  e  retorica. 
Giovanni  di  Luca  fiorentino  in  retorica. 
Golfo  Ostilio  da  Sassoferrato  in  giurispnidenza. 
GrOLFO  PiERLEONE  da  Sassoferrato  in  medicina. 
Golfo  Simone  da  Sassoferrato  in  filosofia. 
Giustiniani  Domenico  da  Genova  domenicano  in  teologia. 
Gualtieri  Francesco  da  S.  Ginesio  in  gramm.  e  retorica. 
Lanzoni  Marco  da  Bologna  agostiniano  in  filosofia  (1). 
Latini  Giulio  da  Servigliano  in  grammatica  e  retorica. 
Marescotti  Annibale  da  Bologna  in  giurisprud.  (2). 

(1)  Da  Fermo  passò  aU  esser  lettore  di  teologia  net  1*  Università 
di  Bologna  sua  patria.  V.  Ali  dosi:  /  dottori  bolognesi  di  teologia,  fUo^ 
sofij,  medicina  ed  arti  liberali.  Bologna  1623. 

(?y  Illustre  per  sangue  e  per  dottrina  aveva  insegnato  dodici 
anni  a  Bologna  con  tanto  successo  che  al  divulgarsi  la  sua  partenza 
per  Fermo  i  più  leggiadri  ingegni  cantarono  le  sue  lodi  con  poesie 
che  si  hanno  in  un  libretto  col  titolo:  Vari  poemi  in  lode  del  mollo 
itlitstre  ed  eccl.mo  sig.r  il  sig.r  Annibale  Marescotti  dottore  di  leggi  et 
gentiluomo  bolognese  nella  sua  partenza  per  la  città  di  Fermo,  ov'egli 
va  per  lettor  pubblico  della  prima  cattedra  raccolti  per  Lattanzio  Gio- 
vanni da  Capognano  giureconsulto  et  accademico  diviso  V  accorto  già  tuo 
scolare,  all'  illustriss.  et  reverendiss.  signor  Monsig,  Decio  Atxolini  Cardi- 
nale amplissimo  di  S.  Chiesa,  in  Bologna  per  Alessandro  Benaui  1586. 
L*  arcivescovo  Zannetlinì  die  opera  colla  mediazione  di  Sisto  V,  ac- 
ciocché il  Marescotti  venisse  a  Fermo  per  dar  maggior  credito  alla 
nostra  Università,  e  cosi  segnalati  furono  i  servigi  resi  che  gli  fu  con- 
cessa la  cittadinanza.  Poi  ne  partì  nel  1600.  essendo  stato  chiamato 
a  Parma  dal  Duca  Ranuccio  ].  Vedi  il  Fantuzzi  op.  cit  .\utore  di 
opere  legali  e  di  belle  lettere  viene  lodato  dalT  Evangelista  insieme 
con  Ippolito  Piccolomini  di  Siena  altro  nostro  professore  e  paragonati 
a  Scevola  ed  al  Sulpizio  neli*  orazione  XXXIX  pag.  168:  €  Quid  in 
iurisprudentia  priscis  temporibus  Scevola,  Sulpitioque,  nostris  Anni- 
baie  ilio  Marescutto,  hocque  Hyppolito  Piccolominco  peritius  atqae 
scientias?  > 


SOTTO  IL   PONTIFICATO  DI  SISTO   V.  441 

Marucoi  Paolo  da min.  conv.  in  filosofia. 

Massini  Filippo  da  Perugia  in  giurisprudenza  (1). 
Mazzaroki    Marcantonio  da  Monterubbiano  in    filosofia 

e  teologia  (2). 
Mazzoni  Gìacoho  da  Cesena  in  giurisprudenza. 
MoRici  MoRico  da  Fermo  in  retorica  (3). 
Moro  Ulisse  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Nardini  Vincenzo  da  Fermo  in  grammatica  e  retorica. 
Ottinelli  Cesare  da  Fermo  in  giurisprudenza  (4). 
Paccaroni  Eufemio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 


(t)  Dopo  aver  lello  in  Patria  venne  a  Fermo,  d*  onde  passò  ai* 
r  Università  di  Pisa  e  poi  a  quella  di  Pavia.  Di  ià  fece  ritorno  a  Pisa, 
quindi  recossi  nel  161G  a  Bologna,  ove  morì  nel  1618.  Km  di  assai 
valore  nellA  giurisprudenza  e  nello  belle  leUen*,  come  mostrano  lo 
poesie  di  lui  registrate  da  Anoelo  FABRONr;  Uisiorine  Accademia^  Pi- 
sanae,  Pisis  1791  ai  95  Tom.  II.  pa^.  *2o3.  —  Annibals  Mariotti: 
Di  Pei-ugini  auditori  della  S,  Romana  Ao/a,  memorie  istoriche.  Perugia 
Ì787.  Fu  anche  lettore  in  Macerata  dopo  Fermo. 

(2)  l*e  stesse  facoltà  professò  nell*  Università  di  Perugia,  ove 
dette  alla  luce  pei  tipi  di  Pierpaolo  Orlandini  nel  Ì589  alcune  di- 
lucidazioni su  varie  oscure  proposizioni  di  .Aristotile.  È  autore  di 
altre  opere  tilosoGche  e  teologiche  e  di  uno  scritto  di  singolare  ar- 
gomento, cioè:  De  Iribut  coronis  PorUif.  Max.  nee  non  de  osculo  eius 
pedum  lAiclatus  ad  Sixlum  V  Poni.  Max.  Stampato  a  Roma  per  Gio- 
vanni Martinelli  nel  Ì587. 

(3)  Successe  a  Pierio  Fontana,  da  qui  passò  in  Imola  ad  inse- 
gnare belle  lettere,  e  di  lui  abbiamo  vari  epigrammi  sopra  gli  stemmi 
delle  nobiltà  imolesi:  Moriei  Moricii  flrmani  kumanarum  lilerarum 
profusoris  liber  slemmalum,  in  quo  epigrammala  praeeipue  ad  Cives  Imo^ 
lenses  eonlinenlur,  fìononiae  apud  Alexandrum  Beoatium  1858;  con  le 
figure  degli  stemmi. 

(4)  Si  applicò  anche  alla  medicina,  come  rilevasi  da  una  diser- 
tazione stampata  io  Roma  nel  1586  presso  Cardano  e  Francesco 
Coaitino  intitolata:  Caesaris  Ollinelli  fir mani  ari.  philos.  iurit  utriusque 
docloris  de  euranda  porrigine,  scritta  in  grazia  di  Giambattista  Rai- 
mondi professore  di  matematica  nella  Sapienza  di  Roma  sotto  Gre- 
gorio aIII.  che  soffriva  11  suddetto  male  della  porrigine.  Questa  ope- 
retta sparsa  di  greca  erudizione  fa  vedere  quanta  scienza  possedesse 
questo  nostro  concittadino,  che  fu  ricordalo  anche  dal  celebre  F^an- 
glet  da  Fresnoy  noi  cntnlogo  do^li  Ktorici  dello  stato  ecclesiastico  per 
r altro  suo  bel  lavoro:  De  Firmo  Piceni  wbó  nobiiixuma.  Etogium  ad 
Xislum  Quintum  poni.  max.  più  volto  citato  Vodi  Ì*anklu  op.  cil, 
Tom.  II.  paj;.  eSS. 


442  RISTAURAZIONE 

Paoaki  Paolo  da  Monterubbiano  in  Glosofia  (1). 
Palmieri  Gio.  Battista  da  Bologna  in  giurispnid.  (2). 
Petrucci  Marino  da  Lapedona  in  grammatica  e  retorica. 
PiccoLOMiNi  Ippolito  da  Siena  in  giurisprudenza  (3). 
Plinio  Sabinense  in  giurisprudenza. 


(1)  Praioilo  del  celebre  piitore  Vincenzo  Pagani,  fu  u<litore  del 
Card.  Mon tallo  poi  Sisto  V,  vicario  generale  di  S.  Carlo  Borromeo, 
e  molti  anni  con  autorità  papale  stette  nell'Arcivescovato  di  Urbino. 
Monsig.  Alessandro  Borgia  Arcivescovo  di  Fermo  nella  sua  S.  Vi- 
sita tenuta  in  Monterubbiano  nel  1728  mal  soffrendo  che  le  ossa  di 
si  cospicuo  personaggio  giacessero  più  a  lungo  dimenticale  nel  cimi- 
tero, emanò  un  decreto  ordinando  che  fossero  collocate  in  un'arca 
marmorea  nella  sacrestia  della  chi'^sa  di  S.  Francesco  per  cura  della 
Confraternita  del  SS.  GrociGsso»  e  quindi  inviò  la  seguente  iscrizione 
che  per  deplorevole  trascuranza  non  fu  mai  posta: 

D.  0  M. 
Paulo  Pagano  I.  U.  D.  Protonotario  Apostolico  qui  ob  vitae  in- 
tegritatem  miramquc  probilatem  summis  Ponlifìcibus  quam  gratus 
extitit  post  ingentes  labores  prò  Ecclesia  Tipherni ,  Urbtni ,  Firmi, 
Mediolani  et  alibi  diligentissime  prepessos  tandem  Vicarius  Aposto- 
licus  Marsic.  inGrmitate  oppressus  in  Patriam  rediens  corpus  hic  hu- 
mandum  prò  observantia  erga  religione m  Scraphicam  Anno  aetatis 
soae  LVIII.  Conci vibus  flentibus  Animam  Deo  reddidit. 

Cunfratres  SS.  Cruci Gxi  pietatis  ergo 
B.  M.  P.  C 

E  ricordato  da  Orazio   Ci  valli  :    Visita  triennale  presso  il  Cologci, 
Tom.  XXV,  pag.  157. 

(2)  Lesse  anche  in  Bologna,  come  si  ha  dal  FANTuzzr  e  dairA- 
UDOSi  op.  cit. 

(3)  Cominciò  a  leggere  nello  studio  patrio,  quindi  divulgatasi  la 
fama  del  suo  valore  venne  chiamato  a  Fermo  nel  i58d.  Dopo  quattro 
anni  fece  ritorno  al  Liceo  di  Siena,  e  passò  da  ultimo  alla  cattedra 
primaria  di  legge  in  Messina,  di  cui  illustrò  gli  statuti  municipali, 
ed  ivi  mori  nel  1622.  Vedi  il  Gigli:  op.  cit.,  tom.  1,  e  rUouROiBBi: 
op.  ciL  P.  1.  È  assai  lodato  dall'  Evangelista.  Vedi  Orai.  XXXIX, 
pag.  168  sopra  cit. 


SOTTO   IL    I^ONTIFIOATO  DI   SISTO    V.  443 

Raccamadoro  Giacomo  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 
Ranucci  Fabio  da  Macerata   in  giurisprudenza  (2). 
Ricci  Francesco  da  Montefiore  min.  conv.   in    teologia. 
Ronconi  Biagio  da  Ponzano  iu  grammatica  e  retorica. 
Scacchi  Cesare  da  Norcia  in  medicina  (3). 
SciARRA  Silvio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
ScLAFENATi  Camillo  da  Milauo  in  giurìsprupenza  (4). 
Sante  da  Rimino  agostiniano  in  filosofia. 
Sehproni  Francesco  da  Fermo  in  filosofia. 


(1)  \halet  referondario  e  prulonolario  apostolico  fu  mandato  al 
Governo  <li  Carponiraspo  città  multo  rugguartlevole  di  Francia  ai  tempi 
lU  Clementi»  Vili  o  l'aoio  V.  La  patria  <ì  valse  dell*  opera  sua  in 
molti  negozi»  nella  cui  tratia/.ioMH  fu  peritisrimo. 

(i)  Lt*ss6  anche  in  patria  e  nell*  Università  di  Parma.  A  Fermo 
pubblicò  le  suo  l*!7Ìoni.  Lectiones  habifae  in  rubr.  ci  L  l  If.  de  legai, 
primo  in  almo  firmanorum  Gymnasio.  Firmi,  De  Moniibus  1093  in- 
titolandole alla  città  sies^^a.  A  Parma  detto  alla  luco  un*altra  sua  opera 
col  titolo.  ConttiluUones  el  dismluliones  AnUnomiarum  singularesqiie  inlel* 
leciut  atl  principates  insiifulìonum  locos.  Parmae  Viothi  1608.  Ne  fa 
menzione  il  P:  Missorio  dei  min.  conv.  chiaro  professore  di  eloquenza 
nella  «uà  disscria/.ione  De  necessitate  etoquenliae  ad  seienliam  universam 
letta  e  stampata  in  Macerata  nel  1721. 

(3)  Notissimo  per  la  sua  perizia  nella  chirurgia  e  notomia  prestò 
r  opera  sua  nel  curare  por  dieci  mesi  la  Re;;ina  Elisabetta  d' Inghil- 
terra, da  cui  era  stato  chiamalo.  Reduce  in  Italia  carico  di  doni  e 
di  onori,  motte  Università  se  lo  contesero  per  averlo  lettore,  ma  egli 
prescelse  di  accettare  la  cattedra  di  medicina  in  quella  di  Fermo, 
come  sappiamo  dalle  parole  del  fratello  Durante  illustre  medico  di 
quei  tempi  ed  autore  di  molte  opero  dirette  a  Cesare,  €  lo  Italiam 
reversus  a  praectaris  fìrmanis  cìvìbis  conductus  in  pubblico  ilio  Gy- 
mnasio publico  lectoris  munus  obiisti,  a  pluribus  civiiatibus  optatus 
et  arcessitus,  aliquibus  cum  maxima  laude  te  praebuisti  ».  Vedi  Pa- 
nelli :  op.  cit.  tom.  II,  pag.  205. 

(4)  Nobile  milanese,  conte,  cavaliere,  lettore  prima  nel!*  Univer- 
sità di  Pavia,  poi  nella  nostra.  Di  lui  ragiona  con  molta  lode  Filippo 
Aroklati:  Biolioleca  scriptorum  niédiolinensium,  Milano  1745.  T.  II, 
pag.  1303.  e  registra  diverse  sue  orazioni  e  poesie,  tra  le  rime  stam- 
pate in  Fermo  in  lode  di  Sisto  V  trovasi  un  suo  epigramma.  Sarà 
stato  forso  scolare  di  lui  Giambattista  Visconti,  pur  milanese,  uomo 
iniiigne  comò  nell.i  locale  coA  in  ullrn  facolià.  mentre  l'AnoeLiTt  op. 
cit.  Tom.  Il,  pag.  \Cì\{],  dico  parlando  del  Visconti:  e  Inferiorihus 
studili  in  patria  exactis  primum  Firmi,  deindt^  Ticini  log.itibjs  operam 
dedil.  »  Nella  suiMc*ita  racculiu  di  rimo  leggonsi  due  epigrammi  del 
Visconti,  che  trova  vasi  allora  in  Fermo 


444  RISTACIKAZIONÉ 

Seyero  MABCAirroNio  da  Perugia  in  giurisprudenza  (1). 
Sforza  6io.  Francesco  da  .    .    .  in  giurisprudenza. 
SiMONETTi  Aquilantb  da  Servigliano  in  retorica  e  ma- 
tematica. 
SoLiMANi  Gio.  Berkardivo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Tassoni  Gio.  Battista  da  Massignano  in  medicina  (2). 
Termini  Vincenzo  da  Fermo  in  gramm.  e  retorica  (3). 

(i)  H  26  gennaio  1586  fu  eletto  a  primo  professore  di  diritio 
coir  onorario  di  Se  700  spese  di  viaggio  ed  abilazione ,  questo  illustre 
giureconsulto ,  che  per  più  anni  aveva  letto  nella  patria  Università, 
e  sebbene  chiamato  anche  a  Bologna  prescelse  di  venire  a  Fermo. 
Quivi  avvenuta  la  sua  morte  il  Consiglio  di  cernita  con  risoluzione 
25  settembre  1587  determinò  doversi  onorare  con  solenne  funere  a 
pubbliche  spese,  intervenendovi  il  Magistrato,  ed  accompagnarsi  pure 
a  pubbliche  spese  da  due  cittadini  fermatii  la  vedova  moglie  e  fami- 
glia nel  ritorno  in  Perugia.  Quando  Accursio  Baldi  fuse  in  bronzo 
la  statua  di  Sisto  V,  il  Consiglio  ordinò  il  23  giugno  1590  al  mede- 
simo artista  la  fusione,  anche  del  semibusto  del  celebrato  professore, 
che  con  abito  di  costume  vedesi  netP  atrio  del  rtostro  Duomo  sopra 
la  seguente  iscrizione: 

M.   ANT.  SBVBBO   NOB.   PB 

BVS   .   IVBIS   .  COSMO   .    QVI   .   POST 

BBSTITVTIONB   .  OYMNASII 

siXTi  .  V  .  POT  .  ivssv  .  pai 

MVS   .   BXTITIT   .   LE 

OV   .   INTBBPBBS 

8.   P.   Q.   F. 

(2)  Che  leggesse  a  Fermo  lo  attestano  la  lapide  collo  stemma 
che  era  nel  tempio  di  S.  Francesco.  V^edi  il  Db  Minigis  fiser.  ferra.) 
N.  343,  od  una  iscrizione  in  Massignano,  V.  Filippo  Bruti  Libbbati, 
i*  memoria  sul  Comune  di  Massignano,  Ripatransone  presso  Giacomo 
Jaffei  Ì847.  —  55^  memoria  suiti  leUerali  Ripani  con  notizie  della  casa 
Tassoni  in  aggiunta  atta  28*  memoria  sulta  via  Cuprense.  Ripatransone 
dalla  tip.  dei  fratelli  JafTei  1860. 

(3)  Insegnò  anche  a  Roma  comò  si  ha  dal  seguente  titolo  di 
un  suo  libretto:  Oratio  Via.  Terminii  firmani  inilio  studii  atmae  urbis 
habita  ad  Paulum  HI!  poni.  inox.  Et  libetlus  de  Homanorwn  Magistra" 
tuum  anliquis  nominibus  ao  de  iis,  quibus  nostro  utimur  tempore.  Romae 
novemb.  Àntonii  Biadi  literarum  notis  MDLV. 


SOTTO  IL   PONTIFICATO  DI  SISTO  V.  445 

ToLOMEi  GiovAN  PiETBO  da  Siena  in  giurisprudenza. 
TossiGNANi  Paolo  da  Bologna  in  giurisprudenza  (1). 
Umili  Ottaviano  da  Patrignone  in  grammatica  e  retorica. 
Venturini  Alberto  da  Siena  in  giurisprudenza. 
Zoppio  Girolamo  da  Bologna  in  eloquenza  (2). 

{\)  Dalla  patria  Università  venne  nella  fermana.  In  Bologna  dal 
Collegio  dei  giureconsulti  gli  furono  poste  nel  1589  due  iscrizioni 
assai  onoriGche  riportate  dairAuDOsi  op.  cit.  Passò  poi  all'Università 
ili  Parma,  occupandovi  la  prima  cattedra  e  là  morì  nel  1612.  Le  ri- 
corda anche  il  Pantuzzi  op.  cit.  iV. 

(2)  Fu  il  primo  professore  di  eloquenza  dopo  la  ristaurazione 
deir  Università,  e  nel  4  novembre  1585,  come  si  disse,  recitò  una 
bella  ed  elegante  orazione  di  poi  stampata,  dedicandola  al  Cardinale 
Alessandro  Pereiti  :  Oratio  Hieronymi  Zoppii  bononiensis  habila  in  pri- 
mordh's  firmarli  studii  anno  MDLXXXV,  Firmi  apud  Serlorium  Do  Mon- 
tibus  1585.  I^e^^se  eloquenza  nnche  in  Macerata  od  in  Bologna  giusta 
quanto  ne  riferiscono  TAlidosi  ed  il  Fantuzzi  op.  cit.,  i  quali  igno- 
rarono che  fosse  littore  in  Fermo.  Godette  V  amicizia  e  la  stima  del 
Mureto;  fu  \alento  «lifensorc  di  Danto  contro  il  Bul^arini  di  Siena, 
e  del  Caro  CDOtro  il  Castelvelro;  e  dette  alla  luco  mollo  opere  rt*gi- 
strato  dal  Fantuzzi;  da  Fermo  fece  ritorno  in  Patria.  Di  lui  parlano 
con  assai  lodo  il  Tirabosghi  od  il  Missoaio  op.  cit. 


IV. 


SDS  TIOKHDI  POSTSKIOBI  I  raCADSHZA 

• 

Gli  studii  furono  più  che  mai  coltivati  in  Fermo  nel 
secolo  deciraosettimo.  Tre  Aecad'^mie  letterarie  vi  fiori- 
rono mentovate  dal  Quadrio,  una  col  nome  de'  Vaganti 
intesa  specialmente  allo  studio  delle  leggi,  e  composta  di 
gentiluomini  sotto  gli  auspicii  del  bolognese  dottor  Lo- 
renzo Balzani  professore  di  diritto  civile,  coadiuvato  dal 
Conte  Prospero  Bonarelli  anconetano,  avente  per  impresa 
una  campagna  erbosa  con  molti  cani  da  caccia  qua  e  là 
sparsi  tracciando  la  fera  col  motto  —  Vestigia  certa  se- 
quuntur:  —  altra  degli  Avvivati  o  Ravvivati,  che  scelse 
per  impresa  un  bue  morto  dal  cui  ventre  nascono  api 
col  motto  —  ex  alieno  funere  vitam  —  e  la  teraa  degli 
Erranti  già  Raffrontati  istituita  da  Berlinghiero  (ressi 
bolognese,  la  cui  impresa  fu  una  nave  in  mare  e  nel- 
l'aria la  croce  stemma  della  nostra  città  con  sopravi  il 
motto  —  da  facilem  cursum.  Questa  tolta  dal  Senato 
fermano  sotto  la  sua  protezione  per  un  decreto  del  Con- 
siglio di  cernita  del  26  Aprile  1640  si  segnalò  sopra  le 
altre  nella  sua  lunga  vita,  che  durò  quanto  quella  del- 
l' Università,  alla  quale  era  collegata,  e  fu  tenuta  in  al 
tissima  stima  essendovi  iscritti  i  più  illustri  scienziati  e 
letterati  (1).  Sorsero  pure  due  nuovi  istituti,  il  Collegio 

(I)  Vi  ha  un  libretto  relativo  a  questa  accademia  col  titolo:  L^g^i 
e  rìforinanze  dell'Accademia  degli  Erranti  già  RaffrorUali  di  Fenno  piMli- 
cale  ed  approvale  nell'adunanza  de'  29  novembre  i754  sotto  la  cura  dd 
nobil  uomo  il  sig.  Conte  Giosefo  Spinucci  Principe  della  medesima  Acca- 
demia. Fermo  1754  per  Dom.  Ànt.  fìolis  e  frat.  Stamp  dell'  Acca- 


SUE   VICENDE   POSTERIORI   E   DECADENZA  447 

Canuti  ed  il  Collegio  Ulirioo  ed  Albanese.  Quanto  al  pri- 
mo avendo  Monsignor  Andrea  Canuti  di  S.  Elpidio  a 
mare  Vescovo  di  Oppido,  nel  suo  testamento  del  1 5  Set- 
tembre 1610  ordinato  l'erezione  di  un  Collegio  da  farsi 
in  Roma  o  nella  provincia  fermana,  ^rono  interessati  i 
Cardinali  di  Cosenza  e  Verallo  esecutori  testamentari , 
perchè  V  erezione  seguisse  a  Fermo ,  il  che  si  ottenne 
colla  mediazione  del  Cardinal  De  Medici ,  il  quale  ne 
prese  particolare  impegno  verso  i  suddetti  Cardinali ,  e 
nel  1625  venne  istituito,  ma  si  perdette  nel  1655  per 
essere  incorporato  al  Collegio  Piceno  in  Roma  (1).  Poco 
appresso  ossia  nel  1663  fu  aperto  dalla  Congregazione 
di  Propaganda  un  Collegio  detto  Illirico  od  Albanese 
sotto  il  titolo  de'  SS.  Pietro  e  Paolo,  mediante  lo  sborso 
di  non  lievi  somme  fatto  dalla  Città,  jer  i  giovani  di 
quelle  provincie  che  venivano  ad  istruirsi  e  ritornavano 

detnia.  Si  pubblicò  nel  medesimo  anno  anche  il  catalogo  dei  Soci 
riportato  dal  P.  Pranceso  Antonfo  Zacg\ria  nulla  !*aa  Storia  UHerarii 
d' Italia ,  voi.  XIV,  paj;.  6  a  10,  ove  parla  dell' Accademia  dej^li  Er- 
ranti. Se  ne  fece  una  seconda  edizione  nel  1756  per  Io  stesso  Do- 
menico Antonio  fìolis  e  frat.,  ed  indno  si  le^ì^e  il  copioso  catalogo 
degli  Accademici.  Ai  tempi  del  priino  re:;no  italico  tolse  il  nome  di 
Società  lelleraria  con  V  epigrafe. 

mClTB    QUAE   PONTIS   AOANIPPIDOS  HIPPOCRENBS 
ORATV   MBDC8AE1   SIQNA   TENBTI8    EQUI 

V.  GcRi  :  U  Àccadimie  di  Fermo,  Lettura,  ecc. 

(2)  Maooiori  Doubnico:  De  Firmanae  Urbis  origine  atque  omamentis 
pag.  24  nota  fdj  €  Andreas  Canutus  Elpidiensis  Ci  vis  et  Oppidensts 
Episcopus  Collegium,  quod  rjus  nomine  Uanutum  appellabatur,  insti- 
tuit  an.  1625  prò  suis  tribulibus.  Post  ejus  obilum.  Firmi  primum  con- 
miit  anno  1625.  deinde  Romae  restitutum  fuit  an  1655  prò  iisdem 
ad  cerium  numerum  in  Piceno  Collegio  alendis.  » 


448  sue   VICENDIC    POSTERIORI    K   DbCADENZX 

poi  in  qualità  di  operai  evangelici  nella  loro  patria,  re- 
cando la  luce  della  scienza  e  della  religione  fra  le  bar- 
bare genti;  e  non  pochi  de'  nostri  alunni  giunsero  al 
Vescovado  ed  all'Arcivescovado.  Nel  Febbraio  del  1476 
la  detta  Congregazione  lo  concentrò  in  Roma  e  la  casa 
fa  acquistata  dai  Filippini  (1). 

(I)  BoBOiA  Alessandro:  Chronica  Ecclesia  firmanae  ab  anno  i74i 
ad  i758  M.  5.  che  trovasi  nella  biblioteca  Anno  1746,  N.  4,  T.  II. 
pag.  60  e  Molestum  hoc  anno  nubis  et  firmanis  omnibus  accidit;  qood 
Coliegium  lllyricorum  ad  orihodoxae  fidei  propagationem  in  hac  Ci- 
vitate  fere  a  saeculo  statatum  Mense  Fobruario  ex  Decreto  Congre- 
gationis  Cardinalium,  quae  operi  propagandae  (idei  prsieest,  tolleretur 
ita  ut  decem  qui  in  eo  erant  Alumni  23  Febrnarìi  Firaio  Romam 
versus  discederent  in  Collegio  Urbano  huius  Congregai ionis  deinceps 
educandi.  Ubi  primus  ri*i  rumor  ad  nos  delatus  est,  statim  lìteras 
dedi  ad  Benedictum  Romanum  Pontificem  (qui  superiori  anno,  cum 
Romae  essem,  egregiam  voluntatem  suam  nostrum  lllyricorum  Col- 
iegium augcndi  mihi  aperuerat),  ut  improvisum  hoc  et  importunum 
Sacrae  Congregalionis  consilium  ahrumperel.  Haec  enim  Civitas  vo- 
luti Retigìonis  Arx  conlra  Illyrium  posita  videtur  commeatu.  Adria- 
tico tantum  sinu  interjecto:  hic  salubritas  aeris,  hic  rerum  omnium 
ad  Alumnorum  victum  copia,  hic  bonarum  literarum  studia,  et  exer- 
citationes  frequenles;  sacrae  quoque  actiones  crebrae  et  cum  maie- 
state  conjunctae,  et  multa  ad  colendam  pietatom  exempla  et  indta- 
menta,  prout  benemorata  Provinciae  Metrepoli  ac  in  celebri  et  ve- 
tustissimo facultatum  omnium  Gymnasio  esse  decet.  Addebam , 
Alumnos  qui  hacteaus  ex  hoc  Collegio  prodierant,  quamvis  aelate, 
Pueri  literìs  omnino  rudes  huc  venissent.  brevi  literas  assecutos  stre- 
nuos  et  inconfusibiles  Evangeli  Operarios  evasisse,  plures  quoque  ad 
Episcopatus  et  Archiepiscopatus  Inter  Barbaros  deinde  assumptos. 
Ex  eo  ìgitur  agro,  ubi  germina  haec  adeo  faciliter  adolescunt  et  ad 
maturitatem  perveniunt,  nullam  esse  rationem  evellendi;  praesertim 
cum  a  nostris  hominibus  aliqua  pecuniae  summa  legata  ac  numerala 
olim  fuisset  Sacrae  Congregationi  prò  costruendis  in  hac  Civitate 
Collegi!  Aedibus,  quae  hactenus  constructae  non  erant.  Nihilominus 
cum  de  Causa  hac  nemo  Romae  bene  speraret,  prò  confecta  enim 
et  absoluta  habebatur  ex  Decreto  Sacrae  Congregationis  quae  Bene- 
dicti  mentem  et  aures  occupaverat,  nullus  inventus  est  qui  literas 


SUE  VICENDE  POSTERIORI   E  DECADENZA  449 

Venendo  alla  nostra  Università  è  da  notare  anzi- 
tutto come  nel  7  Marzo  1606  dal  ceto  degl'  illustri  uo- 
mini preposti  alla  medesima  (1)  furono  confermate  le 
costituzioni^  decreti  e  leggi  riguardanti  gli  offici  dei  Pre- 
fetti ,  del  Priore ,  dei  Presidi ,  dei  Consiglieri  dei  vari 
Collegi  dei  giureconsulti,  dei  teologi^  dei  filosofi,  dei  me- 
dici e  dell'  ufficio  dei  Priori  e  dei  Cancellieri  di  ciascun 
Collegio,  ed  in  pari  tempo  stabilito,  che  se  nascessero 
dubbi  nella  varietà  dei  tempi  o  per  altro  caso,  la  dichia- 
razione appartenesse  ai  Priori,  Regolatori,  Prefetti  ed  al 
ceto  degli  altri  distinti  personaggi  appartenenti  al  Gin- 
nasio, e  si  dovesse  inyariabilmente  osservare  ciò  che 
avessero  essi  deciso,  purché  vi  fosse  1'  approvazione  del 
Y  Arcivescovo  prò  tempore.  Nel  capitolo  ove  si  parla  della 
elezione  dei  Consiglieri;  che  erano  scelti  come  si  disse 
fra  i  giovani  delle  diverse  regioni,  sono  noverati  tutti  i 
luoghi  dai  quali  gli  studenti  si  recavano  qui  in  Fermo 
ad  istruirsi  nelle  scienze,  ed  eccone  1'  ordine: 

Germana,  Calabra,  Sicula,  Transalpina,  omnes  Tran- 
salpinas  nationes  continens. 

nostras  et  Givìtatis  preces  ei  redderet.  Cardinales  et  Àdminìstri  Gon- 
gregationis  causabantur  grave  dispendi uxn  prò  hoc  separalo  Collegio; 
aed  8i  non  adeo  exiguum  et  congruum  Àlumnoroni  numenim,  puta 
▼iginti,  eìdem  dedissent  prout  alias  dederuDt,  ratio  sumptuum  Inter 
tantos  distribula  modica  fuisset. 

(1)  Il  celo  era  composto  dai  Priori  Properzio  Morici,  Febo  Poli- 
dori,  Ntccola  Francolini,  Antonio  Maria  Savini,  Marco  Martello;  dai 
Regolatori  Annibale  Pormoni,  Cav.  Marco  Attilio  De  Nobili»  Leo- 
pardo Montani;  dai  Prefetti  del  Ginnasio  Ottavio  Assalti,  Giovanni 
Battista  Paccaroni,  Ludovico  Galvucci,  Papirio  Grisostimi;  e  dai  Si- 
gnori Belisario  Azzoiino,  Ottavio  Assalti,  Giovanni  Marino  Mancini, 
Giovanni  Lorenzo  RuCTo,  Adamo  degli  Adami,  Francesco  Ricci,  Ste- 
fano Paccaroni,  Vincenzo  Grassi,  Anlonio  Assolino. 

Archiv.  Slor.  March.  V.  /.  21) 


450  SUE  YICENDE  POSTERIORI   E  DECADENZA 

Romana,  XJrbem,  Latium,  Sabinam/et  Patrìmonium 
complectens. 

Cisalpina  omnia  loca,  Civitates  et  Diocesim  Bono- 
niae  exclusive  atque  ad  Alpes,  et  trans  montes  Appen- 
ninos  includens. 

Veneta,  Bononiensis,  Neapolitana  regiam  utramqne 
Siciliam  cis  et  trans  fraetum  Messanae  comprehendens. 

Dalmatica,  seu  trans  marina  cum  omnibus  adiacen- 
tibus  insulis. 

Flaminia,  quae  Ariminum  inclusive  et  Bononiam  et 
Ferrariam  exclusive  continet. 

Eavennas,  Aetrusca  cum  Perusina,  Umbria. 

Aprutina  cis  et  trans  Aternum,  Urbinas. 

Picentina  trans  Aesim  fluvium  cum  toto  Ducatu  Urbinì. 

Picentina  cis  Aesim  et  trans  Cluentum. 

Picentina  cis  Cluentum,  Picentina  cis  Truentum. 

Praesidatus  Farfensis  cum  Monte  Alto. 

Firmana  (1). 

(1)  Rigaardo  alla' frequenza  di  scolari  tedeschi  nella  nostra  Uni- 
versità merita  essere  riferita  ana  deliberazione  MÌeiriidananza  degli 
studi  del  24  dicembre  i674  €  Deìnde  fuit  etiam  al  infra  resolutum. 
Riuscendo  di  splendore  «  et  amphtìcatione  del  nostro  studio  il  con- 
corso che  in  esso  frequentemente  vi  fa  per  studiare  la  Gioventù 
della  Natione  Tedesca;  per  dimostrare  qualche  segno  di  slima,  et  af- 
fetto verso  alli  medesimi  Giovani ,  son  di  parere ,  che  a  ciascuno  di 
essi ,  in  occasione  che  si  dottoreranno ,  se  gì'  habbia  a  suonare  la 
campana  viola,  nel  modo  che  solo  si  pratica  con  li  scolari  titolati  e 
graduati  tanto  per  titolo  di  nobiltà  secolare,  come  per  dignità  eccle- 
siastiche, e  per  scuolari  della  Natione  Tedesca  s*  intendtno  tutti  gli 
Oriundi,  et  habitanti  con  continuo  domicilio  in  quelle  Città  e  Pro- 
vincie soggette  al  Sagro  Romano  Imperio  della  Cesarea  Maestà  di  là 
della  Dalmatia  esclusive.  Obtentum  per  omnia  Vota  i8  favorabilia 
nullo  contrario.  >  Venivano  da  Wittemberg,  Magonza.  Marburg,  dalla 
Moravia,  e  più  frequentemente  da  Gratz  e  da  Vienna. 


SUR   VICENDE   POSTERIORI   E   DECADENZA  451 

L*  illustre  Senato  fermano  sotto  il  giorno  28  Apri- 
le 1606  ordinò,  che  venissero  impresse  ed  osservate  tali 
costituzioni,  le  quali  poi  approvate  dall'  Arcivescovo  Ales- 
sandro Strozzi  nel  24  Settembre  1607,  come  cancelliere 
dell'  Università  a  norma  della  bolla  Sistina ,  videro  in 
queir  anno  la  luce  (1).  Successivamente  a  conservare  e 
ad  accrescere  il  decoro  del  nostro  Istituto  furono  prese 
due  deliberazioni  dall'  Adunanza  dell'  Università  degli 
studi  approvate  poi  dall'  Arcivescovo  Giannotto  Gualtieri. 
La  prima  di  esse  ò  del  12  Agosto  1671,  colla  quale  si 
danno  speciali  norme  ai  professori  ordinari  di  diritto  civile, 
e  facoltà  agli  scolari  che  aspirano  al  dottorato  di  scegliersi 
un  promotore  per  ricevere  le  insegne  (2).  La  seconda  è 

(1)  Furono  pubblicate  con  questo  titolo  e  Ordmes  oc  decr«ta  facia 
el  confirmala  ad  dignilalem  et  exislimalionem  nostri  firmani  Gynmasii 
Iwtndam.  Firmi  apud  haeredes  Salorìi  De  Montibiu  i607.  Ve  ne  furono 
altre  ed i /.ioni  :  Firmi  apud  Io.  Francis cum  De  Montibus  MDCXV  —  Et 
denuo  Firmi  Ì7i9  apud  Dom.  Ant.  Botis  et  frat,  impressores  Priorales 
—  Ei  denuo  Firmi  1783  apud  haeredes  Bolis  impressores  Priorales. 

(2)  Cosi  legj^esi  nel  libro  deiradunanza  degli  studi.  Omissis  €  P,^  Che 
il  duoi  signori  lettori  dell*  Ordinario,  conforme  si  sono  esibiti,  debbono 
leggere  nella  più  decorosa  maniera  le  loro  materie  o  debbono  ogni 
mese,  cioè  nei  mesi,  cbe  si  legge  nello  studio  fare  alternativamente 
nelle  proprie  case  le  loro  conclusioni,  o  accademie,  cbe  vogliamo  dire; 
2.  Cho  i  dotti  duoi  signori  lettori,  conforme  ba  suggerito  Mons.  Illu- 
strissimo Arcivescovo,  et  i  medesimi  signori  si  sono  esibiti  farlo,  deb- 
bano nei  tempo  delle  due  vacanze,  cioè  alternativamente  un  mese 
per  ano,  come  sopra,  fare  una  lettione  nella  sala  dell*  Illustrissimo 
magistrato  di  materie  singolari ,  cioè  il  sig.  Marco  Antonio  Ruffì  de 
feudis,  e  signor  Simone  Paetini  de  lurisdit,  o  altra  materia  singolare 
«  cosi  debbono  continuare  per  quattr*  anni ,  corso  comune,  e  rego* 
laro  per  i  corsi  delT  Ordinario  ;  3.  Che  li  medesimi  signori  lettori  del- 
l'Ordinario non  debbono  leggere  le  materie  deir  Istituto  o  dello  stra- 
ordinario, et  air  incontro  tanto  i  signori  lettori  dell*  Istituto,  come 
dello  Straordinario,  o  altri,  che  siano  non  possine  leggere  sotto  qual- 


452  SUE  VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA 

del  28  Aprile  1676,  in  cui  si  stabilisce  che  i  professori 
stipendiati  di  diritto  civile  e  canonico  non  sieno  piik 
che  1 0 ,  due  per  spiegare  1'  ordinario  civile ,  due  per 
V  ordinario  canonico ,  due  per  lo  straordinario ,  quattro 
per  le  istituzioni,  e  quelli  di  medicina  non  più  che  4, 
due  per  la  pratica  ordinaria  e  due  per  la  teorica;  che 
i  dottori  i  quali  aspirano  alle  cattedre  suddette,  anche 
quelli  che  di  quel  tempo  le  occupavano,  eccettuati  i  due 
lettori  ordinari  civili  Marco  Antonio  Ruffi  e  Simone  Pae- 
tini  e  r  ordinario  di  medicina  Domenico  Pieri  per  il  loro 
sperimentato  valore,  debbano  sottoporsi  all'  esame  da  te- 
nersi da  quattro  dottori  nominati  all'  uopo  dalla  stessa 
adunanza  ed  alla  presenza  dell'  Arcivescovo ,  dell'  illu- 
strissimo Senato  e  dei  signori  Prefetti  dello  studio ,  e 
riusciti  essere  passati  in  cernita  (1). 

Una  parte  dell'insegnamento  universitario  venne  af- 
fidato fin  dal  principio  del  secolo  decimo  settimo  ai  Padri 
della  Compagnia  di  Gesù,  già  invitati  dall'Arcivescovo 
Bandini^  come  si  disse,  per  aprirvi  un  collegio.  I  primi 
Gesuiti  si  stanziarono  in  Fermo  nel  1601  in  alcune  case 

sivoglia  pretesto,  o  colore,  ne  meno  in  casa  pri v alani en te,  o  dettare, 
che  vogliam  dire,  le  materie  dell'  Ordinario,  le  quali  solamente  sì  po- 
tranno leggere  sì  in  pubblico  come  in  privato  dalli  sudetti  signori 
Marco  Antonio  Bufi  e  Simone  Paetini  lettori  dell*  Ordinario  ;  4.  Che 
espressamente  si  dichiari,  che  ad  ogni  scolare  sia  lecito  di  farsi 
dottorare  da  chi  lettore  gli  piace,  senza  attendere,  se  gli  sia  stato 
lettore  o  nò,  come  anche  se  di  quali  materie  gli  siano  stati  lettori 
per  togliere  questa  emulati one  di   haver  scuolari   tra  signori   lettori 

e  perchè  i  medesimi  scuolari  habbino  una  piena  libertà » 

(1)  Il  transunto  in  latino  di  queste  due  deliberazioni  con  i  rela- 
tivi decreti  di  approvazione  emanti  dall*  Arcivescovo  Gualtieri  sono 
riportali  nella  terza  e  quarta  edizione  del  libro  Ordines  ae  decreta  ecc. 
di  sopra  ricordalo. 


SUE   VICENDE   POSTERIORI   E   DECADENZA  453 

presso  la  Chiesa  di  S.  Michele  Arcangelo.  Il  Pontefice 
Paolo  V  volendo  ancor  esso  concorrere  ali*  erezione  di 
detto  Collegio  stabilì  con  suo  breve  del  23  Settem- 
bre 1605  (1)  a  favore  dei  padri  componenti  il  medesi- 
mo un'  annua  perpetua  gabella  sul  sale  da  vendersi  nella 
città  e  provincia  fermana  in  se.  250  oltre  gli  se.  100^ 
che  aveva  per  immemorabile  diritto  il  nostro  studio  dalla 
R.  C.  Fra  la  comunità  di  Fermo  ed  il  P.  Virgilio  Ce- 
pari  a  nome  del  Generale  P.  Claudio  Acquaviva  si  stipolò 
un  istrumento  rogato  il  23  Marzo  1609  dal  Notaio  fer- 
mano Ludovico  Savini,  sia  per  le  cattedra  da  provvedere 
sia  per  la  erezione  del  Collegio,  il  quale  fu  aperto  nel  1611 
nel  palazzo  Eufreducci  vicino  alla  Chiesa  di  S.  Salvatore 
concessa  ai  Gesuiti ,  riunendo  le  anime  di  questa  par- 
rocchia a  quella  di  S.  Martino.  Sursero  però  in  progresso 
di  tempo  gravi  questioni  che  dettero  luogo  a  clamorosa 
lite  portata  a  termine  con  un  istrumento  di  concordia  (1) 
contenente  i  capitoli  fra  la  città  di  Fermo  ed  i  padri  del 
Collegio  della  Compagnia  di  Gesù  determinati  da  Monsig. 
Pier  Lorenzo  Marchese  Gallerati  Governatore  dopo  sen- 
tite le  parti  in  diversi  congressi.  In  tale  atto  la  Città 
rinunciando  ai  Gesuiti  il  diritto  di  ripetere  sonmie  vi- 
stose indebitamente  pagate  ai  medesimi  per  vari  anni, 
sborsò  altri  se.  3000,  ed  essi  alla  loro  volta  si  obbli- 
garono di  dare  per  le  scuole  dell'  Università  un  lettore 

(1)  Questo  breve  dato  a  Roma  il  23  Settembre  1605  incomincia 
In  Aposloticae  Sedis  culmine  ecc. 

(2)  L*  ÌBtramento  fu  stipulato  fra  il  Municipio  ed  il  P.  Iacopo 
Ottolini  Rettore  del  Collegio  facoltizzaio  da  Michelangelo  Tambur* 
rini  Preposito  generale  della  Compagnia  di  Gesù  e  rogato  il  30 
Decembre  1713  dal  notaio  fermano  Domenico  Piccinini. 


45 i  SUB   VICRNDC   POSTERIORI   E   DECADENZA 

di  teologia  scolastica  ed  un  altro  di  teologia  morale,  tre 
lettori  di  filosofia  cioè  di  logica,  di  fisica  e  metafisica,  an 
professore  di  retorica,  uno  di  umanità  e  due  maestri  di 
grammatica  per  la  sola  annua  retribuzione  di  se.  335  a 
carico  dei  proventi  comunali,  di  modo  che  alla  città  non 
rimase  allora  altro  peso  che  di  jrovvedere  alle  cattedre 
di  legge  e  di  medicina.  E  queste  furono  date  a  valen- 
tissimi professori,  molti  dei  quali  venuti  da  rinomate 
Università  ;  così  pure  insegnarono  a  Fermo  i  più  abili 
ed  i  pili  dotti  Gesuiti,  che  da  qui  passavano  per  lo  più 
al  Collegio  Romano.  Questi  non  conoscevano  scuole  più 
numerose  delle  nostre,  da  Roma  in  fuori ,  che  anzi  ve 
ne  ebbero  alcune,  come  quelle  di  teologia  morale  e  di 
eloquenza,  le  quali  pareggiavano  e  spesso  superavano 
le  romane. 

In  mezzo  a  tanto  ardore  per  gli  studi  si  videro  na- 
scere fra  noi  nel  secolo  decimottavo  diverse  società  let- 
terarie, la  Colonia  AWriziana  col  simbolo  di  un  grande 
albero  irradiato  dallo  zodiaco  ed  il  motto  —  divitiis  ani- 
ntosa  suis  —  la  Colonia  Arcade  con  la  sua  impresa  for- 
mata da  uno  scoglio  urtato  dalle  onde  col  motto  —  num- 
qaam  non  firmum  —  inoltre  le  Accademie  de'  Sollevati, 
degli  Estinti,  de'  Pescatori,  degli  Industriosi,  degli 
Acolomati,  de'  Filomati,  che  presero  il  motto  da  Isocrate 
—  Si  sis  phUomates  eris  polymates  —  e  de'  Poeti  in 
Arcadia  costituita  in  gran  parte  dai  giovani  teologi  della 
Università  (1),  d'onde  uscirono  nei  due  secoli  dopo  la 
ristaurazione  di  Sisto  Y  uomini  eminentissìmi.  Ci  limi- 
li) Cubi:  op.  cìt. 


SUB    VICENDE  POSTERIORI   E   DECADBN2A  45!( 

teremo  a  ricordare  alcuni  pochi,  come  Lorenzo  Azzolino 
Vescovo  di  Ripatransone  e  di  Nami  Segretario  di  stato 
di  Urbano  Vili  (1);  D.  Ottavio  d' Acqua  viva  d'  Ara- 
gona ,  al  cui  onore  fu  dedicata  una  raccolta  di  versi  ; 
Gaspare  Lusignani  costantinopolitano  di  nobilissima  stirpe 
Arcidiacono  della  S.  Casa  di  Loreto  e  Vicario  Generale 
di  detta  Città;  Cesare  Macchiati  di  Carassai  e  Romolo 
Spezioli  di  Fermo  archiatri  di  Cristina  Regina  di  Svezia, 
lo  Spezioli  anche  di  Alessandro  Vili,  ambedue  profes- 
sori neir  Archiginnasio  romano  (2)  ;  Giovan  Battista 
Scaramuccia  di  Lapedona,  Anton  Nicola  Bamabei  di 
Cossignano,  Regolo  Antonio  Tanzi  di  Castignano  illustri 
medici  ed  il  Bamabei  lettore  nel  Collegio  Nolfi  di  Fa- 
no (3);  il  Card.  Decio  Azzolino  giuniore  Segretario  di 
Stato  di  Clemente  IX  consigliere  ed  erede  della  Regina 
Cristina  (4);  Carlo  Azzolino  Vescovo  di  Bagnorea;  Fran- 
cesco Azzolino  Vescovo  di  Ripatransone;  il  rcputatissimo 
avvocato  Marcantonio  Morici  che  ebbe  sotto  la  sua  di- 
rezione per  le  materie  legali  e  politiche  e  laureò  nella 

(1)  Granile  politico  e  rinomalo  poeta  italiano  in  istile  satirico  in 
guisa  che  si  giudicò  aver  superato  Salvator  Rpsa.  Le  due  satire  più 
lodate  sono  quelle  della  lussuria  e  dell*  invidia.  Andò  in  Francia  col 
Cardinal  Francesco  Barberini  legato  a  later^  e  là  conobbe  il  Cardi- 
nale Richelieu.  V.  Papalini  Francesco  Nolisiti  biografiche  di  Lorenso 
ÀMtoUno,  In  I^reto  dalla  tip.  dei  fratelli  Rossi  1846. 

(2)  Di  questi  parla  il  Caraffa  De  Gym.  rom.  Il  Mardosio  Bectrfov 
in  quo  Pontifieum  archiatros  speclandos  eshibet,  il  Pamblli  op.  ciL  T.  Il 
pag.  299-309 

(3)  V.  il  Fanelli  op.  cit.  Tom.  II,  pag.  328>333-348. 

(4)  Fa  appellalo  1*  aquila  dei  negozi  e  degli  ingegni,  e  dal  Mu* 
ntorì  dichiarato  egfegio  poeta.  Gli  furono  coniate  diverse  medaglie 
illastrate  dall'Àvv.  Cav.  Gabtaro  D^  Minigis  nei  Monumenti  di  Fermo 
Parte  11»  pag.  41. 


456  SUE  VICENDE  POSTERIORI  E  DECADENZA 

sala  priorale  di  Fermo  D.  Francesco  d*  Acquavira  della 
prosapia  de'  Duchi  d'  Atri  poi  Cardinale  (1);  Annibale 
Adami  gesuita  rettore  nel  Collegio  romano,  ove  insegnò 
anche  lingua  greca;  Pietro  Assalti  di  Acquaviva  profes- 
sore di  medicina  in  Homa  (2);  Giovanni  Panelli  pur  di 
Acquaviva  illustre  medico  e  scrittore  ;  Monsìg.  Concetto 
Vinci  giureconsulto  profondo^  governatore  di  Sanse  verino, 
Fano,  Fabriano,  Iesi  e  Spoleto;  Stefano  Borgia,  che  fa 
poi  Cardinale  (3);  Teofilo  Battirelli  dotto  avvocato  ed 
elegantissimo  poeta;  Antonio  Benedetti  gesuita  scienziato 
e  letterato  di  assai  rinomanza;  Cesare  Erioni  lume  del 
Foro  romano,  Ignazio  Guerrieri  canonico  di  S.  Maria 
in  via  lata  insigne  latinista;  il  dotto  Cardinal  Cesare 
Brancadoro  Arcivescovo  di  Fermo  anni  34;  il  Cardinal 
Tommaso  Bemetti  Segretario  di  Stato  di  Leone  XTT  e 
di  Gregorio  XVI.  Sono  infine  da  aggiugnere  i  lettori 
fermani  del  secolo  XVII  e  XVIH,  i  cui  nomi  saranno 


(1)  Del  Morìci  si  valsero  in  assai  inlricali  negozi  raggaardevolis- 
Bimi  personaggi,  fra  i  qaali  il  Duca  d'Airi,  il  Principe  di  Cellammare, 
il  Marchete  di  Torrecusa,  Mons.  Leone  Strozzi  Nunzio  apostolico  io 
Torino,  Mons.  Tommaso  RufTo  inquisitore  in  Malta.  Egli  fu  eziandio 
buon  poeta,  o  pregiati  componimenti  in  verso  italiano  recitò  nell*  ac- 
cademia della  patria  e  di  Roma.  Morì  nel  1702. 

(2)  Le  note  della  metal loleca  del  Mercati  che  vanno  sotto  nome 
del  Lancisi  sono  certo  dell*  Assalti  di  lai  amicissimo.  Fece  T  edizione 
di  tutte  le  opere  del  detto  Lancisi  stampate  in  Ginevra  nel  1718.  V. 
il  Caraffa  ed  il  Panelli  cit.  pag.  364. 

(3)  Si  acquistò  molto  merito  in  Fermo,  riportando  nei  primiero 
splendore  T  Accademia  degli  Erranti  già  Raffrontati.  Segretario  ne 
compose  di  nuovo  le  leggi,  v*  introdusse  V  esercizio  delle  mensuali 
dissertazioni,  1*  arricchì  di  illustri  soci  corrispondenti.  V.  V  orasions 
in  lode  di  questo  porporato  recitata  netta  suddetta  Accademia  dal  nMle 
ViHGBirzo  Mora  -  Fermo  1763. 


sue  VICENDE  POSTERIORI  E  BECADENZA  457 

appresso  ricordati,  i  quali  quasi  tutti  ricevettero  la  lau- 
rea nella  patria  Università  (1). 

Ma  quale  umana  istituzione  può  resistere  alle  vi- 
cende dei  tempi?  Per  la  ristrettezza  degli  onorari  non 
poco  soffrirono  le  facoltà  legali  e  mediche ,  che  negli 
ultimi  tempi  si  concedevano  quasi  come  un  privilegio 
ai  patrizi  della  città,  fra  cui  però  ve  n'  ebbe  degli  ec- 
cellenti, perchè  di  quella  stagione  1'  aristocrazia  fermana 
teneva  in  assai  conto  la  coltura  dell'  ingegno  e  non  pol- 
triva neir  ozio  e  nella  infingardaggine.  Per  la  soppressione 
della  Compagnia  di  Qesìi  nel  1773  si  rese  difficile  di 
provvedere  alle  nove  cattedre,  che  essa  teneva,  sebbene 
per  donazione  sovrana  nello  stesso  anno  acquistasse  la 
nostra  Università  tutti  i  beni  appartenenti  ai  Gresuiti, 
con  r obbligo  di  pagare  i  lettori  e  maestri  da  eleggersi 
dal  Consiglio,  a  cui  ne  fu  attribuita  la  facoltà  dalla  Sacra 
Congregazione  degli  studi.  Anche  il  Pontefice  Pio  VI 
decretò  pagarsi  ad  essa  annualmente  dalla  Sev.  Cam. 
Apostolica  scudi  918  in  luogo  dei  soccorsi  che  ora  in 
maggiore  ed  ora  in  minor  somma  le  aveva  sempre  fin 

(I)  Dai  registri  rimasti  dei  Dottorati  abbiamo  tratto  le  seguenti 
notizie  statistiche  dei  laureati,  fra  cui  si  contano  molti  stranieri,  nelle 
diverse  facoltà  in  questi  due  secoli. 


8M.XVII 

6iiirl»pi 

■adeiiia 

Fiits«fia 

MedielM 

TmI 

o|ta 

269 

1719 

74 

490 

23 

79 

8m.  XVIII 

113 

793 

53 

469 

24 

39 

458  SUE   VICENDE  POSTERIORI   E   DECADENZA 

da  epoca  immemorabile  somministrato;  e  volendo  dare 
nuovo  attestato  dell^amor  singolare  che  portava  sJIe  scuole 
fermane  fece  alla  Città  per  uso  delle  medesime  fèrpe- 
tua  concessione  di  tutto  il  vasto  edificio  gih  ottante  al 
soppressp  collegio,  esclusa  la  Clyesa  e  qmJche  vano  ine-, 
rente,  che  cedette  in  proprietà  airÀrchiconfratemita  del 
SS.  Sagramento  (1).  A  procurarne  poi  ogni  migliore 
vantaggio  V  Arcivescovo  Andrea  de*  Conti  Minnucci  con 
editto  del  18  Maggio  1380  rinnovò  alcuni  provvedimenti 
presi  dai  suoi  antecessori,  ed  altri  ne  aggiunse  con  re* 
gelamenti  intomo  agli  studi ,  ai  libri  da  spiegarsi  ed 
alle  opere  di  pietà.  Ma  tutto  ciò  non  valse  a  rianimare 
la  Università  che  andava  di  grado  in  grado  declinando,  fin- 
ché per  r  invasione  francese  cadde  nell'  estremo  languore. 
Assunto  appena  alla  dignità  pontificale  Pio  Vii  non 
perdette  di  vista  la  fermana  Università,  e  dolendosi  che 
i  fondi  propri  di  essa  fossero  scomparsi,  che  nóìr  pia 
possedesse  la  Città  i  beni  coi  quali  era  accorsa  ai  bi- 
sogni di  quel  suo  stabilimento,  né  potesse  più  T  erario 
pubblico  pagare  la  somma  decretata  dal  suo  predeces- 
sore Pio  VI,  si  studiò  di  procurare  in  qualche  guisa 
una  rendita  allo  studio  nostro,  cui  desiderava  ardente- 
mente di  &r  rifiorire  con  lustro  anche  maggiore  dell'an- 
tico. La  Sacra  Congregazione  degli  Sgravi  e  del  Buon 
Governo  uniformandosi  ai  pensieri  del  Pontefice,  dette 
opera  per  troncare  con  una  concordia  le  molte  questioni 

(I)  Il  relativo  .«pecialc*  chirografo  del  17  Agosto  1776  trovasi 
allegato  in  atti  del  Notaro  e  Cancelliere  della  Reverendi  Camera 
Apostolica  Silvestro  Antonio  Mariotti  nel  giorno  19  del  mese  ed 
anno  citati. 


SUE   VlCeNDE   POSTERIORI   E   DECADENZA  459 

che  miseramente  consumavano  le  sostanze  della  Città  e 
delle  Comuni  del  Contado,  e  così  stabilire  una  dote  certa 
e  perpetua  per  V  incremento  di  essa.  Eletta  a  tal  uopo 
una  Deputazione  provinciale  si  aprirono  trattative,  per- 
chè air  abolizione  dell'  antica  tassa  denominata  dativa  o 
assetto  (1)  altra  se  ne  sostituisse  in  favore  dell'  Uni- 
versità, da  ripartirsi  suU'  intiera  provincia,  non  esclusa 
la  stessa  Fermo,  con  che  ciascun  comune  contribuente 
potesse  inviare  un  deputato  colla  facoltà  di  dare  il  suo 
voto  in  qualunque  deliberazione  relativa  a  tale  stabili- 
mento. Stipulata  tale  concordia  ed  umiliata  a  Sua  San- 
tità Papa  Pio  VII  l' accolse  benignamente,  e  non  dubitò 
di  farne  una  legge  col  Motu-proprio  1 3  Agosto  1 804  (2), 
ove  venne  ingiunto  all'  Arcivescovo  di  Fermo,  al  quale 
come  capo  dell'  Università  si  apparteneva  per  disposizione 
speciale  di  Sisto  Y  la  cura  e  la  direzione  della  mede- 
sima, di  rilevare  in  uno  coi  Deputati  alla  concordia  la 
spesa  occorrente  per  ripartirla  fra  la  Città  e  le  Comuni. 
In  base  di  essa  si  stabilì  la  tassa,  si  fece  il  riparto,  che 
venne    approvato   dalla  S.  Congregazione  con  dispaccio 


(1)  Gravi  e  dispendiose  queslionì  nacquero  fra  la  Città  e  le  Co* 
muni  che  sostenevano  non  aver  1*  obbligo  dì  pagare  questa  tassa 
dativa  o  asstlto,  ma  furono  troncato  con  sentenza  del  30  Aprile  1751 
di  MonF.  Mario  Guarnacci  Segretario  della  Congregazione  termina, 
che  rigettando  lo  ingiuste  opposizioni  dello  Comunità  riconobbe  il 
buon  diritto  nella  Città  di  Fermo  di  esigerla.  Dopo  il  motu  proprio 
del  19  Marzo  1801  di  Pio  Vii.  che  aboliva  la  gabella -camerale 
denominata  censii  affUli  e  eaposoldi,  insorse  di  nuovo  la  questione  se 
dovesse  intendersi  cessato  ancora  nelle  comuni  della  Provincia  Ter- 
mana  l*  obbligo  di  versare  nella  cassa  della  città  1*  annua  datioaoas* 
seitamenlo  di  se.  3038.  47. 

(2)  V.  Documenti  N.  6. 


460  SUE   VICENDE   POSTERIORI  E  DECADENZA 

10  Novembre  1804.  Dopo  ciò  T  Arcivescovo  Cardinale 
Cesare  Brancadoro,  al  cui  zelo  indefesso  era  dovuta  la 
speranza  di  vedere  il  nostro  studio  un'  altra  volta  gareg- 
giare coi  primari  d' Italia,  convocò  senza  por  tempo  in 
mezzo  il  Consiglio  generale  delF  Università  divenuta  sta- 
bilimento provinciale  della  Marca  fermana,  e  nel  27 
Aprile  1805  si  approvarono  le  spese  per  i  restauri  del 
palazzo,  per  le  macchine,  pei  libri  e  per  quant'  altro  era 
necessario;  e  si  approvò  il  piano  del  nuovo  stabilimento 
pubblicato  insieme  nella  notificazione  pel  concorso  alle 
cattedre  (1).  Di  poi  lo  stesso  Consiglio  nel  4  Settem- 
bre 1805  determinò  di  protrarre  ad  un  altro  anno  sco- 
lastico l'impianto  effettivo  della  restaurata  Università, 
considerando  che  non  si  erano  per  anco  ottenuti  profes- 
sori idonei  per  tutte  le  cattedre.  Alla  perfine  dopo  la 
elezione  di  valenti  professori  fatta  nell'  adunanza  del  25 
Agosto  1807  seguì  la  solenne  riapertura  nel  Novembre 
di  quell'  anno,  ma  per  poco,  mentre  distaccate  da  Roma 
le  Marche  ed  unite  al  Regno  d'Italia  con  decreto  del 
28  Giugno  1808  venivano  istituiti  i  Licei  nei  tre  nuovi 
dipartimenti  del  Metauro,  del  Musone,  del  Tronto. 

La  splendida  antichità  dello  studio  fermano  meritò 
presso  il  Governo  del  primo  Regno  d' Italia  tanta  con- 
siderazione, che  esso  non  risparmiando  a  spese,  né  per 
locali,  né  per  macchine  fìsiche  e  gabinetti,  nò  per  or- 
namenti non  si  pento  di  erogarvi  del  proprio  in  ogni 
anno  oltre  scudi  tremila.  Il  nostro  Liceo  del  Tronto  a- 
dunque  fu  aperto  il  10  Aprile  1809  e  vi  lesse  la  pro- 
ci) Prospetto  det  nuovo  stabitimento  per  la  UniwsUà  di  Firmo.  - 
MDCCCV  per  gli  eredi  Bolis  tigogrjfi  priorati  e  deU'  Università. 


SUE  VICENDE  POSTERrORI  E  DECADENZA  461 

Iasione  il  Prof.  Evasio  Leone  primo  fra  i  reggenti,  che 
dovevano  nominarsi  annualmente,  dimostrando  la  eccel- 
lenza degli  studi  e  la  autorità  a  questi  apportata  colla 
nuova  istituzione  del  Liceo.  E  siccome  pei  regolamenti 
di  pubblica  istruzione  ordinavasi  che  al  riaprirsi  di  ogni 
anno  scolastico  si  dovesse  da  un  professore  per  turno 
recitare  a  prolusione  l'elogio  di  qualche  illustre  scien- 
ziato 0  letterato  italiano,  cosi  nel  1810  il  Ranaldi  lesse 
r  elogio  di  Gio:  Battista  Passeri  naturalista  e  antiqua- 
rio (1);  nel  1811  T  Avv.  Magalotti  quello  del  Ber- 
tacchini  giureconsulto  fermano  (2);  nel  1812  il  Leone 
fece  r  apologia  del  famoso  Cecco  d' Ascoli.  U  nostro  isti- 
tuto fu  di  ogni  cosa  riccamente  fornito,  ebbe  anche  un 
orto  botanico  che  fii  quello  dei  Minori  Osservanti  sop- 
pressi (3),  e  andò  rinomato  vuoi  per  la  dottrina  dei 
professori  (4),  vuoi  per  il  numero  degli  alunni,  vuoi 
per  il  profitto,  di  che    restò   perpetuo   monumento  nel 

(t)  Si  ha  pubblicalo  -  Elogio  di  Gio:  Ballista  Passeri  orasione  inau- 
gurate degli  sludi  per  l'anno  scolaslico  iSiO-  ii  dello  nella  Sala  Mu- 
nicipale di  Fermo  da  Dombnioo  Hanaldi  professore  di  chimica  e  storia 
naturale  del  R.  Liceo  del  Tronto.  -  Fermo  dalla  stamperia  dipartimen- 
tale MDCGCXI. 

(2)  Questo  elogio  ò  andato  disgraziatamente  perduto,  poiché  per 
quante  ricerche  ne  siano  state  falle  presso  gli  credi  dell'autore  in 
dimini  a  richiesta  dei  fratelli  Oe-Minicis  sono  rimaste  tutte  inutili. 

<d)  Si  pubblicò  il  catalogo  delle  piante  dal  Prof.  VALERrAMi  -  Ca- 
tahgus  planlarum  korli  firniani  curante  Horaiio  Valeriani  Bolanices  et 
rustica*  rei  professor,  1812  -  Anno  primo  •  Firmi  Typis  J.  Pacca- 
sassi  1812. 

(4)  I  nomi  di  tutti  i  Professori  del  R.  Liceo  del  Tronto  trovanti 
fra  i  professori  del  secolo  XIX.  —  Vi  furono  anche  quattro  supplenti, 
cioè  Oe-Minicis  Raffaele  nel  diritto  civile,  Caraffa  Andrea  per  1*  Al- 
gebra e  geometria.  Passeri  Francesco  pel  disegno.  Berti  Pietro  per 
la  chimica  ed  assistente  ali*  orto  botanico. 


462  SUE    VICENDE   POSTERIORI    E   DECADENZA 

fatto  che  un  giovane  del  fermano  Liceo  conseguì  uno 
dei  sette  grandi  premi  stabiliti  dal  Vicereale  decreto  15 
Novembre  1811  in  tutto  il  vasto  Regno  d' Italia  per 
sette  diverse  scienze,  intorno  le  quali  il  Ministro  deir  in- 
temo spediva  ai  Prefetti  altrettanti  temi  chiusi  e  sug- 
gellati per  essere  in  uno  stesso  giorno  aperti  e  sciolti 
in  ogni  Liceo  (1). 

Caduto  il  Regno  Italico  e  tornato  a  dominare  il 
Pontefice,  mentre  agli  studi  di  altre  Città  dello  Stato  ed 
in  ispecie  delle  Marche,  si  conservò  dal  Governo  la  som- 
ministrazione annua  di  scudi  2600,  la  sola  Università 
di  Fermo  rimase  priva  di  tutto,  e  le  venne  ingiunto  di 
rivolgersi  per  qualunque  pretesa  alla  Sacra  Congregazione 
del  Buon  Governo;  che  anzi  venne  soppresso  anche  il 
Liceo  dal  Delegato  Monsignor  Vincenzo  Colapietro  (quan- 
tunque nelle  altre  Delegazioni  furono  conservati  e  man- 
tenuti), aderendo  ai  voti  dei  primari  cittadini  per  la 
riattivazione  dell'  antica  Università.  E  così  credè  impian- 


(1)  Il  premio  consisteva  in  una  grande  medaglia  e  inoltre  nel- 
r  essere  esonerato  da  ogni  tassa  occorrente  per  i  gradi  accademici 
neir  Università.  Il  nome  del  premiato  insieme  con  quello  dei  profes- 
sore si  rendeva  pubblico  in  tutti  i  Licei  e  scoIpWasi  in  marmo  in 
quello  dove  aveva  studiato.  La  pietra  che  riferisce  al  nostro  premiato 
trovasi  nella  biblioteca  comunale  e  porta  la  seguente  iscrizione. 

GBARDB    PREMIO 

D*  ALGEBRA   E  GBOMETBIA 

A    RAFFAELE  MaZZOTTI 

ALUNNO    DEL    REALE    LICEO    DI    FERMO 

PROFESSORE 

AGOSTINO    BALDELLI 

ANNO    MDGCCXni 


SUE   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA  463 

tare  le  scuole  con  una  nuova  forma,  serbate  alcune  cat- 
tedre di  giurisprudenza  e  di  medicina  (1), senza  darne 
preventivamente  avviso  alla  Segreteria  di  Stato,  la  qual 
cosa  produsse,  che  la  spesa  per  le  pubbliche  scuole  di 
Fermo  nel  preventivo  della  Delegazione  proposta  a  ca- 
rico dello  Stato,  fosse  depennata.  In  tali  condizioni  non 
mancarono  i  fermani  di  rivolgersi  prontamente  alla  Con- 
gregazione del  Buon  Governo,  la  quale  con  nota  del  15 
Marzo  1817  aveva  ordinato ,  che  la  spesa  necessaria 
per  le  scuole  stesse  a  carico  della  cassa  comunitativa 
fino  allo  stabilimento  di  un  sistema  permanente  sulla 
pubblica  istruzione;  e  quel  consesso  riconoscendo  non 
abolite  le  disposizioni  del  Motu -proprio  del  13  Agosto 
1804  trovò  consentaneo  a  giustizia  il  richiamarle  in  vi- 
gore sia  per  la  tassa,  sia  pel  metodo  di  eleggere  i  pro- 
fessori. Formato  quindi  il  piano  richiesto  dal  Segretario 
di  Stato  per  la  parte  scientìfica  sulle  basi  di  quello  del 
1805,  tenuto  conto  dei  progressi  delle  scienze,  e  per  la 
parte  economica  sulle  norme  del  citato  Motu-proprio 
venne  rimesso  alla  Segreteria  di  Stato,  che  lo  confermò 
con  foglio   del   9  Ottobre    1822  (2).  Il  Gonfaloniere  a 

(1)  Neil*  apertura  di  queste  scuole  il  professore  di  eloquenza  Ca- 
nonico Don  Francesco  Michelbsi  tesse  la  prolusione  che  si  ha  in 
istampa  —  Ora/io  kabiia  in  aufa  magna  aquUae  coram  eremo  et  rmo 
domino  Vineentio  Ci)lapielro  Delegato  Apostolico  per  D.  Pranoiscum  Micrb- 
LEsi  pubblicum  eloguentiae  professorem  eum  inlermìssa  repeterentur  j/u* 
dia  m  scholis  nuper  provisorie  erectis  apud  Arehigymnasium  firmanum 
MDCCCLV  -  Firmi  Typis  Paccasassì. 

(2)  Questo  piano  presentava  un  complesso  di  20  cattedre  -  7  im- 
piegati e  5  Art.  di  spese  diverse  coli*  annuo  assegno  di  se  4180  pei 
professori  e  se.  494»  66  per  gì*  impiegati,  le  quali  somme  non  erano 
tenui  relativamente  ai  tempi.  Le  venti   cattedre  erano  così  distinte 


464  SUE   VICENDE   POSTERIORI  E  DECADENZA 

norma  degli  ordini  ricevuti  dalla  Congregazione  del  Buon 
Governo  fece  il  riparto  generale  del  contributo,  che  la 
Città  e  le  Comuni  della  provincia  dovevano  pagare;  ai 
compilò  il  regolamento  disciplinare,  e  nel  10  Gennaio 
del  1823  si  elessero  i  professori,  fra  i  quali  alcuni  di- 
stintissimi, come  Francesco  Puccinotti,  Michele  Ferrucci. 
Mentre  però  si  attendeva  l'approvazione  del  primo  e 
la  nomina  definitiva  dei  secondi  fini  di  virerò  Pio  VII, 
e  tutto  dovè  un'altra  volta  rimanere  sospeso  con  danno 
gravissimo  della  Città. 

Allora  perchè  non  riuscissero  frustranee  le  concepite 
speranze  e  tante  cure  fino  a  quel  tempo  adoperate,  fu 
inviata  a  Roma  nel  Maggio  del  1824  per  pubblico  voto 
una  deputazione  composta  dell' avv.  Giuseppe  Conte  Sab- 
bioni e  di  Monsignor  Arcidiacono  Bartolomeo  Cordella 
patrizi  fermani  e  prefetti  agli  studi  con  Y  incarico  di 
procurare  che  Papa  Leone  XTT  confermasse  l'antica  no- 
stra Università.  Nei  quattro  mesi  di  permanenza  colà 
molto  dovettero  darsi  attorno  con  suppliche,  con  8cri1>- 


per  le  quattro  facoltà  filosofica,  teologica,  legale  e  medica,  come  rile- 
vasi dalla  notificazione  del  Gonfaloniere  di  Fermo  Gio:  Paolo  Conte 
Montani  del  14  Ottobre  1822.  —  1.®  Eloquenza  latina  ed  italiana, 
lingua  greca  e  storia  universale  —  2.^  Logica,  metafisica  ed  etica  — 
3.^  Matematica  —  4/  Fisica  —  5.®  Chimica  —  6.®  Botanica  ed  agra- 
ria con  storia  naturale  —  7.®  Disegno  di  figura,  ornato  ed  architet- 
tura —  S.®  Geografia  pratica  ed  aritmetica  —  9.®  Teologia  dogmatica 

—  10.®  Teologia  morale  e  liturgia  pura  —  ti.®  Luoghi  teologici  a 
storia  ecclesiastica  —  12/  Scrittura  sacra  e  lingua  ebraica  —  13.®  Di- 
ritto civile  e  pubblico  —  14.^  Istituzioni  civili  ed  arte  notarile  — 
16.®  Diritto  e  pratito  criminale  -^  17.®   Fisiologia  e  materia  medica 

—  18.®  Chirurgia,  anatomia,  ostetrici  —  19.®  Clinica,  medicina  fo- 
rense, polizia  medica  —  20.®  Farmacia  ed  operatore  nei  gabinetti. 


SUE   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA  465 

ture  storiche,  giuridiche,  apologetiche  (1),  non  tanto  a 
ingraziarsi  V  animo  del  Pontefice  e  dei  Cardinali  compo- 
nenti la  Sacra  Congregazione  del  Buon  Governo,  di  cui 
Prefetto  era  il  Cardinale  Cavalchini,  quanto  a  combat- 
tere gli  effetti  di  una  invidia  non  bastantemente  celata 
e  le  arti  di  rerti  loro  concittadini,  i  quali  poveretti  tre- 
mando degli  studi,  degli  studenti  e  dei  professori  per 
la  moralità,  per  la  religione,  per  la  tranquillità  cittadina, 
li  avevano  prevenuti  e  li  osteggiavano  (2).  Ma  la  ope- 
rosità della  Deputazione  al  valido  appoggio  del  Cardi- 
nale Hoefflein  ambasciatore  di  S.  M.  il  Re  di  Baviera, 
del  fermano  Monsignor  Bemetti  governatore  di  Roma 
e  dei  Cardinali  Cavalchini,  Bertazzoli  e  Guerrieri  fu  co- 
ronata da  felice  esito,  poiché,  quando  Leone  XII  solle- 
citò di  portare  a  compimento  la  rìpristinazione  delle  Uni- 
versità degli  studi  ne'  suoi  dominii  già  preparata  dal  suo 
antecessore  Pio  VII  emanò  il  24  Agosto  1824  la  ce- 
lebre bolla  qìwd  divina  sapientia^  conservò  nominata- 
mente alla  città  di  Fermo  la  sua  Università,  fra  quelle 
di  second'  ordine  cioè  di  Ferrara,  Perugia,  Camerino  e 
Macerata  (3). 

(1)  Sulla  istruiìone  ptibbliea  ed  Università  degli  studi  in  Fermo  me^ 
moria  iloriea  compilata  dai  deputali  della  Cillà  Arcidiacono  Babtolombo 
Cordella  e  (tiusbppb  Conte  Sabbioni  Pre felli  agli  sludi  —  Roma  per 
Vincenzo  Pof*;;ioii  stampatoro  camerale  \S2A '^  Sulla  dotazione  decre* 
tala  dal  Sointno  Ponte/ice  Pio  VÌI  col  motu  proprio  i3  Agosto  i804  a 
favore  della  Università  dtijli  Studi  in  Fermo,  voto  dei  Signori  Filippo 
Baffi»  Domenico  Morelli,  Girolamo  Duranti  Valintimi  avvocati  ro- 
mani, (senxa  nota  di  stampa). 

i2)  Erano  quei  me<ipsimì  che  per  lo  stesso  amore  del  buio  non 
volevano  illuminare  dì  notte  la  ciltàt  adducendo,  avere  i  Signori  servi 
€  fanali,  il  popolino  alla  sera  starsene  rintanalo! f! 

(3)  Vedi  documenti  N.  7. 

Arehiv   Slor,  March.  V.  L  30 


466  SUE   VICENDE   POSTERIORI  E  DECADENZA 

Ma  i  Comuni  del  Contado  che  si  erano  già  mostrati 
rennenti  a  soddisfare  la  tassa,  calpestando  la  seguita 
concordia  consolidata  da  un  motu  proprio  sovrano  tanto 
rimestarono,  che  riuscirono  a  fisirsi  dichiarare  dal  Sacro 
Tribunale  del  Buon  Governo  inabili  a  sostenere  il  peso 
di  quel  contributo  per  le  angustiose  circostanze  de'  tempi; 
quindi  Fermo  non  potendovi  sopperire  colle  sole  proprie 
sostanze  si  vide  privata  del  godimento  della  grazia  so- 
vrana. Fece  di  bel  nuovo  ricorso  al  Pontefice  con  una 
memoria  a  stampa  (1),  però  siccome  era  massima  go- 
vernativa, che  le  Università  di  second' ordine  dovessero 
essere  a  carico  delle  rispettive  città  e  provincie,  così 
non  fii  difficile  a  quei  pochi,  che  avevano  prima  a  Roma 
poi  a  Fermo  combattuto  il  progetto  dei  deputati,  spie- 
gando troppo  zelo  di  malintesi  risparmi  anche  a  danno 
della  pubblica  istruzione,  di  ottenere  dalla  nominata  Con- 
gregazione del  Buon  Governo  la  sospensione  a  tempo  in- 
determinato (2).  In  tal  guisa  ebbe  fine  il  nostro  studio 
che  vantava  la  non  interrotta  antichità  di  dieci  secoli 
ad  onta  delle  più  grandi  sollecitudini   dell'  Arcivescovo 


(il  Per  la  data%ione  della  Università  degli  Studi  in  Fermo  —  Memo- 
ria ddla  CiUà  a  Stia  Santità  Papa  Leone  XII  felicemente  regnante  — 
Fermo  1826  stamperia  Bolis. 

(2)  Le  scuole  di  Fermo  nel  1839  passarono  ai  Gesuiii  richiamati 
dair  Arcivescovo  Cardinal  Gabriele  Ferretti,  i  quali  ebbero  in  dota- 
zione le  somme  che  precedentemente  il  Comune  impiegava  nella 
pubblica  istruzione  ed  altresì  i  fondi  del  soppresso  collegio  Marziale. 
Delle  facoltà  universitarie  vi  era  restata  la  sola  cattedra  di  istituzioni 
civili  canoniche  e  criminali  tenuta  con  molto  profitto  fino  al  1860 
dairAvv.  Filippo  Marucci  di  Torre  S.  Patrizio,  succeduto  al  Cano- 
nico D.  Michele  Giacopetti  di  Montefiore.  Questo  studio  valeva  come 
primo  anno  di  Università. 


StlE   VICÈNDE  POSTERIORI  E  DECADENZA  Ì6Ì 

Cardinale  Brancadoro  sinceramente  a£fezìonato  a  questa 
sua  terra  natale.  Tuttavia  serbandosi  sempre  l' antichis- 
simo diritto,  riconfermato  anche  con  rescritto  di  Pio  VII 
del  20  Dicembre  1816,  di  dare  laurea  dottorale  e  gli 
altri  gradi  accademici,  con  i  medesimi  privilegi  già  pos- 
seduti dair  Università,  ed  essendo  ripristinato  nel  1818 
il  Collegio  de' Dottori  (1),  si  continuò  fino  al  1826  a 
conferire  la  laurea  nelle  tre  facoltà  a  fermani  e  fore- 
stieri (2),  tra  i  quali  ci  piace  ricordare  il  Conte  Tibe- 
rio Papotti  d'Imola  ben  noto  scrittore  ed  il  Cav.  Àw. 
Fracassetti,  Nestore  de'  nostri  letterati ,  che  colle  sue  o- 
pere  ed  in  ispecie  colla  traduzione  ed  illustrazioni  delle 
lettere  del  Petrarca  tanta  gloria  aggiunse  al  nome  fer- 
mano (3).  Lessero  nella  nostra  Università: 

(1)  Ha  durato  Gno  a  questi  ultimi  tempi. 

(2)  Dal  principio  di  questo  secolo  fino  al  1826  furono  dottorati 
in  Giurisprudenza  14  fermani  e  28  forestieri;  in  Filosofia  e  Medicina  6 
fermani  e  37  forestieri  ;  in  Teologia  2  fermani  e  3  forestieri. 

(3)  Quest*  opera  gli  meritò  la  gran  medaglia  d*  oro  della  città 
d'Avignone  nell*  occasione  che  celebrava  il  V  centenario  della  morte 
di  Messer  Francesco  Petrarca  nel  Luglio  1874.  Cosi  ne  giudicò  T Ac- 
cademia della  Crusca  rappresentante  il  giuri  italiano.  <  Voi  avete,  o 
Signori,  destinato  un  premio  a  queir  italiano  che  in  questi  ultimi 
quindici  anni  ba  dato  alle  stampe  un*  opera  sul  Petrarca.  E  poicbò 
di  questo  pure  vi  è  piaciuto  far  giudice  la  Crusca,  gli  Accademici  con 
voto  unanime  e  con  animo  lieto ,  designano  al  premio  le  UU$r$  di 
Francesco  Petrarca  volgarizzate  e  illustrate  dall'Avv.  Giuseppe  Pracai« 
setti  di  Fermo,  fatica  grande  condotta  con  grande  amore,  e  cbe  men- 
tre serve  a  intendere  la  mente  e  a  conoscere  la  vita  dei  Petrarca, 
apre  a  tutti  un  tesoro  di  cognizioni  intomo  al  secolo  decimoquarto. 

K.  F4U  teeulaire  ei  inlemalionaU  de  Pelrarque  célébrée  en  Provenee  i874 
•  proees  -  verbaux  et  vers  inidils  -  Aix  •  en  -  Provenee  V.  Remon- 
det  «  Aubin,  libraire  -  éditeur  1875  —  Il  Fracassetti  pei  suoi  meriti 
letterari  fu  nominato  dal  primo  Re  d*  Italia  Vittorio  Emanuele  II. 
Ufficiale  deir  Ordine  della  Corona  d*  Italia. 


468  SUE   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA 


Nd  Secolo  XVIL 

AcciARRini  Dazio  da in  giurisprudenza. 

Adami  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Adami  Galeotto  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Adami  G.  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Adami  G.  Battista  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Adami  Gio.  Luigi  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Adami  Simon  Francesco  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Alamanni  Anoelo  da gesuita  in  filosofia. 

Angelici  Bernardo  da gesuita  in  filosofia. 

Antici  Camillo  da gesuita  in  filosofia. 

Antici  Francesco  da gesuita  in  filosofia. 

Aranea  Vincenzo  da  Aquila  gesuita  in  filosofia. 
Arbostini  Anton  Francesco  da  Fermo  in  medicina  (1). 
Arbostini  Zenone  da  Fermo  in  medicina. 
Argenti  Silvio  da  Fermo  in  medicina. 

Arigli  Giacomo  Maria  da gesuita  in  teologia. 

AzzoLiNi  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Baldigiani  Antonio  da gesuita  in  filosofia. 

Balzani  Lorenzo  da  Bologna  in  giurisprudenza  (2). 
Bartolini  Nicola  da gesuita  in  filosofia. 

(1)  Attere  anche  con  genio  alla  poesia  latina,  di  cui  si  ha  na 
bel  saggio  nel  libro  del  P.  Giuseppe  Speranza  da  Fano  intitolato 
€  Seripturae  sdeeUu  variis  translaltonibus  oc  SS.  Pairum  ssnUntiis,  sa- 
crorumque  irUerpretum  cum  velerum,  lune  recentiorum  exposUionibus 
eoe,  Lugduni  sumplibus  Haered.  Gabriel  Boissutt  et  Laurentii  Am»- 
son  1641. 

(2)  Venne  dalP  Università  di  Bologna  e  vi  fece  ritorno;  là  gli 
furano  erette  due  iscrizioni  in  suo  vivente.  Alidosi  op.  ciL  pag.  163. 


SUR   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA  469 

Bartolotti  Rocco  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Bartolotti  Vico  VrrroRio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Bazzica  Giulìako  da  Pisa  in  giurisprudenza. 
Bekincasa  Andrea  da  Perugia  gesuita  in  filosofia. 

Berardi  Filippo  da gesuita  in  filosofia. 

Bertacchini  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza.  (1). 
Bertacchini  Nicola  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Bevilacqua  Antonio  Patrizio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Bevilacqua  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
BiLisNi  Gentile  Maria  da  Foligno  gesuita  in  filosofia. 

Boccabiferbo  Girolamo  da in  giurisprudenza. 

BoNAPACE  G.  Battista  da gesuita  in  filosofia. 

Bonvicini  Domenico  da in  giurisprudenza. 

BoNTiciNi  Giovanni  Maria  da  ....  in  giurisprudenza. 

Bbizi  Fabrizio  da gesuita  in  filosofia. 

Buglione  Angelo  da in  giurisprudenza. 

Calogeri  Paolo  da gesuita  in  teologia. 

Calvucci  Antonio  da  Fermo  iu  giurisprudenza. 
Calvucci  Ludovico  da  Fermo  in  filosofia. 

Camplani  Stefano  da in  giurisprudenza. 

Cantagaluna  Ludovico  da  Perugia  in  giurisprud.  (2). 
Carpini  Gio.  Battista  da  Fermo  gesuita  in  filosofia. 

Castagni  Antonio  da in  giurisprudenza. 

Catini  Giovanni  da gesuita  in  filosofia. 

CAUca  Felice  da  Fermo  in  medicina. 
Caucci  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Cauti da gesuita  in  teologia. 

(1)  Valente  giureconsulto,  udiior  generale  a  Bologna,  ove  nel  Ì69S 
stampò  <  Vota  decisiva  canonica  et  civilia.  » 

(2)  Dal   Liceo   patrio   venne  al  fermano  nel  1625  a   da  questo 
passò  al  maceratese  nel  1632. 


470  SUE  vice;nd£  postebiori  e  decadenza 

Csccm  Felice  da in  giurisprudenza. 

Cellesi  Atto  da gesuita  in  teologia. 

CBirroFioRiiri  Girolamo  da  Recanati  gesuita  in  filosofia. 

Cesettani  Giambattista  da  Siena  in  giurisprudenza. 

CiccoLnn  Lcdoyico  da in  giurisprudenza. 

Comelu  Domenico  da  Bologna  in  giurisprudenza. 

CoMNEKO  Papadopoli  Nicolò  da  Candia  in  eloquenza  e 
filosofia  (1). 

CoiTTE  Nicola  da gesuita  in  filosofia. 

CoHYEKTiKi  Babtolombo  da gesuita  in  filosofia. 

Coppa  Giuseppe  da gesuita  in  filosofia. 

Cordella  Bartolomeo  seniore  da  Fermo  in  giurispru- 
denza (2). 

CoBTAirriiiri  Ulpiako  da  Fermo  in  giurispruoenza. 

Cruciahi  Camillo  da  Monterubbìano  in  medicina  (3). 

Dalbot  Gilberto  da gesuita  in  teologia. 

De-Curtis  Maurizio  da  Tivoli  gesuita  in  teologia. 

Della  Torre  Gio.  Maria  da  ...  .  gesuita  in  teologia. 

De-Magestris  Michelanoelo  da  ...  .  gesuita  in  teologia. 

De-Nobili  march.  Francesco  da  Fermo  in  giurispru- 
denza (4). 


(1)  Nipote  del  celebre  Apostolo  Zeno  ed  autore  di  molte  opere 
che  sono  registrate  nel  nuovo  dizionario  storico  del  Remondìni.  Che 
sia  stato  a  Fermo  lo  attesta  egli  stesso  nella  sua  Misi.  Gymn.  Paia- 
tini  Tom.  II.  pag.  29:  in  qua  furbe  Firmi)  nos  olim  el  retores  ei  philo- 
so^ios  docuimus.  Forse  vi  fu  mentre  era  gesuita,  che  tal  divenne 
nel  i672. 

(2)  Uditore  di  Mons.  Caraffa  governatore  generale  della  Marca, 
della  Rota  di  Macerata»  della  Repubblica  di  Lucca  e  della  Rota  Fio- 
rentina. Ferdinando  IL  granduca  di  Toscana  V  onorò  della  sua  ami- 
cizia e  lo  dichiarò  Uditor  fiscale  dello  stato  di  Siena,  ove  mori  nel  1685. 

(3)  Lesse  medicina  anche  neir  Università  di   Macerata  nel  1616. 

(4)  Si  ha  un  libretto  di  lui  col  titolo  e  Adamidis  Aquilae  ad  gloriam 
volatus  Parugiricus  Laurus  prò  doetrinali  pompa  in  ulroque  iure  D,  loan- 
nis  Baplislae  Ahbalis  Adami  patritii  firmani  habita  a  D.  March.  Pi'aneisco 
De  Nobilibut  patrilio  firmano  i.  u.  e.  et  in  patrio  Lyeeo  professore  1675 
—  Firmi  apud  Andream  De-Montibìu.  Fu  Senatore  di  Mantova. 


SUE   VICENDE  POSTERIORI   E  DECADENZA  471 

De-Nobiu  Girolamo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

De-Sardis  Lorenzo  da gesuita  in  filosofia. 

De-Yeoa  Emanuele  da gesuita  in  teologia. 

Donati  Litio  da  Montecchio  gesuita  in  teologia. 

Doni da  .....  .  gesuita  in  teologia. 

DoNNOROTiQi  Elu  da gesuita  in  filosofia. 

Egidi  Domenico  da gesuita  in  teologia. 

Egidi  Valentino  da gesuita  in  filosofia. 

Eustacchi  Tommaso  da gesuita  in  filosofia. 

Etanqelista  Girolamo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Falconi  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Falconi  Ludovico  da  Fermo  in  giurisprudenza.* 
Falconi  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Farnesi  Gio.  Paolo  da  ....  .  gesuita  in  filosofia. 
Fazi  Antonio  da  Fermo  in  medicina. 

Fazi da gesuita  in  filosofia. 

Febei  Gioyan  Francesco  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Ferrantini  Girolamo  da  Ancona  gesuita  in  teologia. 

Franceschìni  Gio.  Francesco  da in  medicina. 

Franceschini  Simone  da in  medicina. 

Francouni  Baldassarre  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 

(1)  Nel  1631  fu  chiamato  dal  gran  Duca  di  Toscana  Ferdinando  II 
ad  una  straordinaria  Cattedra  di  diritto  civile  nell*  Accademia  di  Pisa; 
fu  poi  promosso  a  quella  di  diritto  canonico.  Ebbe  molti  amici,  i  quali 
piansero  la  sua  morte  immatura  avvenuta  il  5  Marzo  1634;  Ferrante 
Capponi  e  Francesco  Albergati  gli  posero  un  epitaffio  nella  Chiesa  di 
8.  Caterina  in  segno  del  loro  affetto,  e  i)erchò  non  venisse  meno  la 
memoria  di  tani*  uomo.  V.  R.  Db-Minigis  iscr,  fer.  N.  1113.  Si  badi 
lui  Bald.  Francolini  olim  in  patrio  mox  in  inclyio  Pisano  Gymnasio  /. 
dvUis  inUrp.  Oraiio.  Pisi*  i634,  nella  quale  dice  il  Fabrori  op.  cit. 
€  bene/leia  magnorum  Elrutiae  Ducum  in  se  ae  firmanos  omnet  comme' 
maral  et  summis  praeserlim  laudibus  efferl  divina  Ferdinandi  IL  merita,  » 


472  SUE   VICENDE   POSTERIORI   E   DECADENZA 

Fbancouki  Baldassabe  da  Fermo  gesuita  in  teologia  (1). 
Francolini  Fabrizio  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 
Fratadocchxo  Vincenzo  da  Fermo  min.  con,  in  teologia. 
Gagnoni  Marco  Antonio  da  Sinalunga  gesuita  in  filosofìa. 

Gallicini  Francesco  da gesuita  in  filosofia. 

Galvani  Marco  Aurelio  da  Ferrara  in  giurisprud.  (3), 

Gbrunda da gesuita  in  teologia. 

Gessi  Caiòllo  da  Bologna  in  giurisprudenza  ^4). 
Gherardi  Cesare  da  Fossano  di  Perugia  in  giurispru- 
denza (5). 

(1)  Fa  addottrinato  qaani*  altri  mai  nelle  materie  filosofiche  e 
teologiche,  delle  quali  tenne  cattedra  anche  in  l^erugia  ed  in  Roma, 
ove  mori  il  10  Febbraio  1709.  Pubblicò  molle  e  pregiate  opere  di 
cristiana  dottrina. 

(2)  Prese  la  laurea  in  Fermo.  Innocenzo  Xll.  lo  nominò  Uditore 
della  Rota  di  Macerata.  Chiamato  uditore  della  Rota  di  Genova  rinun- 
ciò  per  essergli  stato  conferito  dalT  Arcivescovo  Cenci  un  canonicato 
nella  patria  metropolitana.  Fu  \ icario  capitolare  e  uditore  di  Mons. 
Maltei  e  di  Mons.  Alessandro  Borgia. 

(3)  Da  una  iscrizione  esistente  in  Ferrara  nella  Chiesa  de*  Ss. 
Simone  e  Giuda  de*  Teatini,  ove  fu  sepoUo  nel  1660,  rilevasi  essere 
stato  professore  a  Fermo  ed  anche  nelle  Università  di  Pisa  e  di  Pa- 
dova. V.  Il  Fabroni  op.  cit.;  il  Borsetti,  Hisloria  almi  Ferrariae  Gym, 
T.  I  pag.  233;  il  Papadopoli  op.  cit.  T.  I.  pag.  272;  il  Faggiolati  Fasti 
Gymn.  Palav.  ab  anno  1260  ad  i752  P.  III.  p.  119  e  124. 

(4)  Di  questo  professore  si  ha  e  Oralio  habUa  firmi  in  atda  per- 
iUuslr.  DM,  Priorum  cUei  li  Ibris  an.  i603  a  Camillo  Gypsio  /.  U,  doc- 
lore  colUgiato,  in  auspiciis  siuirum  praeleclionwn,  cum  ibi  iura  civilia  in 
prima  ordinaria  sede  potneridianis  horis  profUeri  inciperel.  Firmi  apud 
haeredes  Sertorii  De  Montibus  et  Io.  Don  ni  veli  um.  »  E  dedicato  al 
Card.  Pietro  Aldobrandini  Da  Bologna  condusse  seco  a  Fermo  gran 
numero  di  scolari.  Nel  1608  tornò  a  leggere  in  patria  e  fu  creato 
Senatore. 

(5)  Professò  il  giuscanonico  neir  ateneo  patrio  e  nel  fermano 
€  quem  Perusiae  Firmique  XX  annis  iur.  can.  interpret.  »  come  sì 
ha  nell'  iscrizione  sepolcrale  riportata  dall'  Ughblu  e  dal  Turchi  Episc. 


sue   V|££NDE   POSTERIORI   E    DECADENZA  473 

Ghezzi  Oiacomo  da  Napoli  gesuita  in  teologia. 
GiOTTim  G.  Battista  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Goti  Luigi  ....  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Geuka  Nicola  da  Fermo  in  medicina. 
(jBAssi  Domenico  da  Fermo  in  giurispradenza. 
Graziaki  Giacinto  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Grimaldi  Filippo  da  ...  .  gesuita  in  teologia. 
GrRisELLi  Orazio  da  ...  •  gesuita  in  filosofia. 
Guerrieri  Annibale  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Guerrieri  Gio.  Antonio  da  Fermo  in  giurisprud.  (1). 
Gl^rrieri  Paolo  Emilio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
GuRRiERi  Tommaso  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Inkocenzi  Innocenzo  da  ...  .  gesuita  in  filosofia 
Inquini  Lorenzo  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
IsNARDi  Ercole  Maria  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Liberati  Domenico  da  ...  .  gesuita  in  teologia. 
Lieti  Ludovico  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Lieti  Pibtro  da  ...  .  gesuita  in  teologia. 
Lilio  Francesco  da  Fermo  in  medicina. 

Camerin.  Nel  ir)21  fa  fatto  Cardinale  da  Paolo  V.  e  indi  vescovo  di 
Camerino;  mori  dopo  soli  20  mesi  di  cardinalato.  Nei  salone  del  no- 
stro palazzo  degli  Stadi  leggesi  la  seguente  iscrizione  in  onore  di  lui 

D.  M.  O. 

AVaVST^   .   PERVS^   .   80U    .  CARO   .  OHBRAl. 

CVIV8  .   AVRORA   .  HVIG   .  OLII!  .   SVGOBST.^ 

AFFVUtT   .  POST  .   PVRPVRATaB   .   LVCIS. 

ORTUM   .   BREVI   .    AD  0CCA8UM   .  VERSO. 

8GVLTRICBS  .   FIRMANOR   .   LACRIÌIaB. 

EMOLIBRVHT  .  FORMAR VNTQUB. 

LAPIDEM  .   8ALVT18  .   ANNO   .  MDGXXVIl. 

(1)  Fu  anche  rettore  del  Collegio  illirico  ed  albanese. 


474  SUE    VICENDE   POSTERIORI   E   DECADENZA 

Lilio  Vincenzo  da  Ferino  in  giurisprudenza. 
LusiGNANi  Giasone  da  Cipro  gesuita  in  filosofia 
Luzi  Andrea  da  Roma  gesuita  in  filosofia. 
Mancini  Franc-sco  da  Fermo  gesuita  in  teologia. 
Manfredi  Anton  Maria  gesuita  in  filosofia. 
Mannocchi  Andrea  da  Petritoli  in  giurisprudenza. 
Mannocchi  Pietro  da  Petritoli  in  medicina. 
Mannocco  Martino  da  Carassai  in  giurisprudenza. 
Marchetti  Annibale  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Mariani  Giacinto  da  Fermo  in  giurisprudenza 
Massi  Cosimo  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Massini  Innocenzo  da  Perugia  in  giurisprudenza  (1). 
Merenda  Antonio  da  Forlì  in  giurisprudenza  (2). 
MiGLiANi  Francesco  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
MisTicnELLi  Domenico  da  Fermo  in  medicina  (3). 
Montani  Gio.   Francesco  da  Fermo  in  giurisprndenza. 
Monti  Bernardino  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Monti  Gio.  Filippo  da  Fermo  domenicano  in  teologia. 
MoRici  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
MoRici  Piervincenzio  da  Fermo  m  giurisprudenza. 


(1)  Dopo  di  essere  stato  gi adice  di  appello  nelia  Rota  di  Firenze, 
professore  nelP  Università  di  Pisa  e  di  Messina,  si  ritirò  in  Roma 
nella  Compagnia  di  S.  Giovanni  de*  Fiorentini,  ove  mori  nel  1676.  V. 
il  Fabroni  op.  cit.  Tom.  III.  pag.  293. 

(2)  Lesse  in  Pisa  per  15  anni  e  venne  a  Fermo  per  premura  del 
Card.  Francesco  Barberini,  vi  stette  6  anni,  e  vi  pubblicò  le  celebri 
controversie  legali.  Passò  quindi  a  Pavia  e  là  die  alla  luce  un  opuscolo 
contro  r  astrologia  giudiziaria  dedicandolo  a  Mons.  G.  Battista  Rinuc- 
Cini  Arcivescovo  di  Fermo.  Finalmente  recossi  a  Bologna,  ove  mvri 
nel  1655  mentre  era  chiamato  ali*  Università  di  Padova.  —  V.  il  Fa- 
broni op.  cit.  T.  II.  pag.  222. 

(3)  V.  Il  Panelli  op.  cit.  T.  il,  pag.  336. 


sue   VICENDE   POSTERIORI   E   DECADENZA  475 

MoRici  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
MoRici  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Moro  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Moro  Benedetto  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 
Moro  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Moro  Girolamo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Moro  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
MoRRONi  Valerio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Muscettula  Casimiro  da  ...  .  gesuita  in  teologia. 
Nardi  ni  Liberato  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Nini  Giambattista  da  Perugia  in  giurisprudenza. 
Nobili  de  Merloni  Giuseppe  da  ....  in  giurisprud. 
Olivieri  Basilio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Olivieri  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Olivieri  Pier  Lrioi  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Olivieri  Ruggero  da  Fermo  in  giurisprudenza 
Paccaroni  Clemente  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Eufemio  dfi  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Filippo  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza 
Paccaroni  Giovanni  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Gio.    Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Orazio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

(1)  Non  si  limilo  al  solo  studio  delle  scienze  legali  e  filosoGcbe, 
ma  si  fece  ammirare  come  oratore  nei  pergami  e  coltivò  anche  la 
poesia,  come  appare  da  an  poemetto  ove  descriveva  1*  antica  patria 
festività  del  15  Agosto  detta  la  Cavalcala*  Il  titolo  di  esso  ò  <  Thealrum 
/irmanae  pietatis  ae  magni ficenliae,  seu  solemnes  pompae,  quae  in  hono- 
rem  Deiparae  in  Coelum  assumptae  ad  lemplum  melropolUanwn  XVII! 
Kalend.  Seplemb.  a  Firmanis  dueunlur  examelro  earmine  descriptae.  Que- 
sto poemetto  è  andato  perduto;  se  ne  leggono  alcuni  brani  nelle  do- 
tizie  storiche  dì  Fermo  di  Domenico  Raccamadori  M.  83. 


476  SUE   VICENDE   POSTERIORI    E   DECADENZA 

Paci  Giambattista  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Paciki  Francesco  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Pacìki  Giuseppe  da  ...  •  gesuita  in  filosofia. 
PAETnn  Simone  da  Fermo,  in  giurisprudenza  (1). 
Paleotti  Gio:  Niccola  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paleotti  Silvestro  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Palmieri  Carlo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paoliki  Antonio  da  Monte  Ranaldo  in  medicina. 
Patriarca  Alessandro  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Patriarca  Francesco  Maria  da  Fermo  in  medicina. 
Patriarca  Gio:  Francesco  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Patriarca  Giuseppe  Ignazio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Pennoni  Sebastuno  da gesuita  in  filosofia. 

Peratini  Piero  da  Bologna  in  giurisprudenza  (2). 

Petrucci  Gio:  Battista  da in  medicina. 

Petruccioli  Francesco  da gesuita  in  filosofia. 

Pii;iuNTONi  Domenico  Antonio  da gesuita  in  filosofia. 

Pieri  Domenico  da  Fermo  in  medicina. 
Pieri  Felice  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Pini  Giuseppe  da gesuita  in  filosofia. 

Pollicini  Prospero  da  Bologna  in  giurisprudenza. 
Raccamaboro   Alessandro   dei    Padri   dell'  Oratorio   da 

Fermo  in  teologia. 
Raccamadoro  Domenico  seniore  da  Fermo  in  medicina  (3). 

1.  Con  sommo  grido  promosse  alla  laurea  dottorale  molti  cavalieri 
e  personaggi  distinti  :  eboe  fama  anche  come  poeta. 

2.  Nella  Chiesa  del  Carmine  in  Fermo  si  legge  una  iscrizione 
sepolcrale,  che  egli  pose  nel  1621  a  Giacomo  Pasì  suo  scolare  e  con- 
cittadino. V.  R.  DB'Minigis  Iter,  ferm.  N.  147. 

3.  Fu  medico  valentissimo;  scrisse  e  stampò  parecchie  opere,  ma 
quella  che  dovea  raccomandarne  la  memoria  alla  posterità,  si  è  la 
raccolta  delle  notizie  istoriclie  di  Fermo  compresa  in  due  volumi,  che 
abbiamo  nella  nostra  biblioteca.  Questo  lavoro  non  va  esente  da  er- 


SUE   VICENDE  POSTERIORI   E  DECADENZA  477 

Raccamadoro  Metello  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 

Raffaelli  Antonio  da gesuita  in  filosofia. 

Raffei  Antonio  da gesuita  in  teologia. 

Ranucci  Francesco  da  Macerata  in  giurisprudenza. 

Restori  Luigi  da gesuita  in  filosofia. 

Ricci  Antonio  Alberto  da in  giurisprudenza. 

Ricci  Francesco  da  Roma  gesuita  in  filosofia. 
Ricci  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Ricci  Ludovico  da gesuita  in  teologia. 

RrvAROLA  Matteo  da gesuita  in  filosofia. 

RoccAMORA  Gio.  Domenico  da gesuita  in  teologia. 

Rosa  Dieoo  da gesuita  in  teologia. 

Rossi  Camillo  da  Montegranaro  in  medicina  (2). 

Rota  Gio.  Antonio  da gesuita  in  teologia. 

Rota  Gio.  Lorenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Rota  Girolamo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Rotondi  Felice  da gesuita  in  filosofia. 

RuFFi  Gio.  Lorenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza  (3). 
RuFFi  Luzio  da  Fermo  in  medicina. 
RuFFi  Marcantonio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Sabbioni  Francesco  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

rort  siorici,  e  qaa  e  colÀ  si  sente  il  difetto  di  sana  critica;  però  queste 
mende  come  quelle  dello  stile  voglionsi  ascrivere  più  che  a  lui  ai 
tempi  in  cui  ei  visse.  In  ogni  modo  se  molte  memorie  non  andarono 
perdute  si  deve  ad  esso  che  diligentemente  le  raccolse;  e  se  ne  val- 
sero poi  assai  coloro  che  dopo  di  lui  trattarono  delle  cose  fermane. 

(1)  Assai  stimato  per  la  singolare  dottrina  nelle  scienze  legali  fu 
fatto  Governatore  di  Carpentrasso,  cui  ognun  sa  essere  stato  capo 
della  Contea  di  Venosa. 

(2)  Di  lui  parla  il  Paublli  op.  cit.  T.  II.  pag.  253. 

(3)  Fu  prefetto  di  Narnì  ed  eletto  governatore  di  Foligno.  V. 
R.  Db-Minicis  Iscr,  ferm,  N.  382. 


478  SUE  VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA 

Sabbioni  Marc'  Attilio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Sabbioni  Niccola  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Sansonio  Cosimo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Sardi  Federico  da gesuita  in  filosofia. 

Satini  Antonio  da  Casteldurante  in  giurisprudenza, 

ScALEs  Erasmo  da gesuita  in  filosofia. 

ScARAMuccu  Paolo  da  Lapedona  in  medicina. 

Scoccia  Alessandro  da in  giurisprudenza. 

Scorzi  Gio:  Battista  da gesuita  in  filosofia. 

Semerini  Andrea  da gesuita  in  filosofia. 

Sforza  Brfvi  Giuseppe  da gesuita  in  filosofia. 

Silotti  Pier  Amico  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Silvestro  Clemente  da gesuita  in  filosofia. 

SiNiGARDi  Dionisio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
SiNiQARDi  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
SoLiMANi  Giulio  da  Fermo  gesuita  in  filosofia. 
Solimani  Yentura  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Spinola  Gio.  Battista  da gesuita  in  filosofia. 

Spinuccì  Conte  Gio.  Filippo  da  Fermo  in  giuris.  (1). 
Spinucci  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Spinuccì  Tommaso  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

SuzziFANTE  Giuseppe  Francesco  da gesuita  in  teologia. 

Tabor  Gio.  Battista  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Tassoni  Doroteo  da  Fermo  in  medicina. 
Tassoni  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Yannarelli  Giuseppe  da  Fermo  in  medicina. 
Yannarelu  Tommaso  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

(t)  Da  Fermo  passò  alla  Rota  di  Macerataceli  Bologna,  di  Lacca, 
di  Genova  ed  al  Governo  d*  Imola,  dando  sempre  saggio  di  molla 
scienza  e  virtù. 


SUE   VICENDE  POSTERIORI   E  DECADENZA  479 

YAimi  Gio.  Francesco  da gesuita  in  filosofia. 

Yaschex da gesuita  in  filosofia. 

ViooRin  Flaminio  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 
Vìnci  Asdrubale  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Vinci  Buon  Giovanni  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 
Vinci  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Vinci  Emilio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Visconti  Cav.  Giovanni  da  Pistoia  in  giurisprud.  (3). 
ViTELLEscHi  Muzio  da  Roma  gesuita  in  filosofia  (4). 
XiMENEs  Ferdinando  da gesuita  in  teologia. 

(1)  Lesse  anche  nella  Sapienza  di  Roma,  come  si  ha  dall* iscri- 
zione sepolcrale  postagli  nellla  Chiesa  di  6.  Maria  ia  Ara  Goeli  da 
Alessaudro  Falconieri  suo  scolaro  ed  amico.  È  riportala  dal  Casimiro 
Memorie  sloriche  della  chiesa  e  convento  di  S.  Maria  in  Ara  Codi  pag.  234; 
dal  Galletti.  <  Inscripliones  Piceni  sive  Marchiae  Anconitanae  infimi  aevi 
Romae  slanles  »  a  pag.  93;  e  dal  Db-Minicis  fscr,  ferm,  N.  1164. 

(2)  Essendo  nota  la  sua  molta  dottrina  a  Bologna,  ove  si  era  laure- 
ato, fu  invitato  ad  esercitarvi  l'ufGcio  di  Uditore  della  Rota,  che  tenne 
per  dieci  anni,  e  quindi  n*ebbe  per  un  biennio  la  presidenza.  I  segnalati 
suoi  meriti  gli  procurarono  la  onorevolissima  aggregazione  al  patriziato 
romano  ed  all'  ordine  dei  Senatori.  V.  Cantalamessa  Giacinto.  Memo* 
rie  storiche  intorno  agi'  illustri  uomini  della  nobilissitna  famiglia  de'  Conti 
Vinci  di  Fermo,  Macerata  tip.  dì  Ben.  di  A.  Cortesi  1843  pag.  49. 

(3)  Appartenne  a  nobilissima  famiglia.  Spiegò  le  Pandette  nel- 
r Università  di  Pisa,  e  nel  1628  fu  chiamato  a  Fermo  essendo  da  tutti 
ritenuto  per  uno  dei  primi  giureconsulti.  Lesse  per  due  anni,  ed  in 
molte  bisogne  se  ne  valse  V  arciv.  Rinuccini.  Fu  poi  Provveditore 
dell*  Università  Pisana  e  gran  Priore  della  Chiesa  Conventuale  dei 
Cavalieri  di  S.  Stefano.  V.  Il  Pabroni  op.  cit.  Tom.  li.  pag.  2U. 

(4)  Ai  15  di  Novembre  eletto  Proposito  Generale  VI  della  Com- 
pagnia, che  resse  poi  per  anni  29  e  mesi  3  fino  ai  9  Febbraio  1643, 
in  cui  mori. 


480  SUE   VICENDE   POSTERIORI    E  DECADENZA 

Nd  secolo  XVIIl 

AouiLLERA  Emaiotele  da  Alicata  gesuita  in  filosofia. 
Aldini  Gregorio  Maria  da  Cesena  gesuita  in  filosofia. 
Ambrogi  Tommaso  da  ...  •  domenicano  in  teologia. 
Arcangelo  da  S.  Francesco  agostiniano  scalzo  in  teologia. 
Augusti  Giuseppe  da  Senigallia  gesuita  in  filosofia. 
Ayetrani  P.  Liberato  da  Monsampietrangeli  Min.  conv. 

in  filosofia. 
AzzoLiNi  Giuseppe  da  Fermo  in  giurispradenza. 
Bacciu  Ercole  Maru  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Bagnesi  Ferdinando  da  Firenze  gesuita  in  filosofia. 

Baldassini  Tommaso  da gesuita  in  filosofia. 

Bardi  Niccolò  da  Genova  gesuita  in  filosofia  (1). 

(t)  Uno  dei  soci  fondatori  della  Colonia  Aibriziana  a  Fermo  e 
(odatissimo  scrittore  di  epigrammi  pubblicati  in  un  volumetto  col 
titolo  <  Bpigrammatum  variorum  libri  tres  sacrorum  anlislUum  et  roma- 
norum  principum  decori  D.  Hieronymo  Mallhaeio  Archiepiscopo  amplis- 
simo dicali  Nicotao  Bardi  Soc.  lesu  Sacerdote  Authore,  Firmi  MDCCXXIV 
Ex  Typograpbia  Dominici  Antonii  Bolis,  et  Frat.  Impress.  Archiepi- 
scopalium,  et  Prioralium ,  supcrior.  facultate.  »  Parecchi  fra  questi 
si  riferiscono  alla  città  di  Fermo,  a  illustri  fermani  e  professori  di 
quel  tempo.  Per  la  rarità  del  libro  crediamo  di  riportar  due  epigrammi 
che  ci  sembrano  di  speciale  importanza,  uno  perchè  accenna  alP  Ate- 
neo, e  r  altro  ad  una  Quintana  o  Saracino,  (conosciuto  dal  volgo  col 
nome  di  MarguUo),  che  si  esponeva  il  mese  dì  Agosto  in  tempo  dì 
fiera  e  dove  anticamente  la  nobiltà  fermana  correva  la  lizza,  come 
leggesi  in  una  cronaca  inedita  sulla  sollevazione  de*  fermani  e  morte 
del  governatore  Monsignor  Uberto  Maria  Visconti. 

Firmanae  Urbis  Antiquilas,  et  Alhenaeum, 

Firmanas  potuit  Cunas  celare  Vetustas; 

Nec  pudel  hac  pulchrum  Nube  latere  Caput. 


SUB   VICENDE    POSTERIORI   E   DECADENZA  481 

Baroni  Gio.  Maria  da min.  conv.  in  filosofia. 

Bartoli  Benedetto  da  Civitanova  min.  conv.  in  filosofia. 
Bartolotti  Melchiorre  da  Fermo  in  giurisprudenza  (1). 
Beluni  Antonio  della  prov.  romana  gesuita  in  filosofia. 
Belloni  Giuseppe  da  Brescia  gesuita  in  filosofia. 

Bernardini  Antonio  da domenicano  in  filosofia 

e  teologia. 

Bianchi  Fortunato  da in  medicina. 

BoLQENi  GuN  Vincenzo  da  Bergamo  gesuita  in  teol.  (2). 


Longinquo  est  Urbi  reverenlia  major  ab  Ortu  ; 

Et  Homae  ad  bel  laro  venit  adulta  (ìomes. 
Ingenia,  atque  Animos  si  spectes  Advena,  dices; 

Non  posila  hic  Sludi is  Aegide  Pallas  adest. 

De  MargtUi  Stalua  in  Nundìnis  Firmanis. 

Seu  Daci  quondam  Fuerit,  seu  Miiitis  Hunni, 

Quae  modo  Firmano  prostat  Imago  Foro: 
Laeva  licei  Clypeum,  ferratam  dextera  Clavam 

Ostendat;  frustra  haec  omnia:  ludibrio  est. 
Hic  spedare  Auslrum,  fìoream  jubet  ille:  jubenti 

Paret  Margutus  versus  in  Axe  Rotae. 
Plebs  sua  cuique  suis  curis  in  inanibus:  Orbem 

Lustra,  et  Margulos  sic  agi  ubique  pula. 


(1)  Fu  governatore  a  Velletri,  luogotenente  a  Loreto»  uditore 
della  legazione  di  Ravenna,  uditor  criminale  a  Genova,  governatore 
a  Civitanova  pel  Duca  Sforza  Cesari  ni. 

(2)  Uno  degli  scrittori  più  impegnati  nel  sostenere  le  opinioni 
della  scuola  alla  quale  fu  educato,  ed  anzi  il  suo  ingegno  lo  trasse 
ad  andare  ancora  più  oltre  che  i  suoi  non  volessero,  cosicchò  ebbe 
confutatori  di  sue  dottrine  parecchi  de*  suoi  stessi  confratelli,  tra  cui 
il  Cortes  ed  il  Muzzarelli.  Pubblicò  molte  opere  e  fu  teologo  peni- 
tenaiere  di  Pio  VI;  mori  in  Roma  nel  Maggio  del  16ÌL 

Arehiv.  Stor.  March.  V,  l  3t 


483  SUB   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA 

BoscoYiCH  Ruggero  Giuseppe  da  Raglisi  gesuita  in  filo- 
sofia (1). 

Bruni  Pietro  Martire  da  Forlì  gesuita  in  filosofia* 

BuoNAouARDU  Felice  da  Fano  gesuita  in  filosofia. 

Buratti  Giuseppe  da  Belmonte  in  medicina. 

Caltucci  Giotan  Lorenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Caltucci  Niccolò  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Cakcellotti  Giambattista  da  Sanseverino  gesuita  in  filos. 

Carini  Giuseppe  maria  da minore  conventuale 

in  teologia. 

Castellini  Camillo  da  Forlì  gesuita  in  filosofia. 

Catalani  Michele  da  Fermo  in  eloquenza  (2). 

Catauni  Giuseppe  Antonio  da  Fermo  in  medicina. 

Cecchini da in  eloquenza. 

Ceresola  Giuseppe  da  Genova  gesuita  in  filosofia. 

CmAPPtNi  Filippo  da  Roma  gesuita  in  filosofia. 

(1)  Venne  impiegato  da  vari  Papi  per  suggerire  mezzi  espedienti 
a  sostenere  la  cupola  di  8.  Pietro  che  minacciava  di  crollare.  Fa 
membro  della  società  reale  di  f^ondra,  professore  neir  Università  di 
Pisa  ed  ebbe  in  Parigi  1'  ufficio  di  direttore  dell*  ottica  della  marina 
con  L.  8000  dì  pensione.  Si  applicò  soprattutto  alla  teoria  dei  canoc- 
chiali acromatici  e  pubblicò  un  gran  numero  di  opere. 

(2)  Prima  gesuita,  poi  canonico  della  nostra  Chiesa  metropoli- 
tana. Studiò  nella  patria  Università  e  fu  teologo,  storico,  archeologo, 
poeta  e  latinista  reputatissimo,  avendo  avuto  a  maestro  il  celebre 
Morcelli.  Le  sue  opere  iu  latino  ed  in  italiano  sono  tenute  in  gran- 
dissimo pregio.  Mori  a  Bologna  il  1.  di  Maggio  1805  e  nella  Certosa 
leggesi  r  iscrizione  scritta  dallo  Schiassi  che  gli  posero  i  fratelli  ri- 
portata dal  Db-Miiiigis  Iscr,  ferra,  al  N.  1025.  Ne  pubblicò  le  memorie 
su  la  vita  e  sugli  scrUli  il  Conte  Albssandbo  Evangblista,  alle  quali  ò 
anito  il  catalogo  delle  opere  —  Fermo  tipografia  Paccasassi  1834.  La 
corrispondenza  del  medesimo  con  i  pii!i  illustri  uomini  del  suo  tempo 
raccolta  io  più  volumi,  ed  alcuni  suoi  manoscritti  trovansi  nella  no- 
stra biblioteca. 


SUE  VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA  483 

CuYARKELLi  GIUSEPPE  Mabu  da domenicano  in 

teologia. 

CiNuoHi  Pietro'  da  Siena  gesuita  in  teologia. 

Coluita  CAMnxo  da  Brescia  gesuita  in  filosofìa. 

Colonna  SEYERiva  da  Aiaccio  gesuita  in  filosofia. 

CoLUcci  Giuseppe  da  Penna  S.  Giovanni  in  giuris.  (1). 

CoNSALVi  Vincenzo  da  Macerata  gesuita  in  filosofia. 

CoRDARA  Giulio  Cesare  da  Alessandria  gesuita  in  elo- 
quenza (2). 

Cordella  Bartolomeo  giuniore  da  Fermo  in  giuris.  (3). 

Cordella  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Cordella  Lorenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Cordella  Niccola  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Cordella  Vincenzo  da  Fermo  in  medicina. 

CoRNELi  Francesco  Antonio  da  Montottone  minore  con- 
ventuale in  teologia. 

(1)  Deve  a  lui  il  Piceno  i  monamenti  della  sua  slorica  antichità. 
Notissima  è  la  sua  vasta  opera  col  titolo  Antichità  Picene  in  32  vo 
lumi,  di  cui  fu  splendi|io  Mecenate  il  Pontefice  Pio  VI.  Tenuta  a 
vile  in  suo  vivente  ora  ò  assai  lodata  e  ricercata  anche  dagli  stranieri. 
Fu  vicario  generale  prima  in  Orvieto,  poi  in  Fermo  del  Card,  fìran- 
cadoro  a  lui  amicissimo.  Mori  nel  1809  e  nell'  atrio  del  Duomo  gli 
venne  eretto  il  monumento  illustrato  dall*  Àvv.  Gaetano  Db-Miiiigts 
nella  parte  l.  dei  monumenti  fermani,  il  quale  dettò  la  iscrizione  ripor- 
tata da  R.  Db-Minicis  Jscr.  ftrm.  N.  8.  Ne  pubblicò  la  biografia  nel  1840 
lo  stesso  Avv.  Raffaele  Db-Minicis. 

(2)  Si  fé*  ammirare  pel  suo  spirito  e  pe'suoi  talenti,  che  lo  fecero 
scegliere  per  continuare  la  storia  della  sua  compagnia  intrapresa  dal- 
r  Orlandino 

(3)  Tenne  anche  altre  cattedre;  fu  bibliotecario  e  difensore  dei 
poveri  in  patria,  giudice  de*  malefici  e  delle  appellazioni  a  Trieste, 
ove  fu  onoralo  di  gravi  e  diflìcili  missioni.  Andò  uditore  con  Mons, 
Marzio  GarafTa  a  Montai to,  a  Viterbo  e  nella  provincia  del  Patri mo« 
nio;  governatore  a  Velletri,  uditore  a  Perugia  per  tutta  la  provincia 
dell*  Umbria,  poi  per  la  provincia  della  Marca  incaricato  da  Mont, 
Pallavicino  -  Morì  circa  il  1754. 


484  SUE  vigenoì:  posteriori  e  decadenza 

CoBREA  Tommaso  dall'  Isola  dì  Sora  gesuita  in  teologia. 
Crispoldi  Giotan51  Maria  da  Perugia  gesuita  in  filosofia. 

CuQoiA  Federico  Tommaso  da agostiniano  in  teologia* 

Cupelu  Domenico  da  Loro  gesuita  in  filosofia. 
D'Aquinio  Giovanni  Carlo  da  Napoli  gesuita  in  teol.  (1) 
De-Albertis  Alberto  da  Venezia  gesuita  in  filosofia. 
De-Anoeus  Gumbattista  da  Tivoli  gesuita  in  teologia. 
D'  Elci  Filippo  da  Firenze  gesuita  in  filosofia. 
Docci  Giuseppe  da  Siena  gesuita  in  filosofia. 
Durante  Sebastìano  da  Orvieto  gesuita  in  filosofia. 
Erioni  Giuseppe  Nicola  da  Fermo  in  teologia  (2). 
Evangelisti  Onofrio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Falconi  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza  (3). 
Faure  G.  Battista  da  Roma  gesuita  in  filosofia  (4). 

(1)  Celebre  per  ia  versione  latina  che  primo  egli  fece  di  quasi 
latta,  la  Divina  Commedia  di  Dante  (tralasciato  qualche  tratto  qua  e 
là),  pei  suoi  dizionari  latini  di  architettura  e  dell'arte  militare. 

(2)  Nella  patria  Università  ebbe  la  laurea  in  filosofia,  in  teologia 
ed  in  ambo  le  leggi.  Sostenne  molte  cariche  sotto  gli  arcivescovi 
Borgia,  Paracciani  e  Minnucci:  zelante  delle  patrie  glorie  lasciò  21 
volumi  in  foglio  scritti  di  sua  mano,  nei  quali  raccolse  tutto  ciò  che 
era  stato  scritto  e  stampato  in  fino  allora  intorno  a  Fermo  col  titolo 
€  Berum  firmanarum  scriplorts  qaos  eolUgit  in  ordinem  redegil  ac  T^ae- 
fationibm  ausil  loseph  Nicolaus  Herionus  Beelesiae  metropolitanoi  Arehì" 
diaconus,  »  Alcuni  di  questi  libri  sono  nella  biblioteca.  Lasciò  pure  12 
volumi  di  altre  sue  opere  originali  latine  ed  italiane  e  versioni  dal 
francese.  Per  tante  fatiche  e  pel  diuturno  studio  perdette  la  vista; 
mori  nel  19  Aprile  IBIS. 

(3)  Resse  Fermo  in  qualità  di  Presidente  sotto  la  Repubblica  ro- 
mana nel  17S9. 

(4)  Stimatissimo  teologo  fu  maestro  dei  più  valenti  dottori  del 
clero  romano.  Dopo  la  soppressione  della  Compagnia  passò  i  suoi 
giorni  a  Viterbo,  di  cui  fu  dichiarato  cittadino  con  amplissimo  diploma. 
Il  Morcellì  dettò  V  epigrafe  sepolcrale  che  si  legge  nella  sua  opera, 
il  Passaglia  pubblicò  un  lavoro  molto  pregiato  (dedicandolo  al  Card. 


SUE  VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA  485 

Fkdeu  Nicola  da  Fermo  in  medicina. 
Fkbrari  Frakcbsco  Saterio  da  Milano  gesuita  in  teologia. 
Fhjppo  Maria  da  Pesaro  min.  oss.  in  filosofia. 
Gaetani  Ignazio   Maru  da  Palermo  gesuita  in  filosofia. 
Garulu  Camillo  da  Fermo  in  eloquenza  (1). 
OiAcoMozzi  Giuseppe  da  Massa  in  medicina. 
GioLiucci  Giuseppe  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
GmAXi  Luigi  da  Brescia  gesuita  in  filosofia. 
GiOTAKNiNi  Gio.  Battista  da  Jesi  gesuita  in  filosofia. 
Giuli  Egidio  da  Genazzano  gesuita  in  filosofia. 
Golia  Luigi  da  Roma  gesuita  in  filosofia. 
GoRi  Giulio  da  Siena  gesuita  in  filosofia. 
Grazuki  DoMEKico  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Grimaldi  Francesco  da  Genova  gesuita  in  filosofia. 
Guerrieri  Bonaventura  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Guerrieri  Carlo  Luigi  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Guerrieri  Lucio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Guerrieri  Tommaso   Giuseppe    da   Fermo    in    giurispru- 
denza. 
Iongo  Gio.  Battista  scozzese  gesuita  in  filosofia. 


Cosiantino  Patrizi  Vicario  di  8.  8.  in  Roma),  cioè  Enchiridion  de  Fide, 
Spe  ti  CharUate  S.  Augmlirn  annotalo  dal  Paure  con  la  giunta  di  altre 
uote  deir  editore.  Il  p.  Antonio  Bresciani  nella  descrizione  dei  Irenla 
medaglioni,  dell'  apparalo  e  della  fesla  del  Collegio  Romano  per  la  visita 
falla  dal  Santo  Padre  Pio  IX  parla  del  Paure,  che  era  effigialo  in  uno 
dei  detti  medaglioni. 

(I)  Pece  i  suoi  studi  nella  patria  Università,  e  nel  1760  entrò  fra 
\  padri  della  Compagnia  di  Gesù.  Con  assai  plauso  insegnò  eloquenza 
in  Ascoli  ed  in  Perugia,  e,  dopo  la  soppressione,  in  patria  con  tanta 
rinomanza,  che  ancor  ne  vive  la  memoria.  Molte  opere  sue  furono 
pubblicate,  fra  cui  due  volumi  di  orazioni  latine  sacre  e  profane  dette 
nelU  nostra  Università  ed  il  poema  latino  sul  sistema  Copernicano. 


486  SUE   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA 

LAaoMABSiKi  Girolamo  da  Genova  gesuita  in  eloquenza  (1). 
Lanzi  Gaetano  da  Macerata  in  medicina. 
Lavagna  Gio.  Battista  da  Genova  gesuita  in  teologia. 
Lelmi  Gio.  Battista  dell'  Isola  Ohio  gesuita  in  teologia. 
Liberi  Baluni  Leopoldo   Enrico  da  Bergamo  domeni- 

nicano  in  teologia. 
LuNARDi  GiuPEPPB  Ottatio  da  Lucca  in  filosofia. 
Macilenti  Gioyan  Francesco  da  Roma  gesuita  in  filosofia. 
Maogiori  Domenico  da  Fermo  in  eloquenza  (2). 
Maiolini  Angelo  Filippo  da  Poggio  Mirteto  gesuita  in 

teologia. 
Manetti  Francesco  da  Firenze  gesuita  in  filosofia. 
Marini  Vincenzo  da  Massa  min.  oss.  in  filosofia  e  teologia  (3). 

(1)  Peritissimo  in  latino  ed  in  greco  e  professore  anche  a  Firenze; 
è  lodato  autore  di  varie  opere. 

(2)  Compose  varie  operette  assai  importanti  per  la  storia  patria* 
fra  le  quali  an  libro  in  versi  elegiaci  €  De  firmanat  urbis  origine  atque 
ornamentis  »,  ove  non  so  qual  sia  più  da  commendare  o  T  eleganza 
dei  versi  o  T  erudizione  delle  note.  Questo  libro  però  che-^gli  il  1. 
Novembre  1786  intitolava  al  Card.  Gio:  Francesco  Albani  vescovo  dì 
Ostia  e  di  Velletri,  sarebbe  forse  come  gli  altri  suoi  scritti  rimasto 
inedito  per  la  morte  di  lui  avvenuta  neiril  Luglio  1788;  ma  a*  con- 
forti di  molti  lo  pubblicò  r  anno  appresso  il  concittadino  tipografo 
Giuseppe  Alessandro  Paccasassi,  stampandovi  anche  il  belP  elogio  epi- 
grafico dettato  in  latino  dal  conte  Vincenzo  Sabbioni  Orsini. 

(3)  Ebbe  fama  di  grande  filosofo  e  profondo  teologo»  ed  esercitò 
d*ambe  le  scienze  il  magistero  nei  conventi  di  Ancona ,  di  Mantova 
e  di  Fermo.  Gli  arcivescovi  Minnucci  e  fìrancadoro  lo  destinarono  a 
loro  teologo,  e  di  poi  altrettanto  fece  il  Card,  della  Somaglia.  Salì  t 
gradi  più  elevati  del  suo  ordine;  più  volte  fu  provinciale,  indi  com- 
missario di  Curia  e  due  volte  Procurator  Generale.  Scrisse  molti  vo- 
lumi di  decisioni  morali  e  liturgiche,  opera  applaudita  e  ricercatissima. 
Insegnò  per  ben  quarant^anni,  e  avvenne  la  sua  morte  in  Fermo  il 
27  Giugno  del  1831:  nella  chiesa  dei  Minori  Osservanti  gli  si  eresse 
il  monumento  con  sopra\i  il  busto.  V.  R.  Db-  Minicis,  opera  citata 
Num.  95-96. 


SUE   VICENDE  POSTERIORI   E  DECADENZA  487 

Mabiotti  Saverio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Mabtelli  Giacinto  Mabia  da  .  .  .  domenicano  in  teologia. 

Massi  Clemente  Antonio  da  Fermo  in  medicina. 

Mastini  Alberto  da  ...  .  dell'  ordine  de'  minimi  in 
teologia. 

Matteucci  Saterio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Matteucci  Tommaso  Lorenzo  da  Fermo  domenicano  in 
teologia. 

Mazzolari  Giuseppe  Maria  da  Pesaro  gesuita  in  elo- 
quenza (1). 

Michel  Angelo  da  M.  Cosare  min.  oss.  in  teologia. 

MiscEL  Teofilo  da  Livorno  gesuita  in  filosofia. 

Montani  conte  Giacomo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

Montani  Gio.  Francesco  da  Fermo  gesuita  in  filosofia. 

Montani  Giuseppe  Leone  da  Fermo  in  giurisprudenza  (2). 

Montani  Vincenzo  da  Fermo  domenicano  in  teologia. 

Monti  Serafino  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

MoRCELLi  Stefano  Antonio  da  Chiari  gesuita  in  elo- 
quenza (3). 

(1)  Poeta  latino  chiarissimo  conosciuto  pure  sotto  il  nome  di 
Mariano  Partenio,  Insegnò  eloquenza  anche  a  Firenze  e  a  Roma,  e 
sono  assai  lodate  le  sue  opere  specialmente  latine.  Mori  in  Roma 
H  14  Settembre  1786  e  tra  gli  altri  manoscritti  lasciò  una  vita  del  p. 
Lagomarsini  suo  inlimo  amico. 

(2)  8i  laureò  nella  patria  Università,  ove  lesse  per  iO  anni. 

(3)  Venne  a  Fermo  nel  1764,  ove  due  anni  di  poi  dettava  ai  suoi 
discepoli  alcuni  precetti  dell'arte  lapidaria,  nei  quali  si  conteneva  (a 
primissima  idea  e  quasi  V  archetipo  della  grande  opera  De  siilo  iarcrip- 
Honum  laiinarum  pubblicau  nel  1781.  E  perciò  a  buon  diritto  alla 
sottra  città  ò  dovuta  la  gloria  di  averle  dato  in  qualche  guisa  la  culla. 
Compose  qui  iscrizioni  temporanee  e  permanenti  in  diverse  congion- 
lare;  quelle  in  urbem  si  monumenta  firmana  furono  stampate  nell*  agon 
ilnnanus  e  più  volte  riprodotte;  altre  messe  alla  luce  dai  PaACASSBTTi 


488  sue  viCE^iDE  posteriobi  e  decadenza 

Morelli  Giotak  Fbahcesco  da  Montelparo  in  medicina. 
MoRONE  Pietro  da  Monsampolo  in  medicina. 
MoRRONE  Filippo  da  Fermo  in  medicina. 
MoRROivE  GiuF^EPPE  Ignazio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
MuLTEDO  Giovar  Francesco  da  Savona  gesuita  in  filosofia. 
Nicola  Antonio  da  S.  Giorgio  min.  oss.  in  teologia. 
Nicolai  G.  Battista  da  Valenzatro  nel  Pistoiese  gesuita 

in  filosofia. 
OuviERi  Domenico  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Olivieri  Ruggero  Antonio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Orlando  Enrico  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Orlando  Filippo  Antonio  da  Città  della  Pieve   gesuita 

in  teologia. 
Orlando  Fiduzio  da  Fermo  in  medicina. 
Orsini  Carlo  da  Montegiberto  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Girolamo  da  Fermo  in  medicina. 
Paccaroni  Ottavio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Paccaroni  Valentino  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Pacini  Curzio  Filippo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 

in  ana  lettera  a  Salvatore  Betti  inserita  nel  giornale  arcadico  fascio, 
di  M^rzo  1823;  e  dal  Db-Minicis  in  una  lettera  a  Monsignor  Carlo 
Emanuele  Mazzarelli  intùrno  ad  alcune  iscrizioni  viedite  e  ad  una  poe- 
sia  del  Morcelli.  Roma,  tipograGa  delle  belle  arti  1841;  ma  i  Padovani 
editori  delle  opere  di  lui  hanno  trascurato  di  collocarvele.  Lesse  al- 
tresì varie  dissertazioni  nella  nostra  Accademia  degli  Erranti,  tre  deUe 
quali  si  pubblicarono,  cioè  sullo  studio  delle  anliche  monete,  (Milano 
1829  Bonfanti)  per  cura  del  cav.  Labus;  dell'arte  critica  diplomatica 
(memoria  di  religione,  di  morale  e  di  letteratura,  giornale  di  Modena) 
per  cura  del  conte  Alessandro  Evangelista;  dette  arti  e  delle  lettere  da- 
gli italiani  prima  della  fondazione  di  Roma  (  Modena  1823  tìpogralia 
Soliani  e  poi  riprodotta  nel  giornale  di  detta  citlà.  Tom.  IV  pag.  403 
e  seguenti)  per  cura  del  prof.  Michele  Ferrucci. 


SUE   VICENDE   POSTERIORI   E  DECADENZA  489 

Pacini  Lorenzo  da  Fermo  agostiniano  in  teologia. 
Paouoki  GioYANiri  da  Civita  Reale  gesuita  in  filosofia. 
Farri  Bartolomeo  da  Brescia  gesuita  in  filosofia. 
Pauloni  Severino  (o  Gunfrancbsco)  da  S.  Anatolia  ge- 
suita in  teologia. 
Peralta  Domekico  Maria  da  Malta  gesuita  in  teologia. 
PicHELLi  Vrro  da  Fermo  in  medicina. 
Pieri  Domenico  da  Fermo  in  medicina. 
Pietra  Niccolò  da  Savona  gesuita  in  filos.  ed  eloquenza  (1  ). 
Pisani  Michelangelo  da  Nepi  gesuita  in  filosofia. 
Pititti  Alessandro  da  Frascati  gesuita  in  filosofia. 
PoRTicELu  Gaetano  da  Viterbo  in  filosofia. 
Provensali  YiROiNto  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
R4CCAMADOR1  Domenico  iuniore  da  Fermo  in  medicina. 
Raccamadori  Gla^como  Filippo  da  Fermo  in  medicina. 
Raccamadori  Rodolfo  Onofrio  da  Fermo  in  medicina. 
Raffagni  Paolo  Antonio  da  Milano  gesuita  in  filosofia. 
Redi  Diego  di  Arezzo  gesuita  in  eloquenza  (2). 

(i)  Insegnò  filosofia  quando  era  gesuita,  eloquenza  dopo  la  sop- 
pressione della  compagnia.  Dottissinio  nelle  scienze  specialmente  nelle 
sacre,  oratore  e  poeta.  8i  hanno  di  lui  alcune  poesie  latine  di  vario 
metro  pubblicate  senza  nome  dell*  autore,  e  l*  orazione  funebre  del 
Card.  Paracciani  Ietta  nella  nostra  chiesa  metropolitana  il  i  Febb.  1877 
nelle  solenni  esequie  del  di  trigesimo  stampata  dal  nostro  Lazzarini 
Deiranno  medesimo.  Resse  il  Seminario  dopo  la  morte  del  Canonico 
Saverio  Bernetti;  morì  il  25  Febbraio  1814. 

(2)  Nipote  del  celebre  medico  e  poeta  Francesco  Redi.  Egli  di- 
resse una  solenne  Accademia  celebrata  il  3  Giugno  1725  per  la  ve- 
nuta di  Monsignor  Alessandro  Borgia  eletto  Arcivescovo  di  Fermo, 
della  quale  dette  una  splendida  relazione  il  fermano  conte  Niccola 
Sabbioni  con  una  lettera  al  Bali  Gregorio  Redi  padre  di  Diego,  at^ 
trìbuendone  tutta  la  lode  al  valentissimo  professore.  La  lettera  si  pub- 
blicò in  Macerata  per  Giuseppe  Francesco  Ferri. 


490  SUB   VICENDE   POSTEBIORI   E   DECADENZA 

Reggi  Ottayio  da  ...  .  gesuita  in  filosofia. 
Ricciardi  Nicola  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
RoMAKo  Angelo  Giuseppe  da  Genova  gesuita  in  filosofia. 
RossiGNOLi  Pietro  Francesco  da  Novara  in  filosofìa. 
Rota  Saverio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Rubini  Serafino  da  Camerino  gesuita  in  filosofia. 
Ruffo  Domenico  Alessio  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Sabbioni  conte  Vincenzo  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Saliceti  Girolamo  da  Olestano  gesuita  in  filosofia. 
Salvi  Cesare  da  Fermo  in  medicina. 
Santoni  Pietro  Giovanni  da  Fano  gesuita  in  teologia. 
Savini  Gio.  Battista  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
SiMONSLLi  Filippo  da  Morrovalle  min.  conv.  in   teologia. 
SiMONELLi  Giacomo  Filippo  da  .  .  .  gesuita  in  filosofia. 
SoBRiNi  Francesco  Maria  da  Nizza  gesuita  in  filosofia. 
Sfagni  Andrea  da  Firenze  gesuita  in  teologia  (1). 
Spinucci  conte  Domenico  da  Fermo  in  giurisprudenza. 
Stoppini    Giacinto    da  Cattanello  in  Sabina    gesuita   in 

filosofia. 
Taddei  Francesco  Antonio   da  Macerata  min.  cony.  in 

teologia. 
Tanursi  P.  Luigi  Antonio   da   Ripatransone    min.  oss. 

in  teologia. 
Testori  Pietro  da  Brescia  gesuita  in  filosofia. 
TiPALDi  Giovanni  da  Cefalù  gesuita  in  filosofia. 
ToRRicELLA  ....  da  ...  .  min.  oss.  in  teologia. 

(I)  Ha  insegnato  filosofia  e  teologia  con  assai  lode.  Fu  anche 
professore  di  Matematica  nel  Collegio  romano,  dove  aiatò  il  p.  Àsclepi 
nelle  sue  osservazioni  astronomiche.  Scrisse  varie  dissertazioni  filo- 
sofiche: mori  in  Roma  nel  1788. 


8UK   vicende:   POSTERIOni   B   DECADENZA  491 

Tresaki  Ambrooio  da  Monte  S.  Pietro  gesuita  in  teologia. 
Tunisi  Tommaso  da  Eagusi  gesuita  in  filosofia. 
Yalsecchi  Mario  da  Venezia  gesuita  in  teologia. 
Vassalli  Francesco  da  S.  Giusto  in  eloquenza. 
Vassalli  Michelangelo  daS.  Giusto  in  diritto  pubblico  (1). 
Venuti   Antonio    Maria  da  Borgo  S.  Sepolcro    gesuita 

in  filosofia. 
Vincenzo  da  Castelclementino  min.  osser.  in  filosofia. 
Vittori  Gregorio  da  Cori  gesuita  in  filosofia. 
Zanni  Domenico  Felice  Maria  d'  Ancona  domenicano  in 

teologia. 

Nel  Secolo  XIX. 

Aliforni  Placido  da  Amandola  in  giurisprudenza. 

Ambrosi  Antonio  da in  giurisprudenza. 

AuGUSTONi  Domenico  da  Fermo  min.  conv.  in  filosofia. 
AuousTONi  P.  Giovanni  da  Fermo  agostin.  in  teologia  (2). 
Balbi  Adruno    da  Venezia   in  fisica   nel  R.  Liceo  del 

Tronto  (3). 
Baldelli  Agostino  da  Castelleone  in  algebra  e  geometria 

nel  R.  Liceo  del  Tronto. 


(1)  Fu  direttore  degli  studi  al  tempo  della  repubblica  romana 
nel  i798. 

(2)  Dotato  di  eccellente  dottrina  e  facondo  oratore  tenne  le 
più  eminenti  cariche  del  suo  ordine;  poi  fu  eletto  vescovo  di  PorQ- 
rio,  Sagrtsta  Ponti Qcio.  Ne  recitò  la  funebre  orazione  nel  di  trigesimo 
della  morta  avvenuta  il  23  Marzo  i839  il  Canonico  Prof.  Francesco 
MiCHBLBSi ,  stampata  a  Fermo  nella  tipografa  Arcivescovile  del  Bar- 
tolini. 

(3)  Il  celebre  geografo  a  tutti  notissimo. 


492  SUE   VICENDE  tK)STBRIORr  E  DECADENZA 

Banchieri  Giotakni  da  Boma  prete  della  Missione  in 
giurisprudenza  (1). 

Barzellotti  Giacomo  toscano  in  medicina. 

Bracciolahi  Giuseppe  da  Fermo  in  eloquenza. 

Caraffa  Innocenzo  da  Fermo  in  medicina. 

CoRELu  Arcangelo  da  Forlì  in  lingua  francese  nel  H. 
Liceo  del  Tronto. 

Curi  Giovanni  da  Servigliano  gesuita  in  eloquenza  (2). 

Filippo  da  Monsampietrangeli  min.   oss.  in  teologia. 

GlilComini  Antonio  da  Fermo  in  medicina. 

GiUNCHiNi  Aldobrando  da  Fermo  in  architettura. 

Leone  Evasio  da  Casalmonferrato  carmelitano  in  elo- 
quenza e  storia  antica  e  moderna  nel  R.  Liceo  del 
Tronto  (3). 

(1)  Apprezzato  di  molto  dal  Card.  Brancadoro  per  le  sue  doti 
non  comuni  di  mente  e  di  cuore  fu  nominato  Rettore  del  Collegio 
Marziale.  Valse  assai  anche  nelle  scienze  matematiche,  alle  quali  ini- 
ziò molti  giovani  fermani  e  fra  questi  Carlo  Andrea  Caraffa,  che  en- 
trato poi  nella  compagnia  di  Gesù  fu  una  illustrazione  del  suo  or- 
dine, specialmente  nelle  scienze  esatte.  Morì  immaturamente  nel  5 
Aprile  Ì8t7. 

(2)  Supplì  per  cinque  anni  il  p.  Evasio  Leone  chiamato  a  Roma. 
Nel  nostro  Seminario  fu  professore  di  'storia  e  di  teologia  e  poi  entrato 
fra  i  gesuiti  lo  fu  di  teologia  e  di  diritto  canonico  nel  Collegio  roma- 
no» ove  ebbe  a  discepolo  V  attuale  Pontefice  Leone  XIIL  Venuto  in 
fama  di  valente  oratore  meritò  essere  scelto  da  Papa  Leone  XII 
per  predicare  nelle  piazze  di  Roma  la  preparazione  air  anno  santo 
insieme  con  gì*  illustri  Finetti,  Marchetti,  Cadolinì  e  Monsignor  Fo- 
scolo. Finì  r  operosa  vita  in  Roma  nel  20  Maggio  1846. 

(3)  Nel  1802  venne  a  Fermo  professore  di  eloquenza  e  di  poesia 
nella  nostra  Università  per  cura  del  Card.  Brancadoro  mecenate  dei 
letterati.  Apri  il  suo  corso  con  una  orazione  latina  detta  nelTaula 
municipale,  la  quale  non  ismenii  la  fama  che  lo  aveva  preceduto 
e  la  sua  scuola  si  rese  presto  copiosa  di  alunni.  Lesse  pure  V  elo- 
gio funebre  delP  Arcivescovo   Monsignor  Andrea  Mi nu ucci  stampato 


SUE   VICENDE   POSTERIORI    E   DECADENZA  49^ 

LocATELLi  Giuseppe  da  Tolentino  in  disegno. 

Magalotti  avv.  Francesco  da  Rimini  in  istituzioni  civili 
nel  R  Liceo  del  Tronto. 

Magistretti  Biagio  da  Imola  in  disegno  nel  R.  Liceo, 
del  Tronto. 

Marchetti  Francesco  da  Montalboddo  min.  conv.  in  arit- 
metica e  geometria. 

Mattiou  Luigi  da  Gualdo  di  Nocera  in  giurisprudenza. 

MicHELEsi  D.  Francesco  da  Fermo  in  eloquenza  (1). 

Monti  Fiuppo  da  Monsampietrangeli  in  teologia. 

MoLiNELU  Gio.  Pietro  da  Bologna  in  medicina. 

Natau  Vincenzo  da  Bologna  in  chirurgia. 

dal  fìodoni  di  lui  amicissimo  nel  iS04.  Andò  nel  iS06  professore 
di  teologia  morale  nelP archiginnasio  romano,  ove  disse  una  latina 
orazione  in  lode  del  PonteGce  Leone  X,  e  poi  fece  ritorno  a  Fermo 
nel  4809  per  insegnare  nel  R.  Liceo.  Nel  4813  prese  a  dirigere  il 
Giornale  del  Tronto  che  fu  qui  allora  fondato,  studiandosi  di  renderlo 
ora  istruttivo  coli*  inserirvi  notizie  dì  storia  patria,  ora  piacevole  con 
ingegnosi  versi.  Particolareggiate  notizie  di  questo  lodatissimo  oratore 
e  poeta  si  hanno  nelle  fnemorìB  inlomo  alla  vita  ed  alle  opere  di  Roano 
Uone  Carmelitano  scrille  dall' Aw,  Raffaele  Db-Minigis,  pubblicate  in* 
oanzi  alle  sue  opere  in  Ancona  dalla  tipografia  Giuseppe  Aureli  e 
Gomp.  4853. 

(1)  Tenne  lodatamente  la  cattedra  per  24  anni.  Oratore  di  assai 
rinomanza  predicò  nelle  principali  città  d'Italia,  ove  grandi  onori 
raccolse,  lasciando  in  ogni  luogo  alta  estimazione  e  non  minor  desi- 
derio di  sé.  Profondo  teologo,  giurisperito  e  gentile  poeta  venne  ono* 
rato  di  molti  accademici  diplomi  ed  ascritto  nel  Collegio  legale  dei 
dottori.  Fa  canonico  della  insigne  Collegiata  di  8.  Michele  Arcangelo, 
sostenne  molte  ecclesiastiche  incumbenze,  e  mori  nel  4  Ottobre  del 
1842.  Si  hanno  di  lui  diverse  operette  a  slampa,  che  rivelano  il  suo 
ìogegoo  e  la  sua  valentia  neirarle  del  dire,  fra  cui  le  orazioni  funebri 
dei  fermani  Card.  Carlo  Andrea  Pelagillo,  Card.  Cesare  Branoaduro 
e  Monsignor  Giovanni  Augustoni.  Una  modesta  pietra  nella  chiesa  di 
S.  Michele  Arcangelo  fu  posta  sulla  sua  tomba.  V.  R.  DB-Mmtais, 
i$er.  ferm.  N.  433. 


494  SUE   VICENDE   POSTERIÒHI    E   DECADENZA 

Pascasio  di  S.  Verecondo  da  Verona  agostiniano  scalzo 
in  fisica  e  stx)rìa  sacra. 

Petrilli  Angelo  da  Roma  ex  gesuita  in  eloquenza* 

pLAcci  Giuseppe  da  ....  in  fisica  nel  R.  Liceo  del 
Tronto  (1). 

PuHGiLEONi  Luigi  da  ...  .  min.  conv.  in  eloquenza. 

Ranaldi  Domenico  da  Macerata  in  chimica  e  storia  na- 
turale nel  R.  Liceo  del  Tronto  (2). 

Ricci  Alessandro  da  Fermo  in  pittura  lineare  (3). 

Rossi  Luigi  da  Piacenza  in  logica  e  filosofia  morale  nel 
R.  Liceo  del  Tronto. 

SciPiONi  Saverio  da  ...  .  in  geografia  e  storia  romana. 


(1)  Mentre  insegnava  a  Fermo  pubblicò  a  Vicenza,  tip.  Parise 
4809,  un* operetta  intitolata:  Sul  meccanismo  delia  pronuncia  ndla  lin- 
gua italiana,  -  Osservazioni  -  Raffaele  Lambbuscbini  (  Guida  dell*  Edu- 
catore, Anno  primo  1836  a  pag.  315)  fa  osservare,  parlando  di  questo 
libro,  che  avanti  CafTore  un  italiano  ha  sottoposto  ad  un'analisi  rigo- 
rosa la  formazione  della  parola  e  ha  indicato  con  minutezza  e  pre- 
cisione ammirabile  V  ufficio  di  ciascun  organo  dalla  glottide  fino  allo 
labbra  nel  pronunciare  ogni  vocale  ed  ogni  consonante  dell'alfabeto 
italiano;  lo  chiama  prezioso  e  degno  d'essere  attentamente  letto.  Al 
Placci  successe  nella  cattedra  il  Balbi. 

(2)  Combattè  come  volontario  nella  compagnia  dei  cacciatori  au- 
siliari italiani  nell*  assedio  di  Ancona  sotto  il  General  Mounier,  e  poi 
fece  parte  dell*  esercito  Napoleonico  col  grado  di  chirurgo  di  prima 
classe.  Medico  prestantissimo  fu  tenuto  meritevole  di  reggere  i  due 
più  rinomati  nosocomi  di  Firenze  e  di  MHano  :  qui  in  Fermo  so- 
stenne molti  pubblici  incarichi  e  per  le  solerti  sue  cure  sorse  la  no- 
stra Accademia  agraria,  ove  lesse  e  pubblicò  opere  utili  e  commen- 
date. Mori  il  24  di  Marzo  del  1865  nella  grave  età  di  anni  95.  V. 
Curi  Vincenzo,  Elogio  funebre  del  Prof.  Domenico  Ranaldi  nelle  solenni 
esequie  rinnovale  il  27  Aprile  i865  nella  cfùesa  di  S.  Ignazio  in  Fermo, 
Fermo  1865  tip.  dei  fratelli  Ciferri. 

(3)  Ultimo  della  serie  dei  pittori  di  questa  famiglia  fermana, 
che  furono  Ubaldo,  Natale,  Lucia,  Filippo. 


SUB   VICENDE   POSTERIORI  E  DECADENZA  495 

Silvestri  dott.  Giuseppe  da  Fermo  in  agraria  e  botanica 

nel  R.  Liceo  del  Tronto  (1). 
SixEONi  Felice  da  Rieti  in  giurisprudenza. 
SiMoxETTi    GiovAKin    Luioi   da   Falerone  in  geografia  e 

storia  romana. 
Tayecchi  Olimpio  da  Roma  in  giurisprudenza. 
ToxBOLiNi  Vincenzo  da  Porto  San  Giorgio  min.  conv.  in 

fisica  e  matematica  (2). 
Tresani   Filippo   da  Monsampietrangeli   min.   conv.  in 

filosofia. 
Yàleruni  Orazio  da  Montelparo  in  agraria  e   botanica 

nel  R.  Liceo  del  Tronto. 
Vincenzo  da  Montegranaro  min.  osser.  in  filosofia. 
Woller  Felice  da  Roma  in  chirurgia. 


(1)  A  questo  scienziato  fermano  morto  nei  1811  ai  fecero  so- 
lenni funerali  coli*  intervento  dell* intero  collegio  dei  Profesf^ori  ed  il 
Leone  ne  tessè  il  funebre  elogio.  A  lui  successe  nella  cattedra  il 
Val  eri  ani. 

(2)  Fu  anche  membro  del  collegio  teologico  e  filosofico  e  assai 
riputato  nelle  scienze  che  coltivò  sempre  con  amore.  V.  Fagotti  D.  Fb- 
DBRiGO.  Elogio  funebre  del  Reverendissimo  P.  Maestro  Vincenzo  Tombolini 
M,  C.  leilo  nella  chiesa  di  S.  Francesco  di  Fermo  per  le  esequie  deil' an- 
niversario  a  dì  i5  Aprile  1864,  Fermo  pei  tipi  dei  fratelli  Ciferri  1864. 


V. 


STATO  FRBSSNni  DSaLI  STUDI 


Se  Fermo  perdette  la  Università  non  mancò  di  ser- 
bar mai  sempre  gelosamente  le  tradizioni  letterarie  e 
di  promuovere  in  ogni  guisa  V  istruzione ,  che  aveale 
procacciato  la  invidiabile  rinomanza  di  dotta.  Ma  pria 
di  presentare  come  in  un  quadro  lo  stato  attuale  dei 
suoi  studi,  non  panni  fuor  d'  opera  dire  una  parola  in 
generale  sulle  nostre  Marche.  Questa  bella  regione  dalla 
benigna  natura  privilegiata  di  balsamico  aere ,  di  sole 
sempre  benefico  e  fulgente,  di  pianure  e  di  colli  ricchi 
di  viti  e  di  olivi  e  bagnata  dalle  onde  del  ridente 
Adriatico  fii  sempre  culla  di  grandi  uomini  nelle  scien- 
ze, nelle  lettere  e  nelle  arti;  ed  in  fatto  d'  istruzione 
sta  forse  sopra  a  molti  paesi  italiani,  non  certo  al  di 
sotto  di  alcuno.  Vi  fioriscono  al  presente  tre  Università, 
dieci  licei,  sedici  ginnasi,  cinque  istituti  tecnici,  ven- 
titré scuole  tecniche,  cinque  tra  scuole  normali  e  magpistrali, 
sette  convitti  maschili,  molti  femminili,  un  istituto  di 
belle  arti,  una  scuola  ed  un  istituto  d'arti  e  mestieri,  dieci 
accademie,  due^licei  musicali,  di  cui  uno,  il  Pesarese,  col 
cospicuo  patrimonio  di  Gioacchino  Rossini  diverrà  tale  da 
non  temere  rivali  o  da  richiamare  un  po'  piti  l'atten- 
zione dell'  Italia  su  queste  provincie,  alle  quali  manca 
pon  il  valore  ma  V  arte  di  farsi  valere.  Ha  inoltre  in 


STATO  PRESENTE  DEGLI  STUDI  Ì97 

Roma  un  Collegio  detto  Piceno  per  gli  studi  superiori  (1). 
In  ordine  all'  istruzione  primaria  le  ultime  statistiche 
segnano  circa  1500  scuole  elementari  tra  pubbliche  e 
private ,  maschili  e  femminili ,  non  calcolando  1'  istru- 
zione data  alle  persone  adulte  nelle  scuole  notturne  e 
festive  ed  alle  ecclesiastiche  nei  loro  speciali  istituti 
d'  insegnamento  e  di  educazione  che  han  sede  quasi 
in  ogni  città.  I  Marchigiani  adunque  han  fatto  e  fan- 
no molto,  checché  ne  dicano  certi  saccenti,  i  quali 
tengono  in  si  poco  conto  le  Marche  senza  conoscerle 
solo  per  il  mal  vezzo  pur  troppo  assai  comune  di  cri- 
ticar tutto  e  tutti,  avvisando  di  darsi  così  quel  tono, 
che  non  potrebbero  avere  altronde. 

Fermo  fu  essa  da  meno  delle  altre  città  consorelle 
nel  curare  la  istruzione  ?  Se  la  carità  del  natio  loco  non 
mi  fa  velo  all'  intelletto,  a  me  sembra  di  potere  franca- 
mente rispondere  che  no.  Difatti  essa  possiede  i  se- 
guenti istituti  di  istruzione  ed  educazione.  —  H  R.  Li- 


{{)  Il  Collegio  Piceno  fa  fondato  in  Roma  dai  Marchigiani  nel 
secolo  XVII  a  beneficio  di  dodici  giovani  delle  Marche,  i  qaali  ivi 
per  cinque  anni  potessero  attendere  agli  studi  delle  facoltà  legali  e 
di  medicina.  Questa  bellissima  istituzione  prosperò  lungamente,  ma 
poi  andò  scadendo  non  per  modo  che  anche  oggidì  non  rimangano 
alcuni  lasciti  amministrati  insieme  coi  beni  di  una  confraternita  an- 
nessa alla  Chiesa  di  8.  Salvatore  in  Lauro.  Dopo  il  1870  molti  Mu- 
nicipj  e  Congregazioni  di  Carità  delle  nostre  Marche  si  sono  occupati 
di  rivendicarne  T  amministrazione,  ma  per  ora  invano;  giova  sperare 
che  vi  si  riesca  alla  perfine  coir  appoggio  del  Governo,  e  vengano 
poi  conferiti  i  posti  con  sani  criteri  giusta  lo  spirito  della  istituzione 
di  render  giustizia  al  merito  e  di  soccorrere  i  meno  agiati.  V.  Riven^ 
dieatione  del  ColUgio  Piceno  in  Roma,  ^>  Relazione  della  Commissione 
inlerprovineiale  marchigiana.  Ancona,  tipogr.  del  Commercio  i879. 

Archiv   Stor.  March.  [\  l  32 


498  STATO  PRESENTE  DEGLI  STUDI 

ceo  denominato  Annibal  Caro  (1),  uno  dei  tre  fondati 
con  Decreto  6  Novembre  1860  dal  R.  Commissario 
straordinario  delle  Provincie  delle  Marche  Lorenzo  Va- 
lerio (2),  ordinato  poi  a  tenore  della  legge  13  Novem- 
bre 1859  al  principio  dell'anno  scolastico  1861-62.  — 
Il  Ginnasio  comnnitativo  sorto  sul  finire  del  1860,  che 
con  Decreto  Ministeriale  del  4  Luglio  1873  meritò  di 
essere  pareggiato  ai  Regi  (3).  —  La  scuola  tecnica 
comunitativa  fondata  con  risoluzione  consiliare  dal  3  Mag- 
gio 1872  ed  aperta  nel  Novembre  di  detto  anno.  —  Le 
scuole  elementari  maschili  e  femminili,  serali  per  gli 
adulti  e  domenicali  femminili.  —  Tre  scuole  rurali,  una 
a  Torre  di  Palme,  V  altra  a  Capodarco,  la  terza  a  S.  Giro- 
lamo. —  Tre  asili  in£sintili  (4).  —  Scuole  musicali  (5). 

(1)  Ad  Annibal  Caro  e  Giacomo  Leopardi  glorie  Picene  furono 
innalzate  il  25  Giugno  1876  nel  Piazzale  Àbramo  Lincoln  due  slaiae 
lavoro  del  Gomm.  Prof.  Odoardo  Tabacchi  per  nobi!<)  pensiero  del 
giovane  Conte  Lorenzo  Maggiori  morto  il  21  Settembre  1872,  avendo 
egli  a  tale  scopo  legato  L.  5000  al  nostrti  Municipio,  il  quale  poi  con- 
corse alia  spesa. 

(2)  Gli  altri  due  sono  il  R.  Liceo  Leopardi  di  Macerata,  il  R.  Liceo 
Perticari  di  Senigaglia. 

(3)  Dal  nostro  Liceo  e  Ginnasio  sono  usciti  molli  giovani  che  già 
fatti  uomini  danno  bel  saggio  del  loro  ingegno  e  del  loro  sapere 
nelle  diverse  professioni  da  essi  prescelte,  e  percorrono  una  brillante 
carriera. 

(4)  Bono  denominati  Regina  Maria  Adelaide  —  Regina  Maria  Pia 
—  Principessa  Clotilde.  —  La  pietosa  opera  fu  eretta  per  cura  del 
Municipio  il  18  Settembre  1861. 

(5)  La  nostra  città  anche  neir  arte  musicale  ha  molta  rinomanza. 
La  scuola  degli  istrumenii  da  corda  fu  tenuta  lungamente  dal  nostro 
concittadino  Alessandro  Marziali,  violinista  esimio  e  abilissimo  diret- 
tore d*  orchestra,  che  fece  molti  buoni  allievi.  La  scuola  di  canto  dal- 
l'altro  nostro  concittadino  Francesco  Cellini  uno  dei  rari  maestri  del 
vero  canto  italiano,  cui  si  deve  la  gloria  di  aver  dato  ai  migliori  tea- 


STATO   PRESENTE   DEGLI   STUDI  Ì99 

—  Un  istituto  d'arti  e  mestieri  con  convitto,  unico  in 
tutta  Italia,  di  cui  ha  parlato  testé  con  assai  lode  quel- 
la celebrità  italiana,  che  è  il  Senatore  Rossi  giudice  in 
materia  competentissimo,  dopo  averlo  visitato  nel  Maggio 
del  1877,  proponendolo  a  modello  per  la  istituzione  di 
una  scuola  industriale  a  Vicenza,  alla  cui  spesa  dichia- 
ra generosamente  di  voler  contribuire  con  ingente  som- 
ma (1).  ^  L'  istituto  di  Fermo  (egli  dice)  ci  offre 
quindi  un  concetto  abbastanza  esatto ,  anzi  in  qualche 
parte  migliorato,  delle  scuole  francesi.  Da  dodici  anni 
io  ne  ho  seguito  con  grande  attenzione  lo  svolgimento, 
utilissimo,  bench^^  colpito  d'  anemia,  ne  feci  menzione 
nelle  mie  note  sulla  Esposizione  del  1867  a  Parigi,  lo 
ho  minutamente  visitato  nella  scorsa  primavera,  vi 
mandai  alcuni  allievi,  ne  possiedo  degli  uomini  fatti  e 
che  occupano  una  posizione  distinta  nelle  mie  industrie. 

—  È  questa  la  scuola  che  io  vorrei  fondare  a  Vicenza, 
scuola  secondogenita,  ma  nella  pienezza  dei  mezzi  e  nel 
posto  che  le  compete  e  tale  che  valga  a  rinforzare  ed 
onorare  la  scuola  primogenita  e  tipo,  scuola  più  che  di 
provincia^  di  regione,  ossia  del  Nord  d'  Italia ,  come 
quella  di  Fermo  sarà  del  centro,  in  attesa  che  una  terza 

tri  del  vecchio  e  nuovo  mondo  una  schiera  di  grandi  artisti:  basterà 
ricordare  il  fanese  Antonio  Giuglini  ed  i  fermani  Francesco  e  Ludo- 
vico Graziani,  Enrico  Fagotti  e  Maria  Biancolini.  Per  sussidiare  que- 
sta scuola  legò  ogni  suo  avere  il  benemerito  Carlo  Mora  mancato  il 
13  Luglio  1874.  V.  Cubi.  Elogio  funebre  di  Carlo  Mora  nobile  fermano, 
letto  nel  tempio  di  5.  Ignazio  in  Fermo  per  l'esequie  dell'anniversario, 
addi  i3  Luglio   i875.  Fermo,  stab.  tipogr.  fìacher. 

(1)  Proposta  per  la  istituzione  di  una  scuola  industriale  a  Vicenza, 
lettera  del  Senatore  Alessandro  Rossi  ai  suoi  colleghi  del  consiglio  provine 
ciate.  Padova,  stab.  Prosperi  ni  1877. 


300  STATO   PRESENTE   DEGLI   STUDI 

si  fondi  nel  mezzogiorno  a  complemento  „  (1).  —  Inol- 
tre ha  un  Convitto  Nazionale  inaugurato  il  3  Novembre 
1862  —  tre  educandati  per  le  femmine,  la  cui  cultura 
non  è  mai  abbastanza  raccomandata ,  essendoché  ninno 
ignora,  come  il  benessere  e  la  civiltà  di  una  generazione 
si  producano  per  due  quinti  dall'  uomo  e  per  tre  quinti 
dalla  donna ,  che  prepara  V  avvenire  della  nazione  — 
un'  accademia  agraria  istituita  nel  1848,  alla  quale  è 
annessa  una  scuola  di  agricoltura  e  zootecnia  con  podere 
sperimentale,  gabinetto  geoponico  ed  una  scelta  biblioteca 

(l)  Pei  lasciti  del  Gomm.  Girolamo  Gonte  Montani  fermano  e 
della  Gontessa  Margherita  sua  consorte  fu  nel  1854  fondato  questo 
stabilimento  per  alimentare  e  istruire  i  tìi>li  dei  povero  e  si  deno- 
minò opera  pia  Montani  11  R.  Commissario  Straordinario  delle  Marche 
Lorenzo  Valerio  con  decreto  dell' 8  Gennaio  1861  N.  743  dette  nuovo 
impulso  e  nuovi  mezzi  a  quest*  opera  di  beneticenza,  affinchè  meglio 
corrispondesse  allo  scopo  e  divenisse  di  vera  utilità  non  solo  alla  città 
di  Fermo,  ma  anche  a  tutte  le  provi ncie  delle  Marche.  Agi'  incorag- 
giamenti del  B.  Gommissario  prontamente  risposero  la  provincia  ed 
il  comune,  e  T  istituto  prese  un  nuovo  indirizzo.  Quale  ne  fosse  il 
risultato  ce  lo  dice  lo  stesso  Senatore  Rossi  nel  citato  opuscolo,  e  Dal 
registro  degli  alunni  della  scuola  di  Fermo  veggo  che  407  vi  sono 
entrati  dal  1863  epoca  dell'apertura.  —  Veggo  che  vi 'giungono  da 
tutte  le  parti  d'Italia,  ma  dal  Nord  molto  più  numerosi,  e  che  vi 
sono  mandati  da  costruttori,  da  industriali,  alcuni  cospicui,  da  capi 
fabbrica,  ecc.  tutti  competenti.  Quando  la  coscrizione  li  chiama,  la 
più  parte  di  essi  sono  collocati  nelle  officine  d'artiglieria,  del  genio 
e  della  marina.  —  Veggo,  che  tutti  quegli  alunni  che  vi  hanno  com- 
piuto l'intero  corso,  e  non  sono  meno  di  150,  hanno  comincialo  la 
loro  carriera  come  semplici  operai  nei  diversi  opiQci,  ma  nessuno  vi 
è  rimasto  operaio;  tutti  ascesero,  chi  più  chi  meno  secondo  ì  servigi 
realmente  resi,  i  diversi  gradi  della  scala  dei  laboriosi;  alcuni  sono 
già  direttori,  uno  lo  è  anche  di  una  primaria  fabbrica  del  lanificio 
Rossi.  >  Ai  generosi  istitutori  Montani  tanto  della  patria  e  della  ci- 
viltà benemeriti  pose  il  Municipio  una  lapide  nel  prospetto  interno 
dell'Istituto. 


STATO   PBESENTE   DEGLI   STUDI  501 

d' agraria  e  di  scienze  afl&ni  (1)  —  una  società  storico- 
archeologica  delle  Marche  fondata  nel  1873,  che  vanta 
nel  suo  albo  i  più  illustri  uomini  italiani  e  forestieri  (2) 

—  una  biblioteca  ricca  di  ben  settantamila  volumi  fra 
i  quali  molti  preziosi  cimeli  ed  una  collezione  di  sto- 
rie municipali  così  numerosa,  che  eguale  non  ebbe 
a  trovare  il  Mommsen  nelle  primarie  città  d'Italia  (3). 

—  È  da  notare  in  fine  che  vi  ha  scuole  interne  e 
speciali  nel  seminario  Arcivescovile  ed  in  alcuni  degli 
istituti  di  beneficenza,  di  cui  la  città  nostra  è  fornita  a 
dovizia,  come  neir  orfanotrofio  e  brefotrofio  maschile  e 
femminile  e  nella  povera  casa  di  ricovero.  Il  numero 
poi  di  coloro    che   in  questi    istituti,  comprese    alcune 

(1)  V.  Statuto  per  l' accademia  agraria  provinciate  di  Fermo.  Fermo 
dalla  tip.  Pacca^assi  1848.  Per  sua  cara  sono  stale  p&bblicate  diverse 
disserlazìoni  lette  dai  soci.  (Fermo,  tip.  de'  fratelli  Ciferri  li  26  Gen- 
naro 1862);  si  fanno  annualmente  premiazioni  ad  incoraggiamento 
dell*  agricoltura,  e  si  deve  pure  ad  essa  il  felice  pensiero  di  una  espo* 
sizione  agricola»  industriale,  artistica,  eseguita  in  Fermo  nel  Setlem- 
bre  del  1869,  che  ottenne  uno  splendido  successo  e  le  lodi  dei  mol- 
tissimi visitatori,  ì  quali  ammirarono  la  riuscita  di  questo  tentativo, 
il  primo  esempio  nelle  Marche,  ed  il  progresso  dell*  agricoltura  e  delle 
industrie  nella  nostra  Provincia. 

(2)  V.  Sociefà  Storico  '  Archeologica  delle  Marche,  Statuto  organico. 
Fermo  dalla  tip.  Bacher  1873.  Questa  società  ha  pubblicato  due  vo- 
lumi dei  suoi  atti,  il  primo  nel  1875.  Rocca  S.  Gasciano,  stab.  tip. 
di  F.  Gappelli;  il  secondo  nel  1877,  Fermo  stab.  tip.  Bacher. 

(3)  Oltre  il  Municipio  che  ha  in  ogni  tempo  curato  di  accrescerla 
e  recentemente  acquistato  la  copiosa  e  scelta  librerìa  delPAvv.  De 
Minicis,  anche  i  privati  vi  hanno  generosamente  concorso.  Romolo 
Spezioli  lasciò  alla  nostra  biblioteca  i  molti  e  preziosi  suoi  libri,  Mi- 
chele Gatalani  105  volumi  di  opero  ragguardevolissime,  e  non  ha  guari 
il  giovane  Gonte  Lorenzo  Maggiori  un  legato  di  L  50U0,  il  Gonte 
Alessandro  Evangelista  di  scudi  1000,  da  ultimo  TAvv.  Giuseppe 
Otlaviani  2000  e  più  volumi.  Il  Gonte   Evangelista,  al  nobile  inten- 


502  STATO   PRESENTE   DEGLI   STUDI 

scuole  private,  ricevono  quotidianamente  U  pane  dell"  in- 
telligenza ascende  a  oltre  1700,  la  qual  cifra  rappre- 
senta quasi  il  quarto  della  popolazione  interna  di  Fermo. 

Se  sorgente  prima  di  civiltà  e  di  utilità  morale  e 
materiale  (•  la  pubblica  istruzione,  molta  lode  e  ricono- 
scenza merita  il  nostro  Municipio  che  in  ogni  tempo  ebbe 
in  cima  de'  suoi  pensieri  di  estenderla  in  ogni  classe 
di  cittadini  per  bandire  1'  ignoranza  ed  ottenere  quella 
luce  tanto  da  alcuni  temuta.  Ed  a  tal  uopo  apparec- 
chiò magnifici  locali  per  gì'  istituti ,  assegnando  anche 
posti  gratuiti,  forni  vaste  scuole  ed  una  palestra  ginna- 
stica, e  ne  provvide  esuberantemente  il  materiale;  com- 
pletò il  corpo  insegnante  con  buoni  professori  e  maestri; 
stanziò  sussidi  e  venne  in  soccorso  dei  fanciulli  poveri 
con  libri  scolastici ,  non  peritandosi  di  portare  nel  suo 
bilancio  la  spesa  per  la  pubblica  istruzione  alla  ingente 
somma  di  circa  L.  45,  000,  senza  parlare  dell'  istituto 
d'  arti  e  mestieri,  che  ^  amministrato  separatamente  e 
spende  una  somma  di  gran  lunga  superiore. 

Da  quanto  abbiamo  fin  qui  ragionato  si  par  mani- 
festa la  nobiltà  e  la  prestanza  di  Fermo ,  ove  la  luce 
della  scienza   cominciata  a  risplendere ,  quando   altrove 


ijimciito  di  promuovere  gli  studi  di  storia  paina  legò  eziandio  al  Mu> 
nicipio  scadi  40  annui  in  perpetuo  da  darsi  in  premio  a  quel  cittadino 
fermano  che  pres^enieri  la  miglior  memoria  scritta  intorno  ad  un  sog- 
goUii  patrio,  sia  che  riguardi  qualche  tratto  dolta  storia  genenile  ili 
Fi-rmu,  sia  che  si  lìmiti  nel  descrivere  la  vita  di  taluno  degli  illustri 
ciUndini.  —  Il  preseme  lavoro  olknne  il  premia  nd  concorsu  per  l'anno 
1876,  in  teguilo  al  vrh  della  commistione  nominala  dal  ilunieipio  nrllt 
peeson»  dei  e/iiiiri.ttinti  signori  Civ.  Ave.  Giuseppe  Fraeasseiii,  Ah.  Antonio 
ihnitlì,  .Vateh.  Cai:  Cesare   Trtvisini  relatore. 


Stato  pbesente  degli  studi  503 

eran  fitte  le  tenebre  dell'  ignoranza,  non  venne  mai  me- 
no. Questo  pregio  singolare  però  da  tutti,  i  governanti  ri- 
conosciuto sempre  ed  apprezzato  non  valse  in  questi 
ultimi  tempi  a  camparla  da  gravi  ingiustizie,  contro  le 
quali  indarno  fino  ad  ora  si  è  levata  alto  la  voce. 
Che  se  i  fati  non  consentono  che  le  sia  fatta  ragione, 
curiamo  di  continuare  nella  coltura  delle  scienze,  delle 
lettere  e  delle  arti  per  salvare  almeno  questo  glorioso 
patrimonio,  unico  che  ci  è  rimasto,  e  cosi  ci  mostrere- 
mo degni  de'  nuovi  tempi,  della  civiltà,  delle  lìbere  isti- 
tuzioni. 

Ed  eccomi  al  termine  del  mio  qualsiasi  lavoro ,  di 
cui  avrò  riportato  premio  grande ,  se  dalla  lettura  di 
queste  pagine  avvenga,  che  i  nostri  istituti  d' istruzione 
ottengano  favore  presso  il  R.  Governo;  che  la  fervida 
gioventù,  della  quale  veggo  quelli  abbondare,  abbia  uno 
stimolo  efficace  a  dar  opera  ai  buoni  ed  utili  studi;  che 
in  fine  alcuno  sia  spronato  a  scrìvere  piii  ampiamente 
e  con  maggiore  dottrina  su  questo  nobilissimo  argo- 
mento. 


% 


AVVERTENZA 


Mentre  si  stavano  etampando  le  presenti  notizie  storiche  ^  Tenuto 
alla  luce  nn  dotto  lavoro  àì  Ricenrdo  Forster  professore  nella  L'uiver- 
Bità  di  Rostock  sopra  Francesco  Zambwcari  e  le  lettere  di  Libanio  c<d 
titolo  <  Francesco  Zambeccari  uiid  rfi'.'  Briose  rf«  Libanios.  Ein  Bfitrag 
sur  Krilik  des  Libanios  ttnd  iwr  Grsrbichle  àer  PhiMogie.  Stuttgart. 
Verlag  vod  Albert  HeiU  1878.  >  Ivi  trovansì  i  versi  latini  dello  Zam- 
beccari diretti  a  ringraziare  il  popolo  fermano  del  vessillo  ricevuto  in 
dono,  riscontrati  con  altro  foglio  del  codice  Vaticano  75'',  dove  si  ha 
r  ultimo  distico  che  osservammo  mancare  nella  nota  relativa  a  Fran- 
cesco Zambeccari  in  fine  del  Cap,  II,  ed  f>  il  sejtuente; 

Sii  saiis:  a  parrà  venientia  multerà  dextra 
AceipiuMt  placida  tiiiniinT  magna  manu. 

In  detta  opera  è  riportata  pure  nella  sua  integrità  la  lettera  del- 
l' anonimo  tolta  dal  Codice  Harleiano  2Ò61  fogl.  22\''  che  parla  dello 
Zambeccari  e  di  Mariano  da  Montefalconp.  Sebbene  quel  patre  meo 
aggiunto  a  Mariano  indurrebbe  a  congetturare,  come  dicemmo,  essere 
autore  della  lettera  Fabrizio  tìglio  di  Mariano,  che  fu  ripetitore  e  poi  mae- 
stro anch'  esso  ia  Fei'mo,  pure  oltreché  par  strano  che  un  figlio  sia  chia- 
mato a  dar  giudizio  sul  valore  del  proprio  genitore,  questo  supposto 
trova  ostacolo  nel  complesso  della  lettera,  massime  in  espressioni,  che 
riferiscono  piuttosto  a  vìncoli  di  amicizia  che  di  sangue.  Che  l'abbre- 
viatura pre  (patre)  del  codice  voglia  dir  proeceplore,  o  praecnsore? 


DOCUMENTI 


1. 


Brano  del  Capitolare  dell'  Imperatore  Lotario  I  dato  in 
Olona  nell'  825  estratto  dai  Monumenta  Germaniae  histo- 
rica  FoL  III  pag,  248  fad,  Georgius  Parti  Hannoverae 
MDCCCXXXF,  A  ulici  Hahniani),  con  cui  fu  instituito  lo 
Studio  centrale  in  Fermo. 

Lhotarii  constitutiones  Olonnenses 

Incipìl  capilula  quod  doronus  imperator  sexlo  anno  im- 
perii sui  ad  generale  placilum  insliluil  curie  Holona. 

6.  De  doclrina  vero,  quae  ob  nimiam  incuriam  alque 
ignaviani  quorundam  praepositorum ,  cunctis  in  locis  esl 
fundilus  exlinla,  placuit  ui  sicut  a  nobis  conslilulum  est,  ila 
ab  omnibus  observclur;  vìdelicel  ut  ab  bis  qui  nostra  dispo- 
silione  ad  doccndos  alios  per  loca  denominata  sunt  constituti, 
maximum  delur  studium ,  qualiter  sibi  commissi  scolastici 
proGciant,  atque  doctrinae  insislant ,  sicut  presens  exposcit 
necessitas.  Propter  opportunitatem  tamen  omnium  apta  loca 
distincte  ad  hoc  exercitium  providimus ,  ut  dìffìcullas  lo- 
corum  longe  positorum,  ac  pauperlas,  nulli  foret  excusatio. 
Id  sunt:  Primum  in  Papia  conveniant  ad  Dungalum ,  de 
Medìolano,  de  Brixia,  de  Laude,  de  Bergamo,  de  Novaria,  de 
Vercellis,  de  Tertona,   de  Aquis,  de  lanua,  de  Aste,  de  Cu- 


506  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI  IN   FERUO 

malo.  Eporegia  ipse  episcopus  hoc  per  se  facial.  In  Taurinis 
conveniaot  de  Vinlimilìo,  de  Àlbìngano,  de  Vadis,  de  Alba, 
lo  Cremona  discant  de  Regia,  de  Placenlia,  de  Parma,  de 
Mulina.  In  Florenlia  de  Tuscia  respicìanl.  In  Firmo  et  de 
Spoletìnis  civitatibus  conveniani.  In  Verona  de  Manlua,  de 
Trienlo.  In  Vincenlia  de  Palavis^  de  Tarvisio,  de  Fellris,  de 
Ceneda,  de  Asylo.  Reliquae  civitales  Forum  Julii  ad  scolam 
conveniani  (*). 


2. 

Bolla  del  Pontefice  Bonifacio  Vili  data  a  Boma  il  16  Gen- 
naio del  1303  riportata  dal  Cherubini  nel  Bollano 
Bomano  al  Tomo  I  pag.  179  ediz.  di  Lusemburgo^  colla 
quale  venne  decretata  la  erezione  dell'  Università  degli 
studi  in  Fermo. 

BoNiFATius  Episcopus 
Servus   Servorum  Dei 

Ad   PERPETUAI!   REI   MEMORIAM 

In  supremae  dignitatis  aposlolicae  specula  superni  di* 
spensatione  consilii,  licei  immerili,  consliluli  ad  universas 
fidelìura  regiones  Nobis  credilas ,  eorumque  profectus ,  et 
comraoda  tanquam  universalis  gregis  dominici  Paslor,  com- 
missae  Nobis  speculationis  aciem  quanlum  Nobis  ex  alto 
permittilur  exlendentes,  fidelibus  ipsis  ad  quaerendum  lite- 
rarum  studia  ,  per  quae  divini  nominis ,  suaeque  fidei  Ca- 
tbolicae  cultus  protenditur,  justilia  colitur,  tam  publica  quam 
privata  res  gerilur  utiliter,  omnibusque  prosperitas  humanae 
conditionis  augetur,  libenter  favores  gratiosos  impendimus, 
et  oportunae  commoditatis  auxilia  liberaliter  impcrtimur. 

(*)  Mi  è  pitcioto  di  ttlenermi  Illa  oomintta  edizione,  anziché  ti  Vartlori, 
cbe  riporti  Io  stesso  capitolare  nel!*  opera  «  Rerum  itaiiearum  SeriptorùM  » 
Tom  I.  parte  9.,  per  ragione  della  maggior  esattezza. 


DOCUMENTI  507 

Cum*ilaque  nuper  prò  parie  dileclorura  lìliorutn  Cora- 
rnunilalis,  el  hominiim  Cìviialis  noslrae  Fiimanae  Provinciae 
Marchiae  Anconilanae  proposilum  fucrii  coram  Nobis,  quod 
ipsi  non  solum  ad  ulijilalem  el  prosperilalem  hujusmodi 
Reipublicae,  ac  Incolarum,  Caslrorum,  el  Terrarum  eis  sub- 
jeclarun),  sed  eliam  aliariim  pnrlium  vicinarum  laudabililer 
ìnlendenles  in  Civilate  Fìrmana  lanquam  in  insignioii  loco,  el 
magis  ad  hoc  commodo,  el  idoneo,  cuìque  aeris  vigel  lem- 
peries ,  viclualium  uberlas ,  exlerai  umque  rerum  ad  huma- 
num  usum  perlinenlium  copia  reperilur,  desiderenl  plurimum 
fieri,  el  ordinari  per  Sedem  Aposlolicam  Sludium  generale 
in  qualibel  licila  facuUale,  ul  ibidem  fides  ipsa  dilatelur, 
erudianlur  sìmplices,  aequilas  servelur,  judicii  vigeal  ralio, 
illumincnlur  menles,  el  inlelleclus  hominum  illuslrenlur. 

Nos  praemissa,  el  eiiam  eximiam  fìdei  el  devolionis  con- 
slantiam,  quam  ipsì  homines,  el  Comunilas  ad  Nos,  el  San- 
clam  Romanam  Ecclesiam ,  Gdemque  calholicam  gerere 
dignoscunlur,  aliente  consideranles,  fervenli  desiderio  iiidu- 
cimur,  quod  Civiias  ipsa  scienliarum  ornelur  muneribus,  ila 
ul  viros  producal  consilii  malurìlale  conspicuos ,  virtulum 
redimilos  ornalibus,  ac  diversarum  facullaluni  dignilalibus 
erudilos,  de  quorum  pleniludine  haurianl  universi,  lilera- 
rum  cupientes  imbui  documenlis.  lis  igilur  omnibus ,  el 
praeserlim  idoneilale  diclae  Civiialis,  quae  ad  mulliplicaoda 
sanae  doclrinae  semina,  el  germina  salularia  producendum 
magis  congrua  el  accomoda  inter  alias  Civiiates.Terras,  Loca» 
el  Oppida  diclae  Provinciae  fore  dicilur,  diligenti  examina- 
lione  pensalis,  non  solum  ad  ipsius  Civiialis,  sed  eiiam  Re* 
gionum  circumiacenlium  Incolarum  commodum^elprofeclum 
palernis  affeciibus  anhelanles  praediclorum  Gomunilalis, 
el  hominum  in  hac  parie  supplicalionibus  inclinali  ad  lau- 
dem  divini  nominis ,  el  fìdei  propagalionem  orihodoxae 
auclorilale  Apostolica  slaluimus,  el  eliam  ordinamus,  ul  in 
eade:n  Civilate  de  coderò  sii  Sludium  Generale  adinslar 
sludii  Bononiensis ,  illudquc  perpeluis   temporibus  inibì  vi- 


508  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI   IN    FEBMO 

geat  tam  in  Theologia,  Jure  Canonico,  ac  Civili  el^Artibus, 
quam  alia  qualibet  licita  facultale ,  quodque  legenles ,  et 
studentes  ibidem  omnibus  privilegiis,  liberlatibus  et  imma- 
nilalibus  concessis  Magislris  in  Theologia,  ac  Docloribus  le- 
genlibus,  el  siudenlibus  commoiantibus  in  Sludio  Bononiensì 
gaudeanl,  et  utanlur 

Et  quod  illi,  qui  processu  lemporis  bravium  meruerunt 
in  illa  facultate ,  in  qua  sluduerunl,  obiinere,  sibique  do- 
cendi  licenliani,  ut  alios  erudire  valeanl,  ac  Magisterii,  seu 
Doctoratus  honorem  pelìerint  elargìrì ,  per  Magistrum ,  seu 
Magistros ,  vel  Doctores  illius  facullalis,  in  qua  examinatio 
fuerit  facìenda,  Venerabili  Fralri  Nostro  Episcopo  Firmano 
prò  tempore  existenti,  vel  ejus  suffìcienli  el  idoneo  Vicario, 
quem  ad  hoc  idem  Episcopus  duxerit  deputandum,  Ecclesia 
vero  Firmana  vacante,  illi,  qui  ad  hoc  per  dilectos  fìlios  Capi- 
tulum  ipsius  Ecclesiae  Firmanae  depulalus  extilerit,  praesen- 
tentur;  idemque  Episcopus,  aul  Depulalus,  ut  praeferlur , 
Magislris,  el  Docloribus  in  eadem  facultate  actu  ibi  legen- 
libus  convocalìs ,  illos  in  iis  quae  circa  promovendos  ad 
Magislerii  seu  Doctoratus  honorem  requiranlur  juxla  mo- 
dum,  et  consueludinem ,  quae  super  talibus  in  generalibus 
Studiis  observantur,  examinare  sludeat  diligenter,  eisque,  si 
ad  hoc  sufficientes  el  idonei  reperti  fuerinl,  hujusmodi  ii- 
cenliam  iribual,  et  Magisteri!,  et  Doctoratus  honorem  con- 
ferai, et  eliam  largiatur. 

Illi  vero,  qui  in  eodem  sludio  dictae  Civilalis  examinali, 
et  approbati  fuerinl,  ac  docendi  licentiam,  et  honorem  hujus- 
modi obtinuerint,  ut  est  dicium,  ex  lune  absque  examine,  et 
approbalione  alia,  legendi  et  docendi  tam  in  praediclo  ip- 
sius Civilalis,  quam  in  singulis  aliis  generalibus  Studiis,  in 
quibus  voluerint  legere,  et  docere,  statutis,  el  consuetudini- 
bus  quibuscumque  contrariis  Apostolica  auclorilale ,  vel 
quacumque  firmilale  alia  roboratis  nequaquam  obstanli- 
bus,  plenam  el  liberam  habeant  facultalem. 

Nulli  ergo  omnino  hominum  liceat  hanc  paginam  nostrae 


DOCUMENTI  500 

coDslilutìonis,  etordinalionìs  infringere,  vel  e!  ausu  temerario 
contraire.  Si  quis  autem  hoc  attentare  praesumpseril  indi- 
dignhtioncin  Omnipotentis  Dei,  et  Beatorum  Petri  et  Pauli 
Apostolorum  ejus  se  noverit  incursurum. 

Dalum  Romae  apud  Sanctum  Petrum  XVII  Calendas  Fé- 
bruarìi  Pontificatus  Nostri  Anno  Nono. 

F.   De   MONTOPOLITANO 


3. 


Breve  del  Ponle/ice  Calisto  III  dalo  a  Roma  il  26  Giugno 
1455  riportato  nel  sommario  della  causa  e  Hrmana  con- 
oessioniiin  pag.  109  >  prodotto  avanti  la  S.  Rota  V  an- 
no 1769^  col  quale  venne  confermata  la  detta  Università. 

Calistus  Episcopus 
Sebvum  Sebvorum  dei 

Dilectis  Filiis  Comunilali,  et  Civibus  Civitatis  Nostrae 
Firmanae  salutem  eie. 

Tanta  est  Vestra  erga  Nos,  et  Romanam  Ecclesiam  devotio- 
nis,  et  fldei  costantia,  tot  etiam  sunt  Vestra  erga  Sedem  Apostò* 
licam  merita,  ut  dignum,  et  juxtum  esse  arbitremur,  quod  ea 
Vobis  favorabiliter  concedemus,  quae  commoditatìbus  vestris 
Tore  conspicimus  opportuna.  Cum  itaque  dudum  fel.  Nec.  Nico- 
luusPapaQuintusPraedecessorNostervobisLitterasApostolicas 
concesserit  tenoris  subsequenlis,  videiicet,  ommissis  etc.Nos 
non  minori  Liberalitale  Vos  omnes  paterna  benevolentia  prose- 
quentes,  ac  ipsam  Fidem  et  devotionem  Vestram  pariter,  et 
merita  io  dies  erga  nos,  et  eamdem  Sedem  magis,  magisque 
augen;  sperantes  Litteras  praefati  Praedecessoris,  nec  non  om« 


510  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI   IN   FEHMO 

nia  cjlia  privilegia,  indulla,  gralias,  et  immunilates  per  alios 
Romanos  PonliGces  Praedecessores  Nostros,  et  praeserlini  per 
Bonifacium  Papam  Vili  eliam  Praedecessorem  nostrum,  ut  Stu- 
dium  generale  in  Civitate  vestra  retìnere  valealis,  acperquos- 
cumque  Sedis  Apostolicae  Legatos,  seu  Nuncios,  usque  a 
dal.  praesentiura  Vobis  concessa,  ac  si  de  privilegiis,  indultis, 
gratiis,  et  immunitnlibus  hujusmodi  praesentibus  de  verbo, 
ad  verbum  facta  essel  menlio  specialis  Auctoritate  Aposto- 
lica, et  certa  scientia  approbamus,  et  confìrmamus,  ac  iuribus 
subsislere  decernimus,  supplentes  omnes  defectus,  si  qui 
intervenerint  in  eisdem ,  et  nihilominus  Vobis  ut  centuni 
ducatos  singulo  anno  usque  ad  octo  annos  habeatis  in 
talleis  futuris  p'^r  nos  Camerae  Apostolicae  persolvendis 
coniputandos  quos,  et  alios  pio  slatu  dictae  Ecclesiae  prò 
Jacoho  Geguani  de  Mandalo  Dilecti  Filii  Ludovici  tiluli 
Sancii  Laurentii  in  Damaso  Presbiteri  Cardinalis  Camme- 
rarii  Nostri  persolvistis,  et  Vobis  per  dictum  Nicolaum  Prae- 
decessorem minime  satisfactum  fui,  tenore  praesentium  ea- 
dem  autoritate  concedimus.  Nec  non  considerantes  dictae 
Civitatis  diminutionem,  ac  domorum  devastatiooem ,  et  de- 
populationem,  ac  plurimum  Castrorum  et  Locorum  combu- 
stionem  tempore  redentionis  dictae  Civitatis  ad  veram  ip- 
sius  Romanac  Ecclesiae  fidelitatem,  ne  diligenter  animadver- 
tenles  quaemadmodum  fide  digno  percepimus  testimonio, 
quod  muri  praefatae  Civitatis  magna  reparatione  indigcre 
noscuntur,  ut  Vos  ipsos  in  l^rma,  et  costanti  ipsius  Romanae 
Ecclesiae  obbedientia  conservare  possitis,  quaemadmodum  in 
Domino  speramus  ,  atque  confìdiinus,  etiam  Vobis  centuni 
et  quadraginta  quinque  florenos  inonetae  currentis  singulo 
unno  usque  ad  decennium  ex  tallei^:  praefitlis  remictimus  et 
relaxamus,  ac  remissos  et  relaxatos  esse  volumus  per  prac- 
sentes,  et  insuper,  ut  hae  praesentes  Licterae  ac  omnia  in  eis 
contenda  debitum  sortìaniur  efTectum  omnibus,  et  singulis  Le- 
gatis,  ac  Gubernatoribus,  Thesaurariis,  et  Rectoribus  nec  non 
Officialibus  nostris,  et  d.  Sedis,  ubilibet  constitutis  per  Aposto- 


DOCUMENTI  5  (  1 

lica  Scripta  mandamus  quatenus,  omnia  praemissa  perpetuo 
diligenter  observent  el  observare  leneanlur,  et  debent,  ac  ab 
aliis  inviolabiter  faciant  observari.  Nos  enim  quidquam  con- 
tra  praemissa,  vel  quodiibet  praemissorum  gestum,  aut  qua- 
vis  auctoritate  scienter,  vel  ignoranler  forsan  attentntum  fuerit 
harum  serie  dccernimus  nullius  roboris,  vel  momenti.  Nulli 
ergo  omnino  bominum  liceat  hanc  paginam  Nostrarum  ap- 
probationis,  confirmationis,  conslitutionis,  suppletionis,  con- 
cessionis,  remissionis,  relaxationis,  volunlstis,  el  mandati  in- 
fringere,  vel  ei  ausu  temerario  contraire.  Si  quis  autem 
hoc  attentare  praesumpserit  indignationem  Omnipotentis  Dei, 
et  Beatorum  Petri ,  et  Pauli  Apostolorum  ejus  se  noverit 
incursurum. 

Da<um  Romae  apud  Sanctum    Petruuj    anno  1455  sexto 
Kalendns  Julii  Pontificatus  Nostri  Anno  Primo. 

L.  DB  Castblliano 


4. 


Bolla  del  Ponlefice  Sislo  Fdaia  in  Roma  il  13  Setlembre  i5S5, 
riportata  nel  sud.  Bollario  Romano  Tom.  Il  pag.  536^ 
eolla  quale  venne  decretata  la  restaurazione  della  fermona 
Università. 

SixTUs  Episcopus 
Servus  Servorum  Dei 

Ad  PERPETUAI!   REI   MEMORIAM 

Huneris  nostri  debito  incumbit ,  ut  ad  ea  propensiori 
cura  intendamus,  per  quae  litterarum  studia  propagentur, 
studiorumque  generalium  Collcgia  ,  et  Universitates ,  unde 
scieotia  ipsa,  et  praesertim  juris  utriusque  prudentia,  sine 


512  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI   IN    FERMO 

qua  Respublìca  rite  administrari  nequirel,  et  per  quam  ju- 
stìlia  uadique  colilus,  et  omnis  prosperitas  humaDae  erudi- 
tionis  augetur,  ìastitunnlur,  et  bis,  quae  propteraea  a  Ro- 
manis  PontiOcibus  pracdecessoribus  noslris  Civiiatibus,  illa- 
rumque  Civibus  iacolis,  et  personis,  praeserliin  Nobìs,  et  Sedis 
Apostolicae  temporali  dilioni  subiectis  provide  processerunt,ul 
firma,  perpetua, et  illibata  persistantJmplementumAuctoritalìs 
nostrac  subsidium  libenter  impertiamur,  illaque  nonnumquam 
innovemus,  nliasque  desuper  disponamus,  proui  Civitatura, 
et  hominum  praedictorum  singularis  erga  dictam  Sedem 
devotio,  et  merita  exposcunt,  atque  requirunt,  et  Nos  conspì- 
cimus  in  Domino  salubriler  expedire. 

Sane,  cum  sicut  accepimus,  alias  postquam  felicis  recor^ 
datioois  Bonifacius  Papa  Vili  praedecessor  noster,  certis  lune 
expressis  causis  adductu^,ac  supplica tionibus  dilectorum  filio- 
rum  tunc  existentium  Communitalis,  et  hominum  Civiiatis  no- 
strae  tunc  suae  Firmanae  inclinalus  per  quasdam  statuerat 
et  ordinaverat ,  ut  in  dieta  Civitate  extunc  esset  unum 
Studium  generale  ad  instar  Sludii  Bononiensii;  illudque  per- 
petuis  temporibus  ibi  vigeret  tam  in  Theologia;  Jure  Cano- 
nico, et  Civili,  ac  Artibus,  quam  alia  qualibet  licita  facultaie, 
quodque  legentes,  et  studentes  in  eo  omnibus  privilegiis, 
libertatibus  et  immutalibus  dileclis  filiis  prò  tempore  exi- 
stentibus  Magistris  in  Theologia,  ac  Doctoribus  legentibus, 
et  studentibus  necnon  in  dicto  Sludio  Bononiensi  commo- 
rantibus  concessis  gauderent,  et  ulerentur.  Ac  quod  illi,  qui 
successu  temporis  bravium  mcrorentur  in  illa  facultaie,  in 
qua  studuissent,  obtìnere,  sibique  docendi  licenliam,  ut  alios 
erudire  valercni,  ac  Magisterii,  seu  Docloratus  honorem  elar- 
gir! peterent,  per  Magistrum,  seu  Magislros,  vel  Doctores 
illius  facultatis,  in  qua  examinatio  fienda  esset,  prò  tempore 
existenti  Episcopo  Firmano,  vel  seu  sufficienti  et  idoneo 
in  spiritualibus  Vicario,  generali  quem  ad  id  Episcopus  prò 
tempore  existens  huiusmodi  duceret  deputandum.  Ecclesia 
vero  Firmana  vacante,  illi,  qui  ad  id  per  dilectos  fìlios  Ca- 


DOCUMENTI  513 

pitulum  ipsius  Ecalesiae  deputatus  essel ,  praeseularentur; 
Idemque  Episcopus,  aut  Deputatus,  ut  praefertur,  Hagislris,  et 
Doctoribus  in  eadem  facultate  actu  ibi  legentibus  convocatisi 
illos  in  bis,  quae  circa  proroovendos  ad  Magisterii,  seu  Doc- 
toratus  huìusmodi  bonoreoi  requirerentur,  juita  modum  et 
consuetudinenri,  quae  super  lalibus  in  Generalibus  Studiis 
observabantur,  examinare  sluderet  diligenter,  eisque,  si  ad 
id  suffìcienles,  et  idonei  rcperirentur,  hujusmodi  Licentiam 
tribueret,  ac  Magisterii,  et  Doctoratus  honorem  conferret,  et 
elargirelur.  Illi  vero,  qui  in  eodem  Studio  Civilalis  Firroanae 
huiusmodi  examinali,  et  approbati  forent,  ac  docendi  licen- 
tiam ,  et  honorem  hujusmodi  obtinerent,  extunc ,  abque 
examine^  et  approbatione  aliis,  legendi ,  et  docendi  lam 
in  dicto  quam  singulis  aliis  generalibus  Studiis,  in  quibus 
logere  et  docere  vellent ,  plenam ,  et  liberam  facoltatem 
haberent. 

Piae  memoriae  Calixtus  Papa  III.  etiam  Praedecessor 
noster  per  alias  suas  lilteras  inter  alia  statutum,  et  or- 
dinationem  Bonifacii  Praedecessoris  hujusmodi,  ita  ut  i- 
psi  Comuni tas,  et  homines  Firmani  Sludium  generale  in 
Civitale  predicta  retinere  valerent,  approbaverit  et  conCr 
maverit,  prout  in  singulis  litteris  praedictis  plenius  con- 
tinetur. 

Et  licet  Studium  generale  hujusmodi  in  dieta  Civitate 
firmana,  vigore  dictarum  Litterarum  eatenus  introduclum 
fuisse  credatur,  tamen  temporum  injuria^  vel  ex  quavis  alia 
causa ,  illud  intermissum ,  seu  exlinctum  esse  reperitur  ad 
praesens,  unde  Comunitas,  et  homines  praedicti  per  dilectos 
Filios  Sigismundum  Gotlum,  et  Caesarem  Ottinellum»  Cives 
Firmanos,  utriusque  Juris  Doctores  ad  Nos  ab  eis  ad  effec- 
tum  infrascriptorum  deslinatos  oratores,  quos  libenter  vidi- 
mu8,  et  benigne  audivimus,  Nobìs  exponi  curarunt,  quod 
ìpsi  dictum  generale  Sludium  in  praedicta  Civitate  restituì, 
seu  institui,  et  slabiliri  cupientes,  sumptuosa  quaedam  aedi- 
ficia  publica  valde  ampia,  et  capacia,  ac  apprime  ad  hoc 

Archiv.  Stor.  March.  V,  /.  33 


314  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI  IN   FERMO 

commoda  in  platea  dictae  Civilatis  consìstentia  animo,  et 
inlentione  Theologiam,  et  utriusque  Juris  prudentìam,  ac  Me- 
dicinam,  Philosophiam,  aliasque  Artes  liberales,  et  qaasvìs 
licitas  facullates  per  viros  erudilos  ibidem  legi,  doceri ,  et 
inlerpietari  faciendi  destinaverint,  et  assignaverini,  ac  prò 
manulenlione  prò  tempore  exislentium  Rectoris,  et  Lecloruai 
Universitalis  Studìi  generalis  hujusmodi,  aliorumque  ex  inde 
incumbenliiiro  onerum  supportatione  annuum  redditum  Duo- 
rum  Millium  scutorum  ex  propriis  provenlibus,  èl  jurìbus  ad 
eosdem  Communitatem,  et  homines  legittime  spectantibus 
applicaverint,  et  appropriaverìnt. 

Nos  qui  eidem  Ccclesiae  Firmanae,  dum  Cardinalatus  hono- 
re  fungebamur,  ex  dispensatone  Apostolica  pruefuimus  di- 
gnum  igitur,et  rationi  consentaneum  censentes,ut  posteaquam 
divina  Majestas  Nos  ad  summi  sacerdotii  fastigium  erexit, 
nostri  in  eosdem  Nobis  benemeritos  grati,  benevoli  animi 
affectus,  quos  [possumus,  non  libenter  modo,  sed  etiani 
liberaliter  addamus.  Ilaque  in  dieta  Civitate  quam  singo- 
lari benevolentiae  affectu  complectimur,  et  in  qua  unum 
insigne  Collegium  utriusque  Juris  Doctorum  ab  immemora- 
bili tempore  insistutum  extitit,  unam  Uaiversitatem  Sludii 
generalis  institui,  Collegiumque  praedictum  structuris,  atque 
aedificiis  capaciorìbus  prò  Congregationibus,  Sessionibus, 
deambula tionibus,  aliisque  ofGciis  necessariis  construi,  et 
ampliari,  ipsosque  Comunitatem,  et  homines  spccialibus  fa- 
voribus,  et  gratiis  prosequi  volentes,  ac  Comunitatis,  et 
hominum  hujusmodi  singulares  personas  a  quibusvis  excom- 
municationis,  suspentionis^  et  interdicti,  aliisque  Ecclesia- 
sticis  sententiis^  censuris,  et  poenis,  a  Jure,  vel  ab  homine 
quavis  occasione  vel  causa  latis,  si  quibus  quomodolibet 
innodatì  existant,  ad  effectum  praesentium  duntaxat  conse- 
quendum  harum  serie  absolventes ,  et  absolutos  fore  cen- 
sentes,  nec  non  litterarum  Bonifacii  et  Calixti  praedeces- 
sorum,  hujusmodi  tenores  etiam  veriores,ac  datam  praesenti- 
bus  prò  expressis  habentes,  eorundem  praedecessorum  nostro- 


DOCUMENTI  515 

rum  vestigiis  inhaerendo  Motu  proprio  non  ad  ipsorum 
Communilatis,  el  hominuro  vel  alterius  prò  eis  Nobis  super 
hoc  oblatae  petilionis  ìnslanliam  sed  de  nostra  mera  libe- 
ralitale,  et  ex  certa  scientia,  deque  Apostolicae  Potestatis 
plenitudine,  omnes  el  singulas  Bonifacii,  el  Calixti  praede- 
cessorum  hujusmodi  lilteras,  omniaque,  et  singula  in  illis, 
el  earuro  singulis  contenla ,  quoad  ea ,  quae  iufrascriplis , 
ac  decrelis  Concili!  Tridentini  non  repugnent,  apostolica 
auctorilate  tenore  praesentiam  approbamus,  et  confirinamus, 
ac  etiam  illa  innovamus,  omnesque  et  singulos  tam  Juris, 
quam  facti,  ac  solemnitatuni  etiam  substantialium  et  quos- 
cumque  alios  defectus ,  si  qui  intervenerint  in  eisdem , 
supplemus. 

Et  insuper  in  ipsa  Civiiale  Firmana  unam  Universitatem 
Studii  generalis,  in  qua  aliqui  Magistri  et  Doctores,  seu  alias 
dodi,  el  eruditi  professores,  Theologiam,  Jus  Canonicum, 
et  Civile,  Medicinam,  el  Arles  liberales,  nec  non  alias  qua- 
scumque  licitas  facullates  publice  legant,  doceant.  et  inter-^ 
preientur  ;  ac  quicunque  scholares ,  sìve  laici ,  sive  clerici 
saeculares,  vel  quorumvis  etiam  Hendicantium  Ordinum 
regulares,  ubicuiu(|uu  oriundi,  et  undecunque  advenientes 
in  eisdem  facullalibus  studeant;  nec  non  illis  qui  Catholici, 
et  ad  id  idonei  reperti  Tuerint,  Baccalauriatus,  Licentiaturae, 
Doctoratus,  et  Magisterii,  ac  alii  cujuslibet  licitae  facultatis 
gradus,  et  insignia  conferantur,  et  concedantur,  cum  arca, 
sigillo,  et  aliis  insignibus  Studii  generalis  ad  instar  Bono* 
niensis,  Paduani,  Perusini,  Senensis,  et  Maceratensis ,  ac 
aliarum  quarumcunque  Uni  versi  la  tu  m  ,  studiorum  genera- 
lium,  tam  in  Italia,  quam  extra  eam  consistentium ,  aucto- 
rilate, et  tenore  praefatis,  perpetuo  erigimus,  et  instituimus. 

inique  sic  erectae,  et  institutae,  ac  ejus  prò  tempore 
existenlibus  Rectori,  Magistris,  Doctoribus,  Professoribus , 
Lectoribus,  Praeceptoribus ,  Scholaribus,  Bedellis,  Nunciis, 
el  aliis  Offìcialibus,  Ministris,  et  personis,  necnon  ibidem  ad 
quoscumque  gradus  promotis,  quod  omnibus,  et  singulis,  ac 


516  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI    IN   FERMO 

quibuscunque  privilegiis,  facultalibus,  liberlatibus,  immuniUi- 
tibus,  exemplionibus,  praerogativis,  anlelalionibus,  praeemì- 
nentiis,  favorìbus,  honoribus,  dignilatibus,  concessìonibus,  in- 
dullis,  et  aliis  universis  gratiis  spiritualìbus,  et  temporalibus 
quibus  Bonooiensis,  Paduanus,  Perusinus,  Senensis,el  Macera- 
lensis,  ac  quaecuDque  aliae  Universilatis,  tani  in  Italia,  quam 
extra  eam  consistenles  praedictae,  ìllarumque  prò  tempore 
exislenles  Reclores,  Magistri,  Doclores,  Professores  Leclores, 
Praeceplores,  Scholares,  Bedelli,  Nuncii,  ac  alii  Officiales, 
Ministri,  et  personae,  nec  non  ibidem  ad  quoscunque  gradus 
promoti,  de  jure,  vel  consuetudine,  aut  ex  privilegiis,  et 
concessionibus  Aposlolicis,  ac  Imperialibus,  nec  non  Conciliis 
generalibus,  seu  Universalibus,  Provincialibus,  et  synodalibus 
ac  alias  quoraodolibet  uluntur,  potiunlur,  et  gaudent,  ac  uti, 
potiri,  et  gaudere  possunl,  et  poterunt  quomodolibet  in 
fulurum,  pariformiter,  et  aeque  principaliler ,  absque  ulla 
prorsus  dilTerentia  uti,  potiri,  et  gaudere,  perinde  ac  sì  eis 
specìaliter,  nominatim,  et  expresse  concessa  fuissent. 

Praeterea  illis,  qui  in  ipsa  Universitate  Studii  generalis 
Firmanì,  vel  alibi  studuerint  in  Theologia,  ac  ulroque  vel 
altero  Jure,  et  Medicina,  nec  non  Artibus  Liberalibus,  aliisque 
facultatibus  praedictis,  Baccalauriatus,  Licentiaturoe,  Dodo- 
ratus,  et  Magisteri!,  coeterosque  omnes  solitos  gradus,  si 
per  Hagistros,  vel  Doclores  illius  facultalis,  in  qua  voluerinl 
promoveri,  ad  hoc  praesentati,  et  proevio  debito  examine 
assistentibus  ibidem  aliquibus  Doctoris  seu  Hagistris  in  ea- 
dem  facultate  ibi  legentibus,  vel  de  gremio  praedicti  Collegii 
Doctorum  ipsius  Civitatis  Pirmanae  exislentibus,  desuper  fa- 
ciendo,  ac  alias  servatìs  servandis,  idonei  reperti  fuerinl,  a  prò 
tempore  exìstente  Episcopo  Firmano,  seu  ejus  Vicario  in  spi- 
ritualìbus generali,  aut  quocunque  alio,  quem  ad  hoc  ipse 
Episcopus  duxerit  deputandum,  dieta  vero  Ecclesia  Firmana 
prò  tempore  pastore  carente  ab  eo,  qui  per  Capitulum  Ec- 
clesiae  Firmanae  hujusmodi  deputatus  fuerit,  emissa  prius 
per  promovendos  hujusmodi  in  ejus  manibus  iìdeì  Catbolicae 


DOCUMENTI  517 

professione  juxia  niiiculos  pridem  a  sede  apostolica  ad  hoc 
propositos,  ac  forroani,  quam  sub  Bulla  nostra  mitlimus 
inlroclusam,  ipsorum  graduuin  solita  insignia  recipere,  illaque 
sibì  exhiberi  Tacere. 

Nec  non  postquam  hujusmodi  ^radus,  et  illorun)  insignia 
susceperinl,  facullates  in  quibus  promoti  fuerit,  ubicunque 
nbsque  alio  examine,  vel  approbatione  legere,  et  interpretari, 
ac  in  eis  disputare,  nec  non  quoscunque  actus  gradus  per 
eos  receptos,  e(  convenientes  exercere  libere  et  licite  valeant, 
auctoritate,  et  tenore  praedictis  de  speciali  gratia  indulgemus, 
sicque  etiaro  staluimus,  et  ordinarnus. 

iNec  non  Universitali  Studii  generalis  Firmani,  ac  illius 
Rcclori  prò  tempore  exislentibus  prò  salubri,  et  felici  ejusdem 
Universitatis  Pirmanae,  ac  illius  personoruro  rerum  bono- 
rum,  et  jurium  regimine,  directione  et  conserva tione,  rei- 
quc  litterariae  progressu,  quaecunqne  slatuta ,  et  ordina- 
tiones  licita  taroen,  et  honesta,  ac  Sacris  Canonibus,  et  dicti 
Concilii  decretis  non  contraria  ,  eis  benevisa  ,  a  moderno 
et  prò  tempore  existente  Episcopo  Firmano  examinanda 
et  approbanda  condendi,  illaque  postquam  condita  fuerint, 
prout  temporum,  locorum,  personarum,  vel  rerum,  aut  aliae 
qualitates  exegerint,  mutandi,  corrigendi,  et  reformandi,  ac 
etiam  declarandi,  et  interpretandi,  illisque  addendi»  vel  mi- 
nuendi, seu  etiam  ea  in  totum  abrogandi,  ac  alia  illorum 
loco  de  novo  edendi,  et  faciendi,  quae  omnia  postquam  prò 
tempore  condita,  mutata,  correcta,  reformala,  declarata,  in- 
terpretata, aucta,  vel  diminuta,  et  de  novo  edita  fuerint,  ab 
Ordinario  loci,  vel  prò  tempore  existente  Romano  Pontifice 
approbari  debeant,  plenam,  et  liberam  facultatem,  et  aucto- 
ritatem  concedimuH,  et  impartimur. 

Decernentes  praesentes  litteras  etiam  ex  eo  quod  Bono* 
niensis,  Paduanus,  Perusinus,  Senensis,  et  Haceratensis, 
ac  aliarum  Universitatum  praedictarum  Reclores,  Oftìciales, 
Doctores,  Professores,  seu  Lectores,  procuratores,  defenso- 
res,  protectores  vel  agentes,   aut  alias   quomodolibet   iole- 


518  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI    IN   FERMO 

resse  habentes,  vel  putantes,  ad  hoc  vocntì  non  fuerint,  aut  e\ 
quavis,  vel  quibusvis  aliis  causis,  occasionibus,  vel  praetexlì- 
bus,  de  surreptionis,  vel  obreptionis,  aul  nullitatis  villo,  seu 
inlenlionis  nostrae,  vel  quovis  alio  defeclu  notari,  vel  im- 
pugnali, aut  alias  infrìngi,  vel  quoinodolibet  letraclari,  seu 
etiam  per  Nos,  ac  Successores  noslros  Romanos  Pontifices 
prò  tempore  exislentes,  aul  sodem  praefalain,  illius  Lega- 
tos ,  etiam  de  Latere ,  aul  quoscunque  alios ,  quavis  au- 
cloniate  revocari ,  suspendi ,  restringi ,  limitari  vel  eis  in 
aliquo  derogari  nullatenus  unquam  posse ,  sed  illas  sem- 
per^  et  perpetuo  validas,  et  efficaces,  existere,  et  Tore  suos- 
que  pleoarios  effectus  sonili,  et  oblinere,  ac  ab  omnibus, 
ad  quos  special,  el  speclabil  quomodolibel  in  fulurum,  per- 
petuo, et  inviolabiliter  observari  debere,  nec  non  Universi- 
taiem  Sludii  generalis  Firmani  hujusmodi,  illiusque  Recto- 
rem,  Orficiales,  Doclores,  Lectores,  professores,  scholares, 
ministros,  coeterosque  praediclos  super  praemissìs  omnibus, 
el  singulis,  vel  illorum  occasione,  etiam  per  alias  Univer- 
silales  praedictas,  vel  quoscumque  alios,  quavis  auclorìlate 
quomodolibel  molestari,  perturbari,  inquietali,  vel  impediri 
nunquam  posse,  ac  etiam  Communitatem,  et  homines  prae- 
falos,  aul  quoscumque  alios  od  probalionem,  seu  veriGca- 
tionem  litlerarum  Bonifacii,  et  Calixti  praedecessorum  hu- 
jusmodi, ac  in  eis,  et  etiam  eisdem  praesenlibus  litteris 
narratorum  nullatenus  unquam  teneri,  nec  ad  id  in  iudicio, 
vel  extra  cogi,  seu  compelli  posse,  et  nihilominus  easdem 
lilteras,  ac  in  eis  conleÌ3ta  hujusmodi  semper  valere,  ac  eis- 
dem Universitati,  et  hominibus  suffragari,  sicque  in  prae- 
missis  ab  omnibus  censeri. 

Ac  ita  per  quoscunque  Judices  el  Commissarìos  »  quavis 
auctorilate  fungenles ,  etiam  causarum  Palalii  apostolici 
Audilores,  eorumque  Locumtenentes ,  ac  sanctae  Romanae 
ecclesiae  Cardinales,  etiam  de  latere  Legatos,  sublata  eis 
el  eorum  cuilibet  quavis  aliler  judicandi,  et  interpretandi 
facultale,  el  auctorilate,  judicari,  el  definiri  debere,  ac  irri- 


DOCUMENTI  519 

tum,  et  inane,  si  secus  super  his  n  quoquom,  quavis  aucto* 
rilale,  scienter,  vel  ignoranler  conligerìt  altenlari. 

Non  obstanlibus  praeoiissis,  et  qualenus  opus  sìt,  nostra 
de  jure  quaestio  non  tollendo,  ac  aliis  aposlolicis,  et  elinm 
in  Universalibus,  provincialibus  et  Synodalibus,  Conciliis 
edilis,  et  edendis,  specialibus,  vel  generalibus  constilutìoni- 
bus,  et  ordinalionibus,  nec  non  Firmanae,  Bononiensis, 
Paduanae ,  Perusinae ,  Senensis,  Maceratensis  praedicta- 
ruin.  ac  quarumvis  aliarum  Universitatum,  et  Gymnasiorum 
edam  pubblicorum  provinciaeque  nostrac  Marchiae  Anco* 
nilanae,  el  totius  Status  Ecclesiastici,  eliarn  juramento,  con- 
fìrinatione  apostolica,  vel  quavis  finoitate  alia  roboratis 
statuiis,  et  consuetudinibus,  decretis,  et  etiam  novis  re- 
formatìonìbus,  legibus  tjm  Pontifìciis,  quam  Irnperialibus, 
Regiis,  Ducalìbus,  et  Municipalibus;  piivìlegiis  quoque,  in- 
dultis,  et  litleris  Apostolicis,  illis,  el  eoruiu  Superioribus,  el 
personis  cujuscumque  status,  gradus,  Ordinis,  el  Conditio- 
nis  exislentibus,  in  genere,  vel  in  specie,  sub  quibuscun)- 
que  lenoribus,  et  formis,  ac  cum  quibusvis  etiam  deroga- 
toriarum  derogatoriis,  aliisque  efTicacioribus,  efficacissimis, 
el  insolitis  clausulis,  irrilantibusque,  et  aliis  decretis,  etiam 
in  vim  contraclus  inibì  stipulati,  el  jurali,  ac  etiam  statuti 
perpetui,  el  perpeluae  legis  inducenlibus,  molu  scienlia,  et 
poleslatis  plenitudine,  siroilibus,  el  etiam  consistorialiter, 
ac  alias  quomodolibet,  eliam  pluries,  el  iteralis  vicibus  con- 
cessis,  confirmatis,  el  innovatis  ac  eliam  imposterum  con- 
cedendis,  confirmandi»,  el  innovandis,  quibus  omnibus,  el 
singulis,  etiamsi  prò  illorum  sufficienti  derogalione,  de  il- 
lis, eorumque  lolis  lenoribus,  spccialis,  specifica,  expressa, 
et  individua,  ac  de  verbo  ad  verbum,  non  aul^m  per  clau- 
sulas  generales  idem  imporlanles  menlio ,  seu  quaevis  ex- 
pressio  habenda ,  aul  aliqua  alia  exquisila  forma  ad  hoc 
servanda  forel,  illis  alias  in  suo  robore  permansuris,  ac 
vice  duntaxai  karum  serie,  specialiter  el  expresse  molu  si- 
mili derogamus,  coelerisque  conlrariis  quibuscunque. 


520  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI    IN   FRAMO 

Coeterum  volumus,  quod  earundem  praesentium  lillera- 
rum  transumplìs,  etiam  impressis,  manu  alicujus  Notarli 
pubblici  subscriptis,  et  sigillo  Coromunitatis,  seu  sludii  gè- 
neralis  Universilatis  Firmanae  hujusmodi,  aut  alicujus  Ec- 
clesiaslicae ,  vel  saecularìs  Curiae,  seu  personae  in  digni- 
tate  ecclesiastica  conslitulae  muoitis,  eadem  prorsus  fides 
in  judicio,  et  extra  adhibealur,  quae  ipsis  origioalibus  lil- 
teris  adhiberetur,  si  exhibitae  forent,  vel  ostensae. 

Nulli  ergo  omniao  hominum  liceat  hanc  paginam  nostrae 
absolutionis,  approbationis,  confirmaiionis,  innovationis  sup- 
pletionis,  erectionis,  inslitutionìs,  indulti,  statuti,  ordinationis, 
concessionis,iropartitioDÌs,  decreti,  derogationis,  et  voluntalis 
infringere,  vel  ei  ausu  temerario  contraire.  Si  quis  autem  hoc 
attentare  praesumpserit,  indignationem  Oronipotentis  Dei, 
ac  Beatorum  Petri  et  Pauli  Apostolorum  ejus  se  noverit  in- 
cursu^'um. 

Datum  Romae  apud  S.  Marcuni,  Anno  Incarnationis  Do- 
minicae  Millesimo  quingentesinio  octuagesìmo  quinto  idibus 
septembris  PontiQcatus  nostri  Anno  primo. 


A.  De  Alexus  (*) 


{*)  I  documenti  N.  2,  3,  i  trovansi  nel  nostro  Archivio  e  sodo  indicati  nel 
Calalogo  detto  il  Tedesco  al  N.  i91  *cosi;  «  Bullac  Bonifacii  Papae  octaTi  do 
Anno  D.  1303,  Calisti  Papae  tertii  Anno  D.  Ii55,  et  Siili  qainli  Pontiflcis  Ila- 
ximi  Anno  D.  1585  fact.  super  coDcessioncm  Sladii  Universitalis  in  CiYitate 
Brmana.  »  ^  I  Ire  documenti  suddetti  sono  stati  riscontrati  cogli  originali. 


J 


DOCUMENTI  921 


5. 


Diploma  che  si  consegnava  al  laurealo  nella  fermana 
Universilà  (*). 

In  Nomine  Domini  Ambn. 

FiRMANA  civiTAS  AntiquitBle,  Nobilitate,  ac  litterarum, 
armorum,  rerumque  gestarum  gloria  Celebris,  atque  insi- 
gnis,  a  qua  et  universam  Piceni  Regionem  Marchiana  Fir- 
manam  denominatam  fuisse  legitur,  firmissima  Romanorum 
Colonia,  fidelisque  cohors  a  Cesare  nuncupata,  ab  Impera- 
toribus  primum,  ac  postea  a  Suminis  Pontificibus,  el  prae- 
serlim  ab  Eugenio  jiij  ob  singularem  eius  erga  Sanctam 
SedeiD  Apostolicam  fidem ,  ac  devolionem  quam  plurimis 
privilegiis  et  prerogativis  decorata  novissimeque  a  SiXTo  V. 
Pont.  Opl.  Max.  Anno  Doroinicae  Incarnationis  Millesimo 
Quingentesimo  Octuagesimo  Quinto  ad  Sludii  Generalis  om- 
nium scientiarum,  liberaliumque  artium,  quod  et  anlea  (1) 
a  Bonifacio  vii!  et  Calisto  jii  eidem  Civìtati  fuerat  conces- 
sum,  licet  postea  intermissum,  erectionem  restituta,  cum 
omnibus  et  singuUs,  ac  quibuscumque  privilegiis,  facuUa- 
tibus,  immunitalibus,  exemptionibus,  praerogativis,  antelatio- 

{*)  Siccome  diamo  nella  più  anlica  forma  qnal  ò  dei  tempi  di  Sisto  V  que- 
sto diploma,  ostia  istrumento  che  si  rogava  dal  Notaio  dell' Uni  versi  là,  tratto 
da  una  copia  io  pergamena  del  1590,  cosi  crediamo  prodarre  le  più  notabili 
Tarlanti  ed  aggiunte,  che  s' incontrano  in  due  altri  diplomi  di  tempi  posteriori. 
Portava  in  fronte  lo  stemma  della  Città  di  Fermo,  che  ha  entro  lo  scado  in- 
quartata la  croce  patente  d'argento  in  campo  rosso  nell'I  e  i,  e  nel  S  e  S  in 
campo  d'oro  an' aquila  nera  imbeccata  coronata  con  ali  aperte  a  colle  lampe 
spiegate:  sopra  lo  scado  è  posta  la  corona  dì  conte,  entro  la  quale  passa  un 
elmo  d' argento  bordato  d' oro  e  ornato  di  lambreqaini,  avente  in  cima  un  brac- 
cio destro  vestilo  con  in  pugno  una  palla,  che  dicono  denotare  il  mero  e  mi- 
sto impero,  che  aveva  un  tempo  Fermo  sulla  città  e  che  estendevtsl  all'  intero 
contado.  Vi  era  anche  lo  slemma  del  laureato. 


522  UNIVERSITÀ    DEGLI    STUDI   IN   FERMO 

nibus,  praeminenliis^  favoribus,  honoribus,  dignitalibus , 
concessioDibus,  indultis,  et  aliis  universis  gratiis  spiritualibus 
et  tempora! ibus,  quibus  Gymnasium  Bononìeose,  Palavinum, 
Perusinum,  ac  quaecumquc  aliae  Universitates,  tam  in  Italia, 
quam  extra  Italiani  consistentes  quomodolibet  utuntur,  pò- 
liuDlur,  et  gaudent,  Coeli  elementia,  situs  amoenitate,  soli 
uberlate,  Adriatìcique  maris  iuxta  abluenlis  commoditate, 
omniumque  rerum  abundantìa,  et  copia,  litterarum  studiis 
aplissima,  Spiritualis  quoquo  iurisdìctionis ,  et  temporalis 
amplitudine  sublimis,  eos  ad  publicam ,  et  eminentem  Ca- 
thedram,  supremique  Doctoralus,  et  Magisterii  dignitatem 
praecedentem  promovete  sublimat,  et  exlollìt,  quos  morum 
praestantia  claros,  ingenii  acumine  egregios,  summo  studio, 
assiduis  vigiliis,  labore  irrequieto   litteris   operam   navasse, 

ac peritiam  non  mediocrem 

adeptos  verissimis  testimonis  comprobat,  quosque  generalis 
examinis  certamen  Doctorea  corona  dignos,  reddit,  ita  ut  ab 
universi  orbis  Prìncipibus,  et  Rerum  publicarum  modera- 
toribus  populis  bene,  foeliciterque  regendis  praefici,  ipsis 
assistere,  coeterisque  hominum  generibus,  etiam  eiusdem 
ordinis,  (ì)  summa  ipsorura  laude,  et  existimatione  merito 
valeant.  Cum  itaque  egregius,  et  eruditus  Vir,  scientia  prae- 
clarus,  ingenio  acutìssimus,  morum  probitate  ornatissimus, 

ac  omni  doctrina  praeditus  Dominus 

qui  sua  floreale 

aetate  posthabitis  voluptatum  illecebris,  in  celeberrimo  Gym- 

nasio  Firmano  (3) per  mullos  annos  (4) 

solertem,  ac  diligentem  operam  navavit,  actusque  scholasti- 
cos,  et  publice,  et  privatim  honorifice  gessit,  conferendo, 
arguendo,  respondendo,  (5)  et  disserendo,   fuerit   legitime 

praesentatus,  (6)  Amodum  R.  D.no 

Admodum  111.,  et  R.  mi  in  Christo  Patris , 

et  D.  D Archiepiscopi,  et 

Principis  Firmani  in  spiritualibus,  et  teroporalibus  Vicario 
Generali  per  clarissimos,  et  generosos  Yiros.    .    .    ,    .     . 


DOCUMENTI  523 

Doctores  Excel  I 

examinondus,  et  approbandus 

et  ob  boc  (facla  prius  fidei  professione  coram  eadem  Do- 
minalione  sua  admodum  R.  iuxla  formam  a  fé.  re.  Pio  jiij 
et  ab  eodem  sanctissimo  D.  N.  Sixto  V.  praestitulam)  re 
subiecerit  arduo,  rigoroso,  et  tremendo  examini  privato  om- 
nium D.  D Doctorum  Almi  Collegi!  Civilatis 

Firmanae,  in  quo  quidem  examine  dictus  D 

puncla  sibi  assignata  miro  ordine  recitando, 

et  argumenlis  docte,  acute,  et  subliliter,  non  tam  schola* 
stico,  quam  doctoreo  quidem  more  respondendo  adeo  dòcte, 
et  praeclare  se  gessil,  ac  talem  se  praestitit,  quod  ad  om- 
nibus dicti  Almi  Collegii Docloribus 

in  dict idoneus,  ac  sufTiciens  habitus, 

tentus,  et  reputa tus  fuerìi,  et  ob  id  ab  eis  in  praedici .    . 

unanimi  sententia,  concordi  pa- 

rique  voto,  nemine  penitus,  atque  penitus  discrepante  iure 
et  merito  approbatus,  moxque  fueril  idem  Dominus  .     .    . 

per  eosdem  Exell.  D.  D.  Promotores  ad- 

modum  R.  D.    .    .  .    .    Vie.  etiam  praesentatus  ad 

Doctoratus  gradum  in 

assumendum.  Idcirco  praefatus  admodum  R.  Dominus   .    . 

Vicarius  consideratis  scientia, 

rooribus,  virtutibus,  probitate,  ac  praeclaris  dotibus,  quibus 

eumdem  D Omnipotens  Deus  ìllustra- 

vit,  prout  in  dictis  suis  examìnibus  mirifice  demonstravjt, 
auctoritate  qua  fungitur,  et  sibi  in  hac  parte  delegata,  ac- 
cedente Consilio,  et  assensu  omnium  D.  D.  Doctorum  praefati 

Almi  Collegii  ibidem  existentium,  eundem  D 

sibi  praesentatum  dixit,  declaravit^  pronunciavit,  constituit, 

et  creavit  Doctorem  in •    .    .    .    .    Dans, 

et  tradens  ei,  tanquam  habili,  et  sufficienti,  ac  idoneo,  li- 
centìam  plenissimam,  ac  liberam,  et  omnimodam  facultatem, 
auctoritatem,  et  potestàlem  de  coetero,  et  in  futurum  in 
dictis  facultatibus (7)  Magistralem 


524  UNIVERSITÀ   DEGLI  STUDI   IN    FERMO 

Calhedram  ascendendi,  legendi,  glossandi,  docendi,  (8)    .     . 

ceterosque  omoes,  et  singulos  Dodo- 

res  actus  publice  el  privatim  exercendi  hic  Firmi,  et  ubìque 
locorum,  et  terrarum  tenore  praesentium.  Et  illieo  ut  idem 

D possessionem  huiusmodi  doctoratus  (9) 

ab  omnibus  in   posterum   noscatur  adeptus,  praefatus  III. 

Dominus suo  nomine,  ac  vice, 

et  nomine  praefatorum  HI.  Domini 

Compromotorum    suorum,  ....    Doctoratus  (10)  iosi- 

gnia  eidem  (11)  Dno ut  sua  luculenta,  tersa, 

eleganti,  et  erudita  oratione  petiit,  hac  forma  tradidit.  Nam 

primo  (12)  libros clausos ,    mox  et  apertos 

eidem  in  manìbus  praebuit:  Secundo  birelum ,  seu  diade- 
ma doctoreum    capiti   eiusdem  D imposuit: 

ac  ipsius  digìtum  anulo  aureo  in  signum  foederi  et  coniugi! 

cum scientia  contracli   tertio  exornavit  (13). 

Postremo  osculum  pacis  (impetrata  ei  a  prefalo  admodum 

R.  D Vicario  benediclione)  feliciter  exhibuit, 

ut  idem  Dns  ....  Doclor  (14)  egregius  sic  laure- 
atus,  et  insignitus,  foelicì  coronetur  in  Patria  per  eum^  qui 
trinus,  et  unus  regnat  Deus  per  infinita  secula  gloriosus  (15) 

Insuper  praedictus  admodum  R.  D Yicarius 

mandans   mihi   Not.   et  Cancellarlo   infrascripto  ,  et  dìctus 

D Doctor  sicut  supra  egregie  insignitus  ro- 

gans  me  eundem  Notarium ,  ut  de  praediclis  omnibus  pu- 
blicum  in  privilegi!  forma  conGcerem  instrumentum ,  mu- 
niens  autentico,  solito,  consueto,  et  ad  hoc  deputato  maiori 
sigillo  diclae  Firmanae  Civitatis:  Actum  et  Datum  Firmi  in 
Palatio  (16)  solitae  residentia  illust.  Magistratus  dictae  Ci- 
vitatis, videlicet  in  Sala  Aquilae,  sub  Anno  Dm 

ìndictione et  die Tem- 
pore  PontiGcatus  Sanclissimi   D.  N.  D Divina 

Providenlia  Papae Anno  eius 

Praesentibus   ibidem  DD Scholaribus  in 

Gynnasio  firmano,  et  aliis  quam    plurirais   probis  Viris  in 


i 


DOCUMENTI  525 

multiUidine  magna  constitutis  testibus  ad  praemissa  omnia 
habitis,  vocatis,  et  rogalis:  Aslantibiis  et  convenienlibus  ibi- 
dem prò  dignilate   aclus ,  et  honore ,  ac  decore    praefati 

D graduati  Illustr.  ac  Reverendiss.  DD.  Re- 

ferend  Apostol.  Dm ac  etiam   III.  Magi- 

slralu  eiusdem  Civiialis. 


(I)  Agg.  «  a  Lothario  I.»  -  (3)  Manca  da  «  coeterisqa  e  »  a  >  ordinis».-  (3)  Man* 
ea  da  »  in  celeberrimo  »  a  «  Firmano.  »  -  (i)  Agg,  «  suromo,  assiduoque  studio.  »  • 
(5)  Manca  «r  respondendo.  >  -  (6)  Var.  da  «  praescntalus  •  ad  •  assumendam.  »  • 

Illustrissimo  et  Rever.  D in  Arcliiepiscopato 

Firmano ex  auclorilate  Eminentissimo  et  Re- 
verendissimo Arcbit-piscopo  tributa  ab  Augustissimi  Pontiflcis  Pii  VII  praecipua 
providentia  sub  die  vigesima  Decembris  1816  (  manca  nel  secondo  da  «  ex  » 
a  t  t8l6  >  omnibusquo  Almi  Collegii  Firmani  Excellentiss'imìs  D.  D.  Doctoribas 

per  Excellenlissimum  D.  Promotorim examinandus  et 

appprobandus  in et  ob  id  Fidem  prius  rite  professus 

dicto  D.  Vicario  Generali  juxta  formani  Constituiionis  fel.  ree.  Pii  PP.  IV,  se 
subiccerit  arduo  et  rigoroso  (manca  tremendo)  examini  privato  omnium  Exmorum 

DD.  Doclorum,  in  quo  quidem  examine  dictus  d Puncla  sibi 

asaignata  maiestate  sane  magistrali  exponendo,  et  argomenta  docte,  acute,  ac  su- 
blimi ter  refereodo  adeo  sapienler  et  praecUre  se  gcssit,  ac  talem  se  praestilit,  ut 
ab  omnibus  dicli  Almi  Collegii  DD.  Docloribo<«  idoneus,  ac  suflQcicns  babìlus,  et 

reputatua   fuerit;  Quamobrcm  ab  eis  in    iisdemmet    facuUatibus 

unanimi  senlentia,  concordi,  parique  voto,  nemine  penifus  discrepante  fuit  iu- 
remerito  approbatus  »  -  (7)  Agg,  n  u(i  Pracceptori,  Licnea  frequentandi.  »  -  (8)  Man- 
ca docendi  n  -  (9)  Agg.  «  et  equestris,  auratacque  Militiae  »  -  (10)  Agg.  «  et  eque- 
stris  aorataeque  militiae  »  -  (ti)  Var,  da  «  Dno  a  »  p^tiit.  «  sibi  darl  petenti  et 
postulanti  »  -  (  12)  Agg,  «  Sedcm  inter  Doctores  prò  Magistcrii  Cathedra  assignavit.  * 
•  {\^)Agg,  ■  Insuper  prò  equpstris,  aurataeque  Militiar  jnsignbus  Galcam  capiti, 
Gladium  laterl,  Torquem  collo  imposuit.  *  -  (li)  Agg.  «et  £ques.c-(IS)  Agg. nel 
diploma  più  recente  pei  laureati  in  medicina  »  His  peractis  novus  iam  Doctor 
crealus  ante  pedes  laudali  lllmi,  et  Rmi  D.  Viearii  Generalis  in  genna  provolutus 
coram  omnibus,  et  Sacra  Dei  Evangelia  prae  oculis    habens   sequens  praestilit 

Josjurandum.  Ego turo  me  nunquam  in  aliquo  facturum  contra 

S.  Romanae  Ecc'esiae  Maieslatem,  neque  ullius  Aegri  curationero  aggressurom, 
antcquam  fuero  Matriculao  uni  tantum  Roinanorum  Archiatrorum  Collegio  com- 
missae  rite,  ac  debite  adscrìplus:  tum  vero  Paopcres  gratis  cnraturum,  omnes 
qui  ad  roanus  nieas  devencrint  curandi ,  primum  ad  Poenitenliae  Sacramentum 
suscipicndum  horlatorum,  et  alias  itixta  formam  Constituiionis  S.  Pii  V.  Ponti- 
flcis Maximi  per  DD.  Bledicos  observandam  ab  Alexandro  PP.  VII  conflrmatam 
ad  eos  post  terliam  diem ,  nisi  confessi  fuerint,  non  reditunim ,  diligenter  et 
oroni  stadio  Aegrotos  curaturum.  Et  ita  spondeo,  voveo ,  ac  turo,  sic  me  Deus 
adiuvet,  et  haec  S.  Dei  Evangelia.  «  -(16)  Var.  da  «  solilae  > /Ino  a  «  Civila- 
tis  »  nel  eecondo  «  Piiorali  sub  anno  Domini  ....  Indictione  .  •  , 
die  vero Tempore  Pontiflcalus  SS.  D.  N.  D Di- 
vina Providentia  Papae Anno  eius    ....    Coram  et  prae- 

sentibos    ibidem    lllustrissimis  DD.  frioribus  ,  et  atcuLAToaiaus    resi niwTi bus, 

nec  non  etiam  DD Testibus  etc.  »;  nell*  ultimo  «  Comunali  » 

(nel  retto  conforme) CoNFAboniRio,  et  StNioaiaus  Resideotibus 

nec  non  DD.  » 


-  -■-  - 


526  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI    IN   FERMO 


6. 


MotU'proprio  del  Pontefice  Pio  VII  del  giorno  13  A^o- 
sto  1804,  in  cui  venne  stabilUa  la  nuova  restaurazione 
e  la  dote  perpetua  della  Università  di  Fermo. 

Pio  Papa  VII. 
MOTU  -  PROPRIO 

Fra  le  prime  cure ,  che  nel  cominciamenlo  del  Nostro 
Pontificato  credessimo  degne  della  Nostra  particolar  vigi- 
lanza per  lo  maggior  vantaggio  dello  Stato  e  de*  Sudditi , 
ebbimo  sommamente  a  cuore  non  solo  il  ripristinamento 
dell'  Università  de'  Studi  nella  nostra  Città  di  Fermo ,  ma 
ancora  di  dargli  quel  maggior  lustro  che  dopo  le  passate 
vicende  la  facesse  risorgere  a  maggior  onore  e  profitto  di 
tutta  la  Provincia  Fermana.  Non  potevamo  non  avere  in 
vista  le  savie  provvidenze^  che  per  molti  secoli  in  addietro 
dai  Nostri  Gloriosi  Predecessori ,  e  segnatamente  da  Boni- 
facio Vili,  Calisto  IH,  e  Sisto  V,  eransi  date  a  maggior  de- 
coro di  una  Università  cosi  benemerita  dello  Stato,  cumu- 
landola di  tanti  privilegi  e  prerogative ,  che  mentre  la 
distinguevano  dalle  altre ,  servivano  anche  di  un  forte  im- 
pulso a  crescere  in  quel  buon  nome,  che  anche  presso  gli 
Esteri  erasi  giustamente  meritato.  Se  non  che  le  circostanze 
de'  tempi  in  que*  primi  momenti,  e  specialmente  T  esauri- 
mento delle  pubbliche  Casse  e  le  antecedenti  vicende  Ci 
tolsero  di  seguire  con  tanta  celerità  quanto  avressimo  bra- 
mato gì'  impulsi  del  Nostro  Paterno  Cuore.  Ma  in  seguito 
non  potessimo  non  secondare  con  piacere  il  Piano  che  da 
Voi  Reverendissimo  Cardinale  Della  Porta  Prefetto  della 
Nostra  Congregazione  de'  Sgravj  e  Buon  Governo  ci  venne 
proposto,  con  cui  approfittando  della  circostanza  delle  que- 


DOCUMENTI  527 

stioni  insorte  fra  la  Comunità  di  Fermo  ed  i  Castelli  sulla 
durazione ,  o  cessazione  tanto  del  Contributo  di  tutti  alle 
spese  comuni  alla  Città  e  Contado,  quanto  di  un'antica 
Tassa  chiamata  col  nome  di  Dativa  o  Assettamento,  che  da 
tempo  antichissimo  esìgevasi  dalla  Città  di  Fermo  sulle 
Comunità  subalterne  nella  somma  di  se.  3038,47.  Ci  avete 
assicurato  essersi  combinata  una  Concordia  ,  mediante  la 
quale  siasi  richiamata  la  buona  armonia  fra  la  Città  e  Ca- 
stelli y  siasi  provveduto  al  bisogno  delle  spese  comuni ,  ed 
anche  stabilito  il  modo  di  supplire  alle  annuali  spese  per 
lo  riaprimcnto  e  progresso  dell'anzidetta  Università.  Quindi 
ci  rappresentasi? ,  che  prese  in  maturo  esame  le  insorte 
controversie  dalli  Deputali  a  tale  effetto  destinati  dalla  Città 
di  Fermo  e  dalle  Rappresentanze  e  Deputazioni  Ecclesiasti- 
che dei  Castelli  fino  al  numero  di  Quarantadue  fu  stabilita  la 
base  della  Concordia,  poiché  dichiararono  queste  di  esser 
contente,  che  nelle  nuove  annuali  Tabelle  delT  Esito  Comu- 
nìtativo  si  ponessero  le  solite  Tasse  per  le  spese  comuni,  giusta 
la  riforma  prescritta  dalla  Nostra  Congregazione  sudetta  con 
Ordine  degli  8  agosto  1801,  purché  se  ne  togliesse  T  altra  di- 
stinta col  titolo  di  Dativa  o  Assetto,  mostrandosi  pronte  di  con- 
correre in  sua  vece  e  ad  equa  proporzione  con  la  Città,  sic- 
come già  una  volta  concorrevano  con  Essa,  al  peso  di  un'an- 
nuale Tassa  in  beneficio  della  Università  Fermana,  bisognosa 
pur  troppo  di  risorse  e  di  aiuti;  con  l'espressa  condizione 
però  di  goder  sempre  del  diritto  della  spedizione  di  un  De- 
putato nella  stessa  Città  di  Fermo,  il  quale  nella  elezione 
0  conferma  de'  Professori  e  nelle  risoluzioni  da  prendersi 
sopra  ogn' altro  articolo  risguardante  la  Università  medesima 
dar  potesse  come  gli  altri  Consiglieri  il  suo  voto.  Piacque 
e  fu  approvato  questo  mezzo  di  conciliazione  e  questo 
Progetto  anche  dalli  deputati  per  la  Città,  ed  in  seguito  in- 
firmati Noi  pienamente  di  questa  trattativa,  e  di  quanto  si 
è  di  sopra  narralo  ed  esposto,  non  abbiamo  potuto  non  co- 
noscere r  utile ,    che  ne  deriva   cosi    alla    Città ,  come  alli 


328  UNIVERSITÀ  DEGLI   STUDI    IN   FERMO 

Castelli  di  Fermo,  o  si  voglia  riguardare  il  bene  ed  il  pi'o- 
fitto,  che  la  concordia  e  !'  armonia  per  se  stessa  produce, 
0  si  riguardi  il  danno  che  si  previene,  e  che  inevitabilmente 
doveva  ottenersi  dal  dispendio  di  una  lite,  se  in  ogni  tempo, 
molto  più  in  questo,  per  tutte  le  Comunità  gravosa  ed  in- 
sopportabile. Quindi  è,  che  di  buon  grado  siamo  condiscesi 
alle  istanze  che  ne  furono  avanzale,  perchè  ci  degnassimo 
di  approvarla  con  la  suprema  Nostra  Autorità,  onde  possa 
eseguirsi,  e  si  serbi  illesa  e  costante  in  ogni  futuro  tempo. 
Pertanto  col  presente  Nostro  Chirografo  di  Nostro  Moto-pro- 
prio, certa  scienza  e  pienezza  della  Nostra  Podestà  all'  ef- 
fetto della  espressa  conciliazione  e  concordia  fra  la  Città, 
e  li  Castelli  della  Provincia  Permana  ,  di  cui  ci  è  somma- 
mente a  cuore  il  ben'  essere  e  la  felicitazione  vogliamo  ed 
ordiniamo. 

Primo  —  Che  in  avvenire  da  tutte  le  Comunità  soggette 
al  Territorio  di  Fermo  debba  osservarsi  inviolabilmente 
quanto  fu  prescritto  dalla  Nostra  Congregazione  de'  Sgravj 
e  Buon  Governo  rapporto  alle  spese  comuni  con  lettera  de- 
gì'  8  Agosto  1801,  0  sia  che  le  medesime  Comunità  debbano 
sempre  ed  in  ogni  tempo  futuro  assoggettarsi  al  pagamento 
della  quota  per  le  sudette  spese  nel  modo  e  nella  quan- 
tità espressa  nell'  ordine  e  riforma  divisala. 

2.  Che  a  titolo  di  concordia  e  conciliazione  come  sopra, 
si  tolga  in  avvenire  dalle  Tabelle  annuali  la  Tassa,  la  quale 
dalle  Comunità  della  Provincia  si  contribuiva  col  titolo  di 
Dativa  0  Assetto  nella  somma  di  scudi  3038,47  non  ostante 
qualunque  Legge  Municipale,  qualunque  Concessione,  Tran- 
sazione 0  Contralto,  e  non  ostante  qualunque  uso  e  consue- 
tudine in  contrario ,  alle  quali  cose  tutte  colla  Suprema 
Nostra  Podestà,  e  di  Nostro  Molo  Proprio  intendiamo  Noi 
derogare  pienamente  all'  effelto,  e  per  lo  stabilimento  della 
Concordia  come  sopra. 

3.  Che  in  avvenire,  inerendo  Noi  all'  espresso  Consenso 
delle  Magistrature  Locali ,  e  Deputazioni  Ecclesiastiche ,  ed 


DOCUMENTI  329 

io  considerazione  del  bene  e  del  profitto,  che  può  e  deve 
raccogliersi  dal  sistema  già  una  volla  in  osservanza,  come 
ben  si  deduce  dagli  antichi  Monumenti  e  Risoluzioni  Con- 
ciliari, si  ponga  nelle  nuove  Tabelle  delle  Comunità  mede- 
sime in  luogo  dell'antica  Tassa  come  sopra,  altra  da  im- 
piegarsi nel  totale  suo  prodotto  a  vantaggio  e  stabilimento 
della  Università  Permana  ,  coir  espressa  dichiarazione  però 
che  si  divida  questa  a  proporzione  di  Anime,  assegnando  a 
cadaun  Castello  un  quantitativo  corrispondente  al  numero 
delle  medesime,  o  sia  alle  sue  forze  personali. 

4.  Che  una  Tassa  corrispondente  e  calcolata  con  un'  equa 
ed  eguale  proporzione  a  quella,  che  pagasi  dagl'Individui 
Territoriali  debba  contribuirsi  ancora  dalli  Cittadini  abitanti, 
e  per  essi  dalla  Comunità  di  Fermo  per  impiegarla  nel- 
r  oggetto  della  Università  medesima. 

5.  Che  il  quantitativo  della  Tassa  debba  dalla  nosti^a 
Congi*egazione  del  B.  Governo  stabilirsi  dopo  un  esatto  cal- 
colo delle  rendite  attuali  procedenti  dalli  Fondi  addetti  alla 
Università,  e  dopo  un  calcolo  della  somma,  che  può  man- 
care al  bisogno,  formando  quindi  il  ratizzo  nel  modo  e  con 
la  proporzione  sudetta. 

6.  Che  sia  permesso  a  cadauna  Comunità  della  Provincia 
Permana  di  spedire  in  Fermo  un  loro  Deputato  Consigliere, 
il  quale  dia  il  suo  Volo  nelle  elezioni  e  conferme  dei  Pro- 
fessori della  Università  e  nelle  altre  deliberazioni  risguar- 
danti  la  medesima,  e  con  quel  medesimo  diritto,  con  cui 
rendono  il  loro  Voto  i  Consiglieri  della  Città  di  Fermo,  non 
dubitando  punto,  che  dai  medesimi  non  si  ricevino  i  De 
putati  delle  Comunità  Territoriali  con  quella  dimostrazione 
di  stima  e  con  quei  riguardi,  che  debbono  convenire  alla 
loro  Rappresentanza. 

7.  Che  nelle  elezioni  e  conferme  dei  Professori  della 
Università,  e. cosi  nelle  altre  deliberazioni,  che  ne  riguar- 
dino gli  oggetti,  la  sola  pluralità  de'  Voti  formar  debba  la 

Àrchtv.  Slor.  March.  V.  L  34 


530  UNIVERSITÀ   DEGLI   STODl  IN  FERMO 

risoluzione  in  modo,  che  un  Voto  sopra  la   metà  includa, 
ed  ammetta  il  Parlilo. 

8.  Che  dal  Reverendissimo  Cardinal  Arcivescovo ,  al  di 
cui  zelo  e  saviezza  si  appartiene  specialmente  la  cura  e  la 
direzione  della  Università,  come  Capo  della  medesima  per 
disposizione  della  S.  M.  di  Sisto  V  Nostro  Predecessore,  si 
formi  in  unione  delli  Deputati  alla  Concordia  e  degli  altri 
della  Università  istessa,  qualora  vi  siano,  un  calcolo  delle 
Rendile  annuali,  le  quali  spettan'b  attualmente  alla  Cassa  del- 
l' Università,  ed  altro  delle  Spese,  che  per  qualunque  titolo 
possono  occorrere,  onde  rilevare  quale  propriamente  deve 
essere  la  somma  della  Tassa  ripartibile,  come  sopra,  per  ma- 
hifeslarne  poi  previa  P  intelligenza,  ed  approvazione  della 
Nostra  Congregazione  de'  Sgravi  e  Buon  Governo  la  sua  tan- 
gente a  cadauna  Comunità,  ed  ordinarne  l'esigenza  a  forma 
di  quanto  Noi  abbiamo  qui  prescritto  e  dichiarato,  e  per  ma- 
nifestare alli  medesimi  la  nostra  volontà,  e  la  suprema  Nostra 
approvazione  in  rappoi*lo  alla  Concordia  progettala  fra  la 
Città  di  Fermo   e  le  Caslella  tutte  del  suo  Territorio. 

9.  Che  la  Tassa  medesima  cosi  stabilita,  e  determinata 
possa  esigersi  dal  Gennaro  del  corrente  Anno  di  Trimestre 
in  Trimestre,  o  in  tutto  o  in  parte,  benché  l'Università 
non  sia  ancora  riaperta  ,  onde  si  abbiano  i  mezzi ,  con  i 
quali  supplire  alle  spese  necessarie  per  il  Locale  della  me- 
desima, e  per  lutto  ciò  di  cui  abbisogni. 

10.  Che  in  ogni  Anno  si  elegga  a  pluralità  di  Voti  un  i- 
doneo  e  diligente  Esattore  e  Cassier  Generale,  in  mani  del 
quale  siano  versate  tutte  le  Rendite  della  Università,  e  dal 
medesimo  si  paghino  gli  Ordini  risguardanti  sollanlo  l'Uni- 
versità medesima  firmati  dal  Reverendissimo  Cardinal  Arci- 
vescoYO,  come  Capo  di  essa  e  dai  suoi  Deputati  sotto  pena  in 
caso  di  qualunque  arbitrio  in  contrario  di  reiterato  pagamen- 
to, e  che  il  sudelto  Esattore  debba  prestare  un'idonea  Sicurtà 
solidale,  quale  non  prestata,  rimangono  solidalmente  obbli- 
gali in  favore  della  Cassa  dell'Universilà  gli  Elettori  medesimi. 


DOCUMENTI  S31 

Questo  esallore  e  Cassiere  dovrà  in  ogni  fine  di  anno 
formare  un  esatto  Rendimento  di  Conti  tanto  dell'  incasso, 
come  dell*  erogazione  del  denaro  proveniente  dalla  sudelta 
Tassa  e  da  qualunque  altra  Entrata  dell'  UoiverMtà,  e  que- 
sto Rendiconto  sindicato  diligentemente,  e  quindi  firmato 
dai  Deputati,  sarà  senza  ritardo  trasmesso  alla  Congregazione 
del  Buon  Governo  per  riportarne  l'approvazione.  Con  questa 
misura  potrà  ancora  irv  ogni  fine  dì  anno  deliberarsi,  se  in 
vista  dello  slato  economico  della  stessa  Università  sia  luogo 
alla  minorazione  della  Tassa  sudelta  ,  ovvero  per  quhiche 
altro  imprevedulo  bisogno  sia  necessario  V  aumentarla  ;  lo 
che  per  altro  non  potrà  giammai  farsi  senza  il  Nostro  pre- 
ventivo Oracolo,  incaricandone  a  tale  effetto  la  sudelta  Con- 
gregazione del  Buon  Governo  di  farcene  V  opportuna  rela- 
zione, affinchè  dulia  Sovrana  Nostra  Autorità  possiamo  dare 
qui^lle  ulteriori  provvidenze,  che  secondo  le  circostanze  cre- 
deremo vantaggiose  alla  Università  non  meno,  che  al  bene 
della  Città  e  Provincia  Permana. 

Volendo  e  decretando,  che  alla  presente  Nostra  Cedola 
di  Molo  proprio  benché  non  esibila,  ne  registrata  in  Ca- 
mera e  ne'  suoi  libri,  non  possa  mai  darsi,  né  opporsi  di 
surrezione  o  orrezione ,  né  di  alcun  altro  vizio  o  difello 
della  Nostra  Volontà  ed  intenzione,  né  che  mai  sotto  tali 
0  altri  pretesti,  quantunque  validi,  validissimi  e  giuridici, 
anche  di  jus  quesito  o  pregiudizio  del  terzo  possa  essere 
impugnala,  moderata  o  revocata,  ridotta  ad  viam  juris,  o 
concedere  contro  di  essa  1'  aperìzione  oris  o  altro  qualunque 
rimedio,  e  che  cosi  e  non  altrimenti  debba  sempre  ed  in  per- 
petuo giudicarsi,  definirsi  ed  interpretarsi  da  qualsisia  Giu- 
dice 0  Tribunale  benché  Collegiale^  Congregazioni  anche 
di  Rmi  Cardinali,  Legali  a  latere,  Vice  Legati,  Camerlengo 
di  S.  Chiesa,  Tesoriere,  Rota,  Camera  e  qualunque  altro, 
togliendo  loro  ogni  facoltà  e  giurisdizione  di  deHnire  ed 
interpretare  in  contrario.  Nonostante  la  Bolla  di  Pio  IV  ile 
regislrandii ,   la    Regola    della   Nostra    Cancelleria  de  jure 


532  UNIVERSITÀ   DEGLI   STUDI   IN   FERMO 

quaesilo  non  tallendo,  e  non  ostante  ancora  lutti  e  qual- 
sisiano  Chirografi,  Brevi,  Ordinazioni  e  Costituzioni  Apo- 
stoliche Nostre,  e  de'  Nostri  Predecessori,  Bandi  ed  Editti 
in  virtù  di  essi  ed  in  qualunque  modo  emanati,  affissi  e 
pubblicati,  Leggi,  Statuti  e  Riforme,  stili  e  consuetudini  e 
qualunque  altra  cosa,  che  facesse,  o  potesse  fare  in  contrario; 
alle  quali  tutte  e  singole  avendone  il  tenore  qui  per  espresso 
e  di  parola  in  parola  inserto  e  registrato,  e  supplendo  colla 
pienezza  della  Nostra  Potestà  Pontificia  ad  ogni  vizio  o  di- 
fetto quantunque  sostanziale  e  formale,  che  vi  potesse  in- 
tervenire ,  per  la  piena  o  totale  esecuzione  di  quanto  si 
contiene  nella  presente  Nostra  Cedola  di  Moto  Proprio  am- 
piamente deroghiamo. 

Dato  dal  Nostro  Palazzo  Apostolico  Quirinale  questo  di  13 
Agosto  1804. 

Plus.  PP.  VII. 


7. 

Brano  della  Bolla  e  Quod  divina  sapientia  i  del  Pontefice 
Leone  XII  data  in  Roma  il  98  Agosto  1824  per  T  ordi- 
namento degli  studia  riportala  dal  BoUario  Romano  edii, 
di  Roma  del  1854  Tomo  XVI  pag.  85,  in  cui  fra  le 
cinque  Università  secondarie  dello  slato  pontificio  ripri- 
stinate  i  posta  quella  di  Fermo. 

TITOLUS  II. 
De  universitatibus 

9. 

§  3.  Duae  sunto  universitates  primariae,  universitas  Ro- 
mana, quae  dicitur  archigymnasium  Romanum,  et  universitas 
Bononiensis. 


DOCUMENTI  53à 


10. 


In  unaquaque  ìpsaruin  calhedrae  extabunt  non  rninus 
quam  iriginta  odo  praeler  musea,  alque  alia  instìtuta  do- 
clriaaruiD,  ad  hoc,  ut  adolescentes  possìnt  proficere  in  ornai 
dìsciplinarura  variclate;  quique  studiorum  cursum  expieve- 
rint,  opportunilalem  habeant,  atque  excilentur,  ul  doctrina- 
rum,  quibus  ìam  se  excoluerint,  uberrimam  cognilionem  ac- 
quirant. 


11. 


Quinque  sunto  (Jniversitales  secundariae,  Ferrariensis , 
Perusìna,  Camerìnensis,  Maceralensìs,  et  Firmana.  In  bisce 
universitatìbus  extabunt  calhedrae  non  minus  quam  decem 
et  septero,  praeter  musea  ,  atque  alia  opportuna  instituta. 

12. 

Antequam  universitates  secundariae  valeant  uti  privilegio 
conferendarum  laurearum,  aliorumque  graduum»  a.  s.  con- 
gregalione  per  viros  ab  ipsa  deleclos,  et  inslructos  monilis 
necessariis,  et  opportunis  perlustrentur. 

13. 

S.  congregatio  iubeat  typis  imprimi  et  cathedrarum  elen- 
(bum  vulgari,  quas  universitates  babebunt:  nec  minui,  nec 
augeri  earum  numerum  fas  erit,  quae  cuique  universilatum 
assìgnatae  sint ,  neque  res  tradendae  mutari  possint  sine 
ejusdem  congregationis  facultate  ;  secus  privilegium  confe- 
rendi  laureas  aliosque  gradua  amiltatur. 

V.  Curi 


CONTRO  LA  LEGA  LOMBARDA 

(1167-1175) 


III. 


I  progressi  ognor  crescenti  della  Lega,  i  cui  Rettori 
per  la  sospensione  delle  funzioni  imperiali  in  Federico 
decretata  dal  Pontefice,  andavano  per  fino  emanando  atti 
di  sovrana  competenza,  di  cui  ci  resta  documento  in 
un  prezioso  cimelio  decorato  del  sigillo  della  Lega  nel- 
1'  Archivio  di  S.  Fedele  a  Milano  (1):  i  successi  otte- 
nuti da  Bologna  in  Romagna  cx)ntro  la  lega  imperiale; 
e  r  ardimento  col  quale  il  Papa  si  era  posto  a  capo  delle 
città  confederate,  dichiarando  in  un  solenne  breve  di- 
retto alla  Lega  *^  di  fare  una  causa  sola  della  pace  di 
Lombardia  e  della  libertà  pontificia  e  religiosa  „  dovea 
somministrare  ai  rapporti  dei  Yicarii  Lnperìali  forti 
ragioni  a  sollecitare  la  calata  almeno  di  un  grosso  nerbo 
di  salde  truppe  sì  da  farne  il  nucleo  alle  forze  dei  par- 
tigiani italici  tenuti  in  fede  ma  scoraggiati. 

Federico  troncava  infatti  ogni  indugio  ordinando  a 
Cristiano  di  Back  Arcivescovo  di  Magonza  e  Cancelliere 


(*)  V.  Anno  I  •  Diip.  I  pif.  1S3  i  156. 

(I)  É  un  priviloai<>  rilascia  lo  dai  Rettori  in  Lmll  ili*  abate  Triimondo  di 
Chiara?aU«:  il  ligillo  in  cera  porla  un*  aquila  ad  ali  spieiate  che  pota  aallt 
•!■•  di  um  aonic.  •  Vì|mU.  Sloria  Dipi.  pag.  996. 


536  LE   COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

dell'  Impero  di  scendere  in  Italia.  Era  costui  un  giovane 
assai  forte  e  strenuo  (1),  che^il  partito  scismatico  del 
capitolo  magontino  era  riuscito  ad  introdurre  nella  sede 
Arcivescovile  contro  il  voto  della  maggioranza,  la  quale 
ebbe  nominato  Corrado  di  Widelesbach  (2).  Raccolta  una 
numerosa  coorte  di  cavalieri  del  Brabante  (3),  chiuso 
in  un'  armatura  a  sopraveste  di  color  giacinto,  in  capo 
un  elmo  dorato,  nella  destra  una  mazza  triscuspidale  (4). 
Cristiano  nell'  autunno  del  1070  entrò  in  Lombardia  (5), 
e  saccheggiando  le  ville  (6)  in  breve  fu  al  Tanaro.  Quivi 
schivato  il  ponte  e  lanciati  i  cavalli  a  tutta  corsa,  pas- 
sava rapido  sotto  le  mura  di  Alessandria  (7);  nuovo 
baluardo  delle  italiche  libertà,  ed  a  fuga  di  corridori 
guadava  il  fiume  (8). 

Cristiano  accolto  festosamente  da  Genova  transitava 
in  Toscana,  dove  avea  in  animo  convocare  una  gene- 
rale adunanza  dei  partigiani  imperiali  e  pacificare  in 
pari  tempo  le  città,  a  fine  di  operare  poi  concordemente 
con  Garzedonio  Yicario  in  Romagna. 

H  convegno  infatti  ebbe  luogo  nella  primavera 
del  1172  a  San  Ginesio,  ora  San  Miniato;  e  fìi  plena- 
rio e  solennissimo  (9).  Di  Romagna  era  accorso  fra  gli 

(I)  Annales  Sttdenses:  presso  Pertz. 

(t)  Annales  Sladenses:  presso  Pertz,  -  Corrado  di  Widelesbach  riconobbe  Ales- 
sandro III  Papa  legittimo,  scese  in  Italia  e  comandò  pel  Papa  gli  eserciti  di  Roma. 
(3)  Annales  Stadens. 
(i)  Ivi. 
(6)  Ivi. 

(6)  Ivi. 

(7)  Caffaro  —  Annales  Januehses. 

(8)  Ivi. 

(0)  Caffaro  —  Annales  Januenses. 


DI   ROMAGNA  E   TOSCANA   ECC  :  tt3? 

altri  il  Conte  Guido'  Guerra:  di  Roma  era  venuto  il 
Prefetto;  dell'  alta  Italia  il  Marchese  di  Monferrato  (1). 
Quali  accordi  vi  si  prendessero  non  risulta  da  docu- 
menti. Dagli  Annali  Grenovesi  del  Caffaro  si  ha  però 
che  Cristiano  vi  pose  al  bando  dello  impero  Pisa,  accu- 
sata di  essere  in  relazione  coi  Lombardi,  fulminando 
uguale  bando  di  esterminio  contro  chiunque  avesse  accet- 
tato ancora  e  riconosciuta  la  moneta  di  quella  città  (2). 

E  qui  per  corrispondere  allo  scopo  speciale  che  mi 
sono  prefisso  di  tentare  una  prima  storia  dell'  operato 
nella  media  Italia  dalla  Lega  delle  città  italiane,  non 
che  dei  fatti  ivi  avvenuti  in  istretto  rapporto  colla  lotta 
dalla  Lega  sostenuta,  cose  che  mi  parvero  generalmente 
tsascurate,  mi  convien  dire  di  alcuni  avvenimenti  poco 
noti  i  quali  varranno  a  far  meglio  conoscere  ed  a  definire 
con  miglior  esattezza  la  politica  imperiale  nella  penisola, 
la  ragione  dei  rapporti  premurosamente  tenuti  da  Fede- 
rico colle  potenze  navali  d' Italia,  le  operazioni  guerresche 
a  cui  si  gittò  il  cancelliere  Cristiano,  subito  disciolto  il 
convegno  di  San  Ginesio. 

Poco  dopo  la  distruzione  di  Milano,  e  precisamente 
nell'aprile  del  11 62,  Federico  stando  ancora  in  Pavia,  avea 
ricevuto  una  deputazione  di  notabili  pisani  condotta  da 
Lamberto  console  di  Pisa,  coi  quali  ebbe  negoziato  e 
stipulato  un  importantissimo  trattato. 

L'  annalista  maggiore  di  Colonia,  persona  apparte- 
nente all'  aula  di  Federico,  è  il  solo  contemporaneo  che 
a  tale  episodio  e  a  tale  trattato   avesse   accennato  con 

(1)  Caftro  —  Annalei  ianacoiM. 


538  LE  CO$HH AZIONI  IMPERIALI 

qualche  chiarezza,  mentre  (come  e  perchè  vedranno  i 
lettori  più  avanti)  i  cronisti  italiani  e  pisani  ne  tacciono 
quasi  affatto. 

Scrive  pertanto  quel  di  Colonia  sotto  1'  anno  1162 
che  nella  seconda  feria  di  Pasqua  i  Pisani  giurarono  in 
Pavia  fedeltà  all'  Imperatore  e  che  promisero  di  far  spe- 
dizione in  Puglia,  Calabria,  Sicilia,  Sardegna,  Corsica 
e  verso  Costantinopoli  (1). 

Oli  storici  moderni  della  Lega  Lombarda  non  andaro- 
no molto  pili  in  là  del  riprodurre  questo  breve  accenno 
della  cronaca  di  Colonia. 

Entra  invece  nel  mio  intento  ricercare  nella  storia 
e  nelle  carte  dell'  antica  Repubblica  Pisana  i  documenti 
e  lo  sviluppo  di  queeta  lega  pattuita  in  Pavia  fra  i  con- 
soli Pisani  e  Federico  I. 

Negli  annali  pisani  scritti  da  Paolo  Tronci,  vicario 
di  Mons.  Giuliano  de  Medici,  a  tutto  il  1440  e  stam- 
pati verso  la  fine  del  secolo  decimosettimo,  (2)  mi  venne 
fatto  di  trovare  un  lunghissimo  documento  o  Privilegium 
rilasciato  da  Federico  I  alla  sua  città  fedelissima  di  Pisa; 
che  il  Tronci  asseriva  avere  alla  meglio  trascritto  da  un 
libro  molto  antico  esistente  in  casa  di  un  ricco  citta- 
dino pisano,  confessando  essere  perduto  a  suoi  tempi 
r  originale  di  si  prezioso  atto,  né  manco  trovarsi  una 
copia  autentica  che  pur  sape  vasi   estratta  nel    1394  a 

(1)  Jnna/ef  Coloniente»  Maximi.  Pkktz  XVH.  Anno  Ì162. 

•  Feria  Kecuoda  paschao  Pisani  fldelilatein  imperatori  iaraverunt  el  expe- 
dttiopein  ei  tacere  promiserunt  in  Apuliam,  io  Calabriam,  in  Siciliam,  in  Sar« 
diniam  e(  !n  Corsicam  el  versus  Costanlinopoliro.  a 

(2)  Memorie  Uforiche  della  Città  di  Pi$a  raccolte  da  Mons.  Paolo  Taonci, 
ecc.  -  In  Livorno  MDCLXXXll. 


DI   ROUAONA   E  TOBCANA   BCC:  589 

tempi  dell'  arcivescovo  Gabrielli  e  depositata  nell'  Archi- 
vio dell'  arcivescovato. 

Quando  nel  1868  si  ristamparono  gli  annali  del 
Tronci  (  1  ),  Y  importanza  somma  delle  cose  dette  e  stipu- 
late nel  Privilegio  citato  dall'  autore  ma  perduto,  persuase 
i  compilatori  della  necessità  di  ricercara  l' originale  do- 
cumento appo  gli  Archivi  Diplomatici  di  Toscana,  allora 
allora  sapientemente  riordinati  dal  illustre  Bonnaini.  Né 
fu  senza  buon  risultato;  giacché  appunto  Y  originale  del 
trattato  stipulato  in  Pavia  1'  aprile  del  1162  fra  Fede- 
rico e  i  Pisani,  tolto  per  certo  agli  Archivi  di  Pisa 
quando  questa  repubblica  fu  annessa  a  Firenze,  era  stato 
ivi  rinvenuto  nell'  Archivio  delle  Riformagioni  e  già  re- 
stituito a  Pisa  per  essere  riposto  in  quel  nascente  Ar- 
chivio di  Stato. 

Cosicché  é  una  copia  collazionata  sul  testo  originale 
dair  ufficio  paleografico  dell'  Archivio  pisano,  quella  che 
il  Montazio  pubblicava  (2)  nella  ristampa  delle  memorie 
di  Tronci.  In  capo  alla  cx)pia  osservatane  dal  Tronci  nel 
secolo  XYn  era  detto  che  la  pergamena  originale,  quando 
esisteva  negli  archivi  pisani  portava  appesa  una  bolla 
d'  oro  recante  sul  dritto  1'  effigie  di  Federico  seduto,  lo 
scettro  nella  'destra  mano,  il  globo  nella  sinistra,  attorno 
la  scritta  —  Friderict$8  Dei  gratia  Bomanarum  Imperai 
tor  Augustine:  nel  rovescio  la  città  di  Roma  colle  parole 
—  Roma  caput  Mutidi  regit  Orbis  frena  rotundi  — 


{\)Ànnaii  Piiani  di  Paolo  Tbonci,  rifuii  trricchlti  di  molli  falli,  •  tegiilUli 
fino  tiranno  1853  da  E.  Vallancoll  Montatio  ed  tllrl  •  P:m,  prtiio  Angalo 
Vaiami  1868. 

(S)  Op.  lae.  Tom.  I.  pag.  178. 


540  LE   COSPlRAZlOHl    IMPERIALI 

Ma  oggi  non  rimangono  pendenti  che  i  lacci  della  cor- 
dicella in  seta  rossa  (1). 

L' atto  0  meglio  la  serie  degli  atti  giurati  a  Pavia, 
comincia  con  un  Privilegio  che  l'Imperatore  accorda 
alla  sua  fedelissima  città  di  Pisa.  È  straordinaria 
l'ampiezza  dei  benefizi  e  delle  donazioni  che  Federico 
vi  profonde  ai  Pisani.  Dopo  un  lungo  elogio  alla  loro 
virtù,  concede  ai  medesimi  tutta  la  marca  pisana,  la 
spiaggia  mediterranea  da  Civitavecchia  a  Portovenere 
perchè  vi  possano  costruire  navi  e  negoziarvi  :  podestà 
piena  di  levare  armi  ed  armati  in  tutto  il  contado:  dà 
loro  in  feudo  l'isola  di  Sardegna,  la  metà  di  Palermo, 
Messina,  Salerno  e  Napoli,  e  per  intero  Graeta  e  Tra- 
pani con  tutto  il  loro  territorio:  assegna  ai  mercanti 
pisani  una  strada  con  abitazioni  decenti  in  tutte  le  città 
che  Guglielmo  Normanno  di  Sicilia  occupava,  e  promette 
perfino  a  Pisa  la  metà  del  tesoro  di  quel  Re. 

Ma  il  correspettivo  di  tante  larghezze  appena  accen- 
nato nel  contesto  del  Privilegio,  è  fatto  poi  senza  am- 
bagi manifesto  nelle  formole  con  cui  i  ministri  di 
Federico  ed  i  legati  pisani  giuravano  V  atto  di  privilegio. 

Neil'  insieme  è  un  vero  trattato  di  alleanza  offensiva 
e  difensiva  per  una  spedizione  vagheggiata  contro  Gu- 
glielmo di  Sicilia,  feudatario  della  S.  Sede  e  che,  a  parer 
mio,  dovea  rimaner  segreto.  Né  mancano  ragioni  a  con- 
forto di  questa  opinione.  Prima  che  il  Tronci  potesse 
avere  l' intero  documento  che  piiL  sotto  riferisco  e  pub- 
blicarlo ne'  suoi  Annali^  dove  del  resto  rimase  poi  quasi 

(1)  Tkowci  MemwU  htoricht  di  Pita  pajc.  96. 


DI   ROMAGNA   E   TOSCANA   ECC:  Sii 

sepolto,  gli  stessi  scrittori  pisani  sono,  per  quanto  ò  a 
mia  notizia,  dominati  da  una  inesplicabile  incertezza  su 
ciò  che  i  legati  di  Pisa  stipulavano  in  Pavia  coir  Im- 
peratore. La  Cronica  varia  pisana  dice  solo  che  vi  si 
trattò  dell'  onore  e  dell'  incremento  di  Pisa  e  dell'  Im- 
pero (1). 

•Oltre  a  ciò  Guglielmo  medesimo  ;  il  quale  era  in 
pace  coi  Pisani,  non  potè  concepire  di  essi  che  un  vago 
sospetto  per  le  cordialità  manifestatesi  d'  un  tratto  fra 
loro  e  Federico  (2). 

I  lettori  giudicheranno  se  era  il  caso  di  un  semplice 
sospetto,  qualora  della  sostanza  delle  cose  trattate  a 
Pavia  fosse  pervenuta  sola  una  qualche  notizia  a  Gu- 
glielmo. 

Diffatto ,  Lamberto  Console  ed  i  legati  pisani  giurano 
in  una  convenzione  (conventioj  di  armare  una  flotta  e 
di  far  vela  non  appena  l'Imperatore  sarebbe  entrato 
nella  Puglia,  di  aiutarlo  a  conquistare  e  mantener  sog- 
gette la  Puglia,  la  Sicilia,  la  Calabria  ed  il  principato 
di  Capua  contro  Guglielmo  Normanno,  né  di  stabilire 
giammai  con  questo  pace  o  tregua  senza  licenza  di 
Federico. 

Partitamente  è  detto  ancora  che  V  ordine  di  armare 
arriverà  ai  pisani  prima  della  Pentecoste  di  quello  stesso 
anno  1162,  se  l'invasione  dell'esercito  imperiale  nel 
regno  napolitano  viene  destinata  alla  fine  di  agosto; 
epperò  i  Pisani  dovranno  muover  subito  dentro  il  maggio* 

(I)  Così  mi  viene  segoaUlo  dall'Ufficio  del  R.  Archivio  di  Stato  in  PÌm, 
dal  quale  ebbi  copia  dell*  allo  con  nuova  diligenia  colluionala  tali*  originale, 
())  Cronica  varia  pisana  •  MoaAToai.  Renim  Hai.  Script.  Tom  VI. 


542  LE   COSPIRAZIONI    IMPRBIALI 

Che  j  non  ^giungendo  l' ordine  prima  di  Pentecoste,  la 
spedizione  si  intenderà  rimandata  all'  anno  venturo ,  e 
in  allora  i  pisani  dovranno  tenersi  pronti  agli  ordini 
di  Federico  col  naviglio  fino  alla  festa  di  mezzo  agosto, 
e  così  via  via.  L'  Imperatore  dal  canto  suo  garantiva 
ai  Pisani  che  se,  dato  1' .ordine  di  partenza  alla  flotta, 
il  suo  esercito  per  avverse  ciscostanze  non  avesse  potpto 
entrare  in  Puglia,  egli  sarebbe  ciò  nulla  meno  rimasta 
in  Italia  a  sicurezza  di  Pisa  insino  a  tanto  che  la  flotta 
non  si  fosse  ridotta  in  porto. 

Narra  poi  uno  di  que'  tedeschi  al  seguito  di  Fede- 
rico, le  cronache  de  quali  raccolse  il  Pertz,  che  V  Im- 
peratore consegnò  ai  Pisani  il  suo  proprio  vessillo;  (1) 
da  inalberarsi  senza  fallo  sul  naviglio  della  repubblica 
al  momento  di  sferrare  contro  le  galee  del  Normanno 
verso  Sicilia. 

La  spedizione  contro  Guglielmo  non  ebbe  luogo:  ma 
una  volta  vincolatisi  a  Federico,  i  Pisani  dovettero  su- 
birne tutta  la  sinistra  influenza.  L'  antipapa  Pasquale 
facea  solenne  ingresso  in  quella  città,  V  Arcivescovo 
Villani  con  tutto  il  clero  si  ritirava  esule  volontario  alla 
Gorgona,  e  Pasquale  sostituivagli  nella  sede  un  canonico 
per  nome  Benincasa  (2). 

Se  non  che  i  Genovesi,  implacabili  nemici  e  rivali 
dei  pisani,  persuasero  Federico  ad  abrogare  uno  dei  pri- 
vilegi accordati  a  Pisa,  quello  che  le  accordava  giurisdi- 
zione in   nome    dell'  imperatore    sulla    Sardegna;    ed  a 

(1)  MCLXll Dedtt  etiam  imperator  eis  (Pisanis)  saom  vexillam:  — 

Ann,  Colon,  maximi.  P»n. 

(%)  Annali  Pisani  di  Trorci:  ed.  de)  1689  pag.  IH  -  iit. 


DI   ROMAGNA    E   TOSCANA   BCC  :  S43 

proclamare  re  di  quell'  isola  un  Parassone  indigeno  e 
giudice  di  «Arborea  che  V  avesse  tenuta  quale  feudo  di- 
retto dell'Impero,  anzi  che  del  comune  di  Pisa  (1).  Del 
che  siffattamente  sdegnaronsi  i  Pisani* che  di  nuovo  rup- 
pero acerrima  guerra  ai  genovesi  (2),  senza  la  parola  del- 
l' Imperatore. 

Ma  ciò  non  tolse  che  i  Genovesi,  levato  arditamente 
da  Arborea  il  Parassone  e  schivando  le  galere  pisane, 
riuscissero  a  condurlo  in  Pavia  all'  Imperatore,  dove  nel- 
1' agosto  del  1164  nella  chiesa  di  San  Sisto  venne  so- 
lennemente incoronato  re  di  Sardegna  (3), 

Come  seppesi  ciò  a  Pisa,  vivissima  indignazione  arse 
fra  quei  cittadini  sicché  senza  chiedere  la  parola  dell'  Im- 
peratore, ruppero  di  nuovo  guerra  acerrima  contro  Ge- 
nova (4)  e  sollevando  in  guisa  gli  isolani  contro  il  nuovo 
ordine  di  cose  che  il  Parassone  dovè  in  breve  riparare 
a  Genova  e  lasciare  il  regno  (5).  In  pari  tempo  il  Co- 
mune di  Pisa  inviava  un'  ambasciata  a  Federico  a  chie- 
dere giustizia  (6). 

Verso  il  chiudere  di  quell'anno  1164  l'Imperatore 
era  costretto  a*  curarsi  meno  della  sognata  spedizione 
neir  Italia  meridionale,  dacché  già  gravi  pericoli  veni- 
vangli  minacciati  nella  superiore  per  la  federazione  delle 
città  venete.  E  se  dianzi  alle  città  soggiogate  faceva  giu- 
rare su  gli  altari  patti  di  concorrere  alla  spedizione  in 

(1)  Annali  Piiant  di  Tiomci  ed.  del  1689  paff.  ilO. 

(4j  Annali  Piiani  pag.  lU. 

(S)  T«o:ici  •  Annali  Piiani  •  anno  il6i. 

(i)  Iti  -  pag.  liO, 

(5)  Ivi  •  pag.  MI. 

(6)  Ivi  pag.  HI  •  119. 


544  LK   COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

Puglia^  Calabria  e  Sicilia,  quel  momento  ne  le  svinco- 
lava a  titolo  di  favore  ma  per  acchetare  i  fhalumori. 

Porta  appunto  la  data  di  queir  anno  un  privilegio 
rilasciato  da  Federico  alla  città  di  Treviso  in  cui,  do- 
lendosi con  soavi  parole  che  i  Trevisani  fossero  stati  di 
soverchio  aggravati  dai  suoi  legati,  li  assicurava  tenes- 
sero per  certo  non  avere  egli  dato  ordini  tali;  a  provare 
la  sincerità  dell'  animo  suo  confermava  i  consoli ,  con- 
cedeva di  munire  la  città ,  restituiva  gli  ostaggi ,  e  li 
scioglieva  dal  giuramento  di  spedizione  in  Puglia ,  Ca- 
labria e  Sicilia  (1). 

Caduti  poi  vani  gli  artificii ,  respinte  le  esibizioni 
pacifiche^  ed  avendo  però  V  Imperatore  creduto  prudente 
non  afiFrontare  per  allora  gli  eserciti  della  Lega  Vero- 
nese: in  Germania,  dove  si  era  ridotto,  ripigliava  ben 
presto  i  suoi  antichi  disegni  sì  da  parergli  novellamente 
buono  assai  1'  aiuto  della  flotta  pisana. 

Infatti  con  privilegio  delli  15  Aprile  1165,  da 
Francoforte  investiva  solennemente  la  città  di  Pisa  del 
dominio  di  Sardegna  conforme  alle  cose  stipulate  segre- 
tamente  in  Pavia  V  aprile  1162,  facendo  giurare  Olde- 
rico  Duca  di  Boemia  che  tale  donazione  non  sarebbe  più 
stata  rotta  uè  da  lui  né  da  altri  (2). 

Un  anno  e  mezzo  dopo  cioè  nel  1167  Federico  era 
realmente  in  marcia  per  la  Romagna  alla  volta  dell'  Italia 
meridionale.  Ma  nel  1167  il  colpo  mirava  eziandio  a 
Boma,  non  solo  al  feudo  pontificio  tenuto  dal  Normanno. 

(I)  FiCB».  Op.  cit.  doc.  \^9  pag.  18S. 

(S)  Teonci  •  Annali  Pitani  -  piig.  IH.  Vi  è  l'intero  docamento  da  copia 
eslratU  nel  1394  dal  1*  originale. 


DI   ROMAGNA   E  TOSCANA    CCC  :  545 

Preoccupato  T  Imperatore  del  concetto  con  cui  si  era 
mosso  di  Germania  e  da  Pavia ,  di  stabilire  in  Roma 
r  antipapa  e  sottoporre  alla  diretta  giurisdizione  impe- 
riale il  mezzodì  d'  Italia,  demolendo  definitivamente  le 
ultime  risorse  della  resistenza  delle  città  lombarde  e  del 
Papa:  noi  lo  troviamo  mettere  a  profitto  le  soste  della 
sua  marcia  per  assicurarsi  ogni  miglior  concorso  del  suo 
partito. 

Un  privilegio  dato  presso  a  Reggio  dell'  Emilia,  V  1 
febbraio  (1167)  ce  lo  mostra  che  appalta  perfino  i  suoi 
diritti  regali  (^regaliej  sul  territorio  di  Pontremoli  verso 
un'  annua  corrisposta  di  500  lire  imperiali,  purché  per 
queir  anno,  invece  della  detta  pensione,  il  Comune  di 
Pontremoli  gli  fornisca  a  proprio  spese  cento  militi  per 
„  la  sacra  spedizione  verso  Roma^  TApulia,  la  Calabria 
e  la  Sicilia  ^  durante  quattro  mesi ,  computabili  dal  dì 
in  cui  si  8arebl)ero  presentati  al  **  beatissimo  „  cancelliere 
Cristiano  (1). 

È  ricordato  da  tutti  gli  storici  della  Lega  come, 
poco  prima  scoppiasse  quella  pestilenza  di  febbri  che  lo 
tolse  a  precipizio  da  Roma ,  giungessero  sul  Tevere  a 
Federico,  già  padrone  del  Vaticano,  dodici  galere  Pisane 
colle  quali  argomentavasi  penetrare  nel  cuore  della  città 
irta  d'  insidie  per  opera  dei  Frangipani  e  degli  altri 
patrizi  asserragliati  nelle  torri  e  nelle  più  colossali  ro- 
vine, che  essi  tenevano  pel  Papa. 


(I)  FiciiB.  Op.  e  voi.  cit.  pag.  ìHi   doc.     D.  US  « Anno  vero 

presenti  .....  hinr.  perfdonem  perso|v«*re  non  drbent  et  in  bar  sacra  nostra 
eippdilione  versus  Urbem,  Apuliani,  Calabriam,  et  Syciliam  cenluro  (armalo*) 
curo  propria  expensa  qu.illuor  condnuis  rornsibus  ex  quo  bealistimo  principi 
nostro  Cristiano  Magonlini  ^el1ls  electo  se  represenlaverint,  nobis  dare  debenl ...» 

Dal  registro  piccolo  dell*  Arch.  Municip.  di  Piaccott. 

Arelnv   Stoi\  March,  r   f.  35 


546  LE  COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

Ora  è  opportuno  esporre  qui  i  precedenti  immediati 
di  questo  effettivo  concorso  delle  galere  pisane ,  prece- 
denti che,  a  buon  diritto,  si  hanno  a  ravvisare  in  certe 
trattative  corse  fra  Federico  e  il  Comune  di  Pisa  nel 
marzo  di  quello  stesso  anno  1167:  trattative,  l'indole 
delle  quali  è  abbastanza  chiarita  da  un  documento  esi- 
stente neir  archivio  di  Stato  a  Pisa  e  pubblicato  recen- 
temente da  Ficher,  fra  gli  altri  risultati  delle  sue  ultime 
ricerche  intomo  al  diritto  e  al  dominio  imperiale  in 
Italia. 

È  evidente  che,  nel  venire  finalmente  ai  fatti,  il  Co- 
mune di  Pisa  non  era  senza  gravissima  esitazione.  L'af- 
fare della  Sardegna  doveva  aver  necessariamente  inge- 
nerato in  Pisa  una  diffidenza  profonda  della  parola 
imperiale;  opperò  prima  di  rischiarsi  in  codesta  impresa 
di  Roma,  temendo  che  la  lontananza  di  una  parte  della 
flotta  potesse  esser  cólta  come  occasione  molto  propizia 
dai  Genovesi  a  compiere  una  vendetta  o  che  uno  scop- 
pio di  pericolose  inimicizie  per  parte  delle  città  italiane, 
omai  libere,  avesse  a  sorprenderli  in  quella  sinistra  bega, 
domandarono  i  Pisani  che  V  Imperatore  spendesse  nuo- 
vamente formale  parola  di  riparare  qualunque  iattura 
avesse  il  Comune  a  patire  durante  o  per  fatto  di  que- 
sta spedizione. 

E  Federico  infatti  dovè  promettere  di  nuovo  con 
pubblico  atto  che  quella  città  o  quella  persona  qualun- 
que, la  quale  avesse  recato  danno  od  ingiuria  ai  Pisani, 
mentre  essi  trovavansi  impegnati  in  guerra  e  fuori  in 
ispedizione  ad  onor  dell'  imperatore,  egli  avrebbe  tosto 
messa  al  bando  come  nemica  sua,  né  prima   rìacettata 


DI    ROMAGNA   E   TOSCANA   ECC  :  o47 

in  pace  o  in  tregua  che  piena  soddisfazione  avesse  esi- 
bito alla  città  di  Pisa:  ed  anzi  impognavabi  ad  agire 
con  tutta  premura  acche  lo  città  e  i  baroni  di  Toscana 
dessero  d'avanzo  sicurtà  dì  non  molestare  o  aggravare 
i  Pisani  i^er  tutto  il  tempo  che  questi  fossero  alla  guerra, 
e  in  mare  ai  servigii  dell'  Imperatore  o  per  fedeltà  al- 
l' impero  (  1  ). 

Dal  momento  che  è  constatata  tanta  abbondanza  di 
precauzioni  e  di  riserve  per  parte  dei  Pisani,  non  è  più 
a  meravigliare  se  le  loro  galee  navigarono  con  tanta 
lentezza,  che  giunsero  a  Roma  solo  nell'  agosto ,  cioè 
troppo  tardi  quando  appunto  pel  Tevere  le  sottili  navi 
di  Gugli(»lmo  Normanno  avoano  già  scaricato  il  denaro 
per  alimentare  la  resistenza  dei  romani  e  tratto  a  sal- 
vamento la  j)ersona  di  Alessandro  IH. 

Quando,  insomma,  l'obbiettivo  della  spedizione  im- 
periale era  fallito,  e  l' esercito  dei  baroni  tedeschi  e  dei 
confederati  imperiali  d'  Italia  dileguavasi  per  le  febbri. 

Dura  anche  nel  popolo  un  proverbio  a  proposito  del 
-  soccorso  di  Pisa;  -  che  avesse  origine  da  questo  fatto, 
non  so;  ma  potrebbe  ben  essere. 

È  evidente  che  appunto  al  momento  di  mantenere 
i  patti  di  Pavia,  a  cui  Federico  aveva  dippoi  innestato 
la  spedizione  contro  Roma  e  papa  Alessandro,  dovè 
prodursi  in  Pisa  un  improvviso  mutamento  della  pub- 
blica opinione. 

Furono  quindi  forse  nel  vero  i  legati  genovesi  quando 
poi  al  convegno  adunato  dal  Cancelliere  Cristiano  a  S. 

(1)  Fidia.  Op.  tol  cìl.  pag.  f8S  Documenlo  n.  143  dalPoriRinalf  esiftenti* 
Dell'  Archivio  di  Stato  a  Pi»a. 


548  LE  COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

Ginesio  il  1171,  accusarono  Pisa  non  solo  di  essere 
entrata  in  relazione  coi  Lombardi ,  ma  di  avere  essa 
stessa  chiesto  e  ricercato  1'  alleanza  (1). 

In  realtà  nel  1170  il  popolo  pisano  aveva  già  ran- 
nodato pace  sincera  con  Guglielmo  di  Sicilia  (2),  di- 
scacciato r  arcivescovo  Villano  devoto  al  papa  legittimo, 
lo  che  equivaleva  a  dichiararsi  favorevoli  alla  Lega 
Lombarda  di  cui  era  supremo  patrono  Alessandro  (3). 

Dopo  ciò  è  chiaro  la  vera  ragione  del  bando  in- 
flitto in  San  Ginesio  da  Cristiano  alla  città  di  Pisa, 
alla  sua  moneta  ed  a  quanti  la  accettassero  nei  ne- 
goziati. 

Ora  a  mio  avviso  era  disegno  di  Cristiano  aumen- 
tare con  quest'  ultima  misura  il  danno  della  guerra  ban- 
dita contro  Pisa  ferendo  la  sua  fortuna  commerciale,  ed 
in  pari  tempo  esercitare  contro  la  Lega  Lombarda  una 
rappresaglia  agli  ordini  severissimi  emanati  dal  Ponte- 
fice in  riguardo  al  commercio  colle  città  imperiali  della 
Toscana. 

Infatti  Alessandro  m  nel  Breve  che,  in  data  27 
marzo  1170,  aveva  spedito  da  Veroli  alla  Società  di 
Lombardia,  Marca  e  Romagnola  ^  fra  le  altre  minute 
e  sapientissime  disposizioni  date  per  conservare  lo  spi- 
rito di  incrollabile  e  fraterna  unione  fra  le  città  della 
Lega,  in  modo  particolare  erasi  diffuso  a  prescrivere  ai 
Rettori  certi  ordini  perentorii  e  precisi  che  costituivano 
un  vero  blocco  militare  e  commerciale  della  Toscana. 


(1)  Capparo.  i4yiiia/ej  /atitteviMf  —  presso  HoaiTOii.  Rerum  I(al.  ScripL  VI, 
(9)  CroDica  yarìa  pisana.  —  MoaiToai  come  sopra. 
(3)  Ansati  Pisani  pag.  135. 


DI   ROMAGNA   K  TOSCANA   BCC  :  549 

**  Vogliamo  e  comandiamo,  aveva  detto  il  Pontefice, 
che  se  i  toscani  mostrassero  di  voler  aggiungersi  a  voi 
e  venire  a  stanza  nelle  città  vostre,  non  permettiate 
affatto  che  si  avanzino  per  le  strade  toscane,  ma  ordi- 
nate perentoriamente  ai  Parmeggiani  che  facciano  guar- 
dare quella  che  passa  per  la  loro  città  e  cosi  facciano 
quei  dì  Bologna  dalla  parte  loro,  né  si  ammettano  ob- 
biezioni e  scuse.  Vogliamo  e  comandiamo  che  sia  rotto 
ogni  rapporto  colla  Toscana  finché  a  voi  non  sia  con- 
giunta davvero  (1) Comandiamo  inoltre  che  non 

lasciate  nelle  vostre  terre,   né   venire^  né  rimanere,  né 

(I)  PrivìleRìufu  Stoclissimi  Pape  Alexandri  dal  Liber  Juriam  di  Lodi.  « 

Ceteraro  si  (usci  vohi»  adiuDgi  Toluerint  et  in  vettra  civitate  manere;  dos 
•Iratain  per  lusciam  dirifi  nullatcniis  per  inidalis,  sed  parroenibaft  flrmiter 
iniungalis  qnod  eam  per  civitatem  suaro  et  sic  venos  bononiam  fatiant  orooi 
coDlradictionc  et  excusatione  cessaote  teneri  :  et  a  lascia  dooec  vobis  fon- 
fatur  peDitus  prohiberi  > 

L*  oscarilà  e  1'  ambiguilà  di  questo  brano  del  Privilegio  parvero  tali  al 
cbiarinimo  Vignati  cbe  preferi  di  trascurarlo  alllitlo  nella  varaione  ^accinta  del 
gravissimo  documento. 

A  me  parve  buono  invece  leotarne  la  coordinaiione  agli  avvenimenli.  Ma 
oltre  la  versione  cbe  propongo  nel  testo,  me  ne  fu  esibita  no*  altra  da  iltastre 
paleografo  ed  è  la  seguente:  n  Vogliamo  e  comandiamo,  aveva  detto  il  Pontefice, 
che  se  i  Toscani  vorranno  congiungersi  a  voi  e  por  dimora  nelle  vostre  citlà , 
non  acconsentiate  in  nessun  modo  che  essi  si  incammino  per  la  slrr.da  loacana, 
ma  perentoriamente  ingiungete  ai  Parmeggiani  cbe  facciano  tener  loro  quella 
via  cbe  passa  per  la  loro  città  e  cbe  va  verso  Bologna,  non  ammettendosi  in 
contrario  obbiezioni  né  scus<*:  e  cosi  sicno  del  tutto  esclusi  dalla  Toacana  insino 
a  che  questa  non  si  sia  a  voi  congiunta ■ 

In  tal  caso  il  Papa  ordinerebbe  ai  Rettori  della  Lega  di  non  permettere  a 
gente  Toscana ,  che  evidentemente  avreblM  dovuto  trovarsi  in  armi  al  di  qua 
dell'  ap4»nnìno  nell*  alta  Italia,  di  ritornare  in  Toscana  pel  valico  dell*  apennin  i 
parmeggiano.  E  manifesta  apparirebbe  I*  intenzione  di  imm»biliz/are  in  paese 
ostile  un  riiifnrzo  che  poteva  essere  richiamato  dal  partito  imperiale  in  Tos«:ana. 

A  mio  avviso  una  spiegazione  ragionevole  di  ciò  non  potrebtie  dirsi  altro 
cbe  riportandosi  alle  circoslanze  in  cui  versò  1*  imperatore  nella  fuga  di  Roma 
verso  1*  autunno  del  1167.  11  cronista  Vincenzo  di  Praga,  testimonio  di  veduta, 


ììTìO  LE   COSPIRAZIONI    IMPBRtAl.l 

trafiBcare  gli  stessi  mercanti  di  Toscana  e  che  non  per- 
mettiate ai  vostri  e  ai  mercanti  oltramontani  di  transi- 
tare in  Toscana.  „ 

Addottando  questa  versione  delle  parole  pontificie , 
che  nel  codice  lodigiano  trovansi  in  una  lezione  molto 
oscura,  un  senso  ben  chiaro  sembra  risultarne. 

Due  erano  appunto  i  varchi  principali  pei  quali  at- 
traverso l'apeonino  passa  vasi  dal  paese  della  Lega  di 
qua  da  Pò  in  Toscana:  1'  uno  pel  colle  della  Osa  e  da 
Pontremoli  faceva  capo  a  Parma,  V  altro  dalla  vallata 
del  Mugello  salendo  attorno  al  monte  di  Fò  o  della 
Futa  scendeva  nel  territorio  bolognese.  La  prima  era 
un'  antica  strada  mulattiera  a  cui  davansi  insieme  i  no- 


taselo scritto  che  neli*  esercito  condotto  da  Federico  sotta  Roma  erano  moltis- 
simi toscani  (a). 

Agpiun{;cva  ta  Chronica  piacentina  che  )*  imperatore  coi  superstiti  alla 
morria  transitò  per  le  montagne  piacentine  (b)  onde  ridursi  a  Pavia.  Dopo  un 
anno  e  qualclie  mese  usciva  il  privilc^^io  di  Papa  Alessandro  (  Maizo  tl73);  e 
dovrebbe  dirsi  che  gli  avanzi  (l«>ir  ullimo  esercito  imperiale  fossero  rimasti  a 
guarnire  Pavia  e  che  vi  durassero  anci>ra. 

Ne  del  resto  pare  mancasse  poi  il  caso  dì  soccoi*si  chiesti  dal  partito  im- 
periale toscano  nell'alta  Italia.  Infatti,  correndo  il  fl71,  i  Genovesi  rivali  dei 
Pisani  accolsero  con  R«an  piacere  la  notizia  dei  cambiamenti  avvenuti  in  Pisa  , 
(cambiamenti  favorevoli  a  Papa  Alessandro  ed  alle  libertà  ilaliche,  da  me  già 
narrali)  siccome  quella  ch<*  porse  |:>ro  il  destro  di  combinare  col  Conte  Guido 
Guerra,  con  Siena  e  con  Pistoia,  un*  azione  comune  contro  Pisa  infedele  ali*  Im- 
peralore,  ed  è  scritto  che  anche  si  mandò  chiedendo  soccorsi  in  Lombardia,  (e) 
Sarebbe  quindi  naturai  cosa  il  supporre  che  gli  imperiali  toscani  non  trascu- 
rassero in  tal  caso  di  chiamar  quelli  di  loro  che  erano  iti  con  Federico  in  Pavia: 
certo  è  poi  che  i  soccorsi  domandati  non  giunsero. 

Gli  ordini  di  Alessandro  e  dei  Rettori  sarebbero  stati  adunque  anche  in  tal 
caso  rìRorosamcnte  osnervati  da  Parma  e  da  Bologna ,  le  due  città  comandale 
di  preferenza  a  mantenere  il  blocco  di  Toscana. 

(a)  Annaiet  Vincentii  Pratjen*f$  -  Perfs,  fom,  XVII. 

(b)  Cronica  piacentina  —  il  67  —  Cum  iHi$  qui  supervixerunt  per  T^ciam, 
et  montaneag  Piacentine  Papiam  accessit. 

(ci  Chronica  varia  pisana,  presso  Muratori,  ftertim  It,  Tom»  VI. 


DI   ROMAGNA   E  TOSCANA   ECG  *.  551 

mi  dì  strada  Clodia  o  Francesca  o  Romea  e  dominata 
dal  castello  antichissimo  di  Grondola  tenuto  da  Obizzo 
Malaspina;  la  quale  dopo  di  aver  superato  V  apennino 
a  una  altezza  di  braccia  1785  sul  livello  del  mare  ra- 
sentando Monte  Molinatico  calava  verso  Parma  (1). 

Deir  altra  via  troviamo  indizio  sicuro  in  un  atto  del 
1«S  dicembre  1040,  citato  da  Matteo  Villani  nella  sua 
Cronica  quando  narra  del  come  nel  1358,  nella  circo- 
stanza di  un  pericolo  di  invasione  per  parte  delle  bande 
di  ventura,  volendosi  dalla  Repubblica  Fiorentina  assi- 
curare con  bastite  il  passo  delle  alpi,  si  richiamarono 
antichi  documenti  per  definire  il  confine  tra  i  territori 
di  Fiorenza  e  di  Bologna. 

Yenendo  da  Galliano  in  Val  di  Mugello  passava 
sotto  il  Monte  di  Fò  per  un'  antica  contea  che  un  Gu- 
glielmo di  Tx)ttieri  e  madonna  Adalasia  sua  moglie  do- 
narono coir  atto  succitato  (13  die.  1040)  alla  antichis- 
sima badìa  di  Settimo  perchè  i  monaci  colassù  fondassero 
un  ospitale  a  ricovero  dei  viandanti.  Così  avvenne  che 
quel  varco  prendesse  il  nome  di  passo  dello  Stale, 
(Spitale)  nome  che  dura  tuttavia  (2). 

Superata  la  cresta  dell' apennino  essa  scendeva  con 
diverse  ramificazioni  per  la  valle  del  Santerno,  dell' Idice 
e  del  Sapena.  Pietramala  trovavasi  sopra  una  di  que- 
ste stradicciuole ,  come  dicevansi  a'  tempi  del  Villani. 
La  terra  di  Scaregalaseno  esisteva  fin  dai  primi   tempi 


(I)  RirtTTi  EMà?it'iLi.  Diz,  Geogr.  Fiiico  Storico  della  TbteaiM.*  agli  ar- 
ticoli Pontremoli,  Cim,  Grondola, 

(S)  RiriTTi  Emanuili.  Diz.  geogr.  di  Tbicana.  Vedi  %\ì  arliooli  fWfa, 
Stali.  —  Cronica  di  Mattio  Villani  Lib.  II.  cap.  XCV. 


o82  LK   COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

del  secolo  XIII  su  quella  che  calava  per  la  china  della 
Sapena  direttamente  a  Bologna  per  Lojano ,  Pianoro , 
San  Ruffillo  luoghi  tutti  antichissimi:  e  il  Comune  te- 
neva fino  allora  in  Scaregalaseno  un  podestà,  un  giu- 
dice, un  notaio  con  una  giurisdizione,  la  quale  negli 
statuti  bolognesi  del  1250  veniva  estesa  a  tutta  la  mon- 
tagna fra  Savena  e  Sillaro  (1). 

Tutte  le  altre  strade  scendenti  dallo  Stale  e  dal 
colle  di  Fò  fluivano  necessariamente,  lunghesso  i  torrenti 
sopraindicati ,  alla  via  Emilia  tra  Bologna  ed  Imola:  il 
castello  di  Pizzocalvo  chiudendo  lo  sbocco  a  quella  scesa 
per  la  Zena,  Castel  de  Britti  a  quella  dell'Idice. 

Al  principio  del  secolo  XIV  la  superiorità  rimase 
alla  strada  del  Santerno;  quando,  cioè,  il  Comune  di  Fi- 
renze ebbe  costruito  Scarperia  sul  versante  occidentale, 
e  Fiorenzuola  sulla  china  orientale  dello  alpi  che  la 
guardassero  dalle  infestazioni  dei  conti  Ubaldini  signori 
dell' apennino  e  nemici  perpetui  di  Firenze  e  di  Bo- 
logna (2). 

Ma  nel  1360  i  Fiorentini  battevano  ancora  la  via 
di  Scaregalaseno  e  della  Sapena ,  allorché  vettovaglia- 
vano da  fidi  alleati  Bologna  stremata  e  chiusa  dalle 
forae  di  Bernabò  Visconti  (3). 

È  traccia  eziandio  di  un'  altra  antichissima  mulat- 
tiera che  da  porta  Castiglione   gittavasi  pei  colli  e  pei 

(1)  Dei  HoDumenti  istorici  pertinenlì  alla  prov.  di  Romaxna.  Sem  I.  Sta- 
tuii Tom.  IH.  —  Statuti  di  Bologna  dall'  anno  1349  alt*  anno  1Ì67  ecc. 
(sotto  slampa). 

(2)  RapBTTi  Di2.  Geog,  Stor,  di  Totcana:  vedi  Fiorenzuola.  —  Cronica 
dì  GioT.  Villani,  lib.  8  e.  8G  —  lib.  10  e.  2')5. 

(3)  Cronica  di  SIattsi»  Vilumi  lib.   10  r.  .M). 


DI   ROMAGNA    £   TOSCANA   RCC  :  553 

monti  fino  a  Castiglione  delle  alpi  che  fu  poi  dei  Pe- 
poli,  e  che,  traghettando  in  valle  di  Beno,  passava  sotto 
il  castello  della  Sambuca  e  quindi  nel  Pistoiese  (1). 

Ninno  poi  di  codesti  varchi  è  segnato  nelle  pre- 
ziose tabule  itinerane,  che  ci  restano  dell'epoca  romana 
di  Teodosio  (2),  e  non  se  ne  trova  indizio  nelle  co- 
smografie vetustissime  dell'  anonimo  Ravennate  e  nelle 
cose  geografiche  di  Guido ,  ora  edite  dal  Pinder  a 
Berlino  (3). 

Laonde  la  loro  origine  deve  ripetersi  unicamente 
dal  sentiero  meno  impraticabile.  Però  la  viabilità  di 
questi  papi  rosta  determinata  dal  fatto  che  in  meno 
di  due  giorni  di  marcia  con  cavalli  e  fanti  e  salmerìe 
si  passava  da  Bologna  in  Toscana  (4). 

Chiaro  h  dopo  quest'  accenno  topografico  il  senso 
degli  ordini  di  Papa  Alessandro,  e  il  modo  con  cui  po- 
teva venir  praticato  mercè  la  vigilanza  dei  Comuni  di 
Parma  e  di  Bologna  il  blocco  militare,  politico  e  com- 
merciale contro  Toscana. 

Chiudendo  ogni  via  sopratutto  a  quel  commercio 
per  cui  già  fiorivano  le  città  toscane  e  che  già  biso- 
gnava di  sfogo  e  di  facili  scambi ,  si  ponevano  nelle 
mani  della  Lega  o  una  risorsa  impensata  e  terribile 
contro  i  nemici  ostinati  ed  un  argomento  atto  a  deci- 
dere in  suo  favore  gli  oscillanti. 

Quanto  a  Pisa  vedemmo  come  appunto  nel  1170 
dessa  si  staccasse  apertamente  dall'  Imperatore  Federico. 

(i)  Cronica  di  Matteo  VitiA?ii  lih.  i  rap.  5. 
(S)  Tabula  itineraria  Pentingeriana  Soci.  IV. 

(3;  Ravennalis   anonimi  et   Guidonis   GeograpUica  :  ex  librìi  mana  acrìpti* 
edideranC  U.  Pinder  et  Paribcas  —  Bcroltni.  In  aedibus  Friderirì  Nìcolav  IffoO 
(i)  Matteo  Villici  :  Cranica  tib.  3  cap.  5. 


554  LE   COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

L'arrivo  in  Italia  del  Cancelliere  Cristiano,  le  ac- 
coglienze festose  fattegli  dai  Genovesi  allora  ostili  alla 
Lega  Lombarda^  il  convegno  degli  imperiali  a  San  Gi- 
nesio,  determinarono  i  Rettori  ad  a  ^re  con  prontezza. 
Venne  quindi  tostamente  vietata  ogni  introduzione  di 
grano  nella  Liguria,  come  indizio  di  più  gravi  rappre- 
saglie. 

Del  rimanente  ben  magra  fortuna  toccò  al  Cancel- 
liere nella  guerra  bandita  a  San  Ginesio  contro  Pisa, 
Stavano  con  lui  i  Genovesi  ed  i  Lucchesi  (1)  nonché 
Pistoia;  il  cui  capitolo  cattedrale  si  era  dato  in  balìa 
ai  legati  imperiali  fino  dal  1165  (2),  e  Sarzana  i  cit- 
tadini della  quale,  in  premio  di  lor  sincerissima  fe- 
deltà, ottenuto  avevano  da  Federico  recenti  e  larghis- 
simi favori  (3).  Pisa  riceveva  soccorsi  da  Firenze  (4)  e 
molto  probabilmente,  secondo  a  che  ne  correa  sospetto 
a  Genova,  anche  dalla  stessa  Lega  Lombarda  (5).  Si- 
mulando da  prima  idee  concilianti.  Cristiano  invitò 
a  sé  i  legati  di  Pisa  e  di  Firenze.  Avutili  ^  propose 
loro  patti  ignominiosi,  e  perchè  rifiutarono  di  accettarli, 
imprigionati  consegnavali  ai  Lucchesi. 

Ma  i  Pisani  accorsero  sul  luogo  con  forze  prepon- 
deranti ,  sicché  il  Cancelliere  inseguito  dalla    cavallerìa 

(')  Teonci.  Ann.  Pisani  pag.   13t. 

(S)  FicHift.  Op.  cìL  p»g.  182  Doc.  n.  UO  Cristiano  (  ottobre  1165)  da  S. 
Ginesio  riceve  in  proteiionc  «  eanonieam  Sancii  Zenomi»  in  Pitioia  m  Dal- 
l' Arch.  Catted.  di  Pistoia. 

(3)  FiCHia.  Op.  ctl.  pag.  175  «  Privilegio  di  F<'derìco  I  àg\i  abitanti  del  Borgo 
di  Sarxana:  li  scioglie  da  ogni  pedaggio  sul  lido  di  Luni  e  nella  Migra,  concede 
loro  il  diritto  di  pubblico  mercato  al  Sabato.  Dato  a  Lodi,  3  Not.  1163. 

(i)  TftoNCi.  Ann.  Pisani  p  *g.  133 

(S)  CArrARO  Am*.  Itaiie  Script,  toro.  VI. 


Dì    ROMAGNA    R   TOSCANA    ECC  :  555 

di  Pisa  e  di  Firenze  a  mala  pena  potè  rifugiarsi  in 
Lucca.  Poco  dopo  a  Ponsampieri  nuova  zuffa  e  nuova 
sconfltta  dei  collegati  imperiali  (1). 

Alla  perfine  disperando  di  ogni  ulteriore  tentativo 
a  danno  di  Pisa  (2) ,  il  Cancelliere  Cristiano  co'  suoi 
Brabantini  scende  da  Lucca  e  passa  in  Romagna,  dove 
piìi  compatto  e  più  potente  era  pur  sempre  il  partito 
imperiale,  coli'  animo  di  gittarsi  in  un'  impresa  contro 
Ancona,  agguerrire  in  cotal  guisa  1'  esercito  e  trovarsi 
poi  meglio  alla  portata  di  risalire  verso  la  Lombardia  ad 
accerchiare  la  Lega,  alla  nuova  calata  dell'  Imperatore. 


IV. 


Valicato  r  apennino ,  Cristiano  pensò  trarre  pro- 
fìtto dal  suo  inaspettato  arrivo  in  Romagna,  sorpren- 
dendo improvvisamente  Bologna. 

I  nostri  cronisti  tacciono  concordemente  intorno  a 
questo  micidiale  colpo  di  mano.  Ne  parla  soltanto  il 
monaco  tedesco,  autore  degli  Annales  Stadenses,  asse- 
gnandogli la  data  del  settembre  1172.  Egli  si  fonda 
in  riferirlo,  sulla  fede  di  un  Enrico  Scolastico  a  Brema, 
il  quale  servendo  come  notaio  allo  stesso  Cristiano  ne 
fu  testimonio  occulare. 

Dalle  parole  del  cronista  tedesco,  la  scaramuccia  che 
sì  improvvisò  fuori  di  Bologna  fra  i  cavalieri  del  Bra- 
bante  ed  un  nerbo  di  cittadini,  ha  a  giudicarsi  piutto- 


(t)  Teonci.  Pag.  139,  133. 
(«)  Ivi. 


556  LE   COSPIRAZIONI    IMPKBIALI 

sto  un  macello  di  gente  colta  all'  improvviso  ,*  di  quello 
che  una  vera  lotta.  Nove  ne  atterrò  sul  campo  colla 
sua  elava  Cristiano,  ed  a  ventotto  dei  più  distinti,  ri- 
inastigli  in  mano,  fè  sfracellare  con  sassi  le  mascelle  (1). 

Dietro  i  fuggiaschi  rientrati  si  chiusero  le  porte ,  e 
r  Arcivescovo  di  Magonza  incalzandoli  fin  sotto  le  mura, 
dagli  arcioni  su  cui  levava  la  persona,  lanciava  ai  bo- 
lognesi parole  di  scherno  e  di  insulto  (2).  Ail' indomani 
poi  in  un  tempio  poco  discosto  dalla  sbigottita  città, 
Cristiano,  indossati  gli  abiti  pontificali ,  con  sagrilega 
profanazione  celebrava  solennemente  gli  uffici  divini  (3), 
assistendovi  i  suoi  trecento  brabantini,  ed  un'accozza- 
glia di  frati  e  monache  scismastici  cui  traeva  sempre 
seco  unitamente  ad  una  filza  di  muli  carichi  di  belle 
donne  e  di  ogni  sorta  di  ricchezze.  Portavano  maggior 
tesoro  i  muli  di  questo  Cristiano  ;  cui  l'antipapa  Pa- 
ci) Annales  Siadenset.  —  presso  Perd.  Tom.  XIV. 
(%)  Ivi. 

(3)  La  ^aaliflca  di  ^eolaUieus  Brementit  data  negli  Annalei  Siadentei  a 
queir  Enrico  che  fu  testimonio  di  questi  fatti,  spiega  la  minuta  annotazione  che 
vi  si  legge  di  questa  strana  solennità.  «  Astabanl  ad  soltt^mpnia  300  milites, 
omnes  monachi  apostatai  et  fere  tot  moniales  ejusdem  seclae  et  pracclare  can- 
tabant:  Gaudeamus  omnes  in  £>.  /.  C.  iti  honore  Teheorum  martirum.  Spi- 
ttola:  Sancii  per  fidem.  Gratia:  Gloriotus  Deui.  Versus:  Dexiera  tua  Domine, 
Alleluia:  Kox  exu/fafionis.  Sequentia.  A^one  Evangelium:  Cum  audieritii  praelia 
etc.  Post:  ita  Mi$$a  at,  m 

lofatti  r  Enrico  testimonio  relatore,  essendo  ricordato  come  v  scolastico  > 
della  Diocesi  di  Brema  ^  cioè  quegli  che  nel  secolo  duodecimo  dispensava  pel 
Vescovo  la  Iteentiam  doeendi  ^  doveva  conforme  alta  pratica  di  quei  tempi 
e^ere  anche  il  capo  dal  coro  (cbàntre)  nella  cattedrale  di  Brema.  Non  è  a  me* 
ravigliare  quindi  se  gli  potè  sembrare  interessante  il  tener  nota  di  un  esecu- 
zione corale  italiana  che  trovò  chiarissima.  E  par  ni  che  tale  minuzia  divenga 
preziosa  come  quella  che  di  un  fondamento  caratteristico  di  verosimislianza 
a  tutto  il  racconto  degli  annali  Stadensi  relativo  a  questa  comparsa  di  Cristiano 
nel  settembre  1173  «otto  Bologna,  di  cui  tacciono  le  altre  cronache. 


DI    ROMAGNA    E   TOSCANA   ECC  :  557 

squale  soleva  salutare  christianissimum  Christianum , 
di  quello  che  tutto  il  seguito  di  Federico  Barbarossa: 
esclama  il  medesimo  autore  degli  Annales  Stadenses. 

Pochi  giorni  dopo  un  denso  polverìo  lungo  la  via 
Emilia  annunziava  che  i  cavalli  del  Brabante  ritoma- 
vano  in  Romagna. 

Ma  il  Magontino  traeva  seco  in  ostaggio  i  prigio- 
nieri (1). 

Il  primo  di  aprile  dell'anno  1173  Cristiano  com- 
pariva dinanzi  ad  Ancona  (2)  con  un  esercito  composto 
principalmente  di  romagnoli  e  toscani  (3),  ad  ingrossare 
il  quale  egli  invitava  quanti  erano  nelle  Marche  e  nelle 
Puglie  invidiosi  della  prosperità  di  Ancona,  promettendo 
a  tutti  parte  dell'  estremo  bottino  (4). 

Tra  gli  apparecchi  di  questa  spedizione ,  Cristiano 
avea  posto  particolar  cura  a  procurarsi  la  cooperazione 
del  naviglio  di  Venezia,  cosa  che  gli  riuscì  agevole, 
essendo  ardentissimo  nella  Repubblica  delle  Lagune  il 
desiderio  di  prendere  rivincita  sopra  V  Imperatore  Co- 
mneno  che  i  Veneziani  cacciati  avea  da  Costantinopoli 
siccome  perturbatori  dell'ordine  pubblico,  e  contro  del 
quale  però  con  varia  fortuna  tenean  guerra  accesa  fino 
dal   1171   (5). 

(0  Annalrs  SladfnsfS. 

(9)  r.hronica  varia  pisana.  Muatr.  Rer,  Itat»  T»m.  VI. 

(3)  n«*  obsidione  Anconao.  Libt*r  m-Aitislri  Boncompagni.  MuaàT>iai  Rer.  I9ùl, 
Script.  Tom.  VI. 

{iì  Ivi. 

(5)  Li  BtAU.  Storia  dei  Ba»$o  imparo.  Libro  IO.  Tra  g\\  •ddebili  falli  dagli 
iloru'i  gr^'Ci  quasi  ronlcmporanci,  ai  V^noziani  d*  allora,  »i  Irova  avcr^  1  Vrne> 
zi'ini  tl«*tsi  perlagioni  di  pi>tito  piliiico  malmenali)  d*  assai  i  Lombardi  retldmli 
a  Bisanzio.  Ne  sacch«*cgi.irono  i  magazzini,  e  m*  dislrusicro  le  case.  Quindi  per 
giusliiia  e  perche  aveva  caro  il  ni'>vim**n(o  lombardo  nmlro  Federico,  Coroncno 
cond4iiaava  i  Veni*ziani  alla  Intera  rifjzione  dei  d^nni.  E  b^n**  ricordare  c^me  te 
lode  lombarde  avessero  t.ile  aco  nelle  colonie  lontane. 


558  LE   COSPIRAZIONI    IMPElllALI 

Dìffatti:  non  molto  dopo  l'arrivo  di  Cristiano  ap- 
parivano in  alto  mare  le  vele  di  Venezia  e  stringevansi 
a  chiudere  vigorosamente  la  bocca  del  porto.  Un  primo 
assalto  fu  respinto  vittoriosamente  dai  cittadini  (1)  e 
dalle  scarsissime  truppe  che  avea  in  Ancona  V  Impera- 
tore Comneno  (2).  Indarno  si  poggiarono  le  scale,  in- 
darno le  galere  Veneziane  tentarono  V  approdo  della 
spiaggia.  Gli  assediati  uscivan  anzi  dal  vallo  e  ricac- 
ciavan  fin  oltre  le  sue  macchine  balestriere  il  nemico 
assalitore  (3).  Incredibili  atti  di  eroismo  vide  quella 
memorabile  giornata.  Una  donna  per  nome  Stamura 
stette  lungamente  impavida  sotto  la  furia  delle  freccie, 
finché  non  ebbe  appiccato  il  fuoco  all'intonaco  resinoso 
delle  macchine  d'  assedio  :  un  canonico ,  certo  prete 
Giovanni,  colse  propizio  momento  di  mare  agitato  per 
lanciarsi  a  nuoto  con  una  scure,  guizzare  come  un  del- 
fino fra  le  navi  Veneziane,  rompere  i  canapi  delle  àn- 
core e  tornarsene  impavido  mentre  la  bufera  conquas- 
sava r  un  contro  l'altro  i  navigli  assedianti,  di  tal  guisa 
lasciati  alla  balìa  delle  onde  che  dieci  ne  gittava  in 
secco  sullie  arene  del  porto. 

Ma  la  fame,  che  già  prima  di  questa  gloriosa  gior- 
nata desolava  la  popolazione  anconitana ,  trovò  ben  fu- 
gace ristoro  nelle  scarse  vettovaglie  rinvenute  sulle  navi 
veneziane  e  nei  cavalli  tolti  all'  oste  di  Cristiano:  per 
cui  dopo  alcun  tempo  inviavano  legati  al  campo  del 
Cancelliere  esibendo  una  somma  enorme  come  prezzo  a 

(1)  De  obsid.  Anconae.   Uni.  Toro.  VI. 

(2)  Li  Bbau.  Storia  del  Btuso  impero. 

(3)  De  obsìd.  Anooae  Mm.  Tom.  VI. 


.A 


DI    ROMAGNA    E    TOSCANA    ECG  :  559 

ricattarsi  dal  bando.  Se  non  che  il  Magontino  rifiutava 
sdegnosamente  ogni  via  di  accordo,  rispondendo  che  egli 
sarebbe  da  porre  tra  i  pazzi  qualora  alla  vigilia  di  aver 
tutto  nelle  mani,  si  accontentasse  di  una  porzione  per 
quanto  rispettabile,  e  concludeva  voler  esso  la  resa  della 
città  a  discrezione  o  la  guerra.  Riferivano  i  legati  al 
patrio  Consiglio,  V  arrogante  risposta  del  Cancelliere; 
e  nella  dura  alternativa  deliberavasi  intanto  una  verifica 
dei  viveri  tuttora  esistenti  in  città.  Furono  infatti  mi- 
nutamente  frugate  da  una  apposita  deputazione  le  celle 
più  riposte  delle  case ,  dei  conventi ,  e  delle  chiese:  e 
sopra  una  popolazione  di  12  mila  abitanti  non  rinven- 
nero che  due  moggia  di  grano  e  tre  annone. 

Riconvocato  il  consiglio  plenario  dei  cittadini ,  ap- 
parve generale  la  disperazione  non  appena  fu  noto  il 
desolante  risultato  doli'  inchiesta;  e  il  partito  di  affidarsi 
alla  generosità  del  nemico  facevasi  larga  strada  tra  quella 
moltitudine  più  d'ombre  che  di  uomini:  quando  un  vec- 
chio sorgendo,  cieco  degli  occhi  e  in  sul  centesimo  anno 
di  età,  e  presa  la  parola,  scongiurava  i  concittadini  con 
magnanimi  detti  a  resistere  ancora,  a  non  fidarsi  giammai 
al  tedesco,  a  gittar  piuttosto  i  tesori  in  fondo  al  mare  di 
quello  che  vendere  la  patria  a  stranieri  senza  legge  e 
senza  cuore:  però,  concludendo,  proponeva  piuttosto  che, 
durando  ancora  fermi  in  queir  agonia  si  mandassero 
legati  in  cerca  di  soccorso. 

L'  udienza  ascoltava  con  religioso  silenzio  le  parole 
i\o]  ciinuto  vegliardo ,  stato  già  testimonio  deir  assedio 
posto  indarno  dair  Imperatore  Lotario,  e  alla  fine  acco- 
glieva il  partito  proposto. 


560  LK   COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

L*  indomani  tre  audaci  cittadini  montati  sopra  uno 
schifo,  scivolavano  all'aperto  deludendo  la  vigilanza  delle 
scolte  veneziane  o  comprandone  forse  il  silenzio  coli'  oro, 
e  felicemente  toccata  terra  verso  il  Po,  presentavansi  a 
Guglielmo  della  Marchesella  in  Ferrara  che  li  accoglieva 
a  gran  fevore,  e,  promesso  di  accorrere  in  soccorso  di 
Ancona,  li  confortava  nel  proposito  di  recarsi  al  Castello 
dei  Conti  di  Bertinoro,  aperti  sostenitori  di  Papa  Ales- 
sandro e  della  Lega  Lombarda,  dove  per  la  morte  recen- 
tissima del  conte  Ranieri  reggeva  il  dominio  e  teneva 
tutela  dell'  unica  figlioletta,  Aldr.ida  dei  Frangipani  gio- 
vane donna  e  bella,  di  pio  e  generoso  sentire. 

Lo  straziante  racconto  dei  gravi  mali  già  sofferti  dagli 
Anconitani  e  de'  peggiori  che  loro  soprastavano ,  com- 
mosse siffattamente  il  cuore  della  nobil  donna  che  tan- 
tosto ordinava  a  tutti  gli  uomini  della  contea  di  prender 
le  armi  e  di  tenersi  pronti  alla  partenza  :  anzi  deliberava 
di  por  sé  medesima  alla  testa  de'  suoi  fedeli. . 

Da  parte  sua  Guglielmo,  pieno  di  santo  entusiasmo 
tutto  si  consacrava  a  raccogliere  armi  ed  armati.  Impe- 
gnata ogni  sua  sostanza  mandava  attorno  nei  territori  di 
Ferrara,  Bologna  ed  oltre  Po  in  Lombardia  assoldando 
milizie  ed  invitando  i  giovani  che  egli  stesso  addestrava 
al  maneggio  delle  armi,  finché  venne  presto  il  momento 
di  porsi  in  marcia  per  congiungersi  alle  genti  di  Aldruda 
e  calare  a  forze  ruinite  verso  Ancona. 

Ma  gravissime  difficoltà  ostavano  al  pasaggio  in  Ro- 
magna delle  truppe  di  Guglielmo.  Giunto  egli  infatti 
presso  Ravenna,  ivi  trovava  in  armi  gli  imperiali  coman- 
dati da  Pietro  Traversari  nobile  cittadino  ravennate,  colà 


DI   ROMAGNA   E  TOSCANA   ECC.  561 

postosi  air  intendimento  di  impedire  la  marcia  di  Gugliel- 
mo e  dei  Lombardi  verso  Ancona.  Fu  quindi  mestieri  ri- 
correre ad  uno  spediente,  ed  i  rapporti  di  parentela  che 
legavano  le  due  famiglie  Traversari  e  Marcbesella,  ne  fa- 
vorirono forse  il  buon  esito.  Guglielmo  abboccatosi  col 
Traversari  e,  perorata  indamo  la  giustizia  della  causa 
che  lo  traeva  in  soccorso  di  Ancona,  proponeva  al  suo 
congiunto  di  rimandare  ambedue  gli  eserciti  e  proseguire 
soli  fino  alla  città  assediata  per  veder  modo  di  interporsi 
come  pacieri  ed  amichevolmente  por  fine  alle  crudelissime 
angustie  dei  miseri  rinchiusi  minacciati  di  esterminio. 

Traversari  credè  non  poter  rigettare  V  umano  partito 
propostogli.  Licenziò  i  suoi  partigiani  e  con  Guglielmo  si 
avviò  verso  Ancona.  Ma  il  Ferrarese  prima  di  partire 
aveva  detto  a'  suoi  soldati:  **  promisi  a  Traversari  di  li- 
cenziare r  esercito  e  vi  licenzio.  Pensate  or  voi  se  io  abbia 
potere  di  sciogliervi  dal  giuramento  che  faceste,  e  risol- 
vete secondo  giustizia.  ^  Adelardo  fratello  di  Gugliel- 
mo ed  i  soldati  non  tardarono  a  comprendere  il  senso 
vero  delle  parole  pronunciate  con  animo  commosso  dal  loro 
capitano.  Rimasero  fermi,  poi  dier  vista  di  retrocedere, 
poi  rivolta  invece  la  fronte  a  grandi  marcie  congiuntisi 
alle  forze  guidate  dalla  Contessa  di  Bertinoro,  traversato 
il  paese  nemico,  raggiungevano  presso  Rimini  Guglielmo 
Marchesella  e  Pietro  Traversari  il  quale,  troppo  tardi  e 
non  senza  vivo  spavento,  conobbe  quali  fermi  propositi 
avesse  nella  propria  milizia  ispirato  il  pio  guerriero,  co- 
gnato suo  ma  avversario  politico. 

Intanto  la  fame  era  divenuta  orribile  noir  assediata 
città,  e  quei  cittadini  lentamente  assaporavano  gli  strazi 

Archiv.  Stor.  March.  V.  I.  36 


562  LE  COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

di  quella  laaga  agonia  che  precede  la  morte  dì  s6DÌTneQto. 
Le  stesse  alghe  marine  più  ributtanti  parean  cibi  preli- 
bati: pur  quegli  spettri  barcoltanti  reggean  sempre  a  di- 
fesa delle  mura,  confortati  dall'eroismo  incredibile  delle 
loro  donne.  Una  di  esse  negava  perfino  al  moribondo  fi- 
glioletto l' ultima  e  stentata  atìlla  di  latte  dal  petto  avTiz- 
zito  per  apporlo  al  labbro  del  rifinito  guerriero  giacente 
lungo  la  via.  E  quel  caldo  umore  destava  un  nuovo  ane- 
lito dì  vita  nel  moribondo  che  trascinatosi  fino  alle  ber- 
tesche rìnscìva  a  gettare  anche  on  sasso  anche  un  dardo 
contro  dell'  inimico  prima  di  ricadere  e  di  spirare. 

Un  di  stando  radunati  in  consiglio  gU  uomini  ecco 
te  mogli,  le  figlie  venir  loro  innanzi,  ed  una  di  esse  a 
nome  delle  altre  uscire  in  questi  memorabili  dotti  con- 
servatici dall'  accurato  maestro  Boncompagnì  :  ■•  poiché 
nuli'  altro  rimane,  cibatevi  delle  nostre  carni  o  gettatici 
in  mare  poiché  riputiamo  minor  male  moi-ire  che  cadere 
in  podestà  di  gente  la  quale  riconosce  unica  legge ,  il 
furore.  „ 

E  l'estremo  gioma  pareva  ai  rinchiusi  ornai  arrivato 
quando  Cristiano ,  avuto  sentore  della  marcia  dei  Lom- 
bardi e  di  Àldmda,  tentò  coli'  inganno  di  finti  messaggi 
introdotti  in  città  sotto  colore  che  pervenissero  dai  le- 
gati di  Ancona,  togliere  ogni  speranza  ai  cittadini 
ed  averli  a  discrezione  prima  che  Guglielmo  e  la  Con- 
tessa di  Bertinoro  sopraggiungessero.  Era  detto  in  fatti 
in  queste  false  lettere  avere  essi,  i  legati,  perduto  V  oro 
che  recavano:  scioltosi  però  un  primo  esercito  raccolto: 
i  Lombardi  temere  troppo  Io  sdegno  imperiale  per  av- 
venturarsi a  tale  impresa  di  soccorso:  la  Contessa  mede- 


DI   ROMAGNA   E   TOSCANA   ECC  :  563 

sima  di  Bertinoro  avere  violata  la  parola  data  prima. 
Ma  era  tardi!  Nel  buio  di  una  notte  dell'Ottobre  1174 
una  miriade  Atta  fitta  di  fuochi  apparve  sui  colli  rivolti 
verso  Ancona^  e  all'  alba  dell'  indomani  scintillavano  le 
armi,  le  auree  croci,  gli  stendardi  dei  confederati  di  Fer- 
rara e  Bertinoro. 

Dall'  alto  dello  scoglio,  in  cui  sorge  il  vecchio  duomo 
di  S.  Ciriaco,  levavansi  festose  le  grida  dei  cittadini  di 
Ancona,  mentre  s)  Guglielmo  che  Aldruda,  ordinate  le 
arringavano  alla  pugna;  ma  Cristiano  levava  il  campo 
ritirandosi  nella  Marca,  ed  i  navigli  veneziani  preso  il 
largo,  sparivano. 

Ancona  era  libera  dopo  diecinove  mesi  di  assedio  (1). 

Tutte  le  memoria  di  questo  assedio  ci  restano  dal 
racconto  fattone  cinquant'  anni  dopo  da  Beno  Boncom- 
pagni.  Sarebbe  troppo  acc>ordare  a  questo  libro  il  valore 
di  una  cronaca,  dove  1'  autore  sia  stato  testimonio  dei 
fatti  che  narra  e  li  abbia  annotati  in  giornata.  Il  gusto 
stesso  con  cui  scrivo  il  Boncompagni,  la  forma  artistica 
che  vi  hanno  le  narrazioni  rivelano  in  lui  un  uomo  che 
si  ispira  e  colorisca,  benché  sobriamente,  di  epico  i  fatti 
dell'  assedio  anconitano  :  ci  è  già  il  retore  e  lo  storico 
non  più  il  cronista  steox^hito  e  freddo  che  dà  importanza 
solo  al  millesimo,  non  si  permette  una  critica,  tratta  gli 
eroi  con  nome  e  paternità  senza  nimbo  alcuno  di  gloria. 


(I)  Salii  data  di  assegnarsi  a  qaeslo  assedio,  e  salia  saa  dorala,  corrono 
▼arie  e  dispatate  le  opinioni.  Concordando  la  Cronica  varia  pi$ana  che  sotto 
Il  Il7i  (leggi  fl7S)  flua  la  durata  dell'assedio  di  Ancona*  a  Kalendis  aprilis 
osque  ad  mediam  mensem  Octobris  b  cogli  Annali  Sladensl  che  dopo  la  cor- 
rerla nel  cbiudcrsi  del  II7S  fatta  da  Cristiano  sa  Bologna,  dicono  di  lai  «  ivit 
ADC0D8ID  obsidens  illam  fere  per  bieniaro  •  bo  proposto  la  versione  dei  19  mesi 
dal  I  Aprile  II7S  al  15  Ottobre  1174  circa. 


56i  ^  LE  COSPIRAZIONI  IMPERIALI 

Però  è  a  ricordare  come  tutte  le  notìzie  che  si  hanno 
di  questo  Beno  Boncompagni,  rivelino  in  lui  un'  uomo 
degnissimo  di  fede.  Nativo  di  Firenze,  fii  professione  di 
belle  lettere  nella  Università  di  Bologna  sui  primordi  del 
secolo  XìTf:  cioè  in  tempi  in  cui  la  filosofia  razionale  e  la 
dialettica  imperavano  e  davano  severe  leggi  alle  arti.  L^ 
filosofia  domandava  ai  retori,  i  quali  tentavano  la  storia, 
che  fossero  ragionevoli  nell'immaginare  cioè  che  vestissero 
solo  cose  vere  :  la  dialettica  che  fossero  precisi  nella  lo- 
cuzione sicché  lo  studio  del  bello  non  li  portasse  ad  esa- 
gerare i  fatti  colla  ampiezza  delle  frasi. 

In  realtà  le  massime  che  maestro  Boncompagni  pone 
nella  prefazione  e  nella  dedica  del  suo  libro  a  Ugolino 
Croscia  Podestà  di  Ancona,  quali  norme  a  cui  si  atterrà 
scrupolosamente  nel  narrare  i  mirabili  atti  di  valore 
compiutisi  nell'  assedio  anconitano,  sono  massime  infor- 
mate alla  critica  più  esigente.  Egli  assicura  che  narrerà 
solo  fatti  appresi  da  coloro  i  quali  vi  furono  mescolati 
come  testimoni,  o  autori  per  ragione  di  pubblici  uffici: 
non  iscrive  per  isperanza  di  lucro  o  per  leggierezza 
d'  animo;  eviterà  ogni  finzione  poetica  di  cui  ridono  le 
udienze  con  ragione. 

Quando  si  confronti  il  racconto  di  maestro  Boncom- 
pagni con  tanti  altri  lavori  letterari  del  secolo  XTT , 
massime  di  parte  imperiale,  e  sopratutto  coli' ampollosità 
di  Gottofredo  da  Yiterbo  il  quale  canta  le  geste  di  Fe- 
derico, si  vedrà  quanta  considerazione  meriti  anche  nel- 
1'  ordine  storico ,  la  temperanza  geniale  ma  abbastanza 
castigata  con  cui  durava  nei  nostri  studii  pubblici  V  arte 
delle  stesse  lettere  latine. 


Di   ROMAGNA   E   TOSCANA   ECC  *.  565 

Muratori,  posseduto  discretamente  anch' egli  da  quella 
diffidenza  che  Y  enciclopedia  portava  fino  all'  esagerazione, 
non  mancò  di  rinvenire  in  Boncompagni  le  qualità  di 
storico  attendibile:  per  quanto  sia  vero  che  il  libro  -  de 
obsidione  Anconae  -  dia  qua  e  là  una  forma  drammatica 
al  movimento  delle  persone  e  delle  cose  di  cui  narra. 

Bon<!impagni  è  disceso  fino  a  riportare  i  discorsi  dei 
capitani,  i  detti  del  popolo:  la  forma  sarà  fornita  dal  suo 
ingegno  ma  la  sostanza,  il  senso  deve  essere  originale. 
Ci  è  deir  eloquenza ,  ma  anche  Romualdo  Salernitano , 
venuto  a'  paesi  della  Lega  ambasciatore  di  Guglielmo 
Normanno,  fu  meravigliato  nel  riscontrare  in  quei  Con- 
soli ,  in  quei  rettori  e  Capitani  borghesi  di  cosi  facili 
e  facondi  dicitori  in  pubblica  adunanza.      ^ 

E  fra  gli  altri,  ricordati  da  Boncompagni  può  valer 
la  pena  di  tradurre  un  discorso  attribuito  alla  Con- 
tessa di  Bortinoro,  come  detto  sotto  Ancona  alle  sue 
masnade.  Yi  è  un  interesse  storico  pei  £eitti  a  cui  vi  si 
accenna:  è  un  episodio  che  dovè  correre  di  bocca  in 
bocca  in  Italia  a  suoi  tempi,  questo  della  parte  presa  a 
&vore  della  Lega  dalla  contessa  Frangipane;  e  se  non 
altro  può  valere  come  un  saggio  del  lavoro  di  maestro 
Boncompagni. 

Egli  vestiva  così  la  tradizione  delle  parole  di  Aldruda 
quali  a  lui  vennero  ricordate  dai  presenti: 

^  Abbenchè  io  sappia  di  andar  fìiori  delle  costu- 
manze generalmente  tenute  dalle  donne,  ciò  nullameno 
avvalorata  dal  favore  e  dalla  grazia  celeste  mi  son  pro- 
posto di  parlarvi,  confidando  che  sebbene  V  orazione  mia 
non  s' abbellisca  di  leggiadre  parole  o  di  filosofici  ragio- 


i(66  Le  cospirazioni  imperiali 

namentiy  ella  potrà  riuscire  nondimeno  un'  esortazione  a 
voi  fruttuosa,  giacché  soventi  volte  è  accaduto  che  un 
parlar  semplice  fortifica  gli  animi  degli  ascoltanti  mentre 
in  quella  vece  i  discorsi  elaborati  molcono  solo  esterior- 
mente le  orecchie.  Non  mi  ha  qui  condotta  desiderio  di 
dominio  non  ambizione  alcuna  di  temporali  cose,  non 
la  brama  di  beni  d'  altri,  essendoché  dopo  la  %iorte  del 
mio  sposo,  senza  contradizione  alcuna  io  tenga  dominio 
su  tutto  il  contado,  e  talmente  abbondo  di  Castella,  di 
Villaggi,  di  Borgate,  e  di  possessioni  che  neppur  valgo 

m 

a  custodirle.  E  voi  vel  sapete,  il  voler  prendere  cose 
d'  altri  essere  proprio  di  coloro  che  han  meschino  patri- 
monio e  facoltà  non  sufficienti  a  far  loro  menar  la  vita. 
Mi  han  tratto  qua  adunque  un'  affetto  di  commiserazione 
verso  i  cittadini  anconitani  e  le  preghiere  congiunte 
alle  lagrime  di  quelle  Signore ,  le  quali ,  oltre  quanto 
possa  dirsi ,  temono  dover  cadere  in  mano  degli  asse- 
diane; imperocché  i  corpi  loro  soggiacebbero  ad  un  lu- 
dibrio sempiterno,  avvegnaché  quella  turba  riprovevole 
di  rapitori  é  guidata  da  un  cieco  arbitrio  né  la  per- 
dona ad  alcuno  quando  abbia  potere  di  mal£etre.  Dì  qual 
cosa  io  tratti,  voi  tutti  ed  ognuno  di  voi,  il  sa,  laonde 
non  mi  fa  mestieri  spendermi  in  particolari  enumerazioni. 
Per  portare  adunque  soccorso  agli  stremati  dalla  fame, 
a  coloro  che  da  diuturne  battaglie  sono  oppressi  e  posti  in 
ogni  &tica  e  pericolo,  men  venni  io  coli'  unico  mio  figlio 
sebbene  ancor  pupillo,  il  quale  però  rivolgendo  nell'  animo 
l'altezza  del  coraggio  paterno,  di  già  si  è  preso  cura 
di  recar  aiuto  agli  amici.  E  voi  pure  a  questo  medesimo 
scopo  siete  venuti,  o  soldati  di  Lombardia  e  Romagna, 


Dì   ROMAGNA   E  TOSCANA  ECC  :  567 

la  cui  prodezza  in  armi  e  sincerità  di  fede  per  molti 
titoli  hanno  fama.  Imperocché  voi  avete  per  condottiero  e 
capitano  Guglielmo  Marchesella  il  quale  per  solo  senti- 
mento di  liberalità,  per  liberare  cioè  la  città  d*  Ancona, 
ha  dato  in  pegno  tutti  i  possedimenti  suoi  ed  i  beni 
degli  amici  e  dei  fedeli:  per  la  qualcosa  con  quali  laudi 
io  debba  esaltarlo,  non  ben  so,  non  bastando  a  mio 
avviso  una  lingua  di  carne  ad  esprimere  V  intemo  affetto 
di  un  uomo.  E  cosi  senza  dubbio  a  Lui  conveniva  fare, 
perchè  allora  addiviene  taluno  virtuoso  quando  alle  cose 
ed  agli  onori  egli  antepone  la  virtù  dell'  animf>.  Del  resto 
fino  ad  ora  in  ben  difficile  circostanza  avete  levato  grido 
di  voi ,  aprendovi  cioè  un  varco  per  mezzo  ai  nemici. 
Ora  però  è  tempo  di  dar  frutti,  e  di  mettere  in  opera 

le  forze ,   essendo  che  ora  si  presenta  materia  a  virtù 

^  Brandite  le  armi  sin  dal  primo  mattino,  acciocché 
al  nascer  del  sole  mediante  la  vittoria  che  alla  vostra 
prodezza  ha  ìmpromesso  l' Altissimo  vi  sforziate  di  ren- 
dere a  libertà  il  popolo  anconitano.  Pregovi:  la  mia 
esortazione  riesca  a  voi  salutare,  e  la  vista  di  queste 
fortissime  vergini  che  stanno  con  meco,  sia  a  voi  di 
fruttuosa  giocondità,  memori  che  non  pure  per  averle 
viste,  anche  solo  per  un  momentaneo  ricordo  delie  dame, 
sono  soliti  i  cavalieri  scendere  in  volontari  tornei  nei 
quali  a  prova  di  lor  gagliardia  sostengono  crudelissime 
lotte.  Quanto  più  adunque  dovere  lavorare  al  consegui- 
mento della  vittoria  voi  i  quali  per  le  opere  che  &te, 
a  voi  acquistate  rinomanza  e  con  la  rinomanza  la  gra- 
titudine universale  ?  ...  La  vostra  mano  adunque  non 
risparmi  i  ribelli:   le  vostre  spade  si  lavino  nel  sangue 


S68  LE   COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

di  chi  resisterà:  essendoché  non  si  deve  misericordia  a 
coloro  ì  quali  dimenticano  di  perdonare  se  loro  occorra 
occasione  di  far  vendetta.  „ 

Un  mese  dopo  il  colpo  di  mano  tentato  dal  Can- 
celliere Cristiano  sopra  Bologna  nel  settembre  1172  , 
cinque  mesi  prima  dell'  assedio  di  Ancona,  i  rettori  delta 
Lega  eransi  adunati  in  Piacenza  ed  i  Bolognesi  man- 
davano ad  essi  per  aiuto  (1). 

Nel  febbraio  del  successivo  anno  i  Rettori  di  Cre- 
mona, Milano,  Brescia,  Piacenza,  Novara,  Panna,  Ijodi, 
Reggio ,  Modena ,  Bergamo ,  trovandosi  riuniti  in  Lodi 
provvedevano  di  nuovo  a  pubblici  negozi  di  competenza 
della  Lega. 

In  questo  mezzo  giunti  erano  da  Ànagni  Pietro  Ilde- 
brando e  Tudino  cardinali  incaricati  dal  Papa  dì  raf- 
forzare ognor  più  la  concordia.  L'  un  d'  essi  Pietro  Ilde- 
brando Crassi,  era  bolognese  ed  apparteneva  ali'  ordine 
de'  Canonici  Regolari  stabiliti  nella  Chiesa  dì  S.  Maria 
di  Reno  (2)  or  da  gran  tempo  distrutta.  Nominato  Ve- 
scovo di  Bologna  fino  nel  1165,  alla  morte  cioè  di 
Gherardo  egli  vi  aveva  rinunziato  (3):  ma  nel  UT] 
Alessandro  in,  abbisognando  d'  nomini  di  alto  merito, 
creavalo  cardinale  col  titolo  di  S.  Susanna  (4),  né  Crasra 
avea  potuto  rifiutare  la  porpora.  (5)  Giunto  egli  in  Bologna 

(I)  VisNiTi  p.  3SS  Pumiiilli  uwri  *atl  Mlslere  nell' irehiTio  dalU  Btdia 
di  ChltriTalle  diplomi  colla  d«li  ii  ottobre  1173  t<I*Iì*Ì  t  qneito  convsgno. 
mi  finora  dod  fDroDo  rìDTCDull. 

(S]  GhroQici  An(clslli  mi.  Anno  Il7t  —  Siaonio.  De  Eplie.  Boaoii.  «dii. 
d[  FriDcfarl  p:  ISS. 

(3)  Iti. 

[i)  CroDic*  Aogslelli  —  mt.  Addo  1171. 

(S)  Ficlro  IldcbriDdo  Orasti  morì  Del  1 173  e  tu  aepollo  io  S.  Karia  di  Reno. 
SicoN'o.  Hill.  Bon.  Lib.  IV  pag.  7S. 


DI   ROMAGNA   E  TOSCANA   ECC:  560 

fino  dal  1172  e  conferito  coi  nuovi  consoli  eletti  nel 
1173,  cioè  Ospinello  Carbonesi,  Eno  di  Malpiglio,  Pietro 
Quarrino,  Guido  Alberigo,  Errighetto  d'  Ansaldo,  Gui- 
nicello  detto  de'  Principi,  Ramberto  Primadizzo,  e  Guido 
d'  Ansverga  (1) ,  d'  accordo  coli'  altro  legato  convocò 
una  solenne  adunanza  dei  Consoli  delle  città  per  giurare 
e  confermare  i  giuramenti  della  Lega  di  Lombardia, 
Marca  e  Romagna,  la  quale  adunanza  si  raccolse  poi  in 
Modena  il  10  ottobre  1173  datando  già  da  otto  mesi 
1'  assedio  d'  Ancona. 

Nel  Libro  I  dei  Registri  grossi  della  Camera  degli 
Atti  in  Bologna  serbasi  ancora  1'  atto  allora  giurato.  Yi 
si  trova  degno  di  nota  lo  speciale  impegno  preso  in  co- 
mune di  riparare  i  danni  toccati  per  ragioni  di  guerra 
a  Cremona  da  vent'  anni  in  poi. 

Firmarono  in  qualità  di  consoli  e  Rettori  della  Lega 
il  conte  Azzo  per  Brescia,  Albertonio  per  Cremona,  Gian- 
none  Mantegazza  per  Piacenza ,  Rogerìo  Marcellino  da 
Milano,  Maladobato  per  Parma,  Ugrizzo  per  Mantova, 
Ospinello  per  Bologna  e  Septivivo  per  Rimini  momentanear 
mente  in  quel  tomo,  mentre  Cristiano  era  sotto  Ancona, 
rappresentata  nei  consigli  dei  federati  forse  per  un  so- 
pravvento nella  cosa  pubblica  del  partito  lombardo.  La 
riunione  ebbe  luogo  in  casa  dei  cardinali,  i  quali  assieme 
al  Vescovo  di  Reggio  ed  a  parecchi  altri  cittadini  vennero 
segnati  nel  documento  come  presenti  e  testimoni  (2). 

n  rimanente  di  quell'  anno  e  del  successivo  1174, 
cioè  quanto  durò  anche  1'  assedio  di  Ancona  e  mentre 

(I)  StYloli.  Anoo  1173. 

(9)  ArchiY.  No(.  di  Bologna.  Lib.  I  Registro  Grosio. 


570  LB  COSPIRAZIONI   IMPERIALI 

accadevano  Beli'  Italia  centrale  i  fatti  più  sopra  narrati, 
passò  per  le  città  lombarde  in  mezzo  ad  apparecchi  mili- 
tari. Ma  alla  metà  di  settembre  Federico  Barbarossa  va- 
licate le  Alpi,  scendeva  a  Susa  e  la  distruggeva,  asse- 
diava Asti  (1)  ed  in  capo  a  otto  giorni  ottenutala  (avendo 
i  cittadini  per  paura  imposta  la  resa  alle  milizie  milanesi 
e  bresciane  dalla  Lega  già  introdottevi)  (2)  calava  at- 
torno alla  nuova  Alessandria  e  furiosamente  assalivala 
con  gatti,  mangani  e  torri  ma  sempre  indarno  ;  laonde 
per  consiglio  dei  Pavesi,  del  Marchese  di  Monferrato, 
del  Conte  di  Biandrate  e  di  quanti  la  sua  comparsa  ebbe 
tosto  distaccati  dalla  Lega,  la  stringeva  con  regolare  asse- 
dio (3)  non  ostante  che  le  pioggie  autunnali  allagando 
i  campi  promettessero  alle  truppe  assai  disastroso  inverno. 

Grande  esercito  avea  con  se  questa  volta  Federico, 
giunto  essendogli  anche  pochi  di  innanzi  imprendesse 
r  assedio  di  Alessandria,  fortissimo  rinforzo  di  Boemi 
guidati  da  Olderigo  fratello  di  Zobezlav  duca  di  Boe- 
mia (4).  In  pari  tempo  spediva  a  Cristiano  allora  (15 
ottobre  1174)  ritiratosi  da  Ancona  in  Spoleto,  ordini  e 
rinforzi  perchè  marciando  all'  insù  assalisse  tosto  i  Bolo- 
gnesi dai  quali  più  che  dagli  altri  diceva  aver  patito 
gravissime  ingiurie  (5). 

La  bufera  della  guerra  minacciava  dunque  rapida  e 
tremenda  da  due  lati,  e  la  Lega  non  poneva  tempo  in 

(I)  Sire  Raoul,  op.  e  toI.  cU. 
(9)  ChroBìct  placeDlioa,  ci(. 

(3)  Vigoati.  p.  3i9. 

(4)  Annalei   Vine,   Pragentii;  eontinuatio  Ah.  MthvieenHi,  P^ru.  Jfon. 
Germ,  Tom.  XVII. 

(5)  SigoDii  Caroli.  Hislh.  Boo.  Lib.  III. 


DI   ROMAGNA  £   TOSCANA   ECC  :  571 

mezzo  a  provvedere  in  ragione  dell'  estremo  pericolo. 
In  un  convegno  di  cui  si  è  perduta  la  data  di  tempo 
e  luogo  ma  che  senza  dubbio  alcuno  deve  essere  stato 
tenuto  sul  tramontare  del  1174,  i  Rettori  concertavano 
e  giuravano  il  piano  di  difesa. 

Sostenere  ad  oltranza  Alessandria  dove  qual  podestà, 
reggeva  le  cose  militari  Rodolfo  da  Concesa,  uno  dei 
veri  eroi  della  Lega,  fu  il  primo  argomento  discusso  e 
sopra  del  quale  si  convenne  a  maggiore  risolutezza.  In 
secondo  luogo  si  provvedeva  ad  impedire  la  marcia 
di  Cristiano.  Occorreva  però  dividere  in  due  le  forze  e 
la  direzione  della  guerra.  Si  deliberava  che  ogni  città 
pagasse  lire  mille  di  moneta  milanese  per  la  difesa  di 
Alessandria  più  210  lire  al  podestà  Rodolfo  di  Concesa: 
mandasse  le  taglie  destinate  al  campo  di  Alessandria  a 
seconda  degli  ordini  che  darebbero  i  Rettori  di  Milano, 
Piacenza ,  Brescia ,  Yerona ,  ed  altre  milizie  contro  i 
nemici  che  minacciavano  Bologna  e  i  Lombardi  di  verso 
Toscana  e  Romagna,  secondo  quanto  avrebbero  ordinato 
i  Rettori  di  Cremona,  Bologna,  Mantova  e  Panna.  Di- 
scendendo poi  a  maggiori  particolari  si  decretava  che 
le  città  più  vicine  al  nemico  mettessero  in  piedi  di  guerra 
r  esercito  di  cavalli  e  fanti ,  impedissero  le  scorrerie  e 
devastazioni  dell'  imperatore  e  del  cancelliere  nei  loro 
terrìtorii,  facendosi  all'uopo  prestar  soccorso  anche  dalle 
altre  città  collegate.  Per  le  città  meno  prossime  al  nemico 
stabilivasi  dovessero  chiamar  le  mUizie  il  primo  lunedì 
di  quaresima  e  fattele  giurare  nell'  arrengo,  otto  giorni 
dopo  le  inviassero  verso  il  luogo  di  riunione.  Per  gli 
eserciti  destinati  ad  operare  verso  Alessandria  dichiara- 


572  LE  COSPllìAZIONI   IMPERIALI 

vasi  che  le  città  dovevano  fornire  cavalli  e  fanti,  e  che 
dalla  campagna  si  levasse  soltanto  cavallerìa. 

A  Bologna,  cui  spettava  il  gravissimo  compito  della 
maggiore  resistenza  a  Cristiano,  non  si  fece  obbligo  per 
Alessandria  che  di  50  arcieri. 

L' atto  0  la  porzione  di  esso  che  ci  rimane ,  deter- 
mina eziandio  il  modo  con  cui  nei  due  consigli  militari 
di  Rettori  stabiliti  in  permanenza  per  la  duplice  fronte 
che  presentava  la  difesa,  avessero  a  prendersi  le  riso- 
luzioni in  caso  di  viste  discordi:  a  maggioranza  di  voti 
sarebbersi  vinti  i  partiti  (1). 

Dall'atto  non  risulta,  ma  il  racconto  dei  fatti  me- 
desimi mette  in  rilievo  che  Bologna  vi  si  impegnò  ge- 
nerosamente a  pagare  del  proprio  peculio  le  taglie  lom- 
barde che  servito  avrebbero  contro  Cristiano. 

Disciolta  questa  ragunanza  si  passava  alle  opere. 

Parve  ai  Consoli  di  Bologna  saggio  consiglio  ristorare 
il  castello  di  S.  Cassiano,  da  essi  distrutto  nel  1170, 
affine  di  imporre  una  prima  sosta  alla  marcia  di  Cri* 
stiano,  costringerlo  ad  un  assedio,  sopraggiungere  quindi 
unitamente  ai  confederati  lombardi  ed  ivi  dargli  battaglia. 
Di  tal  guisa  sarebbe  bastato  alla  Lega  il  tempo  per  racco- 
gliere gli  eserciti  lombardi ,  affrontar  Federico  presso 
Alessandria  e  tentar  la  sorte  delle  armi  prima  che  gli 
eserciti  dei  collegati  imperiali  di  Romagna  e  di  Toscana 
condotti  dal  Cancelliere  avessero  potuto  raggiungere  Y  e- 
sercito  tedesco. 

E  il  piano  riusciva  a  meraviglia. 

(f)  SavioU  —  Annali  di  Bologna  —  Voi.  II.  pari.  II.  Appendice  de*  Mo- 
namenti  —  pag.  i6,  N.  CGXVII. 


DI    ROMAGNA  E  TOSCANA  ECC.  573 

Sulla  fine  di  gennaio  del  1175  il  castello  di  S.  Gas- 
siano  era  già  ricostruito ,  e  il  6  febbraio  vi  entravano 
trecento  dei  migliori  cavalieri  di  Bologna,  duce  il  con- 
sole Prendiparte  de'  Prendiparte  (1).  Fu  in  buon  punto: 
airindomani  (7  febbrajo)  Cristiano  risalendo  dalla  marca 
di  Spoleto  giungeva  sotto  il  castello  con  un  forte  esercito. 
Erano  con  lui  i  Faentini,  i  Cesenati,  i  Forlivesi,  i  Ri- 
minesi,  gli  Imolesi,  i  conti  Guido  Guerra  coi  cavalieri 
toscani,  e  i  conti  Malvicino  e  di  Montefeltro;  tutte  le  forze 
cioè  della  Lega  Imperiale  di  Toscana  e  Romagna  (2). 

Cristiano  era  in  voce  di  guerriero  talmente  formida- 
bile contro  cui  riuscisse  vana  ogni  resistenza  (3).  Que- 
sta volta  poi  al  valor  suo  e  de'  suoi  cavalieri  brabantini 
aggiungevasi  eziandio  il  gran  numero  di  truppe  che  egli 
guidava  e  gli  ordini  perentorii  che  pare  ricevuto  avesse 
da  Federico  di  forzare  i  passi  e  salire  in  Lombardia. 
Certo  egli  calcolato  avea  di  molta  durata  ed  importanza 
questa  sua  spedizione,  giacché  risulta  da  documenti  come 
egli  avesse  deferito  parte  delle  sue  attribuzioni  da  arci- 
cancelliere  a  un  tal  Giovanni  Arciprete  da  Sarso  col 
titolo  di  Legato  imperiale  in  Romagna  e  con  residenza 
in  Rimini  (4).  Oltre  a  ciò  traevasi  Cristiano  seco  anche 
il  nuovo  antipapa  Callisto  III  (5)    il    quale,  secondo    i 


(f)  Fra  Bartolomeo  delle  Pugliole,  Griflbni,  Angnlelli.  —  Crooiche  di  Bo> 
logaa  —  ed.  unian«.  -  Sigunii:  Hislb.  Bon.  Lib.  III. 

(2)  1^1. 

(3)  Annaiesi  Stadenses  —  p.  Perlz. 

(i)  Da  una  scheda  Garampi  alla  Gambalunga  di  Rimini  che  Iratse  9x  mem- 
brana  eiu9dem  Saec,  in  Archiv,  Moni,  S.  Marini  Arim.  una  sentenza  alla  daU 
50  Maggio  1175  rilasciala  dal  legato  GioYanni  Arciprete  di  Sarsa  in  favore  del 
monastero  di  S.  Maria  in  Porto  9x  parte  Domini  Imperatori*  $i  Magontini 
ArehiepÌ$eopi, 

(5)  Tolot.  Chron.  Gap  ratorl  •—  Ber.  Ital.  Script, 


574  LE   COSPIRAZIONI   IMPERI  ALI 

calcoli  di  Federico,  doveva  assistere  di  persona  ai  trionfi 
definitivi  che  egli  riteneva  già  sicuri  ed  imminenti. 

Con  tutto  ciò  non  gli  riuscì  prendere  d'  assalto  San 
Cassiano  difeso  dai  Prendiparte  e  dovè,  non  senza  ingrata 
maraviglia,  porvi  regolare  assedio  (1). 

Durava  tale  stato  di  cose  da  tre  settimane,  quando 
agli  assediati  venne  fatto  di  scorgere  sulle  alture  sven- 
tolare la  croce  rossa  della  patria.  Era  Toste  di  Bologna 
condotta  da  Bernardo  di  Yedrana  e  da  Pietro  Grarisendi 
consoli:  rinfonsata  da  300  cavalieri  di  Milano,  300  di 
Brescia,  300  di  Piacenza,  100  di  Bergamo,  500  di 
Cremona,  300  di  Parma,  200  di  Reggio,  100  di  Mo- 
dena, 300,  di  Verona,  200  di  Padova,  60  della  Con- 
tessa Sofia  Guecellone  di  Camino,  e  dalle  milizie  di  Fer- 
rara: (2)  in  tutto  oltre  a  2660  uomini  ai  quali,  eccettuati 
i  Piacentini  e  Ferraresi,  facea  le  spese  il  Comune  di 
Bologna  (3). 

Come  dissi ,  1'  esercito  della  Lega  prese  posizione 
sulle  colline  che  signoreggiavano  il  castello  (4)  e  il 
campo  di  Cristiano.  Prendiparte  concepì  allora  V  idea  di 
mandare  a  fuoco  e  fiamme  il  castello,  irrompere  con 
grand'  impeto  sti  gli  assedianti,  e  per  tal  guisa  dar  se- 
gnale agli  altri  due  Consoli  sopraggiunti  di  piombare 
concordemente  dai  colli.  E  così  fece  li  2  marzo.  Mentre 
le  fiamme  alzavansi  sopra  S.  Cassiano,  i  trecento  cavar 
lierì   sbucavano  con    intrepida  furia    dal  chiuso    e  rag- 


(t)  Sigonìo.  Lib.  IH.  —  CronaMie  di  Bologna  saddetle. 
(SI)  Ifi. 

(3)  Ivi.  —  Dalle  Pugliole  Bartolomeo. Chronica  di  Bologna  dal  IlOial  ISii. 

(4)  Ivi. 


DI   ROMAGNA   E  TOSCANA   EGC  :  S7S 

giungevano  V  esercito  della  Ijega  (1)  che  mossosi  in 
fatti  tostamente  sconfìggeva  le  milizie  del  Cancelliere  (2) 
obbligandolo  a  levare  V  assedio  se  pur  non  voleva  rima* 
nere  accerchiato  (3).  Compiuto  lo  smantellamento  del 
castello,  r  esercito  della  Lega  ritornava  tosto  a  Bologna, 
né  per  questa  fazione  pare  le  milizie  lombarde  rima- 
nessero agli  ordini  dei  Consoli  oltre   a  quindici  giorni. 

E  che  Cristiano  toccasse  una  vera  sconBtta  a  San 
Cassiano  ne  stanno  a  riprova  il  non  aver  potuto  più  ten- 
tare seria  impresa  contro  Bologna,  tranne  alcune  scor- 
rerie 0  gualdane,  come  dicevasi,  nelle  quali  era  famoso-, 
e  il  suo  ritirarsi  a  Medicina  (4)  dove  certo  non  potea 
trovar  luogo  V  esercito  numeroso  di  toscani  e  romagnoli 
con  cui  era  salito  fino  a  S.  Cassiano,  esercito  di  cui 
dopo  il  2  marzo  1175  si  perde  anzi  og^i  traccia;  e  in- 
fine lo  stesso  brevissimo  fermarsi  dei  Lombardi  agli 
ordini   di  Bologna. 

E  qui  mi  pare  opportuno  approfittare  della  notizia 
intomo  al  numero  dei  militi  Lombardi  che  stettero  al 
soldo  di  Bologna  in  questo  episodio  memorabile  della 
lotta  italica  contro  il  Barbarossa,  per  esibire  una  cifra 
la  quale ,  rappresentando  la  generosità  con  cui  il  solo 
Comune  di  Bologna  seppe  concorrere  air  intento  federale 
eziandio  col  denaro,  dia  in  pari  tempo  un'  idea  approssima- 
tiva del  servizio  economico  che  la  guerra  allora  importava. 


(9)  L*  tollco  —  Cbrooicon  Bononiente  ab  anno  H6t  ad  annum  1)99. 
(CalAfcerà  —  Maova  Raccolta  di  npascoli.  Tom.  IV  pag.  165)  cosi  rrgisira  il 
folio  di  S.  Catti  ano  nell'anno  1175  e  fuU  $con/lcia  Caneeterii  d§  Bononia  $1 
déitrueium  Saneium  Ca$$ianum.  • 

(3)  Sigonii  Caroti.  Lib.  ili. 

(i)  Dalla  Pofliolt  —  Cronica. 


576  LE  COSPIRAZIONI    IMPERIALI 

n  Cibrario  nei  suoi  laboriosissimi  e  preziosi  studii 
intorno  all'  economia  politica  del  medio  evo,  ci  ha  fornito 
ammirabili  tavole  di  ragguaglio.  Ivi  troviamo  che  al 
principio  del  secolo  XIII  la  S{)esa  quotidiana  equivaleva 
in  moneta  a  L.  1,  75  della  nostra  (1).  Ora  essendo 
2360  i  militi  lombardi ,  a  cui  Bologna  fece  le  spese 
per  15  giorni,  si  avrebbe  un  totale  di  L.  61950  circa. 

A  confronto  di  questo  risultato  ottenuto  colla  tavola 
del  Cibrario,  sta  il  fatto  rilevato  dal  Yol.  3.  dei  Fram-- 
mentarii  esistenti  nella  nostra  Camera  degli  Atti  (2)  che 
anche  un  secolo  dopo,  cioè  nel  1299,  i  militi  in  ser- 
vizio costavano  in  Bologna  2  soldi  al  giorno,  valendo 
il  fiorino  d' oro  imperiale  30  soldi.  In  tutto  avrebbe 
però   Bologna  pagato  ^  confederati  fiorini   2393   circa. 

Or  se  si  considera  che  per  fiorino  d'  oro  prima  del 
1297  si  deve  intendere  la  moneta  di  cui  era  tipo  il 
fiorino  di  Firenze,  il  quale  valeva  effettivamente  in  me- 
tallo come  L.  12,  37  odierne  (3)  si  avrebbe  un  soldo 
quotidiano  di  L.  0,  82  per  ogni  milite  e  un  totale  di 
L.  59876,  ma  supponendo  ben  inteso  che  nel  1299  il 
fiorino  d'  oro  valesse  ancora  L.  12,  37.  Mentre  invece  è 
provato  dal  Cibrario  come  appunto  dopo  il  1297  il  va- 
lore della  moneta  aumentasse  per  una  eccezionale  defi- 
cienza di  contanti.  Laonde  si  concepisce  come  la  tenue 
differenza  fra  le  due  somme  ottenute,  1'  una  colla  tavola 
del  Cibrario,  V  altra  colle  indicazioni  dei  Frammentarii 
bolognesi,  venga  per  logica  presunzione  a  sparire. 

(1)  CisaAaio  —  Della  scbiavitù  e  del  servaggio,  p.  5i0  •  31. 
{2)  ScAtABBLLi  —  Degli  Archivi  Bolognesi,  p.  55. 
(3)  CiBRAtlO  —  Op.  cit.  p.  i87. 


DI    ROMAGNA   E   TOSCANA  ECC  :  577 

Ma  anche  dopo  ciò  la  cifra  ottenuta  desterebbe  per 
noi  un  valore  ambiguo  e  incertissimo,  giacché  non  tenni 
calcolo  finora  di  alcun  elemento  suir  invariabilità  del  quale 
da  quei  tempi  in  poi  si  possa  contare  come  sopra  un 
termine  sicuro  di  confronto. 

Ora  riferendo  il  valore  in  metallo  al  prezzo  del  fru- 
mento (1)  conforme  al  praticato  dal  Cibrario  medesimo 
il  valor  vero  per  noi  del  fiorino  d'oro  prima  del  1297 
si  raddoppia  quasi,  essendo  rappresentabile  della  quan- 
tità di  grano  che  oggidi  si  compera  con  L.  24,05.  Quindi 
fu  mestieri  raddoppiare  la  cifra  totale  pagata  in  metallo 
dal  Comune  di  Bologna  ai  lombardi  per  approssimarsi 
alla' reale  sua  importanza.  A  definirla  poi  conviene  da 
ultimo  considerare  V  assai  minima  popolazione  che  di  quei 
dì  conteneva  il  Comune,  di  cui  ci  manca  un  censimento 
qualunque  sincrono  o  quasi  ai  fatti  narrati. 

Fra  le  gualdanc  corse  dal  Cancelliere  nel  territorio 
bolognese  una  ne  registrano  tutte  le  cronache  come  da 
lui  ordita  con  molta  astuzia  e  che  riuscì  di  grave  danno 
ai  bolognesi.  Venuto  egli  di  Medicina  sulla  via  Emilia, 
nascondevasi  colle  sue  genti  nelle  boscaglie  presso  il  ponte 
della  Quaderna  o  Claterna  e  di  là  mandava  pochi  cava- 
lieri ad  incendiare  e  saccheggiare  le  Caselle  e  Pizzocalvo. 
Giunta  notizia  a  Bologna  di  cotali  rapine,  un  certo  numero 
di  cavalieri  e  di  fanti  senza  insegne  e  senza  stendardo, 
corse  sopra  luogo,  sbaragliò  i  predoni:  ma  inseguendoli 


(i)  Il  crociente   fino  di    questo  metodo   di   ragguaglio   adottalo  dal  Ci- 
brario è  determinato  dal  consumo  indìYìduale  di  questo  genere  di  prima  necessità. 

AreMv.  Slor.  March.  V,  I,  37 


578  LE  COSPIRAZIONI  IMPERIALI 

COSÌ  senza  disciplina  fino  alla  Quaderna  cadde  nelF  ag- 
guato in  guisa  che  Cristiano  ne  menò  larga  strage  (lì. 
Di  cosi  nobile  vittoria  approfittò  il  Cancelliere  per  assa- 
lire e  distruggere  Castel  de'  Britti ,  Orzano  e  Yedrana 
che  tenevan  pei  bolognesi.  Si  ricattavan  questi  di  tanto 
danno  prendendo  più  tardi  a  viva  forza  in  quelle  stesse 
località  Monte  Viziano  e  Monsevero  castella  imperiali , 
passandone  a  fil  di  spada  e  traendone  prigioni  i  difensori 
ed  abitanti  (2). 

Di  fronte  alla  ferocia  di  Cristiano  contro  cui  Bolo- 
gna dovea  combattere ,  non  era  possibile  continuar  la 
guerra  giusta  le  norme  comuni  seguite  allora  dagli  Ita- 
liani sino  a  meritarsi  encomio  di  umanità  e  di  lealtà 
dai  cronisti  tedeschi.  Più  di  una  fiata  ebber  luogo  reci- 
proche carneficine  fra  i  bolognesi  ed  il  Cancelliere,  e, 
come  vedrassi ,  anche  due  anni  dopo  così  viva  ne  era 
la  sanguinosa  memoria  che  Bologna  non  potè  venir  scelta 
a  luogo  di  convegno  tra  Federico  ed  Alessandro  per 
trattar  di  pace ,  opponendo  l' Imperatore  troppo  esservi 
odiato  il  suo  Cancelliere  perchè  potesse  rimanervi  sicuro 
della  vita. 

Ma  codeste  gualdane  ^  in  cui  era  famoso  il  cancel- 
liere Cristiano,  non  ne  rialzarono  affatto  la  parte:  le  forze 
militari  della  cospirazione  imperiale  di  Romagna  e  di 
Toscana  non  si  riunirono  più  in  esercito  che  potesse 
rimontare  in  Lombardia  e  in  sussidio  di  Federico  intento 
ad  assediare  Alessandria. 


(1)  Dalle  Pagliole.  CroDÌca  di  Bologna. 
(8)  Ivi. 


DI  bomàgna  b  toscana  bgc:  579 

Il  Magontino  dopo  la  sconGtta  di  San  Cassiano  (feb- 
braio 1175)  non  ricompare  piii  sulla  scena  degli  ayve- 
nimenti  che  dopo  la  battaglia  di  Legnano  (29  maggio 
1176):  egli  giunge  solo  in  Pavia  forse  dal  castello  di 
Medicina,  vi  rivede  Federico  sconfitto,  vi  apparisce  nno 
dei  più  caldi  consiglieri  di  pace,  ed  è  però  scelto  quale 
uno  dei  legati  che  a  nome  deir  imperatore  calarono  in 
Ànagni  a  cercare  di  Alessandro  in. 

A.  RuBBiAira. 


i 


NOTIZIE  STORICHE 


BOLLETTINO  BIBlIOGfiAFICO 


MSSEGM  BIBLIOGRAFICA 


Eugenio   Sabbatini   —  Cenni  biografici  di  A.  Conti  —   Un 
op.  di  pag.  16  —  Camerino,  Tip.  Savini,  1877, 

Sono  cenni  biografici  di  uno  di  quegli  uomini  che,  in 
tempi  pur  troppo  difficili,  fecero  primo  oggetto  dei  loro  pen- 
sieri Tamore  della  patria  e  della  libertà,  e  che  a  questi  due 
santissimi  afTetti  consacrarono  la  loro  vita,  ed  il  cui  esempio 
giova  ricordare  perchè  i  giovani  vedano  a  prezzo  di  quanti 
e  quali  sacrifici  gettammo  da  noi  l'indegna  servitù  che  ne 
pesava  sul  collo,  ed  imparino  a  pregiar  meglio  di  quello  che 
facciano  il  bene  presente,  e  pensino  a  conservarlo  colla  ope- 
rosità intelligente  ed  onesta,  e  non  a  comprometterlo  con  gare 
partigiane,  in  fondo  alle  quali  poi  sta  sempre  il  bene  delPio 
invece  che  del  publico.  —  Chi  fosse  il  Sabbatini  non  sta 
a  me  il  dirlo  qui,  dopo  che  il  Conti  ha  saputo  cosi  bene 
farlo  nei  suoi  ricordi,  a  cui  consiglio  il  lettore  di  ricorrere, 
ma  questo  dico  che  le  battaglie  della  patria  indipendenza,  dal 
1831  in  poi,  lo  videro  sempre  combattere  strenuamente  con- 
tro i  nemici^della  patria,  che  per  la  libertà  d'Italia  si  adoperò 
anche  con  T  ingegno,  e  che  per  questo  ebbe  a  correre  fperi- 
coli,  subire  condanne  e  prigionie,  esilio,  come  succedeva  in 
quei  tempi  in  cui  non  era  permesso  P  aver  cuore  di  cittadino. 

La  narrazione  del  Conti,  che  si  studia  di  accennar  breve- 
mente ai  fatti  di  maggior  momento,  corre  spedita  e  sem- 
plice, senza  inutili  fioriture  rettoriche  ed  anche  senza  pla- 
teali trascuratezze  e  sguaiataggini,  e  questo  è  pregio  da  non 
tenersi  in  sì  poco  conto  oggi  in  cui  si  stima  o  di  dover  es- 
serejnello  scrivere  rigidamente  pedanti,  o  di  non  dover  os- 
servare neppure  le  più  elementari  e  necessarie  regole  del- 
l' arte. 


58i  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Si  occupa  egli  specialmente  della  vita  politica  e  militare, 
ma  perchè  trascurar  quasi  del  tutto  quella  domestica?  Questo, 
confesso  liberamente,  non  mi  sembra  che  sia  stato  savio 
consiglio. 

Il  mostrare  come  Puomo  publico  e  privato  vadano  sem- 
pre d'accordo»  avrebbe  otTerto  un  utile  e  fecondo  insegna- 
mento, ed  oltre  a  ciò  i  fatti  della  vita  domestica  e  della  pa- 
blica  si  sarebbero  gli  uni  cogli  altri  vicendevolmente  spiegati, 
avendosi  cosi  gli  elementi  per  istituire  un'accurata  analisi 
psicologica. 

Cesare  Rosa. 


Giulio  Cesare  Varano  signore  di  Camerino  difeso  contro  la 
«  Civiltà  Cattolica  >  dall'accusa  di  fratricidio  e  di  tiran- 
nia, —  Un  op.  in  16*  di  pag.  23  —  Camerino,  Tip. 
Savini.  1876. 

La  Civiltà  Cattolica,  cui  piace  far  della  storia  per  suo 
uso  e  consumo,  era  venuta  fuori  ad  accusar  Giulio  Cesare 
Varano  d'aver  ucciso  suo  cugino  Rodolfo  e  d'essersi  nel  governo 
mostrato  tiranno,  e  tutto  ciò  per  dar  ad  intendere  che  quel  papa 
Alessandro  VI,  che  rese  infaustamente  famoso  ed  esecrando 
il  nome  dei  Borgia,  fu  il  più  sant'uomo  di  questa  terra.  A 
tali  accuse  ingiuste  contro  il  Varano  risponde  VAnonimo  Ca- 
merinesey  insegnando  all'orbano  dei  Gesuiti  che  la  storia  doq 
può  scriversi  ad  libitum,  ma  i  fatti  tutti  devono  esser  pro- 
vati da  documenti.  È  uno  scritto  di  polemica  storica  condotto 
con  fine  acume,  retto  giudizio  e  spirito  di  buona  lega,  e 
che  con  poche  parole  mostra  come  lo  scrittore  della  Civiltà 
Cattolica  non  abbia  fabbricato  che  delle  solenni  menzogne. 

Cesare  Rosa. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  58S 

Memorie  degli  illustri  Jesini,  raccoUe  da  Alcibiade  Moretti  — 
Un  voi.  in  16*  di  pag.  135  —  Jesi,  Tip.  fratelli  Poli- 
dori.  1870.  —  Prezzo  L.  1  00. 

Quantunque  questo  volumetto  sia  venuto  in  luce  dieci 
anni  or  sono,  trattandosi  in  esso  di  uomini  distinti  nelle  arti, 
nelle  lettere  e  nelle  scienze,  nati  in  una  delle  principali  città 
delle  nostre  Marche,  credo  ben  fatto  di  ricordarlo  ai  lettori 
di  questo  periodico,  che  si  propone  di  far  conoscere  l'attività 
intellettuale  di  questa  regione  d' Italia ,  troppo  oggi  da  pa- 
recchi tenuta  in  pochissimo  conto. 

Le  notizie  che  il  prof.  Moretti  ha  raccolte  ed  ordinate 
con  savi  criteri  storici,  ed  esposte  con  non  comune  eleganza 
di  lingua  e  di  stile,  ci  fan  passare  innanzi  agli  occhi  un  nu- 
mero ragguardevole  di  uomini  venuti  in  eccellenza  nelle  di- 
scipline che  coltivarono  con  cura  ed  amore,  o  che  colla  pro- 
pria operosità,  Penergia  e  lo  spirito  di  abnegazione  contribui- 
rono non  poco  al  benessere  ed  allo  splendore  del  proprio 
paese.  E,  se,  come  scriveva  il  Macchiavelli,  ogni  esempio  di 
reptibblica  mtiove,  quelli  che  si  leggono  delta  propria  muovono 
molto  pia,  questi  cenni  devono  valere  non  poco  a  mantener 
vivo  negli  Jesini  dell'oggi  Tamore  dell'arti  nobili  e  gentili,  il 
culto  delle  cittadine  virtù,  vedendo  come  per  esse  si  pervenga 
ad  acquistare  fama  durevole. 

A  me  sembra  però  che  se  Tegregio  autore  in  luogo  di 
presentare  semplicemente  le  notizie  storiche  degli  uomini 
da  lui  celebrati,  si  fosse  dìfTuso  nell'esame  delle  opere  loro,  e 
nelle  considerazioni  a  cui  i  fatti  da  essi  compiuti  davano  luogo, 
il  suo  libro  avrebbe  guadagnato  non  poco  dal  lato  deirutilità 
non  solo,  ma  sarebbe  riuscito  ancora  più  ameno  alla  lettura. 
Cosi  pure  l'ordine  cronologico  credo  sarebbe  stato  da  prefe- 
rirsi a  quello  alfabetico  da  lui  seguito,  perchè  avrebbe  ser- 
vilo a  far  meglio  apprezzare  l'influenza  che  gli  uomini  eser- 
citarono sui  loro  tempi,  e  questi  su  quelli.  Ma  questi  sono 
modi  di  apprezzamento  diverso  delle  cose,  e  non  scemano  i 


586  RASSEGNA   BIBLIOGHAPICA 

pregi  molti  che  il  libro  ha,  i  quali  rendono  desiderabile  che 
esso  sì  diffonda  e  sia  letto  con  amore  dalla  nuova  genera- 
zione,  che  deve  crescere  degna  continuatrìce  delle  virtù  degli 
a\i,  ed  essere  causa  della  prosperità  e  grandezza  della  patria. 

Cesare  Rosa. 

Vita  di  Gaspare  Spontini,  scritta  da  Alcibiade  Moreiti  —  Un 
voi.  in  16*»  di  pag.  36.  —  Imola,  Tip.  Galeati,  1875.  — 
Prezzo  L.  0.  50. 

Di  Gaspare  Spontini  che,  nato  di  umilissima  coudizione 
in  una  piccola  terra  delle  nostre  Marche,  seppe,  coir  ingegno 
straordinario  e  Parnore  potente  delParte,  acquistare  in  tempi 
a  noi  vicini  fama  ed  onori  e  ricchezza,  segnando  nella  ma- 
sica  orme  incancellabili  colla  Vestale  e  il  Fernando  Cortes,  e 
facendole  anzi  fare  passi  da  gigante,  il  prof.  Moretti  raccontò 
brevemente  la  vita  in  questo  volumetto.  È  inutile  il  dire, 
perchè  i  meriti  dell'egregio  scrittore  son  conosciuti,  che  que- 
sto suo  lavoro  è  dettalo  con  forma  eletta  ed  elegante,  e  che 
la  verità  storica  è  scrupolosamente  rispettata,  come  si  vede 
dalle  annotazioni  in  cui  sono  indicate  le  fonti  alle  quali  ha 
attinto  le  notizie.  —  Augurando  a  tutti  i  nostri  grandi  uo- 
mini biografi  cosi  diligenti  come  il  Moretti,  non  mi  resta  al- 
tro che  manifestare  il  desiderio  che  egli  voglia  regalarci  presto 
altri  simili  lavori. 

Cesare  Rosa. 

Giosuè  Cegconi  —  Monte  Santo  Pietro  —  Un  op.  in  8*  di 
pag.  35.    —  Osimo,  Tip.  Quercetti.  1878. 

Sono  brevi  notìzie  delle  vicende  storiche  d'una  villa  posta 
sul  Monte  S.  Pietro,  ora  di  proprietà  della  famìglia  Leopardi 
Ditajuti  di  Osimo,  ed  hanno  un'importanza  molto  relativa  per 
la  storia  locale,  minima  per  la  storia  regionale  e  nazionale. 


RASSEGNA   BIBLlOGRAriCA  ÌS1 

Questo  studio  è  abbastanza  beo  condotto,  e  può  essere 
letto  con  piacere  da  quanti  negli  scritti  di  tal  genere,  cer- 
cano cose  nuove  esposte  con  proprietà  ed  eleganza  di  elocu- 
zione, correzione  e  semplicità  di  stile,  e  per  ciò  l'egregio 
scrittore  merita  che  gli  si  renda  la  debita  lode,  la  quale  però 
potrebbe  esser  maggiore  quante  volte  le  sue  rare  doti  avesse 
spese  intorno  a  cosa  di  maggior  momento. 

Certamente  ogni  piccolo  fatto,  il  quale  per  le  ricerche  che 
negli  archivi  delle  varie  città  s'istituiscono,  viene  alla  luce 
è  cosa  buona,  ma  però  non  nascondo  che  amerei  vedere  che 
uomini  studiosi  e  pazienti  indagatori  delle  memorie  storiche 
dei  nostri  paesi,  cx)me  è  l'egregio  prof.  Gecconi,  il  quale  già 
con  altri  suoi  studii  ha  reso  importanti  servigi  alla  storia 
marchigiana,  volgessero  di  preferenza  le  loro  ricerche  a  fatti 
di  maggiore  interesse,  essendovi  ancora  nelle  vicende  nostre 
moltissimi  punti  o  poco  noti,  o  del  tutto  sconosciuti,  i  quali 
attendono  ancora  chi  degnamente  li  chiarisca,  lasciando  gli 
altri  tèmi  per  quando  quelli  siano  stati  sufficientemente  illu- 
strati. Questa  è  l'opinion  mia,  che  ho  voluta  manifestare  li- 
beramente perchè  desidero  che  gli  studiosi  delle  nostre  me- 
morie non  sciupino  le  forze  loro  in  lavori  di  poco  momento, 
ma  ci  diano  opere  di  maggior  utile  di  quelle  che  per  solito 
ci  danno. 

Cesare  Rosa. 

li  Natale  di  Roma  —  Saggio  storico  di  Bruto  Amante  —  2^  ediz. 
riveduta  ed  aumentata  —  Un  voi.  in  S""  di  pag.  116. 
—  Roma,  Libreria  A.  Manzoni.  1879. —  Prezzo  L.  2.00. 

Di  un  lavoro  storico  lodevole  dell'egregio  prof.  Amante, 
già  ebbe  a  render  conto  ai  lettori  AeWArchivio  il  dott.  San- 
giorgio,  oggi  poi  sono  ben  lieto  che  mi  si  offra  novella  oc- 
casione di  parlare  d'un  altro  libro  di  lui  in  questo  periodico, 
libro  degno  in  tutto  e  per  tutto  di  essere  raccomandato  ai 
cultori  degli  studi  storici. 


S88  IlASSEGNA   BIBLIOGRAflCA 

Il  volume  rivela  uo^erudizione  non  cornane  nei  giovani 
scrittori,  un  ottimo  metodo  dì  critica  storica  per  cui  tra  i 
giudizi  più  disparati  si  cerca  di  scoprire  qual  sia  quello  che 
debba  accettarsi  per  vero,  od  abbia  per  sé  molte  più  ragiooi 
degli  altri  da  dover  essere  preferito;  e  tutte  queste  cose  poi 
sono  esposte  con  assennatezza  modesta,  con  corredo  di  proTe, 
quante  volte  lo  possa,  e  quando  manchino  documenti  auto- 
revoli ai  quali  appoggiarsi,  le  congetture  non  son  tali  che 
non  possan  stare  ne  in  cielo  né  in  terra. 

Al  nome  di  Roma  chi  è  che  non  si  sia  sentito  mai  bat- 
tere più  frequente  il  cuore,  ricordandosi  i  fatti  meravigliosi 
da  lei  compiti,  che  furono  causa  della  civiltà  sua,  ed  ebbero 
anche  attraverso  al  lungo  giro  dei  secoli  dei  benefici  effetti 
sulla  moderna  civiltà? 

Roma  ebbe  tanta  e  cosi  gran  parte  nei  destini  del  mondo, 
che  molti  sorpresi  che  una  sola  città  avesse  in  sé  la  virtù 
di  far  sentire  la  propria  egemonia  in  modo  che  niun  altra 
seppe  mai,  vollero  in  ciò  vedere  qualcosa  più  che  d'umano, 
qualcosa  di  soprannaturale,  e  molti  si  diedero  a  ricercare 
quali  fossero  le  sue  origini,  quali  le  sue  leggi  e  gli  ordina- 
menti per  trovar  le  ragioni  della  sua  grandezza  e  deir  in- 
fluenza che  seppe  esercitare  sugli  altri  popoli.  La  fantasia 
delle  moltitudini  e  dei  poeti  creò  intorno  alla  storia  della 
città  eterna  molte  leggende,  ma  in  fondo  alla  leggenda  (chi 
é  che  noi  sappia?)  é  sempre  nascosta  qualche  verità  che  ad 
essa  ha  dato  origine,  e  gli  eruditi  studiarono  e  studiano  per 
mettere  in  luce  questa  verità,  ma  molti  e  diversi  pareri  fu- 
rono sul  proposito  manifestati  ;  chi  le  leggende  tutte  o  in  gran 
parte  approvò  e  ritenne  come  racconto  di  cose  realmente 
accadute  tal  quale  i  poeti  e  gli  storici  primitivi  le  narra- 
rono, chi  non  ammise  nulla,  e  disse  tutto  esser  favola  e 
lavoro  di  fantasìa,  mentre  altri  più  ragionevolmente  pensarono 
che  di  mezzo  a  quei  racconti  si  avesse  di  certo  a  trovare  al- 
cuna cosa  di  vero.  Non  è  questo  il  luogo  per  passare  a  di- 
samina tali  lavori  degli  eruditi,  e  d'altronde  le  opere  di  Vico, 


DASSKGNA   BIBLIOGRAFICA  389 

creatore  della  filosofia  della  storia  e  primo  ad  insegnare  il 
metodo  critico  che  nelle  storiche  ricerche  si  aveva  a  seguire, 
del  Niebhur,  del  Mommsen,  del  Gervinus,  dello  Schlegel,  del 
Vannucci  e  di  mille  altri  sulla  storia  di  Roma,  sono  ormai 
cosi  conosciuti  che  sarebbe  un  fuor  d'opera  il  solo  accennare 
alle  loro  dotte  investigazioni  ed  ai  risultati  a  cui  per  esse 
sono  potuti  arrivare;  perciò  senza  più  oltre  divagare  dal  mio 
soggetto  verrò  a  dire  brevemente  delle  cose  di  cui  si  occupa 
nel  suo  erudito  Ubro  il  prof.  Bruto  Amante. 

.  Nel  capitolo  primo  si  parla  delPorigine  di  Roma  e  delle 
opinioni  dagli  antichi  e  dai  moderni  su  di  tale  origine  ma- 
nifestate, da  quella  di  Ennio,  ripetuta  da  Virgilio  e  da  altri 
poeti,  secondo  la  quale  i  discendenti  di  Enea,  profugo  troiano, 
avrebbero,  dopo  una  serie  di  miracolose  vicende,  poste  le 
fondamenta  della  città,  a  quelle  del  Duni,  delPAlgarotti)  dello 
Schlegel,  del  Niebhur,  del  Miiller,  del  Bamberger,  deir  Uschold, 
dell'Ampère,  che  i  racconti  di  Ennio  o  misero  del  tutto  in 
dubbio,  od  accettarono  soltanto  in  parte. 

L'autore  tra  le  varie  opinioni  accetta  quella  del  Mommsen 
perchè  le  sue  ipotesi  sont)  ad  un  tempo  i  risultati  più  recenti 
della  scienza,  e  per  avventura  i  più  accettabili,  perché  basati 
a  profonde  indagini  che  sulla  storia  di  Roma  fece  il  Mommsen. 
E  difatti  lo  illustre  storico  tedesco  ragionevolmente  viene  ad 
ammettere  che  i  consorzi  dei  Romani,  dei  Fazi  e  dei  Luceri 
si  fondessero  e  Roma  dovesse  perciò  la  sua  origine  ad  un  su 
nokhismo,  come  quatto  da  cui  neW Attica  è  sarta  Atene.  Ver  la 
cronologia  della  fondazione  segue  quella  diVarrone,  secondo 
cui  essa  avrebbe  avuto  luogo  753  anni  avanti  Cristo,  preci- 
samente il  21  di  aprile;  e  viene  a  questa  conclusione  dopo 
di  avere  nel  secondo  capitolo  esposte  e  discusso  le  principali 
e  più  autorevoli  opinioni  sul  proposito  manifestate  dagli  scrit- 
tori antichi  e  moderni.  Nel  capitolo  terzo  l'egregio  scrittore 
si  intrattiene  ad  informarci  delle  feste  civili  pel  natale  dì 
Roma  che  ebbero  luogo  nei  tempi  primitivi  e  sotto  l' impero, 
raccogliendo  con  molta  cura  le  memorie  che  ce  ne  lasciarono 


590  RASSEGNA    BIBLIOCnAPlCA 

gli  autori  latini,  con  sana  crilics  storica  e  copia  di  enidÌBOne 
quelle  notizie  vagliando  ed  oitlinando  con  melodo  cooronne 
al  vero  ed  alla  ragionevolezza.  Segue  il  quarto  capitolo  in  cai 
ì  lettori  sono  edotti,  con  altrettanta  diligenza  e  dottrina  delle 
feste  che  per  il  natale  di  Homa  si  celebrarono  nel  periodo 
del  rinascimento  delle  lettere  in  Italia,  e  vi  son  notizie  ca- 
riose  ed  interessanti.  Il  volume  si  c!iiude  col  racconto  delle 
altre  solennità  e  feste  accademiche,  le  quali  si  celebraroDO 
nei  tempi  moderni  in  occasione  della  ricorrenza  del  natale  di 
Roma. 

Il  libro  del  signor  Amante  è  importantissimo,  e  degno  di 
essere  letto  specialmente  da  chi  si  applica  agli  sludiì  storici, 
perchè  lo  troverà  ricco  di  preziose  notizie,  però  più  gradita, 
credo,  ae  riuscirebbe  la  lettura  se  lo  stile  procedesse  più  di- 
sinvolto, se  vi  si  facesse  minor  uso  di  trasposizioni  che  Don 
sempre  giovano  a  dare  maggior  efficacia  al  linguaggio. 

Cesare  Rosa.. 


Scella  di  curiosità  leHerarie  Inedile  o  rare  —  Disp.  CLXVI  — 
Lettere  di  Laura  Battiferri  Ammannati  a  Benedetto  Varchi  — 

Uà  voi.  in  16°  di  pag.  65.  —  Bolc^na,  presso  G.  Roma- 
gooli,  1879. 

Questa  publicazione ,  dovuta  alle  diligenti  cure  del  ch^ 
prof.  cav.  Carlo  Gargìolli,  per  quanto  non  ci  offra  notizie  di 
grande  importanza  intorno  alla  storia  civile  e  letteraria,  rìe- 
scirà  grata  ai  marchigiani  perchè  si  rilerìsce  ad  ana  illostre 
concittadina  del  gran  Raffaello,  a  moltissimi,  non  in  Italia 
soltanto  ma  forse  nelle  stesse  Marche,  oggi  sconosciuta,  men- 
tre sarebbe  degna  di  miglior  lama. 

Il  Gargiolli  comincia  dal  dimostrare,  c»D  ou  discorso 
adorno  delle  piti  leggiadre  veneri  del  linguaggio,  come  inte- 
ressante e  stupendo   riescirebbe  un  libro  intorno  alla  storia 


UASSEGNA    B1BU06BAF1CA  591 

della  nostra  letteratura  femminile,  perchè  dimostrerebbe  l'in- 
fluenza della  donna  esercitala  ne'  costumi,  negli  usi,  neUe  vi- 
cissitudini, neUe  credenze;  ed  ha  ragione;  ma  chi  meglio  di 
lui,  che  l'argomento  ha  studiato  con  amore,  potrebbe  alle  let- 
tere nostre  offrire  nn  tal  libro?  ed  io  mi  auguro  che,  lasciata 
da  parte  o;rni  titubanza,  ponga  mano  all'opera,  la  quale  non 
solo  riescirà  utile  e  degna  letterariamente  parlando,  sib- 
bene  sarà  ancora  un'ottima  azione,  come  quella  che  varrà 
a  mantener  vivo  nelle  nostre  donne  Tàmore  delle  cose  no- 
bili e  gentili.  Viene  poscia  a  darci  alcune  brevi  notizie  della 
Laura  Battirerri:  una  donna,  che  eMv  da  natura  nobile  inge- 
gno ed  anima  delicata,  e  che  con  lo  studio  della  fibsofia  in- 
nalzò il  cult/)  delle  lettere,  e  nel  sentimento  della  religione  puri- 
ficò la  poesia  dell* amore  ;  e  quindi  passa  a  dir  poche  cose 
intorno  alle  rime  di  lei,  che  in  gran  parte  non  si  elevarono 
d'  assai  su  quelle  degli  altri  scrittori  del  secolo  xvi.  Ma  a 
dire  il  vero  una  maggior  copia  di  notìzie  intorno  a  questa 
valorosa  rìmatrice  mi  par  che  non  sarebbe  stata  fuor  di  luogo, 
anzi  avrebbe  valuto  a  farla  meglio  apprezzare  e  conoscere; 
però  egli  potrebbe  supplire  a  quel  che  nella  presente  pre- 
fazione manca  tessendo  In  biografla  delPAmmannati,  alla 
quale  sarei  ben  lieto,  quando  ciò  gli  piacesse,  di  dar  luogo 
in  questo  periodico  che  le  glorie  marchigiane  intende  riven- 
dicare. 

Seguono  poscia  le  sedici  lettere  della  Battiferri  al  Varchi, 
il  quale  faceva  grande  estimazione  dell*  ingegno  di  lei,  da  cui 
vediamo  quali  vincoli  di  amicizia  legassero  la  poetessa  urbi- 
nate alP  illustre  storico  fìorontino,  quale  il  suo  giudizio  in 
fatto  di  materie  letterarie,  quale  la  sua  maniera  di  scrivere,  in 
cui  si  sente  forsi^  troppo  la  ricercatezza  e  PalTettazìone,  mentre 
in  lettere  famigliari  vorremmo  trovare*  quella  cara  semplicità  e 
naturalezza  di  cui  ci  ha  dato  inimitabile  esempio  il  suo  con- 
temporaneo Annibal  Caro.  —  Meno  poche  notizie  che  pos- 
sono valere  ad  indicarci  la  data  di  (|ualche  componimento 
poetico,  altre  letterarie  o  storiche  non  ce  ne  ofTroni»;    luttij- 


592  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

via  possono  leggersi  come  quello  che  fan  conoscere  la  genti- 
lezza deiranimo  e  la  prestanza  delP  ingegno  di  Laura  Batti- 
ferri Ammannati. 

Cesare  Rosa. 

Diario  dei  Conciavi  del  1829  e  del  1830-31  di  Mons.  PiHro 
Bardano f  commentato  e  annotato  da  D.  Silvagni.  —  Un 
voi.  in  8."*  di  pag.  97.  —  Firenze,  tipografìa  della  Gaz- 
zetta  (f  Italia.  1879.  —  Prezzo  L.  2  50. 

La  tirannide,  sospettosa  d'ogni  cosa  che  in  qualche  modo 
potesse  mettere  in  luce  le  magagne  di  lei,  ha  odiato  sempre 
la  liberta  della  stampa,  perchè  capiva  che  i  cittadini  se  ne 
sarebbero  valuti  a  manifestare  la  loro  opinione  sul  mal  go- 
verno che  faceva^i  della  publica  cosa,  avrebbero  espresso  de- 
siderii  ed  aspirazioni  i  quali  non  si  voleva  neppure  che  si 
sospettassero.  —  Ma  il  pensiero  delle  moltitudini,  sebbene 
compresso  ed  inceppato,  tendeva  tuttavia  a  farsi  conoscere  a 
dispetto  dei  governanti ,  e  si  manifestava,  specialmente  in 
Roma  oppressa  dalla  teocrazia,  per  mezzo  della  satira  e  delle 
cosi  dette  pasquinate^  le  quali  ci  mostrano  chiaramente  che  il 
popolo  aborriva  il  giogo  da  cui  era  gravato  ed  anelava  di 
scuoterlo.  Inoltre  molti  fatti  che  avrebbero  dovuto  conoscersi 
comunemente,  e  diffondersi  per  mezzo  della  stampa  veni- 
vano raccontati  in  cronache  ed  in  diari,  che  non  si  pubbli- 
cavano subito  ed  erano  conosciuti  da  pochi. 

Il  libro  messo  in  luce  dal  sig.  cav.  David  Silvagni  dimo- 
stra chiaramente  la  verità  che  sono  venuto  esponendo,  è  un 
buon  contributo  alla  storia  di  tempi  fortunatamente  passati, 
e  ci  fa  conoscere  Pambiente  politico  romano  di  cinquantanni 
fa,  le  idee  dominanti  tra  il  popolo  e  le  sue  aspirazioni:  sic- 
ché a  buona  ragione  può  dirsi  che  questo  lavoro  non  può 
passare  innosservato  per  chi  voglia  tesser  la  storia  di  quei 
giorni  nefasti. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  593 

L*"  egregio  autore  comincia  il  suo  libro  fornendoci  alcune  no- 
tizie, raccolte  con  diligenza  ed  esposte  con  illuminato  giudizio, 
intorno  al  diarista  mons.  Pietro  Dardano  il  quale,  come  se- 
gretario del  cardinale  Morozzo  di  Bianzé  vescovo  di  Novara, 
prese  parte  ai  due  conclavi  del  1829  e  del  1830-31,  in  se- 
guito dei  quali  vennero  chiamati  a  sedere  sul  soglio  ponti- 
flcio  il  Gastiglioni  marchigiano  ed  il  Cappe  Ilari  veneto.  —  Il 
Dardano  fu  di  carattere  candido  ed  onesto  e  di  animo  schietto, 
e  A'issuto,  scrive  il  Silvagni,  in  mezzo  ai  due  secoli,  avendo 
assistito,  nella  sua  adolescenza,  prima  agli  orrori  della  in- 
vasione francese  poi  all'epopea  napoleonica,  rimase  suddito 
fedele  del  suo  re,  onesto  cittadino,  buon  prete,  buon  pie- 
montese e  buon  italiano.  »  —  Nato  nel  1791  in  Predosa, 
nel  18i2  era  già  valente  professore  di  rettorica  nel  liceo  di 
Alessandria.  Ebbe  gran  dolore  della  sconfitta  degP Italiani  a 
Novara,  dov'egii  si  trovava  a  quel  tempo  come  segretario  del 
cani.  Morozzo.  Fu  pio  e  caritatevole.  <  l  diari  di  mons.  Dar- 
dano, ci  dico  il  suo  commentatore,  non  si  distinguono  per 
profonde  osservazioni  polìtiche,  ne  brillano  per  quelP acume 
die  è  proprio  degli  uomini  di  Stato.  Il  diarista  si  è  con- 
tentato di  registrare  giorno  per  giorno  tutto  ciò  che  ha  vi- 
sto, tutto  ciò  che  ha  udito,  senza  farvi  soverchi  commenti. 
Le  sue  osservazioni  sono  semplici  e  piene  di  candore.  Egli 
non  maligna  mai  sopra  nessuno,  e  soltanto  qualche  volta 
sorride  o  della  umana  debolezza  o  delP  umana  vanità.  Egli 
intende  sufficientemente  la  missione  del  papato  tanto  spiri- 
tuale quanto  politica  e  P intende  in  conformità  dei  bisogni 
del  suo  tempo.  » 

Seguono  delle  notizie  intorno  a  Leone  XII,  nemico  acer- 
limo  d'ogni  novità  e  progresso,  che  governò  i  suoi  Stati  con 
fermezza  tirannica,  e  il  quale  credeva  sul  serio  di  avere,  per 
il  bone  della  società,  la  missione  di  ricondurre  U  mondo  in- 
dietro, più  indietro  che  era  possibile;  e  certo  vi  si  adoperò  a 
tutto  potere,  e  non  fu  per  sua  colpa  se  il  mondo  volle  con- 

Archio.  SU)r,  March.  V.  I.  38 


S9i  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

tinuare  a  progredire.  ■  Il  cardinale  Della  Genga,  scrìve  giasta- 
meote  il  signor  Silvagni,  sarebbe  stato  relativamente  an  buon 
princii;»  se  fosse  oato  almeno  cento  anni  prima ,  e  avesse 
renato,  poniamo,  sai  ducato  di  Camerino.  Infatti,  severo  fino 
alla  crudeltà  era  animalo  però  dallo  spirito  di  giustizia.  ■ 

Venuto  a  morte  Leone  XII ,  escirono  epigrammi  e  pasqui- 
nate, di  cui  s^  occupa  1'  egregio  autore  nel  terzo  capitolo, 
che  dimostrarono  quanto  il  popolo  si  rallegras.se  di  quella 
morte  che  lo  liberava  da  una  insopportabile  tirannia. 

Il  capitolo  quarto  è  consacrato  alle  notizie  dei  rardinalì 
che  fecero  parte  del  Sacro  Collegio  per  la  elezione  del  succes- 
sore  al  Della  Genga:  sono  brevi  cenni,  ma  piìi  che  suflicienti 
a  dar  una  giusta  idea  delle  vedute  politiche  di  ciascuno  e 
delle  influenze  che  esercitava  sagli  altri.  -  Nel  quinto  capitolo 
abbiamo  il  diario  del  Dsrdano  del  conclave  del  1829,  in  cui 
si  dì  particolareggiata  notizia  delle  varie  cerimonie  che  si 
facevano,  degli  accordi  che  prendevano  tra  loro  ì  cardinali, 
delle  votazioni  e  via  dicendo. 

Il  sesto  capitolo  tratta  delle  sa/ire  sui  cardinali,  venule 
fuori  alla  morte  di  Pio  Vili,  il  quale  occupò  il  trono  pontiG- 
cio  per  soli  20  mesi,  e  lasciò  le  cose  come  si  trovavano. 

Parecchie  di  queste  satire,  mostrano  lo  spirito  caustico 
dei  romani,  e  specialmente  quelle  venute  fuori  dopo  i  moti 
di  Bomagna  hanno  un  carattere  politico,  che  mostra  come 
del  potere  temporale  dei  Papi  si  fosso  stanchi ,  e  si  anelas- 
.se  ad  istituzioni  più  savie  e  più  liberali. 

Nel  capitolo  settimo  è  compreso  il  diario  che  del  conclave 
del  1830-31  fece  mons.  Bardano,  in  cni  sono  tutte  quelle 
notizie  che  abbiamo  già  visto  esser  nell'altro  diario. 

In  fine  del  volume,  come  appendice,  abbiamo  il  testo  del 
Discorso  dd  Visconte  di  ChateaìjAriand ,  antòiisctalort  di  Carlo 
X  presso  la  S.  Sede;  al  quale  tìen  dietro  il  Discorso  dM  March, 
di  Crosa,  Ministro  dd  Re  di  Piemonte  a  Roma,  al  S.  CdUegio: 
dopo  dei  quali  leggiamo  la  curiosissima  Notificazione  contro  F  ese- 
crando vizio  della  bestemmia  del  Card.  Giustiniani ,  Arcivescovo 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  S95 

(l'Imola.  Due  specchi,  i  quali  presentano  le  votazioni  che 
giorno  per  giorno  si  facevano  nel  conclave,  compiono  il  libro 
che  per  T  interesse  che  presenta,  storicamente  parlando,  e 
per  la  bella  Torma  con  cui  è  dettato,  mi  credo  in  dovere  di 
raccomandare  ai  cortesi  lettori  àdV  Archivio 

Cesare  Rosa 

Giambattista  Beltrani  —  Cesare  Lambertlni  e  la  società  bmh 
gliare  in  Puglia  durante  i  secoli  XV  e  XVI  —  Parte  I.  fase.  1. 2. 
3.  in  8.  di  pag  3i  ciascuno  —  Trani ,  V.  Vecchi  e  Soci 
ed.  1879. 

Di  questa  publicazione  ,  che  sin  d'ora  promette  di  riuscire 
ì:ìtere>sanlissima,  sarebbe  inìpossibile  il  voler  portare  adesso 
un  adequato  giudizio;  quindi  limitandomi  per  questa  volta 
a  darne  V  annuncio ,  mi  riserbo  a  parlarne  di  proposito  quando 
ne  sian  venuto  in  luce  un  maggior  numero  di  dispense. 

Intanto  dirò  che  nelle  tre  uscite  si  contiene  una  prefazio- 
ne in  cui  il  sig.  Beltrani  specialmente  si  difTonde  a  discorrere 
delle  fonti  a  cui  ha  attinto  le  notizie  biografiche  del  Lamber- 
lini  ed  i  criteri  seguiti  nel  dettare  la  biografia,  e  che  alla  prefa- 
zione fan  seguito  XWIII  documenti,  che  dal  3  agosto  12G7 
vanno  al  28  febbraio  13GG. 

Cesare  Rosa 

Un  paragrafo  detr  opera  di  Enrico  Guglielmo  Schuitz  sui  monu- 
menti del  Medio  Evo  nelP  Italia  meridionale,  illustrato  e 
commentato  con  documenti  inediti  da  G.  B.  Bì:ltrani  — 
Un  op.  io  8.  di  pag.  66  —  Spoleto,  Tip.  Bassooi.  1878-79. 

Il  sig.  Beltrani  osserva  che  lo  Schuitz  o  V  Huillard  -  Bròhol- 
les,  ì  quali  s'occuparono  nella  loro  opere  dei  monumenti  medio- 
evali  deir  Italia  meridiouale  se  giudicarono  rellameute  del  valore 


jà 


596  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

di  essi  monumenti  sbagliarono  nel  riferir  le  notizie  storiche 
che  li  riguardano  y  o  per  lo  meno  da  questo  lato  riuscirono 
incomplete,  e  perciò  crede  che  sarebbe  bene  dietro  la  scorta 
di  documenti  correggere  gli  errori  in  cui  sono  caduti  o  com- 
pletare le  notizie  mancanti ,  e  questo  appunto  in  parte  cerca 
egli  di  fare.  Riferito,  traducendolo  dal  tedesco  in  italiano,  il 
paragrafo  delP  opera  dello  Scbuitz  in  cui  questi  si  occupa  della 
chiesa  conventuale  di  S.  Maria  in  Colonna,  sita  a  breve 
distanza  da  Trani,  viene  a  rilevare  gli  abbagli  presi  dallo 
storico  tedesco,  con  quel  garbo  che  si  deve  tra  gente  educata, 
e  che  è  mossa  a  parlare  dall'  amore  del  vero  e  della  scienza. 
Quali  siano  gli  errori  in  cui  lo  Schuitz  cade,  non  è  questo  il 
luogo  di  dire  ma  si  deve  accennare  che  il  sig.  Beltrani  li  cor- 
regge corredando  il  suo  scrìtto  di  dodici  documenti  che  com- 
provano la  verità  di  quanto  asserisce.  Se  questo  lavoro  fosse 
dettato  in  uno  stile  meno  aspro,  con  una  lingua  più  coiretta, 
maggiormente  gradita  ne  riuscirebbe  la  lettura. 

Cesare  ftosA 

Conte  Servanzi  -  Gollio  —  Antica  pittura  in  tavola  nella  città  di 
Camerino  —  Op.  di  pag.  8.  —  Urbino  co'  tipi  della  Cap- 
pella per  E.  Righi  1879. 

Questo  scritto  vide  dapprima  la  luce  nel  Raffaello  di  Urbino, 
e  descrive  con  precisione  un  quadro  dell'  Annunziazione  esi- 
stente in  Camerino,  il  quale,  quantunque  deteriorato,  forse 
perche  non  fu  tenuto  in  quel  buon  conto  che  merit  iva ,  mostra 
d'  essere  opera  di  non  volgare  pennello.  PcTÒ  il  Com  Servanzi 
non  ha  dati  per  assicurare  da  chi  quel  dipinto  sia  stato  fatto, 
ma  non  dubita  di  allontanarsi  dal  vero  ritetìendolo  di  scuola 
Umbra  del  secolo  XIV  al  XV.  —  La  lingua  in  cui  lo  scritto 
è  dettato  è  ottima,  ma  lo  stile  qualche  volta  sente  un  pò 
troppo  deir  artifizioso ,  forse  per  soverchio  studio  di  riuscir 
classico. 

Cesare  Rosa 


RASSEGNA    BrBI.IOGRAPICA  597 

Dfli  Lancia  di  Brolo  —  Albero  genealogico  e  biografie.  — 
Un  voi.  in  8.  di  pag.  Vili  -  312  -  Palermo,  Tip.  Gau- 
diano.  1879. 

D„'lla  Farni'^'lia  dei  Lancia  di  Brolo,  che  ebbe  le  origini 
sue  nel  Piemonte  u  poi  in  Sicilia  si  trapiantò,  questo  volume 
ci  mu-stra  quali  furono  ì  progenitori,  quali  i  disrendenti,  gli 
uRici  pnbtici  da  essi  ricoperti,  ì  servigi  imporlanlì  che  re- 
sero al  proprio  paese  nelle  armi,  nelle  lettere  e  nelle  scienze. 
Il  libro  ci  otTre  circa  2oO  notizie  biograriche  desunte  con 
bastante  diligenza  da  cronache  e  lahellarii,  e  corregge  qual- 
che errore  storico,  come  quando  a  pagina  13  ci  dice  che 
•  Nipote  e  figliastra  di  Bonifacio,  perchè  figlia  di  Anselmo  suo 
Tratello,  fu  quindi  quelP  Adelaide  o  Adelasia  che  nel  1089 
fu  la  terza  sposa  del  Normanno  Rugftiero  d' llauteville  Gran 
Conte  dì  Cicilia  e  figlio  di  Tancreili  Uno  degli  errori  di  nostra 
storia  più  invabi,  fondalo  sopra  un  equìvoco  stato  sancito 
dalla  tradizione  e  dagli  scrittori,  vuole  costei  Hglia  di  Boni- 
facio Marchese  di  Monferrato,  fondatosi  su  quel  passo  del 
Malaterra  che  la  chiama  Septem  liiìitifacii  famosisfimi  itatorum 
M-irckionia :  ma  questi  era  già  morto  da  37  anni,  essendo 
slato  uciiso  nel  10;ì2.  »  -  Ma  se  il  lavoro,  generalmente  par- 
lando, è  condotto  con  diligenza  e  pazienza,  pur  qualche  volta 
lo  scrittore  (>  caduto  involontariamente  in  alcun  errore,  di 
cui  mi  limiterò  ad  accennare  die  a  pag.  100  dice  che  morto 
Pietro  d'Aragona  venne  eletto  re  suo  fratello,  ed  a  pag.  103 
che  n--  Giacomo  or.linb  al  fi^'lio  Federico  di  deporre  le  armi 
e  venire  in  Sicilia  ad  un  aliboccamenlo  con  lui,  mentre  ciò 
storitamcnte  non  ò  provato  vero,  come  non  è  vero  che  da 
Giov;mni  d'Aragona  nel  Ii30  fosse  concesso  ad  Antonio  Colon- 
na il  principali)  di  Salerm),  e  che  Alfonso  lo  toL-^e  a  Raimondo 
Orsini  iii'l  l.V:J9,  —  l'ero  mm  voglio  all'  autore  fare  un  gran 
carico  di  queste  ed  altre  lievi  mende  storiche.  Ira  le  quali 
quella  d'aver  dato  alla  Marca  d'Ancona  un  Castello  di  Mor- 
lèccoli  elle  nel  Dizionario  storico  geografico  del  Ciavarini  non 


598  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

trovo  che  abbia  mai  esistito,  cose  cui  paò  facilmente  ri- 
mediare in  ana  seconda  edizione,  nella  quale  mi  auguro  di 
veder  corretti  parecchi  modi  dì  dire  che  non  sono  coutor- 
mi  alP  jso  dei  ben  parlanti  e  dei  migliori  scrittori.  Di  questi 
modi  da  correggersi  ne  citerò  alcuni  a  caso:  pare  certo  di  a- 
vere  assistito  alla  celebre  Dieta  di  Worms.  —  illaqueati  —  / 
mvssinesi  credendo  che  fuggiva  —  ciò  si  detegge  dal  seguente 
distico  —  vitalizialmente  —  armi  manesche  —  asilacansi  i 
battelli  —  esecutoriato  —  monumenti  tombali  —  mori  tViiiiite 
—  il  primo  rango  —  lasciato  il  monacab  contubernio  — 
in  età  senescente  etc.  etc. 

Cesare  Rosa 

I  Labia  in  Venezia.  —  Notizie  storico  •  genealogiche  di  Gahi.o 
Bullo.  —  Un  op.  in  8.  gr.  di  p.i^'.  40.  —  Venezia  1879. 
Tip.  di  Marco  Visenlini. 

Se  il  nascere  d' illustre  lignaggio  è  un  caso  che  può  oifrire 
dei  vantaggi,  è  certo  che  questo  porla  con  sé  grandi  doveri, 
ai  quali  quando  si  venga  meno  si  corre  risico  che  ciò  che 
dovrebbe  esserne  cagione  di  gloria  ne  riesca  di  vituperio  e  di 
danno.  E  innanzi  tutto  è  necessario  che  quel  patrimonio  di 
fima  ch:3  uno  hi  ereditato  d\\  maggiori  sia  conservato  incon- 
taminato, e  trasmesso  accresciuto  ai  nepoti,  perchè  la  nobiltà 
della  nascita  in  tanto  ha  valore  in  quanto  giovi  a  compiere 
azioni  nobili  e  degne  che  tornino  ad  onore  ed  utilità  del 
proprio  paese.  Perciò  util  cosa  sarebbe  che  il  patriziato  ita- 
liano in  luogo  di  menar  vanto  dei  propri  titoli  si  studiasse 
di  conoscere  la  storia  dei  propri  avi  p.*r  vedere  come  con  alti 
di  valore  in  guerra,  con  adoperarsi  in  servigio  della  cosa 
publica,  coltivando  le  leltere  e  le  scienze  gli  onori  conseguis- 
sero, e  da  ciò  nascerebbe  in  esso  quel  sentimento  di  emula- 
zione che  è  fonte  di  azioni  nobili  e  grandi  davvero.  Ma  la 
storia  del  patriziato  non  solo  ad  esso  può  giovare,   sibbene 


BAS8EGNA   BIBLIOGRAFICA  599 

anco  a  quelli  che  non  discendono  di  magnanimi  lombi ,  perchè 
per  essa  si  apprenderebbe  a  Tare  un  pia  equo  giudizio  delle 
persone  e  delle  cose ,  per  essa  si  apprenderebbe  qual  via  sia 
da  tenersi  per  giungere  onestamente  al  conseguimento  della 
gloria.  Intanto  però  che  si  aspetta  che  alcuno  ci  dia  una  di- 
ligente storia  del  patriziato  italiano,  la  qual  può  essere  fonte 
di  nolizie  preziose  per  quella  nazionale,  deve  Tarsi  buon  viso 
a  quelle  monografie  che  d' una  speciale  famiglia  illustre  intes- 
son  le  memorie ,  perchè  per  tal  modo  si  preparano  i  materiali 
per  quella  generale  a  cui  sono  venuto  accennando. 

Già  in  questa  dispensa  medesima  ho  dato  conto  d' un  libro 
sui  Lancia  di  Brolo,  ora  è  il  sig.  Carlo  Bullo  che  si  otcupa 
dei  Labia  in  Venezia  dicendoci  delle  loro  orìgini,  degli  uomini 
più  distinti  tra  essi  per  virtù  cittadine,  per  amore  alle  lettere, 
alle  arti  ed  alle  scienze.  Le  indagini  sono  accurate,  non  vi 
si  alTerma  nulla  che  con  documenti  non  possa  essere  provato, 
e  se  qualche  volta  si  debbono  far  delle  ipotesi  son  fatte  con 
criteri  storici  e  non  campate  in  aria.  Alle  notizie  generali  del- 
la famiglia  segue  l'albero  genealogico,  ed  a  questo  tien  dietro 
una  ben  condotta  illustrazione.  L'edizione  è  splendida,  ed 
abbellita  con  tre  eliotipie  rappresentanti  il  prospetto  del  pa- 
lazzo Labia  e  due  pregevoli  affreschi  del  Tiepolo  esistenti  in 
detto  palazzo. 

CcsAR£  Roba 


NECROLOGIA 


IL  PROF.  GIULIANO  VANZOLINI 

li  Cav.  Prof.  GiCLiANo  Vanzolini,  direttore  del  Ginnasio 
di  Pesaro,  e  che  diW  Archivio  SUìhco  Marchigiano  fu  uno  dei 
primi  a  promettere  il  suo  valevole  aiuto,  mancava  ai  vivi  il 
26  ottobre  1879.  Nel  dare  il  triste  annunzio  ai  cortesi  lettori 
del  nostro  periodico,  crediamo  ben  fatto  di  accennare  breve- 
mente alle  virtù  dell'ingegno  e  dell'animo  di  cui  fu  adorno, 
ed  alle  opere  di  cui  volle  arricchita  la  nostra  letteratura. 

Sarà  un  tenue  tributo  di  devozione  affettuosa  verso  V  uomo 
egregio  che  lamentiamo  perduto,  non  una  biografia,  la  quale 
però  ci  auguriamo  che  venga  tessuta  da  qualcuno  degli  amici 
di  lui,  ben  lieti  se  a  noi  sarà  dato  di  poterne  fregiare  le 
pagine  del  nostro  Archivio. 

Giuliano  Vanzolini  ebbe  i  natali  in  Castel  di  Mezzo,  pìc- 
cola terra  a  breve  distanza  da  Pesaro  il  1*  di  maggio  del  1824. 
La  sua  famiglia  era  composta  di  povera  ma  onorata  gente. 
Ebbe  il  giovinetto  i  primi  rudimenti  dal  parroco  del  paese 
nativo,  poi  nel  1836  si  recò  a  fare  i  suoi  studi  nel  semina- 
rio di  Pesaro  e  vi  restò  fino  al  18i4,  distinguendosi  sempre 
fra' suoi  condiscepoli  per  l'ingegno,  il  profitto  e  l'esemplare 
condotta.  Nel  1844,  il  cardinal  Soglia,  vescovo  di  Osimo,  lo 
chiamò  a  prefetto  nel  seminario  di  Cingoli,  dove  egli  attese 
alla  teologia  dogmatica  e  morale .  In  queir  anno  medesimo 
venne  eletto  professore  di  lettere  italiane  e  latine  in  Apiro, 
dove  seppe  coir  autorità  che  nasce  dalla  vera  dottrina  acqui- 
starsi r affetto  dei  discepoli,  nel  numero  dei  quali  fu  quel 
valente  Filippo  Mariotti ,  che  oggi  siede  con  onore  al  Parlamen- 
to e  che  con  la  traduzione  di  Demostene  si  è  acquistato  un 
bel  nome  nella  repubblica  letteraria. 

Intanto  nel  18i8  il  Vanzolini,  giovane  ardente  di  amor 
patrio y  partiva  per  la  guerra  dell' indipendenza  italiana,  il  che, 


-  f^ 


NECROLOGIA  601 

in  quei  tempi  in  cui  la  tirannide  sacerdotale  chiamava  delit- 
to r  amore  del  proprio  paese  gli  valse  la  perdita  della  cattedra 
publica;  ed  egli  da  allora  fìno  al  1860  visse  insegnando  privata- 
mente, e  non  trascurò  mai  i  prediletti  studii  letterarìi  e  storici, 
sebbene  la  polizia  pontifìcia  gli  arrecasse  contìnue  molestie, 
0  sebbene  fino  dal  1852  fosse  afflitto  da  incurabile  epilessia. 

Nel  1860  ebbe  la  cattedra  di  4*  classe  nel  ginnasio  pesa- 
rese, ed  in  seguito  la  direzione,  che  tenne  sino  al  di  della 
morte,  quantunque  sarebbe  stato  degno  d' uffici  maggiori  nel 
publìco  insegnamento.  Però  di  questo  non  è  da  meravigliarsi 
che  oggi  in  Italia  non  fan  fortuna  i  modestamente  operosi, 
quelli  die  possiedono  davvero  la  scienza,  ma  clii  sa  meglio 
vantarsi  di  meriti  die  non  ha,  ed  appoggiarsi  ai  potenti. 

Il  Vanzolini  publicò  molti  libri  ed  opuscoli  originali,  curò 
r edizione  di  parecchi  testi  dì  lingua,  diede  opera  a  metter 
in  luce  documenti  storici  importanti,  come  i  lettori  dellMr- 
chivio  già  sanno,  ed  attese  alla  traduzione  di  poeti  latini,  delle 
quali  cose  tutte,  condotte  con  molta  diligenza  ed  amore,  ci 
sarebbe  impossìbile  in  questi  cenni  rendere  minuto  conto. 

Nella  prima  dispensa  di  questa  publicazione ,  nel  parlare 
della  CoUezione  Storica  del  Cav.  Giavarini  dicemmo  l'avviso 
nostro  sul  tomo  che  per  essa  preparò  V  egregio  scrittore  pesa- 
rese, ora  diciamo  che  la  maggiore  opera  di  lui  sarà  sempre 
tenuta  la  traduzione  del  poema  di  T.  Lucrezio  Caro  Della 
Natura  delle  co$e^  intorno  a  cui  spese  molte  fatiche,  e  che  ò 
senza  fallo  una  delle  migliori  che  abbiamo  per  fedeltà,  e  per 
eleganza  di  lingua  e  di  stile,  e  che,  publicala  da  prima  a 
libro  per  libro,  procurò  all'autore  le  lodi  di  molti  valenti. 

Al  Vanzolini  morto  la  città  di  Pesaro  tributò  condegne 
onoranze,  di  cui  fecero  esteso  resoconto  i  giornali  del  luogo. 

Noi  nel  lamentare  che  la  Patria  abbia  perduto  un  ottimo 
cittadino,  e  le  lettere  un  valente  cultore,  ci  auguriamo  che 
sìa  esaudito  il  nostro  desiderio  che  alcuno  voglia  per  T archivio 
scrivere  un'accurata  biografia,  che  faccia  testimonio  della  ope- 
rosità  di  lui,  del  suo  ingegno  e  della  sua  virtù. 

LA  DIREZIONE 


ANNUNZI  NECROLOGICI 


Saverio  Baldacchini  Gargano,  autore  di  un'opera  loda- 
lissima  col  titolo  Esercitazioni  storiche  sul  XIII  secdo  e 
di  alcune  pregevoli  monografie  storiche,  venne  a  morte  il 
14  marzo  1879. 

Antonio  Panizzi  capo  amministratore  del  Museo  Brittannico 
di  Londra,  mori  in  questa  città  il  9  aprile  1879  in  età  d'ol- 
tre 80  anni.  Esule  dall' Italia  nel  1820,  col  sapere,  l'ingegno 
e  la  virtù  seppe  vincere  le  contrarietà  della  fortuna  ed  ac- 
quistarsi la  stima  e  l'  alletto  degli  stranieri.  Gì'  Inglesi  lo 
chiamarono  il  Napoleone  dei  Bibliotecari  e  il  Magnate  del  sapere. 

Ermolao  Rubieri  autoredi  una  pregevole  opera  sulla  poesia 
popolana  italiana  e  d' interessanti  lavori  storici ,  mancava  ai 
vivi  nella  notte  dal  24  al  25  settembre  1879. 

A  Losanna  I'  11  agosto  1879  cessava  di  vivere  Luigi 
Vulliemin  uno  dei  più  celebri  cultori  delle  discipline  storiche 
che  avesse  la  Svizzera. 

Isidoro  La  Lumia,  cessava  di  vivere  in  Palermo  il  29 
agosto  1879.  Era  nato  in  quella  città  nel  1823,  dove  dal 
1860  era  a  capo  degli  Archivi  di  Stato.  Si  ricordano  molte 
sue  importanti  opere  storielle,  e  segnatamente  la  Storia  della 
Sicilia  sotto  Guglielmo  il  Buono;  La  Sicilia  sotto  Carlo  V 
imperatore;  I  Romani  e  le  guerre  servili  in  Sicilia. 


NOTIZIE  STORICHE  E  BIBLIOGRAFICHE 


11  ritirJo  con  cui,  per  ragioni  indipendenti  dalla  Direzione, 
viene  in  luce  qu^^sta  dispensa  fa  sì  die  si  diario  ora  delle  nolizie 
i'Iic  si  sarebbero  dovute  dar  prima;  tuttavia  non  abbiamo  cm- 
duto  di  togliere  perche  i  lettori  abbiano  un  notiziario  completo. 

La  nostra  città  nel  mese  di  Settembre  fu  onorata  dalla 
visita  delP  illustre  filosofo,  poeta  ed  uomo  di  stato  conte 
Terenzio  Mamiani  della  Rovere.  —  Il  Circolo  filologico  lo 
proclamò  suo  Presidente  Onorario.  Distinti  cittadini  offrivano 
all'ospite  venerando  un  geniale  brinchetto,  nel  quale  il  Mamiani 
pronunciò  un  applaudito  ed  importante  discorso,  in  cui  disse 
cose  interessanti  relativamente  ai  fatti  del  1831.  Al  Circolo 
Filologico  il  Prof.  Cav.  Giovanni  Mestica  con  forbite  parole 
rilevò  i  meriti  del  più  grande  dei  Marchigiani  viventi*,  parole 
a  cui  il  Mamiani  rispose  visibilmente  commosso. 

1  discorsi  del  Cle  Mamiani  e  del  Cav.  Mastica  furono  raccolti 
dagli  stenografi  e  resi  di  publica  ragi.)ne  per  mezzo  della  stampa. 

L'on  Mariotti  ha  publicato  nei  giornali  una  notevole  let- 
tera al  Sindaco  di  Firenze,  lamentando  perchè  le  ossa  dei 
marchigiani  Puccinotti  e  Matas  siano  tuttora  insepolte ,  men- 
tre dovrebbero  trovar  luogo  in  S  Croce  insieme  alle  altre 
glorie  nazionali.  Noi  speriamo  che  si  penserà  a  rimediare  a 
tanto  sconcio,  ad  ogni  modo  aggiungiamo  la  nostra  voce 
perchè  si  provveda  a  far  il  debito  onore  a  chi  colla  scienza 
0  coir  arte  onorò  non  poco  P  Italia. 

I  giornali  recano  che  sono  stati  scoperti  due  volumi  di 
memorie  inedite  del  grande  poeta  tedesco  Enrico  Heine 

La  Storia  Universale  di  Cesare  Gantù  venne  di  recente 
tradotta  in  portoghese  dal  sig.  .Antonio  Ennes. 

II  barone  Alfredo  Reumont ,  autore  di  molti  pregiati  lavori 
intorno  alla  storia  d' Italia ,  darà  alla  luce  in  Berlino  un  suo 


604  NOTIZIE   STORICHE 

libro  su  Gino  Capponi.  Dello  stesso  argomento  ha  scritto  il 
Sen.  Tabarrini ,  e  il  libro  venne  or  non  è  molto  stampato  dal- 
l'editore  Barbèra  di  Firenze. 

Una  memoria  intorno  aUa  vita  ed  alle  opere  del  compianto 
conte  Federico  Sclopis  di  Salerano  venne  letta  air  Accademia 
di  scienze  morali  e  politiche  di  Parigi  dal  signor  Carlo  Giraud. 

L'  editore  Treves  di  Milano  pubblicherà  le  commedie  di 
Molière  tradotte  in  versi  italiani  dal  sig.  Alcibiade  Moretti, 
professore  in  Iesi.  Da  alcuni  saggi  che  di  questa  traduzione 
furono  già  dati  in  luce  si  può  Qn  d' ora  argomentare  che  sarà 
lavoro  pregevolissimo. 

Dagli  editori  Drucker  e  Tedeschi  di  Verona  fu  stampato 
r  epistolario  di  Aleardo  Aleardi  con  prefazione  del  prof.  Trezza. 
Intorno  ad  esso  i  critici  italiani  hanno  pronunziato  i  più  di- 
sparati pareri. 

L'  unione  tipografico -editrice  continua  la  publicazione  della 
Cronistoria  di  Cesare  Cantù,  in  cui  si  parla  degli  avveui- 
menti  dair  anno  1848  al  1879. 

L'Istituto  Veneto  ha  decretato  il  premio  di  L.  3000  al 
sig.  P.  G.  Molmenli  per  una  sua  memoria  sulla  vita  privata 
ASì  veneziani  dalle  orgini  alla  caduta  della  republica,  memoria 
che  ebbe  già  V  onore  di  due  edizioni. 

Si  annunzia  la  prossima  comparsa  di  una  mtMUoria  del 
prof.  Francesco  Lattari  intorno  ai  Monumenti  dei  principi  di 
Savoia  in  Roma. 

Il  sig.  Carlo  Gerin  ha  inserito  nella  Revue  des  qu  siions 
historiqaes  un  suo  scritto  sulla  missione  del  sig.  D<'  Lionne  a 
Roma  nel  1635.  In  esso  sano  anche  importanti  notizie  intorno 
al  conclave  in  cui  fu  eletto  papa  Alessandro  VII,  e  riguardo 
al  processo  del  cardinale  de  Retz. 

I  giornali  esteri  sono  larghi  di  encomi  all'opera  del  mar- 
chese Cesare  Camporì  :  Raimondo  Montecuccoli ,  la  sua  famiglia 
e  i  suoi  tempi. 

Ad  Olmeneta  in  provincia  di  Cremona  vennero  scoperte 
più  di  400  monete  romane  d'argento  benìssimo  conservate. 


E  bibliografichiì:  605 

A  Roma  furono  scoperti  altri  ambienti  della  residenza 
privata  dn^li  imperatori  ai  tempi  d'  Augusto.  Essi  sono  adorni 
di  splendide  pitture  e  bellissimi  mosaici.  A  Roma  medesima- 
mente nel  far  degli  scavi  nelP  interno  di  un  palazzo  sito  in 
via  della  Stelletta,  si  ritrovarono  184  tra  zecchini  e  zecchini 
doppi  pontificii  di  oro  fino ,  il  cui  conio  si  conserva  perfetta- 
mente. Sono  degli  anni  tra  il  1450  e  il  1550,  alcuni  poi  sono 
rarissimi  e  forse  unici  della  specie. 

A  Pieve  Quinta  in  quel  di  Forlì  si  rinvenne  un  tesoretto 
di  8i0  danari  d'argento  consolari,  su  cui  leggonsi  i  nomi 
dei  monetieri. 

Negli  scavi  di  Pompei,  oltre  i  soliti  minuti  oggetti  che  sì 
rinvengono  quasi  quotidianamente,  fu  scoperta  una  gran  cassa 
abbellita  con  pitture  in  gran  parte  ben  conservate. 

È  comparsa  a  Parigi  una  storia  della  guerra  del  1870-71 
scritta  in  ebraico  moderno. 

Dello  scritto  che  Ruggero  Bonghi  ha  fatto  stampare  nella 
yuova  Antologia  intorno  a  Coriolano  la  Revtie  historique  pro- 
nunzia un  favorevole  giudizio. 

Per  cura  dell'  editore  Calinan  Lèvy.  è  stato  public:ito  il 
volume  di  Ernesto  Renan  intitolalo  V  Eijlies.'  Chrélienne ,  in  cui 
l'egregio  autore  termina  le  sue  indagini  sulle  origini  del 
Cristianesimo. 

Si  è  corniciati  a  publicare  a  Parigi  per  cura  di  Ulisse 
Robv^rt  un'  opera  che  tornerà  assai  vantaggiosi  ai  cultori  della 
storia  moderna.  Invcntaire  sommaire  des  manuscrits  des  biblio^ 
tèfjiies  de  France  doni  les  calai  ujues  n'  ont  pus  èie  imprimé. 

il  governo  grMo  ha  fatto  ac4iuisto  delle  ire  statue  che  po- 
ci  tempo  fa  furono  ritrovate  negli  scavi  di  Milo  per  più  di 
t27000  dramme,  e  vennero  collocale  nel  Museo  di  Atene. 
Meravigliosa  sopra  tutte  e  del  più  p»Tfetlo  stile  greco  si  re- 
puta quella  che  rappresenta  Poseidone. 

Sta  [)er  publicarsi  conlemporaneaniente  in  Germania  ed  in 
Italia  (  Roma ,  F.  Bocca  )  un  nuovo  libro  di  Ferdinando 
(ìregorovius  int'^rno  a  Urbano  Vili  e  la  sua  opposizione  aUa 


606  NOTIZIE   STORICHE 

Spagna  ealT  imperaUire,  episodio  della  guerra  dei  trentanni. 

DalPedilore  CivelU  fu  publìcalo  il  2".  volume  del  Begno 
di  Federico  IL  di  Emilio  Broglio. 

Quanto  prima  il  cav.  David  Silvagni  darà  in  luce  un  suo 
libro  intorno  La  corte  e  la  Società  Romana  nei  secoli  XVIII  e 
XIX,  che  sarà  stampato  dalla  Tipografia  della  Gazzetta  d'Italia. 

L'Aulard  ha  publicato  ad  una  traduzione  in  francese  delle 
opere  del  nostro  Leopardi  traduzione  che  lascia  molto  a 
desiderare. 

Il  nostro  collaboratore  sìg.  Edoardo  Alvisi  ha  publicato 
neir  Archivio  Storico  Italiano  un  suo  breve  ma  accurato  lavoro 
su  /  Fioretti  di  5.  Francesco  y  studiandoli  dal  lato  della  loro 
compilazione  storica. 

La  solerte  Ditta  Editrice  Giacomo  Agnelli  di  Milano  ha 
dato  in  luce  la  2\  edizione  della  Storia  degli  ultimi  trenf  an- 
ni di  Cesare  Cantù. 

Il  direttore  di  questo  periodico  attende  a  raccogliere  le 
lettere  di  quel  valente  critico  che  fu  Eugenio  Camerini,  per 
ordinarne  T  epistolario,  il  quale  non  può  a  meno  di  non  ave- 
re una  grande  importanza  pei  nostri  studi.  Sappiamo  che 
parecchie  lettere  sono  già  in  mano  del  compilatore  per  gen- 
tilezza somma  di  quelli  che  le  possedevano,  sicché  ormai  ^ 
può  dar  per  sicuro  che  l'impresa  sarà  per  riuscire,  però 
desiderando  il  nostro  direttore  di  far  cosa  meno  manchevole 
che  sia  possibile,  si  rivolge  a  quanti  altri  avessero  lettere  del 
Camerini  pregandoli  a  volergli  usar  la  cortesia  di  favorirgliene 
copia,  od  anche  gli  originali  che,  dopo  trascritti,  saranno  da 
lui  resi  ai  mittenti.  I  periodici  che  fanno  cambio  col  nostro  ci 
avranno  per  obligatissimi  riproducendo  questa  notizia,  ed 
aggiungendo  che  lettere  e  manoscritti  devono  indirizzarsi  in 
Ancona  al  Prof.  Cesare  Rosa,  via  Capodimonle  n'.  26  rosso 

Uno  scrittore  che  si  nasconde  sotto  il  pseudonimo  di  C 
FerosOy  ha  cominciato  a  publicare  in  appendice  al  Corriere 
delle  Marcile  una  serie  di  scritti  che  intitola  pas^:eggitfte  anco- 
nitane,  ed  in  cui  si  propone  di  farci  conoscere  la  vita  ed  i 


R   BIBLIOGRAFICHE  607 

costami  di  Ancona  nei  passati  tenopi,  come  ha  fatto  il  Mol- 
menli  per  Venezia.  Ci  occuperemo  di  proposito  nella  biblio- 
grafia di  questi  studi  storici,  quando  ne  sarà  compiuta  la 
publicazìone. 

L'  Avv.  Prof.  Cav.  Michele  Maroni,  in  occasione  delle  nozze 
Beer  Coen,  ha  stampato  coi  tipi  del  Givelli  alcuni  versi  di 
Guidubaldo  Bonarelli  della  Rovere,  premettendovi  una  prefa- 
zione ed  aggiungendovi  delle  annotazioni. 

Era  nostro  intendimento  pnblicar  un  particolareggiato 
rendiconto  sul  primo  Congresso  delle  società  di  Storia  Patria, 
ma  per  abbondanza  dì  materia  dobbiamo  rimandarlo  ad  altra 
dispensa,  insieme  ad  altri  importantissimi  scritti  della  cui 
ritardata  publicazione  preghiamo  la  coitesia  degli  autori  a 
volerci  scusare. 

A  Firenze,  per  opera  dell'egregio  Cav.  Avv.  Carlo  Lozzi 
è  cominciata  la  publicazione  del  B'blio/Uo  giornale  dell'arte 
antica  in  istampe,  scritture  e  loro  eccessori.  Ne  sono  usciti 
per  ora  7  numeri  interessantissimi,  e  noi  dolenti  di  doverne 
rimandare  ad  altra  dispensa  un  conno  pili  accurato  non  vo- 
gliamo però  Lisciare  di  ra<!C()mìndarlo  ai  nostri  leitt^rì  e  sin- 
golarmente ai  signori  Bibliotecari. 

—  Ai  primi  dL*l  1881  V  Kditore  G.  Barbera  di  Firenze 
pnblìciìerà  un  interessantissimo  volume  di  circa  500  pagine 
in-lG"*  intitolato  Annuario  della  Letteratura  Italiana,  del  quale 
ha  affidata  la  compilazione  ai  Si^niori  Guido  Biagi  e  Guido 
Mazzoni  dottori  in  filolo^^na.  Questo  oltre  ad  essere  in  com- 
pendio la  storia  Itleraria  dell'anno,  sarà  utiU»  repertorio  di 
dati  biografici,  bihiiograftci  e  statistici,  e  di  (|uanto  insieme 
valga  a  me;^Mio  rappresentare  il  movimento  intellettuale  Italiano. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


Pervennero  alla  Direzione  i  seguenti  libri  ed  opuscoli,  dei 
più  importanti  dei  quali  si  parlerà  nella  rassegna  bibliografica 
dei  prossimi  fascicoli.  Di  tutte  le  publicazioni  storiche  che  gli 
autori  ed  editori  manderanno  al  Direttore  si  darà  annunzio 
in  questo  bollettino,  e,  quando  ne  sia  il  caso,  si  farà  una 
speciale  rivista  critica. 

1.  Ranieri  Antonio.  —  Sette  anni  di  sodalizio  con  Giaco- 
mo Leopardi  —  Un  voi.  in  8.  di  pag.  126  —  Napoli  Tip.  Gian- 
nini 1880. 

2.  Cassare  Prof.  Salvatore.  —  La  politica  di  Giacomo 
Leopardi,  Esposizione  storico  diplomatica,  —  Un  voi.  in  16  di 
pag.  132  —  Palermo.  Tip.  F.  Roberti.  1879. 

3.  Maroni  M.  —  Versi  di  Guidubaldo  Bonarelli  della  Rove- 
re  pubblicati  nelle  nozze  Beer  -  Coen  —  Un  op.  in  16  di  pag. 
20  —  Ancona  Slabilinaento  tipografico  Civelli.  1880. 

4.  Alvisi  Edoardo.  —  /  Fioretti  di  S.  Francesco,  Stuiii 
suUa  loro  compilazione  storica  —  Un  op.  in  8.  di  pag.  15. 

—  Firrnze.  Tip.  Cellini.  1880. 

5.  Foglietti  Avv.  Raffaele.  —  San  Giuliano  f  Ospitatore 
Cenni  storici.  —  Un  op.  in  8.  di  pag.  45.  —  Firenze.  Tip. 
Cellini.  1879. 

6.  Foglietti  Avv.  Raffaele.  —  Documenti  dei  secoli  XI 
e  XII  per  la  storia  di  Ulcerata  con  prefazione  ed  annotazioni 

—  Un  voi.  in  8.  di  pag.  95  —  Macerata  Tip.  Bianchini.  1879. 

7.  Servanzi  Gollio  Cte  Severino.  —  Pavimento  a  mu- 
saico discoperto  nel  territorio  di  Fabriano  —  Op.  di  pag.  6. 

—  Camerino.  Tip.  Savini  1880. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  609 

8.  Manzi  Luigi.  —  V  origine  ed  i  primi  secoli  d'  htonio 
oggi  Vasto  d'  Aimone  —  Un  op.  in  8.  di  pag.  51  —  Napoli 
Tip.  deir  Indicatore  Generale  del  Commercio.  1880. 

9.  PiF.RGiLi  Prof.  Giuseppe.  —  Le  tre  lettere  di  Giacomo 
Leopardi  intorno  alla  divisala  fuga  dalla  casa  paterna  —  Op. 
in  16.  di  pag.  64  —  Roma  e  Torino.  Ermanno  Loescher.  1879. 

10.  —  Fr.assi  Ing.  Giacomo.  —  //  Governo  feudale  degli 
abati  del  monastero  di  S.  Ambrogio  Maggiore  di  Milano  nella 
terra  di  Civenna  in  Valassina  —  Con  tavole  litografiche  — 
Un  voi.  in  8.  di  pag.  167  —  Milano  ditta  Giacomo  Agnelli  1879. 

11.  Ceruti  D'  Antonio.  —  /  principii  del  Duomo  di  Mi- 
lano sino  alia  morte  del  Duca  Gian  Galeazzo  Visconti  — 
Studi  Storici  —  Un  voi.  in  8.  di  pag.  223  —  Milano  Ditta 
Giacomo  Agnelli.  1879. 

12.  Salvigli  D'  Giuseppe  —  U  Istruzione  Pubblica  in  /- 
(aita  nei  secoli  Vili  -  IX  e  X  —  Un  voi.  in  8.  di  pag.  157 

—  Firenze.  Tip.  della  Gazzetta  d'Italia.  1879. 

13.  Altavilla  Prof.  Raffaele.  £'  Italia  e  le  sue  cento 
città  —  Narrazione  storica  per  le  scuole  e  le  famiglie  —  Un 
voi.  in  16.  di  pag.  255.  —  Milano  Ditta  Giacomo  Agnelli. 
1880. 

14.  Mazzoleni  a.  —  Giuseppe  Ferrari,  %  suoi  tempi  e  le 
sue  opere  —  Un  voi.  in  16.  di  pag.  198  —  Milano.  Tipografia 
Editrice  Lombarda. 

15.  CiAVARiNi  C.  —  Collezione  di  documenti  storici  antichi 
inediti  ed  editi  rari  delle  città  e  terre  marchigiane  —  Tomo 
IV  contenente  le  Carte  Diplomatiche  Osimane  raccolte  ed  or- 
dinate da  Giosuè  Cecconi  —  Un  voi.  in  8.  di  pag.  VII -361 

—  Ancona  Tipografia  del  Commercio  MDCCCLXXVIIL 

PERIODICI  ED  ARCHIVI  STORICI 

1,  Archivio  Storico  Italiano.  Tomo  IV  dispense  IV  -  V  -  VI 
del  1879.  —  Tomo  V  dispense  I  e  II  del  1880  —  Firenze 
presso  G.  P.  Vieusseux.  1879  - 1880. 


610  BOLLETTINO   BlBLIOGRAtlCO 

2.  Archivio  Storico  per  le  provincie  Napoletane  —  Anno 
IV  Fase.  IV  ed  anno  V  Fase.  I.  —  Napoli  Slabil.  tipografico 
Giannmi  —  1879  - 1880. 

3.  Archivio  Vemio.  Tomo  XVIII  parte  II.  e  Tomo  XIX 
parie  I.  —  Venezia.  Tipografia  del  Commercio.  1880. 

4.  Archivio  Storico  Lombardo.  —  Anno  VI  fase.  IV  — 
Milano.  Gaetano  Brigola.  1879. 

5.  Archivio  Storico  Siciliano.  —  Nuova  serie.  Anno  IV 
fase.  I  -  II  —  Palermo.  Stabil.  tipog.  Virzi.  1879. 

6.  Società  Storica  per  la  provincia  e  antica  diocesi  di  do- 
mo. —  Periodico.  Fase.  3**  —  Como  F.  Ostinelli  di  C.  A.  1879. 

7.  Curiosità  e  ricerche  di  Storia  Subalpina  pubblicate  da 
una   società  di  studiosi  di  patrie   memorie.  —  Puntale   XIIl 

-  XIV  e  XV  —  Roma,  Torino,  Firenze.  Fratelli  Bocca.  1879 

-  1880. 

8.  Nuove  Effemeridi  Siciliane.  Studi  storici ,  letterari , 
bibliografici  in  appendice  alla  Biblioteca  storica  e  letteraria  di 
Sicilia.  —  Voi.  IX  fase.  XXV.  —  Palermo.  Luigi  Pedone 
Lauriel  editore.  1880. 

9.  Archivio  di  Pedagogia  e  scienze  aflìni  diretto  dal  Prof. 
Emanuele  Latino.  —  Voi.  VI  disp.  II  —  Palermo.  1879. 

10.  Patria  e  Famiglia.  Rivista  educativa  della  Società 
Pedagogica  Italiana  diretta  da  G.  Sacchi.  —  Serie  seconda  — 
Anno  I.  Disp.  1.  2,  3.  4.  5.  —  Milano,  Ditta  Giacomo  Agnel- 
li. 1880. 


CENNI  CRONOLOGICI 


SULLA 


FONDAZIONE,  PROGRESSO  E  FINE 


DEL 


NOBILE  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLPI 

IN  FANO 


PER 


LUIGI    MASETTI 


.liWiir.  Sto,:  ^fnl•^•h.    V.  I.  .1'.» 


DEL  COLLEGIO 


STA    FONDAZIONE    E    DURATA 


PARTE  ì: 


Un  distinto  e  benemerito  Cittadino  il  cui  nome  sarà 
sempre  in  benedizione  fra  noi,  GUIDO  NOLFI,  giunto 
a  tarda  età  senza  prole,  non  essendosi  mai  accasato  per 
essere  quasi  sempre  vissuto  in  Roma  sostenendo  nobi- 
lissimi incarichi  in  quella  Curia,  lasciò  per  testamento 
erede  dello  sue  proprietà  e  del  suo  nobile  nome  Vin- 
cenzo Galassi  che  perciò  appellossi  nel  seguito  Vincenzo 
Nolfì,  e  in  di  lui  mancanza  vi  sostituì  un  Raniero  Nolfi, 
i  quali  ambidue  morirono  senza  lasciar  successione. 

Grande  suona  fra  noi  il  nome  di  Guido  illustrato 
da  un  pregevole  lavoro  biografico  del  chiarissimo  Conte 
Cav.  Stefano  Ternani  Amiani  intitolato:  Della  Vita  e 
delle  Opere  di  Guido  Nolji  da  Fano  -  Fano  pei  tipi 
di  Giovanni  Lana  1857  -  lavoro  nel  quale  essendo  con 


614  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO   E   FINE 

mirabile  chiarezza  ed  erudizione  descritte  le  principali 
gesta  della  vita  di  queir  illustre  Patrizio,  mi  dispensa 
dal  fame  una  più  lunga  e  distinta  numerazione. 

Dettò  esso  le  sue  ultime  volontà  in  Roma  sotto  il  gior- 
no 26  novembre  1627,  nel  quale  anno  in  quella  stessa 
città  addì  11  decembre  accadde  pure  la  di  lui  morte- 
Fu  questi  r  istitutore  ed  il  fondatore  del  nobile  Col- 
legio Nolfi  in  Fano,  del  quale  e  della  Università  a  cui 
in  seguito  venne  elevato,  imprendo  a  tessere  un  breve 
cenno  cronologico,  afifìnchè  la  memoria  di  quei  privilegi 
che  ora  più  non  esistono,  ed  i  nomi  di  tanti  egregi 
uomini  che  cooperarono  al  suo  ingrandimento  ed  alla 
sua  fama  non  cadano  totalmente  coir  andare  del  tempo 
nella  oblivione. 

Fra  le  molte  disposizioni  portate  dal  suo  testamento 
vi  era  questa  ^  che  con  la  vendita  di  alcuni  offici  e 
dignità  di  suo  patronato  si  avessero  a  comprare  tanti 
luoghi  di  Monte  in  Boma  )  a  fine  che  con  gli  altri  ot- 
tanta esistenti  s'avesse  a  formare  un  moltiplico  delle 
entrate  di  quelli  sino  a  tanto  che  arrivasse  alla  somma 
di  venticinque  mila  scudi  di  moneta  di  Roma,  e  se  in 
questo  tempo  il  sopradetto  suo  erede  Vincenzo  non  avesse 
figli  maschi  legittimi  e  naturali,  si  continuasse  innanzi 
il  moltiplico  sino  a  che  tra  sorte  e  frutti  arrivasse  alla 
somma  di  scudi  trenta  mila.  „ 

La  particola  poi  del  Testamento  che  si  riferisce  alla 
formazione  di  quel  moltiplico  e  alla  nomina  degli  eredi, 


*)  Erano  questi  le  note  cedole  o  cartelle  di  credito  sul  Banco  di  Santo 
Spirito. 


DFJ.  NOB.  COLLRGIO  ED  UNIVRRSITÀ  NOLFI  IN  FANO         615 

ed  in  loro  mancanza  alla  istituzione  di  un  Collegio  in 
cui  si  adottrinassero,  gratuitamente,  dodici  giovani  nelle 
scienze  mediche  e  nelle  legali,  è  così  concepita: 

^E  morendo  il  detto  sig.  Vincenzo  di  morte  naturale, 
„  allora  intendo  che  succeda  il  detto  sig.  Raniero  Nolfi  e 
„  suoi  figliuoli  maschi  legittimi  e  naturali,  e  morendo  il 
„  detto  sig.  Raniero  senza  figliuoli  maschi  legittimi  e  na- 
jf  turali,  voglio  che  tanto  di  esso  moltiplico  quanto  di  ogni 
jf  altra  cosa  di  detta  mia  eredità,  se  ne  abbia  da  erigere 
^  un  Collegio  in  Fano  nella  mia  casa  con  titolo  di  Collegio 
„  Nolfì  di  dodici  giovani  della  detta  città  non  minori  di 
jt  anni  dieciotto,  né  maggiori  d' anni  diecinove  che  siano 
„  ben  fondati  nella  Grammatica  e  habbiano  inclinazione  e 
^  vogliono  attendere,  otto  di  essi  alle  Leggi  e  quattro  alla 
^  Medicina,  i  quali  ci  possino  stare  cinque  anni,  dove 
jf  habbiano  da  portar  tutti  una  veste  talare  di  sopra  uni- 
„  forme  negra  che  nella  manica  sinistra  vicino  al  gom- 
„  bito  habbia  1'  arme  di  casa  Nolfi,  da  farsi  solamente 
„  questa  e  non  altri  abiti  dell'  entrata  del  Collegio  con 
„  gli  ordini  e  stabilimenti  che  saranno  fatti  da  me  prima 
„  eh'  io  mora,  ovvero  dopo  la  mia  morte  dal  mio  erede 
„  al  quale  in  evento  eh'  io  non  avessi  lasciati  detti  stabi- 
„  limenti  dò  ampia  facoltà  e  autorità  di  farlo.  „ 

Fra  le  principali  costituzioni  del  Collegio,  (dice  Io 
storico  Amiani),  giusta  la  mente  del  Fondatore  contansi 
quelle  di  dover  presiedere  al  suo  regolamento,  alla  edu- 
cazione, e  disciplina  degli  alunni  ed  al  mantenimento 
dei  lettori  dei  ministri  e  delle  rendite,  il  Vescovo  che 
sarà  per  il  tempo,  il  Preposi to  della  Congregazione  del- 
l' Oratorio  di  S.  Filippo  Neri,  e  il  Dottore  del  Consiglio 


616  SULLA   FONDAZIONE    PROGRESSO   E   FINE 

generale  della  Città  più  anziano,  non  nel  Dottorato  ma 
nel  Consiglio  in  qaanto  al  luogo  :  che  dodici  debbano 
essere  gli  alunni,  tutti  nobili  della  Città,  e  in  loro  difetto 
dovranno  essere  cittadini,  o  benestanti  del  contado  i  quali 
dovranno  nominarsi  nella  seguente  forma. 

II  Vescovo  dovrà  eleggere  due  per  lo  studio  di  me- 
dicina, ed  uno  per  la  legge  civile  e  canonica  :  due  altri 
per  la  legge  ed  uno  per  la  medicina  dovrà  eleggere  il 
Preposito  deir  Oratorio:  due  altri  similmente  per  la  legge 
ed  uno  per  la  medicina  il  Dottore  anziano  del  Consi- 
glio, e  gli  altri  due  per  la  legge  dovrà  nominare  il 
più  vecchio  della  famiglia  Nolfi,  e  V  altro  il  più  vecchio 
della  famiglia  Calassi,  col  patto  che  estinguendosi  una 
delle  suddette  famiglie  o  tutte  e  due,  spetti  il  nomi- 
nare i  giovani  alunni  all'altro  Dottore  susseguente  dopo 
il  Decano  del  Consiglio  nel  modo  che  si  è  espresso  di 
sopra. 

Seguita  intanto,  come  si  disse,  la  morte  di  Guido  Nolfi 
gli  eredi  chiamati  Vincenzo  e  Raniero  esposero  al  Pon- 
tefice Urbano  Vili  che  ciascuno  di  loro  era  giovane  ed 
ammogliato,  e  per  conseguenza  con  probabile  sicurezza 
di  prole,  nel  qual  caso  svaniva  la  speranza  della  fonda- 
zione di  un  Collegio:  e  perchè  l'uno  e  l'altro  brama- 
vano di  vederlo  sorgere  per  decoro  della  Patria  e  della 
Famiglia,  supplicarono  esso  Pontefice  a  volere  commu- 
tare la  volontà  del  suddetto  Testatore,  permettendo  che 
loro  dessero  quaranta  luoghi  di  Monte  in  Roma,  acciò 
che  posti  a  moltiplico  e  giunti  alla  somma  di  scudi  cin- 
quantamila, con  questo  capitale  si  erigesse  il  Collegio,  e 
nel  rimanente  dichiarasse  l' eredità  di  Guido  non  sog- 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  PANO        617 

getta  a  fìdecommesso,  su  di  che  ne  ottennero  favorevole 
rescritto  con  Breve  spedito  li  30  ottobre  1628. 

Premorì  Raniero  a  Vincenzo  senza  prole,  e  questi  tro- 
vandosi parimente  orbato  di  figli  con  suo  Testamento  in 
data  15  marzo  1665  legò  al  Collegio  da  aprirsi  cin- 
quantasette e  mezzo  luoghi  di  Monte,  ordinando  che 
questi  dovessero  porsi  al  moltiplico  con  gli  altri  soprac- 
cennati;  ed  istituì  erede  universale  la  signora  Ippolita 
UfFreducoi  sua  moglie,  alla  quale  sostituì  parimente  il 
sudetto  Collegio,  deputando  esecutori  testamentari  i  si- 
gnori Marchese  Claudio  Gabuccini  e  Camillo  Boccacci. 

Premorì  la  suddetta  signora  erede  istituita  al  proprio 
marito,  il  quale  visti  sparire  per  la  fragilità  degli  umani 
eventi  tutti  gli  ostacoli,  inerendo  di  buon  grado  alle 
concessegli  facoltà  fece  alcuni  statuti  per  il  governo 
civile  ed  economico  del  Collegio,  deputò  i  Superiori  e 
Rettore  del  medesimo,  e  senza  potere  portare  T  opera 
al  suo  compimento,  morì  il  giorno  25  settembre  del- 
l'anno  1665. 

Insorse  contro  la  validità  del  testamento  un  Rinolfo 
Galassi  nipote  ex  fratr$  del  sudetto  Vincenzo,  il  quale 
come  più  prossimo  di  lui  parente  prese  possesso  dell'Ere- 
dità; ma  introdotta  la  causa  in  Roma  venne  giudicato 
per  valido  il  testamento,  e  rivocato  il  possesso:  ma  pro- 
seguendo la  lite  in  grado  di  appello^  si  composero  le  dif- 
ferenze con  una  transazione  che  porta  la  data  del  25 
ottobre  1666,  rogito  Francesco  Danti  notaio  fenese,  con- 
fermata dal  Papa  Alessandro  VII  il  1.""  marzo  1667, 
mediante  la  quale  furono  assegnati  al  Galassi  vari  sta- 
bili della  eredità  di  Vincenzo  per  la  somma  di  scudi 


618  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO   E  FINE 

tremila  e  ottocento  moneta  di  Urbino,  con  che  ebbe  fine 
la  promossa  vertenza. 

Nel  frattanto  essendo  ginnto  il  moltiplico  alla  somma 
di  scudi  cinquantamila,  pensarono  gli  Esecutori  testamen- 
tari di  aprire  il  Collegio,  e  per  meglio  assicurarne  le 
ragioni  ricorsero  a  Papa  Clemente  X  acciò  si  degnasse 
di  approvarlo  ed  arrichirlo  di  privilegi,  ciò  che  si  ot- 
tenne con  Bolla  in  data  16  maggio  1672  diretta  al  Vi- 
cario generale  del  Vescovo  di  Pesaro,  nella  quale  in 
ristretto  si  approva  per  intero  la  mente  del  Testatore.  II 
Vicario  sudetto  dichiarò  tosto  farsi  luogo  all'apertura 
del  Collegio,  e  ne  diede  il  possesso  ai  Superiori  chiamati 
dal  testamento. 

E  qui  insorse  subito  una  differenza  fra  i  Superiori  del 
Collegio  e  gli  Esecutori  testamentari  di  Vincenzo,  i  quali 
pretesero  per  quella  prima  volta  di  volere  essi  soli  nomi- 
nare tutti  i  Collegiali,  condurre  i  Lettori,  e  fare  tutti  que- 
gli atti  che  spettano  ai  Superiori  a  tenore  delle  facoltà 
concesse  dal  Testatore,  per  il  che  s' incagliò  l'apertura,  la 
quale  maggiormente  restò  differita  per  la  morte  di  mon- 
signor Alfieri  allora  Vescovo  di  Fano  seguita  il  12  set- 
tembre del  1676,  ond' è  che  vedendo  queste  lunghezze 
alcuni  cittadini  di  Fano  supplicarono  il  Papa  a  volere 
concedere  questo  capitale  alla  Comunità  per  isgravarla 
dai  propri  debiti:  altri  per  fabbricare  il  porto;  ed  altri 
finalmente  ricorsero,  supplicando  Innocenzo  XI  acciò  con- 
cedesse almeno  i  frutti  del  medesimo  per  una  sol  volta 
a  beneficio  dei  poveri  della  città  angustiati  nel  1667 
dalla  fame  per  la  penuria  in  queir  anno  verificatasi;  ma 
il  Papa  non  dando  orecchio  a  queste  suppliche,  con  una 


DEL  NOB    COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  PANO         619 

negativa  chiuse  la  bocca  a  tutti  coloro  che  non  avreb- 
bero volentieri  veduto  aperto  il  Collegio. 

Davano  vita  a  cosifattc  contrarietà  quel  Rinolfo  Calassi 
che  si  era  composto  per  una  determinata  somma,  come 
si  è  detto,  ed  una  Caterina  Uffreducci  pronipote  ex  so- 
rore  di  Guido  Nolfi  alle  di  cui  facoltà  pretendeva  di 
essere  chiamata  ab  intestato;  ma  più  nella  speranza  di 
ottenere  anch'essa  una  somma  in  via  di  transazione. 

Intanto  preconizzato  nel  maggio  del  1678  a  questa 
sede  Vescovile  di  Fano  monsignor  Angelo  Ranuzzi  Ar- 
civescovo di  Damiata,  e  che  fu  poi  Cardinale,  e  preso  il 
possesso  della  sua  Chiesa,  stabilì  di  subito  aprire  il  Col- 
legio non  ostante  qualunque  ostacolo  gli  si  parasse  di- 
nanzi, onde  visitata  la  Casa  ereditaria  dei  Nolfì,  ordinò 
per  primo  che  si  modellasse  ad  uso  di  Collegio^  il  che 
fu  subito  fatto  senza  grande  alterazione  dei  muri  vecchi, 
e  col  disegno  del  signor  Francesco  Gasparoli  cittadino 
fanese. 

Una  difficoltà  grave  a  superarsi  era  quella  di  potere 
rinvenire  in  una  città  di  ristretto  animato  dodici  gio- 
vani nobili  che  avessero  la  età  fra  i  diciasette  e  dician- 
nove anni  prescritta  dal  Testatore,  difficoltà  che  non 
potendosi  superar  di  leggieri,  fu  supplicato  il  Papa  a 
dispensare  il  rigore  dell'età,  e  a  dichiarare  che  ancora 
i  Diocesani  fossero  capaci  di  essere  ammessi.  H  memo- 
riale fu  rimesso  alla  8.  Congregazione  del  Concilio  prò 
voto;  ed  in  questa  nuovaipente  comparve  a  con  tradire 
apertamente  quel  Rinolfo  Galassi  sotto  T  erroneo  pretesto 
che  non  dovesse  concedersi  tale  dispensa  in  pregiudizio 
dei  suoi  diritti  in  caso  del  non  adempimento  delle  oon- 


6^0  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO   E   FINE 

dizioni  (pretesto  che  veniva  contant'arte  da  lui  stesso  pro- 
mosso) e  citò  i  Superiori  del  Collegio,  perchè  appunto  in 
causa  di  tale  non  adempimento  delle  condizioni,  fosse  loro 
inibito  di  aprire  il  Collegio.  Essendosi  però  appianate 
tutte  le  difficoltà  in  favore  di  quest'  ultimo,  e  comparsi 
i  giovani  per  età  ed  altri  requisiti  capaci  ad  essere  am- 
messi, si  giudicò  non  essere  più  bisogno  della  sudetta 
dispensa;  e  però  il  nominato  Vescovo  Monsignore  Ranuzzi 
come  Superiore  del  Collegio,  e  come  Esecutore  delle  cause 
pie  con  atto  di  Cancelleria  in  data  28  giugno  1680 
dichiarò  aperto  il  Collegio,  e  diede  il  possesso  delle  cat- 
tedre ai  Lettori  che  per  questa  prima  volta  furono  i 
seguenti  : 

Piermaria  Amiani  Lettore  dell'Ordinario  canonico  con 
scudi  60. 

Camillo  Galantara  che  fu  poi  Prevosto  della  Catte- 
drale deir  Ordinario  civile  con  scudi  60« 

Francesco  Grasparoli  dell'Istituto  civile  con  scudi  54. 

P.  M/  Francesco  Antonio  Modesti  minor  conventuale 
di  Filosofia  con  scudi  20. 

Fracalossi  Dott  Ludovico  in  Medicina  con  scudi  54; 
e  questi   tutti   della  città  di  Fano,   tranne  il  ModestL 

Diede  ancora  il  possesso  ai  Collegiali  che  furono  per 
questa  prima  volta: 

H  Conte  Rodolfo  di  Montevecchio,  i  Conti  Federico 
ed  Ugo  di  Montevecchio,  Domenico  Amiani,  Innocenzo 
Torelli,  Fabrizio  Detterà,  Domenico  Felice  Gasparoli,  Lo- 
renzo Paoli,  Gio.  Battista  Foschi,  in  tutto  numero  nove. 

In  pari  tempo  vennero  interpellati  giuridicamente  i 
signori  Rinolfo  Gralassi  e  Giuseppe  Nolfi  a  dare  le  loro 


DEL  NOB.  COLLEGIO  KD  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        621 

nomine  di  complemento,  al  che  non  vollero  prestarsi  se 
non  dopo  un  lungo  tempo,  cioè  quando  videro  svanite 
tutte  le  loro  speranze  alla  successione  di  Ouido. 
I  primi  Superiori  poi  del  Collegio  furono: 

Monsignore  Auoelo  Rakuzzi  Vescovo  di  Fano. 

Padre  Gian  Battista  Brisighelli  Prevosto  dell'Oratorio  di 

S.  Filippo  Neri. 
Pier  Mabl^   Amiani  Decano  dei   Dottori  del   Consiglio. 

Datosi  in  tal  modo  principio  alle  letture  con  grande 
profìtto  de'  giovani  e  generale  applauso  della  Città  e  con- 
corso di  forastieri,  si  giudicò  bene  di  condurre  un  Let- 
tore di  Teologia  che  fu  il  P.  Tommaso  Legnani  Dome- 
nicano, e  sempre  più  crescendo  il  nome  del  Collegio,  si 
risolvè  di  stipendiare  un  Lettor  forastiero  che  dovesse 
pernottare  sempre  in  Collegio,  onde  nell'apertura  degli 
studi  fatta  nel  1683  venne  qui  chiamato  dall'Univer- 
sità di  Urbino  Carlo  Ortensio  Bemabei  gentiluomo  di 
quella  città  con  titolo  di  lettore  primario  di  Legge  civile, 
e  con  lo  stipendio  di  scudi  110  oltre  il  vitto. 

In  progresso  di  tempo,  mancati  quei  Collegiali,  e  non 
avendo  la  Città  un  competente  numero  di  giovani  ca- 
paci per  nascita  per  età  e  talenti  a  potere  ricoprire  i 
posti  vacanti,  supplicarono  i  Superiori  Papa  Innocenzo  XI 
a  permettere  che  si  potesse  concedere  il  luogo  anche  ai 
diocesani  in  difetto  di  quelli  della  Città,  quando  riunis- 
sero le  capacità  volute  per  essere  ammessi,  lochè  venne 
senz'altro  accordato  con  Breve  in  data  5  gennaio  1684. 

Venne  però  decretato  sotto  il  20  settembre  1685  che 
i  Convittori  forastieri  dovessero  pagare  al  Collegio  dieci 


622  SULLA   FONDAZIONE    PROGRESSO   E   FINE 

dobole  air  anno,  la  metà  delle  quali  al  loro  ingresso,  e 
V  altra  metà  dopo  i  primi  sei  mesi. 

E  ritornando  sulla  difficoltà  di  rinvenire  dodici  gio- 
vani nobili  0  di  civili  natali  in  questa  Città  aventi  i 
requisiti  voluti  dal  Fondatore,  mi  piace  di  fare  osservare, 
che  nel  1698  essendo  pieno  il  Collegio  tre  soli  e  non 
nobili  erano  della  Città,  gli  altri  tutti  erano  diocesani. 

Nel  .1714  poi  si  stabilì  di  aprire  nel  Collegio  stesso 
un  Convitto  senza  obbligo  ai  giovani  di  portare  V  abito 
prescritto  agli  alunni,  ma  che  dovessero  vestire  in  nero 
con  ferraiuolo  e  calzette  nere,  e  che  per  alimenti  doves- 
sero pagare  al  Collegio  scudi  cinquanta  romani  annui, 
senza  alcun  ribasso  nei  tempi  di  vacanze. 

Lo  stato  economico  poi  del  Collegio  in  quei  primordi 
era  il  seguente: 

La  Rev.  Fabbrica  di  S.  Pietro  teneva  in  pendenza 
dell'  apertura  del  Collegio  V  amministrazione  di  quei  luo- 
ghi di  Monte  lasciati  da  Guido  e  Vincenzo  Nolfi,  apog- 
giate solo  erano  le  ragioni  del  Collegio  ad  un  Procura- 
tore, e  questi  luoghi  o  cartelle  di  Credito  ascendevano 
a  numero  307,  75. 

Essendo  decorsi  più  anni  senza  che  si  potesse  aprire  il 
Collegio,  questi  capitali  crebbero  in  modo  da  giungere  alla 
cospicua  somma  di  scudi  cinquantamila  eccedenti  la  mente 
del  Testatore,  il  quale  aveva  fissato  a  scudi  trentamila  il 
capitale  per  la  fondazione  del  Collegio,  ond'  è  che  il  fi- 
scale della  S.  Congregazione  della  Fabbrica  pretese  che 
l'eccedenza  del  moltiplico  in  scudi  ventimila,  con  più  300 
luoghi  di  Monte  uniti  a  scudi  novecento  di  frutti  ine- 
satti, spettassero  all'amministrazione  di  quella  Fabbrica. 


DEL  NOB.  COLLEGIO  CD  UNIVERSITÀ  NOLKI  IN  FANO      623 

lDo1h*e  per  V  ÌDcuria  degli  agenti  ed  altre  cause  si  ve* 
rificò  che  i  Monti  del  Collegio  erano  sparsi,  e  di  molti 
non  si  conoscevano  ne  patenti  ne  alcuna  memoria. 

Le  ragioni  per  altro  del  Collegio  furono  rivendicate 
dal  molto  zelo  del  Vescovo  Ranuzzi,  però  non  senza  per- 
dite per  colpa  degli  agenti,  e  non  senza  diminuzione  di 
capitale  per  la  decadenza  di  credito  delle  cartelle,  per  cui 
si  cominciarono  a  ritirare  i  detti  luoghi  di  Monte  rive- 
stendone r  equivalente  in  fondi  rustici,  con  che  si  portò 
1'  entrata  del  Collegio  ad  una  media  di  scudi  mille  e 
quattrocento. 

Neir  anno  1723  si  stimò  opportuno  |)er  maggiore  or- 
namento dei  collegiali  di  chiamare  un  Lettore  di  Belle 
Lettere,  ciò  che  seguì  in  persona  del  Dottore  Ghedini  di 
Bologna. 

E  crescendo  sempre  più  la  fama  del  nostro  Collegio 
pel  numero  e  qualità  dei  Professori  insegnanti,  e  per  la 
buona  riuscita  degli  alunni,  i  quali  per  altro  dopo  cin- 
que anni  di  studio  dovevano  portarsi  in  una  Università 
dello  Stato  per  prendere  la  Laurea  sia  in  Medicina  sia 
in  Legge,  venne  a  nome  della  Città  supplicato  il  Ponte- 
ficee  Benedetto  XIII  a  volere  accordare  al  Collegio  la 
grazia  di  conferire  le  lauree  in  dette  due  facoltà,  lochè 
venne  assentito  con  Breve  che  porta  la  data  del  25  feb- 
braio 1729.  Eguali  pratiche  si  fecero  dai  Superiori  del 
Collegio  alla  corte  di  Vienna  all'oggetto  di  ottenere  il  me- 
desimo privilegio,  e  perchè  potessero  i  laureati  nel  Col- 
legio Fanese  esorcitare  liberamente  negli  Stati  Imperiali, 
ciò  che  venne  ampiamente  assentito  dall'Augustissimo 
Imperatore  Carlo  VI  con  suo  Diploma  in  data  23  giù- 


624  SULLA  FONDAZIONE   PROGRESSO    E   PINE 

gno   1731,  col  quale  accordava  facoltà  di  creare  Dottori 
in  tutte  le  scienze. 

Vennero  perciò  sulla  fronte  del  Collegio  innalzati 
nel  1732  gli  stemmi  Pontificio  e  Imperiale,  ed  inaugu- 
rata cosi  la  Università  Fanese,  decretandosi  che  i  Diplomi, 
di  cui  sopra,  dovessero  mandarsi  alle  stampe  e  pubblicarsi 
anche  in  luoghi  lontani.  Non  essendomi  però  mai  occorso 
di  vedere  alcuna  di  queste  stampe,  ritengo  che  tale  di- 
sposizione non  avesse  mai  il  suo  effetto. 

Continuerò  intanto  a  parlare,  in  via  cronologica,  dell'an- 
damento  e  delle  fasi  subite  dal  Collegio  sino  alla  totale  sua 
soppressione,  ed  in  ultimo  darò  un  breve  sunto  degli  atti 
riferibili  alla  gestione  Universitaria,  la  quale  ebbe  la  bre- 
ve durata  di  novantatre  anni,  cioè  sino  al  1824,  epoca  in 
cui  venne  soppressa  in  forza  della  Bolla  di  Leone  XII,  Quod 
Divina  Sapientia^  promulgata  in  quel  medesimo  anno. 

Monsignor  Giacomo  Beni  da  Gubbio  Vescovo  prema- 
roso  e  zelante,  venuto  nel  1733  a  questa  sede,  vedendo 
con  quanta  difficoltà  si  potevano  rinvenire  dodici  alunni 
di  nobile  e  civile  famiglia  fanese  o  diocesana  nei  limiti 
deir  età  prescritta  dal  Testatore,  ideò  d' ingrandire  il  fab- 
bricato del  Collegio  per  accogliervi  una  nuova  camerata 
detta  dei  piccoli,  al  quale  effetto  tenne  chiuso  il  Collegio 
per  anni  due  (1734-1735),  licenziando  tutti  gli  addetti 
al  medesimo,  onde  erogarne  le  economie  nella  fabbrica  che 
fu  portata  a  compimento  con  un  nuovo  braccio  di  fabbri- 
cato, per  dare  luogo  al  quale  con  Bolla  di  Clemente  XII 
primo  settembre  1738  fu  soppressa  la  Cura  di  S.  Andrea, 
che  con  i  suoi  beni  venne  unita  al  Collegio  Nolfi,  a  con- 
dizione che  si  stipendiasse  con  queir  aumento  un  Profes- 


DEL  NOB.  COLLEGIO  KD  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        625 

8ore  di  Teologia.  Aggiunse  quindi  al  Lettore  di  Eloquenza 
anche  quello  di  Umane  Lettere^  con  che  portò  un'  altra 
modificazione  agli  statuti  con  cui  erasi  fino  allora  gover- 
nato il  Collegio,  il  quale  accogliendo  nelle  sue  scuole  anco 
gli  stranieri,  fece  sì  che  queste  fossero  frequentate  dalla 
maggior  parte  dei  Cittadini. 

Aumentate  in  tal  modo  le  Cattedre,  insorsero  fra  i  Let- 
tori alcune  questioni  di  preminenza,  per  sopire  le  quali 
si  ricorse  allo  studio  di  Bologna,  che  stabilì  la  gradua- 
zione seguente: 

1.  Lettore  di  Sacra  Scrittura 

2.  „  della  Teologia  scolastica 

3.  ,)  di  Dogmatica 

4.  „  della  Storia  Ecclesiastica 

5.  „  di  Teologia  Morale 

6.  „  di  Jus  Canonico 

7.  „  di  Jus  Civile 

8.  „  di  Filosofia 

9.  „  di  Medicina 

10.  „        di  Matematica 

11.  ,)        di  Eloquenza 

12.  „        di  Grammatica. 

I  Lettori  però  non  furono  mai  in  quel  numero,  per  cui 
uno  stesso  individuo,  facendo  piii  lezioni,  poteva  eleggersi 
quel  luogo  che  più  gli  piaceva  nella  facoltà  che  insegnava, 
e  questi  Lettori  erano  obbligati  di  fare  ogni  anno  la  pro- 
fessione di    fede  coram  Episcopo  vel  Vicario  Generali. 

Vi  era  anche  un  Maestro  di  Lingua  Francese,  cosa  piut- 
tosta  rara  in  qnoi  tempi,  al  quale  si  passava  vitto  ed  al- 
loggio in  Collegio,  ed  un  meschino  stipendio. 


626  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO   E   FINE 

Progredirono  senza  notevoli  incidenti  gli  affari  del 
Collegio  sino  all'anno  1775  nel  quale  per  interni  disor- 
dini verificatisi  tanto  per  colpa  degl'  inservienti  che  degli 
alunni,  fu  momentaneamente  chiuso  il  Collegio,  licenziati 
alcuni  impiegati,  e  vietato  a  taluno  degli  alunni  stessi  di 
ritornarvi. 

Nel  1791  il  Consuperiore  Lelio  Rinalducci  fece  la  pro- 
posta di  sopprimere  per  un  determinato  tempo  il  Collegio, 
lasciando  solo  le  scuole  dell' Università,  e  ciò  allo  scopo 
di  avvantaggiare  gì'  interessi  materiali  del  Collegio  ed 
avere  alla  riapertura  giovani  fomiti  delle  qualità  volute 
dal  Testatore,  e  sopra  tutto  la  cittadinanza  fanese,  al  che 
si  era  per  forza  di  circostanze  derogato  in  gran  parte. 

Parve  però  che  questa  determinazione  nelle  circostanze 
di  allora  non  fosse  espediente,  e  potesse  essere  causa  di 
molto  malcontento  nella  Città,  per  cui  non  si  credette 
di  aderire  a  quella  proposta,  la  quale  poco  dopo  per  cir- 
costanze politiche  si  rese  inevitabile  come  si  vedrà  in 
seguito. 

Nel  1794  si  ordinarono  i  ritratti  di  alcune  persone  di 
alto  merito  che  avevano  ricevuto  l'educazione  in  questo 
Collegio,  fra  cui  quelli  di  Monsignor  Giuseppe  dei  Conti 
Beni  di  Gubbio  Vescovo,  di  Carpen  trasse,  e  Monsignor 
Giovanni  Lotrecchi  Vescovo  di  Todi  patrzio  fanese,  quali 
ritratti  fatti  a  spese  del  Collegio  dovessero  ritenersi  nelle 
camere  del  medesimo  a  perpetua  memoria. 

Nel  1796  essendo  stato  fatto  invito  dal  Pontefice  a  tutti 
i  suoi  sudditi,  e  specialmente  agli  Istituti  Pubblici  e  Luo- 
ghi pii  a£finchè  contribuissero-  alle  gravi  spese  occorribili 
pel  necessario  armamento  dello   Stato  contro  le  usurpa- 


DEL  NOB.  COLLEGIO   ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        627 

zioni  delle  Armate  Francesi  il  Collegio  contribuì  scudi 
cento  e  nel  seguito  una  somma  anche  maggiore. 

Nel  febbraio  dell'anno  susseguente  1797  sopravennero 
le  suddette  milizie  ed  occuparono  per  alloggi  il  Collegio, 
ond'  è  che  gli  alunni  di  proprio  moto  presi  da  timore  in- 
solito, senza  il  consenso  di  alcuno  dei  Superiori,  ed  anzi 
coir  espresso  divieto  fattone  loro,  abbandonarono  il  Col- 
legio, facendo  ritorno  alle  proprie  case. 

Fu  quindi  di  comune  consenso  determinato  che  restasse 
chiuso  il  Convitto  sino  al  nuovo  anno  scolastico,  e  che 
nel  frattanto  si  continuassero  le  lezioni  in  tutte  le  scuole, 
dandone  avviso  ai  rispettivi  Lettori. 

Fioriva  nella  Città  nostra  in  quei  tempi  per  opera  e 
zelo  di  Mons.  Scveroli  il  Seminario  Vescovile  detto  di 
S.  Carlo,  il  quale  aveva  posto  sede  nelle  Case  che  furono 
dei  Gesuiti,  locale  sotto  ogni  aspetto  amplissimo  e  como- 
dissimo, e  questo  Seminario  era  frequentato  dalla  mas- 
sima parte  della  nobiltà  cittadina  e  da  molti  estranei, 
e  da  esso  sortirono  nobilissimi  ingegni,  come  un  Giulio 
Perticari,  un  Cristoforo  Ferri,  un  Vincenzo  Mazza,  un 
Gio:  Battista  Spina,  sopra  dei  quali  com'  aquila  vola  un 
Michelangelo  Lanci  celebre  orientalista  ed  illustratore 
delle  Sacre  Scritture,  onore  e  decoro  della  Città  nostra 
in  cui  nacque,  oltre  a  tanti  altri  dottissimi  nelle  scienze 
profime  ed  ecclesiastiche  di  cui  troppo  lungo  sarebbe  il 
far  qui  la  enumerazione. 

In  vista  di  queste  favorevoli  circostanze,  surso  nella 
mente  del  Vescovo  la  infelice  idea  di  riunire  sotto  di 
un  solo  tetto  e  sotto  la  direziono  della  stessa  amministra- 
zione Seminario  e  Collegio:  il  perchè  dettò  un  memoriale 

Arthic.  Stirr,  March,   V.  /.  IO 


628  SULLA  FONDAZIONE  PROGRESSO  E  FINE 

da  presentarsi  all'  Hlmo  Magistrato  in  cui  venivano  espo- 
ste tutte  le  ragioni  che*  lo  inducevano  a  progettare  quella 
riunione.  ^  Questi  due  disgiunti  corpi,  (sono  parole  del 
memoriale)  sono  quelli  che  a  vantaggio  della  gioventù  si 
vorrebbero  riuniti  in  un  solo,  incorporando  le  rendite  del 
Collegio  a  quelle  del  Seminario  per  formare  di  ambedue 
una  rispettabile  amministrazione,  trasferendo  i  Convit- 
tori, la  Università,  le  Scuole  nella  Casa  del  Seminario,  la 
quale  è  assai  più  propria  e  più  atta  a  ridursi  ai  bisogni 
di  una  numerosa  comunità  e  scolaresca,  e  più  decorosa 
per  r  aderenza  di  un'  ampia  Chiesa,  ed  è  situata  in  aria 
più  salubre  che  quella  del  Collegio.  „ 

Avversarono  fieramente  gli  altri  Consuperiori  una  così 
fatta  proposta,  come  quella  che  tendeva  a  rovesciare  dalle 
fondamenta  V  istituzione  dei  Nolfi,  nel  modo  stesso  che 
nel  1732  avevano  avversato  quella  di  chiamare  alla  dire- 
zione del  Collegio  i  Chierici  Regolari  Somaschi.  Ricor- 
rendosi poi  al  Consiglio,  si  veniva  a  dare  a  questo  una 
ingerenza  che  non  aveva  negli  affari  del  Collegio,  il  quale 
era  sotto  la  immediata  dipendenza  dei  tre  Superiori  chia- 
mati dal  Fondatore. 

Il  ricorso  formulato  dal  Vescovo  era  altresì  appoggiato 
da  quattro  Consiglieri  comunali  eletti  dal  generale  Consi- 
glio per  gli  affari  del  Collegio,  contro  dei  quali  e  contro  lo 
stesso  Vescovo  fu  reclamato  in  Roma  al  Pontefice  il  quale 
rescrisse  che  ad  istanza  degli  stessi  Consiglieri  "  restava 
dichiarato  non  avere  più  luogo  V  impetrata  unione  del 
Collegio  col  Seminario,  né  finalmente  la  Visita  Apostolica 
sopra  lo  stesso  Collegio,  derogatone  qualunque  altro  re- 
scritto intorno  a  ciò  precedentemente  ottenuto.  ,, 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        629 

Partecipò  lo  stesso  Vescovo  in  Congregazione  il  detto 
Rescritto,  dicendo  "  avere  la  consolazione  che  finalmente 
fossero  troncate  tutte  le  questioni  e  dispiaceri  fra  il  Con- 
siglio e  lui  per  rapporto  al  detto  Collegio.  „ 

Si  disse  che  nel  febbraio  del  1797  i  Convittori  ab- 
bandonarono il  Collegio  e  non  vi  fecero  piti  ritomo,  per 
cui  questo ,  tanto  per  la  mancanza  di  essi  quanto  per 
forza  delle  politiche  circostanze,  restò  momentaneamente 
chiuso,  e  f  er  tre  anni  in  cui  durò  il  Repubblicano  Go- 
verno, cioò  fino  al  1 800,  vennero  insieme  sospese  le  le- 
zioni dei  Professori  ed  il  conferimento  delle  lauree.  La 
sospensione  per  altro  ebbe  pel  Convitto  la  lunga  durata 
di  ventidue  anni,  come  si  dirà  meglio  in  appresso. 

I  beni  furono  in  quei  tempi  eccezionali  venduti  o  ce- 
duti ai  Fornitori  delle  truppe  a  sicurezza  dei  loro  crediti, 
ma  poscia  rivendicati  da  questi  sedicenti  compratori  dal 
Governo  Papale,  seguita  appena  nel  1800  la  elezione  del 
nuovo  Pontefice  Pio  VII,  a  cui  fu  esposto  che  per  la 
chiusura  del  Convitto  non  potevano  essere  anullati  i  pri- 
vilegi della  Università  degli  Studi,  né  abrogati  i  diritti 
naturali  do'  Superiori,  per  cui  tolti  di  mezzo  gì'  impedi- 
monti,  dovevano  essi  riassumere  il  loro  esercizio,  e  ripri- 
stinarsi le  funzioni  dell'  Università  sopradetta. 

E  quantunque  dopo  la  prima  invasione  Francese  il  Col- 
legio non  fosse  ancora  tornato  al  libero  possesso  de'  suoi 
capitali  tuttora  in  amministrazione  di  Monsignor  Teso- 
riere Generale,  pure  vedendosi  derivare  da  una  più  lunga 
sospensione  dell'Università  un  grave  danno  alla  gioventù, 
fu  risoluto  di  ripristinare  nel  1800  le  Cattedre  di  Legge, 
di  Medicina,  della  Teologia  morale,  e  delle  Istituzioni  Ca- 


G30  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO    E   FINE 

noniche;  e  mancando  il  solito  luogo  delle  scuole  nel  C-ol- 
legio  per  la  ruina  del  fabbricato  che  aveva  sino  allora 
servito  di  caserma  e  di  alloggio  militare^  si  permise  che 
ciascun  Professore  tenesse  scuola  in  propria  casa  dando- 
sene con  la  campana  il  solito  segno. 

Per  le  scuole  secondarie  poi,  per  tutto  il  tempo  in  cui 
durò  r  Italico  Governo,  supplì  il  pubblico  Ginnasio  co- 
munale a  cui  si  corrisposero  dalle  rendite  del  Collegio 
oltre  lire  tre  mila  annue,  e  ciò  sino  al  1814  epoca  in 
cui  nel  medesimo  Collegio  vennero  ripristinate  tutte  le 
scuole,  con  più  un  maestro  per  il  disegno  sino  allora 
mancato. 

Sotto  il  20  marzo  poi  del  1802  furono  dalla  Camera 
Pontificia  restituiti  al  Collegio  tutti  i  suoi  beni  tenuti 
in  amministrazione  dal  Vescovo,  su  di  che  fu  rogato 
solenne  Istrumento,  e  si  fecero  tutti  gli  atti  posses- 
sori siccome  di  uso.  Questa  restituzione  per  altro  non 
fu  senza  dispendio,  perchè  air  atto  della  medesima  si 
dovè  sborsare  il  quarto  del  prezzo  ai  compratori  nazio- 
nali per  quella  parte  di  beni  che  erano  stati  da  essi 
legalmente  acquistati  in  tempo  del  Governo  Repub- 
blicano. 

In  tale  circostanza  si  ritirarono  le  carte  monetate 
del  Banco  di  S.  Spirito  le  quali  erano  state  ridotte .  ai 
due  quinti,  per  il  che  ebbe  il  Collegio  in  questa  parte 
a  soffrire  una  perdita  considerevole ,  che  aggiunta  a 
quelle  fatte  in  precedenza,  ne  diminuì  di  non  poco  le 
rendite. 

Ciò  non  ostante  essendo  stato  per  alcun  tempo  chiuso 
il  Convitto,  e  per  conseguenza  esonerata  ramministrazione 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFl  IN  FANO         631 

(lai  peso  del  mantenimento  degli  alunni,  potè  disporre  di 
alcuni  avanzi  con  cui  si  crearono  più  Censi  attivi. 

Ripristinato  nel  1814  il  Pontificio  Governo,  si  pensò 
seriamente  a  dare  vita  e  incremento  al  nostro  Istituto  col 
richiamare  gli  alunni  e  provvedere  tutte  le  Cattedre,  onde 
il  Collegio  e  la  Università  acquistassero  il  maggiore  lu- 
stro possibile,  e  fossero  ristorati  dei  danni  patiti  per  le 
trascorse  vicende. 

Furono  perciò  nel  1815  nominati  i  seguenti  Profes- 
sori titolari: 

Belle  lettere  ed  Eloquenza.  —  D.  Raffaele  Fran- 
colini coir  obbligo    di    dar   lezione    due 
volte  al  giorno  e  con  l'onorario  di  .     .    Se.  120 
Logica  e   Metafisica.  —  P.  M/  Pietro  Gatti 

Min.  Conv.  con „      30 

Matematica  e  Fisica.  —  P.  Luigi  Flamini  Min. 
Oss.  con  obbligo  di  dare  due  separate  le- 
zioni al  giorno  con ,,      50 

Istituzioni  Canoniche.  —  Ab.  Don  Francesco 

Vargas  con „      50 

Decretali.  —  Canonico  Nicolò  Bellini  con .  .  „  60 
Istituzioni  Civili.  —  Giuseppe  Lotrecchi  con  „  50 
Digesto.  —  Nicola  Portacasa  con  .  .  .  .  „  60 
Chimica  e  Farmacia.  —  Marco  Ricciarelli  con  „  30 
Anatomia.  —  Dottor  Giuseppe  Giorgi  Chirurgo 

primario  con „      30 

Medicina.  —  Dottor  Gio:  Battista  Simonetti  con     ,»      50 
Botanica  e  Storia    naturale.   —    Angelo  Pa- 
lazzi con «      50 


632  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO   E   FINE 

Teologia  dogmatica  e  scolastica.  —  Da  nomi- 

Darsi  con Se.  30 

ScrittutxL  sacra.  —  Da  nominarsi  con       .     .  „  30 

Teologia  morale.  —  Don  Andrea  Paoloni  con  „  20 

Sì  vede  da  queste  nomine  che  i  tempi  erano  giunti 
a  maggiore  altezza,  perchè  venne  provveduta  l'Univer- 
sità di  più  largo  insegnamento,  quantunque  sempre  ri- 
stretto per  lo  studio  specialmente  di  Medicina,  attesa  la 
imperfezione  del  Gabinetto  fisico  e  la  mancanza  di  un 
Orto  botanico,  indispensabili  per  bene  apprendere  quella 
scienza,  e  si  vede  altresì  che  T  amministrazione  poteva 
disporre  di  maggiori  mezzi  per  i  sopravvanzi  accumulati 
durante  la  chiusura  del  Convitto,  che  in  questi  anni  si 
verificarono  ascendere  a  scudi  mille  ottocento  trentasette, 
e  r  annua  entrata  giunse  a  scudi  mille  quattrocento  dieci. 

In  questo  stato  di  cose  piuttosto  favorevole  si  verificò 
per  parte  dell'  Economo  un  rilevante  deficit  di  cassa,  il 
quale  quantunque  venisse  nel  seguito  in  parte  riparato, 
ciò  non  ostante  produsse  uno  sbilancio,  il  quale  fece  de- 
terminare i  Superiori  del  Collegio  a  sospendere  l'elezione 
del  Lettore  delle  Pandette,  sopprimere  le  Lezioni  di  Storia 
ecclesiastica,  la  scuola  del  Disegno,  e  poco  provvidamente 
anche  le  lezioni  di  Chimica  e  Farmacia  troppo  neces- 
sarie all'  Università  per  gli  studi  di  Medicina  a  cui 
venivano  in  tal  modo  risecati  quei  valevoli  fondamenti. 

^  Ma  siccome  tutto  questo  (sono  parole  pronunciate 
nella  Congregazione  23  agosto  1819)  non  era  sufficiente 
pel  mantenimento  di  dodici  Alunni,  del  Rettore,  Prefetto, 
Cuoco  e  Cameriere,  onde  riordinare  il  Convitto  secondo  le 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        633 

disposizioni  del  pio  Fondatore,  così  i  signori  Consuperiori 
vennero  nella  saggia  determinazione  di  far  pagare  agli 
Alunni  Tannua  somma  di  scudi  trentasoi  di  dozzina,  men- 
tre a  conti  fatti,  oltre  gli  avvanzi  ed  il  risparmio  delle 
Cattedre,  abbisognava  di  alcune  centinaia  per  rimettere 
r  amministrazione  in  pareggio.  „ 

Portate  le  cose  a  tal  punto,  sgomberato  il  Collegio 
dagli  alloggi  militari,  ricuperati  in  gran  parte  i  mobili 
dispersi,  riportato  il  famoso  quadro  del  David  opera  di 
Domenico  Zampieri  detto  il  Domenichino  dal  Palazzo 
Municipale  al  Salone  Nolfi,  restaurate  le  camere  dei  Con- 
vittori, si  dichiarò  finalmente  riaperto  nel  novembre 
dell'anno  1819  il  nobile  Collegio  Nolfi  con  un  Prospetto 
in  cui  si  annunciava  che  oltre  i  dodici  giovani  alunni 
privilegiati  dal  Testatore,  il  Convitto  era  altresì  aperto  a 
tutti  coloro  che  avessero  voluto  approfittarne,  previo  il 
pagamento  di  una  determinata  pensione. 

Fu  perciò  stabilito  che  la  minore  età  /osse  di  anni 
quattordici  e  la  maggiore  di  anni  diciasette  per  gli  alun- 
ni, e  che  per  la  camerata  detta  dei  piccoli  si  potessero 
ricevere  compita  la  età  di  anni  dieci.  Nel  medesimo 
tempo  si  aprì  una  camerata  di  Convittori  estranei  con 
r  annua  pensione  di  scudi  scttantadue  per  dieci  mesi,  i 
quali  potevano  concorrere  da  qualunque  luogo. 

Nel  seguente  anno  1821  il  Collegio  vendette  sconsiglia- 
tamente per  scudi  duecentoventi  un  famoso  dipinto  del 
suddetto  Domenichino,  rivestendone  lo  importo  nella  com- 
pra di  un  fondo  rustico,  e  ciò  non  ostante  lo  espresso 
divieto  del  Testatore  il  quale  si  esprime  con  queste 
chiare  parole  :    *^   Idem  proibisco   sotto   strettissimo   ed 


634  SULLA   FONDAZIONE    PROGRESSO   E  FINE 

„  indissolubile  fidecommesso  che  il  quadro  della  Ma- 
„  donna  SSma  della  Rosa  di  mano  di  Domenichino  Zam- 
„  pieri  Bolognese  Pittore  Eccmo  non  possa  mai  essere 
„  levato  per  alcun  tempo  da  nessuno  dei  miei  eredi  dal 
„  luogo  dove  si  trova  ora  murato  nella  casa  mia  di  Fano.  „ 

Intanto  mentre  queste  cose  si  ordinavano  pel  migliore 
andamento  del  Collegio  e  della  Università,  sopraggiunse 
Tanno  1824  in  cui  venne  pubblicata  la  notissima  Bolla  di 
Leone  XH  Quod  Divina  Sapientia,  con  che  veniva,  per 
mancanza  dei  necessari  requisiti,  tolto  il  diritto  alla  nostra 
Università  di  conferire  le  Lauree  ed  altri  gradi  acca- 
demici. 

Si  fecero  immediatamente  pratiche  in  Roma  per  man- 
tenere illesi  questi  diritti,  e  si  rimisero  al  Segretario  della 
Congregazione  sugli  Studi  il  Chirogafo  di  Benedetto  XIEE 
il  Breve  di  Benedetto  XIV  ed  il  Diploma  Cesareo  con 
una  ragionata  memoria  sullo  stato  del  Collegio  unitamente 
al  rescritto  favorevole  di  Pio  VII  ottenuto  nel  1816 
confermante  simili  privilegi,  ma  tutto  inutilmente;  per  cui 
restò  irrevocabilmente  soppressa  la  nostra  Università,  la 
quale  aveva  durato  per  lo  spazio  di  anni  novantatrè. 

Continuò  non  ostante  l'andamento  ordinario  delle  scuole 
e  r  ammissione  dei  Convittori  sino  all'anno  1831,  in  cui 
per  disposizione  del  Vescovo  Mons.  Serarcangeli  non  fu- 
rono ripristinate  quelle  di  Umanità  e  di  Rettorica  or- 
dinando :  "  che  li  Collegiali  ed  altri  che  frequentavano 
quelle  scuole  dovessero  andare  a  quelle  dei  PP.  della 
Compagnia  di  Gesii,  „  la  quale  sino  dal  1816  aveva  ria- 
perto la  propria  Casa,  e  faceva  concorrenza  al  Collegio 
Nolfi.  Appoggiò  il  Vescovo  questa  risoluzione  ad  una  let- 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFl  IN  FANO        635 

tera  del  Card.  Zurla  Prefetto  della  CongregazioDe  degli 
Studi  così  concepita:  "  Il  desiderio  di  vedere  le  cose  di  que- 
sto Collegio  riordinate  con  reciproca  soddisfazione  di  V.  S. 
Illma  6  dei  Consuperiori,  ha  fatto  si  che  io  abbia  letto 
la  particola  di  fondazione  e  i  due  Brevi  di  Urbano  Vili 
e  Clemente  X  per  la  erezione  del  Collegio  medesimo,  ed 
ho  potuto  conoscere  che  le  scuole  di  Umanità  e  di  Ret- 
torica  non  hanno  luogo  in  detto  Collegio,  ma  solamente 
le  scuole  di  Legge  e  di  Medicina.  Sarebbe  dunque  contro 
r  espressissima  mente  del  Testatore  il  volere  dentro  il 
Collegio  ed  a  spese  del  Collegio  le  scuole  di  Umanità  e 
di  Rettorica,  supponendo  sempre  che  ninna  posteriore  de- 
roga Pontificia  abbia  fatto  alcuna  innovazione  circa  la 
mente  del  Fondatore. 

„  Pertanto  pregherei  V.  S.  Illma  a  chiamare  presso  di 
sé  i  due  Consuperiori  e  far  loro  conoscere  il  mio  deside- 
rio di  mettersi  in  piena  intelligenza  fra  di  loro  relati- 
vamente alle  suddette  due  scuole,  e  voglio  sperare  che  in 
vista  delle  cose  sudette  riconosceranno  utile  e  prudente 
la  determinazione  di  mandare  i  giovani  alle  scuole  dei 
Gesuiti,  n 

Senritor  vero 
P.  Card.  ZURLA 

Erano  troppo  chiare  ed  evidenti  le  intenzioni  di  Roma 
secondate  dal  Vescovo  inasprito  da  qualche  disordine  a 
cui  era  andato  soggetto  il  Convitto,  forse  per  il  troppo 
rigore  delle  leggi  portate  dal  Prospetto  sopracitato;  per 
il  che  divulgatesi  quelle  prescrizioni,  corse  voce  che  si 
chiudesso  il  Convitto.  Soppressi  di  fatto  quei  due  inse- 
gnamenti, la  maggior  parte  dei  Convittori  tornò  alle  prò- 


636  SULLA    FONDAZIONE   PROGRESSO   E   FINE 

prie  case,  senza  che  niuno  mai  più  si  presentasse  per 
coprire  i  posti  vacanti. 

È  in  seguito  a  ciò  che  il  Convitto  stesso  restò  in  detto 
anno  1833  chiuso,  con  speranza  però  di  riaprirsi  quando 
le  condizioni  economiche  avessero  permesso  di  mante- 
nere i  giovani  gratuitamente  a  norma  della  pia  mente 
del  Testatore,  lo  che  non  mai  verificossi  nel  seguito. 

Continuarono  però  le  scuole  superiori  di  Filosofia,  di 
Leggi,  di  Teologia,  di  Morale,  e  Medicina  destinate  a  por- 
tare i  giovani  al  compimento  di  detti  studi  ed  al  con- 
seguimento delle  Lauree  in  altre  Università  dello  Stato, 
e  ciò  sino  a  tutto  l'anno  1841  in  cui  per  disposizione 
della  S.  Congregazione  degli  Studi  venne  soppressa  la 
Cattedra  di  Medicina,  perchè  riconosciuta  contraria  alle 
prescrizioni  della  Bolla  Leonina.  E  quantunque  i  Con- 
superiori si  adoperassero  attivamente  per  conservarla  in 
vista  che  questa  Cattedra  era  espressamente  voluta  dal 
Testatore,  non  fu  possibile  di  sostenerla,  per  cui  si  do- 
vette dimettere  il  titolare. 

E  premendo  sempre  più  a  Roma  che  la  direzione 
delle  scuole  e  lo  insegnamento  fosse  affidato  ai  PP. 
della  Compagnia  di  Gesù,  in  mano  dei  quali  già  si  tro- 
vava in  massima  parte,  il  Cardinale  Prefetto  della  Sa- 
cra Congregazione  degli  Studi  fece  conoscere  che  un 
Cittadino  fanese  si  era  preso  lo  incarico  di  presentare 
un  piano  relativo  alla  riapertura  del  Collegio  Nolfi  di 
questa  Città,  col  quale  si  proponeva  di  affidare  il  Con- 
vitto alla  direzione  di  essi  Padri,  rilasciato  ai  Consupe- 
riori il  diritto  di .  amministrazione  del  Patrimonio  Nolfi, 
e  le  nomine  dei  giovani  ai  posti  di  grazia. 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  KOLFl  IN  FANO        637 

Era  troppo  grave  la  proposta  perchè  potesse  venire 
discussa  in  una  sola  Congregazione,  senza  che  prima  cor- 
ressero particolari  intelligenze  fra  i  Consuperiori  del  Col- 
legio, ciascuno  dei  quali  si  propose  di  presentare  un  voto 
in  iscritto. 

Respinsero  il  Vescovo  ed  il  Proposto  dell'  Oratorio 
con  lunghi  scritti  e  competenti  ragioni  la  proposta  della 
Congregazione  Romana  sopra  gli  studi,  con  la  quale  ve- 
niva scossa  dai  fondamenti  la  istituzione  Nolfi,  e  veni- 
vano essi  Consuperiori  ridotti  al  nulla  e  messi  come  suol 
dirsi  a  sedere,  perchè  avrebbero  ipso  facto  perduto  ogni 
influenza  e  giurisdizione  sugli  alunni,  sui  Rettori,  sopra 
i  Maestri  ed  altri  addetti  al  Collegio,  influenza  e  giu- 
risdizione a  cui  non  potevano  rinunciare. 

Fu  più  diffuso  il  Proposto  dell'  Oratorio  nell'  avver- 
sare e  combattere  l' autorevole  consiglio  della  predetta 
Congregazione  degli  Studi,  perchè  lo  fece  in  dieci  arti- 
coli corroborati  dalle  migliori  ragioni  che  gli  furono  sug- 
gerite dalla  imponenza  del  caso. 

Il  solo  Cav.  Leonardo  Castracane  che  fu  l'ultimo  a 
presentare  le  sue  conclusioni  dopo  di  avere  Ietto  quelle 
degli  altri  due  Consuperiori  si  mostrò  favorevole  all'  ac- 
cettazione di  quel  progetto,  esprìmendosi  nel  breve  suo 
scritto  che  ^  tutto  mi  sembra  portare  a  concludere  di 
doversi  accettare  l' insinuazione  della  S.  Congregazione, 
rendendolene  anzi  grazie  come  di  grande  favore,  se  non 
anche  invocare  (scrive  al  Proposto  dell'  Oratorio)  un  suo 
rispettoso  officio  al  Rmo.  P.  Superior  Generale  della  Com- 
pagnia di  Gesù  di  aderire  ad  assumere  questa  impresa 
sì  coerente  al  fine  del  suo  santo  Istituto.  „ 


638  SULLA  fondazione:  progresso  e  fine 

Questa  adesione  del  Consuperiore  laico  a  fronte  dei 
ragionati  scritti  del  Vescovo  e  del  Proposto  dell'Orato- 
rio, fece  nascere  il  sospetto  che  il  lodato  Cav.  Castracane 
fosse  l'autore  del  progetto,  ossia  quel  medesimo  cittadino 
fanese  che  aveva  suggerito  il  nuovo  piano  alla  Congre- 
gazione degli  Studi,  per  cui  molto  si  raflfredarono  le  ade- 
renze fra  essi  Consuperiori,  e  spedite  le  loro  repliche 
a  chi  di  ragione,  non  se  ne  fece  più  fra  essi  parola,  né 
tampoco  ebbe  mai  vita  Y  indicato  progetto,  anzi  corsero 
due  anni  dal  novembre  1842  al  31  ottobre  1844  senza 
che  si  adunassero  nuovamente  in  Congregazione.  Nel 
decembre  poi  dell'anno  1847  cessò  di  vivere  il  lodato 
Cav.  Castracane,  e  questi  fu  V  ultimo  dei  Consuperiorì 
laici  del  Collegio  Nolfi  di  primitiva  erezione. 

Dico  V  ultimo  perchè  realmente  il  Convitto  restò  chiuso 
nel  1833  cioè  dopo  centocinquantatre  anni  di  vita,  e  non 
venne  più  riaperto,  quantunque  continuasse  l'ammissione 
dei  giovani  alle  scuole  superiori,  fino  all'anno  1850  in 
cui  con  Decreto  della  S.  Congregazione  degli  Studi  san- 
zionato dal  Pontefice  Pio  IX,  per  lo  zelo  e  impegno  del 
Vescovo  Carsidoni  e  premure  del  Municipio  che  vi  portò 
le  sue  scuole  elementari,  venne  il  Collegio  riformato  col 
titolo  di  nuovo  Liceo  Nolfiano  con  quattordici  Cattedre, 
e  con  tutte  le  altre  che  erano  state  sino  a  quel  tempo  in 
vigore,  meno  quella  di  Medicina. 

Le  intenzioni  dello  istitutore  Guido  Nolfi  e  del  suo 
figlio  adottivo  Vincenzo  Galassi  erano  state  savissime 
e  lodevolissime;  per  altro  non  era  a  dissimularsi  che 
dodici  giovani  Convittori  non  minori  di  anni  diciasette 
e  non  maggiori  di  diciannove  e  più  di  nobile  condizione 


DEL  NOB*  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        639 

non  erano  cosi  facili  a  ritrovarsi  in  una  città  di  ristretto 
animato,  per  cui  se  si  volle  vedere  popolato  il  Collegio 
col  prescritto  numero  di  alunni ,  bisognò  quasi  subito 
derogare  alle  leggi  dell'  età  e  della  condizione,  e  si  do- 
vettero ricevere  alunni  diocesani  che  frequentarono  in 
massima  parte  il  Collegio.  Oltre  a  ciò  V  età  vigorosa  di 
essi  giovani  li  rese  più  volte  inobbedienti  alle  leggi  di- 
sciplinari del  Collegio  stesso,  per  cui  si  dovettero  deplo- 
rare molti  inconvenienti,  ed  alla  circostanza  si  dovettero 
licenziare  quegli  alunni  che  avevano  maggiormente  de- 
meritato. 

Ciò  non  ostante  è  cosa  indubitata  che  molte  famiglie 
nobili  e  cittadine  si  chiamarono  ben  contente  delle  lar- 
ghe beneficenze  dei  Nolfi,  perchè  videro  sortire  da  quel- 
l'Istituto, Medici  che  andati  a  perfezionarsi  nelle  Univer- 
sità primarie  dello  Stato  salirono  in  bella  fama,  Legali  di 
molto  senno,  e  sopratutto  uomini  eminenti  nella  Teologia 
e  nelle  Scienze  ecclesiastiche,  le  quali  non  avendo  biso- 
gno come  nella  Medicina  di  sussidi  straordinari,  ebbero 
campo  di  perfezionare  qui  i  loro  studi. 

Durò  il  nuovo  Liceo  Nolfi  sino  all'anno  1860  in  cui 
cambiati  gli  ordinamenti  politici  dell'  Italia,  e  soppressi 
i  Gesuiti,  che  qui  avevano  aperto  un  Convitto,  venne  il 
loro  pingue  patrimonio,  per  Decreto  del  Regio  Commissa- 
rio Valerio  in  data  6  novembre  di  quel  medesimo  anno 
donato  al  Municipio  per  la  fondazione  di  un  Collegio- 
Convitto  Nazionale  e  di  un  Istituto  scolastico,  i  quali 
aperti  nelle  case  stesse  che  furono  dei  Gesuiti  ampliate 
e  rese  capaci  di  contenerli,  formano  oggi  il  decoro  e 
r  utile  della  Città  nostra,  la  quale  tolti  gì'  insegnamenti 


640  SULLA  FONDAZIONE   PROGRESSO   E  FINE 

universitari  vede  frequentato  il  Convitto  da  centotrenta 
giovani  alunni,  e  le  Scuole  Tecniche,  Ginnasiali  e  Li- 
ceali pareggiate  alle  regie,  da  un  buon  numero  di  fora- 
stieri  che  vi  convengono  anche  da  lontani  paesi. 

Non  posso  lasciare  quest'articolo  che  tratta  di  una 
così  segnalata  beneficenza  del  Nolfi,  senza  dare  un  breve 
cenno  della  famosa  Cappella  Gentilizia  da  lui  eretta  nella 
Cattedrale,  e  rimasta  proprietà  del  Collegio,  decorata  di 
marmi  di  stucchi  e  di  dorature  con  sedici  affreschi  del 
celebre  pennello  del  Domenichino,  storicamente  ed  arti- 
sticamente illustrati  per  opera  di  Mons.  Celestino  Ma- 
setti  con  un'elegante  discorso  (sono  parole  del  citato 
Stefano  Ternani  Amiani)  fatto  di  pubblica  ragione  nel- 
V Album  Giornale  di  Ronda  insino  dal  1840.  —  Questa 
Cappella  dotata  di  rendite  speciali  pel  suo  mantenimento 
ed  officiatura,  trovasi  da  lungo  tempo  trascurata  e  ca- 
duta in  grande  deperimento:  il  perchè  faccio  voti  che 
per  onore  della  Città  nostra  con  le  rendite  del  Collegio 
si  provveda  al  restauro  di  quei  capo-lavori  di  arte  che 
formano  tuttora  V  ammirazione  degl'  intelligenti,  ritor- 
nandola possibilmente  al  primitivo  splendore. 

Nel  1709  essendo  qui  di  passaggio  un  Professore  di 
cui  non  si  sa  il  nome  venne  al  medesimo  commesso  non 
sappiamo  con  quale  successo  il  restauro  degli  stucchi  e 
la  ripulitura  degli  ori  e  degli  affreschi  di  detta  Cappella, 
lo  che  importò  una  spesa  non  lieve. 

Nel  1749  essendo  andato  a  fuoco  il  Coro  della  Cat- 
tedrale, il  denso  fumo  ottenebrò  notabilmente  i  sudetti 
affreschi  e  così  quei  restauri  andarono  nuovamente  perduti. 


ì 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        611 

Ebbe  pure  il  Collegio  una  Biblioteca  la  quale  molto 
manomessa  nelle  passate  vicende,  venne  nel  1865  riu- 
nita alla  Comunale  Federiciana. 

I  Consuperiori  i  quali  funzionarono  durante  i  cento 
cinquantatre  anni  in  cui  ebbe  vita  il  Collegio  e  Convitto 
Nolfi  furono  i  seguenti: 

Vescovi 

Monsignor  Angelo  Ranuzzi  che  fu  poi  Cardinale 

j^  Taddeo  del  Verme         idem 

„  Gio.  Battista  Giberti 

„  Alessandro  Dolfi 

„  GucoMO  Beni 

„  Gio.  Battista  Orsi 

„  Pellegrino  Consalvi 

„  Gab.  Antonio  Severoli 

„  Francesco  M.  Paolucci 

„  Nicola  Serarcangeli 

„  Luigi  Carsidoni. 

Proposti  dell'  Oratorio 

Padre  Gio.  Battista  Brisigrelli 

„  Ottavio  Orlano 

„  Glicomo  Ligi 

„  Giuseppe  Uliassi 

„  Domenico  Federici 

„  Lodovico  Manzoni 

„  Domenico  Roberti 
Pietro  Ocelli 


612  SULL\   FONDAZIONB   PROGRESSO   E   FINE 

Padre  Andrea  Fanelli 

„  Domenico  Martirelli 

„  Michele  Bibiena 

„  Giuseppe  Paolucci 

„  Giuseppe  Carancini 

„  Serafino  Pastori 

„  glosafatte  mannelli 

Dottori  anziani  del  Consiglio 

Signor  Pietro  Maria  Amiani 

„  Francesco  M.  Sabbatini 

„  Cav.  Lodovico  Marcolini 

„  Antonio  Arnolfi 

„  Pompeo  Zagarelli 

„  Giuseppe  Dionigi 

^  Gap.  Antonio  Leonardi 

„  Mario  Mariotti 

„  Giovanni  De  Cuppis 

„  Gap,  Gabriele  Galantara 

„  Gap.  Alessandro  Pili 

„  CoMM.  Francesco  Borgogelli 

„  Andrea  Gabrielli 

„  Lelio  Rinalducci  -  seniore 

„  Cav.  Francesco  Mariotti 

„  Luigi  Bracci 

„  Domenico  Palazzi 

„  Cav.  Francesco  Bertozzi 

„  Cav.  Leonardo  Castracane 

y,  Cav.  Michelangelo  Borgogelli  pel  nuovo 
ordinamento  scolastico. 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFl  IN  FANO        6Ì3 

Premessi  questi  brevi  cenni  cronologici  raccolti  ed 
esposti  nel  miglior  modo  che  mi  è  stato  permesso,  pas- 
serò a  dire  della  Università,  del  suo  ordinamento  dei 
suoi  difetti,  e  citerò  i  nomi  di  quelli  che  vi  consegui- 
rono gli  onori  accademici,  i  quali  potranno  tornare  gra- 
diti a  quelle  famiglie  cittadine  ed  estranee  che  si  sti- 
meranno onorate  di  vedere  registrati  i  loro  casati  su 
queste  pagine,  destinate  a  perpetuare  per  quanto  sarà 
possibile  la  memoria  di  una  Istituzione,  che  quantunque 
distrutta  dalle  vicende  dei  tempi  e  presentata  in  seguito 
sotto  altri  aspetti,  serba  pur  tuttavia  integro  l'antico 
suo  patrimonio  diretto  al  medesimo  scopo  dell'Istruzione 
pubblica  cambiata  la  denominazione  di  Nobile  Collegio 
in  quella  di  Liceo  Nolfi. 


Arckiv,  Sior,  March,  V.  /.  41 


NOTA 


Portata  a  compimento  la  impressione  di  questa  prima  parte,  sono 
apparsi  stampati  ia  Fano  nel  1732  per  Gaetano  Fanei.!.!  i  Diplomi 
Pontificio  e  Imperiale  di  cui  a  pag.  14,  per  il  che  cessa  il  dubbio  in 
quella  esternato  sulla  seguita  loro  pubblicazione. 


DELL'  UNIVERSITÀ 


DATA    E    PINE    DI    QUESTO    PRIVILEGIO 


PARTE  IL' 


Seguita  nell'anno  1680,  cioè  a  dire  dopo  decorsi 
cinqnantasette  anni  dalla  morte  del  suo  fondatore  Orino 
NoLFi  r  apertura  del  Collegio- Convitto  nel  quale  si  do- 
vevano mantenere  a  sue  spese  per  cinque  anni  dodici 
giovani  alunni,  otto  dei  quali  dovessero  applicarsi  allo 
studio  delle  Leggi  civili  e  canoniche,  e  quattro  alla 
Medicina,  e  fiorendo  in  quei  primordi  il  Convitto  tanto 
per  la  buona  disposizione  dei  giovani  chiamati  a  godere 
di  questo  beneficio,  quanto  per  la  valentìa  dei  Professori 
proposti  ad  insegnar  quelle  scienze,  si  sentì  tosto  il  biso- 
gno di  offerire  alla  Città  ed  ai  concorrenti  a  quel  ge- 
nere di  studi  un  vantaggio  anche  maofgiore,  ottenendo 
la  facoltà  di  potere  tanto  nelle  predette  discipline  quanto 
nelle  Filosofiche  e  Teologiche  conferire  le  Lauree  dopo 
terminato  quel  corso   legale  di  cinque  anni  che  intra- 


646  SULLA  FONDAZIONE   PROGRESSO   E    FINE 

prendevano  giovani  già  licenziati  negli  altri  studi,  senza 
avere  la  spesa  ed  il  fastidio  di  portarsi,  per  ottenere  quel 
grado  che  poneva  il  suggello  al  loro  tirocinio,  in  altre 
Università  dello  Stato  e  d' Italia. 

Abbiamo  già  sopra  citato  il  Breve  Pontificio,  ed  il 
Diploma  Imperiale  in  forza  dei  quali  si  acquistò  la  fa- 
coltà di  conferire  le  Lauree,  ed  abbiamo  detto  altresì 
che  sulla  fronte  del  Collegio  s' innalzarono  nel  1732  gli 
stemmi  di  quei  Regnanti. 

Amplissime  e  senza  alcun  limite  furono  le  concessioni 
sovrane  che  pareggiavano  la  Università  nostra  a  qualun- 
que altra  d' Italia.  Dice  il  Chirografo  di  Benedetto  XIII 
che  ^  si  concedeva  agli  Amministratori  di  detto  Collegio 
plenaria  ed  assoluta  facoltà  di  creare,  promuovere  e  so- 
lennemente ordinare  e  dichiarare  Dottori  tutti  quei  stu- 
denti di  qualunque  nazione  si  fossero,  che  ivi  concor- 
reranno per  essere  dottorati  tanto  in  Legge  civile  e 
canonica,  quanto  in  Teologia,  Filosofia,  Medicina  ed 
altre  scienze,  che  nell'  esame  saranno  riconosciuti  idonei, 
ordinando  siccome  ordiniamo  che  tutti  quelli  che  saranno 
stati  approvati  e  dottorati  in  detto  Collegio  s' abbiano 
e  reputino  validamente  e  legittimamente  creati,  e  come 
tali  debbano  liberamente  godere  di  tutti  quei  privilegi, 
insegne,  grazie,  favori  ed  indulti  che  godono  tutti  gli 
altri  Dottori  approvati  e  creati  nei  Collegi  ed  Univer- 
sità di  Bologna  Padova  Macerata,  e  di  qualunque  altro 
studio  generale  d' Italia.  „ 

Confermò  tutti  questi  medesimi  privilegi  concessi  al 
Collegio  Nolfi  Benedetto  XIV  con  suo  Chirografo  in 
data  2  giugno  1741. 


DEL  NOD.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        6i7 

Similmente  l'austriaco  Imperatore  Carlo  VI  per  sua  mu- 
nificenza e  por  onore  del  Collegio  e  della  Città  accordava 
al  medesimo  tutti  quei  diritti  e  privilegi  di  cui  gode- 
vano i  Ginnasi,  le  Accademie,  e  le  Università  con  tutte  le 
persone  che  al  presente  vi  si  trovavano  e  quelle  che  vi  si 
sarebbero  in  avvenire  trovate;  e  questi  diritti  e  preroga- 
tive non  erano  inferiori  a  quelle  che  godevano  altre  Uni- 
versità Ginnasi  e  Collegi  sia  d' Italia  sia  di  qualunque 
altra  parte  del  mondo,  quibus  aliae  Universitates,  Gym- 
nasia  et  Collegia  Accademica,  eorunque  membra  in  Italia 
vel  iibivis  terrarum  tUuntur  fruuntur  potiuntur  gaudent 
ecc.  Aggiungeva  poi  in  detto  Diploma  *^  vogliamo  e  de- 
cretiamo con  la  presente  (mi  servo  dell'  idioma  italiano) 
che  gli  scolari  e  gli  uditori  e  quelli  che  ivi  occupano  un 
grado  qualunque,  godano  e  vadano  al  possesso,  e  possano 
ovunque  godere  e  andare  al  possesso  di  tutte  le  grazie, 
onori  e  dignità,  preminenze,  immunità,  privilegi  e  libe- 
ralità, concessioni,  favori  ed  indulti  di  cui  si  concede  il 
possesso,  l'uso  ed  il  godimento  in  qualunque  altro  studio 
generale  ed  Università  di  Germania,  d' Italia  di  Spagna 
e  di  Francia.  „ 

Con  queste  felici  condizioni  si  inaugurava  la  nascente 
Università  per  la  quale  si  stabilirono  norme  e  regola- 
menti conformi  a  quelli  che  erano  in  uso  in  altri  con- 
simili Istituti  scientifici. 

E  primieramente  si  passò  alla  nomina  dei  Dottori  di 
Collegio  i  quali  dovevano  come  giudici  presiedere  al  con- 
ferimento dei  gradi,  e  furono  por  questa  prima  volta 
nominati  : 


6Ì8  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO   E  FINE 


PEB  LA  L£€H>E  CIVILE  E  CANONICA 

Don  Gaspare  Santoni  Lettore  d'  Ordinario  civile 

Don  Gioacchino  Acqualagna  Lettore  di  Canonica 

Dott.  Giacomo  Pandini  Lettore  d'Istituto  civile 

Canonico  Pietro  Bartoli 

Canonico  Saverio  Santoni 

Conte  Pietro  Paolo  Marcolini 

Cav.  Pietro  Paolo  Carrara 

Giuliano  Bracci 

Giuseppe  Gasparoli 

Pietro  M.  Amiani 

Angelo  Fraccalossi 

Gaetano  Torri 

Gio.  Battista  Campagnoli 

Canonico  Andrea  Gasparoli 

FILOSOFIA    E    TEOLOGIA 

Conte  Bali  Pietro  Paolo  Marcolini 
Canonico  Gioacchino  Acqualagna 

Padre  M/  Gaetano  Risi 

„  Angelo  Peruzzini 

„  Tommaso  M.*  Todoni 

^  Lorenzo  Tommasini 

„  Antonio  M.*  Aurenghi 

„  Domenico  Carini 

„  Giuseppe  Fatterelli 

.  Rocca  min.  osservante. 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFl  IN  FANO        6i9 


MEDICINA 

Dottor  Giammateo  Foschi 

^  Angelo  Pizzi 

„  Francesco  Felice  Monticelli 

„  Nicolò  Bellini 

„  Francesco  Pandini 

^  Giuseppe  Gaggi 

^  Francesco  Masetti 

y,  Antonio  Santi 

Nel  1753  fu  risoluto  che  il  numero  dei  Dottori  com- 
ponenti il  Collegio  dei  Giuristi  non  dovesse  oltrepassare 
quello  di  ventiquattro,  non  compresi  in  esso  numero  i 
Dottori  che  attualmente  lef^-gono,  né  il  Rettore  prò  iem- 
porCj  quante  volte  fosse  Dottore,  e  che  la  detta  deter- 
minazione di  numero  dovesse  osservarsi  per  il  Collegio 
dei  Teologi,  Filosofi,  Medici  ecc.  i  quali  insieme  com- 
ponevano un  solo  corpo,  ne  potersi  i  nuovi  aggregati 
imbussolare  per  l' estrazione  di  Priori  e  Compromotori, 
se  non  dopo  spirati  anni  tre  dal  giorno  della  loro  ag- 
gregazione. Nel  1787  il  numero  dei  Dottori  per  ciascun 
Collegio  fu  ridotto  a  quindici. 

In  ciascuno  di  questi  Collegi  si  faceva  in  ogni  anno 
l' estrazione  di  un  Priore  che  copriva  V  ufficio  di  Pre- 
sidente. 

Di  duo  Compromotori,  che  erano  quelli  i  quali  prò** 
sentavano  i  giovani  che  aspiravano  al  dottorato. 

Di  due  Esaminatori  che  erano  quelli  che  giudicavano 
della  loro  capacità  ad  ottenere  la  Laurea,  e  ciò  dopo  un 


650  SULLA   FONDAZIONE   PROGRESSO  E  FINE 

coscienzioso  esame  fatto  sulle   materie  per  le  quali  ve- 
niva dallo  studente  richiesta. 

Nel  1793  fu  pure  decretata  la  Laurea  ad  honoreìn 
come  si  usava  nelle  altre  Università,  la  quale  si  confe- 
riva a  quelli  soltanto  che  avessero  vittoriosamente  so- 
stenuto un'  esame  più  rigoroso  del  solito. 

Fu  anche  stsibilito  il  Rituale  e  le  formalità  da  osser- 
varsi nel  dare  le  Lauree  che  in  ristretto  furono  le  se- 
guenti : 

L'aspirante  si  eleggeva  nel  seno  del  Collegio  un 
Promotore  da  cui  veniva  presentato  ai  Consuperiori  ed 
al  Priore  del  suo  Collegio. 

Faceva  la  professione  di  Fede,  e  riceveva  per  estra- 
zione fatta  a  sorte  i  punti  di  quella  facoltà  in  cui  de- 
siderava di  essere  licenziato,  e  depositava  in  mani  del 
Bidello  la  somma  destinata  al  pagamento  delle  tasse. 

Subiva  quindi  un'  esame  privato  dai  due  Esaminatori 
a  ciò  deputati. 

Nel  giorno  stabilito  era  introdotto  nell'  aula  magna 
del  Collegio  dove  si  trovavano  i  Consuperiori  assisi 
nelle  loro  sedie  a  cui  faceva  la  debita  riverenza. 

Faceva  quindi  la  spiegazione  e  dichiarazione  dei  punti 
ricevuti  nel  giorno  innanzi,  e  rispondeva  alle  argomen- 
tazioni prò  e  contro  che  gli  venivano  fatte  dai  Dottori 
di  Collegio. 

Dopo  di  ciò  il  laureando  si  ritirava  ed  i  Consupe- 
riori ed  altri  componenti  il  Collegio  dei  Dottori  pro- 
cedevano allo  scrutinio  segreto  per  V  ammissione ,  la 
quale  ottenuta,  si  ordinava  al  Bidello  di  portargliene  la 
notizia. 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        651 

Recitava  quindi  il  Candidato  una  breve  orazione  la- 
tina in  cui  chiedeva  per  sé  stesso  ai  signori  Consuperiori 
la  laurea  e  le  insegne  solite  del  dottorato. 

Consistevano  queste  nella  imposizione  di  un  berretto, 
di  un'anello,  e  di  un  mazzetto  di  fiori  con  un'amplesso. 

"'  Il  che  seguito  (mi  servo  delle  parole  testuali  del 
^  Cerimoniale)  precedendo  il  Bidello  con  la  mazza,  ed 
^  avanti  di  lui  trombe  e  tamburi,  seguendo  gli  araldi 
^  che  porteranno  nei  bacili  i  libri  ed  altre  insegne,  verrà 
y,  il  Laureato  con  la  berretta  in  capo  o  in  mano  in  mezzo 
„  de'  Compromotori  col  seguito  di  altri  Dottori  del  Col- 
jy  legio,  che  anderanno  al  Duomo  a  visitare  la  Cappella 
^  dei  Santi,  e  di  li  sino  a  casa  del  Laureato,  ove  dal 
„  medesimo  verranno  licenziati  e  ringraziati. 

^  Nel  tempo  di  detto  accompagnamento  si  suoneranno 
yf  le  campane  del  Pubblico  e  del  Duomo  in  modo  festivo. 

*^  Al  Candidato  si  autenticherà  la  Laurea  conseguita 
jf  con  testimoniali  in  libretto  scritto  in  carta  pergamena, 
^  firmate  col  sigillo  del  nostro  Collegio,  e  sottoscritte  da 
„  quei  Consuperiori  che  avranno  assistito  al  dottorato 
p  de'  quali,  almeno  uno,  dovrà  sempre  assistere,  ed  in 
^  fine  dal  nostro  Segretario  riconosciute,  gli  saranno  con- 
„  segnate.  „ 

Queste  formalità  avranno  certamente  in  quel  tempo 
destato  la  pubblica  curiosità,  ed  il  popolo  si  sarà  accal- 
cato sul  passaggio  dei  neo-laureati.  Oggi  un  simile  corteo 
desterebbe  le  risate  di  tutti  e  forse  ancora  gli  schemi: 
pare  però  che  negli  ultimi  anni  queste  solennità  me- 
dioevoli  andassero  totalmente  in  disuso,  mantenuta  solo 
quella  di  spandere  moneta  dalle  finestre  all'accorsa  plebe. 


652  SULLA  FONDAZIONE   PROGRESSO   E  FINE 

che  urtandosi  ed  anche  sconciamente  gittandosi  a  terra 
nomini  e  donne  per  fame  raccolta,  finiva  con  la  peggio 
dei  più  deboli  9  e  molti  ne  sortivano  pesti  e  malconci. 

Durò  questo  privilegio  ossia  diritto  universitario  per  Io 
spazio  di  novantacinque  anni  cioè  dal  1729  sino  al  1824, 
epoca  in  cui  venne  soppressa  V  Università  in  forza  della 
Bolla  Quod  Divina  Sapientia  come  si  è  detto,  la  quale 
provvidamente  volle  ristretto,  specialmente  lo  studio  di 
medicina,  in  quei  luoghi  che,  e  per  il  numero  e  valen- 
tìa dei  professori  insegnanti  e  pel  complesso  di  gabinetti 
fisici,  scuola  di  chimica,  orto  botanico  e  clinica,  offeris- 
sero le  pili  solide  garanzie. 

Qui  al  certo  mancarono  in  gran  parte  questi  sussidi; 
per  cui  non  si  trovavano  mai  al  completo  i  quattro  gio- 
vani destinati  secondo  la  mente  del  Testatore  allo  studio 
di  medicina,  e  taluni  ammessi  e  nominati  per  attendere 
a  simile  facoltà  domandavano  a  Roma  il  permesso  di 
potere  invece  applicarsi  alle  leggi,  cosa  che  verificandosi 
troppo  di  frequente  venne  inibita. 

Nel  1763  si  credette  che  questa  scuola  totalmente 
mancasse  perchè  non  oravi  che  un  solo  alunno.  Fu 
quindi  rinnovata  V  inibizione  di  domandare  le  permute, 
e  fu  stabilito  ^  che  i  nominati  per  lo  studio  di  Medi- 
„  Cina,  volendo  attendere  ad  altri  studi  restino  imme- 
„  diatamente  esclusi  dal  Collegio,  e  li  Consuperiori  dai 
„  quali  sono  stati  nominati  per  il  luogo  sopranomato, 
„  debbano  surrogare  altri  che  vogliano  studiare  la  scienza 
„  medica.  „ 

Ciò  per  altro  non  tolse  che  dal  Collegio  ed  Univer- 
sità Nolfi  non  sortissero  uomini  insigni  e  preclari  i  quali 


DEL  KOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        653 

sedettero  con  onore  sugli  alti  scanni  delle  Magistrature 
ed  esercitarono  con  grido  l'arte  salutare  in  città  cospicue 
d' Italia. 

Riporto  qui  sotto  i  nomi  di  quelli  che  in  ciascuna 
delle  predette  facoltà  ottennero  l' onore  della  Laurea,  e 
furono  : 


IH  LBGaS 


1780 

Romiti 

Hetro 

di  Torre 

» 

Torri 

Paófo 

di  Gubbio 

» 

Falcucci 

Carlo 

di  Gubbio 

1781 

Macini 

Giuseppe 

di  Fano 

1782 

Sqardoni 

Gian  Antonio  ài  Fano 

» 

Bracci 

Filippo 

di  Fano 

» 

Bassi 

Filippo 

da  S.  Angelo  in  Vado 

» 

DlDI 

Paolo 

di  Pesaro 

» 

Fichi  Canonico 

Gio.  Battista  di  Borgo  S.  Sepolcro 

» 

Minzioni  Braussi  Antoni  io 

di  Pesaro 

1741 

Leonori 

Giuseppe 

1748 

Terracidi 

P.  Tommaso  di  Ascoli 

» 

Palazzi 

Cario 

da  Cartoceto 

» 

FosBLLi  Can.  D. 

Mauro 

da  Rimini 

» 

Db  Cuppis 

Frane,  Maria  dì  Fano 

» 

TiLLi  Ottaviani  Frane.  Maria 

» 

Zacchi 

Gaetano 

da  Fossombrone 

» 

Martirblli 

Criuseppe 

di  Fano 

1744 

Benedetti 

Antonio 

da  S.  Angelo  in  Vado 

» 

Mercuri 

Franeeseo 

» 

Bentiveoni  Can 

1.  Girolamo 

di  Riroini 

» 

GlOANNI 

Antottio 

1745 

Boni 

Michelangeli 

)  di  CagU 

» 

Achilli 

Eugenio 

di  Pesaro 

» 

Grbgorini 

Camillo 

di  S.  Giorgio 

» 

LOTRECCHI 

Giovanni 

di  Fano 

» 

Beni  Conta 

Galasso 

di  Gubbio 

» 

Fontana 

Giuseppe 

di  Terracina 

1746 

BOROOOELU 

Girolamo 

di  Fano 

65i 


SULLA  FONDAZIONE  PROGRESSO   E  FINE 


1747 

Fif.EONORI 

Girolamo 

da  Monte  Sanvito 

» 

Giorgi 

Frane,  Maria 

» 

Servigi 

Giulio 

da  Montebaroccio 

> 

Donzelli  Don 

Nicolò 

da  Polverigi 

» 

ÀBBONDA-NZIERI 

Francesco 

di  Rocca  Contrada 

1748 

Ludo  vicH  ETTI 

Giuseppe 

da  Savignano 

» 

Bartolotti 

G.M.  Rinaldo  ài  Fano 

» 

Galavotti  Can. 

Plouìlo 

di  Sinigaglia 

1749 

Lanucci  Can. 

Lusio 

di  Mondavio 

> 

Ghirelli 

Angelo 

da  S.  Angelo  in  Vado 

» 

Mattei 

J^ranc.ATafft'a  della  Tomcella 

1750 

Mazza 

Filippo 

di  Orciano 

» 

Tesei 

Girolamo 

> 

Viola 

Frane.  GaeU 

da  Cantalupo 

» 

VlANBLLI 

Francesco 

di  Palermo 

» 

Beni 

Giusejjpe 

di  Gubbio 

» 

Ghkrardi 

Gio.  Battista  di  S.Lorenzo  in  Campo 

» 

Paoli  Conte  Are.  Antonio 

di  Pesaro 

1751 

Cattabeni 

Andrea 

di  Saltara 

» 

Colelli 

Francesco 

da  Morrò  di  Jesi 

> 

Orlandini 

Giuseppe 

da  Cantìano 

» 

Procaccini 

Carlo 

di  Monsanvito        t 

> 

Scardoni 

Aldebrando 

» 

De  Cuppis 

Gasparo 

di  Fano 

» 

^Iarini 

Snteno 

di  Pesaro 

» 

Lavinj 

Giuseppe 

di  S.  Severino 

> 

Angeli 

Gio.  Batta 

di  Barchi 

1762 

Lenti 

Ludovico 

» 

Passeri 

Francesco 

da  Pesaro 

1758 

Corbelli 

Giuseppe 

di  Fano 

» 

Modesti  Gasparoli  Francesco  di  Fano 

» 

Sagretti 

Giacomo 

di  Fermo 

> 

Tassimi 

Andrea 

da  S.  Manno 

» 

Alessandrini 

Cherubino 

da  Fano 

» 

Evangelisti 

Giuseppe 

di  Barchi 

1754 

Giorgi 

Giulio  Cesare  di  Orcìano 

» 

BUONDERICI 

Ludocico 

di  Cagli 

> 

De  Bono 

Giacomo 

Fiumano 

» 

Brunetti 

Marco 

di  Fano 

1755 

Mancini  Canco. 

Pasquale 

di  S.  Angelo  in  Vado 

» 

Romiti 

Giuseppe 

di  Barchi 

» 

Pascucci 

Domenico 

di  S.  Costanzo 

» 

Ercolani 

Carlo  Ercole  di  Fenile 

DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        655 


1755 

Baldini 

Carlo 

di  Fano 

1756 

Costantini 

Tiberio 

1757 

CORRADINI 

Giuseppe 

di  Urbino 

» 

Rossini 

Cassiano 

di  Mondolfo 

> 

TORBI 

Luigi    • 

di  Napoli 

> 

Riveli.! 

Tommaso 

di  Fano 

» 

Gerunzi 

Orazio 

di  Pesaro 

1758 

Corbelli 

Antonio 

di  Fano 

» 

Garuffi 

Domenico 

di  Cagli 

1750 

Giacomini 

Agostino 

di  Ripe 

> 

Smeraldi 

Andrea 

di  Cagli 

» 

Mei 

Antonio 

di  Belvedere 

1760 

Fronzi 

Ubaldo 

di  S.  Costanzo 

Di  Carbonara  Con.  Pon^ceìlo 

di  Gubbio 

» 

Pandolfi 

Dom,  Antonio  dì  Cartoceto 

1761 

Imperatori 

Carlo 

di  Rocca  Contrada 

> 

Ansblmi 

Francesco 

di  Rocca  Contrada 

> 

Rabascini  Don 

Aldebr. 

deirLsola  di  Fano 

» 

Sbrozzi 

Marcello 

di  Orcìano 

1762 

Bianchi 

IHetro 

di  Gubbio 

> 

Ceccarini 

Carlo 

di  Roma 

1763 

Radicati  Abate 

Luigi 

di  Casalmonferrato 

» 

Pandolfi 

Nicolò 

di  Cartoceto 

1764 

MoROANTi  Don 

Filippo 

di  Fano 

» 

Rondini  Don 

Giovanni 

di  Fano 

> 

Macini  Don 

Domenico 

di  Fano 

> 

PlERPAOLl 

Gio.  Batta 

di  Fano 

1765 

Bellini 

Filippo 

di  Fano 

» 

EXRICI 

Vincenzo 

di  Barchi 

» 

Alini 

Giulio 

di  Fano 

» 

Celli  Don 

Gio,  Batta 

di  Mon<!avio 

» 

Achilli  Don 

Domenico 

di  PesatX) 

1766 

Francescucci 

Giuseppe 

di  Percola 

» 

Pandi  ni 

Baldassarre 

di  Fano 

1767 

Palazzi 

Gio,  Frane, 

di  Cartoceto 

» 

Agostini 

Terensio 

di  CagU 

» 

Bajardi 

Domenico 

di  Urbania 

» 

Gallucci 

Settimio 

di  Mondolfo 

1768 

MORANDl 

Silvio 

di  Fossombrone 

> 

Fuselli 

Gaetano 

di  S.  Costanzo 

1769 

Monte  vecchio  Con.  Rodolfo 

di  Fano 

» 

Zamperoli 

Ani,  Agostino  Prevosto  di  Cagli 

1770 

Rabascini  Don 

Cesare 

dell*  Isola  di  Fano 

656 


SULLA  FONDAZIONE   PROGRESSO  E  FINE 


1770 

Fronzi 

Felice 

di  S.  Costanzo 

» 

Alessandri 

Sicola 

di  Corìnaldo 

1772 

Betti 

Eustncchio 

di  Orciano 

» 

Pandolfi 

Luigi 

di  Cartoceto 

1778 

Ranzi 

di  Pesaro 

1774 

Mklchiorri 

Carlo 

di  Castelleone 

» 

Fradelloni 

Fietì^ 

da  M.  Baroccio 

1776 

Masi 

Giuseppe 

di  Pesaro 

» 

LOMRARDINI 

Giovanni 

di  Fano 

1777 

Giorgeiti 

Giulio  Cesare  di  Sinigaglìa 

> 

Marini 

Innocenzo 

di  M.  Baroccio 

> 

Tesei  Canco. 

Gaetano 

di  Fossombrone 

1778 

Stram iGiOLi  Can.  Antonio 

di  Pesaro 

1779 

Marioni 

Antonio 

di  Cantiano 

» 

Clementi 

Francesco 

di  S.  Giorgio 

1780 

M ASTAI  Canco. 

Andrea 

di  Sinigaglia 

» 

Onofri 

Atanasio 

di  Iesi 

» 

GUARDINUCCI 

Francesco 

di  Fano 

» 

LoTREccHi  Prop 

.  Giuseppe 

di  Fano 

» 

Ghirlanda  Canco.  Gianandr. 

di  Pesaro 

1781 

Paitelli  Don 

Federico 

di  S.  Angelo  in  Vado 

» 

Paitelli 

Girolamo 

di  S.  Angelo  in  Vado 

» 

BVRANELLI 

Andrea 

di  Ancona 

1782 

Palmieri 

Luigi 

di  Barchi 

1788 

liAZZARI 

Gio.  Batta 

di  Macerata  Felina 

» 

Beiti 

• 

Teofiìo 

di  Orciano 

> 

POTAJOLI 

Bernardino 

di  Cartoceto 

1785 

Zacconi 

Vincenzo 

da  Pesaro 

» 

Bracci 

Luigi 

di  Ancona 

» 

Barbanti  Abate  G,  Batta 

di  Pesaro 

1786 

Secondi  Are.  Don  Antonio 

di  Mondavio 

» 

Menghini  Don 

Girolamo 

di  Orciano 

» 

LOTRECCHI 

Giuseppe 

di  Fano 

1787 

Evangelisti 

Lusio 

di  Barchi 

» 

Serra 

Gioacchino 

di  Pesaro 

1788 

Agostini 

Lorenzo 

di  Cartoceto 

1789 

Motta  Don 

Giuseppe 

Oriundo  Portoghese 

1790 

Brolzbr  Don 

Giuseppe 

di  Fossombrone 

» 

Paoloni 

Giuseppe 

di  Fossombrone 

» 

Petrimi 

Pietro 

di  Monte  Giberto 

» 

Ravagli 

Carnaio 

di  Cartoceto 

1791 

Giorgi 

L.  Antonio 

di  Pesaro 

1792 

Ferretti 

Luigi 

di  S.  Costanzo 

DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        657 


1708 

Poggioli  Don 

Antonio 

Spagnuolo 

1704 

Palazzi 

Filippo 

di  Cartoccio 

1705 

Valenti 

Gioacchino 

di  Montalto 

1706 

FoRCHiELLi  Don 

Antonio 

di  MondaTio 

1800 

Andrbani 

Luigi 

di  Gradara 

1801 

Ricci  Don 

Natale 

di  Mondolfo 

» 

Fabbri 

Giacomo 

di  Mondolfo 

» 

Politi 

Saverio 

di  Barbara 

1802 

Rosa 

Beodato 

di  Mondolfo 

1808 

Sbrvici 

Francesco 

di  Monte  Baroccio 

> 

Servici 

GiiUio  Cesare  di  Monte  Baroccio 

> 

Ragnbtti 

Emidio 

di  S.  Andrea 

» 

Zapfini 

Robustiano 

di  Monte  Maggiore 

> 

Agostini 

Claudio 

di  Cartoceto 

1804 

Lanci  Ab.  Don 

Michelangelo 

di  Fano 

» 

De  Cuppis 

Giacomo 

di  Fano 

» 

Montanari 

Domenico 

di  Fano 

» 

Santini 

Carlo 

di  Tolentino 

» 

Bellini  Canco. 

Nicolò 

di  Fano 

1800 

Palazzi  Don 

Francesco 

di  Fano 

» 

GuiDUcci  Don 

Alessandro 

di  Saltare 

1807 

Brollini 

Frane.  Paolo  di  Pergola 

1815 

Giardinieri 

Francesco 

di  Osiimo 

» 

Donceccui 

Francesco 

di  Camerino 

» 

Catti  NELLI  Arcid.  Sicola 

di  Tolentino  ^ 

» 

Vargas  Don 

Francesco 

di  Fano 

» 

Fanelli  Can.  Don  ralemiano 

di  Fano 

» 

Gabrielli 

Ihcifico 

di  Fano 

1816 

Gigli 

Giovanni 

di  Fano 

» 

DONINI 

Giuseppe 

di  Sorbolongo 

» 

Del  Vecchio 

Giulio 

di  Fano 

» 

Ceccarini 

Sebastiano 

di  Fano 

» 

Giuliani 

Angelo 

di  Camerino 

» 

GUARDARUCCI 

Eusebio 

di  Camerino 

> 

BiLLi  Can. 

Mariano 

di  Fano 

» 

Montevecchio  Conte  Rinaldo 

di  Fano 

» 

Carnaroli 

Andrea 

di  Mondavio 

» 

Marinelli  Don 

Luigi 

di  Ancona 

> 

GioLiucci  Don 

Costanzo 

di  Monte  Fano 

> 

Cinti 

Alessandro 

di  Monte  Fano 

» 

Pantanelli 

Bernardo 

di  CivitanoTa 

» 

Valentini 

Valentino 

di  S.  Severino 

» 

Camillini 

Giovanni 

di  Morrò  di  Jesi 

638 


SULLA  FONDAZIONE  PBOGRESSO  E  FINE 


1816 

Apignanesi  Dod 

i  Filippo 

di  Cingoli 

» 

Skvelu 

Angelo 

di  Sinigaglia 

1817 

Fichi  Arcid. 

Francesco 

di  Ancona 

> 

Fiori 

Antonio 

di  Fermo 

» 

MUSILLI 

Lorenzo 

di  Sonnino 

> 

Marchesini 

Gio,  Batta 

di  Iesi 

» 

Capretti 

Pietro 

di  Massignano 

> 

Perfetti  Canco. 

,  Arcangelo 

di  Pesaro 

» 

Nastasini 

Giuseppe 

di  S.  Agata  Feltria 

» 

Melchiorri 

Francesco 

di  Pesaro 

» 

RUGGERI 

MicJiele 

di  Porto  di  Fermo 

1818 

De  Nobili 

Giacinto 

di  Petriolo 

> 

Ceccariri 

Fortunato 

di  Fano 

1820 

Mrcci  Canco. 

Filippo 

di  Ancona 

» 

Alessandrini  Can.  D.  Lomen. 

di  Ancona 

» 

Baluffi  Can.  D. 

Gaetano 

di  Ancona 

> 

Bartocci  Can.  D.  Mariano 

di  S.  Anatalia 

» 

Nudi  Can.  Don 

Girolamo 

di  Ancona 

1821 

Cenni 

Gaspare 

di  Vallesenia  (Imola 

» 

Torricelli 

Vincenso 

di  Meldola 

1822 

Boni 

Alessandro 

di  Città  di  Castello 

» 

TuBci  Don 

Gioacchino 

di  Bert Inoro 

» 

Pi  CHI  Can.  Don 

JVospero 

di  Ancona 

» 

GlAVAROLI 

Raffaele 

di  Iesi 

1828 

Benvenuti  Are. 

Benvenuto 

di  Osimo 

» 

Barilari 

Paolo 

di  Pesaro 

1824 

Bartorelli 

« 

Gaetano 

di  Monte  Scudolo 

IN  MEDICINA 


1782 

Pizzi 

Giancarlo 

Bolognese 

» 

Ricci 

Giuseppe 

di  Pesaro 

> 

Magi  NI 

Doniefiico 

di  Fano 

1741 

Magni 

Gio,  Battista  da  Vetralla 

1748 

Centauri 

Lodovico 

di  Fano 

1747 

Balsamina 

Francesco 

da  Mondavio 

1748 

Angelini 

Giampaolo 

di  Fano 

» 

Ferraresi 

Costantino 

di  Fano 

> 

Morelli 

G,  Francesco  da  Fermo 

1749 

Betti  ni 

Doìyienico 

di  Fano 

DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFI  IN  FANO        659 


1749 

Cecchini 

Domenico 

1750 

POLIDORI 

Giuseppe 

di  Barbara 

1751 

Grossi 

Giuseppe 

di  Mondolfo 

» 

Ciucci 

Sebastiano 

da  Fano 

» 

Ottaviani 

Giovanni 

da  S.  Giorgio 

> 

Paoli 

Giuseppe 

di  Fano 

1758 

Pasquali  NI 

Francesco 

di  Monte  Baroccio 

1757 

Baruzzi 

Andrea 

di  Faenza 

» 

Angelini 

Betiedetto 

di  Fano    • 

1768 

Lombardi 

Giuseppe 

di  S.  Costanzo 

1765 

Pandini 

Baldassarre 

di  Fano 

1768 

Bedinelli 

Irancesco  Paolo 

1775 

Massa 

Francesco  M.  di  Sinigaglia 

» 

Petrini 

Luigi 

di  S.  Costanzo 

1776 

Gambelli 

Giuseppe 

di  Montalboddo 

1777 

CORAUCCI 

Giovanni 

di  Sinigaglia 

> 

Trebbi 

Giuseppe 

di  Fano 

1778 

Pandolfi 

VincetìiO 

178S 

Brttini 

Giovanni 

di  Fano 

» 

Franceschi 

Antonio 

di  Brì9Ìgh<»lla 

1788 

Bocchini 

Giovanni 

di  Orciano 

1784 

Tombini 

Giuseppe 

di  Barbara 

» 

Viali 

Luigi 

di  Fano 

1785 

Ricci 

Antonio 

da  Montemaggiore 

» 

Tombari 

Filippo 

di  Fano 

1786 

Benedetti 

Gio.  Batta 

di  CittÀ  di  Castello 

1787 

Palazzi 

Taddeo 

di  Serra  dei  Conti 

» 

Macini 

Luigi 

di  Fano 

1789 

Serra 

Vincenso 

oriundo  Bolognese 

» 

Alessandri 

Francesco 

di  Colbordolo 

1790 

Franceschi 

Pompeo 

di  Matetica 

» 

MOROANTI 

Pietro 

di  Fano 

1791 

Trebbi 

Antonio 

di  Fano 

1792 

Moretti 

Pietro 

di  Iesi 

1798 

GiacOmini 

Domenico 

di  Città  di  Castello 

1795 

Fantini 

Francesco 

di  Fano 

> 

DURAN 

Ignazio 

di  Cartagine.  Aaerìra a 

1800 

Balsamini 

Giacomo 

di  Rimini 

» 

Maggi 

Apollonio 

di  S.  Giusto 

» 

Tranquilli 

Giacomo 

di  Fano 

1803 

Gnorcci 

Federico 

di  Saltara 

1808 

Ridolfi 

Sante 

di  Montemaggiore 

1804 

Leonardi 

Francesco 

di  Fano 

Archi  e,  Stor,  Mairh,  V,  L 


42 


660 


SULLA  FONDAZIONE  PROGRESSO   E  FINE 


ISOé 

Petrini 

Antonio 

di  S.  Costanzo 

» 

Pbtrini 

Vincenzo 

di  S.  Costanzo 

» 

Ricci 

Caniilo 

di  MogUano 

» 

Maggi 

Gaetano 

di  Monte  Lupone 

» 

Fichi 

Leopoldo 

di  Pesaro 

» 

Falconi 

Bartoloìneo 

di  Spoloto 

» 

Valori 

Antonio 

di  Narni 

» 

Pratili 

Giuseppe 

di  Roccagorga 

» 

MORASCHINI 

Raffaele 

di  S.  Ginesio 

» 

Gaggi 

Criovanni 

di  Fano 

» 

Fradelloni 

Antonio 

di  Fano 

1816 

LUCENTINI 

Fiore 'Lino 

di  Monte  Giberto 

» 

Prosperi 

Luigi 

di  S.  Benedetto 

» 

Catalimi 

Befiedetto 

della  diocesi  di  Fermo 

1817 

Gasperoni 

Agostino 

di  Cesena 

1818 

CUPPINI 

Gaetano 

di  Recanati 

» 

Frias 

Gio.  Batta 

Romano 

» 

Leoni 

Carlo 

di  Massaccio 

» 

Monticelli 

Saverio 

di  Città  di  Castello 

» 

Mannoni 

Giuseppe  M 

\  di  Massa  di  Iodi 

1819 

Giordani 

Lorenzo 

di  Recanati 

» 

MORINI 

Claudio 

di  Alatri 

» 

Persico 

Lodogario 

di  Crema 

» 

Core 

Antonio 

di  Fossano 

1820 

Sebastiani 

Ignazio 

di  Riofreddo 

» 

Modesti 

Pietro 

Romano 

» 

Trasarti 

Roberto 

di  Ancona 

> 

PlGNOTTI 

Francesco 

di  Camerino 

» 

Ferrieri 

Loì'enzo 

» 

Ferretti 

Vincenzo 

di  S.  Costanzo 

» 

Ricci 

Antonio 

di  Fano 

1821 

LORENZINI 

Giuseppe 

Toscano 

» 

RiBUSTlNI 

Vincenzo 

di  Santelpidio 

» 

Benincasa 

Giuseppe 

di  Città  di  Castello 

» 

Facchini 

Giuseppe 

di  Lugo 

> 

Mici 

Antonio 

di  Mondavio 

> 

Zamboni 

Francesco 

di  Cesena 

1822 

Fabrizi 

Giovanni 

di  Città  di  Cast  (Tos4 

> 

Preti 

Luigi 

di  Bagnacavallo 

> 

RlGHINI 

Pietro 

di  Firenzuola 

» 

Nannini 

G.  Nepomuc, 

,  d'Imola 

1828 

Cappelli 

Biagio 

» 

Ceccarini 

Gaetano 

d' Urbino 

•) 


DEL  NOB.  COLLEGIO  ED  UNIVERSITÀ  NOLFl  IN  FANO        661 


182S 

Pacioni 

Pietro 

di  Montolmo 

» 

Bossi  Manzoni 

Carlo 

di  Fano 

» 

GlOMMI 

Giuseppe 

di  Fano 

» 

Lenci 

Domenico 

di  Ancona 

> 

Gramignani 

Paolo 

di.  Ancona 

> 

Travisani 

Giuseppe 

di  Ancona 

» 

Candelari 

Serafino 

di  Ancona 

» 

Romani 

Carlo 

di  Ancona 

» 

ROMAGNOU 

Innocenzo 

di  Ancona 

» 

Maddalena 

Andrea 

di  Ancona 

» 

Olimpi 

Camillo 

di  Monte  Fano 

1824 

Betti 

Silvestro 

di  Urbino 

» 

DiOFEBO 

Francesco 

Romano 

» 

Ambrosi 

Antonio 

di  Fano 

» 

Camerini 

Enrico 

di  Fano 

» 

Ferretti 

Agostino 

di  S.  Costanzo 

» 

Federici 

Francesco 

di  Fano 

» 

Catini 

Domenico 

di  Grottazzolina 

IN  TIOLOOIA  B  FILOSOFIA 


174S  Fbbracioli  P.  Tbmmaso 

1748  Galavotti  Can.  Paiolo 

1751  Db  Cuppis  Gaspare 

»  Mei  Giovanni 

1757  Santoni  Canco.    Saverio 

1761  Rabascini  Aldebrando 

1768  Alessandrini      Alessandro 

1764  Moroanti  Don    Filippo 
»  Rondini  Don 
»  Achilli  Don 

1765  Pandini 

1769  Caligari  Can. 

1770  Baldazzi  Canco.  D.  Giuseppe 
>  Monti  Canco.  Teol. 

1771  Barbar  A  NOIA  Can.  Eusebio 
1776  Ceccarini  Can.    Carlo 
1778  Sa  velli  Canoo.    Cristoforo 


Giovanni 
Domenico 
Baldassm*re 
Domenico 


d 

d 

d 

di 

d 

d 

d 

d 

d 

d 

d 

d 

d 

di 

d 

d 

d 


Ascoli 

Sinigaglia 

Fano 

S.  Costanzo 

Fano 

Fossombrone 

Mondolfo 

Fano 

Fano 

Pesaro 

Fano 

Pesaro 

Orciano 

Orciano 

Fano 

Fano 

Sinigaglia 


662 


SULLA  FONDAZIONE  PROGRESSO 

E  FINE   ECC. 

1781 

Ghirlanda  Can. 

Gianandrea 

di  Pesaro 

178S 

Agostinelli  D. 

Bartolomeo 

di  Piagge 

1787 

Serra 

Gioacchino 

di  Pesaro 

1803 

TiANXi  Ab.  Don 

Michelangelo 

di  Fano 

1804 

Mazza  Don 

Vincenso 

di  Orciano 

1816 

Fanelli  Can. 

Fatemiana 

1816 

BiLLi  Canco. 

Mariano 

di  Fano 

1824 

BoMiTi  Canco. 

Andrea 

di  Fossombrone 

Con  questi  nomi  che  potranno  forse  tornare  graditi 
alle  famiglie  di  coloro  a  cui  appartengono,  pongo  fine 
a  questa  breve  e  disadorna  cronaca  d' interesse  tutto  lo- 
cale, destinata  a  perpetuare  possibilmente  e  tenere  rac- 
colte insieme  memorie  e  documenti  che  il  tempo  e  la 
incuria  potrebbero  agevolmente  disperdere  e  disgiungere 
con  danno  di  questa  parte  di  patria  storia,  di  cui  altri 
eh'  io  sappia  non  sonosi  sino  al  presente  occupati. 


I  PRIMITIVI  CAPITOLI 


DBL 


MONTE  DI  PIETÀ  DI  FANO 

CODICE  MEMBRANACEO  DEL  SEC.  XV 

K8I8TBNTB 

kell'  archivio  comunale  di  detta  cittì 
LUIGI  NASETTI 


DISCORSO  PRELIMINARE 


I  Monti  di  Pietà  istituzione  puramente  italiana  del 
secolo  XV  formano  un'  epoca  considerevole  nella  storia 
delle  nostre  Marche,  ove  se  non  la  prima  origine,  eb- 
bero certamente  il  più  grande  e  sollecito  sviluppo,  e 
segnarono  come  il  principio  di  un  nuovo  e  beneBco  pro- 
gresso che  fecero  i  nostri  Comuni  a  favore  delle  classi 
indigenti.  —  Meritano  quindi  di  essere  meglio  conosciuti 
e  pii^  degnamente  apprezzati  ;  e  questo  è  lo  scopo  che 
mi  muove  a  pubblicare  come  documento  da  servire  alla 
storia  i  presenti  capitoli. 

L' istituzione  di  questi  Monti  è  opera  esclusivamente 
di  alcuni  frati  delP  ordine  dei  minori  di  S.  Francesco 
insigni  per  santità  e  fra  i  più  zelanti  predicatori  di  quel 
tempo,  i  quali  con  ciò  si  preposero  la  caritatevole  im- 
presa di  soct'orrore  gì'  indigenti  che  erano  costretti  a 
prendere  denaro  dagli  Ebrei  i  quali  taglieggiavano  con 


666  I    PRIMITIVI   CAPITOLI 

forti  usure  chi  fra  i  Cristiani  aveva  bisogno  di  ricorrere 
al  loro  banco. 

Ed  invero  ft  quale  eccesso  fosse  giunto  in  quel  tempo 
il  vizio  dell'  usura,  e  quali  ne  fossero  le  conseguenze  lo 
mostrano  abbastanza  i  documenti  raccolti  dal  Muratori 
nella  disertazione  sedicesima  delle  italiche  antichità. 

n  primo  pertanto  a  concepirne  1'  idea  fu  un  frate 
Barnaba  riformato  Francescano  che  Io  istituì  in  Perugia 
e  in  Orvieto,  V  uno  con  approvazione  del  Pontefice  Pio  II 
nel  1463,  V  altro  di  Paolo  II  nel  1467  e  fu  seguito 
da  un  suo  confratello  il  celebre  Bernardino  da  Feltre 
che  si  fece  caldissimo  propagatore  di  questa  pia  opera 
in  molte  città  dell'  Umbria,  della  Toscana  e  della  Roma- 
gna cui  percorreva  con  la  sua  predicazione  che  si  potrebbe 
dire  una  crociata  continua  contro  gli  usurai. 

Quasi  nello  stesso  tempo  la  diffusero  nella  nostra  pro- 
vincia frate  Jacopo  da  Montebrandone,  che  fu  poi  San 
Giacomo  della  Marca,  ed  il  di  lui  compagno  B.  Marco 
da  Monte  Santa  Maria  in  Gallo  che  vuoisi  portasse  un 
tale  stabilimento  di  pubblica  beneneficenza  prima  in  Ascoli 
sua  patria  nel  1458,  e  quindi  in  Fabriano  nel  1470,  e 
nel  successivo  anno  1471  anche  in  Fano,  dettandone  egli 
stesso  le  regole  che  tuttora  si  leggono  in  queir  Archivio 
Municipale. 

È  un  bel  codice  membranaceo  in  foglio  con  larghi 
margini  ottimamente  conservato  composto  di  N.  12  carte 
non  numerate,  V  ultima  delle  quali  in  bianco  con  le  ma- 
iuscole in  testa  di  ogni  articolo  colorate  a  vicenda  in 
azzurro  ed  in  rosso  contenente  i  capitoli  primitivi  di  que- 
sto Monte  rimarchevoli  per  la  semplicità  del  dettato  pu- 


DEL   MONTE  DI   PIETX   DI   FANO  667 

ramente  volgare  e  forse  quello  stesso  usato  dal  citato 
fondatore  frate  Marco  da  Monte  Gallo  per  allora  in  que- 
sto medesimo  luoco  pubblicamente  predicante  di  questo 
henedecto  Monte,  e  che  più  sotto  si  dice  de  li  prefati 
capìtoli  conditore,  sicc^ome  Io  fu  di  quelli  di  Fabriano, 
riferendoci  il  Waddingo  storico  Minorità  che  frate  Marco 
compilò  in  ben  ventiquattro  (in  realtà  però  in  trentacin- 
que) capitoli  ottimi  e  prudentissimi  regolamenti  per  la 
creaziene  e  conservazione  del  Monte  Fabrianese ,  quali 
regolamenti  dettati  dalla  saviezza  di  esso  frate  Marco 
ravvisaronsi  all'uopo  opportuni ,  e  come  tali  meritarono 
1'  approvazione  del  generale  Consiglio ,  dove  arringò  di 
persona,  locchè  fece  pure  qui  in  Fano  dettando  non 
trentacinque,  ma  trentanove  capitoli  che  si  io  ritengo  se 
non  identici,  almeno  poco  dissimili  da  quelli  di  Fabriano. 
Sono  scritti  in  tuono  piuttosto  autorevole  e  talvolta  an- 
cora arbitrario,  sia  per  dare  alla  cosa  queir  importanza  che 
si  voleva,  sia  perchè  questo  era  lo  stile  della  difettosa  legi- 
slazione di  quei  tempi  la  quale  s' informava  non  su  Codici 
di  regolamento  civile  ma  sopra  leggi  statuali  anch'  esse  im- 
perfette, e  colpiscono  per  le  frequenti  minacce  di  scomunica 
maggiore  da  incorrersi  ipso  facto  dai  trasgressori  dei  Ca- 
pitoli, non  che  per  le  forti  multe  pecuniarie  applicate  a 
taluni  casi ,  e  privazione  dei  diritti  civili  per  se  e  per 
la  famiglia  in  perpetuo  a  cui  potevano  venir  condannati 
anche  suU'  assertiva  di  un'  accusatore  e  di  un  sol  testi- 
monio fide  digno  da  non  potersi  rimettere,  nisi  per  san* 
ctissimum  Dominum  nostrum  Papam. 

È  questa  insieme  una  prova  della  bonarietà  dei  tempi 
in  cui  vivevasi  allora  e  dell'  influenza  che  esercitava  su- 


668  I    PRIMITIVI   CAPITOLI 

gli  animi  della  moltitudine  la  parola  di  un  Predicatore 
che  i  8uoi  biografi  dicono  dottato  di  alta  e  potente  elo- 
quenza. 

Ciò  che  offrono  di  rimarchevole  questi  capitoli,  si  è 
che  li  denari  possano  prestarsi  per  lo  tempo  di  sei  mesi 
senza  merito  ne  prezzo  alcuno  a  differenza  delle  altre  con- 
simili istituzioni  quasi  contemporaneamente  o  poco  prima 
fondate  dai  citati  frate  Barnaba  e  Bernardino  da  Feltre 
in  cui  si  parla  di  ritenuta  o  rilascio  di  tenue  moneta 
da  farsi  dagli  impegnanti  per  sopperire  alle  spese  di  am- 
ministrazione del  Monte,  locchà  diede  luogo  a  vive  po- 
lemiche per  parte  di  alcuni  dotti  Teologi  Domenicani  fra 
i  quali  i  famosi  Soto  e  Tommaso  da  Yio  i  quali  vedevano 
0  credevano  di  vedere  in  quella  piccola  ritenuta  un'  im- 
magine di  quelle  usure  contro  le  quali  era  principalmente 
diretta  V  istituzione.  A  queste  pose  fine  il  concilio  Latera- 
nense  proibendo  di  perseguitare  come  usurai  stabilimenti 
istituiti  e  confermati  dall'autorità  Apostolica  ove  si  paga 
da  chi  riceve  lo  impresto  un  modico  interesse  per  sop- 
perire alle  indispensabili  spese  di  amministrazione,  dopo 
di  che  tutti  si  tacquero,  ed  anche  il  Monte  di  Fano  molto 
tempo  dopo  venne  indotto  a  fare  altrettanto,  autorizzato 
da  un  chirografo  del  Pontefice  Benedetto  XIY  in  data  12 
agosto  1746  con  cui  la  prestazione  venne  elevata  a 
scudi  sei  romani  ed  il  merito  a  scudi  due  annui  per 
ogni  cento. 

Ben  si  provvide  allora  per  evitare  le  grandi  questioni 
di  scolastica  dottrina  che  appunto  in  quel  momento  ferve- 
vano alla  dotazione  del  Monte  con  una  piccola  percezione 
sui    prodotti  del    Dazio  Consumo  e   con   una   ritenuta 


DEL   MONTE   DI   PIETÀ   DI   PANO  669 

deiruno  e  un  quarto  per  cento  sul  salario  dei  Magnifici 
Signori  Priori,  e  del  due  e  mezzo  su  quello  di  tutti  gli 
altri  impiegati  del  Comune,  con  i  quali  prodotti  uniti 
alle  entrate  di  un  sol  anno  a  scelta  del  molino  deno- 
minato la  Sacca  e  con  sei  denari  per  lira  sulle  condan- 
nagioni  o  multe  inflitte  per  malefizi,  si  formò  la  dota- 
zione suddetta. 

Non  riesce  poi  molto  agevole  il  comprendere,  come 
con  una  tenue  prestazione  di  due  fiorini  per  ottenere  la 
quale  si  richiedeva  la  formalità  del  giuramento,  e  pro- 
messa di  non  servirsene  che  per  soli  oggetti  di  vitto  e 
vestiario,  perdita  il  pegno  se  si  fossero  erogati  in  altro 
uso  „  si  potesse  mettere  un  efficace  rimedio  alle  usure 
ed  agli  iniquissimi  contratti  degli  Ebrei  che  mandavano 
in  rovina  molte  famiglie  cristiane  e  singolarmente  quelle 
che  trovavansi  in  maggiore  inopia.  ,, 

Forse  la  ragione  di  dare  cosi  tenue  somma  fu  quella 
di  evitare  il  soverchio  concorso  e  Y  abuso  che  potevano 
fame  i  meno  bisognosi,  accorrendo  soltanto  alla  urgente 
e  momentanea  necessità  del  povero  il  quale  privo  di  que- 
sto soccorso  era  sempre  esposto  alle  vessazioni  usurane. 
In  ogni  modo  è  troppo  vero  che  queste  istituzioni  gio- 
varono moltissimo  in  allora,  siccome  giovano  al  presente 
al  popolo  minuto  con  quelle  modificazioni  che  vi  sono 
state  posteriormente  introdotte  dalla  maggiore  civiltà  dei 
tempii  a  cui  vennero  poi  in  sussidio  le  recenti  Casse  di 
risparmio  e  le  Banche  popolari  quali  però  hanno  ten- 
denze diverse  da  quelle  dei  Monti  di  Pietà  di  cui  teniamo 
parola,  essendo  scopo  principale  di  quelle  il  ricevere  depo- 
siti di  denaro  risultanti  da  domestiche  economie  e  prestarli 


670  I    PRIMITIVI   CAPITOLI 

quindi  a  chiunque  con  le  debite    garanzie  in  grandi  e 
e  piccole  proporzioni  a  saggio  ben  moderato. 

Si  abbiano  pertanto  questi  Capitoli,  quantunque  non 
siano  un  testo  di  lingua  del  miglior  secolo ,  come  una 
pagina  di  storia  Marchigiana,  tanto  per  la  Città  alla 
quale  appartengono ,  quanto  pel  loro  compilatore  frate 
Marco  da  Monte  Gallo  appartenente  anch'  esso  alla  Mar- 
chigiana Provincia. 


•  • 


CAPITULA  MONTIS  PIETATIS 

8AKCTE    MARIE    DE    PIETÀTE    IN    DOMO    DEI    H08P1TÀLI8 

COMUMS  CIVITATIS  FANI 
DE    KOTO    C0N8TRUEND0    UT    INFRA 


In  Dei  Nomine  Amen  :  Anno  a  nativitate  ejusdem  Millesimo  quadringen" 
tesimo  sephmgesimo  primo  Indictiotxe  tertia  tempore  Sanctissimi  in 
Christo  Fatris  et  Domini  Nostri  Domini  Pauli  divina  protidentia 
jape  Secundi»  *) 

Questi  sono  li  Capituli  et  ordinamenti  del  Monte  de 
Sancta  Maria  de  la  pietà  de  lo  Spedale  chiamato  la  Casa 
de  dio  del  Comune  de  la  Cita  de  fano  facti  et  ordinati 
per  li  Magnifici  Signori  Priori  della  dieta  Città  cioè  Si* 
mone  de  Boglione  di  Rinalducci  Confaloniero  M.  Antonio 
de  ser  Jacopo  Constanzo  Francesco  de  Magistro  Gasparre 
di  Marchetti  et  Jacomo  de  La  Luca  soi  compagni:  et  per 
li  spectabili  Citadini  Messere  Maestro  Giovanne  de  Jaco- 
mo di  Boglioni  M/  Nicolò  de  Andreae  de  Le  Lance 
Ygolino  de  Bartolomeo  da  palazo  :  et  Francesco  de  Pietro 
di  Marcolini  :  Eletti  da  li  prefati  Signori  priori  per  vi- 
gore  de  la  Remissione  facta  in  loro  dal  Conseglio  Gene- 
rale come  apparo  al  libro  de  le  Reformagione  del  dicto 


*)  Nolln  trB'crizinno  dì  (\\ionio  cwlice  abbiamo  crwluto  ben  fatto  di  man- 
tenero  1*  antica  ortografia  la  quale  ci  f}orge  una  chiara  idea  della  lingua 
in  quel  tempo  paiolata. 


V 


672  t    PRIMITIVI   CAPITOLI 

Conseglio  per  roano  de  me  Ser  Gregorio  de  Ser  Damiano 
Kotaiio  pubblico  et  Cancellerò  del  comune  predicto  una 
con  el  padre  predicatore  frate  Marco  del  Monte  de  San- 
età  Maria  in  gallo  de  lordine  di  frati  menori  de  la  ob- 
eervantia  nuncupati  :  per  alora  in  questo  medesimo  luoco 
pubblicamente  predicante  de  questo  benedecto  monte  Yna 
cum  le  altre  bone  et  sancte  cose  annuQtiante  et  ezhortante. 

RUBRICA  de  Loco  et  modo  conseroandi  pecanias  prefali  Monds, 
CAPITULUM  PRIMUM 
Id  primo  ordiniamo  et  Statuimo  che  li  denari  del 
dìcto  Monte  se  rachiudano  et  conserveno  in  una  Cassa 
la  quale  stia  in  una  Camera  conveniente  orerò  Stantia 
del  dìcto  hospìtale  chiusa  la  camera  a  quattro  chiave  di 
verse  luna  dall'  altre  una  de  le  quale  tengano  continuo 
li  MagniBci  Signori  priori  una  li  Conservatori  del  Monte 
r  altra  li  soprastanti  Rectori  governatori  overo  priori  de 
esso  hospitale  overo  el  Spedanero  essendo  homo  da  bene 
i'  altra  loffitiale  del  monte  et  ta  cassa  habbia  pure  tre 
chiave  pure  diverse  l'una  da  l'altra  l'una  de  lequale  pur 
tengano  sempre  li  prefati  Magnifici  Signori  l'altra  li  con- 
servatori del  Monte  l'altra  li  soprastanti  governatori  overo 
priori  prefati  de  esso  hospitale  che  per  li  tempi  Berranno. 

RUBRICA  de  quatmr  t&ris  in  quUtiK  annotate  sunt  omnes 
pecunie  introitus  el  exilus  Monlis  et  de  loco  conservalìonis 
ipsorum. 

GAP.  2- 

Itcm    che   in  la  dieta   Cassa  di  dicto  Monte    stiano 
BCUipro  quattro  libri  uno  per  la  intrata  ciò  e  da  chiunque 


DEL  MONTE  DI   PIETX  DI  FANO  673 

e  comò  e  quanto  et  in  que  tempo  ce  entra  di  in  dì  sotto 
nome  de  data.  L'  altro  libro  sia  de  la  intrata  pure  in 
quel  medesimo  modo  chiaramente  annotato  omne  cosa  o 
vero  denari  che  ce  intrarà  sotto  nome  de  prestito  et  per 
quanto  tempo  :  Taltro  libro  sia  de  la  uscita  ciò  e  de  quello 
che  da  le  prefate  tre  chiave  o  tenetore  di  esse  se  assi- 
gnarà  a  Io  offitialc  del  Monte  da  doverse  prestare  scripto 
sempre  de  sua  mano  in  quello  libro,  ciò  e  quanto  e  quan- 
do, a  chi  et  da  chi  cioè  Signori  priori  et  conservatori 
del  Monte  et  soprastanti,  o  governatori,  o  priori  del  Spe- 
dale che  scranno  per  allora  quando  esso  officiale  recevera 
la  tanta  quantità  de  pecunia.  L'altro  libro  ciò  e  el  quarto 
sia  de  la  uscita,  ciò  e  de  quello  se  renderà  a  coloro  che 
haveano  prestato  per  tanto  tempo  cum  Rogatione  de  no- 
tano, 0  vero  senza  secondo  che  loro  haveano  prestato  et 
questo  eia  annotato  in  questo  libro  de  mano  de  quello 
che  per  allora  se  troverà  officiale  del  Monte,  quando  se 
ronderanno.  E  questi  libri  sempre  stiano  lì  renchiusi  et 
conservati. 

RUBRICA  de  modo^  ordine,  ac  tempore  eligendi  Conservatores 

Montis. 

CAPITULUM  TERTIUM 

Item  che  li  Conservatori  del  Monte  ali  quali  le  pre- 
fate doe  chiave  scranno  assignate  siano  tre  Cittadini  omne 
anno  del  mes^  de  Aprile  electi  et  renovati  in  lo  Conscglio 
generalo  a  voc3  secreto  e  quelli  tre  che  più  voce  have- 
ranno  quolli  ho  intendano  electi:  li  quali  giurino  ad  Facra 
dei  evaugelia  de  essere  fi  doli  soliciti  e  vigilanti  ad  omne 


674  1   PRIMITIVI   CAPITOLI 

conservamento  ed  augumento  del  monte  che  poteranno. 
Et  si  lì  MagniBci  Signori  Priori  che  in  quel  mese  se 
trovaranno  una  cum  el  Consiglio  generale  el  quale  a  que- 
sta instantia  volemo  che  se  faccia,  si  bene  per  altro  non 
achadesse  che  se  dovesse  fare,  tale  electione  non  faranno 
cadano  in  pena  de  diece  ducati  per  uno  da  applicarse 
per  la  meta  a  la  Camera  Apostolica  et  el  quarto  a  la 
Camera  del  Comune  et  a  l'altro  quarto  al  Monte  et  li  al- 
tri Signori  priori  che  succederanno  siano  tenuti  Loro  far 
fare  dieta  electione  per  lo  modo  predicto,  altrimente  ca- 
dano et  incorrono  in  la  pena  prefata  et  sic  de  singulis 
discorrerendo  fino  che  scranno  electi,  et  interim  li  ante- 
passati conservatori  sempre  seguitene  el  loro  offitio  ala 
pena  predicta. 

RUBRICA  de  modo  ordine  et  tempore  eligendi  offUiakm  Montis 
et  de  Salario  et  pactis  circha  hoc  fiendis. 

CAPITULUM  QUARTUM 

Item  che  li  Magnifici  Signori  Priori  una  cum  el 
Conseglio  de  Venticinque  et  conservatori  del  Monte  et 
governatori  de  lo  Spedale  prefato,  omne  anno  del  mese 
de  Aprile  siano  tenuti  ad  elegere  uno  sufficiente  homo 
forestiero  de  qualunqua  loco  meglio  li  parerà  che  non 
sia  habitante  in  la  città  de  fano  ne  in  lo  suo  contado: 
Ma  che  sia  almeno  quindici  miglia  de  longo  da  fano 
homo  idoneo  a  simile  offitio  cattolico  et  pubblico  notario 
et  per  maggiore  cautela  e  certificatione  volemo  che  li  pre- 
fati  electori  imbossoleno  dieci  o  quindici  luochi,  cioè  Città 
terre  e  castelli  convenienti  a  la  Comunità.  De  le  quale 


DEL   MONTE   DI   PrETÀ    DI    FANO  675 

secondo  uscirà  por  pallotta  se  mando  la  electione  per  lo 
prefato  officiale  cum  la  copia  de  mano  del  Cancellerò  o 
suo  substituto  de  tutti  li  presenti  et  futuri  capitoli  del 
Monte,  el  quale  officiale  tenga  el  conto  de  dicto  Monte 
cioò  che  cum  dilligentia  presti  li  denari:  secondo  de  sotto 
se  dirà  et  receverà  li  p'^ffni  sufficienti ,  come  anche  de 
sotto  se  ordinara  et  metta  al  libro  quanto,  et  quando, 
et  a  chi  darà  denari  et  con  quo  pegno,  et  faccia  le  bol- 
lette a  coloro  a  )i  quali  darà  denari  le  qual  bollette  con- 
tengano el  dì  el  nome  del  rocevente,  et  la  quantità  del 
presto  et  el  pegno  rccevuto  specificatamente  e  chiaro  et 
Imbbia  per  suo  salario  quindici  vinti,  o  venticinque  fio- 
rini de  moneta  Tanno  e  più  e  meno  secondo  se  poterà  ba- 
vere et  portandose  bene  et  utilmente  e  fidelmente  se  possa 
refermare  per  li  elee  tori  prefati  et  habbia  de  continuo  Re- 
sidentia  nocte  e  dì  in  lo  Spedale  prefato  da  poi  che  le 
Stantie  saranno  acconcie  assigandoseli  da  li  Magnifici 
Si.Gfnori  priori  et  conservatori  del  Monte  et  governatori 
de  Io  Spedale  una  camera  idonea  quale  se  poterà  et  habbia 
la  spesa  de  mangiare  et  de  bere  con  li  Magnifici  Signori 
Priori  che  per  li  tempi  sì  trovaranno  et  lo  prefalo  suo 
salario  volemo  che  se  paghi  de  la  intrata  ferma  che  bavera 
il  Monte  in  tre,  o  in  quattro  volte  l'anno  al  dicto  offi- 
ciale assegnandoseli  per  li  prefati  Magnifici  Signori  priori 
et  conservatori  del  monte  et  governatori  de  Io  Spedale 
chiavieri  et  conservatori  del  thesoro  et  intrate  de  esso 
Monte  che  per  allom  se  troveranno  sempre  scrivendose 
quella  tanta  quantità  al  libro  de  la  uscita  del  dato  de 
mano  do  esso  officialo  rec(^vente  el  suo  salario  et  quando 
et  quanto  j)er  volta  et  da  chi. 


676  1   PRIMITIVI   CAPITOLI 

RUBRICA  de  modo  et  orditie  dandi  de  dictis  pecuniis  Montis  ipsi 
officiali  per  supradicttis  Claverios  et  conservatores  carum. 

CAPITULUM  QUINTUxM 

Item  che  al  dicto  officiale  siano  dati  cinquanta,  o 
cento  fiorini  al  più  per  volta  da  li  prefati  chiaveri  et 
conservatori  del  monte  li  quali  denari  prestati  a  li  biso- 
gnosi secondo  ne  li  capi  tuli  se  contene:  el  dicto  officiale 
torni  per  li  altri  fino  che  ce  ne  scranno  più  in  cassa, 
sempre  mostrando  per  suo  libro  a  chi  haveva  dati  li 
altri  prima  ricevuti,  et  sempre  scriva  de  sua  mano  nel 
litro  de  la  uscita  che  remane  in  cassa  quello  che  receve 
et  in  che  dì  et  da  chi. 

RUBRICA  de  modo  prestandi  pecunias  ipsas  ab  ipso  officiali 
tenendas. 

CAPITULUM  SEXTUM 

Item  che  li  dicti  denari  debbia  et  possa  prestare  fino 
in  doi  fiorini  per  persona,  ciò  e  ad  una  sola  persona  so- 
lamente per  casa  a  tutti  gli  abitanti  in  la  città  o  conta 
di  fano,  et  ad  altri  non,  per  lo  tempo  de  sei  mesi  senza 
merito  ne  prezzo  alcuno  col  pegno  sufficiente  a  juditio 
de  esso  officiale  et  secondo  de  sotto  se  dirà. 

RUBRICA  de  tempore  relevandi  pignora  ac  modo  temmdo  circha 
recaduta,  nec  non  et  pena  contrafacentium  et  non  obser- 
vantinm  ea  que  in  presentibiis  capitiUis  continentur, 

CAPITULUM  SEPTIMUM 

Item  che  li  pegni  se  debbano  rescotere  in  fra  li  dicti 
sei  mesi  et  se  infra  essi  non  se  rescoteranno ,  allora  li 


DEL    MONTE  DI   PIETÀ  DI  FANO  677 

Magnifici  Signori  priori  Conservatori  del  Monte  et  go- 
vernatori de  lo  Spedale  una  cum  quello  officiale  che  sarà 
per  allora  siano  tenuti  lo  septimo  mese  fare  fare  quattro 
Bandimenti  de  li  recaduti  pegni  dal  trombetto  del  Co- 
mune a  questo  da  doverso  deputare  da  li  magnifici  Signori 
priori  conservatori  del  Monte  et  governatori  de  lo  Spedale 
cum  salario  competente,  si  senza  non  se  ne  può  havere 
li  quali  quattro  bandimenti  facciano  infra  quattro  dome- 
niche ne  la  piaza  del  comune  ovvero  in  altro  comune  et 
pubblico  luocho  dove  alli  prefati  meglio  parerà  et  in  l'ul- 
timo bandimento  se  debbiano  trasferire  et  vendere  a  chi 
più  ce  off*erira,  et  del  prezzo  del  pegno  se  ne  renda  al 
monte  tanto  quanto  ne  prestò  et  non  più  un  picciolo,  et 
quello  sopra  avanzarà  se  renda  al  patrone;  et  se  el  pa- 
drone del  pegno  infra  questi  bandimenti  venisse  per  el 
suo  pegno  con  rendere  al  monte  quel  tanto  li  fo  pre- 
stato siagli  renduto  et  possalo  rihavere,  altramente  sia 
liberato  al  più  offerente,  et  se  li  profati  Signori  priori 
et  conservatori  et  governatori  del  Spedale  contrafaranno 
a  questo  sopradicto  et  da  dire  de  sotto  per  tutti  li  ca- 
pituli  discorrendo  o  in  tutto  o  in  parte  notabilmente, 
siano  privati  del  regimento  della  città  et  de  omne  of- 
fìtio  et  benefitio  do  essa  città,  et  si  colui  che  tiene  el 
conto  officiale  del  Monte  contrafarrà  perda  el  suo  salario 
de  uno  anno  et  sia  tenuto  a  lo  interesse  del  monte  per 
la  rata  sua,  et  esso  notario  ovvero  officiale  sia  tenuto 
con  diligontia  che  in  li  pegni  non  corra  il  tempo  oltra 
de  sei  mesi  come  è  dicto  de  sopra,  et  de  recaduti  subito 
no  advisi  li  ^Ingnifici  Priori  et  ali  conservatori  cum  te- 
stimony,  altramente  perda  ci  Salario  de  sei  mesi,  et  la 


678  I   PRIMITIVI   CAPITOLI 

negligentia  del  dicto  officiale  non  pregiudichi  ali  magni- 
fici Signori  priori  et  ali  conservatori,  ne  a  lui  prejudichi 
la  negligentia  loro,  et  de  presente  quando  li  bandimenti 
83  faranno  siano  sempre  almeno  doi  li  conservatori  et 
uno  de  li  governatori  del  Spedale  cum  1'  ufficiale  del 
Monte  et  cum  lo  cancelliero  del  Comune,  et  a  questi  tali 
sia  data  V  autorità  de  transitare,  vendere,  et  liberare 
li  banditi  pegni  recaduti  secondo  la  forma  de  questi 
Capituli. 

RUBRICA  de  Juramento  prestando  petcntibus  de  diclis  pecunijs 
et  de  modo  tuu'ndo  ac  pena  contra  facentes  et  tnm  dant*'$ 
quam  recipientes,  nec  non  accnsantes, 

CAPITULUM  Vili  » 

Item  che  coloro  che  voranno  de  le  diete  pecunie  per 
lo  modo  prefato  siano  tenuti  a  giurare  che  ne  habbiano 
bisogno  per  vita  et  vestimento  de  loro  o  de  loro  fami- 
glia, 0  per  altra  legittima  necessità;  et  non  por  fare 
alcune  ribalderie  et  che  lì  voglia  per  se  o  per  la  sua 
famiglia  et  non  per  altra  persona  e  si  alcuno  contrafa- 
cesse non  che  acaptasse  per  giuchare  e  por  fare  altra  spesa 
superflua  e  vana,  o  dannosa,  o  che  achatasse  per  altri, 
perda  el  suo  pegno  el  quale  se  possa  o  debba  vendere 
et  de  quello  che  avanzarà  sopra  la  sorte  principale  pre- 
stata al  monte  se  ne  dia  un  torzo  allo  accusatore  el  quale 
sia  creduto  con  uno  testimonio  fidedigno  et  se  infra  doi  dì 
de  poi  li  acaptati  denari,  quello  tale  havesse  giucato  o  fa- 
cto altra  spesa  superflua,  laltra  terza  parte  sia  deiroficiale 
ne  farà  la  esecuzione  e  T  altra  del  Monte  e  non  si  possa 


DEL   MONTE   DI   PIEtX   DI   FANO  679 

prostaro  da  (lieto  Monte  so  non  ad  habitanto  in  la  dieta 
Cita  de  fano,  ovvero  suo  Contado,  o  distrecto  sotto  pena 
de  uno  fiorino  quando  contrafacesse  per  ciascuna  volta 
rofficiale  del  monte,  cioè  malitiosamente  e  per  sua  cer- 
tezza dia  el  giuramento  a  colui  che  domanda  el  presto 
anche  de  questo  cioò,  che  sia  de  la  Città,  e  conta  habitante. 

RUBRICA  de  non  refermando  pignora  recaduta  noe  in  ei$  pre- 
stando nisi  post  orto  dies  a  die  recollectionis  et  de  pena  of- 
ficiaUs  contrafacientis. 

GAP.  IX. 

Item  che  li  pegni  recaduti  non  se  possano  reafermare 
più  per  alcun  modo,  ne  scosso  el  pegno  se  possa  rem- 
pegnare,  si  non  passati  otto  dì  da  poi  che  sarà  rescosso 
sotto  pena  de  uno  fiorino  per  ciascuno  pegnio  da  rete- 
nerse  per  li  rectori  de  Io  Spedale  del  salario  de  l'officiale 
contrafacendo. 

RUBRICA  de  tempore    represtandi  eis  qui  alias  receperunt. 

GAP.  X.» 

Item  che  colui  il  quale  ha  avuto  doi  fiorini  in  presto 
per  sei  mesi  fino  che  sta  debitore  de  ossi  non  ne  possa 
bavere  più,  ma  renduti  quelli  possi  ricurrcre  pure  per 
tanta  quantità  et  non  più  pure  per  sei  mesi. 

RUBRICA  de  jìolizis  reportandis  a  pignorantibus  et  modo  tenendo. 

GAPITULUM  XI.» 

Itora  che  quando  el  patrone  tornarà  a  roscotere  el 
suo  pegno,  sia  tenuto  a  roportare  la  poliza  la  quale  gli 


680  I   PRIMITIVI   CAPITOLI 

fece  el  depositario  overo  V  officiale  de  che  et  quanto 
hebbe ,  la  quale  si  per  caso  V  havesse  perduta  debba 
giurare  bavere  nel  monte  tal  pegno,  et  dare  sufficiente 
recolta  allofitiale  de  cavarlo  senza  danno,  et  poi  gli  sia 
restituito  el  pegno  subito  sotto  pena  de  uno  fiorino  per 
ciascuno  pegnio  che  tardasse  V  offitiale  de  rendere  al 
patrone* 

RUBRICA  de  modo  et  loco  conservandi  pignora  et  circa  casam 
eorum  et  de  principali  in  partem  et  in  tolutn  fundamento 
ipsins  Montis, 

CAPITULUM  XII. 

Item  ordiniamo  et  statuimo  che  in  lo  loco  et  circum- 
stantie  de  lo  Spedale  prefato  chiamato  la  casa  de  dio  se 
ordine  in  prima  una  cappella  chisiola  ovvero  oratorio  ad 
honore  et  reverentia  dell'  omnipotente  dio  et  de  la  sua 
dulcissima  Matre  Gloriosa  Vergine  Maria  nostra  advocata 
protetrice  patrona  et  conservatrice  et  augmentatrice  de 
questo  benedecto  Monte ,  la  quale  se  chiame  ex  nwic 
pronut  ex  tunc  Sancta  Maria  de  la  pietà  in  la  casa  de 
dio  hospitale  del  Comune  de  la  città  de  Fano,  et  apresso 
quella  Capella  se  acconcie  la  Stantia  per  lo  banche  del 
presto  et  apresso  quella  se  acconcie  la  Stantia  per  con- 
servare li  pegni  :  et  appresso  ovvero  intra  quella  o  quelle 
la  Stantia  bona  e  forte  per  la  cassa  et  reserva  de  li  denari 
overo  thesoro ,  del  Monte  da  stare  sotto  quattro  chiave 
all'uscio  de  la  Camera,  et  tre  a  quello  de  la  Cassa  come 
è  dicto  in  lo  principio  de  li  Capituli  et  in  quello  sifacto 
luocho  volemo  j)er  sempre  e  non  altrove  stiano  et  con- 


J 


DEL   MONTE   DI   PIETÀ   DI   FANO  681 

servese  tutte  queste  cose,  cioè  el  baucho  le  pegnora,  et 
li  denari  secondo  è  diete,  et  secondo  che  se  dirà  per  più 
chiarezza  et  expcditione  de  ciò,  per  lo  nostro  Reveren- 
dissimo in  Cristo  padre  et  Signore  Messer  Nicolò  Ve- 
scovo de  Madrussia  nostro  governatore  et  per  lo  Reve- 
rendo in  Cristo  patre  messer  Joanne  Vescovo  nostro:  li 
Magnifici  Signori  priori  et  li  quattro  electi  una  cum  frate 
Marche  prefato  predicatore  designaranno  et  ordinaranno: 
et  in  quella  stantia  deputata  et  da  deputarse  per  la  con- 
serva di  pegni,  volerne  TofiBciale  prefato  guardo  et  conservi 
li  dicti  pegni  cum  omne  dilligentia  che  poterà  et  saperà. 
E  quando  per  suo  defecto  o  manchamento  avenisse  per 
alcuno  modo,  sia  tenuto  al  patrone  de  tutto  el  danno: 
Ma  quando  per  altro  divino,  et  humano  Juditio  caso  et 
fortuna  se  perdesse  sia  ale  spese  de  li  patroni,  et  Io  co- 
mune et  lo  Spedale  non  sia  obligato  altramente  che  quando 
fosse  el  giudeo  de  li  pegni  che  lui  tene  o  ha  tenuto, 
quando  simile  caso  gli  fosse  introvenuto  et  introvenisse, 
cioè  de  Juditio  divino.  ')  Et  interim  volerne  se  trovi  un 
altra  stantia  conveniente  apegione  per  esso  ofiBciale  et 
pegni,  et  la  cassa  de  la  reserva  stia  in  una  sacrestia 
bona  de  la  Città ,  ovvero  in  casa  de  uno  de  li  electi 
alla  satiffactione  del  Monte,  secondo  li  ^lagnifici  Si- 
gnori priori  una  cum  gli  altri  electi  et  predicatori  ordi- 
naranno, et  la  spesa  che  se  ha  a  fare  per  la  dieta  hedi- 
ficatione  come  de   sopra  in  questo  capitulo  se  contiene 


*)  Qui  si  vuolf»  int<»ini**iv  rhft  noi  piwi.«to  ca<»o  di  ponlita  il  Comune 
non  9ia  obbligato  a  {lagai***  più  di  (guanto  lo  sarebbe  un  Giudeo  a  cui 
interveniue  un  itimi  le  caso. 


682  I    PRIMITIVI   CAPITOLI 

intenderne  et  dichiariamo  se  faccia  a  spese  del  dicto 
monte  et  de  le  helymosine  che  se  fesse  per  edificare 
tale  locho,  et  acciò  presto  se  eseguisca  et  mandase  ad 
efecto  volerne  siano  deputati  per  Io  prefato  nostro  Reve- 
rendissimo gubernatore  et-  per  lo  prefato  frate  Marche 
predicatore  dei  soprastanti  a  questo  lavoriero  li  quali 
cum  omne  suUecitudine  diano  opera  ala  expeditione  de 
diete  Stantie  fino  che  scranno  fornite ,  li  quali  debbano 
giurare  jiixta  posse  vacare  al  dicto  lavoriero  sotto  pena 
de  perjurio  et  de  quella  pena  gli  sera  imposta  per  lo 
prefato  nostro  Reverendissimo  Monsignore  Gubernatore. 

RUBRICA  de  non  tenendo  circha  recaduta  pignora  de  quibus 
Capitale  Montis  relmberi  non  posset 


CAPITULUM  XIII. 


m 


Item  che  le  pegnora  tolti  cum  V  ordine  et  modo  in 
dicti  Capituli  dechiarati  in  fine  de  sei  mesi  recaduti  che 
fossero  et  non  se  ne  trovasse  tanto  quanto  era  el  Capi- 
tale del  Monte,  coloro  che  tolsero  el  presto  e  loro  heredi 
e  successori  sempre  siano  òbligati  alo  interesse  et  danno 
del  Monte  cioè  de  tanto  quanto  era  el  suo  capitale,  sic- 
ché el  Monte  non  perda,  et  de  questo  el  podestà,  possa 
e  debba  fare,  e  fare  fare  ragione  summaria  et  espedita 
sotto  pena  de  tanta  quantità  quanta  sarà  quella  che  man- 
charà  al  Monte  per  defecto  del  podestà,  in  eie  da  li  Con- 
servatori recercahto  et  advisato,  e  da  alcuno  de  loro,  et 
si  li  conservatori  in  eie  scranno  negligenti  siano  essi 
òbligati  al  Monte  del  loro,  et  non  de  quello  de  lo  Spedale 
ne  del  Comune. 


DEL   MONTE   DI    PIETX   DI   FANO  683 

RUDRICA  (la  minio  lenemli  pUjnora  qiie  furala  appareant. 

CAPITLLUM  XIIII. 

Item  si  li  dicti  pogni  fossero  forse  pegni  furati  el 
Monte  non  perda  et  el  patrone  del  pegno  habbia  lo  in- 
teresso suo  et  ricorso  contaa  li  impignanti  contro  dei  quali 
pure  rasione  sumaria  sia  administrata  da  Messer  Io  po- 
destà sotto  la  medesima  pena  cioè  della  quantità  che 
valesse  el  pegno  furato  da  restituirse  al  patrone. 

RUBRICA  de  (Mligatione  omniìim  officiaUum  comunitalis  fani 
circÌM  montem  et  comunis  ejtis  officialem. 

CAPITULUM  XV. 

Item  che  tutti  officiali  et  balij  et  trombetti  del  Comune 
do  fano  sotto  pena  de  la  privatione  di  loro  offitij  et  per- 
ditionc  di  salarij  siano  tenuti  obedire  alli  conservatori 
et  offi(  iali  del  Monte  in  tutte  quelle  cose  che  aspcctano  a 
dicto  Monto  et  ad  essi  fare  rasione  summaria  de  facto 
senza  strepito  ne  figura  de  juditio  solamente  la  verità 
del  fatto  conosciuta  ed  intesa. 

RCBRICk  de  lihris  exitus  et  introitibus  Montis  ab  officiali  pa- 
hm  tenendis  ad  qunscumque. 

CAPITULUM  XVI.» 

Item  ohe  Tofficiale  del  Monte  sia  tenuto  bavere  da  preso 
80  la  copia  de  quelli  quattro  libri  de  la  intrata  et  uscita 
che  stanno  in  la  cassa  de  li  denari  da  mustrarli  sempre 
a  chi  neco^3ariamente  li  vorrà  vedere  et  intendere  quello 
che  ft  dentro  et  de  fora  de  esso  Monte. 


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684  1   PRIMITIVI   CAPITOLI 

RUBRICA  de  obbligalione  officialis  de  obediendo  dominis  et  aliis 
rectoribiis  morUis  et  de  juramento  eidem  prestando  in  prin- 
cipio sui  offitij  et  de  fideliate. 


CAPITULUM  XVII. 


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Item  che  V  offitiale  del  dicto  Monte  sia  tenuto  in  omne 
cosa  obbedire  alli  Magnifici  Signori  priori  et  alli  conser- 
vatori et  governatori  de  lo  Spedale  in  omne  cosa  al  dicto 
Monte  non  essendo  centra  li  Capituli  presenti  et  sia  te- 
nuto mostrare  ad  essi  et  ad  omne  loro  requisione  (sic) 
el  suo  conto  sotto  pena  de  dieci  fiorini  per  ciascuna 
volta  contrafacesse  da  retenerse  del  suo  salario  et  appli- 
carsi al  Monte  per  li  doi  terzi  et  per  un  terzo  alli  Magni- 
fici Signori  priori  et  alli  conservatori  prefati  et  de  tale 
requisitione  essi  Signori  priori  et  conservatori  ne  faccia 
rogato  el  notaro  cum  doi  testimonij  secondo  meglio  glie 
parerà,  et  niente  de  meno  lo  podestà  a  requisitione  de 
li  Signori  priori  et  conservatori  sia  tenuto  constrengere 
V  offitiale  a  mustrare  la  sua  rasione  quando  se  excusasse 
che  non  avesse  denari,  sia  anche  tenuto  esso  offitial  sotto 
pena  de  perjurio  et  debba  cum  sollicitudine  attendere  a 
fare  scotere  ovvero  scotere  tutte  le  obbligationi  fatt«  al 
Monte  et  habbia  un  bolognino  per  fiorino  ultra  el  suo 
salario  scotendole  tutte;  altramente  habbia  solamente  mezzo 
bolognino  per  fiorino,  per  quelle  che  avesse  scosso  judì- 
tialmente.  Debbia  anche  dicto  offitiale  nel  principio  del 
suo  offitio  giurare  che  la  pecunia  del  dicto  Monte  la 
quale  alle  sue  mane  pervenirà  non  expendere  ne  usare 
per  altro  modo  che  prestare  alli  bisognosi  secondo  li  ca- 
pituli del  Monte,  e  sua  forma. 


DEL   MONTe   DI    PIETX   DI   FANO  685 

RUBRICA  de  modo  prestandi  pecunias  et  quibus  pignorìbus  et 
quo  tempore. 

CAPITULUM  XVUL» 

Item  sia  tenuto  el  dicto  offitiale  prestare  a  qualunque 
persona  secondo  li  Capituli  presenti  glie  adimandarà  in 
quelli  pegni  che  li  portarà,  li  quali  siano  sufficienti  cioè 
che  vagliano  almeno  un  terzo  più  ,  altramente  toglien- 
doli sia  tenuto  V  officiale  de  tutto  quello  che  mancasse 
alla  somma  che  el  Monte  gli  prestò,  non  trovandosene 
tanto  nel  ultimo  bandimento,  et  el  podestà  de  la  terra 
pure  ne  faccia  ad  esso  officiale  rasione  sumaria  contra 
de  tale  patrone  del  pegno  si^hcl'  Monte  sia  salvo  et  anche 
l' offitiale,  li  quali  pegni  quando  se  pigiano  (sic)  le  deb- 
bano vedere  se  hanno  manchamento  alcuno  et  quello  no- 
tare, et  trovandose  poi  infine  quelli  bavere  altri  defecti 
sia  tenuto  V  officiale  del  Monte  de  la  emendatone  del 
patrone  et  esso  officiale  si  non  cognosera  el  valore  de  li 
pegni  facciaseli  estimare  et  expcdisca  prestamente  lo 
adomandante  :  altramente  casche  in  la  pena  de  uno  Bo- 
rine per  omne  volta  che  contrafacesse  da  applicase  per 
la  terza  parte  al  Monte,  Taltra  terza  parte  al  querelante 
et  r  altra  terza  all'  offitiale  che  ne  farrà  la  esecuzione. 

RUBRICA  de  non  posse  sequestrari  pignora  nisi  furata. 

CAPITULUM  XVIIIL- 

Item  che  ninno  pegno  posto  al  Monte  se  possa  seque- 
strare ad  instantia  de  alcuna  persona  por  qualunque  ca- 
gione, salvo  non  fosse  cosa  furata,  de  la  quale  facendosene 
fede  et  provandose  sufficiente  se  debba  rendere  al  patrone, 
retcT^  .o  el  capitale  del  dicto  Monte. 


1  *  * 


686  1    PRIMITIM   CAPITOLI 

RUBRICA  de  Rjsulais  que  supjr  sorlem  Monlis  ex  rccadutis 
pignoribHS  habentur. 

CAPITULUM  XX - 

Item  che  tutti  li  residui  se  liavessero  a  pagare  alli 
patroni  delli  pegni  venduti  se  debba  tenere  conto  da  per 
se  per  lo  Monte,  et  anche  per  V  offitiale  nel  libro  de  la 
intrata  del  presto,  et  esso  ofi&ciale  ne  debba  rendere  ra- 
gione come  de  le  altre  cose  al  suo  successore ,  et  essi 
residui  restituire  subito  al  dicto  patrone  essendoce  de- 
nari in  mano  sotto  pena  di  uno  fiorino  per  ciascuna  volta 
se  contrafacesse  et  non  trovandose  denari  rendali  delli 
primi  che  tornaranno,  et  non  trovandose  el  patrone  del 
pegno  venduto  lo  dicto  residuo  si  tenga  per  conservarse 
appresso  el  monte  in  forma  de  li  altri  denari  prestati 
sino  che  el  •patrone  venirà;  Et  essendo  morto  sia  et 
debbase  dare  alli  soi  eredi  li  quali  non  trovandose  se 
distribuischa  alli  poveri  per  mano  del  Vescovo  o  suo 
Vicario  cum  dei  boni  Religiosi  de  la  terra. 

RUBRICA  de  non  posse  vendi  officiali  Monlis  nec  conseroanlibus, 
nec  recaduia  pignora  ab  eis  eini  seti  ab  aliis  prò  eis  quod 
implicite  intelligitur. 

CAPITULUM  XXI.» 

Item  che  l'offitiale  ne  ninno  dei  conservatori  ne  li  Ma- 
gnifici Signori  priori,  ne  altri  per  loro  sotto  obìigazione 
de  juramento  ne  la  intrata  del  loro  offitio  et  sotto  pena 
di  dieci  fiorini  per  ciascuna  volta  legiptimamente  se  pro- 
vasse, possa  comprare  alcuno  decaduto  pegnio  durante  el 
loro  offitio;  de  la  qual  pena  la  terza  parte  sia  de  lo  accu- 


DKL   MONTE    DI   PIKTÀ    DI   FANO  687 

tore  Taltra  terza  sia  dell'offitiale  che  ne  farà  exsecntione, 
et  r  altra  terza  parte  del  Monte.  Ne  anche  cosa  alcuna 
donata  al  dicto  Monte  o  lassata,  a  pena  del  doppio  de 
la  valuta  di  quella  tale  cosa,  et  sotto  pena  de  excomu- 
nicazione maggiore  ipso  facto. 

RUBRICA  de  non  posse  banniri  cum  pignorantibm  alia  bona 
particoUiris  persone  nec  Comunis. 

CAPITLXUM  XXUr 

Item  che  li  dicti  officiali  no  li  bannimcnti  fanno  fare 
per  li  temjìi  per  la  vonditionc  do  li  pegni  recaduti  non 
possano  ne  debbano  fare  bandire  alcuna  altra  cosa  se  non 
li  dicti  popni  solamente  rochaduti  al  dicto  Monto  sotto 
pena  do  dieci  fiorini  por  qualunque  cosa  di  altro  persone 
facessero  bandirò  da  aplicarse  come  è  dicto  nel  prece- 
dente Capitolo. 

RUBRICA  rf*'  judic*.  competente  circha  controversias  que  circha 
Montem  Catisarentur. 


CAPITI LUM  XXIIJ. 


m 


Item  che  in  le  controversie  lo  quali  potessero  nascere 
nel  dicto  Monto  ne  siano  judici  li  conservatori  del  Monto 
et  governatori  del  dicto  hospitale  che  per  il  tempo  se- 
ranno  li  quali  siano  tenuti  docidore  fra  cjuindici  di  sumario 
simpliciter  et  de  plano  senza  alcuno  pagamento  sotto  pena 
de  cinque  fiorini  por  ciasi'una  volta  contrafacessero  da 
applicarlo  ad  osso  Monto,  et  in  tali  cause  non  ce  habbia 
loco  appellatione  alcuna. 


688  1   PRIMITIVI  CAPITOLI 

RUBRICA  de  juramerUo  prestando  tam  twvis  prioribus  qiiam 
domino  potestati  tioviter  intranti  per  CanceUarium  coititi- 
nitatis. 

CAPITULUM  xml - 

Item  chel'  Cancellerò  del  Comune  debbia  a  K  Magni- 
fici Signori  Priori  et  al  podestà  in  lo  principio  del  loro 
offitio,  nel  giuramento  bavera  a  fare  a  loro,  stipulare  an- 
cora questo  tra  le  altre  cose  cioè  che  alla  augumenta- 
tione  et  conservatione  del  Monte  debbano  intendere  et 
favorire  secondo  el  loro  possere. 

RUBRICA  de  non  posse  apiari  per  aliquem  aliquod  de  pigno- 
ribus  montis. 

CAPITULUM  XXV." 

Item  che  V  officiale  de  esso  Monte  non  possa  prestare 
ad  altri  ne  optare  per  se  alcuno  pegno  sotto  pena  de 
cinque  fiorini  da  applicarsi  per  la  terza  parte  a  lo  ac- 
cusatore cum  uno  testimonio  fidedigno;  la  terza  parte 
all'offitiale  ne  farà  esecuzione  et  Taltro  terzo  al  Monte. 

RUBRICA  de  non  posse  aliquam  pecuniam  ad  Montem  per- 
ventam  pennutari  ad  alium  usura. 

CAPITULUM  XXI." 

Item  che  la  pecunia  deputata,  o  pervenuta  al  dicto 
Monte  0  da  deputarse  o  da  pervenire,  non  se  possa  ne 
in  tutto  ne  in  parte  togliere  deputare  o  spendere  in  altro 
uso  che  in  subventione  de  li  poveri  et  bisognosi  sotto 
la  forma  dei  presenti  Capituli  per  qualunque  cosa  occo- 
resse,  sotto  pena  de  excomunicatione   maggiore  da  in- 


DEL    MONTE  DI   PIETÀ   DI   FANO  689 

correrso  ipso  facto  per  qualunque  consigliasse  proponesse, 
0  per  qualunque  altro  modo  intervenisse ,  et  sotto  la 
pena  di  cinquanta  ducati  da  applicarsi  per  la  metà  alla 
camera  apostolica  et  per  la  quarta  parte  al  comune  de 
fano,  et  per  laltra  quarta  parte  al  dicto  Monte.  E  qua- 
lunque permutatone  fusse  facta  non  vaglia  ne  tenga 
ma  sempre  stia  pure  fermo  al  Monte  come  prima,  ne 
ce  possa  intervenire  dispensa  de  alcuno  superiore  et  in- 
tervenendoci ipso  facto  sia  irrita  et  nulla,  si  non  del 
santissimo  Signore  nostro  papa  immediate. 

RUBRICA  de  aliquid  proponentes  (sic)  qiiod  converteretur  ali- 
quo  modo  circha  destruciioncm  Montis. 

CAPITULUM  XXVII. 

Item  porche  molte  poteriano  essere  lo  astutie  et  cor- 
ruptolo  de  li  giudei  et  de  cattivi  cristiani  et  invidiosi 
ad  indurre  li  citadini  et  altre  persone  a  destructione  del 
dicto  Monto,  Statuimo  et  ordinamo  che  niuno  delli  priori 
conservatori  del  Monte  et  governatori  de  V  ospedale  ov- 
vero altra  persona  del  consoglio  secreto  ne  generale 
possa  proponore  por  alcuno  modo  tacito  ovvero  espresso 
per  via  diretta  et  indirocta ,  cosa  alcuna  che  venga  a 
destructione  del  dicto  olente  sotto  pena  de  conto  fiorini 
da  applicarse  per  la  meta  alla  camera  del  Comune  et 
per  r  altra  metà  alla  camera  apostolica ,  et  privatione 
del  rogimento  per  se  et  do  sua  famiglia  in  perpetuo  et 
sotto  pena  de  excomunicationo  maggiore  da  incorrerse 
ipso  facto,  et  non  ce  habbia  loco  disponsatione  de  alcuno 
Superiore,  si  non  della  Sanctita  do  nostro  Signore  mos- 
ser  lo  Papa  immediate. 


690  I   PRIMITIVI  CAPITOLI 

RUBRICA  de  capsa  in  ecclesia  corner vanda, 
CAPITULUM  XXVIU  » 

Item  ordinamo  et  statuimo  che  in  essa  capella  de 
Sancta  Maria  de  la  pietà  in  la  casa  de  dio  stia  de  con- 
tinuo una  cassa  della  offerta  del  Monte  come  el  prefato 
frate  Marcho  ha  ordinato  et  dechiarato,  et  li  MagniBci 
Signori  Priori  una  cum  li  conservatori  del  Monte  et 
governatore  del  Spedale  o  la  maggiore  parte  de  loro 
cum  r  offitiale  del  Monte  siano  tenuti  et  debbano  Y  ul- 
tima domenicha  del  loro  priorato  trovarse  in  Sancta 
Maria  de  la  pietà  prefata  et  aprire  la  cassa  prefata  et 
veduto  essa  quantità  se  trovarà  inseme  se  scritta  al  libro 
de  la  intrata  del  dato,  et  mettase  in  cassa  de  la  riserva 
de  le  tre  chiave,  la  qual  cosa  contrafacendo  chascheno 
in  la  pena  de  un  ducato  per  uno  daplicarse  per  uno 
terzo  al  Monte  et  per  lo  altro  terzo  alla  Comunità  et 
r  altro  terzo  all'  ofitiale  ne  farà  execuzione. 

RUBRICA  de  modo  circha  inlroitum  officialis  Montis  si  ve  exitum 
et  de  ejus  sindicatu. 


CAPITULUM  XXVIIII. 


m 


Item  che  quello  officiale  sia  obligato  in  la  intrata  del 
suo  offitio  recevere  el  giuramento  sopra  lo  altare  de 
sancta  Maria  de  la  pietà  da  essi  Conservatori  o  da  li 
Magnifici  Signori  Priori  o  da  li  governatori  dell'  hospi- 
tale  essere  fidele  in  tutta  questa  administratìone  et  dia 
sufficiente  recolta,  et  alla  fine  de  l' anno  stia  a  sinda- 
cato dieci  dì  per  messer  lo  Podestà,  e  quattro  cittadini 
da  doverse  elegere  per  li   Magnifici    Signori    Priori    et 


D£L  MONTE  DI   PIKTX  DI   FANO  601 

conseglio  di  XXV  una  cum  li  conservatori  del  Monte 
reassignando  ragione  de  omne  cosa  da  lui  ricevuta  et 
administrata  et  si  è  trovato  colpevole  sia  punito  secondo 
ne  li  capitoli  se  contiene,  et  si  el  podestà  e  sindacatori 
prefati  contrafaranno  siano  loro  obbligati  de  tanta  quan- 
tità, quanto  colui  fosse  stato  obligato  da  aplicarse  al 
dicto  Monte  sola  facti  veritate  inspecta.  Et  che'l  dicto 
offitiale  non  se  possa  absentare  de  la  terra  per  uno  dì 
senza  licentia  de  li  magnifici  signori  priori  conservatori 
de  lo  spedale  alla  pena  dicci  fiorini  per  volta. 

RUBRICA  de  donationibus  fiendis  ipsi  monti  et  valore  earum, 

CAPITULUM  XXX.- 

Item  che  si  ninno  volesse  donare  al  dicto  Monte 
cosa  mobile  ovvero  immobile  inrevocabile  inter  vivos  et 
la  dieta  donazione  sìa  facta  cum  rogatione  de  uno  no- 
tarlo publico  et  de  tre  testimoni  al  meno  secreto  o  vero 
palese,  vaglia  et  tengha  quibuscunque  statutis  et  aliis 
in  contrarium  facientibus  non  obstantibus,  et  quilibet 
notarius  publicus  possit  se  de  dieta  donatione  rogare 
cum  tribus  tostibus  et  tenga  la  donazione  in  credenza 
sotto  pena  de  la  privatione  del  regimento,  et  se  notaro 
sotto  pena  del  falso,  et  siano  tenuti  li  revelatorì  al  Monte 
predicto  rendere  tanto  quanto  V  havranno  dannificato. 

RUBRICA  de  modo  deponendi  pecitnias  in  dicto  Monte  seu  de- 
positas  restituendi. 

CAPITULUM  XXXI.- 

Item  si  ninno  homo  ot  dona  de  qualunque  stato  o 
conditione  se  sia    vorrà  deponcre    nel   dicto   monte  bì- 

Arche.  Star.  Mot-rh.   V.  /.  44 


692  I  PRIMITIVI   CAPITOLI 

cune  quantità  de  pecunia  cum  animo  de  rehaverle,  ma 
al  servitio  de  li  poveri  per  tanto  tempo  quanto  da  lui 
sarà  chiarito,  li  Magnifici  Signori  priori  li  conserratori 
del  Monte  et  goyematori  del  hospitale  che  per  allora 
se  trovaranno  in  offitio  quando  el  deponente  redoman- 
darà  le  prestate  sue  pecunie,  farà  li  rendere  el  più  pre- 
sto se  trovano  in  cassa  sotto  pena  de  privatione  del 
regimento  et  de  tanta  quantità  quanto  è  quella  che 
quello  tale  redomanda  et  debba  rehavere  da  applicarse 
uno  terzo  ut  supra  alla  camera  apostolica,  al  Monte  et 
alla  camera  del  comune,  et  sopra  de  questo  abbiano  piena 
balìa  de  quello  de  lo  spedale  o  de  quello  del  comune 
si  altro  non  si  trova  da  restuire  (sic)  al  deponente  sino 
a  uno  quattrino  sicché  senza  danno  alcuno  de  le  sue 
pecunie  sia  conservato,  et  volemo  el  Comune  de  Fano 
et  anche  el  stabile  de  esso  hospitale  sia  sempre  obbli- 
gato ad  omne  caso  fortuito  di  divino  juditio,  o  humano 
che  venisse  in  le  pecunie  de  qualunque  persona  in  esso 
monte  al  libro  del  presto  scranno  deposte  ovvero  se  de- 
poneranno,  sino  che  totalmente  el  deponente  o  altri  per 
lui  legittimamente  le  rehaverà. 

RUBRICA  Augumenti  Montis  de  pecuniis  comunalibus. 

GAP.  XXXII  » 

Item  ordiniamo  et  statiamo  chel  prefato  Monte  per 
sua  conservatione  et  augumento  habbia  omne  anno  tren- 
tatrè  fiorini  de  moneta  vecchia  o  quaranta  bolognini  per 
fiorino  da  la  comunità  da  doverse  torre  et  pagare  de  la 
intrata  de  lo  imbottato  di  anno  in  anno,  et  anco    che 


DEL  MONTe  DI    PIETÀ   DI    FANO  603 

cum  effecto  se  pagine  et  non  se  prolunghino  ne  inciam- 
pino. Yolemo  et  ordinamo  se  faccia  a  ciascuna  de  le 
casse  che  se  mettano  a  le  porte  una  chiave  più  che 
quelle  ce  sono,  la  quale  debbano  tenere  li  conservatori 
del  Monte  acciò  non  se  possa  aprire  almeno  senza  uno 
de  loro,  et  allora  volerne  se  cave  per  li  primi  li  dicti 
trentatrè  fiorini  per  lo  Monte  deputai i,  et  mettase  subito 
alla  Cassa  de  la  reserva  del  Monte  scrivendo  sempre  al 
libro  de  la  intrata  del  dato  al  modo  predicto. 

GAP.  XXXIII.- 

Itcm  ordiniamo  anche  che  abbia  mezzo  bolognino 
per  fiorino  de  tutto  el  salario  deputato  et  da  deputarsi  alli 
Magnifici  Signori  priori  de  anno  in  anno. 

GAP.  XXXIV.» 

Item  ordinamo  che  tutti  li  altri  salarij  che  la  Comu- 
nità darà  da  questo  in  poi  a  qualunque  stato  o  condi- 
tione  de  offitio  se  sia,  el  Monte  ne  habbia  un  bolognino 
per  fiorino  cum  questa  conditione  chel  Cancellerò  sia 
obligato  fare  la  elcetione  cum  dieta  retentione  et  non 
la  facendo  chasche  a  tanta  pena  et  obligatione  al  Monte, 
quanto  era  quello  che  per  suo  defecto  V  ha  damnificato. 
Et  così  ex  tuìic  prò  ut  ex  nunc  volemo  tutte  le  electione 
se  haveranno  a  fare  siano  intese ,  quando  mai  non  se 
fosse  stipulato ,  o  dichiarato  altramente ,  ma  alle  spese 
del  defectante.  Et  a  questo  volemo  ci  depositario  sia  obli- 
gato de  retpunre  a  tutti  cioò  podestà  cancelliere  Medici 
Maestro  de  scola  o  qualunque  altri  salariati  o  da  sala- 
riarso  a  la  })ena  del  doppio  da  applicarso  {)er  uno  terzo 


604  I   PRIMITIVI  CAPITOLI 

a  la  Camera  apostolica,  per  lo  terzo  al  comune,  et  per 
lo  terzo  al  Monte  et  sia  pena  de  excomunicatione  mag- 
giore si  malitiosamente  fesse  el  contrario,  et  retenuto  che 
bavera  la  dieta  quantità  che  deve  per  salariato  dopo  otto 
dì  al  più  si  non  la  assigna  alli  Magnifici  signori  priori 
et  conservatori  del  Monte  da  metterli  in  cassa  de  la  re- 
serva al  libro  del  Intrata  del  dato.  ^) 

GAP.  XXXV  » 

Item  ordinamo  et  statuirne  che  habbia  anche  el  dicto 
Monte  per  suo  augumento  et  conserva,  rehavuti  che  sa- 
ranno li  molini  da  la  Saccha  la  mità  de  la  intrata  de 
uno  anno  de  li  dicti  molini  alla  pena  del  doppio  a  qua- 
lunque che  la  impedisse  applicando  la  pena  pure  ut  su- 
pra  alla  Camera  apostolica,  al  Comune,  et  al  Monte  per 
lo  terzo:  et  la  electione  del  dicto  anno  cioè  pigliare  el 
primo  el  secondo  el  terzo  o  el  quarto  quale  meglio  pa- 
rerà sia  in  arbitrio  de  li  conservatori  de  esso  monte. 

RUBRICA  de  modo  augendi  seu  corrigendi  Capituia  ista  vd 
tninuenda. 

CAPITULUM  XXXVL- 

Item  occorendo  cosa  o  caso  alcuno,  ne  li  quali  per 
li  supradicti  capituli  non  fosse  suffitientemente  provve- 


^)  I  suddetti  due  Capitoli  33  e  34  ci  forniscono  la  prova  che  la  idea 
di  una  imposta  sui  redditi  di  ricchezza  mobile  non  è  cosa  nata  ai  nostri 
giorni,  ma  che  in  proporzioni  molto  più  limitate  e  sopportabili  venne  ap- 
plicata dal  comune  di  Fano  sono  già  quattro  secoli.  Per  la  migliore  intel- 
ligenza poi  di  queste  ritenute  è  a  sapersi  che  il  fiorino  d^  oro  valeva 
quaranta  bolognini,  ogni  bolognino  sei  quattrìni,  o  più  secondo  la  lega. 


DEL  MONTE  DI    PIETÀ   DI  FANO  695 

duto  per  non  sì  possere  vedere  omne  cosa  insieme,  per 
vigore  de  questo  presente  capitolo  reservamo  et  lassarne 
piena  facoltà  et  arbitrio  al  Conseglio  generale  de  essa 
città  de  Fano  cum  el  guardiano  de  sancta  Maria  del 
Methauro  de  frati  de  la  observantia  che  per  allora  se 
trovarà  et  a  li  gubernatori  del  Spedale  con  li  conser- 
vatori del  Monte,  secondo  meglio  gli  parerà  agiongere  e 
supplire  y  et  anche  le  sopradicte  cose  quando  utile  e 
necessario  fosse  corregere  et  emendare  per  la  conserva- 
tione  et  augumento  del  dicto  Monte ,  cum  questo  che 
sia  vinto  prima  nel  dicto  consiglio,  cioè  per  li  tre 
quarti  de  loro  et  sia  poi  confirmato  solidato  et  autenti- 
cato dal  Reverendissimo  in  Christo  padre  Legato  o  vero 
gubernatore  apostolico  che  per  li  tempi  se  troverà,  al- 
tramente non  vaglia  ne  tenga  cosa  ce  fosse  agiunta  ne 
minuiia.  A  la  pena  de  excomunicatione  magiore  et  de  do- 
cente ducati  doro  dapplicarsi  ala  camera  apostolica  per 
lo  mezzo,  et  laltro  mezzo  al  dicto  monte.  Et  ne  in  questo 
ne  in  ninna  altra  cosa  che  venisse  a  destructione  desso 
monte  non  volemo  abbia  luogo  né  valore  despensazione  al- 
cuna la  quale  facesse  qualunque  persona  se  sia  ne  Legato 
ne  governatore  ne  conseglio,  ne  altro  qual  se  vele,  salvo 
immediate  la  Santità  de  Nostro  Signore  el  Papa  che  al- 
lora se  trovarà. 

RUBRICA  de  non  posse  remiui  aliquid  de  dictis  penis  nisi  per 
sanctissimum  Dominum  nostrum  Papam. 

CAPITULUM  XXXVII - 

Item  che  tutte  et  singole  pene  et  retentione    pecu- 
niarie soprascripte  non  se  possano  per  ninna  via  o  per- 


696  1   PRIMITIVI   CAPITOLI 

sona  de  qualunque  stato  grado  o  conditìone  se  sia  fare 
gratia  o  remissione  alcuna  in  tutto  o  in  parte,  si  non 
per  la  Sanctità  de  nostro  Signore  e  suoi  legittimi  Succes* 
8ori  sotto  pena  del  doppio  daplicarse  immediate  alla 
camera  apostolica. 

GAP.  XXXVIII  - 

Item  Tolemo  et  dechiaramo  secondo  che  è  anche  di 
ragione  che  tutti  li  dubii  li  quali  in  li  presenti  capi- 
tuli  mai  occorriranno  bene  che  siano  in  vulgare,  se  debba 
stare  a  quella  dechiaratione  chel  prefato  fra  Marcho  pre- 
dicatore deli  prefati  capitoli  conditore  dirà  a  coscientia 
sua  ovvero  scriverà  essere  stati  facti  o  doverse  intendere. 
Et  anche  quando  lui  fosse  morto  o  non  se  potesse  ha- 
vere,  abbiase  alora  recorso  alli  altri  conditori  de  dicti 
capituli  facti  inseme  cum  Io  dicto  frate  Marcho  che  se 
trovassero  et  fossero  vivi  che  abbiano  a  dechiarare  la 
loro  intentione  sopra  quello  tale  dubbio  occorso  sopra 
1'  anima  et  coscientia  loro  et  tanto  quanto  sarà  dichia- 
rato se  exeguisca. 


GAP.  XXXVUIl. 


m 


Item  ultimamente  confortamo  pregamo  et  exhortamo 
et  quanto  possemo  inducimo  ciascuno  a  subvenire  aiu- 
tare et  favorire  el  dicto  Monte  quanto  pili  può,  accioc- 
ché per  la  sua  conservatione  et  augumento  de  bene  in 
meglio  ne  seguiti  in  gloria  et  laude  all'  Omnipotente  Dio 
et  alla  sua  santissima  Madre  Madonna  sancta  Maria  de 
la  pietà  deir  hospitale  de  la  casa  de  Dio  del  Comune 
de  la  città  de  Fano  tanto  bene  honore  et  utile  a  ricchi 
e  poveri  è  stato  ordinato.  —  Amen  —  Finis. 


DEL   MONTE   DI   PIETX   DI   FANO  697 

Dictis  millesimo  Indictione  et  tempore  ut  supra  die 
quarta  mensis  aprilis  Fani  in  curia  Residentiae  magni- 
fìcorum  priorum  et  in  Camera  cubiculari  ipsorum  posila 
in  ci  vi  tate  fani  in  contrata  sancti  Joannis  filiorum  Ugo* 
nis  juxta  viam  a  quatuor  lateribus  et  dictam  curiam  Ma- 
gnifici domini  Priores  convocati  in  unum  colleggialiter. 
Idest  Joannes  domini  Francisci  de  Borghisellis  Confalo- 
nerius,  Oaleottus  Malatesta  de  Taybano^  Paulus  Andreae 
Gotij  de  Milionibus  Jacobus  quondam  Damiani  de  Da- 
mianis  et  dominicus  pasque  Pauli  priores  diete  comuni- 
tatis  fani  et  venerabilis  pater  frater  Marchus  da  Monte 
Sanctc  Marie  in  gallo  ordinis  minorum  de  observantia 
predicator  et  Spoctabiles  viri,  videlicet  Dominus  magister 
Joannes  Jacobi  Leonis  de  Boglionibus  Dominus  Nicolaus 
Andreae  a  Lanceis.  Ugulinus  Bartholomei  de  palazo  et 
franciscus  petri  de  Marcolinis  Cives  diete  Civitatis,  electi 
et  deputati  per  dominos  priores  precessores  praefatorum 
Magnificorum  dominorum  priorum  et  auctoritate  eis  data 
et  attributa  in  generali  Consilio  cellebrato  die  xxviiii 
Martis  ut  constat  manu  mei  Gregorii  Cancellarii  infra- 
Bcripti  vigore  commissionis  in  eis  facto  per  dictum  Con- 
silium  et  vacantes  debite  executioni  mandare  et  previ- 
dero ut  Mons  pietatis  Sancte  Marie  pietatis  hospitalis 
domus  Dei  (.'omunis  fani  debitis  Capitulis  corroboratus 
ut  supra  diximus  per  predecessores  nostros  confirmatus 
unanimiter  et  concorditer  nemine  ipsorum  discripante  et 
ipsi  de  novo  ordinaverunt  constituerunt  ratificaverunt 
approbaverunt  et  sanxionaverunt  suprascripta  capitula  in 
omnibus  et  per  omnia  ad  hoc  ut  pauperes  comunitatis 
usurishebreorumetdevorationibus  inposterum  liborarentur. 


698  I    PRIMITIVI   CAPITOLI 

Quae  quidom  capitula  per  quoBcumque  mandaTenint  et 
Toluerunt  inviolabile  observari  et  per  Revereuiiissimuni 
Domiaum  Nicolaum  Episcopum  Modrusìensem  Guberoa- 
torem  Civitatis  Fani  ronfirmare  fecerunt  ut  infra  con- 
tinetur. 

Et  ego  Gregorias  Ser  Damiani  de  fano  publicos 
Imperiali  anctoritate  Kotarius  et  Cancellarìus  Comunìtatis 
Fani  predictis  omnibus  Capitulis  ut  supra  descriptis  in- 
terfui  et  dnm  sic  agerentur  praesens  fui  et  rogatus  seri- 
bere  scripsi  et  pubblicavi  signumque  meum  hic  apposai 
consuetum. 

Nicolaus  Episcopus  Modrusìensia  Fani  Guberoator 
ne  Thesauntrius  cum  perlegerìmus  diligentiusque  di- 
scusserimus  praefata  Capitula  Nobis  per  reverendissimum 
Patrem  fratrem  Marcum  de  Monte  Sancte  Marie  in  gallo 
Ordini»  Minorura  de  observantia  et  Magnifìcam  Comu- 
nitatem  fani,  nobis  eshibita  ac  presentata,  nibil  in  eis 
offendimus  quod  non  sit  precipua  equitate  libratum  et 
singulari  prudentia  conditum  summumque  deBnitum  mo- 
deratione  omnia  pietatem ,  omnia  caritatem  redolentia 
cuncta  ad  laudem  Dei  ac  gloriose  Virginia  Marie  leo- 
deutia.  Ad  dilexionem  prosimi:  ad  presidium  paupe- 
rum  ad  indulgentium  subsidium  ad  ingentem  gloriam  simul 
et  utilitatem  totius  fanensis  Comunìtatis.  Qutbas  de  caa- 
8is  egimus  gratias  Omnipotenti  Deo  qui  per  mintstros 
Terbi  filii  sui  ìllam  gratiam  in  civitate  fanensi  revelare 
atque  conferre  per  servos  suos  voluit  quia  per  prophe- 
taiii  credentibus  in  fìlium  suum  se  daturum  repromisìt 
hoc  est  ex  usuris  et  iniquitate  redimere  animas  eorum. 
Àtque  ut  tam  pium  sanctamque    opus  majorem  accipìat 


DEL  MONTE  DI   PIETÀ  DI  FANO  699 

firmitatem,  utque  domino  opitulante  feliciora  in  dies  va- 
leat  accipere  incrementa ,  omni  illa  auctoritate  quae  in 
presentiarum  ex  officio  nostri  gubernii  fungimur  omnia 
et  singula  praefata  Capitala  confirmamus  corroboramus  et 
stabilimus  supplentes  quantum  possumus  omnia  que  sup- 
plenda  sunt  et  quecumque  approbanda  sunt  approbantes 
et  ratificantes  sicuti  et  de  &cto  eadem  auctoritate  aproba- 
mus  et  ratificamus  fautoribus  divinae  Miserationis  propi- 
tiatione.  Contradictoribus  '  volumns  primum  emendatio- 
nem  j  deinde  ab  impiotate  sua  cessare  non  volentibus 
severitatis  ejus  ultionem  imprecantes.  Mandantes  ea  om* 
nia  et  singula  in  eis  contenta  firmiter  servari  atque  ob- 
servari  ad  beneplacitum  Sanctissimi  Domini  Nostri  ac 
succssorum  ejus.  Datum  fani  etc. 

In  nomine  Domini  Amen  anno  ejusdem  a  nativitate 
KccccLXxuj  VI  Indictione  tempore  Sanctissimi  in  Chrìsto 
Patris  et  Domini  nostri  Domini  Sixti  divina  providentia 
pape  quarti  et  die  xxviu  mensis  Martii  in  sala  magna 
curìae  Residenilae  dominorum  priorum  loco  generalis  Con- 
silii.  Ibique  etc. 

Convocato  pubblico  et  generali  Consilio  Civium  et 
Consiliariorum  Civitats  fani  de  Commissione  et  Mandato 
Magnificorum  Dominorum  Confalonerii  et  Priores,  vide- 
licet  Nobilis  et  eximii  doctoris  Domini  Filippi  de  Gua- 
finis  Antonii  Allovisii  de  Saracenis  et  Petri  magistrì 
Pauli  de  Statonibus  Berardi  Petri  de  Ungaris  et  magi- 
stri  Antonini  a  clavibus,  bannito  beri  aero  prò  hac  die 
ad  sonum  campane  grosse  more  solito  et  secundum  for- 
mam  statutorum  fani  in  quo  Consilio  interfuemnt  cives 


700  I   PRIMITIVI   CAPITOLI 

consilìarii  Septuaginta  quinqne  totum  dictum  consilium 
representantes.  In  quo  quidem  Consilio  Reformatum  fuit 
posito  partito  et  obtentis  fabis  sexaginta  septem,  noyem 
in  contrarium  non  obstantibus ,  et  pena  contenta  in 
capitulis  dominorum  priorum  cantra  illos  qui  secreta  co- 
munitatis  manifestaverunt  prout  in  dicto  capitulo  fit  men- 
tio  limitetur  in  ducatos  decem  et  prìyationis  consilii  per 
annum  et  ultra  ad  beneplacitum  Consilii  attenta  quali- 
tate  facti  cujus  pena  quarta  pars  sit  officialis  exequuto- 
ria  alia  quarta  pars  accusatoris  et  residuum  mentis  pie- 
tatis  Ciyitatis  fani,  et  quod  potestas  possit  et  valeat  in 
predictis  procedere  ad  probationem  unius  testis  bone  fa- 
me et  condictionis  et  quod  officialis  Mentis  pieiatis  qui 
prò  tempore  fuerit  quotiescumque  contrafeu^tum  fuerit 
in  predictis  teneatur  dare  operam  cum  prefato  domino 
potestate  ut  delinquens  puniatur  juxta  formam  dictae  re- 
formationis. 

Item  reformatum  fuit  in  dicto  Consilio  posito  partito 
et  obtento  fabis  sexaginta  sex,  decem  in  contrarium  non 
obstantibus  quod  quilibet  condemnatus  prò  malefitiis  com- 
misis  et  committendis  prò  illa  parte  quae  pertinet  ad  Co- 
munitatem  fani  teneatur  Officiali  Mentis  pietatis  prò 
dicto  Monte  recipienti  denarios  sex  prò  quilibet  libra  de 
qua  deputatione  nulla  gratia  fieri  possit  et  teneatur  of- 
ficialis dicti  Montis  sollicitare  potestatem  ad  exequendam 
dictam  executionem  et  Refferendarius  Comunitatis  non  fa- 
ciat  quoquomodo  bullettam  sulutionis  dictarum  condemna- 
tionum  dictis  condemnatis  nisi  ab  eis  primo  receperìt 
apodissam  officialis  montis  solutionis  dictorum  sex  dena- 
rìorum  prò  libra  dictorum  condemnationum. 


DEL   MONTE  DI   PIETÀ  DI  FANO  701 

Item  reformatum  fuit  in  dicto  Consilio  poeito  partito 
et  obtento  omnibus  fabis  tribus  in  contrarium  facienti- 
bus  non  obstantibus  quod  de  cetero  si  quis  de  civitate 
fani  ejus  comitatus  fortie  et  districtus  moreretur  testatas 
vel  intestatus  cujus  hereditas  excederet  valorem  quin- 
quaginta  ducatoram  heredes  defuncti  teneantur  cum  ef- 
fectu  solvere  intra  terminum  unius  mensis  Monti  pietatis 
solidos  decem  et  notarii  teneantur  recordari  ut  aliquid 
reliquant  Monti  predicto. 

Presente  Reverendissimo  Patre  et  domino  À.  Episcopo 
Tyburtino  gubernatore  Civiiatis  fani  approbante  dictas 
reformationes  et  supplente  omnes  defectus  si  qui  forent 
in  dictis  reformationibus  per  quos  impediretur  exequutio 
dictarum  reformationum. 

Et  ego  Oregorius  ser  Damiani  civis  fani  et  Cancel- 
larius  diete  comunitatis  Rogatus  scripsi  et  pubblicavi 
signumque  meum  apposui  consuetum. 


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Reformatum  et  deliberatum  fuit  per  spetiale  Consi- 
lium  dieta  Die  celebra tum  quod  impoeterum  non  sit  li- 
citum  alieni  officiali  Civitatis  fani  accipere  in  tenutam 
aliquod  genus  armorum  tam  offendibilium  quam  defen- 
dibilium  prò  aliquo  debito  Civili  vel  criminali  nec  alia 
de  causa.  Nec  liceat  officiali  montis  nec  hebreis  fenera- 
toribus  illa  quoquo  modo  in  pignus  accipere  ab  officia- 
libus  predictisy  nec  etiam  liceat  comestibilia  portare  aut 
eorum  sotiis  illa  extrahi  permittere  ab  aliquibus  extra 
Civitatem  causa  vendendi   forensibus  extra  territorium 


702  I  PRIMITIVI  GAPITOU  ECC. 

nostrum  sub  pena  unius  ducati  prò  quolibet  et  non  ob- 
servante  presentem  reformationem.  Que  eodem  anno  mense 
et  die  Txviìj  fuit  approbata  et  confirmata  per  Consilinm 
generale  in  quo  interfuerunt  consiliarìi  septuaginta  et 
obtentam  fhit  partitura  super  hoc  positum  per  fabas 
septuagintanovem  una  in  contrarium  nonobstante  pront 
apparet  in  libro  reformationum  manu  mei  Joannis  Anto- 
nii  de  Taurellis  Cancellarii  jam  per  triennium  Magnifice 
Comunitatis  fani,  qui  hac  omnia  Capitula  suprascripta 
fideliter  exemplavi  ex  originali,  libro  scripto  et  pubbli- 
cato manu  Ser  Gregorìj  Ser  Damiani  cancellarii  olim 
diete  comunitatis  et  in  presenti  volumine  ad  instantiam 
Nobilis  Viri  Bernardini  Pauli  Ser  Francisci  de  Gisbertis 
dicti  mentis  officialis  benemeriti  rescripsi  nil  addendo 
yel  minuendo  quod  sensum  mutet  vel  variet  intellectum 
nisi  forte  punctum  vel  sillabam  per  erro^em. 


Soh  audi  Domini  Hoitri  Joniolirìiii  milloiimo 


fi'f^^KH>«««^l 


Indictione  x  tempore  Pontificatus  Sanctissimi  in  Chrì- 
sto  patris  et  Domini  Domini  Alexandri  divina  provi* 
dentia  pape  VI  die  vero  21  mensis  Novembris.  Et  in 
fidem  premissorum  hic  me  subscripsi  et  signum  meam 
consuetum  apposui. 

t 

A 


ANTICO  CODICE  DELIE  GABELLE 


NEL  SECOLO  XIV 


TRATTO  DALL*ARCHIYIO  yUHICIPALS  DI  FAHO 


Pl*BBUCATO  PBR  CURA  DSL  BraUOTBCARIO 


LUIGI  MASETn 


^^^N^^V^^Si^a^ 


DISCORSO   PRELIMINARE 


La  dominazione  della  famìglia  Malatesta  di  Rimini 
darò  in  Fano  (senza  tener  conto  delle  altre  precedenti 
Magistrature)  per  Io  spazio  di  anni  cento  ventuno,  cioè 
dal  1342  in  cui  venne  investita  da  Clemente  VI  sino 
al  1463  in  cui  venne  spogliata  da  Pio  II  nella  per- 
sona di  Sigismondo  figlio  di  Pandolfo. 

In  questo  tempo  i  Malatesta  esercitarono  in  Fano 
come  Vicari!  Pontifici  un  assoluto  potere  e  taglieggiarono 
la  Città  con  tasse  e  gabelle  più  o  meno  gravose,  se- 
condo che  veniva  dettato  dalle  loro  stretter/e  e  dai  bi- 
sogni di  guerra. 

Esistono  ancora  neir Archivio  Municipale  alcuni  libri 
di  esse  gabelle  per  tratta  e  per  passo  di  ogni  sorta  di 
manifatture  e  di  generi  commestibili,  fra  i  quali  mi  è 
piaciuto  di  presciegliere  quello  che  ora  qui  intendo 
di  pubblicare. 


706  ANTICO  CODICE  DELLE  GABELLE 

È  un  codice  membranaceo  di  trenta  carte  non  nu- 
merate ed  in  istato  di  mediocre  conservazione  che  ha 
il  suo  principio  l'anno  1381  in  cui  reggeva  le  redini 
dello  Stato  Pandolfo  che  fu  padre  di  Sigismondo. 

Sono  in  questo  inserte  con  carattere  più  fresco,  e 
con  date  più  recenti  alcune  postille  di  Sigismondo  che 
confermano  le  gabelle  imposte  dal  padre  e  talune  pagine 
sono  marcate  con  una  linea  diagonale  la  quale  indica 
che  in  tempi  posteriori  quelle  gabelle  furono  modificate 
0  soppresse,  essendosi  fatto  servire  il  codice  primitivo 
tanto  per  le  aggiunte,  quanto  per  le  diminuzioni  o 
variazione  di  tasse. 

La  Città  di  Fano  ben  munita  di  mura  castellane, 
di  torri  e  di  quattro  porte  con  ponte  levatojo  ben  si 
prestava  all'esigenza  di  quelle  tasse  che  si  chiamavano 
di  TrMta  et  Passo^  e  cioè  di  estrazione  e  di  intro- 
duzione, 0  di  passo. 

Apprendiamo  da  ciò  che  la  tassa  era  doppia,  perchè 
ogni  e  qualunque  merce,  o  genere  commestibile,  o  capo 
di  bestiame  pagava  una  gabella  tanto  per  l'entrata,  o 
passaggio  per  la  Città  e  territorio,  come  per  la  sortita 
in  caso  vi  avesse  stanziato,  e  questa  seconda  tassa  era 
ancor  più  gravosa. 

Un  tale  sistema  di  esigenza  durò  in  seguito  più  di 
tre  secoli  nella  Città  nostra  e  fu  aumentato  di  una 
terza  tassa  detta  del  due  per  cento  cosi  specificandosi 
ne'  Capitoli  delle  Gabelle  di  cui  trovasi  memoria  sino 
al  1751. 

1.  La  gabella  del  dm  per  cento  (dice  il  Regolamento) 
non  è  altro  che  un  pagamento  che  dee  farsi   da   tutti 


NEL  SECOLO   XIV   IN   FANO  707 

e  singoli  Mercanti  e  Persone  tanto  della  Città,  quanto 
Straniere  e  Forastiere  a  ragione  di  scudi  due  per  ogni 
scudi  cento  di  qualunque  capitale  Mercanzie  e  Robe 
non  esenti,  sul  quale  esse  Persone  mercantano  e  traffi- 
cano in  qualunque  modo  come  dirassi. 

2.  Quella  dcW Estrazione  (tracta)  non  è  altro  che  un 
pagamento  di  quelle  robe  e  merci  non  esenti  che  si 
traggono  da  questa    nostra  Città  per  condursi   altrove. 

3.  E  l'ultima  del  Passo  non  è  altro  che  un  pagamento 
di  tutto  ciò  non  esente,  che  passa  per  la  Città,  Yille, 
Terre  e  Castelli  ed  altri  luoghi  soggetti  alla  medesima 
per  esser  condotte  altrove. 

I  diritti  doganali  poi  si  affittavano  per  una  data 
corrisposta  e  sotto  la  scorta  di  determinati  capitali  in 
cui  era  espresso  **  che  i  Doganieri  dovranno  ubbidire 
alle  Lettere  di  Passo  di  N.  S.  della  Rev.  Camera  Apo- 
stolica, dei  Signori  Cardinali  e  dei  Signori  Nipoti  di 
Sua  Santità  dalle  quali  sono  accompagnate,  siano  loro, 
0  per  uso  loro  o  di  loro  Famiglia.  „ 

Si  dichiarava  poi  che  sotto  la  generalità  di  Merci 
e  Robe  erano  comprese  tutto  e  singole  cose,  che  im- 
maginar si  possono,  senza  escluderne  alcuna,  a  riserva 
del  prodotto  dei  campi  di  cui  si  fa  speciale  menzione 
in  articoli  separati. 

Questi  metodi  antichi  erano  forse  più  ragionati  dei 
moderni  in  cui  la  tossa  d' introduzione  colpisce  quasi 
esclusivamente,  in  certi  determinati  casi,  e  con  la  com- 
parteoipaziono  del  (lovorno  quella  parte  di  popolazione 
che  abita  dentro  luoghi  murati,  il  perchè  gli  antichi 
metodi  di   esig^^nza  durarono  per   più    secoli.    —  Non 

Archi V,  Stin;  Movch,   V.  /.  45 


708  ANTICO  CODICE  DELLE  GABELLE 

saranno  stati,  anzi  non  erano  scevri  d*  inconyenienti, 
massime  per  le  contestazioni  delle  frodi  per  parte  dei 
Dazieri  o  Appaltatori  delle  Gabelle  che  non  erano  sem- 
pre secondo  giustizia:  oggi  però  s^urebbero  d' impossibile 
attuazione. 

Nel  secolo  XIY  in  cui  le  città  italiane  si  reg^yano 
con  i  propri  Statuti  imponevano  non  solo  sopra  tutte 
le  estere  manifatture  che  s' introducevano  da  altri  stati, 
ma  sì  ancora  da  altre  Città  vicine,  e  dallo  stesso  contado. 

Quando  le  dogane  intemazionali  non  erano  poste  sul 
piede  attuale,  imponevasi  ad  arbitrio  sopra  le  droghe, 
le  spezierie,  le  seterie,  i  tessuti  di  lino  e  lana  di 
qualunque  specie. 

I  panni  di  Francia  p.  e.  erano  anche  in  quel  tempo 
reputatissimi  e  pagavano  una  tassa  più  forte,  quando 
che  i  Fiorentini,  i  Lombardi,  i  Perugini,  gli  Eugubini, 
gli  Orvietani  pagavano  tanto  meno. 

La  tassa  era  d'ordinario  calcolata  a  soma  di  mulo^ 
e  di  Somiere.  E  a  noi  difficile  il  determinare  il  peso, 
0  la  bracciatura  a  cui  ascendevano  le  rispettive  some 
per  fare  un  paragone  fra  le  gabelle  dei  tempi  a  noi 
più  vicini  e  quelle  antiche;  ciò  non  ostante  è  facile  im- 
maginare che  il  carico  di  un  mulo  potesse  essere  il 
doppio  di  quello  di  un  somiere:  che  se  poi  la  soma 
non  fosse  stata  determinata  da  certo  limite  e  le  bestie 
si  fossero  potute  sopraccaricare  a  capriccio  il  calcolo  si 
renderebbe  assai  più  difficile. 

II  lettore  non  vedrà  trascurato  il  più  piccolo  articolo, 
sia  per  generi  commestibili,  sia  per  generi  di  vestiario 
e  di  altri  usi  personali,  sia  di  droghe  e  di  mercerie. 


NEL  SEGOLO   XIV   IN   FANO  709 

Yi  troverà  il  Dazio  sulle  Molina,  sul  vino  a  spina, 
sulle  porchette,  sul  pesce,  sui  materiali  di  costruzione, 
sulle  legna  da  ardere  ec.  ec. 

Vi  troverà  la  tassa  sopra  ogni  soma  di  grano,  tanto 
per  la  sortita,  come  per  l'entrata  nel  territorio. 

Vi  troverà  la  tassa  per  i  venditori  e  venditrici  di 
commestibili,  alias  triccole,  nome  che  era  già  in  uso  in 
quel  tempo:  la  tassa  sulle  bilance  ec.  ec. 

In  ultimo  non  ò  a  tacersi  che  la  vendita  del  sale 
forniva  al  principe  un  largo  cespite  di  guadagno,  per 
cui  siegue  alla  tariffa  dei  Dazi  un  decreto  di  Pandolfo 
con  cui  si  minacciano  ai  fraudatori ,  in  tutti  i  luoghi 
soggetti  alla  dominazione  dei  Malatosta,  severissime  pene, 
consistenti  in  una  multa  di  cento  ducati  (ossiano  fiorini 
d'oro)  per  ciascuna  contravvenzione  e  ciascuna  soma, 
oltre  la  perdita  dei  mezzi  di  trasporto  siano  marittimi, 
siano  terrestri  con  più  la  carcere  di  sei  mesi  per 
ciascuna  soma. 

E  siccome  in  quel  decreto  non  furono  contemplati 
i  contravventori  del  sale  da  una  soma  in  giù,  così  con 
lettera  di  Sigismondo  suo  figlio,  in  data  di  A  rimino  19 
Maggio  1437,  si  estende  anche  ad  essi  la  multa  enorme 
di  Ducati  dieci  per  ogni  libra,  e  di  Ducati  venti  per 
un  quarto  di  soma. 

Intanto  per  la  maggiore  intelligenza  ed  apprezza- 
mento delle  varie  tasso  è  d'uopo  premettero  un  cenno 
sopra  le  qualità  evalore  delle  monete  che  avevano  corso 
in  quel  tempo,  le  quali  erano  moltipliei  ed  appartene- 
vano ai  vari  stati  e  Città  d'Italia,  e  si  ragguagliavano 
sulla  base  della  Libra  o  lira,  del  soldo  e    del    denaro, 


710  ANTICO  CODICE  DELLE  GABELLE 

denominazioni  dì  cui  si  fa  il  maggiore  e   quasi   esclu- 
sivo uso  nel  presente  codice  delle  gabelle. 

Sta  registrato  negli  Autori  che  trattano  delle  monete, 
che  fra  la  moltiplicità  delle  lire  in  corso  nei  vari  stati 
ve  n'era  una  detta  Libra  prima  composta  di  venti  soldi 
Libra  prima  viginti  solidis  constai:  poi  U  Soldo  va- 
leva dodici  denari,  e  questa  era  la  lira  Eavennate  di 
cui  qui  si  fa  uso. 

Il  Bolognino  era  nel  comune  linguaggio  una  moneta 
da  sei  centesimi.  H  suo  valore  per  altro  andò  soggetto 
a  moltissime  variazioni  che  qui  sarebbe  lungo  il  ripetere. 

Nel  nostro  codice  e  nei  pochi  articoli  in  cui  è  usata, 
questa  moneta  ha  il  valore  di  denari  ventuno,  ossiano 
soldi  uno  e  denari  nove,  come  ai  seguenti  esempi  di 
ragguaglio  : 

Passo  —  Bovi  e  vacche  per  capo  Soldi  YI  de- 
nari Vni,  ossiano  Boi.  3  den.    16. 
D.  —  Cavalli  e  cavalle  per  capo  Soldi  XIII  de- 
nari 1  Vt  ossiano  Boi.  7  den.  10  Vi 

Ciò  posto:  Venti  Bolognini  equivalevano  a  soldi 
trentacinque. 

Quaranta  Bolognini  formavano  un  fiorino  d'oro  del 
valore  di  L.  3  ^  da  soldi  venti,  ossiano  soldi  settanta. 

B  Ducato  aveva  lo  stesso  valore  che  il  fiorino  d'oro, 
cioè  bolognini  quaranta. 

Ne  sono  prova  le  seguenti  partite  identiche: 

Carne  salata  per  tracta  del  migliaro^bolognini  sexanta. 

Carne  salata  per  passo  de*  un  migliare  Ducato  uno 
et  Bolognini  XX. 

Ed  oltre  a  ciò  si  ha  negli  autori  che  trattano  delle 


NEL  SEGOLO  XIV  IN   FANO  711 

monete  che  „   li  Ducati  e  Fiorini  cCoro  in   aro  erano 
una  stessa  moneta  reale  e  sinonimi  fra  di  loro.  „ 

E  sortendo  dalla  cerchia  delle  monete  che  ci  riguar- 
dano, tutti  sanno  che  nel  medio  evo  ogni  stato  ne  aveva 
delle  proprie  le  quali,  simili  nella  denominazione,  erano 
diverse  nella  valuta. 

Moltissimi  e  di  più  specie  erano  i  fiorini,  nome  che 
generalmente  si  applicava  ad  ogni  moneta  di  oro.  La 
sola  Città  di  Firenze,  dove  ebbe  origine  questa  moneta 
la  quale  hahébat  cursum  per  universum  Orbem  Terrarum^ 
ne  contò  settantadue  specie.  Anche  altre  cospicue  città 
d^Italia  ne  imitaron  l'esempio. 

Nel  1387  si  incominciò  a  stampare  in  Genova  altra 
nuova  moneta  d'oro  sotto  nome  di  Fiorino  la  quale  sino 
all'anno  1400  correva  a  soldi  25  e  poi  sino  al  1438 
crebbe  a  soldi  40.  —  Argelati  Tom.  Ili  pag.  21. 

£  altrove  parlando  delle  monete  Ravennati  dice  ^pro 
qualibet  libra  inteUigitur  florenus  auri  qui  tunc  C1393J 
valebat  solidos  triginta  duos.  „ 

La  lira  ugualmente  era  un  nome  generico  e  rappre^ 
sentava  valori  diversi  a  seconda  degli  elementi  di  cui 
era  composta. 

Vi  era  la  lira  d'oro.  Libra  aurij  la  quale  valeva  oi- 
tantaquattro  soldi  ciascuno  da  sci  denari. 

Vi  era  la  libra  occidua,  ossia  diminuita,  moneta  di 
convenzione,  che  valeva  soldi  settantaquattro. 

Vi  era  la  lira  da  venti  soldi. 

Vi  era  pure  una  lira  più  piccola  detta  Libra  de* 
nariorum  la  quale  si  componeva  di  venti  denari  ossiano 
quattro  soldi  ciascuno  di  cinque  denari ,  come  sarebbe 
oggi  il  nostro  quintino. 


712  ANTICO  CODICE   DELLE  GABELLE 

I  soldi  poi  si  frazionavano  in  centesimi,  ecc.  e  non 
avevano  sempre  un  eguale  valore,  e  non  si  finirebbe  mai 
se  si  volesse  dire  di  più. 

Questa  diversità  di  monete  doveva  certamente  ing^ 
nerare  qualche  confusione  nei  commerci  fra  stato  e  stato, 
e  dare  motivo  di  appiglio  agli  speculatori,  sempre  pronti 
a  trarre  il  maggiore  possibile  vantaggio  nelle  vendite  e 
nelle  compre. 

II  nostro  codice  però  mantiene  costantemente  la 
unità  di  moneta  che  è  la  lira  Ravennate  come  si  è  detto, 
e  toglie  in  tal  modo  qualunque  pretesto  atto  a  suscitar 
controversie. 

Esaminando  ad  uno  ad  uno  tutti  gli  articoli  d'  in- 
troito notati  nel  presente  codice,  si  vede  a  colpo  d'  oc- 
chio che  questi  erano  in  numero  assai  maggiore  di 
quelli  che  d' ordinario  sono  vigenti  oggi  in  questa 
stessa  Città  di  Fano  ed  in  altre  parti  del  Regno,  e  che 
di  pili  erano  tutti  sottoposti  a  doppia  tassa  di  sortita, 
Tracia^  e  di  entrata.  Passo. 

Non  si  fa  menzione  di  pollame,  di  uova  e  di  be- 
vande spiritose ,  perchè  quest'  ultime  forse  aUora  non 
erano  ancora  in  uso. 

Se  poi  si  riflette  che  in  quel  tempo  non  si  conosceva 
V  uso  del  tabacco,  altro  cespite  di  lucro  per  il  pubblico 
erario,  che  non  vi  erano  né  la  fondiaria,  né  tanti  altri 
balzelli  gravosissimi  che  sono  vigenti  nel  giorno  d'  oggi, 
si  riconoscerà  che  il  peso  di  questi  Dazi  non  era  sover- 
chio, e  che  gli  articoli  colpiti  all'  ingrosso,  cioè  a  soma, 
erano  tassati  per  i  compratori  ad  un  minimo. 

Sotto  la  denominazione  poi   "  Membri  del  Datio  j, 


NEL  SECOLO  XIV   IN  FANO  713 

divisi  in  undici  categorie,  sono  ad  uno  ad  uno  minu- 
tamente e  con  molta  diligenza  notati  tutti  i  vari  articoli 
fra  loro  affini  che  ne  fanno  parte  e  sono  sotto  quella 
denominazione  compresi. 

Dopo  la  comminatoria  delle  pene  sancite  contro  i 
frodanti  la  gabella  del  sale,  siegue  un  decreto  ovvero 
statuto  ^  dello  excelso  Signor  Pandolfo  Malatesta  „  in 
data  1/ Marzo  1417  con  cui  si  diminuiscono  di  una  metà 
le  tasse  imposte  nel  1383,  e  si  offrono  larghe  guaren^ 
tigie  ai  mercatanti,  alle  loro  persone  ed  alle  loro  merci 
perchè  possano,  sotto  certe  condizioni  &rle  liberamente 
stare  in  città,  desballare  e  vendere  ovvero  farle  circolare, 
siccome  ad  essi  piacerà  meglio.  „ 

Vengono  dopo  le  istruzioni  sopra  i  doveri  che  in- 
combono agli  officiali  e  giudici  delle  gabelle,  ed  il  modo 
con  cui  si  deve  procedere  nelle  contestazioni  e  nelle 
esigenze  delle  multe. 

Tutti  i  generi  commestibili  erano  soggetti  a  tariffa 
0  calmiere,  che  si  pubblicava  da  una  speciale  deputazione. 

In  questo  codice  è  registrato  soltanto  ciò  che  si 
riferisce  al  pesce  ed  al  pane. 

Potrà  il  lettore  fare  agevolmente  un  confronto  sui 
prezzi  d'  allora  e  quelli  del  giorno  d'  oggi. 

Il  pesce  minuto  si  vendeva  una  frazione  di  soldo 
per  libra.   * 

n  pesce  grosso  e  da  taglio  non  giungeva  a  due 
soldi  parimente  per  libra. 

Quando  il  grano  era  al  minimo  prezzo  per  due  denari 
si  avevano  dieci  once  di  pane,  e  abbiam  già  detto  che 
il  soldo  era  composto  di  dodici  denari. 


714  ANTICO   CODICE  DELLE   GABELLE 

E  quand'  era  al  massimo  prezzo  per  due  denari  si 
aveva  un  pane  da  once  due  e  tre  quarti. 

Ciò  prova  che  il  valore  della  moneta  metallica  era 
in  quel  tempo  assai  maggiore  che  al  giorno  d*  oggi. 

Fa  seguito  un  decreto  di  Pandolfo  con  cui  vuole  che 
nella  condonazione  e  grazia  delle  multe  che  si  facesse 
ai  contravventori  non  sia  questa  mai  piena,  ma  ogni 
contravventore  paghi  soldi  quattro  per  ogni  lira  di 
multa  incorsa. 

Questo  decreto  porta  in  fine  la  relazione  del  giorno 
in  cui  fu  pubblicato. 

Non  essendovi  ancora  la  stampa,  le  pubblicazioni 
non  si  facevano  con  affissioni  all'albo  pretorio  od  altrove 
come  al  dì  d' oggi:  ma  invece  le  ordinanze  si  leggevano 
ad  alta  voce  e  a  suono  di  tromba  sulle  porte  della  caria, 
nei  pubblici  comizj  ed  in  altre  popolari  adunanze,  come 
bì  rileva  nel  seguito. 

In  tempi  in  cui  non  si  conosceva  cosa  fosse  il  li- 
bero commercio  ed  i  mezzi  di  comunicazione  erano  dif- 
ficilissimi, si  provvedeva  alle  eventualità,  impedendo  sotto 
gravi  pene  la  estrazione  dei  generi  di  prima  necessità 
e  specialmente  del  grano  e  biade  senza  licenza,  per  cui 
non  manca  nel  presente  codice  un  ordinamento  a  ciò 
riferibile. 

Si  vede  pure  registrata  un'  ordinanza  del  Consiglio 
con  cui  si  prescrive  di  obbligare  i  tesorieri  e  depositai] 
a  rendere  conto  della  loro  gestione  e  a  depositare  gli 
avanzi. 

Seguono  quindi  alcune  lettere  di  pubblici  Officiali 
relative  al  pagamento  dei  Dazi,  e  si  viene  in  cognizione 
di  quelli  che  erano  imposti  sulla  legna  da  fuoco. 


NEL  SECOLO  XIV   IN   FANO  715 

Resta  pure  inserito  in  questo  codice  un  pubblico  istro- 
mento  con  cui  il  Signore  si  obbliga  di  rilasciare  tutto 
il  Dazio  sulla  tratta  dell'  olio  all'  oggetto  possa  pagarsi 
l'annuo  tributo  di  olio  dovuto  alla  Repubblica  di  Ve- 
nezia. 

E  qui  è  da  sapersi,  per  chi  noi  sapesse,  che  la  città 
di  Fano  stretta  in  guerra  nel  1140  dalle  vicine  città 
di  Fossombrone,  Pesaro  e  Sinigaglia  per  ragione  di  con- 
fini, che  le  erano  stati  usurpati  e  che  voleva  ad  ogni 
costo  rivendicare,  mal  potendo  reggere  a  quella  potente 
confederazione,  risolvè  di  ricorrere  per  aiuto  ai  Vene- 
ziani „  i  quali  erano  sommamente  temuti  in  quel  tempo 
yf  da  tutte  le  città  marittime  dell'  Adriatico  ;  si  spedirono 
„  a  Venezia  due  cittadini  con  lettere  credenziali  del  no- 
„  stro  Pubblico  dirette  a  Pietro  Poiane  Doge  di  quella 
„  Repubblica,  nelle  quali  contenevansi  le  suppliche  dei 
y,  Fanesi  per  essere  soccorsi  in  quella  guerra,  obbligandosi 
„  il  popolo  di  farsi  tributario  alla  Repubblica  con  pagare 
„  in  ogni  anno  mille  libre  d'olio  alla  Chiesa  di  S.  Marco, 
„  e  mille  alla  Camera  Ducale,  se  da'  Veneziani  avessero 
,  ricevuto  un  pronto  soccorso.  Furono  benignamente  ac- 
„  colti  in  Venezia  quei  due  cittadini,  e  senza  indugio 
„  essendo  stata  da'  Veneziani  accettata  questa  città  sotto 
j,  la  loro  protezione,  in  pochi  giorni  il  Polano  stesso  pi- 
„  gì  iato  lo  stendardo  della  Repubblica  dalle  mani  del 
,»  Patriarca,  approdò  nel  nostro  porto  con  molte  navi 
jf  armate,  e  servito  da  nostri  Ambasciatori,  fu  condotto 
„  nel  pubblico  Palazzo  con  le  acclamazioni  di  tutto  il 
„  popolo  „. 

Era  in  quel  tempo  il  nostro  porto  in  faccia  alla  porta 


716  ANTICO  CODICE  DELLE   GABELLE 

Oggi  detta  marina  *'  Per  comodo  della  città,  (dice  il  no- 
stro storico  Amiani)  era  questo  porto  molto  mercantile, 
giacché  dalle  storie  di  Venezia  rilevasi  che  nell'anno  972 
Pietro  Candiano  Doge  di  quella  Repubblica,  spedì  sette 
navi  ripiene  di  mercanzia  ai  mercadanti  Fanesi.  Erano 
le  navi  sotto  la  scorta  di  Pietro  suo  figlio,  il  quale,  in- 
vece di  condurle  al  nostro  porto,  fuggì  con  esse  in  Le- 
vante, ciocché  saputosi  dal  Doge  ne  morì  di  cordoglio.  , 

Questo  porto  il  quale  nel  1422  cambiò  di  sito  e  fa 
portato  avanti  la  Chiesa  di  S.  Spirito,  sarà  stato  un  ba- 
cino artificiale  bastantemente  spazioso  per  ricevere  quei 
navigli  e  molto  prossimo  alle  mura  della  città  che  erano 
quasi  lambite  dal  mare,  ma  noi  non  possiamo  oggi  for- 
marcene una  idea  giusta. 

All'  arrivo  dei  Veneziani  in  Fano  i  nemici  abbando- 
narono r  impresa  della  città  :  i  Ravennati  che  si  erano 
a  loro  uniti  ritirarono  le  loro  milizie,  e  le  tre  città  col- 
legate insieme  Fossombrone,  Sinigaglia  e  Pesaro  furono 
obbligate  di  rifare  i  danni  cagionati  ai  Fanesi  per  con- 
venzione accordata  dai  medesimi  Veneziani. 

Bisogna  qui  osservare,  dice  uno  storico  *)  che  non 
ritrovasi  convenzione  piti  antica  con  città  italiane,  né 
più  antico  esempio  d' essersi  li  Veneziani  frammischiati 
nelle  differenze  d'Italia,  come  questo  dell' ajuto  prestato 
a'  Fanesi,  e  de'  patti  secoloro  conchiusi  nel  1140  di  cui 
si  conserva  tuttora  lo  strumento  che  incomincia  —  Kos 
Constdes  Fanenses  et  cunctus  Fanensis  Populus,  eie. 


f )  Tentori  -  Storia  degli  Stati  della  Repubblica  dì  Venezia;  t.  m.  p.  335. 


NEL  SECOLO  XIV   IN  FANO  717 

Non  sempre  i  Fanesi  furono  puntuali  al  pagamento 
di  questo  tributo,  perchè  nel  1385  fu  dalla  Repub- 
blica spedito  un  Nunzio  per  sollecitare  il  Magistrato  al 
pagamento  della  contribuzione  in  migliara  due  di  olio 
all'anno  dovute  alla  Chiesa  di  S.  Marco  ed  alla  Ca- 
mera Ducale,  e  non  sempre  la  qualità  spedita  fu  di  pieno 
aggradimento  di  quella  Repubblica:  ciò  rilevasi  dalla 
seguente  quietenza: 

Magnifico  et  Potenti  Consilio  et  comunitati  Civitatis 
Fani,  Amicis  et  Fratribus  carissimis. 

Spectabiles  et  egregii  Amict^  fratresque  carissimi. 

^  Fraternitatibus  vestris  per  praesentes  significamus, 
qualitor  die  21  mensis  mali  proximae  praeteriti  habuimus 
et  rccepimus  nomine  Comunitatis  Yestrae  Fani  miliaria 
duo  Olei  per  Johannem  da  Vita  dictum  Zangoli  de  Fano 
Nobis  praesentati,  in  quo  Communitas  Yestra  Fani  te- 
netur  annuatim  nobis  prò  honorificentia  Ecclesiae  nostrae 
S.  Marci,  et  hoc  prò  annis  duobus  proxime  praeteritis, 
videlicet  1429  1430,  eisdem  Fraternitatibus  Yesfris  in- 
sinuantes,  sicut  alias  nostris  literis  modo  sunt  anni  duo 
vel  circa  insinuavimus,  et  nunc  cum  debita  revcrentia 
gravati  fuimus,  qualiter  tam  praedictum  oleum ,  quam 
etiam  oleum  de  pracdictis  primis  annis  duobus,  non  est, 
ncque  fuit  bonum,  ncque  clarum,  sed  malum,  turbidum, 
crudissimum,  immo  pessimum  ad  ardendum,  et  ponen* 
dum  in  Lampadibus  ad  divinura  cultum  et  contra  finem, 
ad  quem  mittere  tenetur  Comunitas  vestra  dictum  Oleum 


7i8  ANTICO  CODICE  DELLE  GABELLE 

prò  dieta  honorificentia;  propter  quod  praedictum  Oleum 
praedictonim  annorum,  ratione  et  causa  defectus,  et  im- 
perfectionis  ejusdem^  Decesse  habuimus,  et  oportuìt  Nos 
illud  totum  vendere  Mereenariis  qui  faciunt  Saponem, 
quia  ad  illud  minime  valet.  Quapropter  praedictas  Fra- 
ternitates  vestras  requisimus,  et  rogamus,  quatenns  eis 
placeat  et  velint  de  cetero  Nobis  dirigere,  sen  transmit- 
tere  bonum  Oleum,  sufficiens,  et  dispositum  ad  arden- 
dum,  seu  ponendum  in  Ecclesia  ante  conspectum  Domini, 
ut  decens  est,  laudabile,  et  honestum.  Valete.  „ 


Leokardus  Mocekigus 

T  rr*  ^    Procuratores  Ecclesiae  S.  Marci. 

Jacobus  Iriyisak 


Cessò  questo  tributo  in  forza  di  alcuni  capitoli  sti- 
pulati col  Pontefice  Giulio  II  e  la  Repubblica  di  Ve- 
nezia, richiamati  air  osservanza  neiranno  1514  da  Papa 
Leone  X.  il  quale  spedì  al  proprio  nunzio  in  Venezia 
un  breve  del  tenore  seguente: 

Fuori  —  Dilecto  Filio  Petro  Bibienae  nostro  et  Aposto- 
licae  Sedis  Venetiis  nuncio. 

Dentro  —  Leo  P.  P.  X. 

Dilecte  fili  salutem  et  apostolicam  benedictionem. 

Civitatem  nostram  Fani  ejusque  Cives  et  incolas  pa- 
tema charìtate  complectimur.  In  superioribus  annis  Duci 
et  Dominio  Venetorum  annuatim  certam  quantitatem 
Olei  solvere  tenebantur:  in  capitulis  tamen  cum.  fé.  re. 
Julio  n  praedecessore  nostro  per  Ducem  ac  dominos  pre- 


NEL  SEGOLO  XIV  IN   FANO  719 

fatos  initis,  civiias  et  incolae  prefati  ab  hnjusmodi  so- 
lutione  liberati  fuerunt.  Quare  volumus  et  tibi  manda- 
mus  ut  apud  Ducem  et  Dominium  prefatos  opportune 
insistes  quo  fanenses  ipsi  ab  hujusmodi  onere  et  solu- 
tione  juxta  dictorum  capitulorum  tenorem  liberentur. 
Dat  -  Romae  apud  Sanctum  Pctrum  sub  Anulo  Pi- 
scatoria Die  Ym  Januarii  M.  D.  XIIII  Pont  nostri 
Anno  Primo. 

P.  Bembus 

Ed  era  giusto  che  quel  tributo  cessasse  in  tempi  in 
cui  i  Fanesi,  essendo  stati  ricondotti  sotto  l'immediata 
dominazione  Pontificia,  non  avevano  più  bisogno  in  caso 
di  guerra  dell'  alleanza  e  del  soccorso  dei  Veneziani. 

Fu  in  seguito  a  ciò  che  il  Pontefice  Paolo  II,  il 
quale  dopo  la  caduta  dei  Malatesta  era  succeduto  a 
Pio  n,  spedì  in  Fano  in  qualità  di  Governatore  Giacomo 
Vescovo  di  Vcntimiglia. 

A  questi  il  Consiglio  Generale  sottopose  alcuni  ca- 
pitoli ordini  e  statuti  con  i  quali  si  faceva  facoltà  alla 
cittadinanza  di  Fano  di  nominare  due  Consoli  i  quali 
^  avessero  autorità,  potestà  et  balla  cognoscere  decidere  et 
terminare  sommariamente  tutte  e  singole  cause,  questioni, 
liti,  controversie  et  differenze  che  accader  potessero  tra 
mercatanti  et  altre  persone,  „  e  ciò  perchè  i  cittadini  stessi, 
come  dice  il  memoriale,  non  abbiano  ad  essere  tenuti 
in  longo  da  Procuratori ,  et  Advocati,  lo  che  era  un 
passo  verso  quelle  libertà  municipali  a  cui  si  aspirava 
e  che  in  soifuito  vennero  gradatamente  ristrette  e  fecero 
dimenticare  perfino  Io  Statuto,  sottoponendo  la  Città  a 


720  ANTICO  CODICE  NELLE  GABELLE  ECC. 

quelle  leggi  generali  che  furono  rese  comuni  a  tutte  le 
Città  poste  sotto  la  dominazione  pontificale. 

A  cancellare  poi  il  più  che  fosse  possibile  la  memoria 
della  famìglia  Malatesta,  che  per  oltre  cent'anni  yì  aveva 
esercitato  la  sua  sovranità,  si  pensò  di  sperdeme  i  pos- 
sessi che  loro  furono  sequestrati ,  vendendoli  ed  abbat- 
tendoli. Era  famoso  il  Castello  o  Palazzo  delle  Cammi- 
nate a  cinque  chilometri  dalla  Città  per  alcune  tristi 
memorie  di  essa  famiglia  o  vere  o  false  che  fossero,  e 
questo  donò  la  Camera  Apostolica  al  Municipio  di  Fano 
imponendogli  sotto  gravi  pene  di  devastarlo  ed  abbatterlo 
sino  alle  fondamenta,  prescrivendo  altresì  che  col  mate- 
riale laterizio  e  la  pietra  provenienti  da  quella  demoli- 
zione, si  fabbricassero  le  mura  castellane  presso  a  Porta 
marina,  ciò  che  venne  puntualmente  eseguito.  —  I  po- 
deri poi  annessi  e  già  posseduti  da  Sigismondo  Malatesta 
furono  venduti  alla  medesima  Comunità. 

Quantunque  il  breve  di  Sisto  IV  e  le  successive 
condizioni  imposte  dal  prefato  Governatore  non  facciano 
parte  del  presente  codice,  ma  risultino  da  altri  originali 
documenti  esistenti  nel  vecchio  Archivio  Municipale, 
ciò  non  ostante  mi  piace  di  pubblicarli  come  a  compi- 
mento delle  cose  di  sopra  dette  con  le  quali  hanno  stret- 
tissima relazione. 

Nella  trascrizione  poi,  salve  le  abbreviature,  è  stata 
in  gran  parte  mantenuta  Y  ortografia  antica  tanto  nel- 
r  italiano,  come  nel  latino. 


(/<  testo  del  Codice  verrà  pubblicato  nella  ventura  Dispensa,) 


•  è 


CHRONICON  PISAURI  *) 


Inde  est  qiiod  nunquam  in  vieta  Sancii  Laurentii 
legitur  Decins  Imperator,  sed  Cesar  hoc  enim  antiquitus 
pluries  contingit,  ut  aliqni  essent  Cesarea,  non  autem 
Augusti  seu  Imperatores ;  et  aliqui  primum  Cesarea, 
deinde  Augusti,  postremo  fuerunt  Imperatores. 

Aliqui  tamen  dicunt  quod  Santus  Terentius  mortuus 
fuit  ab  assasinis  in  a^i^ro  Piceno,  haud  longe  a  civitate 
Pisauri,  in  via  publica,  tradente  versus  Urbinum,  circa 
confines,  parum  diatans  ab  Abatia  Santi  Thome,  ubi 
quidam  rivus  prorumpens  in  Foleam^  originem  trahens 
a  Curte  Phasneti,  Comitatus  Pisauri,  qui  materna  lingua 
temporibus  nostris  nuncupatur  Riputo ,  hoc  est  Rivus 
Udus,  quia  in  estate  aqua  permanens  putrescit;  et  quam- 
vis  in  vitae  dicti  S.  Tcrentii  dicatur  aqua  mala^  arbi- 
trantur  quod  dicero  voluere  aqua  mantia  etc. 

Aliqui  tamen  dicunt  quod  fuit  in  silva,  que  nunc 
vocatur  Selva  magio ^  quam  Epìscopus  Bimabas,  anno 
Domini  1473  oxtruxit  {sic)  et  hoc  versus  Ariminum  etc. 
Aliqui  dicunt,  et  est  verius,  quod  fuit  rivo  mala,  qui  in 
presentiarura  etiam  vocatur  foìis  male,  ubi  est  rivus 
nomine  male,  qui  in  ostato  non  currit,  sed  in  hyeme, 


•)  Voi.  I.  l>itp.  I.  |ift|r.  n  a  W. 


722  CRONICON   PlSAURl 

et  est  circa  unum  milìarium  a  Calaibano  versus  Ca* 
strum  Mentis  Abbatis,  et  cum  hoc  conformat  Legenda 
Sancti  Terentii   "  Ihi  hora  apropinquabat  „    *) 

Fuit  Statutum  antiquitus  observatum,  quod  Potestas, 
qui  prò  tempore  fìierit  Pisauri ,  teneatur  ante  festum 
Sancti  Terentii  per  quindecim  dies  emi  facere  prò  Co- 
munitate  Septem  brachia  de  scarlato  fino,  et  fieri  facere 
unum  bravium  valorìs  existimati  25  librarum  Raven- 
natium ,  et  in  dicto  termino  teneatur  litteras  destinare 
ad  minus  ad  terras  omnes  convicinas  per  duas  dietas, 
et  de  dicto  bravio  currende ,  et  de  valore  ejus ,  et  de 
die  fosti ,  et  teneatur  emi  facere  unum  gallum  vivam 
cum  una  xucha,  et  una  libra  piperis,  et  unam  porchet- 
tam  crudam  pelatam,  plenam  aleo  et  cepibus  in  quodam 
speco;  et  in  die  festivitatis  Sancti  Terentii  post  prandium 
facere  currere  equos  omnium  volentium  ad  dictum  bra- 
vium seu  pallium ,  et  qui  primo  venerit  pallium  predi- 
ctum  habeat,  et  qui  secundo  venerit  porchettam,  et  qui 
ultimo  venerit  habeat  gallum.  Ubi  autem  pallium  tenea* 
tur,  et  cursus  equorum  incipiatur,  remaneat  in  arbitrio 
Potestatis  et  Sapientum,  quos  eligere  voluerit. 


^)  Queste  notizie  credo  che  FA.  T abbia  tratte,  insieme  aUa  leggenda 
de^  SS.  Decenzio  e  Germano,  dai  due  libri  citati  dair  Olivieri  nelle  sue  me- 
morie di  S.  TevenÀto  a  pag.  16,  cioè  una   leggenda  de  Sancto  Tbrentio 

vecchissima  cum  la  legenda  de  Sancti  Decentio  &  Germano e  uno 

quademecto  de  carta  pecorina  cum  la  legenda  de  Sancto  Terentio  &  San^ 
età  Martha,  che  fin  da*  tempi  deU*  Olivieri  non  si  trovano  più  neir  ArchiTÌo 
di  questo  Capitolo.  In  fatti  il  passo  Ibi  hora  ap'opinquabat  non  trovan- 
dosi colle  identiche  parole  in  nessuna  delle  quattro  leggende  dair  Olivieri 
riportate  nella  suddetta  opera  sua  da  pag.  22  in  giù,  è  da  credeiv  che  la 
}eggenda  qualunque  a  cui  Y  A.  accenna  sia  anch*  essa  perita. 


CHRONIGON  PISAUBI  723 

Antw  Domini  257  —  Anno  Mundi  5456. 

Anno  Domini  257  Yalerianus  30  Romanorum  Im- 
peratore Tir  certe  nobilitate  doctrina  et  eloquentia  da- 
rissimus  fuit  ^)  ob  ejus  meritum  et  yirtutes  primus 
Principum  Romanorum  Cesar  et  Augustus  summo  Populi 
Romani  consensu  delectus  est.  Cujus  tempore  Germani 
e  Provincia  enimpentes  cum  magno  impeto^  hostili  ani- 
mo Ravennam  usque  pervencrunt,  et  omnia  igni  et  ferro 
vastaverunt.  Hic  etiam,  arripiens  iter  cum  ingenti  exer- 
citu  contra  Persas,  Pisaurnm  yenit,  et  multa  beneficia 
Pisaurensibus  concessit,  quapropter  Pisaurenses  dederunt 
in  memoriam  ejus  lapidem  marmoreum  repertum  in  fun- 
damentis  Castelli  Constantii,  et  nunc  est  in  domo  Petri 
Georgi  de  Almericis. 

Beata  Mustiola  277  et  secundum  Cronacam  suam  213. 

Anno  Xpi  307  —  Anno  Mundi  5505. 

Anno  Xpi  307  Dioclitianus  magnus  Imperator  cum 
in  gravescente  evo  parum  se  idonoum  vidcret  imperio, 
2**  anno  persecutionis  Christianorum  ab  invicto  exegit 
Maximiano  Ilerculeo,  ut  simul  purpuram  imperiumque 
deponeret,  ac  juniorilms  in  rem  publicam  substitutis, 
videlicet  Maximiano,  Galeno  et  Constantino,  ip§i  in  pri- 
vato ocio  coDSonescerent.  Itaque  sub  una  die  Dioclitianus 
apud  Nichomediam,  et  Maximianus  apud  Mediolanum, 
potestatem  Imperii  simul  cuUumque  posuerunt.  Herculeus 
Maximianus  Lacaonie  vivebat,  Dioclitianus  vero  prìvatus 


')  Questo  fuit  abbonda. 
Aì-rhit.  Stor.  March.  V.  /.  46 


724  CHRONICON   PISAURl 

in  villa  non  procul  Salone  ocio  preclaro  consenuit.  Anno 
autem  suo  68  cum  Diodi tianus  predictus  a  Constantio  et 
Licinio  vocatns  esset  ad  nuptiarum  festa,  per  senectutem 
recusavit  adire.  Receptis  mox  minacibus  dictis  ab  illis, 
a  qnibus  increpabatur  fa  vere  Maxentio ,  Herculei  filio , 
Cesari  electo,  et  ipsi  Herculeo,  quod  regni  gubernacula 
resumere  ambiebat,  timore  bibit  venenum  et  vieta  exces:?it. 
Istius  Dioclitiani  uxor  fuit  Sancta  Serena  Augusta. 

Anno  Xpi  308   —  Anno  Mundi  5506. 

Anno  Xpi  308  postquam  Dioclitianus  et  Maximianus, 
Imperii  dignitate  postposita  in  otium  se  contulerunt, 
et  *)  mortuo  Dioclitiano,  Maximianus,  Galerius  et  Con- 
stantius  diviserunt  Imperium,  ac  rem  pubblicam  ab  eis 
gubemandam.  Gallerius  Illiricum  ,  Asìam  et  Orientem  ; 
Constantius  *)  Italiam,  Africam  et  Gallias  obtinuit;  Con- 
stantius  vir  j;ranquillissimus  Grallia  tantum  Hispaniaquc 
contentus,  Gallerie  ceteras  partes  cessit,  Italie  atqne 
Africe  administrandarum  solicitudinem  recusans. 

Hoc  anno  Gallerius  Maximianus  Tarsum  virum  sire- 
nuum  Pisauri  cum  militibus  proconsulem  mictit. 

Hoc  anno,  regnante  Eusebio  greco  et  Meltiade  sum- 
mis  pontificibus,  per  Gbllerium  Maximianum  fit  Italie  X 
persecutio  Cbristianorum. 


^)  Questo  et  è  superfluo. 

^)  Dovrebbe  dire  ìdaocimianus ^  giacché  Constantius,  ch^ò  Dominato 
più  giù,  ebbe  GaUia  e  Spagna.  Ma  questa  matassa  è  qui  tutta  armffiita, 
avendo  TA.  fatta  la  divisione  deUMmpero  fra  tre,  mentre  fu  tra  quattro. 
Vedi  gr  istorici. 


CIIRONICON  PISAURI  725 

Hoc  anno  Decentin8  et  Oennanus  per  Tarsum  pro- 
consnlem  Pisauri  interfecti  sunt  die  23  Octobris  in  die 
festo  Sanctorum  Simonis  et  Jude,  ut  ex  paxione  eorum 
inferius  noctata  aparet. 

310.  Hoc  anno  Sanctus  Decentius  fuit  Epiacopus 
Pisauri. 

Anno  Xpi  308  —  Anno  Mundi  5506. 

Passio  Sanctorum  martirum  Decentii  ac  Germani:  ex 
libro  antiquo  >)  Episcopatus  Pisauri. 

LECTIO  I. 

Tempore  quo  Dioclitianus  mortuus  est,  et  impiissimus 
Maximianus  sumsit  Imperium ,  dacta  est  sententia  per 
omnes  partcs,  ut  ubicumque  Christiani  fuissent  reperti; 
sine  audientia,  turpiter  punirentur;  et  quicumque  non 
obediret  jussis  Impcratoris,  duris  flagellationibus  custodia 
teneretur.  Primitus  a  se  ipso  cepit  sevire.  Confestim 
matrem  et  sororem  jussit  mortis  subire  sententiam.  Eodem 
vero  tempore  adveniens  vir  Decentius  nomine,  cum  ute- 
rino germano  suo,  nomine  Germano,  in  urbem  Bomam 
ex  Anglorum  partibus  advenientes,  christianam  religio- 
nem,  et  cautius,  intendentes,  volentes  vere  intelligere 
qualiter  Christus  de  Yirgine  nactus,  quem  Judei  crucifi- 
xerunt,  et  prophete  Deum  esse  adfirmare  *):  Qui  cum 


1)  Questo  libro  antico  in  vescorado  non  esiste  più,  e  U  Chiesa  p»- 
mrese  non  recita  più  nella  festa  de*  SS.  Decenxo  e  Germano  queste  Lezioni, 
che  fonte  anticamente  avrà  letto,  ma  le  comuni  dei  Martiri. 

*)  Intendi  adfirmavtre. 


726  GHRONICON  PISACRl 

astarent  quadam  die  ante  templum  Jovis  expetantes 
processionem  Maximiani,  adcrat  etìam  inter  eos  vir 
christiaDissimus  Johannes  presbiter,  qui  coqK)ra  sancto- 
rum  lattenter  aromatibus  condiebat  et  sepulcra  preba- 
rabat,  semperqiie  exortationem  christianis  prebarabat. 
(Papa  vero  Cornei ius  latitabat  in  vico  Dionisi  et  Pan- 
narii.)  Qui  cum  cepisset  de  Christiana  religione  docere, 
audientibus  Decentio  et  Germano,  dixit  Decentius:  Volo 
a  te  scire  quid  est  Christus.  Cui  ait:  Quis  es  tu ,  qni 
in  eloquentia  tua  austems  appares ,  et  Christi  mentio- 
nem  facis?  Eespondit  Decentius  et  dixit:  Genere  sum 
Anglorum.  —  Et  cur  huc  ad  venisti?  —  Decentius  re- 
spondit:  Audivimus  a  multis,  ut  secta  deorum  nostrorum, 
quam  boqam  putamus,  vana  est;  et  ea,  quam  Cristiani 
collunt,  sit  verax.  Ideo  huc  adveni  cum  isto  fratre  meo. 
Si  prevalemus,  cupimus  instrui  litteris,  ut  argumentare 
valeamus  eligere  que  eligenda  sunt;  et  abnegare  que 
abneganda  sunt. 

LECTIO  IL 

Audiens  autem  Johannes  presbiter  hujuscemodi  verba 
gaudio  replectus,  accersivit  eos,  duxitque  in  domum 
suam.  Mansere  autem  cum  ilio  annis  duobus  et  mensibus 
tribus ,  in  quibus  et  litterarum  studium  tradidit  illis , 
sanum  scrìpturam  cotidie  interpretrabatur.  Imprimo  autem 
anno  demonum  hereses  vanitatem  crediderunt  et  veram 
Christianorum  religionem  puro  corde  crediderunt;  et  ba- 
ptizati  sunt  ab  eodem  Johanne  presbitero,  more  Chri- 
stianorum. Qui  cum  fuissent  baptizati  ceperunt  frequen- 


CHROiNIGON   PISAURI  727 

tiu8  jejunare ,  et  noctarnis  rigiliis  instanter  agere  ita 
ut  pulcritudo  Yultus  eorum  incepit  impallere.  lam  per 
se  ipsos ,  siciit  a  magistro  didicerant ,  urbem  Romam 
circuibant,  et  Christum  publice  prcdicabant.  Quorum 
predicationibus  multi  ab  errore  Gentilium  in  Christum 
Domiuum  crediderunt. 

LECTIO  III. 

Complettis  autem  annis  duobus  et  mensibus  tribus, 
ceperunt  postulare  qualiter  redire  cupiebant  ad  propria. 
Quod  cum  ')  audiens  Johannes  presbiter  jam  talia  tan- 
ctis  petitìonibus  ferro  non  valens,  tristis  mercnsque  corde 
osculatus  est  eoe,  suamque  benedictionem  tribuit;  egres- 
sum  concessit.  Qui  vero  gaudenter  ire  ceperunt.  Dixit 
autem  beatus  Decentius  ad  Germanum  fratrem  suum: 
Utinam  valeat  Dei  gratta  sicut  circa  nos!  Ita  mereamur 
ut  per  nos  patria  nostra  vero  lumino  illustretur,  et  ab 
errore  penitus  liberetur.  Respondens  autem  beatus  Ger- 
manuB  et  *)  ait:  Si  Christus,  quem  credimus  esse  Do- 
minum  de  Deo,  yoluerit,  nulla  est  dubitatio,  ut  offici 
non  possit.  His  hec  cogitantibus,  pervenerunt  ad  Satur- 
ninam  civitatem,  in  qua  collebatur  simulacrum.  sub 
nomine  Saturni.  Quod  videntos  beatus  Decentius  et  Ger- 
manus  dixerunt  collentibus:  0  ceci  et  vani,  qui  oculos 
habctis,  et  non  videtis,  aures,  et  non  audietis,  cor;  et 
non  intelligitis.  Adoratis  lapidem  ;  et  Dominum ,  qui 
fccit  celum  et  terram,  ingnoratis. 


*)  Queato  cum  è  inutile. 
*)  Espungi  questVf. 


1Ì8  GHROmCON   PiSAURi 

LECTio  nn. 

Audìentes  vero  ministri  templi  dixerunt:  Quis  est 
Deus  qui  facit  cellum  et  terram?  At  illi  di  dixerunt: 
Deus  yerus  et  magnus,  ante  cujus  conspectum  terra  tre- 
muit  ^)  et  omnis  creatura  ingemiscit;  qui  tangit  montes, 
et  fumigant;  cui  Christus  filius  est  conceptus  de  Spirita 
Sancto  ex  Maria  Yirgine,  qui  est  verus  Deus  cum  Patre 
et  Spiritu  Sancto,  quem  adoramus  et  credimus.  Statim 
vero  ministri  tenuerunt  eos^  et  reduxerunt  in  carcerem 
horrificum,  et  direxerunt  legationem  ad  Maximianum, 
dicentes  :  Ecce  duo  viri ,  magicis  incantantionibus  in- 
structi  j  venerunt ,  qui  dicunt  deos  nostros  vanos ,  et 
alium  Deum  adfirmant,  et  mayestatem  vestram  prò  nidulo 
ducunt.  Nunc  clementia  vestra  precipiat,  quid  ex  eia 
fieri  debeat. 

LECnO  V. 

Confestim  Maximianus  dedit  sententiam,  dicens:  Aud 
diis  ponant  libamìna,  aud  capitali  subiciantur  sententia. 
Mox  qui  missi  fuerant,  accepta  legatione,  festinanter 
redierunt,  denuntiaveruntque  templi  ministris  universa, 
que  a  Maximiano  acceperant  Ministri  yero  statim  du- 
xerunt  beatum  Decentium  et  Oermanum  ante  simulacnim 
cogentes  illos  sacrificare  idolis.  Qui,  figentes  genua,  orare 
ceperunt  ac  dicere:  Domine  Deus  Abraam,  et  Deus  Isaac, 
et  Deus  Jacob,  qui  misisti  filium  tuum  Jeshum  Cristum 
in  hunc  mundum,  ut  mundus  per  eum  salvaretur,  ostende 


*)  Vorrebb' essere  tremit. 


CHBOKICON   PISACBl  729 

potentiam  tuam  in  nobis,  ut  idolum  istud  comminuatur, 
et  creature  sue,  que  vana  collunt,  ab  errore  liberentur, 
et  per  nos  famulos  tuos  verum  Deum  agnoscere  yaleant, 
et  timere  noinen  tuum  mirabile,  qui  es  yerus  et  domi* 
nator  mundi  per  infinita  secula  seculorum. 

LECTIO  TI. 

Cumque  complessent  orationera,  comlninutum  est 
idolum,  et  ita  vix  comparuit,  ut  ncque  fragmenta  illius 
amplius  visa  sunt.  Ministri  vero  yidentes  talia ,  furore 
replecti,  ligayevunt  manus  post  terga  Sanctorum  Martirum 
Decentii  et  Germani  ferreis  ligaminibus,  et  pedes  simi- 
liter,  et  extenderunt  eos  ad  terram,  et  tam  diu  eos 
cederunt,  usque  sua  mortui  extimarentur  ;  et  cedentes 
defeccrnnt.  Nam  Sancti  Yirì  darà  yoce  dicebant  quasi 
ex  uno  ore:  Dominus  mihi  adjuctor  est  et  non  timebo. 
Quid  faciat  mihi  homo?  Tunc  milites  duxerunt  illos  in 
custodiam.  Pars  populi  clamabant:  Vere  magnus  est  Deus 
Chris tianorum,  qui  tanta  potesti  In  sequcnti  yero  nocte 
multi  ex  paganis  festinaverunt  ad  carcerem ,  audientes 
Sanctos  Martiros  cantantes,  quasi  nil  mali  habuissent. 
Unde,  non  longo  tempore,  multi,  relieto  errore,  Deum 
viyum  et  yerum  sequi  studuerunt. 

LECTIO  VII. 

Media  vera  nocte  ceperunt  Sancti  quiescere.  Apparuit 
autem  illis  Sanctus  Chiriacus  ')  diaconus,  dicens:  Ego 


*)  Qui  fciv8«  Chiriacus,  appresso  CinacttSf  e  cosi  d*  altri  nomi  molte 
altre  volte  or  tiene  una  grafia  ora  un* altra.  Ciò  i)oixhÒ  i  lettori  noi  cre- 
dano errore  del  copista. 


73Ó  CHBONIGON   PASAURI 

8um  Ciriacus  dìaconus.  Misit  me  enim  Dominns  ad  vos, 
ut  absolvam  vos  a  vincnlis.  Preparata  est  yobis  corona 
pretiosis  lapidibus  ornata.  Ite  in  directum  tramictem, 
et  ubi  ire  disposuistis,  nolite  transire.  Scitote  enim  per 
vos  Anglorum  gens  non  converteretur  ad  Dominum. 
Est  civitas  juxta  mare  cui  est  vocabulum  Pisauria.  IlUc 
ambulare  festinate.  His  dictis,  Sanctus  Ciriacus  abscessit, 
et  Sanctus  Decentius  et  Germanus  surrexerunt.  Sdati 
a  vinculis  ceperunt  invicem,  que  viderant,  narrare.  CJon- 
festim  autem,  operta  custodia^  ire  ceperunt  et  dicere: 
Domine ,  tuus  est  dies ,  et  tua  est  nox.  Dirige  nos  in 
semitam  rectam,  et  prosperum  iter,  fac  nos  {sic)j  Deus 
salutaris  noster.  Mane  autem  facto,  apparuit  eis  quidam 
peregrinus,  qui  profitebatur  se  Chrìstianum,  et  propter 
perfidiam  Maximiani  a  Koma  fugiens;  qui  fuit  previus 
Sanctorum  usque  ad  Pisauriam  civitatem. 

LECTIO  vin. 

Intrantes  autem  in  civitatem  Pisauriam  signaverunt 
se  signo  Crucis,  et  dixerunt:  Domine  Deus  omnipotens, 
qui  nos  ad  hanc  civitatem  misisti  tua  visìtatione,  non 
nostri  arbitrii,  esto  nobis  adjuctor  et  protettor  in  omni- 
bus, quia  tu  es  solus  adjuctor  et  consolator  in  trìbula- 
tionìbus.  Ospitati  autem  sunt  apud  quamdam  viduam, 
Siriatica  nomine,  christianissima ,  in  vico  qui  vocatar 
Pontentino.  Eodem  vero  tempore  justa  civitatem  Judei  et 
Oentiles  simul  morabantur.  Cepit  autem  Sanctus  Decen- 
tius cum  Germano  publice  fidem  Christi  decere,  et  Ja- 
deorum    et  Gentilium    errorem  confundere.    Multi    vero 


CHRONICON   PISAURI  731 

per  eorum  ')  tam  ex  Judeis,  quam  ex  Paganis  relieto 
errore  proprio,  baptissimi  gratiam  perceperunt.  Non  post 
multa  spacia  temporum ,  Christiani  Decentium  sibi  eli- 
gerunt  pontificem ,  qui  vero  morum  rectitudine  Judeis 
et  Oentilibus  sine  mora,  sicud  a  magistro  didicerant, 
ceperunt  predicare.  Sanctum  vero  Germanum  diaconem 
(sic)  ordinavit. 

LECTIO  IX. 

Tarsus  vero  proconsul  hujus  civitatis,  paganissimus,' 
ipso  anno  debitam  rationem  reddendo,  Romam  ad  Ma- 
ximianum  Imperatorem  decursit.  Qui  cum  multis  in* 
terogationibus  responsum  dedisset,  precipue  Maximianus 
de  Christiane  religione  interrogare  cepit.  Tarsus  antem 
que  gesta  erant  in  Pisauria  civitate,  et  qualiter  Chri- 
stiani suum  Episcopum,  nomine  Decentium,  haberent, 
narrare  cepit  Tunc  Maximianus  furore  replectus  jussit, 
ut  quicumque  noluisset  ponere  turra  magno  Deo  lovi, 
capite  truncaretur.  Mox  Tarxus,  acoepta  licentia,  Rome 
ad  Pisaurìam  civitatem  reversus  est.  Qui  cum  fuisset  re- 
versus accersivit  a  (sic)  se  Decentium  episcopum,  et 
Germanum  diaconem,  dicens  eis:  Imperator  Maximianus 
talem  dedit  sententiam,  ut  vel  sacrificetis  diis,  aud  di- 
versis  penis  vos  interficiam.  Tum  Sancti  Martires  re- 
sponderunt:  Esto  securus  quod  nos  non  offerimus  sacri- 


^)  Qui  o  manca  T  oggetto  della  prep.  jmt,  fa  conto  predicaHonem^  o 
r  A.  scrisse  eorum  invece  di  eof,  o  per  etjrum  a  que*  tempi  raleva  per  loro. 


73SÌ  CHBO^ldON   PISAURI 

fitium    simulacrìs  vanis,  sed  Domino   nostro  vero,  qui 
cuncta  creavit  ex  nichilo. 

LECTIO  X. 

Tunc  Tarsus  proconsul  jusit  militibus,  ut  Sanctnm 
Decentium  et  Germanum  extra  civitatem  ducerent,  ne- 
scientibus  Christianis;  in  tantum  eos  cederent,  ferreis 
yirgis,  et  lapidum  percusionibus,  quousque  mortai  defi- 
cerent,  et  corpora  eorum  in  mare  precipitarent  Milites 
vero  medio  nocte  ligavenint  Sanctos  martires^  et  dnxc- 
runt  extra  civitatem,  et,  ut  jusum  fuerat,  feceront.  Mare 
vero  Sanctorum  corpora  ejecit  in  littore  inter  rivum, 
qui  Yocatur  Oelica  0  ^^  montes  ^.  Mane  autem  facto 
divulgata  sunt  omnia  que  gesta  fuerant  circa  Sanctos 
martires.  Tunc  surexerunt  Christiani  contra  Tarsum  prò- 
consulem ,  et  interfecerunt  eum  cum  triginta  militibns 
suis,  et  domum  ejus  Castri  superius  et  exterius  muros 
magne  altitudinis  a  fundamentis  destruxerunt,  Christiani 
vero  susceperunt  corpora  Sanctorum  Martirum  Decentii 
et  Germani,  et  condierunt  ea  cum  aromatibus,  et  sepe- 
lierunt  ea  in  archa  marmorea  non  longe  procul  a  civi- 
tate^  juxta  stratam  mayorem.  Martirizati  autem  sunt 
Santi  Martires  Decentius  et  Germanus  5  calendas  No- 
vembris,  in  civitate  Pisaurìa,  regnante  Domino  nostro 
Jeshu  Christo,  cui  est  honor  et  gloria  in  secala  seca- 
lorum.  Amen. 


0  ^SB^  ^^  chiaman  Gènica,  parola  dì  cui  pel  passato  oiuno  sapera 
intendere  il  significato.  Ora  è  chiaro  essere  corruzione  di  Gética  deU* 
seme  T  acqua  assai  fresca. 

*)  n  monte  detto  Ardi  zio. 


CkBONlCON  PISAÙRI  1^^ 

Anno  Christi  331  —  Anno  Mundi  5511. 

Mortai  ergo  fuerunt  Decentius  et  Germanus  martires 
anno  Christi  313,  tempore  Gallerii  Maximiani  Impera- 
toria,  et  Melciadis  Pape  anno  5/  die  28  Octobris,  in 
civitate  Pisauri,  et  in  loco  ubi  nunc  edi6cata  est  Ecclesia 
Sanctorum  Decentii  et  Germani,  que  Ecclesia,  3/  feria 
post  festum  dominice  resurectionis ,  fuit  Deo  et  San- 
ctis  consecrata,  et  dictis  Sanctis  Martiribus  Decentio  et 
Germano  dedicata. 

Et  quod  corpora  predictorum  Martirum  in  dieta 
Ecclesia  sint  recondita,  in  qua  etiam  et  aliomm  più- 
rium  Sanctorum  martirum ,  confessorum  et  Yirginum 
corpora  et  reliquie  sunt  recondita,  patet  ex  bulla  Domini 
Alexandri  pape  4.^  anno  Domini  1257  facta,  prout 
inferius  annotabitur,  facta  ad  petitionem  venerabilis  viri, 
fratris  Michaellis,  Abatis  Monasterii  Sanctorum  Decentii 
et  Germani  prope  Pisaurum,  cujus  tenor  infra  suo  loco 
annotabitur. 

Anno  Christi  334  ")  —  Anno  Mundi  5532. 

Anno  Xpi  334  Constantinus  Magnus  Imperator,  4/ 
die  sui  baptissimi ,  Romanam  urbem  et  omnes  Italie 
Provincias,  loca  et  civitatcs,  beatissimo  Pontifici  Silvestro 
concessit  atque  reliquit,  et  suum  Imperium  et  regni 
potestatem  Orientalibus  transtulit  regionibus,  et  in  Bi- 
santic  Provincie  optimo  loco,  nomini  suo  civitatem  edi- 


')  Veranienìe  sarebbe  il  324. 


734  CHRONICON   PISAURI 

ficavit,  nunc  Constantinopolim  dictam,  et  ibi  Imperium 
constituit.  Ita  legitur  in  gestis  Beati  Silvestri,  que  Beatus 
Papa  Gelasius  in  Concilio  70  Episcoporum  a  Chatolicis 
legi  commemoravit.  Habetur  in  t/  Constantinus  96  dist. 
et  latine  ex  originali  ad  hunc  per  Albericum  de  Bossate 
in  1/  1.*  §  1/  ff.  (fe  officio  Prefecti  urbis,  et  habetor 
in  le.  p/  de  jure  jurandoj  et  in  t*  fundamenta  de  de- 
ctione  in  YI/  propter  quam  donationem  Pisaumm,  quod 
per  annos  365  sub  Imperio  Bomanorum  fuit,  sicud  tota 
Bomandiola  et  Picenum,  ad  manus  Ecclesie  et  summo- 
rum  Pontificum  devenit. 

An  autem  valuerit  dieta  donatio  ponit  piene  Augu- 
stinus  de  Ancona  in  tractatu  de  potestate  Ecclesie  in  43/ 
questione;  Platina  de  vieta  Pontificum;  in  t/  de  Marco 
jp/  papa  ponit  pienissime  Bonazo  bellensis  in  e/  DUectos 
in  37  colup.  de  fide  instru. ,  et  dominus  Alexander 
post  Jo.  de  Imola  in  B.  ff.  de  verborum  obligat. ,  et 
Cardinalis  Alexandrinus  in  d.  e.  Constantinus,  et  Lu- 
dovicus  Bolognettus  in  sua  extravaganti  Theodosii  in 
verbo:  In  romana  nostra  exceUentissima  Civitate;  Ar- 
chiepiscopus  Floreutinus  in  2/  parte  3.«  partis  n.  33, 
quodquod  scribat  Dantes  in  sua  Monarchia,  quem  com- 
munis  scola  Legistarum  et  Canonìstarum  reprehendit 
Et  Eneas  Silvius,  Pius  Pontifex  2.*  postea  vocatus,  in 
suo  dialogo,  folio  2/  ubi  per  multa  tenet  quod  dieta  in 
in  d.""  e/  Ego  Constantinus,  sint  falsa,  et  invehit  centra 
miseros  Legistas ,  qui  laborant  in  disputando  id  quod 
nunquam  fìiit,  et  ostendit  unde  sit  aucta  autoritas  Pape 
in  temporalibus  ;  et  puto  quod  si  postea  Pius  factus 
Pontifex  scripsisset   in  hac   materia,  in  qua   scripserat 


CHRONICON  pìsauri  735 

dum  erat  in  minoribus,  forte  aliter  scripsisset  dìxissetque: 
Nunqtmm  infelexi  materiam  luific  precter  modo;  ut  dixit 
ille  Theologus,  qui  habitis  beneOciis  curatis,  inutavit  sen- 
tentiam  suam  opinionem  de  inlicita  pluralitate  benefi- 
ciorum;  ut  in  cronica  moderna  que  dicitur  Fascicult48 
iemporum,  in  t/  de   Vittore  Papa  2!" 

Non  omitto  unum  in  materia  predicta,  quod  Jo,  de 
Imola  in  rubrica  ff.  de  verbopmm  óbligat  dicit  inter 
cetora  Olnadum  refferre,  reperiri  in  antiquis  quibusdam 
Cronicis,  quod  eequenti  nocte  post  factam  donationera  a 
Constantino  Ecclesia,  andita    fuit  vox  de    celo  dicens: 

IIODIE    INFUSUM    EST    VENENUM    IN    ECCLESIA    DeI. 

Post  donationem  factam  per  Constantinum,  per  annos 
74  Pisaurum  aliquando  erat  sub  Imperio  Imperatorum, 
et  aliquando  in  manus  Summorum  Pontificum. 

Anno  Xpi  408  —  Anno  Mundi  5066. 

Radagasus  Oothorum  rex,  barbarus  Scita,  qui  omnem 
romanum  sanguinem  Diis  suis  vovcrat ,  cum  ducentis 
milibus  Gfotbornm,  repentine  discursu,  ut  Paulus  Lon- 
gobardus  historicus  reifert,  totam  Italiam  ingreditur^  et 
Pisaurum,  et  primam  Italie  partom  miserabili  strage 
aflixit.  Et  post  mortem  snam  et  Gothorum  suorum  ca- 
pturam  Alaricus  4.»  Gothorum  rex,  ex  nobilissimia  Bal- 
thorum  in  Gothis  famìlia  cum  innumerabili  vere  Oo- 
thorum multitudine  Italiam  iterum  intravit,  et  non  longe 
a  Ravenna  conscendens,  ibidem  anno  Christi  412  omnia 
rapinis  et  direptìonibus  involvit,  et  urbem  romana  post 
longam  et  gravissimam  obsidionem  cepit  et  incendit, 


736  GflRONIGON  PISAURI 

Quo  tempore  Pisaurum  in  Gx>thorum  potestatem  de- 
venit/et  per  annos  132  aliquando  propter  bella  eiat 
in  Oothorum  potestatem,  aliquando  in  Eomanorom. 

Anno  Ghristi  540  —  Anno  Mundi  5738. 

Anno  Christi  540  Johannes  prefectas  Bellisarìi  et 
Justiniani  Imperatoris ,  ut  Leonardus  Aretinus  et  alii 
scribunt,  cum  duobus  equitum  milibus  agrum  Picennm 
pervadens,  uxores  nactosque  Oothorum  ")  predisque  et 
rapiDis  regionem  totam  involvit.  Ugliteum  vero  Yìtìgitis 
Gothorum  regis  patruum  tunc  Oothorum  copiis  sibi  obviam 
prafectum  prelio  Superavit,  ipsumque  ducem  cum  magna 
parte  copiarum  occidit.  Inde  victor  factus ,  captis  per 
multis  agri  Piceni  opidis,  relictisque  Auximo  et  Urbino, 
urbibus  muratis,  copias  deducens,  Phanum  et  Pisaurum 
cepit.  Et  cum  Ariminenses  non  bene  convenirent  cum 
Oothis,  et  *)  appropinquante  Johanne  cum  exercitu, 
tantum  terrorem  intulit  ei^,  ut  diffisi  in  eo  loco  con* 
sistere,  Ravenna  omnes  dimigrarent.  Cives  autem  portas 
aperuerunt,  et  per  hunc  modum  Johannes  Ariminum 
cepit.  Oothi  postquam  Ariminum  captum  intelexerunt, 
existentes  in  obsidione  urbis  Rome,  obsidionem  diete 
urbis  disoluerunt,  atque  inde  abire  statuerunt.  Itaqae 
Yitigis  rex ,  paucis  post  diebus  crematis  castris ,  cum 
omnibus  Oothorum  copiis  adivit,  et  ')  Ravennam  ire 


')  Qui  manca  qualcosa  p.  e.  interfecit 
')  Inutile  questui. 
')  Manca  cunt« 


CHRONICON  P18AURI  737 

])roperaret,  et  *)  milites  suos  Clusium,  ad  Urbem  vet- 
terem,  Tudatum  ,  Àuxinum  ,  •Urbinum  ,  Cesenam,  ad 
Montis  ferotrum  custodiendi  causa  misit.  Ipso  yero  ad 
obsidendum  Ariminum  proficiscens,  Fanum  et  Pisauram 
copit  inconditque,  ac  menia  usque  dimidium  altitudinis 
destruxit. 

Leonardus  Aretinus  lib/  3/  de  bello  Gotharum  sic 
Bcrìbit:  Phanum  et  Pisaurum  sunt  urbcs  juxta  Hctus 
Adriatici  maris,  intcr  Auximmn  et  Urbinum  site.  Eas 
urbcs  Yitigis  ab  initio  hujus  belli  inccnderat,  ac  menia 
usque  dimidium  altitudinis  destruxerat. 

Anno  Christi  546  —  Anno  Mundi  5744. 

Anno  Christi  546  Pisaurum  a  Belisario  greco,  Ju- 
stiniani  Imperatoris  prcfocto  instauratum  fuit,  de  quo 
scribit  Leonardus  Aretinus  1/  3/  de  bello  Gothorum. 
Phanum  et  Pisaurum  sunt  urbcs  etc.  (E  qui  riporta 
tutto  il  passio  qua  addietro  recato  fino  a  destruxerat^ 
che  non  si  ripete  per  non  nojare  i  lettori.  Seguita  poi) 
*  Ex  hiis  Bellisarius  Pisaurum  reficere  cogitavit,  ac 
equitatum  in  ea  collocare.  Missis  igitur  clam  artificibus, 
qui  mensuras  portarum  exattissime  eaperent,  Ravenne 
fabricari  porbis  fooit,  ac  foramentis,  quibus  opus  erat, 
struxit.  Deniquc  navis  impositas  Pisaurum  defferi  fecit; 
prefectlsque  et  equitibus,  qui  Arimini  constitterant,  scri- 
psit,  ut  reponte  ocupato  opido,  portas  imponerent,  ac 
morte  ')  tumultuario  opere  reficerent,  fosas  purgarent; 


')  Anche  quoAtVf  intratcia  ran<Iam6nto  del  periodo. 
*)  Nel  mn.  ^  m:  ri  ito  prima  morir  ^  poi  cancellato  jier  metterci  »iw/m*, 
a  mio  arviBO,  e  invece  gli  venne  scrìtto  di  nuovo  murte. 


738  GHRONICON  PISADRI 

commeatus  autem  oinnis  generis,  ut  mari  ad  eos  deffe- 
reretur,  providit.  Equite»  igitur  Arìmino  profecti  cum 
Pisaurum  ocupasaent,  omnia  secundnm  Bellisarìi  man- 
data fecerunt.  Sensit  hec  Totilas,  et  cum  magnis  copiis 
ad  ea  prohibenda  profectus  est.  Sed  tanta  fuerat  militam 
diligentia  in  purgandis  fossis,  valloque  et  agere  mnniendo 
oppido,  menibusque  et  propugnaculis  resarciendis  ut  ad- 
miraretur  rex  tantas  res  tam  ingeniose,  tam  paucis  diebm 
fìerì  potuisset.  Quare  aliquantulum  circa  ea  loca  mora- 
tus,  quoniam  videbat  proficere  nil  posse,  in  castra  ad 
Auximum  irrito  conatu  reversus  est.  ,,  Hec  Leonardos 
ubi  supra. 

Pisaurum  per  annos  255  fuit  sub  imperio  greco, 
imperatoris  Constantinopolitani. 

Anno  Christi  801  —  Anno  Mundi  5999. 

Anno  Chisti  801  Pisaurum  in  manus  Franchoram 
seu  6allorum  devenit.  Hirenes  enim  greca  et  Leonis  4/ 
Imperatoris  constantinopolitani  uxor,  et  sola  in  Imperio 
constantinopolitano  domina,  post  efusionem  oculomm 
Constantinì  Imperatoris ,  predicte  Hirenis  filii ,  et  in 
carcerem  misi,  audita  Caroli  Magni  fama,  e  Constanti- 
nopoli  legatos  in  Italiam  misit,  ut  cum  eo  fedus  inirent, 
Imperiumque  cum  suis  terminis  dividerent.  In  qua  qni- 
dem  divisione  Hirene  ea  Italie  par  obvenit,  que  ad 
dexteram  Neapolis  incipit,  et  ad  sinistram  Manfredonia, 
que  cum  infero  et  supero  mari  ac  etiam  Sicilia.  Reliqna 
vero  pars  Carolo  ex  federe  obtigit,  et  hoc  anno  primo 
Imperii  Caroli  Magni  Franohorum  regis  et  romani  Im- 
peratoris. 


CHRONICON  PISAURl  739 

Anno  Christi  814  —  Anno  Mundi  6012. 

Anno  Domini  814  Carolus  Magnus  Imperator  per- 
donationis  paginam  confìrmando  ea  que  ipse  fecerat  cum 
Adriano  summo  ponti6ce ,  et  que  fecerat  Pipinus  rex , 
pater  ejus ,  donavit  Leoni  3/  summo  pontifici  urbem 
romanam,  et  plures  alias  civitates,  et  precipue  civitatem 
Pisauri. 

Hoc  anno  summi  Pontiflces  inceperunt  habere  au- 
toritatem  in  temporalibus ,  licct  haberent  jurisdictionem 
habitu,  et  non  acta. 

Anno  Christi  822  —  Anno  Mundi  6020. 

Anno  Domini  822  Ludovicus  Imperator,  Caroli 
Magni  filius  Loctarium  filium  suum  Italie  gubernatorem 
mictit,  qui  a  Papa  Pasquali  in  Augustam  coronatus  est. 

Anno  predicto  iste  Ludovicus  Imperator  tamquam 
fidelissimus  Christianus,  et  amator  Sancte  Romane  Ec- 
clesie, Romane  Ecclesie  privilegium,  et  domino  Pasquali 
Pape  de  pluribus  civitatibus,  opidis  et  castellis  donavit, 
et  precipue  de  Pisauro  etc. 

Vide  tex.  in  t/  Ego  Ludovicus,  63  distinct.  Ludo- 
vicus Imperator  ait:  Statuimus  et  concedimus  per  hoc 
pactum  confirmationis  nostre  tibi ,  beato  Petro  principi 
Apostolorum,  et  per  te  vicario  nostro,  domino  Pasquali, 
summo  pontifici  et  universali  Pape,  et  succesoribus  ejus 
in  perpetuum  Civitatem  romanam  cum  ducato  suo  et 
suburbanis  viculis  atque  omnibus  territoriis  ejus  mon- 
tanis   ac    maritimis    lictoribus ,    pontibus ,    seu    cunctis 

Archiv.  Stor.  March.  V.  /.  47 


740  CRONtCON   PISAURl 

civitatibus ,  castellis,  opidis,  ac  viculis.  Item  portoni 
Centum  cellis,  Ne...  ^),  Bledam,  Mathamònim,  Sotriam, 
Nepe,  et  infra. 

Item  Gabellum  cnm  omnibus  finibos  ac  territoriis 
atque  insulis  terra  marique  ad  supradictas  civitates  per- 
tinentibue,  simul  et  Pentapolim,  videlicet  Arìminum, 
Pensaurum,  Fanum,  Senogaliam,  Ànconam  etc.  et  infra. 

Incipit  donatio  in  nomine  Dei  omnipotentis  Patris 
et  Filii  et  Spirìtas  Sancii. 

Ego  Lndovicus  Imperator  Augustus  statuo  et  concedo 
per  hoc  pactum  confirmationis  etc. 

Cui  ipse  se  subscripsit,  et  tres  fili!  ejus,  et  Epi- 
scopi X.  Abates  8^  Commites  XTT,  Bibliotecarias  nnns^ 
et  Mansionarius  unus. 

Anno  Christi  962  —  Anno  Mundi  6160. 

Anno  Christi  962  Octo  primus  Imperator  donatìones 
Caroli  Magni  et  Ludovici  Imperatorìs  factas  Leoni  3.* 
et  Pasquali  2/  summis  Pontìficibus  de  civitatibus  nrbis 
Rome,  Arimini,  Pisauiì,  et  Phani,  et  aliis  civitatibus 
confirmavit  Johanni  XII  summo  Pontifici,  cui  se  sub- 
scripsit  Octo  Imperator,  et  subsisa:ep8enint  {sic)  Epi- 
scopi X.  Abates  duo,  Commites  duo,  et  optimates  9. 

(^In  margine  si  leggej  Vide  tex.  in  t*  4.  d**  Jo- 
hanni pape,  43  disk  -^  :  63. 

Anno  Christi  1027  Coradus  2.*  dominus  Pisauri  etc 
Vide  monitus  et  privilegium. 


1)  Forse  Nepe^  ma  tnmtfi  più  sotto.  Certf 


CHRONICON   PISACRI  741 

Federìcus  primus  fit  dominus  Pisauri  et  totias 
Marchie. 

Ilenricus  secundus  post  mortem  Federici  fit  dominus 
Ariroini  et  Pisauri. 

1188.  Clomens  papa  3/  anno  D.  1188,  anno  primo, 
facit  mentionem  de  Castro  Limata,  et  Castro  Flerene, 
et  de  oa^tro  Chiliolis.  Concesit  plura  Castra  dictis  *)  Ca- 
nonicis  et  etiam  lictus  maris  a  loco  qui  dicitur  duo  tauri 
usque  ad  flamf'n  Tauli.  Facit  mentionem  de  monasterio 
Sancii  Tome  justa  flumen  Àpusam  a  bone  memorie  ab 
Episcopo  Àll>orico  *)  fundatum,  et  de  Ecclesia  Sancti 
Petri  juxta  muros. 

')  Anno  Christi  1188  Dominus  Righetus  PanduI* 
phinus  de  Vicontia  fit  Yicarius  Arimini  et  Pisauri  et 
alìarum  civitatum,  quas  ocupavit  Federicus  primus  Im- 
perator  Barbarossa,  et  ii>sa3  civitates  regebat  et  guber- 
nakit  nomino  Imperatoris  predictì,  qui  dominus  Righetus, 
mortuo  predicto  Imperatore,  Anno  Domini  1191  ab 
Uenrico  secundo  Imperatore  confirmatur  Yicarius  in  vi- 
eta, et  hoc  quia  cum  Ilenricus  Imporator  pred  ictus  perve- 
nissot  in  Italiam  in  civitate  Parme  donavit  sibi  22  milia. 
florenorum,  et  valde  gavissus  fuit  Imperator,  quod  pe- 
cunia sibi  deflìciet)at,  et  ideo  confirmavit  ipeum  Yicarium 


')  Dic«  Htctis  p^rrliA  ori  rolic«»  quatto  brano  M  \\M  tU  dopo  qw'llo 
ch*^  M>t(o  il  ll'Ji)  0T(*  ti  parU  (li  più  prìTÌl«»f(i  dal  \i*%e,*  Enrìro  conoMat 
a  qu«»«ti  r^nonici.  Io  ho  ■«'^uito  la  rmnolofóa. 

*)  Il  m*.  ìf*fiié  AIbco  owì^  Àlh^i^icn;  altri  Tom^bbo  •*  tot«*od4»«96  AU 
brrìtr*y,  i>  fra  que«ti  roiÌTÌrrì  in  Mem.  drlU  Badia  dì  S.  Tommato  io 
Foglit.  !•<**.  (iao**Ui,  1778  |ujf.  fl.  Ho.  rt. 

*)  Qu(*4to  tratto  «v  n^l  ms.  rifiutalo  eoo  due  Uoc«  tirato  a  X* 


742  CHRONIGON  PISAURl 

Arimini  in  vieta,  et  donarit  sibi  Roncofredum ,  Oiove- 
diam  et  Trebium.  ') 

1190.  Celestinns  Papa  3/  anno  Chrìsti  1190 
anno  3/  *)  £sicit  mentionem  de  Plebe  Sancii  Cristofori, 
et  Sancti  Onirici,  et  de  Ecclesìa  Sancti  ApoUinaris, 
et  de  Ecclesia  Sancti  Zenonis.  De  Cnria  Granavalle, 
Galiolle ,  et  Boncii ,  et  de  Ecclesia  Sancii  Bartholomei 
in  Monte;  qno  tempore  Henricus  Sancte  Marie  Episco- 
pus  et  Preceptor  pisanriensis  concessit  Canonicis  plura 
privilegia^ 

1197.  Hoc  anno  1197  fuit  facta  quedam  Campana 
et  posita  in  Ecclesia  Sancti  Herachliani,  et  fìierant 
posita  infra  scripta  verba. 

MC97  mense  Augusti  Ind.  XV. 

Ista  nnm  est  in  Episcopata  Pisanri,  postquam  Ec- 
clesia Sancti  Herachliani  fuit  destructa,  ut  infra  dicetur. 

(Di  questa  Campana  parlasi  nel  ms.  anche  prima, 
ma  fuor  del  suo  anno,  con  queste  parole:  In  el  Vescovato 
la  Campana  pichola,  quale  era  in  la  Chiesa  de  Santo 
Erachliano.  Sunt  in  supra  verba:  come  sopra) 

Anno  ChrisH  1198  —  Anno  Mundi  6396. 

Anno  Christi  1198,  mortuo  Henrìco  secundo  Impe- 
ratore,  quidam   ex   ejus   Principibus   et   £similiarìbu8 , 


^)  L*  Olivieri  nelle  sue  Memorie  per  la  storia  della  Chiesa  pesarese 
nel  secolo  XIII.  Pesaro,  Oavelli,  1779,  legge  qui  Giovedium  et  iVcòttcm. 
ma  erroneamente,  non  esistendo  nò  Tuno  né  T  altro  ma  si  Giovedi  e  TVtòo 
o  IMio.  V.  Tonini,  St  di  Rimini,  Voi,  3.  p.  71,  113,  247. 

*)  Qui  r  Olivieri  1.  f.  legge  I.,  ma  TA.  quando  vvol  dir  jprnno  scriTe 
un  pJ^  Qui  è  un  3. 


o 


i 


CHRONICON  PlSAURl  743 

Sicilie  regnum  egredientes,  Ecclesie  civitates  atque  opida, 
quas  ipse  Henricus  et  alii  antecessores  tirannice  occu- 
paverant,  ceperunt,  et  inter  alios  Marchualdis  (sic)  fit 
Dominua  Pisauri,  at  totius  Bomandiole,  et  Marchio 
anconitane,  asserens  se  esse  Imperii  generalem  Senescal- 
cum,  et  Ducem  Ravenne  et  Marchio  et  Bomandiole. 

(In  margine  leggesi:  Yide  Archiepiscopum  florentinnm 
in  sua  3/  parte  historiali  n/  19  e/  p/  §  p/) 

Hoc  anno  Innocentius  3/  volens  civitates  Ecclesie 
romane  recuperare,  duos  Cardinales  Legatos  in  Marchiani 
misit  centra  Marchualdum ,  qui  tandem  eum  excomn- 
nicaverunt. 

1199    —    6397. 

March ualdus  non  valcns  hoc  hanno  centra  Innocen- 
tium  3."  Pontificem  resistere,  reh'cta  Marchia  et  So- 
mandiola,  in  Apulie  regnum  profectus  est 

Hoc  anno  Pisaurum  et  tota  Marchia  anconitana,  et 
Bomandiola ,  post  «recesum  Marchualdi ,  recuperantur  a 
Pontifico. 

(continua) 

Q.  YAKZOLnri 


CÀPH  DEGÙ  EU  DELU  CM  DI  CMKl 


Pubblico  neìVArchivio  Storico  Marchigiano  questi  Capitoli 
sugli  ebrei,  capitoli  trascritti  dalPArchivio  segreto  camerinese 
(Lett.  e.  N.  28)  per  cura  del  chiarissimo  prof.  cauoDico  San- 
toni e  a  me  trasmessi  per  gentilezza  somma  del  ca?.  Orten- 
sio Vitali  ni. 

Quasi  quasi,  malgrado  la  vetustà  del  documento,  si  potrebbe 
trovare  in  questa  ed  in  altre  consimili  pubblicazioni,  un  inte- 
resse direi  quasi  di  attualità.  —  Oggi  che  in  Germania  si  è 
iniziato  il  cosidetto  tnovimento  anti'$emitico,  allo  scopo  di  re- 
stringere le  franchìgie  che  i  governi  d^  occidente,  in  nome  della 
libera  coscienza,  guarentiscono  agli  israeliti,  oggi,  dico,  non 
sarà  inutile  mostrare  a' fautori  di  questo  nuovo  fanatismo,  come 
neir  età  di  mezzo,  i  nostri  comuni  fossero  alla  fin  fine  sufiicien- 
temente  liberali  e  tolleranti  verso  i  figli  della  razza  dispersa. 

Si  cercava  solo  d' impedire  ad  essi  V  usura  a  danno  dei 
minorenni,  V  incetta  di  roba  a  provenienza  furtiva,  le  opera- 
zioni di  credito  per  somme  importanti;  si  escludevano,  mercè 
il  sistema  protezionista  allora  vigente,  dalle  nobili  mercature 
de^  drappi  nuovi,  consentendo  loro  la  sola  vendita  dei  robi- 
vecchi; si  gravavano  d' uno  speciale  balzello;  e  si  proibiva  loro 
r  abitare  in  certi  luoghi  della  città.  Ma,  in  compenso,  i  Blagi- 
strati  garantivano  agli  ebrei  asilo  e  protezione. 

Credo  quindi  che  non  sarà  privo  d*  interesse  uno  di  que- 
sti documenti,  ricordanti  i  primi  sintomi  di  riavvicinamento 
fra  due  razze,  che  la  barbarie  aveva  fatto  nemiche  e  che  la 
civiltà  destina  a  divenire  sorelle. 

AocoM,  NoTeoibrt  1880. 

A.  COLOCa. 


CAPITOLI   DEGLI   EBREI 

DELLA  CITTI  DI  CAMERIKO 


1q  Dei  nomine.  Àmen  —  Questi  sono  li  Capitoli  Decreti 
et  Ordini  facti  alti  bebrei  quali  saranno  approbati  di  possere 
stare  et  habìtare  nella  magnifica  Città  di  Cam.""  fatti,  ordinati 
et  formati  di  ordine  et  volontà  deir  lllmo  Sig.  Gerolamo  Fran- 
gipane patrizio  romano  della  detta  Città  et  stato  Governatore 
et  delli  magnifici  Sig.''  Priori  et  Conseglio  minore  di  XII  della 
sadd^  Città  da  doversi  observare  da  detti  hebrei  inviolabilmen- 
te senza  manco  alcuno  sotto  quelle  pene  che  qui  sotto  si  dirà 
da  farsi  pagare  di  fatto  alPinobedienti  senza  remissione  alcuna. 

In  prima  che  tutti  quelli  bebrei  quali  sono  stati  tollerati 
ad  habitare  in  essa  Città  et  stato  principalmente  et  sopra 
ogni  altra  cosa  siano  tenuti  et  debbiano  inviolabilmente  ob- 
servare senza  manco  alcuno  tutti  li  ordini,  bandi  et  decreti 
fatti  et  da  farsi  dalla  Santità  di  N.  S.  et  dalla  S.  Sede  ap*^ 
alli  quali  non  s' intenda  mai  per  modo  alcuno  contra venire 
in  alcuna  parte  né  in  modo  né  parte  alcuna  sotto  nessun 
colore  —  Placet. 

2.  Item  che  detti  hebrei  né  alcun  di  loro  possino  né  deb- 
biano per  modo  alcuno,  né  sotto  alcun  colore  comprare  cosa 
alcuna  di  nessuna  sorte  da  persone  minori  di  dieceotto  anni, 
né  da  chi  sia  figliolo  di  fameglia  che  sia  della  detta  Città  di 
Camerino  sotto  pena  della  perdita  delle  cose  comprate  e  di 
scudi  diece  d'applicarsi  per  un  quarto  alla  R.  Camera  ap'^ 
di  Camerino,  un  altro  4""  alla  reparazione  del  palazzo  prìorale, 
uno  air  accusatore  o  inventore  qual  sarà  creso,  et  uno  al- 
Texequutore  —  PlaceL 

3.  E  che  li  su  detti  hebrei  né  alcun  d'  essi  possano  oè 
debbiano  per  modo  alcuno  né  sotto  alcun  quesito  colore  com- 
prare, né  far  comprare  cose  robbate,  et  comprandole  et  se  le 
compraranno  truovato  il  padrone  siano  tenuti  et  ciaschnn  sia 
tenuto  jli  snbbito  renderle  senza  prezzo  alcuno  —  JKocef. 


li. 


CAPITOLI   DEGLI   EBBEI  747 

4.  Item  che  alli  detti  bebrei  uè  ad  alcun  di  loro  sia  lecito 
né  possano  tenere,  né  scavezzare,  nò  Tendere  in  modo  alcuno 
in  loro  botteghe  nò  altrimente  panni  alti  bagniati  et  cimati 
né  alcuna  sorte  di  panni  yietati  a  tenere  alli  mercanti  di  essa 
Città  et  stato.  Né  meno  jana  filata  nò  non  filata  di  nessuna 
sorte,  sotto  quelle  pene  che  si  contene  in  li  statuti  ordini  et 
decreti  delli  mercanti  di  lana  della  Città  predicta  —  Placet. 

5.  Item  che  alli  su  detti  bebrei  né  a  nessuno  di  loro  sia 
lecito  né  possano  fare  istrumenti  di  credenza  con  persona 
alcuna  di  detta  Città  et  suo  Stato,  che  trapassi  la  somma  di 
venti  fiorini,  et  che  V  istrumenli  non  siano  confessionati  ma 
la  robba  debbia  comparire  attualmente  sotto  la  pena  del  dop- 
pio, et  nondimeno  V  istrumento  sia  nullo  invalido  et  non  me- 
riti exequutione  alcuna  ancorché  fusse  firmato  con  juramento, 
et  si  presuma  usurarlo  et  fatto  per  fraudo  et  per  malitia 
estorto  —  Placet. 

6.  Item  che  li  su  detti  bebrei  non  possino  né  debbiano 
ritenere  né  vendere  alle  loro  botteghe  drappi  nuovi  di  nessuna 
sorte,  ma  solo  squarti  et  drappi  usati  et  vecchi.  Sotto  la  pena 
sudetta  d'  applicarsi  come  di  sopra  —  Placet. 

7.  Item  che  li  su  detti  hebrei  tollerati  come  di  sopra  né 
alcuno  di  loro  debbiano  ricevere  alcuno  altro  bebreo  forestieri 
et  non  tollerato  per  più  di  una  sera,  ma  havendo  da  stare 
più  lo  debbia  quel  che  lo  riceve  assegnare  alli  magnifici  Sig. 
Priori  et  pigliare  la  licenza  in  scritto  da  loro  per  quel  che 
bavera  da  fermarsi  sotto  la  su  detta  pena  di  f.  XV.  d^appli- 
care  come  di  sopra  —  Placet. 

—  Item  che  detti  hebrei  siano  tenuti  et  debbiano  ogni 
anno  pagare  alla  magnifica  comunità  quel  che  sono  tenuli  per 
la  taxa  fatta  senza  excetione  alcuna  in  principio  dell'anno  per 
tutto  il  mese  di  gennaro  —  Placet. 

—  Item  che  detli  hebrei  tollerati  come  di  sopra  non  pos- 
sano habilare  né  aprire  botteghe  dal  ponte  che  va  dalla  corte 
alla  chiesa  in  su  per  V  arengo  né  alcuna  delle  piazze  cioè 
Santa  Maria,  et  di  S.  Angelo  nò  per  la  strada  giù  alli  macelli 


748  CAPITOLI  DEGLI   EBllEI 

sotto  la  peoa  di  dece  scadi  d'  applicarsi  come  di  sopra,  nelli 
altri  luoghi  quanto  alle  botteghe  sia  a  libito  loro  —  Hacet. 

HIERONIMUS  DE  FRAN6.  bus.  no.  ro. 
Cam'  Gassi  et  Vissi  etc  Gub. 

Supradicta  pacta  Gapitula  conyentiones  et  transactiones 
factae  init.  costitutae  inter  universitatem  et  homines  civitati 
Cam'  ex  una  et  universitatem  hebreorum  in  dieta  civitate  com- 

morantium 4.  approbamus  confirmamus  et  validamus, 

observarique  et  in  nullo  eis  ex  aliqua  partium  contraveniri 
mandamus  —  non  obstant.  in  quorum  fidem. 

Datum  Camerini  die.  23  feb.  1558. 

HIERONIMUS  FR.  Gub. 
L  0  S  PoMPiLius  Sasso  Cane. 

Ita  et  ut  sapra  scriptum  est  dicimus  et  auctorìtate  qaa 
fùngimur  approbamus  confirmamus  et  exequi  volumus  et  man- 
damus —  In  quorum  etc.  Dat.  Gam^  ultimo  feb.  1558. 

L  0  S  Raynald.  ViGH.  Cam.  de  mio. 


APPENDICE  m  STORH  DElL'ANm  Pili) 


Nel  libro  IIP  della  sua  Storia  Plinio  ci  dichiara  resistenza 
di  Pitulo  rirerito  nella  vr  regione  d'Italia,  che  fa  parte  del- 
r  Umbria  —  Jungetur  hic  sexta  regio  Umbriam  compkxa  ce. 
Ostrani,  Pitulani,  ec.  —  Ma  annoverandosi  qaesta  antica  città 
fra  le  distrutte  dal  bellico  furore,  pel  felice  ritrovamento  dei 
suoi  ruderi  e  delle  sue  lapidi  siamo  lieti  d'essere  accertati  del 
luogo  preciso,  ove  Pitulo  esisteva;  come  il  Golucci  (antichità 
Picene  tomo  4)  il  Turchi  (Camerino  Sacro  capitolo  IV  §  4^), 
il  Brandimarte  (Piceno  annonario  pag.*  96  e  seg.*)  ci  hanno 
scoperto  e  dimostrato,  avendo  essi  abbastanza  chiariti  certi 
equivoci  degli  amanuensi  di  Plinio,  che  noi  per  brevità  trala- 
sciamo. Poiché  nella  medesima  situazione  trovammo  testò  mo- 
numenti analoghi,  questi  ci  vogliono  accennare  per  una  pre- 
ziosa analogia  alPistcssa  istoria  non  troppo  ricca  di  notizie 
positive. 

Sotto  Todierno  castello  di  Piticchio  o  sotto  Gol-Pizzano, 
chiamato  nelle  antiche  carte  coUis  PUtdanus,  coUis  PUuanu$y 
verso  la  strada  Provinciale  che  da  Arcevia  volge  a  Senigallia, 
in  un  predio  dei  Sigg.  Giampieri  (vocabolo  Barasta)  mediante 
opportuni  scavi  fatti  dal  Sig.  Giampietro,  a  un  metro  circa  di 
profondità  si  sono  trovati  diversi  ruderi  di  qualche  interessa- 
mento per  i  piani  di  mosaico  che  si  sono  scoperti,  e  per  Tuso 
cui  dovevano  servire  quelle  particolari  strutture.  Noi  lasciamo 
di  annoverare  le  monete  dell'alto  e  basso  impero  di  Roma,  e 
gli  altri  oggetti  rinvenuti  del  pre-impero,  di  poco  rilievo,  co- 
me i  rottami  flgulini  di  rozzo  e  migliorato  stile  della  fabbrica 
Suasana  ed  Aretina,  i  frammenti  di  vetro  etrusco  con  impasto 


750  APPENDICE   ALLA  STORIA 

colorato,  un'  accetta  dì  bronzo,  due  teste  in  avorio  d'ago  cri- 
nale ecc,  che  tuttavia  si  conservano  presso  il  suUodato  Signor 
Giampieri. 

Prenderemo  a  dire  brevemente  le  circostanze  speciali  più 
degne  dei  menzionati  mosaici  cogli  annessi  avanzi  notevoli  de- 
gli scoperti  antichi  edifizi. 

Fra  i  pavimenti  di  mosaico  non  figurato,  ma  di  vago  e 
non  comune  ornamento,  è  memorabile  quello  col  fondo  di 
pietroline  bianche  quadre  tutte  di  un  centimetro,  poste  a  con- 
tatto le  une  delle  altre  con  una  semplice  linea  di  pietroline 
turchinacee  quadre  pure  di  un  centimetro  le  quali  formano 
quadrati  in  senso  diagonale  nella  grande  riquadratura  interna, 
avendo  quindi  una  zona  di  6  centimetri  di  larghezza  delle 
stesse  pietroline  turchinacee,  che  recinge  verso  il  margine 
bianco  tutto  queir  ambiente. 

Altro  pavimento  molto  leggiadro,  che  dal  suddetto  poco 
dista,  si  è  rinvenuto,  e  presenta  un  piano  oculato  con  tanti 
pezzi  semìquadri  di  mattono  di  circa  due  centimetri,  a  colore 
roseastro  sparsi  qua  e  là  regolarmente,  occupando  sempre  i 
punti  angolari  componenti  rettangoli  o  semiquadrati  della  pro- 
porzione di  10  a  15  centimetri  in  tutta  Parca  con  fondo  di  calci- 
struzzo  bianco  tenacissimo.  Non  lungi  pure  ci  si  mostra  memo- 
rando per  r  uso  cui  dovea  servire  un  pavimento  rotondo  sebbene 
ristretto,  del  diametro  di  due  in  tre  metri  connesso  a  spina  di 
mattoncini  quadrilunghi  di  4  in  5  cent,  tenendo  nel  suo  mar- 
gine una  fascia  circolare  a  contatto  in  piano  degli  stessi  matton- 
cini volti  air  infuori:  però  il  resto  di  tale  circonferenza  vedesi 
rovinato  dalla  operosità  negligente  degli  scavatori.  In  tale  recinto 
si  crede  ravvisare  come  eretta  un'  ara  o  altare  sacrato  a  qualche 
Nume;  mentre  le  medesime  are  innalzate  sopra  ammassi  e 
basamenti  di  laterizi  o  marmi  fra  i  monumenti  romani  avevano 
spesso  questa  forma  rotonda;  e  le  troviamo  ripetute  nei  denari 
di  Traiano  colla  Pietà,  e  in  quelli  della  famiglia  Scribonia. 

Gli  antichi  Pitulani,  siccome  dovevano  possedere  i  loro  tem- 
pli, cosi  avranno  avute  le  are  o  altari  che  valevano  in  tante 


dell'antica  pitulo  751 

occasioni  gentilesche  per  fare  i  sacrifizi  agli  Dei,  oltre  alla  ra- 
tifica dei  giuramenti,  ed  all'asilo  inviolabile.  Presso  questo 
luogo  abbiamo  le  circostanze  di  terra  nera  seminata  di  carboni, 
dì  ossa,  di  vasi  infranti,  cose  tutte  confermanti  V  idea  suddetta. 

Si  aggiunga  che  neir  ambiente  attiguo  trovasi  un  grande 
bacino  di  terra  cotta  roseastra  anche  oggi  integro  solidamente 
opposto  e  fermato  quasi  nel  mezzo  dì  un'area  di  rozzo  mosai- 
co; e  questo  vaso  sembra  bene  alluda  air  acqualustrale  che  si 
inaugurava  dai  Sacerdoti  gentili  collo  spegnervi  gli  accesi  tiz- 
zoni tolti  dal  focolare  dei  Sacrifizii;  quale  acqua  purificante 
adopravasi  nelle  lustrazioni  degli  Arvali  e  degli  analoghi  mi- 
nistri 0  degli  stessi  Seviri  spargendola  sugli  astanti  ossìa  nelle 
città,  ossia  nello  campagne  coir  aspergolo  o  colPumido  ramo 
di  lauro  o  di  olivo;  ed  era  tanto  in  pregio  nelle  funebri  ce- 
remonie  empiendosene  i  noti  balsamari;  e  doveva  purgare  al- 
tresì i  macchiati  da  qualche  labe  prima  che  entrassero  i  sacri 
templi;  sicché  il  luogo  anzidetto  dagnilustralorì  delle  antichità 
viene  fissato  nel  vestìbolo  o  in  prossimità  ai  medesimi.  — 
Hardion  —  Storia  Poetica,  tomo  2  pag.  7  e  seg.  —  Nieupoort. 
Bit.  Rom.  pag.  273,  276,  283,  284  ec.  —  Usanze  degli  antichi 
Romani  ad  uso  delle  Scuole  Pie  2.*  edizione  Fiorentina  pa- 
gina 141.  —  Ora  i  menzionati  leggiadri  piani  di  mosaico  ve- 
duti non  lungi  dalPara  o  altare  dei  Sacrifizii  e  dal  luogo  che 
contener  doveva  Tacqua  lustrale  potranno  bene  aver  servito 
alla  maestà  del  tempio  che  pure  contiguo  ad  essi  soleva  essere 
innalzato  alle  deità  Pagane;  e  parimente  T  altro  vago  mosaico 
potrà  aver  formalo  V  edifizio  decente  e  commodo  per  la  son- 
tuosità delle  epule  sacrificali  che  s' imbandivano  in  genere  con 
pubblica  pompa  dopo  il  compito  sacrifizio,  incombenza  ed  of- 
ficio dei  noti  Settemviri  Epuloni.  —  Nieupoort  pag.  250,  281 
—  Usanze  Romane  delle  Scuole  Pie  pag.  126,  142. 

E  sifiatte  aree  e  sifTatti  spazi  sono  cinti  da  mura  cemen- 
tate di  pietre  e  tegole  sovrapposte,  che,  sebbene  disfatte  quasi 
fino  dalle  fondamenta  coi  loro  avanzi  attestano  V  antica  loro 
forma  e  grandezza.  È  da  rimarcarsi  fra  tali  ruderi  il  ritrova-» 


752  APPENDICE  ALLA   STORIA 

meato  di  un^  embrice  smaltata  di  calce  e  dipinta  come  ad 
affresco  per  secoli  molto  bene  mantenuta,  la  quale  mostra  nel 
suo  disegno  linee  colorate  e  riquadrature  e  impronte  di  grandi 
fiori,  che  unite  alle  mancanti  dovevano  abbellire  alcuna  parte 
delle  fabbriche  suddette.  Alle  festività  celebrate  nei  templi, 
al  sacro  banchetto  sacrificale  succedevano  spesso  altresì  i  pub- 
blici ludi  ordinari  e  straordinari,  Cereali,  Marziali,  Apollinarì, 
Secolari  ')  Compitalizii  delti  ludi  magni  ')  e  funebri  o  Votivi  \i 
secondo  P oggetto  cui  erano  prestati;  ed  allora  soleva  nelle 
antiche  città  solennizzarsi  quella  ricorrenza  coir  esercizio  del- 
la pugna,  del  corso,  della  lotta,  o  collo  spettacolo  dei  gladiatori 
0  dei  giuochi  scenici;  ond'  è  che  il  luogo  a  ciò  adatto  doveva 
ben  essere  il  sottostante  piano,  quale  piazza  o  foro  esteso  dai 
cittadini  di  Pitulo  usato  a  tale  riguardo.  —  Nieupoort  pa- 
gina 293,  297.  —  Usanze  Romane  delle  S.*  P.*  pag.  89, 1856. 


1)  1  giuochi  secolari  ordinari  furono  quelli  che  si  rinoovaTaoo  ogni  ceato 
anni  nel  tempo  dell* estate  verso  la  raccolta,  e  duravano  tre  giorni  e  tre 
noti;  ed  oltre  Apollo  e  Diana  venivano  con  essi  onorali  Giove,  Gianone, 
Latonà,  Cerere,  Plutone,  Proserpina  e  le  Parche  facendosi  loro  pubbliche  pre- 
ghiere e  sacrifizi.  I  giuochi  secolari  si  fecero  allresì  per  implorare  il  f4Vore  dfi 
Numi  e  per  ottenere  ano  stabile  governo  secondo  i  libri  Sibillini,  dai  quali  pre- 
sero occasione. 

%)  In  onore  degli  Dei  Penali ,  che  erano  anche  gli  Dei  Patrii  lukelari  del!e 
contrade  e  delle  città  solevano  celebrarsi  le  Feste  solecni  e  insieme  i  gioochi 
ordinari  delti  Magni  o  compitalizii,  pei  quali  furono  islituiti  da  Augusto  parti- 
colari Magistrati  col  nome  di  Hagislri  o  Cnratores  Viarum. 

3)  I  giuochi  Votivi  straordinari  erano  quelli  cosi  denominali,  perchè  pre- 
ceduti da  solenne  promessa  di  effeltnarli  per  conseguire  alcun  bene  o  evìlare 
una  grave  calamità,  o  mettere  riparo  a  qualche  pubblico  disordine;  e  in  circo- 
stanza a  placare  lo  sdegno  degli  Dei  o  ad  implorarne  il  favore.  QuesU  giaochi 
si  appellarono  anche  indieti,  poiché  si  ordinavano  in  certe  particolari  circosUnxe, 
quando  pure  si  voleva  solennizzare  qualche  fausto  o  ragguardevol'^  aweninenl« 
ossia  una  segnalala  vittoria,  la  dedicazione  di  un  tempio  o  dì  altro  pubblico 
edilizio,  il  giorno  natale  dei  Principi  o  il  funere  dei  gran  personaggi.  Tali  foro») 
altresì  quelli  che  si  celebravano  dai  Magistrati  dopo  aver  preso  possesso  della 
loro  dignità,  e  dagl*  Imperatori  dopo  il  quinto,  il  decimo,  il  ventesimo  o  trente- 
simo anno  del  regno  loro,  chiamali  perciò  quinquennales,  decennales,  viccnnal«5« 
(ricennaleé,  come  notasi  nelle  monete  coniale  dagli  slessi  Imperatori. 


dell'antica  PITULO  793 

Anche  superiormente  verso  la  prossima  pendice  vediamo 
tutt'  ora  residui  di  mura,  che  servono  di  argine  a  quella  ora 
strada  campestre,  dove  nel  vicino  .terreno  sodivo  scaturisce 
una  fonte,  e  dove  trovansi  pure  sotterra  spesse  vestigia  di 
ruderi  vetusti  a  relazione  di  veraci  testimoni. 

Mediante  ulteriori  scavi  si  potrebbe  forse  conoscere  col 
disotterrare  forse  qualche  lapida,  a  quale  sicuro  scopo  a  quale 
particolare  divinità  sieno  stati  eretti  gli  accennati  edifizi. 

In  ogni  modo,  ripetiamo,  essere  lieti  dell'attuale  disco- 
primento, che  è  una  conferma  della  vera  esistenza  e  del  pregio 
della  distrutta  Pilulo,  ciie  in  questa  florida  spiaggia  sorgeva 
col  grado  di  Municipio,  siccome  le  altre  città  non  lontane 
Ostra,  Alba,  Suasa  e  Sentino,  come  dalle  lapidi  già  possedute 
si  rileva  abbastanza,  assoggettate  insieme  alle  stesse  vicende 
del  tempo  e  della  fortuna. 

Agostino  Monti. 


I 


IL  SECONDO  CONGBESSO 

DELLE  SOCDETÀ  STORICHE  ITALIANE 


Sebbene  il  nostro  Direttore  fosso  invitato  a  prender  parte 
al  IL*  Congresso  delle  Società  Sloriche  Italiane,  che  ebbe  luogo 
nel  settembre  del  1880  in  Milano,  egli,  ritenuto  in  Ancona  da 
gravissime  occupazioni,  non  potè,  come  sarebbe  stato  suo  desi- 
derio, assistervi  ;  ma,  perchè  i  lettori  di  questo  periodico  non 
avessero  a  rimaner  privi  di  qualsiasi  notizia  intorno  alle  impor- 
tanti deliberazioni  prese  in  quel  dotto  consesso,  pregammo 
un  nostro  valente  amico,  che  ne  foca  parte,  a  stendercene 
una  succinta  relazione.  Avendo  T  amico  gentilmente  aderito 
al  desiderio  nostro,  siamo  lieti  di  poter  regalare  ai  nostri 
lettori  quanto  egli  sul  proposito  ci  ha  scritto,  dolenti  che  il 
forte  ritardo  con  cui,  senza  nostra  colpa,  si  pubblica  questa 
dispensa ,  ci  faccia  soltanto  adesso  render  conto  d' una  riu- 
nione di  cui  si  sarebbe  dovuto  parlar  molto  tempo  innanzi. 

La  Direzione 

Il  Congresso  (proparato  dalla  Società  Storica  Lombarda)  fu 
aperto  il  2  Settembre.  Giulio  Porro  Lnml)ortenKbi  lesile  un  Discorso 
auguranto  attività  e  positivismo.  Michele  Amari  venne  acclamato 
Presidente,  e  il  novantenne  Giovanni  Arrivaljone  presente  a  il*  inau- 
gurazione baciò  in  fronte  il  Palermitano  illustre  che  rappresentava 
Sicilia.  Amari  improvvisò  allora  un  saluto  cordialissimo,  o  Io  suo 
parole  calde  e  commosso  parvero  s\  patriottiche  e  splendido  alKAs- 
semblea  entusiasmata  che  un  tuono  di  applauM,  ed  evviva  scoppiò 
unanime  appena  T oratore  si  fu  seduto.  Il  discorso  di  Michele  Amari, 
cui  rispose  breve  il  Pivlbtto  Basilo,  comparve  nojrlì  Atti  che  Ghiron, 
Delgrano  e  Sangiorgio  hanno  redatto. 

Il  3  si  cominciarono  i  lavori  del  Congresso.  E  avantutto  TAmari 
annunciò  ali*  assemblea  omaggi  e  doni.  Tra  questi  furono  graditi 

Archiv,  SUnr,  March,   V,  /.  48 


756  IL  SECONDO  CONGRESSO 

la  Storia  di  Sesto  Caletìde  dì  A.  Spinelli,  la  Storia  di  Soncino  di 
F.  Galantioo,  la  StOì^ia  di  Somma  lombarda  di  L.  Melzi,  il  Regesto 
di  Far  fa  di  Gregorio  da  Catino,  le  Commemorazioni  dello  scultore 
Abbondio  Sangiorgio  di  B.  E.  Maineri  e  C.  Belgiojoso,  e  un  Volume 
di  726  pagine  edito  dalla  Società  Storica  Lombarda  su  Gli  Jstituti 
Sdenti/lei  Letterarii  ed  Artistici  di  Milano. 

I  temi  proposti  alla  discussione  dei  Congresso  essendo  due,  *> 
TAssemblea  si  divise  in  due  Sezioni.  Il  Tema  Ascoli  fu  devoluto 
alla  1.*  presieduta  da  Ercole  Ricotti,  con  Celli  vice  presidente  e  Ci- 
polla segretario.  Il  Tema  Del  Giudice  venne  affidato  alla  2.*  capi- 
tanata da  Ruggero  Bonghi,  con  De  Simoni  vice  presidente  e  Rossi 
segretario. 

Abilissimo  e  rigido  il  Ricotti  diresse  e  conchiuse  i  lavori  sol 
Tema  Ascoli.  Ascoli  spiegò  e  illustrò  da  par  suo  la  proposta,  di- 
scorrendone con  copia  e  dottrina  Den  due  ore.  Fulin  accusò  il  Tema 
di  intraducibilità  pratica,  e  proi>ose  che  la  Storica  Lombarda  apris- 
se le  indagini  con  un  saggio  di  storiografia  alpina.  Cesare  Cantù 
difese  la  proposta  complessiva.  Rolando,  Rossi,  Gloria,  Cipolla,  Cor^ 
visieri,  Bertolini,  Vignati,  Amari,  Belgrano,  Manno,  Formentini, 
Lancia  di  Brolo,  Salandra,  Ricotti,  ecc.  presero  per  tre  giorni  viva 
parte  alla  discussione  allargatissima,  e  il  nobile  disputare  fini  il  6, 
colla  approvazione  del  Tema  Ascoli  in  massima  e  la  preghiera  alle 
varie  Deputazioni  di  Storia  patria  di  accìngersi  ciascuna  ad  una 
Bibliografia  regionale  delle  fonti  e  delle  opere. 

Meno  vivace  ma  più  disciplinata  fu  la  battaglia  nella  2.*  Se- 
zione. Bonghi  la  guidò  da  maestro,  e  il  suo  discorso  riassuntivo  fu 
una  vera  rivelazione  di  potenza  assimilatrice.  Del  Giudice  sviluppò 
il  suo  tema,  che  però  venne  giudicato  troppo  vasto  e  poco  pratico 
da  Luciano  Banchi,  Agenore  Gelli,  e  Gerolamo  Rossi.  Ascoli  propose 
al  Del  Giudice  di  limitare  la  sua  proi>osta  alla  pubblicazione  di  Sta- 
tuti di  prima  imi>ortanza  e  corredati  da  note  storiche  e  spiegative. 
Del  Giudice  difese  con  ardore  molto  il  suo  tema,  Ascoli,  Fulin,  Glo- 
ria, Rossi,  De  Simoni,  Gelli,  Nevati,  Messori,  Mongeri,  Odorici,  San- 
giorgio, Fontana,  Corvisieri,  e  sovratutti  Luciano  Banchi  contrad- 
ditore efficacissimo  del  troppo  ostinato  Del  Giudice,  disputarono  tre 
giorni  sugli  Statuti,  e  il  6  si  concluse  votando  T  emendamento 


1)  Tema  O,  L  AmcùIì.  Baame  cronologrco  e  onomastico  delle  fonti  della  Storia  patria. 
Spoglio  Matematico  di  esse.  Bibliografie  regionali  della  Storia  italiana  e  delle  costei  food. 
Tema  P.  Del  Oiudiee.  Riedizione  ragionata  degli  Statati  Italiani.  Pubblio  isii»n« 
sistematica  degli  Statuti  inediti.  Bibliografia  onomastica  e  cronologica  degli  Sutati. 


OELLK  SOCIETÀ  STOBlCHE  ITALIANE  757 

Banchi  per  il  quale  il  Tema  Del  Giudice  pur  approvato  venne  ri- 
strotto  (come  aveva  progettato  Ascoli)  alla  pubblicazione  illustrata 
degli  Statuti  inediti  e  così  detti  Statuti-tipi  perché  di  primaria 
importanza. 

Il  7,  il  Congresso  si  riunì  nella  Sala  del  R.  Istituto  lombardo 
di  Scienze  e  Lettere,  e  il  Presidente  Michele  Amari  invitò  i  Relatori 
delle  Sezioni  a  leggere  il  loro  rapi>orto. 

Relatore  della  Sezione  Ascoli  -  Ricotti  fu  Ascoli  medesimo.  Ascoli 
espose  per  filo  e  per  segno  la  storia  della  discussione,  ridifese  il  suo 
tema  e  finì  ringraziando  i  coUcghi  che  T  avevano  più  volte  e  con 
ammirazione  plaudito  e  ajutato.  Fulin  ripresentò  le  suo  objezioni 
pratiche,  Cantù  aggiunse  la  sua  alla  autorità  deirAscoli,  e  il  Tema 
passò  approvato  a  grande  maggioranza. 

Della  Sezione  Del  Giudice  •  Bonghi  fu  invece  Relatore  il  segre» 
tario  Rossi,  Banchi  illustrò  il  suo  emendamento,  Rolando  (a  nome 
dcir  assento  Del  Giudice)  contraddisse  al  Banchi,  Cantù,  Gelli  e  Ri- 
cotti appoggiarono  Banchi,  e  il  Tema  passò  corretto  e  limitato  così 
come  era  stato  licenziato  dalla  Sezione. 

L.  T.  Belgrano  segretrio  generale  del  Congresso  riassunse  quindi 
i  Lavori  del  Congresso  stesso,  presentò  altri  doni  ed  altri  omaggi 
ed  annunziò  che  gli  Aiti  sarebbero  stati  redatti  e  pubblicati  poi 
néìVArchivio  Storico  Lombardo» 

lì  9,  fu  r  ultimo  giorno  del  Congresso.  Michele  Amari  lesse  imo 
splendido  Discorso  di  chiusura,  e  si  votò  Torino  per  sede  del  3.  Con- 
gresso nel  1883.  Manno,  torinese,  ringraziò. 

Saliti  allora  su  por  lo  scalone  braidense  che  conduce  alla  Biblio* 
teca,  venne  scoperta  la  Lapide  dedicata  dalla  Società  Storica  Lom- 
barda alla  Società  Palatina  Milanese  e  a  L.  A.  Muratori.  Ohiron 
lesse  un  Discorso,  Amari  commemorò  Gasare  Campori  morto  d*appo- 
plessia  il  giorno  prima,  il  Sindaco  di  Modena  e  Tavv,  Gustavo  San- 
giorgi  di  Bologna  inneggiarono  al  Muratori,  e  la  cerimonia  finì  colla 
distribuzione  dello  Studio  Storico  di  Luigi  Vischi  La  Società  Pala- 
tina di  Milano. 

La  sera  del  medesimo  9,  ben  180  congressisti  pranzarono  concordi 

air  All>ergo  Milano.  Giulio  Porro  Lauìliertonghi ,  Michele  Amari, 

(}.  I.  Ascoli,  Paolo  Ferrari,  e  Ruggero  Bonghi  brindarono  alla  Storia 

e  air  Italia,  Federico  Lancia  di  Brolo  salutò  sicilianamente  la  Lem- 

l>ar(la  di  Milano,  e  non  si  dimenticarono  Trento  e  Trieste  pur  troppo 

irredente.  Il  Ministro  De  Sanctis  inviò  per  dispaccio  un  grazie  e 

un  addio. 

G. 


liSSMi  BIBUOOlAIIGi 


NOTIZIE  STORICHE 


%^i^^^^^^^^^^^^ 


NOTIZIE  STORICHE  E  BIBLIOGRAFICHE 


Il  Sig.  Mosè  Modigliani  ha  pubblicato  neìV Archivio  Storico 
ludiano  (Tomo  V.  Disp.  I/)  Gli  Statuti  dd  Comune  di  An- 
ghiari,  che  furono  redatti  nel  Sec.  XIII.  L'  egregio  editore  vi 
ha  premesso  alcune  opportune  parole  di  prefazione. 

Nella  stessa  dispensa  deir  Archivio  Storico  Italiano  leg- 
gemmo una  dotta  ed  importante  lettera  del  Sen.  Fedele 
Lampcrtico  al  Sen.  Marco  Tabarrini  ed  al  Prof.  Agenore  Celli, 
in  cui,  parlando  di  Uguccione  della  Faggiuola  a  Vicenza,  ri* 
corda  due  documenti  di  diritto  penale  di  quel  tempo.  Le 
provvisioni  a  cui  si  accenna  sono  del  7  Luglio  1317  e  del 
4  Luglio  1319,  quando  appunto  il  della  Faggiu^ìla  era  pode* 
sta  in  Vicenza,  e  per  esse  si  aboliva  il  guidrigildo  germanico 
e  si  poneva  la  pena  di  morte  contro  gli  omicidi. 

Furono  pubblicati  i  Documenti  sulle  relazioni  delle  città 
toscane  coW  Oriente  cristiano  e  coi  Turchi  fino  aWanno  1531 
raccolti  ed  annotati  da  Giuseppe  MùUer.  Vedemmo  delle  ac- 
curate  recensioni  di  questo  volume  in  vari  periodici,  che 
fanno  conoscere  V  importanza  di  tale  pubblicazione,  ma  noi 
dobbiamo  limitarci  a  questo  semplice  annunzio  perchè  non 
solo  il  volume  non  ci  venne  mandato,  ma  nemmeno  il  ve- 
demmo nella  nostra  Biblioteca  Comunale. 

La  Raccolta  di  opere  inedite  o  rare  di  ogni  secolo  della 
letteratura  italiana  intrapesa  dalP  editore  G.  C.  Sansoni*  di 
Firenze  si  è  iniziata  con  un  importantissimo  volume  che  ha 
per  titolo:  Novelle  antiche  dei  Codici  Panciatichiano  Alto- 
lino  13S  e  Laurenziano  Gaddiano  182.  V  edizione  è  stata 
curata  dal  nostro  valente  collaboratore  dott.  Guido  Biagi,  che 
vi  ha  premesso  un  lungo  e  dotto  discorso  sulla  storia  e  le 
fonti  del  testo  del  Novellino. 


762  NOTIZIE  STORICHE 

Dalla  casa  editrice  M.  Guigoni  è  stata  mandata  io  luce 
La  Storia  della  Casa  di  Svevia  in  Italia  di  G.  B.  Niccolioi 
con  proemio  ed  illustrazioni  del  Sig.  Corrado  GargioUi. 

V Archivio  Storico  Italiano  pubblica  nelle  Disp.  11/ e  IH/  del 
Tomo  V.""  un  accurato  scritto  del  signor  Morosi  Intorno  al 
motivo  deW  abdicazione  deW  imperatore  Diocleziano,  a  cui  ba 
dato  occasione  il  lavoro  collo  stesso  titolo  del  Sig.  Coen  pub- 
blicato nel  1877.  Il  Morosi  tratta  la  questione  con  sani  criteri 
critici,  esamina  gli  argomenti  portati  in  campo  dal  Coen,  e 
mostra  quali  possano  accettarsi  e  quali  no,  e  porta  in  lace 
delle  nuove  idee  ed  argomentazioni  deducendole  dalla  materia 
che  ha  per  le  mani,  dagli  storici,  dai  cronisti  e  dagli  scrittori 
che  si  sono  di  proposito  o  per  incidenza  occupati  del  mede- 
simo soggetto. 

Ci  sembra  anche  degno  di  essere  ricordato  ai  nostri  let- 
tori un  lungo  scritto  del  Signor  A.  Rolando,  pubblicato  nello 
stesso  Archivio  col  titolo:  Geografia  politica  e  corografia  del- 
r  Italia  Imperiale  nei  secoli  /K  e  X. 

La  R.  Deputazione  Veneta  di  Storia  Patria  ha  affidato  al 
Conte  Carlo  Cipolla  la  compilazione  del  Catalogo  delle  fonti 
edite  della  Storia  Italiana  dal  476  al  1000,  che  si  trovano  in 
quella  regione. 

Il  Cav.  Federigo  Stefani,  per  incarico  della  stessa  Deputa- 
zione Veneta  di  Storia  Veneta  attende  a  studiare  quali  ag- 
giunte sarebbero  da  farsi  al  Rerum  Italicarum  Scriptores. 

Il  Cav.  Prof.  Rinaldo  Fulin  ha  cominciato  a  pubblicare 
nelP  Archivio  Veneto,  che  dirige  con  intelletto  d'amore ,  ud 
BuUettino  bibliografico  delle  pubblicazioni  storiche  che  si  fa- 
ranno nelle  province  venete.  Sarebbe  nostra  intenzione  d' imi- 
tare il  bello  esempio  per  le  province  marchigiane,  ma  per 
poter  attuare  la  cosa  bisognerebbe  che  autori  ed  editori  ci 
mandassero  le  loro  pubblicazioni  storiche,  specialmente  quelle 
che,  fatte  in  occasione  di  nozze,  sono  fuori  di  commercio. 

La  Società  Romana  di  Storia  Patria  ha  deliberato  di  com- 
pilare un  saggio  di  catalogo  descrittivo  delle  fonti  edite  della 


e  BlBLIOGhAFlCHC  763 

Storia  di  Roma  dalP  800  al  900  a  tale  scopo  fu  nominata  una 
commissione,  di  cui  fan  parte  i  Signori  Balzani,  Giorgi,  Guidi 
e  Monaci. 

È  pubblicato  il  terzo  volume  degli  Annali  ddla  fabbrica 
del  Duomo  di  Milano^  che  contiene  documenti  interessantis- 
simi per  la  storia  civile  ed  artistica  dal  1481  al  1550. 

Il  Museo  Britannico  ha  fatto  acquisto  di  un  volume,  la* 
sciato  da  Antonio  Panizzi,  in  cui  è  una  raccolta  di  carte 
intorno  alla  vita  e  ai  tempi  di  Bonifazio  Vili  nonché  altre 
intorno  ai  cavalieri  delP  Ordine  del  Tempio. 

Neir  Accademy  fu  stampato  un  articolo  del  Sig.  Creighton 
intorno  al  libro  del  giovane  Dott.  Rodolfo  Renier  La  Vita 
Nuova  e  la  Fiammetta:  è  un  articolo  che  torna  a  grandis- 
simo onore  del  valente  scrittore,  che  ha  con  lieti  auspicii 
cominciata  la  sua  vita  letteraria. 

Nel  Tomo  XIX  ieW  Archivio  Veneto  il  Sig.  Francesco 
Novati  ci  dà  notizie  documentate  intorno  alla  vita  ed  alle 
opere  di  Domenico  BordigaUo  erudito  scrittore  di  cose  storiche 
e  poeta,  florito  a  Cremona  fra  il  XV  ed  il  XVI  secolo. 

Nello  stesso  periodico  il  conte  Carlo  Cipolla  si  occupa 
àeW  Archivio  della  Camera  Fiscale  di  Verona  al  cadere  della 
Repubblica  Veneta.  In  questo  studio,  condotto  colla  diligenza 
che  è  propria  del  valente  scrittore,  si  parla  delle  cure  con 
cui  il  notaio  Antonio  Perini  attese  air  ordinamento  di  quel- 
la Archivio,  e  si  danno  notizie  intomo  al  Perini  stesso. 

Come  curiosità  storiche  e  letterarie  ricordiamo  le  dificiles 
fèugae  con  cui  il  Cav.  Prof.  R.  Fulin  ci  fa  conoscere  alcuni 
versi  latini  del  1500,  che  scritti  in  un  modo  a  ben  intenderli 
bisogna  leggerli  in  un  altro.  Ne  fu  autore  Bernardino  Catti 
0  Gatti  di  Ravenna  che  cangiò  il  proprio  nome  in  quello 
di  Lidio. 

Il  Prof.  Poletto  ha  scritto  o  pubblicato  nelP  Archivio  Ve* 
neto  una  lunga  lettera  al  Duca  di  Sermoneia  intorno  all'ulti* 
mo  lavoro  del  Prof.  G.  B.  Giuliani:  La  Commedia  di  Dante 
Alighieri  raffermata  nel  testo  giusta  la  ragione  e  ìf  ^re  dii- 


764  NOTIZIE  STORICHE 

F Amore.  Niuao  nega  al  eh.  Giuliani  le  molte  beoemerenze 
acquistate  per  gli  studii  danteschi,  ma  ci  pare  che  lo  scritto 
del  Poletto  sia  un  inno  continuato  in  onore  del  Giuliani, 
mentre  crediamo  che  non  tutte  le  emendazioni  da  lui  proposte 
al  testo  della  Commedia  possano  accettarsi  ad  occhi  chiusi, 
sebbene  tutte  rivelino  profondità  di  studii  e  siano  assai  in* 
gegnose. 

Ci  sembra  degno  di  essere  ricordato  Un  episodio  della  vita 
di  Torquato  Tasso  che  il  Sig.  Attilio  Portioli  ha  fatto  stampare 
nello  stesso  Archivio  Veneto.  Con  questo  scritto  a  mezzo  di 
documenti  si  prova  come  Antonio  Costantini,  che  Y  infelicis- 
simo poeta  onorava  della  più  fiduciosa  amicizia,  fu  un  tradì* 
toro  del  Tasso,  che  si  adoperò  ad  amareggiargli  gli  ultimi 
giorni  di  sua  esistenza,  ricorrendo  ad  inganni  ed  artifizi  per 
rìcondurlo  sotto  la  schiavitù  del  Gonzaga. 

Il  Museo  Civico  di  Venezia  si  è  arricchito  or  non  ha  guari 
delle  lettere  scritte  e  ricevute  da  quella  Giustina  Renier 
Michiel  di  cui  scrisse  reverenti  ed  affettuose  parole  il  Carrer. 
Queste  lettere  sono  interessantissime  per  la  storia  civile  e 
letteraria,  e  il  dono  ne  è  dovuto  al  Sig.  Vincenzo  Busetto.  — 
Altro  cospicuo  dono  legato  allo  stesso  Museo  con  testamento 
dalla  Sig.  Contessa  Elena  Dolfin  Gradenigo  è  quello  di  377 
codici  raccolti  dal  Sen.  Pietro  di  Giacomo  Gradenigo,  tra'  quali 
è  un'  importantissima  opera  intitolata:  Abiti  de'  veneziani  di 
quasi  ogni  età,  che  sono  647  tavole  con  illustrazione,  dovute 
al  Grevembroch  fiorito  dopo  la  metà  del  secolo  scorso. 

Tra  i  doni  fatti  allo  stesso  Museo  Civico  di  Venezia  ricor- 
diamo quello  della  raccolta  completa  dei  veneti  zecchini  legati 
per  testamento  dalla  nob.  signora  Amalia  Mioni,  rapita  or  son 
pochi  mesi  air  affetto  del  suo  degno  consorte  Nobile  Cav. 
Antonio  Angeloni  Barbiani,  uomo  singolare  per  le  doti  della 
mente  e  del  cuore,  della  cui  amicizia  ci  teniamo  altamente 
onorate. 

Assai  interessante  per  la  copia  delle  notizie  che  ci  offre 
è  la  descrizione  che  del  Museo  Storico  della  Gasa  di  Savoia 


i 


E  BIBLIOGRAFICHE  765 

ha  pubblicalo  il  Sig.  P.  Vayra  nelle  Curiosità  e  ricerche  di 
Storia  Subalpina,  È  una  pubblicazione  assai  diligenlemente 
falla  ed  arricchila  da  copiose  tavole  di  tac-simili  dei  più  im- 
porlanli  documenti  che  si  illustrano. 

Nelle  Curiosila  e  ricerche  di  Storia  Subalpina  si  leggono 
par  con  grande  interesse  le  lettere  inedite  di  Madama  di  La 
Fayette,  per  le  relazioni  che  ella  ebbe  colla  Corte  di  Torino. 
Questa  pubblicazione  si  deve  alle  cure  del  Sig.  A.  D.  Ferrerò, 
il  quale  vi  ha  premesso  un  diligente  studio  sulP  importanza 
delle  medesime;  ribattendo  vittoriosamente  alle  obbiezioni 
mosse  dal  Sig.  Hémon  per  dimostrare  che  Mad.  di  La  Fayette 
fu  autrice  della  Princesse  de  Cléves. 

Il  Governo  Inglese  ha  mandato  in  dono  alla  Biblioteca  di 
Brera  la  raccolta  delle  pubblicazioni  storiche  del  Public  Record 
Office.  Sono  in  tutto  353  voi.  di  gran  formato,  che  formano 
tre  collezioni  nelle  quali,  si  contengono  i  materiali  per  la 
storia  inglese  di  parecchi  secoli. 

Nel  fase.  II  dell'  anno  VII  dell'  Archivio  Storico  Lombardo 
tra  altri  begli  scritti  leggemmo  con  ispeciale  interesse  quello 
del  Sig.  G.  B.  Intra  che  ha  per  titolo  Lo  Storico  Giambattista 
Visi  e  la  Corte  ii  Vienna,  da  cui  si  rileva  contro  quante  e 
quali  difficoltà  d'  ogni  natura  dovessero  per  lo  passato  com- 
battere i  cultóri  degli  studi  storici. 

È  importante  una  memoria  del  Sig.  G.  Racioppi  intorno 
alle  Consuetudini  civili  di  Amalfi  del  1274 ,  che  ha  visto  la 
luce  neir  Archivio  storico  per  le  province  napoletane  (Anno  V. 
fase.  1.) 

In  Lipari  alcuni  mesi  sono  furon  ritrovati  parecchi  oggetti 
antichi  in  un  fondo  del  Sig.  Scolarici.  Vi  son  vasi  e  masche- 
rine in  terra  cotta ,  lagrimatoi ,  un  medaglione  di  bronzo , 
idoli ,  scodelle ,  vasi  cinerari,  lucerne ,  un'  urna  mortuaria, 
pietre  dure,  anfore,  lapidi  con  iscrizioni  greche,  forchette  e 
mestole  di  rame  e  di  ferro,  anelli ,  orecchini  d' oro  ed  ossa 
umane  fossilizzate. 

A  Termini  Imerese  si  scopri  in  una  cappella  del  Duomo 


766  NOTIZIE  STORICHE  E  BIBUOGRAFICUk 

)  ODO  Stupendo  affresco  di  forma  ovale  di  m.  1,50  per  m.  1, 

,  che  si  crede  si  debba  al  penoello  d' an  pittore  cinquecentista. 

li  In  esso  si  rappresenta  una  madonna  col  bambino  sulle  gi- 

nocchia. 
p-  V  ab.  6.  Di  Marzo  ha  cominciato  la  stampa  d^  un  suo 

libro  col  titolo:  /  Gagini  e  la  scultura  in  Sicilia  nei  sec.  XV 
\  e  XVI,  memorie  sloriche  e  documenti.  Alcune   tavole   incise 

rappresenteranno  le  principali  opere  di  cui  si  torri  discorso. 
In  Ginisi  venne  posta  una  lapide  commemorativa  sulla 

casa  abitata  dal  poeta  siciliano  Giovanni  Meli.  L^  iscrizione 

venne  dettata  dal  Gan.  Isidoro  Carini. 

Il  Prof.  Vincenzo  Di  Giovanni  deir  Università  di  Palermo 

ha  dato  or  non  ha  guari  in  luce  una  sua  opera  dal  titolo: 

Severino  Boezio  filosofo  e  i  suoi  imitatori. 


RASSEGNA  BIBLIOGBAPICA 


Cenni  storici  suir  Università  di  Macerata  per  Tavv.  Raffaele 
Foglietti  —  Ud  toI.  ìd-8.  di  pag.  130  —  Macerata  Tip. 
Bianchioi,  1878. 

In  mezzo  alla  notte  del  medio  evo  la  scienza  si  conservava, 
per  mandar  poi  guizzi  di  vivida  luce  preparatori  del  futuro 
rinascimento,  nelle  università,  che  furono  una  delle  più  belle 
glorie  d'Italia.  Le  condizioni  polìtiche  del  tempo,  le  non  facili 
comunicazioni  tra  luogo  e  luogo,  furono  le  precipue  cagioni 
del  moltiplicarsi  di  questi  santuari  della  dottrina,  ciascuno 
dei  quali  in  alcun  ramo  del  sapere  venne  in  rinomanza:  ed 
anche  le  Marche  ebbero  le  loro  università  in  cui  insegnarono 
uomini  illustri,  e  che  diedero  chiarì  discepoli.  VArchivio  ha 
pubblicato  la  storia  dell'Università  di  Fermo,  dettata  con 
quella  perizia  che  è  propria  del  Gav.  Curi,  ed  oggi  è  lieto  di 
poter  brevemente  render  conto  dei  cenni  storici  che  intorno 
air  Università  di  Macerata  ha  dettato  Tegregio  suo  collaboratore 
Av.  Raffaele  Foglietti.  Ciò  varrà  a  dimostrare  una  volta  di  più 
che  le  Marche  non  sono,  come  alcuni  mostran  di  credere,  la 
Beozia  d'Italia,  ma  che  in  esse  gli  utili  studii  hanno  avuto 
sempre  cultori  non  meno  famosi  di  quelli  delle  altre  Pro- 
vincie sorelle. 

L'autore  si  fa  dapprima  a  ricercare  i  primordi  dello  studio 
di  Macerata,  e  trova  che,  parecchi  sono  gli  argomenti  i  quali 
fanno  rilenere  che  il  principio  dello  studio  di  legge  in  quella 
città  sia  anteriore  e  forse  anche  di  molto  aWanno  1290,  perchè 
da  tempo  antichissimo  esistendovi  un  collegio  di  dottori  che 
aveva  anche  Tautorìtà  di  promuovere  al  dottorato  è  probabile 
che  esistesse  anche  una  scuola  di  diritto.  E  per  venire  a  quest*^ 
conclusioni  il  Foglietti  porta  innanzi  le  testimonianze  d'uomini 


768  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

autorevoli  come  il  Troili,  e  documenti  di  non  dubbia  fede. 
Altre  testimonianze  intorno  alPesistenza  dello  studio  di  legge 
sono  in  buon  dato  raccolte  nel  §  2,  mentre  nel  |  3  si  parla 
delle  condizioni  dello  studio  fino  al  1540,  il  quale  già  era 
salito  in  fama,  accorrendovi  numerosi  gli  studenti  da  varie 
parti,  tra  quali  basterà  ch*io  ricordi  il  B.  Placido  da  Foligno 
e  Bartolo  Severi  j^iù  conosciuto  oggi  sotto  il  nome  della  sua 
patria,  Sassoferrato.  E  par  probabile  ancora  che  il  Bartolo  in 
Macerala  insegnasse,  come  v'insegnò  Giovanni  Alaleona.  E  che 
di  questo  tempo  TUniversità  fosse  in  fiore  s'arguisce  racilmente 
dalle  larghe  concessioni  fatte  da  Paolo  III  in  una  sua  IxAla. 

L'autore  prima  di  entrare  a  discorrere  delle  condizioni  e 
vicende  dello  studio  maceratese  dal  1540  in  poi,  indica  le 
fonti  a  cui  ha  attinto  le  notizie,  venendo  quindi  a  dichiarare 
che  lo  scopo  della  sua  scrittura  è  di  persuadere  il  governo 
che  Tuniversità  deve  essere  mantenuta.  —  Io  non  voglio  qui 
entrare  a  discutere  se  ed  in  quanto  egli  abbia  ragione  di  op- 
porsi alla  soppressione,  però  questo  si  può  dire  che  troppe 
son  oggi  le  università,  e  che  Tidea  di  ridurne  il  numero  forse 
sarebbe  mandata  in  atto,  con  utile  degli  studii,  avvegnaché 
più  facile  sarebbe  il  provvederne  le  cattedre  di  veramente 
abili  insegnanti.  Ma  tutti  questi  istituti  di  studii  superiori 
vantano  una  vita  antichissima,  ed  alle  varie  città  spiace  di 
perderli,  perciò  a  meglio  risolvere  la  questione  universitaria 
gioverebbe  che  il  governo  mantenesse  in  ogni  università  so- 
lamente quella  facoltà  che  ha  sempre  avuto  maggior  credito, 
credito  che  si  aumenterebbe  col  potervi  chiamar  ad  insegnare 
uomini  chiari  nella  scienza.  Cosi  mi  pare  grinteressi  del  go- 
verno, delle  città  universitarie  e  degli  studii  ci  guadagnerebbero. 
Ma  qui  non  è  il  luogo  di  discutere  tale  questione,  ed  il  let- 
tore mi  perdoni  questa  digressione. 

Il  paragrafo  seguente  è  speso  a  dimostrare  Torigine  della 
bolla  di  Paolo  IH,  i  privilegi  che  per  essa  airuniversilà  ma- 
ceratese si  concedevano,  e  per  cui  diveniva  una  vera  uni- 
versità nel  senso  moderno.  Il  comune  di  questo  tempo  dan 


À 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  760 

allo  studio  una  sede  conveniente  e  chiamava  ad  insegnarvi 
il  Socino,  il  Malcvolti,  il  Bellarmato  ed  altri  dottori  famosi, 
dei  quali  continua  ad  occuparsi,  dando  copiose  notizie  che 
nrè  impossibile  riassumere,  nel  paragrafo  che  viene  in  ap- 
presso. —  Della  durata  e  qualità  degli  studii,  dei  gradi  che 
per  essi  si  conseguivano  eie.  ci  dice  particolareggiatamente  il 
Foglietti,  il  quale  non  trascura  neppure  d'informarci  dei  prov- 
vedimenti presi  in  vari  tempi  per  mantener  il  credito  della 
università,  e  dei  giudizi  su  di  essa  pronunziati,  concludendo 
le  sue  notizie  col  parlarci  dei  principali  insegnanti  che  vi 
lessero  sino  al  1360.  —  Vien  poi  un'appendice  nella  quale 
riferisce  Paulore  i  Capiili  del  1509  e  il  Quadro  degli  addot- 
torati dal  1551  al  1000. 

Il  lavoro  del  Fo^Mietti  è  paziente  ed  accurato  senza  alcun 
fallo,  ma  mi  pare  che  per  la^zgiunger  lo  sropo  che  si  pro- 
pone d'impedire  la  soppressione  deiruniversilà,  dovrebbe  essere 
condotto  sino  ai  giorni  nostri  per  dimostrare  che  le  condi- 
zioni oggi  non  ne  sono  men  floride  d'una  volta;  s^'nza  di  questo 
dut)ito  assai  che  il  suo  dotto  scritto  possa  raggiunger  Tintento. 

Scrìtti  Latini  Giovanili  di  Giovanni  mkstica.  —  Firenze,  G.  Bar- 
bera, ed.,  1879  -  Un  voi.  in  16.  di  png.  70.  -  Prezzo  L.  1. 

Se  una  volta  troppa  gran  parte  facevasi  al  latino  nelle 
scuole  con  detrimento  degli  altri  studii,  oggi  e  certo  che  troppa 
poca  importanza  si  dà  a  quella  lingua,  di  maniera  che  è  dif- 
ficile che  i  nostri  giovani  escano  dai  licei  sapendo  scrivere 
un  piccolo  squarcio  latino  non  dirò  con  attica  eleganza,  ma 
almeno  senza  errori  grammaticali.  E  la  ragione  di  questo  quaPe? 
Andrei  fuor  del  terreno  se  volessi  entrare  a  discutere  su  di 
tale  argomento,  ma  pur  per  accennarne  di  volo  qualcosa  dico 
che  oggi  nelle  prime  scuole  si  vuol  dai  giovani  professori  far 
troppa  pompa  di  erudizione  filologica,  e  mentre  si  sciupa  una 
gran  quantità  di  tempo  a  parlar  di  radici,  di  temi,  di  assimi- 
lazioni e  dissimilazioni,  di  lettere  perdme  e   via   dicendo,  si 


770  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

trascora  poi  d'insegnar  le  regole  di  grammatica  le  più  ne- 
cessarie, si  trascura  la  parte  estetica  degli  autori  che  si  fanno 
tradurre,  cosi  che  i  giovani  non  giungono  a  gustarne  le  bel- 
lezze e  si  annoiano  mortalmente  d'una  lingua  alla  quale  se 
prendessero  amore  ne  trarrebbero  utilità  per  riuscire  a  scrì- 
vere in  italiano  con  più  buon  gusto  di  quel  che  si  faccia. 
Ma  di  questo  basta  che  non  è  ora  né  il  luogo  né  il  tempo 
di  trattar  ampiamente  tale  materia. 

Gli  scritti  latini  del  Gav.  Mestica  sono  una  prova  eviden- 
tissima che  una  volta  il  latino  si  studiava  e  s'imparava  dav- 
vero. Tu  VI  trovi  sì  le  reminiscenze  della  scuola,  ma  nello 
stesso  tempo  tanta  correttezza  ed  eleganza  di  eloquio,  come 
pochissimi  da  noi  al  tempo  nostro  sanno  usare,  scrìvendo 
nella  lingua  di  Gicerone  e  di  Virgilio.  Anche  i  nobili  senti- 
menti patriottici  che  nei  suoi  versi  e  nelle  sue  prose  il  Mestica 
rivelava  in  tempi  diCQcili,  meritano  d'essere  altamente  lodati, 
come  la  gratitudine  sincera  che  professa  alla  venerata  memoria 
del  suo  illustre  fratello  Francesco  fa  testimonio  delle  ottime 
qualità  del  suo  cuore,  e  rendono  tanto  più  degno  di  essere 
raccomandato  questo  volumetto,  il  quale  può  servire  come  ri- 
cordo di  certi  esercizi,  che  anco  neUe  province  marchigiane  si 
facevano  dai  giovani  secondo  l'ordine  dei  vecchi  studi. 

ScRVANzi  GoLLio:  Pittura  In  tavola  d!  Carlo  Crivelli  veneziam 

neUa  chiesa  di  S.  Francesco  in   Matetica.  —   Un  op.  di 
pag.  9  —  Urbino  Tip.  della  Gappella  —  Per  E.  Righi,  1879. 

É  un'accurata  descrizione  d'un  pregevole  dipinto,  di  cui 
parlarono  con  lode,  senza  però  entrare  nei  particolari,  ralenti 
scrittori  di  cose  d'arte,  e  merita  d'esser  letta  da  quanti  di 
tali  studii  si  dilettano.  11  Gente  Servanzi  lamenta  nella  6ne 
del  suo  opuscolo  che  il  quadro  non  si  trovi  più  nella  chiesa. 
9  che  forse  sia  stato  mandato  fuori  d'Italia:  se  cosi  in  realtà 
fosse  sarebbe  da  biasimare  altamente  che  per  smania  di  lucro 
^i  fosse  privata  Matetica  d' uno  dei  suoi  più  belli  adornamenti. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  771 

Giosuè  Gegconi:  Storia  di  Castelfidardo.  —  Un  voi.  ìq-16.  gr. 
di  pag.  165-XCllI  —  Osimo,  Stabilimeoto  Tipografico 
Quercetli,  1879. 

L'illustre  Senatore  Marco  Tabarrini  nella  VI  dispensa  del- 
VArchivio  Storico  Italiano,  a  proposito  delle  storie  municipali 
ricorda  quanto  esse  possano  riuscir  utili  alla  storia  nazionale, 
se  compilate  con  savi  criteri,  ed  in  questo  io  sono  pienamente 
d'accordo  con  lui.  e  Ma  perchè  le  storie  Municipali,  egli  scrive, 
e  giovino  alla  storia  nazionale,  non  bastano  i  pregi  pei  quali 
e  le  moderne  sovrastano  alle  antiche.  É  necessario  che  lo  spi- 
c  rito  che  le  informa  non  sia  grettamente  municipale,  ma 
e  sappia  intendere  la  parte  che  il  Municipio  ebbe  nella  vita 
e  della  nazione.  Gì  sono  storici  municipali  che  nella  storia 
e  d'una  città  o  di  un  comune  cacciano  tutta  la  storia  d'Italia, 
e  quasiché  la  nazione  non  abbia  vissuto  altro  che  in  quella 
e  città  0  in  quel  Gomune;  e  queste  storie  che  sono  le  più, 
e  sicuramente  non  sono  aiuti  alla  storia  generale,  ma  piut- 
e  tosto  inciampi.  » 

Ma  di  questo  avviso  non  sembra  che  sia  stato  il  Prof.  Gec- 
coni  nel  dettare  la  sua  Storia  di  Castel  fidar  do,  che  va  dalle 
origini  al  1588,  in  cui  se  si  rivela  appassionato  cultore  delle 
discipline  storiche,  non  si  sa  però  guardare  dal  metterci  dentro 
tanta  parte  della  storia  di  altre  terre  marchigiane,  di  quella 
nazionale  e  generale  che  poco  o  punto  ha  a  che  fare  con 
quella  di  Gastelfidardo,  sicché  ciò  che  egli  ha  raccontato  in 
molte  pagine,  poteva,  tenendosi  più  ristretto  al  proprio  argo- 
mento, ridurre  almeno  alla  metà.  Sono  poi  di  pensiero  che  se 
il  prof.  Gecconi  in  luogo  di  consultar  solo  le  storie  e  cronache 
di  Ancona  che  sono  a  stampa,  avesse  avuto  la  pazienza  di 
far  delle  indagini  tra  le  memorie  manoscritte  che  si  conservano 
nel  nostro  archivio  municipale,  avrebbe  trovato  preziose  no- 
tizie da  aggiungere  alla  sua  storia  per  quel  che  si  riferisce 
ai  rapporti  tra  Ancona  e  Gastelfidardo,  e  alle  guerre  tra  Tane 
e  l'altro  luogo. 

Arvhiv.  S(or,  March.  V.  /.  40 


772  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Al  racconto  tiea  dietro  un^appendice  di  XX  docomeoti, 
per  la  maggior  parte  inediti,  tratti  per  lo  più  dal  Libro  Rosso 
che  esiste  neirArcbivio  segreto  del  Comune  di  Osimo,  e  ve 
ne  sono  dei  preziosi  che  saranno  consaltati  con  atilità  dai 
cultori  delle  patrie  memorie. 

In  quanto  alla  forma  con  cui  il  racconto  è  dettato,  io  sono 
d'avviso  che  se  procedesse  più  spedita,  senza  alcune  traspo- 
sizioni antiquate,  essa  riuscirebbe  più  amena  e  meno  grave 
alla  lettura. 

Voglio  sperare  che  il  Sig.  Gecconi,  di  cui  apprezzo  le  belle 
doti  deiringegno  e  Tamore  con  cui  s'è  dato  alle  ricerche  isto- 
riche,  prenderà  in  destra  parte  le  osservazioni  che  ho  creduto 
fare  intomo  al  suo  lavoro,  non  da  altro  mosso  che  dal  desi- 
derio che  questi  studii  i  quali  formano  l'oggetto  comune  delle 
nostre  cure  siano  fatti  in  modo  che  se  n'abbia  a  ritrarre  il 
maggior  frutto  possibile.  E  dal  sig.  Gecconi  aspettano  le  nostre 
storie  municipali  notevoli  servigi,  purché  alla  paziente  indagine 
sappia  congiungereTquell'acume  critico  che,  come  ho  notato 
nel  principio  di  quest'articolo  colle  parole  del  Tabarrìni,  è 
necessario  allo  storico  municipale  per  scegliere  tra  i  molU 
fatti  solo  quelli  che  hanno  un'importanza  reale,  non  affogan- 
doli poi  in  un  mare  di  notizie  storiche  d'altri  luoghi,  che 
nulla  rilevano  o  non  hanno  con  la  storia  comunale  a  che  fore. 

Antonio  Ranieri:  Sette  anni  d!  sodalizio  con  Giacomo  Leo|iardi 

—  Un  voi.  in-8  di  pag.  126  —  Napoli.  Tipografia  Gian- 
nini, 1880. 

Tutto  quanto  si  scriva  intomo  a  Giacomo  Leopardi,  filosofo, 
poeta  e  prosatore  incomparabile,  ha  per  noi  un'importanza 
speciale  perchè  degli  uomini  veramente  grandi  com'egli  fu 
si  desidera  vedere  per  quali  vie  alla  propria  grandezza  siano 
pervenuti,  si  desidera  conoscere  tutte  le  particolarità  di  loro 
vita,  le  quali  ci  mostrino  le  origini  dei  pensieri  che  nei 
propri  scritti  sono  venuti  manifestando,  e  molte  volte,  per 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  773 

non  dir  sempre,  nelle  vicende  della  vita  pubblica  e  privata 
si  trova  la  ragione  dr  atti ,  di  parole  e  di  pensieri  che  altri- 
menti  non  si  saprebbe  come  spiegare:  in  ana  parola,  quanto 
più  della  vita  intima  degli  scrittori  si  giunge  a  conoscere 
tanto  più  si  agevola  T  analisi  psicologica  che  tanto  giova  alla 
piena  intelligenza  degli  scritti 

Però  se  ogni  maniera  di  lavori  intorno  al  Leopardi  ci 
riesce  gradita  tanto  più  avidamente  leggiamo  un  libro  di 
quell'anima  candida  di  Antonio  Ranieri,  che  air  infelice  Re- 
canatese fu  più  che  amico  fratello,  sperando  che  egli  ne  fac- 
cia conoscere  cose  che  sino  qui  abbiamo  ignorate  le  quali 
giovino  e  alla  biografìa  e  air  intendimento  del  pensiero  Leo- 
pardiano. 

Il  Ranieri  dopo  le  afTettuose  parole  che  aveva  mandato 
innanzi  alle  opero  di  Giacomo,  stampate  dal  Le  Monnier,  si 
era  chiuso  in  un  silenzio  che  se  a  molti  dispiaceva  perchè 
si  credeva  che  T amico  del  grande  marchigiano  potesse  meglio 
di  altri  farcene  conoscere  V  animo  e  V  ingegno,  pure  era 
effetto  e  di  modestia  assai  rara  e  di  un  sentimento  di  vene- 
razione profonda  verso  P  estinto.  Ma  intanto  le  inesattezze 
in  cui ,  innavvertentemente  o  ad  arte ,  caddero  parecchi  che 
scrissero  del  grande  poeta  hanno  indotto  il  Ranieri  a  rompere 
il  silenzio  e  a  ristabilire  la  verità,  e  che  questo  egli  faccia 
a  tal  Pine  e  non  spinto  da  altro  apparisce  chiaro  dalle  se- 
guenti parole:  e  In  un  fatto  evidente,  del  quale  tutti  erano 
<  stati  spettatori  e  testimoni,  essa  (r  invidia)  non  nego,  anzi 
e  si  uni  con  tutti  a  far  plauso.  Ma,  secondo  che  il  perfidis- 
i  Simo  vecchio,  che  s' è  chiamato  Tempo,  trascorreva  V  ine- 
c  sorabile  sua  via,  e  gli  spettatori  e  i  testimoni  si  diradavano 
e  cominciò  a  procedere  per  insinuazione.  Questo  procedere 
«  giunse  a  tale,  da  far  consacrare  notabile  inesattezza  insioo 
e  sul  marmo;  e  dopo  presso  che  mezzo  secolo,  e  tre  vite 
e  due  spente  e  la  terza  non  lungi  dallo  spegnersi  mi  è  parso 
e  che  mi  sia  lecito  di  dife,  non  tutta  la  verità  (che  a  questo 
■  punto  non  v'ha  insinuazione  al  moudo  che  possa  sospin- 


r 


774  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

c  germi),  ma  quella  parte  che  senza  detrarre  chicchessia,  basti 
e  appresso  le  anime  bennate,  a  non  consentire  che  sia  de- 
e  tratta  la  santa  virtù,  ed,  in  già  tanto  gran  deserto  mora- 
c  le,  svolta,  forse,  la  gioventù,  per  quasi  certezza  d'ingrati- 
c  lodine,  dal  sao  ben  fare  (pag.  7  e  8).i  —  E  da  qaeste 
meglio  che  dalle  parole  mie  appariscono  gP intendimenti  del- 
l'autore, intendimenti  onesti  e  delicati  ad  un  tempo  e  che 
fan  vedere  come  altro  non  è  che  un  grido  di  dobre  e  di  ri-- 
vendicazione  della  verità  (pag.  71)  Ma  il  Ranieri  se  è  stato 
costretto  a  questa  publicazione  dalle  ragioni  accennate  egli 
ne  fa  sapere  che  altro  avrebbe  a  dirci  intorno  al  Leopardi  , 
che  però  non  ce  lo  dirà  mai  ed  io,  pure  rispettando  i  motivi 
che  lo  inducono  a  non  darci  delle  notizie  che  sarebbero  pre- 
ziosissime, non  posso  non  dolermi,  insieme  a  quanti  venerano 
il  Genio  di  Recanati,  del  partito  a  cui  si  è  voluto  attenere. 

Da  questo  volume  sappiamo  che  Antonio  Ranieri  conobbe 
prima  di  partir  per  la  Francia  Giacomo  Leopardi  ,  ma  non 
fu  che  nell'autunno  del  1830  a  Firenze  che  incominciarono 
a  strìngersi  tra  di  loro  quei  vincoli  di  amicizia  che  solo  la 
morte  doveva  sciogliere.  LMnfelice  giovane,  già  travagliato 
da  quei  malanni  che  poi  innanzi  tempo  lo  condussero  alla 
tomba,  era  in  preda  della  sua  immedicabile  tristezza,  e  il  Ra- 
nieri cerca  indagarne  le  cagioni  con  si  amichevoli  parole  che 
Giacomo  intenerito  e  lacrimando  ebbe  a  dirgli  :  Recanati  e 
e  morte  sono  per  me  tutt'uno;  e  fra  qualche  di  andrò  a 

<  morire  in  Recanati.  Tutti  i  miei  lunghi  sforzi  si  rompono 

<  alla  fine  incontro  al  Fato,  che  mi  conduce  a  quel  mio 
e  odiato  sepolcro:  Il  generale  Colletta  volle  trarmene,  e  rac- 
c  cogliendo  intorno  a  se  molti  di  questi  signori,  mi  fece  un 
>  peculio  per  un  anno,  si  aspettava  che  io  componessi  e 

<  dedicassi.  Non  ho  potuto  la  prima  cosa,  e  non  ho  mai  vo- 

<  luto  la  seconda  ;  ed  il  peculio  non  sarà  rinnovato  (pag.  9). 
Le  quali  parole  e  lacrime  tanto  commossero  il  Ranieri,  che 
con  uno  slancio  di  generosità  proprio  dei  giovani  educati 
a  nobili  sentimenti  gli  rispose:  <  Leopardi,  tu  non  andrai  a 


4 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  775 

e  Recanati.  Quel  poco  onde  so  di  poter  disporre,  basta  a  due 
e  come  ad  uno:  e  come  dono  che  tu  fai  a  me,  e  non  io  a 
e  te,  non  ci  separeremo  più  mai  (pag  9.).  —  Qui  come 
ognun  vede  si  conferma  la  ripugnanza  di  Giacomo  a  tornar 
in  Recanati,  ma  d' onde  e  perchè  tale  ripugnanza  ?  Io  credo 
che  r  uomo  infelice  neir  aprire  T  animo  suo  air  amico  avrà 
forse  indicato  il  perchè  per  lui  era  un  morire  il  ritorno  in 
patria,  ma  il  Ranieri  nulla  ce  ne  dice;  però  Tepistolario  in 
questo  ci  soccorre,  e  ci  ricorda  la  contrarietà  che  trovava  in 
famiglia  dove  le  bigotterie  dei  genitori,  la  ristrettezza  in  cui 
Adelaide  Àntici  teneva  tutti  quanti  per  restaurare  il  patrimo- 
nio di  casa  Leopardi,  non  avevano  certo  ad  essere  cose  che 
allettassero  gran  fatto  un  uomo  com'era  Giacomo;  ci  ricorda 
come  egli  non  fosse  reputato  da  più  che  un  ragazzo,  secon- 
do scrive  al  Giordani  se  non  erro,  come  a  Recanati  non  si  te- 
nesse in  alcun  conto  chi  si  dedicasse  agli  studii.  Ma  una 
ragione  anche  più  grave  Tabbiamo  in  quella  lettera  che 
Giacomo  aveva  scritto  a  Monaldo,  e  ch'egli  avrebbe  mandata 
se  avesse  avuto  effetto  il  tentativo  di  fuggire  dalla  casa  pa- 
e  terna.  Ella  conosce  me,  scrive  egli,  e  conosce  la  condotta 
e  eh'  io  ho  tenuta  fino  ad  ora,  e  forse,  quando  voglia  spo- 
e  gliarsi  d'ogni  considerazione  locale,  vedrà  che  in  tutta 
e  Italia,  e  sto  per  dire  in  tutta  l' Europa,  non  si  troverà  un 
e  altro  giovane,  che  nella  mia  condizione,  in  età  anche  molto 

<  minore,  forse  con  doni  anche  intellettuali  competentemente 
e  inferiori  ai  miei,  abbia  usato  la  metà  di  quella  prudenza, 
«  astinenza  da  ogni  piacer  giovanile,  ubbidienza  e  sommis- 
e  sione  ai  suoi  genitori  eh'  ho  usata  io  . , . . .  Certamente 
e  non  rè  ignoto  che  non  solo  in  qualunque  città  alquanto 
e  viva  ma  in  questa  medesima ,  non  è  quasi  giovane  di  17 
e  anni  che  dai  suoi  genitori  non  sia  preso  di  mira,  afBne  di 
•  collocarlo  in  quel  modo  che  più  gli  conviene;  poi  della 

<  libertà  che  essi  tulli  hanno  in  quell'età,  nella  mia  condì- 
e  zione,  libertà  di  cui  non  era  appena  un  terzo  quella  che 
«  mi  si  accordava  ai  21  anno Io  sapeva  bene  i  progetU 


776  RASSEGNA   BIBUOGRAFICA 

e  ch^ella  formava  so  di  noi,  e  come  per  assicurare  la  felici- 
e  là  di  una  cosa  eh'  io  non  conosco,  ma  sento  chiamar  casa 
e  e  famiglia,  ella  esigeva  da  noi  due  il  sacrìGzio,  non  di  roba 
e  né  di  care,  ma  delle  nostre  inclinazioni,  della  gioventù,  e 
e  di  tutta  la  nostra  vita,  e  {Le  tre  lettere  di  G.  Leopardi  in- 
torno alla  divisata  fuga  dalla  casa  paterna.  Pag.  31.  32.  33. 
35).  Lo  schiavo  che  aveva  Qnahnente  scosso  le  catene  po- 
teva di  nuovo  volontariamente  tornar  a  cingersele,  tornar  nel 
natio  borgo  selvaggio  intra  una  gente  zotica  e  vii?  Poteva 
proprio  di  buon  grado  tornare  a  Recanati,  di  cui  fa  una  di- 
pintura tutr  altro  che  attraente  nella  lettera  a  Giulio  Pertì- 
cari?  €  Questo  è  proprio  inferno,  egli  scrìve,  dove  bisogna 
e  che  r  uomo  guardi  bene  di  non  mostrare  che  sappia  legge- 
<  re;  dove  non  si  discorre  d'altra  materia  che  di  nuvolo 
e  e  di  sereno,  o  vero  di  donne  colle  parole  delle  taverne  e 
e  de'  bordelli  ;  dove  mentre  per  V  una  parte  non  resta  al- 
c  r  uomo  di  senno  altra  occupazione  che  gli  studi  altro  rì- 
c  poso  che  gli  studi,  per  l'altra  parte  in  tanta  distanza  d'o- 
c  gni  paese  e  d' ogni  anima  colta,  manca  agli  studi  anche  la 
e  speranza  della  gloria,  ultimo  inganno  del  sapiente  e  {Let- 
tera etc.  pag.  61  e  62).  —  Ma  se  quello  che  scrive  il  Leo- 
pardi ci  spiega  perchè  gli  dolesse  di  esser  costretto  a  ritor- 
nare in  patria,  tuttavia  il  Ranieri  non  ce  ne  dice  nulla,  forse 
credendo,  nella  bontà  del  suo  animo  di  nuocere  alla  buona 
fama  del  Recanatese,  la  quale  invece  non  ne  avrebbe  ricevuto 
danno  alcuno  perchè  credo  che  poco  di  diverso  da  quello 
che  ha  scritto  ai  parenti  ed  agli  amici  potesse  dire,  e  perchè 
poi  ad  ogni  modo  non  deve  esser  reputato  colpa  ad  un  uomo 
l'amore  della  propria  libertà,  il  desiderio  di  trovarsi  in  luo- 
ghi in  cui  possa  attendere  ai  suoi  studii  e  di  vivere  in  mezzo 
a  persone  che  sappiano  valutarne  Y  ingegno  di  cui  ha  coscienza. 
Impossibile  sarebbe  il  dire  in  breve  quante  e  quali  furono 
le  cure  amorevoli  che  Antonio  Ranieri  dapprima  a  Firenze, 
e  quindi  a  Roma  e  Napoli  in  unione  della  propria  sorella 
Paolina^  usò  al  povero  Giacomo;  tutto  quanto  alle  anime  ben- 


RASSEGNA   BlBLfOGnAFlCA  777 

nate  san  detiare  V  afTetto,  la  pietà  e  la  gentilezza  nulla  nulla 
venne  trascurato,  e  fu,  in  mezzo  al  secolo  calcolatore  e  ban- 
chiere, novello  esempio  di  santa  amicizia  che  richiamò  alla 
mente  quel  che  si  legge  di  Damone  e  Pizia,  di  Pilade  e  0- 
reste,  storie  che  più  non  sembrarono  impossibili  una  volta 
che  era  dato  di  vederle  vive  sotto  gli  occhi.  —  Giacomo  pel 
male  agli  occhi  e  per  gli  altri  incomodi  di  salute,  ond^era 
gravemente  travagliato,  non  poteva  attendere  alla  correzione 
delle  sue  poesie  che  si  stampavano  dal  Piatti  a  Firenze,  ed 
ecco  r  amico  darsi  pensiero  di  ciò;  passava  le  notti  insonni 
e  r  amico  era  sempre  presso  di  lui  per  aiutarlo  e  sollevarlo 
per  fargli  sentir  meno  il  peso  del  male  che  doveva  spegner 
quella  vita  innanzi  sera:  i  medici  consigliano  che  V  infermo 
lasci  Firenze,  ed  ecco  Tamico  che  disinteressatamente  si  dispone 
a  condurlo  a  Roma,  usando  tutte  le  cautele  possibili  perchè  il 
viaggio  non  dia  una  troppo  grave  scossa  alla  sua  salute.  No- 
«  leggiai ,  a  grave  prezzo ,   tutta  per  me ,  una  spaziosissima 

<  vettura,  con  abbondanti  ed  ottimi  muli,  valendomi  di  tutto 
e  il  coupé,  per  respirare  talvolta;  poiché  Leopardi  voleva 

<  una  chiusura  tale,  da  non  potere  nò  anche  rinnovare  Tana 

<  consumata  e  corrotta  »  (pag.  14).  —  A  Roma  un  paruc- 
chiere  indiscreto  e  ciarliero,  come  tutti  i  suoi  compagni,  ve* 
nulo  in  casa  dei  due  amici,  fa  sapere  al  Ranieri  ch^egli  òdi 
Recanati,  che  conosce  assai  bene  le  cose  di  colà;  gli  umori  del 
padre  e  del  figliuolo;  Fodio  implacahile  di  costui  al  dima  ed  agli 
abitatori  di  qud  paese  e  molte  più  altre  cose  che  il  Ranieri 
nella  sua  scrupolosa  prudenza  stima  opportuno  di  tacere.  Leo- 
pardi dalla  camera  attigua  sente  tutto,  e  partito  il  pamcchiere 
vicn  fuori,  rammenta  a  proposito  le  Ricordanze  e  quindi 
soggiunge:  e  Bene!  ...  sappi,  che  io  divento  un  forsennato 

<  al  solo  sognare  dì  andarne  per  le  bocche  di  quella  gente  ; 
e  sappi,  che  io  inventai,  invento  ed  inventerò  tutte  le  favole 
e  tutti  i  romanzi  di  questa  terra,  per  salvarmi  da  questa  or- 
c  ribile  sciagura;  e  sappi,  che  di  questa  libertà  io  fo  un  patto 

<  espresso  dell'accettata  proferlal. ..  »  (pag.  17)  —  Alcuni 


778  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

vaa  farcendo  dei  castelli  ia  aria  iaioroo  a  quelle  favoU  e  ffit>- 
manzi  di  cui  parla  il  Leopardi,  e  ne  vorrebbero  iuferìre  che 
forse  gli  argomenti  d' amore  di  cui  tratta  nelle  sue  poesie 
sono  immaginari,  e  non  hanno  fondamento  alcuno  di  Yerìti; 
il  che  non  so  come  possa  arguirsi,  invece  io  credo  che  al- 
luder volesse  agli  ingegnosi  modi  a  cui  avrebbe  dovuto  ricor- 
rere per  nascondere  ai  suoi  ch'egli  viveva  quasi  del  tutto  a 
carico  deir  amico,  forse  alluder  voleva  ai  lavori  cui  pensava  di 
attendere  per  trarne  di  che  vivere  per  non  ricorrere  alla  fa- 
miglia cui  rincresceva  anche  di  passargli  pochi  scudi  al  mese 
perchè  vivesse  fuori  di  casa. 

É  interessante  il  vedere  come  il  Ranieri  serba  viva  me- 
moria d' ogni  minimo  fatto,  dei  nomi  delle  persone  anco  vol- 
gari, e  non  meno  c'interessano  i  particolari  che  d  fanno  co- 
noscere Tumore  strano  di  Giacomo,  effetto  delle  avversità  della 
vita  e  dei  malanni  che  lo  affliggevano];  però  di  certe  minuzie, 
come  quella  del  pettine,  sarebbe  stato  meglio  tacere  perchè 
non  giovano  a  meglio  conoscere  la  vita  del  grand'  uomo ,  e 
invece  era  per  noi  più  inportante  sapere  molte  altre  cose  che 
r  autore  ha  a  bello  studio  taciuto. 

E  di  Paolina  Ranieri  che  dirò?  È  una  bella  ed  angelica 
figura  di  donna,  che  si  adoperò  con  tanta  cura  aCtettuosa  a 
lenire  i  dolori  di  Giacomo,  che  non  può  non  destare  la  no- 
stra ammirazione  ed  un  sentimento  di  riconoscenza  profonda. 
A  lei  il  fratello,  tuttavia  addoloratissimo  per  la  morte  da  po- 
chi mesi  avvenutane,  dedica  pagine  che  sono  piene  di  cuore 
ed  un  vero  inno  in  onore  della  virtù. 

Ma  qui  prima  di  finire,  tra  le  molte  cose  di  cui  V  egregio 
scrittore  si  occupa  mi  par  da  notare  il  fatto  che  il  Tommaseo 
$i  era  mostralo  nella  stampa  parigina,  poco  ammiratore  di 
Leopardi  (pag..  45)  il  che  forte  dispiacque  al  Recanatese,  che 
ne  concepì  odio  verso  lo  scrittore  dalmatino.  «  Ma  non  però 
e  scemava  il  furore  contro  il  Tommaseo  >  ci  dice  il  Ranieri 
e  di  fatti  ci  racconta  che  una  volta  <  Vorrei,  mi  disse,  det- 
c  tarti  qualche  periodo  intorno  al  Tommaseo . . .  Dopo  molte 


ftASSEONA  BIBUOGRAFICA  779 

«  cose,  che,  o  non  ho  o  non  voglio  avere  a  mente,  mi  dettò 
e  spiatellatamento ,  che  Vincenzo  Monti  usava  d'esclamare, 
e  in  an  significato  singolarissimo:  mi  dolgono  i  tommasei 
e  (pag.  47).  •  Però  per  opera  delP  amico  quello  scritto  appe- 
na dettato  fu  lacerato.  Nel  soggiorno  di  Napoli  Leopardi  com- 
pose i  Paralipomeni  della  Batracomiomachia,  i  P^mieri  e 
poco  meno  d' una  metà  dei  suoi  Canti  <  forse  la  più  bella, 
«  perchè  quattro  o  cinque  di  essi,  sono  veramente  quanto 
e  di  più  nuovo  e  di  non  ancora  tentato,  possa  trovarsi  nella 
e  poesia  italiana  (pag.  49).  i 

Concludendo  dirò  che  questo  libro  sebbene  non  ci  offra 
tutto  quello  che  ne  aspettavamo  pure  fornisce  particolari  che 
i  futuri  biografi  del  Leopardi  non  potranno  trascurare;  ad 
ogni  modo  poi  vi  è  per  entro  un  sentimento  di  affetto  cosi 
profondo,  delicato  e  sincero,  un  culto  della  verità  che  conforta 
e  fa  bene  al  cuore  del  lettore. 

V  istruzione  piMlioa  in  Italia  aai  mmIì  Vili,  IX  •  X  ~  Ri- 
cerche dd  Dorr.  Giuseppe  Salvigli  — *  Un  voi.  in-8  di 
pag.  157.  —  Firenze  Tip.  della  Gazzetta  d*  Italia. 

I  lettori  deirArchivio  Marchigiano  già  conoscono  il  Dott.  Giu- 
seppe Salvioli  per  il  bello  studio  di  lui  intorno  agli  Slaluti 
di  Atmént,  quindi  non  stenteranno  a  credere  che  queste  sue 
ricerche  suir istruzione  pubblica  in  Italia  Belicela  di  mezzo 
siano  degne  d'essere  lette  e  studiate,  come  quelle  che  por- 
tano la  luce  su  di  un  argomento  importantissimo. 

A  ben  conoscere  la  vita  di  un'epoca  non  basta  fermarsi 
a  quel  che  ne  appare  esteriormente,  ma  bisogna  studiarne 
le  leggi,  i  costumi,  bisogna  indagarne  le  cause  che  contiibui- 
rono  a  far  progredire  od  arrestare  i  popoli  nella  via  della 
civiltà  e  non  ultima  certo  di  queste  cause  si  è  la  condizione 
del  publico  insegnamento.  —  Le  dotte  investigazioni  che 
dal  Muratori  in  poi  si  sono  latte  negli  archivi  publici  e 
privati,  hanno  senito  a  portare  non  poca  luce  su  molti  fatti 


780  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

0  ignorati  o  mal  noti  della  nostra  storia  medieTale,  ma  ciò 
non  toglie  che  ancor  molto  ne  resti  a  fare  perchè  tolti  i 
dabbi  e  le  incertezze  svaniscano,  e  specialmente  per  quanto 
ha  riguardo  allo  stato  della  cultura  publica  non  possiamo 
dire  di  conoscere  appieno  la  condizione  di  lei,  anzi  si  può 
dire  con  certezza  che  laTori  speciali  d'importanza  suir argo- 
mento sinora  non  se  n'  erano  fatti,  e  quel  poco  che  se  ne  sa 
lo  si' sa  cosi  di  straforo  o  per  incidenza. 

Sicché  il  lavoro  del  Salvioli,  come  quello  che  studia  le 
condizioni  generali  dell'insegnamento  in  tutta  la  penisola 
dair  ottavo  al  decimo  secolo  inclusive,  è  primo  nel  suo  ge- 
nere e  quindi  non  è  a  meravigliarsi  se,  per  le  difficoltà  che 
Fautore  avrà  dovuto  naturalmente  icontrare,  qua  e  là  si 
trovano  delle  lacune,  se  qua  e  là  si  desidererebbero  notizie 
maggiori,  ma  tuttavia  le  notizie  che  si  hanno  sono  ricche 
d'interesse  e  fanno  sperare  che  l'autore  continui  nelle  sue 
utili  indagini,  e  ritorni  suU'  argomento,  dandogli  un  piA  com- 
pleto sviluppo. 

Comunemente  si  declama  contro  le  tenebre  del  medio  evo» 
ma  non  si  vede  come  di  mezzo  alle  tenebre  verrà  la  luce, 
non  si  vede  come  per  opera  di  un  segreto  e  lento  lavorio 
la  coltura  tornerà  in  fiore ,  non  si  vede  come  i  germi  del 
sapere  si  siano  conservati  per  tornare  a  svilupparsi  più  rigo- 
gliosi che  mai  quando  la  stagione  torni  propizia.  c4>erò  U 
tradizione  classica,  dice  il  nostro  autore  (pag.  4  e  5).  ooa 
era  stata  involta  nel  naufragio:  essa  viveva  isolata,  chiosa, 
avvilita,  ma  il  suo  elaterio  era  conservato  con  una  gelosia 
inconscia  ed  all'ombra  di  questo  si  mantenne  la  scuola. 
Se  fu  frustato  il  tentativo  di  uno  spirito  superiore  di  met- 
tere air  ordine  del  giorno  l' istruzione  pubblica  nel  senso 
moderno,  noi  mostreremo  che  l'Italia  nei  secoli  Vili, IX 
e  X  e  nel  ferreo  mille  ebbe  le  sue  scuole  non  ravvivate 
per  forza  galvanica,  ma  per  tradizione  e  sentimento  e  che 
in  queste  scuole  circolò  un  soffio  di  vita,  il  moto  e  il  bru- 
lichio di  nuove  idee.  Il  popolo  latino  non  è  mai  morto  : 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  781 

e  ma  nel  silenzio  e  nei  secolare  lavorio  di  preparazione  che 
e  sembra  morte,  ha  consunto  ciò  che  era  destinato  a  perire 
e  e  ha  plasmalo,  maturato  e  vivificate  quelle  forme  con  cui 
e  doveva  ricomparire  nella  storia  per  riprendere  il  suo  ascen- 
e  dente  intellettuale.  • 

L' autore  tesse  la  storia  dell'  istruzione  in  Italia  nei  tre 
secoli  indicati,  accennando  alla  legislazione  alle  scuole  esistenti 
ed  ai  metodi  d'istruzione,  dandoci  ragguagli  nuovi  che  non 
si  trovano  nel  Muratori,  nel  Tiraboschi,  nel  Giesebrecht  e  nel- 
rOzanam,  che  più  di  altri  scrittori  si  sono  occupati  deir  ar- 
gomento, ma,  come  ho  detto  già,  neppure  le  notizie  del  Sai- 
violi  sono  complete.  Per  esempio  a  pagina  78  scrive  :  Nelle 
Marche  ritroviamo  minori  traccie  di  coltura  letteraria  in  con- 
fronto di  qualunque  altra  regione  d' Italia.  Ciò  è  per  lo  meno 
inesatto,  e  credo  che  se  egli  avesse  fatto  delle  ricerche  noi 
nostri  archivi,  vi  avrebbe  trovato  sufficienti  prove  per  dimo- 
strare che  non  eravamo  più  indietro  degli  altri  nostri  fratelli 
della  penisola  :  e  poi  se  avesse  letto  la  memoria  che  il  Curi 
publicò  in  questo  Archivio  intorno  all'università  di  Fermo 
avrebbe  visto  come  neir  anno  825  delP  E.  V.  V  Imperatore 
Lotario  emanasse  un  decreto  per  T  istituzione  di  scuole  su- 
periori, tra  le  quali  fu  quella  di  Fermo  il  che  fa  facilmente 
arguire  che  nei  luoghi  prossimi  a  quella  città  la  coltura  non 
fosse  cosi  indietro  come  il  Salvioli  mostra  di  credere,  perchè 
non  si  fonda  un'  Università  dove  gli  studenti  mancherebbero, 
e  prima  d' aver  provveduto  air  insegnamento  di  quelle  ma- 
terie che  aprono  P  adito  agli  studii  universitari. 

L' autore  egregio  inoltre  per  quanto  si  riferisce  ai  metodi 
usati  nelle  scuole  di  quei  giorni  mi  pare  che  non  ci  dia 
un'  esatta  idea,  perchè  ci  dice  quali  cose  s' insegnassero  ma 
non  qual  fosse  la  via  ^uita  nelP  insegnarle  ;  e  questo  in 
una  storia  dell'istruzione  non  dovrebbe  trascurarsi,  perchè,  nel- 
l'insegnamento il  gran  segreto  della  buona  e  cattiva  riuscita 
degli  allievi  sta  nel  metodo;  egli  è  vero  però  che  forse  è 
difficile  il  trovare  memorie  e  documenti  che  di  ciò  ne  faccia- 


782  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

no  testimoniaDza  e  quindi  dato  questo  caso,  della  mancanza 
notata  non  sarebbe  da  fare  una  colpa  al  nostro  autore. 

Anche  riguardo  alla  forma  c'è  da  osservare  qualcosa.  Ci 
sono  parole  e  frasi  che  amerei  di  vedere  sostituite  da  altre  di 
più  schietta  ilalianità  e  di  più  efficace  naturalezza,  peixbè 
non  è  vero  che  la  scienza  per  rendersi  più  autorevole  debba 
usar  di  un  linguaggio  che  si  scosti  dal  comune  annebbiando 
il  pensiero  in  luogo  di  meglio  chiarirlo  o  vivificarlo. 

Oggi  è  opinione  generalmente  invalsa  che  bisogna  creare  di 
pianta  il  linguaggio  scentifìco,  ma,  o  io  m'inganno,  si  è  in 
errore,  perchè  per  tal  modo  in  luogo  di  render  la  scienza 
accessibile  al  maggior  numero  la  si  rende  privilegio  esclusivo 
di  alcuni  pochi  suoi  sacerdoti,  non  so  con  quanto  giovamento 
del  progresso  e  della  diffusione  degli  studii.  E  perchè  si 
abbia  una  prova  di  quanto  asserisco  farò  alcune  poche  ci- 
tazioni a  caso.  Una  condusione  di  continuità  ndP  insegna- 
mento  —  Ma  il  suo  elaterio  era  conservato  —  Ebbe  le  sue 
scuole  non  ravvivate  per  forza  galvanica  —  La  forza  plasiica 
ddla  società  —  //  soggettivismo  delle  costituzioni  monastiche  che 
è  r  dMiterazione  del  mondo  esteriore  e  deW  uomo  —  rimarche- 
vole —  Sembra  pure  doversi  mettersi  —  Quindi  come  un  giaci- 
ne era  sotto  i  processi  del  sillogismo,  il  suo  arsenale  intdteUuate 
di  filosofia  si  riteneva  compiuto  —  Dettagli  —  UaddenteUato  netta 
civiltà  è  il  corollario  delT  immanenza  dette  forze  e  delle  condizioni 
naturati  ammessa  dalla  legge  storica  etc. 

Non  sappia  male  air  egregio  sentore  delle  osservazioni  che 
neir  interesse  del  vero  e  del  sapere  ho  creduto  di  fare  sul- 
r  opera  di  lui,  la  quale  per  questo  non  perde  gran  fatto  del- 
l' importanza  sua,  che  spero  sarà  riconosciuta  da  quanti  avranno 
occasione  di  leggerla. 

Patrizio  Antolini:  -  Notizie  su  Leopoldo  Cicognara  e  sua  fani- 
glia«  -  Un  op.  in-16  di  p.  48.  -  Ferrara,  Premiata  Tip.  Soc, 

È  un  breve  studio  fatto  con  sufficiente  diligenza  e  dietro 
la  scorta  di  documenti,  che  ci  fa  desiderare  che  il  Sig.  Anto- 


RASSEGNA  BIBLIOGRÀFICA  783 

lini  attenda  a  darci  quanto  prima  una  completa  biografia  del 
Gicognara,  il  quale  fu  uno  dei  più  eruditi  scrittori  di  cose 
d'  arte.  —  Comincia  il  volometto  coir  albero  genealogico  del- 
la famiglia  Gicognara,  nel  quale  però  si  nota  la  mancanza 
assoluta  delle  date  della  nascita  e  morte  dei  personaggi  che 
si  ricordano.  Seguono  le  notizie  intorno  alla  famiglia,  dalle 
quali  apprendiamo  che  sin  qui  si  credette  che  sulla  fine  del 
secolo  XVI  si  trasferisse  dalla  Spagna  in  Italia,  fermandosi 
prima  a  Cremona  e  quindi  a  Ferrara;  dapprima  denominavasi 
Dc-Grapis  e  cangiò  il  nome  in  quello  di  Conti  di  Cicognara. 

L'  Anlolini ,  basandosi  su  documenti  da  lui  letti  (  che 
avrebbe  fatto  bene  a  riprodurre  per  conferma  della  propria 
opinione),  crede  che  il  cognome  dei  Cicognara  venisse  tolto  dal 
paese  die  cosi  si  chiama,  paese  che  dal  760  al  1390  appar- 
tenne alle  Monache  di  S.  Giulia  di  Brescia,  e  poi  al  Marchese 
di  Viadana.  —  Un  ramo  della  famiglia  Cicognara  rimase  a 
Cremona,  un  altro,  di  cui  si  considera  capostipite  Benvenuto, 
il  Ilio  era  già  trasferito  a  Ferrara,  e  i  suoi  membri  non 
ebbero  il  titolo  di  conti  che  nel  secolo  scorso  da  Bene- 
detto XIII.  Questa  famiglia  contò  in  ogni  tempo  uomini  illu- 
stri, ma  il  maggiore  di  tutti  fu  Leopoldo.  —  A  queste  brevi 
notizie  seguono  le  annotazioni  air  albero  genealogico,  in  cui 
si  nota  la  diligenza  posta  nel  raccogliere  le  notizie  cronologi- 
che, e  tutte  quelle  altre  che  valgono  a  farci  conoscere  i 
particolari  più  importanti  della  vita  di  coloro  che  maggior- 
mente s' illustrarono. 

Vengono  poi  le  notizie  intorno  alla  vita  di  Leopoldo  Cico- 
gnara, che  so  ci  fanno  vedere  quanti  e  quali  furono  i  meriti 
di  lui,  certo  avrebbe  meglio  giovato  allo  scopo  se  fossero 
stale  svolte  con  maggiore  ampiezza,  intrattenendosi  special- 
mente a  discorrere  delle  opere  che  non  furono  poche  né  di 
poco  pregio,  come  vedesi  dal  catalogo  di  esse,  che  s' è  voluto 
opportunamente  aggiungere  in  fine  del  volumetto  insieme  alla 
bibliografìa  biografìca. 


784  RASSEGNA   BIBLIOGBAFICA 

Storia  di  Filottrano  scritta  dal  Prof.  Ab.  Emidio  Bianchi  — 
Parte  i.  —  Un  voi.  in-8  di  pag.  196  —  Foligno,  Slab. 
Tip.  dì  Feliciaoo  Gampiteili  1875  —  Prezzo  L.  1,50. 

Intorno  alla  utilità  della  compilazione  di  storie  municipali 
per  preparare  il  materiale  al  futuro  scrittore  della  storia  della 
nazione  ebbi  già  a  manifestare  più  volte  il  mio  avviso,  sicché 
capiranno  facilmente  i  lettori  com^  io  non  possa  che  rallegrar- 
mi ogni  qual  volta  alcun  studioso  esponga  le  memorie  della 
sua  città,  purché  però  tale  esposizione  sia  fatta  eoo  sani  cri- 
teri storici. 

Ora  é  il  Prof.  Bianchi  che  ci  sì  fa  innanzi  colla  prima 
parte  della  sua  storia  di  Filottrano,  in  cui  si  occupa  di  Tor- 
nazzano,  di  Storaco  e  degli  altri  antichi  castelli  di  quel  ter- 
ritorio, ma  con  dispiacere  btsogna  che  confessi  che  il  lavoro 
non  risponde  a  tutte  le  condizioni  che  si  richiedono  in  lavori 
dì  tal  genere,  infatti  V  autore  riferisce  leggende  e  miracoli 
non  allo  scopo  di  cercare  com'  esse  abbiano  avuto  orìgine,  e 
quale  verità  adombrino,  ma  ce  le  dà  come  storia  e  questa  è 
senza  fallo  difetto  non  lieve  a  cui  P  egregio  autore  dovrebbe 
studiarsi  di  rimediare  in  una  nuova  edizione  del  suo  libro, 
il  quale  del  resto  ci  offre  anche  nuove  preziose  notizie  inte- 
ressanti per  la  storia  marchigiana  in  mezzo  alle  cose  di  poco 
0  nessun  momento  che  in  una  storia  non  devono  trovar  luogo. 

Non  paia  al  Sig.  Bianchi  troppo  severo  il  mio  giudizio,  e 
pensi  eh'  esso  é  fatto  nelP  interesse  dei  comuni  studii,  e  per- 
ché credo  eh'  egli  e  per  ingegno  e  per  coltura  potrebbe  darci 
cose  migliori,  quando  volesse  prender  cognizione  dei  criteri 
nuovi  con  cui  i  moderni  procedono  nelle  indagini  storiche. 

Gesabe  Rosa. 


INDICE 


DELLE  MATERIE  CONTENUTE  IN  QUESTO  V  VOLUME 


Ai  Lettori  —  C.  Rosa Pag.      3 


UnÌTersità  degli  Studii  in  Fermo  —  V.  Curi     . 

Festa  di  S.  Floriano  Martire  in  Jesi  e  Tiro  a 
segno  colla  balestra,  instituito  in  occasione 
della  medes.*  nel  1453  —  A.  Gianandrba  . 

Cronica  di  Pesaro  attribuita  a  T.  Diplovatazio  — 
6.  Vanzolini 

Memorie  dell'assedio  di  Ancona  nel  1799  di  Ca- 
millo Albertini  —  C.  Rosa 

Frammento  inedito  d^una  lettera  di  G.  Leopardi 

Le  cospirazioni  imperiali  di  Romagna  e  Toscana 
contro  la  Lega   Lombarda   1167-1175   — 

A.  RUBBIANI 

Di  una  statua  marmorea  acefala  —  Barone  D. 

GUIDOBALDI 

Di  un  documento  inedito  per  servire  alla  storia 

di  Camerino  —  A.  Conti 

Della  rita  e  delle  opere  di  Giacomo  Leopardi  — 

C.  Rosa 

Gli  Statuti  inediti  di  Rimini  —  Doti,  G.  Salvigli 
Cenni  cronologici  sulla  fondazione,  progresso  e 

fine  del  nobile  Collegio  ed  Università  Nolfi 

in  Fano  —  L.  Masbtti 

I  primitivi  capitoli  del  Monte  di  Pietà  di  Fano 

—  L.  Masbtti 

Antico  codice  delle  Gabelle  nel  sec.  XIY  in  Fano 

—  L.  Masbtti «... 

Capitoli  camerinesi  sugli  Ebrei  —  A.  Colocci  e 

M.  Santoni 

Appendice  alla  Storia  della  antica  Pitulo  — 
A.  Monti 

n  Secondo  Congresso  delle  Società  Storiche  Ita- 
liane «»  G 

Rassegna  bibliografica  —  Notizie  storiche  — 
Bollettino  bibliografico 


9-417 


45 

77-721 

101 
119 


123-535 

193 

211 

235 
385 


Gli 

CC3-^ 

703 

745 

749 

755 

157-349-581-759 


V 


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