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AKCHIVIO
STORICO ITALIANO
FONDATO DA G. P. VIEUSSEUX
• continuato a cura della
R. DEPUTAZIONE TOSCANA DI STORIA PATRIA
«o*
QUINTA SERIE
Tomo XX — Anno 1897
IN FIRENZE
PIIESSO G. P. VIEUSSEUX
l^pogm/la di 31. CtUini e C.
1897
, STANFOUD UMApv
'-? V5^ r '.: S
• • ì
( ::.
PUltUUZlOi
VENUTE IN DONO :^LLa R i^-^.- , /^^.
Libri ed oauscot'
Dalla BiblioUca Unìvei'sUaria ti hii
B£iiA(inELC)TTO, Schrìflssprach<i \tui .rnnrii.*
— Giessen, 180G. 4.<>
Codex diplomaticus Lusatìae 8up«ir.orÌ4 1; . . ^
— Gòrlitz, 18f)6. S.'^
EcKEKT Christian, Der Fronbote :iii jn.
spiegel und der verwandter ft«»h**...., ^
la laurea dottorale). — Leipzig. ^♦•*
Keufzel Adam, Friedriclis des (/t'-.iìut.
ini Jahre 1755 und die Sendi^a^^ ^.
nach Berlin. (Dissertazione e ^ .
Hbyer GiTSTAV, Die .Standslierrn d^^n :*r^ ^
ihrc KecbtsverliUltnisso in Ge<</;r»-.i'..:.,
tazione e. s.). — Darmstadt, \Hf. '
Kalbfleisch Wilhelm, Die RoAli^p*.», ^,
« Eaoul de Cambrai » (BìsàUc/jaT T^/
KoEHN Joseph i:8, Quaestines ){^&aij|^^ '^^
zione e. s.). — Giessen, 1897, 8.'
IÌEi:$s Wilhelm, Die dichteriscb4M^m:^^^
tzlar. (Diss. e. s.). — Wertbeim, :^' .
Stade Bernhard, Die Entstebung d^ 'u^t^
cadomico). — Giessen, 1HJ)7. 4."
Waas C11RI8TIAN, Die Quellen der l&Hài^ymm
per la laurea dottorale). — Dortr&ioit ^
Ui
'é*- ..
(Indichiamo in parentesi il nome di chi dona,
Annuario dell' Istituto pareggiato < CarHiiMs<
gio ia97. — Bitonto, Garofalo, \Wi ^
Battaglia Giorgio, Studi sulle origini
Vena, 1897. 8."
Cappelletti Licurgo, Storia della citli.^^
orìgini fino all'anno 1814. — Lìvob ^.^^_
Carabelle8B F., Brevi ed elementari 1NIÌ|||.^ ' "^
pilate ad uso delle scuole sccondariit«*«jìZ?**' *
IV PUBBUOAZIONI VENUTE IN DONO ALLA R. DEPUTAZIONE
Cababbllbsb Francesco, La peste del 1348 e le condizioni della Sa-
nità pubblica in Toscana. — Bocca S. Casciano, Cappelli, 1897. 10.°
Coli Edoardo, Il paradiso terrestre dantesco (Pubblicazioni del
r. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Fi-
renze - Sezione di filosofìa e lettere). — Firenze, Carnesecchi,
1897. 4.<* [Dal r. Istìhito predetto].
Ferrari Carlotta, Di alcuni pareri di critici esimi intomo a Dante,
Beatrice, Gemma Donati e la Donna gentile ; ed esame delP opi-
nione manifestata da uno di essi circa le cagioni determinatrici dei
maritaggi di quel tempo. — Firenze, Rassegna Naziotiale, 1897. 8.**
Jeanroy a.. La lirica francese in Italia nel periodo delle origini,
trad. ital. di Giorgio Bossi. (Bibl. crit. della Letteratura ital.,
num. 18). — Firenze, Sansoni, 1897. 16.°
Laroaiolli Filippo, Bibliografìa del Trentino. — Trento, Zippel,
1897. 8.<»
Lazzarini Vittorio, Marino Faliero. La congiura. — Vcneziii, Fra-
telli Visentini, 1897. 8.°
Mand ALARI Mario, Eicordi di Sicilia. II. Randazzo. — Catania, Gi an-
notta, 1897. 16.<>
Mini Giovanni, Serie cronologica dei capitani e commissari della
Romagna toscana del 1500 al 1695 con residenza a Castrocaro
e a terra del Sole, illustrata e blasonata. — Rocca S. Casciano,
Cappelli, 1897.
MoLBCENTi Pompeo, Venezia. Nuovi studi di storia e d'arte. —
Firenze, Barbèra, 1897. 16.o
MoRici M, Trattato sconosciuto di un agostiniano arceviese del se-
colo XVI. — Castelplanio, Romagnoli, 1896. 8.<> [Dal prof. C. Paoli].
Nomi Pesciolini Ugo, Il saluto dei Sangimignanesi al Preside, ai
Professori, agli Istitutori ed agli Alunni del r. convitto Nazio-
nale Tolomei di Siena espresso dal Prop. Dr. TI. N. P. — Siena,
tip. ed. S. Bernardino, 1897. 8.°
— Una lettera inedita di Gaetano Savi ecc. — Siena, tip. ed. S.
Bernardino, 1897. 8.°
Pico della Mirandola Gio. Tommaso, Elegia ed. da F. Ceretti e
L. Zani per le nozze Rosselli-Ren ti voglio. — Mirandola, Grilli,
1897. 4.<» [Dal prof. C. Paoli\,
Podestà F., La pesca del corallo in Africa nel Medio Evo e i Ge-
novesi a Marsacares - Luoghi d'armamento in Liguria. (Nozze
Costa-Costa). — Genova, Sordomuti, 1897, S,^
Rambaldi Pier Liberale, Una macchinazione di Cansignorio della
Scala a danno dei Gonzaga (1367). — Milano, Bernardoni, 1897. 8.*^
DESIDERATUM
La Direzione à&W Archityio utorìco italiano possiede la copia
di un Diario di Sek Giusto di Giovassi Giusti d'Anohiari,
che va dal 25 marzo 1437 al 6 gennaio H82. L'ebbe dal
p. Theiner, circa una trentina d'anni fe, Cesare Guasti;
ma né egli sep[)e dove si conservasse il codice originale;
né a noi, per quante ricerche abbiamo fatte, è riuscito di
Bcoprirlo. Parendoci non disutile la pubblicazione dì questo
L Diario, e d' altra parta reputando necessario collazionare
I prima la copia coli* originale, ci rivolgiamo alla buona vo-
' lootà cortesia degli studiosi, perchè, se ne avranno qualche
sentore, vogliano comunicarci l'indicazione del desiderato ms.
Noi non possiamo darne più precise informazioni, salvo il
trascriverne Ìl principio :
% col nome del Signore Iddio il quader
a scrìvere tutte le cose che sodo occorse negli anni che in detto
libro si contengono, della Repubblica. Fiorentina
Al I
ì di Dio, I
In questo quaderno «ppariranno scritte le cose che io Ser Giusto
dì Giovanni (ìiosti d'Aoghiarì mi ricorderò che siano atate a mio
tempo della Repubblica Fiorentino, degne veramente di ricordo, in-
eotuinciando questo (li 25 marzo 1487 secondo il corso e costume
della cittii dì Firenze, essendo Oregorio Mazzoni et Agnolo Taglie-
scUi Capitani della Repubblica Fiorentina.
Qui si nareranno tutto le cose occorse in questo anno liSÌ della
Bapuhblicft Fiorentina di per di.
NOTIZIE NECROLOGICHE
— n 6 luglio mori a Parigi Edmondo Le Blant, nato ivi
nel 1818. Si occupò particolarmente di archeologia cristiana, e dal
1883 all' 89 diresse la Scuola francese di Eoma. Una copiosa biblio-
grafia dei suoi scritti è in Pótyhiblion, agosto 1897, pp. 172-176.
— Il giorno 28 luglio a S. Giovanni di Bellagio, sul lago di Como,
mori lo storico Giovanni De Castro, nato a Padova nel 1854.
Numerosissime sono le sue pubblicazioni; e im elenco bibliografico
delle principali, compilato dal Dr. Antonio Vismaka, si legge nel-
V Archivio Storico lombardo, 30 settembre 1897.
— Alla fine dello stesso mese mori in Vienna l' illustre storico
e archivista Alfredo von Arneth, in età di anni ottantadue. Delle
sue numerose e importanti pubblicazioni dobbiamo ricordare le
Corrispondenze di principi del secolo passato (Maria Teresa, Maria
Antonietta, Caterina di Russia, Giuseppe II, Leopoldo II ec.) ; tra le
quali è particolarmente interessante per la storia nostra il carteg-
gio tra l'imperatore Giuseppe II e il fratello suo Pietro Leopoldo
di Toscana.
— All'età di sessantacinque anni mori in Parigi il 25 agosto
Leon Ganti e r, che dal 1871, era professore di paleografia alla
Scuola della Carte, e del quale sono noti i pregevoli studi sull' epopee
medioevali francesi.
— Una perdita dolorosissima ha fatto la scienza paleografica e
storica colla morte di Guglielmo Wattenbach, avvenuta in Fran-
coforte, il 20 settembre, all'età di 78 anni. Con l'animo afilìtto
mandiamo un saluto alla sua tomba ; e nel prossimo fascicolo ne fa-
remo più ampia commemorazione.
— Anche dell'illustre storico ab. Luigi Tosti, mancato ai vivi
in Montecassino il 24 settembre, sarà fatto doveroso ricordo in uno
dei vegnenti fascicoli.
^
DELU R. DEPUTAZIONE TQSCAHA DI STOBIA PATBIA
Documenti di storia Italiana.
Voi. I-IU. Commissioni di Rinaldo degli Albizzi
per 11 Comune di Firenze dal 1399 al
1433, pubblicate e illustrate da Cbsark OvA»n
[an. 1399-143i5], Firenze, Galileiana, lH07-7«. . L. 45.
» IV. Cronache della città di Fermo, pubblicaU^
e illustrate da Gaktano Db Minicis; con la giun-
ta di un Sommario cronologico di carte feriuunt.'
anteriori al secolo XIV, con molti documenti in-
tercalati, a cura di AfARCO Tabaurini, 1870 . > )C
» V. Cronache e Statuti della città di VI
terbo, pubblicati e illustrati da Ignazio Ciam-
pi, 1872 /. ìt
> VI. Cronache dei secoli Xlll e XIV. - Anna
leu Ptokinaci Lucewris (a cura di ('aklo Mini;-
TOLi). - Samanome mdids Gesta Fiorenti noraw
(a cura di Gaetano Mii^nesi). - Diarh di stt
Giovanni di I^innio da Comvgnori (a cura d-
Luigi Passerini). - Diario di Anonimo Fiomn
tino, 1358-1388 (a cura di Alessanj>uo <.'Jiì>
RARDi). - Chronicon Tolosani canonici fat:tnUn'
(a cura di Marco Tabarrini), 1H7<». ... f
» VII. Statuti della Università e Studio l-é(^
rentino dell'anno 1387, seguiti du uf.^,.
pendice di Documenti dal 1320 al 147'^, pur^u..
cati da Alessandro Gherardi. Con un 1Jì»u^^
del pro£ Carlo Morelli, 1881 ... ^
» Vili. Codice diplomatico della citta e t/r
vieto, documenti e regesti dal HWiohj Xi a x
e la Carta del popolo, codice statutarie m. ^^
mune d'Orvieto, con illustrazioni e nou. a. ^,^
Fumi, 1884
» IX. Il Libro di Montaperti [an. rjfJO,. inm..^
per cura di Cesare Paoli, 188li . .
» X. Documenti dell'antica costituSiMM^
vili PUBBLICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE EC.
comune di FirenzOi pubblicati per cura di Pie-
tro Santini, 1895 L. 15.
Archivio storlcMi Italiano
(fondato nel 18^12 da G. F. Vieuiìsbux, e continuato dalla
B. Deputazione di storia patria).
Nuova Serie. - Anni 1855-1863, tomi 18 (inclusivi 7
tomi del Giornale storico degli Arcliivi To-
scani) L. 180.
Terza Serie. - Anni 1865-1877, tomi 26 > 260.
Quarta Serie. - Anni 1878-1887, tomi 20 » 200.
Quinta Serie (in corso). - Anni 1888-1896, tomi 18 . > 180.
^- SI fanno faoilitaxioni por accialsti di Sorlo completo '<^
Indici cIcIi^ApcIiIvIo storico Italiano*
Indice generale della Nuova e della Terza
Serie, col Supplemento L. 8.
Indice tripartito della Quarta Serie .... » 5.
Atti del Quarto Congi^resso storico ita-
liano (Firenze, 1889) L. 4.
In corso di sUimpa :
Codice Diplomatico Aretino, a cura di Ujjaldo PAsc^ri. -
Tomo I. — Formoni V umhrhno volume della Oolleziono dei
Documenti di storia italiana, e verrà pubblicato nei primi
del 18.08.
AONIO PALEARIO
E LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL D*ET>5A
^-ci?-
Le notizie che pubblico intorno ad Aonio Paleario e
alia famiglia di lui (1) son ben lontane dall' esser tutte o
la maggior parte di quante potrebber raccogliersi fmgaudo
con diligenza nei vari Archivi, nei quali si trovano ]j«ì-
avventura disseminate e ad un t^empo sei)olte. Ristrettomi
a (|uelle che si riferiscono alla dimora, da lui e riai huuì
fatta in Colle di Val d' Elsa, paese eh' ei tenne in luogo
di patria, e tal fii ai figli e nipoti suoi, mi è sembrato, cin-
anco queste poche non tornerebbero inutili, ne senza ouritr
sita; specie a chi prendesse a scrivere di quell'uomo illu-
stre ed infelice, o volesse mettersi nella via di miglior »
più estese ricerche.
Del Paleario veramente fu scritto poco ; e quanto aJ>t
sua vita domestica, alla famiglia che si formò, e alh* ^;
manenza di esso e di questa in Colle pressoché uienu «^^
perocché fin ad oggi due qualità di appassionati m;ì-ì1a^
eh' io sappia, parlarono di lui e unicamente ]j«r ìbiuUi :
parte ; più intesi per conseguenza a far valere i nw^
(1) Avverto per brevità, che quante volte si citano JfiMwtfu. ,. ^
rìli anteriori al 1570 si deve intender citato altresì il i. kstju^'.^^: «.,
in Firenze, nel quale si custodiscono. I posteriori aJ MH * . -r-^^-
nell^Archivio Notarile, e vuoisi tener per citato fiWfjWìH/n^i^.. r^^ ~
poi della Gabella de' Contratti, che avrò più octimnìou e - 'ft ,
troyano nell'Archivio Municipale di Colle Val d'ISiaa
meri che indico.
Abch. Stor. It., 5.« Serie. — XX.
sereni propositi di questa, che ad occuparsi del personaggio
che avevan preso per subietto. I così detti scrittori cattolici,
anco con postume calunnie e con strapazzo di teologia cri-
stiana, si proposero esclusivamente di giustificare l' iniqua
condanna decretata dal Tribunale della Riomana Inquisi-
zione; i riformati di qualunque setta o dissidenza intesero
soltanto ad esaltare, in odio alla Curia Romana, nn loro
martire di più, e le dotti-ine da esso professate e suggel-
lato col sangue. E chiaro che per aodis&re a questi due,
sebbene oitpostissimi intenti, era sufficiente conoscere le dot-
trine e lo scrittore non 1' uomo nel suo privato ; cosicché
dì questo non si curarono. Se ne parlarono, ciò fa per
incidente ; non di rado a caso, e spesso intieramente a
sproposito.
Luigi Des Marais, ossia il marchese Bisleti di VeroU,
pubblicò nel 1885 una biografia del Paleario, con tutto l'af-
fetto che si poteva ; ma scarso a notizie originali, e troppo
fidente in quelle pubblicate, specie nelle Lettere, non riuso!
più in là che a mostrare quanta e come amorevole rive-
renza ei professi alla memoria dell'illustre suo concittadino.
In qual anno, per quali cagioui e in quale età Aonio ca-
pitasse primamente a Colle, e poi vi si fissasse, si può meglio
o peggio congetturare; non però determinare con precisione.
In Etruria, lo asserisce egli stesso (1), venne nel terzo
anno dalla presa di Roma; vale a dire nel 1629, e dopo
brevi soste qua e là, ed una più lunga in Perugia, si fermò
in Siena ; o vi fosse stato invitato par insegnare, o più pro-
babilmente perchè persuaso vi troverebbe modo dì campar
(1) Nella Onutìone recitata in difesa propria iniiaDEi al Senato dì
Siena contro le accuse di irreli^one, cosi d esprime: ■ Ego PP. CC. anno
■ tertio nb urbe Roma ab Rispanis capta, cum omne Latiiim arsisset
* bello tetro et calamitoso, et pestilentia inopiaqim frugum Hi^rtiici mei
■ laborarent, et trìbns ingentibus mnlis, vostati agri, villoe auccensae
■ nrbes aatiduis funeribus liaust&e essent, in Hetruriam veni • {Epùlot.
ti Orai, el de Anivìorum immorlalìlale libri; Lugduni, li>ó2, p. !il&).
a LA SDA FAIilOUA JS OOLLB VAI, D'BUA 3
la vita, insegnando in privato, siccome aveva adoperato in
Botua, e di attendere ai suoi studi (1).
In Colle di Valdelsa proprio dovè giungere qualche
poco avanti al 1637; e pur innanzi a quest' anno aver for-
mato e manifestato chiaramente la risoluzione di domiciliar-
visi, Neil' anno 1637 difatti cliiese ed ottenne la qualifica-
zione e i diritti di terrigena e castellano (2) ; che secondo
ogni ragionevole induzione non avrebbe potuto chiedere, né
qualora ottenere, senza aver dato precedenti segni, più che
indizi, di voler prendere in quel luogo stabile dimora.
La cagione, che ve lo condusse, non è nota. Forse vi
capitò occasionalmente per visitare qualche amico, poni
Marco Casali, grammatico di nome a que' giorni, ed inse-
gnante in Colle; o Girolamo Bellanti e Bernardino Fran-
ceeconi senesi, ma per ufficio o interessi colà residenti, o il
"Vescovo d'Anagni, che essendo commendatario della prossima
Abbazia dì Conoo abitava scioperato più qui, che nella sua
Diocesi (3),
(1) Dal Sommario del Proccaso aubilo in Koma (ved. Arditi: della
r. Società Ramaiia di iloria patria, VoL XIX, Fofic. I ^ li, Art, di B.
Postasi, p. I'i9), e precisamente dal CoBlitato de' 20 dicembre 1509iilri>
irvi, Fhe in quella città abit^ in ca.'ia di Antonìn Bellanti in qunlìtA dj
moGs^ dei fijfli Pandolfo, Fansto, Fietrino e Acrìsìo con lo stipendio di
se. VSJ, dando poi lezioni anco ad altri l'2 giovani. Pare che in qnoU
^miglia, sìa in Siena, aia nei suoi possessi all'Agiok e a Henuiui tmUumm
parecchi anni ; ma q^uanti non è detto.
(2) Archiv, Municipi di Colle, Provvisioni, Cod. 522, Prorvk. 4M V
■ettembre 1587.
{3) Dell' intimità del Paleorio con Marco Casali ri hanno f«v** mU»
Lettere (Op. cit.; e nel suo Testamento (ved. Docam. li. ÌLtrtmtéilw
de' Froncesconi dì Filippo era medico, forse condotto, in Culla, ■ tI rtrfwr
deva. Che almeno vi capitasse talora e vi avesse jifitrtjnniili « iMavrf,
^^ ti rileva da vari atti notaiili di quel tempo fv«d. Protoe. di ljiAiM»»4é
^L Ketro Tancredi, l5B4-'85 e, 113, 161, S09). Era poi in molU&mitiwIM*
^^V Btima di Antonio Bellanti, che lo nominA tutiTre dei propri fl^ u^tam
^^K «on la madre loro Madonna Cassandra degli Spannocchi e OiuUv "tb^
^^^Uai (vad. Sommario del Processo cit,, p. 169). Girolamo di L«wmw4v l^i,
^^Kluiti, parimente seneee, abitava occasionalmentA a Colle pw A^W:'^. 9
-ì
4 AONIO PALEARIO
Circa r età che Aonio ebbe allorché si risolvè a domi-
ciliarsi in Colle questo posso dire. Nella lettera dei 3 luglio
1670, inviata dal carcere, alla moglie, poche ore innanzi di
morire, si attribuisce 70 anni (1). In altra lettera di parec-
chio tempo anteriore, ma senza data (2), scritta al Filonardo
vescovo di Veroli, parlando della compera già fatta di Cer-
cignano, e dell' essersi lasciato indurre a tór moglie, se ne
attribuisce 34. Risultando da documenti, che la compera
accennata e gli sponsali ebber luogo nel 1537, si pare evi-
dente, che o in quest' anno non aveva 34 anni, o quando
fu giustiziato non eran 70. In un libro « dell' Età dei Cit-
tadini » conservato nell'Archivio Municipale di Colle (3)
si legge, che Aonio Paleario fu battezzato nel 1607. Ma
oltreché questa annotazione dovette esser fatta, probabil-
mente, su denunzia casuale e a memoria, il Registro non é,
considerato in genere, tale da garantire della sua esattezza,
n Des Marais asserisce, che nacque nel 1603, sebbene non
accenni onde trae la sua asserzione. E difficile in tanta di-
screpanza di dati concludere con precisione : nondimeno io
credo attendibile la asserzione del Des Marais, come quella
affari, e fors'anco per diletto (ved. Protoc. di Lodovico di P. T. cit.,
1.584-'86, e. 248). Apparteneva alla famiglia stessa di Antonio, e corno
questi era attaccatissimo ad Aonio. Il quale alla sua volta professò tale
amicizia ad Antonio e ai figli di lui, (ai quali, lui morto, fu più che
padre) che ha fatto credere ad alcuni, tutte le persecuzioni, che ebbe a
patire, gli provenissero da siffatta amicizia, mentre è chiaro ormai essero
state in gran parte cagionate da altri e tutti indegni motivi, comecché
sempre nascosti sotto la facile ed efficacissima maschera della eterodossia,
(ved. Sommario del Processo cit., p. 170, Costituto de' 29 dicembre 1568).
Luca Giovannini di Sanastagio presso Volterra e Vescovo d'Anagni, era
letterato e stimato molto dal Paleario (ved. Docum. I). La famiglia di lui
ed egli stesso possedevano anco nel territorio di Orcignauo (ved. Protoi*.
di Simone di Gregorio di Bramo Fulvi del 1537, e. 52 e quello dal 1502)
al 1565 di Lodovico di Pietro Tancredi, e. 18).
(1) Ved. Aonio Paleario, Del Benefizio della morte di Cristo; Pisa,
1849, p. 10.
(2) Epielol, et Orai, ec., lib. cit., p. 60.
(8) Cod. 608, Lett. A.
£ LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL D'ELSA 5
che risulterebbe dall' interpretare le due date poste da Aonio
stesso, non come tassative ma come approssimative (1).
E accettando questa spiegazione si verrebbe a stabilire che
a Colle, si recasse per fermavisi, in età di 33 anni, e cioè
nel 1536.
Perchè scegliesse la Terra di Colle per sua stanza fissa
si chiarisce alquanto da una sua lettera. Scrivendo al Fi-
lonardo per dargli notizia di aver comperato la Villa di
Cercignano coli' intento di ritirarvisi talvolta a studiare,
siccome luogo appartato, non lontano da Siena, e presso
Colle, aggiunge e « collini municipes me summis honori-
« bus affecerint, collinum oppidum placeat, cum loci salu-
« britate tum aedificiorum descriptione, tum hominum com-
« mercio non inurbano » (2). Non è improbabile per altro,
che il matrimonio, che vi contrasse, preordinato, almeno al-
cuni mesi innanzi, non fosse estraneo al proposito di prender
dimora in Colle, e fervi acquisti.
Il Biadi nella sua Storia asserisce che fii « di nobile
« femiglia salernitana e ricco di fortune patrimoniaU » (3).
Anco Cosimo della Bena, parlando dell'avola sua Aspasia,
che fu figlia di Aonio, accenna alle origini salemitebne della
casata di lei (4) ; ma da quanto si può ricavare su tal pro-
(1) Aonio Paleario; Koiua, 18S5, p. 15. - Sebbene nel Sommario del
Pi*oces8o cit. si incontri varietà intorno agli anni di lui, vuoi che li de-
nunzi egli stesso, vuoi li a»(sorìscan altrì, puro mi sembra si possa ri-
cavare dall' insieme delle asserzioni e da certi confronti, che era nato
nel 1508. Quel che però è notevole si <> questo, cioè, che neppur egli sa-
peva con precisione Tanno della sua nascita. Nel Costituto infatti de' 10
aprile 1567 (ivi, p. 166) risponde in questi termini : « puto me agere
« annum sexagesimiim quartum ».
(2) Epitl» et Orat, ec., lib. cit., p. 60.
(8) Storia della CiUà di Colle di ValdeUa; Firenze, 1859, p. 260.
(4) Della Serie degli Antichi Duchi e Marchesi di Toscana; Firenze, 1690,
P. I, pp. 173 e segg. - E notevole il modo spiccio e pauroso col quale il
Capitano Cosimo evita di ricordare il cognome dell'ava e quello illustre
del i)adre di lei: di che poteva molto più gloriarsi, che di altri favolwi
ascendenti, che si attribuisce.
posìto dal libro del sig. Des Maraìs, panni restino assai
dubbie (1). Vero e che Aonio stesso dovette ritenere di pro-
venire da antenati salernitani, seppure non fii semplice
boria clie glie lo fece credere. Imperocché nel secondo suo
testamento de' 29 agosto 1560 esclude dalla tutela e eara-
tela dei suoi figli qualsiasi agnato o cognato di Ver<di o di
Sdlerm (2).
Senza ascender tanto in alto, è certo eh' ei nacque in
Veroli, nel Lazio, di Matteo di Francesco della Pagliara,
della Paglia come vogliono, e reputo non senza ragione,
alcuni, e di Chiara JanariUa, nobili o no i>oco importa ;
e meno im^rorta se da lungo tempo domiciliati in quel paese,
o da poco (3).
Quanto alle ricchezze, non volendo dar peso ad una
lettera riferita dal sig. Des Marais (4), che pure non si può
ragionevolmente sfittare, sembrerebbe tutto detto allegando
la lettera, da Aonio, giunto dì poco a Siena, diretta al già
suo discepolo Cincio Frigepane (Frangipani) a Roma. Nella
quale si leggono le parole che appresso : « liberalitate tua
« nobis opus est cum in Hetruriam venimus tan-
« tum pecuniae nobiseum attulimua quantum tu liberalitate
« tua concessisti » (6). Ma siffatte espressioni non si lianno
(1) Ved. Aonio Paltario cit-, p. 123, - È inesatlo [)oi chp il della lUma
nomini Aonio dì Matteo di Francesco delln Pagliara, siccome il aig. Dks
Mahajh riferisce.
(2) « relitjuit ordinavìt ot asse volnit tatorea et prò tempore cn-
• ratorea praedictonim siiortim fiUorum no filiaruni propinciniores agnatos
■ vel cognatoe dictorum suorum filiomm et filiarum de ti^rra Collis ton-
■ tum et non de civìtate vemlana vel saleruitana, modo ulìquo i^uos
• omnea et aitiguloa de Givitat« vemlana et ualeniitanorum pcnitus a
■ dictA tutela et prò tempore cura dictorum suorum Gliorum ac filia-
• rum exclusit ac privavit, quibuscumque in uontrarium facientibua non
• obatantibus • (Proteo, di Lodovico dì Pietro Taucredi, 1549- '50, e. 800).
{a> Ved- De» Mab&is, lib. cit., pp. 121 e segg. - Epitt. ri Orai, ec.,
lib, cit., p. 4a.
(i) AoHìo Poi™™ cit., p. laa.
(5) Epùl. 'A Orai, eo,, lib. cit., p. 30.
i
K LA 6UA 7AJHI01.U IK COLLE VAL D'bUSA
a prendere in senso stretto, ovverosia qnal una confessione
di miserabilità, nulla concedendo allo studio di riuscir ele-
gante, che nel Paleario, come negli Umanisti in genere
era uu partito preso Ìu tutto o per tutto. Scrivendo egli
infatti, poco di poi al medesimo Cincio, così si esprime :
« mandavi ìnterea Pterigo familiari meo ut domum et prae-
« dia, quae sunt in Hernicis vendat ; si emptorem non in-
« veuerit auctionem faciat : omnia milii abiicienda sunt
« potinsqiiam deserenda philosopliia. Venibunt servi, sup-
« pellex, feudi, aedes, omnia » (1).
A Pteiigo (xii aveva scritto : « cupio alienare bona
patema : domns honestata est snceessore uovo (2) ; dan-
« dnm est aliquid Alexandre et Basilio ; id nunc fiat :
suppellex nobis erat lauta ; bibliotbeca non vulgaris, con-
« cedatar iis » (_3). E perchè tali frasi latine, in lettere con-
segnate alla stampa, e con tal intendimento, se non scritte,
certamente corrette, potrebber aver 1' aria di contenere più
'ele^nza che verità, rimando i lettori al Testamento di lui
^tto nel 1539, che fornisce modo di apprezzarle per quanto
valgono (4). Tenendosi nondimeno alle parole soprariferite,
mi pare, che Ìl raccomandarsi che fa alla liberalità del Fri-
gepaue potesse muovere da altre cause, che non da miseria
assoluta, ed essere una specie di maniera di domandare un
imprestito. Può ben essere, che avendo il Paleario il patri-
lOnio costituito in immobili, si trovasse a eorto di contanti.
Allorché parti da Roma, e mentre era in Siena ; tanto ciò
fosse effetto dì poca misura nello spendere, o di rapacità
(i) Ibid., p. 23.
(2) Fu vcniluta a. Giovanni Martullo (ved. Epùt. et OnU. ec-, lib. cit.,
p. 29. - Des MiBiis, lib. eie, p. IG).
(S) QuaulunqDf! le lotterò di Aonio non portili dota, pure é evidente
\ ch« II! doe accennate son anteriurt al 1537, anno nel quale contrasse {.-li
I 0fOB9iii\ colla Guidetti. Sembra peraltro matasse divisamento per allora
% alla vendita de' beni di Veroli ; slanlwJi^ noi 1589 li possedeva tut-
tora, qualtnentu consta dal Testamento di quell'anni- ivcd. Docum. II.
(il Ved. DocQm. I.
8 AONIO PALBAIUO
de' parenti vemlani (1), o più probabilmente delle devasta-
zioni, ruberie ed altre enormezze, che ebbe a sofiHre il Lazio
intiero dalla guerra e djtl mal governo pontificio ripristinato.
Presa dimora in Colle, ed in procinto di ammogliarsi,
comperò con tre separati contratti in data de' 7, 12 e Vò
ottobre 1537 (2) case e terreni nel non distante Cercignano,
pagando poca somma in conto di prezzo, e gravemente in-
debitandosi pel resto (3).
Se 1' amor di appartaci ogni tanto per dedicarsi intie-
ramente agli studi gli SUggeri 1' acquisto mal cauto di quei
beni, non fa certamente estranea a ciò la tradizione, appe-
titosa per un umanista, e quasi romano, che essi avesser
appartenuto un tempo ad Aulo Cecina, e da questo appunto
quel territorio traesse il nome alla romana di caednnianum,
volgarizzato poi in Cercignano. La qual tradizione non ì-
screditata neppur oggi ; comecché nessun documento o ai-
(1) Ved. Epiit» et OrcU, ec., lib. cit., p. 90. - Sebbene lo lagnanze ge-
neriche contro i parenti, che si leggono nella lettera a Francesco Cam-
pana (ibid.) possan investire i consanguinei di Veroii, pure, perchè non
nomina nessuno, non è temerario ritenere che alludano agli affini di Colle,
tanto più perchè, lodandosi dell'aifetto e delle premure dei fratelli di Fran-
cesco, che erano in Colle, sembra voglia significare che in questi aveva un
compenso all'abbandono degli altri. £ verisimile ]X)i che i congiunti col-
ligiani non approvassero le brighe che Aonio accattava gratuitamente e
per imprudenza colle sue dispute scolastiche; brighe che mentre partori-
vano effetti sinistri sui suoi, potevano stendersi, e fors' anco si stendevano
sul parentado, timido per giunta e cattolico ad oltranza. Ammessa questa,
ragionevole ipotesi l'abbandono lamentato non si potrebbe riferire a fac-
cende pecuniarie ed economiche.
(2) Ved. Docum. II.
(8) Scrivendo a Pier Vettori così si esprime: « Emi superiore anno A.
« Caecinae villam quae fuit in agro volaterrano, ut libris com|)aratis in
« bibliothecam me abdercm : sed hoc ipsum aliter evenit. Nam cum mu-
« nicipes collini angustos fines habeant, emi Caecinnianum multo carius
« quam aestimaveram ; quare tametsi oa emptiune bene emisse dicar, op-
« pressus tamen ita sum aere alieno, ut (luam ad studia literarum enie-
« ram, ea villa maxime ab iis ipsis me avocot atque abducat » (Kjnst, ci
Orai, ec., lib. cit., p. 70).
£ LA SUA FAMIGUA IX COLLE VAL d' KLSA 9
gomento di &tto la suffiraghi (1). Nel di 11 ottobre 1537
fii rogato r atto di sponsali fra Aonio e Manetta di Ago-
stino di Piero Guidotti, e di Francesca di Alberto Ger-
boni (2), ambedue di Colle, in casa Guidetti (3), presenti e
testimoni Giuliano di Giov. Batista della Bena colligiano,
e il nobile senese Bernardino Filippo de' Francesconi « exi-
« mio artium et medicinae doctore » (4), con rassegno do-
tale di ff. 600 da L. 4 e s. 2 (5). Qiial che ne fosse la ca-
gione però, questa dote si trova chiarita all' Ufficio della
(1) Ibid.
(2) Francesca de' Gerboni era vedova di Bartolo di Giovanni Billi di
S. Gimignano (ved. Protoc. di Lodovico di Piero T., 1524, e. 14) e sposò,
indi a poco dalla morte del marito, Agostino di Piero Guidotti, a cui par-
torì Manetta e Pierfrancesco lasciati dal padre in età minore. Sembra che
Agostino ancora fosse vedovo quando sposò la Gerboni, ed avesse una figlia
tornata in casa perchè rimasta vedova essa pure (ved. Testam. di Ago-
stino e Onofrio di Piero Guidotti de' 90 ottobre 1527, Hog. Lodov. di Piero.
Protoc., 1527, e. 908>.
(3) Per la situaadone di questa casa, o meglio case in Golle ved. Archiv.
di Stato in Firenze, Catasto del 1427 « Golle », f. 211, e. 49.
(4) Ved. Protoc. di Lodovico di Piero T., 1537, e. «>5.
(5) Agostino con suo testamento. £eitto insieme col fratello Onofrio
rog. Lodovico di Piero Tancredi ai 9) ottobre 15*27 (Prot. del 1527,
e. 906} dotò la figlia Manetta in ff. 450. Venuta la madre e tutrice in
trattative del matrimonio di essa figlia col Paleario, sembra che questi
non si contentasse dell' assegno dotale lasciato dal padre. Il perchi> due
stretti parenti, cioè Giovanni di ser Antonio e Bartolommeo di ser Gi-
rolamo, ambedue de' Guidotti, si intromisero per aggiustare il negozio o
promisero che la dote, dai ff. 450, sarebbe elevata a ff. Gif): su di che Aonio
si qnetò. La madre e tutrice con atto de' 16 ottobre 1537 ai rogiti di Lo-
dovico di Piero Tancredi (Protoo. del 1537, e. 73) ratificò la promessa dei
parenti e si obbligò di pagar la somma convenuta di ff. 600, riconoscendo
e confessando che la legittima patema non era conveniente, attesa la con-
dizione dei tempi, e queUa della casa Guidotti « et maxime attenta qua-
« lìtate, virtutibus et mentis ipsius Aonii ejus viri » (ved. Docum. I). -
In virtù dell'atto de' 7 ottobre, anno stesso, rog. Simone di Gregorio di
Bramo Fulvii (Protoc. del 1537, e. 52) Aonio aveva dichiarato di ricono-
scere come pagati a lui e da lui ricevuti ff. 4(X) per la cessione fatta dalla
suocera ai frtitelli Albertani di una Golonibaiia e terre a S. Biagio valu-
tati tal prezzo, in correspettivo di alcuni beni da quelli venduti ad Aonio
ateneo iu Gerciguauo (veil. I>ocum. II).
10 AONIO PALEÀRIO
maggior Gabella, ossia de' Contratti, soltanto nel 30 ago-
sto 1638 (1). Ove prendesse casa appena celebrato il matri-
monio non si sa. E verisimile conducesse la moglie a Siena,
se vi fece ritorno (2) ; più verisimile si ritirassero a Cerci-
gnano. Casa propria in Colle non V ebbe fino al 7 ottobre
1538 nel qual giorno si procacciò in compera dalla Suocera
una camera nella casa stessa di lei pel prezzo di ff. 10 ;
essendo la Manetta più o meno prossima al parto, che fti
di Aspasia primogenita (3).
La volontà più volte espressa dal Paleario di disfarsi
dei beni di Veroli fix sicuramente tradotta in atto, incalzato
dai debiti come era, desideroso di restaurare ed abbellire
la villa, e costretto a spose, che gli procurava inevitabil-
mente la &miglia. Quando però questo avvenisse non son
riuscito a trovarlo nell'Archivio Colligiano. Le condizioni
poi di quello notarile di Veroli son tali, che il tentativo ne
sarebbe stato troppo lungo, e per la non molta importanza
della cosa, ingiustificato (4). Dal vedere per altro, che dal
1544 al 1547 fece più compere (5), e che nel 1546 revocò
(1) Ved. Gabella de' Contratti, Eegistro F, n.» 803, e. 110.
(2) Nel Costituto de' 20 dicembre 1568 (ved. Sommario del Processo
cit., p. 171) Aonio dico essere SO anni dacché era stato a Siena. Se, come
pare, si deve intendere questa dizione nel senso che da 80 anni avesse
lasciato definitivamente quella città, avremmo la data precisa del 1588,
anno in cui contrasse il matrimonio.
(8) Con istrumento de' 7 ottobre 1538, rog. Niccolò di Bernardo da
Picchena (Protoo. del 1583), Francesca vedova di Agostino Guidetti vende
ad Aonio Paleario « unum talamum sive cameram in domo dictonim
« herediim dicti Augustini ; qui talamus est illc qui est in saletta diete
« domus, cujus hostium respicit versus meridiem ; cui talamo ad 1.^ dieta
« saletta, ad 2.^ alius talamus versus occideutcm 8.® ortus diete domus
« 4.^ Johannis Marie ser Antonii de Guidottis, et subtus et supra dictorum
« heredum .... cum egressu et ingressu per hostium diete domus et per
« dictam salettam ».
(4) Ved. Deb Makais cit., p. 124.
(5) Con atto de' 14 aprile 1544, rog. Lodovico di Piero T., Aonio comprò
da Sandro di Silvestro Cif^a alcuni terreni nelle pertinenze di Cercignano
per ff . 30 (ved. Gabella de' Contratti, Be<?. F, n." 801, e. 198. Con altro
con un codicillo i lasciti a favore del nipote Alessandro, di
cui Y aveva onorato col testamento dei ÌS maggio 1639 (1),
8on indotto a ritenere, che le vendite, vogliamo pure ese-
guite a riprese, ebber luogo fra l'anno 1544 e i susseguenti.
Il fatto è che prima dell' agosto 1547 il possesso di Cerci-
gnano era una estesa tenuta, e di proporzionato valore, se-
condochè risulta dalla denunzia, che ei ne presento al Ca-
tasto colligiano innanzi quel mese (2).
Contuttociò la violenta persecuzione scatenatasi già
prima in Siena contro di lui fino a prender forma di popo-
lar sedizione (3} ; la conseguente sua fuga da quella città ;
e i danni inevitabili, che le tenner dietro, lo costrinsero a
cercar guadagno dalle aiie fatiche ; ed accettò in Lucca un
ingratissimo ufficio di pubblico insegnamento (4). Nel quale,
accettato i>er necessità insuperabile, prosegui a male in cuore
afflitto da ogni sorta di cure, da incomodi di salute, e dal
desiderio vivissimo di tornarsene in famiglia e vivere tran-
quillamente a Cercignano (Ci).
Q in' 12 novembre anno stesso, pei rogiti del medeaiino tioturo, acquistò
ft UonaMo di Iacopo da Picchena per S. 40 altre terre situate nelle per-
Inenu di Ceroignano (ibid., Beg. G, n.° 005, e. 9. - Con due aeparati
jnenti de' 18 settembre e 12 uttobre 154G, rag. Lodovico di P. Taucredi
er ff. 40 da Bartolommeo Barzi alcuni beni situati nella villa di
, e per ff. 90 altri da Aguatiuo di Menico in Guardavalle nelle
e dì Cercignano (ibid., co. SS e 40).
(1) Ved. Codicillo degli 8 giugno 1546 di Aonio di Matteo Paleari
1. di Lodovico di Piero Tancredi 15à8, e. 876).
(2) Ved. Dùcum. lU.
(S) Ted. De* M*riik cit., p. 55 in nota.
(i) In una. lettera a Bartolommeo Bicci insegnante a Ferrara (Epùt.
t Orai, eo., lib. cit., p. 153) scrive: •- scd cum mihi rea domi esset an-
■ gaatA, uxor laata, lilii splendidi, et propt«rea magnos sumptua incerem,
I mKOCnpavi prope me iis studila a quibns semper abhorrui. Nam cum
I Lucenses, Ijominee honeatissimi, propositis proemiis invitarent me sin-
■ gulonun diernm unius horae usura ad iuterprelandum, aocepi condi-
L tionem dnram mihi et nsperara, et vere etiam odiosam •.
{5} Ved. Kpàl. fi Orai, ec., lib. cit., p. 208. - Del desiderio di rìtor-
e fermarsi in Collo abbandonando Lucca e l'insegnamento, oltre la
12 AONIO l'ALEAKln
A Lucca si recò nel 1546 con stipendio di ff. 200 « et
« cum pensione domus :^. Ciò apparisce dai documenti pub-
blicati dal sig. Fontana, fin qui ignoti ; e ne parti sul finire
dell'anno 1564 (1), e nel susseguente ottenne a Milano l'uffi-
cio, che vi tenne per 13 anni continui (2).
Ove dimorasse nel tempo non breve fra l'abbandono
di Siena e l'andata a Lucca, come nel corto intervallo fra
la rinunzia all' impiego in quest' ultima città, e 1' assun-
zione dell' insegnamento in Milano, lo ignoro ; ne per ricer-
che fatte mi avvenne di istruirmene. E supponibile però,
che dopo la fìiga da Siena restasse nascosto qua e là
qualche tempo ; e quetata la tempesta, alternasse la sua di-
mora fitt Colle e Cercignano. Quando accettò 1' incarico a
Lucca doveva sicuramente essere a Colle da un anno almeno.
Vi abitavano da un anno appunto i suoi discepoli Bollanti,
ospiti della suocera di lui Francesca Guidetti, e dovevan
essersi ritirati colà, Aiorusciti di Siena e dallo Stato senese,
per aver da Aonio assistenza negli studi e cure paterne.
Egli difatti li lasciò in Colle partendone per Luc<ja ; ma
provvedendo alla loro educazione col mandare in suo luogo
Mons. Francesco di Ferrara ; perchè insegnasse loro e ne
avesse cura (3).
Negli anni nei quali restò in Lucca, altri beni comperò
entro la Terra di Colle e nel suo distretto, crescendo i de-
biti, e aumentando il dissesto patrimoniale ; stantechè, come
lettera a Pterigo sopra citata, fa testimonianza la domanda avanzata alla
Signoria di Collo (ved. Arch. Municip. di Colle, Provvisioni, Cod. n.<^525,
e. 185, Provvis. del 22 gennaio 1549) per essere {immp&<o ai pubblici ofizi
della Terra.
(1) Ved. Archiv. della r. SocieUì Ronuina di storia patria cit., 'p. ì&).
Ivi sou riportate dal Libro manuali decrelorum ducatus Iticensis la nomina
del Paleario a Rettore di umane lettere i)er 2 anni dal 1.** novembre 1546
al 1548, la conferma da quest' anno al 1551 e da questo al 1554, che fu
quello nel quale egli chiese di essere esonerato dall'incarico d'insegnante.
(2) Ved. Sommario del Processo cit., Costitut<j de' 1^> si»ttemhre 1568,
p. If».
(3) Ibid., Costituto «lei 2») dicembre 15<i8, p. M).
E LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL D' ELSA 13
resulta dai relativi contratti, le compere erano &tte senza
pagamento del prezzo, o al più con disborso di mal pro-
porzionati acconti. Nel 1547 acquistò pel prezzo di S. 400
la casa di abitazione in Colle da Girolamo di ser Giovanni
Paperini (1) ; e se tal compera non fu veramente provvida,
vuoi pel prezzo, vuoi pel debito che contrasse, non pagan-
dola, può essere scusabile, ripensando che, e V educazione
dei figli, e la solitudine di Cercignano gli &cevano quasi
una necessita di collocare in Colle la famiglia, nel tempo
almeno nel quale egli ne stava lontano. Da questa compra
al luglio 1552 non desistè da acquisti di terreno più o
meno spendiosi, e da inconsulte spese di abbellimenti alla
villa, senza denari, perchè, come confessa egli stesso, esausto
datile spese del siio mantenimento in città (2).
E fuor di dubbio che dimorò contento in Milano, e
anco sufficientemente retribuito, e, secondo il merito e la
(1) Ved. Protoc. di Lodovico di Piero Tancredi, 1547, e. 24(J.
(2) Con atto deU5 agosto 1547 comprò da Bernardino di Silvestro
Cigna di Campiglia un terreno situato in quella villa per ff. 10 (Gabella
dei Contr., Beg. G, n. 806, e. 46). Con altro atto degli 11 settembre 1548
acquistò da Leonardo di Bernardo da Picchena per ff. 130 un appezza-
mento di terreno a Guardavalle (ibid., e. 64). Parimente sotto di 28
aprile 1547 comprò per ff. 187 altro terreno in Guardavalle da Monna
Giulia vedova di Ser Antonio Guidotti e di Ser Niccolò di Leonardo Pic-
chinesi tutrìce de' figli di quest'ultimo (ibid., e. 78). Con atto de' 6 no-
vembre 1551 (ibid., e. 121) da Francesco Cigna di Campiglia acquistò per
ff. d5 alcune terre in Buliciano luogo detto il Mezato ; e con istromento
de' 81 luglio 1552 da Bartolommeo di Giovanni di Bartolommeo Cerboni
un terreno nella villa di Buliciano per ff. 120 (ibid., e. 187). 1 lavori della
villa, lV(a6titocii/Kf»i/ formante parte de' beni comperati dagli Albertani
(ved. Docum. II) e che Aonio per avventura immaginava essere stata la
casa di campagna di Aulo Cecina, erano di restauro ed abbellimento, sic-
come si ricava da una lettera a Pteri^o Gallo faccendiere (-K/jm^ et Ora*, ec.,
lib. cit., p. 164). Pterigo vi spendeva più che Aonio non gradisse ; e non
doveva esser poca spesa per meritare gli ammonimenti che gli fa (ibid.,
p. 166). Che spendesse poi senza aver denari disponibili, è chiaro dalla
lettera accennata, nella quale rispondendo a Pterigo stesso, che gle li ri-
chiedeva per pagare gli accollatari (redemptoreà)^ scrive curabo pecuniavi
(ibid., p. 166).
14 AOKtO PALBASIO
fama acquistatasi, onorato. Vi rimase infatti, fìnchè non
parti jier Roma eoli' intento di giustificarsi e difendersi di-
nanzi al tribunale della Inquisizione, con proposito e con
piena fiducia insieme di ritornare ; tal che lasciò in quella
città un sostituto nel suo ufficio (1). Vi fu un momento
nel quale avresti detto volesse fermavisi per la vita, sia
perchè con grande spesa sul finir del 1558, o sul principiar
del 1669 vi trasportò la famiglia intiera, ciò che non aveva
fatto in Siena o in Lucca {2), sia perchè si era impegnato
in acconciare una casa a sue spese per crescerne i comodi,
toltala in affitto per nove anni (3). Ma o spendesse così per
la solita sconsideratezza e mania di grandeggiare, o altre
cause Io spingessero, indi a poco rinviò la famigUa a Colle (4),
fece altri acquisti in Buliciano attigui ai terreni di Cerci-
gnano (6) e prese a murare di nuovo nella \'illa, e questa
(1) Dks Marais cit.p Docum. V, p. l'28.
(2) Ibid-, Docum. VI, p. 130. Che cosi fosse si può arguir con certeeBa
itili dall' ultiiuBi pnrte dell'Orazione in difesa propria dinanKi al Senato se-
nese {Epùt. et Orai, ce., lib. cit., p, DIG), sia dalla lettera del Casali ai
Quidotti (ibid., p. 202).
(3j Db» Uahais cit., p. 114.
(4) Questo rinvio dovette avvenir© entro l'anno 15(51 non più tordi.
Intimatogli sotto di 5 maggio 1666 dì recarsi a Roma, dopo aver rispoeto
uhe anderà, ospi'ime il desiderio di passar per Toscana, essendo da sette
anni lontano dalla moglie e dai figli. Nel Costituto poi de' 16 si^ttembre,
anno stesso, a<l analoga domanda risponde clie abita in Colle, ma che da
otto anni non è stato a uosa (ved. Sommario del Processo cit., )>p. 16T e 168).
(5) Per pagare acquisti fatti e non pagati, o comprare di nuovo, e
sopperire ai lavori che intendeva di eseguire, e poi esegui nella villa, spedi
denari da Uilono alla moglie. Essa invero con atto de' 13 maggio 196S
(Piotoc. di Lodovico di Piero Tancredi, 1Ì568, e. 156} istituì suoi procu-
ratori speciali Francesco Grazxini e Cesare di Bastiano Silvestrini di Colle
a riscuotere da Marabotto e Giovanni de' Buttici di Firenze ff. 54 d'oro
in oro, che essi dovevan pagare ad istanza di Aonìo Paleario suo marito
presentemente dimorante in Milano, Ai rogiti del notaro medesimo (ivi,
e. 159) la stessa Uarietta in data 21 maggio 1568 nomina suo figlia Lam-
prìdio mandatario ad esigere dal magnìf. Alessandro de'Bonvisi lucchese
B. cento d'oro in oro che questi deve pagare a Lei ad istanza di Aonio
Paleario suo marito presentemente dimorante in Milano. E in data de' 8
agosto, anno medesimo, la Marietta costituisce suo procuratore speciale
E LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL D'ELSA 15
volta non per restauri, ma per ingrandirla e renderla più
comoda (1). Dei quali acquisti e di quest' ultime spese, o
non godè al tutto, o per tempo breve ; perocché nel 1567
accusato, siccome ho detto sopra, dalF Inquisitore e poi ci-
tato a Boma, domandato a titolo di sussidio al Senato il
denaro pel viaggio e pel suo mantenimento in questa città
per la difesa (2), sulla metà del 1568 parti di Sfilano, ne
più vi fece ritorno. Chiuso infatti, nel carcere di Tordinona,
non ne uscì, che per andare al supplizio!
n 3 di luglio 1570, come è noto, fti giustiziato ; e morì
sereno; parrebbe anzi dalle lettere che scrisse qualche ora in-
nanzi, festante. Se peraltro dalle lettere alla moglie e ai figli
tutto ciò è manifesto, non è oscura neppure l' agitazione, che
lo angustiava per le infeUci condizioni economiche, in che la-
sciava la fiuniglia. Delle quali condizioni per avventura non
si rese conto mai durante la vita ; o fosse impotente a domi-
narle e metterle in regola; o fosse trascuratissimo della eco-
nomia, e inchinevole allo spendere e alla comparsa, d' ac-
cordo con tutti i suoi ; o perchè assorbito dagli studi, e dalle
dispute e meditazioni teologiche al governo domestico non
sapesse por mente, o non volesse porvela.
Cesare di Bastiano Silvestrini per riscuotere dal magnific. Alessandro
de' Bonvisi mercante lucchese ff. cento d' oro in oro, che a lei deve pagare
aUe richieste di Aonio Paleario abitante in Milano (rog. Lodovico di
Pietro Tancredi, Protoc. cit., e. 176). Con atto poi de' 10 agosto 1568,
rog. Lodo\'ico di Pietro Tancredi (Protoc. cit., e. 178) Cesare di Bastiano
SUvestrini Procuratore di Aonio Paleario in nome e vece di questo paga
ff. 210 a Paolo e Agostino di Francesco Cigna prezzo di beni comperati
in di 1.^ agostOf anno stesso ai rogiti del notaro medesimo (ibid.), e in
data de' 8 settembre 1564 sempre per conto del mandante Paleario com-
pra altri terreni a Buliciano da Lorenzo di Michele del Fabbro per ff. 90
(Gabella dei Contratti, Reg. H, n.*» 306, e. 169).
(1) La Signoria di Colle con deliberazione degli 11 agosto 1504 ( Archi v.
Hnnic. di Colle Valdelsa, Provvisioni, Cod. 581, e. QSf)) concede ad Aonio
Paleario « ob eius virtutes et singularem excf Uentiam » il taglio di quattro
travi nei boschi del Comune in conformità della domanda presentata da
lui a tal oggetto « volendo fare un poco di stanza comoda a Cercignano ».
(2) Dbs Mabais cit., Docum. Y, p. 128.
aotìopìuSak
.Sarebbe ingiusto però il concludere, che non fosse amo-
revole per la moglie e pei figli, non avendo prove ba-
stanti ; ma sarebbe leggera asserzione la contraria, che si
fondasse sulle lettere latine a stampa, specialment* su quelle
che furon pubblicate nel 155'2 (1). Qualche argomento, e
converso, avvalorerebbe il dubbio, che moglie, figli e con-
giunti non gli corrispondessero col debito affetto, e che per
conseguenza nella famiglia mancasse concordia e Gongiun-
zione di animi, E inverisimile non è, ripensandovi un poco (3).
Marietta Guidetti invero, allie\'a dello zio Onofrio prete,
educate le figlie in maniera, che una ai 15 o 11! anni prese
il velo (3), e 1' altra, maritatasi, fu delle amiche più care
di B. Caterina de' Ricci (4), non si giudicherebbe [Kitesse
andar di pieno accordo col marito, pubblico e costante vitu-
(1) È iiot« che le dette lettori;, se. non furono originalmente scritta
per la stampa, furon raccolte poi a tal effetto, f , ìnminxi di esser pnbbli-
i»te, corrette ; e chi può dire « non aiicbe rifatte ciuasi per intiero?
(ved. EpiU. ri Orat. ec., lìb. cit., p. 202 e Deb Mahaib cit., p. 85). Cert«^
ment« il Falearìu iease e indicò ove voleva fosse corretta la lettera di
Uarco Casali ai Ouìdotti (ibid.}> la quale potrebbe servir di testimoniui^
splendida dell'affetto di esso per la ruoglic, se l'arte non vi fosse troppo
manifesta. Si capisce da lontano che 1' intento ^irecipnu di cbi la dettò u
la corresse e la pubblicò fu quello di porgere un modello di forme eli»-
gautl, non di verità di espressioni. Basterebbe a ciò il notare, cbe mentre
vi è descritto il disidrato dolore di Aonio, persuaso che sua moglie tóme
morta, ed è dipinto come una vera frenesia, vi si riportano i versi latini
obe dettava in mesto a cosiffatte emanie! !
(2) Ved. nou 1. p. 8.
(S) Nel libro di Deliberazioni e Amministrazione del Mouaat^ro di
a. Caterina di Colle dal 16 marzo 15K) al 18 dicembre IG19(Arch. Munìc.
di Colle, Cod. 257) si legge in data 17 settembre lG5ù: . Li spettabili Ope-
• rai del Monastero cio^ Zacliaria Bertini, Francesco Bnuicri, Ser Fran-
• Cesco TTsimbardi, Mariotto Tornasi, Allaxandi'O Vivini, ossejite Piw
• Tancredi, per loro partito segreto di cinque fave negre accettamo in
. monache del Monastero di S. Caterina dì Colle secondo li ordini et in
• virtù'di qualunque loro autorità le infrascritte, cioè', Tita di Ser An-
■ tonìo Pichonì, Bartolomme» d'Alberto Macdali, Cassandra di Ser Lodo-
■ vico Tancredi; Bysabetta di Bortoloromeo da Pìeehena et Suffoniaba
■ di Ueei. Aonio Paleario >.
(4) Ved. Codrao dkll.i Bena, Op, uit., p. 17u.
A
rperatore degli ordini monastici, dei Papi e del Clero, e ri-
^ ìielle in molti punti alle dottrine della Cliiesa cattolica. E
I iàò tanto pili, perchè la ostinazione di Àonio in certe con-
r TOmoni, e la imprudenza di manifestarle senza riserbo,
lattavano a. Ini, comecché ingiustamente, amarezze, perse-
cuzioni e pericoli gravissimi ; alla famiglia danni economici
e conseguenti strettezze domestiche, e molestie, dolori e per-
turbazioni ad essa e al parentado.
Ragioni di economia sarebber sufficienti a spiegare il
Sitto del non aver condotto seco la feraigìia a Lucca (al
che r educazione dei figli, se non altro, parrebbe avesse do-
vuto consigliarlo), e condottala a Milano con molto dispen-
dio, a brevissimo andare l'avesse rinviata a Colle. Ma non
sarebbe arrischiar troppo il dire che in questo potè non es-
aere estranea la poca cordialità esistente in famiglia, e il
gradimento sia d'Aonio che della moglie e dei figli di star-
sene amici, ma lontani e ognun da sé.
Se e quanta paite avesse Aonio nell'educazione ed istru-
zione dei suoi figli non è noto, almeno con qualche sicu-
Eza (1). A parlar per congettura, non si potrebbe dire ne
(l) Il aig. Deb Mabais (lib. cit., p. Wi} [lubblicando una leUem, non
e d' onde tolta, di Aonio ni figlio Laiiipridio nella quale egli sì rallegra
agli studi di questo e del fratello, aggiunge ohe esso Aonio * nulla ri-
sparmiò onde provvederli di libri. Formò una copiosa biblioteca greca,
e wHiBe al ^ureoDnsnlto Vincenzo Portico, che lo aiutasse nella rac-
« K^tft dei legisti, facendogli trascrivere alcuni antichi interpreti di Di-
B.« ritto civile da luì solo posseduti e postillati >. Non ho che i»servare
HlptorDO a queste aBaerxioni, siouramente fondate hu documenti, che ebbe •
k mano il aig. Dbb Mabais, ed a me «twnoaciali. Noterò aolamente,
e gli studi dei due figli dovettero eascre assai elementari ; e che la for-
unone di una biblioteca professionale a que' giorni apparisce un po'af-
Pfrsttata, essendo Lampridio poco più che fanciullo e Fedro fanciullo ad-
i-dirittura. La lettera sopraccentiata è de! 1656; e ritenendo pure erronea
Il ,Ia nolitia che Lampridio fosse nato nel 1544 e Fedro nel 1648 (Ved. Libro
i Adi' EU de' Cittadini cit., lettere L e F) e conseguentemente retrotraendo
L-dì qualche anno le date, si resta sempre nei limiti della fanciullezza pel
6 pel primo sul confine fra quella e l'adoiescenEa. Non si deve
tiUmentìcare poi, che Aspasia nacque nel 1599 e Sofoniaba veniva dopo, e
I {«ce monaca nel 1566.
Ance. Stob. It:,
avesse, né molta, né continuata. Quando andò a Lucca eran
fanciulli, e seco non li condusse : a Milano li tenne forse
due anni, e già in età che 1' educazione loro era fatta, e
r istruzione profittevole appena cominciava. Se 1Ì educò la
madre in Colle, è agevole a figurarsi quanto strettamente e
artificiosamente. Alla istruzione a\'Tà per avventura prov-
veduto il grammatico Marco Casali tutto di casa Giiidotti,
e pedante secondo la stagione, sì che non resta difficile mi-
surarne 1' estensione. Non si sbaglia però nell' asserire, che
i figli non agguagliarono il padre nella cultura ; anzi non
gli furono nemmen proporzionati.
È poi sicuro che Aonio non si giovò dei figli nell'azienda
domestica, vuoi non ne avesse stima, vuoi mancasse fra loro,
come ho supposto, intimità, e reciprocità di sentimenti e di
voleri. Senza trattenermi sulla emancipazione, alla quale ac-
cenna nell'ultima lettera ai figli, che in ogni ipotesi implica
il concetto di separazione d' interessi, e di parziale renunzia
alla patria potestà, citerò un fatto per me significantissimo
su tal proposito; ed è questo. Allorché Pterigo Gallo, l'uomo
di fiducia e il maestro di casa del Paleario, sparisce uelle me-
morie che sono ari-ivato a raccogliere, compariscono via vìa
dei particolari mandatari ad negotìa di Aonio lontano, che
non son mai i figli di lui, neppur quando uno almeno era
in età più che conveniente, come nel 15(55. In data infatti
del 6 dicembre dì quest' anno Cesare di Bastiano de' Silver
strini procnrator generale di Aonio, tale da esso nominato
da Milano con atto de' 16 agosto 1566 rog. Omaccini notare
in quella città, non volendo, o non potendo più a lungo
sostenere tale incarico, se ne sgravò, sostituendo a se nel
mandato ad omnia et singvla GÌov. Maria di Mariotto Fran-
calaucia. Non è supponibile, che sifiatta sostituzione avve-
nisse senza il beneplacito di Aonio 8t«sso (1).
Non ebbi modo di raccoglier notizie di sorta, circa alle
premure della moglie e de' figli per alleviare la durezza della
(1) Protof.. .li Lciovico di PJel.n. TancrwJi, lórfi, p, il.
E LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL d'ELSA 19
prigionia di quell'infelice, e per aiutarne le difese e la libera-
zione. Nulla neppure ho potuto trovare, che mi permettesse
di congetturare quanto dolore arrecasse loro la iniqua con-
danna e con quali onori riverissero, o subito o dipoi, la me-
moria del marito e del padre. Mi giova credere, che moglie,
figli e congiunti non mancassero a cosi sacri doveri ; e che
il non averne incontrato documenti o accenni sia effetto imi-
camente di avvenuta perdita di questi o di insufficienti ri-
cerche da parte mia.
Aonio ebbe più figli, dei quali cinque certamente so-
pravvissero a lui ; due maschi e tre femmine. Li ricorda
egli stesso nell' ultima lettera ai figli più volte rammen-
tata: Lampridio cioè che morì due anni dopo (1) e Fedro
che continuò la famiglia, e visse più anni ancora. Delle
femmine una fu Aspasia sposata fin dal 1657 a Fulvio
della Rena figlio di quel Giuliano, che era stato testi-
mone degli sponsali del padre (2). U altra ebbe nome So-
fonisba, e si rese monaca nel 1565 nel monastero di S. Ca-
terina in Colle col nome monastico di suor Aonilla (3);
la piccola, da Aonio nella lettera sopraindicata raccoman-
data ai figli, che nata assai tempo dipoi alla monacazione
di Sofonisba, ebbe lo stesso nome, si maritò con Claudio
Forzi colligiano (4), della famiglia che si estinse più tardi
in' quella dei Dini. Costoro tutti, sopravvivendo al padre, po-
teron misurare intieramente la sciagura, che era piombata
su loro per la persecuzione e morte di lui e provarne, qual
(1) Nel libro de' Morti (Archiv. Munioip. di Colle, filza 25, n.° 11) pei
mesi di settembre e ottobre 1572, ai legge senza precisa designazione del
giorno ohe il Camarlingo dell'Opera del s. Chiodo diede « lib. 8 di cera a
« Fedro di M. Aonio Paleari per occasione della morte di Lampridio suo
« fratello ».
(2) Db8 Marais cit., p. 116 (Ved. p. 9).
(8) Yed. nota 8, p. 16, e Lettera d 'Aon io ai figli, ap. Deb Mabais
cit., p. 184.
(4) Proteo, di Ser Giovanni Bardi, Istrum. de' 22 settembre 1594;
Protoc. di Leonardo di Piero Tommasi, Istrum. de' 19 febbraio 1579, o. 98.
AONIO PALEARIO
più qual meno, le conseguenze tristissime. Lampridio stesso
che poco durò in vita, pur tanto visse da sostenere la sita
Ignota di guai, e da preveder quasi sicura la rovina totale
verso cui precipitava la sfortunata sua casa. La qual ro-
vina non trattenne la madre, ancorché cireondata da paren-
tela doviziosa e potente ; non Fedro, sebbene sposando
nel 1574 la Lucrezia di ser Achille Faleoncini di Volterra
non scarsamente dotata per que' tempi in ff, 1100 e di ca-
sata nobilissima e autorevole, giudicherebbesi avesse potuto
opporle un argine, o procurarle almeno una sosta (1). Fu
rovina incontrastabile ; anzi un precipizio violento.
Già nell'anno stesso 1570 i fratelli Lampridio e Fedro
alienarono alcuni terreni pertinenti alla patema eredità, e
non ^ malagevole il rendersi conto dei motivi che li co-
strinsero a farlo (2). Sollecito il Fisco inventariò il patri-
monio del givgihiato ; e raddoppiatisi i danni, Fedro e la
madre ebbero a disfersi di altre porzioni di beni (3), Avendo
(1) Mariettn Ouidotti vedova di Aonio mori sai finire del 1585. Si
legge infatti nel Libro de' morti cit., p*i mi^ di marzo e aprile lòSS-W
per prima partita del Oamarlingi) Giov. Batta. Albertani, ma senza giorno,
• Fedro Poleori per la sepiUtura di bua madre per Bcemodilib. una di oera»,
- La dote dì Lueresia Falcuncìnì fu chiai-iU in data 29 gitigno 16T4 come
reralU dal Beg. I della Gabella de' Contratti, a." 037, d. 1!)5.
<2) Con atto de' 15 febbraio 1570, rog. Lodovico di Piero {Protoc. del
15TO, e. 79) venderono un» casa in Bnlieiono per ff, 80 a Crialofano di
Oìrolomo e Sandro di Fiera di ìMontegabbro. Sebbene non abbia incon-
orte del padre e dorante in specie la prigionia
iforrei dir son sicuro che altre ne avvennero,
ie ricerche le date e i notori.
(8) Con due separati contratti de' 7 febbraio 1575, rog. Giov. Bordi
(Gabella de' Contratti, Beg. I, n." a07, p. laj) Fedro vend^ per ff. it90 a
Francesco dì Eiocio, e pur ff, 110 a Bartolommeo dì Ser Francesco Porri "
beni immobili nel distretto di Colle (ibid.). Nel 1Ì376 con atto cIp'6 luglio,
rog. Giov. Bordi vendè a Girolamo di Cristofano Bimbi di Montegabbro
un pezEo di terra in Canovina per ff- SB (ibid., e. ItìS). Nell'anno mede-
simo in data 8 e 15 settf^mbre, ai rog. di Ser Lodovico di Piero Tancredi,
vendè beni immobili nel distretto di Colle per IT. 404 (ibid., e. 160}. Con
atto de' 29 aprile 1678, rog. Lodovico di Piero Tancredi vend* beni im-
mubilì a Cerci^ano con patto risolutivo t:cr ff. VSlfì al Capitano Lui|(l
traUi vendite innonai la m
di lui, pure a conti fatti, '
sfuggiti alle n
però esso Fisco inventariato, da quello apparisce, più assai
di quanto le leggi gli consentissero, riiisci a Fedro, dopo
lungo e penoso agitarsi, e sopjiortando apese e danni ri-
levantissimi, ili rivendicare a favore ilplia madre e della
pìccola Sofoniaba le fioti loro e poca porzione di terreni
per conto proprio , ricomjtrauilone una parte dal Fisco
stesso, e un altra da privati foi-se cogli assegnamenti dotali
della Falooncìni, Ma non pagando o pagando acconti sol-
tanto o l' intero con denaro tolto a prestito (1), nel 1688
mori (2) lasciando ai figli una eredità sottilissima e debiti
Tolosaui (ìbid-, e. 185). Aì 19 febbraio i&7ìi con ittti-unicuto rog. dal not.
sti!B90 vendè un altra porzione dì beni in CeTcìgnano allo ^ttcEso Tolaaaini
pel valiw« di 8527 ff. (ibid., o. a»). Nel 1 ottobre 15H6 pei rogiU di Giulio
Ferrosi vendè a Q■io^'. Batta, di Pietro P<'llÌccio»i per ff. 200 un appezBa-
mento di terreno a Kabbiicciano (Ìbid., Beg. K, n." SXi, o. 8B). Con iatru-
mento de'27 luglio 1588, rog. Ferrosi (ibid., e. llOj vendi alcuni terreni
K Iacopo di Giorgio Martìnucci aitoati in Casilina pel preszo di ff, 180.
In questo modo Fedro dal 15 febbraio 1570 al 27 luglio 1588, ossia pochi
aieai innanid alla sua morte vendè pei valsente di ff. G19S, che seiiisa con-
tare le pertlitf' fatte ool Fisco, e i depreziamentì prodotti dalla oecassità
■via via urgente del vendere, rappresentavano l' intiero patrimonio pa-
terno e materno, e il valore dei bonificamenti operativi.
(1) In qual anno e in quali termini pi'ocedesse il Fisco all' inventario
dei b«ni del oiutfixiato non mi è nots. È oerto ohe l' inventario fu ese-
guito, che i Capìtaui dì Parte a cui Fedro ricorse sent«nEÌarono per uoa
Berta pondone di beni contro il Fisco, e che i malefici effetti di qneet' in-
vontarìo duravan tuttavia nel 1579 (veil. Protix^. dì Leonardo Tommasi,
1570, e. 91-»1-, Gabella de'Contratti, Reg- 1, e. 21»). In data de'6 dicem-
bre 15W con atte rog, Giov. Bardi, Fedro comperò una bottega in Colle 8."
del Piano per ff. 151) con patto risolutivo da Lodovico di Andrea Alber-
tani; e oon atto del Buccessivo 21 dicembi'e, rog. Qiov. Bardi stesso, com-
perai per ff. 7<f cou palio risolutivo parimente un terreno a S. Biagio (Ga-
bella de' Contratti, Beg. I, p. 222). Da lineato 8Ì potrebbe arguire che gli
orruffntti nfgozt col Fisco erano distrigati, od aveva assestati in qualche
modo i auoi ìnteresxi patrimoniali. Aggiungo perù che, o il patto rÌHolu-
o apposto u due contratti ricordati, o altra cagione lo foi'asosse lui
l'.Klìenarlii due lurcostanEe che non ho saputo appurare, è indubitato che
BtaK beni non arrivarono ngli eredi.
(S) Archi V, Municip. di Colle, Libro de' morti, filia 25, n." 11, in
Cdattt SS marxo I58S si legge: • Bedc di Fedro Parearì ebbero i Ceri pei
lorte del loi'o Padru -,
22 AONIO PALEARIO
in quantità, che questa assorbirono pressoché per intiero (1)
e posero a cimento quella eziandio della madre loro, che
non ebbero ad aspettar lungo tempo.
La vita di quest' uomo sventurato troppo lauta, per
avventura, e improvvida vivente il padre, fu, questo morto,
una lotta disperata ma tenace vorrei dir contro il destino
che pesava sul nome dei Paleari ; ma è meglio detto con-
tro una di quelle inesplicabili concatenazioni di cause e di
effetti, di contrattempi e casualità, che una volta forma-
tasi, né forza né consiglio umano valgono a rompere, e
neppure ad allentare.
Lucrezia Falconcini partorì a Fedro tre figli ed una
figlia, cioè : Lampridio, Costanza, Lodovico e Alessio, alla
morte di lui tutti in età minore ; anzi Y ultimo infente (2).
La madre, da quel poco che ho potuto conoscerne, mamtennc
pressoché integre le sue doti ; accrescendole o reintegran-
dole, mercé un legato di Alesso Baldovinetti fiorentino suo
congiunto. Comperò infatti con quello nel 1692 un campo
a Fabbricciano, contiguo ad un altro posseduto già dal ma-
rito ed ora dai figli, e acquistato forse coi denari dotali
(1) Con domanda de' 6 febbraio 1589 gli Eredi di Fedro invocarono
dal Comune una composizione pei debiti lasciati verso questo dal Padre
(Archiv. Municip. di Colle, Provvisioni, Cod. 541) ; e con istrumento de' 22
settembre 159J, rog. Giov. Bardi (Protoc. del 1594, e. 144) venderono la
casa avita e di loro abitazione per fif. 800 a Banieri di Francesco Benieri
per persona da nominare, che fu nominata con atto de' 29 ottobre, suc-
cessivo ai rogati del Notaro stesso (ibid., e. 166) in Pompeo di Francesco
Sabolini. In data poi de' 14 settembre 160S Lodovico e Aleéso di Fedro
Paleari vendono beni nel Distretto di Colle, luogo detto i Castellini a Co-
stanza Tolosani loro sorella per ff. 660 (rog. Giov. Bardi, Protoc. 16..f2-lfiOB,
e. 2ò) per pagar debiti.
(2) Nel Contratto di vendita della casa sopra citato (Protoc. di ser
Giov. Bardi, 1594, e. 144 e 226) i figli di Fedro son ricordati in questi
termini precisi quanto all'età; cioè: Lampridio di anni diciotto compiti,
ma non di venti: Lodovico di anni dieci compiti, ma non di quattordici ;
Alesso infante ; Costanza di anni quattordici. La vendita fu fatta per co-
stituire (cosi è scrìtto nel ccmtratto) la dote a detta Costanza, d'ammon-
tare fu vei'sato nella cassa del Monte di pietà di Firenze.
£ LA SUA FAMIGLIA IN CULLE VAL D' ELSA 23
di lei (1). Fra il 1692 e il 1594 Lucrezia mori (2), e innanzi
il 1603 Lamprìdio ancora ; seppure non spatriò, supposi-
zione che in mancanza di ogni notizia mi par poco accetta-
bile (3). Costanza lodata ai suoi giorni come un sole di bel-
lezza che
€ con raggio adorno
a quel ch'era nel ciel faceva scorno » (4)
nel 1602 era sposata già a Giovanni del Capitano Luigi
Tolosani ; il qual ultimo aveva comprato gran parte dei
beni di Aonio e di Fedro, compresa la villa di Cercignano,
l)resto alienati, se non in totalità, poco meno di certo (6).
(1) Gabella de' Contratti, Keg. K, n. 808, e. 102, Protoc. di Giov.
Bardi, 1592, e. 160.
(2) Nel 8 aprile 1592 essa era vivente, stante che in detto giorno com-
lierò il terreno accennato in Fabbricciano ; ma perchè nel 22 settembre 1594,
{giorno in cui fu venduta la casa dai iìgli di lei, pupilli tutti, essa non in-
terviene al contratto, è segno certo che era morta, tranne fosse passata a
nuove nozsse, ciò che non par possibile, avendo i figli poi a non molto
venduto il campo di Fabbricciano, proprietà, almeno in parte, di lei.
(8) Con istrumento de' 8 febbraio 1594, rog. Giov. Bardi (Prot. 1694-1596,
e. 80) Lamprìdio di Fedro comprò da Giov. M. di Marco dì Crìstofano di
Calcinaja per ff. 110 « unam domum cum omnibus suis resediis, rìducto
« affila, camera, lodia et omnibus sui:s Iiabìturis positam in civitate Collis
« in 8.^ Burgi prope S. Catharinam, cui ad 1 Via, 2 Francisci de Usim-
« bardis, 8 alia via prope moenia, 4 heredes Johannis M.*^ Puccinelli ». Questa
stessa casa con atto de^ 28 aprìle 1608, rog, Giov. Bardi (Protoc. 1602-1608,
e. 78) nella descrizione della quale è più chiaramente specificato il 3.^ con-
fine colle parole « via dieta di dietro iuxta moenia » si incontra riven-
duta per ff. 100 a Francesco Usimbardi confinante, da Lodovico e Alesso
di Fedro. Tal documento e la total mancanza di notizie intorno a Lam-
prìdio dal 1594 in poi, sembrano sufficienti a far concludere, che in
questo mezzo fosse morto e la casa di lui fosse i^ervenuta per eredità nei
fratelli.
(4) Dbs Marais cit., p. 117.
(5) Con istrumento de' 7 luglio 1582 (Gabella de' Contratti, Eeg. I,
n.® 307) il Capitano Tolosani permutò i beni di Cercignano, comperati da
Fedro e redenti dal Fisco con altrettanti dello Spedale degli Innocenti di
Firenze. Sembra da questo passassero senza intermezzo alla illustre fami-
glia Luci, che nel 1636 si incontra possedere in Cercignano (Lib. de'morti
24 ÀONIO PALEARIU
Rimasero Lodovico ed Alesso, ma uniti fra loro du-
rante r età minore, raggiunta la maggiore, si divisero, «
ciascuno per conto proprio, qual che ne fosse la causa, o vuoi
necessità economica, o vuoi risoluzione spontanea con spe-
ranza di averne vantaggio, venderono il pochissimo che
restava loro, fino alP ultimo e minimo residuo (1).
C!on la vendita che Alesso eseguì in data 4 ottobre 1604,
cit., settembre 1686, p. 188) mentre non apparisce vi possedesse innanzi.
Se cosi fu, è certo, che restarono in questa casata fino alla sua estinzione,
cioè fin ai primi del secolo presente, passando da questa nei sigg. Gem-
pini e finalmente nel sig. Arnolfo Facini, che possiede altresì un busto
del Faleario, che si conservava nella villa. Nel 1842 i fratelli Piero e Luigi
Conti Guicciardini, trovata presso V antica fonte dcU^ orto della villa una
pietra colla leggenda:
AONIA AGANIPPE
che fu già il cartello impostole dal Paleario (Ved. EpùL et Orai, ec., lib.
cit., p. 164 e segg.) la fecero trasportare e collocare nel loro giardino in
Firenze con la seguente memoria, che vi è tuttora :
QUESTA ISCRIZIONE
DATO NOME AL FONTE DI AONIO PaLEAKIO
DIMENTICATA E SEPOLTA PER TRE SECOLI
NELLA COLLINA DI CeKCIQNANO PRESSO GOLLE DI VaL D^ ElSA
RITROVATA DAI FRATELLI P. E L. DE' GUICCIARDINI NEL 1842
AD ONORE DI QUESTE ACQUE
FU POSTA MONUMENTO ALl' ILLUSTRE ED INFELICE
POETA FILOSOFO LETTERATO E MARTIRE DELLA FEDE.
(1) Con istrumento de' 28 aprile 1603, rog. Giov. Bardi (Protoc. del
1602-1606, e. 74) da Iacopo, detto Bocco, di Leonardo Dini comperò Alesso
di Fedro Paleari una mezza casa nel 8.*^ del Piano i>opolo di 8. Agostino,
luogo detto nelP Aringo, confinanti a 1.^ Alessandro e Bartolommeo di Ia-
copo Dini, a 2.^ Francesco di Piero Tommasi, a 8.*> Eredi di Agostino Dini,
a 4.^ Giovanni di Alessandro Dini con Tuso della scala ed altri suoi re-
sedii ed abituri per ff. 50 con patto risolutivo. Parimente con atto de' 29
novembre 1608 vendè la sua parte di beni a Fabbricciano a Fulvio Usim-
bordi per fF. 770 (Gabella de' Contratti, Beg. L, n.<> 809, e. 98). Allo stesso
Usimbardi vendè la parte sua di quei medesimi beni di Fabbricciano Lo-
dovico fratello per ff. 775 con atto de' 16 agosto 1603 (Gabella dc'Contratti,
Reg. L, n.<> 809, e. 89).
egli sparisce; non saprei risolvere, se per morte emigra-
zione, mancandomi ogni dato (1).
Ignoro se Lodovico avesse moglie: nessnn indizio no
ho raccolto frugando nell'Archivio di Colle; posto l'avesse,
della sua discendenza non rimangon memorie. Di lui che
visse ili Colle, questo si sa, che cioè si dedicò alle imprese
di conduttor di gabelle, traendo dai non grassi guadagni e
non nobili delle sue esazioni modo di campar la vita fin
al 1636 (2), anno col quale, o per morte a per partenza da
quella Terra, ogni notizia intomo a lui vien a cessare.
Così si spense o precipitò nella più cupa oscurità, e
si può congetturare nella miseria assoluta, una famiglia
illustre pel suo capo e per le jiarentele contratte in Colle
e fuori ; e se non ricca né agiata, perchè in continuo dis-
sesto economico, apparsa gran tempo tale, e sempre stn-
diosissima di parerlo.
Il cloro ignorante o maligno chiamò questa laL^imevole
sorte, che le toccò, vendetta Divina. Io mi convinco volentieri,
che i oberici dotti e pìi tacessero allora su tal proposito fin
(1) Con ÌHlrumento d«' 4 ottobre ItHW, rtjg. Gìor. Bardi (Protou. tlel
leOt-llKM, e. 1611) AlesBO Paleajì pel prezzo di S. 5'0 vrde la mezea cD«a,
gìfc comprRta il 28 aprile ilell'amio 1608 (ved. Dota 1, pag. precedente) coi
tliritti a lai spettanti, a Giovanni di Alessandro ds'Galaìneà oste (cok-
ponario) in Colle.
(3) Sembra cbe a siffatte iitjpreiìe si dedicasse nel 1B29, apparendo in
i|Uest'anDo per la priraa volta in data 25 aprile inscritto c«mo condut-
tore della gabella del [lasso delle bestie (Gabella de' Contr : Keg. U,
tk.* 810, e. 79j. Delle anteriori sue condizioni economiche, dopo la vendita
lidi' ultimo possesso, nulla si s^. Àbitnva nel 3.° del Piano fin dal 1G21,
eome si rileva da alcuni Indici di Registri delle Gabelle superstiti ai Bo-
. gistri at^si distrutti (ved. Indice del iteg. L, comune, e, 10; e del Beg. M,
», e. 277, 267). Nel liiUl (Gabella de'Conti, Eeg. St, n." 810, e. LUI
L O UO) si legge inscritto come conduttore di gabella del posso delle bestìi'.
1 TStA e febbraio 1(<82 6 parimente inscritto (ibid., e. 121 e 132) conduttore
wA\ gmbetld del [lasso della Selva e Boschetti; nel 20 ottobre 1G32 anco dì
1 qualla ilei vino t? vinello (ibid., e. I2G), e analmente in data 25 aprile 16M1
pai vede registrato per quell'anno e pel susseguente come di nuovo ooii-
I dottore della gabella del passo dello bestie (ibid., e. IKI).
2G AONIO PALKARIO
anco col pensiero ; e che oggi, aborrenti dall' insultare Y Es-
sere Sapremo attribuendogli una qualità, che equivale a
una bestemmia, imputino tanta sventura alla mano degli
uomini unicamente ; inetti forse ad impedirla, quali appa-
riscono i Paleari, scellerati tutti gli altri, che in qualsivo-
glia modo ne furon cagione.
Firenze. Francesco Dna.
Documenti.
I.
Testamento di Aonio PaleaHo fatto in Cdle di Valdelsa ai 18 maggio
1539 j Rog, Lodovico di Piero Tancredi {Protoc, 1537-1539, e. 390.
Item iure legati reliquit et legavit ejus dilectis loco filioruni
Fausto ac Acrisio fratribus carnalibus et filiis magn. viri domini
Antonii de Bellantibus civibus senensibus omnes suas observationes,
compositiones et scripturas spectantes ad linguam latinam graecaui
sive tuscam cum conditione quod casu quo ipse testator habuerit
filios masculos legitimos ac naturales tam ex domina Manetta de
Guidottis de Colle ejus legitima uxore quam ex alia quacumque
postèrius futura legitima uxore, ipsi Faustus et Acrisius teneantar
ipsis eius fìliis masculis et cuilibet eorum postquam pervenerint ad
aetatem annorum vìginti, si studiis litterarum vacaverìnt, et non
aliter tradere copiam praefatarum observationum expositionum et
scripturarura, memores quod ab ipso testatore eas acceperint, one-
rando in hoc eorum conscientiani, ac etiam velint ipsis ejus fìliis in
quantum poterunt favere, et illos diligere quemadmodum ipse testa-
tor praefatos Faustum et Acrisium filiali amore dilexit.
Item iure legati reliquit et legavit ut supra praefatis Fausto
et Acrisio de Bellantibus omnes ejus libros et scripturas tam in
stampa quam calamo scriptos cum conditione quod casu quo ipse
testator habuerit et reliquerit filios masculos legitimos et naturales
e quocumque legitimo matrimonio natos teneantur ipsos libros et
scripturas cunctas dictis eius fìliis restituere cum et quando erunt
aetatis annorum viginti et illi aut illis qui crunt dictae aetatis an-
norum viginti si studiis literarum iucubucrint et non aliter; salvis
et exceptis voluminibus ne tomis S. Angustiai libro epistolar
orationuin ipsioe testatoris et commentìg supra epiatolia
et actibus Apostolorum in heroico [sic) quae dare teneantur reverendo
Episcopo Anagnino domino Lucae de lohsnnìnis de Viilterria perpetuo
commenda (ario abbatiae Conei Vulterranae Dioeceseoa, qui reveren-
dus Epìacopus faciat ea correpte stampare et illia dum vixerit utatur
et post ejus mortem praefatis Fausto et Aorisio relinquat, restituenda
per ipsos eius tìijis ut supra nascituris et modia ac formia praedìctis.
Item iure legnti re!i<iuit ac legavtt Fausto pr&enoininato eìuN
medaglias statuas ac horolo^^imn.
Item iure legati reliquit et legavit Alexandro tilio Gyraldì de
Palearììs de comitatu Verulana omnia ejus bona immobjlia existentia
in civitiite et jurisdictione verulana et medietatem oinnium ejus lì-
bronim ibidem existentium, nec possit ipse Alexander nec Giraldus
«jus pater nec etinm Franciscus de Paleariis aut aliquis alius ejus
consanguineus aut atfinis de civitate Terulana aliquid petere habere
vel eonsequi de bonis ipsiua teatatoria exintentibus in terra Collis
Vollis Elsae et ejus jurisdictione aut alibi ubicumque in Tuscia.
Item iure legati reliquit et legavìt ut supra Basilio filio Oliver!
de Veralis et dominae Mariae sorori consobrinae dicti testatoris
alìara medietatem omnium ejus lìbroruin ut supra existentium in
Civita to verulana.
ttem jare legati reliquit ac legavit ut supra dominae Mariae
ejus sorori consobrinae praefatae omnia ejus bona mobilia et maa-
serìtias quaecumque sint existentin in dieta civitate et iurisdictione
verulana.
Item reliquit ao legavit dominae Mariettae filine olim Augustini
, de Gnidoctis de Colle et prnedilectae uxori ipaius testatoris dotea
s videlicet florenoa quadringentos ad rationem L. 4. solidos 2 prò
II, quolibet floreno per ipsum bucusque habltos et receptos, et florenos
4ucentoB Édmìles oidem testatori adluic solvpndos per dominam Fran-
L -tdscani matrein et Petruin Franciscum fratrem carnalem ipsius do-
I rninae Mariettae, prò quibus florenis ducentis eidem solvendia etiam
F- aunt obligati Johannes Maria ser Antonii et Bartholomeus aer lero-
l mmì de Guidottis de Colle prout in scrìpturis inde confectis contine-
I tur; quos florenos ducentos eidem dominae Mariettae reliquit ai et
> postquMn eos ipse testator vel alius prò eo exegerit et non aliter.
( Et ultra dictos florenos sesnentos, volens recognosrere bonam fidem
m AC dilectionem erga sa praefatae dominae Mariettae eiu«
[ nxoris et de ipsa esse benemeritum, et ut semper memoria ipsius
Ltestatorìs apnd illani vìgeat, praedi(?t&e domìnae Mariettae eius uxori
s legati reli<)uit ac legavit do bonis naia florcuoii ducentos similea
1
AONIO PALEARla
prò augunieiiU) eius dotìs, qui tlorsni octingenti in tolmii ut supra
relieti extrahi voluit dictus testator de ejus bonis Cercignaiti.
Itom in bonìs et de boDìs suis dotnvit Aspasiam ejus car&m
filiam ex se et dieta Manetta ejns uxore Datam in fioreutB ootin-
gentìs simìlibus, et in casu quo ipae testator non hnbuerit ex dieta
domina Marietta ejus uxore aut alia eius futura legittma axore iilìos
masculos vel alias foeminas; nani in tali casu quod ipse testator re-
liquerit post se in ejus morto filios masculoa aut alias foominati, tunc
voluit quod dos ipsius Aspaaiae sit florenorum sexcentoruia similium.
Et item dotavit Otiam omnes alias ejus fìlias tbeminaa legìptimns et
naturales ex se ut supra nascituras videlicet florenoa sexoentos prò
quolibet, et non ultra petere babere vel consequi possint dictae ejus
filiae in bonis suis qualibuecumque, cum conditione quod, deficien-
tibuH ipais filiabus sine filiis masciilis aut foeminìs, ttmc ratae dotiutu
quae restituendae essent de jure et ex forraa statutonim voluit illas
ratas roverti et jwrtinere ad infraacriptos ejus fìlioB aut baeredes,
ot deficieatibus filiis masculis, ad alios infraaorìptoa heredes ut infra
tam institutos quam substitutos.
In omnibus autem suis bonis mobilibus et ìmmobilibus iarìbns
Doiuinibus et actionibus exìstentibus in terra Collis aut ejus iu-
risdictione aut alibi ubicunique in Tuscia, et non in eivitate et ju-
risdictjone verulana modo aliquo, suos berodes universales instituit
ordinavit et voluit quoscumque eiua filios masculos legitimos et na-
tnrales nascituros ex ine et dieta domina Marietta ejus legitinia uxore
vel alia quaouinque eius legìtìma uxore futura et quemlibet eorum
prò acquali portione, substitiiens eoa cuiciinique vuigariter ac pupìl-
lariter et jwr Hdeicommissum, cum oonditione quod nihil possint
ullo umquam tempore dicti sui filli et baeredes petere babere vel
coDsequi modo aliquo de bonis qualibusoumque ipsius testatoris
esistenti bus
ditìone quod
et naturales
rentur, tune i
dinavit et es
t iurisdictione verulana, cum lege et con-
itor non rejiquerìt ftlios maaculo» legitimos
:t supra, vel sì dicti eius Hlii mascuLi nasin-
masculis vel foemiois legitimls et naturalibus more-
taiibus cnsibus solos baeredes univcrsales instituit or-
volait, ae dtctis suis fili! maaculia ut supra sino filiis
decedentibus subatitui baeredes universalcs pracfatos Faustum et
Acriaium et Petrinom eorum fratrem carunlem de Rellantibus et
quemlibet eorum prò aequali [xirtione, cum onere et oliligatioue
quod aint et esse debeant obedientes et obsequiosi eorum venerao-
dae matri dominao Cassandrae de Bellantìbus; aliter, si essent discoli
et inobedientcs praefatae eorum venernmtac mtitri et er||;a eam, tnnc
ipaa domina Cassandra eorum mater possii qunmlocrtiuque t-idem
E LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL d'ELSA 29
libuerit dictos ejiis fìlios inobedientes et quemlibet eorum inobe-
dìentem et discolam ut supra libere privare de haereditate et bonis
cuDctis ìpsìus testatoris, et talem haereditatem et bona sibi domina
Cassandra applicare et appropriare et penes se habere et velie suum
libere £Eu^ere quibuscumque facientibus in contrarium non obstan-
tibas, com conditione et obligatione etiam apposita quod casu quod
dicti Faostos Acrisius et Petrinus de Bellantibus sint sui haeredes
ut supra et dictam suam baereditatem habeant, teneantur de bonis
dictae haereditatis solvere domino Pandulfo eorum fratri carnali
scudos centum auri, quos scudos centum auri ipse testator in tali
casu eidem domino Pandulpbo jure legati reliquit et legavit propter
benevolentiam et amorem erga ipsum.
Tutores autem ac prò tempore curatores ejus filiorum et filia-
rum praedictorum reliquit ordinavit et esse voluit Laurentium do-
mini Bernardi de Pelliccionibus de Colle cum auctoritate ordinaria
extendenda cum clausulis opportunis et consuetis. Fideicommissarios
autem et executores eius praesentis testamenti et ultimae voluntatis
et omnium singidorum suprascriptorum reliquit fecit ordinavit et
esse voluit magnificum et nobilem virum D. Ambrosium de Span-
noccbis civem et patritium senensem, egregium virum Marcum Petrì
de Casalis de S. Geminiano terrigenam collensem grammaticae docto-
rem, et Petrum Franciscum Phìlippi de Cerbonibus de Colle, et quosli-
bet duos ex eis et quemlibet eorum super viventem, uno vel pluribus
mortuis, constituens eos et quemlibet eorum ut supra procurato-
res generales post mortem cum autboritate et mandato pienissimo
extendendo cum clausulis opportunis et consuetis.
Et hoc dixit etc.
Ai 29 agosto 1550 pei rogiti del notaro stesso (Protoc. 1549-1550, e. UDO)
Aonio già padre di 4 figli rinnovò il testamento, che non si riporta, per-
chè non presenta V importanza di questo sopra trascritto. Può dopo quel
che accennammo alla nota 2 p. 6, vedersi in sunto fra i Documenti riferiti
dal sig. Dbs Marais cit., p. 127.
n.
Compra della VUla di Cercignano,
Con btrumento de^ 7 ottobre 1587, rog. Simone Gregorii Brami Fulvii
(Protoc. del 1537, e. 52) stipulato in casa degli Albertani in Colle nel B.*»
del Castel vecchio popolo della Canonica, Bernardo e Venanzio di Alberto
di Mariotto degli Albertani vendono:
30 AONIO PALEARIO
. . . egregio viro Aonio quondam Mathaei Francisci de Paleariis
terrazano Communis et Terrae Collis unum praedium situm in ter-
ritorio Collis loco dicto Cercignano cum infrascriptis bonis.
In primis cum una domo prò laboratore cum suis habitoris et
pertinentiis sita in dicto loco sive villa Cercignani cum claustru ac
stabulis applicatis diete claustre cum uno petio terre or ti ve appli-
cato diete claustre murato ad siccum circum ea prò quanta est : cui
a primo die ti contrabentes dixerunt esse confìnantes ad 1"* platea
comunis infra dictos venditores et beredes quondam ser Aloysii de
Albertanis ad 2°^ dìcti beredes ser Aloysii ad 3™ via ad 4>° beredes
ser Aloysii in predictos confines vel alios siqui forent plures aut
veriores.
Item cum una alia domo seu babitaculo cum suis babituris com-
prebensis in dicto loco cui ad 1™ dieta platea ad 2"» et 3"» dicti
beredes ser Aloysii ad 4°* dieta claustra.
Segue poi V enumerazione coi relativi nomi e confini di otto appez-
zamenti di terreno formanti corpo del predio comprato. L'ottavo appezza-
mento denominato alla Piazza cosi è descritto :
. . . cum capanna murata cum paleis ad praesens in ea existen-
tibus et coboperta et stabulo, et cum uno petiolo terrae ortivae
applicato diete capanne unius quartinate in circa et prò quali€ate
ut est et muratum ad siccum circum ea, quibus omnibus ad 1 et 2
via ad 3 et 4 dictorum beredum ser Aloysii infra predictos confines
aut alios veriores.
Il prezzo di questa compera fu di ff. 1200 da L. 4 e S. 2, e mediante
permuta di beni facienti parte di dote della Guidotti situati a 8. Biagio
stipulata coli' atto stesso ne fu pagata in conto la somma di ff. 400, tanto
furon valutati d'accordo i beni di S. Biagio.
Con istrumento de' 12 ottobre 1537, rog. Lodovico di Piero Tancredi
(Protoc. 1587-89, e. 66) Bonaccorso del fu ser Niccolò Bonaccorsi assistito
dal curatore Lorenzo di ser Bernardo Pelliccioni vendè in unione allo zio
Leonardo d'Antonio Bonaccorsi ad Aonio di Matteo Paleari :
. . . medietatem prò indiviso cum beredibus ser Aloysii de Alber-
tanis de Colle domus praedii de Cercignano comitatus Collis cum suis
babituris juribus ac pertinentiis cum cbiostra orticello cum quodam
iicu sampiero, cum altero orto cum certis amygdalis.
E più otto appezzamenti di terreno ivi descritti pel prezzo di ff. 480
di cui pagò soli 250. In data poi del giorno appresso ossia del 18 ottobre
E LA SUA FAMIGLIA IN COLLE VAL D*ELSA 31
1537 con atto rog. dal notar© medesimo (Protoc. cit., e. 69) monna Brigida
figlia di Bernardino di Alberto Benìeri e vedova di Giovanni di Luigi
Albertani coi figli Mariotto e Antonio venderono al PalearioTaltra metà
della casa e degli otto appezzamenti per ff. 600 dei quali questi pagò sol-
tanto 290.
in.
[B. Archivio di Stato in Siena; Estimi antichi, Estimo di Colle, 1547,
e. 258» e segg.].
Denunzia dir Estimo dd 1547 dei Beni di Cerdgnano,
Aoniò Paleario ha gli infrascripti beni, videlicet:
Uno podere innella villa di Cercignano con chase, chiostra et
forno per uso dei lavoratori e con li infrascripti beni di terre:
Uno pezo di terra di stala dieci in circa posto alla Pieve,
cui a primo via che va alla Pieve a ij^ e Frullani a iij^ el
fiume de Fosci, stimato lire cinquanta lire 50.
Uno pezo di terra posto a Bipi di staia trenta in circa
boschata et soda da biada et da grano, cui a primo il tra-
getto che va a Buliciano a ij^ la Capella de la Nuntiata di
Pieve a iij^ la Chiesa di Buliciano, a iiij° Giovanni di Paulo
Gratini a v® e Fosci a vj^ la Badia di Coneo, stimato lire quar
ranta. lire 40.
Uno pezo di terra posta a solatio di staia trentasei, cui
a primo via, a y® Pasquino Cegna, a ìì'f Francesco di Goro
di Giovannino, a iiij<^ la via, a v° la Badia di Coneo, infra
le quali v' è staia sei di vigna, stimato lire trecento octan-
tacinque lire 385.
Uno pezo di terra di staia quattro loco decto il Campo
Bianchini, cui a primo via a ij^ Francesco di ser Baccio
Squarcialupi a iij** Francesco di Goro, a iiij° Pasquino Cegna,
stimato lire trentocto lire 38.
Item uno pezo di terra di staia dieci posto in Petro-
gnano che se ne lavora quatro staia et il resto pastura,
cui a primo via, a ij^ decti Beni, a iij^ Pasquino Cegna,
a iiij® Pino del Cegna, stimato lire quarantadue .... lire 42.
Uno pezo di staia diciotto in circa loco decto al Colto
di Casa, cui a primo via, a ij®, a iij<* et iiij^ via, a v<> la
Badìa, a vj® Pasquino Cegna, a vij^ decti beni, stimato lire du-
gento ventitré lire 223.
32 AONIO PALEARIO EC.
Uno pezzo di terra di staia quatro loco decto al campo
Manghettii cui a primo via, a ij° la Pieve di Sancto Ypo-
litOy a iij^ Giovanni di Paulo Gratini, a iiij® Kede di Sil-
vestro del Cegna a v^ Giovanni di Paulo Gratini, stimato
lire quindici lire 15.
Uno pezo di terra posta a bacio in verso Guardavalle
di staia quaranta in circa fra soda e lavorativa, cui a primo
via, a ij** la pieve di Sancto Ypolito a iij** il fossato, a iiij°
Eede di Salvestro del Cegna, a v^ Pino del Cegna, stimato
lire dugentocinque lire 205.
Item uno pezo di Terra posta al Campo a' fichi di staia
cinque in circa a solatio, cui a primo et ij^ la via che va
a casa, a iij° Monaldo di Jaoomo da Pichena, a iiij^ decti
beni, stimato lire cinquantocto lire 58.
Uno pezo di terra posta al Campo a l' aia con la valina
loco decto di staia undici in circa parte soda parte a grano
e parte a biada, cui a primo et ij^ la via, a iij^ decti beni
a iiij*^ Monaldo di Jacomo da Picchena a v^ la chiesa di
sancto Ypolito, stimato lire cinquantocto lire 58.
Uno pezo di terra di staia tre loco decto il Bacio,
comprò da Dino da Pichena, è uno Vs staio di terra, cui a
primo la chiesa di sancto Ypolito a ij" il fossato, a ìi^ beni
di messer Aonio stimato Uro diciassette lire 17.
Uno pezo di terra posto loco al campo a' Bianchini di
staia dodici a grano, cui a primo via, a ij° et iij^' messer
Aonio, a iiij^' Pasquino Cegna, a v^ la Badia di Coneo sti-
mato lire novanta tre, comprò da Francesco di Goro . . lire 93.
Uno pezo di terra comprò da Santi di Salvestro del
Cegna, come apparisce a libro del contado e. 92 et e. 65 di
staia . . . loco decto . . . confini . . . stimato lire trentotto . lire 88.
LETTERE
Facendo alcune ricerche nel nostro archivio di casa Nic-
'. mi sono vennttì fra mano parecchie lettere dirette a
■ Otto Niccolini e ad Agnolo suo figlio, la cui piib-
snone credo possa essere non disutile alla storia. Pubblico
[Bttanto (profittando dell'ospitalità concessami dall' j4i'cA/rM)
wico) una serie di lettere di Piero di Ck}simo dei Medici,
orbandomi di fere la pubblicazione delle altre più tardi.
Otto Niccolini nacque iiell' anno 1410 ; scelse la pro-
fessione giuridica nella quale si procacciò bella fama; ma
ciò che lo rese più illustre furono le ambascerie a lui adi-
date dalla Repubblica Fiorentina. Andò più volte a Koma
e le lettere qui pubblicate furono indirizzate a luì da Piero
ile' Meilici mentre si trovava alla corte del Papa Paolo II
negli anni 1467, 14G8, 1469. Ebbe vari uffici nel governo
dfiUa Repubblica e fìi Gonfaloniere di giustizia nell'anno 1458.
I
^^B Neil' anno 1466, fallita la congiura di Lnca Pitti, Bie-
^^ubItì Neronj, Kiccoló Soilerini e Agnolo Acciainoli contro
^^H>FQ de' Medici, i congiurati esiliati da Firenze indussero
^^Brtolommeo Colleoni da Bergamo a prendere le armi in
t!*i/go tavore. Avevano 1' appoggio segreto di Venezia, e con
Abcii. Stob. It., 5." Serie. — SS. a
essi stavano Alesaandro Sforza di Pesaro, Ercole d' Este e
alcuni altri signori italiani. La Repubblica Fiorentina si enra
alleata per combatterli con Galeazzo Sforza Duca di Milano
e con Ferdinando Re di Napoli, prendendo come capitano
generale il celebre condottiere Federigo di Montefeltro, conte
d'Urbino. I due eserciti s'incontrarono alla Molinella in Ro-
magna presso Budrio il 26 luglio 1467, ma l'esito del com-
battimento rimase incerto. Dopo questa battaglia Borso
d' Este Duca di Modena imprese a trattare la jiace, facen-
dosi mediatore fra le potenze d' Italia, come già più volte
avevano fatto i suoi antenati. E prima di tutto ottenne
che si facesic una tregua di venti giorni affine di guada-
gnar tempo per le pratiche. I Fiorentini al pari dei loro
alleati erano stanchi di una guerra dispendiosa e senza frutto
e desideravano la pace; ciò nonostante, non fu facile a Borso
di riuscire a concluderla. Le difficoltà dell'accordo consiste-
vano principabuente nel rimborso a Bartolommeo Colleoni
delle spese fatte durante la guerra e da lui richieste, e nella
restituzione dei fuorusciti a Firenze. Tutti gh Stati si op-
posero a pagare un'indennità a Bartolommeo, e Piero de'M©-
dici ai mostrò risoluto a escludere dal trattato qualunque
condizione favorevole ai fuorusciti.
Ma durante le trattative la quiete non regnava affatto
in Italia. Per le fatiche durate nella battaglia della Moli-
nella, Bartolommeo CoUeoni, essendo già vecchio di 76 anni,
si ammalò gravemente di febbre, tanto che si temeva per
la sua vita. Cominciando i soldati del campo a tumultuare,
fu mandato dalla Signoria di Venezia Geronimo Barbarigo
come Provveditore per ristabilire 1' ordine. Infatti egli oon
buone promesse riusci a quietare i soldati, e Bartolommeo
si riconfortò tanto che guari in pochi giorni ; mentre il Bar-
barigo per lo strapazzo del viaggio moriva a Ravenna, nel
mese di settembre. Marco Corner fa mandato da Venezia
a sostituirlo. Al suo arrivo cominciarono veramente i pro-
parativi di guerra, sospesi fìno allora per la malattia dì
Bartolommeo, e perchè pareva imprudente di muoversi es-
A OTTO NICCOLINI 35
sendo la gente della Lega ingrossata assai. Le forze di Bar-
tolommeo erano ridotte a 3000 cavalli scelti e 3600 &nti,
ma la presenza del provveditore Corner aggiunse tale pre-
stigio al Capitano, che, col pretesto di andare ai quartieri
d'inverno, fatte provvisioni sufficienti per quattro giorni,
si mosse una mattina prima del far del giorno, con la sua
gente per andare nella valle di Castrocaro ; giunto a Mo-
digliana, se ne impadroni al primo assalto, e continuando
la sua via, a due ore di giorno piantò le artiglierie contro
la Bròcca. Abbattuta una gran parte del muro, gli assediati
verso sera furono costretti ad arrendersi. Ma vi fti prima
una lunga contesa : perchè Bartolommeo voleva che si ar-
rendessero ai ftiorusciti fiorentini, i quali erano al campo ;
mentre essi volevano darsi in mano al Provveditore ed es-
sere accettati a nome della Signoria di Venezia. Il Corner
si ricusò di ferlo, ed essi furono costretti ad arrendersi al
Capitano, il quale prese anche i castelli di Dovadola, Bu-
bano, Bagnara e Mordano (1).
Ai 10 di novembre venne la notizia a Firenze che Bar-
tolommeo Colleoni aveva occupata Dovadola (2); e i Fioren-
tini, temendo che il Capitano e il Provveditore di Venezia
si avanzassero di più ed entrassero nel piano di Firenze, man-
darono dei fanti ad incontrarli per le Alpi di Mediano (3),
e scrìssero al Duca di Milano, cercando di indurlo con grandi
promesse a muoversi contro Venezia per la via di Ghiara-
dadda nel territorio di Brescia. Dopo essere rimasto incerto
sol da farsi per qualche giorno, il Duca si ristrinse a do-
lersi della condotta della Repubblica Veneta con Giovanni
G-onnella, inviato della medesima, che s' era fermato a un
castello del Novarese per visitarlo, ritornando da Genova.
Ghaleazzo disse che la Lega aveva 40.000 uomini a sua di-
ci) MALiPiEao, Annali Veneti nell'Archivio Storico Italiano ^ Voi. VII, p. 220.
(2) Ricordi fiorici di Filippo di Cino Rinuccmi dal 1282 al 1460 colla con-
UrtMOzione di Alamano e Neri suoi figli fino al 1506 (Firenze, 1840), p. cviii.
(8) Coel sta scritto negli Annali succitati del Malipiebo.
3G LETTERE DI PIERO DI COSIMO DE' MEDICI
sposizione condotti dai più famosi capitani e denaro in ab-
bondanza, e che egli dal canto suo, se i Veneziani lo spin-
gevano alla guerra, era pronto a passare l'Adige, entrare nel
Bresciano colla sua gente, ed attaccarli &a nel cuore del loro
paese. La Signoria di Venezia, per mezzo dell'Ambasciatore
Milanese, rispose alle rimostranze del Duca, che desiderava
fermamente di stare in pace con tutti, protestando di aver
agito sempre con moderazione (1).
Intanto giunsero lettere del Duca G-aleazzo e del Be
Ferdinando che chiedevano alla Signoria di fare restituii-e
le robe dei Fiorentini prese al principio dell'anno dal ca-
pitano veneziano Lorenzo Loredan su quattro navi anco-
nitane provenienti da Costantinopoli. I Fiorentini avevano
chiesto parecchie volte invano la restituzione di queste loro
mercanzie, e i Veneziani che fin allora avevano temporeg-
giato, spinti dalle lettere ricevute e dall' insistenza dei Fio-
rentini, si risolvettero finalmente a fare il processo, il re-
sultato del quale condusse alla deliberazione che le navi e
le robe fossero lasciate libere : di che i Fiorentini rimasero
grandemente soddisfatti, vedendo in ciò manifesta la buona
volontà dei Veneziani, e quindi resa più facile la conclu-
sione della pace.
Ciò nonostante il tempo passava in trattative e in mar-
cie e contromarcie senza risultato definitivo, e Borso d' Este
si occupava della mediazione con poco profitto.
Papa Paolo II, che non vedeva di buon occhio l' in-
tromissione di Borso, volendo sempre condurre da sé le pra-
tiche di pace, aveva chiamato a Boma Otto Niccolini. La
Signoria lo mandò dunque nel luglio del 1467 per trattare
liberamente della pace e deUa lega, facendo quello che gli
paresse giovevole alla quiete e alla pace d' Italia (2). Le pro-
(1) Malipiero, op. cit., p. 224.
(2) Ved. Lettere dei Dieci di libertà e pace del 9 ottobre 1467 e del 9
gennaio 1497 (stile fior.) indirizzate a measer Otto Niccolini, nell'Archivio
Niccolini.
^H A UTTO NICCDUHI 37
Rpoete del Papa peni Don furono tutte di carattere pacifico :
rdi&tti, quando Bartolonuneo era malato, voleva unire Ìl
Isno esercito con qiitllo della Lega e miirciare contro Forlì e
K-Faeuza (1), suggerimento che non incontrò il favore del
■'Goute d'Urbino e del Duca di Calabria, capitani della Lega (2),
fri Fiorentini dal canto loro, ansiosi di concludere la pace,
' non avevano riguardo ai mezzi e ai modi che usavano per
ottenerla ; nello stesso tempo che conducevano le pratiche col
Papa, trattavano con Borso d' Este, e non riusf'endo con lui
si servivano di Tonunaso Sederini a Venezia.
Al Papa dispiaaiue che la tregua fosse conclusa da
iJorso, e inoltre non ei-a contento che questi fosse cosi d'ao-
fetoordo coi Fiorentini. In un colloquio che ebbe con Otto
vlfficcolini (3) espose le ragioni che aveva di dubitare della
ft iniona fede e della capacità di Boifio, aggiungendogli di
avvertire i Fiorentini che se il Duca di Modena e i Vene-
i trovassero uniti potrebbero un giorno dividersi fra
rllDro l'Italia, e che Borso in realtà operava molto jiiù che non
tv divedei-p. Il malcontento del Papa si accrebbe quando
Laeppe che Tommaso l^derini si occupava dei negoziati presso
ViSa Bepubblica di Venezia, e non mEincò di esprimerlo ai Fio-
ntini per mezzo del loro oratore. I Dieci rifiutarono ogni
rieeponsabilità sul procedere del Sederini, rispondendo che
E*],nesti Bvev.i solamente l' incarico di chiedere la restituzione
P delle robe appartenenti ai mercanti Fiorentini con expvesxa
\tommiitintme di non parlare di alcuna altra com. Inoltre ri-
I poterono ohe sempre itvevan voluto la pace e che non uve-
lavati avuto speranza o desiderio in altro maggiore che in
a Santità (■}). U autunno passò in trattative inconcludenti:
1 governo di Firenze si lamentava che Otto perdesse ina-
{1) Xiettero dei Dìm'Ì, 2fì ugoatn llilT.
(2) Lettene dei Dieci, seiteuibre 1467.
(S) Umloria dt Prineipì di Fata di Gio.
Q otuvo, pp. 5ee. sari).
HI l^Ucrii liei Dieci dui 21 iwvenibn;.
tilmente il tempo a Roma e lo richiamò più volte a Fi-
renze, ma il Papa non volle mai lasciarlo partire (1). Final-
mente non solo i Fiorentini, ma il Duca di Milano e ì!
Ee di Napoli, loro collegati, si stancarono di tante vane
pratiche, e vi posero termine fissando come limite la fine
di febbraio (2). La risposta del Papa non si fece molto at-
tendere ; il 2 di febbraio, giorno della Candelaia (1467 stile
fiorentino) egli impose la pace mediante la acomiinica. La
bolla fa pubblicata a Boma nella chiesa di Ara Coeli dopo
la messa : in quella il Papa ordinava che la pace dovesse
essere accettata nel termine di 30 giorni; che l'antica Liega
fosse rinnovata includendovi anche ^'enezia; che ognuno
riprendesse quello che aveva prima della guerra ; e che a
Bartolommeo Colleoni fossero pagati 100.000 fiorini d'oro
per la impresa in Albania contro i Turchi, contribuendo
alla spesa tutti gli Stati d'Italia e offerendosi il Papa stesso
di darne la parte sua (3). La bolla fu accolta dai potentati
con generale malcont€aito ; e solo Venezia, sebbene non si
curasse di entrare nella lega, per deferenza al Papa accettò
le condizioni imposte. Tutti gli altri Stati protestarono, ar-
mandosi e preparandosi sempre più alla guerra, mentre il
Papa sdegnato minacciava tutte le censure ecclesiastiche
contro i disubbidienti. Alla fine dopo lunghi contrasti le
condizioni vennero in parte mutate, in modo che i Colle-
gati non fossero obbligati a pagare danari a Bartolommeo
Colleoni; e, annidlata la bolla antecedente, la pac« fa no-
vamente pubblicata a Roma nell'aprile del 1468 con grande
gioia dei Fiorentini (4).
Bla non per questo ebbe termine la missicjne del Nicco-
lini presso il Papa. Sebbene tutti gli Stati avessero consentito
(1) Lettera dai Dieci, 9 gennaio 1467 (stile fioreatino).
(2) Ldtteru dei Dieci, 27 gennaio 11<!7 (stile fiurentino).
(S) U^tiPiBito, Annali Vimttì nell' Arthìno Storico llaliaiio, Voi.
). 231, 282, 233.
(4j ElKUCClBJ, 0|>. cit,, \: CXI.
A OTTO NICCOUNI 39
alle condizioni imposte, i castelli non fìirono restituiti a
quelli a cui appartenevano prima ; e poiché i Fiorentini
volevano riavere Dovadola, Otto rimase a Boma per insistere
presso il Papa acciocché facesse rispettare tutti i capitoli
della pace (1). In fine nel luglio, con buone speranze di un
sollecito accomodamento, egli ritornò in patria dopo aver
passato un anno a Boma.
Nel luglio del 1469 era di nuovo in Boma, incari-
cato di dissuadere il Papa dal muover guerra a Roberto
Malatesta (2), il quale come figlio naturale di Gismondo
Signore di Rimini aveva preso possesso dello stato paterno. H
Papa invece pretendeva che per mancanza di prole legittima
quello Stato ricadesse in potere deUa Santa Sede (3). L'ultima
lettera di Piero scritta nel 1469 si riferisce a questa missione.
Li interesse principale delle lettere di Piero sta nella
luce che gettano sul modo col quale già effettivamente i
Medici governavano Firenze. Queste, che fanno parte della
grande corrispondenza tenuta da Piero cogli ambasciatori
dei diversi stati, senza perdere il carattere di lettere scritte
da un semplice cittadino ad un altro, sono di &tto vere
istruzioni da Principe. Ciò che l'Ammirato dice di Cosimo,
cioè che « facendo con l' opere e con gli effetti cose da prin-
<3c cipi non trapassò mai il grado di privato cittadino »,
si potrebbe ben ripatere di Piero suo figliuolo. La lettera
del 7 aprile 1468 specialmente determina la sua attitudine.
Mostrandosi maravigliato che gli ambasciatori gli chiedes-
sero consigli, protesta che non potrebbe né vorrebbe fer
nulla senza V ufficio dei Dieci : pure per contentarli scrive
una delle sue solite lettere di suggerimenti e d'istruzioni.
Questi documenti ci porgono altresì l'occasione di studiare
il carattere di Piero, di quel Piero offuscato nella storia
(1) Lettere dei Dieci del 5 e del 7 luglio 1468, nelPArchivio di Stato,
Signori, Legazioni e commissarie, Begistro 16.
(2) Istruzione agli Ambasciatori del 7 luglio 1469, nell'Archivio di
Stato, Signori, Legazioni ec., Registro citato.
(3) Scipione Ammibato, Istorie Fiorentine, Parte seconda, libro 28, p. l^*5t
40 LETTERE DI PIERO DI COSIMO DE' MEDICI
daUa gloria del padre e dallo splendore del figlio, e poco
conosciuto anche dai suoi contemporanei che non ebbero
tempo di giudicarlo (1), essendo il suo potere durato solo
per quel breve tempo che sopravvisse al padre. Campeggia
in essi la figura di un uomo accorto e di sano giudizio,
con una buona dose di quell' astuzia tanto caratteristica
degli uomini eminenti del Quattrocento in Italia, che è,
secondo il Machiavelli (2), una qualità soprattutto necessaria
per chi vuol governare (3).
Firenze. Ginevra Niccouni.
I.
1467, dicembre 21.
Magnifica eques tanquam pater honorande. Questa mactina, a
hore 18, ho la vostra de' 16 a bore 22: a duo parti substantiali
farò risposta. La prima, della buona volontà del Papa, et quanto Sua
Sanctità ve* baveva decto circa la pace; et pare molto ragionevole et
conveniente che la Sua Beat.'^^ sia bene disposta alla pace, et si per
Phonor di Dio et si per Phonore et utile del mondo: aspecteremo
gli efiPecti, né dalla Lega resterà venire a pace bonesta et sicura.
La seconda parte è più brieve né richiede risposta, perchè solo dite
essere chiamati dal Papa et che aviserete della cagione ; et questo
aviso, per mezzo del protonotario Eoccha, questa mactina habbiamo
havuto da Filippo Strozzi; et per esso intendiamo il Papa bavere
risposta da Vinegia di quanto cernisse a Giovanni Sovranzo (4), et
(1) Opere di Niccolò Machiavelli (Filadelfia, 1796), to. primo, pp. 443
e 444.
(2) Machiavelli, Op. cit. Il Principef p. 40.
(8) Alcuni brani di queste lettere riferisconsi ad afiari di benefìzt ec-
clesiastici: sebbene non abbiano che fare con T argomento principale del
corteggio, sono anche esse interessanti come saggio dei costumi del tempo.
(4) Il Papa aveva incaricato Giovanni Soranzo d'informare la Signo-
ria di Venezia e PAmbasciatore fiorentino che là si trovava che le trat-
tative di pace erano già avviate in Boma, e che egli stesso era pronto a
comporre tutte le differenze ; e voleva sapere se erano contenti di questo.
- I Dieci di Balla avevano scritto il 2G di dicembre 1467 a Otto Niccolini :
« Intendiamo le domande di Bartolomnieo essere tanto fuora di dovere
.« che non si couveughono essere riferite uè scripte al Papa ».
A OTTO NICCOLIXI 41
infine come e'Vinitiani sono contenti f&re pace et in essa interve-
nire come principali, et la richiesta di Bartolommeo essere alquanto
modificata. Et benché io sappia che per vostra prndentia voi siate
a casa et a bottega, et de'facti dello stato havete l'occhio al pen-
nello, come quello che vi toccha, pure per mio scariche et che mai
si possa dire non habbiate preso e' passi a buon' ora, vi certifico che
de'facti d'usciti né di dare danari a Bartholomeo per nulla si rar
gioni, né a tractato o pratica di pace si verrà sanza excettuare
queste duo cose; perchè né l'uno né l'altro merita se ne tenga ra-
gionamento, né de'facti nostri della città non sia alcuno che ne
voglia più che noi medesimL Tenete bene alle mani, et delle duo so-
pradette cose taglate ogni ragionamento: facendovi chiaro che la
Maestà del Be et la Excellentia del Duca di Milano ne l' una cosa e
ne l' altra non hanno manco interesso di noi, et vedrasse per effecto.
Lavorate et adoprate e' ferri vostri, come, quando, et con chi, bisogna,
acciò che in sul £Etcto questa difiicultà sia tolta via né se n'abbia
a ragionare. Dell'altre cose saremo d'accordo, né per noi né per
tucta la liCga mancherà che a pace si venga; et voi, bench'io creda
di tucto harete avisato, conforto a non rispiarmare le spese d'uno
fante ne le cose che importano, come tucto di può scadere. £t sopra
tucto vi ricordo non vi lasciate torre tempo né empiere di vane spe-
ranze, perché siamo in su'provedimenti; et a Milano, come harete
sentito, si debbo pigiare determinatone della guerra, della quale
costi si tiene non habbia a essere in Lombardia : et tal credentia fa
molto per noi, perché volendo fare buona botta vuol giugnere a uno
tracto el tuono et il baleno. Noi siamo in conclusione ben disposti
alla pace ma non manco alla guerra, sperando che Dio aiuti chi ha
ragione. Né altro. Racomandomi a voi. Florentie, die xxj decem-
bris lièi, bora xx.
Petrus de ) ^
f COSME FILIU8.
Medigis )
{Fuori): Magnifico equiti tanquam patri honorando domino Octoni
de Niccolinis oratori [fiorentino] apud Summum Pontiiìcem.
n.
1467, goimaio 2.
[Magn]ifice eques tanquam pater honorande. Io ho avute più vo-
stre lectere, et l'ultima de'28 la quale è arrivata in questo punto; et
facendo risposta a quella si risponde a tucte l'altre. Et lodo et com-
mendo quanto con somma prudentia havete adoperato circa le cose
42 LETTERE DI PIERO DI COSIMO DE* MEDICI
publiche et le private; né, al giudicio mio, meglio si porria £Eire o
dire. Et benché si potesse entrare in lunghe cetere, come dà simile
materia, io mi risolvo a questa conclusione: che, dovendosi tractare
de pace, né di usciti né di Bartholommeo per nulla si ragioni; né
pare giusta cosa né loro lo meritano. Dell'altre cose saremo d' acordo.
Ben vi riduco a memoria con fede che come cosa nociva fuggiate
ogni lunghezza. Circa le private, benché manco importino, mi pare
che le intendiate si bene et date si buon principio che, per una via
o per un'altra, vi prego se ne cavi le mani con mancho vergogna
che si può. £t la beneditione del Sancto Padre gratiosamente ho ri-
cevuta, et con essa seguirò nelle mie consuete divotionL
Io m'accordo con voi che da ogni parte le pratiche di pace
raffredderanno et andranno in lunga, aspecta[ndo] quello debbe par-
torire la dieta da Milano ; non potendo perciò credere che non facci
se non gran fructo .... (1) giudico se non utile che non si creda eh' el
Duca rompa in Lombardia, perché faccendolo prder oppinionem
omnium sarebbe più bel traete, né vorria andare altrimente. Farmi
pure intendere la dispositione del Duca essere buona, quella del fie
optima; noi ancora faremo nostro debito: et cosi essendo Po-
tentie della Lega unite, si farà una potente guerra, la quale potrebbe
essere cagione [di hon]esta et sicura pace, che per amore non s'è
potuta bavere. Dio lassi seguire il meglio.
Ci fu qui nuove el Sig.<^ di Furi! essere in conditione di morte,
et per quanto si dica di veleno par pari (2) erto Bartolommeo
da Bergamo era venuto a Furli con cavagli et fancti. Questo è quanto
s'intende. Per la prima nuova, attendesi più innanzi; et essendo vera,
sarebbe cagione fare in Romagna nuovi pensieri. Credo che alla ven-
tura costi n'harete aviso; che seguirà, ne sarete avisato. Né altro
al presente. Bacomandomi a voi.
Florentie, die u Januarii 1467.
Petrus de Medicis Cosme filius.
{Fnon): Magnifico equi ti tanquam patri honorando domino Ottoni
de Niccolinis oratori [fiorentino] apud Summum Pontificem.
(1) S'indicano, qui e appresso, con questi punti le lacune dell'origi-
nale per rottura della carta ; come tra parentesi quadre s' indica quello
che, per il contesto, si è potuto supplire.
(2) Qui deve trattarsi di una voce falsa, giacché Pino Ordelaffi signore
di Forlì mori parecchi anni dopo cioè nel febbraio del 1480 (Marchesi,
Supptemenlo (storico ddV antica ciUà di Forlì; Forlì, 1678). Questa voce
non può riferirsi neppure a Cecco suo fratello, che mori nell'anno 1466
(BoMOLi, Storia di Forlì, libro ottavo, p. 509).
A OTTO NICCOLINI 43
m.
1467, gennaio 28.
Magnifice eqaes tanquam pater honorande. Da poi ch'io vi scrìssi
ho le vostre de'xv et xvi, et questo di una de'xvmi. Et raccolto
l'effecto del vostro scrìvere, io non posso havere grande speranza
in cotesta pratica nella quale io intendo essere non meno né mi-
norì difficultà nel Papa che ne' Vinitiani, se giÀ e' termini non si
mutano come spesso fanno. Il parlare vostro fu necessarìo, et merì-
tamente qua come costà n'havete havuto commendatione; et secondo
me è il modo come si vorrebbe procedere in questa materìa, viva-
mente, con buono animo et andare in sul vero; et credo ci gitterà
miglior conto. Et vedete che l'amico (1), che gli pareva havere la Lega
in pugno, cioè il Ee per vassallo il Duca per obligo et noi pe' mer-
catanti, non gli rìesce il pensiero et dimostra el vassallo .... giuste
et honeste, et del contrarìo non vuole fare nulla; né altrimente gli
rìusciranno gl'altri, di che già può essere presso che chiaro. Et l'as-
segnare termine a questa pratica non so se fusse contrarìo al bi-
sogno, et farli più caldi al provedere, che alla ventura: colla pratica
della pace sarebbono meglio giunti al sonno. Presupponendo che
la Lega faccia le debite prò visioni etc., ricordate saviamente che
gioveranno et alla pace et alla guerra. Noi habbiamo buone lettere
da Milano, et delle cose che si possono dire et ancora di quelle che
è bene a tacere; ma dativi di buona vogla che le cose non potrieno
passare meglio. Et voi, come ho decto, fate vivamente et con buono
animo, et non ve ne lassate menare sanza spesa ; et ingegnativi sopra
tucto taglare ogni lunghezza.
Al facto del Prìore io ho inteso quanto havete seguito, et cosi
dettovi mio parere. Se noi potessimo condurre questa cosa al desi-
derìo nostro sarebbe buon facto, perchè questa è buona Badia et
el Prìore ve ne £ma bene. L' amico andò : in questo mezzo io aprìrei
la materia al protonotaro et a mess. Angustino per l'aiuto che s'ha
avere da' maestrì loro, acciò che alla tornata dell' amico costi fusse
il bisogno sanza intramectervi più tempo, et faciendo a buonora
tucto potrà essere a tempo. Et se '1 Prìore ottiene questo benefìcio,
(1) Probabilmente il Papa.
44 LKTTEKE DI PIERO DI COSIMO DK' MEDICI
mi pare che la sarà una buon^ opera per tucto bordine. Secreto sopra
tucto, et sopra ciò non scrivete sanza bisogno.
Io ho inteso per l'ultima vostra quanto dite della Pieve di
Figline della quale io sono si stracco et ristucco che [io non ne]
posso più« Lassisi andare et faccisi come si può : ma la restitutione
di quelli due, taglatele come la eh ... . di Bartolommeo Colioni, che
cosi si farebbe Puna come l'altra, et è Ser Domenico poco savio et
non .... lui che si facesse et forse che non lo crede : e' segnati
s' hanno a stare ne' termini che si truovono per bora, et cosi ri-
chiede l'honore della città, et del reggimento della Pieve. Fate
come vi pare purché se ne esca.
Né altro al presente. Eacomandomi a voL Florentie, die xxuj
januarìj 14G7.
Petrus
DE Medicis
I Ck)SME FILIUS.
IV.
1467, gennaio 90.
Magnifice eques tanquam pater honorande. Scrissivi a' 28 et ho
la vostra de' 22, la quale obmetterò et verrò a dirvi mio parere
circa a quanto voi scrivete all'Ufficio nostro per una vostra de'xxv,
dubitando che infine coteste vostre pratiche non partorischino scan-
dalo et confusione, per l' essere traete de' termini giusti equi et ra-
gionevoli, et se a'ii di, come accennate, gl'avisi non sono attempo:
ma sono certo harete usato la vostra solita prudentia in seguire
l'oratore reale et ducale, et non si può errare. Io sono avisato di
questa materia per uno certo spiraculo che mi fa dubitare che in-
conveniente non segua; ma, sia come si vuole, el consentimento della
Lega ci bisogna. Attendiamo quello sarà seguito, et ricordovi a non
risparmiare la spesa d'uno fante, che alle volte fanno cosi buono
servigio come e' cavallari. Dio di buono mandi.
Tre di sono che arrivò qui Priore : questa mattina l'ho riman-
dato in costà, perchè, bisognando non manchi del suo favore nella
faccenda nostra. Vorrei riussire di questa briga di Fighine per ogni
modo; della restitutione di quelli 2 non parlate, che sarebbe un
perder tempo.
Harete inteso del Consiglio generale si fece, dove si trovò circa 700
cittadini; et unitamente et con grande animo fu consultato, havendo
tentato la pace, si faccia pruova della guerra et vengasi a' provedi-
A OTTO XICCOLIXI 45
menti d'essa; et cosi di già s'è dato principio. Et faccendosi le provi-
sioni necessarie et sborsato el danaio, sarà dipoi più difficile el
tractare di pace. Messer Domenedio n'aparechi quello che debba
essere il meglio.
Né altro al presente. Eacomandomi a voi. Florentie, xxx janua-
rij 1467.
Petrus db ) ^
5 cosmb fiuus.
Mediois )
{Fuori): Magnifico equiti tanquam patri honorando domino Octoni
de Niccolinis oratori [floren]tino apud Summum Pontificem.
V.
1467, febbraio 6.
Magnifìce eques tanquam pater honorande. Tutt^ vostre lettere
bo bene intese et esaminate, cosi quelle directe all'Ufficio come a
me. E rapportandomi all' ultima de' 3 del presente, ricevuta in questo
puncto, mi pare che ciascuno dovrebbe essere chiaro di quello che
tanto s' è dubitato. La pace si debbe commendare, et biasimare al-
cune conditioni d' essa lasciamo stare il premiare d'utile et
honore chi (1) ha perturbato la pace et quiete d'Italia, con tanta
nostra in [iurìa] et vilipendio; ma come si può con ragione assentire
a quello che ci areca più spesa et sospecto et forse che la
guerra manifesta? di che ciascuno è restato maravigliato. Et parriavi
cosa incredibile quanto universalemente tucto el popolo n'è inde-
gnato; et sarebbe difficile et quasi impossibile, come cosa inusitata
a questa città, a consentirla; e quanto aspecti a noi, come la minore
Potentia della Lega, attenderemo il parere et volontà della Maestà
del Ee e dello Illustrissimo Duca, et con essi ci confermeremo. Et
di queUo che è facto, se saremo uniti come si richiede, si trarrà
fructo; perchè s'intende che i Vinitiani, di consenso de' quali è se-
guito tale efiPecto, et per le robe restituite (2), voglono la pace; et
etiamdio è tolto via de' dubbi che pel passato habbiamo avuto,
de' quali, chi non s'inganna, può essere chiaro che a voi et a delli
altri che siate in sul facto possono dare manifesto documento di
V
(1) Bartolommeo Golleoni.
(2) Allude alle robe che furono prese sulle navi anconitane.
46 LETTERE DI PIEUO DI COSIMO DB' MEDICI
quello che in futuro s^havesse a tractare. Io vi dirò mio parere
perchè cosi mi richiedete. Et parmi d' aspectare il parere delli altri
collegati et con quello unitamente andare, né di nessuno dolerci
persuadendoci che ciascuno hahbi facto a buon fine, né col dolerci
o caricare altri non ci torre le ragioni nostre, che sono (e so che
qualunche sanza paxione le intenderà e le farà) buone. Et voi col-
r usata prudentia procedete come pel paxato havete facto, et sopra
tucto tenete TOffitio bene avisato et spesso, et non guardate alla
spesa d'uno fante; et multiplicandovi faccenda, non vi curate scrì-
vere a me in particulare se non giudicate essere di bisogno.
El Priore sarà tornato, et alla ventura presto harete la risposta
dal generale. Io credo che obtenendo questa Badia, faccia grande-
mente pel convento. Aiutate la materia.
Io non voglio per nulla questa pieve di Feghine et s'io l'avessi
la renuntierei, et cosi renuntio a ogni ragione che l'amicho mio
v' babbi su aquistato, né ne voglio obligo alcuno; et cosi scrivo a
Giovanni Tornabuoni. Et pregovi che per Dio ci si ponga su piede,
né in futuro più se ne ragioni et altrettanto o più l'arò caro che
a questa materia si ponga fine, che s'io l'havessi obtenuta per
l'amico mio fatimi questa grazia, et operate a questo effecto come
sapete et potete.
Né altro al presente. Racomandomi a voi. Florentie, die Vi fe-
bruarìj 1467.
Petrus db ) ^
i COSMB PILIUS.
Medicis )
{Fuori): Magnifico equiti tanquam patri honorando domino Octoni
de Niccolinis oratori [fiorentino] apud Summum Pontificem.
VI.
1467, febbraio 18.
Magnifice eques tanquam pater honorande. Di poi ch'io vi
scrissi, che fu a' di vi, ho la vostra de' 3, et questo di una de'x; et
simile ho visto quanto all' UfiGicio havete scripto, et inteso la 'nter-
petratione vostra sopra la bolla della pace, et accordomi al parere
vostro. Et sono queste cose, al parere mio, di grandissima impor-
tantia et che voglono examina et matura consultatione, et in
qualunche partito s' ha a prendere farlo con sale et sopra [tutto] uni-
tamente. Noi, benché extraneo c'è paruto il seguito insino a qui,
attenderemo il parere et volontà della Maestà del He et del Duca
A OTTO NICCOLINI 47
di Milano, e' quali io giudico sapientissimi et che haranno riguardo
all' onore et utile della Lega et al bisogpio di quella.
£1 Priore sarà arrivato costi: resta hora se lo spaccio della
Badia harà efiPecto, et se l'Abate vi vorrà attendere. Questo dico
X)ercli' io credo, per l' essere il Papa occupato in queste cose grandi
et di questa publicatione della pace, che forse V amico harà mutato
pensiero: et se fusse savio persevererebbe nel primo proposito, che
va per lui più che per altri Ma tucto si vuole reputare per lo meglio.
Io attendo che Giovanni Tomabuoni babbi taglato ogni pratica
et ragionamento di questo benefìcio di Fighine, el quale, potendolo
bavere, per niente lo voglio et ho determinato lasciarlo andare;
et deUa restitutione di quelli due non è da parlare, come sapete
meglio di me, che non se ne faria nulla, maxime di presente per le
cose che vanno a tomo. Per le quali invero la brigata c'è aiwai
alterata et più eh' io non vorrei : anzi crederei che fusne utile par-
lame temperatamente, et con pmdentia andare col tempo. Kt di voi
non ho sentito parlare se non bene, né fa mestiere »casa o difi^na
per voi, che si sare' facta. Et benché la brigata sì drA^ non d^Ila
pace ma universalmente di tucte le condì tioni cbe *ioao in e^^sa.
pure al giudicio mio, potendo correggere U dare danari a H^riho-
lommeo et che non gli havesse se non fusn^ in Xlh^ziA, *:\ fjA'. ru^
Bologna, Ymola et altre terre et Vxcarìj di CLì»ìsa eh*; ìifjuo ^^:U
Lega non rimanessono A'T^^ln^y, et che Bag&ara r;jHe TH'^\\v^,*jk a;
Signore d'Imola, a tucte T altre cose. mceorcLé è->i» ^jt <Jì\ ver-
mine et de honestà et di giustitia, forse si §oi,y/r'jf£zi^it/j. ì>it» v/ r^r.^t
delle 3 sopra dette cose è più difficoltà ne V^za the &ell'al*.r%' rr.a
circa questo sare'bene speso ogni tempo et izA'^xrrjL, et ^<w^.'.i>;
ragionevole non si vuole diffidare poterle tìdxiTT^ a ir,r^T*. ìj: z^yzi
si riducendo, dubito di maggiore scandalo et ^jtdzxirjz,^ : •:*, ^a z,»i
potete intendere buona parte per lo Inngo «o&x.Tfr^ -.ji^ a7^-. v..-
l' amico, il quale consigliasti bene^ et é fl profrr>> h-xz^j-,..-^ \^^.y,
gli dicesti, et cosi bisognando do verrà lìiHi'ìiii vm, «Sirv,. -fe -^.ijpLfcv.
attendere il parere de' Collegati et, easoB Im 4f«e, v.n ,^,r-, .-..Ur
mente procedere.
Né altro al presente. Racomandomi • ▼<>•- Henar^* i.* ; -
febmarij 1467.
Essi prolungato el tempo vostro unoinao^*i*"*aWBe** v*-, r"r-iy
Petrus »■
Mbdicsb
}
r .:.
\ •
{JFu€fri)\ Magnifico equiti tanquam patri
de Niccolinis dignissimo FlorentinomiB \ *•'
48 LETTERE DI PIERO DI CaSIMO DE* MEDICI
vn.
1467, febbraio 20.
Magnìfice domine miles tanquam pater honorande etc. Farò
risposta alla vostra de'xiii, et benché dall' UiHcio voi siate stato
pienamente avìsato dovere procedere unitamente et d'aoordo con
li oratori della M> del Re et dello illmo Duca di Milano, e' quali
non mi paiono disposti ratifichare la pace nella propria forma che
fu dichiarata, per le ragioni che per altra mia v'ò detto et che
voi medesimo per vostra prudentia potete intendere. Resta bora
che dalla SanctitÀ del Papa si porga con dolcezza et mostrisi le ra-
gioni della Legha: che non posso credere Sua Beatitudine non [si] ri-
mova d'alcune condì tioni, che, invero, et per utile et honore non sono
comportabili, perchè ci mederebbe in più spesa et pericolo che la
guerra; et parmi essere certo che la Sua Sanctità, visto l'unione
della Lega et la pari volontà de'Potentati d'essa, non vorrà per pic-
cole cose che la pace resti, atteso maxime eh' e Vinitiani sappiamo
che la voglano et non solum n'hanno bisogno ma necessità. Il
perchè, il carico di questa materia in gran parte si riduce in sul
governo di voi oratori; et potrà essere che di nuovo vi s'agiugnerà
compagnia [per] dimostrare la importantia della cosa, della quale
noi ci siamo rimessi al parere del Re et del Duca, [e] d'una mede-
sima volontà andare insieme con loro, come richiede il debito della
nostra Lega.
Dei casi occorsi io non ho fede che noi possiamo obtenere
quella badia, ancor che ch'el Priore sia in buona dispositione. Io
stimo che l'Abate harà mutato proposito et tucto riputeremo per
meglio.
Della pieve di Figline non dico più nulla, havendovi io posto
silentio, et per niente ne voglio più intendere cosa alcuna.
Non so se costi, secondo usanza, si farà nuove favole per uno
caso occorso qui in questi di, d' uno che portava lettere delli usciti
a Lorenzo di messer Tommaso Sederini, di che si hebbe notitia. Eb-
bonsi decte lettere, et Lorenzo se n' andò a Siena, et nello scrìvere
nominava uno Ciantella delli Strozzi, giovane sviato et tristo, il
quale fu preso, et è ancora, et ha abominato Cappone di Bartho-
lommeo Capponi; et infine è uno farnetico sanza alcun fondamento,
et cosa da giovani et poco da stimare. Èssi posata In cosa, et farà
A OTTO NICCOLINI 49
*
questo caso più savia la brigata. Questa è la verità; quando fusse
altro, ne saresti con prestezza stato avisato (1).
Né altro al presente. Xpto vi guardi Florentie, die xx februa-
rii 1467.
Petrus db ) ^
[ cosmb piliu8.
Mbdicis )
(FiiOì'i): Magnifico equi ti tanquam patri lionorando domino Octoni
de Niccolinis, dignissimo oratori fiorentino apud Summum Pon-
tificem. Rome.
vni.
1467, marzo 18.
Magnifice eques tanquam pater honorande. Questo di, a bore 20,
liebbi la vostra de' x, e per essa inteso quanto era seguito, et prima
con li Cardinali diputati et dipoi colla Santità del Papa, il quale
pure dimostra stare fermo in su'facti di Bartbolommeo ; circa la
qual cosa non bavete commessione alcuna da' Potentati della Lega: e
per questo non so come passerà la conclusione della pace, che es-
sendo si sotto el termine, mi pare difficile i^d penitus impossibile
mecterla integramente ad effecto: et credo che sia necessario si
faccia delle 2 cose V una, o prolunga[re] el termine o ratificare una
parte et del resto pigiare tempo. Noi, a dirvi quello che so, che
meglio di me lo intendete, vorremmo la pacéj et non guarderemmo in
(1) Anche PAmmibato fa menzione di questa piccola congiura (libro 28,
p. 101 e.) : « Scopersesi un trattato che tenevano i fuorusciti nella città,
« per lo quale molti cittadini fur presi e confinati : Cappone Capponi, Giu-
< liano Strozzi; Pierantonio Pitti, Ugo degli Alessandri, Lorenzo Sederini
« figliuolo di Tommaso e altri ». £ trovasi anche la seguente allusione
a questo fatto in una lettera dei Dieci di Balia diretta a Otto Niccolini
il 23 febbraio 1467 : « Bestaci darvi notitia, perchè crediamo se ne parlerà
« variamente, acciò sappiate el vero, che a questi dì si sono scoperti certi
« cicalamenti e sogni fatti per Lorenzo Soderini, ad petitione, secondo che
« inaino a qui si può intendere, di Nicolò ; e lui se n^ è ito colla sua brigata
« a Siena. Egli Otto anno presi alcuni famigli e huomini di vii conditione;
« due solamente, insino a qui, citadini, Giuliano degli Strozzi detto Cian-
« tella e Cappone di Bartolomeo Capponi, perchè sono stati abominati es-
« sere in quelle medesime cicalerie, perchè in nessuno loro disegno si truova
« fondamento alcuno per insino a qui. Vassi dietro per Puficio degli Otto
« diligentemente et intenderete quello seguirà ».
4rcii. Stob. It., 5.* Serie. — XX. 4
I.ETTKlt.
l'iKiio 1)1 cosiMu ot: .Mei>it.'i
picDole coso di fummo quando le altre di iiuportansa tussono ac-
conce. Et quando il facto di Bartholommeo si potessi ridarre «lU
intentione della Maestà del Re, giusta la Hniitutìone incta altra volt»
per Sua Maestà, saremo contenti collo assenso del Duca ; il quale
non si potendo bavere al termine, aaltem gli fusse concesso tempo
a ratificare. Hora voi vedrete quanto 1' "Uficio vi scrive, che solo
procede che non vorremmo la pace vi uscisae di mano. Voi siate in
sul facto, et come prudente intendete meglio eh' io non ao dire. Sii-
pienti pnuchn. Questa non comunicate se non con Macteo Palmieri
et col protonotario Roccha alla S. del quale mi racomandate. Simile
} a Macteo et a voi. Florentie, die \iiJ M&rtii 14(>7.
PbtRWS db 1
Mbdicis \
(Fuori): Magnifico equiti tanquatn patri bonorando domino Ottoni
de Niocolinis, dignissimo oratori Horentino, Rome. Home.
1«7, 1
[Magnitici tenquam patjres honorandi etc Non ho facto prtmn
risposta, alle vostre de'xii, xiii et xiiu, aspectaado c)je fusse seguito
el di seguente, e per inaino a questo di non habliiamo altro: di che
ciascheduno sta maravigUto et sospeso, interpetrando variamente la
cagione della tardanza. Io la ripiglio in buona parte, non potendo
credere che le coso leggieri guastino le grandi et importanti, et che
la Santitfi del Papa non riduca tucto a dovere perché la pace habbia
effecto. Et perchè co.'ti segua Larete inteso quanto per t'Uificio v'è
stato scrìpto in .seguitare la volontà della Mae^tA del signor Re, £l
cosi siamo certissimi harà facto lo Illustrissimo Duca ; et ciisl pro-
cedendo unitamente tucto passerà bene colla grazia dello Altissimo
Dio, il quale lasci seguire il meglio. Et voi aviaate upesso del se-
guito, benché ogni hora da voi attendiamo la conclusione che bareto
presa. Né altro al presente. R&comandomi a voi, Florentie, die XTnn
Martii 1467.
potbcs db
Medici»
< COSME FILIUS.
(Fuori) : Magnificis tanquam patribus honorandis domino Octoni de
Niocolinis et Matbeo Falmerio oratoribus. Rome,
I
A OTTO NICCOLINI 51
X.
1468, aprile 2.
Magnìfici tanquam patres honorandi. La medesima cagione ohe
a voi ha ritardato lo scrivere À ritenuto me a £Eurlo, per non havere
alle mani cosa alcuna degna di notitia. Secondo e processi vostri,
al giudicio mio, non s*ò errato in cosa alcuna et al continuo salvato
l' unione della Legha, che è assai da stimare. Secondo el vostro scri-
vere poca speranza si può havere nella pace, et io simile ve n'ho
pochissima. Harete di poi havuto risposta dal Be et dal Duca, et
secondo quelle venuto alla conclusione del si o del non; al quale
eflecto mi pare da venire più presto che si può, perché in cotesta
pratica ci s*è perduto tempo assai et ancora qualche cosa di ripu-
tatione. So io che la Lega et li Vinitiani volevano la pace, et i pec-
cati loro et nostri non voglano. Saremo alla guerra et, permecten-
dolo Dio, ho huona speranza nella Victoria perchè habbiamo ragione.
Et per questo fare vi conforto a intendere presto el bisogno nostro,
et avisate spesso. Eacomandomi a voi. Florentie, die 2 Aprilis 1468.
Pbtrus db ì ^
{ COSICB FILIUS.
Mbdicis )
{Fuori) : Magnifìcis tanquam patribus honorandis domino Octoni de
Niccolinis et Macteo Palmerio oratoribus [florentinis]. Bome.
XI.
1468, aprile 7.
Magnifici tanquam patres honorandi In questo ptmcto ho due
vostre de' di quattro, d'tmo medesimo effecto, et con esse la copia
del Duca; et sono stato maraviglato dello scrìvere a me in proprietà,
sappiendo che sanza l' ufBcio de' Dieci non si può fare, et sanza quello
per me alcuna cosa non moverei Pure, per satisfare a quanto mi
richiedete, giusta il debito mio, vi dico che io ho desiderato et desidero
la pace come voi et gli altri nostri cittadini, ma con conditioni sop-
portabili, riservato sempre el consenso del Be et del Duca. Et pò-
52 LETTERE DI PIERO DI COSIMO DE* MEDICI
tendosi obtenere con le partì che per la nota mandasti, parendo
agli altri collegati, mi parrebbe da concbiuderla. Aconsentire abso-
lutamente et simpUciter la bolla non si può et non si debbe perchè
non fa per la Lega, per le ragioni che meglio di me potete intendere.
Et circa questo effecto sempre y' ò scripto et precipite dello andare
uniti: questo medesimo v'affermo, aggiungendovi che non dovendo
fare alcuna conclusione vi conforto al taglare et secondo el coman-
damento de' vostri Signori venirvene. Io credo che le Potentie della
Lega circa alla guerra faranno loro debito ; di noi so di certo che lo
faremo, et già s'è dato principio; et vogla Dio che gl'altri fìbcino
come faremo noi. Et se il Duca romperà in Lombardia et il !Ee di-
mostri non temere il Papa ma mostrarli el viso, non dubito che
tucto passerà bene, et che per altra via sarà pace honorevole et si-
cura. Perchè di cotesta vostra vana pratica horamai ne sono in tucto
disperato; et da poi che si tagliò la pratica da Vinegìa non ho havuto
troppa speranza di pace, maxime per cotesto mezzo, per le ragioni
che meglio di me potete intendere. Ohe, come sapete voi messer Octo,
io fui molto tardo acconsentire V andata vostra di corte, la quale io
non giudico essere stata disutile, avengadio che per lo mezzo di
coteste pratiche si sia perduto tempo et quanto che sia di riputa-
tione, pur siamo chiari di quello si dubitava. Tucte queste cose ci
amaestrano a essere savj et dovere assummere la guerra animosa-
mente per bavere buona pace. Et per questo effecto, el si e 'l non
sia unitamente; et pregheremo Dio che aiuti chi ha ragione.
Kacomandomi a voi. Florentie, die viJ Aprii is 1468, bora xvj.
Petrus de ) ^
5 cosmb fiuus.
Mbdicis \
(Fuori) : Magnifìcis tanquam patribus honorandis domino Octoni de
Niccolinis et Macteo Palmerio oratoribus. Home.
XII.
1468, aprile 28.
Magnifice eques tanquam pater honorande. Questo di ho la vostra
de' XXI ; et visto quella dell'Ufficio, eie bisognava el puncto della ra-
gione in vostra excusatione, sappiendo che nell'Ufficio sunt arma
offèndibilia et defendibUia, et voi havete previlegio per l' uno et per
l' altro. E' più lodano, et io con loro commendo, quanto havete seguito
A OTTO MCCOUNI Òì\
inaino a qui, et più lo faremo se la conclusione sarà quale noi
r aspectiamo et come sarebbe el bisogno nostro : la quale è in ef-
fecto (parlando con voi solo com'io debbo et posso) ohe non si di-
cendo la guerra come noi potremmo, che si tolga la pace quale noi
la troviamo. De Oriolo, vi s' è scripto fate il possibile che si resti di
chi egli è; non potendo, rimettetelo al Papa che lo conceda a chi gli
pare, facto prima ogni experientia d' agiudicarlo al signor d'Ymola,
che cosi si richiede per honore et utile della Legha. L' altre cose sono
ridotte in buono termine, non sMnnovando altro. Per noi fa la pace
come intendete : le conditioni d' essa, miglor che si possono bavere :
tucte saranno buone et approvate se la unione si conserva, come
insino qui s'è facto. Questa vi troverrà vicino o alla conclusione o
alla exclusione; et forse, terminato o V una o l'altra, pregheremo Dio
lassi seguire il meglio. Et voi conforto a taglare, cessando e pericoli
della pestilentia, et ripatriare. Bacomaudomi a voi. Florentie, die
xxnj Aprilis 1468.
Petrus db ) ^
Medigis
{Fuori): Magnifico equiti tanquam patri honorando domino Oc toni
de Nicoolinis dignissimo [oratori] fiorentino. Rome.
xni.
1468, aprile 80.
Benedictus dommus Deus Ysdrad, La pace abbiamo havuta, per
g^atia di Dio et opera vostra; la nuova della quale io m'ho goduta
et godo con gli altri cittadini et con tucto il popolo, la festa et l'al-
legrezza del quale non ])otrebbe essere maggiore. Di me voglio piut-
tosto tacere che dime poco, ma tantum est ch'io ho ritardato al
farvi risposta; et non me ne curo, perchè etiandio voi sono certo
non stimate questi piccoli errori, et bare temi per scuso. Havete
conclusa la pace et in buona forma, et essendo facto el più et il
meglio dobbiamo sperare che delle pratiche che restano non possa
succedere che bene. Siamo al presente con processioni et elimosine
per dimostrarci in parte grati verso messer Domenedio, dal quale
questo et ogni altro bene procede, et lui sia pregato conservarci in
pace per lunghi tempi. Siate aspectato da ciascuno con disiderio,
io in spetialità disidero sommamente vedervi; che a Dio piaccia di
-^» -i.n 1»«
LETTEHK Ul PlKiW VI COalMU DE' MKDICI
condnrvi & buon salvaiuento. A Monsignore lo prothonotario Rocclia
priegho mi raconiaudiate et simile h mesaer Lorenzo. H. Colantonio
. partito. ■SimUiicr mi racoinando a voi. Ex Floreutia,
die xxi Aprilia 14'j8.
Pbtros dk
MBDicia
COKMK FILIUS.
(j-^ioriì: [Magniiico e^juiti tanquam patri houoraudo ['loiiiiiio Ocl]ol
rie Niccolinis fiorentino [oratori]. Itome.
n
U&i, maggio 21.
Magnìfice oques tanquam pater honorande (1). Dopo la conclti-
B della pace facta et la stipalatione de' capitoli d' essa ci restii
A a lare contento lo illustrissimo Duca di Milano pel &cto iti
Savoya. Lodo et commendo del seguito, et credo, anzi sono certo, clic
■> havete liavuto buona advertentia, né altro mancha che pia-
3 quel Signore; et per tale effeoto vi fu veri srripto per l'Uflicio
nostro tanto caldamente quanto intendete. Confortovi, per ben della
LegH, per la conservatione della pace et pel debito nostro verso del
(1) Questa lettera del 21 maggio 1468 e l'altra del 10 giugno ai ri-
fbriBOorio al fatto seguente. II Buea di Milano aveva pregata il Papa
di non includere i Savoitii hrIIb imce, sapendo che ciispìniviuiu contro il
Be di arancia, e ]>erchè voleva esser lìbero di mover luru guein-a, quando
a Maestà (AtraEijo Keuhont, Della diplomazia italiana «tal
•ecolo XIII al SVI. p. 868; Firenae, 1867). Il Ke di Najxili invece tìiceva
m brava miglior partito non suscitarla questione: ì Bb-
a fiicendo porto della Lega poteva il Duca volgersi contro di loro,
wnsa derogare alle condizioni della Lega stessa (TrìiKhcra, Codiet Aroffomate,
p. 477, lettera CCCLX). Uà il Papa e ì Veneziani insisterono, e il Duca di
Milano, sebbene molto a malincuore, dovetta cedere. Piire volle mandare
una proteeta a tutti gli Stati della Lega ; e nou contento di ciò, stipulò
anche un atto col Be di Napoli e la Signoria di Hrenze (29 giugno I486}
[•er assicurare U loro aiuto nel caso che il Papa, ì Veneziani o altri gli
dichiarassero guerra, se egli prendesse le porti della Fronoia contro la
Savina (Bbouost, op. •:it., pp. D68, tJfJO. - Ved. anche FtiRuiirAnDo Oadotto,
£o Siate Sa/-aaih, voi. II, p. 7).
A orro NICCOLINI OO
Duca, che colla vostra usata pmdentia «t sollecitadine procuriate,
insieme con gli altri magnifici oratori della Legha, che per uno modo
o altro lo illustrìssimo Duca di Milano resti satisfiBicto et contento,
a ciò che parimente et di buono animo e' collegati possine godere
el beneficio della pace: parendomi esser certo che dalla Santità del
Papa ne sarà prestato aiuto et £Bkvore perchè, per cosa leggieri, non
resti tanto bene indrìeto. Et l'oratore della illustrìssima Signorìa
di Vinegia debbe dal canto suo aiutare tal materia, se con e£fecto
come colle parole et dimostmtioni ci rìduciamo ad amidtia et fra-
tellanza. Ben conosco questo caso bavere in sé diffieultà grandissima:
pur volendo stabilire la pace facta et che ciascuno dorma a chiusi
occhi è di bisogno, anzi necessità, eh 'e' Potentati contratti alla pace
restino satisfeusti et contentL Et perchè io so voi pretendete a questa
medesima volontà, non entrerò in lungo scrìvere. Solo vi prego et
conforto al fine sopradecto ci si pigli qualche buona determinatione.
Io vi mando con questa una lectera la quale scrivo al Papa: avengha
che siate gran messo, vi prìego la diate in sua mano, che so lo fa-
rete volentieri. Racomandomi a voi. Florentie, die xxj Maij 1468.
Petrus de ) ^
; cosme kilius.
Medicis ;
( Fuori) : [Magnifico ejquiti tanquam patrì honorando [domino Oct]oni
de Niccolinis [ora]tori fiorentino. Bome.
XV,
1468, giugno 10.
Magnifice eques tanquam pater honorande. E pure il vero che,
per nigligentia et per non avere di nuovo che scrìvere, ch'io vi
resto debitore a rispondere a quatro vostre lectere, di che vi rin-
^raldo et vi pregho [mi] perdoniate : che lo dovete fare perchè voi
siate in parte cagicme di questa mia desidia et pigrìtia .... che sono
state tante le trìbolationi passate che volentierì mi rìposerei et ùl-
rèlo meglio .... interamente satisfìitto allo illustrissimo Ducha ....
saio .... ogni cosa. E'si mandò il parere [de] la Maestà del Be circha
a tale materia a Milano, et ... . che se v'avesse tro[vato] gli oratorì
non gli are' mandati che alla avuta di questa saranno arrìvati costì
et da loro intenderete il bisongno. Non lascerò dirvi che da loro ò
LEl'1-KKE IH fliCKu Ili CUiJlMU Dt: MEDICI
ritratto ohe la atipulatione fatta della pace noo derogbu a. quuilo
ohe il Duulia dì Uilano richiede ; siche, per questo et essendotti sa*
tiafatto per altra via, la legntioDe è stata superflua. Serve solamente
a dimostrare iil Re di Francia la extimatione grande che il Duchu
ne fa, e per l'obligho che s'è terminato tare et per la M.'-' del Be
et per noi si dimostra la LuoDa intentiona coatro, et eosl ai vient
a satisfare allo illustrissimo Uucha et u cattare gratta et benìvo-
lentia dal He di Francia, Atendesi bora che determlnatione tarate
por venire alla conclusioni et cavaroe d'impaccio: pur, benché anchora
) a questo di della restitutione delle terre /line inde non ci
sìa altro che buone parole, tamen io credo clie tutto sortirà, giusta
l'ordine dato per lo Papa, buono effecto. Avesti i mandati e'qu[ali
ri] richiesto : e ^e altro bisongna adomandate, et date modo a
ripatrtare che .... Altro per questa. Racomandomi a voi. Floreutìe,
dia X Junii 1468.
Vester PErritus db )
Ubdicis
CoSMK FI Liuti.
c generoso equiti domino Otto de Nicholì
) tanquam patri bonorando. Rome,
14(J», giugno 18.
i
Magnifice eques tanquam pater Lonorande. Poi eh' io vi scrissi
ho le vostre de' vini et de' -Xii ; et, per quanto scrivete all'Ufficio,
gì' imbasciatori ducali orano arrivati; presto dovrete bavere au-
dìentia et dare expeditione a quello che resta ti lìire: circa le quali
i dirò altro, liaveudovene più volte scripto allungo. Questo
non voglio tacere, die inaino a questo di non habbiamo la restitu-
tione di Dovadola, et per quella resta di restituire l'altre; et intao-
desi Bartholomeo ne Ak parole assai domestiche, n^ passa sanza in-
carico della Signoria di Vinegia che ne fé la promessa come sapete;
et ancora quello che v' avisa quello amico di quelli fanti si sono
condotti a Siena col Sederino t et questo, et non vedere restituire.
pare cattiva segno in medicina. A me pare che l' onore del Sancto
Padre richiede che ta sententia di Sua Santità sia messa ad eSecto ;
et ac«tò che la pace facta non si sturbi sì provegga alla restitu-
tione delle terre per la Sua Santità, la qnale ancora sare' bene acri-
k Siena non de.s.sono spalle o l'avori' a usciti o a rbi volesse
A OTTO XICCOLINI Oi
perturbare la pace. Questo dico perchè Niccolò fa gran taglata, nò
pare ragionevole sanaa rioepto o spalle de'SanesL Sono certo che
voi non credete ch'io lo dica per paura che ci £ftocia Niccolò, ma
non mi piace che la pace sia prima intorbidata che facta; e questo
ch'io vi dico non lo fo sanza cagione. Io vi conforto a spacoiar>'i
presto di costà et venirvene, ohe comprendo in cotesta stanza non
sia grascia. Né altro al presente. Bacomandomi a voi. Florentie,
die xviij Junìj 14G8.
Petrus db ) ^
{ Ck>SME FILIUS.
Medicis )
•' Fuori) : [Magnifico] eqniti tanquam patri honorando [domino Otto]ni
de Niccolinìs dignissimo [oratori fjlorentino. Rome.
xvn.
1468, luglio 2.
Magnifico eques tanquam pater honorande. Io ero restato di
scrivervi per non bavere cosa che importi, et appresso stimavo
voi dovere partire più presto che non havete facto. Ho dipoi le vostre
de' XXVI et xxvu con la copia etc. Et prima, alla parte del Sederino
che se n' è venuto in costà, è stato questo insulto da usciti più di
parole et obstentationi che facti; et se havessono a fare con chi vo-
lesse loro &re el dovere si farebbe loro et presto, perchè ne por-
gono ^Bkcultà grandixima. Sono cose da stimarle poco, et io le stimo
meno (1). Ben vi dico che l' aviso che havete avuto di costà non era
a tempo, perchè dii Perugia et per le terre della Chiesa passorono
insino a'xu del passato, et a Voi è notificato costi a'xxvi. Seppesi
di loro partita, et cosi siamo stati informati al continuo d'ogni loro
processo et èssi provisto a tutto in buona forma. £t li Sanesi si sono
portati in modo che meritano commendatione et restianne loro obli-
gati. £t benché sieno cose di qualità da tenerne poco conto, s' è pure
inteso la buona volontà dello Arcivescovo nostro et delli altri, che
(1) Oredo che Piero alluda aUa stesisa congiura dei fuorusciti neUa
quale ebbe parte Lorenzo Sederini, e di cui i'iero parla presso a poco
nei medesimi termini nella sua lettera del 20 febbraio 14(>7 (stile fioren-
tino). Infatti dice in quella : « et cosa da giovani et ])oco da stimare ».
«' in qu*>sta: « sono cose da stimarlo jnxo et io le stimo meno i».
giuocano del disperato. Et credo che al fecto dell'Arcivescovo ai pi-
glerà forma cbe coli' entrate della Chiesa non faccia peccato et si-
mili errori; et il Papa doverrebbe provedervi per lev-are via scandalo.
Io intendo quanto havete seguito circa alla intimationa et il nomi-
nare, che mi paiono cose ridicule; et secondo me la Santità del Papa
ha ragione: et benché sieno cose leggieri, quanto per me volentieri
ne compiacerei a Sua Beatitudine! Et è il vero che il nominare de'Vi-
nitiani per risalvare etc. è più giustificato. Ben può easere certa
la Sua Beatitudine che noi non ci siamo mossi altro che a buon
fine ; et solo b' è nominato quelli della pace da Lodi, parendoci che
questa in gran parte pigli forma da quella. La quale voglia Dio che
sia meglio observata! avengadio che in su questi principi! non se
ne vegga quelli buoni segni che io vorrei ; perché inaino a questo
di la roBtitutione delle terre non è seguita, non obatante che, a ri-
chiesta di messer Niccolò da Canale oratore vinitiaoo, si mandò
messer Bernardo Buon girol ami, et èssene tornato re àifecta. Et Bar-
tolomeo Colioni s' è partito di ttomagna insino a' di 27 de! passato,
et li Vinitiant hanno fornito in nome loro e di loro gente Dovadolu
et gì' altri luoghi, et restano le cose cosi sospese che a ine non piace
nò e' è r onore di Nostro Signore. Il perchè lodo et commendo el
mandare messer Domenico da Lucchn; et quanto pit'i presto, meglio.
La lettera di vostra mano de'2T non m'è parso mostrarla nò mecterla
in pratica, che per le ragioni che voi medesimo schiudete sari»
sauna fructo alcuno, maTÙme essendo spirato l'ulfi.cio do' Dieci. Ben
potete certificare la Santità del Papa che non solamente delle cose
sue ma delle nostre staremo patienti et contenti ad ogni determi*
natione di Sua Sanctìtà, stimando die ogni processo di quella bìu
fondato in gìustitìa et ragione.
All'avuta di questa vi sarete aboccato colli ìmbasoiadori ducali,
et circa la promessa dello 111.'"° Duca di Milano exeguito quanto
havete in commissione: et tornato, vi contorto ad expedirvi di quello
ohe resta costi et ritornarvene. Et potete liberamente venire per
quel cammino che più vi piace, che perobt 1' asino ragghi forte et
habbìa grandi orecchi non ò da temerne. Biasimerei la troppa sicurtà
ina per la gratia dì Dìo né l'uno rispeci»
mpedimento. Racomandomi a voi. Floreii-
et aiuiile troppa paura :
uè r altro vi può dare ì
tie, 2 Juli) 1468.
p. cosjie dk
Mbdicis.
lori); [Magnìfico] equiti tanquam patri honorundo |doi.
de .Vicr.olinis dii;iils':inio [orntori f)lori-ntino. Home.
oOetolni
A OTTO NICCOUNI 5U
xvm.
1469, luglio 28.
Magnifice eqnes tanquam pater honorande eie. Ho havnto la
lettera di V." Magnificentia, et inteso quello havete facto circa le
cose publiche. Commendo et laudo tucto, et m' accordo con voi, che
faccendosi strepito pure d* altro che di parole Nostro Signore non
sarà tanto duro, et certo credo sia cosi. Tamen lauderei sempre
V andare lento gradu, perchè potrebbono pure nascere cose che sono
gìk concepite et sono fra via, che per aventura Sua Santità mute-
rebbe sententia. Sicché ve ne so confortare. Intendo ancora quello
dite di mesa. Dietisalvi: parmi gli rispondessi saviamente. Non mi
extenderò circa questo perchè sono cose da non si ottenere, et però
da non ne parlare. Racomandomi ad voi.
Ex Caregio, die 28 Julii 146D.
Petrus db Medici»
cosme fili us.
{Fuori) : Magnifico equiti et egregio legum doctori domino Othonì de
Nicolinis oratori fiorentino apud Summum Pontificem, tanquam
patri honorando. Rome.
.♦-^
U SOCIETÀ COLOMBARIA DI FIRENZE
NELL'ANNO ACX^ADEMICO 1896-97
Bappobto letto dal Seoretàbio Cav. Prof. AUGUSTO ALFANI
NELL^ADUNANZA SOLENNE DEL 80 MAGGIO 1897.
Inaugurava la serie delle nostre letture in quest'anno il
Socio Urbano Q, B. Ristori con Alcune notizie sul Palazzo
del Vescovo Fiorentino le quali dovetter destare anche maggiore
curiosità oggi, che, nel riordinamento del centro della città no-
stra e nell'ampliamento della Piazza del Duomo, abbiamo assi-
stito alla parziale demolizione della vecchia sede arcivescovile, e
poi alla sua bella ricostruzione su nuova linea e su disegno presso
che identico. Il Canonico Ristori giustamente giudicò di utilità
non me<ìiocre l' ordinare in acconcia monografia quanto gli era
venuto fatto di spigolare in più luoghi e in più tempi intomo a
questo palazzo ; e leggeva ai Colleghi il suo studio, premettendo
come una storia compiuta di quelF edifìcio potrà aversi soltanto
dopo una indagine lunga e diligente negli archivi, segnatamente
in quello arcivescovile e capitolare.
Quanto, poi, egli ci disse del Vescotxido Fiorentino e delle varie
residenze del Vescovo, male si potrebbe comprendere in un breve
Rapporto; se non che il nostro collega vi ha provveduto opportuna-
mente, pubblicando il suo scritto néìV Archivio Stmnco Italiano (1) ;
a quel modo che per la sua propria lettura vi ha provveduto il
MiNUCCi Del Rosso, il quale con la consueta accuratezza e con
la solita forma spigliata e' intratteneva intomo ad Alcune colonie
greche nello stalo di Siena sotto il governo Mediceo (2). Di guisa
che, mentre può apparire superfluo di rammentare come V una e
Y altra di queste letture non riuscisse punto inferiore alla valen-
tia de' due operosi Colleghi ; non è inutile aflatto che io qui li
(1) Anno 1896, to. XVIII della serie V, p]i. 58 e so^g.
02) Mi9cen. «tor. •SVm'w, 1896, fase. U-IJ.
I
I
LA SOCIKVX COLUUBARLA DI FIRENZE liC. uT
ringrazi per over essi coti queste pulitili cagioni oppoiluin' rJBpur-
ui&to a me il pericolo di f;uaatai-e con un monco riassunto le loro
fldittiiTe, a voi, Signori, la molestia di assistervi.
N'oli altrettanto mi è consentito pienamente di fare per le let-
tore clie a queste seguirono; ma in part« si anclie per esse, poiché
indubbiamente verranno pur queste pubblicate fra breve; quella,
vo'dire, dell'avv. G. 0. Cohazzini, e l'altra di G. C. Carrarcsi,
molto diverse tra loro per 1' argomento, non punto djasìmiii por
importanza e attrattiva. Che il primo, cioè il Corazzini, nel rì-
oomporre la storia privata e la pubblica dell' antica Famiglia Qìie-
rardini, e nel maestrevolmente connetterla cm quella tumultuosa
a spesso ci^dele delle fazioni e del tempo, lino alla distruzioni^
del Castello di Monlagliari che ad essa famiglia appartenne, an-
cora una volta ai affermava il brioso scrittore, nel quale (come
già ebbi a dire di luij il culto degli studi eruditi e lo scrnpolri
nelle ricerche, sembra si vadano affinando cogli anni, come sem-
bm altresì che in hii si acuisca quell' arguzia nativa, e, se vo-
gliamo, talora mordace, che aggiungo pregio a' suoi scritti, e li
sottrae al rischio di quella monotona musonerta che non di rado
< é U peccato originale di questo genere di scritture.
Il secondo, cioè il Carharesi, parlando del Peigamo scolpito,
marmo, di San Piero Scha-nggio, e che ora si trova nella chie-
Mtta suburbana di San Leonardo in Àrcetri, prese in esame le
tradizioni die a questo pulpito si riferiscono ; e con quella sere-
niti, che è e<:jmpagna costante de! vero, le riprodusse, le analiza'i,
e, in quel che dovevasi, le confuto, scendendo alla conclusione
, che questo pulpito non poteva appartenere alle prede che si ve'
gliono effettuate sui primi del mille dai Fiorentini nella città di
Fiesole, dalla quale città si afferma provenisse quel pulpito :
è provata la insussistenza della presa dì Fiesole da parte
Odi roilledieci. Esposte quindi la vicende di quella antica
i danni ai quali aiid<') incontro quel pulpito, dimostrava
modo per cui finalmente pervenne in Arcetri. Lo descriveva
lucidamente, ponendo in eyidenz^i il disordine col quale sono oggi
disposti i bassorilievi che lo compongono, ed affacciando il so-
spetto che questi siano stati mal riconnessi fra loro, e scemi
fora' anche di ano. E pur fissare, almeno approssimativamente,
l'età a cui appartiene la esecuzione di questo pergamo, il Car-
raresi lo poneva a confronto con altri due di tempo accertato;
LA eOClGTA OOLOHUARIA DI FIRKK2E
quello di Gròppoli, dell'ultimo decennio del XII secolo, e quello
di San Bartolommeo in Piatoia, scolpito da Guido da Como nel
1250 ; presentandoci (a i-ender più cliiaro ìt conironto) le foto^a-
lie dell' iiìsieine, e di un particolare ingrandito, di ciascuno di
questi tre pergami. E dal confronto risultava evidente U pergamo
di Arcetri esaere intermedio, per tempo, fra 1' uno e 1' altro dei
due chiamati a. riscontro, e appartenere perciò ni periodo interce-
ilente fra il 1193 e il 125(>. E se al Carraresi non fu dato di
significarci il nome dell'Autore, riusciva però a stabilire ctie que-
sto pulpito fu probabilmente opera di qualche straniero tra quei
maestri che lavorarono appunto in Italia nei tempi immediata-
mente anteriori a quelli di Niccola Pisano, e che esso, nella serie
dei pergami scolpiti, é in Toscana il secondo, e perciò di capi-
rale importanza per la storia dell' arte. Onde ai voti, coi quali
egli terminava la sua lettura per un razionale riordinamento di
questo pergamo, partecipò l' intera adunanza, la quale ammirò
nella scrittura dell'erudito collega quella sobrietà di analisi, quella
sicurezza d' induzione, e quella singolare modestia, che egli uaa
recare pur nel familiare discorso, e che alla saldezza degli argo-
menti e alla giustezza delle conclusioni accresce per fermo tanto
più di efficacia, quant' essa è più aperta e spontanea.
E con la monografia del Carraresi chiudevasi la non copiosa,
ma eletta serie dei nostri lavori, a così dire ufficiali, in qne-
st' anno accademico. E ho detto ufficiali, perchè, propriamente,
diede termine ad essa Lodovico Biagi, quando in una speciale
amichevole conversazione leggeva ai colleghi buona parte di uno
sna bella versione dell' Eliade, dello Shelley, ad averne da essi
onesto e franco giudizio. Questa tragedia alla greca fu scritta
dall'Autore nel 1822, quand' era appunto scoppiata la insurrezione
dei Greci, aspiranti a libertà, contro i Turchi ; è composta ae-
gnendo le notizie che di giorno in giorno venivano sui giornali,
e dentro ad essa spira grande e puro entusiasmo per la causa
ellenica, tanto che lo Shelley termina il dramma vaticinando il
tramonto della mezzaluna; mentre un coni stupendo levasi a can-
tare con elegantissimi versi il trionfo della civiltà cristiana, e Ìl
risorgimento pohtico della Grecia ; di quella terra (come testé disse
alla Camera ìl suo Presidente) cui appartengono i progenitori del-
l'amano pensiero ; di quella terra, il cui nome è una specie di reli-
gione per tutti gli spiriti innamorati d'ogni cosa bella e magnanima.
AQa SUB versione premetteva il Biagi un' awMHifiu avvpr-
tcazn Bill carattere e sul valore letterario dell' opera ; e le vario
parti che di qnesto ilramiiw ci lesse ebbe cura di oillegare fni
loro via via con parole sue [iroprie. La bellezza poi singolare di
queste parti, e il modo veramente forbito onde il Biagi seppe
renderle nel nostro idioma, non ìsfuggirono all' osservazione de-
gì' intervenuti ad uiìirlo, e che gli diedero lode sincera. Né solo
), ma eziandio per la speciale opportunità del soggetto ebbe
plauso; e al vaticiaio con cui 9i cliiudeva quel poema mirabile
I TiBpoaer gli auguri d'ogni anima gentile, e cm essi la comune
1 speranza; poiché il sole del diritto e la luce della libertà, chi
I «hbia cuore temprato a sensi generosi e a rettitudine di aspira-
xioni, male si rassegna a temere, nonché a vedere, offuscati dalli-
I nubi dell' egoismo, e intorbidati dalle caligini del tornaconto.
E qnando ciò avvenga, la fede nelle umane giustizie si am-
nta a l'animo sfiduciato si abbatte, quasi vela al calare del
Evento; come più che. mai ne^li ultimi anni della sua vita lamen-
Itavail collegi! nostro Senatore Narciso Feliciano Pelosiui, pur
moso, pur al euergico sempre nell' operare per la ginstizia
B per gli alti ideali, o nel combattere ogni ragione di ostacoli che
opponessero ai fini della sua volontà, la qnaìe parve sempre
ili ferro. Che ìl Felosini fu veramente fattura dì sé medesimo. Suo
era un maestro elementare, e, dimque, un povero uomo, che
t tempo avanzato rivendeva terraglie e cuciva da sarto, per tirar
sa meno peggio la famiglia sua numerosa. E ìl Peloaini, al con-
trario di molti che ingenerosamente s' industriano di celare la
f>ri^ne loro modesta, se ne gloriava, onorando cosi maggiormente
^L il san buon padre e ac stesso. Dal Seminario di Montepulciano,
^B^ dove in principio studi<\ e dove subito manifestava ingi^gno vi-
^^Lvace e versatile, e quella singolarità, se addirittura non dicasi
^^Hatravaganza, di modi, che mai non perde finché ei visse, recavasi
^^Kk Pisa per compiervi ìl corso di ginrisprudenitn, aiutato dalle
^^^ amorose economie della madre solerte, rimasta gii vedova. Lau-
reatosi, esercita V avvocatura, o lavorò con indefessa costanza.
Di Francesco Carrara luminare del diritto penale, come a Fisa
frequentato avea le lezioni, cosi frequentò in Lucca lo studio,
traendone il maggiore profitto, allorché du sé solo ebbe ad affion-
i tare le difficoltà della vita, ed a vincerle. Sorti da natura elet-
^tissime doti, e, fra le altre, una rara eloquenza, che in luì risai-
tftva unclie più per U sapiflote n purissimo eloquio toscauo, •- per
gli sprazzi frequenti del suo spirito geniale ed acuto, e pel suo
gesto sempre elegante, composto, quasi direi aristocratico. Non & a
dire, pertanto, se egli in breve si acquistasse nome illustre nel foro,
dove anche per la svRriatissiina erudizione e la cultura tinissimn
ravvivò le splendide tradizioni della curia ti^scana, segnatamente
nella trattazione delle cause penali, ove ebbe senz'altro celebrità.
Toscanaujente fiero e geloso del nome suo, dinanzi a nessano
si piegò mai ; poclii de' suoi avversari furono risparmiati dalle
frecce della ana ironia, classicamente temprata. Che anzi, per
quella fierezza sua ingenita non sempre n\m:x a contenere in li-
mite discreto gli sdegni; non fu però vendicativo giammai, e dò,
per il carattere suo supremamente irritabile, non è merito lieve.
Fu Deputato al Parlamento, poi Senatore del Regno ; oon-
nervatore in politica, onesto fino allo scrupolo in ogni officio; biE-
zarro, come ho detto, nelle abitudini, popolarissimo, e perciò da
alcnni molto stimato ed amato, focosamente combattuto da altri.
Credè anzi (fu scritto) di avere sempre accanto a sé un qualche
persecutore; ma questo qualche persecutore non fu in sostanza altri
mai che l' ombra sua propria. Anche pili che di dotto, ebbe amina
di letterato e genio di artista; padrone, ripeto, d'ogni bellezza
di nostra lingua, riproduttore originale delle sue piii fine eleganze:
onde la r. Accademia della Crusca Io volle tra i suoi Corrispon-
denti, ed egli di ciò si compiacque altamente. Credente, senza né
intemperanze né umani rispetti, fu assiduo e dotto cultore della
Bibbia, nella cui lettura fu salutato maestro per retto criterio e
dottrina, attinti entrambi dallo studio dei Padri, e in ispecie di
Anselmo e Agostino.
Dei vecchi profeti (ricordava un suo amico e biografo) piaoe-
vagli riportare sovente le espressioni e le formule; ed essi pure
imitava, ritirandosi di tanto in tanto nella quiete dei cari sunt
colli pisani, dove davasi tutto agli studi prediletti e geniali. K
in quelle solitudini trovavaei bene; e l'artista attingeva lassù
ispirazione, arricchendo l'arte di gioielli, per altezza di concetti e
venusti di forma preziosi.
Con gli anni però, ma più pe' dolori suoi gravi, l'energia
dello scrìvere sembra si aflìevolìsca : il Peloeini riacende dalle sue
cime tranquille ed ispiratrici al piano faccendiero e tumultuoso,
e, prima dell' uomo, sembra in lui si spenga l'artista.
le sue I
taoso, I
^^ ricordi
^^Megno i:
^H^e prò
n Pelosini moriva infatti pochi mesi dopo, il 9 luglio del 1896;
a distauza di pochi mesi lo seguiva nel sepolcro un altro no-
stro collega, il prof. Cosimo Conti, anima appaasionata dell'arte,
(xitìco di essa pregiato, fiore di galantuomo, e ohe io vorrei po-
tere commemorare non al tutto incompiutamente, se la modestìn
in cui, più che racchiudersi, parve sempre volesse vivere, direi,
rannicchiato, non accrescesse la difficoltà di parlarne a dovere.
Destinato dal padre al commercio, riuscì il Conti a vincere la
opposizione paterna, e a darai al disegno ed alla pittura, L'scito dal-
l'Accademia, eepose con trepidazione vari dipinti, e nel 1859 vin-
ceva il concorso bandito dal Governo Toscano pel quadro L'ecà-
t àio della famiglia Cignoli distinto con una medaglia alla prima
esposizione italiana del ISUl, e che oggi ai trova nella nostra
Galleria dei quadri moderni. Vinse il Conti questo concorso senza
Hollecitazione di favori, senza elemosine di protezioni ; e fra' suoi
ricordi minati, che ho potuto vedere per gentile corteeia del suo
nipote o nostro collega Giuseppe Conti, fra le altre cose
I provano 1' ornile s:-ntimento e la diffidenza che egli aveva di
*Bè medesimo, leggesi scritto da lui questo voto: « Dio voglia che
« anch' io possa mostrarmi non indegno della speranza di chi mi
« ha giudicato, e del mio diletto Paese! ».
Più tardi, però, Cosimo Conti, anziché alla pittura originale o di
invenzione, sì dedicava quatti inbiramente al restauro degli antichi
dipinti j art« di suprema difficolti, e che richiede non solo un finis-
simo gusto, m-A una tecnica notevolissima; e ciò non pertanto, i
reetanri dii lui condotti (basti per tutti Ìl restauro degli at&eschi
dì Santa Trinità) gli hanno meritato plauso ed ammirazione.
Pubblicò importanti monografie, una delle quali sul Palazzo
Pitti qui letta, e amorosamente illustrò gì' inventari dell' antico
Guardaroba Granducale e le collezioni degli Arazzi, E questa pa-
rola ci riconduce col pensiero alla parte cospicua da lui avuta
nel daoorare di arazzi la sala dei Dugento, quando il Comune di
Firenze, venuto in possesso del Palazzo Vecchio nel 187*2, poneva
mano ad adattarlo per In sua residenza, e destinava quella sala
Btopeoda per le adunante del Consiglio con savissima scelta, poi-
ché «asa cosi nei tempi repubblicani come sotto il Principato ebbe
ngoale destino.
Si pensò allora a rivestirla con arazzi, e già a caso questi
tuo, quando a Cosimo Conti sovvenne l'idea che do-
. Sroa. It.,
m
LA SOOIBTA roU)HB ARIA DI riRBKZB
vevano esaervi sempre le Tappezzerie, fatte tessere e-spressamenl*
da Cosirao Primo ; e dopo esser venuto nella rartezza che, infatti,
trovavansi nella Guardaroba della Reale Galleria, Io significa a
Ubaldiao Perozzi, sindaco allora della città, e questi, ringrazian-
dolo, lo invitava a compiere le ricerche, e poi gli affidava l'inca-
rico della direzione ed esecuzione del delicato lavoro. Or qui dav-
vero si parve la nobiltà dell' ingegno del nostro Collega. Poiché.
messosi all'opera, e trovati dieci grandiosi arazzi della storia dj
Giuseppe, unitamente ad altre parti decorative che completavano
1' aBsieme, ebbe non poca pena a disporli a misura ed in ordiu<"
cronologico, e pia ancora per adattarvi quei due che stanno iv
contorno delle porte architettate da Baccio d'Agnolo, in quantj>
che non tornavano più con la presenta disposizione della sala.
Pose rimedio a ciò con grandi aggiunte, dipinte a imitazione ma-
gistralmente ; e poiché altre parti decorative eran perdute, foce
lo stesso [)er alquanti pilastri e sopra llines tre che or si confon-
dono coi veri arazzi. Giunto (inaijnente dopo quasi an anno dì pa-
ziente lavoro presso che al tannine, cousiglió al Comune la deco-
razione a postergali di noce sotto gli arazzi, e persuase a Emilio
De Fabris, assessore in quel tempo dei pubblici levori, come le
imbotti delle finestre appena imbiancate non potessero rimanere
cosi, facendo stridente contrasto con la ricchezza delle pareti. E
non potendo egli, per la part*' di lavoro che gli restava a finire,
prender l'incarico di decorare anche le imbotti, propose di rhia-
mare a cif> il professore Gaetano Bianchi, il quale, infatti, egre-
giamente li decorò in poco più di nn mese, e con due soli lavo-
ranti ad aiutarlo.
In questo lavoro, pertanto, il nome di Cosimo Conti è con-
giunto con alto onore al nome di Gaetano Bianchì e di Emilio
De Fabris, essi pure già nostri Colleghi, e tanto più universal-
mente compianti, quanto più il loro nome suona oggi perdita irre-
parabile per l'arte bella italiana; in quella guisa che per l'arte
della educazione intellettuale e civile suona oggi non men grave
perdita il nome di Giovanni Aimo, il quale ci lasciava quasi
improvvisamente il 23 gennaio di quest' anno. Nato a Mondovl
net 1830, trovavasi da ben cinque lustri in Firenze, amato da
tutti, altamente pregiato per l' ingegno, per la virtù e per la di-
ligenza paterna onde costantemente esercita l'ufficio d'insegnante
e di direttore della nostra Scuola Normale femminile. Si vera-
I
incute: Iti siiii vita è statii un modello ili virtù come tiorao, ctime
IiisegnaDte, come sacerdote, cbe mai non separò il più alto senti-
uento del criatìano dal più vivi e retto amore di patria. Grande
fu sempre la efficacia morale del suo insegnamento, perchè, o Si-
gnori, iiuesta forte e simpatica fibra di Piemontese volle sempre
al precatto congiunger l'esempio: e poreccLi dei gloriosi caduti
di Adua, il Qalliano fra gli altri, furono discepoli prediletti di
lui quand'era insegnante nella scuola militare di Asti. Senza lu-
Btre, adunque, né vanità, bene meritò della educazione nazionale,
della scuola, e in particolare del nostro Municipio, che gli affidò
spesso uffici gelosi e importanti, ai quali sempre rispose con zelo
sapiente, con rettitudine antica. E se il nome di lui non è di
quelli che abbiano levato molto rumore diutoruo a. sé, è però uno
di quei nomi che ricordano una vita feconda, e tutta svolta nella
scuola, clie a lui fu tempio, famiglia, felicità, come poi gli fu pur
troppo sepolcro.
Quella armonia (dissi già parlando del professore Lodonco
Fiaschi, e oggi ripoto non men giustamente per l'Aimo) quell'ar-
monia che va serbata fì^ il cuore e la scuola, perchè l'opera della
educazione si compia in beneficio dell' uomo e in perfezionamento
sociale, intuì, rispettò, mantenne sempre inalterabilmente nel suo
apostolato costante, glorioso, benefico. Numerose famiglie, e una
folta schiera di alunni e di alunne rammentano con mesta e grata
memoria l' insegnamento di lui, che sempre e dovunque irradiò
Ince di virtù e calore di bene ; virtù e bene, da cui rampolla
l' afietto e a cui corre ; onde spiegasi quella corrispondenza di
affetto che si stabili e si serbò fin all' ultimo tra lui e quanti
gli furon, per avventura, discepoli, Giovanni Aimo fu uno di que-
gli nomini, i quali riceverono la loro patente di nobiltà direUa-
■uietUe da Dio ; per valermi di una frase del Burus, felicemente
ripetuta, toccando appunto di Lodovico Fiaschi, dal nostro Enrico
Nencioni, mancato anch' egli or son pochi mesi, e oell'etÀ di soli
56 anni, alle lettere, all' arte, all' amicizia, all' ammirazione di
quanti lo conobbero, o ne lessero almeno gli scritti. Intelletto
aperto a qualunque maniièstazione della bellezza, profondamente
bnono, d' una gentilezza che parve muliebre, sgombro sempre da
qualsivoglia preoccupazione, schivo di ogni arte dissimulatrice,
aborrente da ogni senso d'invidia; le prospettive del mondo sen-
ìMle fecero il Xencioni poeta, le osservazioni del mondo morale
LA SOCIETÀ COtX>UBAaiA DI PIREKZE
lo reaero pensatore. Chi non è vero Etrtieta, sfoggia (fu scritto)
erudizione, e bÌ agita in dispate, dinanzi ad an' opera d'arte.
Enrico Nencìoni dinanzi ad un' opera d' arte, perché artiata vero,
sentiva, e per gli occhi, pure tacendo, rivelava tutta 1'
mit£, poetica, sq^uisitamente soave ; qitell' anima che provò gran-
disBimi affetti, e che grandissimi affetti ispirò. In lui l'ingegni
la sincerità, il sentimento, la bontà, la dottrina, la compassione,
parvero una virtù unica e sola, tanto ammirabilmente erano in
quel onore contemperate ! In tutte le cose anco più umili, perchè
animo delicato, ei seppe coglier bellezze gentili e la nota poetica,
efifondendo fra le pareti domestiche e nell' aula scolastica la dol-
cezza dei suoi mitissitni affetti.
E queste finalità del suo spirito si rivelano tutttì nei versi
bellissimi ed in ogni suo scritt') ; nelle sue Conferenze, il cui an-
nunzio (nota Francesco Pei'a nella schietta affottuosissima biografia
che ne ha scritto) fu sempre una festa per la eletta sodet& fio-
rentina, perchè all' intrinseca virtù letteraria univa in esso il Nen-
cìoni la estrinseca, ma pure non facile, e por tnnti'i desiderata
virtù del saper legger cott grazia, e del colorire con l'affetto della
viva espressione i suoi scritti ; nelle sue critiche di letterature
straniere, segnatamente di quella inglese, dove fu insuperato :
nelle sue lezioni di letteratura italiana &\V Intitnto femmintU di
Magistero e del Poggio ImpeiiaU, dov' ebbe sempre parola piena
di dottrina e di sentimento, e perciò calda, [wtente. Ma la critica
delle letterature straniere soprattutto fu la sua predilezione co-
stante, e, diremo anche, la sua suprema Wuemerenzn. R di qoAsta
sua critica ha ben giudicato chi ha detto non essere Enrico Nen-
cìoni un semplice espositore e commentatore di poeti stranieri,
beasi un poeta, il quale interpreta quanto di più ìntimo è nel
pensiero e nel sentimento di alti-i poeti, tutti anzi riconducendo,
e quasi sottoponendo, a un sentimentn suo proprio. Egli aveva la
rara dote di scorgere di primo intuito i difetti degli altrui lavori
e le loro più riposte bellezze. Liberissimo in arte, a certe ten-
denze dell» letteratura moderna fu perù severissimo, e l' indirizzo
materialista dell' arte e della politica lo indignava, in quella me-
desima guisa che ogni violenza contro il diritto ed il giusto lo
inaspriva; se poi esercitata contro i deboli, contro i fanciulli
ed i poveri animali, pei quali ebbe sempre un fortissimo debole,
lo metteva quasi fuori di sé, Enrico Neucionì ai mantenne sino
XKLL'aNXU ACCADSUICU 1896-i
GO
li
all' ultimo ugnale aeinpre a sé ateaso ; fedele alle sue uredenze.
■ Aereiio, benevolo a tutti, indulgente, pietoso; e se egli conobbe,
Bvoiae Ilo detto, i più rari segreti dell'arte, non però li conobbe
fd' osili ai'te, perchè, ad esempio, ijnella di saper oggi vivere, non
natantn sì viva genialità d'ingegno, ni rara larghezza di cultura,
i peregrina bontà di cuore, anzi perchè si buono (lo dirò con
Kmesto Masi aiaìoissinio ano), dovè quell' arte mancargli, se in
t«ntì anni di oneste fatiche e di lavoro continuo non s' imbattè
I i& un quarto d'ora di buona fortuna, né usci mai da quella ras-
segnata mediocrità di condizione in cui era nato ; sebbene al Nen-
ojoni nella storia letteraria di questi trenta ultimi anni spetti,
senza dubbio, un luogo notevole. Quelli die hanno conosciuto £n-
Irìco ffencioni (prosegue il Masi) dicono che era bello, di aspetto
g;éutile, aitante della persona, con una folta capigliatura, bionda
|p ricciuta, un tipo, insomma, più rispondente anche nell'esterno
Bile qualità dell' animo e dell' ingegno, di quello che fosse ora.
Quando lo abbiamo conosciuto noi, era ^ià precocemente invec-
efaiato ; aveva un alcunché dì gracile e di malaticcio, che, ama-
lùle com'era, faceva da prima penosa impressione. Ma l'occhio
et'B giovane, limpido, profondo come il suo pensiero, la fìsonomia
mnbilissuna come la sua fantasia ; il gesto fSpreBsivo e nervoso,
il riso schietto, sonoro, rame la sua voce ; e m parlando aniuia-
vasi, quella prima impi'essione subito scompariva, e non e' era
cbe ila lasciarsi andare alla letizia di un colloquio con lui conver-
ÉHatore impareggiabite, e cosi gaio, vario, senz'ombra di vanità o
dì pedauteria, e con tal copia di aneddoti e di reminiscenze, e
eoo tali scatti di umorismo generalo e bonario, che di rado o mai
abbiamo conosciuto 1' uguale.
Il Nencioni (dirò conchiudendo di lui), fu egli pure conferma
che 1' aH'ftto vero e sentito è, o Signori, il più alto e fecondo isjri-
ratore ; e come ispira le ^andì manifestazioni dell' arte, cosi ispiru
e governa le azioni più generoso e più degne.
^M La quale sentenza, cosi semplice e pur tanto vera, •' pur
^^f-tasto sapiente, io rileggevo testé con rammnrico fra molte altre
^^Ejnir sapienti e pur belle sentenze, negli scritti di Pietro Dazzi,
^^ftial quale veramente 1' affetto magnanimo ispirò la mirabile Istitu-
^^^■knw, a cui audrà i nd iaaol ubi 1 mente legato il suo nome. Dire di
^^■hhrì come insegnante, come is[}ettore delle scuole, come scrittore.
^^Lteme educatore e filantr"po, mal si ]>otrebbe in cofii brevi confini
Archivi, Biblioteche, Musei
•Ht-
Notizie storiche intorno ai documenti
ed agli archivi più antichi della Repubblica Fiorentina
(Sec. XII-XIV).
SoMMABio. — I. Cenno intomo alle vicende delle istituzioni archivistiche
durante i primi secoli del medioevo. - II. Varie specie di documenti
della Bepubblica; i Capitoli. - III. Registri giudiziari. Registri per
le entrate e per le uscite. - IV. Registri in materia legislativa e po-
litica. - V. Registri della Cancelleria. - VI. Registri militari; do-
cumenti diversi. - VII. Ordinamento delle amministrazioni pubbli-
che nel secolo XIII. Necessità d'un regolare servizio archivistico. -
Vni. L'archivio della Camera. - IX. L'archivio del Palazzo della Si-
gnoria. - X. Conclusione.
I.
Le poche notizie, che ne rimangono intorno ai primi docu-
menti ed archivi del Comune Fiorentino, non ci permettono di
fame risalire V origine » quegli antichi archivi municipali, dei
quali i Homani aveano saggiamente incoraggiata e promossa V isti-
tuzione nelle loro province (1). Pure, se i Goti ebbero veri e propri
archivi, e i Longobardi stessi sempre non ne furono privi, e, tanto
meno, i Carolingi (2) ; se iu alcune regioni si ebbero fino al sec. IX
(1) Dai tempi romani fino al sec. IX si ebbero nelle città francesi i
Gesta municipalia ; ciò fa supporre ch'essi fossero pure in altre città del-
l' Impero, e specialmente in Italia, almeno avanti le ultime invasioni
barbariche. Ved. Bbesslau H., Handlmch der Urìcundenlchre, voi. I, p. 149
(Lipsia, 1889). Cfr. Chiappelli L., Hecherches sur VétcU des études de droit
romain en Tosoan au XI siede in Nouvelle Revue de droit franqais et étranger
(Parigi, marzo-aprile 1896).
(2) I Carolingi aveano archivi viatori, e depositavano nei diversi loro
palazzi i più importanti documenti. Più trascurati furono ì loro succes-
sori, giacché appena verso la metà del sec. XII si trovano tracce dell' ar-
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE lo
ì Gesta municipalta, Firenze che fu, dai tempi imperiali, la prin-
cipale, o fra le principali città deUa Toscana, dovette certo avere
un archivio, che, verìsimilmente, fu distrutto durante le peggiori
devastazioni barbariche, ma poi risorse per i bisogni dei privati o
del pubblico. Costituito il Comune a libertà, sempre più vivo dovè
sentirsi il bisogno d' avere un' amministrazione ordinata, e perciò
di conservare documenti e memorie ; ma non è facile determinare
con precisione quando e come a ciò si provvedesse.
E noto come buona parte degli ordinamenti amministrativi
di Roma fosse accolta dalla Chiesa, la quale pose anche somma
cura nella conservazione dei documenti, promovendo l' istituzione
di archivi, anche pubblici, presso gli innumerevoli vescovati, chiese
e conventi di tutto il mondo (1) ; e si sa pure quale importanza
da noi andasse acquistando l'istituzione del notariato. Ciò posto,
non sembra fuor di luogo il supporre che a Firenze pure, come
in tante altre parti d' Italia, il Comune primitivo, od anche il
popolo, prima del suo libero ordinamento, conservasse i privilegi
ed altri simili documenti negli archivi e ripostigli più sicuri delle
chiese e dei chiostri (2). Rispetto, poi, agli altri documenti di
chivio imperiale, che, però, solo nel sec. XIV ebbe un certo ordinamento.
Anche i minori principi secolari trascurarono, in generale, la conservazione
dei documenti. Cfr. le Leggi di Pipino, p. 123 (Rerum Ilalicarum, to. II,
parte II); la Prefazione di P. Berti in Ada ffenrici VII (pubblicaz.
postuma di F. Bomaini, Firenze, Cellini, 1877) ; Bresslau, pp. 131 e segg.
(1) Sembra che due archivi ecclesiastici ben ordinati fossero a Lucca
fino dai tempi longobardi, giacché in un documento del 763 si hanno le
frasi : « ...in arcio ecclesie sancti Martini, ubi est domo episcoporum... »,
« in arcio... sancte Marie... ». Eispetto a Firenze, v' è memoria d' un
convento esistito, verso la fine del sec. VII e il principio dell' VIII, nel
pian di fiipoli, presso la città, ma nulla si sa circa il suo archivio : solo
nel X, è ricordato quello capitolare. Ved. Labbaeus, Cona'liorum coUeclio,
to. XI, 1874 D, 1881 B; XIII, 971 E, 1106 C, 1192 E, 1197 E, 1199 C, 1221 A,
1299 E, 1246 B, 1268 A, 1287 A, e altrove (Venezia, 1730); Memorie e docu-
menti per servire alla storia di Lucca, to. IV, pp. 271, 272, e 101 (Lucca 1811) :
Davidsohn B., Geschichte von Florenz, to. I, pp. 70, 108 (Berlino, 1896).
(2) E verisimile che, durante parecchi secoli, si facesse a meno di
molte testimonianze scritte ; infatti in un documento fiorentino compilato
fra il lini e il '103 si ha: « ...Domine, non est nostra consuetudo, nt de
« decima vel feudo habeamus scriptum, unde habemus testimonia... ».
Se delle scritture, però, ve ne furono sempre fra privati, tanto più do-
76 ARCHIVI, DIBUOTECHE, MUSEI
natura amministrativa, il Comune, dapprima vacillante, dovè va-
lersi dei notari, i quali erano, per la compilazione degli atti, legit-
timi rappresentanti dei supremi signori feudali ; e potevano, in certo
modo, accrescere la sua stabilità, col mettere le deliberazioni sue
sotto la protezione del diritto pubblico allora vigente. In tal modo,
quand' anche V Imperatore non avesse voluto riconoscere ad esso
l' indipendenza, i suoi atti avrebbero, pur nonostante, avuto va-
lore, non foss' altro come quelli d' una società privata fatti in
forma legale. E per ciò appunto, furono forse lasciati nei proto-
colli notarili (1), che avrebbero, quindi, costituito i registri del
Comune più antico.
n.
A mano a mano che la vita del Comune cominciò ad essere più
rigogliosa e sicura, V amministrazione divenne sempre più ordinata
e regolare. I notar i, che forse, da principio, uscendo dall' ufficio, por-
tavano seco i loro protocolli, doverono cominciare a lasciarveli (2),
verone esservene per gli afifari pubblici. Nel 1148, inoltre, si afferma che,
mancando la fede, ci vogliono i documenti. Le leggi giustinianee alludono
chiaramente agli archivi delle città, né li escludono quelle pubblicate
dopo dai Longobardi e dai Carolingi. Gfr. Corpus luris Cwtìd», Cod., I, 56 ;
X, 19, 71 ; XII, 49(4) ; Nov. 73, 2, 9 ; Davidsohn, 819, 663.
(1) Durante i secoli XIV e XV, spesso atti di particolari associazioni,
di uffict della Repubblica, e fìno deliberazioni della Signoria, furono inse-
riti nei protocolli, od anche riuniti in volumetti, che i notarì portarono
seco come loro protocolli. Lo stesso avvenne talvolta per gli statuti e per
gli atti tutti dei comuni minori. Infatti, nel 1376, troviamo quelli di
8. Donato in Poggio fra i protocolli di ser Bartolo di Nuto da Firenze, in
un volumetto o protocollo ad essi esclusivamente destinato (Archivio Nota-
rile AtUecosimiano del r. Architno di Stato, B, 688).
(2) Se il nome di protocollo dei documenti può risalire alla nota disposi-
zione giustinianea circa la carta da adoprarsi per gli atti pubblici, cosa di-
versa sono i registri, di cui qui si tratta, ed è assai difficile scoprire quando
ne cominciasse Puso, durato, poi, fino a noi. Nel 1186 un not€u:o fiorentino
promise all'Imperatore di non scrivere (nel protocollo, secondo il Davidsohn,
ma non sembra provato) false notizie ; 13 anni prima son ricordate le im-
breviatore d'un altro notaro già morto, che pare corrispondano ai proto-
colli, e fossero destinate alla conservazione. Non ne siamo, però, certi, e
potrebbe darsi eh' esse fossero solamente schede ed appunti lasciati da
quel notaro fra gli altri suoi logli. Ad ogni modo, stniibi'a che imbre-
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 77
poi rinunziare ad ogni diritto su di essi (1), finalmente farne spe-
ciali registri (2), che, presto accumulatisi, costituirono veri ar-
cliivi amministrativi e politici (3).
Del resto, 1' uso di questi registri, come si sa, era comunis-
simo nel medioevo, e tutto fa supporre che il Comune Fiorentino
quasi fin dalle origini ne fosse fornito (4). Infatti, il volume 2(>
dei Capitoli fii fatto copiare da lacobus felicis memorie domini
Henrici imperatoris tabellio negli anni 1216-16 (6), ma, per di-
viature e pix>tx>colli più o meno regolari debbano risalire a tempi molto
anteriori. Infatti, già nella prima metà del sec. XIII, i notar! a Firenze
si consideravano quasi ufficiali pubblici, dipendenti, per certi rispetti,
dal Comune, che regolava il loro servizio, s^ impossessava, dopo la loro
morte, delle imbreviature, affidandole ad altri notari di sua fiducia, ec.
Gfr. Corpus /. C, Nov, 44, 2 ; Cosentino G., / notari in Sicilia, p. 822,
in Archivio storico siciliano, nuova serie, an. XU (Palermo, 1887); Paoli
C, Programma di paleografia IcUina e di diplomatica, p. 54 (Firenze, 1888)*,
Santini P., Documenti dell* antica costituzione del Comune di Firenze, pp. 7 e
^gg- (Firenze, 1895) ; Davidsohn, 662, 668.
(1) Nelle Provisiones canonizzate, del 1289, delle quali più oltre vedremo,
determinato il salario per il notaro dei Priori, si stabilisce eh' ei, finito
]^ ufficio, debba permettere ai successori, rinunziando ai diritti notarili,
d'estrar copie dai suoi protocolli senza spesa alcuna.
(2) I volumi e le serie, infatti, che ne rimangono, possono conside-
rarsi come tanti protocolli notarili, scritti, per il comodo delle consulta-
zioni, in forma migliore, e compilati con metodo uniforme; alcuni, anzi,
presentano anche V aspetto materiale di veri protocolli.
(8) Cktm'è noto, anche i Bomani conservavano i documenti, secondo
la loro natura, in diversi luoghi e negli uffici rispettivi : e, per tacere
d'altri, i Be Normanni ebbero a Palermo un' amministrazione ben ordi-
nata, nei cui diversi uffici si formarono, a poco a poco, tanti naturalis-
Himi archivi. Gfr. Bbesslau, 185, 186.
(4) L'uso di registri pubblici fu, senza dubbio, a Firenze, antichis-
simo. Secondo il Davidsohk (p. 755), già nei seco. XI e XII vi si sarebbero
<x)mpilati quei registri di battezzati, che solo per le prescrizioni del Con-
cilio di Trento divennero poi d'uso comune. A dir vero, però, non sem-
bra che tanto possano dimostrare i passi citati dall'illustre Aut. Si
scrivevano i nomi dei catecumeni ; ma chi dice che si scrivessero in
registri destinati alla conservazione ? potrà darsi, ma non è certo. A Siena
si ordina espressamente, dal Podestà, un registro d'istrumenti nel 1208.
Cfr. G. ToMMASi, Dell' Historie di Siena, p. 185 (Venezia, 1625).
(5) Yed. Santini, pp. ix e segg. Gli atti trascritti da lacobus giungono
fino al 30 di maggio 1214; ne seguono, poi, molti copiati dai notari Formo'
versi iiidizì, ni |ni6 supporre che molti suoi fogli e qmuler
Bero già fatto papte d' un volume verisi mi 1 mente più antico. In
seguito, il Comune fa uso wntinuo di queati registri, e presto <U
fino incarico a certi uiBcialì eletti all' uopo di ricercare i docu-
menti e farli in essi copiare. I più andchi registri, poi, delle Prov-
visionì e delle Conaulte forniscono numerose notizie intorno a do-
cumenti circa un dato nffure, una cittù od un Comune soggetto, a
diritti del Comune, a trattati di pace o d' alleanza, a carta di
Hottomissione, che debbono esser trascritte in quaderoi o volumi.
Da tutte queste copie, per lo più autentiche, si formarono, a poco
a poco, quei volumi, che, indicati nel linguaggio ufficiale pii^ an-
tico della Repubblica col nome di registri, libri instruvìcntoninn,
iitentoì-iali (1), furono nel sec. XV detti Capitoli, e costituirono
la serie più importante dei documenti a noi pervenuti.
I veri e più antichi libri d'istrumenti sono in piccol natnero,
ina importantissimi ; poi la collezione a' accrebbe con documenti
d'ogni specie, appartenenti alla HepubbHca od a città e comuni
venuti sotto di essa, privati e pubblici, in materia giuriddiziunule
politica, legislativa, giudiziaria, amministrativa, dal 1024 fi
liaUlBIUUttlB u
I
riii]iiiiuil«WB
t Comuiu dt '
gin», Liliia, Seleana, Trufectu», Btrlingeriu», Btniaeam, lóhamtu e
CCr., per quel ohe A riferiace ai Capitoli, ed anuhe per ti
OuisTi 0., Prefaaone ali' Jinvutai-io e regeito de / Capiloli del Comune Al
Fùrmxe, to. I (Firenze, ÌS^)\ Giiebahdi A., Lt CoiuaUs della Bgpubbliea
Firnvntùia, PrefiaionB (Firenze, 18d^9l!>-, Daviusorn, Fortchungm, 144.
(1) Nel reg. 13 dei Capitoli (Protocolli) a e. 9S, nel 1279 ser Bonaignore
di GuBMO, ohe poi fu tanta pari* dell'ammiiiistraKione fiorentina, scrive
di un atto privato da lui rogato a Modena, che fu tmscrìtlo ih laemo-
rialilita Coniiinu (di MudetiaJ; dalle Prvvàionei amcnixiats (e. 2) si vede
uhe i aindaci della Camera doveano esarninare Ubeltum jiumoriaiiuin Co-
vitrt; ed è noto <kiuig a Bologna esisteva l'archivio dei Memoriali o
Coinmemoriali, clie fu ordinato da tre frati Godenti nel 12^. Anche
negli statuti pisani del ISSti, si ha la rubrica ; • De actis, privilegiìs,
• niemorialibwi, registris et iuribus pisani Cotnmunis.,. >- cosi in quelli
di Piatola del 1296: ■ Quod re^istreutur in pteptoriali... Poteatas et Ca-
■ pitanei... Statuimus quod regi streu tur... in libro aeu memoriali... r. Cfr,
Boamti F.| SlaluH ùadiii dtUa cìUà di Pàa..., voi. I, p. 8T (Firun». 1861);
FedbbiciF. D. H., Storia iWCamlicnGaud^li(Vencxia, 17S7), to. 1, p. 290;
ZniaADUi L., SlaUlum Palalatii Comunu Pùlorii, anni MCCLXXXXVI,
p. S23 (Uilano, Hoeplì, 1888>; e molti altri.
AirTlORI LUCRIVI DI rtRBHZG
il sec, XVI (I). La parte, però, pili notevole è cwstituifa disili istri]-
menti giurisdizionali o politici, cioè dai privilogi, dai trattati di
pace o d' alleanza, dalle sottomissioni e simili; e, per questi atti
principalmente, la collezione pm'i paragonarsi a quelle d'altre re-
pubbliche italiane, come i Libri pactoriim di Venezia, 1 Liìn-i
iurium di Genova (2), E che in tali volumi volesse fa Repub-
tilica rQnservare le prove de* suoi diritti e datila sua giurisdizione,
si dasuiue anche dalla cura, con cui si registrano i nomi di tutti
gli adulti, in specie capì di famiglia, negli atti di pace o d' al-
leanza, di dedizione o sottomissione. Ma vediamo in che modo si
(arfn&aaòTo i singoli volumi e l' intera collezione,
I rettori della Repubblica ogDÌ tanto ordinavano registri spe-
ciali degli iatrumenti più importanti, che si erano ac-cumulatl in
archivio, o che erano stati qua e Ifi ritrovati. Per lo più, vi si
copiavano, poi, di seguito, via via che si trovavano o si facevano,
&Itri iatrumenti della stessa od anche di diversa natara. Questi
volumi, almeno in parte, son rimasti, tali e quali, tino a noi, salvo
alcune trasposizioni di carte avvenute nella legatura. Gli idtrì nu-
merosi quaderni e fogli sciolti, che i Signori destinavano a questa
serie di atti per la conservazione, venivano collocati in archivio,
rìaniti a fìisci, alcuni fora' anche a volumi; e, numerati, distinti
con segni speciali o con lettere dell' alfabeto (3), solo piii tardi
foron ridotti, come ora sono, a volumi e legati, senz'aver molto
riguardo, nell'ordinamento, alla cronologia, ed ottenendo solo, quasi
cASualmente, nna certa distinzione per materie. Sembra, però, che
dapprima non vi fosse l' intenzione d'unire tutte le copie in questi
(1) Di tutti eùate un ìnTentario mt. ; dei primi IG V InsealaHo t
HttUo nell'op. cit. / Capiloli..., to. I e II (Firenze, 1S66 e '9S), La coUe-
iiuue («nata, comprese le Aggiunte e i ProfocDUi, d'oltre Vtì volumi, per
lo più «saai grossi e membranacei. I registri compilati sotto il Principato,
(Dclii !• poco ìmixircaati, uontengono documenti lino al sec. XVQI.
(2) GtiisTi, Prefatione cit., xxj. Questa colleiioni. assai meno copioae
ilella fiaraitina, risalgono rispettivamente all' 888 ed al 958.
(S) Lo stesso accade anche in att:r' città; Ìd Siena, pei'ea., i oni oinqiH
(rumcnComm, che contengono atti dal 935, Lanno, rispettivamente
: Califfo dell'Assunta, Civleffo veccliio, Calefib nero, Cnleffo n
ble0ètto. Per li formazione di questi ed anolie degli altri registri d
lepubblìca in generale, cfr. Piou C., / fingue Califfi del r. Ardiivta t
> in Sima, in JrckÌi!Ìo itor. Hai., aerie IH. to. IV, pp. i^\ e .^e-g. ai
k ^f^fatànna cit. del Guasti, e Ghebardi, voi. cit., pp, ix e -^zii-
UOTBCHB, MLSEI
grossi volumi, giacché anche parecchi quaderni furono iudicati
segni e nomi apdciali ; e questo fa supporre che allora s' avi
intenzione di lasciarli per sempre a sé (1).
Il più antico dei volumi rimastici, che fossero cominciati I
veri registri, è quello già ricordato, di n. 26, Ne seguono, fra^^
più importanti, altri due di u. '29 e 30. Il priuio di questi, detto
anche registro maggiore del Comune e segnato di lettera T, fii
oorainciato a copiare nel 1253, per ordine di Lanibertino Lambertjni
allora capitano del trionfante e potentissimo Popolo £orentÌDo, da
un altro registro più antico, la maggior parte dei cui fogli si trova
in quello di n. 26, « ... ut possint Comnnis inatriunenta in Igcis
< plurìbus conservari, nec iura et rationea Comunia exiatentee in
■ eisdem . . . pogsint de facili deperire » (2). Rispetto al ae<?ondo
'ù; cosi molti altri con simili
(1) Vi'', nii PS., il /ìuatemwi n
nomi. Cfr. Kamtiki, 591;
(2) Eccotifi il titolo prpp.iso, che piiù farci compienrlere come i- eoo qtiali
ìntendimeuti si ordimissero, presso a poou, anche gli altri re^stri (Sahtimi,
l>p. XI e segg.) : • In nomine domini nostri Icsu Christi, amen, et glorioae
' Marie virginis sue matris, et beatìsalmi loliannis Baptiste e
• sanctoruni et sanctnrum eiusdem. Incipit liber contmctum et '
■1 torum Comuni^ Florentia, sxeuiplatorum de vsterì libro i
■ rum, tempore nobilissimi viri, domìni Lambertìax domini Ouidonia Lam-
■ bertini, capitane! triumphantis et potentissimi Populi Florentie, et viro-
•I rum prudentium Antianorum eiusdem Populi, nomiuu quorum nuot hec;
• Doininus Albizus Trio ci avelli a, dominiis Fortebraccius de Kighìno, tU'
■ dex, Guido Bicciì, Donus Finiguerra, Aimerius Cosa, Oualterone I^ia
■ lordani, Bainerius Boccia, Giunta Belliacìonis, Canbius Bugerotti, Capi-
< taueue Folchetti, Oiuota Villanuzzi et Dietisalvi Abbatenemioi •.
■ Qui dominus Lambertinus, capitaneus, et Antiani superioa nomi-
« nati, fecerunt ad utilitatem Comuni» Florentie scribi et exemplai'l hunc
■ librum instrumentoruin i>t contractuuui Comunis Floreutie, ut possint
« Comnnis Instrnmenta in locis plurìbus conservali, neo iara et rationes
» Comunis existentee in eisdem poasiut, vel valeant, de fiicili deperire •,
In prinoipio del volarne, è l' indice dei documeuli, che incomincia cosi
(ved. 1. oit.) : • In nomine domini... Hoc est repertorum totiua registri
• Comunis et Populi florentiai et instxumeutorum et aliarum rerum exi-
■ stentìum in ipso registro, tani antiquis temporibus quam moderno tem-
• pare oontractorum , conipositura et ^icriptum jier me Locterium Salvi de
■ Oerrelo, floreulinorum civem notaritim, eiusdem registri scribam pm
■ dicto Comuni et Populo deputatum t.
■ In primis •{uidein rugìstrum maitis dicti Comunis signatum per T.,
« habet in se instrumenlorum et rerum oontin''ntiam et tenoreui, et beo
(snnt... *.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 81
fu pure copiato in gran parte al tempo di Guglielmo Rangoni,
nel 1253-54 ; gli atti dei due registri cominciano, rispettivamente,
dal 1138 e dal 1156.
Degli altri volumi, parecchi hanno in principio un'intitola-
zione, dalla quale si vede com' essi nacquero, per cosi dire, al-
meno in parte, veri registri. Quello segnato di n. 1 comincia
dal 1329 ; il 3.», dal 1202, e fu ordinato nel 1253 da Lambertino
Lambertini capitano del Popolo, poi fatto continuare, come il 30.^
surricordato, nel '54 da Guido Rangoni, pure capitano; il 24.<), che
fu copiato da due altri antichi registri del Comune d'Arezzo, co-
mincia dal 1024 ; il 25.^, è un « . . . exemplum quorumdam instru-
« mentorum et scripturarum repertarum in archivo Comunis Flo-
« rentie ... » : il 27.^ è un «... novum registrum et liber Comu-
« nis et Populi fiorentini . . . inceptum feliciter et victoriose, sub
< annis . . . millesimo trecentesimo trigesimo ... ». L'undecimo, poi,
contiene parecchie costituzioni sinodali promulgate nel 1327 dal Ve-
scovo fiorentino (1), molte provvisioni della Balia creata per rifor-
mare la città dopo la cacciata del Duca d'Atene, ec. Nel reg. Id,^
sono molti slmndimenti e condanne pronunziate, comprese quelle
del 26 gennaio e 10 marzo contro Dante Alighieri, 1' anno 1302,
dal famoso podestà Gante do' Gabbrielli da Gubbio (2) ; nel 22.®
atti concementi il Duca d'Atene e molte lettere della Signoria ;
nel 37.® vane condanne per trasgressioni alle leggi dell'Annona,
del 1340 e '41 ; nel 39.® il processo fatto, per ordine pontificio,
l'anno 1346, contro l' inquisitore Pietro dell'Aquila; nel 42.® una
copia degli Ordinamenti di Giustizia, ec.
m.
Oltre i Capitoli, diversi altri antichi registri, in cui si scrive-
vano le cose più notevoli dell' amministrazione, pervennero fino ai
nostri giorni. Di natura svari atissima, ci forniscono notizie pre-
ziose intomo alla vita dei cittadini ed all'amministrazione dello
Stato, il quale, anche allora, come ben si comprende, avea non
pochi uffici.
(1) Pubblicate nel cit. Inventario dei Capilolif pp. 4-49, to. II.
(2) Id. da P. Fraticelli, nella Vita di Dante, pp. 147-152 (Firenze,
Barbèra 1857).
▲bcb. Stob. It., 5.* Serie. — XX. 6
82 ARCHIVI, BIBUOTECHE, MUSEI
Gli atti giudiziari costituiscono una fra le serie più importanti
di questi registri (1).
E probabile, come abbiamo notato, che ve ne fossero di re-
golari assai prima, e subito dopo l' origine del Comune, e che poi
venissero, per varie ragioni, distrutti o dispersi. Notizie precise
intomo ad essi non* troviamo prima del sec. XIII ; ma è certo,
per una frase di quel registro del vescovato fiorentino, che è co-
nosciuto sotto il nome di Bullettone, che gli atti si 'scrivevano
già nel 1130 (2). Nel 1172, poi, troviamo tribunali regolarmente
costituiti in Orsanmichele, con propri giudici e notari (3) ; e nel
1180, un notare scrivano delF Ufficio delle inquisizioni (4). Nel 1182
son ricordate le lettere giudiziarie o precetti del Podestà; esse
pure doverono essere regolarmente registrate (5) ; è certo almeno
che ciò si faceva nel 1245 (G). Nel 1204 il Comune si obbliga di ren-
(1) Gli atti giudiziari, o quasi, dei tempi repubblicani risalgono al 12r»()
(dei Capitani di parte Guelfa), al 1343 (del Podestà), ec.
(2) « Quali ter Episcopus florentiniis habiiit sententiaiu (dal Comune)
« de castro Montis Buiani, coutra fìlios Guinoldi... Carta, manu Bonian-
« nini, et Roggerii, not., cuius originale exemplum, publicatum per plu-
« res notarios, est cum ipso originali ligatum » (Santini, 501). Non è
detto espressamente che della sentenza fosse stata conservata memoria in
un regolare registro, ma sembra che si debba 8U])porre ; non fosse altro
dovea rimanerne notizia nelle imbreviature notarili. Lo stesso è da dirsi
per tutti gli altri atti più antichi, e specialmente per le molte conces-
sioni simili, che furono fatte al Vescovato dopo quest' anno. Qualche docu-
mento, ad ogni modo, dovea esser conservato, giacché si sa che ogni curia
avea uno statuto per la procedura. Cfr. Santini, Studi auWantica costituzione
del Comune di Firenze, in Archivio stor. Hai., serie V, to. XVI, p. 84.
(8) Santini, Documenti delV antica costituzione del Comune di Firenze, xxvij.
(4) « Ego Opizzo..., uotarius et scriba [Officii] inquisitionis existens... »
(op. cit., 526; sembra notaro dell'Ufficio delle inquisizioni giudiziarie).
(5) Si ha una promissione, in data del 8 feb., degli uomini di Empoli
al Comune di Firenze in cui è detto: « ...quotienscumque consul, vel
« rector... inquiret nos, vel faciet inquirere, seu per nuntium, vel quod
« mittat nobis litteras, ut faciamus eis ostem vel cavalcatam... » (oj).
cit., 17); anche negli statuti pisani del 1164 si trova una simile espressione :
« Et hoc... per loca Tusciae et alia, de quibus mihi congruum videbitur,
« notum per nuntios vel litteras fieri faciam... » (Bonaini, to. cit., p. 29).
(6) Santini, Documenti ec., 486: « Ego Guidaloctus... predicta precepta
« et alia suprascripta, sicut in actis et quaternis Comunis Florentie soripta
« per Nascium, notarium diete Potestatis, in veni... ».
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 83
der ragione ai Faentini, che deponessero nella Curia querimonie
scritte (1). Finalmente, il 16 di settembre 1213, nella curia per
i foresi, posta in Orsanmichele, dalla parte di settentrione, il giu-
dice Lotteringo pronunzia una sentenza in favore di Gisla, mo-
glie di Pace d' Ubaldino, che Guascone scrisse, in buona forma,
sicìd in libro de Comuni reperi esse dcUam (2). E chiaro, dunque,
che quell'anno già esistevano i registri degli atti civili; e s' hanno
buone ragioni per credere che vi fossero piu-e quelli dei criminali ;
in seguito, si trova spesso menzione degli uni e degli altri (3).
I volumi degli atti giudiziari non constavano di due sole se-
rie di registri uniformi, civili e criminali, ma di parecchie. Vi
erano, infatti, le inquisizioni, i bandi, le testimonianze, le sen-
tenze, le assoluzioni; inoltre, le curie per i cittadini e per i foresi;
dei giudici dei sesti e del Podestà, del Giudice degli appelli, e
d' altri ufficiali. Si aggiunga che il Podestà, ed altri ufficiali giu-
diziari, tenevano diversi registri, non tutti esclusivamente in ma-
teria giudiziaria. Cosi il 10 d'aprile 1225, nella curia vecchia di
s. Martino col segno del cavallo ])er i foresi, il notare Mainetto
mise in pubblica forma, per una delle parti, una querimonia
estratta dal qaateimo diete curie ; v' era, dunque, per le queri-
monie, un registro particolare (4).
Una simile querimonia, non dampnatam nec canceUataìn,
estrae ser Corbizzo V undici di gennaio 1228 dal quaierno Comu-
(1) Santini, 144.
(2) Op. cit., 287.
(fi) Dal trattato De regimine civitcUia scritto a Firenze verso il 1250 (se ne
conserva un esemplai*e nel cod. Laui'enziaiio-Strozziano, 63) si vede il modo
che tenevano da molto tempo, i notari nello scrivere gli atti giudiziari.
Il podestà o il giudice detta nelle adunanze le assoluzioni e le condanne,
poi le fa leggere a voce alta, quindi le approva e conferma ; il no-
tare le riduce in pubblica forma per le j^arti. Egli scrive pure fedel-
mente tutte le dimande e risposte, delle parti come dei testimoni, le con-
fessioni, ec. Sembra che rimanessero nella Curia tutte queste carte ; e
solo fossero consegnate alle parti le sentenze scritte a parte in pubblica
forma (ce. 26S 84).
(4) Op. cit., 252. E verisimile che si registrassero, integralmente o in
sunto, le querimonie dirette alla Curia, si mettessero, poi, negli atti sciolti ;
per ciò furon presto disperse. Verso il 18fX) si teneva questo sistema per
le petiàoni ai Consigli ed alla Signoria, che dal notare erano conservate
nei registri delle Provvisioni e delle Consulte. Cfr. Gueraboi, p. xxn.
84 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
ni8 nella cuna di s. Michele col segno dell'Aquila (1); un bando
non canceUatum neque abrasum, pronunziato dal Podestà contro
gli uomini ed il Comune di Settimo, per 20 lire, che doveano pa-
gare a certo Maczo di Bodolfino, estrae Spedaliero, il 23 di feb-
braio, dal registro degli sbanditi, fatto durante il marzo del 1227,
nella curia delle cause sospette e straordinarie (2).
Notizie di registri consimili ne rimangono, del resto, moltis-
sime. Cosi Iacopo, nella curia di s. Michele col segno della rosa,
il 30 dicembre 1233, estrae una sentenza dal libro de Comuni (3) ;
Ricordante, nelF agosto 1237, scrive negli atti della curia di Por-
sanpiero, la notizia del possesso dato di due castelli alla Badia
fiorentina (4); Giunta, il 19 di novembre, nella medesima curia,
copia un bando dal libro exbannitorum Comunis Florence (5) ; ed
una copia simile si fa il 26 d' aprile 1240, nella curia del sesto di
Porta del Duomo (6). Inoltre, Iacopo, il 13 di giugno 1242, nella
curia degli appelli, copia un appello e denunzia, prout in cUtis et
qtiatemis denuntiationum (7); il 21 d'agosto '43, ser Orixopolus
nella stessa curia, scrive una protesta del procuratore della Badia
fiorentina, in Iiactis Comunis . . . , et specialiter in libro libeUorum
et confessionum (8) ; il 18 di febbraio '44, entro la curia del Po-
destà, si trascrive una sentenza dagli atti del giudice ed assessore,
Ugo de Coscio (9). Si sa, inoltre, che nel 1254 v' era il libro delle
assoluzioni del Capitano (10), e sembra quasi certo che nel '63
esistessero i registri dei mundualdi dati alle donne dai giudici
dei sesti (11). Finalmente e' è pervenuto uno fra i più importanti
(1) Santini, 254.
(2) Op. e 1. cit. Cancellando sui registri le sentenze si soleva indicare
eh' erano state annullate.
(8) Op. cit., 257.
(4) Op. cit., 267.
(5) Op. cit., 269.
(6) Op. cit., 275.
(7) Op. cit., 294.
(8) Op. cit., 800.
(9) Op. cit., 802.
(10) Op. cit., 499.
(11) Cantini L., Legislazione Toscana, to. I, p. 46. Parrebbe, anzi, per
un documento pubblicato dal Santini (p. 260), che vi fossero fin dal 21 di
marzo 1285, giacché diversi notari, sottoscrivendosi in esso, dicono d'aver
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 85
registri politico-giudiziari, il noto Libro del Chiodo, nel quale fu-
rono registrate le condanne, che il citato Gante de'Gabbrìellì avea
pronunziate, sui primi del 1302, contro i Guelfi Bianchi, compreso
rAlighieri (1).
I registri giudiziali erano, dunque, assai numerosi, e prende-
vano diversi titoli secondo le materie, le magistrature, le curie,
in cui erano compilati (2) ; se ne tenevano, a quanto pare, negli
uffici dei notari de' sesti e del Podestà. Presentemente non ne
rimangono che pochi frammenti anteriori alla seconda metà del
sec. XIV, quando, al posto degli antichi giudici, erano le nuove
magistrature del Podestà, del Capitano, dell' Esecutore. Modificati,
però, gli ordinamenti giudiziari, rimangono sostanzialmente gli
stessi metodi per la procedura, per la copia degli atti, per la for-
mazione dei registri , che conservano sempre l'antica disposizione
materiale, il medesimo aspetto esterno.
Hanno qualche analogia con gli atti giudiziari i molti e sva-
riati registri per le imposizioni, per le gabelle, per le entrate e
per le uscite del Comune; alla conservazione dei quali serviva,
com' è noto, per i comuni e per i principi, per i papi e per gli impe-
ratori, fin dai secoli più lontani del medioevo, la Camera, che
continuamente troviamo ricordata: Tal nome, anzi, divenne, du-
rante il medioevo, d' uso comunissimo, e soleva indicare qualunque
luogo, in cui si depositassero cose preziose, denaro, documenti.
E nota, infatti, quell'affermazione del Villani, che Firenze, fin
da' tempi più antichi, era Camera dell' Impero e di Roma (3). Dovè
veduto ed udito leggere l' autentico, che dovè essere, naturalmente, negli
atti della Curia. Gfr. Villa ri P., I primi due secoli della storia di Firenze,
voi. II, p. 44 (Firenze, Sansoni, 1893-9^1).
(1) Ved. Del Lungo I., Dino Compaffni e la sua Cronica, I, pp. 102, 284,
297, a06 e segg., 1052 ; II, 220 e altrove. Vesilio di Dante, pp. 78 e segg.,
97-107 (Firenze, Successori Le Mounier, 1879- *87 ; e 1881). Gueraboi, I,
p. xxviii. Sembra che, appunto perchè in parte politici, in parte giudi-
ziari, si conservassero diversi esemplari anche dei libri di bandi ; uno
almeno dal Podestà e un altro dalla Signoria. Cfr. Delizie degli eruditi, del
p. Ildefonso, to. IX, pp. 256 e segg. ; X, pp. 93 e segg. ; Capponi G.,
Storia della Repubblica Fiorentina, to. I, pp. 551 e segg. (Firenze, Barbera,
1875) ; Perrbns F. T., Hisloire de Florence, to. III, p. 61 (Parigi, 1877).
(2) G£r. il cit. trattato De regimine civiiatis, e. 84.
(8) Cronica, lib. I, rubr. 41 (ed. Magheri, Firenze, 1823).
86 ARCHIVI, BIBUOTECHE, MUSEI
esservi, dunque, coi registri supposti per le tasse, per l'entrata,
per V uscita, e simili, un pubblico deposito di denari e d' altre
cose per i bisogni intemi della città, come per quelli de' suoi si-
gnori, la Camera. Se, costituito il Comune, potè essere messa sos-
sopra dai torbidi che ne furon conseguenza, in breve dovè tor-
nare allo stato consueto ; ricostituirsi l' amministrazione, compi-
larsi le note delle entrate e delle uscite, delle tasse, delle gabelle,
scriversi gli statuti, le provvisioni ; ciò assai presto, poiché giÀ
nel 1125 la troviamo ricordata, e non come istituzione nuova,
ma quasi notissima e fiorente anche in tutti gli Stati vicini.
Infatti, con la fiorentina si ricorda pure la Camera pontificia,
l'imperiale, la bolognese (1). Continuamente, inoltre, i camarlin-
ghi del Comune son ricordati, dopo i primi del sec. XIII; cosi
nel 1201, '2, '3 . . . (2). Del 18 agosto '220, è una carta, sumpta
ex actis Camere Comunis Florentie, dalla quale si vede come il
Vescovo ed il suo procuratore s'erano lamentati col Comune, contro
i rettori del castello di Lomena, i quali non voleano pagare al Ve-
scovado i soliti e dovuti servizi ; e ne avevano ottenuta una sen-
tenza favorevole (3). Nella Camera si trovavano, dunque, allora,
questi registri, e, quantunque sembrino, più che altro, giudiziari,
neppur quelli che attengono alla gestione economica doveron man-
carvi del tutto.
Ma che vi fossero, dai primi del secolo, regolari registri d' en-
trata e d'uscita, si rileva molto bene da un atto del 20 marzo 1224,
col quale il Consiglio del Comune elegge 12 buoni uomini, che ab-
biano arbitrio e balia sui consoli e camarlinghi stati in ufficio fin da
(1) Si promette di pagare, in alcuni casi determinati, certe pene
Camerae Sedi» apostoliccte.,., vel Camerae Communi» Floremie, vel Commum»
Bononùie (Delizie, X, 186).
(2) Santini, 66, 88, 181, 133. Nel 1203 ò pure ricordato il camarlingo
del Comune di Poggibonsi, circa il 1222 quello delle società delle torri, ec.
Nell'OciiZu» peutorali», che, come è noto, fu compilato nel 1222, e si occupa
del reggimento dei popoli, si ha circa il camarlingo: « ... camerari um
« praeoipue, qui est quaestor et custos reddituum et sumtuum, quos per-
« cipit et facit Gommunitas, quae super iis confidit in eum... » (Muratori,
AnUquUale», IV, 102). Cfr. pure il cit. trattato De regimine civitati», o. 84».
(8) Op. cit., 507. Cfr. pure, por simili frasi, a pp. 510, 512, gli atti
del 15 dio. 1280 e dell' 11 die. 1238.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 87
quando avvenne la distruzione di Semifonte (1). Si tratta, dunque,
d'una severa investigazione sull'amministrazione del Comune, per
gli ultimi 22 anni : la quale non avrebbe potuto farsi, ci sembra,
senza precisi registri d'entrata e d'uscita, di deliberazioni, di prov-
visioni, ec. Dopo poco, il 13 di marzo 1236, troviamo l' ufficio, per
cosi dire, della Camera regolarmente costituito, giacché si ha una
ricevuta &tta in essa dal camarlingo, e scritta, per ordine suo, dal
notaro, al procuratore della Badia di Passignano (2). Finalmente,
il 30 d'aprile 1240, fu eletta una Commissione di 12 cittadini, i
quali, insieme col notaro, doveano preparare, come fecero, per quel
mese, il bilancio del Comune, che fu poi letto e approvato nel
Consiglio ; ed il 31 di marzo '42, si ha una Commissione simile,
che riceve le denunzie dai nobili del contado, i quali non pagano
in città libbra né dazio, o accatto coi foresi, nò sono scritti nel
libro dei focolari (3). Di qui si vede come numerosi registri d' im-
poste e gabelle dovessero, circa questo tempo, conservarsi nella
Camera.
Non riporteremo le numerose notizie di documenti e registri,
che si trovano dopo questi anni. Noteremo solo che nel marzo
del '46 v' è una nuova Commissione di 12 buoni uomini, con ca-
marlingo e notaio, per fare imposte sulle chiese fiorentine ; ed
un' altra nel giugno del '47 a raccoglier denaro per il Comune (4) ;
che nel '67 si compila il noto Libro dell'estimo dei danni dati ai
Guelfi (5) ; che più tardi si parla di denari deposti nella Camera,
(1) Santini, 886.
(2) Op. cit., 268.
^3) Op. cit., 471, 475. E curiosa una provvisione del primo apr. 12nf>
(Prowinoni, reg. 7, e. 97) contro coloro, che, per non pagare le tasse in
città né in contado, si erano fatti allibrare qua e là ; sembra che simile
uso dei Fiorentini durasse molto a lungo e che, inuUUia mutandis, ve ne
nmangano le tracce anche ai giorni nostri.
(4) Op. cit., 496, 496.
(5) « Liber extimationum dapnorum datorum Guelfis de Florentia, olim
« rebellibus et exititiis, et illorum, qui steterunt Luce et eius districtu,
< vel in aliquibus locis oomitatus Florentie ad faciendam gaerram cum
« ipsis Guelfis ab anno dominice Incamationis... » (5 di sett. 1260-11 di
Qov. ^66) ; fu compilato i)er opera d'un giudice e vari ufficiali del Comune
a ciò deputati. Or, Ddizie, VII, 208 e segg. ; Febbens, II, 96.
88 ARCHIVI, BIBUOTBCHE, MUSEI
di estimi, di nuovi estimi, ec. (1). Non mancano, poi, volami, che,
pnre appartenendo ad altre serie, possono anche considerarsi, sotto
qualche aspetto, come registri di tasse, d'entrata, d'uscita (2).
IV.
Veniamo ai registri di natura legislativa e politica. Inten-
diamo per essi, oltre gli statuti, tutti quei volumi, nei quali si fa
memoria degli atti eseguiti o delle deliberazioni prese dalle per-
sone, che aveano il Governo della Repubblica, o dai Consigli, che,
in certo modo, ad esso partecipavano. E nota la collezione delle
Consulte, che cominciano dal 1280, delle Provvisioni, dall' 85 (3).
Nessuno suppone che i più antichi volumi di queste serie a noi
pervenuti siano anche i primi che furono scritti negli uffici del
Comune ; vediamo, dunque, se si può scoprire in qual tempo essi,
presso a poco, si cominciarono a compilare.
Tutti sanno come i più antichi degli statuti che ne riman-
gono, gli Ordinamenti di Giustizia del 1293, lo Statuto del Ca-
pitano del 1322, quello del Potestà del '25 (4) non sono i primi
della Repubblica (5). E verisimile, anzi, che, secondo gli usi di
quei tempi, ne possedessero le associazioni fiorentine avanti la oo-
(1) C!osi una provvisione circa una libbra o prestanza fu fatta il 4 di
gen. 1285, e il 19 di lugl. '96 si stanziano 1. 50 per i compilatori del nuovo
estimo. Si sa, poi, che, verso il 1289, erano mirabilmente ordinati, in città
e nel contado, V estimo e le entrate del Comune. Ved. Prowinoni, reg. 1,
o. 10; 6, e. 77»; Villani, VII, 182; Villari, I, 259.
(2) I registri della Camera fiorentina, che ne rimangono, cominciano
dai primi del sec. XIV.
(8) Nella cit. op. di A. Guerabdi, son pubblicate fino a tutto il 1296 :
dopo si trasformano, a poco a poco, nei Libri fabarum ; col 1858 comin-
ciano le Consulte e Pratiche.
(4) Cfr. Statuta Populiei Communi» Fhrentiae... coUecta,,, anno MCOCXV
(tre voli, in 4.®, Friburgo, 1781-87) ; Ordinamenta iustiliae Communia et Po-
puli Florentiae,,, a Francisco Bonainio edita..., in Arch. »tor, ital., N. S.,
to. I; Salvemini, Gli Statuti del Capitano e del Potestà, ivi, Serie Quinta,
to. xvin.
(5) Cfr. BoNDONi G., I più antichi frammenti del Costituto Fiorentino nelle
Pubblicazioni del r. Istituto superiore di Firenze (Firenze, 1882) ; Papaleoni
G., Nuovi frammenti deWantico Costituto Fiorentino in Miscellanea Fiorentina di
erudizione e storia, pp. 70-78 (1886). I più antichi frammenti sono del gen-
naio 1246.
ANTICHI AUCHIVI DI FIRENZE 89
stitazioiie del Comune, e che questo li avesse fin dalle orìgini o
quasi. C induce, del resto, a supporlo anche il linguaggio dei più
antichi cronisti. Cosi Giovanni Villani, il quale, quando gli era
possibile, consultava pure i documenti, afferma che, distrutta
Fiesole, i Fiorentini fecero leggi e statuti coi Fiesolani (1). Se
ciò è vero, ci sembra di poterne ragionevolmente dedurre che i
due Comuni non si dovessero trovare a fare statuti allora per la
prima volta. Ad ogni modo, è certo che gli statuti esistevano non
molto dopo, nel 1159 (2), che nel 1182 li avea il comunelle di
Fogna, e che v' erano già in Firenze gli arbitri o statutari, i quali
solevano periodicamente rivederli e correggerli. I Fiorentini, in-
fetti, promettono ai Pognesi d' obbligar gU arbitri ad inserire ogni
anno nello Statuto, certi patti ira loro stipulati (3) ; una simile
promessa è poi fatta negli anni 1197-98, da tutte le parti, nella
pace fra le città e i signori della Toscana (4).
Non sappiamo se dalla citata frase del Villani possa dedursi
che i Fiorentini, già nel 1125; avessero cominciato a scriver ogni
specie d'ordini e leggi e a formar, quindi, alcune delle collezioni
sopra ricordate. Molto, però, non doverono starne senza, giacché
nella seconda metà del secolo aveano il magistrato dei Consoli con
particolare notare, gli statuti e gli Statutari, i Consigli e il Parla-
mento ; quindi deliberazioni e documenti, che ne facevano fede. La
più antica deliberazione di un Consiglio a noi pervenuta è del 1216 ;
ne segue un'altra del 15 aprile '17, che dovè esser registrata; e
lo stesso verisimilmente accadde per una terza del '27 (5). Fi-
nalmente, il 12 di settembre '36, esistevano veri registri delle
Provvisioni, giacché, in quel giorno il notare Grixopolus copiò
una deliberazione del Consiglio Generale intorno alle controversie
fra il Comune di Volterra e quello di s. Gemignano, de libro Co-
mania, secu/ndum inveni et in eo continebatur (6).
(1) Cronica, IV, 7.
(2) SAirriHi, xxvij, 501.
(8) Saxtimi, 19.
(4) Il Costituto è inoltre ricordato espressamente negli anni 1200,
'15, '16, «29, '87, '41, '50, ec. Cfr. Santini, 52, 183, 216, 267, 28i, 880; Vil-
umi, VI, 89.
(5) Santini, 179, 505, 510.
(6) Op. cit., 481. Circa i notari che scrivevano i Consigli del Comune,
c&. il trattato De regimine cintatia, e. 84.
90 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
Non siamo certi se vi fossero, dai primi tempi del Comune,
i registri delle Consulte o i Libri fàbarum; ma tutto fa sup-
porre che non mancassero le deliberazioni dei cittadini più diret-
tamente incaricati del Governo, fossero Consoli, Anziani, Buoni
Uomini Priori ; le quali, però, non aveano importanza cosi grande
come le riformagioni del Comune ; che abbiano insomma, un* ori-
gine più remota, di quel che sembri, i registri delle Deliberazioni
dei Signori e Collegi. Senza dubbio, i governatori del Comune
ebbero sempre un notaro, che dovè lasciare memorie scritte dei
loro atti più importanti. Però, solo negli anni 1172, '73, '74, '76. . . ,
troviamo ricordato il notaro dei Consoli ; e nel 1251) quello degli
Anziani, Diotifeci, il quale copiò una loro deliberazione, protU in
actis et quatcniis Anzianorum (1). Era, dunque, già cominciata
la serie delle Deliberazioni degli Anziani, e si capisce che non
fosse più interrotta, cho ad essa succedessero quelle dei Buoni
Uomini e dei Signori e Collegi (2).
Diverse altre più piccole serie di documenti consimili pote-
rono esservi prima del sec. XIV ; ma non ne troviamo tali e tanti
ricordi, che ci permettano di farne un cenno particolare.
I notari tenevano molti quaderni, in ciascuno dei quali regi-
stravano solo una determinata serie di atti. Avrebbero dovuto, poi,
formarne altrettante serie di registri ; invece spesso li confusero.
Per questo è che son riunite le provvisioni dei Consigli del Popolo,
de'Cento, del Comune ; e coi quaderni delle commissioni di imbre-
viature notarili, troviamo quelli per la concessione di rappresaglie,
per le procure o sindacati (3).
V.
Se il popolo fiorentino, anche prima della sua libertà avea
certi diritti, e, quasi costituendo un vero ente giuridico, trattava
con le magistrature feudali, col clero e col Papa, scrivendo lettere
ri) Op. cit., xxvij, 870, 371.
(2) Le deliberazioni che ne rimangono, cominciano dal 1331.
(3) Secondo il Villani (V, 7), nel 1171 contro Poggibonsi si fonda
Colle; e la « ...calcina (la prima) fu intrisa dol sangue, che si segnaro
« delle braccia i sindachi a ci»"» mandati per lo Comune di Firenze... ».
Dunque vi erano già le procure.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE DI
e ricevendone (1), tanto più dovè possedere un carteggio, e sempre
più importante, appena che, avvenuta la rivoluzione politica, su-
perate le prime difficoltà dell' esistenza, si costituì in Comune.
Jje notizie, che ne restano intomo ai fsitti fiorentini di questo
periodo, le guerre, che il Comune ebbe coi popoli vicini, le sot-
tomissioni di questi, le paci o le alleanze, 1' analogia di quel che
allora accadeva in Italia, ci fanno supporre che si mandassero e si
ricevessero lettere, procure, istruzioni ed ambasciate. Non troviamo,
però, notizie sicure intomo a lettere, per non parlare di quelle giu-
diziarie o precetti del Podestà, prima del 21 luglio 1184, quando i
Consoli lucchesi promettono di aiutare i Fiorentini, entro 15 giorni,
«... postquam fiorentini Consules vel florentina Potestas, sive
« rector, vel dominator, per se, vel pei* suas litteras, sigillo Comunis
« Florentie sigillatas, lucenses Consules . . . , inquisierint ...» (2).
Si ha una notizia simile del 28 ottobre, quando gli uomini di
Mangona promettono di fare guerra e pace «... ubicumque et
« quandocumque Consulibus Florentie, vel rectoribus, qui, prò tem-
« pere, fuerint, placuerit, et preceperiut nobis, per se vel suos nun-
« tios, vel suis litteris ...» (3). Si rammentano qui due specie di
lettere ; le prime ad uno Stato vicino ma non dipendente da Firenze,
quelle che nel linguaggio archivistico moderno furon dette missive
esteme ; le seconde ad un popolo sottoposto le missive interne.
In seguito si trovano continue memorie di lettere che i Fio-
rentini riceveano e spedivano; si vede, anzi, come sui primi del
sec. XIII, dovessero mantenere continua corrispondenza diploma-
tica coi vicini comuni, piccoli e grossi, e con la Curia romana (4).
Infatti, del 12 febbraio 121G è una procura jjer la pace fra Fi-
renze e Bologna, fatta dalla prima città ai suoi ambasciatori, la
quale somiglia molto a quelle istruzioni per gli ambasciatori {forma
ambaxiate), che tanto a Firenze vennero in uso nei secoli poste-
(1) Cfr., a questo proposito, Davidsoiin, 771.
(2) Saivtiiii, 20, 21.
(8) Op. cit., 24; cfr. pure p. 26.
(4) Agli incaricati di trattare gli interessi del Comune, di stipulai^,
per esso', trattati o di fare altri pubblici atti, si dàuno già regolari man-
dati e vere lettere credenziali, da presentarsi alla part« contraente ed ai
notari. Ved. Saktiki, pp. 36 e segg., 63, 77, 83, 146; cfr. Perrens, 1, 150;
VlLLJlRI, I, 149.
92 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
rieri (1). Inoltre, esistevano già veri registri di lettere missive
esterne il 9 d' aprile 1237, giacché ce ne rimane una di quel
giorno, che il notare Ugo Eomanelli, trascrisse in pubblica forma,
dal registro Comunis Florentie (2) ; e in una concessione di rappre-
saglia fatta dai Fiorentini contro i Pisani, nel 1238, si ha la frase:
«... visis litteris diete Potestatis et Comunis Florentie transmissis
4c diete Comuni et Kegimini Pisanorum super predictis, ut in re-
4c gistro Comunis Florentie continetur ...» (3). Sembra che dopo
alcune decine d'anni si fossero cominciati anche i registri delle
responsive. Infatti, nel 1270 si ordinò che fossero copiate nel re-
gistro certe lettere di Borgo s. Sopolcro (4). Si vede, pei, dalle
Consulte che il 9 di marzo 1281 v' erano lettere degli ambascia-
tori, giacché « Consilium factum fuit, coram Potestate et Capi-
« taneo super facto litterarum missarum ab ambaxatoribus, Co-
« munis Florentie exis tenti bus in Curia » (6). Da ciò si rileva
come queir anno già nella Cancelleria fiorentina si trovavano let-
tere missive e responsive, interne ed esteme, lettere ed istruzioni
agli ambasciatori e risposte ; e tutto fa supporre che delle diverse
serie vi fossero pure particolari registri (6).
Ma con quale cura si conservassero dalla Repubblica i docu-
menti, quale importanza si desse all'ordine rigoroso mantenuto
nelle pratiche diplomatiche, si vede bene dal noto trattato fioren-
tino De regimine civitiUis. Apparisce da esso come si soleva, in
alcuni luoghi, conservar copia delle lettere inviate ad altri Stati ;
e tale uso esisteva appunto a Firenze «... sicut fit Florentie ;
(1) Santini, 180.
(2) Op. cit., Ja'), ìm.
(8) Op. cit., 4fìO,
(4) Archivio cit., CapiloU, reg. 24, e. 180.
(5) GuERAKDi, voi. cit., p. 75. 8' intcudc, manifestamente, degli amba-
sciatori, che erano presso il Papa.
(6) Ne rimangono 92 refi^istri di lettere della prima Cancelleria dal 1808.
divise in missive e responsive: seguono più tardi le Legazioni e Commis-
sario, le lettere degli Otto di Balìa, dei Dieci di Balia e Otto di Pratica, ec.
Il nomo di missive e responsive dato alle lett<?re, che oggi si direbbero di
proposta e di risposta, dovA essere assai comune nel linguaggio cancelle-
resco fiorentino; infatti, son ricordate sj^esso nella cit. op. De regimòm ci-
vUatÌ8. In archivio, però, si dicono presentemente missive tutte le lettele
spedite dalla Bepubblica, responsivo quelle ricevuto.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 93
« quod multotiens profuit sic observare pluribus de causis acci-
« dentibas, vel que possunt accidere » (1). Se questo nella Cancel-
leria era già un uso verso il 1250, si comprende facilmente come
molto prima le lettere vi si cominciassero a conservare.
VI.
In tutti gli istrumenti di dedizione o sottomissione alla Re-
pubblica, i comuni si obbligano ad aiutare, se richiestine, i Fio-
rentini. S' aggiunga che nel 1219 fu obbligato il contado a giu-
rare fedeltà al Comune ; che nel '33 se ne volle il censimento (2) ;
ci sembra, quindi, che tutto ciò avesse non solo uno scopo fiscale,
ma pur anche politico e militare ; che, insomma, si tenessero pure
dei registri, nei quali i cittadini, i comiiatini e i distrettuali fos-
sero descritti, secondo le loro qualità, attitudini ed obblighi, ri-
spetto alla milizia. Ciò, del resto, appare sempre più verisimile,
se riflettiamo che già nel sec. XII i cittadini pisani, appunto a
«copo militare, erano disposti per bandiere, secondo le cappelle
dei quartieri (3). Sappiamo, poi, che nel 1250 i Fiorentini s' or-
dinarono militarmente, che nel '289 aveano, oltre i notari dei Ca-
pitani dell'esercito (4), i notari soprastanti al vettovagliamento,
che dai secoli posteriori ci pervennero, in specie con l'Archivio
della Condotta, molti registri di cose militari (5).
Però, ciò che ha, per ir caso nostro, una straordinaria impor-
tanza, è il noto Libro di Montaperti cosi opportunamente pub-
blicato dal prof. Paoli (6). In esso possediamo quei frammenti su-
(1) A e. 86.
(2) É noto come a Siena, nel Cale£fo delP Assunta si trovino dichia-
razioni di cittadinanza senese fin dal 1197 (Muratori, IV, 583 D).
(3) Ved. in Arck. ttor, iUU.f G. Canestrini, Documenti per servire alla
storia della milizia italiana, p. xv (serie 1, to. XV, 1851).
(4) PsBKKirs, 827 ; Provisiones canonizzate, di cui vedremo, o. 7».
(5) Sono oltre 90 fra voli., filze e registri, e cominciano dalla prima
metà del sec. XIV.
(6) Ved. il JjUfTo ài Monlaperti pubblicalo per cura di C. Paoli (to. IX dei
Documenti di ttoria italiana pubblicati a cura della r. Deputazione Toscana di
storia patria, Firenze, 1889), e specialmente la Prefazione, nella quale si
spiega con la massima precisione quanto attiene alla natura dei cingoli
quaderni ed alla formazione delP intero volume.
94 ARCHIVI, BIBUOTEGHE, MUSEI
perstiti dell' archivio militare viatorio della Repubblica, che, rac^
colti, nel 1260, dopo
... il grande scempio,
Che fece PArbia colorata in rosso,
quasi per caso, perchè rappresentavano un trofeo di guerra, ci
furono conservati negli archivi senesi ; caso, questa volta, fortu-
natissimo, giacché dimostra come Firenze avesse già ottimamente
ordinati i servizi pubblici ; il che non è piccol segno di società
molto avanti nella via del progresso civile.
Il Libro è costituito, secondo il costume del tempo, da molti
quaderni diversi, che furono scritti dai notarì dei vari uffici. Essi al
tempo della battaglia erano, senza dubbio, separati, né l'uno avea
che fare con l' altro ; solo più tardi furono riuniti in un volume. Si
può dire che siano tanti di numero quante le serie dei documenti
contenutivi ; vi sono, quindi, statuti, deliberazioni, elezioni di uffi-
ciai, atti dei comandanti supremi, libri di vettovaglie, di materiale
da guerra, di bestie da soma, registri, rassegne di milizie, e simili.
V'era, fra gli ufficiali, una specie di archivista, ser lacoòus
Buere, il quale, appunto per questo, « eo quod erat . . . super custo-
« diendis libris Stantiamentorum », eletto all' ufficio di notare
per le fortificazioni del contado, ne fu poi dispensato. Con quel-
l' ufficio, dunque, n' andò al campo, ove fu anche uno dei notarì
€ ad scribendum representationes militum et peditum civitatis Flo-
« rentie in exercitu », in sostituzione di Ghisello, < qui reman-
« serat Florentie ». Sembra, poi, dal contesto, che, anche in tempo
di pace, dovesse esservi qualche ufficio militare permanente, sia
pure semplicissimo e rudimentale ; che questi notarì non fossero
pagati dal Comune, ma lo servissero gratuitamente, prestando, col
far quelle scritturo, di cui pur v' era bisogno, il servizio militare.
Infatti, Uberto e Baldese sono capitani, < ut electus et scrìptus
« reperìtur in actis Communis, in actis, et quaterne Communis » ;
pare vi fossero note di quelli, cittadini o distrettuali, che do-
veano esser ascrìtti efifettivamente fra le milizie combattenti,
giacché tutti gli uomini, dai 15 ai 70 anni, dovevano scriversi
« in actis et scripturìs relatis per rectores et cappellanos » (1).
(1) Prefazione cit., pp. xvij e segg. Forse a questo scopo si erano,
nel 12SS, ordinati i noti registri ; fatto è che più tardi la Bepubbiica chie-
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE J>5
Al campo erano pure due camarlinghi con due notarì, i quali
tenevano il libro delle spese, che non pervenne fino a noi. Vi si tro-
vano i registri dei precetti del Podestà, quelli suU' approvvigio-
namento di Montalcino, i libri del mercato; inoltre gli uffici sta-
bili per il vettovagliamento, coi rispettivi registri ; quelli per il
servizio del materiale e delle bestie da soma, con numerosi no-
tarì, i registri delle milizie della città, del contado, delle stipen-
diane, ec.
Queste le principali collezioni di documenti, dei quali ci ri-
mane qualche vestigio ; ma ve ne furono, senza dubbio, molti altri,
che non sapremmo dire a quale di esse veramente appartengano,
gi possono pure considerare, ad es., come documenti o serie di do-
cumenti speciali, che potevano servire a varie delle amministra-
zioni fiorentine, anche i registri del 1233. Si aggiunga che nel '49
fg-oxiamo un notare deputato ai maestri del Comune; dal che si
vede come v' erano, anche per i lavori pubblici, speciali scrit-
tore* ^ finalmente degno di nota, che qualche volta la Signoria
pj-^ndeva in consegna documenti di privati (1) ; il che dimostra
oozii^ ^ cittadini confidassero molto nel pubblico archivio ; infatti
^j-oa^vano di depositarvi quei documenti che loro maggiormente
gl^va^o A cuore (2).
{Continua) D. Marzi.
deva molto spesso ai rettori dei comuni sottoposti statistiche dei camita-
tini e distrettuali} specialmente di quelli atti alle armi. Cfr. il mio lavoro:
S'€>tùs9e Storiche di Montummano e Montevettolini, pp. 18, 22. 23, 54 (Firenze,
Cellini, 1894).
CI) Il 25 di gennaio 1297 i Priori e Gonfaloniere chiedono e otten-
gono dal Consiglio del Popolo di poter conservare, per i proprietari, due
bolle d'Onorio IV e due istrumenti della Società de' Peruzzi (Prowisùmif
reg. 7, e. 158).
(2) Nelle altre parti d'Europa, invece, vigeva sempre, a quanto seni-
"bra, 1' uso di depositare, per maggior sicurezza, i documenti, non aó^
privati ma anche pubblici e principeschi, negli archivi ecclesiastici, e
chif^erne i' inserùone nelle memorie delle chiese, nei registri pontifiot,
Ctr. il Nouveau tratte de diphnuUique..,^ dei pp. Maurini Tassir e ToutTj
to. I, pp. 99 e segg.
96 ARCHIVI, BIBLIOTBOHE, MUSEI
La classificazione bibliografica « decimale ».
Un metodo ingegnoso per registrare a catalogo libri ed opu-
scoli e per disporli sugli scaffali di una biblioteca, fu immagi-
nato, sono ora più di vent' anni, dal sig. Melvil Dewey presidènte
dell'Associazione fra i bibliotecari americani, e direttore della New
York State Library, È il cosi detto metodo deciviale che diede
luogo a dispute vivissime e che noi tenteremo di esporre impar-
zialmente (1). Decimale fu detto dall' autore per rispetto alle
cifre arabiche, le quali, con un meccanismo speciale di combina-
zione, rappresentano Ideologicamente le partizioni dello scibile ;
con più semplicità avrebbe potuto chiamarsi numerico o ' ideolo-
gico, perchè, come or ora vedremo, V ufficio delle cifre decimali
rispetto agli interi in aritmetica è un poco diverso da quello delle
cifre che simboleggiano le divisioni bibliografiche nel quadro del
Dewey. In questo tutto il materiale dei libri da classificare è
ripartito dapprima in dieci classi nel modo seguente : 0. Opere
generali, 1. Filosofia, 2. Religione e Teologia, 3. Scienze sociaU e
Diritto, 4. Filologia e Linguistica, 5. Scienze inatemaiiche e wa-
turali, 6. Scienze applicate e Tecnologia, 7. Belle arti, 8. Lettera-
tura, 9. Storia e Geografia, Ciascuna di queste classi si divide
alla sua volta in dieci parti, che vengono graficamente rappresen-
tate da altrettante cifre alla destra delle cifre fondamentali, onde
la terza classe comprenderà 30 (Scienze sociali e diritto in ge-
nere), 31 (Statistica), 32 (Scienza politica) e via discorrendo, l'ot-
tava 80, 81, 82 e cosi di seguito. Si procede in guisa analoga per
le partizioni ultoriori fino alle più minute, tantoché 823 (Romanzi
inglesi) varrà classe 8, divisione 2, sezione 3 ; 7256 (Prigioni,
asili) classe 7, di visiono 2, sezione 5, sottosezione 6. Pertanto l' in-
tero sistema viene ad annoverare cento parti segnate da due
cifre, mille segnate da tre, diecimila da quattro ; si è giunti fino
(1) Cfr. la notizia del prof. C[e8ARe] P[aoli] in Arch, star, tUd., 1896,
voi. II, pp. 195-197.
I
LA CLASSIFICAZIONE BIBLIOGRAFICA « DKCIUALR »
a formare serie esagerate di sedici e diciassette cifire, che alcuni
respingono perchè incomode praticamente, mu che dimostrano, in
ogni modo, 11 frazionamento indefinito dei got/gelli bibliografici pos-
aibile col metodo deHmale. Ogni soggetto, per es. l'astronomia, la
chimica, rappresenta evidentemente una parte del ^ande totale
che è la scienza insegnata dalle scritture umane ; quindi le cifre
del Dewey sono propriamente indicatrici di frazione, e l' intero,
lo scibile, dovrebbe esser simboleggiato dall' uno. Indi le parti di
qaest'uno si dovrebbero, sotto forma dì frazione decimale, scri-
vere ; ma lo zero, per convenzione, si tralascia, e, ad
esempio, 39 vale 0,39; 42ó vale 0,425 ec. Una tavola alfabetica
rimanda dagli argomenti ai numeri a loro relativi (per es. ;
Igiene 613 ; Ospedali 3(j2) e, mediante questa perfetta rispon-
denza di materie e di cifre, l'uso del sistema diviene facile e ra-
pido (1). Avverta intanto il lettore che i singoli gruppi 01, 02,
03 10, 11, 12, ec. non son numeri, ma ne hanno sol-
tanto l'apparenza; lo cifre posseggono un valore assoluto senza
rapporto col posto da esse occupato, onde 45 dovrebbe a rigore
enunciarsi « quattro cinque ». Sono insomma klee Mbliograflche
dalle più allo meno generali o comprensive quelle che offrono
a noi codesti faUi numeri ; a decompoi-ne ano nei suoi elementi,
ad es. il 7266 già citato, ne risultano tanti argomenti completi
per sé stessi, affini tra loro e più o meno vasti a misura che
dalla cifra dì classe [7] procediamo verso destra : 7. Belle arti,
72, Architeaura, 725, Pubblica architettant, 7256, Asiiì, pri-
gioni. Il giuoco delle cifre cosi riesce già chiaro abbastanza, ma,
dove occorra, ne facilita anche la [)ercezione il punto [■] adope-
rato negli aggruppamenti più complessi a separare vere e pro-
prie idee bibliografiche : G14882, per citare un sol caso, vale < am-
bularne per le mainile contagiose » ; ora, adottando la scrittura
C14. 88. 2, l' attenzione cade più particolarmente sopra 88 che, in
mezzo allo altre cifre vuol dire « aivii ai malati ». Inoltre il let-
tore é goidato a orientarsi rapidamente dalla simmetrìa del si-
ti) L' iuveiizione del sig. Den-EV k eapoata minutamente nel volume
ohe lia ]ier tìtolo: Deciinnl cUunficalion ami re/aliv Index (or libraria,
etippioo; notet etc. by Mei.vu. Dbwei, M. A. (Amherst), fifth ed., Bostou,
Librwy Bnreau, 1894, in 8."
AacH. SioB. II., E.i Sarie. - XX. 7
stema e dai determinanti. Che cosa ictendiamo per sìnnnetrtaf
Si confrontino nella classe di Filologia e lingue [4] e in qnella
di Letteratura [B] ì luoghi assegnati da un lato alla Germania e
dall'altro alla Danimarca e Norvegia : con 43 ò registrata « Filo-
logia e Ungila tedesca » con 83 < Letteratura tedesca > ; 439. 8
vale < Filologia e lingua danese e norvegiana », 839. 8 * Lette-
ratura danese e norvegiana » ; indi apparisce cbe in classi diverte
ona data regione occupa costantemente, quando può ^rsì, lo stesso
gradino nella scala. Paragonando altresì !□ Filologia e linguistica
la serie delle « Generalità » [40] con quella delle « Generalità »
in Filologia e linguistica inglese [420] troveremo in ambedue i
casi gli stessi titoli suddividenti, ripetuti nella stessa sucoesaona
(401. Filosofia, origine dei linguaggi, 402. Compendi, 403. Didiy
nari e Cielopedie, ec, ; 420. 1. Filosofia, origine della Ungua
inglese, 420. 2, Compendi di liiig, ìngl., 420. 3. Dizionari e Ciclo-
pedie ingl.) con esa'tto parallelismo. I numeri determinanti, intro-
dotti dal Dewey nel suo sistema come aiuto mnemonico, si dÌBtin^
gaono principalmente io geografici e formali. Si dicono geograflei
certi gruppi tolti alla classe 9 (Storia e Geografia) della Tavola.
Simboli dei vari paesi, scritti che siano in parentesi accanto H
un dato numero classificante, gli forniscono una detenDÌnazioDS
locale : per es., poiché 45 indica < Italia » e 328 < Parlamento »,
la serie 328 [45] si leggeri : < Parlamento Saliano ». Sono invece
formali i determinanti quando accennano alle qualità esteriori
della compilazione di un'opera, come trattato che è indicato con 08,
dizionario ^ 03, rivista ^ 06, e sì uniscono ai gruppi decimali
nel modo che la serie seguente basta a spiegare: 58 ■ Botanica »,
58. 03 (qui 03 è il determinante fonnale) « Rivista di botanica ».
Mentre tutta le bibliografie scierUifiche, e quindi anche la
decimale, nascono con vizi di organismo difficili a curare, presen-
tano peri') accanto ai cataloghi reali alcuni vantaggi noti agli uo-
mini dell'arte. Non giova, ripetendo hi teorica generale dei Cata-
loghi, discutere il metodo del Dewey nei pregi e nei difetti che
esso ha comuni cogli altri metodi. Un vero suo pregio sta nel
linguaggio bibliografico universale, osala nei numeri che rappre-
sentano classi e sotto classi dalle complicate nomenclature, e si
sostituiscono alle grafie solite di caratteri maiuscoli, minunadi,
corsivi e rotondi greci e latini ec. d'ogni genere. Ammettiamo
U CLAaSIFICAZIONS 6IBU06RAFI0A « DKCIUALB » 90
taitavia che la chiarezza nulla guadagni coli' uso delle cifre e col-
l'abolizione degli altri segui universali, lettere, espoueoti, ec.; per-
chè, dice taluno, i gruppi Ul, 02,.,.. 20, 21, 22,.,.. ec. equivalgono
ai simboli dì tutti i sistemi, cominciando da ijuello asisai semplice
del Bmnet, per t-erminare con quello assai complesso applicato dal-
l' Hartwig al Catalogo dell'Università di Halle (1). A noi sembra
peraltro che la classazione americana meriti il titolo di geniale che
le iti dato pel fatto che sempre si piega colle sue cifre a ricevere in
sé nuovi soggetti senza l'aiuto di segni convenzionali : infatti il « + >
per indicare yluralUà di argomento (per es. 520, 3 -ì- 630. 3 < Di-
zionario di astronomia e fisica ») e il < ; » per indicare un rapporto,
(per 68. 170 ; 330 « la Morale in relazione coli' KconQmia ») non
potrebbero chiamarsi esattamente segni classificatori. Per spingere
il qnadro bibliografico sino agli ultimi gradi di espansione bastano
le dieci ci&e arabiche; né è necessario, si badi bene, di compleiare
un grado qualunque della partizione per procedere nel lavoro : le
occasioni non mancano talvolta per tornare sulle lacune e riempirle.
Indichiamo con xyz una sezione che, in cambio di dieci, domanda
tre sole sottosezioni : e tant« noi ne registriamo con xìjz xi/z 1,
xyz 2, lasciando un largo spazio aperto alle necessità dell' avvenire
e passando sabito a xì/z 00, xyz 01, xyz 02 oc. A suo tempo, ma-
nifèatandofli negli argomenti paralleli della serie xi/z qualche la-
cona, offriranno modo di ripararvi ì gruppi dapprima trascurati che
partono da xyz 3: ìu fai guisa narra il Richet di aver potuto collo-
care felicemente la « psiologia dfl cuore > sotto il gruppo 617. 12
non usato in principio dal Dewey. Ma oppongono gli avveraorì che
■P (1) Si obuuoB genei-almente timbalo il complesso di sigiti con coi in
^^^liut olosaifi catione di libri vìen designata una categoria di questi ; per
«s. SB4d « Storia di Firaue ». Segnatura sono le letWre, cifre, eco. asae-
f;llitt« a un volume per trovarlo augii soaflali di biblioteca: p. es. U. 4.
Go =. Btanxa 3, scaSale 4, volume ó(i.° 11 Di-. O. Hartwig recentemente ha
confuso il timholo colla ugnatura, e db è aorta una puleiuica tra lui e il
«ìg. D. Cliilovi, bibliotecario della Nazionale di Firenze, Ved. Habtwio
in t'ealralUaU fiir Bibliollieknceten, Agosto, 1897, pp. 8T4-5 ; D. Chilovi,
Simbolo Segnatura f FirenM, 1897, Btab. tip. fiorentino, p. 4. Del resto
la [larolu timiolo, oggi per lo più accettata per indicare le cifre o sigle
rlamifieaiUi dì qualunque sistema bibliografico, non sembra a noi troppo
precisa, né qui occorre spiegare quello che iUlianamente valga imbolo.
La dMiomintuìone di ideogramma t«rebbe assai più esatta e cbiara.
lOU
ARCHIVI, BIBLRJTECHB, HDSGI
il caso occorso all' illoatre fisiologo francese raramente s
che la partizione di dieci io dieci delle materie dello aciblle
artificiosa e arbitraria, e che tante e sì variate file dì cifre nes-
suno riuscirà mai a ricordare. Biasimo che, se mai, colpirebbe
tutti i segni classificanti di qualunque sistema e non i numeri
in particolare, perchè evidentemente ricordare ad es. 46 come
ideogramma della regione « Italia » o due o tre sigle convenzio-
nali qctali bgk, czb costeranno uguale sforzo, né d'altra parte ]e
classazioni metodiche dei libri furono immaginata per affidarle del
tutto alla memoria. La sola accusa dì arbitrw e di artificio, più
seria certo in apparenza, scuoterebbe l' edificio del sistema deci-
male dai fondamenti, se troppo spesso gli accusatori non dimen-
ticassero che per primo il Dewey riconosce il conveazionalisrao,
l'assurdità teorica della sua classazione, e la oÉfi-e come utile e
pratica, niente altro, Da lungo tempo gli studiosi domandavano
un metodo empirico che, senza riguardo a principi filosofici, senza
pretesa dì infallibilità, desse ordine alla immensa produzione let-
teraria dell' età nostra : il bibliografo americano pensò di averlo
scoperto colla partizione decimale, non rigorosa, non agguerrita
totalmeutfi contro le possibili sorpreso che le riserbano i progressi
scientifici, ma pieghevole e suscettibile di perfezione. Se non è n
priori vietato né contrario al buon senso dividere una scienza in
dieci parti, come ha notato giustamente un apologista dell' ordi-
namento decimale, il Dr. Luigi Do Marchi (1) ; se in questo
1' autore stesso confessa che ì soggetti sono disposti secondo il
criterio dell' affinità {sequence of allied subjects) e non del loro
esatto coordinamento, cosa del resto che si riscontra in tutti gli
schemi (2), l' ostilità costante di certa critica dalle tendenze an-
tiamericane donde viene e come si spiegai'
I critici in sostanza hanno combattuto e combattono nel
lUcimalismo, più del principio fondamentale che In gov«niA, la
vem *, 1* 3
(1) Ved. in Rivida tUUe SSJiotteheedtigti Arehia,\o]. VII,n.>
La elatnfieathnt coH detta deàmaU del tig. Dea«i/, pp. 99-106, speoiol-
mente p. lUl.
(2} Qnest' ultimft afffmn azione del sig. Mri.vii. Dewrv parrà eccessiva
a chi conosc la sfeiria dei sislenii bibliografici per mitteria.
LA CLASSIFIOAZIOKB BtBUOQBi
e DECIMALE »
fella degli argomenti e la loro successione stabilita dall'autore
ilio sciientB. Nel quale, a dir vero, domina tale disordine che,
1 volere, ei dimentica I' autodifesa, anticipata de! sig, Dewey.
[ Richet medesimo, uno dei più ardenti decimalisti ha constatato
L lieta argomenti ripetuti (la Fisiologia per es., una volta sotto
viicina, un' altra sotto Zoologia) a lacune portentose. Poi ac-
a ordinamenti buoni, a serie regolarissime (qualunque filologo
fcproverebbe la serie : 883 « Poesia epiat dei Greci », 883, 1
I Ometv », 883. 2 < Esiodo ») e ad altre uè buone né cattive (come
nS. 1 < sangue, circolcmione », G12. 2 « respirazione », serie che,
I Richet, si invertirebbe senza danno e senza utilità), stanno
B irrazionali, sproporzioni e capricciosi paralleliami. E anche noi
^o delle stranezze e irregolarità del sistema sottopor-
rlo al giudizio dei lettori poche osservazioni. Premettere le opere
llla drammatica greca [882] a quelle sull'epico [883] è una scor-
t novità dovuta forse all'amore eccessivo della «miifietrta (1):
ideata precedenza infatti scopre nell'autore il desiderio di com-
1 rapporto di numero fra l'epica greca [883], la latina
] ed altre epopee. Suddividere la sezione 935 < Medo Persia »
85. 1 « Chaidaea », 935. 2 a Assyria, mneveh ., 935. b t Me-
>, 935. 4 « Babylonia » vai quanto sconvolgere uno dei più
importanti periodi di storia antica. Già si domanda che cosa si-
gnilìchi l' infelice titolo di Medo Persia e qual distinzione faccia
l' Autore tra 935, 1 e 935. i. Probabilmente 935. 1 * Chaidaea »
6 l'antica monarchia Eufiratenso £no alla caduta di Ninive, e 935. 4
* BabyUmia » il nuovo impero da Nabopolasaar fino a Ciro ; ma
occorreva limitare esattamente questi confini ed evitare la sino-
nimia imbarazzante di Cfialdaea e Babylonia. Egli è ohe l'A.,
ignaro degli studi sulla storia dell'Asia anteriore, non ha pen-
8?fo (cosa assai semplice) a chiamare 935. 1, ■ Storia babilonese
fino alla conquista dì Ninive », 935. 4. a Storia babilonese da
Nabopolassar sino all' invasione Persiana <■. Neppure si è avve-
duto ohe è appunto il nuovo impero di Babilonia quello ohe più
eiostamente dovrebbe dirsi « caldeo » ; ha considerato la storia
della Mesopotamia come snbordinata a quella della cosi detta Medo
ì ha assegnato finalmente al paese di Siisa un decimo
102 ARCHIVI, BIBLIOTBOHB, UDSBI
di sezione (93&. 9) quanto all'Assiria ! Sproporzioni anche mag-
giori, ambiguità, falsi coordinamenti ha rimproverato al Dewey
la critica magistrale del sig. Delisle (1). La sezione 271 « Ordini
religiosi » è arruffata e incompleta ; il Diritto romano confinato
nel gruppo 349 insieme con altre celebri giurisprudenze, mentre
l'americana e l' inglese occupano ciascuna una sezione da so ; il
sanscrito e diversi idiomi d' importanza son riuniti in 490 sotto
il titolo di minor languagea, e si cliiamano miìion (perchè non
dire altri linguaggi '^) rispetto a! tedesco [430], al francese [440],
all' italiano [450], allo spagnuolo [400], al latino [470], al greco [480] ;
la storia politica di paesi che furono, come l' Italia [945], alla
testa della civiltà par tenuta, di fronte a quella dell'America, ili
scarsa considerazione. Di tale preferenza accordata più volte nel
corso della € Decimai Classiflcation » agli anglo-sassoni si mera-
viglia forte il Delisle, custode della più insigne biblioteca della
vecchia Europa, la Nazionale di Parigi. Egli rifiuta come irraaio-
nale e a noi inservibile la classazione del Dewey, e la restitui-
sce volentieri al suo inventore, incompetente nella bibliografia
delle età antiche. E col Delisle concordano in Francia tra i primi
il Funck-Brentano, il Langlois, il Polaìn, in Germania l'Hartwig
e molti altri, in Italia la maggioranza dei bibliotecari.
Le proposte americane si rìdaeono in sostanza a dne: appli-
care il metodo decimate al Catalogo scientifico delle biblioteche,
delle varie collezioni, dei repertori bibliografici ec., e disporre le
opere sugli scaffali per ordine di cifra in armonia col Catalogo.
Il partito degli avversari oppone : noi non vogliamo per una clas-
sificazione assurda mettere Io scompiglio nelle antiche librerie che
son tutte ordinate da secoli con criteri da rispettare. Una dispo-
sizione dei libri secondo le cifre (01, 02, 03..., 10, 11, 12....)
porterebbe i grandi in folio accanto ad opere di formato minimo,
spezzerebbe collezioni di rarità, curiosità, miscellanee, editiones
principes ; né giova addurre l' esempio di mille biblioteche le quali
nell' altro emisfero hanno adottato la Decimai Clmaificatitm (2)
(1) Vsd. Jmimal dei Savantt, febbraio, 18%.
(2) Ve<l. G. FuKAoiLi-i in Alti ,UUa Ca«fere«a,
(Milano, AssjfiftB. lipogr. librerii» it-, mW), p. la.
LA CLASSIFICAZIONE BIBLIOGRAFICA « DECIMALE » 103
perchè o esse non si trovano nelle condizioni delle librerie euro-
pee, o troppo spesso anche là dovrà esser rotto l'ordine scientifico
rigoroso. Inoltre dove lo studioso non si ammetta (e questo è il
caso quasi dappertutto nel vecchio mondo) a far ricerche diretta-
mente su gli scaffali è inutile qualsiasi collocazione sistematica.
Poco sappiamo pel momento intomo alle mille esperienze spesso
citate dei bibliotecari americani, e si può ragionevolmente pensare
che essi, escludendo il collocamento, abbiano applicato il più delle
volte il solo Catalogo. Perchè questo solo in Europa e dappertutto
potrebbe meritare considerazione, non per il valore scientifico che
gli manca, ma perchè serve di &tto utilmente nelle ricerche.
Trattasi ora di vedere se meglio convenga accogliere gli errori e
le inesattezze dell' inventore americano, o domandare ai dotti uno
schema modificato e corretto fino al punto che la partizione de-
cimale può consentirlo : e qui la convenienza sola detterà la
risposta nei vari casi. In America, nella patria del Dewey e per
consiglio di lui, certi istituti hanno da un pezzo introdotto miglio-
ramenti nella sua classificazione : invece nel Belgio, in Francia
si levano ora voci autorevoli che raccomandano un « Dewey inal-
terato » (1). E per quanto incredibile possa apparire a primo
aspetto tale domanda, ha in mira un caso speciale e nasconde seri
motivi che ora vedremo.
Innanzi al carattere di specialità che ogni giorno assumono
certe scienze, all' incremento della produzione letteraria, all' atti-
vità della stampa, le ricerche bibliografiche son divenute assai
malagevoli. Eruditi, dilettanti e compilatori pervengono a stento
a conoscere i materiali che già esistono per lo studio di molti
(1) Votando per il sistema inaUeralnle il Bichrt (Revue SciefUifique, 1896,
n, p. 50) narra le difficoltà da lui incontrate nel costruire uno schema
decimale di Fisiologia, e sembra dedurne che i bibliografi dalla cultura
estesa e non profonda posseggono almeno tanta attitudine quanta gli eru-
diti alla compilazione degli schemi pratici. Ci sia lecito qui dissentire
dall' illustre professore ed osservare : perchè allora gli ampliamenti della
Tavola del Dewey non si affidarono ai bibliotecari, ai bibliografi ? A nostro
ayyigo, perchè solo V erudito, lo »pecialUta possiede tutta la scienza, e gli
uomini a cui a11u(l(.' il Bichet ne conoscono apx)ena le partizioni generali.
Soltanto per riguardo a queste l' afiìermazione del fisiologo francese è so-
stenibile.
104
ARCHIVI, BIBUOTKOBB, HOSBI
soggetti : eppure le iatituzioiii pubbliche e private, le sodetA fiume
già molto per la 'bibliografia in ogni campo dello scibile. Si pub-
blicano fouti e documenti; le biblioteche correggono vecchi cata-
loghi e provvedono ai nuovi ; Riviste, Atti accademici con annunzi
e rendiconti informano gli studiosi intorno ai progressi d'ogni que-
stione. Che manca dunque alla bibliografia in mezzo a tanti utili
lavori ? la completezza, it metodo uniforme, la rapidità dell' infor-
mazione. Oltre a ciò, osserva giustamente taluno : i sapienti fu-
rouo divisi fino ad oggi in tante piccole associazioni e occapati
tutti a promuovere, a favorire i loro studi speciali senza riguardo
ai rami affini dello scibile: e qui è un altro danno che domanda
riparo. Tuttavia come verrebbero i bibliografi a una specie di
federazione universale, a una maniera unica di lavoro, a ana clas-
sificazione completa e perenne delle pubblicazioni uscite e da uscire
alla luce ? Esaminando tali questioni, il Congresso internaKÌonale
bibliografico raccolto a Bruxelles nel ltì96 concluse con voce una-
nime non doversi un metodo uniforme di catalogare, e un Reper-
torio universale delle pubblicazioni passate e presenti ritenere
per utopie, purché si adotti nell' uso internazionale quel sistema
di classificazione che era iu origine destinato alle biblioteche ame-
ricane. Il Congresso belga giudicò tal sistema il più semplice fra
tutti gli sperimentati, il più chiaro, il più diffuso, il solo servi-
bile: indi l'Office intei-nalional de Bibliographie, fondato già a
Bruxelles nel 1891 dai sigg. H. Lafontaine e P. Otlet e ufficial-
mente poi riconosciuto dal governo belga nel ISOó, iniziò, insieme
CxAVInalitut inlemational de Bibliographie, pure in Bruxelles, la
propaganda a favore della classazicme decimale, elevando quasi a
dogma il principio che questa è innllerabile. Chi aderisca alle
idee dell' /sf Auto, dichiarano i bibliografi belgi, deve accettare la
Tavola del Dewey come essa è, in primo luogo per amore di
oonowdia coi bibliotecari americani, che già classificarono sa quella
Tavola milioni dì schede, in secondo luogo perchè la preparazione
dì nn nuovo schema domanderebbe assai lungo tempo, dìspute
infinite, uè menerebbe a resultati più pratici di queUi sperati
dall' Istituto : e intanto urge metter un termine ai disagi dì chi
studia. Accettiamo, anche sacrificando tendenze e simpatie perso-
nali, il metodo americano e allora la cooperazione dei governi,
privati, delle società, renderà possibile altresì un Repertorio,
bliografico universale.
LA CLA83IFI0AZIOHB BIBLIOOSAFICA « DEOIltiUC >
H»
La promessa, non si può negarlo è aeducente. Il lettore, per
(Btenderla meglio, ai compiaccia di entrare pochi momenti in un
londo finora fantastica.
La Tavola del Dewey col suo indice per soggetti è tradotta
nei principali linguaggi del mondo civile, la partizione delle scienze
è stata condotta, per o[»era di specialisti, fino alle più minute ra-
tnificadoni, onde gli argomenti più reconditi hanno un posto nel
«nadro bibliografico decimale. Ogni casa editrice manda in luco
t suoi volumi accompagnati da schede che ne registrano i titoli e
sificano colle cifre relative del metodo americano : le BJvi-
, le Associazioni pubblicano nella stessa maniera i loro Atti,
B danno scJiede in più esemplari per le singole monografie. Nel
DTpo stesso delle Riviste accanto a ogni titolo sì nota il numero
i classazione, fornito dall'autore medesimo dell'artìcolo, talché
■li errori altrimenti possibili sono evitati. Le schede presentano
dimensioni invarìabUi : i privati non hanno che a disjiorle in cas-
sette per aecatalogare le loro collezioni, le biblioteche fanno al-
trettanto e costituiscono, in ordine di «unterò, il loro catalogo
metodico, poi l'alfabetico per ordine di autori, ed altri ancora con
altri oriterì, ordinando diversamente le si^hede acquistate già in
più esemplari. La compilazione della bibliografia vien divisa se-
ido i soggetti e si pubblica periodicamente, in diversi luoghi,
1 schede modello, prescritte dall' Ufficio intemazionale belga, o
I volumi le cui pagine impresse da un solo lato vengon taghat*
i ridotte a schede modello. Cosi i privati, i piccoli centri di stu-
t> si procurano questa o quella parte della Bihliographia uni-
(1) e la mantengono, volendo, sempre in corso; gli isti-
nti di prim' ordine possono ancora raccoglierla nella sua integrità.
Il'aitro lato procede la classificazione bibliografica retrospettiva.
"the deve abbracciare ogni pubblicazione venuta in luce dalle ori-
gini della stampa fino all' eti presente. SÌ spogliano le antiche
bibliografie, perchè non sempre accade di aver aott' occhio le opere
dì questo lungo perìodo, e conviene affidarsi alle altrui indica-
aoni : con circa quindici milioni dì schede l' ingente Catalogo
mi terminato ed annesso alla Bibliografia contemporanea.
il titolo lìato al lìe/ierlorio dall'Ufficio di Bruxelles.
Aneddoti e Varietà
-•♦^.♦<
Note italiane sibila storia di Francia. (•)
vni.
Un canto della Tesoreria delle guerre di Milano (1504-1505).
E nota abbastanza l'estrema povertà degli Archivi di Stato
di Milano, durante il periodo delP occupazione francese; ed è inu-
tile di segnalarla novamente qui, e far rilevare F interesse che
presenta, per il fatto stesso di tale povertà, il documento ch'io
comunico qui sotto. Conservato nel manoscritto 7882 dal « Fondo
francese » della Biblioteca Nazionale di Parigi, vi è rimasto ine-
dito e press' a poco sconosciuto fino a questo giorno ^ sembra sia
sfuggito anche alle sagaci e pazienti ricerche del sig. De Maulde
La-Clavière : almeno questi non lo ha inserito fra i documenti
giustificativi della sua edizione delle « Chroniques de Louis XII
par Jean d'AiUon ». Sarebbe difficile il poter dire per qual com-
binazione questa « copie de certain état > sia stata salvata dalla
distruzione e per qual serie di avvenimenti sia giunta alla Bi-
blioteca Nazionale. D' altronde sembra che la sua autenticità non
possa esser messa in dubbio.
Questo Etai è quello delle truppe mantenute nel Milanese,
in tempo di pace, da Luigi XII. Gli anni 1504 e 1505 sono
stati fra i più placidi nella storia delle relazioni di questo so-
vrano con gli Stati italiani ; la Lombardia finiva di rimettersi
(*) Note precedenti: I. Una lettera di Luigi Montpensier e altri docu-
menti che vi si riferiscono [1496-'99] {Arch,, Serie V, to. XIII, an. 1894).
- II. Proposta e disegno d' un trattato fra Carlo Vili e Ludovico Sforza
[1497] (ivi). - m. Informatori italiani in Lione nel 1498 (ivi). - IV. Gli
« Inviciati » agenti milanesi a .Sai uzzo [1499] (XIV, 1894). - V. Lettere
di Luigi d'Orléans [Luigi XU] (XV, 1896). - VI. Porto Longone durante
il primo Impero (XVI, 1896). - VII. Lettere inedite dell'intendente Col-
bert du Terron, durante T assedio di Messina [1675-1676] (XVIII, 1»H>).
NOTE ITALIANE SULLA STORIA DI FRANCIA 109
dalla scossa moralmente e materialmente si grave che le avevano
procurato la guerra e la rivoluzione del 1499-1600; i germi d'op-
posizione vi erano ancora nascosti ; il governo francese sembrava
esservici pacificamente e per molto tempo stabilito, come lo prova
la testimonianza del segno veneziano Leone Bianco (1). E dunque
il quadro esatto e completo dell'esercito normale d'occupazione che
ci ha conservato questa copie d* état ; essa ci dà al tempo stesso
la statistica e il bilancio di questo esercito e ci fornisce dei rag-
guagli utili per la biografia e il cursus Jionorum di alcuni dei
più celebri capitani francesi, o franco-milanesi, di quel tempo.
Mi è sembrato utile di riavvicinare a questo quadro del corpo
di occupazione della Lombardia, un altro quadro analogo, conser-
vato anch'esso nella Biblioteca Nazionale di Parigi, nel codice
2960 del Fondo Francese. Questo è relativo all' anno 1501, nuovo
stile (gennaio 1500 - dee. 1501 vecch. stile), e dà il catalogo delle
truppe rimaste in Francia all'indomani della campagna dei Fran-
cesi in Lombardia. Vi si constata che diverse compagnie di lan-
cio, che avevano cooperato alla distruzione del potere di Ludo-
vico Sforza, erano fino d'allora rientrate in Francia, o per lo meno
impiegate fuori dell'ex-ducato di Milano : per esempio la compa-
gnia di Cesare Borgia, duca Valentino, e quella del marchese di
Saluzzo, che troviamo qui ridotta a quaranta lancio. H confironto
di questi due documenti quasi contemporanei, può dare un' idea
approssimativa del totale delle forze militari della Francia du-
rante il periodo più felice del regno di Luigi XII. E se si nota
che il totale dell' esercito impiegato nel Milanese sorpassa la metà
di quello rimasto in Francia, si può ben giudicare che non era
senza sforzò e senza sacrifizi pecuniari che Luigi XII assicurava
la tranquillità a Milano ed il progresso dell'influenza firancese
non meno che il progresso materiale in Lombardia.
Montpellier. L. G. Pélissier.
(1) Cfr. Documenls pour V hùtoire de la domination franqaise dans le Mi-
lanaù (1499-1518), p. 100, n.« 2d: J. J. Trivulce et Vétal des parto à Milan
tn 1504, lettera del segretario veneziano Bianco al consiglio dei Dieci,
Milano 19 settembre 1504.
110 ANEDDOTI E VARIETÀ
1.
Conto déUa tesoreria delle guerre (1500-1501)
(Bib. Nat. F. Frane, 2960, fol. 14).
t RooUe des parties et sommes de deniers que le Roy nostre sire
a ordonné et commandé estre payées, baìUées et delivrées par Geuttroy
Delacroix, son conseiller et trésorier de ses guerres, des deniers a
luy ordonnez pour convertir et emploier au fait de son office durant
V année commancent le premier jonr de janvier l' an mil cinq cens
et finissant le derrenier jour de decembre ensuyvent Pan revolu, mil
cinq cens et ung, aux personnes et pour les canses qui ensuivent
M premièremeni pour le quartier de janvier, féerier et mare,
Aux cent lances foumies de l'ordonnance du Itoi nostre sire estans
soubz la charge et conduicte de Mons.*' le due de Bourbonnoys et d^Au-
vergne, sa personne en ce comprinse, la somme de neuf mil troys cens
livres tournoys a eux ordonnée par ledit seigneur pour leurs gaiges et
souldes dudit quartier de janvier, février et mars au feur de trente une
livres tournoys pour chascune lance fournie par mois ; en ce comprins
l'estat de cappi taine qui est de vingt soubz tournois pour chascune lance
fournie aussy par moys, pour ce, cy ix"» iii^ l.t.
Aux cent lances fournies de ladite ordonnance
estans soubz la charge et conduicte de Mons.'
Mess.r* Pierre de Bohan, chevallier, seigneur de
Gyé et mareschal de France pour semblable cause
et au feur que dessus, la somme de ixn> mc l.t.
Cent lances. . . . sous la charge et conduite de
M. le due de Yalentinois, et dont le capitaine Au-
bert du Bousset en a la conduite soubz luy . . ix^ iir l.t.
Cinquante lances.... d'£ngelbert, monsieur
de Clèves, comte de Nevers et d'Eu mi™ vi^ l l.t.
Cinquante lances .... de M. le comte Gaston de
Foix, fila de feu Mons.^ le comte de Foix, et dont
Kogier de Béam, seigneur de La Bastide en a la
conduicte et charge soubz lui, et auquel le Boy, •
nostredit seigneur, a ordonné Pestat et droit de
cappitaine iiii"» vi<* l.t.
Cinquante lances.... de M. d'Albret mi»" vie l.t.
Trente lances.... de Mons. ' Dor vai, gouver-
neur de Champagne n«» vii^ iiii«* x J.t.
Quatre vingt lances.... de Mons.' de la Tré-
moille vii«» ini<^ xl l.t.
Cinquante lances..,. de M. de Pyennee . . ini»» vie j, i,t.
NOTE ITALIANE SULLA STORIA DI FRANCIA 111
Cinquante lances.... de M. le marquis de
tothelin, mareschal de Bonrgogne nii™ vi<^ l Lt.
[fol. 15t^]. Cinquante lanoes de M. le grant baa-
ard Mathieu de Bombon . ini^^ vi^ l l.t.
Qoarante lances. ... de M. Philìppes du Molin,
hevalier iii™ vii^ xx l.t.
Qnarante lances.... de M. le marquis de Sa-
aces iiin^ vn<: xx l.t.
Quarante lances .... de M. de Mauléon et Bo-
ivvers Ili»» viK xx l.t.
Cinquante lances.... de M. de S. Prest . . iiii>" vi^ l l.t.
Trente lances.... de Messire Bobert de la
Ifarche ii™ vii** iiii»« x l.t.
Quarante lances.... de Messire Philibert de
Dhoiseul ni»» vii« xx l.t.
[fol. 15^]. Vingt cinq lances. . . . de M. le Sene-
ichal d'Armignat ii"» iir-* xxv l.t.
Quarante cinq lances.... de Mons. Antoine
le Baissaji baiUi de Dijon (en ce oomprins vingt
lances, qu'il a euz de creue, venuz de la compa-
ignie de feu M. de Beaumont de Pollignac). . . mi'*' ciiii'* v l.t.
Vingt lances .... de M. Bobert Malherbe, che-
valier, prévost des mareschaux de France . . . xvin*^ lx l.t.
Quarante lances. ... de M. Loys de Hédou ville,
chevalier, seigneur de Sandricourt iii™ vii<^ xx l.t.
Aux quinze archiers de la dite ordonnance,
estans soubz la charge et conduicte de Guillaume
deCorquelierai, prévost des mareschaux, la somme
de trois cens trente sept livree dix soubz tournoys
à eulx ordonnés par le dit 8,^ pour leurs gaiges et
souldes dudit quartier de janvier, fóvrier et mars ;
laquelle somme le dit S,^ a ordonnée estre baillée
audit Corquelleray par sa simple quittance pour
icelle distribuer aux dits quinze archiers, sans
faire aucune monstre ne reveue, ne que le dit tré-
sorier des guerres soict tenu [fol. 16»] rapportar
sur ses comptes autre acquict ne verifficacion, fors
la quittance dudit Corquelleray, tant seuUement
pour ce ; cy iii^ xxxvii l.t.
Audit Genffroy Delacroix, trésorier des guerres
dessusdit pour ses gaiges ordinairej ilu quartier de
janvier, février et mars la somme de yc l.t.
À Jehan du Plessis, dit Torcou (1), secrétaire
Je la guerre, pour partie de ses gaiges de janvier
février et mars vip* x l.t.
(1) Sic, si deve leggere « Tortcol ».
112 ANEDDOTI E VARIETÀ
Aux clercs dudit Geuffix>y DelacroiX| trésorier
des guerres à départir entre eulx par lui, aìnsi
qu'il advisera, la somme de douze oens dix neuf
livres quatre soulz quatre deniers obole toumoi
ponr leurs gaiges, sallaires, yoitnres et vaccacions
et despens de taire le payement desdites mil quatre
vings troys lances troia quars foumies cy devant
déclairées, pour ledit quartier de janvier, février
et mars xii<^ xix* ini* iiii>i- »
Auxdits clercs à départir entre eulx, ainsi que
ledit trésorier advisera, la somme de deux cens cin-
quante livres toumoys à eulx ordonnée de creue
par le Boy nostre dit seigneur, oultre leurs gaiges
ordinaires cy devant déclarez, pour leur ayder à
supportar les fraiz, mises et despens que faire leur
conviendra ès pays d'Itallye et Pyemond, pour
le payement desdits gens de guerre des ordonnan-
ces du Boy n<^ l 1. t.
[fol. 16^]. A Bernard de la Bocque, Poncet de
Lespinasse, Daniel de Herlin et Prégent de Gouc^
tivy, commissaires ordonnés par le Boy, nostre
dit S.'', ò. faire les monstres et reveues de partie des
dites gens de guerre, la somme de quatre oens livres
tournoys, pour leurs gaiges et voyaiges du dit
quartier deganvier, février et mars.... laquelle
somme se prandra sur les absens, places vuydes et
deniers revenant bons au Boy ime 1. 1.
A Maistre Simon Bogier, Nyccollas Berziau,
Blaise Vigenere et Bertault Lefevre, commis de Je-
han du Plessis, dit Toi^cou, ... la somme de deux
cens quarante livres toumoys qui est à chascun
d'eulx soixantes à eulx ordonnées par le Boy . . . ,
pour leurs gaiges et voyaiges de assister et estre pre-
senta aux monstres et reveues des dites gens de
guerre et en passer et reoevoir les quittances pour
le dit quartier de janvier, février et mars, laquelle
somme de deux cens quarante livres se prendra sur
les absensi places vuydes et deniers revenans bons
au roi notre dit seigneur ès compaignies deasus dites ii^* xl 1. 1.
Somme ciu™ ve xxxvi' xiiii* iiii<i- ob. tou
[fol. 24i>] (1) Somme toute des parties contenues en ce présent reo
quatre cens quatorze mil cent quarente six livres dix sept selz six
niers tournoys. Ainn signé: Bona. Nyelle.
(1) Nei fol. 17* a 24* è il prospetto di altri tre trimestri (aprile-giug
luglio-settembre, ottobre-dicembre) che è afiBatto identico a quello so
riferito; e perciò m'è parso inutile di riprodurlo qui.
NOTE ITALIANE SULLA STORIA DI FRANCIA
Nous, Loys, par la grace de Dieu Roy de France, certiffic
noz améz et féaulx genz de noz comptes et autres q^ix* il appartiei
qne nous avons ordonné et commandé à nostre &mé et; feal consc
et trésorìer de noz gnerres Geuffroy Delacroix payer, baille
delivrer des deniers qui lui ont esté ordonnez et appoìnctez
convertir au ùàt de son office durant l'année commaxicant le
mier jour de janvier V an mil cinq cens et fìj:iissa]:i.t le derrc
jour de decembre Pan revolu mil cinq cens et lang^ au persoi
pour les causes et ainsi qu' il est plus à plain contenu. et declai
chascun article de ce present roole de parcliemin les sommefi
deniers en icellui contenues [fol. 25*] montant exisemble à la soi
de quatre cens quatorze mil cent quarente six livres dix sept
six deniers tournoys; en ce comprins la somme eie d.eux mil li
toumois que lui ordonnée pour ses gaìges de la dite année.
En tesmoing de ce, nous avons signé ce present roole de n.
main. Donne à Bloys le xvii« jour de février 1' an mil cinq <
et deux. Aitisi signé: Loys et plus bas Robert et.
2.
Canto ddla tesoreria delle guerre di Milano (1504-1506).
(Bib. Nat. P. Frane, 7882).
[fol. II]. Copie de certain estat faict par le Koy notre Sire à
oolas de Neufville, par lui commis à la trésorerie ^^^^^^^^ ^'
finché de Millan, par lequel il appert que le Roy, i^of '® J^^^e^^
x. 1 * f^yiiiee entiere d
^«ult et ordonne paiement estre iait, duranti x «» ^ , .
r^ ♦ 1 . . A ' '\ /^ina cens et quatre et fi
^3ciitn9ant le premier jour de janvier mil cinti ^ -i • n co
^^nt le derrenier jour de decembre ensuivant C]
xvsirir et raison qvu ^s
^ux gens de guerre nommés en icelui, au le ^^^ ^^^ ^^^^^
I^lain dóclairé audit estat donne au Plessis ^^ P , ^ ^^
'^rM si«ne iioys et 6e<1*
J our de juillet audit an mil cinq cens et cinq.» » e vrea<
^viqnel la teneur s'ensuit:
[fol. m*]. Gens d'ordonn^ttoe^
"Boy s<>^^* ^ char^ ^
Cent lances foumies des ordonnances dn ^ ^^ personne ^
<liict de Monseigneur le mareachal de Triv^^^'^^^^^e ^^rti^x^^'
inae, pour leurs gaiges et souldes de la diete ^ ^^ derrenii^^^*^ ^
ier jour de janvier derrenier passe et fini^*^^^ ^ mil ^^ ^^*^*»*
anlire prodhain venant, la somme de tren^® ^^oys P^'*' tìh«à^*^
u est à la raison de trente une livre tom^"*^ ^^■'^Uti^.
AlOH. Sios. It., 6.« Serie. — XX- ^
Prinse
mier
114 ANEDDOTI E VARIETÀ
fournie par moys, en ce comprins Pestai du càppitaine qui est de vingt
solz tonmoys pour lance fournie, aussi par moys. xxzviii*^ ii^ 1. 1.
Cent lanoes.... soubz la charge.... de Mon>
seigneor le marquis de Mantoue, . . . au feur et rai-
son quo dessos xxxvii°^ iic 1. 1.
[fol. m"]. Ginquante lances. . . . de M. de Mon-
thoison xvni™ vii^ 1. 1.
Ginquante lanoes .... chevaller de Louvain . xviii» vu^ 1. 1.
Ginquante lanoes .... M. de La Palisse . . . zvni°^ viic 1. 1.
Ginquante lanoes .... Messire Emard de Prie . . .
pour leurs gaiges et souldes du quartier de janvier
derrenier passe un» vi^ 1. 1.
[fol. r7<^]. Ginquante lanoes.... Marquis de
Montferrat .... pour leurs gaiges et souldes ....
pour les troys derreniers quartiers xiii™ ix^ l 1. 1.
Ginquante lanoes.... Messire Galeas Pallavi-
cin, pour semblable cause que dessus xviii"^ vi^' 1. 1.
Ginquante lances. . . . Messire Anthoine Marie
de Saint Severin xviiin» vi^ 1. 1.
[fol. iv^]. Ginquante lances.... M. d'Alègre . xvui™ vi^ 1. 1.
Trento lances.... M. de Fontrailles .... xi™ clx 1. 1.
Vingt cinq lances nouvelles dont le Roy a
baillé charge à Messire Théodore de Trivulce pour
l'entretenement d'aucuns bons personnages nap-
poUitains. Gy pour les troys derreniers quartiers vi™ ix© lxxv 1. 1.
[fol. V»]. Gent Albanoys estant soubs la charge
et conduicte de Messire Mercure Bua, sa personne
en oe comprinse. . . . pour leurs gaiges et souldes de
la diete année au feur de sept livres dix sols tour-
noys pour homme, par moys, comprins huit cens
livres toumoys pour les gaiges du càppitaine. . ix™ vnic 1. 1.
[fol. v^]. Mortespayes,
Pour les gens de guerre ordonnez et establiz
à la mortepaye pour la garde, seureté et deffense
du chasteau de Millan et autres chasteaux, places
et forteresses du dict duché dont il sen payera
pour les deux premiers quartiers de 1* année pré-
sente le nombre de seize cens, et pour les deux
autres quartiers restans de la diete année ]e nom-
bre de quinze cens quatorze (1) seuUement, au
feur de cent solz toumois pour homme par moys;
(1) « Quatorze » è uno sbaglio dello scrittore; quattro è il vero nu-
mero, come appare dalle cifre qui sotto citate.
NOTB rTÀUkSn SULLA STORIA
[ FRAHOIA
U5
scUin Kt en essuivunt les ontonnances,
TOolte et (I^iArtement qni en seront faits par M. de
ChaaniouL, grand maìstre et tnAreschai de £Vance,
et lient^-naiit g^aóral ponr le S.ay delA les monts,
auiliat de Neufrille, commis dessusdiet pour cecy,
pouT leurs gaiges et souldes de la diete aiiuée . iui<* xiiti» nii° xs 1. 1.
[fol. VI*], Addici Nicolas de NeufVille . . . iv* 1. 1,
Somme totnlle dea porties conteuues cu ce piésent estat, troia cens vingt
sept mil (jUatre cena cinquanta oìnii livrea toiimois.
A Macé Sabouret et Nicolas Gedoyn, commis da contrerolleur de la
^■ure. qui ont servy et serviront avec lea commisssires à faire et con-
l^BKiUer les monstres des gens de guerre..., dn dncW de Millan..,.
qaatre cens quatre vingts livrea toumoia, qui sera prinse sur les deniers
revenans dee absens et placea vuydea comma il est accostumé.
[fol. VI*']. F»it au PleBsis dn Pare le» Tours le vii* jour de joillet niìl
cinq cens et oinq. Alntii sigué: lioya, et, Gedoyn<
[fol. ru>']. Au oba.'Ul, place et rociuette do Uillan, le nombre de cent
hommes harmés et deux cena archiers pour la garde, seoreté et deffense
de» dieta ubaste! ut roquelte, dix llvres toiimoya pour ehnquo homme
d'omies, t^ept livrea dix solz pour chaqne aruhier par muys, {fol. vili') fal-
le nombre de cinq eens mortcs imyes à la raison de cent sol*
toumois pour ebasqune mortepaye par moia.
Au palaia de Millan, pour la garde de la .juatice dudit paya et duché,
te mortespayea.
prévoat des marescliuuU, pour le renfort de la justicedudict paya
n XVI tnortes payes.
iii>']. AucbasteldePavye, dix mort«spayea
A la tour de Pavye, l
Allexandrie. ... I
Torto une
;%*]. Lodda dix
VaUence.
Ih
tfol- 1
[fbl.
. quiDze
Ti'eaae qnarante
Breny di;i bnit
Leoq quaraute deux ....
Coeme septante
Charannes .... cent vingt cinq ....
Tira» et Platemalle cinquante une ....
. Lugau nonaute aix
A Marco (»«;)... dix
Lacame cent septante buit . . .
Oampdocu . . , . deux cents quaranta deux
It^terelle .... quarante
Novarre trente six
Total: 1»W mortospaye».
IIG ANEDDOTI E VARIBrÀ
[fol. X*]. Trósorier des guerres en la duché de Milan, payez les
cent hommes d'armes et deux cent archers estans ès places, chastel
et rocquette de Milan, à la raison de dix livrea tournois pour homme
d*armes et sept livrea dix sola tournoia pour archer par mois, fai-
aant à la dite raiaon le nombre de cinq centa mortea payes à cent
aolz tournoia par moia pour chascune mortepaye; auasi lea unze
cena autrea morteapayea dont cydeaaua eat £edte mention à la raiaon
de cent aolz tournoia pour chaacune d'icellea morteapayea par moys,
qui eat enaemble le nombre de aeize cena morteapayea, ordonnées
et eatablyea par le Boy notre Sire pour aa garde, aeureté et deffense
dea villea, chaateaua, placea et fortereaaea de aea paya et duchè de
Milan, de leura gaigea et aouldea dea quartiere de janvier, février et
mara, et avril, may et juìn de cette présente annóe [foL x^] mil cinq
cena cinq, et ce après lea monatrea et reveuea qui en aeront par nous
faictea ou autrea en ayant le povoir en la préaence du aecré taire et
contreroUeur general de la guerre ou Tun de ses commia, le tout
ainay et à la raison qu' il est en ces prósentes contenu et déclairé.
Leaquelles, on tesmoing de ce, nous avona aignóea de noatre nom et
fait aeller du ael de noz armes. Le xnV jour de juing oudit an
mil cinq cena et cinq. Ahun signé: D^Amboise (1).
[fol. xiiu*]. Coppies des Vidimua de deux lettrea patentes du roy
noatre sire, eacript par ung mesmes vidimus, [fol. xiiii^j les premiéres
donnéea à Madon le XIP jour d'aouat Tan mil cinq cena et quatre,
par leaquelles et pour les cauaea et considérationa à plain déclai-
réea èa ditea lettrea, le Boy noatre aeigneur a créé, constitué et
(1) I foglietti XI a xiii^ contengono un deuxihné départemeni de 1504
mortetpayea, che è identico al primo, salvo la diminuzione o Boppreasione
di alcune guarnigioni, il cui totale produce precisamente la diif«»renza
di 96 paghe-morte, segnalata tra i due primi trimestri e i due ultimi.
Noterò qui soltanto i luoghi ai quali si riferisce la diminuzione :
[fol. xii«]. Au Palais de Millau 40 mortespayes
[fol. xii^]. Alexandrie .... 8 »
Tortonne .... 5 »
Cosmo 46 »
(,La guarnigione di Valenza è soppressa).
|f()l. xiii<^|. Tiran et Platcmalle 5(J »
Candolce 288 »
Materelle .... 30 »
Lugan 86 »
Le quali somme parziali danno appunto il totale sopra indicato delle
))aghe morte soppresse.
HOT! ITAUAnC SULLA STORU DI VEtAVOIA
AU&bly le dict Beigneur de Chaumont, grant maistre de France et
Bon [ieiiteoant general et gouverneur de la duché do Mìlan, en
r office de tnaresohal de France estraordinaire, en attendati* que lodit
seigneur l'ait jiaurveu du premier office de inareschal de France
ordùt&ire qiii vacquera, et leqnel premier office de mareachal de
France ordinaire qui vacquera le déseigoe a reservó ledit de Chau-
mont, et dèa laaintenitnt donne et octroye parea dites lettres, sans
ce que par la vaccncion du premier office de mareschal de France
ordinaire qui vacquera, il soit besoing audict de Oianinont en avoir
ot obtenir dudit seigneur autres lettres de don et proviBion, ne en
prendre ne apprehender auitre poseession que celle qui prendra par
\-*rtu dosditos lettreB, [fol xV] pour ledìt office de mareschal de
Franco ordinaire avoir, tenir et doresenavant exercer par le dìt
s^gnenr de Cliaiimont; en attendant conune dit est la première
laire qui vacquera pour en jovr et user j> telz et eemhlahles
lOnneors, prérogatives, préémynences, libeftez, tranohises, gaiges,
droitz, ptoniHcte et émolaments -^ue en joyseient les autres mai&-
scliaulx de France ordinaires ; du'juel office de mareschal de France
cxtraordinaire ledit seigneur de Chaumont a foit le serment et
uaurs du Roy nostre dit seigneur pour ce deu et accoustumè ; tou-
lans et déclairana en oultre lesditem lettres que tona et chaacun»
lea paiemens que icelluy de Chaumont pourra faire faire par lea
trésoriers dea guerres aux gens de guerre des ordonnonces dudit
«oigneur, et desquels ledict de Chaumont pourra at fera faire les
letres et reveues par son ordonnunce, soient d' un tei efiect et
l'faleur, comme s'ìlz OBtoient faitz et certiffle;^ par l' ordonnance et
Idgiuiture desdits |fb]. xvi'j marescbaus ordinaires; et autres causea
plain déclarèes Ès dictes premières lettres,
Et par les secondes lettrea du Boy, nostredit aeigneur, données
Bloys, te premier de jour de juing l' an mìl cinq eens et cinq,
^rt que ledit seigneur a pourveu ledit aeigneur de Chaumont
lieutcnant general da conile d'Ast et autres terres et seigaeuries
lUe ledit seignenr a delA les monts, (réservés-on ea Beigneurie dp
les dont il a pourveu le sieur de Bavastìn), pour du toni du
et exercer tant sur le feit et disposition da la jiistice de la dite
luche el de la police d'icelle comme sur le fiùt des gens de guerre
«utros povoirs décloiré/ en iaellea lettrea, comme toutes ceB
lOSes npparent bien au long par les dites dome lettres patentes du
ly nostredit seigneur.
Le misure fiamminghe nell'Arazzerla Medicea*!
Gli arazzieri fiamminghi, chiamati nelle diverse contrade
dell'Europa a fondare e dirigere le manifatture di urazzi, o a
lavorare semplicemente come operai, tenevano essenzialmente a
conservare, anche lontani dalla loro patria, le loro abitudini na-
zionali tanto nel modo di vivere quanto nell'esercizio del proprio
mestiere.
Cosi, per contentarli, hmgi SIV dovette nel 1662 institnìre
ai Gobelioa un forno ed una birreria all'uso fiammingo. Il suo zelo
si spinse fino a dare incarico a un religioso di predicare la do-
menica in lingua fiamminga : ma quest' ufficio fu lien presto sop-
presso, perchè il buon padre non tardò a predicare nel deserto
come s. Giovanni Battista.
Non so se Cosimo I, quando nel 1546 fondò la sua Arai-
Keria, dovesse prendere simili precauzioni per acclimatare questi
fiamminghi ; ma quello che è certo, è che fino dal principio della
Manifattura di Firenze s' introdusse l' uso d' adoperare nella con-
tabilità le misure fiamminghe, espresse con queste parole: Alla
qitadìftla, Misura dì Fiandra, Bastone.
Queste modo di contare divenne costante nell'Arazzeria Me-
dicea, e prevalse sulle miaure toscane : si trova infatti anche dopo
la partenza di Rost e di Karcher, che furono i capi fiamminghi
incaricati da Cosimo I di aprire la Mani&ttura : e continua sotto
la direzione di Pietro Fevere, arazziere parigino, come sotto i di-
versi capi italiani, che gli suceedettero.
Dalle ricerclie da me fatte risulta che Valla quadrata fiam-
minga era divisa in 16 bastoni quadrati, e il bastone, a sna volto,
in 16 parti chiamate seize de seize.
Rispetto al sistema metrico attuale, il bastone quadralo fiam-
mingo s' esprime così : ""i, 029423, cioè metri quadrati - 2 de-
cimetri quadrati - 94 centimetri quadrati - 23 millimetri quadrati.
Si comprende come le misure fiamminghe rimanessero le mi-
sure normali dell'Arazzerla Medicea, per l'abitudine che ne ave-
vano i fiamminghi e per la difficoltà di far loro comprendere il
LE MISURE FIAMMINGHE NBLL'ARAZZERIA MEDICEA 119
ragguaglio del bastone e delle sue sedici parti colle braccia, i soldi
e i denari quadrati. Tanto a Firenze, quanto a Bruxelles e a Pa-
rigi, i lavoranti di arazzi eran pagati non a giornata, ma secondo
la qualità e la quantità del lavoro eseguito: ora la quantità di
esso lavoro non può essere calcolata che mediante misure quadrate.
Gli operai non eran pagati dalla cassa della Corte grandu-
cale, ma sui fondi particolari dei capi arazzieri; questi, rispetto
al]a Guardaroba granducale, erano degli imprenditori e trattavano
a cottimo col rappresentante del Principe a tanti ducati per alla
quadrata ; e per semplicità di conteggio, anche coi propri operai,
mantenevano questa unità di misura in tutte le loro operazioni.
Naturalmente i prezzi variavano, secondo le qualità del lavoro:
una tappezzeria, che rappresentava delle figure umane, valeva
molto più d' una verzura o d' un disegno con semplici ornamenti
e fondi uniti. Cosi il séguito d'arazzi, intitolato la Storia di
Giuseppe, fatto sopra i modelli del Bronzino (di cui una parte è
presentemente in Palazzo Vecchio) fu pagato a Rost dodici ducati
d'oro l'alia quadrata, mentre le portiere e le coperte da muli (que-
sti Medici non si privavano d' alcun lusso !) furono conteggiate
con Karcher soltanto a due scudi e mezzo d'oro per la stessa
misura.
Indipendentemente dal prezzo, che ricavava dagli arazzi com
segnati alla Guardaroba, il Rost riceveva ancora secento scudi
d' oro all' anno per la direzione della Manifattura e per l' istru-
zione degli apprendisti; e inoltre gli era data facoltà di lavorare
per i particolari.
Cosimo I fu dunque veramente generoso. Secento scudi d' oro
di salario fisso erano nel 1546 una bella somma. Dodici scudi d' oro
l'alia quadrata per la Storia di Giuseppe erano, per quell'epoca,
Un prezzo eccessivo, che non ho riscontrato in nessun' altra ma-
ni^Eittura. Centovent' anni dopo il re Luigi XIV, ai Gobelins,
<ìon pagava meglio i suoi arazzieri più favoriti per opere assai
più complicate; nonostante che il valore del danaro fosse dimi-
^tiito, e la vita allora come oggi fosse molto più cara a Parigi
<ihe a Firenze.
Firenze. E. Gerspach.
120 ANEDDOTI E VARIETÀ
Sul testamento in lingua volgare
deila Contessa Beatrice da Capraia (1278-79).
n testamento della contessa Beatrice, più volte pubblicato (1),
s'annovera tra i più antichi documenti scritti in volgare, e tale
possiamo dire che anche oggi rimanga, sebbene il suo grado di
anzianità sia scemato, dacché nuove scoperte ci permettono di
rimandare indietro di non poche diecine d'anni, cioè fino agli ai-
timi del sec. XII, l'uso del volgare, se non nelle carte notarili,
almeno nelle scritte private (2).
Ma l' importanza del testamento Beatriciano, rispetto alla
Diplomatica, non sta nel maggiore o minore suo grado di anzia-
nità come documento storico della lingua, sibbene nella testimo-
nianza che dal medesimo può trarsi del maggiore o minor grado
(1) Jo. Lami, Mon, Ecd, Fior, I, 75-78 (Firenze, 1758); S. Ciahti,
Volgarizzamento dei Trattati morali di Albertano da Brescia ec., pp. 77-&Ì
(Firenze, 1888); e, secondo T edizione del Ciampi, E. Mohaci, Creslo-
ma2ia italiana dei primi secoli, fase. 2.®, pp. 854-856^ num. 118 (Città di
Castello, 1897).
Non senza errori diede notizia di questo documento W. Schum in
Gróber^a Grundrias der roman. Philohgief I, 188: « Spftter als in den ge-
nannten romanischen Lftndern kommtt die Yolkssprache in Italieu zur
Geltung. Als alt est e urkundliche Probe sieht man dort, nach O. Hart-
wigs freundlicher Mittheilung, das Testament einer Orùfin Guidi, aus der
Zeit von 1250 bis 1260 an ». L'erronea notizia è ora riferita e divul-
gata nei Manuali di diplomatica del Bresslau e del Gibt, e giova qui
rettificarla, osservando che non è questo il più antico documento italiano
in lingua volgare e che la data certa del medesimo è il 1278-79. Notisi
poi che il Br. Hartwio, da cui sarebbe venuta allo Schum 1* « amiche-
vole » ma non felice comunicazione, nelle Qitellen u. Forschungen zur alt,
Gesch. der Stadi Florenz, II, 197, dice con più esattezza : « Von der Tochter
dieses Grafen [Bodolfo], Beatrix rùhrt das Testament 1278 ber, das eine
der Altesten, wenn nicht die àlteste gericbtliche Urkunde in italia-
nischen Sprache ist ».
(2) Yed. il mio articolo: Di una carta latina^wÀgare del 1193, in questo
Arch-, 18 0, V, pp. 275-278.
SUL TESTAMENTO DELLA CONTESSA BEATRICE 121
dì legittimità che aveva in quel tempo l' uso del volgare nei
documenti.
E sotto questo rispetto credo qui opportuno di esaminarlo.
A questo fine occorrono due indagini :
1.*: se il testamento della Contessa, nella forma trasmes-
saci, sia un originale o una copia;
2.*: se dia testimonianza, o no, che nei documenti nota-
rili (oltre che nelle scritte private) l'uso della lingua volgare si
ammettesse di già come cosa legittima.
E bene anzi tutto dare una notizia descrittiva del documento
stesso e della pergamena che ce Tha tramandato.
Questa pergamena, proveniente dall' archivio dei Monaci Ci-
stercensi di Firenze, si conserva ora nel nostro Archivio di Stato,
sezione del Diplomatico : misura m. 0, 65 X ^ì ^ì ^^ ^ scritta in
quattro colonne con caratteri nitidi e minuti.
Comincia : « In dei nomine amen. M. CC. Ixxviij. Io contessa
Bietrice f. ke fui del conte Ridolfo da Kapraia e mogie ke fui
de Conte MarcacaìdOy sana de la mente e inferma (1) del corpo ec.
dispongo ec. e fonne testamento in inscritti p. Segue la lunga o
specificata enumerazione dei singoli legati : dopo di che, la testa-
trice nomina suoi « fldecomisani » « il Priore de frati predicatori
fii Santa Maria Novella, e 7 Cruardiano de frati minori da Tempio,
e frate Gherardo Nasi e frate Donato de l'ordine de frati predi-
f-'^atori, se scranno vivi in quel tempo » ; ed instituisce eredi uni-
versali « il monesterio e l'abate e 7 convento di San Salvadore
ria Settimo delVordine di Cestella ». Dà inoltre « piena e libera
podestà a le sopradette mie herede e fldecommissarii ke possano
questo testamento fare aconciare a senno de loro savi in qualunque
tnodo meglo possa e pia valere, tengnendo il coìitratto fermo ».
In fine si sottoscrive e appone la data al documento come ap-
presso : 4t Io Contessa Bietrice sopradetta questo mio testaìnento
a) « inferma » omise il Ciampi, ma non l'aveva omes^jo il Lami.
LJr..
122 ANEDDOTI E VARIETÀ
inntscritti si apresentai chiuso con otto corde a V infrascritti testi-
moni: a frate Paolo da Prato, e a frate Leonardo de l'ordine de
frati minori, e a frate Gratta e a frate Simone de V ordine de
frati da Settimo, a prete Alberto da Santo Ambruoffio, e a sser
Binda Montanini, e a sser Filippo Marsoppi de Vordine de frati
di penitengia di Firenze e pregali (1) k' elli ne fossero testimoni
e ponesseroci i loro sigilli. E questo feci nel palagio de conti Guidi
ne la camera dove io stavo nel popolo di Santa Maria in Campo.
Anno domini M CC. Ixxviij, del mese di fébraio xvitj di intrante,
ìndictione settima (cioè, allo stile comune, 18 febbraio 1279); e
però si ci pitosi il mio sigillo ».
Seguono le sottoscrizioni latine dei sette testimoni, tutti ec-
clesiastici, che dichiarano di avere apposti i sigilli : ma, perchè
tutti non avevano sigillo proprio, se lo fanno dare in prestito. Il
solo Filippo Marsoppi appone il sigillo suo ; altri due si servono
del sigillo di lui ; e i restanti quattro appongono « sigillum Gra-
tiani notarti ». Chi fosse questo Graziano notare non è detto
in altra parte del documento ; ma è certo che dovè essere pre-
sente alla redazione di esso, se potè prestare ad alcuni dei te-
stimoni il proprio sigillo ; e non sono alieno dal credere che egli
stesso ne fosse il dettatore e forse anche lo scrittore. E vero che
la dicitura del testamento ce lo presenta come un autografo (e
cosi lo chiamerò, tanto per intendersi) ; ma non è supponibile che
la vecchia e inferma Contessa lo scrivesse da sé, né fosse in grado
di dargli cosi conveniente e cosi ordinata forma come apparisce dal
dettato del medesimo : onde si può ammettere come sicura la pre-
senza e l'opera di un uomo dell'arte, che ufficialmente non appa-
risce, perchè ciò sarebbe stato contrario alla natura di un testa-
mento privato in scriptis.
Qui termina il contenuto dell'autografo, trascritto in questa
pergamena il 5 settembre 1279 ; e, a pie di essa, sta la sottoscri-
zione del notare trascrivente e autenticato, che è bene riferire
(1) Cosi precisamente il documento, che sarebbe da correggere « pre-
gali », cioè « prega 'li, pregaili ». Forse si tratta d' un semplice errore di
trascriadone ; ovvero chi dettò e scrisse V originale, in nome della CJon-
tessa, in quel momento si dimenticò che rappresentava la persona del-
l' autore, e designò questo in terza persona (« prego 'li, pregolli »).
SOL TffiTAHBNTO DELLA COX/TESBA BSATRIOE
i!le partì principali « (SN) Ego Ileiuildua Jacobi de Signa, ìm-
eriali atUoritale noUirius, predichim lesUimenfum presenlatitm
ìauMim et sigillatum sigillis predivtis et sigillo diete domine Co-
àtissc pendeniibus a domino ** Abbate da Septimo, Priore fra-
nivi predicatorum, et Guardiano fratrum minorumde Florentia,
abili viro domino Scorte da la Porla regio vicario in regimine
ir. et domino Jacabo eius iudici et assessori, presenlibus dictis
iatibus et regognoscentibue sigilla qiie posuei-ant ec., rf present-i-
bus textibus ec. (seguono altri nomi], apertum et desigUlatum per
dominum Jacobum iitdieem predictum, coram ipsis testilnis, do-
> Scorta vicario et domino Jacobo itidice Jectum, de ipsorum
minorum vicarii et iudicia mandato, fldeliler per ordinem exem-
ìando transcripai, quomodo melius et veracius potai, nil addens
in publiaim foi-mam rcdegi, sub amio domini ec,
e subscripsi ».
Da questa notizia descrittiva può subito il lettore ritrarre
3 non abbiamo dinanzi a noi lo scrìtto originale della Contessa
ibiamo la ridazione di esso in pubblica forma, fatta a
ibìesta del destinatario e di due principali fidecommissar!, per
1 di notaro e coli' autorevole intervento del pubblico magi-
rato. Ciò posto, non è da considerarsi questa pergamena come una
fiopia qualsiasi (che ha sempre, anche quando sia autenticata, un
ulore minore dell'autentico origmale, da cui viene desunta) : ma
^ una trascriziime fatta in forma pubblica e solenne, che ha per
1 dì dare a un originale di carattere privato piena validità
giuridica, ed è destinata a farne, per ogni effetto, le veci ; cor-
{spoudendo alla volontà della stessa testatrice, che aveva espresso
ì desiderio e dato pieno mandato a suoi eredi e ai suoi esecn-
:i testamentari di fare convalidare Ìl suo scritto < acconciandolo »
1 quel modo che < meglio e più jtossa valere ». E la convalida-
ine viene fatta, press' a poco, come, più anticamente, accadeva
eoli' in sin nazione degli atti privati nei gesta inunicipiilia (di che
d&nno esempi i Pupiri diplomatici del Marini) e come per tutto
il medio evo continuò a farsi in Francia colla registrazione presso
S curie ecclesiastiche.
124 ANEDDOTI B VARIETÀ
Ha pertanto, a mio avviso, questa pergamena del notaro Bi-
naldo da Signa, sebbene sia una copia, il valore d'un originale.
E tale potremmo addirittura chiamarla, se volessimo considerare
il testamento primitivo della Contessa come una semplice scritta
di carattere privato; giacché queste, nel diritto medioevale ita-
liano, non diventano carte autentiche, finché non v'intervenga
l'autorità del notaro, e fin allora sono semplici documenti di buona
fede : ma é da tener conto che il testamento della Contessa era
già sigillato e testimoniato secondo le norme del diritto romano, e,
rispetto a questo, aveva già conseguito carattere di documento le-
gale e titolo di eseguibilità. Conseguentemente, la pergamena nella
quale ci viene trasmesso, io mi limito a designarla come un secondo
originale: il primo, fatto conforme alle regole del diritto ro-
mano ; questo secondo, per maggiore sicurtà « acconciato » e com-
piuto coli' osservanza delle regole del diritto medioevale.
Veniamo ora all' altra indagine : che testimonianza dà il te-
stamento Beatriciano rispetto all' uso più o meno legittimo del
volgare nei documenti medioevali? *
Dell'uso pratico dà una testimonianza di non piccolo valore.
Non solamente, difatti, conferma che la lingua volgare, nel secolo
decimoterzo, adoperavasi senza conti'asto nei documenti non nota-
rili, ma dimostra inoltre che in meno di un secolo aveva fatto
negli atti privati grandi progressi. Dalla scritta del 1193, desti-
nata a rettificare e dichiarar meglio i patti del contratto notarile,
nel quale fu inserita e quasi intrusa, a questo testamento del 1278,
che forma un documento da per sé, compilato secondo tutte le
regole del diritto romano, e la cui validità originaria è in certo
modo sanzionata dalla carta notarile nella quale viene autentica-
mente trascritto, il cammino é rapido e, senza dubbio, notevole.
Ma non dimostra nulla di più; cioè non dimostra che l'uso
del volgare dei documenti rigorosamente autentici fosse già legit-
timato ; anzi, considerato tutto, prova precisamente il contrario :
e basteranno poche parole a dimostrarlo.
H testamento, è vero, sta in una carta notarile, che (per le
ragioni sovra esposte) può considerarsi come un secondo originale :
SUL TESTAMENTO DELLA CONTESSA BEATRICE ~ 125
ma però, si tenga a mente, non y' è scrìtto originariamente, ma
y' è trascritto : quindi, a rigore, non è la carta di Rinaldo da
Signa, che sia scritta in volgare, ma essa dà ospitalità ad un do-
cumento yolgare privato, col fine di autenticarlo ; e se per que-
sto fine non è stato voltato in latino (che era allora la lingua
ufficiale del notariato), è perchè si trattava di una trascrizione e
di una ricognizione autentica, non già di una rinnovazione. Se la
Contessa avesse potuto o voluto rinnovarlo essa stessa in forma
pubblica, e mediante il ministero di un notare, certo è che avrebbe
dovuto farlo in latino.
Ma il bisogno di questa trascrizione e ricognizione prova ap-
punto il difetto di legalità che era o si sospettava che fosse nel-
Tautografo. Difatti, se sta in fatto che l'autografo era compilato
secondo le debite forme del testamento privato romano, perchè
non lo lasciarono stare com' era ? Perchè l'Abate di Settimo corse
(morta la testatrice), coi due fidecommissari principali - Priore
di S. Maria Novella e Guardiano dei frati minori -, a presen-
tarlo all'autorità del Vicario regio di Firenze, chiedendo che fosse
trascritto in pubblica forma e autenticato da un notare? Perchè
a lui, erede, premeva che non nascessero in qualsiasi modo dubbi
sulla validità giuridica di quel testamento privato ; e la testatrice
stessa (secondo che più sopra ho riferito) gliene aveva dato pru-
dente avviso. Ora l'essere il testamento scritto in volgare, e pro-
babilmente in carta, non dava o si temeva che non desse baste-
vole guarentigia che la validità di esso sarebbe stata riconosciuta
pienamente e indiscutibilmente, nel mondo legale, per più secoli
ancora avverso a quelle due novità. Dunque la trascrizione del
testamento in una carta notarile era in certo modo il rimedio a
un sospettato difetto di legalità ; ed, essendo un rimedio, era in-
nanzi tutto un riconoscimento di esso difetto.
Firenze. Cesare Paoli.
- I g) I
RASSEOHA BtBLIoeRA7I0A
Uè mi Bì opponga che ni&acasse tra noi U modo Ji
simile impresa. Lasciando da parte l' Istituto utorico ilaliann, che
sembrerebbe chiamato a prendere la iaiEiativa di simili lavori, pos-
siamo dire che ormai non mancano tra noi né maestri valenti né
scolari capaci per aiutare e per eseguire simili lavori. I nomi di Ce-
sare Paoli,, di Ernesto Monaci, di Carlo Cipolla, del Giorgi, del Bal-
zani, del MaUgola, del compianto Guido Levi ec, no sono una ri-
prova; e giovani valentissimi, come Luigi Schiapparellì e Alceste
Giorgetti ancora negli ultimi tempi hanno dimostrata la loro com-
petenza speciale in tatto di Diplomatica: mentre un eminente no-
stro storico del diritto, Carlo Oalisse, ha fatto oggetto dei suoi
studi particolari le istituzioni giuridiche del Palrimonmm Ptlrì nel
remoto medio evo. Quindi, se noi salutiamo con lieto animo la pro-
posta del dotto professore di Gottinga, si è soprattutto percbù con-
fidiamo die essa servirà di aprone e di incitamento a quel tavon
nazionale, di cui il Kehr, con molta buona grazia, dissimula b
mancanza profondamente sentita. Forse dalla sua proposta scabiriri
un buon impulso per le ricerche storiche riguardo ai destinatari dd
diplomi papali, anche tra noi : ed il fatto sta, che senza questa ri-
cerca un simile lavoro in nessun modo potr.\ essere condotto A
Anteriori di qualche mese al discordo ora annunziato sono i
due articoli, che abbiamo voluto riunire con quello, perchè realmenti:
con esso hanno stretta attinenza. Il primo si riferisce al carteggio
di Papa Paolo I, e abbraccia precisamente i diec4 anni che oorrono
dall' anno T5T al 7G7. La prima parte di questo lavoro tratta dei
rapporti della curia con i Bizantini; la seconda di quelli coi Longo-
bardi. La ricerca rispetto ai rapporti con Kizanzio, serve anzitotlo
per stabilire in qualche modo la serie cronologica delie lettere ; lua
in sostanza conduce a. risultati prevalentemente negativi e di me-
diocre interesse. Non cosi quella relativa ai Longobardi, per quanto
anche qui, naturalmente, molta parte sia basata su semplici indu-
zioni e sulla interpretazione di certe formule, in apparenza voghe,
ma delle quali il K., in base od xm esame acuto e spesso sot-
tile, crede di potere stabilire il significato tecnico, E questo spe-
cialmente il caso della iuxtìtia, plenaria iustitia beali Pelri. Dopo
un riassunto felicissimo degli avvenimenti, che precedono la morte
di re Astolfo (fine del 75(!) e la salita al trono di Papa Paolo, il
K. traccia le linee della politica papale, camminando sempre nel
sentiero tracciatosi col mezzo e coU'ainto del solo carteggio ; e men-
tre sembra di occuparsi della cronologia delle lettere soltanto, esa-
OPUSCOLI DI P. KEHR 129
mina, con mente di storico vero e profondo, tutto l'andamento dei
rapporti tra la curia e il reame longobardo. Un accenno prezioso
alle carte Spoletane richiama l'attenzione sopra un punto oscuris-
Simo della nostra storia, che toccherebbe alla dottrina degli storici
Umbri di rischiarare. Contrariameote all'opinione comune, egli crede
che Pipino, rifiutandosi di aderire alle istanze del Papa, abbia rico-
nosciuto Desiderio come re dei Longobardi, senza contestare il pos-
sesso dei Ducati meridionali, anzi abbia rinunziato anche alla resa
delle città di Imola, Bologna, Osimo ed Ancona, conforme l'aveva
chiesta il Papa. - Non è possibile di entrare, in questo luogo, nei par-
ticolari dell'intricata ricerca; questo solo dobbiamo rilevare che,
secondo il K., la politica longobarda della curia romana in ultimo
avrebbe subito una completa disfatta. - A forma di Appendice è
aggiunto l'Elenco cronologico delle lettere di Papa Paolo, come ri-
sulta dalle ricerche precedenti : elenco che differisce in modo consi-
derevole dall'ordine assegnato finora a queste lettere, soprattutto
dal Gundlach, che se ne era occupato in particolar modo.
L'ultimo degli scritti annunziati è la descrizione accuratissima
dei frammenti di due documenti romani, scritti su papiro, e che oggi
si conservano nell'Archivio di Stato della città di Marburgo, ove
pervennero colle carte del monastero di Hersfeld, che realmente pos-
sedeva nel medio evo a Roma un fundus turanus, di cui appunto
uno di questi documenti ci ha conservato notizia. Si tratta anzi
tutto di un documento privato romano, e precisamente di una carta
d'enfiteusi, rogata da Giovanni, scriniario e tabellione urbis Romae,
Coli' aiuto delle formole raccolte dal Hartmann nel suo ottimo la-
voro sul Tabularlo di S. Maria in Via lata, il K. restituisce integral-
mente il documento, e ne stabilisce la data, con criteri tanto estemi
(materia scrittoria, forma della scrittura) quanto intrinseci (fundus
turanus, nomi dei contraenti, persona del notaro). Assegna quindi con
Certezza la carta, cdla quale appartennero i nostri frammenti, alla
Seconda metà del decimo secolo, e identifica con molta probabilità il
xxotaro che la rogò, con un Giovanni, scnniarius et tabeUio urbis
fiomae, di cui possediamo rogiti degli anni 1)40-988. La discussione
elei singoli argomenti per provare questo asserto, è basata sopra
ìina minuta e spesso originale ricerca sulla diplomatica e paleografia
delle carte romane del X secolo, e sul notariato romano di quell'epoca.
Il secondo frammento non è scritto, ma si palesa come apparte-
nente ad un diploma papale, per noi perduto. Ne rimane, attaccata,
Una bolla, che appartiene di certo al X secolo, e che rende molto
verosimile la supposizione, trattarsi di un diploma concesso da Papa
Asce. Stob. It., 5.» Serie. — XX. 9
EL.:i.
130 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Giovanni XIII, il 2 gennaio 968, al monastero di Hersfeld, diploma,
di cui possediamo ancora copie del X secolo.
Questo scritto, che è un prezioso contributo agli studi della diplo-
matica romana nel X sec., è accompagnato da bei facsimili, che ripro-
ducono i tre frammenti della carta d' enfiteusi, e servono allo stesso
tempo come utili esempì della scrittura notarile romana del tempo.
Macerata. Lodovico Zdbkauer.
Antonio Canestrblli, L'Abbazia di S, Galgano. Monografìa storico-
artistica con documenti inediti e numerose illustrazioni. - Fi-
renze, fratelli Alinari editori, 1896. - 4.^, pp. ix-166.
La storia dell'architettura medioevale ha cominciato ad essere
oggetto di studio ampio, largo e severo da poco più di cinquant' anni :
e, date le difficoltà di vario genere che si opponevano alla scoperta
della verità sulle questioni più importanti, non dobbiamo essere
troppo scontenti dei risultati finora ottenuti.
Il maggior obbligo, per il progresso di questi studi, dobbiamo
averlo per coloro, i quali, non risparmiando cure e fatiche, consa-
crino lunghi anni di assidue ricerche allo studio di un determinato
campo dell'ampio territorio, perchè soltanto a questo patto si pos-
sono ottenere risultati pieni ; ma è pure da tenere in gpran conto il
contributo di chi, preso a studiare un singolo monumento o un
gruppo, ne indaghi l'origine e le vicende sulla scorta dei documenti
e di ogni altra fonte di notizie ; ed, oltre alla storia ed alle descri-
zioni, ofi&a agli studiosi riproduzioni fedeli, e il più che sia possi-
bile particolareggiate. Il libro del sig. Canestrelli è per tale rispetto
degno di ogni encomio; ed io credo conveniente segnalarlo in que-
sta Bivista.
Il monumento, alla cui illustrazione è dedicata la monografia, è
fra le più notevoli fabbriche del medio evo; ma, per lo stato rui-
noso nel quale si trova e per il sito remoto, fu pressoché ignorato
fino agli ultimi anni : e finalmente fu fatto conoscere ed apprezzare
degnamente dal sig. Enlart nel volume pubblicato nel 1894 sulle
fabbriche gotiche d'Italia.
Verso il 1224 i monaci dell'Ordine Cistercense, che si erano già
da qualche tempo stabiliti nel piano della Merse nell'antico stato
di Siena, posero mano alla edificazione dell'Abbazia. Fino allora si
erano tenuti paghi ad una chiesa modesta sul vicino monte Siepi,
ma il favore che in questa contrada, come per tutto, si guadagnava
CANESTRELU, L' ABBAZIA DI S. GALOANO 131
quest' Ordine presso i privati e presso le città, promosse la necessità
d'ingrandire il convento e la chiesa.
Nei primi capitoli (I-IV) l' egregio A, espone il primo introdursi
dei Cistercensi in questo territorio, dal quale si diffusero poi in
altre parti di Toscana, secondo l'uso loro; i privilegi con che fu-
rono favoriti da pontefici ed imperatori (fra i quali privilegi è da
escludere quello, erroneamente supposto, di battere vera e propria
moneta) ; l' unione di altri monasteri a questo di S. Galgano ec. Se-
gue poi a dire (cap. V-YI) delle arti liberali professate da qualcuno
dei conventuali (notai, giudici, medici e, quel che più importa al caso
nostro, architetti) e dell'autorità acquistatasi, cosi grande da esser
scelti come arbitri in aifari contenziosi fra il comune di Siena e i
vescovi di Volterra. Nel capo VII sono rammentati alcuni dei prin-
cipali instrumenti, dai quali si hanno notizie dei possedimenti del-
l' Abbazia.
Nei primi anni del sec. XVI, fra il 1501 e 1503, l'Abbazia fu
concessa in commenda, a dispetto del Comune di Siena; e non
mancano d'interesse le notizie che il diligente scrittore fornisce
circa i prelati che goderono di quel titolo e di quell'entrata. Co-
storo, come è ben naturale, avevano a tutt'altro rivolto il pensiero
che al fiorire di quella istituzione monastica; ma quegli che si se-
gnalò per la sua avidità fu Giovanni Andrea Vitelli, il quale « tutto
« il tempo che la tenne in mano attese alla distruttione di essa,
« lasciando usurpare molti beni, cadere i poderi, alienare, impegnare
« ciò che v'era di buono, et quel eh' è peggio vendere il piombo
« che copriva tutta la cupola della chiesa stessa ec. ». Codesto ab-
bate godeva della commenda verso la metà del sec. XVI; e per la
Sua natura rapace, per la disordinatezza del suo procedere, rese l' am-
ministrazione una cosi arruffata matassa, da rendere poco fruttuose
le cure adoperatevi intorno dal cardinal Commendone. Come gli edi-
fìzi eretti in 8. Galgano dai fondatori dell'Abbazia andassero incon-
tro a irreparabile mina si vede dai documenti che il sig. Cane-
strelli pubblica e dei quali si giova per tracciare un quadro delle
deplorevoli condizioni in cui si trovarono gli edifizi dell'Abbazia
dalla seconda metà del sec. XVI in poi. I prelati pensavano alle
i^endite che procurava loro la commenda, e i pochi monaci, nonché
mostrarsi gelosi custodi della loro bèlla Abbazia, « levavano ferrate,
« guastavano cori antichissimi per cavarne chiodi, pestii {chiavistelli)
< e bandelle di usci, et il tutto vendevano, appropriandosi per loro
< medesimi il denaro et il costo di detti ferramenti ».
In questi lamenti uscivano gli abitanti di Chiusdino che vede-
vano a malincuore il deperire di un'Abbazia che era stata il vanto
132 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
del loro territorio; e lamenti non meno espressivi partivano un
cinquantanni dopo nel 1666 da Siena e da Volterra; e coloro che
sono incaricati dai Commendatari di riferire sul vero stato delle
cose avvertono che si deve correre colla massima sollecitudine ai
ripari, « perchè altrimenti la chiesa e convento di S. Galgano diven-
« teranno in breve una grandissima macia di sassi ». Pure la chiesa,
che quando pioveva « si allagava tutta », continuò ad essere offi-
ciata fino al 21 gennaio 1786, quando, durante 1^^ celebrazione della
messa, precipitò il campanile ; e in quel giorno i fedeli, che avevano
per essa una devozione grandissima, e gl'intelligenti dell'arte che
la consideravano « uno dei più belli e magnifici templi, che csi-
« stono in tutta la Toscana » dovettero rassegnarsi a perdere ogni
speranza di vederla salvata.
Fin qui la prima parte della monografìa; nella seconda il mo-
numento è esaminato sotto il rispetto artistico; e l'A. prende oc-
casione per fare osservazioni che riferisconsi a tutta una serie di
edifìzi monastici italiani. Già nella prefazione esso ci aveva annun-
ziato che avrebbe « dovuto contraddire o temperare certe opinioni
€ troppo assolute che non gli parvero consentite dal lume di una
« critica scevra di preconcetti nazionali » ; ed infatti nel capo II
della parte II è ima critica delle conclusioni del sig. Enlart intomo
all' architettura gotica in Italia e alla sua derivazione dall' arte
francese.
Dirò senz'ambagi che (secondo la mia opinione) il lato debole
del nuovo libro è appunto questo. Giudichi il lettore.
Uno dei fatti che il sig. C. crede di molta importanza è che i
Cistercensi non creassero uno stile particolare di architettura, ma
si attenessero, per l'ordinamento generale del monastero, ad usanze
da lunghi secoli stabilite, e per le forme architettoniche allo stile
de' paesi dove edificavano. E fin qui nulla di nuovo : è un riferimento
di opinioni già diffusamente svolte da coloro che studiarono le fab-
briche Cistercensi nelle varie regioni di Europa. Ma se questo è
vero in generale, si deve però riconoscere che i monaci Cistercensi
trapiantarono in Italia un determinato stile, e non mi par ragio-
nevole sostenere che questo sia meno gotico e assai più italiano
che non voglia il sig. Enlart.
Il concetto « che l' architettura ogivale abbia avuto principio
« in Francia e si sia difiìisa in Europa » non è, come crede il
sig. C, del Viollet-Le-Duc ; ma parve a dotti non francesi piena-
mente dimostrata quando, fra il 1823 e il 1831, vennero in luce le
Cathédrales frangaises per opera dello Chapuy e del Joliraont: tanto
che uno storico tedesco, alle cui ricerche nell'arte medioevale il re
CANBSTRELLI, L' ABBAZIA DI S. GALGANO 133
di Prussia accordava il suo patrocinio, esclamava: « Die gothische
€ Baukunst ist aus Frankreidi hergekomTnen » ; e nello svolgere
questa tesi, allora novissima, proclamava che il Duomo di Colonia,
centro della provincia più tedesca di ogni altra, non aveva nessuna
relazione coU'arte anteriore, ma proveniva interamente dalParte
francese. C2uesta, che il Mertens chiamava una verità semplice ed
assiomatica, fu presto accettata dai più autorevoli scrittori tedeschi
(io non ho bisogno di rammentare i nomi del Kuglet e dello Schnaase);
e non credo che oggimai sarebbe ascoltato chi sorgesse a vantare i
diritti di primogenitura del gotico tedesco contro il francese.
Dalla disquisizione del sig. C, che sta da pag. 85 a pag. 89, si
rileva che alcuni elementi costruttivi (il pilastro a fascio, la volta
a crociera) non si trovano per la prima volta nei monumenti fran-
cesi, ma in Italia. Ora, quando pure ciò fosse (e la cosa è tutt'altro
che incontestabile, e la questione di precedenza di una regione sul-
l'altra in alcune forme costruttive e decorative è irta di difficoltà)
in che verrebbe ad essere infirmata la teoria del sig. Enlart sulPar-
chitettura dei Cistercensi in Italia? Non aveva pure esso stesso,
il valente critico straniero, notato come in secoli precedenti alla
nascita dello stile ogivale, artisti italiani passarono in Francia, e vi
lasciarono tracce della loro maniera di costruire?
Quello che determina imo stile non è tanto la particolarità ma-
teriale quanto l'espressione dei vari elementi e dell'organismo. In
edifizl assiri si trova usato un capitello che ha volute come l'io-
nico greco; ma chi vorrebbe considerare lo stile ionico come una
figliazione dell'assiro ? Allo stesso modo, chi davanti a una fabbrica
^tica, tutta slancio e giovanile vivacità e vigoria, ripensa alla grave
basilica ambrosiana?
Perciò, anche se si conceda che in Lombardia erano già da qual-
che secolo in uso gli elementi architettonici che furono adoperati
dagli artisti francesi, non verrebbe ad essere negata la originalità
dello stile gotico. Insomma mi pare che la questione non sia stata
pK)sta bene. Quello che si desidera sapere è, non l'orìgine dello stile
g^otico francese, ma se veramente le costruzioni dei Cistercesi in
Italia siano conformi, per le disposizioni generali, per lo stato ar-
cliitettonico, per le particolarità decorative, allo stile borgognone,
quale fu adoperato dal medesimo Ordine in Francia. E qui io non
credo che le conclusioni del valente scrittore della monografia siano
accettabili, e rimango pienamente d'accordo con quelle degli scrit-
tori che lo procedettero.
Il sig. Canestrelli, dice : « Lo stile usato dai Cistercensi in Ita-
« lia nella costruzione della maggior parte dei loro templi è uno
184 BASBBBHA BIBUOSKABIOA
( stile di transizione, che ispirato agli elementi fondamentali del-
* l'architettura lombarda, palesa poi, in certe disposizioni icono-
* grafiche, in alcune forme statiche ed io qualche detta-
* glio ornamentale, l'influenza della scuola architettonico della
« Borgogna. Ma, per ragione di questa secondaria influenza bor-
ii gognona a cui abbiamo a
che i Cii
ntn
1 Italia l'archit
« ogivale! ». Lo eteaao penaiero ò espresso poco dopo in termini
diversi ma non meno chiaramente. Ma quando l'Aut. passa ad
enumerare gli elementi che gli architetti delle abbazie Cistercensi
presero in prestito dallo stile francese, vediamo che sono quelli
stessi scopertivi dall' Eniart, e sono tali e tanti che ci vuole molu
buona volontà a acoprire che cosa rimanga di non borgognone. Per
la disposizione planimetrica il sig. Canestrelli accetta che provengano
dall' arte d' oltr' alpe i valichi rettangolari nella navata principale
e quadrati nelle minori, le (inppelle nel lato orientale delle braccia,
e quanto alla pianta dell'abside, ammette che fu usata con pre-
dilezione dai Cistercensi, sebbene non sia disposto a crederla im-
portata dai Francesi, perchè si trova in qualche chiesa pia antica
di Sicilia e di Venezia. Per la disposizione planimetrica, adunque,
può dirsi, che le chiese Cistercensi italiane derivino dalle francesi
interamente, e la somiglian>ia ò resa ancora pii'i evidente dal mod»
tatto proprio degli architetti borgognoni di disporre i contrafforti
d' angolo bipartiti. Le linee dell' alzato sono ancora piìi, se è pos-
sibile, nuove in Italia, mentre hanno perfetto riscontro nella regione
dolla quale proveniva l' Ordine. L' egregio architetto nota soltaut»
come particolarità italiana I' essere impostati ptCì in alto degli altri
gli archi diagonali ; ed io mi guarderò dal mettere in dubbio la at-
tendibilità dell' osservazione ; ma è troppo poco un tratto originale
dì fronte a tanti altri derivati. Se dalle forme costruttive si passik
alle decorative, il Canestrelli riconosce coll'Enlart in parecchio mo-
danature la evidente parentela colle chiese di Borgogna.
Ma, astraendo dalla parte polemica del libro, il valore dell&
monografia del Canestrelli rimane pur sempre grandissimo, per-
chè in essa il lettore trova raccolto con buon metodo e amorosa
diligenza tutte le informazioni che si riferiscono a quella scnol»
venerabile. E le notizie che vi troviamo non hanno interesse sol'
tanto per il monumento di San Galgano, ma per la storia di un
Ordine cosi benemerito dell' arte e in generale della civiltéL I docu-
menti pubblicati per intero sono cospicui per il numero e per la oon-
tenenza. Il primo si riferisce agl'inizi della colonia Cistercense ii
S. Galgano, ed è del llSiii ; seguono privilegi dei vescovi di Vollerr»
CANESTRELU, L' ABBAZIA DI S. GALGANO 135
del 1201 e del 1216, diplomi dell' imperatore Enrico VI, di Filippo
duca di Toscana, di Ottone IV, di Federico II, bolle di pontefici ec.
Le riproduzioni grafiche sono cosi abbondanti che non si po-
trebbe desiderar di più e di meglio, facendoci esse conoscere l'orga-
nismo architettonico dell'Abbazia, ogni disposizione, ogni particolare
costruttivo e decorativo; che, oltre alle belle fotoincisioni dell' Ali-
nari, l'Autore ha arricchito il suo libro dei rilievi da esso £Eitti.
Se per ogni monumento architettonico importante possedessimo
una monografia cosi&tta, ne verrebbe notevolmente sollecitato il
progresso della storia dell'arte; e perciò gli studiosi devono augu-
rarsi che altri segua l'esempio dato dal sig. CanestrellL
Roma, Paolo Fontana.
Le OaUerie ìiasàonaU italiane ; Notizie e Documenti, - Anno I e II.
Per cura del Ministero della pubblica istruzione. - Roma, tip.
dell'Unione cooperativa editrice e Stabilimento fotografico Da-
nesi, 1894 e 1896. - Due volumi in 4.^ grandissimo, di pp. 224
e 349 con 16 e 32 tavole in fotoincisione.
Seguendo l' esempio di alcune delle più ricche e rinomate isti-
tuzioni artistiche, come sarebbero i Musei prussiani, e quello impe-
riale di Vienna, che da molti anni in apposite magnifiche pubblica-
zioni rendono conto al mondo dei dilettanti e degli eruditi del loro
sviluppo, ed in memorie e studi di gran pregio scientifico chiari-
scono la storia ed i pregi artistici delle opere d'arte in essi custo-
dite; ora anche il Ministero della pubblica istruzione italiano ha
incominciato una pubblicazione di simile genere, di cui sono finora
usciti, i primi due volumi.
n merito di aver iniziato si fatta pubblicazione spetta all' inde-
fesso zelo di Adolfo Venturi, direttore in quel Ministero, il cui
valore di storico e conoscitore è ben noto, e che ha pure il merito
di avere promosso il riordinamento a base scientifica dei Musei e
delle Gallerie d'Italia.
£d è proprio questo l'argomento, che occupa gran parte del con-
tenuto dei primi due volumi della presente pubblicazione essendovi
dato im rendiconto molto particolareggiato del rior^amento della
Galleria di Parma, del Museo del Palazzo ducale di Venezia, della
Galleria e del Medagliere Estensi in Modena, della Galleria nazio-
nale di Roma, della raccolta d' incisioni nella Galleria di Bologna e
dell'istituzione ed ordinamento del Museo civico di Pisa. Un'altra
136 RASSEGNA BIfìUOGRAFICA
parte del testo è riserbata a notizie riguardanti l' aumento di alcuni
dei Musei e delle Gallerie italiane per mezzo d'acquisti nuovi e ri-
vendicazioni fatte di opere d'arte finora sepolte nei magazzini, ed
infine la parte residua di ciascun volume viene consacrata alla pub-
blicazione di documenti d' indole storico-artistica, destinata a recare
agli studiosi il materiale per nuove investigazioni in siffatto campo
dell' erudizione.
Entrando ora, per dare al cortese lettore un' idea bencbè insuffi-
ciente del ricco contenuto dei volumi in discorso, nell' enumerazione
dei principali articoli contenuti in essi, diremo che nel primo ven-
gono fatti conoscere i nuovi acquisti della Galleria di Brera in Mi-
lano, fra cui spiccano le due figure di S. Pietro e del Precursore, di
Francesco del Cossa, provenienti dalla collezione Barbi-Cinti di Fer-
rara, tanto più pregevoli in quanto che con esse si è potuto colmare
una lacuna esistente nella Braidense, mancando finora fra 1 suoi
tesori questo caposcuola ferrarese, le cui opere sono cosi rare. È
aggiunta la riproduzione delle tavole in discorso in due nitidissime
fotoincisioni della ditta Danesi di Boma, che in generale ha fornito
tutte le tavole illustrative dei nostri volumi, eseguendole di maniera
da non lasciar nulla da desiderare dal punto di vista della perfe-
zione artistica.
Nel secondo articolo viene riprodotta la relazione di Ck>RRADO
Bicci, direttore della r. Galleria di Parma, nella quale rende conto al
Ministero del riordinamento di essa, effettuato da lui negli ultimi
anni sulla base storico-cronologica. Precede un breve sunto della
storia di detta raccolta, che per l'abbondanza dei dipinti e per lo
splendore d'alcuni di essi, occupa in Italia uno dei posti precipui.
E in conferma di ciò, basti accennare ai tesori ch'essa possiede in
sei pitture fra le più famose del Correggio, di cui la più eccellente,
la cosiddetta Madonna della Scodella, per cura del Bicci fa ora ri-
messa nella cornice che le impose lo stesso maestro, quando l'innalzò
nella chiesa del Santo Sepolcro.
Furono pure riordinati nel 1B03 ed esposte nelle sale dell'Al-
bergo Arti, apprestate dal Municipio, la Galleria e il Medagliere
Estensi in Modena, ai quali è consacrato l'articolo seguente del
primo volume àeW Annuario. Vi ebbe la parte principale Adolfo
Venturi, che già conosceva intimamente i tesori riunitivi, avendo
anche pubblicato sulla loro storia un ottimo lavoro {La Galleria
estense, Modena 1880) L' ordine accettato fu anche qui il cronologico
nelle singole scuole, fra cui emerge - essendovi rappresentata ric-
camente - la ferrarese, artistica madre della regione emiliana, e le
scuole derivate da essa, o ad essa afiini, come sarebbero quella di
LE GALLERIE KAZIOKAU ITAUANE 137
Modena, di Parma e di Bologna. Ma oggi la Galleria si presenta al
pubblico anche con nuove opere d'arte, che uno dei più illustri figli
di Modena, il marchese Giuseppe Campori, lasciò con testamento ad
uso pubblico. Fra esse vanno specialmente annoverate ima graziosa
Madonna col bambino del Correggio e il Redentore che porta la
croce, opera di Andrea Solario (ambedue riprodotte nell'Annuario),
ima Madonna col bambino del Montagna e un disegno di mano
di Giulio Romano, oltre a molti altri quadri di maestri secentisti.
Coli' aggregazione alla Galleria del Museo e del Medagliere estensi,
conservati finora presso la Biblioteca, quella si è arricchita di una
notevole collezione di bronzi del Rinascimento, fra i quali primeg-
gia un magnifico vaso di Andrea Riccio; di una raccolta considere-
vole di placchette e di medaglie, tra cui parecchie inedite, che ora
si riproducono per la prima volta ; di alcuni avori, fra cui (oltre pa-
recchie anconettine gotiche) c'è anche un bel dittico della fine del
sec. XII, che pure viene riprodotto, e che sin qui era sconosciuto
agli eruditi.
Toccandosi poi, in un articolo seguente del riordinamento delle
collezioni nel Palazzo ducale di Venezia, per ora non si fa cenno
se non del medagliere contenutovi, dando conto di alcime medaglie
inedite di Niccolò di Forzore Spinelli e dello Sperandio, e si accenna
Alla sfuggita alla collezione dei bronzi del Cinquecento, fra cui due
- il frammento di un bassorilievo di Andrea Riccio, e un busto,
che ricorda il ritratto di Leonardo Loredano, di autore sconosciuto -
Arengono pure riprodotti in magnifiche eliotipie per dimostrare la
importanza della raccolta, quasi sconosciuta al pubblico.
Dell'aumento che negli ultimi anni ricevettero le rr. Gallerie e
il Museo nazionale di Firenze scrive il benemerito direttore di quelle,
cav. Enrico Ridolfi, enumerando per primo vari dipinti donati dal
sig. dott. Arturo de Noè- Walker di Londra, fra cid la celebre Leda
del Tintoretto, che già appartenne alla famosa Galleria del duca
d'Orléans; e descrivendo poi alcune tavole tratte fuori dai magaz-
zini, tra le quali una figura intiera di una Venere nuda di grandezza
pressoché naturale, dipinta a tempera su tela, di Lorenzo di Credi,
l'unica opera di soggetto profano che si conosca di questo maestro,
e che il Ridolfi crede essere stata eseguita a gara col Botticelli, di
cui il Museo di Berlino possiede un'analogo studio fatto, come quello
del Credi, su modello vivente ; un delizioso profilo di giovinetto del
BoltrafiUo; un ritratto di Sisto IV, attribuito al Tiziano; e parec-
chie altre pitture di minor conto.
Delle gallerie fideicommissarie romane si occupa la seguente me-
moria del 1.® volume dell'Annuario, riproducendo la relaziono riaHSun
138 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tiva sullo stato di quelle raccolte, premessa ai cataloghi di esse che
dietro T incarico avuto dal Ministero furono compilati dal cav. Giulio
Cantala MKSS A. Non è possibile di entrare in particolari sul lavoro
diiBcilissimo compiuto con zelo e competenza dal testé nominato eru-
dito; basti dire che, grazie alle sue indefesse cure, d'ora innanzi
poco resta al buio, quanto all' identificazione delle pitture.
L'ultimo degli articoli della prima parte del primo volume del-
l'Annuario reca la relazione sul Museo civico di Pisa novamente
istituito per voto unanime della rappresentanza cittadina, ed ordi-
nato per cura del <;av. I. B. Supino, allora r. ispettore dei monu-
menti pisani, nei locali dell'ex convento dì S. Francesco, opera
degna di ogni lode e che merita di essere preposta ad esempio. Le
ampie corsie e camerate al piano superiore del convento furono ri-
dotte in tante sale, ove l'osservatore vede svolgersi la storia del-
l'arte pisana in una non interrotta serie di importanti e pregevoli
opere, degne di conservazione non solo, ma di ammirazione e di
studio. L'Autore nel suo riassunto ne addita le più cospicue, accen-
nando alla loro origino, descrivendo il loro soggetto e rilevandone
i pregi artistici. Alla fine della sua succosa relazione egli fa pure
cenno del medagliere, raccolto dal suo padre cav. Moisè Supino,
che la vedova coli' assenso del figlio volle donato alla città di Fisa,
e che fra breve sarà pure esposto nei locali del Museo.
La seconda parte, consacrata alla pubblicazione di documenti
storico-artistici, reca la stampa per esteso, di un Libro dei conti di
Lorenzo Lotto, scoperto dal compianto dott. Guido Levi nell'archivio
della basilica di Loreto, dove era pervenuto dopo la morte del pittore,
il quale in sul cader dell' età si era fatto oblato della Santa Casa.
Nel suo taccuino, che abbraccia gli anni 1638-1556, l'artista con gran
precisione notò ogni commissione avuta per 1' esecuzione di pitture,
i compensi ricevuti, i nomi dei suoi creditori e debitori, l'aumento
dei crediti e debiti, gli avvenimenti della sua vita, le sue entrate e
spese; ricorda inoltre parecchi garzoni, ch'egli educò all'arte, special-
mente nell'ultimo periodo della sua vita, quando nel 1549 era giunto
in Ancona, per rimanere poi sino alla sua morte (1656) nelle Marche;
fa menzione di parecchi artisti che con lui ebbero rapporti di ami-
cizia e di interessi, come furono Jacopo Sansovino, Giovanni dal
Coro architetto anconitano, Faris Bordone, Girolamo da Santa Croce,
Andrea Schiavone, il Bissolo e via dicendo. Invece non sono abbon-
danti le notizie tecniche sui mezzi dell'artista, sui suoi procedi-
menti, sul corredo del suo studio, dove teneva tra altri gessi un
puttino di rilievo di Desiderio da Settignano, il bassorilievo della
Gloria del Cristo del Sansovino, parecchie incisioni, alcuni cammei.
LE OALLEBIB KAZIONAU ITALIANE 139
Si ha poi qualche notizia dell'uso di persone a modello, per cavar
dal vero le forme de' suoi santi : cosi egli per ima delle sue tavole
ritrasse più volte poveri, e sembra che invece di ricorrere a mo-
delli del genere femminile, traesse piuttosto prò di un torsetto di
donna ignuda in gesso. Dei colori e degli olii usati si ha qualche
scarsa notizia; delle fonti delle invenzioni dell'artista poco si deduce
dal registro. Fra i suoi libri vi era « Marco Aurelio imperatore de
e la vita sua ^, un Donato, un salterio, la vita dei Santi Padri, e
« el Gerson del dispretio del mimdo ». I santi dipinti dall'artista,
erano spesso 1' effigie dei suoi committenti, o ritratti rimastigli in-
venduti. Del resto il registro porge amplissime prove dell'attività
straordinaria del pittore e dell' abbondanza delle sue produzioni con
cui ornò cinque Provincie d'Italia: Venezia, Treviso, Bergamo, An-
cona e Macerata. Il numero delle opere sue eseguite nel periodo di
tempo dal 1538 al 1556 ascende a più di centocinquanta, fra cui una
quantità grande di pale d' altare di dimensioni eccezionali, quali si
ammirano ancora nelle chiese e nei musei di Ancona, Loreto e Jesi.
*
Il secondo volume dell'Annuario (1896) si apre colla relazione
della direzione delle rr. Gallerie e del Museo nazionale di Firenze
sull' andamento di questi istituti negli ultimi due anni, rselazione che
parla dei lavori di costruzione eseguiti nei loro locali, del riordina-
mento parziale di alcune delle sculture antiche, reso necessario in
conseguenza di quei lavori, dell' apertura di una nuova sala dove ven-
nero riuniti ed esposti i cartoni dei grandi maestri, 250 disegni di
architettura e d'ornamento, 54 bozzetti a olio in chiaroscuro; del
trasferimento nella Galleria di parecchi ritratti di celebri maestri,
e finalmente, dell'incorporazione di tre quadri di scuola fiorentina
tratti dai magazzini, fra i quali il più singolare è la grande tavola
dell'Adorazione dei Magi del Botticelli, pur troppo guasta e stonata
dagli abominevoli colori con che un imbrattatore del Seicento ebbe
la barbarie di ricoprire una parte di essa.
In una memoria sulle rr. Gallerie di Venezia il cav. Giulio
Cantalambssa parla prima degli incrementi di quella raccolta nel-
l'ultimo anno (un quadro di Marco Basalti proveniente da S. Pietro
in Castello e rappresentante S. Giorgio, e un' altro di Carlo Crivelli
coi SS. Girolamo ed Ambrogio, parte di un trittico che il pittore di-
pinse per la Chiesa dei Domenicani di Camerino e di cui le due altre
parti si trovano alla Braidenso e nella Galleria di Venezia); ed
140 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
espone poi in modo sommario quali propositi abbiano guidato coloro
che ricomposero recentissimamente in ragionevole ordinamento le
rr. Gallerie di Venezia, reso indispensabile dalla disposizione di prima,
che era discorde da quei principi, che pur paiono elementari, d'av-
vicinare sempre le opere che per fraternità di scuola, per ricambio
d'influenze, per analogia d'ideali, per contemporaneità si chiamano
amichevolmente tra loro. Ad. Venturi fa alcune osservazioni su pa-
recchi dei disegni della detta Galleria, rimettendo però 1* esame ana-
litico della raccolta al tempo quando i disegni che la compongono
saranno restaurati convenientemente e potranno essere studiati nel
diritto e nel verso, nella tessitura della lor carta, nella filigrana e
marca della cartiera. Lo stesso autore ci intrattiene poi delia rac-
colta modioevale e del rinascimento nel Museo del Palazzo Ducale
in Venezia, accennando a parecchie medaglie finora inedite, e acquai-
che placchetta pure sconosciuta, e parlando poi dei bassorilievi in
bronzo che dall'Accademia passarono nel Museo del Palazzo Ducale
allo scopo di riunire quivi tutte le opere di simil genere provenienti
dall' epoca del Rinascimento. Dà pure pochi cenni sulle statuette di
bronzo, riserbandosi di recarne più particolareggiati ragguagli quando
saranno raccolte tutte insieme ed ordinate nel gabinetto della scul-
tura medioevale e del Rinascimento. Luciano Mariani infine tratta
della raccolta archeologica del Palazzo Ducale, che era già prima cono-
sciuta, ma che ora fu riordinata in modo più decoroso e coli' intento
di mettere, più che non fu fatto prima, in evidenza quelle delle sue
sculture che ne sono più meritevoli sia dal punto di vista del loro
pregio artistico, sia da quello dell'interesse archeologico che destano.
La memoria che segue è consacrata alla Galleria nazionale in
Roma, il cui nucleo, come si sa venne formato dai quadri riuniti dai
principi Corsini nel suntuoso loro Palazzo alla Lungara, e ceduto con
quest'ultimo nel 1883 al Governo. Negli ultimi anni poi fu riunito
alla Galleria il lascito di Don Giovanni Torlonia e i quadri della
raccolta del Monte di Pietà, entrati nel 1893 in possesso della r. Ac-
cademia dei Lincei, e per concessione di essa ora esposti nelle sale
della Galleria nazionale. Dei quadri di primo ordine di queste tre
parti, che costituiscono la detta Galleria rende conto il Venturi, pro-
mettendo di estendere le sue comunicazioni, nei seguenti volumi,
anche alle opere di secondo ordine. Fa un corredo molto pregevole
all'articolo un catalogo della Galleria Torlonia, composto nei primi
decenni di questo secolo da G. A. Guattani, e qui dato in stampa
per la prima volta, il quale bencliè si discosti nelle sue attribuzioni
sovente dalla verità, può servire alla rivendicazione dei quadri ai
loro veri autori per le indicazioni che si recano intorno alla loro
LE GALLERIE NAZIONALI ITALIANE 141
)royenienza, e perchè le attribuzioni antiche, anche se scorrette,
lànno una traccia per le ricerche, migliore di quella fornita dalle
)iù recenti attribuzioni. Nella seconda parte della presente memoria
1 dott. Paolo Kristeller dà un sunto alquanto rapido del conte-
luto della collezione di stampe già appartenuta alla biblioteca del
principe Corsini ed ora, per la maggiore sua parte, data in conse-
gna alla Galleria Nazionale, sicché il gabinetto delle stampe, formato
vi, con le sue 70,000 incisioni, può dirsi la più ricca e più preziosa
ielle simili raccolte esistenti in Italia. Parla poi del sistema che lo
^idò nella scelta degli esempi esposti in una delle sale del palazzo
3 del modo materiale in cui furono ordinati, e accenna con pò-
ziiQ parole alla maniera che si segui nel comporre il catalogo e
l'inventario di questa straricca raccolta. NelP ultima parte tinal-
niente Ugo Fleres dà l'elenco spiegativo dei disegni di maestri
esposti in apposita sala della Galleria, contentandosi di un fuggevole
cenno per quegli altri non esposti e che tuttora trovausi in via di
riordinamento. Comunica pure in nota gli appunti tanto autorevoli
del compianto Giovanni Morelli sui disegni (^GÌÌa, raccolta in que-
stione, conservati nella biblioteca Corsiniaaa. È accompagnata questa
memoria da ben riuscite riproduzioni dei più preziosi fra quadri, di-
segni e stampe della raccolta
In un seguente articolo il dott. Paolo Kristeller dà un reso-
conto del riordinamento, da lui eseguito, della collezione di stampe
della r. Pinacoteca di Bologna. Raccolta in Bologna e donata al papa
Benedetto XIV, fu da questo alHdata alla Biblioteca universitaria.
Considerevolissima un tempo, vari avvenimenti concorsero a sce-
marla. Dopo V ultimo furto del 1881 la collezione venne trasportata
alla r. Pinacoteca. Il nostro autore accenna alla sfuggita agli esem-
plari più preziosi della raccolta, fra cui spiccano numerose e rarissime
incisioni tedesche dei secoli XV e XVI, mentre sono meno ricche lo
stampe italiane del Quattrocento (pure non mancano anche fra que-
ste le opere di alto valore). Un'importanza particolare è da attri-
buirsi alla collezione quasi completa delle opere degli intagliatori
ed aquafortisti bolognesi della seconda metà del Cinquecento e dei
seguenti secoli, la quale forma un complemento opportuno alla gal-
leria dei quadri dei medesimi artisti, posseduti dalla Pinacoteca. -
A. Venturi pubblica in fotoincisione alcime placchette, finora non
indicate nei cataloghi che si occuparono di questa sorte d'opere
d'arte, del medagliere Estense in Modena, discutendone i soggetti
e la questione dei loro autori presumibili ;. mentre I. Benv. Supino
da succinte notizie sulla pregevolissima collezione di sigilli, donata
al Museo civico di Pisa dalla vedova del raccoglitore di essa, cav.
142
RiSSSGHA BtBLIOOBlriCA
Moiró Supino, e che, oltre viaa eerie di Birilli del Comune, delle Arti,
degli arcivesoori e dei moDaateri dì Pisa, abbraccia un ricco meda-
gliere della leecca pisana, senese, fiorentina e di altre città toscane,
quest'ultimo composto dall'arcivescovo Franceschi (di cui serba
la denominazione), ed ora, dopo esser stato circa trent' anni na-
scosto agli studiosi, reso di pubblico uso col resto delle opere d'arte
riunite nel novamente riordinato Museo civico. InKoe il dott Kiii-
STBLLER ragiona brevemente di una silogruiia italiana del Quattro-
cento scoperta di recente nel palazzo municipale di Prato, e rap-
presentante la Crocifissione del Nostro Signore, uno dei più antichi
esempi di questa sorta d'incisioni, colorite a diverse ttnt«, qui bruna,
11 rossa, altrove verde. Dimostra essa, quanto sia antica la ricerca
degli effetti coloristici ottenuti con mezzi meccanici, e trova un'ana-
logia stilistica in una serie di silografie, illustranti le < Meditazioni
di San Bonaventura • (Venezia 14y7) le quali non può dubitarsi
che sìeno della stessa mano. Fer il valore artistico la nostra silo-
grafia può dirsi una delle più pregevoli e belle che ai conservino
del Quattrocento, e !a sua importanza cresce, quando si osservn
(come per primo La tatto A. Venturi) che molti dei tjpi e alcuni mo-
vimenti caratteristici siano simili a quelli che si vedono nelle pit-
ture di Filippo Lippi a Prato. Il nostro autore perciò non esita ad
attribuirle orìgine toscana, e metterla alla metà del sec. XV, al
qual periodo vogliono tarla assegnare lo stile e il carattere della
composizione e del disegno.
La seconda parte del secondo volume dell' Annuario, destinata
alla pubblicazione di documenti d'indole storico-artistica, recali ca-
talogo delle opere d'arte nelle Marche e nell'Umbria, che nel 18fil,
per commissione del Ministro d'istruzione pubblica, fu composto da
Giov. Morelli e O. B. Cavalcasene. Il compito designato ai due illu-
stri uomini era di compilare una nota particolareggiata di tutti gli
oggetti d' arte esistenti nelle chiese e presso gli enti religiosi sop-
pressi di quelle proviacie, coli' intento d'impedirne lo sperpero o
l'alien azione. Dopo tanti anni che il catalogo fu composto, molte tra
le cose descritte subirono vicende, alterazioni, trasponi mentì. Per
rimediare a queste mancanze ai direttori dell'Annunrio è sembrato
opportuno di apporre in nota tutte quelle indicazioni, che valgano
a dare modernità e utilitA pratica alle notizie del catalogo, sicché
con sitfatti supplementi anche oggi ])otrà servire alle indagini degli
eruditi; oltre che, come documento, ha un pregio eccezionale, essendo
il primo catalogo che sia eseguito in Italia con intelletto d'arte.
Stuttgart. C. db FAUHiczr, _
FABHiczr, ^^^J
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 143
Silvio Lippi, V Archivio Comunale di Cagliari, - Cagliari, tip. Muscas
di P. Valdès, 1897.
Il fervido risveglio, ohe in questo secolo s'è manifestato negli
studi storici, la certezza che, senza documenti autentici, non si rie-
scirebhe ad altro che a fare una storia tutta fantastica, una storia
poetica, porta gli studiosi a spiare ogni più segreto ripostiglio, dove
possa essere stato relegato e nascosto qualche documento, e a met-
terlo in luco, dopo averne assicurata, con accuratezza, la veridicità.
Benefico risveglio, che ha mostrato la necessità del metodo posi-
tivo negli studi storici e confermato la sua efficacia nel progredire
di essi.
Da ogni punto d'Italia, è un certo tempo, vengon fatte pro-
messe di ordinamenti e di pubblicazioni d' archivi, promesse che
non tardano a divenire una soddisfacente realtà. E venuta la volta
di una delle città più importanti della Sardegna, Cagliari, ricca di
un pregevole Archivio Comunale, dove i tentativi di ordinamento
e di pubblicazioni furono, pel passato, resi frustranei o sopraffatti
dalla noncuranza e, peggio ancora, dall'ignoranza degli uomini.
L'Archivio del Comune esiste sin da' tempi Aragonesi (sec. XIV).
Conservati dapprima sicuramente i volumi e le carte nella chiesa
di S. Maria e, nel sec. XVI, in quella di S. Cecilia, andaron poscia
soggette a varie trasmigrazioni ; e, cacciate infine dagli uffici come
inutile e polveroso ingombro, trovarono asilo in luoghi più umidi e
privi di aria e di luce, dove restarono sino a qualche anno fa.
Il Dr. Silvio Lippi, d'incarico del Sindaco di Cagliari, intraprende
il faticoso lavoro dell'ordinamento de' documenti, ridotti in uno stato
veramente deplorevole, e riesce, nello spazio di due anni, a pubbli-
carne la relazione storica e l' inventario della parte antica. Diciamo
sin d'adesso che l'opera del Lippi ci sembra ben condotta: punto
scostandosi dalle leggi della paleografia e della scienza archivistica,
®gli ha riprodotto nel suo bel volume quell'ordine, che dette alle carte
^^1 suo Archivio : € conservare, ordinare, indicare in modo facile e
* accessibile a tutti > le autiche memorie, ecco il suo scopo. Né tra-
scura le carte che, a prima vista, potevan sembrare inutili, perchè
^^gore dal tempo o perchè di carattere puramente privato ; ma, ri-
^r^ando che nelle carte di Archivio nulla v' ha di superfluo, e che
^aaà spesso i fatti piccoli e individuali servono a meglio intendere
^ più esattamente dichiarare le generalità delle cose, dette opera
^ Ordinarle e classificarle.
144 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Nella prima parte del suo lavoro (pp. 9-27) il Lippi dà una suc-
cinta relazione dell'Archivio Comunale, ed enumerando i tentativi
di riordinamento e di classificazione, che non furon pochi e di cui
il primo risale al 1522, tributa il giusto merito a chi si pose a quel-
r opera in tempi, ne' quali l'indifferenza per questi studi rendeva
molto complicata e difficile l'impresa. L'ordinamento fatto dal Dr.
Giuseppe Corte sullo scorcio del secolo passato ci assicura che, in
quell'epoca, l'Archivio trova vasi in buone condizioni, ma l'aumento
delle carte e, in generale, il movimento de' volumi e il trasporto
de' documenti dal posto primitivo, senza alcuna direzione, ingenera-
rono daccapo il disordine.
Esposto brevemente il metodo tenuto nell' ordinamento dell'Ai
ohivio, il Lippi passa alla seconda parte del suo lavoro: U Inventa-
rio delle pergamene, de* volumi e de* fasci di carte sdoUe, costìttienH
la sezione antica deW Archivio, con Vindice alfabetico degnami ddU
persene, de* luoghi e delle cose contenute (pp. 29-272). Degli 829 volumi
egli indica soltanto il numero del volume, il titolo e la data: delle
pergamene però, che sono 553, di cui una del 1070 (originale) (1),
le altre dal XIII in poi (e di queste le più antiche in copia del se-
colo successivo), ha voluto dare anche cognizione del contenuto,
dettandone il transunto in modo piuttosto esteso. Chiudono il vo-
lume 4 tav. di facs. delle sottoscrizioni de' Sovrani, da Pietro IV
d'Aragona a Vittorio Emanuele II, e 5 tav. di facs. de' suggelli da
Giacomo II d'Aragona a Carlo Emanuele III di Sardegna.
L'opera di ordinamento, che fa onore a chi l'ha promossa e a
chi l' ha condotta a buon termine, si abbia l'approvazione di quanti
vivono tra le polverose carte degli archivi, che, soli, potranno giu-
dicare de' sacrifizi cui si va incontro in lavori di tal fatta. Noi, dal
canto nostro, ci auguriamo che il Lippi, presa nuova lena, si dedi-
chi all'ordinamento della sezione moderna, e, compiuto il lavoro,
trovi il giusto compenso nella gratitudine e nella stima de' suoi
conterranei e di quanti hanno a cuore il progresso degli studi sto-
rici italiani.
Bari. Francesco Nitti di Vito.
(1) Dubito che questa pergamena, in cui l'indiz. Ili non corrisponde
all'anno 1070, debba essere di un secolo posteriore.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 145
Il Trattato « De vidgari Eloqventia » per cura di Pio Rajna {So-
detti Dantesca Italiana - C)j)ere minori di Dante Alighieri. Edi-
zione critica). - Firenze, Succ. Le Monnier, 1890.
Fra le varie specie di studi a cui danno luogo le indagini let-
terarie, quella per la quale occorre maggiore pazienza ed oculatezza,
maggior forza di volontà e acume d'ingegno, maggior resistenza di
iibra e attitudine e abitudine al ragionamento, è, senza dubbio, la
ricostituzione d'un testo antico. Lavoro apparentemente modesto,
perchè non parla alla fantasia né agita il sentimento, e perchè, in
cambio di suscitare negli occhi intenti del ricercatore visioni di bel-
lezza, affatica cotesti poveri occhi col cumulo delle difficoltà paleo-
grafiche da superare ; è, realmente, fra tutti i lavori, lavoro nobilis-
simo, come quello che si propone di stabilire qual fosse la vera
forma nella quale un antico autore gettò l'idea e di rinnovare cosi
tra forma ed idea quell'intimo e sacro legame che costituisce l'es-
senza di ogni creazione artistica e che pur si era venuto allen-
tando e logorando attraverso i secoli. Qualunque sia l'importanza
dell'opera, sempre noi saremo invasi dal desiderio di conoscerla
nella sua vera e propria forma, cosi com'ella usci dalla mente del
suo autore, non come fu trasformata dai posteriori copisti ed edi-
tori sia per incuria sia per ignoranza sia per un complesso non ben
definibile di circostanze speciali. Suonarono veramente nel modo che
le vecchie edizioni ci attestano quei canti religiosi che lacopone da
Todi traeva dal suo spirito infiammato fra i gemiti e i fremiti e le
lagrime della sua esaltazione mistica ? Cosi veramente suonarono le
laudi sacre nei recinti oscuri delle confraternite dei Disciplinati ani-
mando i fratelli alle sanguinose flagellazioni? Queste sono vera-
mente le rozze parole con le quali i cantimbanchi fiorentini intrat-
tenevano il popolo ed i Signori di Artù e di Carlomagno, di favole
mitologiche e di racconti biblici, di storia e di politica ? Sempre, ri-
peto, noi saremo invasi dal desiderio di risalire alla forma primitiva.
Ma quando poi si tratti dell' opera di un genio, quando ci troviamo
di fronte, non ad un ignoto giullare o ad un verseggiatore oscuro,
ma ad uno scrittore che fu grande, quando sopra tutto si abbia a
che fare con una qualunque delle opere che Dante immortale meditò
e scrisse, il desiderio allora diviene un bisogno tormentoso dell'anima
e dell'intelletto. Che gioia sarebbe per tutti noi se, un giorno, si
scoprissero gli autografi del divino Poeta! Quel giorno, senza dubbio,
segnerebbe una data fausta nella storia dell'umanità; e tutti noi
ÀacH. Stor. It., 5.« Serie. — XX. 10
t^.ii
)a nftetto quasi nuovo e con quoGÌ nuova reverenxs,
le opere dell' Atighieri, lieti dì posseder la certezza che di quella
forma, e non d'altra, volle egli rivestire i propri pensieri e che non
nna parola tu arbitrariamente introdotta da persone estranee. Frat-
tanto, invece di adagiarsi in una speranza che è destinata forse n
non divenir mai realtà, devono gli studiosi rivolgere i loro eforzi
alla probabile ricostituzione critica dello opere dantesche : che se,
in molte parti, resteranno ancora dei dubbi, se ancora molte que-
stioni attenderanno la loro risoluzione, se molti luoghi del poema e
delle rime e delle prose resteranno ancora da sanarsi, non per questo
avranno fatto opera non degna e non utile, essendosi approssimati
quanto più è possibile alla forma originale. A questa opera de^n
si h accinta da vari anni la Società Dmitetica lUiliana ; il primo a
cui venne, in parte, affidata l' esecuziono dei grande disegno e che
già compiè mirabilmente l' ufficio suo è Fio Bajna.
La base del lavoro gli era, naturalmoute, offerta dai tre rnano-
Bcritti, gli unici che fino ad ora ai conoscano, del trattato De vul-
gari Eloqiienb'a. Per ciò, in una prima parte dell' Introduzione, egli
studia con la massima curo, facendone la descrizione e la storìu e
soffermandosi n risolvere tutte le particolari questioni a cui cia-
scuno dà luogo, il codice di Grenoble 5B0, quello Trivulziano lOWS
(Soaff 84, Palch. 5} e quello Vaticano Regina 1370. Il primo di questi
tre codici dovè essere scritto da un italiano de! Nord alla fine del
sec. XIV o al principio del XV ; e sopra di esso, che prosenta cor-
rezioni e supplementi di mano incerta (forse, però, in massima parte,
dell'amanuense madesirao), Iacopo Corbineili, per cura del quale usci
olla luce, nel 1577, l' edizione principe del trattato dantesco, venne
via via segnando di suo pugno numeroso glosse illustrativo o cri'
tiohe. — n codice Trivulziano, già posseduto, com' 6 probabile, <ln
qualche monastero del territorio veneto donde lo trasse • il tur-
bine della rivoluzione francese », acquistato più tardi a Venezia dal
marchese Gian Giacomo Trivulzio, y d'età forse un poco più antica
del ms. di Grenoble, essendo per esso assai diftioile scendere tino
ai primi anni del sec. XV, e, come l'altro, fu sen^a dubbio scritto
in una dello città della valle padana: da alcune indicazioni si rileva
essere esso codice, durante il Quattrocento, passato per diverse
moni; finché, nel secolo successivo, pervenne in quelle di Giovan
Giorgio Trissino che ne fu possessore e. prima del 1624, notò sui
margini parecchie correzioni al testo. — Il cod. Vaticano non è che
una copia fatta da un ignoto amanuense, probabilmente in Koma e
non prima del 1513, per conto di messer Pietro Bembo il quale vi
appose talune correzioni interUneari e non [loclie glosse :
I
]
I
HA'tNA, IL TRATTATO * DK TCLOARI ELOQOBNTIA »
Ultre a quello offertoci dai manoscritti, glossiamo noi attendere
aiuti da altre parti? Sembrerebbe che qualcuno dovessero darcene
lo versioni, le allegazioni e le edizioni del De rulgari Eloquentia
che il fiHÌna prende ad esaminare nella seconda parte dell' Intro-
duiione; ma, pur troppo, da easc non viene alcun raggio di luce
(o, in ogni caso, di una luce ben fioca) a cLi voglia rìco.strutre ii
lesto dantesco. Tuttavia esigono anch'esse uno studio accurato, non
foas' altro che per giungere a stabilire quella che, sia pur dolorosa
quanto si voglia, h indubitabilmente la veritA. K prima d'ogni alt»
^ ai fu innanzi la versione del Trissiao stampata a Vicenza nel 1G29
da Tolomeo laniculo: di lui è cerlaniente, quantunque vi eia stato
chi sollevò dei dubbi a questo riguardo e non sia mancato neppure
chi ebbe la singolariasima idea di reputarla opera dello stesso Dante.
Tale singolarissima idea, oltre allo Zeno, al Muratori, al Bottari, al
Pontacini, che il Ku.)na cita, avrebbe avuto ne! Cinquecento, se-
condo lo stesso Itajna, anche il Corbinelli, il quale < in data fi feb-
< braio 1675, in una lettera che oi lermerà maggiormente pifi oltre,
« diceva del testo latino, " io quanto a me l'ho sempre tenuto di
« Dante insieme col vulgarc, che i più reputati l'oglion tener per
• fermo che sia del Triaaino ,, (Ambroa. T. 161. »iip. f. 30"). Che
< non istesse molto a mutar parere si vedrà poi > (p. li, n. 1). 1! me-
desimo passo di questa medesima lettera, indirizzata al Pinelli, Ìl
RiÙ"'^ riporta, più completo, per altro scopo, a pp. lxxiv-lxxv \
e a me giova riprodurlo in parte: « ....pregando V. S. a farvi dire
I da Firenze quelli errori che mi sono trascorsi, che s' hanno a ri-
1 formare secando il te.^^to; et insieraemente quello che l'accademia
I stima di quel libro mi mandasti latino della Vulgare eloquentia
[ di Dante, che io quanto a me l'ho sempre tenuto di Dante in-
r sieme col vulgato, che i più reputati voglion tener per termo che
I sia del Trissino ». A questo proposito, mi permetto di avanzare
con ogni riserbo una mia congettura. Non potrebbe essere, mi
Tenne fatto di pensare leggendo U brano della ietterà corbinel liana
riportato qui addietro, che, col semplice spostamento di una vir-
gola, mettendone cioè una dopo il secondo Dante invece che dopo
ise un senso tutto diverso da quello che balza fuori
ione attuale ? In altre parole, dato pure che la vir-
° e ìl che immediatamente successivo non sia dovuta
trovi proprio nell'autografo del Corbinelli, di coi
il riscontro, stani essa a signiticarci la chiusura d'un
. rifletterà piuttosto semplicemente l' abitudine
vutgare, si are
dalla interpun;
gola &a tiilffai
al Bajna ma a
non posso fare
inciso o 1
centìata di porre i
flettendoci sopra, i
i virgola
i parve ohi
i al pronome relativo? E, ri-
togliendola dal posto ohe ora oc-
IW ItAflSBOKA lUBUtWBAFKA I
cupa accodandola a Dante, non uno floltauto, benal due si^ficati
diversi noi potremmo avere. Il primo rCBultereblie Uall' unire tul-
t'intera la frase insieme col viUgare alla proposÌKÌonfl quello che
l'accademia stima: * Fatami sapere quello che l'accademia stima
« di quel libro..,, di Dante, che io ijuaoto a me l'Iio senipre tenuto
a di Dante, insieme col vulgarc ecc. (= ed, inoltre, ijuello cJie l'acca-
< demia stima del vulgare) >. Il secondo, elio mi eoddisfa ilssaì più
e die, per essere meno sottile e meno strano, ò di gran lunga il
più probabile, si avrebbe riferendo lo stes.so innienu: ecc. al verbo
Tnandaati: * Fatemi sapere quello che l'acoudemia stima di quel
« libro mi mandasti latino.,., iusìeme col volgare ohe ecc. >. Il Pi-
nelli, insomma, avrebbe mandato all'amico e il codice appartenente
ora alla Biblioteca di Grenoble e un esouiplarc della versione tris*
sinìona. Con ciò libereremmo il dotto e dilìgente editore del De vulg.
etoq. dalla taccia (li essere incorso (sia pure per breve tempo) nel-
l'orrore di credere che anche essa versione fosse opera deirAlighiori,
Lo versione del Trissino l'u condotta sul codice Trivulzìaoo cbc,
come g\h ai è veduto, al TrisHiao appunto appartenne: non ottiimi. '
certo, ausi provvista di un buon nuruero di grossolani errori al
inesttttez/e, non merita tuttavia interamente l' acerbo giudizio dm
gii ne diede Ugo Foscolo e ohe ripotè, ai nostri giorni, il D'<)vidio. —
Importanza non piccola avrebbe una allegazione del l)e rulg. £Joc|,
nel Cesano del Tolomei, la cui composizione ilovrA mallo probabil-
mente assegnarsi al periodo 1520-1632, di poco, dunque, poateriox>«
alla versione del Trissino, Avrebbe importanza soprn tutto perc>t6
dalla lezione delle frasi dantesahe che il Tolomei cita potremmo «,.
sere indotti ad ammettere l'esiatenKa di un quarto ms, a Ini noto
ed oggi, disgraziutumente, perduto. Ma n cosiflatts ipotesi il lit^ xm
riserbo, come dice egli medesimo, niente più cbe ■ un cantuccia • ;
mentre, con un rogionameato vigoroso e calzante, cerca di diim^c»-
strare cbe la legione del Cesano proviene por dritta lìnea dal ^c^o
dice di Grenoble e che, per ciò, < la prerogativa del Tolomei ^
< riduce secondo ogni ve resinagli un ^ta ad essere il primo studi^M^-^
« a cui apparisca noto il codice del De iiilgari Kloqiirntiii ohe p-^*»
« verr/i nelle mani del Corbiuelli » (.p. lxvui). — Con Iacopo C ■"''
binelli appunto si la un bel passo innanzi nella critica del te tg::^* "'
dantesco; che egli, giA ebbi occasione di accennarlo, caro la prl^K^"^
edizione dell'originale latino, venuto in luca o Parigi nel 137^
forse, incominciato a stamparsi fino dall' anno precedente, £ssa '
condotta sul ms, che appartiene ora alla Biblioteca Civica di iSt ^
noble e che era allora posseduto dal Corbinelli in persona, macvi^V
togli in dono dall'abate Piero Del Bene per mezzo, come par ^^^^H
lUJNA, IL THATTATO « DE VUI.GABI ELOQCKNTIA »
149
^^P^btle, dell' erudito Piuelli. Le glosse di mano corbiaelliana ohe si
^*trovaD sul codice ci rappresentano, per cosi dire, il lavoro prepara-
torio a cui messer Iacopo si sobbarcò prima di dar fuori l'edizione;
o questa in parte si accorda con esse, in parte se n' allontana, mo-
^_ strando per tal guisa quali dubbi sì afi'acciassero via via alla mente
^■Éi lui. Né egli trascurò di tener conto della versione del TrisBino ;
^Bknzt, molte delle correzioni da lui introdotte nel testo hanno la loro
^^t»gioii d'essere appunto da cotesta versione; ma ancbe qui mostrò
giudizio cauto ed indipendente, e, lungi dall' esegui re una traduzione
della traduzione trissiniana come qualcuno troppo recisamente ebbe
fc scrivere, se ne valse solo t corno di un sussidio, e per meglio rav-
ì passi più o meno corrotti, e per sanare le piaghe, vere
supposte » (p. Lxrxiv). — Un altro volgariz?.atore del De vidf/.
è il senese Celso Cittadini, l' autografo del quale, scomparso
i ita come da Siena, venuto nel nostro secolo in possesso del
. Francesco De Rossi e da lui lasciato in eredità, con l'intiera
Mia coUe^ione, uUa Biblioteca de! Gesù di Roma, emigrò, dopo il 1870,
presso i Gesuiti di Vienna che lo conservano tuttora a Lainz vicino
« SchOnbrunn. La versione, quantunque assai deficiente pur essa,
. in generale, migliore di quella del Trissino ; ma, quanto
non dice assolutamente nulla perchè prove non dubbie di<
Mirano che il Cittadini, non solo non conobbe un ma. diverso dai
tie sono finora noti a noi (nel qual coso l' opera sua avrebbe
a grandissimo), ma neppure tenne sott' occhio il codice di Gro-
hoble da cui emanava l'edizione corbinelliana di Parigi. Invece,
u questa edizione egli esegui il suo volgarizzamento * te-
unendo a riscontro la versione del Trissino » e limitandosi per la
i a proporre ed accogliere qualche correzione congetturale.
- Vengono dualmente le edizioni posteriori sulle quali non è neces-
sario per noi fermare la nostra attenzione.
Questi i materiali che il Rajna si trovava ad avere davanti a
sé. Dopo averli cosi raccolti, occorreva compiere un altro lavoro
tUEÌoso e paziente, quello di scegliere, fra tutti, i migliori e i
atti oJla costruzione dell'edificio. E cosiffatto lavoro il Raina
pie nella terza parte dell'Introduzione alla quale dà principio
Colle seguenti parole: i Dalle versioni e dalle edizioni, riflessi più
■« o meno pallidi di originali a cui ci t dato di ricorrere direttamente,
« sappiamo ora che potrA cavar partito la critica congetturale, non
* già la diplomatica. Questa non ha da fare i conti che coi tre ma-
« noseritti ; e non è detto che all'ultimo li abbia da fare con tutti
« * tre, cssondoci il caso ancbe per essi che ciò che par voce sia
I. Studiamone dunque bene i rap(>orti » fp. cix). Seguirlo paano
150
RASSEGNA BIBUOGRAEICA
passo nella sua iadagme non è qui possibile : come, infatti, i
mere in brevi parole eiò che ha bisogno (li ragionamenti sottili &
valorati da continue esani pliflc azioni? Basterà dunque accennare
ai resultati, che sono : 1.", il cod. Vaticano proviene direttamente
dal Trivulziano «i sicché non è da tenerne conto altro che qnalcho
( volta in omaggio alla storia e per qod negare anche agli umili
« quel poco che può loro spettare » (p. cxxui); i", fra il cod. Trì-
vulziano e quello di Grenoble non c'è rapporto di filiazione dell'uno
dall'altro, ma sibbene di collaternlitù, avendo entrambi un ascen-
dente comune; 3.°, a questo comune ascendente, che il Bajna indico
eoo X, e che, certo, non è una copia diretta dell' antografo ma ci
rappresenta anzi un testo giti per gran parte deformato, tutt'e due
i codici suddetti si rinnnodano mediante anelli intermedi che non
possiamo determinar quali fossero ma cbe r/igionevolmente siamo
indotti ad ammettere, V, da questi resultati parziali sì giunge alln
conclnsione che « il confronto di G e T (// fod. di GmuAAv ed il
• Trivulziano) ci dd modo in generale di ricostruire j' • (p. cxu):
ina, siccome « arrivati ad a-, non ahbiarno ancora, come e' è detto.
« che un testo molto viziato », ne viene di conseguenza che < per
< spingerci più su, salvo qualche caso rarissimo, dobhia
* alla critica congetturale » (p. cxLii). Intorno alla quale i
congetturale, il Rajna scrive nobili e sagge parole che dovrebbero-
aver per effetto di distruggere radicalmont-e certi volgari pregiudizi^
se i pregiudizi non avessero, come il più delle volte hanno, sul cuora^
dell'uomo maggiore efficacia delle buone ragioni.
Arrivato a questo punto del suo lavoro (ed io mi lusingo che!^
anche il frettoloso riassunto fattone da me basti a dare un' idea.— -
dell'ordine e, starei per dir, della logica con la quale in concepito e^
condotto) il Rajna affronta un'altra grossa questione ; la queationo^
ortografica. E l'affronta armato di tutto punto, valendosi cioè, pei —
stabilire quale fosse l'ortografia latìnu medievale ai tempi di Dante>
e quindi indurre quale potesse essere quella di Dante medesimo, di
un numero cosi notevole di testimonianze che il capìtolo ad ess&-
dedicato assume l'aspetto di un vero e proprio studio ed acquista unik
eccezionale importanza. Il Doctrinale di Alessandro di Ville-Dieu ; il
Grecismua di Ebrardo di Béthune ; le opere grammaticali e lessicali
dei tre italiani Papia, Uguccione e Fra Giovanni da Genova ; una
grammatica anonima contenuta nel cod. Magliabechiano 1. 2: alcnni
scritti di maestro Goro d'Arezzo conservatici dal cod. Panciati-
chiano liS ; un trattato delle costruzioni di un tal maestro Filippo
i forse Filippo Naddi) del quale si hanno due esemplari alla Lauren-
ziana e due alla Riccardiana: e le pergamene dull'.ircliivio di Slato di
RAJNl, IL TBATTATO ■ DB VULOAIU BLOQDEMTIA >
IBI
Firenze scritte negli ultimi njini del aec. XIII q nei primi del XIV; e i
|)rotoeoIli notarili di quella medesima et», sopra tutto quello ricclua-
Simo di Lapo Gianni ; e il cod. Barberiniano dei Documetiii d'Ajnore
dì Francesco da Barberino; e ì documenti fiorentini dei CapUóU;
» gli Kotogrsfì di ser Brunetto del quale < nessun miglior rappre-
t sdentante si saprebbe trovare di certo per la generazione da cui
* quella dell'Alighieri fu preceduta ed educata > (p. oli) ; e lo zi-
baldone boccaccesco delia Laurendana; tutta quelita ìnuneasa con-
gerie di scritture anticbe È da lui indagata minuziosamente e sa-
]>ientemBnt6 utilizzata. Nel leggere questo capitolo l' impressione
generale cbe se ne riceve è che l'ortografìa latina medievale (e non
In latina soltanto) brancolasse in una continua incertezza, in una
oecìlluzioue continua. E di questa incertezza ed oscillazione ri-
tiuingono, com'era ben naturale, le tracco anche nell'edizione del
Aain» il quale non poteva appigliarsi al partito di assoggettare la
grafia ad una uniformità tissoluta (che, del resto, il principio del-
l'uniformità, rettamente inteso, ha pur sempre da essere mesEM)
■ come norma fondamentale *\ senza correre il rischio di dare per
danteiico <|uel[o che dantesco non e (1). Il grande merito suo sta
iinzi appunto in ciò, nell'aver proceduto colla masaìma circospezione,
uon allontanandosi dalla lezione diplomatica dei mss. quando non
l'osse autorizzata a modificarla da argomenti sicuri, d {scostandosene
senza esitare ogniqualvolta essa apparisse manilestamente erronea
diafonne dall' uso medievale e quindi, con tutta probabilità, dal
dantesco, sottoponendo insomma ogni singolo caso alla prova di una
I'tica sagace ed acuta.
Un'edizione condotta con tanto rigore aeientifioo non poteva
t riuscire di gran lunga superiore b tntte le altre edizioni an-
I (Ij Tuttavia confesso che i
i abbia davvero uni
1.* L'esperai adottata la forma
1, \, 8: I, lui, 2; II, ii, 2; U,
ligetlai'e il nmrnon dell' nr
nutnteniuienio cui il Bi^ji
•fpani, i/tpano» (I, vm, 5; II,
[I, II, S), abbiamo àtrìa (I, x,
affini laadio, loe»tui, locali, ci i
tur (I. vn, 6; I, vm, 5; I, ii,
I. xTiii, 2>, una volta sola loguunlur (I, ii,
logaunh
lollcn'ato • (p. ft.xaxiiK. Quali; n
alcuni luoghi uon ho ben capito ooma
uniformità aasolnta. Citerò tre esempi:
Sfpunta ntc non iti diversi luoghi (I, z, 7;
U, VI, ti) mi sembra ohe avrebbe dovuto far
1 luogo I, vn, 5, nonostante le ragioni del suo
brevemente accenna, - 2.* Perchè, accanto a
ipratutto, accanto a yitrianiu
(I, X, 7)? - 8." Oltre alle forme
I buon numero di volte laam-
i presenta u
ì I> :
[, 2; I, :
'. 2;
6). E
questo proposito il
sospetto, ed è Bempli-
ragiroii' delln lollorati^a?
152 RASSEGNA BIBUOGRAFIOA
tiche e moderne. Può ben dirsi del Eajna eh* egli ha cacciato di nido
tutti quanti i suoi predecessori e che dìfiScilmente verrà chi, a sua
volta, lo superi. L' opera dei critici futuri (meritoria pur essa, anzi
dirò di più, necessaria) potrà bene riuscire a correggere qualche
parola e ad escogitare qualche migliore lezione, ma non potrà in
nessun modo introdurre modificazioni cosi sostanziali da far pren-
dere al De vulg. Eloq, un carattere nuovo ed una nuova fisono-
mia. L* impronta generale di questo interessantissimo trattato dan-
tesco rimarrà certamente quale gli è stata data dal Bajna. E ciò,
mentre è grande onore per lui, è grande vantaggio per gli studiosi
tutti che debbono essere grati all'illustre maestro di aver voluto
spendere in loro servigio la sua intelligente operosità e la sua vasta
dottrina.
Reggio-Calabria. Irbneo Sanbsi.
Biblioteca critica della letteratura italiana diretta da Frangksco Tou-
raca. - Firenze, G. C. Sansoni editore.
Eaccogliere monografie, intorno a singole questioni di lettera-
tura italiana, pubblicate in giornali, atti accademici, od anche in
opuscoli di poche copie, a vantaggio generale degli studiosi : questo
è lo scopo della Biblioteca critica, onde lode incondizionata meritano
e il direttore che ha avuto si felice pensiero e l'editore che ha vo-
luto metterlo in effetto. Tuttavia non nascondiamo che avremmo
desiderato, per i lavori tradotti, che' sempre e non qualche volta
soltanto fosse citata Peperà da cui sono stati estratti o il giornale
in cui primieramente furon publfticati.
N.<* 1. - Guglielmo GiBSEnuEcnr, U istruzione in Italia nei
primi secoli del Medio-evo (trad. C. Pascal), 1895, pp. 95. - In questo
studio, dedicato al padre Luigi Tosti, del quale oggi, 24 settembre,
mentre correggiamo le bozze, si rimpiange la perdita, l'autore ricerca
« per quali cagioni, allo scorcio del secolo undecime, in Italia, gli
« studi letterari, fino a quel tempo caduti in lungo oblio e pressoché
« spenti, improvvisamente e quasi miracolosamente risorsero, e sali-
« rono a novella grandezza ». Prima del Giesebrecht studiarono la
stessa questione il Muratori e il Tiraboschi ; ma il nostro A. si di-
parte da essi in ciò che quei due si soffermarono a considerare sin-
goli uomini e singole cose mentre il G. ricercò « quali scienze e quali
« arti fossero allora coltivate in generale da,i>;li uomini di condizione
nCBLIOTBCA CEtmOA DELLA LETTERATURA ITALUHA
1&3
^^flooiale piuttosto elevata, sia per nobiltà di stirpe, sia per altezza
a d' animo *. E però, tenendo conto di gran parte degli iadizi e
delle testini OD ianze a noi pervenute, tratta con precisione e brevità
il suo tema, soUermandosi in fine un po' pi(i a. lungo sulla condi-
zione degli studi nel monaataro di Monteoassino nel medioevo e
principalmente su Alfano, monaco ferventisaimo, acre propugnatore
della libertà ecclesiastica, studiosissimo deiruntiobità e, per l' età sua,
grammatico perfetto, del quale riporta alconi carmi o ricorretti o
inediti dui cod. casBinese N.° 280. (Cfr. Giornale Hot. d. ìett. ital.,
voi. XXVII, p. UtJ).
N." '2. - A. F. OzANAM, /-e aruole e V Utruàone in Italia nel
Medio etv [trad. di G. Z.-I.] 18&5, pp. 74. - Questo studio, che 6
preceduto da una brevissima biogratia dell'autore, uomo per molti
rispetti insigne, completa il procedente, avendo ancb'esHO per iscopo
di dimostrare come durante le fitta tenebre del medioevo brillttssero
ancora le lettere. Perciò l'Ozanam esamina * da prima ciò che so-
« pravvisse nelle scuole romane; in secondo luogo quali istituzioni
< vi n vennero aggiungendo per cura della Chiesa ; intìne in qual
ira ristruzioue sì trovava dìiFusa, non solo nel clero, ma an-
negli Infimi gradi del popolo, quando il gonio italiano pro-
■ ruppe nei canti di Dante, e negli afireschì di Giotto >. (Cfr. Giurn.
. voi. XXVn, p. 146).
^j." S. - Bartolomhbo Capasso, Sui Dàtmcdi di Matteo da
Giovetuiao. - Di/fnerlazione critica, lH9ó, pp, 88.
N." fi. - Bartdlomueio Cap.ai«M)| ancoro i Diurnidi di Matteo
ÉGiovtnaaù. - Nuove osservasìottì critirtu, 189(i, pp. bd. - Con questi
I lavori, di ciii il primo apparve la prima volta negli Atti della
Accad. di Arch. Lettere e Beile Arti di Napoli del 1871, l'altro
voi XVII degli Aiti della suddetta Accademia, l' illustre storico
napoletano dimostra vittoriosamente la falsità della Cronaca di Mat-
teo Spinelli. Questi Diurnali sin da quando apparvero ebbero ero-
dilo e favore; ma ben presto non mancarono scrittori, come il Ca-
jiecelatro e il Marchese di Sarno, i quali, notando gli errori moltis-
simi che erano in essi, dubitarono non solo della loro esattezza,
^nia anc-ora della loro autenticità. Tuttavia gli errori si addossavano
^^K copiati tinche il Bernhard! (Mufleo di Giovenaxso, eine FfiUiJiung
^^■l XVI lahrhunderts. Beri. 1868) non lu proclamò una falsificazione
^Iw sec XVI. Il Capasse infine ha ripigliato in esame i Notamenti
dello Spinelli e ha dovuto conchiwdere, contro il Min ieri -Hiccio acre
lUfenaore dello Spinelli, della non esistenza del cronista pugliese.
Egli infatti con acuta critica, lasciando da parte la questione filo-
, che vien trattata nella HccomU memoria (N." 9), iisr.it-ii alla
^T* che
■brnp
laT
RASSKOVA BlBLIOOBAriOA
luce quasi vent'anai dopo che fu scritta, esempio gr&nde di mode-
ra^ioDe lìì orition, esaniiiiA nella prima (N." 3) se g'i errori crono-
logici dei Notamenti debbano ritenersi opera del supposto autore o
dei copisti ; se, trascurando gli errori cronolofjicì, vi sieno fatti so-
stanzialmente noa veri, i quali smentiscano rautenticità della Cro-
naei; e finalmente se, t ammesso anche che tutti i fatti ivi narrali
* sittno veri, possano i Diurnali credersi opra di un uomo del se-
ai colo XUl; e se, quand'anche vogUa accettarsi l'autenticità dù
« medesimi, la loro autorità storica possa coMcienziosaineale riguar-
•I darsi attoudibile, posto che gli stessi difensori di Matteo li riten-
« gono per non genuini ». (Cfr. Oiom. star, ec voi. XXVII, p. 146
e voi, XXIX, y. 187).
N." 4. - Albino Zbnatti, Arrigo Tenia e i primoitìi della Urica
ifoliana, 189P, pp. 811. - Questo scritto comparve nel voi, XXV degli
Atti tleUa R. Accadenih Lucchese e poi fa ancora ristampato a parli
nel 1889 ed ora riappare, arricchito di aggiunte e correzioni. Per gli
studiosi della letteratura essa memoria è intere ssanti ssiiu a come
i)uella che si occupa e delle origini della lìrica nostro, che si afferma
essere stata aulica e siciliana, e del rimatore dugentista Arrigo
Testo, di cui si rifa con nuovi documenti tutta quanta la biograUa
u si dà in fine una ricostruzione del testo della canzone ■ Voelra'rgo-
'jliosa cera ■, Allo Z. infine non dispiacerà di sapere che l'anno della
morte di Arrigo Testa, ci vien dato, oltre che dai cronisti da lui ci-
tati, anche da una Cronichetta « excerpta ex quodam antiquo codice
r papiraceo Bibl. Mss. Caenohii S. Mariae Novellae, opere et uani-
« bus l'ratrum Praedicatorum eiusdem conventus » (MCCXLVU. -
* Bornardus..,. Rosso cepitParmiim et interf'eeit Henricura TeBtam)>:
la quale Cronichetta si conserva in copia del sec. XVIII ne! ood, Paa-
ciat. 116, voi. n, co. IG-IK. iCfr. Giom. sloi: ec, voi. XXIX, p. 187).
N." 5. - Gastok Pauis, / raccùnti orientali nella Ictteratwa
francese [trad, di M. Menghini], Ib'Jb, pp. bò. - 11 discorso su ritè-
rito, pubblicalo nel volume de La l'oésk du Moyen Age, Lenona tt
Lixtures, IL' Strie, Paris, Uachette, IHSJó, pp. 75-lOH, è come una
])rolu9Ìone ad un corso nel quale il Paris desiderava seguire € at-
* traverso qnattro o cinque letterature orientali le novelle buddhi-
( etiche fino al loro giungere in Francia, studiare ciò che aon dive-
e nute nelle mani dei poeti francesi, i cambiamenti cui sono athte
' obbligate, le nuove applicazioni che se ne sono ricavate, ricercar
" le tracce della loro influenza letteraria e morale nel Medio Evo
« e anche nei secoli seguenti ». Ne dà un esempio per mezzo d'una
storiella che il La Fontaine mise in versi e rese celebre sotto il
nome del Mviiiiier. .imi fìLi ri fniic. Dopo di «■io scgiie nna confi-
aiBLKyraCA critica della LinrERATCRA ITALIAHA
155
renzk illustrante la ben nota Parabola dei tre aneUi. ICtr. Gwm.
ator. ec. voi. XXVII, pag. 146).
N.'B. -C. A. Sainte-Beitve, Fauriele Manzoni. - Lt!opnitlÌ[traÀ.
di G. Z-L] 1895, pp. 80. - Nel primo di questi Ritratti il Sainte-
Beuve mette in luce le relazioni che passarooo fra il Faoriel e il
nostro Manzoni; nel eeconilo espone brevemente la vita del Reca-
natese, in tondo alla quale si presentano tradotti in francese alcuni
carmi. Tutti e due questi Ritratti sì trovano nel voi. IV dei l'or-
traits, pubblicati nel IHH, e, com'è naturale, sono un po' inveccMati.
(Cfr. Giom. «tor. ecc., voi. XXVII, p. 14(5).
N." 7. - Tommaso Cahlvle, Dante e Sìiak«peart [prima ver-
Bì^oe italiana del Prof. Gino Chiarini] 18!*6, pp. 54. Bene ha latto il
proC Chiarini a tradurre questo studio, contenuto nel voi. llerwx,
Heró-rrorship, anrf the Ueroie in Hintory, che è come un inno di
ammirazione per i due eroi-poeti che riempiono della loro grandezza
tutte quante le letterature dei popoli: < Dante, profondo e fiero come
^ « il fuoco che ferve al centro della terra ed è 1' anima del mondo ;
f Shakspe))je, grande, tranquillo, lungiveggente come il sole, che illu-
fcjmaa il mondo da l'alto ». (Gir. tìiom. ntoi: ecc. voi. XXIX, p. 187).
tì. - Gabton Paris, Ut ttgyenda di Saladino (trad. di M.
ttmigliini] 18f«i, pp. 76. - Questa monografia, che tale è veramente,
ibbene l' illustre autore la presenti sotto il modesto titolo di note,
j origine da un libretto dì A. Fioravanti, Il Haladina ntUe kg-
e francesi e itaìiane del Medio Evo (di cui cfr. la ree, nel Giorri.
: d. kit. it., XVII, 459], e venne pubblicata la prima volta nel
Journal dea xavantu del ISiyH. - In essa il Paris studia il carattere
del Saladino attraverso a tutte le narrazioni che ne < fanno un ca-
■• valiere, un mezzo cristiano, un mezzo francai, un viaggiatore,
« un cortese amante, ossìa tutto ciù che non fu >, ed anche in qual-
cuna di esse che ce lo mostra quale egli fu approssimativamente,
il neoiico cioè, spesso generoso, ma costante, del Cristiani. (Gir. Giorii.
*tor. ecc. XXIX, p. 1H7: ffn*»effna WW. di ktt. itiil.AnaoU, lWì4,p. 51).
N." 10. - Giuseppe Cajipoui, Notizie jxr la vita di Lodor'ico
Ariosto, li^'G, pp. 109. - Della vita dell'Ariosto in quel medesimo
{«colo in cui egli visse acriasero il Fornari, il Garofolo e il Pigna ;
dopo due secoli, il MazKuchelIi, il Barotti, il Tiraboschi, il Frizzi,
UBaruflaldi. S'ebbero quindi le pubblicazioni delle lettere dell'Ario-
sto fette dal Cappelli, e, nel Giornate storico degli Archivi ioacani, di
alcone altre per opera del Milanesi e del Fondora: altri documenti
videro la luce, per opera del suddetto Cappelli, negli Alti e Memorie
di storia ;«i(r!« di Modena. Tenendo conto di tutte le suddette pub-
blicazioni, di altri documenti rinvenuti e spigolando i
156 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
spese della Camera Ducale e nei carteggi degli Ambasciatori, il
Campori compilò questa vita delPAriosto che si raccomanda come
il miglior lavoro dell'erudito marchese. (Cfr. Giom, star, ecc., vo-
lume XXIX, p. 187).
N.** 11. - Giosuè Carducci, Su V Aminta di T, Tasso saggi ire
di G. C con una pastorale inedita di G, B, Giraldi Cinthio, 1896,
\)\). 129. - I tre saggi che qui son riuniti a comodo degli studiosi
furono pubblicati tre anni or sono nella Nuova Antologia (1 luglio,
15 agosto, 1 settembre 1894, 1 gennaio 1895). Nel primo « L' Aminta
« e la vecchia poesia pastorale » si contiene una breve istoria della
poesia pastorale, cominciando dai Greci giù giù fino al Sannazaro;
nel secondo « Precedenti dell'Aminta » si parla delle ecloghe pastorali
e rusticali, che poi si allargarono in commedie ; nel terzo della < Sto-
ria dell'Aminta ». Segue in appendice un frammento di Favola pasto-
rale di G. B. Giraldi Cinthio. (Cfr. Giorn. stor. ecc, voi. XXIX, p. 187).
N.^ 12. - Ermanno Ciampolini, La prima tragedia regolare
della letteratura italiana, 1896, pp. 40. - H Ciampolini in questo stu-
dio, pubblicato da prima negli Atti deW Accademia Lucchese del 1884
(cfr. Giom, stor. voi. IV, pag. 437 e seg.) si occupa della Sofonisòn
di G. G. Trissìno. Dopo d'aver notato che il Trìssino introdusse o
credette d* introdurre per il primo il verso sciolto per rinnovare la
poesia, cominciando dalla tragedia, espone la favola della Sofonisòa
quale ci vien data da Tito Livio e la paragona con quella dataci
dal Trìssino e conclude « che in questa tragedia di poesia ve n'ha
<( ben poca: ed invano vi si cerca la forza della passione, l'altezza
« dei pensieri, lo splendore delle immagini, la verità dei costumi,
« onde il poeta drammatico rapisce e signoreggia l'animo degli spel-
ee tatori : essendoché questo è un lavoro d'un umanista, che non
« vuole, o non sa uscire dalle pastoie, a cui si è condannato da so
« stesso ». (Cfr. Giorn. stor., voi. XXIX, p. 187).
N.^ IB. - Tommaso Casini, La gioinnezza e V esilio di Terenzio
Mamiani, 1896, pp. 96. - Il prof Casini, servendosi delle carte del
Mamiani conservate nella Oliveriana di Pesaro, descritte ora in
parte da G. Vanzolini (Le carte . di T. M. neWOliv. di P., Pesaro,
tip. Federici, 1896), di un libro di ricordanze e di lettere inedite,
ha composto questi due interessanti studi perchè, come l'egregio
A. avverte, i biografi del Mamiani sulla sua giovinezza o sorvola-
rono o dissero cose erronee o inesatte. Seguono tre note; nella
prima si contiene l'elenco dei profughi compagni del Mamiani, tratto
da un documento del R. Archivio di Stato di Iloma; nella seconda
due lettere del Mamiani e due del generale Armaudi; nella terza,
una lettera di I. C. L. de Sismondi al Mamiani.
BIBLIOTECA CRITICA DELLA LETTERATURA ITALIANA 157
N.^ 14. - Bonaventura Zumbini, U ninfale fiesolano di G. Boc-
caccio, 1896, pp. 28. - Venne pubblicato con altro titolo nella Nuova
Antologia del 1.® marzo 1884 (Cfr. Giom, star., voi. Ili, 315), e tranne
poche correzioni vien riprodotto tal quale in questa Biblioteca. Dopo
aver esposto il contenuto del gentile poemetto boccaccesco, l'A. ricerca
la fonte dell'episodio principale e la trova in romanzi della bassa gre-
cità e specialmente in Partenio e Pausania: nell'ultima parte dell'im-
portante studio vi è la critica estetica del Ninfale. Ci duole (ce lo per-
metta l'insigne professore napoletano) di non esser d'accordo con lui
a riguardo di ciò che dice intorno ai doveri della critica letteraria
nella fine della seconda parte : « Ma le cose dette sin qui crediamo
€ che bastino per noi che non la pretendiamo né ad eruditi, né a cer-
€ catori di fonti £ poi ciò che sarebbe insufficiente per una critica
« essenzialmente storica, può essere più che sufficiente per una critica
< letteraria. L' una non consegue mai il suo ultimo fine se non dopo
« aver messo in sodo, o tentato, qual sia il primo e quali i sue-
« cessivi anelli che, a maggiore o minore distanza di spazio e di
« tempo, uniscono ai fatti anteriori quello che essa considera come
« l'argomento immediato del suo studio. Ma l'altra critica non è
« obbligata a tutto questo, e può adempiere benissimo i suoi uifici,
« sol che abbia saputo procurarsi tanta notizia dei fatti quanta
« gliene occorreva a meglio illustrare esteticamente un'opera d'arte,
« e a determinare quanta sia stata in essa V invenzione e quanta la
« riproduzione, e quali i modi particolari dell' una e dell' altra ».
Noi crediamo che ora non si dovrebbe parlar più né di critica sto-
l'ica, né di critica estetica : pecca ora tanto chi ricerca le minuzie
'Storiche, quanto chi svaria dietro alle astrattezze metafìsiche. La
vera critica risulta dalla fusione di questi due processi dell' animo
yj^nano e credere che questi due processi sieno o possano essere tra
^oro separati è un volere chiudere gli occhi all' evidenza. Ma a che
P^ò spendere più parole? il prof Zumbini, crediamo, é convinto quasi
Quanto noi che senza una accurata disamina storica è vana qualsiasi
«
ricerca estetica.
N.<* 15. - Michele Kbrbakbr, Shakesipeare e Goetlie nei verd
^* Vincenzo Monti, 1897, pp. 58. - Il prof. Kerbaker, dopo aver fatto
notare l' importanza che, per la valutazione d'un' opera artistica,
oggidì acquistato la ricerca dello fonti a cui attinge ogni artista
S" clementi fantastici nella formazione delle opere d'arte, indaga,
nel pt^imQ scritto, l' origine del concetto e anche della forma di uno
dei Componimenti minori del Monti, l'ode cioè intitolata : Invito Wun
*^**^Hb ad un cittadino, e la ritrova in un episodio lirico del dramma
< vJonae vi piace » dello Shakespeare.
Nel aecDudo lavoro mette in rilievo « la moniora particolnro
« tenuta dal Monti nel magiatero imitativo, togliendone esemiùo
« dagli Sciolti a D. Sigismondo Chigi e clai Pensieri d'umore * ; con
U quule maniera, l' imitazioDe eÌ confonde con la traduzione. Per le
idee tbndamen tali degli iScurff/ e AfA. l'ensteri d'anwre il ICdimoatrAcho
il Monti s'è servito d'una versione francese del Werther del Cioè tli e.
N." ltì-17. - Vincenzo db Amkih, L' imilazione Ialina mUii
commedia Hidiana del XVI secolo. 1897, pp. 17G - A chi osservi la
storia del nostro teatro si cifre il fatto strano della mancanza nel
500 d'un teatro nazionale, mentre noa cosi accade a chi osservi il
teatro npagnuolo o quello inglese, perchè le commedie di questi due
teatri ritraggono l' indole e il genio dei rispettivi popoli, le nostro
no e come tali non furono mai popolari. Perchè ciò? Alcuni, come
Io Schlegel, hanno voluto trovare la ragione nella mancanza d' in'
gegno drammatico e spìrito comico negli italiani ; ma come sì fa a
negar questo alla patria del Machiavelli, dell'Ariosto, del Bemi ec. ?
Altri, come 1' Hillehrand, ritrovano le ragioni della inferiorlti del
nostro teatro nelle condizioni politiche e civili dell'Italia di quel
tempo; però l'Hillebrand dovrebbe concederci ohe, ammesso in tesi
generale corno vero quello eh' ei dice, in Italia avrebbe dovuto sor-
gere e perfezionarsi almeno la commedia di carattere locale. La ra-
gione quindi per cui la commedia italiana non raggiunse la perfe*
zione ai deve ricercare altrove e cioè nell' imitazione latina, divenuta
canone d' arte fìn dal primo nascere del teatro italiano. In Italia
v' erano due germi da cui sarebbe potuto sbocciare il teatro nnziO'
naie, le sacre rappresentazioni e le commedie dell'arte, ma colpite dal
disprezzo dei dotti queste forme drammatiche rimasero immobili e
prive di vita, rannicchiandosi per dir cosi nella parte ignorante del
popolo.
Questo vien detto dal de Amlcis nella prima parte ; nella se-
conda indi dimostra come < alla Imitazione latina della commedia
• italiana, oltre le cagioni generali e comuni a tutta la letteratura,
« cooperarono anche alciine cagioni speciali : cioè la tradizione della
« commedia classica non mal interrotta, le dottrine poetiche di
* Aristotile prevalenti in quel tempo, e la somiglianza delle oondi-
■ zioni civili e poUticbe dell' Italia con quelle dei tempi ohe la coro-
« media latina, o meglio greca, ci rappresenta »,
Nella terza ed ultima parte dimostra In che cosa propriamente
consista l'imitazione latina nella commedia italiana e quali ne fos-
sero gli effetti.
N." 18. - Alfredo Jbanboy, La lirica francese in Italia nel
periodo delle oriifini [trad, ital. riveduta dall'Autore con note e in-
BIBLIOTECA CRITICA DELLA LETTERATURA ITALIANA 15!)
trod. del prof. Giorgio Eossi] 1897, pp. 72. - Questo scritto costi-
tuisce il cap. ni della seconda parte dell'opera cbe ha per titolo:
Les origmes de la poesie lyrique en Franca au moyen àge ec. (Paris,
Hachette, 1889) ed è interessante per gli studiosi di letteratura ita-
liana perchè ci fa vedere quale influenza abbia esercitata la lette-
ratura francese del periodo delle origini sulla letteratura italiana
allora nascente. E interessante ancora per la compiuta bibliografia
dataci dal Bossi sul celebre contrasto di Cielo d'Alcamo dal 1882
al 1896 e per ciò che il Jeanroy dice del contrasto stesso. Le conclu-
sioni infatti a cui questi arriva sono : « 1.^ Tutte le poesie dramma-
« tiche sono imitate molto da vicino da originali francesi. 2.^ H Con-
€ trasto di Cielo è fondato su un genere popolare che dovette esistere
« in Sicilia prima che vi entrasse la poesia francese »; tuttavia l'au-
tore ha dovuto servirsi di poesie ■ francesi senza che si possa sapere
in quale e quanta proporzione.
Bitonto (Bari), Clemente Valacca.
Memorie storiche della Città e dell* antico Ducato della Mirandola, puìi-
blicate per cura della Commissione Municipale di Stona Patria
e di Arti BeBe della Mirandola, Volume XI. — Giovanni Pico
ddla Mirandola detto La Fenice degli Ingegni, Cenni biografici
di F. Calori Cbsis, con Documenti ed Appendice, Tomo unico.
- Mirandola, Tip. di Gaetano Cagarelli, 1897. - 8.^, pp. 190.
Mentre la repubblica letteraria, a dirla col Flamini (1), affretta
<^1 desiderio la storia di Giovanni Pico della Mirandola, fin qui oscura
^mssai, cui Leon Dorez intende da ben tre anni, e della quale è splen-
dido saggio il libro testé uscito in luce Pie de la Mirandole en France
^1485-1488) da lui messo assieme unitamente a Louis Thuasne (2),
3a Commissione Mirandolana di storia patria, volendo lasciare un
durevole monumento alla memoria del grand' uomo, in occasione del
quarto centenario dalla sua morte, trascorso da ben oltre due anni,
^a creduto ripubblicare i Cenni sul Pico del marchese Ferdinando
C)alori Cesis di sopra enunciati. Essi aveano avuto di già due edi-
zioni, l'ultima delle quali compiuta in Bologna dalla Tipografia di
A. Mareggiani nel 1872. Nella Prefazione al volume Mirandolano si
(1) Rauegna bibliografica della letteratura italiana, Anno II, p. Hé6.
(2) Parìa, Ernest Leroux, 1897, di pp. 218 in 8.° piccolo.
\
legge, che dovea essere scelto allo scopo suindicato, quella Vita, ebe
sarebbe stata < gìadìcata la più esatta e corretta > (p. vii), e ohe
trovata tale q^uellu ilei Calori Cesia, le venne datalapre)eren2A(p. x\
Occupa appena 17 pagine di larga stampa compresa l'Ititroduaotit.
Io non seguirò il eh. marchese in ciò che riguarda gli studi del
Pico, avendone trattato di recente ei vastamente, e da pari loro,
r Oreglia e mona. Di Gìovoddì, il cui scritto, a detta del Carini, è
* da considerarsi come il più largo e approfondito studio sul gTHn
« Mirandolano » (1) ; mi occuperò della parte biografica e della
bibliografica soltanto, dolente di dovere, per amore di verità, par-
larne assai severamente.
Anzitutto l'erudito marchese alla pag. 5 ripete l'errore divul-
gato dal Tiraboschi, Bib. Mod.. to IV, p. 'Jtì, cioè, che Giulia Boiardo
fosse sorella al celebre Matteo Maria, mentre invece era sua zia,
come ha provato Gio. Battista Venturi nella sua Sloria di iSVmm-
diano, Modena, Vincenzi, 1822, pp. 83, 109.
Accennando quindi alla nascita del Pico, scrive, che « troppo
« più scarse che non vorremmo sono le notizie, che ci avanzano
* della prima età di Giovanni Pico: solo sappiamo, che ebbe a mae-
a stro Giovanni Tamasia Vicario alla Mirandola del Vescovo di
* Reggio in onore del quale compose di soli quattordici anni una
« ben ordinata orazione latina > fp. 6). Ora, io non dirò, che l'aut,
dovesse ripetere quanto scrisse Luigia Colet sulla fonciullezs» del
Pico, perchè la di lei narrazione è tutta fantastica, e le sballa assai
glosse (2); ma dirò bene, che sono ora pubblicati importantissimi
documenti cui attingere sul proposito le più sicure notizie. Consta
infatti, che la madre di lui non volle abbandonare ad alcuno la
cura della prima sua educazione, e se ne incaricò ella stessa nel
modo più attento. E lo fece tanto più volentieri, in quanto che il
marito nel suo testamento rogato da ser Bartolomeo da Bergamo
nel febbraio del 1467 l' avea eletta di lui tutrice ; e nel 2 del suc-
cessivo aprile ella assumeva un tale incarico, promettendo far tutto
ciò che avesse potuto tornare di vantaggio a! fìgliuolìno sotto l'ob-
bligo di tutti i suoi beni ec., e come si ha da atto pubblico del no-
tare Giovanni Marini (3). Sotto il magistero pertanto di lei coltivò
(1) SkUia CaUolica di Palermo, n," 70 del 1895. ^^H
(2) Infaiaia di Uomini celebri; Milano, TreveB, IStit da p. 1! a p. 17.
(8) C^. F. Cehetti, Giulia Sojardo, Meiouiie e Documenti ; Modena,
Vincenzi, 1881 rEstratto dogli Atti e Mmtorig della DeputtutOHe M Skim
Patria dtlle FroviiKie Modeneii, p. 15).
CALORI CESIS, PICO DELLA MIRANDOLA 161
con tale ardore gli studi umanistici, da meritarsi, e non a torto, di
essere in breve annoverato fra i migliori poeti ed oratori di quella
stagione (1). Bello poi è l' aneddoto, che sul bambinello Giovanni ci
racconta Pietro Calabrese, che fu alla corte della Boiardo per in-
segnare, e che ci ha tramandato Giorgio Merula in una lettera al
Pico, già fatto adulto (2). Preziosi particolari sui viziucci infantili
di Giovanni porgono i carteggi della madre sua con Barbara di
Brandeburgo marchesana di Mantova. Interessantissimi poi quelli
sulla sua creazione a Protonotario Apostolico quando era giunto
presso a' dieci anni, e sulle cure della genitrice perchè ne avesse
vestito le divise con tutta la solennità (3).
La è poi una grossa fiaba il dire, ed il ripeterlo ancora alla
pag. 77, che il Tamasia fu il primo maestro del Pico, e che questi
gli ebbe intitolata una Orazione eucaristica; notizia che il Calori
Cesis ha attinto dal Bartoli, Elogio di Oiovanni Pico, Guastalla,
1791, alla pag. 67. Anche il Tiraboschi, Biblioteca Modenese, to. IV,
p. 107, mal informato dall'abate Giuseppe Anselmo Volpi, cadde
in tale errore (4). Il p. Pompilio Pozzetti pel primo s'accorse
dello sbaglio; e nella XXI Lettera Mirandolese, 2,^ edizione, p. 155,
dice ritenere che l' orazione sia del principe Francesco d' Ales-
sandro II Pico. Giovanni Veronesi invece nel Quadro storico déHa
Mirandola e déUa Concordia, p. 222, ne fece autore il gesuita Gio-
vanni Pico fratello deir anzidetto duca Alessandro II. Tutti e due
però versano in errore. Che V Orazione non appartenga al primo
Giovanni Pico toma inutile il dimostrarlo, dacché il Tamasia fio-
riva in un epoca troppo lontana da lui, vale a dire nella seconda
metà del secolo XVII. Che non sia del Gesuita Giovanni Pico, è
cMaro da questo, che il Tamasia, siccome risulta dai Libri parroc-
chiali, mancava alla vita V 11 aprile del 169B in età di circa 48
(1) Io, Franei$cu» Ficus, In vita.
(2) Cfr. Leltres inédùea de Jean Pie De la Mirandole (1482-1492), pubbli-
^te da LiOH Dorez nel Qiomale storico della letteratura italiana, voi. XXV,
«stratto, p. 6.
(8) Cfr. F. Ceretti, Il Conte Antomnaria Pico, Memorie e Documenti.
^Ui € Memorie suddette, 1878, Doc. VIU e IX, pp. 82, 88 deir estratto.
^fr. pure Giulia Bqjardo, 1. e, Doc. Vili, p. 26,
(4) La lettera deli* abate Volpi fu scritta dalla Mirandola al Tiraboschi
^i 20 gennaio del 1782 ed è conservata nell'Estense tra i carteggi del ce-
^Q^nre storiografo. Esso Volpi gli dice che V Orazione è proprio della Fenice,
^ che gli fu &vorita dal conte Francesco Greco.
Aboh. Siob. It., 5.» Serie. — XX. 11
anni (1), onde, essendo uato intorno cil l(i4u, non potea, essere mae-
stro dell' anzidetto gesuita nato nel 1B34, ed entrato nella Compagnia
nel 1665. Nemmeno può dirai del principe Francesco, come suppose
il Pozzetti, perchè è troppo evidente che VOraàone fii composta d»
mi prìncipe di nome Giovanni. Ora, di quell' epoca, nesaun' altro es-
sendovi nella casa Pico dì tal nome se non se OioTanni del doe^t
Alessandro II (n. 1667 m. 1710), e per giunta cultore delle lettere,
resta ad evidenza dimostrato, che essa è fattura dì esso Giovanni.
Toccando degli studi del Diritto Canonico cui (iiovanni Pico
applicò ne ir Uni versi ti di Bologna ( p. li), era pur bene che il Calori
Cesis affermasse come gli fosse d' aiuto il celebre pesarese Pandollb
Collenuccio, che il Pico dice aver avuto a giuri.sperito, e che appella
• uomo ingeni osissimamente erudito in ogni genere di lettere » (2),
E buona particolarità era pure il notare, che nel 13 agosto del 147^
Giovanni restava orbato della propria genitrice mortagli in Bologn.i.
e che il cadavere dì lei, nel giorno successivo veniva trasferito alln
Mirandola, ove avea tomba accanto al marito (3).
Nel parlare dell'andata di Pico allo studio di Ferrara nel Ui!»
l'aut, avrebbe potuto far menzione della lettera che Giovunnì scrisse
al marchese Federico di Mantova nel 14 aprile di detto anno, colla
quale lo avvisava, che sarebbe stato in quella città, per ragion di
Studi, quattro o cinque anni (4).
Intorno alle avventure giovanili di Giovanni ad Arezzo nel \iS^
ed al tentato rapimento di Margherita De'Medicì il Calori Ceais non
ha parola. Eppure sul proposito aveano pubblicati interessanti do-
cumenti Domenico Berti (5) e Felice Ceretti (0).
Kiguardo allo femose Conclusioni, di ben poca importanza sono
le cose narrate dal Colori Cesis (pp. 12, 13), mentre ora il Dorez ne
(1) Io pnre affermai, snila fede del Veronesi, chi
sulla ni... Pico, nnlle Mem. Mir., voi. I, p. 152, not
lora Ih cognizioni acquistate ali cressivam ente.
(2) fn Aftro/ogiam, !)b. O, eap. IS, TAix. d
(U) Lettera di Galeotto, Àntonmaria e Git
Ariusti siniscalco ducale scritta dalla Mirandola
Utm. Mif., to. I, p. 150. In essa lettera Giovan
Apotlolko.
(4) Cfr. F. Cbketti, Oiulia Boiardo, Doo. IX, p. 27 dell'estratto.
(&) RivìMa centenporanfa, voi. VI, Anno Vili.
{6j Oiarnatt dorico ddla Utteratura Haliana, voi. XXII e vói. II,
Mir.. p. 167.
i«eradd|^H
ri avendo ti" I
V Orazione ei
Basilea del I5&7, p. MT.
anni Pico a Franresco
14 agosto 1478 nel voi. t,
si qualifica Pnmotarii
k
CALORI CKSTS, PICO DELLA HIRAHDOLA
igamente e pubblica l' iatero processo da lui rinvenuto
nel Seminario A rei vescovile di Malinea (1).
Accennando alla morte del Pico (p. 15) quanto sarebbe stato
bene che 1' aut. avesse fatto cenno della bella httera scritta da 9uo
iratello Galeotto dugll acciim pam enti mititari di S. Pancrazio presso
Rnssi su quel di Ravenna li 22 novembre del MM al marchese
Francesco di Mantova, nella imitale ^]i esprime il desiderio che aven
GiovacDi di spirare tra !e braccia del fratello < per non morire
'< Tulgarmente tra la famiglia sua sola > (2).
Alla pag. 21 il Calori Ceais ci dà il testamento del Pico, ohe
MCa pure il Pozzetti nella VI Lettera Mirandolese, 2,' edizione,
pp. 51-3. Questi però lo presenta per intero, mentre il Calori om-
mette talune cose importanti, come i legati a diversi suoi famigliari,
e l' obbligo all' ospedale di S, Maria Nuova in Firenze di pagare al-
cuni suoi debiti ai famigliari stessi (p. 22). Cosi pure nel codicillo
accenna soltanto alla enumerazione ed alla eoufinazione degli stati
del Pico (p. 27) senza recare le testuali parole, le quali .sarebbero
state assai importanti per la storia topografica, degli 8tati dei Pico
nel secolo XV.
La lettera di Gio. Pico al Duca Ercole di Ferrara recata dal
Calori Oesis alla pag. W non è del 1483, ma sibbene del 14ÌI3. Cosi
pure non i precìsa la grafia delle parole del dispaccio del Guidoni
35 dicembre 1487 (non ló8T) che si leggono alla pag. 58 relative alle
Conclusioni. Tali parole furono recate da me nella genuina loro lezione
nel Gionude dtda letteratura italiana, voi. XXI, p. 3 dell' e.
Il nostro biografo, alla pag. 31, si fa a d
del Pico, della quale reca poi l'Inventario
Cpp. 32-76). Biscorrendo della Biblioteca sti
gendo forse al Bratti ed all'Anonimo, i
per altro non cita, dice, ohe Giovanni i
« suoi libri ai Domenicani di S. Marco di ÌHrenze: come avvenne
■« ohe invece passassero in potere dtsl Conte Aotooio Pico? È questo
« che per quante ricerche io abbia &tto non son riuscito a chiarire ».
Eppure, nel testamento del Pico, pur ripubblicato dol Calori Ceais
consta ad evidenza, che egli dispone de'suoi libri, non a favore dei Do-
taenicani di S. Marco, ma sibbene del fratello conte Antonio Maria.
della Biblioteca
) è assai importante
il Calori Cesia, attin-
mìrondolani (3), che
testamento « legò i
1
(Ij Pie de la Mirandola ti
(2) Mem. Mir., voi. I, p.
E ciò puro ei rileva (la notiitio dì Oincomo Trotti, orjil«ro di F«rr»k
utU corte di Sfilano; notizie, che avea avuto dall'ambasciatore ducale
di Firenze, e che comimioava al Duca Ercole I con diapucoio da Vi-
gevano delli 26 novembre 14!*4, da me pubblicato (1). Ma se ciò Don
bafltasse cosi racconta la cosa il nipote dì Giovanni, conto (tÌo, Fran-
cesco II Pico. Nel Proemio delta sub operetta ; I>t l'rovidtntitt Dri
cantra l'kUoHophaiitrQii, stumputn nel sobborgo dì Novi, castello di Al-
berto Pio, nei novembre del 1&08 dal tipografo Benedetto Dnld-
betlo, egli rivolto al celebre cardinale Domenico Grìntani di Venezia
patriarca d'Aquilea (2) nella penultima pagina, in eul finire, gli dice:
< . . .piwa forlanse rejwnerem, ni ef ocium animo et qtàe» daretw cor-
pori, «t OTnpUimmae quoque tuae b3)lÌoUiecae copia mi/ti jiatuiiuiet Cui
poitquant àits quat Jo. Pici jHtlrui ma fueraf, ab Anto7tio ibidem
palruo cui tettamcnto obvencrat tpfi Ubi, me (fateur) non con-
Multo {gtiù enim sit4 iure non malit) ivrtdUnc, facta est an-Mmo, ri
numertu in dies aiu-tut ex omiiìs j/etterì» ivtwninibus, qi'ot tibi magna
ciira gumpttiqve corufuirùi, faenU contÌnj/el ut eam qtuw Gunaaiiii
aut Ptholomn fMsmt posteri mmiM denidcitnt . . . » tS).
l'rattaadoBÌ (p. 77} delle Opere inedito di Giovanni Pico, si t4ce
àa\\'E»poimione ilei Salmi da lui scritta, e contenuta in un Codioc
della Comunale di Ferrar» (4), Né rì accenna n'suot lavori sul Lf
vitico e sul Libro I di Mosé, iudicati nell'loveaiario dell' eredili
del Duca Alessandro I Pico redatto negli anni 161V-U) e da me ri-
cordati nelle Noie alla Vcrsitme italiana doH'Ortinonf />oinrn>ai&d«I
Pico, fatta da Ilegìno Eromita, ristampala in Mirandolo, tip. Orlili,
1805, pp. 39-40, Deve poi togliersi ufiiitto il titolo dell' Qron'nnc Eu-
caristica al Tomaaia, perchè questa, come fu veduto superiormente,
è del principe Giovanni del duca Alessandro II Pico. I
Nel ricordare (p. bO) le traduzioni degli scritti del Pico, ai dtc«
ohe VOraxione DomeniaUe fa tradotta da Froaino Lopino, taentr« ^^
Tiraboachi, Bib. Uir., to. IV, pp. 107, a." VII, lo dice Lapin». ^'
(1) Giornate tuddelto della letleralura italiana.
(2) Nella lettera dedicatoria O'iu. llVanuesoo rmirda al Cardini
Ruo padre Galeotto era amico ad Antonio di Ini jfeniUire, ni
pei Veneziani. Gli rammenta pure la sua amicizia uullo
(p. 1 non numerata).
(ti) Ved. pure Metn. Mir., voi, I, p. IM:
Aide, TrìeHme editìon, Paris, Benuord, lasi; U^ionm Pmtygirii,
pp. i
4
{A) Meta. Uir., voi. 1,
16a,
CALORI CESIS, PICO DELLA MIRANDOLA 165
ommette poi, un volgarizzamento italiano déWOrazione stessa d'ignoto
autore, che si trova ms. in un codicetto che appartenne già al march.
Giuseppe Campori ed indicato dal CcUcUogo a stampa dei Codici del
marchese suddetto, Parte II, sec. XVI, pag. 125, n.^ 175.
Alle pagg. 82, 83, il Calori parla degli autori che trattano del
Pico. Fra essi però si cerca indarno il nome di mons. Domenico
Cerri da Macello nel suo Alessandro VI Borgia (Torino, Camillo e
Bertolero, 1872, 2.* edizione, voi. Il, pp. 5 e seg.), il quale cita molti
scrittori, che parlano di Pico, come Tritemio, Bellarmino, Beroaldo
ed altri. E dovea pure indicarsi una Vita ms. del Pico scritta
dall'abate Mirandolano Giuseppe Anselmo Volpi (1732-1796) che egli
fa conoscere al Tiraboschi in una lettera a lui diretta, e che fu stam-
pata da me nell'Appendice al Reggianello giornale di Eeggio d'Emi-
lia, delli 15 settembre del 1893, n.^ 37. Mi conviene avvertire per
ultimo, che gli annunzi bibliografici dei lavori del Dorez indicati
dal Calori Cesis (pp. 85, 86) sono mia fattura ed inserti nel Corriere
Reggiano, n.^ 15 dell'11-12 aprile 1896. In esso giornale furono pure
inserte altre Riviste di pubblicazioni Mirandolane dell'illustre fran-
cese, che il Calori Cesis ha mostrato ignorare affatto.
l^eW Appendice gli Editori (pp. 91, 92) danno la storia del Mo-
numento eretto dai Mirandolesi a Giovanni Pico nel 1824. Ma quanto
più circostanziato è il cenno che se ne ha nel voi. Vili, tp. II delle
Memorie Mirandolesi, pp. 22, 24! Ivi gli Editori impareranno, che,
oltre la Baccolta del Ciardi, ne fu pubblicata un'altra in Modena
per i Tipi Vincenzi in 8.^ di pp. xxv, dedicata al p. Francesco Ignazio
Papotti annalista Mirandolano, e fu anche edito un Sonetto ano-
nimo in foglio volante senza indicazione del luogo e senza nome
dello stampatore.
Di tutte le altre cose che tengon dietro alla biografia ed alla
l)ibliografia non è mio istituto occuparmi. Sembra però che siasi
fuorviato, perchè scopo della Commissione, a seconda del proprio
Statuto, si è quello soltanto di raccogliere e pubblicare notizie, che
< abbiano un qualche interesse ed importanza storica » (1).
Mirandola, F. Cbretiti.
(1) Tit. Vn, Art. 27.
BASSBGMA BIBLIOOftAFlCA
Italo Raulh'h, Stona di Carlo linuiiiuele t durit di Sarmi, con
dociimeati degli nr^hivi italiani e stranieri; Voi. I: U&H'KaBan-
aiono al trono all'occupazione di SbIuxzo (1680-1688). - Milano,
Hoepli, 1836, - 10.". pp. ixiii-.ieO.
Dando nolrzia, nel 1H95, ai lettori deìVArdàcio di un nuovo
libro su Carlo Emanuele I (1), che confidava di presentarci, Talea-
dosi degli studi più recenti, un'immagine del grande prìncipe più
completa e pii'i vera di quella che fino allora ne avevano offerto gli
storici, come abbiamo fatto plauso all' idea di raccogliere e ordiaare
in sìntesi sapiente il resultato del fecondo lavorio degli ultimi tempi
sull'importante argomento, cosi abbiamo dovuto confessare ohe l'A.
del nuovo libro quest'idea felice non t'aveva saputa tradurre in
atto : le forze erano deboli, la preparazione insufficiente, diffioilia-
Simo il compito.
Oon altre forve, oon altra preparazione ai mise all'opera 11 proC
Italo Baulieh, Egli vide che per ricostruire Della sua interenEa la
figura del Duca sabaudo non potevano bastare le tracce, ohe della
sua operosità febbrile aveva laxciato nella capitale de' suoi aUtl, n
era necessario seguire lu Monarchia di Savoia nella su»
traverso l'Europa, a cui l'aveva sciolta Carlo Emanuele,
4uaat puledra a l'aure nitriente.
■ Le ricerche fatte i
bene nella Prefanmif (p.
1
■.i\ « non soì
ad ante quanto
grande
fonte sola *, dice :
sempre sicure, anche m '
voglia. L'Archivio di T»-
di documenti del regno
« rino è senza d\ibbÌo u
■ di Carlo Emanuele 1 ; ma il fatto, il particolare storico che ai vuol
< narrare e mettere nella sua vera luco colla scorta di quelli non
■ è sempre certo che non poxsa esaere talvolta o emendato o chia-
■ rito perfino smentito da altre prove desunte da fonte diversa .
< Di qui adunque il bisogno di prendere in esame, per tutte le TÌ-
( cende del regno del quale ci occupiauio, oltre a quelli di TorinOy
< i documenti degli Stati, con cui Carlo Emanuele ebbe a trattare
< di più », Oltre l'Archii'io di Stato dì Venezia, che ognuno sa quanta
importanza abbia per la storiografia moderna, gli fornirono gntn-
(1) QlOVJtNMI CuUTt, Carlo Emaaueie I uvaudo i più rivelili iludt; ìli-
land, B>arnardoni, 18M. - Cfr, Ai-.-h., 1805, SV, )i].. ««-*».
RAUUCB, STOBU DI CARLU BUAHUKLE I DI SAVOIA.
167
dissima copia dì documenti l'Archìvio Vaticano, quello di Simanoas,
i! Museo Britannico di Londra, la Biblioteca Nazionale e ia Biblio-
teca dell'Arsenale di Parigi; non trascurò l'Archivio di Stato di
.\[aiitova e il carteggio del Cardinal Borromeo conservata nell'Am-
brosiana di Miiano. che gli permise di chiarir meglio che non si
era fatto finora il disegno, vagheggiato por qualche tempo da C, E. I,
del matrimonio con una Gonzaga; mise a profitto te principati col-
lezioni di documenti riguardanti il suo soggetto, che sì hanno a
stampa: te lielasioni degli aaibasdaton veneti, le Négoctattoru dir
plontatiques di Dejakdins e Caksstkini, la Sammlung da- ùUern
HidgeiUixitigciten Abuchiede, i Documents relatiffi d Chistoire du pays
de Vaud asciti a Ginevra net 1887, i documenti pubblicati dal Rott
nel libro La liitle jMur les Àl}>ea, dal CmArusso nello studio su
C. E. I e la una impresa itel mai-diesato di Salvzeo; interrogò, par
ultimo, le migliori storie di Francia, di Spagna, del Papato, rica-
vandone quanto gli parve utile a lumeggiare il suo quadro.
Questo primo volume, che abbraccia !a storia degli otto primi
anni del regno, * dall' asHuninone al trono all' occupazione di Sa-
• luKZO », quantunque non privo di difetti, è senza dubbio lo sttidio
Il completo che si possieda sull' argomento ; e fa sperar bene della
dell' opera intera, che ci auguriamo vegga presto ta luce.
£ diviso in sei capitoli, ciascuno de' quali si suddivìde in più
I^Mti ; tien dietro alla prefazione un copioso indice analitico, nel
quale l'A., seguendo l' esempio del Bicotti, accenna tutti i punti no-
tevoli, in cui si svolge la narrazione: Cap. 1. L' assunsiorie olirono,
pp. l-i4 (E. Filiberto e la sua opera di politica intema ed estema. -
I primi anni del regno di C. E. I - Missione del maresciallo di Betz
a Torino - Solu;^ioDe della questione di Saluazo - Offerta d' un matri-
monio con Cristina di Lorena - Negoziati per lo nozze con una figlia
<lsl Cattolico); Cap. 11. Le prime armi ronfro Ginerra, pp. 45-116
y Precedenti storici e politici di Ginevra - Congiura ordita da 0. E. I
per sorprenderla - Armamenti, missioni « Parigi in Srizzera, in
Germania - Difficoltà dell'impresa, necessità del disarmo - Dieta
di Baden - Il Duca cerca d' ac ostarsi a'Grìgioni e di stringere
sempre più l'amicìzia colla Spagna); Cap. 111. Man^gi in Fronda
e negoziati prl matrimonio, pp. 117-184 {Tensione di rapporti eolla
Francia - Trame per un segreto accordo di Spagna col maresciallo
di Montmorency - Negoziati col Cattolico circa il matrimonio - Pio-
getti di nozze con una {iglia del Granduca di Toscana, colla smtcUa
del re Enrico di Nnvarra, con una figlia del Duca di Mantova - C
E. I sollecita l'unione colf Infante di Spagna); Cap. IV, Lt wbk
, pp. 18-5-22!) (Conflitto tra Savoia o Francia per i'ii>cid«nte
168
BA98BGHA BIBLIOGRAFICA
di Uomioegliiuio - Nuove trame contro Ginevra - Filippo n pro-
mette al Buca la conclusione del matrimonio, e gli concede aiuti
contro Ib Francia - Incontro di Saragozza - Le noitze}; Gap. V. an-
cora Oineera, pp. 2SO-313 (Nuovo tentativo contro Ginevra, fallito,
prima d'esser posto in atto, per il rifiuto da parte del Cattolico
dell' aiuto promesso - C. E. ripiglia i disegni sul Monferrato - Pensa
uq' altra volta a Ginevra, ma Filippo II e Sisto V gli segano il
loro appoggio); Gap. VI. L'occupaziotie dì Struzzo, pp, 31-1-890 (Ma-
neggi di C. E. per mantenere !a guerra civile ìn Francia - Prati-
che e armamenti per l'acquisto del marchesato di Baliizzo - Presa
di Carmagnola - Aasedio e presa di Revello - Occupazione di tutto
il marchesato),
Tale il periodo storico, ohe il sig. Ranlich in questa prima parte
del suo lavoro riusci ad illustrare meglio che non si fosse fatto
avanti, traendo pro&tto dal nuovo materiala scoperto.
Ci i4ia lecito peraltro osservare che il libro non è sejiza difatti
Tacciamo della prolissità del racconto, e dell' esuberanza delle Sta-
zioni (vedendosi assai spesso riferiti ne! teato, alcune volte nella
stessa forma o leggermente mutata, documenti riportali in nota).
Notiamo invece che a questo eccesso corrisponde ìn alcune parti un
difetto. Cosi, la descrizione, che l'A. fa, delle oondizioni del Piemonte
e della Monarchia alla morte di E. Filiberto è cornice troppo ri-
stretta a lavoro cosi vasto : della grande opera dì restaurazione
compiuta da E. Filiberto non è toccata, fuggevolmente, se non la
parte che riguarda la milizia e il nuovo indirizzo dato alla politica
(pp. 1-6). Dopo aver licenziato cosi bruscamente K. F., non compren-
diamo perchè r A. non sì trattenga pure un istante a parlare della
fanciullezza del suo successore, della sua educuxione, de'^uoi studi,
de' suoi maestri co»<ì nell' arte della guerra come nelle scienze e nelle
lettere. Dette poche parole (pp. 7-9) di alcuni degli uomini politici
che circondavano i! trono, entra subito in mediiis rea, a ragionare
de' maneggi >li Francia e di Spagna per trar profitto dall' inespe-
rienza del novello principe. Quando tratta di negoziati e di maneggi
diplomatici, lo fa con tale larghezza e abbondanza di particolari, che
non abbiamo quasi mai a dolerci, eh' egli lasci indietro cosa che de-
siderassimo sapere: è la parte del lavuro più curata e meglio con-
dotta, che espone molte cose nuove, ed altre già note meglio dilu-
cida e dichiara. Ma quando dalle trattative sì passa all'azione, quando
si viene a parlare di qualche operazione guerresca, notiamo con istu-
pore e rincrescimento che il Iticottì ci fornisce quasi sempre mag-
gior numero di dati e ci contenta dì più. Leggansi, a conferma di
ciò, ne' due autori la deacrizione del progetto della sorpresa di (Ji-
RAULICH, STORIA DI CARLO EMANUELE I DI SAVOIA 169
neyra (Bicom, III, pp. 12-13. Eaulich, p. 62), la descrìzione della
presa di Carmagnola (Ricotti, III, pp. 76-77. Baulich, p. 360) e di
Eevello (Eicotti, III, p 79. Baulich, pp. 376, 380). Della grave ma-
lattia che, dopo lo sposalizio, colpi in Barcellona il Duca, e con lui
Giambattista e Filiberto di Savoia-Bacconigi e il conte di Sanfrè, i
quali ne morirono, ed egli ^ costretto a fermarsi in quella città
dall'aprile al giugno del 1585 (Bicom, III, pp. 38-39), non si trova
cenno nel libro del Baulich; non ima parola della festosa accoglienza
fatta agli sposi a Nizza, a Savona, a Mondovi, a Cuneo, a Tossano,
a Bacconigi e a Torino (Bicotti, III, pp. 39-41): e son pure cose,
che non doveva tacere una storia cosi compiuta, come vuol essere,
ed è quasi sempre, questa. - £ maggiore sviluppo meritava 1* espo-
sizione de' diritti di casa Savoia sul marchesato di Saluzzo, diritti
che l'A. riassume in modo poco chiaro ed imperfetto in un solo pe-
riodo a p. 330: non sarebbe stato fuori luogo un breve compendio
delle conclusioni, a cui giunge il Manfroni nel suo studio / diritti
di Casa Savoia aopra U marchesato di Saluzzo, che l'A. si contenta
di citare in nota.
Non è sempre esatto nel valersi de' documenti riferiti in calce.
A p. 30 chiama incauto il Signor di Leynl, perchè, dice, non s'av-
vedeva che, accettando il re di Spagna la sua proposta di cedere al
Duca l'isola di Sardegna in cambio de' domini che questi possedeva
di là dall'Alpi, e si sarebbe preparato fatalmente ai principi di Sa-
< voia l'onta del servaggio ». Dal documento riportato a pie di
pa^na si comprende invece che il Leynl prevedeva benissimo le
gravi conseguenze di quel cambio; si meravigliava anzi, che Fi-
lippo n e il suo Consiglio non facessero buon viso a quel partito
cosi vantaggioso, che dava loro in mano non solo quelle provincie
di là da' monti, € ma in certo modo.... anco il Piemonte », e ren-
deva € questo prìncipe come schiavo rinchiuso in mezzo delle loro
< forze, che non potrebbe passarsi di loro né mancar di correr
< sempre con loro fortuna ». - A p. Ili si parla del dissidio che
sorse tra Savoia e Spagna a cagione del feudo di Dezana, occupato
da Carlo Emanuele « malgrado i diritti del conte Delfino, fino al-
< lora pretendente del feudo ». Or bene, la cessione fattagli dal conte
Delfino Tizzone de' suoi diritti su Dezana fa appunto la ragione
principale che il ]>uca addusse per giustificare quell'occupazione
(Rioom, ni, p. 22) (1). - A p. 258, detto come il Duca cercasse di
(1) Notiamo, di passaggio, che il titolo di Granduca fu da Pio Y conferito
a Cosimo de' Medici nel 1569, non nel '70 come asserisce il Baulich (p. 140).
170
SASBEOKA BtBUOOBAFICA
persuadere Sisto V della necessita di troncare ogni indugio per
l'impresa di Ginevra, soggiunge; « Giova appena notare quanto
« cotesto ragioni dovevano essere efficaci buH' animo dì Sisto V, dì
* ijuell' impresa altrettanto aollecito^ quanto il Duca di Savoi» ».
Mentre, in uotu, una relazione del cardinal Montalto al nunzio di
Savoia ci <a sapere clie « di tutte le ragioni che S. Alt. ba addotto
a per mostrare che non (' hene differirla (l'impresa di Ginevra)
« nessuna ^ veduta presso S. Santità, se non quella doli' ìnlelligeDìia
« ohe dice bavere un guardiana d' una Porta ecc. >.
La conoscenza non perfetta dello sjiagnuolo gli fa sbagliare al-
cune volte r interpretazione de' documeuti scritti in quella lingua,
A p. <ì5, nota 1.", si legge fra l'altro: « A este punto per la parte
« del Ditque se ha respondido que ellos (los Berneses) hagan en su
« lierra quanto quieren, quo i el no conviene..,, estar desaparocliido
« totalmente de aoldiidos >. L' A. interpreta : « essi avrebbero ])o-
« luto fare nel loro territorio ciò che chieda^ano a lui.... » ; dove ^
da intendere < che essi tacciano nel paese loro tiiirjlo die ivgliono *,
ijuerer significando in ispagnuolo eoleit, non vliieiìeiv. - Nel seguente
passo, cbo si trova a p. 7B, nota 2.* : ■ El Kev,... les he mandado
« advertir que se guarden de tratos, que es los guardara de la fuer^a
■ sin mostrarlo >, è evidente la contrapposizione di liiittm = tiri,
insidie, sorprese, a fticr^a = forza aperta - la voce tmlo, con questo
medesimo valore di eoi-presa, è usata a pj'. Kl, nota 1.° ; 199, nota
1,'; 277, nota 2.* -, ed b certo sbagliala l'interpretazione che gli
dà l'A.: «.... evitasse (Ginevra) di tt-affare romun^Me coi ducaU,
« ch'egli, a sua volto, senza troppo parere, l'avrebbe guardata dalle
« armi loro ». - A p. 277, raccontato come Filippo II, ae non fosse
riuscito il tentativo d' aver Ginevra per sorpresa, consentiva sì
tentasse la forza, purché la cittA si potesse conquistare in quindici
giorni d'assedio, soggiunge: < ma anche tentando la forza, conve-
* niva essere sicuri che durante quel breve assedio non sarebbe
( venuto al Ginevrini nessun aiuto di fuori ». 11 re di Spitgna, in*
vece, scrìve allo Sfondruto: quando si possa verisimilinente spenàre
a a qua aitìandola (Genova) se ha de poder salir dentro de l'2 a Ih
4 dìaa con tomarla >, in questo caso < me contonto que se tìeale
■ tambien la fuer^a, jiuits en nqiifUos jiocùs dias no podran los quf
* les penare de la einpi-ema embiar aocorro de momenlo * ^ poicbè
nel giro di que' pochi giorni non potranno.... inviar soccorso d'im-
portanza. Non é dunque questa, del non esser soccorsa Ginevra in
quel breve tempo, una delle condizioni imposte dal Duca - che sa-
rebbe stata condizione poco ragionevole - perche Filippo consentisse
che si usiLsse la forza: ma bensì la ragione, per cui culi B]>er«vtt
RAUUCH, 6T0BIA DI CARLO EHANCELE I DI SAVOIA 171
ttel buon eaito deU' impresa, qu&ndo 1' assedio non fosse per durare
■ fiii di 12 o 15 giorni.
Questi difetti, pretii nsGieme, ban certo il loro peM>; ma bisogna
aver riguardo alla mole dell' opera, e considerare cbe i principi
d' ogni impresa sono ardui ; noi contìdiamo cbe l' A., procedendo
I nel suo lavoro, lì saprà scbirare, e accrescere sempre più le qualità
I buone della sua storia. Questo primo volume, con tutte le sue mende,
l . i ima buona promensa.
Sciacca {SicSia). Cahlo Bonarui.
f*2t primo re dì Casa Savoia ; Storia di Vittorio Amedeo li scritta tU
DoMSNico Cabittti. Terza edizione interamente riveduta ed am-
pliata. - Torino, Ciftuaen, 1897, - 8.°, pp, 623.
Credo non di possa tare migliore elogio d'un libro, che coll'an-
miQEÌarue la tèrza edizione. Il Barone Domenico Carutti, che nel 1856
K]pubbl)cava la nota e pregiata sua Storta del reffno di Vittorio Amedeo U,
ist&mpata in Firenze dal Lemonnier nel 1863, l'ha rimessa testé
1 luce a Torino jjer opera di Carlo Clausen.
Egli vi ba portato non poche modificazioni ed aggiunte; e prima
I ^ tutto ha fatto precorrere al titolo le parole ; Il primo re di casa
Jlavaia, aggiunta, cbe pare gli venisse suggerita dal giudizio, emerso
«i suoi tempi dall'illustre Mallareds, il quale scrisse che l'acquisto
della Sicilia, fatto da Vittorio Amaleo II, veniva riguardato come
principio a rendersi signore della maggior parte d' Italia, chiudendo
l'adito ai Tedeschi ed ai Francesi. Gli t^ infatti da quel momento,
che pare incominci l' opera della rivendicazione della Penisola dalla
«dominazione straniera, rirendicazione quasi condotta a. termine a
^omì nostri per opera del re Vittorio Emanuele II.
All' intuori del titolo, l' economia dell' opera non ii stata tur-
bata; poiché ventotto capitoli annoveravano le prime edizioni ed
altrettanti ne conta la presente, suddivisi ora però in paragrafi per
le aggiunte fattevi. E etata leggermente modificata la dicitura dei
vopitoli I^'', V, VI, XX e XXI ; e 1' appendice è stata «rrìccbita di
dae curiose lettere riguardanti Madamigella di Susa e Lord Pe-
terborough.
Se come era naturale, col continuo contributo che da tanti
studiosi si porta al materiale storico, doveva riportarne notevoli
vantaggi il novello volume, ci afirettiamo però a dire, che non ne è
rimasta pimto alterata la Hsionouiia del -protagonista, gi» torma-
172
RASSEOKA BmUOOBAFICA
mente delineata ctall'egregio Autore. Le rare doti di mente e di
onore, ohe fanno di Vittorio Amedeo IT, uno dei principi e dni ca-
pitani pift illustri del XVIII secolo, sono qui esposte con schietta
veritÀ ; né sono taciuti, con lodevole iiapardalitii, i ben gravi ditetti.
Dal lfi6fi, anno di sua naticita, sino al 1732, ohe fu tiuello della
sua finale dipartita, tutto è narrato con brevitA, rbiarezsa ed ele-
ganza. Gli uomini di stato, dì guerra e di toga, da lui chiamati a
consiglieri, coadiutori e moderatori nelle cose di governo, vi tro-
vano tutti il loro posto e sono con serenitA di mente giudicati; a
sia per V iraportanaa dei fatti, tiia per 1' abile disposizione della ma-
teria, la lettura del libro è veramente interessante.
E per vero, se si pone monte alle povere condizioni, ìn cui ver-
sava il Piemonte, quando il giovane Duca ne prese arditamente la
redini dalle deboli mani della Madre reggente, e si considera invece
in quanto credito lo rimettesse volontario, con titolo di re, al figlio
Carlo Emanuele III nell'atto di abdicare, coli' aggiunta cio<V del
Monferrato, dell'Alessandrino, della Lomellina, e della Valsesia; se
si riflotte quanto umiliazioni, soprusi, e vìoIooko fosso costretto
quest'angolo di terra italiana a soBrire da parte della Francia pa-
drona di Pinerolo ; e si tien d'occliio per contro alle frequenti mosse
d'armi ed ai gloriosi combattimenti, specie alla battaglia di Torino,
dove al valoroso Duca si uniscono i nomi del Principe Eugenio e
del Pietro Micce nella ardita impresa di umiliare la prepotente av-
versaria; se finalmente si riguard.i por poco questo Duca, quando
con rara disinvoltura lasciava i maneggi della politica e i duri tra*
vagli del campo per discendere alla pratica delle amministrazioni
pubbliche e iadusiriali, afiine di migliorare le condiKioni dei sudditi,
ridotti a miserabili condizioni dallo stato quasi permanente di guerra,
non ai può non provare un ."ienso di calda simpatia per un Principp
che tutto si consacrò per la tranquillità, pel benessere e pel lustro
del Paese, che gli era stato commesso a reggere.
Peccato non jiossa dirai immune la Corte sabauda da quelli
scandali, onde andavano deturpate a quei giorni molte reggia d'Eu-
ropa ! Basta leggere il capitolo XI per trovare come Vittorio Ame-
deo II, marito d'Anna d'Orleans, s'innamorasse fieramente della
contessa Giovanna Battista di Verrua e come la riducesse, non senza
fieri ostacoli, alle sue voglie e ne avesse tìgliuolanza. Non pochi
pure sono gli scatti dell'indole sua violenta; né pure viene taciul»
la facilità, con cui riusciva non rare volte a confondere l'utilità
colla moralità politica,
Ma se vi fiirono colpe in questo re di Sicilia poi di Sardegna,
si può diro che egli assai a caro prezzo le espiasse negli ultimi
CARUTTI, IL PRIMO RE DI CASA SAVOIA 173
anni del suo vivere, quando abdicato il trono, avendo tentato poco
dopo di risalirlo, spinto forse a questo eccesso dalla marchesa di
Spigno, che con morganatiche nozze avea a sé legata, trovò nel
nuovo re di lui figlio, consigliato dal Ministro marchese d'Ormea,
chi inesorabilmente ne ordinò l'arresto e la prigionia nel castello
di Bivoli, prigione commutata poi in quella del castello di Monca-
lieri, dove ebbe fine la travagliata sua vita.
Ventimiglia. Girolamo Eossl
Pompeo Molmbkti, Venezia; Nuovi stvdt di storia e diarie, - Fi-
renze, G. Barbèra, 1897. - 8.^ pp. 407.
I libri del Molmenti si potranno discutere, certe sue tesi porre
in dubbio, certe sue conclusioni respingere, certi giudizi negare;
ma ninno potrà disconoscergli alcuni pregi non comuni, anzitutto
di possedere una fisonomia, una personalità sua propria e simpatica
di scrittore, di saper comporre il libro bene, scriverlo meglio e farsi
leggere ; infine, il merito di aver contribuito più di qualunque altro
fra i moderni a diffondere nel pubblico la conoscenza storicamente
esatta di Venezia e delle sue glorie, sovrattutto nel regno dell'arte.
Questo suo volume viene ad aggiungersi degnamente alla Storia di
Venezia nella vita privata, alla Dogaressa, alle Vecchie storie, ai Ban-
dia deUa RepubMica veneta. Consta di sei studt, in gran parte di
soggetto artistico e già pubblicati, ma in forma alquanto diversa,
in alcune riviste; ed è un bel volume di geniale divulgazione. Il
primo e più difiuso di essi, su VArte e V indtistria a Venezia, è una
piacevole causerie, un po' storica, un po' polemica, sproporzionata e
non troppo ordinata in alcune parti, ma ricca di notizie, se non
tutte note, tutte meritevoli d'essere meglio conosciute. Esso con-
ferma al M. la fama di buongusto e di sicura conoscenza della va-
ria e non facile materia: giacché egli non vi discorre soltanto a
larghi tratti le vicende delle principali arti veneziano, ma segue
anche quelle delle arti minori e delle industrie, e le considera nei
loro rapporti reciproci e in attinenza alla vita e alla storia di Ve-
nezia, di cui tutte, ed arti maggiori e minori ed industrie, erano
come una ftmzione necessaria e insiome un prodotto spontaneo, ge-
nuino e geniale. Ben a ragione l'A., e qui ed altrove, alza la voce
contro Todicrna mania di sciupare e deturpare vandalicamente l'an-
tica Venezia col pretesto di risanarla e rammodernarla, e più ancora
contro l'ingordigia dei rigattieri e degli speculatori, che depreda-
rono a depredano tuttora i gloriosi palazzi patrizi d'ogni traccia
delle pregevoli opere artÌBtiche che racchiudevano nel loro seno.
Il secondo studio, h'arfM enciclojiedica deWetil di meszo, è un a^
ticolo condotto sopra un recente e buon libro di Giulio von Schlos-
ser consacrato agli aHreschi di Giusto da Padova e ai precursori
della Stanza della Segnatura. Il M., l'autore della piccola monografia
sul Carpaccio, vi dimostra ancora una volta la sua passione di preral-
faelita, la sua predilezione per tutto ciò che b arcaica, primitiva, inge-
nua manifestazione dell'arte; e anche questa volta esprime certi giu-
dizi che mi sembrano un po' esagerati. Sulle enciclopedie medioevatl
egli rimanda (p. 15:0 ^ un capìtolo, sia pure buono, del compianto
Bartoli, mentre, a dir vero, poteva citare hen altri libri e lavori
speciali. Poco più oltre (p. 101), a togliere ogni possibilità d' equì-
voco, andrebbe modificato il passo, nel quale l'A., accennando si
• grandi poemi didattici • del medio evo italiano, cita l'esempio dei
Livres dou Tresor di Brunetto Latini. Là dove (p. 169) parla dei
Tait>cchi attribuiti comuneiaente al Mantegna, il M, doveva ricor-
dare il bello stadio pubblicato da R. Itenier sui Tarwxhi di M. M.
Bojardo ; come pure, toccando (p. ITI) della tesi ardita sostenuta
dal AVickhoff circa la primitiva destinazione della Stanza della Se-
gnatura, avrebbe potuto tener conto dell'arguta confatazione fattane
dal Klaczko {Revue de» deiu- nimides, 16 luglio 1894, pp, 241-70) e
delle forti obbiezioni mosse dal Dorez [La bibliothéque privée de Pape
Jules II, Paris, Bouillon, 189<i, pp. 13 seg.). Anche ud saggio di cri-
tica e storia dell'arte, ma contemporanea, è quello con cui si chinde
il volume, intorno alla vita e alle opere di Giacomo Favretto. In
questa calda e viva e nello stesso tempo solida e giusta commemo-
razione del compianto pittore, che il M. dice felicemente * il Gol-
< doni del pennello >, l'amicizia pel morto e l'aHetto per la sna
Venezia non fanno velo agli occhi dello scrittore, né gì' impediscono
di collocare nella sua ver» luce, senza feticismi od esagerazioni
inopportune, la figura del creatore del Listojt. Un' osservazione pe-
dantesca per la cronologia e per la storia mi suggerisce il posso
(p. 369) dove il M. tocca delle nuove condizioni del pensiero e delle
lettere in Italia alla Une del secolo scorsa : • Fra le languidezze
« arcadiche (egli scrive) e le vanità accademiche mrgeano le indo-
■ gini erudite di A. Zeno, del Tiraboschi, dei Muratori, del Filiosi >.
Meglio sarebbe stato dire erano sorte, dacché proprio in quegli anni
r indirizzo storico, positivo dei grandi eruditi del secolo passato
pareva soverchiato e messo in oblio dal nuovo indirizzo filosofico,
venutoci in parte d'oltr'Alpi a che aveva pure la sua ragion d'essere
e non fu in tutto dannoso.
MOLMENTI, NUOVI STUDI SU VENEZIA 179
presente dibattito ha un peso gravissimo il fatto che il Friuli si
trovava in condizioni ben più difficili delle altre provinole venete,
perchè Venezia vi doveva lottare contro le resistenze congiurate del
feudalismo e dell* Austria. Il Marchesi trova che. negli ultimi tre
secoli, l'organismo amministrativo e militare dello stato veneto fu
€ affetto da tabe senile ed incapace di tener dietro con isperanza
< di buon successo alla corsa affrettata del progresso e di fissare
€ lo sguardo nei nuovi e vasti orizzonti.... » (1). Mi perdoni l'egregio
professore, ma questa dell'organismo che corre o non corre dietro
al progresso e fìssa o non fissa lo sguardo nei nuovi orizzonti, è
retorica di cattivo gusto e storicamente insostenibile. Ma quale altro
stato mai in Italia ha fatto di queste corse, ha avuto di quelle vi-
sioni, se non pochi decenni prima dulia rivoluzione francese? E con
quale fortuna ? Oggi, è vero, amiamo correre di quella tal corsa af-
frettata, anche a rischio di romperci il collo; amiamo esercitare
l'astronomia dei e nuovi e vasti orizzonti », anche a rischio di ve-
derci meno di prima ; ma non so quale altro Stato, dopo Roma, possa
vantare una vecchiaia cosi lunga e gloriosa e rispettabile, come la
Repubblica Veneta.
Messina, Vittorio Gian.
Amelia Zamblbr, Contributo aUa storia détta Congiura Spagnxióta
contro Venezia, - Venezia, Fratelli Visentini, 1896.
La congiura spagnuola, di cui l'anno 1618 segna la fase culmi-
n&nte, fu uno dei fatti più misteriosi della storia di Venezia, e perciò
subito divenne argomento di supposizioni, quindi di studi che inte-
ressano tuttora gli storici, giacché la questione non è ancora risolta
interamente. £ a questo fatto importantissimo delia storia d'Italia,
^^ signorÌDa Amelia Zambler consacrò le sue ricerche di solerte
8t\2dio8a, delle quali oggi è risultato questa sua pubolicazione. Ma
P®p rilevare l'importanza di questo lavoro sono oecessarie due parole
^ fatto e sugli scrittori che se ne sono occupati.
^^^^esino all'ingiustizia e fa meraviglila in uno studioso come il Mar-
^^1 al quale ai potrebbe chiedere, fra altro, se quel!' « alito vivificatore »,
"l>ec XV al XVIII, fosse l'alito che veniva giù dall'Alpi e su dal mare
c^ le soldateaobe di Francia, di Spagna o di Austria.
9) Cfr. p. 26 del cit. opuscolo Le relazioni dei Provveditori ec.
180
lUSSEONA BIBLIOORAriCA
li trattato (li Madrid (IfllT), che componeva decorosamente gl'in-
tei'essi dì Carlo Emanuele I colla Spagna, e quelli della SereniBsima
noli' arciduca Ferdinando d'Austria nella vertenza degli Uscocchi,
accendeva maggiormente negli Spagnuolì l'odio accanito da essi
nutrito contro Venezia, che sola ia Italia, col Duca di Savoia, osava
contrastare ed opporsi alla loro sconfinata prepotenza. Un sonlo
conflitto fii la necessaria conseguenza di tale odio, dì cui erano in-
terpreti principali Don Fedro di Toledo, marchese di VìUaftanca e
governatore dì Milano; il marchese di Bedmar, ambasciatore di S, M.
Cattolica presso Venezia ; e p ri nei pai issi mo, Don Pietro Gìron duca
d' Ossuna, viceré dì Napoli. Alle loro instancabili mene rispose la
Repubblica colla sua scaltra pohtica, che deluse sempre i loro at-
tacchi senza mai incorrere in qualche inavvertenza, che meritasse
rimostranza. E ta vigilanza usata su tutto e su lutti dal governo '
veneziano, il prudente riserbo che involse, per fini di alta politica,
gli atti dì giustìzia punitrìce (specialmente quelli del KìlSl, a cui
dovè ricorrere contro gli agenti dei suoi implacahili nemici, fecero
subito correre ia voce che il viceré di Napoli, e con esso il Toledo
ed il Bedmar, avessero tentato per mezzo dì alcuni soldati avven-
turieri francesi, d' impadronirsi della città per tenerla soggetta come
Napoli, come Palermo e Milano, dopo averla abbandonata al sac-
cheggio.
Di quegli atti, dì quella voce si occuparono gli storici con di-
versità, di criteri; chÈ il velo misterioso, nel quale Venezia tenne,
anche dopo, avvolti ì mezzi coi quali aveva scoperto e represso 1»
congiura, non era atto a limitare le ipotesi. Vero è che il Nani, come
istoriografo della Bepubblicn, narrò l'accaduto iti tutta la sua ge-
nuinità; ma né l'avere attinto ai documenti segreti, né l'essere vis-
suto in tempi in cui tutti i personaggi della congiura erano scom-
parsi e le cause di essa cessate (quindi calmate le passioni) gli
guadagnarono fede ; anzi si direbbe che il semplice racconto della
verità scaldasse viepiCt la fantasìa nelle supposizioni. Il Leti, il
Saint-lléol, il Darti ne fecero un vero romanzo, in cui la Serenissima
non figurava per lealtà; nò più conformi alla verità storica fìirono
le ìpolesi dello Chambrier; soli, il Banke ed il Raulich, prima l'uno
sussidiato da' documenti tratti dagli Archivi Veoezìani, poi l'altro
con documenti spognuoli, vennero a lumeggiare e commentare Ift
storia veridica del Nani, pur confutandone (il Rankeì qualche da-
duzione, ma ammettendo incontrastabilmente la verità di un odioso
attentato degli Spagnuoli contro Venezia.
Ambedue però studiarono quella che ho chiomato, fin da prin-
cipio, faae culminante della congiura, cioè i fatti del 1G18, aooen-
ZAMBLER, CONGIURA SPAGNUOLA CONTRO VENEZIA 181
nando di volo sui precedenti che questi fatti avevano avuto. Ed è
appunto di questi precedenti che la Zambler si occupa nel suo la-
voro, mettendo in pieno rilievo il carattere dell' Ossuna e il suo
operato contro Venezia.
L'Aut volle risalire ai primi tentativi della congiura, cioè al 1617
(che senza di ciò non veniva spiegata tutta la parte avuta dall' Os-
suna nella tenebrosa faccenda) profittando dei documenti che le offri-
vano l'Archivio degli Inquisitori di Stato di Venezia, e quella mi-
niera inesauribile che è l'Archivio di Stato di Firenze, da quei due
storici non consultati. E la fortuna le fu favorevole. Mercè il car-
teggio dei Besidenti della Serenissima e di quelli della corte di
Urbino a Napoli, seguendo passo passo l'operato dello Spinosa e
del Grimani, ambedue complici e strumenti del Duca fin dal 1616,
ma lasciati in disparte o appena accennati dagli storici, ella ha
ritessuto la tela ordita dall' Ossuna ai danni della Eepubblica di
S. Marco, comprovando interamente la veridicità del Nani e l'im-
portanza della critica e dei documenti portati dal Eanke e dal
Haulich. Che se quelli pubblicati dall'illustre tedesco mettevano in
piena luce la trama del 1618, autenticando che non era stata parto
fantastico dei Veneziani, i documenti della Zambler, rannodandola a
quella del 1617 e alle macchinazioni che seguono fino al 1630, di-
mostrano non solo che doveva esistere tra l' Ossuna ed il Pierre
Isk connivenza di cui ci parla il Ranke medesimo, ma che il cor-
saro francese più che proporre interpretò gli arditi disegni dello
2i$pagnuolo. E se il Raulich poi riusciva a provare la reità del Bedmar,
c^he non parve al Banke sufficientemente dimostrata dal Nani, la
'^^lambler viene a confermare l'asserto di lui, con prove non meno
c^onvincentì, restando cosi, per mezzo di essa, autenticato una volta
<li più che la congiura è realmente esistita e che ne fu istigatore
xxiassimo l' Ossuna, e con esso il Toledo ed il Bedmar.
Questo il lavoro della giovane scrittrice. Il suo metodo d'espo-
ni adone è semplicissimo : seguendo il filo cronologico dei fatti, ella
Xàon & che commentare e interpretare i documenti che li mettono in
l>ìena luce, e in cui si trovarono coinvolti i personaggi della congiura,
xiel 1617; e siccome dei primi due agenti dell' Ossuna, nessuno si
Ora occupato particolarmente, ella ne segue le azioni, in quanto
allo Spinosa, finché non è condannato al patibolo, in quanto al Gri-
XQaniy traditore delia patria sua, finché non le vennero meno i do-
cumenti, cioè fino al 1630. Certo, come si vede, non si può stabilire
un confronto fra questo lavoro e gli altri sopra citati, che la Zam-
bler completava colla sua pubblicazione; che diverso era il lavoro
che ad essi incombeva, e diversi sono i fatti di cui ciascuno si è
182 RASSEGNA BIBUOGRAFICA
occupato, per quanto tutti mirassero allo stesso fine, cioè, a rilevare
la verità della congiura e la reità dei personaggi accusati dalla pub-
blica voce e dal Nani ; tuttavia questo non la cede ai precedenti per
l'importanza dei documenti, la particolarità degli episodi, la pazienza
deir indagine e la precisione delle ricerche. Anzi, se qualche appunto
dobbiamo fare ali* autrice, è d' essere stata minuziosa in certi parti-
colari, sovrabbondando di note anche quando la verità era ormai ri-
sultata chiara e lampante dalle citazioni del testo. Eppure ad essa,
a cui facciamo tale addebito, dobbiamo rimproverare una lacuna :
come mai ella non ha riportato le parti segrete più interessanti (p. 24 )
di quella citata dal Romanin, a carico dello Spinosa ? Il suo asserto
sarebbe rafforzato doppiamente dalla prova e dal confronto. - Qual-
che digressione, e* è parsa inutile, e abbiamo notato che la forma
non sempre le corrisponde alla intenzione dell' arte. Forse anche la
critica storica non si eleva a grandi altezze, ma non lo richiedeva lo
stesso soggetto, ormai sfruttato in quel campo, maestrevolmente, dal
Eanke e dal Raulich. Volgari strumenti di un ambizioso potente, lo
Spinosa e il Grimani, non porgevano agio a nessuna alta considera-
zione, e soltanto servendo a mettere in rilievo i concetti della mente
che li aveva guidati e istigati, limitavano P autrice a semplici inda-
gini, che contribuiscono colla forza dei documenti, e rendere indiscu-
tibili tutte le ipotesi dei due critici sopra citati. Ma questo largo
ed importante contributo portato dalla Zambler alla storia della con-
giura avremmo voluto vedere esposto in sintesi al principio del lavoro,
acciocché la mente del lettore, vedendo sùbito chiaro lo scopo della
scrittrice, ne potesse seguire senza sforzo l'analisi minuta, e rile-
vare tutta l'importanza dell'opera sua, che ci sarebbe piaciuta di
vedere altresì riassunta alla fine del libro, con delineare nettamente,
sia pure con brevi parole, le due figure da essa illustrate.
Avellino, Ida Masetti Bbncini.
La Vita italiana nel Seicento, Voi. I. Storia; Voi. II. Letteratura;
Voi. ni. Arte. - Milano, F."* Treves editori, 1896.
La quinta serie delle letture della Società fiorentina, s'apre con
la lettura di Guido Falorsi, intitolata: DaUa pace di Castd Cam-
brese a quella dei Pirenei,
E nn buon riassunto storico. Dopo un cenno rapido e compiut
sul « delirio di oltrepotenza » di Filippo II, che « potè vedere cog
LA VITA ITALIANA NEL SEICENTO 183
« occhi propri i primi vacillamenti ed i crolli dell* edificio, eh* egli
« aveva reputato imperituro >, e alla cui morte parve che un in-
cubo letale si togliesse di sul cuore all' Europa, tocca di Enrico lY
o di quel suo concetto grande degli Stati Uniti d'Europa e delle
conseguenze dell'opera politica del Richelieu e del Mazarino.
Rileva poi, giustamente, come non meno crudele degli « auto
< da fè » spagnoli fosse la resistenza dei dissidenti maggiori, i Cal-
vinisti e Cromwell, ad esempio, e quanto la politica mettesse d'or-
rore in quelle celebri stragi che si compirono in nome della fede :
viene indi alle congiure. Il Burlamacchi, il Pucci, il duca di Norfolk,
i Guisa, il Somerville, il Babington, il Biron, i congiurati delle Pol-
veri, il Gerard, il Eavaillac, gli eccidi perpretati dai privati, (in
buon punto ricordasi Cristina di Svezia) ci passano innanzi agli
occhi in ima ridda vertiginosa e terribile. Ma, con tutto questo,
quel secolo lasciò legati preziosi di pensiero alla posterità.
L'A. descrive poi lo stato politico e sociale d'Italia dopo la
pace di Cateau Cambrèsis fermandosi in specie su quello delle Pro-
vincie soggette a Spagna, sui torti e sui meriti indiscutibili del Pa-
pato in quei tempi, terminando con concludere anche per l'Italia
nostra che il pensiero, nel Galilei soprattutto, di fra gli orrori ci-
vili si levò libero e gagliardo, ponendo i fondamenti del bene per
il futuro.
La Reazione cattolica porge materia ad Ernesto Masi per una
di quelle sue conferenze che si ascoltano e si leggono con diletto
grandissimo.
E come un seguito all'altra lettura da lui tenuta l'anno prece-
dente sulla Riforma in Italia. - In settant' anni, dal convegno di
Carlo V e di Clemente VII a Bologna fino agli ultimi del sec. XVI
1^ reazione cattolica contro la Riforma si compie. Le tiene testa il
^^0 rinascimento pagano che non è ancor finito, e durante il quale
I' indifferenza ha destato in molti un dubbio, un cruccio doloroso.
Cyon Adriano VI, non fosse che per poco, il sentimento religioso si
"-miovò e la Chiesa capi, d'allora in poi, di dovere o riformarsi o
poxire. Però, all'opera che a tal uopo ella imprese non le diede im-
P^^so tanto il diffondersi della Riforma in Italia quanto la violenza
^^ rtbellione ch'essa raggiunse in Germania. E neppure può deter-
^^^«trsi bene il trapasso dalla lieta fioritura dell'arte alla manie-
^^^^ ipocrisia spagnolesca.
Il Masi parla poi del celebre Concilio. Ci piace riportare il suo
^*^^^^izio sul Sarpi. « Il suo libro somiglia al Principe del Machia-
^'^^lli. Nel Principe, coi fatti della storia alla mano, si mostra con
181
RA9SB0NA BIBLIOGBAHOA
e elle arlt si tbadi e si miLotosga udo Stato in tempi corrotti. Nel
< libro del Sarpi si mostra con clie arti si pretenda riformare una
< religione, quand' essa e il tempo sono corrotti del p:iri ». I Ge-
suiti e la corte di Boma prev.tlsero in quel Concilio, il quale per-
ciò non corrispose alle speranze degli spiriti più temperati fra i
dissidenti e dei più elevati ft-a i cattolici, ed esaminando l'opera
dei papi ohe durante esso regnarono, prova il Masi il suo asserto.
Lealmente rileva egli i meriti che, accanto alle colpe, ebbe la com-
pagnia di Gesù. Uicerk'a poi gli effetti che il rinnovato sentimento
religioso in parte sincero, ma in massima fondato sul terrore, portù
nella vita sociale, nella letteratura, nell'arte.
Roma e i jìapi nel Seicento è l'argomento della tcr/a lettera, di
Domenico Gsoli.
Chi oggi esamini Iloma, resta colpito innanzi tutto dalle ric-
chezze che profuse in essa l'arte del Seicento, caposcuola i! Bernini
< Il distacco di tanti popoli dal Vaticano per opera della fiiforma
« aveva risvegliato nella Chiesa una vigoria di cui non la si sarebbe
« creduta capace ». E cercava di esplicarla nell'arte per nascondere
le parziali sconfìtte, nonché per contribuire alla grandezza di quelle
famiglie principesche ohe ogni papa cercava di far qnanto più po-
tesse nobili e ricche, da che il nepotismo di politico s' era latto
domestico. Per i pala;t;ii dei cardinali nipoti allora Eoma si allargò
su tutti i colli e l'amore di tutto quello che b sontuoso e magnifico
la pervase. Ma quell'aristocrazia non ebbe mai alti lini: fu soltanto
decorativa; neppure un uomo vi trovava Cristina di Svezia. E men-
tre costei la incitava ad una turbinosa gara di feste, ecco venir su
la satire di Pasquino. Descrive qui l'A. alcune di quelle pompe ce-
lebri, veri circenses del Seicento, che da ogni avvenimento qualunque,
da quelli di più alta importanza politica a' più comuiii, traevano
occasiono: banchetti, macchine spettacolose, processioni che finivano
in orgie volgari ed in risse. Tocca poi dell'etichetta, delle franchì-
gie degli ambasciatori, del Santo Ulizio : chiude anch' egli nel noma
saato di Galileo.
Pompeo Moluehti tratta Iai decadaua di Venezia.
È, più che una dissertazione storica un quadro tratteggiato da
un artista. Venezia già cosi potente, splendida e lieta, serba ormai
queste ultime due qualìtiV solamente. L'alternarsi continuo di gran-
dezze e di bassezze che dura tutto il secolo, la lotta di Cambra!,
quella contro il Papa Paolo V per t'interdetto, quella contro l'Au-
stria e contro la Spagna istigatrìce nella guerra contro gli
à
LA VITA ITALIANA SSL SEICENTO
Aà, nell'occasione della congiura del Bedmar, nella tragedia del Fo-
I^Boarìni e io infinite altre occasioni 1' hanno gfìbrata. Aggìungant<i la
leresciuta lascivia del costume, specie nelle donne; la cresciuta vio-
|t1«nza individuale clie qua e !à, come in Leonardo Pesaro, porta tino
) alle feste T efferatezza del delitto; le famìglie che tutt«,
tranne i primogeniti, imputridiscono e si spengon nei chiostri ; que-
ste ed oltre cause che da queste derivano avviano la gloriosa Re-
pubblica per quella china fatale che raramente ormai la virtù illu-
mina dei suoi bagliori, come durante la guerra infelice di Candia, e
coi soltanto infiora l'arte vivace di Alessandro Vittoria, del Car-
paccio, di Palma 11 giovane, e E mentre la letteratura, vuota dì
« concetti e di passioni, 8i rìdueeva a un giuoco di forme, a una
« pazza ridda di metalbre, nelle limpide notti veneziane Galileo afiis-
€ sava le stelle, e le stelle mormoravano alle orecchio dell' uomo i
Lf aegrali del cielo >.
f
Segue la conferenza di Guido Mazzoni: La fìatlaglia dì Le-
panto e la poF.tia poetica dd secolo X VI.
Tra il grande avvenimento e l'arte di chi volle contarlo la spro-
porsione fu troppa. 11 Mazzoni, ricordando Baiardo, Barletta, il TO'
valleresco carattere di Luigi XII e di Enrico II e la breve ma bella
odissea di Gastone di Foix, dimostra come l'epopea sussistesse an-
cora nella vita ; se non che l'arte che segui le forme petrarchesche
« romansesche non seppe renderla mai. Una certa eflicaoia ebbe
«SSB nelle forme popolari, ma queste son tuttavìa molta paglia e
poco grano. Accennato all'Olimpo da Sassoferralo, al Bernì e al Gui>
dìccioni, esamina i numerosi Lamenti delle città corse dagli stra-
nieri, ridicoli spesso, non mai poetici; quelli, ad esempio sul Sacco
di Roma e sull'Assedio di Firenze. MiRliore è La guerra di Camol-
lia. La nostalgìa della patria lontana appare solo in un sonetto dì
Cral«(LZZ0 di Tarsia e in uno di Luigi Alamanni. Con tatto ciò l' Ita-
lia, adattatosi ormai ai veltri spagnoli, nel trentennio che segui
il 1565 non cessò mai, per paura forse più che per fede, d' invocar
la gnerra contro il Turco. Le fuste barbaresche infestavano i lidi,
l'eco epica dei paladini e dei crociati confusi con quelli durava; e
il Tasso si levò, ispirato. Ma quei che vollero, o nell' epica o nella
lirica consacrar Lepanto fanno pìelL 11 Mazzoni descrìve la gior-
del 7 ottobre 1571 con vivacità di artista vero, esamina poi i
rooi poeti, fra i quali i dialettali e burleschi sono i più sopporta-
'bUi. Lasciando slare i secentismi orrìbili, il fatto si è che non sep-
pero interpretare e rappresentare la storia nella sua rispondenza
ool sentimento umano.
186 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Giovanni Bovio parla dipoi del Pensiero italiano sei sec. XVI L
Conferenza concettosa e troppo densa, forse, nella redazione scritta.
Premesse alcune generalità, il Bovio tratteggia la vita dei quat-
tro sommi pensatori d'allora: il Sarpi, Giordano Bruno, Galileo, il
Campanella; e finisce con dire che quel secolo proclama già che
« Evolversi è causarsi » ; e che la matematica applicata già dai
Galileiani a tutto lo scibile e la proclamata unità individuale umana
portarono fin d'allora alla moderna libertà!
Di Galileo, della sua vita e del suo pensiero discorre deliberata-
mente, e com'egli sa, Isidoro Del Lungo.
Comincia col far notare come a Pisa, quando Galileo nacque non
fossevi altra tradizione che artistica, e che la scienza, là come altrove,
non era che quella filosofìa secolare autoritaria, pei molti assalti
del risorgimento e de' nuovi mistici negativi (come il Pomponazzi, il
Bruno e altri) ridottasi a sopravvivere solo in quanto teneva fronte
al progredire del pensiero. Questo progredire mosse dal dubbio : gli
die logica e sicurezza di metodi il Galilei. Il Del Lungo ne tratteggia
con rapidità e colorito vivace la prima vita, di lettor di matema-
tiche a Pisa, le prime scoperte, i diciotto anni felici a Padova, in
mezzo a una maggiore larghezza di studi : la costruzione del telesco-
pio e i primi fatti del cielo per la prima volta rivelatisi a un uomo.
Poi lo scambio di idee col Keplero e il ritorno a Pisa come lettore
mediceo e l' ossequenza dei Gesuiti alle sue scoperte e la trionfale
lettura del Nunzio Sidereo nella primavera del 1611. Aveva cin-
quant'anni e gli si era svelato l'universo: s'accingeva egli a spiegarlo
agli uomini : ed ecco i Dialoghi de* massimi sistemi e il martirio.
Il Del Lungo lo descrive con semplicità dignitosa e commo-
vente. Le prime intimazioni, le polemiche, le calunnie presso Ur-
bano Vili, la straziante andata a Eoma del 1632, le prime proteste,
e poi la violenta menzogna e l'abiura del 22 giugno 1633. Ma, come
il Del Lungo poeticamente dimostra, l'uomo non mutò né rinnegò
mai. E immensamente grande appare la vita di lui negli ultimi
nove anni, colla prigionia e le dure interdizioni e la cecità e la
morte dell'angelica figlia. Pure furon di quegli anni i Dialoghi di
scienza nuova, su cui la fisica moderna si fonda, e in quegli anni il
Milton lo visitò; e l'anno ch'egli mori perdonando, Newton nasceva.
« Dei grandi sacerdoti dell'umanità l'uno consegna all'altro, di se-
« colo in secolo, la lampada inestinguibile: lampada tradunt! ».
Su Giambattista Marini tenne la sua lettura Enrico PANZACCni.
Prende le mosse dalla fama sperticata di gran poeta che il Ma-
LA VITA ITALUNA HKL SEIOKSTO 1BÌ
> godè; piLSsa n mostrare non pochi scambi di elementi artistici
1 ftiroao tr» lui e In letteratura Irnncese; deBnisce e aiìoliiza, il
MntÌBino quale desiderio di amplificare in maniera nuova il già
noseiuto. Bene a. proposito richiama qui i manierismi che eran
i nei mistici medìoeTalì, in Dante, nel Petrarca, nel Poliziano,
U'Ariosto, specie in certe descrizioni della natura; e quanto il
^iddetto < secentismo * tripudiasse in molti scrittori dei quattro-
Snto. Nel seo. XVII lo assunaoro come forma legittima d'arte per-
chè la vita 8'era venuta fatturando e artifìciando, mancandole ogni
alto scopo; e per il bisogno irreirenato di ottenere lo stupore. Il
Janiaochi disserta qui briosamente sul traaUto, con eleganti raf-
; parla poi dell'.irfone, Ne scruta ì difetti gravi e notissimi
i riconosce però anche de'pregì di grande modernità.
inferenza di Oi:|ni>o Guerkini sopra Alesiiaiidro l'ausoni.
X)etto fra quale iicadimento d'ogni manifestazione della vita il
ìsé, De tratteggia la vita di studente e dì cortigiano
j-ju^cendo a mettere in giusta luce, mediante Io studio delle sue re-
n-r^iani con Àaoanio Colonna, con Carlo Emanuele e con Maurizio di
p^H^-oiA, come & poco a poco venisse a formnrsi quel suo carattere
,|t^^Tito mordace da prima, pieno di fiele dappoi. Piena d'interesse
^ «juesto punto, la storia dei libelli scagliati contro il poeta dagli
.-v-^rsarl. Coscienzioso l't'same delle opere, delle quali il Guerrinì
^e.t«3 in rilievo l'indole paradossale e argutissima; delimitando nella
'«TCi^ùi rapita i confini entro i quali gli elementi di quella poesia si
^no, scrutandone il valore etico e facendo un utile raffronto col
. immortale del Cervantes,
■OLFO Vbntcri tenne la seguente conferenza: / CantKei età
f «cuoio.
Bpftriti i geni del Cinquecento, i loro imitatori impesantisoono,
Kiaoono tutto nelle formule ; il colore non canta più ; tripu-
il chiaroscuro e il carminio o il cobalto. La contro- riforma
BBpixi^e l'arte addietro, a rappresentar la sofferenza, come nelle
Ul barbariche. In mezzo a tali condizioni sorgono i tre Carracci a
lol^^zia che nna sola tradizione artistica aveva : il Francia, Lodo-
fìoo ■fv il più assimilatore ; Annibale ebbe più ardore, .agostino jiiù
aloolo. Soccorse al primo il chiaroscuro, Agostino cadde vinto dal
«io eclettismo; Annibale, il meglio dotato da natura fu meglio in-
Snìto dù Veneti. Comincia, per Agostino, l' analisi accademica delle
lei corpo umano: piaga dell'arte anc'oggi grave-olente;
.baie più degli altri due senti Ìl colorito e l'equilibrio
RASSEOyA BIBUOGBAFICil
delle sne figuro; ern, anche uella vits, più assorto nell'arte. Volle
tornare all'antico, ma non raggiuntie Rafiiiello; non lo senti come
lai. Pure l'arte dei Carracci penotrii nel palazzi principeschi d'Italiii
6 nelle chiese, par ii suo fatto: passò di li dallo Alpi, dovunque
tentando di rendere l'antico decoro, E quell'arte educò Guido Beni
che, se nelle teste de'suoi Cristi coronati di spine seppe rendere il
dolore dell' anima, nello carni alabastrine però non mise Io spasimo
chiesto dalla contro-riforma per ridestare la fede. L'Albani, ricer-
catore d'espedienti gli fu compagno; lezioso non senza geninliln;
mentre i! Douienichino e un quattrocentista smarsito nel seicento;
profondo e candido sempre; mentre gli ultimi due della scuota car-
raccesca, il Cavedooi e ìl Quercino cercano, l'uno la policrouia gaia
dei veneziani, l' altro il sublime delie tenebre. Tali, nel complesso,
i giudi/i del Venturi, dei quali, schiettamente parlando, dacché iji
non possiamo discuterli, lasciamo a lui tutta la reuponsabilità.
Parlò da! Barocchismo ìl compianto Enrico Nbnciosi.
ITna causerie com'egli solo sapeva farne, dove i concetti eodo
eidpoHti senza quell'aria dottrinale che li fa astrusi; ma piuttosto
significati con una serie di descrizioni suggestivamente armoniose.
Dimostrato che il barocchismo ò, nel 'tiOO, ì! carattere essenziale
di tutte le manifestazioni della vita avverte quanto importi not&re
la diversità di espressioni che esso ebbe nell'arte dei sommi e degli
infimi. Citato, dalle prediche del padre Orchi, un viluppo di meta-
fore strampalate, passa a rilevare la grandiosa genialità di alcnni
artisti: ed abbiamo qui un bel saggio critico sul Bernini. Le COB-
clnsioni dell' A. sono bellissime per la loro giustBz;{a. Il Beruini fa
scultore in sommo grado pittorico e Ja sua architettura è sempre
trionfale. Capi la poesia dell'acqua, e le sua fontane restano tipi
j>ertetti. Si criticano gli svolazzi delle sue statue: ma quanto bene
rispondono al largo paesaggio che fa da sfondo ! Egli ebbe vera-
mente il senso A&ÌV ambiente. Esamina quindi, il Nencionì la Santa
Teresa del Bernini, ud capolavoro, la biblica solennità della piazza
di San Pietro, la marmorea selva vìvente delle statue della Basilica.
La lioma barocca à quella che all'occhio dell'artista si impone di
più; perchè quell'arte rispose davvero a quella vita tutta sussiego
tutta decorazione; e quei i)iir(:hi e queUe ville sombrano serbarne
ancora 1' eco : t sono come il gu^^cìo d' un animale sparito, lo Bche-
« latro fossile di una vita durat.'t più di due secoli... Che sbisso
< fra quella gente e noi! La Ilivoluzione francese, come un formi-
* dabile terremoto, ha spezzato e separato due mondi : dì uiezxo, vi
« corre oggi un terribile maro, che uon sarà mai superato
4
LA VITA ITALIANA NEL SEICENTO 189
L'arte della fine del '600 e quella del secolo seguente porge
materia al Nencioni per una serie di quadretti disegnati mirabil-
mente. La stravaganza e il « virtuosismo » che, morto il Bernini,
si disfrenano; la meccanica teatrale che allora comincia ad assor-
gere a scienza ; l' etichetta del punto d* onore con tutte le sue sud-
distinzioni cavillose; la nota stridente che mette in quella vita il
viaggio dei rozzi legati moscoviti, la politica feroce e la fredda la-
scivia larvata; le imagini imparruccate, gli enormi conventi silen-
ziosi, le zingare ardenti che appariscono a fronte delle giunoniche
dame francesi, i processi degli unitari, i paesi o tetri o melanconici :
Poussin, Claudio di Lorena, Salvator Bosa.
Conchiude l'A. dimostrando che, specie di fronte alla decadenza
che segui dipoi, questo barocchismo fu, nella sua passionata ricerca
del nuovo a ogni costo, essenzialmente moderno.
Segue La commedia deWArtCt conferenza di Michele Scuerillo.
Dopo € le monotone rifritture dell'augusto repertorio classico »
(cosi chiama lo Scherìllo le commedie ariostesche) si davano le mo-
resche, composizioni mimiche, le quali ai pubblici piacevano assai
più. £ le compagnie d'istrioni vaganti che improvvisano sopra un
canovaccio comune qualcosa che, più del dialogo plauteggiante, so-
migliava al linguaggio della vita comune, certo contenevano i germi
d'un teatro nazionale che avrebbe dovuto un giorno fiorire. Di al-
cune di quelle compagnie narra l'A. i ricordi che qua e là lascia-
rono; segnatamente quella celebre degli Andreini. Ci duole che,
tranne l'utile accenno di alcuni caratteri trasmigrati da essa nel-
l'immortale opera Shakespeariana, la Commedia dell'Arte non abbia
ispirato all' A. una lettura meno erudita e letterariamente più im-
portante.
La Musica nel secolo X VII fu trattata da G. Alessandro BiagOl
Dottissima conferenza che si divide in due parti. Nella prima
s'insegna per quali vie si giungesse dalla teorica astratta, accop-
piandola colla melodia, a venire a una teorica precisa e razional-
mente umana del suono ; nella seconda come nacque e si svolse fino
alla sua perfezione il melodramma. Si parla in essa principalmente
dello Scarlatti. Ci duole di non poter riassumere più largamente
perchè incorreremmo, come il Biaggi, nella necessità di usar troppi
tecnicismi. Questo possiamo aggiungere ; che la tesi, sottintesa co-
stantemente in tutta la conferenza, è la necessità della melodia.
Bologna, Edoardo Coll
GmuLAMO Mancini, Ctsrtona nel medio ei'o.
secchi, 1897. - IG.', pp. viii-39G.
AJIk vetusta città situata in modo cosi pittoresco sulla altn
ricca di olivi cbe guarda a mex/ogìorno il Trusìmeno e domina a.
ponente la vSiSta e ubertosa pianura della Val di Chiana, maacnvn
una storia che narrasse le vicende clie uc compaio aro no la sua non
ingloriosa autonomia e quelle successive al disparire dì i^uesta fìuo
alla caduta della libertà dì Firenze. A tale mancanza ha supplito
completamente il cav. Girolamo Mancini col libra da lui rei'ente-
mente pubblicato in Firenze e che ha per titolo Cortona nel medio
ei:o. Bello e (pur troptio) raro esempio di patrizio dotto e operoso,
11 Mancini non ha creduto che la nobiltà del sangue e il largo ceuso
dispensino chi ne è rivestito dall' acquistarsi meriti propri e non
ereditari, mettendosi in grado di essere utile al proprio paese nel
disimpegno di pubblici uffici, che appunto al patrizi sono meglio
che ad altri affidati, quando però se ne sieno resi meritevoli con lo
studio e con la operositii. Deputato al Parlamento nazionale dal 1865
al ItìTO pel collegio dì Cortona, sindaco di quel comune, consigliere
municipale e provinciale, egli ha sempre lodevolmente corrisposto
alla fiducia in lui riposta dai suoi concittadini ; ma i suoi meriti
rilulsero anche maggiormente nel cami>o della storia e della erudi-
rìone, dove è assai conosciuto per le vite di Leon Battista Alberti
e di Lorenza Valla, oltre molti altri scrìtti importanti da lui pub-
blicati in varie epoche. Posto da oltre venti anni al governo della
Biblioteca comunale di Cortona, il Mancini non ha risparmialo opera
e denaro proprio per arricchire con nuovi e Importanti acquisti la
collezione dei manoscritti che ivi si conservano e ne ha compilato
e pubblicato il catalogo, frutto dì lun^ e paziente lavoro. Era sua
intenzione, com' egli stesso avverte, di pubblicare le notizie medioe-
vali rinvenute nello spogliare lo pergamene possedute dalla Acca-
demia Etruaca dì Cortona, della quale egli è Presidente o, come si
dice con vocabolo che rammenta gli antichi tempi cortonesi, Lucu-
mone ; ma cresciutagli in mano a dismisura la materia per le notizie
da lui rinvenute nei documenti dell'Archivio di Stato dì Fìrense e nei
codici recentemente acquistati per la patria Biblioteca, allargò il di-
segno del suo lavoro, che è riuscito 11 volume del quale ci occupiamo.
Il libro del Mancini è distribuito in quaranta capitoli, distinti
in tre partì, di cui la prima, più copiosa e più Importante, narra
in quindici capitoli la sWirla di Cortona retta a comune libci-o fino
al 1325, inipìegamlone poi oltrl quattro por la descrizione di istitu*
MANCINI, CORTONA NEL MEDIO EVO 191
zìoni e costumi, e uno pel largo compendio dello statuto mimici-
pale. La seconda parte comprende in dieci capitoli l'epoca che si
riferisce al principato dei Casali fino al 1409 ; e l' ultima, pure di
dieci capitoli, da quell'anno si estende fino alla caduta della città e
contado nelle mani degli imperiali nel 1529.
Le numerosissime citazioni che si trovano in questo libro, di-
mostrano il lungo studio impiegato dall'Aut. nel raccogliere ampia
mèsse di notizie da storie e cronisti editi e inediti, ma principal-
mente dai documenti posseduti dagli archivi di Stato di Firenze,
Siena e Pisa, da quello comunale di Cortona, dalla locale Biblioteca
e dall'Accademia Etrusca. Molte di queste citazioni potevano sop-
primersi e ad altre supplire con note a pie di pagina, riportando
poi alla fine dei capitoli o di ciascuna parte dell'opera integralmente
o per estratto qualcuno dei documenti più importanti ; ma se il si-
stema adottato affatica qualche poco il lettore e riveste quando a
quando la forma arida delia cronaca, raggiunge però completamente
l'intento di narrare la storia in base ai documenti e alle memorie
del tempo. Se l'abbondanza straordinaria del materiale raccolto è
riuscita talvolta d'imbarazzo all' A. nella compilazione del suo la-
voro, gli si deve però tener conto della imparzialità della narra-
zione e della esattezza e serenità dei giudizi.
La prima parte comincia dallo esporre le condizioni in cui trova-
vasi il territorio cortonese e la sua popolazione al principio del medio
evo, ma poco se ne conosce della storia intorno al mille, per la man-
canza di documenti dell'epoca. Le prime notizie riguardano vertenze
e guerre coi perugini fra il 1065 e il 1198. L'opinione del Guazzesi che
Cortona fosse soggetta al dominio temporale del vescovo di Arezzo,
contrastata già dall'Alticozzi nella sua Risposta a]X)logetica, è riget-
tata anche dall'autore. Quello che è certo si è che a Cortona, come
altrove, potenti famiglie di conti dominavano e opprimevano le popo-
lazioni rurali, mentre la città aveva incominciato a reggersi da se
stessa, contrastandosi il potere grandi e popolari. Le università ru-
rali, la cui esistenza è provata nel cortonese da un documento
del 1219, si collegarono con quelle cittadine e riunite formarono il
comune, lottando contro la prepotenza dei conti, che finirono per
sottomettersi al principio del secolo XIII.
Il comune di Cortona prosperava, quando divampò il conflitto
fra Gregorio IX e la casa imperiale di S ve via e incominciarono le
funeste lotte tra i fautori della Chiesa e quelli dell'Impero. Gli are-
tini, da collegati essendo divenuti nemici di Cortona, convenne a
questa far lega con Perugia per difendersi ; e vi riusci, perchè gli
aretini che cavalcarono contro Siena e Cortona nel 1281 rimasero
Hseidl
1
sconQtti, Ivi vertviiza frn Arezxo e Cortona nnc<)ue seRondo l'A. 4ftl
rifiato di queat'ultiinii n pagare bI vescovo di Areijio i diritti flsctU
dovuti all' impero, e a luì rilasointi dall' imperatore Arrigc
diploma del 17 giugno 1052. Ridotti quasi ormai nominali
ooll' Impero, e gU altri comuni non pagando più quei diritti
imperatori, riusciva duro a Cortona il corrisponderli al vescovo
Arezzo; il vescovo Martino, irritato del rifiuto, ottenne dal
die Cortona fosse scomuniciita. Il di luì successore Marcellino
degli accordi che fallirono, ed egli stesso fu preso e, come credesi,
messo a morte dnlle genti imperiali Al passaggio di Federigo II
dalla Toscana, La lite lu riassunta dal nuovo vescovo Ouglielniino
Ubertini, che ottenne sentenza a suo lavoru ; mn Cortona contini
a disobbedire e la scomunica tti rinnovata nel 125.H.
La prima metà del XIH secolo, non ostante le turboleni
vraccennate, fu l'epoca della floridewa di Cortona, Depositati
suprema autorità erano i consoli quando prevalevano i popolnrif.
potestà quando prevalevano i grandi ; perciò questi apparlei
sempre a famiglia magnatizia. Dopo il 1230 le università
non ebbero più rappresentanti nei consigli, e il popolo urbano
sorbi il potere dividendolo in apparenza col comune, i
caricando sul contado la parte più gravosa degli oneri pubi
Continuò a esistere l'universitft dei comune eomjwsla degli abii
della cittA e del contado che pagavano dazi, ma tutto il pot«rs
lo arrogò l'università del popolo, ossia gli abitanti dello cìtUL Qui
alla milizia, tutti i maschi validi delle famiglie ohe pagavano
erano obbligati al servizio militare ordinario e straordinario,
occasione di spedizioni militari, i rettori comandavano
Del contado un determinato numero di fanti o cavaliei
berata l'oste generale, tutti Ì comunisti prendevano le armi. La
Talleria era composta degli appartenenti alle famiglie più cospiottì
che ricevevano dal comune una somma annua pel mantenimento
del cavallo. Fu durante questa epoca di floridoaza che farono co-
struiti i palazzi del comune e del jwpolo, la chiesa di S. Frani
e altri edifizì, apei'ta una nuova strada nella parte elevata
città e collocata una beila fontana nella piazza del comune.
La notte del 1-2 febbraio l'ióH Cortona fu presa a tradirne)
dagli aretini condotti dal vescovo Ouglielniino, ohe per rioora]
sarli renunziò a loro vantaggio ai diritti temporali che vantava
Cortona, La città fu in parte guasta ed incendiata e moltissimi ci
dini andarono a rifugiarsi a Castiglione Chiusino, detto oggi del li
Uguccio Casali alla testa di 700 profughi cortonesi, andò a rin
zare l'oste ghibellina e combattè valorosamente a Montaperti (4
M
MANCINI, CORTONA NEL MEDIO EVO 193
tembre 12G0). Ck>^ coli* aureola del valoroso capitano comparisce
nella storia cittadina la famiglia che divenne poi signora di Cortona.
Dopo la vittoria di Montaperti, i profìiglii cortonesi si accorda-
irono col vescovo Guglielmino, e rientrati in città il 25 aprile 1261
avendo alla testa XJguccio, si dettero a rifabbricare le mura guaste
e fecero poi pace cogli Aretini. Ma non ostante la pace, Cortona
xitenne tuttavia fama di ghibellina e fu refugio di fuorusciti fioren-
'tini e senesi. Mentre il comune si trovava Panno 1274 in difficili
oondizioni economiche, dovette pagare 500 fiorini d^oro al re Carlo,
che, rimasto dopo 1' uccisione di Corradino indisputato signore del
!Kapoletano, spediva in Toscana vicari deputati ad esìgere denaro.
Le arti già partecipavano al reggimento del comune e si prepa-
ravano ad esercitar la suprema autorità, come a Firenze e ad Arezzo,
anche a Cortona. In questa ultima città, che era divisa in terzieri
(S. Maria, S. Marco, S. Vincenzo), i dodici consoli delle arti, eletti
ed approvati del Consiglio Generale, erano scelti in nimiero di quat-
'tro i>er terziere e risedevano tre mesi Nel consiglio poi di cre-
denza o speciale, entravano i rettori delle undici arti, che erano le
seguenti: 1. Medici, speziali, barbieri; 2. Cambiatori, mercanti di
panni, sarti ; 3. Mercanti di bestie ; 4. Macellai ; 5. Scarpollini ; 6. Le-
gnaioli; 7. Mugnai, fornai; 8. Lanaioli; 9. Fabbri; 10. Calzolai;
11. Albergatori, tavernierL In diversi contratti del gennaio 1278
comparisce il priore dei consoli e déUe arti dd popolo del comune di
CorUmOj che era allora Uguccio Casali.
La penitente Margherita, che fu poi una delle glorie di Cortona
sebbene non vi fosse nata, rivolse al vescovo Guglielmino fervorose
esortazioni, consigliandolo a lasciare le imprese guerresche e i ma-
neggi secolari, vivendo da sacerdote e padre del popolo e della pace.
Furono parole gettate al vento : Guglielmino rivolse le armi contro
i Fiorentini e rimase sconfìtto e ucciso a Campaldino (11 giugno 1289).
Gli successe nel governo della Chiesa di Arezzo Ildebrandino dei
conti da Eomena, che trattò con Cortona pel riscatto dei diritti
dell'episcopio e fu convenuto che il vescovo vi renunziasse, rice-
vendo annualmente 1000 fiorini.
Arrigo VII tornando da Eoma incoronato, fu accolto a Cortona
con grandi onoranze nel settembre 1)U2 ed ebbe dai cortonesi 1000
fiorini d'oro, ricevendone il giuramento e dichiarandoli sottoposti
immediatamente alla camera imperiale e in pieno possesso del di-
ritto di libertà. Morto Arrigo a Buonconvento il 24 agosto 1313, fu
ordinato novamente il comune, che Tanno precedente era presieduto
dal Vicario imperiale e ora novamente dal potestà: i popolari poi
riacquistarono il reggimento del comune nel 1319.
AacB. Stob. It., 5.t iSerie. — XX. 13
Cortona non ebbe molostio dnllo turbolente prodotte dalle Im-
prese guerresche di Guido Tiirlatf vescovo di Arexxo. Perft, btbo-
tata per opera di Ranieri Cnaiili unn coapirnxìone dei magnati per
riafferrare il potere nel lH2:i o una seconda l'anno buccbssÌvo per
rientrare nella uittA, dalla quale erano fuggiti dopo scoperta la con-
giura, si senti il bisogno di premunirsi oonlro un nuovo colpo c\ìp
i magnati stossi potevano tentare coli' aiuto dai Tarlati, famiglia
■utsai potente dì Arezzo, cho faceva oiubra aaolie a Firenze. l'or far
ciò, si pen!(ò a smembrare il comune di (Cortona dalla diocesi di
Areszo e costituirlo in diocesi separata, il che facilmente si ottenne
dal papa Oiovanni XXIT con bolla 19 giugno 1326, easendo il ve-
scovo Quido Tarlati scomunicato e ribelle olla Chiesa. Al nuovo ve-
scovado furono assegnati i diritti spirituali e temporali di ogni
specie appartenenti nel cortoneae al vescovo di Areiso, compresi
i 1000 fiorini pattuiti nell'accomodamento di che sopra h menziona:
Guido fu nuovamente scomunicato o deposto dalla seda episGopnle.
Le ire dei Tarlati avendo fatto divenir più gravi lo gelosìe e
i pericoli di lotte fra AreitEO e Cortona, fu creduto opportuno per
tutelarsi di concentrare l'autorità suprema nello mani di un solo.
Ranieri Casali aveva svelato le trame dei magnati nel 1323, aveva
lavorito il distacco di Cortona dalla diocesi aretina, discendeva dal
valoroso Uguccio condottiero dot cortoueai a Montapertì O restau-
ratore della patria; egli era l'uomo della circostanaa e venne fatto
.Signoro a vita del comune il '2(< ottobre 1325: questa signorìa di-
venne poi ereditaria nella sua famiglio.
Narrate le vicende politioho di Cortona innantl allo stabili-
mento del principato, viene l'A, a parlare degli islStutl di benefi-
cenza, delle pie confraternite laicali, dell 'agricoltura, della moneta oc,
coUogandovi anche notizie relative ai tempi del principato dei Ca-
sali Ii'AIticozzi afferma che nel lOlG gi& esisteva fuori lu porta
S. Maria un ospi^^io (honpilale). Un testamento del 124^ ricorda tre
spedali e l'Ainal/vaa, ossia ricovero pei lebbrosi : un altro spedale,
quello di S. Giuliano a Bovarco, fu donato dal vescovo UugUelmtno
libertini alle monacbo di Targia nel 1250, Per iniziativa di s. Mar-
gherita ebbe principio nel 128(1 la casa di S. Maria della Misericor-
dia, governata da una fraternità di uomini e di donne, per soccor-
rere e sostentare gli indigenti, i conventi poveri e i carceratL Altri
ospizi sorsero in progresso di tempo in città e nel contado, e tutti
ricevevano offerte e donazioni : vi fiirono pure le oonfrntemìte dei
Laudesì e dei Disciplinati, con chiesa e cappella propria, arricohitt
di largizioni e di doni.
Lo stato permanente di guerra, prima per le prepotenze de^
MANCINI, CORTONA NEL MEDIO EVO 195
conti rurali, poi per le gelosie e rivalità dei popoli, riusci fatale
alla cultura dei campi e all'allevamento del bestiame. L'A. cita una
memoria del notaro Luigi Ticciati (pubblicata neìVArchivio storico,
serie 5.^, voi. X, pp. 252 e segg., sulle condizioni déWagricoltura dd conr
tado cortonese nd sec. XIII) j desunta dall'esame del protocollo nota-
rile di Orlando di Griffolo dal 1272 al 1278 esistente nell'Archivio
comunale di Cortona, dalla quale si vede come fino da quell'epoca
nel territorio cortonese era g^à incominciata la evoluzione verso il
sistema agricolo di colonia parziaria che in appresso prevalse. In-
fatti, nelle tre specie di contratti agricoli che dal Ticciati si ravvi-
sano nel protocollo di Orlando (il lavoro, il fìtto e la soccida), in
generale il frutto dei campi e il guadagno delle bestie era diviso
per metà col proprietario del terreno e col sovventore del denaro.
Si coltivavano nell'agro cortonese anche la robbia e il guado per
la tintura dei panni, culture oggi affatto abbandonate.
In moltissimi documenti cortonesi esaminati dall'A. si trovano
a diverse epoche dal 1199 al 1304 menzionate per pagamenti le mo-
nete bolognesi, pisane, senesi e aretine. La moneta cortonese non
apparisce nelle contrattazioni che dopo il 1260, e correva dopo quel-
l'epoca in Valdichiana e nei territori vicini. Ne esistono attualmente
pochi e rarissimi esemplari, mentre sono abbastanza comuni le tes-
sere o monete convenzionali.
L'anno nel calendario cortonese si contava a nativitate, cioè
dal 25 dicembre, fìnchè, passata Cortona sotto il dominio del co-
mune di Firenze, fu adottato nel 1415 l'uso fiorentino di contare
l'anno ab incamaiione, dal 25 marzo.
Numerosi, come altrove, furono nel medio evo a Cortona i no-
tari, della cui arte si conserva nell'archivio comunale lo Statuto
del 1321. L'A. trova strano il costume di stipulare i contratti nelle
piazze, nelle strade, presso le botteghe ed anche nelle chiese. Però
è da avvertirsi che tale usanza era in quei tempi comunissima ed
aveva la sua ragione in questo, che i contratti per la massima parte
si stipulavano nei giorni di fiera e di mercato.
Il cap. XX, ultimo della prima parte, incomincia con giustis-
sime considerazioni sulla importanza che hanno gli statuti munici-
pali per far conoscere l'organismo dei comuni, le leggi civili e pe-
nali e i costumi delle popolazioni. Non si sa quando Cortona inco-
minciò a darsi la propria legge municipale. L'atto di pace con Arezzo
del 1266 ed altri documenti del sec. XIII rammentano lo statuto :
in alcune pergamene dell'Accademia Etrusca è ricordato lo statuto
dell' 11 ottobre 1289; ma il più antico conosciuto è quello del 1325
esistente nel r. Archivio di Stato di Firenze, entrato in vigore nel
RA3SECHA BIBLIOORAVIOA
dopo ottenuta àa Ranieri Casali la Signi
questo capitolo. Gli
iD permettono di difibn-
im por tantissima del libro del Manci
19C
dicembre di quell'anno
e del quale l'A. àk un
guati confini concessi i
dersi su questa parte
limiterò solo a dire che questo compendio basta per formarsi un con-
cetto abbastanza completo dei consigli e nffiei del i
speciali, sistemi tributari, servizi militari, proventi pubblici, pesi e
misure, igiene e polizia, istituti di beneficenza, arti e commercio,
agricoltura, istruzione pubblica e usanze diverse locali. Ci augo-
riamo cbe il di. A. possa in avvenire pubblicare nella sua integriti
quel prezioso documento, che tanta luce sparge sulla storia della sua
città nativo.
Banieri Casali resse Cortona durante '25 anni, che non passa-
rono tranquilli, perche nel 1382 vi fu una cospirazione contro ili
lui, eccitata dei Tarlati di Arez>;o e cbe aveva a capo il suo pro-
prio fratello Ugiiccio, ma che fu domata e mandata a vuoto dal
popolo. Le guerre fra 1 vicini, alle quali Cortona non poteva essere
estranea, e le scorrerie delle compagnie di ventura danneg^arono
assai il paese ; oltre a eia la peste, quella descritta dal Boccaccio,
vi fece assai vittime nel 1348. Tuttavia Eanieri fece durante il
suo regime buone ed utili riforme e mori nel 135-1, succedendogli
nel principato il figlio Bartolommeo. Questi, dopo di essersi ricon-
ciliato coi Tarlati, pur vedendo ohe non ostante la pace generale
di Sarzana [1363) la guerra ricominciava, e considerata la posiziona
topografica di Cortona cbe si trovava fra tre potenti nemici, Fi-
renze Siena e Perugia, volle averne uno alleato e scelse Sieua, con-
cludendo un' accomandigia per 35 anni, e ne ebbe grandi onori re-
candoviai di persona nel 13'jO. Anche contro di lui cospirò il fra-
tello Iacopo, ma senza riuscire. Le guerre, le depredazioni militari
e le compagnie di ventura avevano depauperato il contado; a que-
sti flagelli si un) la peste, di cui fu preso anche Bartolommeo e ne
mori U 13 luglio 13fi3.
La città prosperò sotto il regime di Francesco figlio di Barto-
lommeo ed a lui succeduto, ma le popolazioui rurali ebbero molto a
soffrire per le compagnie di ventura allora moltiplicate. Non ostante
l'umanità di Francesco, vi fu tma congiura contro la sua vita, dalla
quale scampò rimanendo ferito a una spalla. F^ll si mantenne sem-
pre fedele a Siena e mori di peste nel 1375.
Niccolò-Giovanni aveva soltanto 'J anni qnando succedette al
padre Francesco, sotto la tutela di Giovanni Varano e Ilario Gri-
foni. Chiodolina sua madre era incinta quando mori il marito, e paiv-
tori nel marzo 1376 un bambino che fu tenuto a battemmo d» t
MANCINI, CORTONA NEL MEDIO EVO 197
oratori del comune di Siena e chiamato Francesco Senese. Dal 1379
al 1382 continuò e aumentò il flagello delle compagnie di ventura.
Niccolò-Giovanni giovanissimo sposò Alda figlia di Guido da Po-
lenta di Eavenna, ne ebbe \m figlio, Aloigi, e mori di pesto il 27
giugno 1384.
Successero a Niccolò-Giovanni il fratello Francesco Senese e il
figlio Aloigi ancora lattante, dei quali assunsero la tutela Azzo
Ubaldini e Ilario Grifoni. L'autorità che godeva quest'ultimo destò
la gelosia di Uguccio figlio di Bartolommeo Casali, che eccitato dalla
madre Beatrice Castracani fece assassinare Ilario (1 settembre 1384)
e si fece riconoscere per signore col nipote Francesco Senese e il
bisnipote Aloigi. A Firenze essendosi assoggettata Arezzo, parte
della Valdichiana e della Valle Tiberina, i confini fiorentini tocca-
vano il cortonese: coscichè Uguccio nel 1387 chiese ed ottenne Pac-
comandìgia di Firenze, atto che i Senesi qualificarono per ribellione.
Scampò al pericolo di essere avvelenato da un medico insieme a
Carlo Visconti cognato di Giovanni Acuto. Egli ora asceso al po-
tere per mezzo di un assassinio, fu sfrenato nelle passioni e spesso
crudele; però mutò vita improvvisamente dopo venuta in Cortona
la divozione detta dei Bianchi: si recò in Firenze .per assistere gli
appestati con la figlia Ermellina, e vi mori con lei di contagio il
di 11 ottobre 1400.
L'A. ricorda pure Allegrezza figlia di Iacopo Casali, che rima-
sta vedova di Giovanni Della Bocca di Pisa, si fece religiosa e sotto
il nome di Suor Marta visse e mori santamente verso il 1413.
Francesco Senese, che aveva sposato nel 1397 Antonia Salim-
beni, dopo la morte di Uguccio assunse il potere insieme al nipote
Aloigi. Ebbe sempre ottime relazioni con Firenze e rinnovò Pacco-
mandigia per so e per il nipote. Fu buono e savio reggitore del
comune, che durante la sua dominazione fu poco disturbato dal pas-
saggio delle compagnie di ventura. Aloigi, che agognava il potere,
coli 'aiuto di alcuni sicari assassinò lo zio 1*11 ottobre 1407 e fu ri-
conosciuto per signore. L'A. ci narra che Aloigi era disequilibrato di
mente ; fìi dunque doppia colpa pei rappresentanti del popolo corto-
nese accettare il dominio di un uomo riconosciuto per pazzo e as-
sassino. Un principato incominciato cosi male, non poteva durare
a lungo né finir bene. Gregorio XTI aveva concesso al re Ladislao
di Napoli già padrone delle Marche autorità su lloma, Perugia, lo
Homagne e Bologna. Questo re giovine e intraprendente, lasciata
Roma nel marzo 1409, mosse con un poderoso esercito verso la To-
scana. Scoppiata la guerra, i Fiorentini mandarono ad Aloigi il com-
missario Iacopo Gianfigliazzi con soldati a piedi e a cavallo che
198 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tennero in rispetto i regi. Pare che Aloigi trattasse nel medesimo
tempo col re e coi Fiorentini ; è certo però che i cittadini erano as-
sai malcontenti e tumultuavano pel suo malgoverno. Intanto, non
si sa bene come accadesse, Aloigi rimase prigioniero, i regi entra-
rono in città, e il re Ladislao fu riconosciuto signore di Cortona
nel giugno 1409.
Cosi fini il governo dei sette principi Casali, dei quali furono
buoni, qual più qual meno, Banieri, Bartolommeo, Francesco, Fran-
cesco Senese, Niccolò-Giovanni : cattivi Uguccio ed Aloigi, che acqui-
starono il potere colPassassinio e lo esercitarono in malo modo.
Le magistrature stabilite a tempo del comune libero rimasero
anche durante il principato; ma i Casali, che erano signori a bac-
chetta, cioè principi assoluti, intralciarono talvolta la regolare azione
delle leggi statutarie. Poco cambiarono in quel tempo le leggi e punto
le costumanze, le monete, gli usi agricoli. L'A. ricorda alcuni ospizi
eretti durante il principato dei Casali e fa per ultimo menzione di
fra Bicciardo da Cortona agostiniano, autore di un Giardinetto di
devotione, che visse in quel tempo.
La terza ed ultima parte del libro del Mancini, che dalla sog-
gezione di Cortona a Ladislao va fino al 1529, è più breve delle due
precedenti e in qualche punto anche meno ordinata, sebbene non
meno completa.
iPoco tenne Cortona Ladislao, che depauperato da 14 mesi di
guerra che avevano anche rovinato il paese, venne a patti coi Fio-
rentini e cedette loro Cortona col contado, Pierle e Mercatale per
60,000 fiorini il 7 gennaio 1411. Il eh. A. in questo punto e in qual-
che altro luogo del libro ricorda con rammarico questa compra della
sua patria fatta da Firenze, che sempre ne aveva agognato il pos-
sesso. Certamente non è bello, sebbene non raro a quei tempi, il
modo col quale Cortona venne ad essere soggetta a Firenze, e per
questo ben può dire l'A.
.... il modo ancor m' offende,
ma Firenze aveva a queir ora già assorbito Arezzo e Pisa, la cui im-
portanza era ben altra che quella di Cortona; poteva questa durare
ancora ad essere autonoma, mentre a Ladislao sarebbe in ogni modo
sfuggita di mano ? Se dopo V assassinio di Francesco Senese il po-
polo di Cortona, invece di riconoscere per signore Aloigi che si
presentava con le mani lorde ancora del sangue dello zio, si fosse
dato allora ai Fiorentini, l'unione sarebbe avvenuta con maggior
decoro di ambedue le parti : in ogni modo rammentiamoci che lo
MANCINI, CORTONA NEL MEDIO EVO 199
sparire delle piccole autonomie fu il primo passo verso l' unificazione
della- patria italiana compiutasi ai nostri giorni
La Signoria di Firenze si dette a ordinare il nuovo acquisto,
eleggendo il Capitano di custodia con piena autorità e giurisdizione
sulla cittÀ: nel contado stabili due potestà indipendenti da lui La
sottomissione della città e territorio fu fatta il 30 marzo di quel-
la anno e ratificata il 6 aprile successivo. Primo capitano di custodia
fu Niccolò Bellacci, che si dette anzitutto a stabilire gli uffici del
comune, cioè un magistrato di sei priori e xm consiglio di venti-
quattro cittadini, tutti da nominarsi per estrazione dalle borse, un
camarlingo generale e un cancelliere del comune. Fu in seguito sua
cura di fare correggere lo statuto mimicipale da una commissione
di undici riformatori, fra i quali primeggiava il dotto giureconsulto
Andrea Alfieri, che può riguardarsi come autore principale del nuovo
statuto presentato dai riformatori il 26 settembre 1411. Questo,
meglio ordinato di quello vecchio, è diviso in cinque libri ; e l'A. dà
un sunto delle disposizioni principali, che ci fa desiderare di cono-
scerlo per intiero, e nel capitolo seguente (xxxiv) accenna le prin-
cipali modificazioni introdotte colle successive riforme fino al 1526,
fra le quali sono notevoli alcune disposizioni suntuarie e quelle per
la formazione del nuovo catasto.
Pochi avvenimenti degni di nota ebbero luogo nei 118 anni che
corsero dalla soggezione di Cortona alla Eepubblica fiorentina fino
alla gloriosa caduta di questa. Come nelle altre terre soggette ai
Fiorentini, i soli abitanti della città, e fra questi quelli ligi alla fa-
zione prevalente a Firenze, furono ammessi alle magistrature, perchè
i nomi dei cittadini imborsati per l'estrazione dovevano essere ap-
provati dal capitano. La Signoria di Firenze fece alcune concessioni
a Cortona: fu rimesso il prezzo del sale stabilito da Francesco Se-
nese, abolita una prestazione di cera che faceva carico al clero, ri-
lasciato al comune V introito delle multe, purché pagasse il capitano.
Le truppe di Filippo Maria Visconti duca di Milano sconfissero nel-
Talta valle del Tevere quelle di Niccolò Piccinino condottiero dei
Fiorentini ; e questi vedendosi trascurato dalla Eepubblica, passò agli
stipendi del Duca. Gli abitanti della montagna cortonese profittando
di questo stato di cose si sollevarono a favore del Duca (1426); ma
le truppe duchesche avendo abbandonato la Toscana, i montagnini
furono riassoggettati e puniti i capi della insurrezione. Altra volta
(nel 1440) le milizie del Piccinino, d* intelligenza con alcuni cittadini,
minacciarono Cortona; però la trama fu scoperta e il Piccinino si ritirò.
I cittadini ammessi a esercitare le magistrature caricavano in-
giustamente la maggior parte dei pesi pubblici sul contado, per cui
200 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
erano sorte scissure fra i cittadini e i rurali, con minaccia di guai
anche peggiori (1461). Per rimediarvi la Signoria di Firenze divise
amministrativamente la città dal contado, che nel 1463 ricevette il
suo statuto speciale. Questo dissidio poi fini e il contado fii nova-
mente riunito alla città nel 1474.
Le armi posarono in Toscana con gran vantaggio dei popoli
dal 1463 al 1478. Noi 1479, dopo la congiura dei Pazzi, si mossero
ai danni di Firenze lo milizie del papa Sisto IV e di Ferdinando di
Napoli. I Fiorentini si collegarono por difendersi coi Veneziani, nel
cui esercito aveva elevato comando Mollo da Cortona, morto poi in
battaglia presso Bagnacavallo nel 1484, Vi fu guerra con varia for-
tuna, che fini colla paco conclusa a Napoli da Lorenzo dei Medici.
Il nuovo stato popolare, sorto a Firenze dopo la cacciata dei
Medici, fece a Cortona alcune concessioni che furono ben gradite ai
cittadini. I partitanti della famiglia cacciata, che erano riusciti a
ribellare Arezzo, riuscirono pure a impadronirsi di Cortona nel 1502,
profittando della circostanza che la città era desolata dalla peste; ma
le armi francesi di Luigi XII ebbero presto ricuperato ai fiorentini
Arezzo e Cortona. Si chiude il cap. xxxix con una non breve nar-
razione sul cortoneso cardinale Silvio Passerini creatura di Leone X
e di casa Medici e si arriva alla seconda espulsione di questa famiglia.
Giorni di calamità si avvicinavano per Cortona. Il nuovo reg-
gimento popolare successo in Firenze ai Medici, Pcbbe in sospetto
di parteggiare per costoro, e la trattò con durezza. La peste, la
carestia e le depredazioni militari la desolarono, e intanto si avvi-
cinava, comandato dal principe di Grange, V esercito che Carlo V e
Clemente VII mandavano a distruggere la libertà fiorentina. A di-
fesa di Cortona si trovavano tre sole compagnie, una delle quali
comandata dal valoroso capitano Goro Stendardi da Montebeniohi,
700 soldati in tutto, col commissario Kafiaello Bagnesi. Giunto
r Grange a Camucia il 14 settembre 1529, intimò la resa, che h. ri-
fiutata. Nei giorni 15 e 16 1* Grange fece battere la città dall'arti-
glieria, e i difensori, aiutati anche dai cittadini, fecero bravamente il
loro dovere ; non cosi il commissario Bagnesi, che preso dalla paura
si chiuse nella rocca. Ma la mancanza assoluta di artiglieria, il pie-
col numero dei difensori e la persuasione di non ricevere soccorsi,
decisero la città ad arrendersi, come fece il giorno 17. L' Grange
promise di non danneggiare i cittadini e di sottrarli al saccheggio,
ma volle la taglia di 20,000 fiorini, ritenendosi dieci cittadini in
ostaggio finché non fosse interamente pagata.
Colla caduta della città nelle mani degli imperiali si chiude la
storia di Cortona nel medio evo, limite alquanto prolungato come
MANCINI, CORTONA NEL MEDIO EVO 201
riconosce anche VA, (pag. 369), che nei precedenti capitoli dà notizie
relative a usi, istituzioni, costruzioni di edifizi sacri e cortonesi il-
lustri, che procureremo riassumere in breve.
Il cap. XXXVI contiene interessanti notizie sul prestito ad usura,
del quale fu concesso il privilegio agli ebrei nel 1405 durante il
principato di Francesco Senese, e confermato anche in appresso
sotto il dominio fiorentino. Per sottrarre in parte i bisognosi alle
eccessive usure degli ebrei, verso il 1471 venne istituito dal comime
il Monte dei poveri, che ebbe breve durata, perchè nel 1476 si trova
novamente appaltata l'usura agli ebrei con successive riconferme.
Finalmente nel dicembre 1494 i priori di Cortona, considerando
quante ricchezze e quanti patrimoni erano rimasti assorbiti dalle
nefandissime usure degli ebrei, proposero la istituzione del Monte di
Pietà, che fu infatti fondato e che conta adesso più di quattro se-
coli 4i vita.
I diversi ospizi dei poveri nella città e territorio di Ck)rtona
nel secolo XV non davano più alcuna utilità; per cui nel 1440 fu-
rono riuniti alla Casa maggiore della Misericordia, meglio dotata e
cara alla cittadinanza perchè istituita da s. Margherita. Con la
riunione dei patrimoni e col retratto della vendita delle case degli
antichi ospizi, fu deliberata la edificazione della nuova fabbrica per
lo spedale della Misericordia, che divenne l'istituto caritatevole più
cospicuo della città e di cui fu murata la prima pietra il 10 no-
vembre 1441.
Si aggiungono qui notizie sulla Unione dei luoghi pii, cioè delle
compagnie dei Laudesi e dei Disciplinati, e sulla istituzione di posti
di studio a carico del patrimonio di quella Unione; ma Puna cosa
e l'altra avvennero in tempi posteriori a quelli che l'A. si è pro-
posto di descrivere.
Nella seconda metà del secolo XV venne rinnovata e ingrandita
la vetusta chiesa della Pieve, che divenne l'attuale Duomo di Cor-
tona. Sebbene sia rimasto ignoto il nome dell' artista incaricato del
lavoro, l'A. espone delle considerazioni apprezzabili, in ordine alle
quali ritiene che ci ebbe parte notevole il celebre architetto Giu-
liano di Sangallo. Mentre si lavorava alla rinnovazione della Pieve,
che procedeva lentamente per difficoltà pecuniarie, fu incominciata
a costruire nel 1485 sul disegno di Cecco di Giorgio senese, la bella
e grandiosa chiesa del Calcinaio, che vedesi a poca distanza dalla
città. Di altra chiesa pur essa poco fuori di Cortona, quella cioè di
S. Maria nuova, sono date copiose notizie storiche. Questa chiesa,
più piccola di quella del Calcinaio, ma non meno degna di essere
ricordata, fu costruita col disegno del cortoneso Battista di Cristo-
202 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
fanello (del quale è pure la facciata del palazzo già Laparelli); fu
incominciata nel 1550, cioè in tempo posteriore al periodo col quale
chiudasi la narrazione.
Marco di Michele, prete cortonese e poi frate minore nel se-
colo XV, lasciò moltissimi codici nitidamente copiati di sua mano,
aggiungendovi anche di suo prologhi, glosse e notizie. Scrisse an-
che due opere di notìzie e biografìe, che hanno però poco valore.
Oltre di alcuni dipinti di sommi artisti esistenti in Cortona,
PA. parla del bellissimo reliquiario di metallo dorato che dal 1458
si conserva nel Duomo, e del suo donatore, il cortonese Iacopo Va-
gnucci già vescovo di Perugia, che ebbe uffici importanti sotto i
pontefici Niccolò V, Callisto III, Pio II e Sisto IV.
Dopo aver ricordato brevemente Luca Signorelli, gloria somma
artistica di Cortona, VA, dà molte e interessanti notizie sull'archi-
tetto cortonese Domenico Bernabei, detto Boccadoro, scolare del San-
gallo, che passò in Francia in giovine età e vi rimase facendo molti
ed importanti lavori, e vi mori verso il 1550.
Chiudiamo questa rassegna con una considerazione che sorge
spontanea dalla lettura del libro del Mancini. Cortona, travagliata
prima dalla prepotenza dei conti rurali, poi dalle guerre delle città
vicine e dei nemici lontani, dalle discordie intestine e dalle scor-
rerie delle compagnie di ventura, non ebbe pace durevole nel tempo
che si resse a comune libero, né durante il principato dei CasalL E,
sebbene la prima metà del secolo XIII sia dall' A. riguardata come
l' epoca della sua maggior floridezza, pure fu soltanto dopo la sog-
gezione al dominio fiorentino che incominciò per Cortona un periodo
di quiete, durante il quale si riebbe l' agricoltura, fiorirono artisti e
letterati e sorsero importanti monumenti religiosi e civili.
Bucine (Arezzo). Iacopo BiccmBRAL
Hans Sohulz, Der Sacco di Roma; Karls V Truppen in Rom (1527-28).
- Halle a. S., Max Niemeyer, 1894. - 8.^ pp. 188.
In questo studio, frutto di indagini diligenti, l'interesse e l'im-
portanza di una copiosa mèsse bibliografica superano di molto il
valore intrinseco della nuova e ritentata ricostituzione storica di
quel clamoroso avvenimento, che fu il Sacco di Eoma del '27. Certo
lo S., nella seconda parte della sua operetta, lo narra con esattezza
scrupolosa, e con vivacità di colore ; e, seguendo le fasi della guerra
tra i collegati di Cognac e le milizie di Carlo V, predilige dar r»-
SOHULZ, IL SACCO DI ROMA 203
gione di quelle varietà di movimenti tattici, che superavano la ra-
pida marcia del Borbone e dei Lanzi ; ma, nel ritentato esame dei
viluppi diplomatici, i fini politici e il vero significato di quell* ardue
imprese non mi pare ohe in questa monografia ricevano maggior
luce che nelle opere del Eanke, del Gregorovius, del Baumgarten.
Strano che lo S. ignori l'opera del De Leva su Carlo V; eppure
in essa non vi è questione spettante all'argomento che non sia
stata affirontata. Nò mi sembra che i nuovi e preziosi documenti
vaticani, che lo S. pone in luce alterino per nulla quel criterio
di giudizio, che è ormai acquisito alla scienza. Con questo non
vogliamo affermare che la memoria dello S. non abbia il merito
di aver meglio determinate le linee secondarie del quadro, arric-
chendo di particolari ignorati il racconto, sopra tutto per l'uso più
ampio ch'egli ha fatto del ricco e vario materiale su l'argomento.
La partizione bibliografica è bene intesa, ma con rigore storico forse
eccessivo. La bibliografia delle fonti è divisa cosi: 1.° Corrispon-
denze di ufficiali pubblici di parte imperiale ; 2.° Id, di parte papale ;
3.** Relazioni private ; 4.® Memorie ; 6.° Scritti d* occasione. Sotto que-
sta rubrica lo S. aggruppa anche gran parte delle stampe popolari
più o meno rare, tedesche, latine, francesi, spagnuole, che si difiu-
sero in Europa, dopo il Sacco. Q,^ Opere storiche.
Un esame attento dei singoli documenti autorizza spesso lo S.
a congetture e a rettificazioni. Cosi, ad esempio, un dispaccio dell' 8
giugno 1527, che ci dà preziose notizie su le condizioni di Eoma
dal giorno dell' entrata degli Imperiali sino alla capitolazione del 5
giugno 1527, e che fu pubblicato dal GalifiB e dal Fick (1) con l' attri-
buzione a Mercurino da Gattinara ambasciadore di Carlo V, appar-
tiene invece (come già aveva felicemente intuito Carlo Milanesi) (2)
al nipote di lui Giovanni Bartolomeo Arborio da Gattinara, cancel-
liere del Begno di Aragona, e reggente del Lannoy nel Begno di
INapolL Cosi pure, accennando alle lettere del F. Guicciardini e alle
Storie, coglie nel segno afiermando che il racconto del Sacco in esse
lia scarso valore in confronto d'altre narrazioni particolari; e che
per di più le lettere di lui, per tutto il periodo che fa luogotenente
generale al Campo presso l'esercito della Lega, rivelano scarsa
£ducia nel successo delle armi papali, sia per la poca unità del co-
mando, sia per la deficienza dei mezzi pecuniari (3). Affatto ignorata
(1) Cfr. n sacco di Roma nel 1527, Ginevra, 1866.
(2) Il Sacco di Rima nel MDXXVII, Firenze, Barbèra, 1867.
(3) Nuove prove delle ansie che agitavano F. Guicciardini luogote-
nente generale del Pontefice a Parma, quando fallito all'esercito della
rimase fin qui unn lettera, di uq Arrivnbene Gavardo aii un suo
zio Girolamo Gavardo bresciiino, di cui lo S. ebbe il testo da un
tardo apografo, che si trova nel cod. C, 1. 5 della Quirìniana di
Brescia. La ro^za narrazione del Gavardo lia uno speciale iatereese,
percbè egli tii ai servigi della marcbesana di Mantova, come stal-
liere, e rimase a Roma anche dopo il Sacco. Quundo infatti Isabella
Gonitaga dopo otto giorni dalla sua venuta l'uggì, il povero stal-
liere rimase febbricitante dì paura nella città eterna, e assistè alle
soene più tristi di quella orrenda carnelicina.
La monografia dello ScLuIz consta di più oapitoli : la marcia
contro Roma; U Sacro e la pi-i{/ioiiia del Poiìlefice; Imperatore e
Papa ; la ritifata da Roma. Pur non riassumendone il contenuto,
osserveremo che se il racconto di quei fortunosi avvenimenti, ohe
sì svolsero dalla CormaKione della Lega di Cognac (22 maggio 1536)
fino al febbraio 1528, ci iipparisce più chiaro ed ordinato per certa
integrazione del particolare, a Qui Io S. ha provveduto, anche i do-
cumenti vaticani eh' egli inette in luce non ne modificano gran fatto
la interpretazione. Un'tilta idealità polìtica: anaìentare la podestà
temporale del poutìScato, ridurre l'Italia a discrezione dì Carlo V
(nel momento in cui il movimento religioso in Germania, fallito ogni
tentativo di imporre il concilio a papa Clemente, costringe l' Impe-
ratore ad una tacita alleanza coi Luterani) ispira indubbiamente,
tra titubanze e sospetti, le audaci risoluzioni e le simulate trame
del Vice-Be di Napoli, e di Mercurino da Gattinara. Ma che il sa-
cerdozio sia finalmente prosciolto dai viluppi mondani, che Roma
non dia più occasione di scandalo, che a Dio si renda quel che è
di Dio, e a Cesare quel che i dì Cesare, e che la marcia su Homa
e la prigionia del pontefice abbiano avuto un così fermo e chiaro
obiettivo è più, secondo noi, affermazione vanitosa e spavalda dei
suoi ministri, che non viva luce nel pousiero dì Carlo V (I). Anche
Lega il tentativo d' im|iedire il congiungimento dei Lniist del Frundsberg
con gli Spaguuoli usciti <li Milano sottfl ti comando del Duca di Burbon»,
rimasero apart« alle loro violeime, Firenze e Bouia, ci ha offerte L. Srjtr-
FETTi nelle Ltttert ùiedile di F. (! uicctardini inl^smo al patuaggio delle genti
del FVundsberg e del Borbone p^r l'Emilia e per la Homagna nel ME7
(Modena, tip. Vincenzi, 189fi). I.e lettere sono otto p vanno dal dic«mbn
del l»'2tì all'aprile del '27. Questi documenti trasse lo Stafletti dal t. Ar-
chivio di Massa.
(1) Bendo vìve grazie al iirof, G. Paoli dì avermi fatto conosoere,
prima dì licenziare olle stam|« il presente artioolo, il reoent? opuscolo
ili H. Omo-h'i vouutoin luce doi") In pubWlCTzione ddlo Sohulz: Lti naia
ila 'tic 'le Itnine /mr tct Imperiaux i-l /a Kniiipnj/ne 'Ir Laulrcc eli Ilnlir, Jimr-
SCHULZ, IL SACCO DI ROMA 205
dalle ricerche dello Schalz, ampliate sopra un materiale più vasto,
appare evidente che, durante quell'alternativa continua di tregue
e di accordi reciprocamente ingannevoli tra i ministri imperiali e
papa Clemente, che va dalla prima prigionia di lui fino all'ultimo
e definitivo e più illusorio tentativo di armistizio tra il Lannoy e
il papa (28 marzo 1527) - che non impedi a quest'ultimo di conti-
nuare e nutrire la guerra -, Carlo V non dubitò d'imporre alle più
gravi condizioni possibili una pace definitiva, e si lusingò di otte-
nerla, anche quando le truppe si accostavano a Boma.
Ma i fatti precipitavano in modo da rendere per gran parte
irresponsabile Carlo V dell'immane disastro. Quando infatti il Lan-
noy, pregato dal papa di andare incontro al Borbone per indurlo
al rispetto della convenzione del 18 marzo, mosse da Boma il 13
aprile, non fece a tempo a incontrarlo a S. Maria in Bagno il 18
di quel mese, secondo il fissato. Baplda, sotto un impulso di una
febbre di sangue e di rapina feroce, era stata la marcia dei Te-
deschi e degli Spagnuoli per la Toscana. Il Lannoy invece si era
lasciato indurre dai Commissari fiorentini ad accettare un abbocca-
mento col Guicciardini; ma mal pratichi delle vie montane, con le
popolazioni rurali ostili, che li minacciavano per vendetta dei danni
già patiti dalla passata di quelle genti, nò rintracciarono il Guicciar-
dini, nò poterono saziare i Lanzi degli ottantamila fiorini, che il
Borbone avea richiesti da Firenze, se voleva esser salva; sicché,
stanchi di attenderne il pagamento, avevano levato il campo e pro-
seguito il cammino. Cosi avvenne che non prima del 20 aprile il
Lannoy raggiungesse il Duca, a Pieve S. Stefano, nò le accoglienze
festose, nò gli onori che gli furono fatti al campo lo illusero cosi
da credere che il Borbone si sarebbe persuaso al rispetto della
convenzione accettata dal Papa. Il fatidico nome di Boma esaltava
le truppe imperiali, e il duca di Borbone era ormai deciso a seguirne
mU d*un Scrittore de la Penitencerie Apoatolique (dee. 1527-april 1528, dai Me'
léngeM d'archeologie et d'hiatoire publiés par V Ecole fran^aise de Home, te. XVI ;
Bome, 1896). E, a dir vero, questa una fonte assai abbondante di partico-
lari curiosi, che potrà arricchire lo studio bibliografico dello Schulz, e
che, se per il carattere suo di Diario non può lumeggiare la questione
critica pei veri fini dell'impresa di Boma, dà ordine cronologico ai fatti
susseguenti al Sacco, e per di più ci fa conoscere che il giorno stesso in
coi (17 febbraio 1527) gli Imperiali, dopo le vittorie del Lautrec a Na-
poli, abbandonarono Boma, se ne impossessarono, a ore 22, le milizie di
Franciotto Orsini col grido di « Francia Orso, Ecclesia », e, sotto il pre-
testo di dar la caccia agli Spagnuoli che non e' erano più, continuarono
l'opera del sacco per 10 giorni.
206 BAS9EQKA BIBLI06BAFI0A
Je Borti. Fallito ogni tentativo di accordo, il Vice-Be presago del
disastro imminente, sa ne aottraase, ritirandosi a Siena. La ven-
detta compivasì tra Io spavento e lo stupore di coloro stessi, cbe
l'avevano preparata, e non ne avevano misurate le conseguenze.
Carlo V non fece a tempo ad acquistare piena coscienza di ciò cliB
era fatale avvenisse, non credè mai che Roma fosse esposta al sac-
cheggio, poiché giunte sotto le mura della citta le truppe avrebbero
trovato di che soddisfarsi non ostante l' enorme somma che richie-
devano di ducati 2-10,000, do])o un accordo che ormai al pontefice si
imponeva. Certo è che la nascita dell'infante Don Filippo, e le feste
de! solenne battesimo probabilmente distrassero Carlo V da un at-
tento esame della situazione minacciosa di quel momento; né s'in-
tenderebbe altrimenti come con sincerità di espressione sì sca-
gionasse replicatamente di avere egli voluta la rovina di Roma.
- Del resto è ben noto che fino dal 31 marzo 1627 il dnca di Bor-
bone, dal campo Cesareo di S. Giovanni (la notìzia ha ora conferma
sicura in un documento vaticano pubblicato dallo S.) aveva dichia-
rato al pontefice, ch'egli non avea potuto far tanto cbe le genti
tornassero indietro, secondo la forma dei capitoli passati tra il
Lannoy ed il papa, dicendo « che le condizioni offerte non sono
■ profittevoli loro, che non venivano pili nd essere satisfatti del loro
« credito, quale b grande per te molte paghe, che devono bavere,
* per il che totalmente vogliono marchiare avanti ; deolarandomi
* apertamente che s' io come luogotenente e capitano generale di
< S. M, in Italia non volessi andare con loro, che audariano soli
< senza capitano, o vero che ne fariano un nitro a loro arbitrio,
< per il che io sono sforzato andar con ditto esercito » (1), Ben
si comprende dunque, anche per la nuova critica dello Schuias, che
si manifesta più con la eloquenza dei fatti, che non col sussidio dì
lunghi commenti, che l'avvenimento della presa e del Sacco non
ebbe preparazione in un fine politico chiaro e bene determinato,
ma trova le sue cagioni nella sfrenatezza e nella insaziata cupidi-
gia di truppe mercenarie insofferenti di ogni disciplina, in quel-
l'amore potente che su le fantasie eccitate dal fanatismo religioso
esercitava il nome di Koma, il cui miserando eccidio apparve ai coik-
temporanei strumento tardo dell'ira divina.
Padova. L. À. FeitRAl.
(1) Cfr. doc. ni, p. 173 della 3.- Appendice.
RASSEGNA BI6U0GBAFICA 207
MiCHELANOBLO ScHiPA, Un ministro napoletano del sec, XVIII {Do-
menico Caracciolo), Estratto à^WArch, stor, delle Prov, Napole-
tane, - Napoli, Pierro, 1897, pp. 168-lxix.
Dell'opera, come ministro, del marchese Domenico Caracciolo,
che fu inviato di Ferdinando IV a Firenze, a Torino e a Londra,
ambasciatore a Parigi e poi viceré di Sicilia, assai diversi furono i
giudizi anche degli storici spassionati. A taluno parve che il bril-
lante diplomatico e Tardito viceré innovatore, nominato primo mi-
nistro a settant'anni, non mostrasse in quesV ufficio la solita ener-
gia ed indipendenza, anzi non fosse che lo strumento delPActon e
della regina. E persino nel più notevole degli affari ai quali attese
nei suoi tre anni e mezzo di ministero (gennaio 1786-16 luglio 1789),
cioè nelle trattative di concordato colla Ck)rte romana, chi lo rim-
proverò di eccessiva rilassatezza, se non di peggio, di fronte alla
Curia; chi lo lodò di vivace resistenza.
Bicercare quale delle disparate opinioni s'accosti più alla verità ;
mettere, senza preconcetti, in luce l'operato del vecchio ministro;
investigare quali cause poterono dare origine alle accuse lanciate
contro di lui, su qual fondamento poggino le lodi, fu lo scopo del-
l'A. in questo libro, che si legge con interesse anche per la perspi-
cuità della forma e per la geniale e non di meno minuziosa espo-
sizione delle ricerche.
L'A., dopo di avere detto come fosse costituita l'amministra-
zione centrale napoletana, nota quali fossero le funzioni del primo
ministro ed osserva che il Caracciolo ebbe attribuzioni assoluta-
mente distinte da quelle dei suoi colleghi nel ministero, il marchese
De Marco e il generale Acton. A lui spettava il servizio della Casa
reale (al quale s'annettevano altre branche di governo), come la di-
rezione della istruzione pubblica, le poste e gli affari esteri: in
ognuno di questi capitoli il Caracciolo lasciò, per quello che compor-
tavano i tempi e le circostanze, un'impronta certamente personale
^ esercitò un' azione senza dubbio indipendente. Cosi nella istru-
zione pubblica pensò una riforma della Università, restaurò l'Ac-
csademia Ercolanese, provvide air apertura di nuove scuole ; nel
governo delle poste, fece utili riforme, e più alti progetti tentò
^ condurre a buon fìne; nelle relazioni con gli Stati esteri con-
^hiuse trattati di commercio colla Bussia, colla Eepubblica di Ge-
^aova, col Begno di Sardegna, tentò di conchiuderne col Bey di Algeri.
X)egna di considerazione fu pure l'opera del Caracciolo di fronte
208 BASSESNA fiIBLI0GIU7I0A ^J
alla Spagna, 1q relazioni della quale col Regno dì Napoli erano al-
lora assai tese, per la tutela che Carlo HI pareva volesae eserci-
tare sullo Slato del figliuolo, per le accuse che ai scagliavano sulla
regina e suU'Acton, che il re di Spagna non voleva ministro di Fec-
dinundo IV, per gli intrighi che, per questi fatti, si macchinavano
a Napoli e a Madrid. E l' impresa del Caracciolo di riannodare i
primieri rapporti, senza che ne scapitasse l'indipendenza e il decoro
dello Stato Siciliano, cozzarono negli ostacoli che tanti interessi di
versi muovevano; cosi ohe non fu lieve vantaggio quello di ottenere
qualche soddisfazione da Carlo m, di sventare la minaccia, se mai
vi fii effettivamente, che si modificasse, a danno di Napoli e a fa-
vore della casa di Bragunza, la legge di successione spagnuola, e
quello in fine che Carlo IV si inducesse a più miti, se non a fra-
terne relazioni, con re Ferdinando.
Né meno che queste intricate trattative con la Spagna serve n
mostrare la svegliatezza della mente e il tatto del ministro napo-
letano la condotta che egli tenne uelìa questione d'Oriente, allora
appunto vivissima per la guerra scoppiata tra la Russia e la Tur-
chia. Le lettere che il Caracciolo scrisse in questa occasione al
marchese di Gallo, suo nipote, ministro del re di Napoli a Vienna,
e al duca di Serracaprioln, ministro a Pietroburgo (che, infatuati
dagli umori delle corti presso cui vivevano, aveano aperto l'animo
alle idee più grandiose e già prevedevano il Turco cacciato dal-
l' Europa e la Turchia divisa fra le potenze cristiane e buona parte
datane al re di Napoli) mostrano tale esperienza delle cose politiche,
tale for^a di raziocinio, tale limpidità di giudizio nel vecchio mini-
stro, che seppe temperare gli ardori dei due diplomatici, da fare
meraviglia quando si pensi che come questi (e lo nota opportuna-
mente lo Schipa) la pensavano uomini politici di assai maggior
grido, come Caterina II, Giuseppe II e 1 ministri d' Inghilterra, di
Germania, di Russia.
Ma affare dì maggiore entità, come già si disse, furono le pra-
tiche con Roma pel concordato, giacche più da vicino si toccavano
gli interessi dello Stato; e nel cozzo dei vari partiti e nelle opinioni
del tempo sui rapporti della Chiesa con l'autorità civile, l'attitudine
del ministro < filosofo ■ poteva essere variamente giudicata, arni
dare occasione ad apprezzamenti addirittura opposti. Fu dunqna
necessario che l'A. rifacesse - meglio converrehbe dire facesse - la
storia di quelle trattative, seguendole passo passo nei documenti
del tempo. Cosi noi vediamo in azione i personaggi che principal-
mente attesero a quella cura; dalla parte di Napoli il CaraocKd%
favorevole all' accordo, ma fermo e risoluto ; il De Marco, mi^^^H
SCHIFA, DOMENICO CARACCIOLO 209
degli affari ecclesiastici, contrario a qualunque concordato e pronto
sempre ad intralciare l'opera del suo collega; l'Acton, maestro di
intrighi, la figura del quale, qui come altrove, resta tuttavia ancora
coperta da un velo; il re, che - non si può apprendere senza sor-
presa - partecipò direttamente alle trattative, talvolta anche oltre,
se non contro, il consiglio del Caracciolo ; la regina infine, discorde
spesso dal marito, certo legata alle trame delPActon. E per Boma
due uomini di fama non pura: il cardinale Ignazio Boncompagni
Ludovisi, segretario di Stato di Pio VI, e monsignor Lorenzo Ca-
leppi, inviato dal papa a Napoli, come commissario speciale per
l'accordo. Non esporremo le lunghe e difiicili pratiche col Caleppi,
riuscite vane per le eccessive pretese della Curia romana, che ec-
citarono la ferma resistenza del re e del vecchio marchese. Né a
miglior risultato si giunse quando comparve a corte, non richiesto
certo da questi, il Boncompagni in persona. Allora l'Acton e la re-
gina entrarono più apertamente in campo ; si sviluppò quasi come
un'azione parallela; da un lato il Caracciolo, dall'altro l'Acton. £
questi, non l'altro, fii il difensore degli interessi romani, se pure
un difensore sincero vi fu; che l'Acton promise forse di fare per»
Boma assai più di ciò che in realtà non fece. Ma di fuòri apparve
tutt' altro, e mentre il Caracciolo fu ritenuto, pel sincero desiderio
che aveva dell'accordo, troppo condiscendente alla Curia; il generale
s'acquistò la fama d'aver contribuito a rompere ogni pratica col
cardinale. Per questo si attribuì all'Acton anche il rifiuto della corte
di Napoli di fare la solita solenne offerta della chinea. Il papa, a
questa nuova minaccia, mostrò di piegarsi all'accordo, purché si
continuasse quell'omaggio; ma il Caracciolo, a nome del re, inviò
una lettera, mite nella forma ma risoluta nella sostanza, cosi che
Pio VI dovette cinque volte far compilare la risposta, prima di tro-
vare quella che gli parve degna d'essere spedita. Eppure al De
Marco pareva troppo moderata e remissiva la lettera del marchese
e ne scriveva una acerba critica alla regina. Ma intanto a Napoli
alle parole seguivano i fatti, e fu forse intemperanza della segreteria
dell'ecclesiastico retta dal De Marco. A nuove proposte, a ogni modo,
il papa accondiscese; ma, perché, nel sostenere la pretesa della chinea,
volle accennare a minacele, provocò dal Caracciolo nuove e più ener-
giche dichiarazioni. « Giova prevenirla » scriveva il ministro al
pontefice « che i passi minacciaii saranno nulli ed inefficaci, poiché
< saranno insignificanti e non produrranno effetto alcuno, fuori di
4 maggior amarezza e disturbo ; onde delle conseguenze che ne pos-
4 sono risultare V. S. ne renderà conto a Dio ed al Mondo ... >. E
persino questa lettera fa acerbamente censurata dal De Marco e
Abob. Stob. It., 5.* Serie. — XX. Il
■Mt.
212
RASSBQKA BIBLIOGRAFICA
alla ragioneria, giacché primo di ogni altro egli fece un' esposizione
compiuta e razionale della partita doppia.
n nome latino € Lucas Paciolus > fu da alcuni tradotto in vol-
gare € Luca Faciolo > ; forma accettata dal Vianello, e che appa-
risce anche nel frontespizio a qualche opera del Frate. Questi, però,
nei due testamenti, olografo e nuncupativo, del 1506 e deir '11,
adotta, rispettivamente € de Patiolis », e Paccìuoli >, che ottima-
mente rispondono, secondo l'uso toscano, alla voce € Pacioli », ac-
cettata del resto anche da Bernardino Baldi e da altri ottimi cono-
scitori della nostra lingua.
Nel breve lavoro del Vianello abbiamo riscontrato alcuni errori
e inesattezze, che per brevità omettiamo; e anche ci è parso che
la materia fosse talvolta confusa e mal disposta, e i documenti pub-
blicati con criteri poco giusti : ma il libro è compilato con diligenza,
ed essendo una comoda raccolta di materiali, potrà (finché non si
faccia sul Pacioli una monografia compiuta e definitiva) essere util-
mente consultato.
Firenze,
Dbbcbtrio Mahzl
^♦^
NOTIZIE
Archivi e Biblioteche.
FiBENSB. — Biblioteca Ri acar diana. - H fase. T." de! Cata-
logo de / Mnnoscritti della B. Biblioteca Riecardiajut dì Firenze,
compilato da S. MoitruRUo (Roma, 1897; nella colleeione degli In-
dici e Catiiloffhi edita dal Ministero della Pubb!. Istr.) canliene la
tiescrìtioiie dei codici italiani 1462-1570, Notiamo le cose che più
importano agli studiosi della storia:
1478. Leggende di Sante (Maria Maddalena, Agata, Lacia, Caterina).
•ec. XV.
use, tJu capitolo della Leggenda di i. Prancesoo. Bea. XIV.
U9I. Begula minomm fratrum, e altri oposcoli francescani, bpo. XV.
1498. Diario del Viaggio dì Giulio de'Medici in Inghilterra. 1621.
1VX>. Giovarsi di Coppo da San Gihiuhano, Leggenda di santa Fina,
Un» lettera e nna rivelazione di santa Caterina da Siena, sec. XV.
1466. Tre leggende di s. Dorotea, s. Margherita, s. Leonardo, sec, XV.
ISW. LtCA DELLA BouDtA, Da<> narrazioni storiche (Becitarione de!
taM dì Agostino Capponi e dì Pietro Paolo Boscoll. Vita di Bartoloinineu
Snstichellii. sec. XVn.
1618. I fatti di Cesare (versione diversa da quella edita da L. Banchi ;
tir. E. G. Parodi. Studi di filai, romanxa, IV). sec. XIV. - La redazione
«otnuae à trova in altri codd. 1588, 1^0-52, 1568 (sec. XIV), 1549 (on. l«Sj,
J568, issa (sec. XV).
1514. 151K. 1517. 1518, 1554-56. Tito Livio, Storie (prima, ter» e
qavtaDeca). sec. XJV-XV.
1515. Giustino, Le Storie (Jiulìno calgarixitUo ùutiniaianieiUe), eec. XVL
IJffi. Detto, sec, SV. - 1668. Frammento, sec. XV.
1518. 1520. 1367, 1Ó68. Plctab™. Vile degli uomini Ulustri. sec. XIV-XV.
ISei. Valerio Massiho, Dei fatti e detti memorabili, sec. XIV,
l&^i-SS. 15»i. Iac. Nabdi, Istorie della città di Firenze, sec. XVI.
1529, Mattbo TiLi.ANi, Cronica, sec, XV.
13»J-8I. Glovasm Vii.i.Ai.1, Cronica, aeo. XJV-XV.
214 NOTIZIE
1585. Storia Fiorentina col Priorista. seo. XV.
1537. Gius. Flavio, Della guerra Giudaica, sec. XV.
1588. Leggende di s. Silvestro, ss. Piero e Paolo, s. Tommaso. Epi-
stole politiche, sec. XIV.
1589. F. Sassetti, Vita di Francesco Ferrucci, sec. XVI.
1550. Fioretto di Croniche degli Imperatori, sec. XIV.
1558. Plutarco, Vite di Cicerone e Sertorio, volg. da L. Abetino.
Gio. Villani, Storia del Duca d'Atene, sec. XV.
1559. Q. Curzio, Storia d' Alessandro, volg. da P. C. Decembrio. -
P. C. Decembrio, Comparazione di Giulio Cesare e d'Alessandro Mace-
done, sec. XV.
1562. Orosio, Le storie contro i Pagani, volg. da B. Giamboni, sec. XV.
1564. Sallustio, volgarizzato da Bart. da S. Comcordio. sec. XV. -
Ved. anche il cod. 1588 (Giugurtino), 1565 (Giugurtino e Catilinario).
1566. Il Libro Fiesolano. sec. XIV.
1569. Cesare, 1 Commentari de Bello Gallico, tradotti da P. C. De-
cembrio. sec. XV.
1570. SvETONio, Vite di Cesare, Augusto e Tiberio, sec. XTV.
Milano. — E. Archivio di Stato. - G. L. Pélissier, nella
sua ultima Corrispondenza di Francia {Arch, XIX, 158) diede un cenno
brevissimo del suo proprio lavoro : Les Registres Panigarcla et le
Gridario generale de V Archivio di Stato de MHan pendant la do-
mination fraìigaise (1499-1513): merita che ne diciamo qualche pa-
rola di più. I Registri Panigarola (cosi chiamati da un Paganolo
Panigarola, che li iniziò nel 1351) contengono le trascrizioni uf-
ficiali e autentiche dei bandi che si gridavano pubblicamente in Mi-
lano d'ordine del Governo: le cedole originali di questi bandi o
gride sono in massima parte perdute; quelle che ancora si conser-
vano, costituiscono il Gridario generale: le due collezioni pertcmto
s'integrano a vicenda, e formano una delle più notevoli fonti della
storia municipale di Milano. H P. se n'è occupato solo in quanto
riguarda l'epoca di Luigi XII e la storia della signoria francese in
Milano (1499-1513J; ma, pure in questo breve periodo di tempo,
egli ha fatto opera veramente utile e di cui tutti gli studiosi do-
vranno essergli grati. L'opera sua consiste in un inventario cro-
nologico degli atti che si contengono nelle due collezioni rispetto
all'epoca sopraddetta; con indicazioni sommarie, ma chiare e pre-
cise, come non si potrebbe desiderare di più, del contenuto dei me-
desimi. In fìne all'opuscolo il P. ha pubblicato, per saggio, vari
documenti notevoli per la storia dei costumi. Notiamo due bandi
del 1501 e del 1510 contro le meretrici che abitavano fuori del
stribolo comune, assai aspri, ma, a quanto apparisce, pochissim
HOTCBIB
215
la grida de! 1501 risguardante l'esercizio della medicina
ft chiuQi^ue uoa lancia parte del * collegio de phiaìci di Milano > o
sìa da questo approvato; un regolamento del 1-^07, che contiene
varie disposizioni di polizia, conoeraenti in specie la pubblica sicu-
Storia generale e studi sussidiari.
— Il p. KiiT. DsLBBAVB pubblica nei Afélam/e» d'Archeologie
et d- Ilistoìre, to. XVII, pp. 87-74 (Homa, 1897) la Vie d' AUianane
patrìardie de Contantinojile, conaervata in un codice Barberinìano.
Il monaco Atanasio, che nel 1389 fu fatto patriarca e ai dimostrò
nemico accanito della Chiosa latina, v' è considerato come un gran
santo ; la Vita diventa, quindi, un' apologia noiosissima, e pìccolo
n' è il valore storico ; tuttavia non mancano utili notizie intorno a
molti luoghi, che il Monaco, amante de' viaggi, vide e visitò durante
gli anni della sua giovinezza. D. M.
— Uno Balkani. Una profezia del dodicesimo secolo (Roma,
Rendiconti detta r. Accademia de' Lincei, voi. V, fase. 12, die 1896).
Pubblica e illustra uno scritto, tratto dal codice addisdonale 22!M9
del Museo Britannico, membran., del sec. XIV, forse di mano ita-
liana, ohe contiene una specie di profezia polìtica della seconda
metà del secolo decimosecondo diretta contro il pontefice Alessan-
dro in da un fautore del partito antipapale. - Un eremita d' Egitto
secondo la leggenda, domandava a Dio, nelle sue preghiere che gli
rivelasse il termine dello scisma, che durava da parecchi anni, fu-
nesto alla Chiesa ; e Dio gli mandò un angelo a recargli dieci versi
enigmatici : Vemua angelici finern, aàsìiiatis Vffntuniin declarantes, ab-
bastanza oscuri, ma che, rischiarati in parte da un commentario,
intitolato : Dvscriplio ordinùs vemutim precedentium et exposiUo de-
super cuiusdam, (anch'esso pubblicato dal B.), sembrano volere pro-
fetizzare i seguenti avvenimenti, che erano nei desideri dei fautori
dell'antipapa Callisto III e dell'imperatore Federico: cioè, « la de-
< posizione di ilolando (papa Alessandro III), ma con un aocenoo
< notevole alla possibilità d'una doppia e contemporanea deposizione
* del papa e dell' antipapa ; la prossima discesa di Federico in Ita-
Lclia contro i Lombardi e contro i nobili Romani fautori d'Ales-
W* Baudro; e la probabilità d'una guerra tra Federico e l'imperatore
Hi di Costantinopoli ». Dall' insieme dei fatti menzionati può dedursi
%i la pseudoprol'ezia sta scritta circa il 1170. M.
216 NOTIZIE
— Nella Rivista delle Bibliotecfie e degli Archivi, voi. VI, fase. 11-12,
il sig. G. Fumagalli pubblicò una breve e arida 2'abula Abreviatura-
rum da un cod. Braidense del sec. XV, attribuendole forse soverchia
importanza paleografica e letteraria. Vi torna sopra ora il Dr. Enrico
EosTAGNO, conservatore dei mss. nella Bibl. Medicea Laurenziana {Riv,
cit., VII, n. 9-12 : Di una tavola d* abbreviature tratta da un cod. Brai-
dense ec), mostrando che quella Tabula non è una novità, ma, desti-
nata in particolar modo per sussidio agli scolari di legge, era divul-
gatissima nei codd. giuridici e scolastici dei secoli XIV e XV;
accolta nello edizioni della Pisanella e nel Supplementum di fra Ni
colò da Osimo, e compresa e sviluppata nel Modus legendi abreviati^^- ^-
ras in utroque iure, di cui si hanno una trentina d' edizioni sino r^- ì
1600, e altre dopo. Di questo Modus legeiìdi il R. dà il testo seconda — e
un'edizione parigina del 1537, e altre tavole d'abbreviature aggiun^^^^^(
da quattro codd. Laur. dei sec. XJV-XV : da uno dei quali (pi. XI
cod. 7) ricava pure un' interessante relazione sul sistema delle cif:
arabiche, che stentavano ancora, nel sec. XIV, a entrare nell'u
comune.
— Il prof. Guglielmo Meybr di Gottinga ha pubblicato di
cente uno studio sui legamenti o congiungimenti di lettere ne
cosiddetta scrittura gotica del medio evo {Die Buchstaben^Ver
dungen der sogenannten gothischen Schrift, Berlin, Weidmann, 1
dalle Abhandlungen della r. Società delle Scienze di Gottinga, CI
filologico-storica ; N. S., to. I., num. G). Con molta diligenza ed acu
di osservazioni l'autore ricerca le regole e la storia di questo
tevole fatto grafico; e le regole stabilite illustra con gran num
di esemplificazioni. Ci riserbiamo di par.are più largamente di q
sto libro in un prossimo fascicolo.
— Fed. Patetta. Il ms, 1311 della Biblioteca di Troyes (Tori
Clausen, 1897. 8.^). In questa Nota presentata alla r. Accademia d
Scienze di Torino, il prof. P. esamina minutamente, in specie
punto di vista paleografico, il ms. predetto che « interessa vi
€ mente i cultori della storia letteraria del diritto, perchè, esser::^
« stato giudicato nella sua prima parte del principio del secolo
« fornisce un argomento di qualche valore per l'attribuzione
€ Irne rio di tre opere che vi sono contenute, cioè della Summa
€ dicis, delle Questiones de iuris subtilitatibus, e della Summa l
€ langóbardorum ». Poiché il P. aveva altrove combattutOi per
gioni intrinseche, quest' attribuzione, sostenuta dal Fittingi vao^
ora dimostrare che in favore di essa non sta più né anche la 009
NOTIZIE 217
getturata età del codice che deve ritenersi non già dei primi anni,
ma degli ultimi del secolo XII. A tal fine l'Aut. fa un'accurata
analisi degli elementi grafici delle scrittiire adoperato nel cod., e ne
esibisce quattro facsimili raccolti in una tavola fototipografica.
Non entrerò qui nel merito della questione storico-giuridica:
ma quanto alla paleografica non dubito d' affermare che il P. ha pie-
namente ragione. Nel cod. 1317 non ci sono ancora, né per la forma
delle lettere né per le legature né per le abbreviazioni, tutti gli
elementi della cosiddetta scrittura gotica, ma siamo proprio alla
porta. Non direi, quindi, quel cod. del secolo decimoterzo (come qual-
cuno ha supposto) ; ma é certo della seconda metà inoltrata del do-
dicesimo. Il ravvicinamento che il compianto prof. W. Schum fece
della scrittura di questo cod. a un'altra di un cod. di Monaco, raf-
figurata nella tavola 19.<^ dell' Amdt, e che si dice italiana del se-
colo XI, è semplicemente un' allucinazione fantastica. Basta confron-
tare, anche superficialmente, le due scritture per dedurne che quella
del cod. Monacese é una minuscola neocarolina, che sente ancora
qualche influenza di vecchia corsiva; mentre questa del Trecense
segna il tramonto della minuscola perfezionata e la preparazione
della gotica; c'è in mezzo tutto un periodo d'arte, e tra l'una e
l'altra corre la distanza di più d'un secolo. G. P.
Storia regionale e locale.
Toscana. — Demmo notizia, nella precedente annata (to. XVII,
p. 453) di una bella conferenza di L. Zdbkauer sulla vita privata
dei Senesi nel Dugento: ora abbiamo ricevuto un'altra conferenza
di lui, letta nella r. Accademia dei Rozzi il 10 aprile 1897 (Siena,
Lazzeri, 1897, 16.®) su La vita pvbtUca dei Senesi nel Dugento, che
fa buon riscontro alla prima. Anche la nuova conferenza si fonda
sullo Statuto del 1262 e sui documenti contemporanei. Non é, s'in-
tenda bene, una storia delle istituzioni pubbliche di Siena, che sono
molto fugacemente e non compiutamente delineate; ma discorre
delle manifestazioni di queste nella vita cittadina; e sotto questo
rispetto dà ragguagli interessanti e nuovi.
— Nel fase. 16 giugno 1897 della Rassegna Nazionale ha termine
una lunga memoria storica di L. Grottanelli, cominciata nel fase.
17 febbraio, su GU ultimi principi della Casa de' Medici e la fine del
Granducato di Toscana (da Cosimo III dei Medici a Leopoldo II di
Lorena).
218 NOTIZIE
Piemonte. — Don Giuseppe Boffito, barnabita, continuando i
suoi studi sulla storia dell'eresia in Piemonte, comunica al Giom,
stor, della letter. itaL (voi. XXIX, an. 1897, pp. 204 e segg.) V estratto
di una testimonianza di Bernardo di Eaimondo di Tolosa, fatta di-
nanzi al tribunale delP Inquisizione di quella città, dove si parla di
un libro del Nuovo Testamento « in romano et in latino mixtìm ».
E un documento di più per la storia della Bibbia Valdese, avverten-
dosi dall' Aut. che < la Bibbia di cui si fa menzione nel passo rife-
« rito non ci è rappresentata da alcuno dei mss. conosciuti ». - Il
medesimo, nel BuUettino stoiico-bibliografico subalpino, an. I, num. 6
(1896), dà notizie degli Eretici in Cuneo nel secolo XIII. - I docu-
menti di cui il B. si è valso per queste sue memorie sono ricavati
dal cod. XXV della Collezione Doat della Biblioteca Nazionale di
Parigi.
— Nel Neues Archiv, XXII, fase. 1.** (1896), Hermann Bloch, in
una lunga memoria che intitola: Contributi aUa storia del vescovo
Leone da Vercelli e dei suoi tempi, dà conto degli studi da lui fatti
su tale argomento nella Biblioteca capitolare di Vercelli, pubblica
documenti, lettere e poesie di quel fiero oppositore di re Arduino
d^ Ivrea, e discorre della operosità di lui nelle corti di Ottone III e
di Enrico II.
Lombardia. — Il prof. Federigo Patetta pubblica nel to. XXXII
degli Atti della R, Accademia delle Scienze di Torino una nota su
VaceUa giureconsulto mantovano del secolo XII, nella quale intende
di dimostrare colP aiuto d*un documento del 1189 da lui scoperto,
che questi non debba confondersi (come asseriscono il Merkel e il
Pitting) coir altro giureconsulto Vacarlo della stessa età, ma un
po' più anziano ; e che a Vacella mantovano, e non a Vacano, debba
attribuirsi V operetta sul diritto longobardo intitolata Contraria, che
si conserva nel ms. Chigiano E. VII, 218. Il documento del 1189
(che è una sentenza arbitrale, alla quale assistono fra gli altri Vor
cella et Bartholom^eus iudices Mantuani) è tratto da un Cartulario del
Monastero di S. Benedetto di Polirone, trascritto nel secolo XV, ora
posseduto dal prof. Patetta medesimo, e che questi accuratamente
descrive.
— Nei Neue Heidelberger JahrhUcher, to. VI (1896), fase. 2, è .un
articolo di Henry Thode, col titolo : Eine italienische FilrsUn aus
der Zeit der Renaissance, che tratta della marchesa Isabella Gonzaga
di Mantova.
NOTIZIE 219
— Eiceyiamo da G. L. Pblissieb V Index analUique della sua
ragguardevole opera Louis XII et Lvdovic Sforza (cfr. Arch., 1897,
XIX, 195 e segg.) : è un opuscolo di circa cento pagine (Paris, Tho-
rin), compilato con molta diligenza. - Frattanto ci piace di annim-
ziare che l'egregio amico nostro ci ha trasmesso una non piccola
serie di note critiche e di documenti, che formano un' appendice no-
tevole alla precitata sua opera. Le pubblicheremo appena lo spazio
ce lo consentirà.
Veneto. — In una delle sue dotte Note all'Accademia reale
delle Scienze di Torino {Atti, 1896-97, voi. XXXII) il prof. Carlo
Cipolla tratta Di un falso diploma di Berengario I (Torino, Clau-
sen, 1897, in 8.^, di pp. 20) vale a dire il diploma con cui nell'895
quel re ordinò o permise che fosse distsutto il teatro antico di Ve-
rona. L' erudito Autore sottopone il testo di tal diploma alla più
rigida critica diplomatica, lo decompone parte per parte e ne di-
mostra con abbondanza di prove tutta l'assurdità; per concludere
ch'esso è opera di un falsario dell'età umanistica, il quale trasse
alcune formule e frasi da diplomi autentici, ma non seppe unire le
dette formule e si servi di frasi, parole e sintassi non mai usate
dalla cancelleria di Berengario. Dopo aver colla controprova storica
dimostrato la verità delle sue conclusioni, chiude la sua Nota col
supporre che un amico di Torello Saraina, dotto antiquario veronese,
si sia in tal modo preso il gusto di spiegargli la ragione per cui il
detto teatro, per quanto addossato ad una collina, fosse rovinato
mentre sussiste sempre l' anfiteatro. E. C.
— Giorgio Bolognini. L'Università di Verona e gli Statuti del
secolo XIII (Verona, Franchini, 1896, 8.®, pp. 11). La breve memo-
ria comincia colla citazione d'un passo di Scipione Maffei il quale
nella sua Verona illustrata si adoperava a dimostrare come l'Uni-
versità della sua città natale fosse tra le più rinomate in Italia :
Benedetto XII chiamava infatti la città di Verona apta non modico
generali studio. Il Denifle invece pone l'università Veronese tra
quelle, « die nicht ins Leben traten ». D' accordo col Denifle, crede il
B. che veramente la bolla pontificia del 1889 non riuscisse a iniziare
un vero e proprio studio generale di tutte le arti e scienze, né che
desse incremento alle antiche scuole Veronesi, le quali anzi, durante
la breve dominazione Viscontea, perdettero alquanto della loro flori-
dezza, por avere il conte di Virtù rivolto tutte le sue cure all' Uni-
versità di Pavia. Ma in quelle scuole fiorirono illustri maestri, e si
può dire che « l' insegnamento delle discipline più comuni e impor-
220 NOTIZIE
« tanti non venne mai meno, e che non esiste quella soluzione di con-
« tinuità, che al Denifle parve di ravvisare ».
Alla memoria segue la pubblicazione di alcune disposizioni sta-
tutarie del sec. XIII, risguardanti la vita universitaria, la scelta di
professori, i salari ec. M.
— In un opuscolo per nozze Pitotti-Pretto (Firenze, Bicci, 1897)
il prof. G. Marinelli torna a illustrare più largamente la notizia
di un incendio avvenuto a Udine nel 1560, comunicataci, secondo un
documento dei Registri Camerali di Vienna, dalla cortesia del Dr.
Schalk (Ved. Arch., 1896, XVH, pp. 235-36). Le nuove indagini
del M. confermano il fatto dell'incendio, limitandone bensì T im-
portanza ; recano un contributo alla storia del Palazzo del Monte di
Pietà in Udine, che appunto fu costruito nel luogo incendiato ; e spie-
gano come le caritatevoli elargizioni viennesi furono forse pro-
mosse da una confraternita tedesca di pellicciai, che allora lavo-
rava in Udine.
Puglie. — Sotto il titolo Un diploma di Goffredo I conte di
Lecce (Lecce, 1896, pp. 18 in 8.**), il prof. Gio. Guerkibri pubblica, con
opportune illustrazioni, tre documenti inediti degli anni 1082, 1120,
1152, dai quali apparisce come Goffredo, da altri creduto figlio di
Tancredi d'Altavilla, o confuso con un conte di Brindisi, era figlio
di certo Accardo o Acciardo ; e come un po' prima che fin qui
non si fosse supposto, verso il 1082, Lecce fu eretta a contea.
D. M.
— Il prof. F. F. Guerrieri, in un opuscolo intitolato: Per la
storia di Terra d'Otranto: notizia di documenti conservati negli ar-
chivi della Badia di Cava de* Tirreni (Lecce, 1896), dà lo spoglio di
30 documenti dal 1068 al 1347, conservati nella Badia di Cava. Lo
spoglio è in lingua latina, e sembra copia di qualche antico inven-
tario archivistico: l'ed. vi ha aggiunte tra parentesi note dichia-
rative in italiano : tanto lo spoglio quanto le note lasciano assai da
desiderare in quanto a precisione. D. M.
— Dalle Carte medicee av. il Princ. dell'Archivio di Stato di Fi-
renze F. Carabellbsb ha ricavato e pubblicato noìVArch, di studi
storici Pugliesi (1897, fase. 1-2) il Bilancio d* un* accomandita di Casa
Medici in Puglia del 1477, premettendovi una breve nota storica
sulle relazioni commerciali fra la Puglia e Firenze, tanto a tempo
della Bepubblica, quanto sotto il Principato Mediceo. L'opuscolo,
NOTIZIE 221
assai interessante, è corredato di altri documenti illustrativi, tra i
quali notiamo una relazione che la città di Cosenza in Calabria - i cui
redditi fiscali erano stati assegnati al Granduca di Toscana in sod-
disfazione del credito che questi aveva verso la Begia Camera di
Napoli - spedi nel 1631 al Granduca per dimostrargli il suo mi-
sero stato economico, e tentare cosi di liberarsi da tale aggravio.
Storia letteraria e artistica.
— Felice Tocco. Quistìoni Dantesche (Napoli, tip. R. Univer-
sità, in 8.^, pp. 16). In questa Memoria, letta alla r. Accademia di
scienze morali e politiche di Napoli, il T. si propone due questioni :
la prima delle quali riguarda « colui, che fece per viltade il gran
« rifiuto ». Ammettendo che questo personaggio sia Celestino V,
come mai Dante, che era ortodosso, avrebbe potuto mettere all'In-
ferno un uomo che la Chiesa aveva santificato? Il Todeschini, fidan-
dosi sulla Cronaca del Villani e sul commento del Boccaccio, tentò
di spiegare la cosa, asserendo che Celestino fu canonizzato da Gio-
vanni XXII nel 1328, cioè sette anni dopo la morte di Dante ; « nò
€ questi aveva l'obbligo di prevedere la tarda glorificazione »: ma
una testimonianza ben più autorevole, quello cioè del card. Iacopo
Stefaneschi, afferma essere stato Celestino santificato da Clemente V.
Dante, dunque, era vivo a tempo di tale consacrazione ; ma, dice il
Tocco, agli occhi di lui non poteva essa avere alcun valore, essendo
pronunziata da un papa simoniaco ed imposta da Filippo il Bello,
per far onta alla memoria di Bonifacio Vili. Ed a questo propo-
sito osserva giustamente l'A., Dante, benché nemico di Bonifacio Vili,
ne rispetta, dopo la morte l'alto ufficio, di cui era investito, ed ha
parole di tremenda invettiva contro l'oltraggio d'Anagni e contro
la violenza di Filippo il Bello. - Quindi, pur salvando le appa-
renze, e senza pronunziare il nome di Celestino (per non mo-
strarsi irriverente a un decreto della Chiesa), il poeta « conferma
€ il SUO giudizio sull'abdicazione di Celestino, che gli pare un atto
€ codardo, rispetto ai pericoli, che correva e corse la Chiesa, ca-
< dando nelle mani d'un prepotente e d'un fastoso ».
L' altra questione, che il T. dice sottilissima, è questa : Come
mai Dante ha potuto porre nella nona bolgia fra Dolcino, accanto a
Maometto, mentre l'eresia di Dolcino non ha prodotto nessuna con-
seguenza e quella di Maometto invece ha potuto strappare alla
Chiesa una buona parte dell'Asia Minore e dell' Afi&ica settentrio-
nule? Certo {«Irebbe sembrare a primii vista che 11 posto destìnftto
& Dolcino fosse stato tra gli oresìarchi comaBt nelle &rche Infuo- I
r«to : ma il nostro À. osserva che Maometto e DoIcìdo < non sono J
< puniti rome eretici, bensì come scismatici, vale a dire, nel senso 1
< cbe iatead» DaDte, gente che non è contenta di avere questa ~
< o quell'idea sulla lède, ma dell'opinione se ne fa un'arma per
• pittare la discordia tra gli uomini. > Che di questa specie fosse
fra Doloino, il T. 1' ba dimostrato anche nell'articolo pubblicato ne!
fase, preced. del nostro Archìvio. M.
— Il prof. AjrroKiO Mbuin, libero docente di letteratura ì
Usua nella r. TJoirersitJi di Padova, nella prolusione accademica al ,
suo corso del lM)6-97, tratta dei Caralteri e forine delitt Po.
rico-potitìca italiana sino a tnUo i! »troln AT/ (Padova, Gallina, lfl97,
1G,° pp, 11), esponendone ordinatamente la storia dal pii'i antico medio
evo sin ai tempi di Carlo Kmanuele I di Savoia, e mettendola in
relaziono colle condizioni e le aspirniioni politiche dei vari tempL
È un breve lavoro elegante, pensata e scritto con chiarezza t
~ Raccolte in un opupicolo per nozze Tontmasìni-Ouarini (Pistoia,
Fiori, 1697, 8." pp. 21) pubblica il prof. M. Morici tre lettera latine
di umanisti : Sasmto da J'ratn, Leonardo Oiiufinian, Ciriaco d'Ancona.
L'ocoasioDe ha suggerito al M. di dare all'opuscolo un titolo, per dir
cosi, nnitario : « Per gli epvitolarl di due discrpiAi r di un
Guarino Guarini »; raa te tre lettere non hanno alcuna relazione tr»^
loro : per la storia ba una certa importanza la terza, di Ciriaco, ohe
riferiscesi alla guerra di Lombardia nel 1138. Nell'introd
JI. si distende a discorrere, con molta diligenza e con sana crìtlcA
di un'altra lettera di Ciriaco Anconitano, del 1423, • tutta intesa a
• confutare le teorie di coloro i quali sostenevano che disdice ad
■ cristiano lo studio e le lettere di autori pagani * ; nella quale è
anche un accenno laudativo a Dante,
— Per nozze Camici-Tesi il Dv. Ad-iibdo Ciim ha pubblicato.!
(Pistoia, Niocolai, 1S!)7, Iti.") una breve Notizia biograRca, fatta assai I
garbatamente, DÌ Qiroiavio BaMtnoUi autore della * Damigtila £%>• J
miea ». L' opuscolo b compilato sopra un Libro dì ricordi di <
Baldinotti (gi& della Collezione Cnssigolì, ora nella Nazionale di Fi- |
renze). che contiene ricordi autobiografici di Girolamo ir
Nacque costui in Pistoia nel 155ìl, e vi mori nel 1629 per pestilenza. J
81 rioonlano dì luì alcune poesie e questa commedia della ^)am^<to]
i
I
NOTIZIE 223
Comica, che, come si ricava da un ricordo dello stesso autore, fìi rap-
presentata due volte nel 1608 nel Palagio degli Anziani, e benché
( quasi durasse lo spatio di otto hore » fii molto gradita < al pie-
c nissimo e nobilissimo uditorio » : il che (anche senza conoscere la
commedia, oggi perduta) dà prova di una meravigliosa forza di re-
sistenza nel colto pubblico pistoiese d'allora! Vi fece gP intermezzi
un altro pistoiese, Giovanni di Pino, « giovane virtuosissimo e pe-
€ rìtissimo deiristrumento di tasti ».
— Clemente Valacca. Una « Corona di Enigmi » di Antonio
AfalatesH (Trani, Vecchi, 1897, 8.^ pp. 21 : dalla Rassegna Pugliese). È
un primo saggio degli studi, a cui il V. attende, sul Malatesti, bizzarro
poeta fiorentino morto nel 1672, e sulla poesia enigmatica italiana.
Compose il Malatesti varie opere in versi di cui egli stesso dà raggua-
glio, se non completo abbastanza diligente, in un sonetto caudato che
il V. in parte riferisce. Poeta giocoso e allegro compagno, scrisse
per le veglie invernali gran numero di enimmi (che gli diedero
gran nome), in parte pubblicati, e in molta parte rimasti ine-
diti negli zibaldoni della Magliabechiana, che il Fanfani dice er-
roneamente essere stati tutti bruciati alla morte del Poeta « per
« le troppe composizioni o grasse od empie, che v'erano dentro ».
In questa raccolta il V. ha trovata una corona di dodici indovinelli,
che pubblica in fine alla sua memoria, dei quali quattro sono, a
sua notìzia, inediti e gli altri otto si leggono stampati nella sezione
seconda della « Sfinge » (già edita dal Fanfani). Certo, il senso
letterale di qualcuno di questi indovinelli è assai lascivo, ma, giusta-
mente conclude il V.: « l'artifizio comune agl'indovinelli è di dare
€ ad intendere cosa del tutto diversa, né facilmente ridicibile in
€ una conversazione di persone per bene, affinchè, scopertosi poi
€ il vero significato, dal contrasto tra questo, innocente, e quello
« prima supposto ne nasca diletto e riso non poco ».
M.
— Nel bel volume di Lettere inedite di L. A. Muratori scrìtte
a Toscani, che fu edito nel 1851 (Le Mounier) da F. Bonaini, F. L.
Polidori, C. Guasti e C. Milanesi, non v' è alcuna lettera che sia di-
retta all' erudito fiorentino D. M. Manni ; né alcuna n' è menzionata
nei due Lidici di lettere edite e inedite compilati da A. Spinelli
{BuU. deWIst stor.y 1888 e 1896). Ora il Dr. Enrico Rostagno in una
miscellanea Laurenziana, già appartenuta al Manni medesimo, ha
scoperte cinque Lettere inedite di L. A. Muratori a D, M. Manni,
e le pubblica nel nura. 1-5 della Rivista delle Biblioteche e degli Ar*
224 NOTIZIE
diict. La breve pubblicazione è fatta colla solita amorosa diligenza
che mette nei suoi lavori l' egregio conservatore dei mss. della Lau-
renziana. Un breve proemio discorre opportunamente (prendendo
occasione anche da una precedente pubblicazione di 16 bellissime
Lettere del M. ad Apostolo Zeno, fatta da Guido Biagi) del nobile
e fermo carattere del Proposto Modenese, che (come bene osserva
il H.) da ogni nuovo documento che di lui si pubblichi riceve con-
ferma: a ogni lettera poi è aggiunta una notizia storica e letteraria.
— Emanuele Loewv. Aneddoti giudiziari, dipinti in un fregio
antico (Roma, E. Accademia dei Lìncei, 1897, in 8.^ pp. 21). - In
questa interessante Nota, comunicata alla r. Accademia dei Lincei
nella seduta del 20 dicembre 18i)6, il prof. Loewy tratta di un ci-
ciò di dipinti murali, i quali tornati alla luce in Roma circa diciotto
anni fa, « per il soggetto aifatto singolare delle rappresentazioni,
« in essi figurate, hanno eccitato la curiosità di molti senza mai
« soddisfarla interamente ». Le dette rappresentazioni « fanno parte
< della decorazione della casa antica dell'epoca Augustea, scoperta
€ nel 1879 nei lavori del Tevere, presso la Farnesina, e precisa-
€ mente in quella stanza, le cui pareti, dipinte tutte di color nero,
< sono ora esposte nella sala VI e nel gabinetto B del piano su-
€ periore del Museo Nazionale delle Terme Diocleziane ».
L'A. prende in esame i vari dipinti di questo fregio, i quali
rappresentano vari aneddoti giudiziari, varie questioni cioè che ven-
gono deferite al giudice. Il più delle volte oltre la scena principale
è figurato P antefatto, e questa rappresentazione preliminare è sepa-
rata mediante un muro od una porta. Il L. si studia d* interpretare
il significato dei vari quadretti con molto acume, se non sempre
con sicurezza. Le figure illustrate dal L. vengono riprodotte alla
fine dell'opuscolo in due tavole. M.
— Archivio stonco déW Arte, 1897. Nei tre fascicoli del primo
semestre di quest'unno notiamo : un articolo di E. Muntz, nel qoale
continuando i suoi Studi Leonardeschi, già impresi nel 1892 nell'^r-
chivio medesimo, discorre dell' Influenza di Leonardo da Vinci sulla
scuòla fiorentina e suUa tedesco-fiamminga ; uno di G. Frizzoni su
Giovanni Morelli e la critica nwdema deW arte; una notizia di £.
Lusini sul Monumento a DotiateUo in S. Loretizo di FHrenwe, inan-
guratosi nell'aprile di quest'anno.
M OMZII DI liPfl DA miCLl»
AMBASCOATORE FIORENTINO
A PAPA URBANO V E ALLA CURIA IN AVIGNONE
■r"-t5» — T"
A Villeneuve-lès-Avignon, sulla destra del Biodano si
vede tuttavia nella chiesa dello spedale il ricco sarcofago (1),
che conserva le ceneri di papa Innocenzio VI. Con questo pon-
tefice mori il 12 settembre 1362 il quinto dei papi avigno-
nesi, e 53 anni di loro dimora nella scura ròcca della città
Provenzale erano bastati per provare, che, se la Curia pa-
pale a Roma era stata circondata di pericoli, nella « Arsenio
ventosa » era minacciata da quello supremo di perdere la
sua supremazia universale, che dipendeva e dipende tuttora
dall' essere il papato, il sepolcro del principe degli apostoli
e il nome glorioso di Roma fra loro misticamente connessi.
Questo sentimento era tanto forte in alcuni membri della
Curia stessa, che Guglielmo Grimoaldo, di nobile famiglia
francese, abate di S. Vittorio di Marsiglia, mandato da In-
nocenzio con danari al legato di Napoli e tornando per
Firenze, dove fu ospite molto onorato, sentita la notizia
della morte del pontefice, ebbe a dire, che, se per la gra-
zia di Dio diventasse papa, avrebbe cura di venire in Italia
e aUa vera sedia papale, e abbatterebbe i tiranni. Cosi racconta
Matteo Villani (XI, 26) ; e l'abate si vide ben presto nel caso
di dover mantenere la sua parola, perchè i cardinali, non
potendo concordarsi sopra uno di loro, eleggevano appunto
Guglielmo Grimoaldo, che prese U nome di Urbano V. Ma
(1) Prima si trovava nella Chartreuse di Yilleneuve.
Abch. Stor. It., 5.* Serie. — XX. 15
22G TRE ORAZIONI
bencliè le sue parole dimostrassero chiaramente le sue idee
ed intenzioni, pure le difficoltà a metterle in atto parevano
quasi insuperabili. I cardinali, meno qualche eccezione, erano
Francesi, ai quali una vita fuori del paese natio pareva
come un esilio. Avignone col tempo si era fittta città di
quasi 80.000 abitanti, alla quale confluivano le ricchezze e
dove si viveva comodamente, e con molto lusso secondo i
tempi; mentre Boma, sparite col trasferimento della Curia
le sole risorse d' una città senza commercio nò industrie,
era caduta in miserrimo stato. Le guerre baronali 1' ave-
vano devastata, la popolazione era scemata talmente, che
non si contava forse più d' un quarto di quella della ri-
vale sul Rodano. Tutta la penisola poi pareva essere alla
mercè delle compagnie di ventura. In Bernabò Visconti la
Chiesa aveva un nemico implacabile. Il papa regnante era
stato uno de' legati d' Innocenzio, oltraggiati dal potente
signore di Milano. È vero che questo mandò ambasciatori
al nuovo eletto, ma non voleva piegarsi alla prima condi-
zione della Curia di restituire cioè le terre della Chiesa,
che teneva occupate; onde il pontefice rotte le trattative,
e dopo qualche citazione inutile di Bernabò, fulminò contro
di lui r interdetto sciogliendo tutti i sudditi dal giuramento
di fedeltà e annullando perfino il suo matrimonio.
Dall' altro lato neppure ad Avignone la condizione
della Curia era invidiabile. La guerra franco-inglese aveva
ridotto all' impotenza il protettorato della corona di Fran-
cia, la peste aveva fatto strage tremenda ; le compagnie di
ventura avevano esteso le loro scorrerie anche alla Pro-
venza, e né 1' autorità pontefice, né le mura merlate d'Avi-
gnone, fatte fabbricare dai papi, bastarono ad evitare il
saccheggio. Ci volle il pagamento d' una somma assai forte,
per raccoglier la qusde Urbano dovette imporre la decima in
tutta la Francia (1). Al contrario, in Italia Bernabò Visconti
(1) Vita Urbani F'* auctore canonico Bunnemi (Muratori, B. I. S. Ili, 2»
col. 632).
DI LAPO DA CASTIGUONCHIO EC. 227
pareva col tempo meno pericoloso. Dopo la sua disfatta nel
Modenese si vide costretto a far la pace colla Chiesa.
Urbano sollecitava coi suoi brevi i Fiorentini a colle-
garsi coi Pisani, coi quali, dopo una guerra, dannosissima
per ambedue le parti, si erano pacificati, e cogli altri co-
muni e stati d' Italia per distruggere con le forze unite le
compagnie (1). I Fiorentini intanto avevano mandato ad
Avignone un ambasciatore, la cui fama non fu dovuta
a' suoi meriti in diplomazia; e questi fu Giovanni Boccaccio,
incaricato di difendere i concittadini, o i Priori dal rimpro-
vero di aver impedito gli Aretini di mandar truppe a
richiesta del « cardinale di Spagna », Gii d'Albomoz, che
con tanto ingegno e tanta energia teneva alta in Italia la
bandiera della Chiesa, e che allora combatteva contro Hans
di Bongard. Questo capobanda tedesco, famigerato in Italia
sotto il nomignolo di Annichino, aveva pochi mesi innanzi
travagliato Firenze fin alle sue porte insieme con lohn
Hawkwood, inglese. Ora però le autorità non volevano far
nulla, né direttamente, ne indirettamente contro un nemico,
probabilmente placato in segreto a forza di danari. Aveva
il Boccaccio ricevuto V istruzione (2) di rammentare al pon-
tefice tutti i buoni servizi, resi da Firenze alla Chiesa e
magari, si tempus patitur, di provare sulla testimonianza delle
cronache, come i Fiorentini fossero sempre stati figliuoli fe-
deli di essa. Anzitutto per provare lo zelo, dal quale erano
animati, doveva offrire in loro nome cinque galere, nel caso,
che Urbano volesse tornare in Italia per mare, o una guar-
dia di 500 cavalieri colla bandiera del Comune, se preferisse
venire per terra. Ma per allora quest' invito non fii che una
dimostrazione, giacché ben si sapeva, che le condizioni del-
ritalia non erano ancora tali da permettere al pontefice di re-
dimere Boma dalla sua lunghissima <^ vedovanza ^, Un' altra
(1) Brevi del 15 settembre e del 6 ottobre 1864 {Arch. ator., serie I,
io. 15, pp. 81 e seg.)*
(2) É pubblicata neWArch. slor., Append. VII, 418.
228 TRE ORAZIONI
ambasciata, spedita sei mesi dopo (1) non ebbe effetto mi-
gliore. Il papa non voleva delle belle parole, più o meno
sincere; voleva fatti e desiderava anzitutto che Firenze si
facesse banditrice e capo d' una lega contro le compagnie,
lega, che per la stessa sua natura poteva servire di salva-
guardia al papa, dopo V ideato ritomo, e che doveva to-
gliere r ostacolo principale che a questo si opponeva. Non
trovando i Fiorentini sulle prime molto disposti, ebbe a dire,
che non avrebbe più promosso alcun cittadino a un bene-
ficio ecclesiastico, perchè il Comune, invece di servire alla
Chiesa, ne impediva anche gli altri (2). Pare però, che Fran-
cesco Bruni, fiorentino, segretario del papa, colla scorta di
lettere giustificatone, indirizzategli dai Priori, dopo molto
tempo riusci a quetare i malumori d' Urbano (3), perchè
vedendo che i Fiorentini ora si occupavano sul serio della
lega, gli pareva di aver conseguito lo scopo di tante am-
monizioni. Infatti un trattato fira Firenze, la Chiesa, Bo-
logna, la regina di Napoli, le città toscane, la Romagna, la
Marca d'Ancona ed altri, veniva stipulato il 19 settembre
nella città dell'Arno (4), benché fuori dell' intenzione del
pontefice, diretto soltanto contro le fiiture compagnie. Pare
però, che il papa non fosse del tutto malcontento dell' an-
damento delle cose, perchè un giorno prima della conclu-
sione della lega aveva promosso a cardinale insieme col
vescovo di Marsiglia e col proprio fratello, vescovo d'Avi-
gnone, frate Marco da Viterbo, generale de' Minoriti (6),
che appunto allora dimorava a Firenze per trattare 1' al-
leanza. Ora un nuovo invito al papa per il ritomo in
Italia pareva fosse più promettente ; onde si decise di in-
(1) L'istruzione del 23 febbraio 1865, Ibid., 412.
(2) Lettera della repubblica a Francesco Bruni, 9 agosto, 1865, 1. e, 418.
(8) Breve deirS settembre 1866, 1. e, 425.
(4) L'Atto della lega fu pubblicato da Canestrihi nellMrdk. dar,,
serie I, to. 15, p. 89.
(5) Vita anon. Urb. V" (Muratori, E. I. S. HI, 2, col. 616).
DI LAPO DA CASTIGLIONCHIO EC. 229
viare una nuova ambasciata ad Avignone. Di certo, i Fio-
rentini, devoti alla Chiesa, bramavano la fine d' una ano-
malia, per la quale il papato romano da più di mezzo se-
colo stava fuori della città dell'Apostolo, ma il loro zelo
aveva anche un altro motivo, molto estraneo alla fede ed
alla devozione. Ormai pareva certo, che Urbano fosse riso-
luto di fare quello, che prima della sua elezione con parole
tanto energiche aveva significato come dover suo nel caso
che fosse stato eletto. Nella Pentecoste, dell' anno avanti
aveva veduto suo ospite Carlo IV ; a Notre-Dame-des-Doms
alla festa della discesa dello Spirito Santo, il papa aveva
celebrato la messa, mentre V imperatore assisteva alla sacra
funzione con la corona in testa, con lo scettro in mano (1)
e si sapeva benissimo a Firenze, che egli aveva V inten-
zione di condurre Urbano a Tloma. Non si vedeva più colla
paura de' tempi passati scendere un imperatore dalle Alpi ;
pure si temeva, come i Priori si esprimano nella parte se-
greta dell' istruzione data a' loro ambasciatori, che talis prin-
cipis descensus poteva novitates noocias et scandala susci-
tare (2). I Fiorentini erano buoni calcolatori e non potevano
aver dimenticato quanto denaro fosse loro costata la prima
venuta « talis principe » in Italia. Era dunque loro scopo,
o di persuEidere Urbano a venire senza l'imperatore, o, se
fra i due capi del mondo cristiano la cosa già era stabilita,
di guadagnarsi almeno il favore del pontefice, affinchè egli
si intromettesse, che Carlo IV osservasse al comune gratias
et promissiones factas per suum Majestatem; e avrebbero po-
tuto aggiungere: senza nuova paga.
Gli ambasciatori eletti furono il cavaliere Nicólaus de
Albertis, Lapus de Castiglionchio, juris canonici professor e
(1) Ibid., col. 614.
(2) Ved. Pìstmz., di quale subito verrà parlato. - Nell'ottobre 1866
8Ì imponeva la decima per tutta Germania « in subsidium domini impe-
« ratoris, itnri cum domino pai)a in Italiam » (Vita Urb, V^^ auctore cano-
nico Bunnenri, 1. e, 688).
230 TRE ORAZIONI
Charólus Strozze de Strozzis (1). I Priori ed il Gonfaloniere <
giustizia davano loro, come al solito, le più particola
giate istruzioni, che ci sono conservate dal rispettivo voli
delle « Missive ». Cominciarono coli* incarico, di pramma
per le missioni dirette al papa, di baciare la terra dina
ai piedi di Sua Santità, e poi insegnavano punto per pni
come si doveva arringare il pontefice. Essendo V ìstrozi
pubblicata fin dal secolo scorso (2), sarebbe inutile ripete
qui il contenuto. Basti V accenno, che dopo avere am
mente trattato di ciò, che si doveva dire al papa, e d
r incarico di congratularsi con lui in nome della Bepnbl
per la promozione dei nuovi cardinali, essa contenevi
prescrizione agli ambasciatori di salutare i cardinali <
ossequiare il pontefice in nome di parte Guelfa. Tcmto
fectuose quanto magis potenti^, narrato, tinde emanaverit
Guelforum, recommendabitis apostoìice sanctitati ipsam a
tolicam partem Guelfam velut membrum notabile Rai
ecclesie, et quod nunquam defuit, quin prò exaltatìone et Ju
Romane ecclesie exposiierat usque ad mortis perictdum
sua et quod ipsius partis et Guelforum spes firma resid
ipsa Romana ecclesia spetialissima maire et domina sua.
Il testo delle tre orazioni V abbiamo potuto rintrac
in un codice della Biblioteca Amploniana di Erfurt. 3
dice Qu. 126 è miscellaneo ; contiene 32 scritture in
parte molto disparate ; il N.'* 16 è la « Coìlacio, faet
ram papa, Anselmi Sockardi » e il N."* 16 (f. 166-
comprende le tre orazioni dell' ambasciata fiorentina j
bano V. Il codice, compilato fra il 1391 e il 1396, è 8
per conto (o in parte anche da) Paul von Geldan, che
era in Vienna « in collegio domini ducis » (3). Non
(1) Archivio di Stato, Missive, XIV, f. 122.
(2) Dal Mehus nell'Appendice dell' « Epistola osia ragionam.*
« Messer Lapo di Castiglionchio » (Boi., 1753, pp. 185 e seg.)*
(8) ScnuM, CtUeUogo deW Amploniana pnbbl. a Berlino, 1887. -r^
tura del testo, che segue, V ha gentilmente esoj^^uito per l'autore A.~
memoria il Sig. Dott. Beyer, archivista della città di Erfurt.
, sia per VO-
CI LAPO DA OAsriauoKOmo eo.
me il volume, probabilmente scritto a Vieii
nto alla, Biblioteca della città Turingese.
Se generalmente, ritrovando tali orazioni aconosciute,
ì un po' diffidenti e facilmente propensi a aospettame
I autenticità, ed a domandarsi se non forse si tratti d' un
lero esercizio di stile nel nostro caso tale possibilità ri-
Jie affatto eselusa. Per poterle concepire ci voleva una
conoscenza esattissima delle istruzioni date agli ambascia^
tori, perché punto per pnnto a quelle corrispondono. Vi
sono soltanto due divergenze, una delle quali lievissima;
difatti mentre nell' istruzione vien detto, che Firenze vo-
^^^va spendere 25 mila fiorini d' oro ]3er la dissoluzione delle
^^pimpaguie ti aperabatur quod concordia haberet loctim, vel
^Hro modico inajori gitanlitate, V oratore parla di 27 mila
^Hwi'ini : ma sarà questa probabilmente quella somma un
^Hk>' maggiore, e fino alla quale si voleva spendere. Poi iiel-
^V istruzione si dice di aver voluto prendere a soldo 1600
barbute per 20 giorni, mentre che 1' ambasciatore parla in-
vece di 1000.
Che fosse Lapo da Castiglionchio quello de' tre, che pe-
rorava dinanzi al pontefice e dinanzi ai cardinoli, pare pro-
babile per se stesso, perchè d' una ambasciata composta d'un
cavaliere, d' un nobile e d' nn professore di diritto (era an-
ch' egli d' antica nobiltà) è naturale che la parte d' oratore
ì a qnest' ultimo. Ma e' è anche una prova assai con-
in^Dte; in quella delle tre orazioni, tenuta in nome di
ì Onelfa, chi parlava feceva una spiegazione assai biz-
k dell' origine dei nomi Guelfi e Ghibellini, per quale si
) come di questa origine nella seconda metà del Tre-
mto ogni genuina tradizione era del tutto sparita e come
ai supplisse con giochetti d' etimologia assai arrischiati. Se-
condo lui la parola Guelfi era composta da gerere e fides.
•ntes fidenif mentre i Ghibellini così furono chiamati da
Brere e bellum, gerente» bellam. Ebbene, pare che questa
I molto piaciuta al jirofessore di gius canonico,
Xihè si ritrova tale e quale nella sua lettera, diretta al
232 TRE ORAZIONI
figlio, messer Bernardo, canonico fiorentino (1), dove dice,
che secondo V opinione più vera « questo nome Guelfo è
« nome composto da uno verbo grammaticale, eh' è gero
« geris, che vuol dire portare, è da uno nome, cioè fides
« fidei che vuol dire fede e risulta Guelfa, cioè portatore
« di fede. E questo nome Ghibellino è ancora nome com-
« posto dal detto verbo grammaticale gero, e questo nome
« hellum belli che vuol dire battaglia, perciocché portarono
« e fecero battaglia centra la santa Chiesa di Dio ». L' iden-
ticità delle parole latine del discorso e di quelle italiane
deir epistola al figliuolo di certo non può essere casuale.
Oltre a ciò si vede dalla stessa istruzione, che Lapo era il
capo intellettuale delF ambasciata, dicendo i priori che so-
pra i fatti della lega « vos oratores, et maxime vos domine
Lupe, 8iti8 plenarie informati et prò tanto non expedit speda-
liter de singulis mentionem fieri ».
Il papa accettò le cinque galere offerte da Firenze (2).
Poi s' imbarcò il 20 maggio dell' anno seguente (3) a Mar-
siglia, accompagnato da una flotta di 60 bastimenti (4),
cosicché quelli di Firenze non ne formavano, che la dodi-
cesima parte, essendo gli altri mandati da Napoli, Venezia,
Genova e Pisa (5). Quattro giorni dopo a Genova, la prima
volta dopo 68 anni, un papa metteva il piede su terra ita-
liana. Ma lo zelo, tanto dei Fiorentini, quanto degli altri,
in seguito si mostrò molto minore, di quello, che pareva
prima del ritomo del pontefice. Non è qui il luogo di par-
lare, neppure con brevi parole, né della seconda venuta di
Carlo IV in Italia e dell' indegno spettacolo, che al mondo
ofiFriva, tornando colla borsa piena, ma con obbrobrio del-
l' imperio, ne di tutte le ragioni, che persuasero o costrin-
(1) Mehi'8, 78 seg.
(2) Breve del 22 novembre 1366, Archivio di Stato, Capii., XVI, 57 «.
(3) Vita anon, (Muratoki, Ss. Ili, 2, col. 617).
(4) Vita aucl. canonico Bunnenn, Ibid., 637.
(5) Vita anon.f 1. e, 617.
DI LAPO DA CASTIGLIONCHIO EC. 233
sero Urbano a tornare dopo tre anni ad Avignone. Per noi
si tratta soltanto dei discorsi, che nel 13G6 contribuirono
a deciderlo al tentativo di riprendere la sua sede a Boma.
Pur troppo il testo di questi, il solo fin ora conosciuto, e
che deve S3rvire per la nostra pubblicazione, è molto cor-
rotto. Pare che, chi li copiò sui fogli del Codice ora Am-
ploniano, non sapesse leggere molte parole del suo testo, e
spesso cercasse d* imitare la sola forma di parole che non
intendeva. Cosi siamo costretti di interrompere qualche frase,
interponendo dei punti, e di renderne altre con errori ma-
nifesti, da mettersi a debito del copiatore trecentista. Dove
abbiamo fatto qualche correzione, è stato notato appiè di
pagina ; ma questo si poteva fare soltanto in quei pochi casi,
nei quali sulla natura degli sbagli di scrittura non poteva
cader dubbio.
Ci sia permesso di rilevare, prima di chiudere, una par-
ticolarità deir ultima delle tre orazioni. In questa arringa
ai cardinali gli ambasciatori parlano delle meraviglie di
BiOma cristiana e pagcina, e vi si fia,, brevemente, una con-
ferenza sulle « Mirabilia urbis Ratnae », quali apparivano
agli uomini del Trecento. E non si omettono neppure le
catacombe. Queste si credeva che quasi fossero dimenti-
cate e soltanto scoperte di nuovo in certo modo da' Frati
minori e dagli Accademici Romani nel Quattrocento. Il
modo però, col quale Lapo da Castiglionchio parla, tanto
tempo prima, dinanzi al Concistoro, come degli altri avanzi
dell' antichità, cosi dello « specus Calisti beatis ossibus in-
gtructum », pare rivelare una conoscenza personale di esse,
come in genere una ammirazione profonda di quello che
gli evi tramontati avevano lasciato alla Roma rimpicciolita
de' tempi Avignonesi.
Firenze. Robert Davidsohn.
234 TRE OBAZIOKI
Documenti.
CoUado facta per oratores civitatis Fiorentine coram domino
papa Urbano P^
Sanctissime pater ! Quoniam iam scitum est, sanctitatem vestram
maturo suo iudicìo rerum veritatei que se ipsam croati pòcius quam
verborum lenociniis de1ectari| ne vestra sanctitas ipsa a suis ^a-
vissimis curis aliis loquaci sermone plus debito distrahatur aut
forsan sacre aures magestatis vestre longi sermonis tedio offendan-
tur, decisis et obmissis quibuscunque prefacionibuSi invocata divi-
nitate et venia impetrata a sanctìtate vestra, et imponentibus hiis
maioribus sociis meis et in hoc oratorio officio collegis et sub
eorum correctìone, nostre succincte et compendiose orationis seriem
aggrediar.
Quis siquidem oratorius effectus, beate pater, quadruplex est.
Primo siquidem premisso, ut debiti moris est, terre ante sacros pedes
sanctitatis vestre osculo devocionis, commune et populum civitatis
Fiorentine, ut ipsam civitatem et singulares cives illius vestros
deuotissimos et ab olim sancte sedis apostolice creaturas et qui, ut
bactenus, sub umbra alarum diete sedis vivere cupiunt, prò ipsoruni
parte cum magna fiducia commendamuS, deprecantes ut eosdem sem-
per et ubique dignaremini, sub clipeo vestre protectionis suscipere.
Secundo prò parte ipsius communitatis devotissime (1) letamur
et exultamus gaudio magno cum sanctitate vestra, meditantes sanotum
ac preclarum ipsius sanctitatis propositum de felici ad ventu vostro ad
partes Ytalie, prout jam toti orbi insonni t et in fines orbis terre
sonus eius exivit, sperantes . . hoc cedere ad ezaltacionem sancte
Romane ecclesie et honorem et famam sanctitatis vestre et ad pa-
cificum et tranquillum statum tocius Ytalie, et eo iocundius exultat
et gloriatur communitas ipsa, quo piane invenitur, sanctitatem ve-
stram, pii more parentis, Ytalicos omnes et nominatim civitatem
ipsam Florentie intendere non solum preservare a quibuseunque
noziis, verum eciam prò ejus vigentis status augmento prestare
favores, neo cum adventu ipso pati, aliquid concurrere, quod populo
(1) God.: devolinime communiUUia,
DI LAPO DA CASTIGLIONCHIO BC. 235
et Ytalie et presertim ecclesie devotorum pacem et tranquillitatem
poBsit offendere. Hoc igìtur sanctum et magnifìcum condivinitus
institatom propositum ipsa communitas magnopere commendat et
laudibos eztollìt, prò cujus felicissimi adventus favore, et, ut debita
sue devocionis sìgna deroonstret, ipsa communitas eidem sanctitati
offert quidquid ubique sue potentie est. Atque ad certam speciem
nunc descendens: si sanctitas ipsa Ytaliam per iter marinum pe-
tere disponat, quinque alias oblatas galeas, debitis officinis omatas,
communitas ipsa ejus propriis sumptibus leto animo offert. Sin autem
per terram ipsa sanctitas vestra iter arripuerit, quingentorum equi-
tum armatorum cum nobilium ducatu et cum banderia dicti com-
munis, ubi, quo et quando volueritis fìdelissimum comitatum ; ^^mmo
eciam, si per mare veniens ipsa sanctitas vestra, ipsas galeas dignata
fuerit recipere, quamprimum terre feliciter applicuerit, ipsos quin-
gentos equites, prout, ubi et quando sanctitas ipsa postulaverit
exhibere ex deuocionis sue promptuario est parata, dummodo ipsa
sanctitas vestra eidem communitati tam congruo tempore prius no-
tificete ut compositis suis sarcinulis possit esse parata, supplicans
ipsa communitas, ut predicta acceptare dignaremini, notificans sancti-
tati vestre, quod hoc sibi ad maximum honorem reputabit, ymmo ad
maximam verecundiam, si contingeret, sanctitatem vestram ipsam (1)
devotissimam communitatem in hoc felicissimo adventu tamquam
peculiarem filiam et deuotam in predictis et aliis oportunis non re-
quirere. Imperate, parebit; profecto sencietis opere antiquum af-
fectum diete oiuitatis. Amplissime pater sancte, ut letitia letitie
accumuletur, huic secunde particule congruenter annectitur, quod
ipsa ciuitas letatur et exultat gaudio magno cum sanctitate vestra
de nova promocione cardinalium, quam nuper summa vestra proui-
dencia facere dignata est, sperantes quod per ipsorum circumspectam
providentiam et maximam virtutem ecclesia sancta dei et sanctitas
vestra et Christifideles (2) salutaria recipient incrementa ; Deus gres-
sns illorum dirigat in viam salutis, quam sanctitas vestra desiderat.
Tertio in seriem nostre oracionis occurrit, quod sanctitatem vestram
certìssimam reddamus, quod ligam, quam proximis temporibus prò
pace et statu tocius Ytalie in illis partibus per commissarios sancti-
tatis vestre centra gentes malignas et detestabiles, que societates
appellantur, tractari fecistis, communitas ipsa tamquam rem opti-
(1) Cod. : iptam aanctiUUem ve$tr€tm,
(2) Cod. : Chriati fidelium.
23G TRE ORAZIONI
mam et ipsarum parcium unicum remedium semper acceptam babuit
semperque oh reuerenciam vestre sancii tatis illam parata fuit fir-
mare, dummodo renlis fucrit et utilis et non verbalis et dampnosa.
Hoc certe, pater sancte, luce clarius apparuit ipsis commissariis nu-
perrime in ciuitate Florencie, ubi communitas ipsa ligam firmare
parata fuit per scripturas privatas et sigilla autentica, colligam
eorum conseruandam, per commissarios ipsos, donec, loco et tempore
assignatis per ipsos commissarios, quilibet colligandorum gentem
sibi contingentem secundum tuxam ordinatam baberet, quo loco et
tempore lìga ipsa publicaretur, ut simul cum publicatione parata
esset defcnsio, si gens forsau illa detestabili s sub pretextu sibi rnpio-
rum pactorum malignari voluisset. Placuit boc idem commissariis
et colligandis omnibus, duce Pisarum excepto, prò cujus consensu
babcndo duo ex commissariis cum pluribus ex colligandis Pisas ad
ipsum ducom accesserant nec obtinere potucrunt. Denique commu-
nitas ipsa, ne quid sibi possct impingi, ad buìusmodi discordiam
sodandam parata fuit se ponere in manibus commissariorum pre-
dictorum, ut pensatis omnibus statuerent, quod eis uideretur utilius,
prona exequi, c^uid illi disponcront; boc idem commissariis et colli-
gandis cetcris placuit, dicto duco excepto, qui eciam ad boc sepe
rogatus induci renuit, quorum occasione ea vice eodem caruit elfectu.
quod Deo tosto communitas e;^re tulit, quod advortentes circumscripti
commissarii, sanctitatom vestram profecto excolentes et omni laude
dignissimi et qui in ro(}uicto sollicitudinis calcaribus accincii nicbil
de contingentibus oniiserunt, et presertim dominus episcopus Flo-
rentinuR, creatura vostra, et opus manuum vestrarum, quem et prò
suis meritis ot tamquam singulare spcculum illius ciuitatis commu-
nitas ipsa rocommcndat sanctitati vostro, ne ipsi colligandi sic rupti,
sic discordcs disc'cdcrent, nove ipsis malignis gentibus major gras-
sandi (1) et sovìondi audacia tribucrctur et ut aliis iniquitatis filiis
paratis ad novas societates . . . (i?) liujus lige motu a tali proposito
resilirent, firmari fucerunt ligam inter colligandos eosdem contra
futuras societates. Et jam presontibus ipsis commissariis consìgnatc
sunt gontes communi tatis Florcncie oos tangcntes prò rata imposita
in liga prcdicta. Consideraverunt eciam utile fore, quando contige-
ret sanctitatem vestram ad partes uenire Ytalicas, banc gentem
congregatam esse, ut sanctitas vostra illis in suis serviciis possit
(1) crcusandi,
(2) societates censencUu,
DI LAPO DA OASTIOUONCHIO BC.
fUtì. Potnit 6ci»m nosae sanctitaa vestra, quod dum... (1) in orn-
iate Sennram duoeretit et esseat tuDC qui ofTeireat soctetatem dis-
solvi prò qunutUate florenorum aurì ssvii m., oommunitas ipsa hoc
■tteudeos, quod melior erftt certa pus quam sperata Victoria, hoc
kcceptnui habuns, uliis colligaadis perauasit, ut partem suaui socud-
duTn cousaetnm taxam ponereut prò dissolutioite bujus, cum jpsa
cotnmuQitafi parata esset suam porcioneiu contribiiere, cciani non
obstanle, quod alias ipsi soeietati eadem commuoitas prò concordia
quaiu habuìt, mngniuik pccuuìani eflunderet. Hecitsavemnt illi et
BoluiQ X inilift tioronoruin solverò voluerunt, prò qua quajititato
cfiici noa poluit, «x quo pitulo poiit secutuni est, ut socisles i!li Se-
luis invostirunt et tiim gvauìssimis dìspendiis illos afflixeront, ut
coacti . . veaati suain ipsi aoU x m, 9orenoruin redimere (2). Àlias
edam fui
jirediota
hoc ipsi I
Itgam firmare
libet poi
r«3 certa
dictas luille barbutas condì
elapùs quilibet coligiindoi
colligandos eosdem prò dissolvenda societate
mille barbutas de sociolibus ipsis. Plaeuit et
stìd volebaiit plures ex colìgandìs aute omnia
promittere volcbnat, quod elapsìs xx diebns, quì-
uam contraduce rat. Tunc vero ipsa communitos ut
realis, voluit ante omnia suis propriis stipendiis
prò tempore xx dierum et illis
porcionem sunm et ligam
tìrmare. llecuaaverunt illj hoc ftxcere, propter quod dare apparuit
realem illas ligam non querere aed verbalem. Sunt ista veatre pa-
tornitati compendiose retata ex causia predictia. Sed ubi saactìtas
vestra mandaverìt, ego quamlibet ìmmeritus cum nonnullis atiis
majorìbua civibas ad ista per communitatem ipsam tunc deputatus
presens interfiii, et diffuse eorum momenta resorabo ita, quod adver-
Barios quilibel ad singola quecunque coavictus aperire non poterit.
Pro modo vero hoc dixisse aulHcìat, communitatem ìpaam voluisse
et velie ligam predictam cum predictis, dummodo fiat reali», vìde-
licel cum gente parata, cum effectu optato et no» verbaliter et de-
lusorie et cum jactura coHgandorum. Quarto loco, patemilaa vestra,
se ofiert ia ordine dicendorum, ut omnem ex animo vestre sancti-
Catia rubigìaem abstergamus de eo, quod fertur ad aures sanctitatis
TBstre prolatum, communitatem ipsam iirmaase ligam cum Sonia,
nesoio ad quos prophanos efiectus. Pudet noa oratores prò exousa-
tione tam manifesti mendaaii iMr:nonea eflundere. Veritas eat, quod
(I) ala hic lige Iraclate.
C2) Kic
238 TRE ORAZIONI
ipsi Senenses suspicantur sui status subversionein ; ad conservacio-
nem sui status hujus lige favorem postularunt ; communitas vero
ipsa attendens, quod subversio status ciuitatis illius tam vicine se-
cum grandia pericula offerret, - nam sua res agi tur, paries dum
proximus ardet, - ligam ipsam firmavi t, hiis tamen actis et expresse
appositis in contextu ipsius confederaoionis, ut ipsa liga fieret et
f.ictam esse intelligeretur (1) ad honorem et exaltacionem sancte
ecclesie et sanctitatis vestre, nec fieret nec facta esse intelligeretur
contra aliquem dominum vel communitatem seu gentem cum qui-
bus facta esse intelligeretur, contra aliquem dominum vel comma-
nitatem seu gentem, cum quelibet communitas ipsa pactum, con-
cordiam seu composi tionem haberet; que quidem modificaciones et
clausule manifeste excludunt (2) omnes iniquos efiectus, de quibus
sanctitati vestre fuit inveridice subjectum (8). Hec sancte pater no-
tissima sunt comissa ... (4) nobis uero sufiiciat ipsam veritatem . . .
ad presenciam vestre sanctitatis detulisse, ut sacrum in postemm
exemplar, ne malignis sermonibus de facili aures prebeatis, nam ut
dicit Seneca: Non omne verisimile statim verum est, plerumque
mendacium veritatis fEUsiem induit. Explicui, pater sancte, ni fallor
obmissis uerborum ambagibus compendiosam nostre oracionis se-
riem, deprecans humiliter ipsum verum deum, cuius vices in terra
geritis, ut sanctitati vestre concedat ea agere, que (5) ad sui laudem,
et exaltacionem sancte Eom. ecclesie (6), expedire cognoscitur. Amen.
CoUacio prò parte Guelfa coram papa (7) statim post predktam.
Porro, sancte pater non gravetur sanctitas vestra, precamur, pau-
cis aliis fìdelibus verbis, prestare auditum. Prout sanctitas vestra
nosse potuit, dum quondam multis jam labentibus annis in partibus
Ytalie nonnulle seditiones et scandala orta essent et presertim diver-
sis temporibus inter summos pontifices et imperatorias (8) magesta-
(1) intelligere.
(2) conchtdunt,
(8) Sic.
(4) Segue una frase sconnessa.
(5) que cedant.
(6) eccU$ie sue sancte ei devote tQU»,
(7) prò eo secundo,
(8) imperatoree.
DI LAPO DA OASTIGLIOKCHIO EC. 239
tea, tunc illaram parcium gentes se in partes duas contrarìas et
adversas diviserunt, et faerunt qui summos ponti fices et sanctam
sedem apostolicam secuti, de ipsorum mandato ipsos imperatores et
partem suam mirabiliter et laudabiliter expugnarunt, imde ab ipsa
sede apostolica, exigentibus nuntiis suis, in honorem suum certum
venerabile nomen adepti sunt, videlicet Guelfi, sic dicti, quod fidem
geaserant ecclesie, compositum nomen a gero, geris, gerere et fìdes,
qua fidem gerentes. Alii vero et centra dictam sanctam sedem apo-
stolicam imperatores secuti sunt et de ipsorum imperatorum man-
dato ipBOS summos pontifices et partem suam dampnabiliter ezpu-
gnaverunt ... (1) in confusionem suam Gebelini dici meruerunt, id
est bellum gerentes adversus ecclesiam, compositum nomen a gero,
geris et bellum, belli id est bellum gerentes. Inter primos vero
Guelfos et ipsi ecclesie fidem gerentes, majores nostri (2) ut toti
orbi notum est, se prò suis viribus exercuerunt et sub hac parte,
sub hoc nomine, sub hac fide communitas ipsa Florencie regitur et
gubematur, et in ipsa deputati sunt quidam excellentissimi cives
capitanei ad regendum et custodiendum ipsam partem Guelfam et
ab ipso regimine excludendos quoslibet gibelinos, habentes ab hac
sanctissima apostolica sede signum, archam et sigili um tamquam
approbatum collegium, fundamentum habens ab apostolica sede. Hii
capitanei sunt, pater sancte, quorum prefati mei majores sociì lit-
teras presentarunt, hii sunt, qui se ipsos et suam catholicam partem
Guelfam, creaturas vestras et apostolice sedis, quodam quasi suo
iure recommendant, hii sunt, qui felicem vostrum adventum ad
partes Ytalie flexis genibus adorantes cxpectant ac deprecantes
humiliter, quatenus preterì torum patrum momores eosdem sub pal-
lio sanctitatis vestre velitis in voi vere et sub dicto nomine, parte ac
fide conservare velitis, offerentes se paratos, solita et antiqua fide,
quam inconcussam ad ipsam sedem perpetuo gesserunt, ad omnia,
que honorem et statum sancte Eomane ecclesie et sanctitatis vestre
respiciant et sanctitas vestra mandaverìt, ac deprecantes Deum, qua-
tìnus vos, vicarium ejus, et summum pontifìcem, caput et funda-
mentum ipsius catholice partis Guelfe conservare et augmentare
dignetur per tempora longiora, prout universo orbi et presertim
ipsis Ghielfis expedire cognoscitur.
(1) populi quod.
(2) vethrù
240 TRE ORAZIONI
CoUacio facta per eosdem coram papa in consistorio.
Oblitus videor (1) parvitatis (2) mee sancte pater et non satis
sanctitatis vestre magnanimitatem recogitasse, dum coram vobis,
Christi vicario, ego homuncio balbus et elinguis verba facturus as-
$urgo, et dum cogitare cepi, quantum ab altitudine curarum vestra-
rum meorum distaret parvitas studiorum, horret atque refug^t ani-
mus, cor (3) pavor pulsat et vox faucibus heret. Berum quippe
magnarum gravìtas me locuturum obruit, nam quia stilus materie
dignus, que parata dicendis eloquentia, cui tanti pectoris facunditas,
ingenii ubertas, lingue mobilitas, ut tali atque tante materie se fere
ydoneum arbitretur. Habet suum quisque inicium, miebi vero, si
lingue centum oraque centum, ferrea vox esset, vix , digne satis
facturus videor (4) tante rei et laudibus sanctitatis vestre. Ma^a
profecto et ardua res est ce tu tanto stipatus, tot oculis, tot auribus,
quorum maturum et clarissimum judicium est, posse satisfacere.
Sed dum subiit . . . innate nobis humilitatis et benignitatis recor-
dacio, que pii more parentis juxta Icgum precepta filiis ac deuotis
sese tractabilem exbibet, jam me ignavi pauoris et diffidencie reum
cognosco, et video sanctitati vestre congruere verba olim ad Cesa-
rem dieta : ignorant profecto magni tudinem tuam, imperator, qui
coram te loqui presumunt, qui non mutuant humanitatem. Nunc
vero cogor ut dicam . . . (5). Vrget enim me invitum et renitentem
calcar ingens atque impelli t, jussus videlicet dominorum meorum
]u-iorum arcium et vexilliferi (6) justicie civitatis Florencie devo-
tissimorum sanctitatis vestre et ab olim sancte sedis apostolico
creaturarum, necnon horum majorum sociorum et collegarum meo-
rum, hic in presentia vestre sanctitatis astantium, de quibus in
mandatis habeo presertim eorum adventus (7) causas aperire. Vos
ergo, clementissime pater, prò vostra humilitate benignum mihi
(1) inindeor,
(2) pravUcUis.
(8) corda,
(4) invideor.
(5) nec remotam valeot
(6) veonlliferorum,
(7) (tdvenluù
DI LAPO DA CASTIGUONCHIO EC. 241
prestetis auditum, vos autem sacri atqne reuerendissimi patres et
domìni, domini mei, domini cardinal es, qui latera sua custoditis et
a quomm cardine mundus pendet, vestrumque divinum collegium,
defeotas meos supportate pacienter; vos insuper majores socii mei
et in hoc oratorio officio college, qui mentem vestram me enunciare
jubetis, diligentes verborum meorum custodes sitis et observato-
res, ut per vestram sapientiam, quantum opus fuerit, corrigar. Ego
autem invocata in auxilium divinitate, postquam parere necesse
est^ justa ipsam rei veritatem, que satis se ipsam ornat, obmissis
verborum lenociniis iuxta consilium (1) venio breuiter et bu-
militer ad materiam. Presentis nostri adventus causa sancte pater
quadruplex est. Prima quidem ut debiti moris est, premisso ... (2)
terre ante sacros pedes majestatis vestre osculo reverencie et devo-
cionis, commune et populum civitatis Florentie et ipsam civitatem
et singulares cives ejusdem sanctitati vestre devotissimos et ab olim
sancte sedis apostolice creaturas totis cordis affectibus et cum magna
fiducia commendare liceat (B) (4). Ad hoc patemi tas
vestra in serie nostre (5) orationis occurrit, ut vice communitatis
prefieite totis precordiis nostris letemur et exultemus gaudio magno
cum sanctitate vestra et in plausum leticiamque defluamus, medi-
tantes sanctum et divini tus insti tu tum proposi tum vestrum, de fe-
lici adventu vestro ad partes Ytalie, prout toti iam orbi intonuit
et in fines orbis terre sonus illius exivìt. Cui enim devotarum sancte
Bomane ecclesie aut exultare aut gloriari magis competit (6)
habundant exempla, piena sunt analia ; sed pertranseo ista, ne vestre
sanctitati et toti fere orbi notissima replicem, et eo jocundius exul-
tat et gratulatur communitas ipsa, quo piane invenerit, sanctitatem
vestram, pii more parentis, Ytalicos omnes et nominatim civitatem
ipsam Florencie non solum intenderò preservare a quibuscunque
noxiis, verum eciam prò sui vigentis status augmentacione prestare
£Bkvores, nec cum adventu ipso pati aliquid concurrere, quod popu-
(1) glo. or, m. eie aepe de verborum rì et fac L i. ff, de integrù reetitutù.
Q2) atque defixo.
(8) licei incremerUum.
(4) Segue una lunga frase talmente sconnessa, che non ò possibile
restituirne il senso.
(5) vetlre.
(6) Parole sconnesse per errore del copiatore: relegalure hydlorie excu-
tùUur antiquUaSf proferatur veritas in medium prede votiseimam omnium coni"
mmnileUum ipaam pregni (preibit?),
Abou. Stoe. It., 5.> Serie. — XX. l^i
242 TRE ORAZIONI
lorum Ytalie, presertim Romane ecclesie devotorum pacem et tran-
quillitatem posset o£Fendere. Hoc ergo reformande totius orbis rei
publice sancto proposito concepto, sanctitas vestra et divulgato,
jam ardore prosequimini ; incipitOi ne differatìs; inimica semper
magnis mora principiis; properate ergo, quod jam sepe..-. (1) prò-
tulistis et imitemini primum iUum Bomani imperii opificem, qui
tante celeritatis fuisse dicitur, ut sepe sui adventus nuncios preve-
niret. Nolite amplius benemeritam Ytaliam vestri desiderio £Bitigare,
noli te ardorem suum impiis aut exspectationibus restringere,
sola enim spe diucius pasci nequit. Multa equidem sunt dementa
que (2) ad tam altum, tam magnificum tamque gloriosum perficien-
dum propositum debent impellere : virens etas, corpus validum, altum
ingenium et ardens orbem Ytalicum reformandi (3) cupiditas. Ouìd
ergo exspectatur, quid cogitatur ! Sane nunquam, aut Ytalia . . egen-
cior aut nos ad faciendam opem .... (4) aut favor hominum et Dei
propensior aut illustrior res agenda fuit. Putatisne, sancte pater,
Deum ipsum, a quo tocius orbis elementa processerunt, sine causa
personam vestram benemeritam buie sancte sedi pretulisse, facile
sequens, boc sine magno Dei misterio [non] contigisse arbitratis.
Solus enim estis, cui Deus omnipotens interrupti concilii predeces-
sorum suorum dilatam gloriam reservavit ; yngens nisi respuatis (5)
vobis glorie opus!... Ingrediamini fortiter inter pedes jiistorum,
Comes et adiutor principum, Deus aderit ! Spectat nuno ipse vos
celorum princeps ab alto, considerat gressus vestros, dies computat
borasque dinumerat. Insuper alioquin vindicator est stii muneris.
Expectant sanctitatem vestram leti colles et flumina, exspectant
urbes et opida, exspectant bonorum omnium agmina. Homa spon-
sum sospitatorem suum vocat, Ytalia (6) vestris pedibus tangi cupit.
Moneant animum vestrum exempla clarissima eorum, qui nihil in
senium differentes, oblatam semel ordinem impigerrime rapuerunt.
Alexander Macedo, oriente peragrato Y^ndorum regna pulsabat aliena
raptxirus ; vos vestrum repetentes devotam vobis Ytaliam non invia-
bitis? Scipio Afiricanus in Afirìcam transgressus (7) mutanti
(1) ore propano,
(2) per que,
(8) reformandum,
(4) actionea aut expecUUione» preHorum major.
(5) respuatù nonne,
(6) Ytalia et.
(7) senium quamquam retrahentem aententiam.
DI LAPO DA CASTIGLIONCHIO BC. 243
jam et raine minanti imperio pias adhibuit manus atque incredibili
virtnte jugum Cartaginis discussit. Profecto autem ex omnibus opti-
mis et sanctissimis curis vestris nulla gravior, quam quod Ytalioum
orbem tranquilla pace componatis. Ea quippe sarcina vestris hume-
ris par est^ cetera leviora, quam ut tanti pontifici s animum oc-
cnpare mereantur. Moneat eciam pastoralis officii vestri debitum,
ut Bomana ecclesia sponsa vestra tot jam elapsa dispendiis, in
suia spiritualibus et temporalibus, debitos persone vestre £eivores
senciat Ad quod, quantum jura vestra canonica .... (1) undique
nichil dignum se offert, quod ab hoc sancto proposito vestro sancti-
tatem vestram possit retrahere. Nolite, obsecro, laborem fiigere, nam
qui laborem iiigit, fugit gloriam et virtutem (2), ad quas nunquam
nisi ardue (8) et laboriose (4) pertingitur. Miles quippe, cui gloria
cordi est summa, sub extremo non ... (5) arma periculo; nauta ga-
bemaculum stringit rabiente procella intrepidusque uidet fractu-
ros sub equore remos, et prius hunc pelagi quam terreat opprimit
nuda. Vos non tam brevis ac tuti itineris spacium prò tanta gloria
tremiscetis .... in dubiis ars certa patet. Vos pater sancte, quem
lionesti laboris et vere laudis appetentissimum scimus, precamur,
surgite, agite et equus magnorum ponderum distributor, graviora
quelibet etati pervalide (6) et forcioribus humeris imponatis. Non
vos asalpinarum (7) rerum sollicitudo, non natalis vicini soli dulcedo
detineat, sed presenciam summi pontificis viduata Ytalia cogite-
tis (8) (9). Ingens .... copia, qui vel ut belli vel ingenii gloriam
cumularunt, vitam in perpetuis peregrinationibus exegerunt, vos
vero, ad sedes proprias de peregrinatione longevo nimium redituri
estis, nulla vobis peregrina transeunda sunt maria, nullus Anibal ante
vincendus est; planum est iter, plana et aperta sunt omnia .... (10).
Sencio quidem, novitatem rerum omnium esse suspectam, sed ad nova
non trahimini, sed ad sedes proprias, auctore Deo, regressus est ; de
(1) Parole sconnesse.
(2) vertutem,
(8) ardue,
(4) laboriore tale,
(5) d^iieU?
(6) pretxUde,
(7) Sic.
(8) Sic.
(9) Frase sconnessa.
(10) Frase sconnessa.
244 TRB ORAZIONI
facili quidem res ad naturam revertitur. Properate ergo, clementis-
sime pater, .... (1). Vos vero viri sacri et totius orbis specula et in
partem tante molis (2) vocati, nolite deplorare hoc celitus destina-
tum propositum, sed exatis quibuscunque privatis affectibus, induite
justicìam, induite voluntatem Dei, induite orbis refbrmacionem et
Bomane ecclesie, que vos tam altis titulis decoravit, exaltationem
perpetuam; videbitis hunc summum pontificem augustiorem solito
et fronte siderea per urbes Ytalicas incedentem. Vide[biti8] popu-
lorum ac principum concursus, .... (8) audietis plaudencium ac fauen-
cium voces ad ethera tolli, aurea redibunt secula et felix niminm
prior etas. Expergiscere ergo sacrum ooUegium et offioii vostri de-
bitum, excitate viri insignes darissimos animos vestros atque (4) in
tam sancte opere attolatis (5) et fabricetis vobis monumentum bere
perhennius, quod nec ymber atrox (6) nec aquilo prepotens (7) nec
dampnosa minuat dies (8). Ibitis ergo sacri patres per apostc-
lorum limina et terram calcabitis sacro purpuream cruore, videbi-
tis muliebri linteo . . . domini vultus (9) effigiem, videbitis ubi pix>-
fugo Petro Christus occurrit et super preduram silicem etemum
genuum ejus (10) adoranda vestigia. Ingrediemini Saneta Sanoto-
rum capellam (11) celestis gratie plenam, Vaticanum lustrabitis et
beatis ossibus instructum Calisti specus, incunabula, et circumci-
sionem salvatoris aspicietis et vìrginei lactis vasculum candore mi-
rabili. Videbitis Agnetis anulum et divinitum extincte libidinis mi-
raculum recognoscetis ; Gontemplabimini truncum baptiste caput et
Laurencii craticulam et . . . Stephanum ; videbitis ubi Pauli puro san-
guine dulcis aque fontes erumpunt. Videbitis ubi nato Domino fbns
olei descendit in Tyberim, ubi templi pulcherimi fondamenta ex . . .
nivis indiote jacta sunt, et ubi partu virginis tempia fortissima cor-
(1) Frase sconnessa.
(2) mollis.
(8) Parole sconnesse.
(4) iruignes atque clarisnmoa animos vettroè in,
(5) cUolatù,
(6) Sic.
(7) Sic.
(8) Frase incoerente, nella quale si parla di statue di marmo, aepolcri
marmorei e di picturate ymagine»,
(9) voUus,
(10) genlilnu.
(11) ceium eelttm.
DI LAPO DA C ASTIO LIONCHIO EC. 245
merunt, cementes lapidem . . . Simonis cerebro maculatum; monstra-
bitar vobis Silvestri ... (1) et . . . Constantini et dictata celitus in-
sanabilis morbi cura et innumerabilia, quorum alia, que animos
yestros trahent ad supera, sed alia quidem plurima, qualia alia se-
cala non videront (2), oementes Bomanorum prìncipum stupenda
licei oollapsa palacia, Scipionum, Cesarìs et Fabiorum domos, vide-
bitis septem colles uno (8) ambitu conclusos ; mirabimini . . . vias
captìvorom quondam angustas agminibus, et triumphales arcus . * . (4)
quondam .... (5) populorum spoliis .... (6), Oapitolium ascendetis
omnium caput arcemque terrarum, ubi olim cella lovìs fuerat,
none est Araceli . . . TJnde merito de alma civitate ipsa scriptum
sit : tantum hoc caput in ter alias extulit urbes, quantum levia so-
lent inter viburna (7) cupressus. Et si extra urbem forsan spaoiari
placeat : gelidis ac . . . . circumfluum fontibus Viterbium, sedi apo-
stolice actissimam civitatem, et Urbem veterem prerupti saxì in
vertice sedentem. Preterea si longius forsan evagari liceat, tacco
Perusium, taceo Senas, tacco Florenciam, per quas deuotissimas
sancte sedi apostolice civitates et in qui bus vos fiexis genibus gens
omnis adorat, legum matrem et tot bonis redimitam, vestram Bo-
noniam (8) revidebitis; quid loquar de provinciis propriis : Eoman-
diola, Marchia, patrimonio, ducatu cum locis aliis Eomane ecclesie,
qae ex absencia summi pontificis tociens vexata fuerint et pene de-
perdite, nec securitatem perpetuam sine presencia vestra (9) spe-
rantes. £g^ vero tam gloriosum opus omnibus deliciis omnibusque
voluntatibus pretulerim, quas sompnus aut venter aut ambicio pre-
stare posset, omnis enim virtus, omnis gloria, omnis honesta di-
leotio in arduo sita est. Ouid ergo ocium cum hoc negocio, quas
delicias cum hiis curis, quas .... cum hiis laboribus comparabitis.
Videte, reuerendissimi patres et domini, quam fiducialiter agam
homo pusillus, vos vero, ne libertatis mee succenseatis sermonibus,
quod in eis gratulemini, qui hanc meam fiduciam subministrant.
(1) nlvettre latibidum! (SUvedri baptisteriumf),
(2) Sic.
(8) tMIUff.
(4) Sabbeorum,
(6) rerum et {terrarum etf),
(6) honeetoe (pnustosf omatoef),
(7) vSnma,
(8) Bonam.
(9) 9ua,
246 TRE ORAZIONI DI LAPO DA CASTIGLIONOHIO EC.
Sed redeo ad vos pater sanctissime et cordis et corporis flexis ge-
nibus et . . . manibus prò parte diete deuotìssime ciultatìs, cujus
oratores sumus, supplicane ... (1) debita meditacione pensatum hoc
sacrum propositum ad celerem exitum proferre velitìs. Inter adver-
sitatum Ytalie nubila speratum nobis, sanctissime pater, vestre fì-on-
tis lumen (2) accedat. Pro ejus tam sanctissimi operis fauore com-
munitas ipsa, ut sue antique deuooionis signa demonstret eidem
sanctati vestre offert quidquid ubique potenoie sue est ac eciam ... (3)
si sanctitas ipsa Ytaliam petere per iter marinum disponat, quinque
alias oblatas galeas cum suis officinis propriis ipsius communita-
tis (4) sumptibus cum leto animo o£fert ; quod si per terram sancti-
tas ipsa iter arripuerit, quingentorum armatorum equitum cum diete
civitatis banderìa et nobilium capitaneorum duca tu fidelissimnm co-
mitatum per vestre voluntatis arbitriam prestare parata est. Ouin
ymmo per mare iter arripientes (5) dictas galeas oblatas receperitis.
quam primum terre feliciter applicare continget, prefatum quingen
torum equitum comitatum prò vestre voluntatis arbitrio et prò . . .
sue deuotionis paratam insuper o£fert, deprecantes tamen sanctita-
tem vestram ... (6) in predictis uoluntatem suam tam congruo tem-
pore aperire dignetur ut communitas ipsa adeo compositis sarcinu-
lis suis possit etc. (7). - Tercio tamen ut supra in alia oratione;
quarto tamen ut supra. Explicui etc. ut supra in alia oratione.
(1) quoècunque predictò et aliù que in 8crinio nostri pectorit vigHant el«
(2) lumine,
(8) aennone ad Momanam ecclenam descendent,
(4) ip8Ì8;comitanlibu8,
(5) areaerutia,
(6) quantum»
(7) a dictia.
DI UNA NUOVA IPOTESI
SULLA
MORTE E ILI MfORi DI CliiilMO yilNII
I.
Che la salma di Giangaleazzo Visconti, primo duca di
Milano, giacesse nella celebre Certosa di Pavia, era opinione
generalmente ammessa anche prima che il 2 aprile 1889,
per iniziativa del defunto prof. Carlo Magenta, se ne fa-
cesse pubblica ricognizione nel bellissimo mausoleo che la
gratitudine de' Certosini aveva inalzato alla memoria del-
l' insigne loro bene&ttore. Nessuno immaginò, allora, che
i due avanzi scheletrici rinvenuti nel sarcofiigo della Cer-
tosa non appartenessero realmente 1' uno al duca di Milano,
r altro alla sua prima moglie Isabella di Yalois ; anzi il
primo fu oggetto di uno studio accurato da parte di un
illustre professore di Anatomia dell' Università pavese, e le
conclusioni a cui egli giunse, rese di pubblica ragione in
una seduta del r. Istituto Lombardo di scienze e lettere (1),
furono tali da togliere ogni dubbio, se pur dubbio era
possibile, che le ossa di Giangaleazzo Visconti non fossero
proprio quelle trovate nella tomba destinata al fondatore
della Certosa.
(1) Intorno alU osta di Giovanni Galeazzo Visconti, Nota del doti. Gio-
YAWn ZojA professore delP Università di Pavia, già pubbl. nel Bollettino
SdenUfeo, n. 1, marzo 1896, poi letta nelP adunanza del r. Istituto Lom-
bardo del 2 maggio dello stesso anno.
lettera) « )■/ è il fideicommisso del Stato di Milano che mo-
rendo il Duca Io. Maria ed il Duca Filippo e Messer Ga-
briello senza figlioli matculi dispone che il iStafo di Milano
provenga ad uno dei figlioli della iUuMrissima Madonna Va-
lentina ». Orbene, chi lo crederebbe ? l' Oslo non dubita
d' affermare che la lettera del celebre giurista « prova evi-
« dentemeute I' esistenza di un primo testamento fatto da
« Q-io. Galeazzo Visconti anteriormente alla nascita del suo
« primogenito Gio. Maria » ! Ma il colmo del meraviglioso
vien dopo. L' Osio deplora che nessuno abbia letto e che gli
archivi non conservino traccia di testamenti contenenti la
suddetta clausola fide<:omniissaria. Ebbene {ne anche a ferlo
apposta !), il testamento che egli pubblica contiene appunto
quella clausola : Valentina non vi è nominata, ma la suc-
cessione per linea femminile, in mancanza di discendenti
maschi legittimi o legittimati, vi è chiarament-e espressa (1).
Quando una questione di quel genere' è trattata con tanta
leggerezza da un uomo come 1' Osio, che pur non era un
erudito volgare, non mi stupisco che il M. spinga tanto
oltre il suo scetticismo.
Ora, per non allontanarci dal nostro argomento, ^
diamo, colla maggior possibile brevità, che cosa ai può d
di sicuro intorno ai testamenti di Giangaleazzo.
Bernardino Corio che, non ostante le inesattezze i
racconto, è sempre un' autorità di prim' ordine (jer Ìl ]
riodo de' Visconti e degli Sforza, ci attesta che Griangaleazzo
fece quattro volte testamento : nel 1388, nel 1397, nel 1401
(1) Ved. a pag. 321 ilalle parole • ilefioientibus predictis legiUmi
« legitumuidia » eo. fino olle parole • de filio traHoiitlendo », e si confronti
qudlU olaaaola con cii> c^he è detta nel contratto di matrimonio di Valeu— -
lina Visconti del 27 gennaio 1387 pubbl. dal Jakry (Loaù dt Prmtcr itic
d'OrUaiu, Paris, Picard, 1889, tra' documenti). Giova però avvertire oli^
l'obbligo assunto da GiangaleaEBo non era aenia qualche restrÌ(ÌoiieT
> absque eo ., vi «ft detto, • qaod per viam testamenti, codicìllorum ww
« alioniu» alterine ultime voluntalis aut donationis iiit«r vivoa, ipsi *1Ì-
■ quid bciat seu facere posait ili contrarium quovismodo ■».
E SULLA SEPOLTURA DI 6IAN6ALEAZZ0 VISCONTI 251
e nel 1402. Queste date, chi ben consideri, non rappresen-
tano che le fasi per cui passò la potenza del conte di Virtù,
dal colpo di Stato nel 1386 fino alla sua morte. Non v' è
nulla di strano nel fatto che, col successivo allargarsi de' suoi
domini, Giangaleazzo sentisse il bisogno di modificare via
via le disposizioni già date intorno alla successione.
Del testamento del 1388 non abbiamo che la sola noti-
zia lasciata dal Cono.
Quanto all' altro del 1397 1' Osio credette di ricono-
scerlo in quello da lui trovato e inserito nella sua raccolta,
ma un attento esame del documento mostra com' esso ap-
partenga a un tempo posteriore, per la menzione che vi è
fiitta della città di Siena, la quale non venne in potere del
Visconti che TU settembre 1399. E poiché nello stesso
documento non si dice nulla di Perugia, della quale il Vi-
sconti ebbe il possesso nel gennaio del 1400, cosi mi pare
si possa dire con tutta sicurezza che la data del testamento
pubblicato daia Osio oscilli tra il settembre 1399 e il gen-
naio dell'anno successivo (1). Adunque il testamento del 1397
e quello dell' Osio sono due cose distinte, se pure quella
data del 1397 non sia un errore del Cono, lettore piutto-
sto frettoloso e interprete non sempre felice di carte antiche.
Del testamento del 1401 abbiamo un sunto abbastanza
largo e, credo anche, abbastanza fedele (2) nel Corio stesso.
(1) L^Osio fa indotto ad attribuire al testamento la data de] 1897 da
quella clausola in cui è detto che, avendo il testatore goduto per 12 anni
i frutti de' beni di Bernabò del valore di 6 m. fiorini alPanno, lega a' fra-
telli Ludovico e Mastino la somma di fiorini 72 m.; sicché, calcolando i
dodici anni dal 1885, quando avvenne la morte di Bernabò, si arriva ap-
punto al 1997. Ma che i dodici anni s' abbiano a computare proprio dal 1885
il documento non lo dice, e non abbiamo alcuna notizia che Giangaleazzo
entrasse in possesso diretto de' beni patrimoniali dello zio Panno stesso
della sua prigionia. D' altra parte la menzione che è fatta nel testamento
della città di Siena costituisce un dato ineccepibile, che rimanda il docu-
mento almeno fino al 1899.
(2) Infatti, paragonando questo sunto col testamento dell'Oslo, si vede
che il testamento del 1401 riproduceva su per giù, salvo le necessarie mo-
dificazioni ed aggiunte, l' altro del 1899.
DI C» A KUOVA IP0TK81 SULLA UOBTB
Al 1402 appartiene, non un testamento, ma un i
plice codicillo che Gìaugaleazzo dettò a Marignano poeti
giorni prima di morire. I:i esso il duca disponeva di Bolo-
gna recentemente acquistata, e, salvo qnalclie leggiera mo-
dificazione, confermava ìn tutte le sue parti il testamento
precedente. Il Corio ne lasciò im cattivo eimto, ma il do-
cumento fu pubblicato nella sua integrità dal Benaglìo (l).
Questo codicillo, che ha la data del 26 agosto 1402, fu
rogato dal notaio pavese Giovanni Oleario. Il M, trova poco
probabile che l'Oleario sia stato chiamato a Marignano a racco-
gliere 1' ultimo atto della volontà del duca, ma ì suoi dubbi
non hanno alcun fondamento, anche per la ragione clie l' au-
tenticità di quel codicillo è superiore a qualunque sospetto (2).
Come ho già detto, nel codicillo il duca confermava
quanto aveva stabilito in un testamento anteriore. Quale
testamento ? certamente l' ultimo, quello dell' anno 1401 ro-
gato, come tutto e' induce a credere, dallo stesso notaio
Oleario di Pavia. È questo il testamento, di oni parla Gia-
sone del Maino nella sua lettera ; che fìi aperto e letto la
prima volta in Milano l' indomani della morte del duca (3) ;
che esisteva ancora in originale l' anno 1462, quando Fran-
cesco Sforza lo richiese insistentemente ad Andrea Oleario,
figlio di Giovanni, ed avutolo, probabilmente ne ordinò la
distruzione, per far perdere le tracce della clausola fidecom-
missaria a favore di Valentina, su cui fondavansi le preten-
sioni degli Orléans alla successione nel ducato milanese dopo
la morte di Filippo Maria (4). I tentennamenti dell' Oletirio e
(1) Belaxìone ittorica del Magitlralo tìraonlinario. p. S; MÌIard, 1711
C2) Una oopia in pergamena del coJicillo aatenticnta da' Dotai Adi
Oleario e Giacomo Cani 1' 11 settembre U56 viene citata dui DivBuo, t
tnorit tutta tloria dell' ei-diKato di M3am>, p. 11; Hilano, Mainordì, 1
(S) BiLLiA, Hot. Mtiliol. presso Mubatori, l^ript., XIX, col. 9.
(4) Ctr. Qamtoni, Sul Calamenlo originale dì Oian GaUaao ViKOltti q
Itnatle S federtanmato a farnrr dei diteetidenli detta Valealina, in ArA. i
Lomb., 18S2, pp, 8B5 e seg. - Ted, anche T£. FADrox, Le «tariaga éaJ^
dfOriéam «l di VattnliM VitwMi: Paris, Impriraerie Natiooale, 18BS| f
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 253
le difficoltà opposte alla domanda del duca non provano,
come suppone il M., che il notaio pavese conoscesse l'ori-
gine spuria del documento a lui affidato, ma provano invece
che r Oleario, il quale non ignorava le segrete mire del
duca, fece tutto il possibile per impedire la distruzione di
un documento, della cui conservazione egli, pubblico Ain-
zionario, era personalmente responsabile. La diligenza con
cui, dopo r originale, si cercò più tardi, al tempo di Ludo-
vico il Moro, di far sparire anche le copie, non può che
confermarci nell' opinione che il testamento del 1401 era di
un' autenticità insospettabile, e che il suo originale s' era
conservato almeno fino a 50 anni dopo la morte del primo
duca (1).
Ora, lasciando .da parte i codiciUi, che non hanno al-
cuna importanza nella nostra ricerca, noi non conosciamo,
in sostanza, che due testamenti : quello del 1399 riprodotto
integralmente dall' Osio, e quello del 1401 riassunto dal
Corio. Al primo, nella forma in cui ci è pervenuto, man-
cano i caratteri estrinseci dell' autenticità, ma non abbiamo
sufficienti ragioni per credere che non ne sia autentico il
contenuto. Né 1' Osio ne quanti altri se ne occuparono dopo
di luì, ebbero a sollevare in proposito alcun dubbio. Quanto
al secondo, ho già detto quello che penso del Corio come
lettore di documenti ; ma il Corio non era tanto ignorante
da non saper distinguere un documento autentico da uno
suppositizio. I due testamenti sono fra loro in intima cor-
relazione, e corrispondono perfettamente al momento storico
in cui fìirono dettati : essi contengono disposizioni che, al-
meno nella parfce sostanziale, furono anche pienamente ese-
guite dopo la morte del testatore. Certo ce ne furon di
quelle che non ebbero esecuzione, e il M. ha ragione di
constatare che « dei legati &tti a favore delle chiese e cap-
(1) Circa r esistenza del testamento autentico del 1401 v. anche B. db
Maui*de-La-Cl AVIÈRE, Hislùire de Louis XII; Paris, Leroux ed., 1889, 1, 146.
254 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
« pelle di Pavia neppur uno fu rispettato ». Ma la man-
cata esecuzione di una o più clausole testamentarie non
vale ad infirmare un testamento come documento storico,
specie nel caso nostro, se si considera che, in mezzo a' di-
sordini che seguirono la morte del duca, la duchessa e i
figliuoli avevano ben altro a &re che dotar chiese ed eri-
ger cappelle!
Se dunque, per tornare alla nostra questione, mancano
ragionevoli motivi per dubitar della piena attendibilità dei
due soli testamenti di cui si abbia notizia, possiamo ritenere
come assodato che Giangaleazzo volle realmente essere se-
polto nella Certosa, trovandosi tale disposizione espressa
chiaramente tanto nel primo quanto nel secondo documento,
ed essendo stata implicitamente confermata nell'ultimo co-
dicillo del 26 agosto 1402.
Del resto, anche se potesse dubitarsi dell' attendibilità
de' due testamenti surriferiti, non per questo sarebbe meno
dimostrabile e dimostrata la tesi che noi sosteniamo. La-
sciando in disparte le testimonianze degli scrittori contem-
poranei, basterà addurre due documenti che ci sembrano
decisivi.
Il primo è una lettera del 24 gennaio 1404 in cui Fi-
lippo Maria, nel pregare il duca suo fratello di proteggere
il monastero della Certosa contro le molestie di un tal Su-
perleone Pusterla ricordava che « pì'elibatus Genitor naster
honorandissimtLs tanta ipsi monasterio affldebatur devotìone,
quod ipsum donacit et dotavi voluit possessionibus suis Uberis
et ab omni obligatione solutis et tUterius corpus suum ibi or-
dinavit debere sepeliri » (1).
n secondo documento, non meno esplicito, è una let-
tera di Galeazzo Maria Sforza al priore e ai frati del mo-
nastero di S. Agostino (S. Pietro in Ciel d' Oro) del 16 feb-
ei) Maoemta, / Visconti e gli Sforza nel caMlo di Pavia; Milano, Hoe*
pli, 1888, voi. n, p. 100.
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 255
braio 1474, in cui, ordinando che senz' altra dilazione si
facesse il trasporto della salma di Giangaleazzo alla Certosa,
ricordava che il detto duca « ad vite extremum perductus
testamento Jieredibus oc mccessorUms mandamt ut corpus suum
ilUc deponeretur » e vietava assolutamente 4c ne prenominar
tus dux extra locum uòi se mortuum deponi constiiuit am-
pUus conspidatur et maneat :> (1).
E non occorre altro, mi pare.
III.
Ma fu veramente la salma di Giangaleazzo sepolta nella
Certosa?
Prima di rispondere a questa domanda, il M. affronta
un* altra questione, quella relativa al tempo ed alle circo-
stanze della morte del duca. E inutile dire che per lui come
sono <ti dubbi gli atti di ultima volontà e falsi nella dizione
« in cui ci pervennero » cosi « non sono meno sospette le
« cause della morte e dubbie le circostanze che V accompa-
« gnarono ». Con tali preconcetti nella testa, non è meravi-
glia se il M. dubiti d' ogni cosa, e trovi ombre e misteri
da per tutto: negli ultimi giorni di vita del duca, nella
natura del male che lo trasse alla tomba, nell' annunzio ri-
tardato della morte, nelle contradittorie notizie degli scrittori ;
e su questo fondo di scetticismo e di false prevenzioni sol-
levi la strana ipotesi che il Visconti morisse non di morte
naturale, ma di morte violenta, ipotesi che mette conto ri-
ferire con le sue stesse parole :
« Questa morte è tenuta celata parecchi giorni dai
« famigliari e dai cortigiani ; e di tener questo silenzio
« avranno avuto le loro buone ragioni, ragioni o pretesti,
4c che ci &nno dubitare fortemente se sia stata morte na-
(1) Magenta I Op. cit., voi. II, p. 858. - Ved. anche la lettera dì pari
data al priore e a' padri certosini pubbl. dal Moibaghi nella sua Memoria,
p. 174, n. 2.
25G DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
« turale quella del primo duca di Milano, ovvero morte
« violenta. U veleno ed il tradimento erano tanto fami-
<r gliaii nella corte e nella stirpe della vipera, che ogni
« dubbio non è temerario. Nemici n'aveva, e forse i peg-
<c giori gli stavano ai fianchi: sicché o la diplomazia d'al-
« lora, che vedeva di mal occhio T ingrandimento del prin-
« ci|)e lombardo, o la smania del dominio, che nei consiglieri
oc era sfrenata, potevano aver armato la mano di un si-
« cario, o preparato un non lento veleno, per togliere dal
« mondo V uomo astuto e dai grandi disegni. Acconcio era
« il luogo, dove venne a trovarsi il Visconti, quando, a ca-
« gione della peste, lasciò Pavia, per un delitto : lontano
« da città, che gli fossero affezionate ; da medici, che lo
« potessero curare ; da guardie fide, da amici veri ; da sguardi
« troppo curiosi, che tentassero smascherare il tradimento.
« Il Lambro, che lambiva il solitario castello di Melegnano,
4c poteva celare la vittima e coprire un assassinio od un
« avvelenamento ».
Come si vede, siamo in pieno romanzo, un romanzo a
tinte forti, a base di ombre, di misteri e di tenebrosi as-
sassini, che ricorda il genere coltivato con tanto successo
da Anna Badcliffe alla fine del secolo passato.
La verità è che della malattia e della morte del conte
di Virtù abbiamo informazioni cosi minute, cosi circostan-
ziali, che nessun' altra biografia di signori di quel tempo
può gareggiare con quella del Signore di Milano.
Quando morì Giangaleazzo ? L' aimuncio ufficiale che
della morte diedero lo stesso giorno i figli Giovanni IL e
Filippo M. air imperatore Vinceslao pone fuori dubbio che
la morte avvenne la sera del 3 settembre verso le ore 24 (1).
Di che malattia? Certamente di febbre, di febbre per-
ei) La lettera fu citata dal Giulimi, Memorie di Milano, VI, 66 e VII,
278 (Milano, Colombo, 1857), e registrata in Deuttche BeichtiaguMkten, ed.
Weizsackek ; Gotha, Perthes, 1885, to. V, 461 ; ma trovasi anbora inedita
in Bibl. Ambrosiana, cod. H, 211 p. inf., fol. 5-G.
E SULLA SEI*OLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 257
lUdosa o infettiva, come risulta dalla stessa lettera a Vin-
<*slao (1), dall'altra lettera del 10 settembre con cui fa
^to r annuncio a' sudditi (2), e dalla concorde affermazione
de' cronisti contemporanei (3).
£ non è vero che a Marignano il Visconti si trovasse
medici, senza guardie, senza amici fidati.
Di medici ce n'erano almeno due: Marsilio da S. Sofia (4),
® Onsberto de' Maltraversi, il quale era anche astrologo del
(5).
CX) « Et qnomodo admodum potuere febres ille irremediables tanta
ia custoditimi corpus iuaupere (insuperare post, marg.) membro-
pnlcritudiiie bene composi tum et viribus validum vix quinqua-
^^x^arìum intempestiva morte solvere, annos adhuc fortes precipitare ....
-^ Od potuit tamen irreparabiJis ille febrius furor invictissimam mentem
^^^'V'olvere quominus susceptis ecclesie sacramentis » ec.
C3) Chron, Bergom, presso Muratosi, Scrij>t,, XVI, 931. - Magenta,
^^- oit., n, 97.
C^ I. Dblaito in Annoi. Est, presso Muratori, XVIII, 972: « decessit in
^^rignano morte naturali ». - P. Braccioliki, Historia, Ibid., XX, 290:
febrem incidi t ex qua et defunctus est ». Annoi, ForoUt., Ibid., XXII,
^ « obiit febre in Castello Marignani ». - G. Stella, Ann. Gen,, Ibid.,
^^^X,1192: « febribus obiit ». - Sozomeho, Spec, hist., Ibid., XVI, 1176:
^^<ie88it morbo ». - Ann, Mediai,, Ibid., XVI, 838: « lethali morbo de-
^^^^ctus est ». - Il Marzaoaia {Antiche cronache veronesi, ed. Cipolla,
'^^^) non sa nulla di una morte violenta. Sole eccezioni : Giovanni Bax-
^ db' Bartolomei nella sua Senensis hist., presso Muratori. XX, 5, fa
X- **^^» Giangaleazso a Pavia non senza .sosi)etto di veleno dato da'fioren-
• - M. Saruto, Vite de* Duchi di Venezia, Ibid., 791, lo dice morto
jj ^^ suoi Camerieri, udendo messa, per la vita cattiva ch'egli faceva »!
f^^ ^ ^^on arriva fino a farlo gittare nel Lainbro. E si aggiunga anche l'in-
^. ^^^flùma Cromica di Milano pubbl. in Miscellanea di storio italiano,
T^ "" Vili, eh' io dimostrai non esser altro che un centone senza valore.
(^ ^^otLna che Giangaleaszo morisse di (jestc è tardiva, e credo risalga al
^^^^ ^^ IO ( Fdoé duodecim VicecomUum in Thesaurus antiq. Ital., to. Ili, |)arte 1.*,
^ ^%» da cui probabilmente la trasse il Muratori che la registrò in una
*" 9.^ Ber. Ital., ma non la ripetè negli Annali.
Ki) Gataro, Istorio padovana presso Muratori, Script., XVII, 867:
ivi (a Marignanoj cosi infermo visse xnù giorni per gli iolenni li-
^^ori, e cose medicinali, fatte per lo famosissimo huomo Messer Mar-
\^'^Iio di Santa Sofia sapientissimo medico padovano, riputato a quel
* ^mpo il migliore e più sapiente medico del mondo ».
(5) É fra' testimoni nel codicillo 25 agosto 1402.
AsCB. Stob. It., 5.* Serie. — XX. 17
258 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
Anche le guardie non potevano mancare : esse segui-
vano il principe da per tutto, e non è neppur concepibile
che il Visconti se ne privasse in quell' unica occasione. Ve-
dremo infatti che e' erano realmente.
Né può dirsi che il duca non si trovasse tra persone
fidate : e' erano certamente la moglie e i figliuoli (1) ; c'erano
tra' consiglieri, i fidatissimi Antonio conte d' Urbino e Fran-
cesco Barbavara ; e' erano inoltre Giovannolo da Casate ed
Antoniolo Crivelli, fiimigliari ; Giovanni da Camago ed
Antonio da Lucine, cancellieri (2). C era, insomma, a Ma-
rignano, tutta la corte ducale, col suo seguito abituale di
camerieri, di guardie, di servitori. Giangaleazzo era tanto
sicuro colà, quanto poteva esserlo a Milano o nel castello
di Pavia. Egli vi passò i primi giorni della sua dimora
tra' passatempi e le cure di stato : riceveva ambasciatori (3),
firmava decreti (4) e dirigeva la guerra contro Firenze, che
allora era giunta al suo stadio risolutivo (5).
(1) La lettera a Yinceslao è datata da Milano, segno che, appena morto
il duca, o anche prima, si credè prudente affrettare il ritomo della fa-
miglia alla capitale, per timore di possibili disordini. Anche il giorno
de' funerali la famiglia ducale si tenne chiusa nel castello di Porta Giovia,
e il fatto fu notato da quelli che intervennero alla cerimonia.
(2) I loro nomi si leggono nel citato codicillo 25 agosto.
(8) Gli ambasciatori bolognesi, di cui è cenno nel poemetto del Ci-
Nuzzi ricordato appresso.
(4) Il Campi (Hùtoria di Cremona; Milano, Ghisolfi, 1585, p. 106) ri-
corda un decreto di Giangaleazzo datato da Marignano, 17 agosto 1402,
con cui si concede licenza a tutti i sudditi delP oltre Po di potere an-
dare allo studio generale di Piacenza, dov' era stato trasferito allora, a
causa della peste, lo studio di Pavia.
(5) Niccolò da Uzzano, eh' era caduto prigione de' viscontei a Bologna
nel giugno 1402, nelle confidenze che fece più tardi a Bonaccorso Pitti,
dichiarò eh' era stato condotto a Marignano, e vi aveva trovato il duca
e i suoi consiglieri, da cui fu costretto a sottoscrivere una dichiarazione
circa il noto tentativo di avvelenamento di Buperto. Nel mio lavoro
GiangcUeazzo ViacoìUi avvelenatore (Arch. ator, Lomb,, 1894, fase. 2.*) posi io
dubbio quest' andata di Niccolò a Marignano : oggi non insisterei In qne-
sbo dubbio. L^ Uzzano fece certamente la sua prima dichiarazione scrìtta
E SULLA SEPOLTimA DI 0IAN6ALEAZZ0 VISCONTI 259
In quelle condizioni, un assassinio, sia pure per avve-
lenamento, era un' impresa molto ardua. Il castello era ben
guardato, e l'avvicinarsi non era facile, perchè decreti seve-
rissimi proibivano l' accesso alla dimora del principe, quando
la peste serpeggiava nelle vicinanze (1).
Ho già detto che il duca morì di febbre. Delle varie
&si della malattia e' informa un documento che non fu stu-
diato finora come merita, e da cui si traggono notizie che
invano cercheremmo ne' cronisti del tempo. E il poemetto
sulla morte del conte di Virtù scritto da Pietro de' Oinu^zi
da Siena, che trovasi in due codici, 1' uno della Magliabe-
chiana, 1' altro della (Comunale di Siena, e fu pubblicato
recentemente dal Bartoli (2). L' importanza di questo poe-
metto risiede in ciò che esso non è, in sostanza, che la ri-
duzione in versi assai rozzi di una relazione sincrona scritta
probabilmente a Milano sulla morte e sui funerali del duca,
e per la ricchezza de' particolari e 1' ordine della descrizione
ha il valore di un documento storico abbastanza notevole (3).
Ecco come descrive 1' autore la causa dell' andata del
il 15 settembre a Milano; ma a Marignano potè esservi condotto prima,
e subirvi degP interrogatori, interrotti probabilmente da] sopraggiungere
della malattia del duca.
(1) Ved. il decreto da Cusago 17 settembre 1898 in Antiqua ducum me-
diolanentùan decreta, p. 228.
(2) I manoecritti ittUiani della biblioteca nazionale di Firenze, to. Ili, 126;
Firenze, 1868.
(8) Il Mbdin (/ Vieconti nella poesia contemporanea in Arch, Stor, Lomb,,
1891, p. 794) chiama questo poemetto « una magra e assai diffusa para-
« frasi in ottave delP Ordo funebris Johanni» Galeatii Vicecomitis et oratio lune
« habita tu eius tandem a fratre Petra de Ccutelletto, la quale manca perciò
« anche dell'interesse che avrebbe potuto destare la narrazione di un testi-
« monio di vista ». A questo giudizio deir egregio erudito non posso sot-
toflcrivermi. La prima parte del poemetto non ha alcun riscontro nel-
VOrdo FwMrie: nel resto i due documenti presentano discrepanze fre-
quenti e notevoli. Io sono d'avviso che il poemetto derivi da un' altra
delle molte descrizioni che corsero per l' Italia sulla morte e su' funerali
del duca di Milano.
260 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
duca a Marignano, i primi giorni passati colà, e il soprag-
giungere della malattia :
P,5]
stando in pavia nel yidazio chiostro
o ver nel bel chastello o tenimento
senti che 11 aire fette facie mostro
fa di tal chosa molto mal chontento
prese partito per vivere pia sano
lassar pavia e girne a marignano.
[€] E chosi fé nel vigesimo sexto
giorno di luglio et fé spieghar sua lista (1)
e ginne a marignano veloce et presto
luogho di morte dolorosa et trista
[7] E dimorando diciessette giorni
chon gran prosperità di suo persona
chon giuochi e chon sollazzi ebe sogiomi
ne d altra chosa mai vi si ragiona
e bolognesi ambasciadori adorni
parlar chon llui el che non si sermona
isposta 1 alta loro inbascieria
a due di loro dono chavalleria.
[8] Domenicha a di xiii daghosto
nel maladetto ponto ali ore venti
stando 1 signore n un luogho assai riposto
chiuso e serrato pel ferir de venti
1 assalse una excession di febre tosto
che quasi il trasse ^ori de sentimenti
tornato in se et fé chon buoni setire
suoi medici e astrolagi venire.
Vengono i medici, e dichiarano sulle prime che la ma-
lattia non ha alcuna gravità ; ma, dopo dieci giorni, vedendo
(1) Questo andare verso Marignano a bandiere spiegate mostra che il
dnca aveva seco la sua solita scorta armata.
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 261
il male ostinarsi, consigliano di trasportare l'infermo ad
Abbiategrasso. Se non che
[10] Mandato i sinischalclii a preparare
verso biegrasso per questo signore
la nfermita chomincia a sormontare
e ogni giorno apariva magiore ....
I medici ne furono impensieriti : continuarono bensì a
dar buone parole di speranza, ma credettero meglio lasciar
r ammalato dove si trovava.
n duca, fin da principio, non si fece illusione sulla
gravità del male, e chiese di confessarsi
[11] dicie lo scritto un frate minore lue
huomo di santitade e di vertude.
[12] £ questo fue nel di di nostra donna
a quindici del mese sopra detto.
Avendo provveduto alla salute dell' anima, il duca il
giorno appresso volge il pensiero a' beni temporali :
[14] E £fe venire a se suo chonfidati
e llor presenti fé suo testamento.
n poeta non dice come il duca disponesse de' suoi beni,
perchè questo non era spiegato nella relazione che aveva
davanti, ma
[16] siohondo che Ilo scritto chonta il vero,
sa che Giangaleazzo aveva disposto del suo cadavere in
guisa che il cuore fosse deposto in S. l^chele di Pavia, gli
altri visceri in S. Antonio di Vienna, e il resto del corpo
fuor di pavia al nuovo monistero
dell ordine di chartusia over zertosa
ove 1 suo chorpo senpre facia posa.
' Cosi, continuamente aggravandosi il male, si giunse al
settembre. Domenica 3 settembre, alle ore 15, il duca sen-
262 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
tendo prossima la fine, chiede gli estremi conforti religiosi,
e manda per 1' abate di S. Pietro.
Chi è questo abate di S. Pietro ? Il poeta non lo dice ;
ma io credo che si tratti dell'abbazia degli Umiliati di
S. Pietro in Viboldone, posta a poca distanza da Marignano,
e dove, come vedremo, la salma del duca ebbe un primo
seppellimento. Non escluderei però in modo assoluto che
j)ossa anche trattarsi dell'abate di S. Pietro in Oiel d'Oro,
monastero che era allora nelle buone grazie della corte
viscontea.
E nota la controversia che da più tempo esisteva tra' due
monasteri degli Eremitani e de' Canonici Begolariy che si
contrastavano il possesso della celebre basilica pavese di
S. Pietro in Ciel d' Oro (1). Mentre prima il favore della
corte pareva rivolto a preferenza verso gli Eremitani (2),
vediamo in seguito G-iangaleazzo sposare decisamente la
causa de' Canonici, minacciando ai loro rivali lo sfratto dalla
basilica (3). Nel testamento del 1401 aveva dato una nuova
prova del suo interessamento alla loro chiesa, ordinando un
cospicuo legato pel compimento dell' arca destinata a racco-
glier le ceneri di S. Agostino. Ma quello che più. importa
al caso nostro è un diploma del 10 ottobre 1394, con cui,
neir ordinare a tutti i giusdicenti del suo dominio di som-
ministrare giustizia sommaria al monastero di S. Pietro in
Ciel d' Oro nelle sue controversie co' laici, dichiara di aver
(1) Vo<l. la mia memoria Eremitani e Canonici Regolari in Pavia nel
nec. XIV e loro aUinefuse con la storia cittadina, in Arck, Star, lAumb., 1895,
fase. 8.'>
(2) Oltre a quello ohe scrissi nella citata memoria, é de^no di nota il
fatto che Bonifacio Bottigella priore degli Eremitani era confessore di
Bianca di Savoia e fu da lei nominato esecutore testamentario nel testa-
mento 12 nov. 18S7, pubbl. dalP Ohio, I, 265. A pag. 263 di quest'atto leg^
gesi anclu? un legato dì fiorini 100 a favore del convento degli Eremitani.
(8) Oli Eremitani evitarono lo sfratto mercA l'intervento di Enrico dì
Derby, che allora (1892) trovavasì in Pavia. Cfr. Caporavb, Liber de H»
Ittvtribw Ilenricis, in lier, Brit. Script.; ed. Hingeston, London, 1856, p. 100.
B SULLA SBPOLTDR* DI OUHOALBAZZO VISOOSTl
\ìnso tale provvedimento ad istanza dell' abate siw cappel-
tium (l). Tale qualifica può far sorgere il dubbio che al
capezzale dell'illustre infermo sia stato cbiamato, per som-
ministrargli gli estremi conforti religiosi, proprio l' abate
della basilica ticinese.
Comunf)ue sia di ciò, il duca si comunicò con molto
raccoglimento, ebbe l' estrema unzione, e sul declinar del
piomo, tra le 23 e le 24 ore, spirò.
Innanzi ad informazioni così precise, così particolareg-
giate, i dubbi, le incertezze, i misteri ai dileguano comple-
tameute.
Ma, ribatte il M., perchè ai aspettò sette giorni a dare
al pubblico 1' annuncio della morte ?
La risposta non è diiEcile. La morte immatura e inal>
tesa del Visconti poneva lo Stato in una situazione irta
di pericoli, mentre all' esterno ai'deva la guerra, all' interno
gì' interessi offesi da tanti anm di dispotismo non aspetta
vano che l' occasione per insorgere e gittare il paese in
braccio all'anarchia. Di fronte a quelle difficoltà le più ovvie
ragioni di prudenza obbhgavano il governo a prendere delle
misure di sicurezza prima di palesare na awenimeuto che
tntti sentivano avrebbe avuto gravissime conseguenze (2).
(I> Daveiuo, Op- flit., p. 11.
(2) Er» Appena morto il duca clie già erano apparsi i primi itegui del
ilisgregKmento. In iinn lettera dell'8 isettembre del signore dì Padova a
Vinccslao ai onnunxiavn chi: uno de' nobili da Correggio era t^irnato in
fiirÌA A impadronirsi de' costelli, che ÌI dnca g!ì aveva tolto per darli
md Ollobuuno Terzo. E aoggiungevaai : . huiaa rei (della morte dal ducaj
a nutxiiuam est iudioium quod doniinus Mantue, domìnus Pandulfiis de
« 3ibilal«jtie, et omnea maiores caporales et oapìta brigatarum diotì co-
a mitis, qui eract Bouonie, inde cam celeritat« maxima discesserunt et
« fetini cuiu brigati» eorum in Lombnrdiom profecti sunt > (RTA, V,
*16>. - H tegreli) in cui fu tenuta la morte del duca spiega perché oecilli
ne'onminti la dat« dell'avvenimento, che alcuni antioiperono di molti
giorni. Cost la CroHaea di Saturno (in Mm. Hat. Fair., Script., Ili, IC&l) dice:
■ ft 28 dy ogorto esso dnoha mory qual tenerono molty giorny nel caatel dy
■ tnwignanu secreto >. Che il ritardo della pubblìcaeione sia stato volutu
dmllft corte é detto oaiiressaiuuuU' dal CiK<;e£i n-;ì suo poemetto (I, 41).
264 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
Fu duaque una misura precauzionale, di cui va data lode
alle persone che avevano in mano le redini del governo, e
fìi dovuto ad essa se, almeno per qualche tempo, si evitò
il pericolo d' una catastrofe.
Del resto non era cosi facile tener celato un avveni-
mento di quella importanza ; e noi sappiamo che la malat-
tia e la morte del duca furono note ai nemici del Visconti
anche prima che il governo ne desse V annuncio ufficiale.
A Padova, per es., da più giorni si sapeva che il duca era
ammalato ; il 6 settembre si seppe eh* era morto, e France-
sco da Carrara ne dava notizia al re de' Romani Ruperto
di Baviera, sollecitandolo a calare in Italia per profittare
del disordine in cui la scomparsa del duca avrebbe gittate
il ducato milanese (1).
(1) BTAi Vi 406. - La notìzia fa confermata dallo stesso Carrara con
altra lettera del 10 settembre, in cui facevasi risalire la morte al 90 agosto
(BTA, y, 409). Del resto, che anche dopo la notificazione del 10 settembre
fatta dal governo milanese, corressero delle notizie contraddittorie intomo
alla morte del duca, contraddizioni diffuse e mantenute ad arte, per scom-
pigliare i calcoli de' nemici de' Visconti, ritraesi dalle seguenti parole di
una terza lettera del Carrarese a Ruperto in data 17 settembre: « Super
« vero lige tractatu (le trattative di pace che si facevano allora a Venezia)
« respondens significo, quod revera et sic prò constanti potest serenitas
« vestra tenere, quod Comes Virtutum mortuus est. £t si quid ob hoc
« suggereretur ed diceretur regie maiestati vestre, esset a veritati semo-
« tum, hoc enim certitudinaliter ex multis partibus habitum est, sed
« certius per Archiepiscopum Mediolanensem et dominum Petrum de
« Curte, qui sui fuerunt super praticis tentis Venetiis oratores, qui de
« eius obitu literas receperunt et eum defunctum scivisse dixerunt. Con-
« stat hoc preclare per literas passus patentes scriptas sub nomine domini
« Johannis Marie eius nati que semper sub patris nomine scrìbebantur,
« in hac civitate Padue presentatas » ec. (ETÀ, V, 409). Per Firense, è
importante questo luogo della cronaca di Giovaniti Morelli (Firenze, 1718,
p. 815) : < Il primo che significò la morte sua in Firenze fu il Signore di
« Lucca (Paolo Guinigi) e scrisse in due piccoli versi a Messer Rinaldo
« Gìanfigliazzi, e non si soscrisse, dipoi ci fu da Genova da Ardingo dì
« Guicciozzo, ed egli V ebbe da Messer Jacopo della Croce ; soprastettesi
< un mese, che chi M credea e chi noi credea, e missonsene più pegni, e
« fucci chi sicuro a cinque per cento eh' egli era morto, e come piacque
« a Dio, e' mori da dovere ».
K SULLA SEPOLTURA DI GIAXGALBAZZO VLSCONTI 2G5
IV.
Dimostrato con argomenti inoppugnabili che Gianga-
leazzo Visconti morì di morte naturale^ passiamo a trattare
r altra questione, quella relativa alla sepoltura della salma.
Bammenti, innanzi tutto, il lettore quello che s' è detto
in principio : Giangaleazzo aveva disposto che il suo corpo
venisse inumato nella Certosa di Pavia. Ma la Certosa,
quando egli mori, era appena nei suoi primordi ; alla salma
quindi, prima che venisse collocata in luogo definitivo, toccò
una sepoltura provvisoria Ora, se si pensa che queste se-
polture provvisorie furon due, e che passarono non meno
di settantadue anni prima che la volontà dichiarata del
duca divenisse una realtà, si spiega facilmente come un &tto,
semplicissimo per sé, potesse dar luogo a qualche incertezza,
a dicerie ed interpretazioni contradittorie. Il fatto, poi, deUa
morte avvenuta a Marignano, deUe esequie celebrate a Mi-
lano (1), del cadavere seppellito altrove, servi, com' era na-
turale, ad ingarbugliar maggiormente la matassa. Cosi av-
venne che alcuni diedero il provvisorio per definitivo, altri
affermarono senz' altro il definitivo, ignorando il provvisorio,
altri scambiarono il luogo delle esequie per quello della se-
poltura, né mancò chi per ignoranza cadde in errori più
grossolani.
In tanta disparità di opinioni il M. non vede che un
(1) Se il M. si meraviglia che i fanerali si celebrarono circa cinquanta
giorni dopo la morte, non ho che a rammentargli la stessa grandiosità
della pomi», ^^^ richiedeva lunghi preparativi, e il tempo non piccolo
che dovettero impiegare i deputati delle città più lontane per trovarsi a
Milano. Sembra che il loro arrivo sia stato fissato al 10 di ottobre (Let-
tera al podestà di Bergamo in Chron. Berg., col. 982); ma, ci avverte il
CiRUzzi (I, 42), le grandi pioggie e le cattive strade lo ritardarono di
molti giorni.
266 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
nuovo argomento in fiivore della sua ipotesi che Grian-
galeazzo perisse di morte violenta, e se ne facesse scom-
parire il cadavere nei sette giorni corsi dalla morte alla
notificazione ufficiale. <« Se cerco (egli scrive) alle leggende
« ed ai cronisti la storia della salma del conte di Virtù, è
« solo per trovarvi una novella prova di una tesi che sarebbe
« già implicitamente dimostrata :i>. Dimostrata? ma questi
sono metodi radicali, anzi rivoluzionari, che non hanno
niente di comune con la storia, che procede per indagini,
per raffronti, per caute deduzioni. Ad ogni modo, vedremo
fra poco come il M. cerchi nelle leggende e nei cronisti la
storia della salma del conte di Virtù.
Procediamo, dunque con ordine.
Le esequie del duca si celebrarono a Milano il 20 otto-
bre 1402. Nel mezzo del Duomo Ai eretto un cata&lco so]>
montato da una cassa Cineraria : ma in quella cassa il ca-
davere del duca non e' era (1).
Dov' era dunque ? L' epitafio attribuito ad Antonio Lo-
schi, e che si crede composto in quella occasione, comin-
ciava cosi :
Cum ducis Anguigeri variis divisa sepulchris
Membra cubent (sic jussit enim), nam viscera servat
Antonii tua sancta domus celebrata Vienne,
Cor ticinensis Michael, Cartusia corpus.
A questi versi fu data un' esagerata importanza tanto
da quelli che vi vollero vedere una sicura testimonianza
della già avvenuta tumulazione della salma alla Certosa,
quanto dal M. che vi riscontra una nuova prova del men-
ci) BiLLiA, HàtorÙM, 10: « funus Mediolani quam magnifioentissimuiii
« atque opulentissimum apparatum est: verum in speciem. - Chrwu Berg,,
col. 988: « capsa levata fuìt de Castro Magno Portae Noyae, quamvis
« corpus suum non erat intus ». E il Cimuzzi (III, 21):
La chassa eh i vi dicho era n fighura
che n quella fusse 1 chorpo del signore.
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 2G7
dacie con cui si cercò di occultare la tragica fine del duca.
Vero è che V epitafio, come documento storico, per la que-
stione che o' interessa, non può avere che un valore molto
relativo. Scritto da un umanista, il suo stile enfatico risente
della circostanza, per cui fu composto, e in cui trattavasi
non tanto di rendere omaggio alla verità quanto di far im-
pressione sul pubblico e rendere più solenni le onoranze che
la corte aveva preteso da' sudditi compiacenti (1). Esso di-
ceva il vero in quanto esprimeva quello che il duca aveva
realmente ordinato per testamento ; ma, in quanto dava
per avvenuto quello che non era e non poteva ancora es-
sere, diceva il fidso : ecco tutto.
Se dunque il cadavere non era ne a Milano né alla
Certosa, forza è cercarlo altrove : e dove ? Per fortuna, non
avremo da andar troppo lontano.
H M., dopo aver rifiutato la tradizione che vuole se-
polta nel duomo di Milano la salma del duca (su questo
punto torneremo fra poco), soggiunge : « Il Cerio, e prima
« di lui Andrea Biglia ed altri, avevano affermate che il
« corpo fu ripesto all' Abbadia di Viboldene. Ma se ci man-
« cane prove e documenti per credere che Giangaleazze sia
« state sepolto a Milane, difettano eziandio assolutamente
« prove e documenti, che ci inducano a ritenere probabile
« la di lui sepoltura in Viboldone. L' autorità del Cerio poi
« è troppo debole, e dista troppo dall' avvenimento, per
« darci un serie argomento di credibilità 3^.
He riportate queste brano, per dare un saggio del me-
todo con cui il M. precede nelle sue indagini. « Il Cerio, e
« prima di luì Andrea Biglia ed altri avevano affermato ... ».
Ma, se il Cerio ha attinte a fonti anteriori, la sana critica
vuole che prima di tutte si esaminino queste fonti, e poi
si discenda, ove occorra, fine al Corio. La credibilità di un
(1) Il GiULnn (VI, GO), che pure sembra colpito dalle paroU» dell' epi-
taHo, 8Ì affinetta a soggiungere col suo abituale buon senso : « se pure non
« si volle cosi imporre al pubblico ».
268 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
autore non può scompagnarsi dalla sua responsabilità in
quanto narratore di fatti; se egli attinse ad altre fonti, la
sua responsabilità è minima, e il grado di attendibilità, che
gli si può concedere, dipende quasi esclusivamente dal va-
lore degli antecedenti. Non è dunque alla testimonianza del
Corio che il M. doveva arrestarsi : obbligo suo era di risa-
lire alle fonti del Corio, e, solo dopo averle ben discusse e
vagliate, era in diritto di affermare che a ritenere proba-
bile il seppellimento di Qiangaleazzo a Yiboldone mancano
assolutamente prove e documenti.
A me invece pare che le prove ci siano e decisive.
Q-iovanni Balducchino, autore dell' ultima parte di quella
compilazione che sono gli Annales Mediolanenses, scrive :
Corpus dm portatura fuit ex castro Melegnani Viboldanufn
ordinis humiliatorum (1). Il Balducchino era parmense, ma
neir anno in cui avvenne la morte del duca, trovavasi a
Milano, e vi esercitava la carica di giudice de' malefici (2).
Ecco, dunque, un uomo di cui ci possiamo fidare, che pro-
babilmente aveva preso parte alle esequie del duca, e che,
pubblico ufficiale, era in grado di sapere come erano andate
le cose : la sua testimonianza ha per noi im valore capitale.
Più giovine del Balducchino, ma contemporaneo an-
ch' egli e milanese per giunta, ci si presenta Andrea Billia.
La sua Historia Mediolanensis continua la cronaca del Bal-
ducchino senza dipenderne. L' autore era un dotto che scri-
veva con altra arte e con altri intenti, ma un dotto che
prima di farsi frate aveva preso parte alle vicende del suo
paese, e le narra con calore, con verità e con coraggio (3).
Relativamente alla sepoltura del duca, il Billia si esprime
(1) Muratori, Script., XVI, 840.
02) L. A. Ferrai, Gli Atmalea Mediolnnenaea e i cromati ìcmbttrdd del «9-
colo XIV, in Arch. Star, Lomh., 1890, p. 294. Intorno al valore della cro-
naca del Balducchino ved. la stessa Memoria, p. 296.
(8) Per la biografìa del Billia ved. Mazzuchblli, Scrittori d^Itaiia,
voi. II, parte II, p. 1219. - AROBUin, Bibl. acript, mediol,, I, 159.
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 269
cosi : Corpus ex Mdignano, ubi per secessum posUus obierat,
Viboldanum per mbUatìonem iure maiorum rerum translatum
eroi (1) {mofuuterium illud humiliatarum est) ibique cum mar
gnis divitOs candUum oc sepultum (2).
Più chiaro di cosi non si potrebbe parlare.
Abbiamo, dunque, due scrittori, entrambi contempora-
nei| r uno milanese, 1' altro vissuto a Milano e insignito
di un importante ufficio cittadino, i quali indipendente-
mente V uno dall' altro, affermano lo stesso fatto, e quasi
con le stesse parole. Le loro testimonianze devono ritenersi
decisive, se non vogliamo rinunziare a scrivere storia. La
notizia del primo seppellimento a Yiboldone fu accolta più
tardi dal Corio, ma non giurerei che l' attingesse esclusiva-
mente dal Balducchino o dal Billia. L' accolsero altresì,
tra'più gravi storici di Milano, il Ripamonti (3) e il Giulini (4).
Ma Yiboldone non era che la prima tappa dello strano
pellegrinaggio di quella salma. Qual fu la seconda?
Giusta un'opinione enunciata la prima volta dal Nava (6)
44 anni &, e specialmente diffusa e accreditata in questi
(1) Traduco le parole « Yiboldonum per subitationem iure maiorum
« rerum translatum erat » codV : - era stato trasportato 11 per li a Yibol-
done per le maggiori onoranze dovutegli. Ed infatti, nella impossibilità
di trasportare subito il cadavere a Milano, ciò che avrebbe impedito di
tenere occulta la notizia della morte, e non essendovi a Marignano un
luogo acconcio, l'insigne abbazia di Yiboldone era il luogo più vicino e
più adatto per rendergli le dovute onoranze. L'unico punto in cui discor-
dano il Balducchino e il Billia è quello che riguarda il cuore e i visceri.
Il cronista parmense, fondandosi certo sul testamento, dice l'uno, man-
dato a 8. Michele di Pavia, l'altro a 8. Antonio di Vienna. Ma il Billia,
che in questo particolare, come meglio vedremo appresso, poteva essere
più informato, ci assicura che il testamento, in questa parte, non ebbe
esecuzione « prae rerum difficultate ». £ sogs^iunge subito: « corpus de-
« latum ubi diximus », cioè a Yiboldone.
(2) Muratori, Scnpt., XIX, 10-11.
(8) ITùtoria urbi» Mediolani in Theaaurti» anliquU. lUUiae, to. II, parte 1, 684.
(4) Op. cit., YI, 156. Gfr. TiBABOScai, Velerà Humiliaiorum monu'
menta, I, 3ÒÌ.
(5) Memorie e documenti intorno aW origine f alle vicend» ed ai riti che pot»
$onoiervire alla storia del duomo di Milano; Milano, 1858, p. Ili,
270 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
ultimi anni (1), il cadavere di Giangaleazzo, tolto dall' ab-
badia di Viboldone, sarebbe stato trasportato nel duomo di
Milano e custodito in una cassa sospesa ai piloni del coro
e ricoperta da uà panno d' oro.
Questa opinione si fonda sopra un equivoco, di cui non
è difficile intendere- la genesi.
Bisogna premettere che fin dal sec. XV troviamo de' cro-
nisti che asseriscono tumulata nel duomo milanese la sal-
ma del duca G-iangaleazzo Visconti ; questo scrissero Sozo-
meno (2) e V autore della cronaca di Gubbio (3) ; qualche
altro, come il cronista di Bologna (4), la volle tumulata
nella basilica di S. Ambrogio fin dal 12 di settembre. Ma
queste notizie, registrate da scrittori tardivi e non milanesi,
non trovarono eco. Ci fu più tardi chi volle conciliare ogni
cosa, dicendo la tumulazione della salma prima avvenuta a
Milano poi nella Certosa di Pavia (6).
I lettori rammenteranno che il giorno de' funerali era
stata portata in duomo una cassa vuota raffigurante la bara
del defimto. Terminata la fimzione, la cassa fu tolta dal
cataletto e conservata (6).
(1) Magenta, Op. cit., I, 205. - Annali della fabbrica del duomo di Mi-
lano, Appendici, voL II, 2, n. (1). - Il Beltrami dubitò della notizia nella
sua Certosa di Pavia (Milano, Hoepli, 1895), p. 96; ma l'accolse senz'altro
nella sua Storia documentata delia Certosa di Pavia, voi. I, p. 117 (Milano,
Hoepli, 1896). Neil' opera postuma, testé pubblicata, sulla Certosa di Pavia
(Milano, F.'n Bocca editori, 1897) del compianto prof. C. Magenta, l'A. o
chi ne ritoccò il lavoro dopo la morte non sa decidersi (p. 183) tra la si-
mulazione del seppellimento e l' ammettere che per breve tempo la salma
del duca sia rimasta nel Duomo di Milano. Chi scrive queste pagine ha
ragione di ritenere che tali dubbi non furono mai nell'animo del Magenta,
il quale nell'opera sulla Certosa mantenne quanto aveva scritto nell'altra
sul Castello di Pavia.
(2) Hist. Pisi., presso Muratori, XVI, 1176.
(8) Muratori, Script,, XXI, 952.
(4) Muratori, Script., XVIII, 576.
(5) Gavitelli, Cremonenses AnnaUs in Thea. Antiq,, III, parte II, p. 1896.
(6) Poemetto del Cinuzzi (III, 56):
la chassa eh era in chiesa si ripose.
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 271
Non è dubbio che questa cassa è la medesima che venne
sospesa ai piloni del coro, e che il drappo d' oro che la ri-
copriva fosse uno di quelli che avevano servito il giorno
de' funerali. Leggiamo nel poemetto del Cinuzzi :
[in, 20] Dietro a lloro segui il grorioso
feretro over volete chataletto
sopra del quale un palio prezioso
fu posto e era tutto d oro perfetto
di fodera armellioa chopioso
che £fuor del chaso dava gran diletto
sopra del quale una chassa posta v era
ben adornata per ogni maniera.
Di paramenti, che avevano servito ad addobbare la
chiesa e il feretro il giorno de' funerali, parlano anche gli
Annali del Duomo; anzi sappiamo che poco dopo le esequie
del 20 ottobre sorsero gravi questioni tra il capitolo e i
deputati della fabbrica circa il possesso degli oggetti im*
piegati nella cerimonia, tra cui si ricordano baldacchini et
coperturae capsae (1). Fu deciso che gli oggetti si conver-
tissero in arredi per la sacrestia ; ma uno dei drappi almeno,
e forse il più bello, dovett' essere conservato, per servire di
copertura alla cassa, finché la cassa sarebbe rimasta, prò
forma, nella chiesa.
H M. il quale, fedele alla sua tesi, combatte V opinione
che il cadavere di Giangaleazzo sia stato portato a Milano,
sospetta giustamente che quella cassa, situata li tra' due
piloni del coro, possa essere stata la prima origine del-
l' equivoco. Ma egli ha torto di credere che l'equivoco sia
nato subito, e che fin dal giugno (2) 1404 « i Milanesi
(1) Annali, voi. I, pp. 252, 258. - Nava, Op. cit., p. 183.
(2) Perchè « giugno »? Ma il Nata e gli Annali non registrano nulla
sotto il mese di giugno 14Q4. Io dubito che il M. non abbia letto diret-
tamente gli Annali e l' opera del Nata, ma indirettamente nelle citazioni
f&ttene dal Beltbami {La Certosa di Pavia, p. 96), dove si trova la stessa
inesattezza, vale a dire giugno invece di luglio.
272 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
« ritenessero indubbiamente che i resti mortali di Gianga-
« leazzo fossero nel Duomo ». Gli Annali della Fabbrica
del Duomo, che noi abbiamo letto attentamente, accennano
più volte ai funerali del duca, e una sola volta, sotto la
data di giugno 1421 (1), alla cassa ; ma che in quella cassa
si trovasse realmente il cadavere non dicono, né lasciano
sospettarlo menomamente a noi che sappiamo che quella
cassa era vuota. La leggenda che il M. dice 4; diffiisissima
« e ripetuta fino ai nostri giorni da autorevoli scrittori »
è ignota affatto agli scrittori milanesi dal sec. XV al XIX,
e non conta, come abbiamo detto, più di 44 anni di vita (2).
Il Nava fu il primo a metterla in giro, dandole forma di
notizia documentata ; ma chi legge le sue parole s' accorge
facilmente che egli fu vittima di un equivoco e nuli' altro (3).
E opportuno riferirle testualmente.
« Rilevo sotto il giorno 27 luglio [1404] che il cada-
le vere del defunto Giovanni Galeazzo era stato trasportato
<c in duomo in una cassa di ferro coperta di legno, ed ap-
« pesa alla volta del retrocoro dicontro al ficestrone ri-
(1) « Ambrosio Ck)magiae prò restitutione totidem denoriorum per eum
« expenditorum in faciendo fieri capcelum et cortinas positas capsae re-
« coUendae memoriae quondam illustrissimi domini Dom. primi ducis Me-
« diolani, sitae post altare maius ecclesiae majoris, ad hoc ut drappus
« aureus situs super dieta capsa, quod melius fieri possit, a pulvere de-
< fendatur, et etiam prò factura et pictura scudazellorum 12 cum insignis
« et divìsis ohm prelibati dom. ducis positorum ad dictum capcelum .... »
(Annali, App. II, 2). Gli editori fanno seguire questa nota: « Come può
« dirsi allora che Gian Galeazzo sia stato sepolto nella Certosa di Pavia,
« se fu deposto nel qui descrìtto feretro in Duomo? ». Ecco che significa
fermarsi alla prima osteria!
(2) Nel luogo dove scrivo non ho potuto fare un indagine a fondo
nella letteratura storica milanese ; ma mi conforta V autorevole avviso del
rev. Dt. Achille Batti, della bibl. Ambrosiana, il quale da me inter-
pellato, ha risposto confermando la mia opinione.
(8) n Gregorovius citato dal M., che disse sepolto il primo duca nel
duomo di Milano, attinse certamente la notizia da Sozombmo o dal cro-
nista di Gubbio; del resto l'autore della Storia di Roma nel M. E, non
può avere alcuna autorità in una questione di archeologia milanese.
B SULLA SEPOLTURA DI GIANOALEAZZO VISCONTI 273
« sgnardante il mezzogiorno, sopra alla cassa poi eravi un
« gran strato d' oro ».
Si badi : 1' autore non dice fu trasportato ma era stato
trasportato ; il che vuol dire che egli argomenta che la salma
di Giangaleazzo si trovasse nel duomo dal solo &tto del-
l' esistenza della cassa appesa alla volta del retrocoro, e dal
sapere (com' egli stesso dice poco dopo) che era costume in
quel tempo 4c di appendere alle volte del duomo le casse
« con entro i cadaveri dei duchi ed altri personaggi :^. Ma
se è vero che quella cassa era la stessa che aveva figurato
nel giorno de' funerali (e non abbiamo alcuna ragione per
dubitarne), noi sappiamo che quella cassa era vuota ; e
quindi il Nava aggiunse una circostanza affatto arbitraria,
che la forma del documento da lui letto non giustificava (1).
Gli sbagli sono come le ciliege : uno tira 1' altro. Quello
del Nava passò nel Magenta aggravato : T autore della sto-
ria del castello visconteo in Pavia scrisse addirittura (2)
che la salma di Giangaleazzo fìi trasportata in duomo il
27 luglio 1404, dando cosi alla circostanza aggiunta dal
Nava una precisione cronologica, che questi non ci aveva
messo. Aggiunse inoltre che s' era pensato anche ad erigergli
un monumento marmoreo, senza badare che il monumento
riguardava non il duca, ma il padre di lui Galeazzo n (3).
Noi dunque possiamo ritenere come un punto acquisito
che il cadavere di Giangaleazzo non fu mai trasportato nel
duomo di Milano, e che questa notizia dipende da un equi-
voco &cile a dissiparsi coli' esame diretto dei documenti.
D' altra parte noi vedremo fra poco che il cadavere passò
nella basilica di S. Pietro in Ciel d' Oro di Pavia, e vi ri-
Ci) Il Nava non ha V abitudine di citare le fonti ; ma ebbe sicura-
mente sotto gli occhi un documento della fabbrica del duomo.
(2) I, 205. Yed. anche, dello stesso A., La Certoèa di Pavia, p. 188.
(8) AnnàU, I, p. 244 (29 gennaio 1402). - Nava, Op. cit., p. 124. Del
monumento marmoreo a Galeazzo II è fatta menzione nel testamento
del 1899 pubbl. dall'Oslo e in quello del 14')1 riassunto dal Coi: io.
Aacn. Stob. It., 5.* Serie. — XX. 18
274 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
mase a lungo prima di ricevere il suo collocamento defini-
tivo nella Certosa. Ora, se esso trova vasi già a Milano, in
attesa dell' ultima sua destinazione, che bisogno e' era di
farlo passare a Pavia, dandogli, dopo il secondo, un terzo
collocamento provvisorio ? Tanto valeva lasciarlo dov' era.
L' obiezione è cosi grave che mentre il M. vi trova un nuovo
rincalzo alla sua tesi, lascia incerto lo stesso Beltrami, che
è costretto a confessare « non facilmente spiegabile questo
<^ trasporto da Milano a Pavia » del cadavere del duca.
Ma ogni difficoltà vien meno, quando si ammetta che il
trasporto a S. Pietro in Ciel d' Oro della salma di Gian-
galeazzo fìi fatto non da Milano, ma direttamente da Yi-
boldone (1).
Il M., colla sua abituale sicurezza, afferma : 4: La stessa
« difficoltà dalla critica e dalla logica incontra l'opinione del
« Giulini, accolta dal Robolini, che vorrebbe direttamente
« da Yiboldone trasportato nella chiesa degli Agostiniani di
« Pavia il corpo di Giangaleazzo - ma quando e perchè fo
« sepolto a Viboldone (2) ? Le memorie, che mancano a Mi-
4! lano, mancano a Yibolbone ; né conosciamo il tempo, il
« modo e le ragioni di questo trasporto dalla celebre abbazia
« o Casa degli Umiliati alla basilica di Pavia. Tutto dunque
« ci costringe a ritenere, allo stato attuale delle cognizioni
€ storiche date dai documenti che sono pubblicati, non essere
« mai stato sepolto in S. Pietro in del d' Oro Giangaleazzo ;
« né mai esservi da altro tumulo stato trasferito ».
Qui abbiamo un nuovo esempio del modo frettoloso di
sentenziare, che dipende dal guardar solo alla superficie,
senza mai giungere al fondo delle cose. È un canone ele-
(1) Ne darò appresso le prove. Intanto è bene constatare che, come
manca o^i notizia del trasporto da Viboldone a Milano, cosi non è ri-
masta alcuna memoria dell'altro da Milano a Pavia. Il silenzio che a
questo proposito serbano gli Annali della fabbrica del duomo è stato posto
giustamente in rilievo dal M.
(2) Il quando e il perdio l'abbiamo già detto (ved. innansi, p. 909, nota 1).
E SULLA SEPOLTURA DI 6IAN0ALBAZZ0 VISCONTI 275
mentare di critica che quando si tratta di constatare &tti
e loro circostanze, occorre innanzi tutto interrogare i con-
t-i^mporanei, come quelli che ci possono fornire infonnsizioni
più esatte e più sicure. Il M. anche questa volta non si è
curato di risalire alle fonti originarie: se ciò avesse fatto,
si sarebbe accorto che lo stato delle nostre cognizioni è assai
diverso da quello che immaginava, e che il trasporto della
salma di Giangaleazzo da Yiboldone a Pavia era stato affer-
mato, quattro secoli prima dal Qiulini, da quegli stessi Bal-
dacchino e Andrea Billia, che egli ha avuto il torto imper-
donabile di non consultare.
Infatti il Balducchino, dopo aver narrato il trasporto
della salma a Viboldone, soggiunge : Deinde portatum fuit
Papiam, et in ecclesia sancii Augustini recanditum.
Informazioni più precise e più importanti ci fornisce
il Billia là dove, parlando della morte di Facino Cane (1412),
scrive : Delatus in propinquum arci Ordinis nostri monaste-
rium ; posteaquam tertium diem insepultus, ac nudus jacuit,
instantia Fratrum, cura nemo intenderete humi obrutus est:
quo in loco Vicecomitum reliquie^ sunt, et antiqui Galeaz et
patiis Philippi, lóhannis itidem Galeaz. Nam ex Vibolduno
metu Tridentium, qui eam oram procurrébant, Papiam est
relatus, quamquam divitiis ablatis, quas prius contumulatas
narravimus (1).
In questo passo, generalmente trascurato da quanti
recentemente si occuparono delle vicende della salma di
Giangaleazzo, troviamo la risposta a quanto il M. dichiara
di non sapere circa il tempo, il modo e le ragioni del tra-
sporto avvenuto da Viboldone a Pavia. Ed infatti quello
che narra il Billia dee riferirsi a quel tristo periodo succe-
duto alla morte del duca, quando la Lombardia fu teatro
di una delle più terribili guerre civili che rammenti la
storia. Rotto ogni freno di governo, e distrutta ogni sicu-
(1) Muratori, Script,, XIX, 87.
27G DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
rezza, bande di facinorosi si diedero a correre le campagne,
producendo danni inauditi, e lasciando da per tutto le tracce
d' un efferato vandalismo. In quella specie di brigantaggio
organizzato si segnalarono i castellani di Trezzo, della po-
tente famiglia guelfa de' Colleoni di Bergamo, che per do-
dici anni scorrazzarono tra l'Adda e il Lambro, facendo man
bassa su' Ghibellini, e spogliando senza ritegno chiese e
monasteri. In una di quelle scorrerie sembra si sieno spinti
fino a Viboldone, dove giaceva la salma di Giangaleazzo,
e non abbiano avuto scrupolo di profanarne la tomba, asj)or-
tandone gli oggetti preziosi che vi erano rincliiiisi (1).
L' inaudito sacrilegio suggerì l' idea di trasportare la salma
in luogo più sicuro, in attesa della sua definitiva tumula-
zione alla Certosa ; e non è meraviglia se si scelse la chiesa
di S. Pietro in Ciel d' Oro di Pavia, sia per essere a poca
distanza dalla Certosa, e sia per le particolari intimissime
relazioni che correvano sempre fra la corte e gli Agosti-
niani pavesi, alla cui custodia era già affidata la salma di
Galeazzo II (2).
(1) Che i Colleoni (Tricienaes) sieno stati gli autori della rapina non
risulta, a dir vero, molto chiaro dal passo del Billia; ma io sono indotto
alla mia interpretazione da ra^oni logiche e stilistiche, che i lettori sa-
ranno in grado di ponderare da so. Ad ogni modo, da chiunque sia stata
commessa, questa fu la sola rapina, a cui soggiacque la tomba di G-ian-
galeazzo; e solo un'inesplicabile ignoranza de' nostri più antichi fonti
storici ha potuto far credere più tardi ad una spogliazione avvenuta per
opera de' soldati francesi comandati dal Berthier nel 1798, leggenda che
il M. giustamente combatta, e meglio ancora il Magenta nell'opera sulla
Certosa, pp. 130-141. I soldati francesi non potevano asportar nulla, per
la ragione semplicissima che tutto quanto era nella tomba era stato por-
tato via al principio del sec. XV!
(2) Non saprei dire se l'abbate di S. Pietro in Ciel d'Oro continuasse
nella carica di cappellano di corte; ma trovo con la data 29 marco 1414
un giuramento di fedeltà prestato al duca Filippo M. da Antonio Beccaria
venerabile abbate di S. Pietro in Ciel d'Oro (ved. i miei ContnbvOi alla
storia della ricostituzione del ducalo milanese sotto Filippo M, Visconti in Arch.
Stor, Lorììh,, 189fj, fase. 4.", p. 280).
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 277
n laconico linguaggio del Billia non ci permette di
determinare con esattezza il tempo in cui avvenne il detto
trasferimento (1) ; ma, integrando il racconto dello scrittore
milanese con le notizie assai circostanziate lasciateci dal
cronista bergamasco, inclinerei a collocare il fatto tra il 1404
e il 1406, nel qual tempo i C!olleoni di Trezzo uniti ad un
gran numero di esuli lombardi dominarono incontrastati le
due rive dell'Adda, estendendo le loro correrie per un raggio
di molte miglia dal Lambro ai monti della Bergamasca (2).
Dopo tutto quello che abbiamo detto, dopo le assicu-
razioni precise, categoriche di due autori contemporanei,
uno de' quali, il Billia, appartenendo all' Ordine degli ere-
mitani, doveva essere bene informato de' fatti della basilica
ticinese (3), il passaggio della salma di Giangaleazzo da
Viboldone a S. Pietro in Ciel d' Oro deve considerarsi come
un punto superiore ad ogni controversia.
Ne giova asserire, come fa il M., che a Viboldone non
sìa rimasto ricordo del primo deposito e che a Pavia man-
ciù persino una tradizione costante e vera del temporaneo
possesso del corpo del primo duca.
(1) Il ViDARi {Frammenti cronisiortci delVagro ticinese, io. II, 56) crede
che sia avvenuto nel 1412; ma questa data h affatto arbitraria, e deriva
dalla circostanza che il Billia, parlando della sepoltura di Facino Cane,
accenna, per incidenza, anche al trasporto e alla sepoltura della salma di
Giangaleazzo in S. Pietro in Ciel d'Oro.
(2) I Colleoni per altro non si sottomisero che nel gennaio 1417 quando
il forte castello di Trezzo cadde nelle mani del Carmagnola.
(3) L'osservazione fu già, fatta dal Giulini, VI, 156. Aggiungo che
non solo il Billia doveva essere informato delle cose di S. Pietro in Ciel
d'Oro, ma anche in modo particolare della salma di Giangaleazzo, perchè
abbiamo di lui una Secunda coUmidatw anniversaria Johannis Galeaz vice-
comitis dttcia mediolancnsis scritta o letta a Milano ne' primi anni del go-
verno di Filipix) M. 11 mio egregio collega Dr. G. Calligaris, che ha
avuto la cortesia di trascrivere i brani più salienti da un codice dell'Am-
brosiana (F. 51 sup. foli. 50-57), mi assicura che nessun accenno v'è fatto
al luogo dove si trovasse la salma. Ma quello che 1' oratore non disse a
Milano, perchè tutti lo sapevano, scrisse j»iù tardi lo storico ne' suoi
commentari.
278 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
Non di tutti i fatti storici si conserva il ricordo nei
luoghi dove avvennero : il possesso temporaneo di un ca-
davere, sia pure di un insigne personaggio, può dare tutt' al
più origine ad una tradizione letteraria, ma ben difficilmente
ad una tradizione popolare. Viboldone è un piccolo paese
della bassa Lombardia ; e i contadini della bassa Lombar-
dia hanno ben altro a fare che a pensare alle ossa del conte
di Virtù (1) ! A Viboldone solo i frati della celebre abbazia
avrebbero potuto ciistodire la memoria del primo possesso
del cadavere del duca di Milano ; ma chi non sa che gli
Umiliati abbandonarono il convento fin dal 1571, e che gli
Olivetani succeduti ad essi sono scomparsi egualmente da
molto tempo?
Quanto a Pavia, non credo sia il caso di &re una que-
stione di parole. Il M. conosce certamente i documenti d' ar-
chivi, e non ignora quello che hanno scritto il Bigami, il
Pietragrassa, il C!omi, il Robolini, il Magenta, il Vidcwd. È
vero : il Gualla e il Breventano non parlano della tumula-
zione della salma in S. Pietro in Ciel d' Oro ; ma, dato il
carattere delle loro opere, un accenno di quel genere era
forse necessario?
V.
Ed ora, prendiamo fiato, e riassumiamo in breve le
nostre conclusioni.
Il M. dubita che Giangaleazzo Visconti non abbia mai
espresso la volontà di essere sepolto alla Certosa di Pavia :
noi quella volontà abbiamo desunto non solo da quanto si
sa dal contenuto dei suoi testamenti, ma anche da altre
testimonianze di grandissimo valore.
(1) Il sindaco di Viboldone, a cui mi rivolsi per informazioni, mi ri-
spose di non potermene dare alcuna, perchè tutte le persone istruite
hftnno abbandonato il paese !
E SULLA SEPOLTURA DI GIANGALEAZZO VISCONTI 21Ì)
Il M. suppone che Giangaleazzo sìa finito per morte
violenta : noi abbiamo dimostrato, co' documenti alla mano,
che la sua morte fu naturale, e che delle circostanze di
quella morte abbiamo informazioni esuberanti.
Il M. nega che il cadavere del duca sia stato deposto a Yi-
boldone, e inclina a credere più tosto che l' abbiano fatto spa-
rire o forse gettato nel Lambro : noi abbiamo dimostrato che
il deposito a Viboldone è attestato da due cronisti contem-
poranei, sulla cui credibilità non può cadere alcun dubbio.
[Rispetto al trasporto della salma da Viboldone a Mi-
lano, abbiamo ammesso col M. ed anche dimostrato che il
&tto non è vero ; ma contro il M. abbiamo provato che
quella credenza è di origine recente, e derivò soltanto da
un equivoco.
Il M. nega che da Viboldone gli avanzi del duca sieno
stati portati in S. Pietro in Ciel d' Oro : noi abbiamo fatto
vedere come quegli stessi che e' informano del primo depo-
sito a Viboldone e' informano altresì del secondo nella ba-
silica pavese.
Insomma, là dove il M. non vede che ombre, misteri
e contraddizioni inesplicabili, noi abbiamo trovato fatti, fatti
certi, rischiarati da luce meridiana.
Ma gli errori hanno la loro logica; ed anche il M. da
una serie di falsi presupposti è stato condotto ad una con-
clusione che fila bensì, inappuntabilmente, dalle premesse,
ma non cessa perciò di essere assurda. E la conclusione,
che a guisa di razzo finale è destinata a illuminare tutti i
suoi ragionamenti, è l' ipotesi che la salma trasportata da
Pavia alla Certosa il 1.** marzo 1474: possa essere stata una
salma qualunque, forse quella di Galeazzo II padre del duca.
Quel trasporto, secondo il M., sarebbe stata una semplice
dimostrazione politica e dinastica, imposta dal duca Galeazzo
M. Sforza, subita da' Certosini, e presa sul serio dal popolo,
a cui offerse l'occasione di un buon « desinare » alla Certosa.
In fede mia, una mistificazione così solenne sarebbe
stata appena possibile nel sec. VII od VHI, quando per
280 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
le reliquie di un santo si combattevano battaglie ben più
cruente di quelle sostenute da' greci e dai troiani sul corpo
di Patroclo. E un' ermeneutica abbastanza singolare quella
di cui si serve il M. per torcere i documenti ad un signi-
ficato che non hanno, e farli servire a sostegno di una tesi,
di cui sono r assoluta negazione !
I Certosini avevano chiesto ripetutamente che il corpo
del duca, giusta V espressa volontà del defunto, venisse final-
mente tumulato nel loro monastero. - Non è vero, risponde
il M. ; chi lo dice è Galeazzo M. nella sua lettera, e basta
questo perchè V affermazione non meriti fede.
Galeazzo M. ordina il trasporto, ed invita il popolo
pavese a concorrervi con la maggior solennità. - E chiaro
ripiglia il M. : il duca voleva una dimostrazione politico-
dinastica, e il cosi detto cadavere del duca ne oflBiva un
buon pretesto.
II popolo assiste con gran fervore e con divozione alla
cerimonia. - Ma il popolo, soggiunge l' inesorabile critico,
fece atto di sottomissione e non altro, lieto che gli si of-
firisse occasione di fare un po' di baldoria alla Certosa.
E tutto questo perchè? perchè il M. s'è fitto in cajx)
che Giangaleazzo fu ucciso e che il suo cadavere fti di-
sperso ! Qui il procedimento critico non è più né radicale
né rivoluzionario, è addirittura anarchico. Non è più 1' ipo-
tesi che scaturisce dal documento ; è l' ipotesi che tortura
e snatura il documento, per trovare, a qualunque costo,
una giustificazione.
Ma il M. ha dimenticato di dirci come mai una misti-
ficazione così colossale fosse possibile in pieno Rinascimento,
e mentre vivevano ancora molti che erano nati prima del 1402,
senza che alcuno fiatasse, senza che una sola voce uscisse
a protestare contro quella strana forma di tirannide, che
pretendeva, a dispetto della logica e della storia, imporre
un' assurda credenza, e da questa prendeva pretesto ad una
manifestazione politica, che nessuno avvenimento giustifi-
cava. E pensare che Galeazzo M, Sforza, questo tiranno
E SULLA SEPOLTURA DI 6IANGALEAZZ0 VISCONTI 281
dissoluto e crudele, cadde sotto il pugnale dei congiurati
meno di tre anni dopo, quando, cioè, il fiotto era recentis-
simo, e chi voleva parlare poteva farlo senza pericolo ! Il
M., che non si dissimula queste difficoltà, si affretta a dire
che 4: chi meno ha prestato fede all' equivoco volontario od
« alla turpe simulazione furono i Certosini » ; ma di que-
sta affermazione si cercano invano le prove nella sua me-
moria. E vero : V urna sepolcrale, destinata a raccogliere
definitivamente la salma, non fu compiuta che dopo il 1662 ;
ma dove ha letto il M. che la ragione di ciò risiede nel
malvolere e nella negligenza de' Certosini, e non più tosto
nelle difficoltà tecniche e nella lentezza con cui procedevano
generalmente i lavori della Certosa? E la presenza nel-
r urna di una pagina di carta scritta nel 600 prova proprio
che le ossa abbiano subito una manomissione, e che questa
sia imputabile a' Certosini ?
Il M., che dà rilievo a fatti puerili o insignificanti,
trascura invece o ignora altri fatti, che provano tutto il
contrario.
Filippo di Commines, eh' era già stato a Pavia una
prima volta nel 1478 (1), e vi ritornò una seconda volta
nel 1494, ci ha lasciato notizie preziose sulla visita che in
questo secondo viaggio fece alla Certosa. Le sue parole sono
cosi calzanti per il nostro argomento, che non posso aste-
nermi dal riferirle intere. Dopo aver detto che Giangaleazzo
fu « ung grant et mauvais tyran, mais honnorable » e che
fa il primo duca di Milano, aggiunge : « Toutefois son corps
« est aux Chartreux à Pavie, pres du Parque, plus hault
« que le grant autel : et le m' ont monstre les CliartreUx,
4c au moins ses os (et y mont 1' on par une eschelle) le-
« squelz sentoient comme la nature ordonne, et ung, natif
« di Bourges, le m' appela sainct, et jo lui demanday, en
« 1' oreille, pourquoy il 1' appelloit sainct, et qu' il povoit
(1) Kervyn db Lettenhove, LeUres et Négociatioru de Philippe de Coni'
fuineSf to. I, p. 195; Bruxelles) 1867.
282 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
« veoir paincts à Y entour de luy les armes des plusieurs
« citez qu' il avoit usurpees, où il n' avoifc noi droict, et
« luy et son cheval estoient plus hanitz que 1' autel, et
« taillez de pierre, et son corps soubz le pied dudiet cheval.
« n me respondit bas : - Nous appellons, dict il, en ce pays
« icy, sainctz, tous ceulx qui nous font du bien. - Et il
« feit ceste belle eglise des Ghartreux, qui à la verité est
« la plus belle que j' aye jamais vene, et tout du beau
« marbré » (1).
Il M., che non conosce di questo passo del Commines
che la sola parte riferita dal Beltrami (2), e in cui manca
affatto il colloquio dello stesso Commines col frate di Bour-
ges, ignora naturalmente la caratteristica risposta di que-
st' ultimo, da cui traspare non solo la convinzione de' Cer-
tosini, di possedere le ossa del primo duca, ma anche la
venerazione in cui tenevano la memoria del duca, venera-
zione condita di una certa malizia bonaria e quasi ingenua
che ricorda quella di fiu Q-aldino. Quanto alla parte in cui
si descrive il monumento, il M. ha un bel dire che il Com-
mines o narrò il falso o prese un abbaglio. H celebre
ministro di Luigi XI e di Carlo Vm era uno spirito illu-
minato ed un osservatore acuto : non è possibile che egli,
scrivendo a qualche anno di distanza, prendesse abbaglio so-
pra un particolare ch'egli descrive in modo si circostanziato.
Del resto non il solo Commines ci dice che la salma
del Visconti fosse depositata dietro V altare maggiore. An-
che Paolo Giovio, scrivendo nel 1647 (3), riferisce lo stesso
particolare: <c In eo tempio human voluit ; spectaturque post
aram maximam caelati operis admirabUe septUchrum :^. Le due
testimonianze del Commines e del Giovio proverebbero che la
salma del duca rimase nel suo collocamento provvisorio die-
(1) Mémoirea de Philippe de Commymes, to. Il, pp. 852-858; Pari^*,
Benouard, 1848.
(2) La Certosa di Pavia, p. 102.
(8) Vitae Duodecim Vicecomiium in The$. Antìq., to. Ili, parte 1.», ooL 822.
E SULX.A SEPOLTURA DI 6IANGALEAZZ0 VISCONTI 283
tro l'altare maggiore finché non fu compita l'urna funeraria
che venne più tardi situata nel luogo dove ora si vede (1).
L'esistenza di una tomba provvisoria nella Certosa di
Pavia è attestata anche da altri documenti. In un Registro
di spese fatte per la consacrazione della chiesa della Certosa
nel giorno 3 maggio 1497 è notata la somma di lire 1 e soldi 2
« prò coDa emenda prò dealbando tombam ». Non può es-
sere che la tomba di Giangaleazzo (2) : quella stessa, senza
dubbio, a cui accennava il Bellincioni nel ben noto sonetto :
Qai dormon le famose e sacre spoglie
Di Giovan Galeazzo primo duce
Gli stessi versi con cui si chiude il sonetto :
Or Lodovico il suo parente onora
D'un bel sepolcro e storia graziosa
trovano pieno riscontro nella notizia data testé dal Ma-
genta di un sepolcro compiuto tra il 1492 e il 1600, e della
commissione affidata nel 1495 a Giovanni Antonio Decio di
costruire per lire 700 imp. « una cassa di pietra di rocca,
<c ingemmata di rubini e di smeraldi i> destinata ad acco-
gliere gli avanzi del duca : opera che fti compiuta nel 1506,
e che il Magenta crede distrutta « quando i decreti del
« Concilio di Trento obbligarono i monaci a toglier le tombe
« dal loro tempio » (3).
Troppo scarse e frammentarie notizie sono queste, ne
convengo, perchè gli storici dell' arte possano ricostruire
intera la serie de' lavori compiuti intorno a' sepolcri di Gian-
galeazzo ; ma esse bastano a dileguare ogni dubbio sulla ge-
nuinità degli avanzi depositati alla Certosa, e a liberare i
(1) Ad un monumento provvisorio crede anche il Bkltrami (La Cer-
tosa di Pavia, p. 102).
(2) La comacrazione della Certosa di Pavia, art. di Pahfilo in Corriere
della Sera del 8-4 maggio 1487.
(3) La Certosa di Pavia, pp. 188, 18B. La notizia della commissione
alHdata al Decio fu tratta da un rogito dell' Aroh. not. di Pavia.
284 DI UNA NUOVA IPOTESI SULLA MORTE
Certosini dair accusa di negligenza e di malvore di cui si
è voluto cosi leggermente gratificarli.
Nel 1610 a* 7 di marzo fu trasportata alla Certosa an-
che la salma d* Isabella di Valois, giusta la volontà espressa
dal defunto duca nei testamenti del 1399 e 1401. Questa
nuova cerimonia, fatta ad istanza del re di Francia (1),
non si comprenderebbe, se gli avanzi di Giangaleazzo non
fossero stati effettivamente alla Certosa. I frati, che avevano
già subito una prima mistificazione 46 anni innanzi, si sa-
rebbero rassegnati a subire la seconda? e avrebbero per-
messo, più tardi, che la salma d' Isabella fosso deposta,
nella stessa urna, accanto a quella di un ignoto, di un uomo
che non fosse stato suo marito?
VI.
E qui il mio compito sarebbe finito ; ma voglio ag-
giungere ancora un' osservazione.
Il M. sul finire della sua memoria, spezza anch' egli
una lancia contro quel povero cranio di Q-iangaleazzo ve-
nuto alla luce nella famosa ricognizione del 1889. A questo
proposito dirò eh' io fui di quelli che, al tempo di quella
ricognizione, non la trovarono uè necessaria ne opportuna.
I dubbi del Magenta, elio già sei anni prima aveva espresso
nella sua opera sul castello di Pavia (2), circa il luogo dove
potevano trovarsi i resti mortali di Giangaleazzo, non ave-
vano, secondo me, un fondamento troppo plausibile. Con
tutto ciò nessuno può negare che quella ricognizione ebbe,
se non altro, il merito di aver eliminato ogni incertezza su
quel punto, e di avere rivelato un' altra cosa che nessuno
sapeva, cioè la coesistenza, nella medesima urna, dello salme
(1) Luigi XII discendeva, come è noto, da Valentina Visconti figlia
d' Isabella.
(2) I, 394.
E SULLA SEPOLTURA DI GLVNGALEAZZO VISCONTI 285
di Giangaleazzo e della sua prima moglie Isabella di Va-
lois. Inoltre V esame minuzioso degli avanzi scheletrici servi
ad affermarne indubbiamente la genuinità. « Il teschio del
« duca (scriveva Luigi Bignami qualche giorno dopo) è
« enorme, nella sua forma rispondente perfettamente ai ri-
« tratti più caratteristici che si conservano alla Certosa
« sia in marmo che in pittura » (1). Anche il Magenta,
nella sua relazione del 17 aprile al ministro dell* istruzione
a proposito del cranio, riconosceva che « nelle sue linee
« corrisponde ai ritratti che del duca abbiamo nella Cer-
« tosa, eseguiti dal Borgognoni, dal Mantegazza e da Al-
« berto Maffioli » (2). I dati raccolti dal prof. G. Zoia du-
rante r esame a cui sottopose lo scheletro del duca non fecero
che confermare in tutti i punti i risultati dell' indagine sto-
rico-psicologica, dando loro il carattere di critica scientifica.
« Ingrato compito, scrive il M., è quello di sfrondare
« veccliie leggende, che siansi intruso nel santuario della
« storica verità .... ma pure Y abbiamo assunto per finire
« una vera profanazione della storia ».
Il M. ha ragione : nella storia s' infiltrano facilmente
gli errori, ed è opera doverosa e degna ristabilire il vero
dove fu falsato per calcolo o per ignoranza. Ma per far ciò
le buone intenzioni non bastano : occorre anche una buona
dose di cautela e di misura ; occorre altresì il sicuro pos-
sesso dei metodi di ricerca, la cui mancanza è la piaga
maggiore del dilettantismo storico. Ma quello che sopra-
tutto importa è di guardarsi dal falso zelo, che ci spinge
facilmente a dire il contrario di ciò che hanno detto gli
altri, solo per la smania di riuscire originali : via lubrica,
in fondo alla quale, invece del vero di cui si va in cerca,
s' incontrano, spesso, nuovi e più pericolosi errori.
Messina. G. Romano.
(1) Corriere della Sera, giornale di Milano, 5-6 aprile, 1889.
^ (2) Perseveranza, id., 17 aprile 1889.
n. CONCIATE DI FIFA GANSAMU
E LA. SOF>I>I^E©SIO]VE r>E» GESUITI
[Da iocMeiiti MQ lei R. ArcUTlo di stato il Lncta]
>4<
Sono centoventidue anni che papa Gunganelli è sceso
nel sepolcro, ma la storia non ha anche pronunziato il suo
giudizio sopra di lui, ed è lontana dal pronunziarlo, tanto
le passioni sono sempre vive e tenaci, da rendere la me-
moria di questo pontefice, che soppresse la Compagnia di
Gesù, segno anche adesso
d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d' inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Lo provano gli ultimi suoi due biografi, il Crétineau- Joly (1)
e il Theiner (2), sebbene entrambi avessero per guida una
(1) Crétineau- JoLY| Le pape Clément XIV et les JésuUes, Paris, Denta,
1847, in S.^ Ne fece un estratto il BruHL, che usci fuori ad Aqoi^grana
il ^48, col titolo: Die geheime Geachtchte der Wahl Clemena XIV tind dar
Aufheòung dee JetuiUnordens, - Sul Crétineau- Joly pubblicò uno stupendo
articolo A. Druffel nella Hùtor, Zeitechr,, an. 1884, fase. 4. N'ò una
breve recensione di C. Paoli nel nostro Archivio, serie TV', tom. XIY,
pp. 146-147.
(2) La biografia del Theiner venne alla luce nel 1853 a Lipsia col
titolo: G^eichidhe des PontificaU Cletneru XIV; e nello stesso tempo a Pa-
rigi (Hittoire du pontificai de ClémerU XIV, d'après dei documenti inédiU dea
Archivee secrètea du VcUican, traduit de V allemand par Paul de Gedin) ; e a
Milano (Storia del pontificato di Clemente XIV, scruta sopra documenti inediU
degli Archivi segreti del Vaticano; tradotta, con piena approvazione deWamtore,
dal prof, Francesco Longhena). Di questo libro discorse nel nostro Areìncio
IL CONCLAVE DI PAPA GAKQANELU EC. 287
quantità di documenti, in grandissima parte affatto scono-
sciuti (1). H primo si valse della corrispondenza che il
cardinale di Bernis tenne giornalmente durante il Con-
clave, in cui entrò il 28 marzo 1769, col Marchese d'Au-
beterre, ambasciatore del Be di Francia alla Corte pa-
pale; non che de' rapporti che il cav. d'Azara inviava a
D. Manuele di Roda, ministro del re di Spagna ; e sembra
che stendesse anche le mani sulle carte che Clemente XTV
confidò al P. Bontempi, suo confessore ed amico ; le quali,
dal convento de' SS. Apostoli in Boma, dove le depositò
appunto il Bontempi, al principio di questo secolo passa-
rono negli Archivi di Madrid, da cui poi vennero rubate ;
il prof. Filippo Ugolini (Nuova serie, voL IV, parte I, pp. 149-187); V Hase
nella OitzzeUa eeclencutica protestante del Krause, n.^ 49 del 1854 (Die Wahl
GatiganeUi'Bf die Jetuiten und Dr, Theiner); non che l'opuscolo, stampato
ad Augusta nel 1854, col titolo: Clemens der Vierzehnte und die Aufhelmng
der ChielUchaft Je9u, Etne ìeritiache Beleuchtung von Dr, Augustin Theiner'a
Getehichte dea Pontificate Clemente XIV; per dir solo de' principali.
(1) è da vedersi anche l' Hiatoire de Clémeni XIII et Clément XIV
(Mona, Julien, 1854) del gesuita Bavaigman. Fin dal 1846 il Saint-Pbiest
nella sua ffiatoire de la chute dea Jéauitea au XVIII aiècle aveva pubbli-
cato importantissimi documenti su questo fatto tanto memorabile del
secolo scorso.
Intorno poi a papa Ganganelli sono da consultarsi anche le opere che
seguono; alle quali certo molte ne saranno da aggiungere: Schubabt C.
F., Leben dea Papatea Clemena XIV, Gtòttingen, 1774, in 8.o - Tableau hiato-
riqus de Laur. Chtnganelli^ aouverain pontife aoua le nom de Clément XIV,
Leipzig, 1776, in 8.® - Salvetti P. T., De patria Clementia XIV p, m, ad
Joannem Baptiatam Bomba epiatola, Bomae, B. Olivieri, 1922, in 4.^ - Bei-
CHEHBACH I., Wie UbU und atarb Ganganelli f Neust. a. d. Orta, 1881, in 8.^
- Bbuxont a., Ganganelli, Papat Clemena XIV, aeine Briefe und aeine Zeit,
Berlin, 1847, in 8.o - *** Clément XIV and the Jéauitea, in The Quarterly
Beview, june 1848. - Uschneb C, Clemena XIV. Ein Lebena und KarakteT'
hild, Berlin, 1866, in 8.o [Seconda edizione]. - Fòbbtbe T., Bine Papatwahl
vor hundert Jahren. Bine Erinnerung aita dem J,, 1769, Berlin, 1869, in 8,^
- GOttiho C. F., Ein verrUckter Papat/ Ganganelli, Berlin, Behr' s Ver-
lagsbuhhandlung, 1886, in 8.^ - Bebtolini Fbancesco, Clemente XIV e la
aoppreaaione dei Geauiti, nella Nuova Antologia, fascicolo del 16 novembre 1886.
- Pac DE Belleoabd G., Coup d*oeil aur V ancienne égliae catholique de Hot-
lande et récit de ce que Von fait aoua Clément XIV pour concilier eette égliae
avee la Cour de Pome, La Haye, Nighoff, 1891, in 8.o
288 IL CONCLAVE DI PAPA GANGÀNELLI
e forse fu anche in possesso del volume originale delle let-
tere del 4.° anno del pontificato del Qtinganelli, cioè dal
19 maggio del 1772 al 19 maggio del 1773, che insieme
con altri documenti una mano audace osò rapire negli
Archivi stessi del Vaticano. Il Theiner, oltre quanto si
conserva in quegli Archivi, ha pur consultato i carteggi
del cardinale di Bernis e del cav. d'Azara, la corrispon-
denza che il cardinale Orsini, ambasciatore del He delle
Due Sicilie, ebbe dal seno stesso del Conclave col d' Aube-
terre, dal 14 febbraio al 16 maggio 1769; e, se dobbiamo
credere alle sue parole, « tutte le collezioni, tutti i ripo-
« stigli più preziosi d'Europa ». Per il Crétineau-Joly,
papa Ganganelli è addirittura un ribaldo, un mostro tuie
da essere egli costretto, « per V interesse stesso della Chiesa,
« a lacerare il velo che celava agli occhi del mondo un si-
« mile pontificato e a divulgare i misteri dell'iniquità ».
Il Theiner invece scrive per « vendicare V innocenza la più
« augusta che v'abbia sulla terra, quella d'un papa e d'un
« papa cosi grande come fu Clemente XIV » ; e gli pro-
diga lodi di coraggio, di prudenza, di grandezza, tutte in-
somma le virtù de' più insigni pontefici. Al Crétineau-Joly
r odio fa continuamente velo al vero, e i libri come il suo
non hanno valore di sorta ; molto ne ha invece quello del
Theiner, ma anche a lui di quando in quando l'amore
offusca gli occhi e a volte gli fa svisare la verità.
De'documenti che pubblico, sono di Filippo Maria Buona-
mici, Agente della Repubblica di Lucca presso la Corte pon-
tificia, i dispacci che riguardano il Conclave di papa Ghinga-
nelli; gli altri tutti, dell' ab. Domenico Paoli, suo successore;
ma, peraltro, ispirati dal Buonamici, che era nelle grazie di
Clemente XTV e addentro ne' segreti del suo pontificato (1).
(1) Gir. Sforza Gio., Episodi della storia di Roma nel secolo XVIII;
brani inediti d^* dispacci degli Agenti lucchesi presso la Corte papale; in que-
sto nostro Archivio storico italiano; serie IV, toni. XIX, pp. 55-74 e 222-248;
XX, pp. 1G6-177 e a56-451.
E LA SOPPRESSIONE DE' GESUITI 289
Il Breve Dominus ac Redemptor che abolì i Gesuiti, a giudi-
zio del Theiner fu messo a effetto dal Granganelli « con una
« fermezza che spingeva quasi fino allo scrupolo, e con modi,
« tanto più ammirabili, quanto più grave era l'animosità
« de' suoi avversali ». I dispacci del Paoli stanno là a
mostrare in che consistessero questi modi, e quanto sia falso
che « il Santo Padre », (son parole anche queste del Theiner)
« si comportò come un padre verso i membri sfortunati
« della soppressa Società :^. Giova pertanto ripetere col
Balbo: « Tale era l'andsizzo assoluto, tirannico di quel se-
« colo, di quel &tto, che Clemente XIV, il quale lo compiè
4c dubitando e invito, lo compiè pure tirannicamente e in-
« carcerando il Generale e altri de' Padri » (1).
Anche in altre particolarità, i dispacci lucchesi chia-
riscono, correggono, apportano luce nuova, recando fetti,
aneddoti, episodi, che si cercano invano nel Saint-Priest,
nel Eavaignan, nel Crétineau- Joly, nel Theiner ; in quanti,
insomma, scrissero di quel pontificato e di quell'abolizione.
Massa di Lunigiana. Giovanni Sforza.
I.
Il Conclave di Papa Ganganelli.
n fètbraio 1769. - Questo sig. Ambasciatore di Francia (2), il
quale era sul punto di partire, dice di non volersi mettere in pub-
blico e fare la solenne visita al S. Collegio, conforme il solito, perchè,
o non ha istruzioni, o quelle che ha non le crede adattabili alle
presenti circostanze. Ieri però fece le solite visite a tutti i Cardi-
nali in particolare, eccetto che a quattro, i quali sono dichiarati
(1) Balbo, Sommario della Storia d* Italia, Firenze, Le Mounier, 1856,
p. 882.
(2) Il Karohese d'Aubeterre ambasciatore del Be ('rìstianisaimo presso
la Corte Pontificia.
Abch. Stob. It., 5.« Serie. — XX. 19
290 IL CONCLAVE DI PAPA 6ANGANELU
diffidenti della Eeal famiglia Borbone, cioè gli Eminentissdmi Ca-
stelli (1), Boschi (2), Bonaccorsi (3) e Torrìgiani (4). Al sig. Cardi-
nale Eezzonico (5), tutto che fosse nel numero dei diffidenti, pure
ha fatta visita, come a Camarlengo della S. Eomana Chiesa. Peraltro
gli Ambasciatori di Venezia e di Malta si metteranno in pubblico
quanto prima, per prestare i soliti ossequi al S. Collegio. Mons.
Azpuru (6), Ministro di Spagna, non fa alcun passo, perchè dice di
non avere né credenziali, né istruzioni.
(1) Giuseppe Maria de' conti Castelli, nato a Milano nel 1705, creato
cardinale il 1759, e morto nel 1780.
(2) Gio. Carlo Boschi di Faenza, nato il 1715, fatto cardinale il 1766, e
morto il 1788.
(8) Simone Bonaccorsi, nato a Macerata il 17 novembre 1708, fatto
cardinale il 18 luglio 1768, e morto il 27 aprile 1776.
(4) Luigi Maria de* marchesi Torrìgiani di Firenze, gi& Segretario di
Stato di papa Rezzonico, nato il 1697, e morto il 1777.
(5) Carlo Bezzonico di Venezia, nepote di papa Clemente XIII, nato
il 1724, e morto il 1799.
(6) L'ambasciatore D* Aubeterre, in suo dispaccio, ne fa questa pit-
tura: « Monsig. d' Azpuru, incaricato oggidì degli affari di Spagna dopo
« la partenza di don Emanuele di Boda, è un uomo onestissimo e deUa
« probità più scrupolosa. Egli è Uditore di Bota a Boma per la Corona
« d'Aragona. É eccellente giureconsulto, uno dei migliori giudici che vi
« abbiano nella Bota, ed il suo parere è il più seguitato ; ma esso ha
« poca conoscenza degli affari delle Corti, in cui non si è mai immischiato
« fìno a qui. Questo difetto di esperienza lo rende timido e titubante;
« del resto le sue intenzioni sono rette e buonissime ».
Ebbe una tragica morte, che cosi vien descritta dall'Agente della Be-
pubblica di Lucca:
16 maggio 1772. - « Con decoroso equipaggio mercordl giunse in Boma,
« proveniente da Spagna, il canonico Azpuru, fratello di questo Monsig.
« Azpuru, unitamente ad un medico, da esso a posta condotto, per esa-
« minare se lo stato di salute in cui trovasi presentemente detto prelato
« li permetta, com'egli desidera, di trasferirsi in Spagna al suo arci-
« vescovato ».
30 maggio 1772. - « Alle preghiere avanzate a N. Signore dal fratello
« di Monsig. Azpuru, ha il S. Padre conferita una delle dignità riservate
« a questa S. Sede, vacata in Saragozza, al di lui nepote, con la riserva
« soltanto di scudi 800 annui di pensione; qual pensione l'ha data a
« Monsig. De Aguirre, suo Cameriere segreto soprannumerario.
« Il medico poi che l' accennato fratello di Monsig. Aipuru oonduase
« seco dalla Spagna, dopo aver fatte le sue mediche osservaùoni sulla ca-
« gionevole salute di Monsignore suddetto, lia deciso che l'esporre detto
E LA SOPPRESSIONE DE' GESUITI 291
Intanto varìi sono i ragionamenti, e forse ancora le brighe, che
sì £Euino per l'elezione del nuovo Papa; ma fin ora non si può veder
chiaro, e il Conclave può ben desiderarsi, ma non sperarsi che sia
breve e tranquillo. Vorrebbesi da alcuni che, senza aspettare i Car-
dinali forestieri, si sollecitasse V elezione ; ma i più la vedono cosa
troppo pericolosa. Quei che più temono sono i Gesuiti, 1 quali però
dicesi che nel S. Collegio abbiano l'esclusione di quei soggetti che
sospettano potere agevolmente condiscendere all' ultima istanza fatta
dai Principi Borboni della soppressione totale del loro Istituto.
Sonosi tenute più Congregazioni Camerali innanzi a questo
Monsig. Tesoriere, per provvedere alle gravi spese del Conclave ; la
cui sola struttura, compreso ancora tutto quello che si spende nella
pompa funebre di questi novendiali, ascende a ben settantamila
scudi ; ed oltre a ciò, venti e più mila sono necessari per le giorna-
liere spese del Conclave.
25 febbraio. - Domenica questo sig. Ambasciatore di Venezia
portossi in pubblica forma al Conclave; e fermatosi per un'ora nel-
l'appartamento del sig. Maresciallo del Conclave, Principe Chigi,
fintantoché terminato fu lo scrutinio, fu ammesso all'udienza de' tre
Em.*^ Capi d'ordine, cioè Cardinal Gian Francesco Albani vescovo (1),
« prelato ad un id lungo viaggio sarebbe lo stesso che condurlo più pronta-
« mente a morire; onde essendosi dimesso un tal pensiero, sentesi che il
« medesimo seguiterà a soggiornare in questa dominante.
11 luglio 1772, - « Circa le ore 22 di martedì cessò di vivere Monsig.
« Azpuru, Arcivescovo di Valenza, con universale dispiacere di questa
« città, e molto più, perchè acceleratagli la morte dal seguente compas-
« sionevolissimo accidente. Erano vari giorni che il medico spagnuolo,
« stando Monsignore involto nelle coperte a sedere, gli faceva arder sotto
« lo spirito di acquavite. Nella scorsa domenica pertanto, in tempo che
« si gli stava facendo il surriferito rimedio, cominciò all'improvviso Mon-
« signore a gridare che si bruciava, come in realtà, alzate le coperte, fu
« veduto che il medesimo, non si sa se, o per essersi rovesciato il vaso
« dello spirito, ovvero per aver preso fuoco le coperte, si era tutto scot-
c tato nelle cosce. Il dolore poi di una tale scottatura, unito all'antico
« male di Monsignore, gli causarono finalmente le convulsioni, che lo
« hanno condotto nel sopraddetto giorno di martedì a morire.
« U di lui cadavere fa nella sera del susseguente giorno trasportato
« nella regia chiesa della Nazione Aragonese, detta di S. Maria di Mon-
« serrato, e nella mattina appresso gli furono celebrate le dovute solenni
e esequie ».
(1) (Ho. Francesco Albani, nato a Boma il 1720, e morto il 1803.
2D2 IL CONCLAVE DI PAPA 6AN6ANELLI
Cardinale Eossi prete (1) e Cardinale Neri Corsini diacono (2); e
presentò loro, genuflessoi la lettera della sua Eepubblìcai e poi disse
un breve complimento; cui il sig. Gianfrancesco fece una risposta,
che qui è stata lodata come molto bella, e, nelle note presenti cir-
costanze, di dignità insieme e di prudenza ripiena.
Da Napoli, per ordine regio, è stato spedito un vascello in Si-
cilia, per trasportare immediatamente il sig. Cardinale Branciforte (3)
in quella città ; il quale, ricevute che abbia le istruzioni Reali, verrà
subito al Conclave. Si è qui sparsa voce che S. A. K. il Gran Duca
di Toscana (4) domani parta da Pisa per Roma, dove in un perfetto
incognito voglia trattenersi dieci o dodici giorni a godere le ma-
gnificenze e a conoscere le antichità della dominante, cogliendo il
tempo opportuno di sfuggire le formalità de' cerimoniali coi Cardi-
nali, che chiusi sono nel Conclave.
Nel Conclave poi v'è una grande inazione, e pare che i Cardi-
nali siano in gran diffidenza tra loro; di tal maniera che può ac-
certarsi essere stata fissata la prudente massima di aspettare i
Cardinali forestieri, per fare una savia e applaudita elezione.
Infinite sono le satire furiosamente sparse contro la santa me-
moria del defonto Pontefice e contro i nepoti, e ancora contro tutti
i Cardinali e prelati; ma piene sono di maldicenza e senza sale;
tali insomma che indegne sono di essere lette da un uomo onesto,
perchè apparisce chiaramente essere fatte per guadagno de' plebei
copisti.
18 febbraio 1769. - Mercoledì processionalmente i Cardinali, dopo
la messa cantata dello Spirito Santo, entrarono in Conclave in nu-
mero di 28, essendo rimasti fuori, per motivo di malattia i aigg.
Cardinali Cavalchini, Conti e Santo Bono (5). Siccome poi v'era il
costume, che quasi tutti i Cardinali quella mattina medesima si
(1) Ferdinando Maria De' Rossi, nato a Cortona il 1696 e morto il 1775.
(2) Neri di Filippo Corsini, nato a Firenze il 19 maggio del 1685, venne
insignito della porpora cardinalizia dal proprio zio papa Clemente XII, e
dal 1737 al 1740 fa addirittura il sovrano di Roma. Mori d' 85 anni nel 1770.
(8) Il cardinale Colonna Branciforte de^ Principi di Scordia, nato a Pa-
lermo il 1711 e morto nel 1786.
(4) Pietro Leopoldo, allora Granduca di Toscana, che poi nel 1790 cinse
la corona imperiale col nome di Leopoldo II.
(5) Carlo Alberto Guidobono Cavalchini, nato a Tortona nel 1688 e
morto il 1774. Pier Paolo Conti di Camerino, nato il 1689 e morto il 1770.
Gio. Costanzo dei duchi di Caracciolo di Santobouo, nato a Napoli nel 1715,
creato cardinale il 1759, e morto il 1780.
£ LA SOPPRESSIONE DE* GESUITI 293
portassero a casa, e ritornassero la sera, per non uscire più, se non
dopo relezione del Papa; cosi è stato questa volta degno d* osser-
vazióne e di lode il zelo che ha mostrato la maggior parte di loro
nella puntuale e scrupolosa osservanza delle Bolle, che prescrivono
letteralmente la permanenza immediata dopo la processione; e quindi
apparisce, che nel Conclave vi sarà un forte partito di zelanti per
l'elezione di un Papa pure zelantissimo, e che non abbia altro ri-
guardo che la religione.
Si era qui sparsa voce, ma senza certo autore, e forse maligna-
mente inventata, che si fosse da molti Cardinali fatta pratica di
eleggere, per sorpresa e senz' alcuna deferenza alle Corti, il sig.
Cardinale Chigi (1), soggetto per altro degnissimo del pontificato, ma
da eleggere con maturità e approvazione di tutti ; onde nelle pre-
senti circostanze, una elezione in questa maniera fatta, potea temersi
non proficua al bene universale del Cristianesimo ; con tutto ciò,
vuoisi da molti sostenere, che se questa pratica non fosse stata a
tempo scoperta, l'elezione sarebbe seguita; e si accerta che nel
primo scrutinio di giovedì il sig. Cardinale ebbe dieci voti. Fra i
soggetti sopra cui dicesi che possa più facilmente cadere l'elezione,
viene specialmente nominato il sig. Cardinale Stoppani (2). Vero è
però, che fin tanto che non saranno venute le istruzioni delle Corti,
ogni discorso è insussistente e superfluo. Si è risaputo, che il sig.
Cardinale Sersale (3), Arcivescovo di Napoli, che prima aveva avuto
in animo di non portarsi al Conclave, se non dopo le funzioni della
settimana santa fatta nella sua Chiesa, ora sollecita la sua venuta,
e ciò dopo un lungo congresso avuto col Marchese Tanucci. Si crede
pur anche che sia per sollecitare la sua venuta il sig. Cardinale Mi-
gazzi (4), il quale avendo il segreto della Corte di Vienna, oggi
imita quasi indissolubilmente con le Corti Borboniche, avrà forse la
maggior parte nell' elezione del Papa futuro. Quindi non è mancato
chi ha detto, e dice pur anco, che la pratica, che si è fatta per sol-
lecitare in qualunque maniera l' elezione suddetta, senz' aspettare né
(1) Flavio de' principi Chigi, nato a Eoma nel 1712, creato cardinale
il 1758, morto il 1771.
C2) Gio. Francesco Stoppani di Milano, creato cardinale il 26 novem-
bre 1758, e morto il 18 novembre 1774.
(3) Antonino Sersale di Sorrento, creato cardinale da papa Lamber-
tini il 22 aprile 1754, morto di settantatrè anni il 1775.
(4) Cristoforo Migazzi, nato a Trento il 20 ottobre 1714, creato cardi-
nale il 28 novembre 1761 e morto il 14 aprile 1808.
294 IL CONCLAVE DI PAPA GANGANELLI
gli altri Cardinali, né il congresso delle Corti, sia derivata dai ma-
neggi dei Gesuiti, che temendo l'estrema rovina, giocano adesso,
come suol dirsi, l'ultima carta; e si raccomandano, quanto più
sanno e possono, ai Cardinali (dirò cosi) gesuitofili, che, per verità,
non sono pochi. Anzi vi è chi, con autorità teologica, va dissemi-
nando V opinione, che non si possa, in coscienza, senza una manifesta
violazione delle Bolle giurate, trattenersi 1' elezione di un soggetto,
che sia degno, per umano rispetto.
Giovedì sera il sig. Cardinale Orsini (1), dopo lo scrutinio, por-
tatosi alla rota, che era custodita dagli auditori di Bota, disse ad
alta voce, che dava loro una nuova importantissima; cioè, che non
era stato fatto il Papa; e questa, soggiunse, Pahbiamo per nuova
importante. Dalle cui parole si è voluto dedurre, eh' era stata impe-
dita la suddetta pratica di fare l'elezione per sorpresa.
Nello scrutinio di ieri calarono d' assai i suffragi per il sig. Car-
dinale Fantuzzi (2), ma senza apparenza finora di conclusione alcuna ;
onde pare che oggimai sia certo, che non si farà l'elezione senza
la solita deferenza alle Corti, che nelle presenti circostanze è troppo
necessaria.
Gli agenti de'sigg. Cardinali oltramontani, specialmente fran-
cesi, comprano equipaggi e fanno i preparativi per la loro sollecita
venuta. Questo sig. Ambasciatore di Venezia ebbe l'altro ieri le cre-
denziali dalla sua Eepubblica, che presenterà domattina al S. Collegio,
portandosi in pubblica forma all' udienza del medesimo alle ore 17.
22 febbraio 1169, - Nel principio del Conclave, non essendosi
dichiarate ancora alcune fazioni de' Cardinali, neppure vi sono no-
vità singolari e degne di essere recate a notizia.
lermattina avendo presentata la lettera dell' £E. LL. (gli Anziani
e Gonfaloniere della Repubblica di Lucca) al Sagro Collegio, in mano
di Monsig. Gallo, Segretario, potei alla rota far chiamare un con-
clavista mio amico, e che altre volte è stato in Conclave, il quale
mi asserì essere là entro finora un'aria d'indifferenza tale che x>a-
reva non pensassero in alcun modo all' elezione del Papa. Che altre
volte al principio s' era subito scoperto qualche disegno e qualche
partito ; ma che ora tutto era silenzio e, come ho detto, indifferenza.
(1) Domenico Ordini D^ Aragona de' Duchi di Gravina, nato a Napoli
nel 1719, morto il 1789. Era ambasciatore del Be delle Due Sicilie presso
la Corte di Koma.
(2) Gaetano Fantuzzi, nato a Bavenna il l.<^ agosto 1706, creato car-
dinale il 24 settembre 1759, morto il 1.» ottobre 1778.
B LA SOPPRESSIONE OE' GESUITI 295
Mi disse, che in due celle solamente si radunavano in conversazione
i Cardinali, cioè in quella del Cardinale Andrea Corsini (1). E quanto
alli scrutini essere sparsi e fluttuanti, senz' alcuna conclusione; e
questa non potrà aversi, se non dopo la venuta de' Cardinali oltra-
montani, e dopo che questi ministri esteri averanno ricevuto dai
loro Sovrani le istruzioni
Ieri entrò in Conclave il sig. Cardinale Delle Lanze (2), che era
arrivato il giorno precedente; e fu osservato che, sebbene non ri-
cevesse altre visite che degli Ambasciatori di Francia, di Venezia
e di Monsig. Azpuru, esclusi i prelati, ricevè però il Padre Generale
de'Gresuiti, e con lui si trattenne lungo tempo. In proposito di che
mi giova riferire una celia detta dal sig. Ambasciatore di Francia
al Principe Buspoli, dalla quale si può dedurre il moto che si danno
que' Beverendi Padri perchè V elezione del nuovo Papa non cada in
persona a loro contraria. Convien dunque sapere, che adesso, dopo
che i Gesuiti caddero nella disgrazia del Ee di Spagna e di Napoli,
invece del Principe di Piombino, dà la carrozza continuamente al
Padre Generale il Principe Buspoli. Questi, essendosi portato nella
conversazione di casa Falconieri, trovò l'Ambasciatore di Francia
con una gamba inferma, che appoggiava sopra una sedia, e richiesto
della cagione del suo incomodo, gli rispose, sorridendo, che era questo
derivato dal dovere tenere dietro al moto continuo della sua car-
rozza ne' passati giorni; e infine gli domandò se avrebbe seguitato
a dare questo comodo della carrozza non più al Padre Generale, ma
all'abbate Eicci ancora. Certamente, tanto esso sig. Ambasciatore,
quanto gli altri Ministri della Beai famiglia Borbonica, si gloriano
d' avere impedita la elezione sollecita del Papa, e per sorpresa, che
vuoisi maneggiata dalle brighe de' Gesuiti; benché da loro aperta-
mente si neghi.
4 marzo fJ69, - Bitomò il corriere spedito da questo sig. Am-
basciatore di Francia, il quale ha recato la di lui conferma in Am-
basciatore, tanto al Conclave, quanto al nuovo Sommo Pontefice, ed
insieme la lettera del Be, responsiva al S. Collegio sull'avviso della
uìorte del Papa. Dallo stesso corriere e dalle lettere del solito or-
dinario si è risaputo, che due soli Cardinali francesi, cioè Luynes e
(1) Andrea, nepote del cardinale Neri Corsini, nacque 1' 11 giugno
del 1785, fa nominato cardinale da papa Clemente XIII nel 1759, e mori
il 19 gennaio del 1795.
(2) Carlo Vittorio Amedeo Dalle Lanze dei conti di Sales, nato a To-
rino nel 1712, morto il 1783.
Ly.
2DG IL CONCLAVE DI PAPA 6AN6ANELLI
Bemìs, si affrettano per venire al Conclave, e specialmente il Car-
dinale di Bernis, il quale partiva alli 19 dei caduto mese, serven-
dosi per il suo viaggio del corriere pontifìcio spedito dal S. Collegio
al Nunzio. Del Cardinale Choiseul si dubitava che potesse venire,
attesa la sua pericolosa malattia, dalla quale non sì era per anche
ristabilito: a questo doveva affidarsi il segreto del Be, riguardo
all'elezione.
Il sig. Cardinale Molino (1) aveva scritto al Senato della Bepub-
blica di Venezia una lettera assai officiosa, con cui lo pregava di
permettere, che delle sue rendite ecclesiastiche gli fosse rimessa
qualche somma, onde potesse portarsi al Conclave, e gli fossero nel
tempo stesso mandati i suoi equipaggi. Non ha il Senato data ri-
sposta alcuna, e alPincontro s'è saputo che gli equipaggi sono stati
venduti all'incanto.
Nel Conclave seguita la stessa oziosa indifferenza, anzi una
qualche diffidenza tra questi Em.°^^ elettori, la quale non finirà, se
non all'arrivo dei Cardinali oltramontani; ed è ciò tanto vero, che
un giorno nello scrutinio avendo avuto molti voti l'Em.^' Cardinale
Serbelloni a tal segno, che con pochi altri nell'accesso poteva es-
sere eletto Pontefice, due Cardinali d'autorità pregavano ^li altri
ad essere più ritenuti nel dare il voto, non per esclusione del sog-
getto, che credevano degnissimo, ma per non fare una elezione pre-
cipitata ed imprudente, contro la massima già stabilita di aspettare
in queste circostanze il consenso delle Corone.
Martedì sera arrivò il sig. Cardinale Parravicini (2), che ricevè
le visite di tutta la nobiltà per due giorni, e poi fece il suo ingresso
in Conclave.
ler sera giunse il sig. Cardinale Bufalini, Vescovo di Ancona,
il quale domani entrerà in Conclave.
Ma ciò che ha sconcertato le misure di molti Cardinali in Con-
clave, si è, l'aver risaputo per le lettere di Vienna, venute con la
staffetta di Mantova, che non viene al Conclave il sig. Cardinale
Migazzi, nò forse altro Cardinale tedesco; e questa non curanza
della Corte di Vienna d'influire nell'elezione del nuovo Papa, vuoisi
qui che sia misteriosa, tanto più, che i Cardinali francesi si affret-
tano per intervenirvi, o a meglio dire per manipolare essi questa
elezione, e soli averne la gloria. È però assai verisimile che per
(1) Giovanni Molino di Venezia, nato il 1705, morto il 1778.
(2) Lazzaro Opizio de' marchesi Pallavicino di Genova, nato il 80 ot-
tobre 1719, creato cardinale il 26 settembre 1766, morto il 25 febbraio 1785,
K LA SOPPRESSIONE DE* GESUITI 297
questa causa si allungherà di molto il Conclave, perchè i Cardinali
affetti al partito francese, i quali speravano tutto l'appoggio della
Corte di Vienna, vedendosi abbandonati, si opporranno più che pos-
sono ai disegni dei Cardinali francesi Questa mattina medesima
l'agente del sig. Cardinale Migazzi ha reso a Monsig. Segretario
del S. Collegio la lettera responsiva dell'invito fattoli di portarsi ad
eleggere il Papa; nella qual lettera si scusa di venire per ora, per
motivo di sanità.
8 marzo f769, - Non voglio, né debbo omettere di significare il
felice arrivo di S. A. K. il Granduca di Toscana, avvenuto lunedi,
verso le venti ore, essendo partito da Montefìascone alle dodici, vale
a dire dieci poste distante da Eoma; viaggio la cui sollecitudine ha
recato a tutti maraviglia.
Giovedì notte giunse corriere dalla Corte di Madrid a questo
Monsig. Azpuru, che recò la lettera responsiva di Sua Maestà Cat-
tolica al Sagro Collegio e insieme la notizia che i due Cardinali De
Solis (1) e Cordova-Spinola (2) si ponevano in viaggio alla volta
di Boma per ordine del Re, che aveva loro somministrato danaro e
un vascello per il trasporto delle famiglie. Questo ordine regio era
uscito il giorno immediato dopo l'avviso della morte del Papa.
Le lettere poi di Francia portano la venuta di due soli Cardi-
nali, Luynes e Bemis, e non già di Choiseul, il quale ha ordinato si
vendano le sue carrozze ed altro suo già preparato equipaggio.
Quello che non s'intende, e che riesce d'ammirazione fino a
S. A. B. 11 Granduca di Toscana, (come s'è chiaramente espressa)
è il sapersi che nessuno de' Cardinali tedeschi sia spedito dalla Corte
di Vienna al Conclave.
Intanto, per ciò che si è penetrato, la calma del Conclave co-
mincia ad alterarsi dai due partiti che hanno due capi, uno il Car-
dinale Gio. Francesco Albani, l'altro il Cardinale Neri Corsini, senza
però quasi sapere di esserlo, ma guidato dal Cardinale Andrea ni-
pote e da altri zelanti. Quest'ultimo partito vorrebbe Papa il Car-
dinale Stoppani, e l' altro il Cardinale Fantuzzi. Il Cardinale Bezzo-
nico non si sa fin ora dove penda con seguito delle sue ben affette
creature ; ma fin ora si protesta di non aver in mira nell' elezione
del Papa se non il maggiore servizio di Dio ed il bene della S. Sede,
(1) Francesco Solis de Folck de Cardona, nato a Madrid nel 1718, creato
cardinale il 5 aprile 1756, morto il 21 marzo 1775.
(2) Bonaventura Cordova Spinola de la Cerda, nato a Madrid il 28
marzo 1724, creato cardinale il 28 novembre 1761, e morto il 6 maggio 1777,
Dentro oj^^i o domani ai Aspettano i Cardinali Malvezzi (1), S
noia (2) e Giuli. K quanto al Cardinale Moliuo non si sa se sia in
grado di venire, mentre finora il Senato Veneto Dulln ha rimesso
del suo severo contegno verso il medesimo.
18 Marzo 1769. - Già significai ìb. improvvisa venuta dell'Impe-
ratore Giuseppe II in questa cittA. Lu medesima sarà un* epoca
dell' istoria di questo secolo, particolarmente riflettendo alle circo-
stanze, che l'accompagnarono. Egli per altro vuol serbare un per-
fetto incognito, e però non ha volato ricevere né la cospicua depu-
tazione fattali dal Sagro Collegio di Monsig. Maggiordomo e di otto
Principi Honianì de' più ragguardevoli, cioè Contestabile Colonna,
I>uca di Bracciano, Principe di Palestrina, Principe Borghese, Prin-
cipe Aldohrandini, Principe Altieri, Principe Panfili e Duca di Poli,
e neppure altri Ambasciatori e Ministri esteri, non Guardie nobili,
non il regaio che chiamano d' onore, dicendo che l' Imperatore sta
a Vienna. Il giorno dopo la sua venuta, cioè giovedì, in compagnia
del fratello, pertossi a S. Pietro a venerare i corpi de'SS. Apostoli
con molta divozione, e ad osaervare le altre santità di quell'ainmi-
rabile basilica; ascese sopra la cupola, e siccome era assai tardi.
cosi disse elio sarebbe ritomaio la sera, per vedere i sotterranei,
come lece. Non può spiegarsi con parole il concorso e )' afioll amento
di ogni genere di persone per vedere questo augusto personaggio,
e sono pure indicìbili le acclamazioni e gli evviva, con cui per tutte
le strade è accompagnato, Ma ciò che sorprese tutti fu, che la stessa
sera del giovedì, dopo aver visitati i sotterranei, esseudosi portalo
col Gran Duoa a vedere entrare nel Conclave il sig. Cardinale Spi-
noia, eil apertasi perciò la porta del Conclave dal Maresciallo, l'Impe-
ratore dimandò al sig. Cardinale Stoppani, eh' era per avventura
capo d' ordine, se gli fosse stato permesso di entrare ancor «>sso.
'Tanto egli, quanto il tìratello solamente, fiirono ammessi; e condotti
nella Cappella Paolina, dove erano tutti i Cardinali, fu loro mostrata
la maniera con cui suol farsi lo scrutinio. In seguilo videro qualche
cella, e quella specialmente del sig. Cardinale Alessandro Albani i^3).
Dicesi, che avendo Sua Maestà Imperiale fatto mostra di voler anche
(1) Vincenzo Malvezzi de' conti di Belva, nato a £
il 1775.
(2) Girolamo Spinola di Genova, nato il 1713, i:
(B) Alessandro Albani, nato a Urbino il lUSfi, ii
E LA SOPPRESSIONE DE* GESUITI 299
depositar la spada (di cui era privo il Gran Duca) fugli risposto,
non dover deporre la spada chi la cingeva in difesa della Chiesa.
Dicesi inoltre, che parlando della lunghezza del tempo in cui pote-
vano i sig. Cardinali star colà racchiusi, essendogli detto, che il più
lungo Conclave, da Martino V in giù, era stato quello in cui fa
eletto Benedetto XIV, egli rispondesse, che augurava loro un Con-
clave più lungo del doppio, perchè eleggessero un Papa, come lo
stesso Benedetto. Peraltro i sigg. Cardinali lodano assai la singolare
umanità, cortesia e familiarità usata con loro dal medesimo Im-
peratore.
La medesima sera del giovedì, tanto Sua Maestà, che Sua Al-
tezza Beale, si portarono alla conversazione o, a meglio dire, festa,
data dal sig. Duca Sforza; la quale riusci oltre modo magnifica ó
numerosa ; ed ogni sera della settimana se ne sono date simili dagli
altri Principi romani.
Sono arrivati nella scorsa settimana più Cardinali, che sono en-
trati in Conclave : cioè Spinola, Pallavicini, Malvezzi e Priuli (1)
che fu incontrato da Sua Eccellenza il sig. Ambasciatore di Venezia.
È pure giunto 1' Em.™° Cardinale Luynes (2), che ha il segreto del Ee
Cristianissimo. Ma i discorsi e tutti i pensieri romani sono ora ri-
volti al maggior luminare, cioè ad un ospite augusto, cui simile da
due secoli e mezzo non aveva Eoma mai veduto. Quindi poco o
nulla si parla dell'elezione del Papa; la quale non si farà, che dopo
l'arrivo di tutti i Cardinali oltramontani; e che secondo la voce
adesso più probabile, pare che debba cadere nell'Em.™® Stoppani.
22 Mano 1169, - Continuando le notizie dei due grandi ospiti
di questa città, dico, che Sua Maestà Imperiale, assieme col fratello,
in un landau aperto, e con una sola carrozza di seguito, vanno gi-
rando e studiosamente osservando le antichità, e insieme le moderne
e rare fabbriche di Eoma.
Sabbato sera comparve improvvisamente nella ristretta con-
versazione della sig. Duchessa di Bracciano, della quale (per quanto
si è molte volte espresso di poi) fa una stima particolare, e vi si
trattenne più ore, ragionando con ammirabile familiarità con tutti
quelli che erano presenti. Non per argomento di vanità, ma per lode
della somma sua clemenza, non voglio tacere, che per qualche tempo
discorse meco della diversità delle lingue, dei teatri, e della poesia,
(1) Antonio Marino Priuli di Venezia, nato il 25 agosto 1707, creato
ceurdinale Pll settembre 1758, morto il 26 ottobre 1772.
(2) Il cardinal di Luynes arcivescovo di Beims.
300 IL CONOLAVK DI PAPA GANGANELU
mostrandosi specialmente versato nella lettura del Tasso, al quale
dava il primo vanto della poesia italiana. Ed avendo io soggiunto,
che questo era V opinione di tutti gli eruditi oltramontani ed ancora
di alcuni italiani, ma clic tra questi, i più davano i primi onori al-
r Ariosto; Sua Maestà Imperiale disse, che questo poeta non gli era
mai stato permesso di leggerlo, e adesso non avea più tempo di
leggere poeti; dal che se ne deduce la lodevole e casta educazione
di questo Sovrano; e molto più da ciò che la domenica seguente
fece con somma esemplarità; poiché, correndo il giorno di S. Giu-
seppe, di cui porta il nome, si confessò da un religioso tedesco ago-
stiniano scalzo, persona a lui nota; ed ascoltò una messa nel suo
palazzo, e poi pertossi nella chiesa di essi Agostiniani Scalzi, e quivi
sulla nuda terra (non avendo voluto strato, né cuscino) ascoltò un
altra messa col Passio, con mirahile divozione.
Lunedi poi si portarono a Tivoli ad osservare i famosi avanzi
della Villa Adriana ed altre antichità, di cui tanto si è scritto dagli
eruditi. La sera andò alla ristretta conversazione della Principessa
Altieri e della Duchessa di Poli.
ler mattina, dopo aver visitato S. Giovanni Laterano, la bel-
lissima Cappella Ck>rsìni, e il Conservatorio delle zittelle, dette di
S. Giovanni, dove si trattenne lungo tempo, ricercando tutte lo
particolarità é dell* educazione, e del vitto, e delli lavori, andò a
casa del nostro cav. Batoni, per farsi ritrattare assieme col fratello
in un quadro; e quivi si trattenne per due ore continue, volendo
cosi fare per due o tre giorni, fintantoché ne abbia presa Tidea e
i lineamenti ; siccome non è da dubitar, che gli riuscirà felicemente
e con lode. Questo quadro, rappresentante i due fratelli, che si pren-
dono per mano, vuole che sia compito al suo ritomo da Napoli, per
spedirlo alla augusta sua genitrice.
Del Conclave non ho che significare altro di certo, se non che,
tanto il sig. Cardinale Luynes, quanto il Sig. Ambasciatore di Fran-
cia, hanno istruzioni d'impedire P elezione del Papa, fintantoché non
siano arrivati i sig. Cardinali spagnoli. lersera arrivò il sig. Cardi-
nale di Bernis.
25 marzo 1769. - Giovedì mattina, molto a buon' ora. Sua Mae-
stà Imperiale, dopo essersi andata a confessare nella chiesa di Gesù
Maria degli Agostiniani Scalzi dall'assistente tedesco, portossi a
piedi, con un solo servitore, a prendere la Pasqua nella chiesa di
S. Lorenzo in Lucina, sua parrocchia, confuso tra il popolo; e sic-
come pure fu conosciuto, e chi amministrava il sagramento dell'Euca-
ristia volle incominciare dall'Imperatore, cosi questi ricusò afiatto
questa distinzione, accennando, che seguitasse l'ordine consueto.
E LA SOPPRESSIONE DE' GESUITI 301
Dopo un quarto d'ora che genuflesso sulla nuda terra fu stato in
quella chiesa, portossi, sempre a piedi, alla chiesa del Collegio Ger-
manico, detto l'Apollinare, dove in coretto assistè alle funzioni di
quel giorno. Nel dopo pranzo portossi in Ara Cooli agli uffizi divini,
stando nel coro Ira gli altri frati; e di li passo a visitare il mo-
nastero di Tor di Specchi, trattenendosi lungo tempo fra quelle
dame religiose. È incredibile la diligenza con cui esamina i piani
di tutte le pie istituzioni di questa città. Fu al maggior segno con-
tento di visitare il grande Ospedale di S. Spirito, dove non lasciò
cosa, che non volesse vedere, e giunse fino a toccare il polso ad
un grave ammalato, e ricercò dal medico Vinciguerra alcune regole
in scritto per la cura degli infermi, volendone introdurre l'uso negli
Ospedali di Vienna. Non ha poi cessato di lodare sopra ogni altra
l'istituzione fatta da Innocenzo della Casa di S. Michele a Eipa
Grande, e fu cosa curiosa, ch'essendo stata veduta Sua Maestà Im-
periale dai barcaroli di quei legni che erano approdati in quella
parte, non poterono contenersi da fare improvvisamente molte sca-
riche, il che fece spargere la falsa voce per tutta la città dell'ele-
zione. Di essa poco o nulla si ragiona, e, per quanto si sa, il partito
migliore in que' comizi si dichiara sempre per l'Em.™^' sig. Cardi-
nale Stoppani. Qualunque però sia per essere, infinite traversie se
gli preparano da ogni parte.
Da Napoli ò uscito un dispaccio, che annulla le regole della
Cancelleria in Sede vacante, e dopo l'elezione del Papa si ordina
che le altre regole di Cancelleria che possano farsi, debbono sog-
gettarsi all'esame del Consiglio di S. Chiara, prima di essere pub-
blicate. Altro dispaccio è pure uscito da quella Corte, che restringe,
e quasi riduce a nulla, la giurisdizione ordinaria de' Vescovi. Da
Venezia si è risaputo qualche discorso, anzi qualche proposizione e
disputa in quel Senato, che minaccia le suddette regole della Can-
celleria.
Molti corrieri sono venuti da Napoli nella scorsa settimana a
Sua Maestà Imperiale, ed uno si assicura aver portato che il Conte
di Kaunitz, Ambasciatore di Vienna a quella Corte, abbia accettato
l'Ambasceria straordinaria di Sua Maestà Imperiale al Conclave.
Il sig. Cardinale di Bernis oggi o domani entrerà nel Conclave,
dove si aspetta ancora il sig. Cardinale Molino, già partito da Fer-
rara, il quale occultamente per Porta Angelica faravvi il suo in-
gresso.
Preparandosi magnifiche e bellissime feste di ballo da darsi a
questi Sovrani, è uscito un ordine del giorno dal Sagro Collegio ai
prelati tutti, che si astengano da intervenirvi, o siano di maschere.
302 IL CONCLAVE DI PAPA GANGANELU
come sarà quella di Venezia, o no. Sua Altezza Beale il Gran Duca,
dopo il suo ritomo da Tivoli, ha guardato sempre la casa, perchè
incomodata da un principio di dolor di gola, il quale è poi svanito,
senza che neppure sia stata di hisogno alcuna emissione di sangue.
Egli si astiene di girare coli' augusto fratello, perchè di comples-
sione assai più delicata, là dove Sua Maestà Imperiale è infaticabile
nel portarsi da per tutto e tutto studiosamente osservare.
Colle lettere di Milano si è risaputo, che PEm."^^ sig. Cardinale
Pozzobonelli (1) era partito da Milano il 17 del corrente, e il giorno
seguente ritornò, sorpreso da qualche incomodo di salute.
29 marzo 1169. - Molte e magnifiche sono state le dimostrazioni
e le finezze, che negli scorsi giorni festivi di Pasqua hanno ricevuto
dalla nobiltà romana i due grandi ospiti di questa città.
Domenica sera fu illuminata di fiaccole la cupola di S. Pietro,
osservata con maraviglia dai due Sovrani nella gran piazza di quella
basilica.
La stessa sera fu loro data in casa Bracciano una famosa festa
di ballo, la quale è stata universalmente applaudita e lodata, non
solo per il finissimo gusto, di cui era vestita la gran sala del festino,
ma anche per il sontuoso perpetuo rinfresco, e per la copiosa illu-
minazione di quel non piccolo palazzo.
Lunedi, dopo pranzo, poi, dopo una bellissima corsa di cavalli,
che videro sopra una ringhiera a posta fatta, e con treno imperiale
riccamente adornato, nel palazzo del Principe Buspoli, ebbero simil-
mente la sera in casa Corsini un solenne festino ed una splendidis-
sima cena; alla quale cena, sebbene si misero a tavola, contuttociò
nulla gustarono. La detta festa riuscì oltremodo brillante e piena
di allegria; la quale allegria molto più si accrebbe, perchè alle ore
sette in circa, nel tempo opportuno che si banchettava, la sig. Prin-
cipessa Corsini diede alla luce un secondo principino: il che risa-
putosi da quella nobile commitiva, proruppe in copiosissimi evviva.
La girandola poi, ch'era destinata in questo stesso giorno, è stata
trasportata a questa sera, per le continue piogge, che non permisero
di accenderla.
Ieri poi si fece la seconda corsa di cavalli, che videro ad una
loggia del palazzo Panfìli; e la sera si portarono alla bellissima
villa Albani, fuori di Porta Salara, per godere similmente un nobi-
lissimo festino.
(1) Giuseppe Pozzobonelli di Milano, nato il 1636, morto il 1788.
E LA SOPPRESSIONE DE* GESUITI 303
Onesta sera, oltre la suddetta girandola, goderanno altra festa
di ballo nel magnifico e vasto palazzo del sig. Ambasciatore di Ve-
nezia; la quale, perchè fatta con le maschere, riuscirà forse nuova
e gradita.
Tanto il sig. Ambasciatore di Francia, quanto molti altri Prin-
cipi e Signori oltramontani, che intervennero alle suddette feste,
hanno ingenuamente confessato, che altrove non si vedono pari alle
medesime. Al che contribuisce l'ampiezza de* palazzi, della quale si
è maravigliato l'istesso Imperatore.
In questi stessi giorni non ha tralasciato Sua Maestà Imperiale
alcun atto di pietà, perchè lunedi mattina portossi nella basilica di
S. Pietro e assistette ai divini uffizi e alla predica, sedendo nell'ul-
timo stallo dei canonici; e questo istesso atto di religione usò
ne' giorni antecedenti nelle basiliche tanto di S. Giovanni, che di
S. Maria Maggiore.
Nello stesso lunedi fu condotto da Monsig. Marcolini ad una
finestra, donde si può parlare ni Cardinali chiusi in Conclave, e fece
chiamare il sig. Cardinale Sersale e i sigg. Cardinali Alessandro
Albani, Serbelloni, Bernis e Borromei (1), e ragionò molto con loro ;
e al primo disse : io vado a Napoli, dove porterò la nuova, che vo-
stra Eminenza non toma più; augurandoli cosi il pontificato. È
fuor di dubbio, che, tanto Sua Maestà Imperiale, quanto l'Arciduca
fratello, quando entrarono in Conclave profusero con essi il titolo
di Eminenza, che ricusano dare nelle lettere; volendo serbare un
perfetto incognito. Quindi l'Imperatore non ha voluto il reliquiario
preparatoli, né alcun altro regalo pubblico, o privato, che sia di
qualche prezzo.
Dopo la festa del sig. Ambasciatore di Venezia parte per Na-
poli sollecitamente, e dicesi, che va ad alloggiare in casa del Conte
Kaunitz, suo Ministro, e vi si tratterrà soli cinque giorni.
1 aprile 1169, - Dopo il divisato festino che diede il sig. Am-
basciatore di Venezia, dove si trattenne fino alle oro sei, Sua Mae-
stà Imperiale, col fratello, giovedì, alle ore 14, parti per Napoli :
volendo la sera essere in Terracina e il di seguente portarsi a Ca-
serta. Benché ancora in Napoli voglia essere affatto sconosciuto,
con tutto ciò di là si scrive, che gli si preparano due gran feste
nel Teatro ed un foco artificiale.
Ma qui in Homa il celebre foco artificiale, detto la girandola,
(1) Vitaliano Borromeo di Milano, nato il 1?20 e morto il 1796.
304 IL CONOLAVB DI PAPA GANOANELLI
che doveva incendiarsi mercoledì sera, fu impedito dalla dirotta
continua pioggia di quel giorno.
Il sig. Ambasciatore di Francia dette giovedì mattina un gran-
dioso pranzo a Saa Altezza Beale il Gran Duca, avendo invitato
tutti i Principi, che avevano date feste ne' passati giorni.
Fra tutti i Collegi, che ha l'Imperatore visitati, ha approvato
di molto e lodato il Collegio di Propaganda ; fece venire innanzi a
se tutti que' giovani, che vi si educano, di diverse nazioni, e volle
che ciascheduno favellasse ne' differenti linguaggi; e questa disse
essere un'opera degna della città, che è capo della nostra religione.
Ieri entrò in Conclave l'Em."^ sig. Cardinale Conti, e presto
pure dicesi, che voglia entrare l'Em.™° sig. Cavalchini, non ostante
che ne venga dissuaso dal medico.
Benché poi incerte siano le notizie del Conclave, contuttociò si
pretende da alcuni che il partito favorevole all'esaltazione del pon-
tiiicato del Cardinale Stoppani sia venuto meno per una risposta
del Cardinale di Luynes, donde si argomentava che il soggetto non
fosse grato alla Francia, e potesse anche avere l'esclusiva, parendo
che non si voglia Papa alcuno di que' Cardinali che formano la Con-
gregazione onde usci il famoso Breve contro l'Infante di Parma; e,
al contrario, si asserisce che molti suffragi de'sigg. Cardinali sono
imiti per l'elezione del Cardinale Ganganelli (1).
(1) Il cav. de la Houze, primo segretario dell'ambasciata di Francia a
Boma, poco prima che morisse papa Bezzonico fece del Ganganelli il se-
guente ritratto : « Si direbbe che questo frate francescano, il quale è per-
« venuto al cardinalato per la sua destrezza, cammini sulle tracce di
« Sisto V. Non si conosce la sua inclinazione né per la Francia, né per le
« altre nazioni. Egli si trova sempre dalla parte che crede vantaggiosa
« alle sue vedute, ben presto zelante e ben presto antizelante, secondo il
« vento che s])ira: egli non dice mai quello che pensa. Il suo grande stu-
« dio è di piacere a tutto il mondo, e di far vedere eh' egli é del partito
« di colui che gli parla. Non osa opporsi ai desiderii de' sovrani : teme
« le corti e le maneggia. Il Papa ha per lui molta stima, ed ottiene ciò
« che vuole per mille segrete manovre. Ma siccome esso si è molto im-
« mischiato negli affari, i suoi intrighi hanno diminuito il suo credito
« nel S. Collegio, il quale, nel primo Conclave, raffrenerà probabilmente
« la sua ambizione, per quanto nascosta essa sia sotto la cocolla ». Il Gan-
ganelli dal 15 febbraio al 20 aprile negli scrutini ebbe costantemente due
voti e raramente tre; il 27 aprile n'ottenne cinque; poi sempre quattro
dal 28 del mese stesso all' 8 maggio. Il 9 soltanto tre, quattro il 10, cinque
l'il, sei il 12, cinque il 13, dieci dal 14 al 17, e diciannove il 18. H giorno
dopo restò eletto con voti unanimi.
B LA SOPPRBSSIONE DB' GESUITI 805
L'abbate Grazioi, che ba £eitto da antiquario a Sua Maestà Im-
periale e al fratello, ba ricevuto in dono una bellissima scatola
d'oro, con entro cento ungarl, e l'esibizione di un canonicato di
S. Lorenzo in Firenze.
Il sig. Barone di Saint Odili ha mandato ducento zecchini a
ciascheduna sala di que' Principi che hanno dato feste di ballo; e
alle sale di que'Signori, che semplicemente feste di conversazione,
cento zeccbini.
Molte e altre generose mancie sono state distribuite ai luoghi
che i due Sovrani hanno visitati; e alli poveri 600 zecchini
Benché le suddette generosità passino a nome di Sua Altezza
Beale, con tutto ciò si sa che partono dalla munificenza di Sua
Maestà l'Imperatore.
6 Aprile 1769, - Sabato sera finalmente, essendo il tempo favo-
revole, s'incendiò la girandola in Castel S. Angelo; il qual fuoco
artificiale riusci bello e copioso oltre l'usato. Sua Altezza Beale lo
vide dal palazzo Salviati, dove fu invito di tutta la nobiltà. Di là
passò alla ristretta conversazione di casa Altieri e di casa Bracciano,
e in questa vi si trattenne per fino alle ore sei e mezzo della notte ;
e vi si portò ancora la sera antecedente alla sua partenza, dichia-
randosi che se non fosse stata la necessità di trovarsi al parto della
Gran Duchessa, sarebbcsi trattenuto ancora un altro mese.
Domenica sera vi fu festa di ballo in casa del Principe Doria,
il quale, di un ampio cortile, in pochi giorni, e con infinita spesa,
formò una sala da ballo, inalzata al pari della galleria, che magni-
ficamente addobbata e copiosamente illuminata, fu un spettacolo ve-
ramente maraviglioso.
Il lunedi seguent.e pertossi Sua Altezza Beale ad un pranzo ri-
stretto, che gli diede il sig. Ambasciatore di Venezia, e alle sette
ore della notte parti per Firenze.
La mattina antecedente mandò il sig. Conte di Eosemberg al
Sagro Collegio per ringraziarlo delle finezze usate alla sua persona.
Ha ricevuto i regali del medesimo Sagro Collegio, consistente
in superbi mosaici, e nel ricchissimo reliquario d' oro, che fu ricu-
sato dall'Imperatore; ed oltre a ciò, ha ricevuto magnificili regali
di stampe di libri, e di un famoso quadro del Tiziano, fatti dai sigg.
Cardinali Corsini.
Per corriere straordinario Sua Altezza Beale ebbe avviso del
felice arrivo a Napoli di Sua Maestà Imperiale, che smontò in casa
del suo Ministro Conte di Kaunitz, ricusando l'alloggio nel Palazzo
Beale, e protestandosi, che l'Imperatore stava a Vienna, e voleva
serbare un perfetto incognito.
Akch. Stor. It., 5.» Serie. — XX. 20
Non può negarsi che l'arrivo <ii questi reali personaggi e dei
Bigg- Cardinali forestieri non abbia portato ia Homa molto denaro,
che si è Bparso utilmente tra gli artefici e manifattori ; e si è osser-
Yato che nel passato mese si erano dal Monte della Pietà estratti
piccoli pegni, vale a dire ili gente bassa,
Dopo la partenza di questi Principi cominciarono di bel nuovo
i discorsi del Conclave. Si dice esservi state controversie tra diversi
Cardinali; ma più, (avendo potuto parlare con un coDclavista mio
amico) lui accertato che finora vi era una grande inazione, volendesi
aspettare i Cardinali Spagnoli.
Ieri qua giunse il sig. Cardinale Branciforte; ed oggi è entrato
il sig. Cardinale Cavalchìnì in Conclave; donde dicesi, che doveva
sortire il sig. Cardinale Conti, perchè troppo debole di testa, e In-
capace di dare il suo sufliagio.
api^e 1760. - Ieri entrò in Conclave l'Em.""' sig. Cardinole
Branciforte, che tre giorni innanzi era venuto in Roma ed nvern
ricevuto le visite di tutta la prelatura e nobiltà romana. Ma il sig.
Cardinale Molino arrivato alle porte di Bomn, fino mercoledì pas-
sato, pranzò in una villa del Marchese Leva; e per la Porta An-
gelica, in una carrozza di fiuggia, pertossi a S. Pietro, e quindi
passò in Conclave, dove, dicesi, che non ubbia ricevuto le aolito vi-
site nella cella dai sigg. Cardinali veneziani.
Del viaggio de' Sovrani austriaci, da Napoli s'è saputo che Bus
Maestà Imperiale pranzò la prima mattina col Re e la Regina, ma
servito dalle cameriste, non avendo voluto intorno alla mensa alinin
gentiluomo di Camera, né altro ufficiale; che soggiorna presso il
suo Ambasciatore Conte di Kaunitz; che dai portici, in una carrozza
del Ministro d'Inghilterra, solita a servire i milord! inglesi, portossi
a girare tutta Napoli, passando per signore inglese ; che le feste date
dalla Corte, nell'invito fatto olla nobiltà, si diceva essere per mero
divertimento del Re ; e in fine s' e saputo che, con molta diligenta
e curiosità, aveva vedute le celebri antichità di Pezzuole e Ercolano.
Quanto poi a Sua Altezza 11. ai è saputo, die a Bolsena si rup-
pero tutte due le stanghe della sua carrozza, e da una signora di
quel paese gli tu offerta un' altra carrozza ed un biroccio, che Sua
Altezza Reale accettò a preferenza del primo legno, non ostante,
che gli fosse detto, che in questo correva rischio di bagnarsi per
la pioggia, che si vedeva imminente, come infatti segui. In corri-
spondenza dì quest' attenzione Sua Altezza Reale mandò in regalo
alla suddetta signora una bellissima .scatola d' oro, come pure re-
galò cento zecchini al corriere, che da questo sig. Marchese Massimi,
Generale delle Posto, li fii dato per iscortarlo nel ?!uo viaggio.
K lA a uppiiai siQKE nc'astEzn H^T
la risposta dì Sua Mmessà JaoubsiiDfc X I-* e. JoimaeikliL. su ciL
fu ooiìS^;iiata dal eanniL A'tinana tàtt bdì^ & •nrrrwnf. La jszaetfc
del Re è ripàena di espreoBum: c^bbouhi» « 9orss& =l TnM i iw m
che ha oonsolato lullI cusdc T.tt. ^ Par^. i Luaì: inrK hol
devano un tale iiftiàc' da cmfil JsanaasnL. Hm & zi: sk irit issian stssl
i segni non eqizÌTOcL à per It sdìzs- Gzmnairajsazi: Ei jcrse arcmas»
dal Be in Lisbona yei ja 3nnr» Q£l ss»- àfiulft. 'ITr-KaL : * ti»:css- tci:
ancora, perchè £1 l£iniB£n> e: PcraaJix- a J'h^ic- a^^'r^
Monsig. Nunzio, dal c^ leaK i»c -rr^tnrrr t,s:^sEc:£^ Ajrra
sima lettera ha pere rioprcic £ S. CdLttCi^ òa Sma ICaesEsk A^afso^
lica l' Imperanioe Ecesta. per cnfùif: jir-nit esLiiiEkcd ec eden»
d'alloggio nel Vaticasa òtt iazit kZT Zzz^ztThsce*, szJitztD c^ zp^
pervenne, e dèlie gnarcie. liezi'ixi^ uva. inssmn ac--»inai&.
Dopo il passaggi:) d4C!'l3LjiEnbSCT>
questa notte, si aeppra frfc g^^^ru, il
tore in XapoH di SfOh MA^sih l2Lj«r
Conte Maresootti di Bcùogua yt: vj^k
veramente migniftei dell' Att. tjaac
ratore. Questi j^reparatàri fuxziOK zrfal palazzo z^l'YzzJ^ Bc-rrc^skei.
che glielo ha ^T%iMbMsit*iZiVt oSeru*. E s^nr^z:^ pr:: h^-xa^àere che sìa
eletto il Sommo Fonytiii^ i;izLa cà« f=da^ la siessa AictJLseerìa.
Sua Maestà Imperiale: La oriinaiio ai Baroze ii Saiiii Olili, ole dia
alloggio a Sua Fmiiìenra cua&do soniri dal Coij clave, nel palazzo,
o sia villa, Medici alla Trinità de' Monti.
12 Aprile 1769. - Domenica maTtiiia ritornò il corriere Usleoghi
da Lisbona, e portò a S. Collegio 2a leiiera del Caniinale Sàldanha.
con la quale si scasava di n<xì potere venire al Conclave per inco>
modo di salute. Xarrò essere vero, che egli m trattenuto nel pa>
lazzo del Ministro, per due giorni, con proibizione di parlare ad
alcuno, ma con ottimo trattamento : e ci'> perchè si volle, che il Re,
il quale si trovaTa alla campagna, ritornando pubblicasse il primo
la nuova della morte del Papa, e ordinasse le solite dimostrazioni
di lutto, che in quel regno sono maggiori che altrove.
Lunedi mattina Sua Maestà Imperiale alle 10 ore giunse a Ma-
rino, dove rìtrovavasi Monsig. Marcolini, il quale l'accompagnò a
Frascati a vedere la villa Medici, e volendo pure ritornare a vedere
la basilica di S. Pietro, se ne astenne, annoiato dalla moltitudine
infinita del popolo, che era concorso, tanto alla villa, quanto a
S. Pietro, per vederlo. Onde tutto il giorno riposossi, e ierniattina
alle ore otto parti per Viterbo, per abboccarsi col sìg. Cardinale
Pozzobonelli, Arcivescovo di Milano, cui è stato dato il segreto delK^
n. OONCLATE DI PAPA OANOANBLU
Corte di Vieona per l' elesione del Papa ; e ìaoltre è certo, che 4
leva ioformarsi da Ini personalmente di alcune cose appartflDentl fl
governo di MUano.
Al cav. Baioni il quale nel dopo pranzo del detto lunedi por-
tossi ad inchinare Sua Maestà Imperlale nella villa (e che solo
fu ammesso, ad esclusione di tutti i Prìncipi e aignorij, dava ta-
miliarmente una scatola d' oro, che aveva su lo scrittoio, ed una
ricca collana d'oro, con la sua medaglia, dicendo che ciò non era
che un piccolo contraeegno de] suo gradimento, sen^a pregiudizio
della ricompensa, che gli aveva destinato, quando fosse ^unto a
Vienna.
Questa sera bì aspetta in Roma l' Em.*"" sig. Cardinale Pozzo-
bonelli.
15 Api-ite 1769. - Mercoledì aera qua giunse l'Era.'™' sìg. Car-
dinale Pozzobonelli, it quale si seppe che, avendo aspettato Sua
Maestà Cesarea nella villa Busci fuori dì Viterbo, la quale appunto
è sulla strada, si abboccò per quasi un'ora con quella, ritirandosi
Boli entro una stanza terrena. Dopo l'arrivo di questo Cardinal*,
che oggi è entrato in Conclave, sono cresciuti i discorsi intorno
all'elezione del Papa, e non è fuori del probabile, che il detto sig.
Cardinale Po/xobouellì possa essere egli il prescelto.
Ma giovedì il giorno si sparse voce che i Cardinali spagnoli,
non potendo soilrire i disastri del viaggio di mare, erano, dopo
qualche giorno del detto viaggio, ritornati in Alicante, donde par-
tirono ai cinque del corrente mese; di modo che non sarebbero qua
giunti il più tosto che alla metà in circa di maggio. Questa voce
Sgomentò i sigg. Cardinali in modo, che non sì sa se vorranno più
differire l' elezione, finché i medesimi qua giungano. S' è però sa-
puto che Sua Maestà Cattolica sì era molto inquietata per questa
dilazione, ed aveva ordinato che subito partissero come volevano,
ma che il vascello col loro equipaggio proseguisse in ogni maniera
il cammino sino a Civitavecchia, dove infatti ieri portosaì il Teso-
riere dì Spagna, per riceverli.
Il sig. Ambasciatore di Venezia ha notìficato a tutti gli Am-
basciatori e Ministri esteri di aver ricevuto ordine dalla sua II*-
pubblica dì non trattare, nò far vìsita al sig. Cardinale Molino, ohe
é caduto in disgrazia della medesima, Per altro il sig. Cardinale
Molino, giunto in Conclave, i: stato visitato da tutti i sigg. Cardi-
dinali, anche oltramontani, E inoltre il S. Collegio ha fatto acrivere
da Monsig. Segretario una lettera assai risentita a Moosìg. Savor-
gnano, Governatore di Loreto, e patrizio veneto, perchè quando passò
il suddetto »ig. Cardinale Molino si allontanò apposi tani<!nt« dalla
£ LA SOPPRESSIONE DE* GESUITI 309
sua residenza, per non usargli quelle dimostrazioni di ossequio, che
sogliono farsi ai Cardinali, quando di là passano. Sarebbesi certsr
mente proceduto alla rimozione del detto prelato, se il menzionato
sig. Cardinale Molino non avesse interceduto e pregato i sigg. Car-
dinali capi d' ordine a non rimettere la cosa alla Congregazione Ge-
nerale dei sigg. Cardinali, che tutti erano fortemente irritati contro
il suddetto Monsig. Savorgnano.
Da un Ministro bene informato ho risaputo che alla notizia del
ritardo dei sigg. Cardinali spagnoli si era formato in Conclave un
partito assai forte di Cardinali che, senza aspettare più oltre Par-
rivo dei medesimi, volevano procedere alla elezione del Papa; e che
si tentava ogni mezzo per ridurre in questo sentimento anche i
Cardinali francesi, ma che questi sempre più persistevano nella de-
terminazione di aspettarli, protestando che le istruzioni del Be
erano di escludere qualunque, fin tanto che giunti fossero i Cardi-
nali spagnoli. Ciò fa credere che al loro arrivo si vorrà per parte
delle Corone qualche capitolazione e patto, e specialmente dell'estin-
zione de' Gesuiti, prima che si elegga il Pontefice; ed ecco formati
due partiti potenti e contrari, che allungheranno il Conclave più di
quello che possa immaginarsi.
19 aprile 1169, - Circa il Conclave non v' è altro da aggiungere,
se non che il S. Collegio mandò da Mons. Azpuru per sapere pre-
cisamente, quando potessero giungere i sigg. Cardinali spagnoli; e
fu risposto che senza disgrazia sarebbono giunti all'uno o due di
maggio, anzi dicesi che poi potessero già essere in Torino.
22 aprile J769, - Giovedì sera il sig. Ambasciatore Kaunitz
ricewe le visite di tutti i Ministri esteri e nobiltà romana, che fu
graziosamente accolta, e con copiosi ed esquisiti rinfreschi trattata.
Non si dubita, che magnifica e dispendiosa sarà quest'ambasciata.
L'Em."^^ Cardinal Laute (1) è stato nel pericolo di uscire dal
Conclave, soffrendo notturne veglie; ma la notte antecedente al
giorno in cui dovevano congregarsi i sigg. Cardinali per accordarli
la licenza, avendo dormito alcime ore, sospese la sua risoluzione.
Ancora il sig. Cardinale Cavalchini in una delle passate notti
soffri qualche termine di febbre ; ma ciò non ostante volle, contro
il consiglio de' medici, portarsi la mattina allo scrutinio; tanto è
in quel rispettabile vecchio di 86 anni il zelo di provvedere la
(1) Federico Marcello dei Duchi Lante Della Bovere, nato a Boma
nel 1096 e morto il 1778.
310 IL CONOLAVB DI PAPA 6AN6ANELLI
Chiesa di un ottimo pastore ; né sarebbe lungi dal vero, che in lui
cader potesse l'elezione, quando di pochi anni minore fosse la sua età !
Del Cionclave non yi hanno alcune notizie, che siano vere, e
quelle che si vendono anche ai Ministri esteri a caro prezzo in alcuni
fogli, s'è poi rinvenuto che s'inventano e si scrivono da persone,
che sono ^ori di Conclave, e che vogliono far guadagno dell'altrui
curiosità. Quello che si è risaputo di certo si è, che sono stati con-
sultati alcuni teologi, se possono farsi patti e giuramenti dai Car-
dinali prima di eleggere il Papa, e che il Cardinale eletto Papa sia
obbligato ad osservarli Dal che si è dedotto, che all'arrivo dei Car-
dinali spagnuoli vorrannosi esigere alcuni patti, e specialmente la
soppressione de' Gesuiti. Ma ciò ricusandosi indubitabilmente dalla
maggior parte dei Cardinali, nascerà una tal divisione, che prolun-
gherà di molto l'elezione del Pontefice. Non pertanto dall'altra parte
i Cardinali, dirò cosi, realisti, per ottenere la suddetta convenzione,
si rivolgeranno al partito di volere un Papa che sia accettissimo
alle Corone ; questo partito, nelle presenti circostanze ragionevolis-
simo, non si rigetterà dai Cardinali romani e zelanti, quando quel-
l'eccezione non si restringa a due, o tre, come pare, che voglia pre-
tendersi dai realisti, ma più largamente si distenda; ed ecco un
nuovo contrasto che non potrà non tirare a lungo i comizi, de' quali
questo è il sistema, che ha maggior fondamento di probabilità.
Alcune lettere di Firenze, e specialmente una a me diretta,
portano che i sigg. Cardinali spagnuoli sieno già d'ora giunti in
Oenova; onde tra giorni dovrebbero essere in Eoma. Ma questo
sig. Agente della Bepubblica di Genova dice di non averne alcun
riscontro.
Eoma è piena più che mai di forestieri inglesi, francesi e italiani,
talché non si trovano più alloggi, né carrozze.
Da alcune lettere di Ancona si é saputo che sia colà giunto il
Principe Saverio di Sassonia e che abbia seco in compagnia una
signora Spinucci, dama di Fermo, assai valente nel canto, della quale
ha stima e protezione particolare il detto Principe. Dicesi che tra
pochi giorni anch'esso verrà in Eoma.
26 aprile 1769, - Ieri sera giunse in Eoma uno degli Em.°** Car-
dinali spagnoli, cioè il sig. Cardinal de Cordova Spinola della Cerda,
Patriarca delle Indie ; il quale andò a smontare nel palazzo di Spa-
gna, presso Monsig. Azpuru, Ministro di S. M. Cattolica presso la
S. Sede. Il sollecito arrivo di questo Cardinale e la speranza che tra
giorni qua pervenga l' altro £m."^^ spagnolo, ha confortato in qualche
maniera e rallegrato tutti i sigg. Cardinali, che, chiusi nel Conclave,
sono annoiati oggimai della lunghezza di quel carcere. Ma dopo
£ LA SOPPRESSIONE DE' GESUITI 311
r arrivo ancora del corriere di Francia si è sparsa voce, non affatto
incerta, che la tela sia già ordita per PEm."*^ sig. Cardinale Stop-
pani, è che a compier l'opera concorrano le Corone, onde agevol-
mente possa tra pochi giorni, entrati i Cardinali spagnoli, seguire
l'elezione; non ostante che alcuni sigg. Cardinali, e specialmente i
concittadini milanesi, (eccetto l' Em."^^ Pozzcbonelli^ che ha istruzione
di unirsi coi Ministri della famiglia Borbone), si adoperino per rom-
pere i fili della suddetta ordita elezione. Non si dubita che il Papa
eletto sopprimerà i Gesuiti, e che a fare questa istanza venga il
conun. Amada, che dopo l'arrivo d'un corriere di Lisbona parti
subito per Boma, e si attende questa medesima sera. Che questa
voce non sia, come ho detto, affatto incerta, me lo fa credere un
certo timore, e quasi disperazione, che leggesi in volto ai BK. PP.
della Società, ed anche un moto che si danno, oltre il solito, per
sostenersi.
Questo sig. Conte Kaunitz, Ambasciatore della Corte di Vienna
al Conclave, ricevette ieri da S. M. Imperiale in dono, mandatoli da
Firenze, col ritratto di quel Sovrano, un diamante, del prezzo (dicono)
di scudi ventimila; e ciò in ricognizione dell'alloggio dato all'Im-
peratore a NapolL
29 aprUe 1769, - Giovedì, nel dopo pranzo, il sig. Cardinale de Cor-
dova Spinola si chiuse in Conclave, aspettato ed accolto da que'sigg.
Cardinali, che anelano la libertà ed una sollecita elezione del Pon-
tefice. E la stessa graziosa accoglienza sarà fatta all' Em."*° sig. Car-
dinale de Sollis, che giunto giovedì sera, domani ancor esso entrerà
nel Conclave.
Adesso si comincerà a parlare davvero di quest'importante af-
fare; e seguita la costante voce, che il maggior partito de' sigg.
Cardinali inclini all'Em."^^ Stoppani, contandosi da quei, che si cre-
dono essere al giorno degli intrighi del Conclave, ben venti voti
sicuri e fermi per lui; e quando ciò sia, si crede agevole impresa
il distaccare dal partito contrario alcuni, ed anco il capo di esso,
cioè il sig. Cardinale Gian Francesco Albani, con la speranza di
farlo Segretario dei Brevi, alla qual carica aspira, invece del Car-
dinale Negroni, che dicesi non far assai buona figura nel Conclave.
Anche la speranza della Dataria solletica l'appetito di alcuni Car-
dinali, giacché l'Em."^^ Cavalchini continua a stare assai male, e
quasi senza speranza di risorgere.
Con tutte queste voci, io non mi diparto punto dal quel sistema
che ebbi l'onore di significare nelle passate lettere, e che ora non
accade ripetere. Solamente dirò, che a chiunque sia per essere Papa
si preparano calici amari e dalla parte di Napoli, e dalla parte di
312 IL CONCLAVE DI PAPA QANGANELLI
Parma, che debbono sgomentare qualunque sarà eletto. Giovedì
mattina questo sig. Conte Kaunitz, Ambasciatore straordinario del-
l'Imperatore, portossi al Conclave alla prima udienza del S. Collegio^
con magnifico treno e seguito.
6 marzo fI96, - Fino sul principio della cadente settimana giunse
in Eoma il sig. comm. Almada, Ministro di Portogallo; ma stette
alcuni giorni incognito e occulto, senza ricever visite alcune; anzi
facendo rispondere, che non era per anche in Eoma, fin tanto che
giunse qui martedì il corriere da Lisbona, che gli recò le lettere
credenziali per il Sagro Collegio, le quali ha fatto presentare per
mezzo deirEm.'^*^ sig. Cardinale Neri Corsini, protettore di quella
Corona. Dopo l'arrivo del suddetto corriere, portossi egli, il giorno
seguente, a far visita al sig. Ambasciatore di Francia, e in segreto
alla signora Principessa Corsini. S'è qui sparsa voce, che possa anche
venire in fretta al Conclave l'Em.™^ Saldanha (1), per accrescere il
numero dei Cardinali addetti alle Corone.
Ma ciò che martedì sera pose come in moto tutta la città, fu
la voce disseminata, che la mattina seguente, giorno dell'Ascensione,
dovesse eleggersi in Papa l' Em."** sig. Cardinale Fantuzzi. Tutte le
nobili conversazioni furono piene di questa nuova, ed io stesso, ve-
dendo la credenza che se le prestava da personaggi savi e rag-
guardevoli, mi portai subito da un Ministro accreditato e ben inteso,
per assicurarmene.
Il medesimo però mi accertò della falsità di questa notizia, la
quale, s' è poi scoperto, essere derivata da un conclavista che si volle
prender piacere di un abate, che in queste circostanze ha forse la
vanità d'essere meglio notiziato d'ogni altro. Ma comunque si fosse,
fu egli creduto dal Conte Marescotti, Conservatore del Popolo Ro-
mano, che guarda una rota del Conclave, il quale ne avvisò Monsig.
Maggiordomo ed il Foriere Patrizi, perchè dessero le disposizioni
necessarie alla solenne pubblicazione dal Papa; e ciò che merita
maggior compassione si è che i familiari dello stesso Cardinale, gio-
vedì mattina, videro svanite e deluse le speranze di quella fortuna,
che la sera antecedente si lusingarono aver sicura nelle manL La
stessa mattina dell'Ascensione si videro le chiese e la piazza di
S. Pietro ripiene d' immenso popolo, che aspettava la suddetta pub-
blicazione.
(1) Francesco Saldanha da Gama, nato a Madrid il 20 maggio 1713,
creato cardinale il 5 aprile 1756, morto il 1.° novembre 1776.
E LA SOPPRESSIONE DE' GESUITI 313
Ma in verità, per certe notizie da me diligentemente investigate,
il Conclave non è cominciato che V altro ieri. Fino allora, per una
Qerta gara di delicatezza tra il Collegio vecchio e nuovo, volevasi
che il sig. Cardinale Cavalchini, come capo delle creature Benedet-
tine, proponesse egli il primo alcun soggetto per farne esperimento ;
ed esso che finora era stato a ciò resistente, per non far torto ad
alcuno, dicesi che abbia proposto il sig. Cardinale Lante Sotto De-
cano. Dal che si deduce, che né Stoppani, né Fantuzzi (che forse
saranno anche essi proposti ; il primo dal sig. Cardinale Cavalchini ;
ed il secondo dal sig. Cardinale Eezzonico Capo del nuovo Collegio)
non sono stati finora sul tappeto. Quello però eh' è più da osservarsi
ò la riserva ed il silenzio de' Cardinali Ministri, ed esteri, che non
hanno sin <^ui spiegate le loro vere istruzioni. Quindi non saprei
pronosticare, se non lunghezza e discordie nello stesso Conclave,
come ho sempre antecedentemente significato.
Questa mattina è uscito di Conclave l'Em.°^^ Cardinale Lante,
per incomodo di salute, cagionatoli dalle continue sofferte vigilie;
altro argomento che l'elezione del Papa non sia cosi vicina, come
alcuni pur si lusingano.
IO maggio f769, - Sul fine dell'antecedente settimana giunse
in Boma il sig. Conte di Choiseul, Ambasciatore di S. M. Cristianis-
sima al Ee delle Due Sicilie; e dicesi che sia per trattenersi un
mese. Egli è alloggiato e trattato da S. £. il sig. Ambasciatore di
Francia.
Domenica scorsa S. E. il sig. Conte Kaunitz diede un magnifico
e lauto pranzo di ben 50 coperti a tutti i Ministri esteri e Principi
e Principesse che hanno qualche relazione e dipendenza dalla Corte
di Vienna, ed a cui ebbi io pure l'onore di essere invitato.
S. A. R. il Granduca ha mandato in dono due scatole d'oro e
due anelli di diamante, la prima a Monsig. Maggiordomo, ed è co-
perta di diamante, e l'altra al Marchese Massimi, e i diamanti ai
sigg. Principi Albani e Corsini, che dal S. Collegio furono destinati
a servire S. A. E. nel soggiorno che fece in Eoma.
Benché poi la calma del Conclave cominci, dirò cosi, ad incre-
sparsi e aver qualche moto; con tutto ciò, fin ora, non si fa viag-
gio, non si fidando i partiti di proporre alcuno ; e tutte le notizie
che si spargono sono, o incerte, o equivoche, o falsamente inventate.
13 maggio 1169, - Altro grandioso convito diede il sig. Amba-
sciatore Kaunitz giovedì alla principale prelatura e nobiltà romana;
e ogni martedì della settimana vi é in sua casa una conversazione
di canto e gioco, e sul fine, di ballo, con molto concorso di nobiltà,
trattata di copiosi e squisiti rinfreschi.
Circa il Conclave non si lia notizia alcuna che sia certa; se Don
che fra i aigg. Cardinali si 9ente un maggior moto, e che poco si
dorme per le brighe e congressi notturni. Si parla molto di due fo<
gli presentati dai Cardinuli spagnoli e francesi, che contengono patti
che ai vorrebbero esigere da chiunque sani eletto Pontefice, perche-
tendenti al maggior bene e tranquillità della Chie^. E questo di-
cesi essere ì' ostacolo maggiore di qualunque eledone. Intanto quegli
Eni.™' Padri hanno fatto un triduo nel Conclave medesimo, per im-
plorare dal S. Spirito lume ed assistenza particolare par un'opera dì
tanta importanua.
Mercoldl mattina, essendosi portati i Cardinali nella cella del-
l' Em.'"" Conti, a prendere ìa achedola per lo scrutinio, trovarono il
medesimo Cardinale fuori di Sè, né in stato di poter dare ii suo suf-
fragio ; onde furono obbligati di chiamare monsig. Luna, primo Mae-
stro delle Cerimonie, perchè si rogasse della legìttima mancanz.a di
quel BufTragio, quando nel prossimo scrutinio iosse mai seguita l'ele-
zione. Dopo un opportuno salasso, il detto sig. Cardinale è ritornato
capace di concorrere col suo voto all' e!e;tione validamente.
Per altro, se deesi prestar fede ad nna voce che si è sparsa in
questi giorni da persone autorevoli, dicesi che in breve si farà granile
sperimento sulla persona dell' Em.""* Caracciolo, il quale, o sia pftr
timore di ciò che maneggiasi per lui, o per naturale indisposizione,
da due giorni in qua h caduta ammalato ; e per quanto si è rilevato
dai suoi familiari, è nella ferma risoluzione di non voler essere, non
che eletto, neppur proposto.
Questa mattina S. E. il sig. Ambasciatore Kaunitz ba ricevuto
da tutti i prelati e Principi sudditi e dipendenti della casa d* Au-
stria L complimenti di felicitazione per il compleanno di S. M, l'Impe-
ratrice Regina.
20 maggio 17li9. - Quando si credeva lontana più che mal l'ele-
zione del Sommo Pontefice, mercoledì sera si ebbe notìzia che si
maneggiava strettamente dai Cardinali Ministri, e specialmente dal
sig. Cardinale Bernis, la promozione del sig. Cardinale fr. Lorenzo
Gonganellì; e che se fessevi con alcune sue creature acceduto il
sig. Cardinale Rezzonico, sarebbe stato certamente eletto, Non ostante
che da alcuni aigg- Cardinali fosse latto ogni sforzo perchè non con-
senlissevi, con tutto ciò sul timore che fosse fatto un Papa non crea-
tura del suo zio, e ad onta di lui medesimo, il giovedì sera si di-
chiarò di accedere all'elezione, e pertossi alla cella del P. Cardinal
Gangaoelli a hncinrii la mano, e in seguito tutti gli altri Cardinali.
Ieri dunque fu eletto, a pieni voti nello scrutinio; fu pubblicato col
nome di Clenionte XIV ; e alle ore '^3 discese nella basilic* i
E LA SOPPRESSIONE PE' GESUITI 315
S. Pietro, dove, posto a sedere sali' aitar maggiore, ricevette la so-
lita adorazione di tutti i Cardinali.
È fuori di dubbio che questa elezione si è voluta con ogni
sforzo dai Principi, e specialmente da S. M. Cattolica. Ad istanza
delle Corone è stato fatto Segretario di Stato l'Em.'^^^ sig. Cardinal
Pallavicini; Datario è stato confermato l'Em."^ Cavalcbini, con la
sopravvivenza del sig. Cardinal Fantuzzi; Segretario de' Brevi è
stato confermato il Cardinal Negroni; e cosi Auditore Monsig. Si-
moni, e Maestro di Camera Monsig. Borghese. La Segreteria de' Me-
moriali pende tra Monsig. Conti e Monsig. Macedoni; e tutto si fa
a seconda delle premure, o di Francia, o di Spagna.
Tutta Boma è in trionfo, augurando dal gradimento de' Principi
verso questo degnissimo soggetto, un pontificato felice, e che ritorni
la tranquillità e la pace tra il Sacerdozio e l'Imperio. Vi è ancora
chi, dalla somiglianza del paese dove egli è nato, e della Eeligione
ond'è uscito, crede possa in questo Pontefice risorgere un altro
Sisto V.
Non essendo Vescovo, dovrà precedere alla coronazione l'ordi-
nazione, che dee farsi dal Vescovo d'Ostia, cioè dal sig. Cardinale
Cavalchinì, ed in suo luogo dal Sotto-Decano, il sig. Cardinal Lante;
né si sa quando sia per farsi
(da continuare).
►B3^
Archivi, Biblioteche, Musei
■H<-
Notlzle storiche Intorno al documenti
ed agli archivi più antichi della Repubblica Fiorentina
(Sec. XII-XIV) (•).
Sommàrio. — I. Cenno intorno alle vicende delle istituzioni archivìstiche
durante i primi secoli del medioevo. - II. Varie specie di documenti
della Bepubblica; i Capitoli. - III. Begistri giudiziari. Registri per
le entrate e per le uscite. - IV. Begistri in materia legÌBlativa e po-
litica. - V. Begistri della Cancelleria. - VI. Begistri militari; do-
cumenti diversi. - VII. Ordinamento delle amministrasioni pubbliche
nel secolo decimoterzo. NecessitÀ d^un regolare servizio archivistico. -
VIII. L'archivio della Camera. - IX. L'archivio del Palazzo della Si-
gnoria. - X. Conclusione.
VII.
Secondo Paolino Pieri, Firenze, fino al 1195, si resse a modo
di villa ; poi cominciò ad avere un' amministrazione più regolare,
con leggi e statuti, s' intende, uffici e magistrature assai ben
ordinate (1). La notizia ha tutte le apparenze di verità, giacché,
intorno ai primi del sec. XIII, si trovano ricordati, come abbiamo
veduto, per i diversi documenti del Comune, regolari registri, che,
se anche prima potevano esistere, non erano certo conservati oon la
stessa cura ; il che ci sembra buon indizio di una cresciuta rego-
larità nelP amministrazione.
Del resto, è naturale che a tanto, prima o poi, si dovesse
venire. Cresciuta la prosperità dei Fiorentini, gli aEfari si compli-
cano, si allargano, si moltiplicano ; il popolo sente vivo il d^de-
rio che la cosa pubblica, alla quale si collegano tanti suoi affiu:ì,
(*) Continuazione e fine: ved. il fase, preced., pp. 74-95.
(1) Ved. Cronica^ nel to. II (Supplemento) dei Bemm ItaUcarum, p. 9.
sia bene amministrata, che gli sia resa sapientemente giustizia,
che dano equamente ripartiti i tributi, che, ad impedire le pre-
potenze e gli arbitri, di tatto ai tenga memoria in ben ordinati
volumi. Questi, in breve, divengono, assai numeroai; sì accumu-
lano negli uffici, li ingombrano; rendono, quindi, molto difficili le ■
ricerche in essi, le quali pur divengono sempre più necessarie,
urgenti (I). Sorge, quindi, il bisogno d'un vero e disciplinato
servizio archivistico, di ordini intesi a provvedere che i documenti
non siano, da clii v' abbia interesse, per favore od incuria di troppo
cotnpiacenti ufficiali, smarriti, falsificati, trafugati, distrutti (2).
Tale bisogno si manifesta non solo in Firenze, ma in Toscana,
in Italia, anzi in tutta Europa (3), Nel sec. SII è già stabilita
(1) Pino nei piccoli comuni queste ricerche doverono e
Msers incomode. Si ha, infatti, dal Libro degli tlaiaiamatli del Cornane
di S. Oemignano {r. Archivio di S'alo Fìorenlino cil., Carlt di S. Oemi-
guMo, e. 2G) ohe il 29 di maggio 1301 furono assegnati due soldi per
ciaecmio ad Inghirarao dì Corso e Giovanni di Filippo, • ...prò eorum
« salario j diei, quo steteruut tuì domum sei' Delli, et j diei, quo atete-
■ runt in Camera dicti Comunis, ad scruptaudum Inter cartas dicti aer
• Delli et etiam dicti Comunis, prò instrumento, quod dìi^^batur esse
■ Inter Comune saDoti Geminiani et Comune Senarum de repitsaleia non
• concedendiB >.
(2) É noto come più volte, anche nel Palaczo dei Priori, awenissaro
andoui e trafagamenti di libri e quaderni ; come il 19 d'ottobre 1999 si
IiroTTpdesse alla punizione d' un' intera Siguoria colpevole d' aver fotto
sparire i documenti, che provavano le colpe de! podestà Mou&orlto. A
questo allude l'Alighieri nei suoi vcrai:
Per le scalèe che si fero ad etade,
Ch' era sicuro il quaderno e la doga.
Ved. .IroAipib oit., Provvàioni. reg. 10, co. 113, 208; l'iii-gatorio. XU, IW;
Dat. LoBoo, Dino Compagni e la tua Cronka cil., 1, 708, 709, 842, HIM-9Ù;
pEKHBNt, Hittoirt d» Flortnet cit., II, 4S4 e aegg.
(8) UiBY A-, Hilloire de la Diplo-natiqtit in Seva» Jiitlarique, to. •(
p. aSD, (Parigi, 18!>2). Cfr, in Bvllettitm tenne di eloria palria. (fase. I, gg,
p segg-. 1896) intoriia al r, Archivio di Stato seuese, mi articolo di A. Il
dal quale il vede come a Siena, fin dai primi del secolo XIII, ai custod
i documenti con la massima cura, in speciali ntoiiEe, che aviranoai
finestre serrate a chiave. Nel 13it7 ai spesero 5 soldi e
ff«l/o mi-rio.
318 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
¥
una tarififa per la compilazione e copia degli istrumenti negli uffici
pubblici (1) ; nel XIII s* allarga sempre più la cultura giuridica,
che dovrà grandemente favorire lo stabilimento dell'ordine e della
regolarità nelle amministrazioni ; divengono d' oso comune le sum-
* mae artis notariae e le summae dictaminis / si compilano speciali
trattati intorno al modo di governare i popoli (2). Sorge fino
un'istituzione religiosa, l'Ordine dei Frati Godenti, che, sebbene,
presto degenerata, cadesse nel ridicolo, ebbe, dapprima, uno scopo
veramente civile, quello di toglier le liti fra cittadini privati, le
ire, gli odi fra i diversi partiti politici. E noto, infatti, che, appunto
come pacificatori, due d'essi furono chiamati nel 1266 a Firenze,
ove però fecero si mala prova, che, costretti a fuggire, furono
più tardi segno agli strali del Divino Poeta (3). Animati da tale
intendimento, si comprende eh' essi fossero diligenti ricercatori di
documenti, ordinatori e conservatori d' archivi, per mezzo dei quali
solo sarebbe stato possibile far valere i diritti di tutti, impedirò
il trionfo delle male arti e della forza brutale. E fecero veramente,
in principio, qualcosa d' utile per il pubblico ; ordinarono, per es.,
a Bologna, 1' archivio cittadino dei Commemoriali (4).
Se tutto n'induce a supporre che, fin dal sec. XII, l'ammini-
strazione fiorentina si venisse sempre più ordinando, ragioni anche
più fondate abbiamo di credere che nella seconda metà del XIII,
essa prendesse quasi definitivamente un assetto, che, poi, con leg-
geri cambiamenti, conservò molto a lungo.
(1) Ciò avvenne fra gli anni 1166 e '68, per opera di Stefano, cancel-
liere imperiale : prima il compenso si concordava fra il notaro e le parti.
Cfr. Bresslau, Handbuch der Urkundenlehre cit., p. 480.
(2) Del 1222 è il cit. Ocultis Pctstoralii, e, pressappoco dello stesso tempo,
il poemetto d'Orfìno da Lodi « De regimine et sapientia Potestatis » (pubbl.
da A. Ceruti in Miscellanea di storia italiana..., Torino, 1869). Durante la
prima metà del secolo XIII fiori a Firenze il famoso Boncompagno, au-
tore di molti formulari giuridici; e durante la seconda, ser Brunetto La-
tini, che nelle sue compilazioni, e in specie nel Tesoro, fece larga parte
alle istruzioni circa V arte dì govei^nare secondo la politica. In questa
città, finalmente, fu composto il libro De regimine civiUUis. Cfr. DAYiDsomi,
Forechungenf pp. 141-148.
(8) Inferno, canto 28, verso 82 e segg.
(4) Federici, Storia de*Cavalieri Ckiudenli cit., p. 290 e segg.; Mahki
D. M., Sigilli, to. 27, sig. 5, ec.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 319
Si cominciò a porre cura grandissima nella ricerca e conser-
vazione dei titoli di diritti del Comune. Nel 1278, infatti, si tro-
vano alcuni ufficiali deputati € ad registrandum iura et privi-
« legia Comunis Florentie in Camera ipsius Comunis » (1). Ad
un giudice del Capitano si dà l'incarico di cercare notizie di questi
diritti ; e ciò, anzi, avviene tanto frequentemente, che, da ultimo,
si costituisce, a tale scopo, un ufficio particolare. Si pensa, quando
vi sono importanti scritture, a farle copiare, con ogni diligenza,
e mandar alla Camera, ed in quosta si depositano le scritture
giudiziarie durante le ferie e V assenza dei magistrati.
E facile desumere da tutto ciò come ormai la Repubblica
avesse una buona e regolare amministrazione. Non mancava, tut-
tavia, qualche inconveniente ; infatti, per stabilire definitivamente
r ufficio della Camera, nel settembre del 1289, si fecero certe
Provisiones canonizate super reformatione Camere et custodia averis
Comunis Florentie, che troviamo in un prezioso codicetto del nostro
Archivio (2). Molto più che semplici provvisioni o statuti, erano
una serie di disposizioni, che avrebbero dovuto rimanere, quasi a
somiglianza delle moderne carte statutarie, perpetuamente irre-
movibili ; perciò appunto, si vollero canonizzai?, e si ordinò che
nessuno, (sotto pena, fra l'altre, dell'infamia), ardisse modificarle
proporvi alcun cambiamento (3).
(l)i?. Archivio cit., Capitoli, reg. XXIX, e. 857.
(2) Si conserva nelP archivio della Repubblica; di ff. 29 membr., eccetto
il 27 cartaceo; coperto di grosse assi e pelle in costola; di m. 0, 89 X 0,27.
Bubriche (e. 1-12».) scrìtte in rosso, non num., quindi altre scritture
che cominciano dal 1808. Comincia : « In nomine Christi amen. Hec sunt
« provisiones canonizate super reformatione Camere et custodia averis
« Comunis Florentie, condite tempore regiminum nobilium virorum domini
« Ugolini Bubeì, potestatis, et domini Falchi de Bucchacberinis, (de Buz-
« zacherinis) defensoris et capitanei Civitatis et Comunis Florentie, sub
« anno Domini millesimo ducentesimo octuagesimo nono..., de mense
« septembrìs ».
(8) Cosi nell'ultima rubrica: Concluno generalis ordinametdorum,,. « Do-
« nique, ut ordinamenta... firma et illibata permaneant,... statutum et
« firmatum est quod omnia..., tamquam canonizata, plenam et integram,
« auctorìtate Comunis Florentie, habeant firmitatem ; adeo quod Potestas,
e Capitanéus, Priores... et omnes... officiales et consiliarii... ad eorum
« observationem precise et in violabili ter teneantur... ; et quod nullus in
320 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
Constano di 21 rubriche. Nella prima, detto degli inconve-
nienti fino allora notati, si stabilisce che una sola sia, per 1' av-
venire, la Camera del Comune (1), e quattro i camarlinghi ; uno
religioso, preso dai soliti Ordini, per sei mesi ; gli altri secolari,
per due (2). Doveano esservi pure due contatori del denaro, quattro
no tari, due dei quali per la Camera ; due custodi delle masserizie
della Camera e sindaci del Comune con un notare ; un notaro
custode degli atti ; due a scrivere i libri dei debitori e dei cre-
ditori ; tutti per due mesi.
« Consilio, Parlamento, vel alibi, possit... aliquid proponere, consulere, vel
« arengare, scribere, reformare, vel aliquid dicere, vel facere..., per quod...
« ordinamenta, vel aliquod eorum, in aliqua sui parte infringi possiut...
« Si quis autem centra predicta... facere... presumpserit, ipso facto fiat
« infamis, et cadat ab omni honore..., et uuUum consequi valeat in fu-
« turum. Et nibilominus puniatur... in libris quingentis f. p., vel mi-
« nus, insi)ecta negotii qualitate... Et, ad hoc, ut predicte Provisiones
« canonizzate veniant in notitiam Consuluin et Artium Civitatis, teneantur
« omnes dicti Consules et Artes predictas provisiones habere exemplatas
« per ordinem diligenter ». Cfr., per tutto il resto del presente lavoi*o,
l'articolo di A. Gherabdi, L* antica Camera del Comune di Firenze e un
quaderno d* ascila de* suoi camarlinghi dell* anno 1803, in Arch. alar, ital.,
serie IV, to. XVI, pp. «ia-ì361 (1885).
(1) « De CamerarOs et ofjicialibus Camere et ipsorum numero. Quia iam
« dudum assidua querela et frequens murmur perstrepuit, tam adversus
« camerarios et officiales Camere Comunis Florentie quam contra Kegimina
« Comunis ipsius, tum propter custodiam super pecunia et averi Comunis
« Florentie... Et ideo provisum... est quod in Camera Comunis Florentie,
« quam unam esse censemus... ».
(2) Da una provvisione del 25 sett. 1814 (Codice cit. delle Provvisioni
canonizzate, e. 16) si rileva cbe i camarlinghi dapprima erano tre secolari
laici, poi tre secolari laici ed un ecclesiastico (1289) ; finalmente furono ri-
dotti a due religiosi da prendersi, a vicenda, di sei in sei mesi, nei
conventi di Settimo e d'Ognissanti, dai cui abati doveano essere scelti.
Di questi cambiamenti, però, ve ne furono assai spesso, giacché troviamo
notizia di molti camarlinghi religiosi, parecchio anteriori. Cosi uno d' essi
è ricordato nel 1254 ; nel '67 si hanno « dodici buoni uomini camarlinghi
« della pecunia, religiosi di Settimo e d' Ognissanti, di sei in sei mesi » ;
frate Benvenuto degli Umiliati camarlingo del Comune, ec. Ve n'erano
pure, qualche volta, dei forestieri, secolari laici, giacché nel '44 si rioorda
il camarlingo del (Comune, Pagano Baldini da Lucca. Ved. Vilulhi, Cro-
nica cit., VII, 16; Santini, Documenti dell* antica costituzione del Comume di
Firenze cit., p. 479.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 321
Nelle altre mbrìche si stabìlisoono certe regole per reiezione
o gli obblighi di detti ufficiali, ec. (1).
Cobì, adunque, con cura maggiore, con disposizioni più precise,
si dette all'amministrazione un assetto sempre più regolare, e, per
quanto era possibile in una città come Firenze, duraturo.
vm.
Della Camera fiorentina, in specie da quando cominciano i
registri delle Provvisioni e delle Consulte conservate fino a noi,
si parla di continuo, ma astrattamente; nessun antico cronista o
scrittore moderno ci dice chiaro dove fosse nei diversi tempi, quale
ampiezza, forma e disposizione avesse. Ci sembra, però, per molte
testimonianze raccolte, di poter affermare che dopo il 1260, quando
il Podestà cominciò a risedere nel nuovo Palazzo del Comune,
detto più tardi del Bargello, 11 fosse costituita e poi rimanesse per
sempre ; l' Uccelli (2), infatti, la ricorda, in diversi anni, come ivi
esistente ; e il Gherardi s' avvede, dalle Provvisioni canonizzate,
che v'era già nel 1289 (3). Ma devesi anche avvertire che, dai
(1) La seconda tratta De forma electionis camerariorum et aliorum of-
ficialÒAm Camere^ la terza De aecuriUUe prestando per camerarios, la quarta
De deveto officialium Camere, tam veterum quam novorum, la quinta dell' ele«
zione dei sindaci, e del modo, con cui essi debbono esercitare l'ufficio, la
sesta e settima dell'ufficio dei camarlinghi e del modo di scrivere le en-
trate e le uscite, l' ottava, la nona e la decima, rispettivamente, del-
l'ufficio dei notari della Camera, dei contatori, dei custodi delle masserizie
e sindaci e del loro notare. L' undecima si occupa del notaro degli atti ;
la duodecima dei libri di creditori e debitori del Comune da compilarsi
ogni anno; le due seguenti delle spese, che possono fare i camarlinghi,
e del Consiglio dei Cento sulla deliberazione delle stesse... ; la quindicesima
del registrare il giorno della partenza e ritorno degli ambasciatori, a causa
dei salari da pagarsi loro, la diciannovesima, del mod<j di eleggere i notari
all'ufficio gratuito delle sei curie del Comune, ec.
(2) A p. 45 e 113 (Il Palazzo del Potestà..,, Firenze, tip. delle Mu-
rate, 1865). Bispetto al più antico palazzo del Comune, cfr. Dayidsoun,
Fonehmigen, 148, 144.
(8) L'Antica Camera.,, cit., p. 817.
Abch. Stob. It., 5.» Serie. — XX. 21
primi de! secolo XIV, se n' ebbe al pian terreno del Palazzo dei
Priori un'ttltra, la Camera annorum, nella quale si conservarono,
affidate ad alcuni dei soliti frati, armi, munizioni e molte altre
cose di simil natura (1).
Premesso ciò, notizie di molta importanza intorno all' argomento
rileviamo da Giovanni Villani e dalle Provvisioni canonizzate. H
primo dice (2) che nel 1263, « essendo il conte Guido Novello
* signore in Firenze, tutta la Camera del Comune votò, e tras-
« sene, tra piii volte, assai bellissime balestre e altri gueroimentj
« da oste, e mandonnegli a Poppi, in Casentino, ano castello >.
In principio delle seconde abbiamo la irase « quam unam esse
* censemus » ; e più oltre (3) : « Et quod raassaria Camere Pa-
« latii domini Potestatis et massaria Camere Palati! dominorum
« Priorum et Vexilliferi, sit deinceps una sola massaria, et dwo
« solnm massnrii et unus notarius eligantur ad fauins massarie
« custodiam v.
Sembra, dunque, che nel 1263 vi fosse una sola Camera, ed
avesse sede nel Palazzo del Podestà ; che prima del '3S9 si divi-
desse in due; tornasse, quindi, dopo quell'anno, a riunirai. È
verisimile che fra il '(J3 e 1' 89 rimanessero nel Palazzo deJ Po-
destà quelle cose, che poi sempre si custodirono nella Camera
propriamente detta, e fossero portate nel Palazzo dei Priori qui ri'
cordato quelle, che, in seguito, furono conservate nella Camer»
dell' armi (4). È naturale, del resto, che la Signoria volesse nel
suo stesso palazzo quelle di cai sentiva più urgente bisogno, e
(1) Infatti, con una provvisione del 20 luglio 1801,
lire « ...prò bnlìsliB Comunia Florontio, existentibus in Pallatio, in quu
« domini Priores Artium et Texìllìfor prò Comuni morantiir, reaiitui-
■ dia et ligandis, et prò quodrollis, sogitumenlo, croccbis, Inmeriis, pmi-
* nellis, Uimìis et alila fomimenlìs et rebus in dicto Pollatio ae etiam in
■ Camera Comonis Florentie opportania fieri fociendis... •, che sì pa>
gkeranno, come piacerà a' massai della Caratira ilell' ormi (Dbi. Lonao,
Dino Compagni e la laa Cronica dt., II, 450).
C2) TI, 85.
(8) A a. 5'.
(4) Il Palojuo del Podestà fu dapprima residenza del CapitAno de)
Popolo, quindi forse anclie dei Priori ; ai capisce, perciò, obe vi fbase la
Camera deli' ormi; i-ui vi venne anche 11 Podostù., e, naturalment«, UG
mera del Coimuie; citai l'una e l'altra vi furono riunite.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 323
che, a poco a poco, vi costituisse un piccolo deposito, che poi formò
la Camera dell' armi. Finalmente nel 1289, per dare all' ammini-
strazione un migliore ordinamento, o per altra qualsivoglia ragione,
si uniscono, di nuovo, in un solo i due depositi. Che più tardi si
tornasse a stabilire nel nuovo Palazzo dei Priori la Camera del-
l' armi, non recherà meraviglia a chi rifletta quanto instabili
fossero i cervelli dei Fiorentini, quanto gelosamente i popolani
volessero comandare, dal Palazzo, a loro arbitrio, le milizie della
Bepubblica.
Senza dubbio, la Camera dovea, da parecchio, accogliere i
documenti del Comune, che più non si volevano, o potevano, tener
negli uffici, e, almeno negli ultimi anni, aver per essi, qualche
armadio che servisse da archivio. Comunque sia, le Provvisioni
canonizzate hanno, circa l'Archivio, del quale si affiderà la cu-
stodia ad uno dei notari più fedeli e cauti della città, la seguente
rubrica (1) :
De custode actorum Camere et eius officio,
Custos actorum Camere sit notarius de melioribus, fldelioribus et
cautioribus civitatis, qui suum officium exerceat in hunc modum,
yidelicet. Quod ante quam aliquam copiam inde alicui faciat, videat,
per se ipsum, omnes et singulos libros et quid in quolibet eorum
contineatur. Et in copertura de foris, de grossìs licteris et apertis,
scribat brevem titulum de contentis in quolibet, et de tempore do-
minatus, et sub cuius iudicis examine. £t, si talis liber non habuerit
sufficientem coperturam, camerarìi iUam faciant renovari, expensis
Camere. Quibus sic peractis, reponat ipsos libros, quanto potest con-
venentius et ordinatius, per singulas camerulas armari! diete Ca-
mere; dehinde faciat et permictat haberi, sine uUo pretio, nisi de
eo, quod scripserit, sua manu, copiam de ipsis et contentis in eis,
singulis petentibus ; dum tamen in sui presentia, ita quod, se absente,
nichil in eis valeat innovari. Et propterea, singulis diebus et horis,
quibus statur ad Cameram, continue moretur ibidem, nec possit
claves ali! commendare. De foris quoque super qualibet armarii
camerulam {sic) infigat cedulam exprimentem quid continetur in illa.
Molte cose rileviamo da queste disposizioni, sebbene tutto
non ci lascin comprendere con precisione. Non v'erano, come po-
(1) A 0. 5«.
324 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
irebbe sembrar verisimile, solo documenti di materia politica ed
economica, ma pur anche giudiziaria. Si ordina, infatti, che il notare
« scribat brevem titulum..., et de tempore dominatus (del Podestà),
« et sub cuius iudicis examine... » (1). Si parla, inoltre, delle
chiavi, come delle cameru^e dell'armario; nò rileviamo se quelle
fossero di più stanze destinate ai documenti di vari armari, o solo
delle diverse camerule d'uno stesso armario. Sembra, però, che
l'armario indichi in generale, T Archivio, il quale dovè essere
molto più grande che per essa non ci apparisca; altrimenti, non
sarebbero state necessarie più chiavi e un notare esclusivamente
deputato alla conservazione dei documenti racchiusivi (2).
n notare dovea non solo pensare alla custodia dei documenti,
ma, prima di darne copia ad alcuno, anche al loro ordinamento;
esaminarli, cioè, ad uno ad uno, e vedere quel che contenessero ;
scrivere, poi, del contenuto stesso, sulla copertina, di fuori, un
breve titolo; il nome del Giudice e del Podestà, ed il tempo, in
cui gli atti giudiziari erano stati fatti. Se poi i libri non avessero
avuto copertina conveniente, i camarlinghi doveano rinnovarla
a spese della Camera; quindi il notare deperii nel miglior modo
col massimo ordine, nelle caselline ; ad ognuna d' esse attaccar
fuori una cedola, che indicasse i documenti racchiusivi.
Provvisto alla custodia ed all' ordinamento delle carte, si pensa
pure al servizio archivistico, che, senza dubbio, si rende, per il
pubblico, oltre ogni dire, comodo e facile. Chiunque, in&tti, poteva,
senza spesa, copiar da sé i documenti, purché in presenza del
notare, il quale dovea invigilare che non avvenisse alcun cam-
biamento. Questi, poi, dovea star sempre all'Ufficio, mentre ri-
maneva aperta la Camera, né poteva affidar le chiavi ad alcun
estraneo (3).
(1) Qui si ricordano solo gli atti giudiziari ; perchè ? Forse di questi,
quasi unicamente, si chiedevano copie dal pubblico.
(2) Si aggiunga che alcuni anni dopo, nel 1836, parlandosi di un do-
cumento, si dice: « originale est in armario, tertio hottio » ; il che pare
accenni ad una certa complicazione, e quindi considerevole estensione,
dell'Archivio (r. Archivio di Stalo cit.. Capitoli^ reg. 80, e. 117).
(8) Ck>nsimili disposizioni vigevano anche per archivi d'altre città
vicine, come, ad es., quella di Prato (Guasti, Prefcmione dXVInvmiario e
Regesto cit., p. 10).
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 325
Esaminando le diverse rubriche, si può intendere quali modi
doveano tenersi per la compilazione dei registri, e quindi quali
documenti potessero, dopo quest'anno, esser conservati nell'Ar-
chivio (1).
Ha finalmente qualche rapporto coi documenti e con l'Archivio
la rubrica: De itidice, qui débet reinvenire tura Comunis et cu-
ram haibere super Cameram, Vi si determina che ogni capitano,
cominciando dal primo di maggio 1290, conduca seco, oltre la
solita Famiglia, un giudice e due notari, tutti buoni ed esperti,
con due berrò vieri, i quali debbano attendere a ritrovare e ricu-
perare « omnia et rationes ac honores Comunis et ad Comune
« Florentie pertinentes et pertinentia, tam in viis et plateis,
« muris, foveis, flaviis, pratis, pascuis et nemoribus, quam aliis
« quibuscumque lods, et causis et occasionibus in civitate Flo-
« rentie et extra, tam ea que scrìpta sunt in registris Comunis
« Florentie, quam illa, que non fuerint registrata (2). E questo
il ricordato ufficio per la ricerca dei diritti del Comune; intorno
ad esso, come di qui si rileva, avea già una rubrica lo Statuto del
Capitano ; era, dunque, e tanto più tale ora divenne, un vero ufficio
permanente della Eepubblica. Il notare, poi, di questo giudice
deve aver cura che gli ufficiali della Camera facciano il loro do-
vere, che i custodi delle masserizie ed i sindaci pensino bene,
con le debite subastazioni, alle vendite delle cose venali. H giu-
dice deve, inoltre, procurare che, ogni due mesi, si eleggano gli
ufficiali della Camera, fra cui il notarius custos adorum ; debba,
poi, smgulis diebus et horis competenttbus, starsene, coi suoi no-
tari, ad esercitare 1' ufficio, iuxta portam Camere, in una curia
expensis Camere facienda ibidem (3).
(1) Si rioordano : le scritture dei notari custodi e i rotoli dei conta-
tori del danaro ; inventccrì delle masserizie e copie dei medesimi ; libelli
dei memoriali della Camera ; libri dei debitori e creditori, apodixe de sih
luto (ricevute), mandati di pagamento firmati dai Priori e Gonfaloniere,
i memoriaU, in cui gli ambasciatori doveano scrivere il giorno della par-
tenza e del ritomo loro, ec.
(2) A e. 9^ e segg.
(8) A e. 10*. Basterebbe, però, mi sembra, quest'ultimo partico-
lare a dimostrarci che l'antico ufficio era un po' diverso da quello ora
costituito.
b^^. ,
326 ARCHIVI, BIBUOTECUE, MUSEI
Queste disposizioni circa l'Archivio, come erano state prece-
dute, cosi furono seguite da altre. Diverse notizie degli anni se-
guenti ci fanno supporre che fossero anche osservate. Infatti,
nelle Provvisioni e nelle Consulte troviamo continui accenni al-
l'Archivio, ad importanti documenti mandativi (1), a danaro de-
positato nella Camera, e simili (2). Sembra, inoltre, che si pen-
sasse ad un assetto definitivo degli atti del Comune, giacché
il 17 di luglio '92 si stanziano 25 lire per la costruzione di uno
(1) Durante le ferie, ad es., delle curie, o quando si aspettava la ve-
nuta di qualche capo di esse, si solevano depositare gli atti sigillati nella
Camera. Diverse sono le disposizioni a questo proposito ; una delle più
importanti ci è data dalla seguente provvisione del 3 gennaio ^95 (reg. 4,
e. 141*): « ...Item super providendo, ordinando et firmando quod acta
« omnia veteris Potestatis et suorum offitialium, tam civilia quam cri-
« minalia, et etiam preteriti ludicis appellationum et Sindici Comunis
« Florentie, sigillata remaneant et sint apud Gameram Ck>munis Floren-
« tie usque ad vigesimum diem presentis mensis ianuarii, salvo tamen
« quod ipsa acta, propter aéventum domini Potestatis, vel ludicis ap-
« pellationum, vel alia de causa, possint disigillari et dari, restitui et
« assignari domino Potestati, vel eius iudicibus, seu ludici appellationum
« et Sindico, si videbitur et quando, et, sicut videbitur dominis Frìori-
« bus et Vexillifero antedictis, etiam ante terminum predictum ; et quod
« acta predicta et omnia, que in eis continentur et scripta sunt, in eo
« iure et statu, in quo erant, quando veteri Potestati et sue Familie et
« etiam ludici appellationum et Sindico accepta et sigillata faeront, re-
« maneant et sint usque ad diem, quo dissigillata, restituta et reasignft^
« fuerunt domino Potestati, vel eius Familie, seu ludici appellationum et
« Sindico...; et interim in hiis nulli tempus currat. Et quod, postquam
« dieta acta disigiUata, restituta et reasignata fuerint,... Potestas et eius
« iudices et officiales, et etiam Index appellationum et Sindicus in omnibos
« questionibus Comunis et negotiis... pendentibus in actis predictis, iQ
« quantum ad offitium cuiuslibet eorum spectat, possint procedere... ^on
« obstantibus aliquo cursn temporis, sicut... facere potuissent, siipsaacU
« disigillata, restituta et assignata fuissent in kallendis ianuarii proxi^e
« preteritis... salvo tamen quod processus in ipsis actis pendentes..* ^^'
« sigillentur et penes Familiam Potestatis sint... ». Cfr. Giasti, Prtfas^
cit., p. V ; r. Archivio cit., Provvisionif reg. 6, e. 149.
(2) Il 5 di luglio 1285, il 28 di febbraio 'SB, e molte altre volte si parla
di denaro chiuso in cassette e depositato nella Camera od altrove (Gue*
BARDI, Le ComuUe della RepuMica Fiorentina,,, cit., 259, 968). Nelle Prov-
visioni canonizzate, si dispone che il denaro sia deposto in una cassa a
quattro chiavi, in fundo turris diete Camere (e. 2^).
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 327
dae armari (1), e il 9 dì febbraio '97 ed dà balia ai Priori e
Oon&loniere di provvedere alla custodia di tutte le scritture (2).
Curiosa ed importante è una provvisione del 28 settembre 1300,
con la quale si dispone che siano deposte nella Camera le misure
del Comune; eccone il tenore (3):
Item infrascripta provìsio..., cuius... tenor talis est. Pro evi-
denti Comunis utilitate, per predictos dominos Priores Artium et
Vexilliferum lustitie, eorum officii auctoritate et vigore, provisum
et ordìnatum est quod licite et impune potuerint et possint de ce-
lerò barilos colligì et mensurari ad mensuram, sive mezzinam, hoc
presenti anno coUectam et inventam, de mandato Priorum et Ve-
xilliferi lustitie, ante conspectum Consilii sapientium et disoretorum
(1) Ecco il tenore della provvisione (reg. 8, e. 85t) : « ...Item in opere...
« unius vel duorum armarìomm prò Comuni fiendorum in ipsius Comu-
« nis Camera, prò actÌB dicti Comunis in eis reponendis et custodiendisi
« usque in quantitatem librarum vigintiquinque florenorum parvorum,
« per ipsos camerarios ipsius Camere exibendarum et solvendarum mas-
« sariis, Camere presentibus seu futuris, occasione prediota, et per ipsos
« massarios expendéndarum et convertendarum in ipsis et prò ipsis armario
« seu armariis, ut dictum est, fieri faciendis et in hiis, et prò bus, que
« ad ipsorum armariorum opus fuerint opportuna licite et impune, se-
« oundum quod eisdem massariis videbitur expedire ».
(2) B, Archivio cit., Prowisùmi, reg. 7, e. 118; ecco la provvisione:
« ...Item super bailia et auctoritate dominis Prioribus Artium et Yexil-
« lifero lustitie danda et concedenda providendi super custodia omnium
« scripturarum et actorum factorum et fiendorum per aliquos offitiales,
« seu notarios dicti Comunis ad aliqua offitia deputatos, vel deputandos,
« et super salarìis et circa salaria notariorum et advocatorum et com-
« missiones et offitia eorum ac etiam de omnibus et super omnibus et
« singulis, que in hiis et circa ea, et eorum occasione, per iamdicta con-
« silia, de quibus supra, et, secundum quod supra dicitur, iam provisa,
« obtenta et reformata sunt, modo et forma ibidem in ipsis Consiliis per
« ordinem et distintius notatis plenius et expressius ».
(8) B, ArMvio cit., Prowitioni, reg. 10, e. 277. Cfr. e. 279. Fu approvata
con voti 48 contro 12. Le presenti disposizioni, intese a mantenere la pre-
cisione delle misure, fanno degno riscontro all' uso bellissimo, seguito dalle
Arti fiorentine, di porre ostacoli e cercare ogni mezzo per impedire la
contraffiskzione dei loro prodotti. Cfr. anche, per le altre misure usate a
Firenze, Dayid60hn, Oeachichte von Florenz cit., p. 780.
328 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
virorum, tiinc ad hoc habiti ; et quod ad ipsam mensuram, sive mez-
zinam, debeant colligi quarti et alle descendentes mensure, ita et
taliter quod congium sit iuste vigìntiquiDque mezzinarum ad ipsam
mensuram et mezzinam nuper inventam, et etiam quodlibet congiùm
sit centum quartorum coUectorum iuste ad ipsam mensuram; ac
etiam quod due mensure, sive mezzine, fìant ad modum predicte
mensure, sive mezzine nove, prò cippo, ad memoriam perpetuam
habendam; una quorum stet et conservetur in Camera Comunis Fio-
rende, et alia apud officium Sex de biado, ita quod, de cetero, error
aliquis non commictatur ; et quod per universum comitatum Flo-
rentie debeant signari et sigillar! bariles, et non alio modo, vel
forma, ad dictam mensuram, videlicet quinque salmarum prò quoli-
bet congio.
Non sembra che le misure fossero depositate proprio nell'Ar-
chivio, ma nella Camera, che, cioè, in un luogo molto vicino ad
esso ; si vede, dunque, come, già nel 1300, a Firenze, P Archivio e
la Camera avessero, in certo modo, 1' ufficio dei moderni archivi
centrali di Stato.
Ci dà qualche notizia particolareggiata intorno agli atti, che
trovavano posto nell'Archivio, una provvisione del 12 ottobre 1303,
il cui tenore rileviamo dalle Consulte (1) :
Item quod omnes notarli terreni, qui ellecti sunt per Priores et
Vexilliferum presentes, vel futures, teneantur et debeant consignare
omnes {sic) acta per ipsos faeta et scripta Camere Comunis Florentie,
post depositionem sui officii, infra octo dies, sub pena librarum ce prò
quolibct notarlo, salvo quod acta et scripture, pertinentes ad stipendia,
vel castellanos, debent consignari Sex officialibus gabelle, sub dieta
pena; et salvo quod notarli Priorum debeant consignare sua acta
in armario existente in Pallatio dominorum Priorum, infra xv dies,
post depositionem sui officii...
Quali erano questi no tari terreriiì Forse tutti i notari della
Repubblica, eccetto il notaro delle Eiformagioni ed il cancelliere,
(1) R, Archivio cit., Consulte, reg. 6, e. 28. Fu approvata, nel Consiglio
del Popolo, con 76 palle nere per il si, una bianca per il no; in quello del
Comune, pUtcuit quasi omnibus.
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 329
eletti dai Consigli, e i notari giudiziari, condotti seco dai rispettivi
rettori? forse quelli delle terre soggette? (1).
IX.
Sebbene i documenti del Comune Fiorentino, di natura legi-
slativa e politica, siano, £ra quelli del Comune, i più antichi, dei
quali troviamo ricordo, di essi mai si dice, come degli altri,
che fossero conservati nella Camera. Anzi, la deliberazione citata
del 1259, fu estratta dagli atti e quaderni degli Anziani, esistenti
penes Bumectum, notarium Anzianorum* Inoltre, per notizie po-
steriori, e per altri numerosi indizi, pare sia da supporre che
fossero conservati presso i diversi notari, negli uffici della Signoria,
dei Consigli del Popolo e del Comune, e, a suo tempo, nel Palazzo
dei Priori. Si può dire, anzi, che indirettamente ci permettano di
creder ciò anche le Provvisioni canonizzate, la cui penultima ru-
brica suona cosi (2):
De salario eligendo {exigendo ?) per notarium Priorum,
Ne salarii sublati o alicui officiali facta inmoderantiam exactìonis
inducat, circa scripturas et acta confìcienda per eum, spetialiter in
notano dominorum Priorum, qui deinceps fìierit, statutum est et pro-
yisum quod idem notarius, qui cum officio dominorum Priorum, prò
tempore, fìierit, de quolibet stantiamento per eum scribendo et com-
pletum restituendo, quamdiu steterit in officio, moderata salaria
exigat, inspecta qualitate negotiorum, dummodo ultra decem soldos
fiorenorum parvorum, prò quocumque stantiamento, exactio salarii
non ascendat; finito quoque tempore sui officii, unicuique stanzia-
menta ad se pertinentia volenti et petenti que ipse, existens in of-
(1) Nel cit. lavoro, L'Antica Camera del Comune di Firenze,,, ^ il Ghe-
BABDi pubblica l'inventario delle masserizie consc>gnate nel giugno del 1808
dai camarlinghi della Camera ai successori (p. 8G0); vi sono parecchi vo-
lumi, registri, documenti; ma certo non tutti quelli, che allora doveano
trovarsi nell'Archivio. Sembra, quindi, che solo d'alcuni documenti e
volumi si facesse V inventario ; forse dei più recenti, o più importanti, o
che maggiormente erano cercati ed esaminati.
(2) A e. 12.
880 ABOHIVI, BIBLIOTECHB, MUSEI
ficìo, non ooinpluverit, sua manu, sine pretio et premio, pemiictat
exemplari et publicari per queinlibet altum uotarìum ad volimlatem
petentia. Et, ai dictus notariua coctrafecerit, por dominum Capita-
neuin Comuni (jt/r) Florentie condepnetur iu libras decem florenorutn
parvorum. Et de hii5 credatur denuntiatori cum uno teste.
Si stabilisce, dunque, che il notaro dei Priori non possa j
tendere, per la copia d' uno stanziamento da lui fatto :
fonna, più di IO eoidi, e che, se, finito il suo ufficio, non a'^
terminat* le copie, a chiunque permetta di farle, da sé, i
spesa (1) ; ciò sotto pena di 10 lire di fiorini piccoli.
K questo manifestamente un ordinamento à
viatico, per i documenti, che stavano sotto il notaro dei Priori,!
mile a quello già avvenuto per i documenti della Camera. H i
anzi, che si ha per essi una rubrica a parte, ci sembra ■
stri come gli uni non doveano esser confusi con gli altri. Di f
qui si parla solamente di dooiimenti del notaro dei Priori ; ma (
diamo sia, perchè di questi, in maggior numero, (
per ii pubblico; si faceva pure qualche copia dello Provvisìm
ma cosi di rado, che bastavano, a regolar ciò, le ordinarie d
BÌzjoni degli Statuti.
Presso i notari, dunque, dei vari ufiicì si conservarono ì {|
gistri e le filze di materia legislativa e politica ;
sti, verso la fine del secolo, costruito, almeno in parte, il Palai
dei Priori, vi stabilirono la residenza, qui, a poco a poco,
il notaro delle Riformagioni, si formò e vi rimase per sècoli, Pm
cbivio politico, detto appunto delle Riformagioni (2), Non sapjù
(1) n notaro, finita l' ufficio, lasciava in Fa.hjita le DtlSit
luì scritte', dovpa, quindi, come già osaeryammo, permettere, r
ai diritti notarili, clie altri, forse il auccesaore, occorrendo,
copie autentiche. Qui stanno verisimil mente le ragioni della d
Q2) Molto a lungo si trattò della ooatruzìone di questo Falaoo,
fu effettivamente cominciata solo verso i primi del 1299; si erano, |
comprate diverse case, che forse iu principio ne fecero parte i
e che quasi subito accolaeru la Signoria. Infatti, il 17 di mar»
stipulato un atto ■ ...in domo, aive pallalio, Populi et Comunis F
* in (jno domìni Priores Artium et Vaxillifer lustitie diete oivìtaMa, ■
• eorum esercendo officio mora» trahunt > ; ed ìl 6 aprile
■ domibns dicti Cumunis et Fopuli fiorentini, aiti» prope eocleùao) a
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 331
quando veramente avesse principio. Nel 1289, in parte, se ne
disciplinò il servizio ; col 6 d' aprile 1299, si aggiunsero alle an-
tiche nuove prescrizioni, come si vede da una provvisione, intomo
all' elezione ed all' ufficio del notare dei Priori, nella quale si de-
libera (1):
...quod omnes scripturas, stantiamenta et provisiones, que et
quas idem notarius fecerit, prò Comuni Florentie, infra tertium diem,
teneatur scribere et ponere in actis ; et omnia que fecerit, seu scrip-
serit, prò singularibus personis, ipsa tradere completa et publicata
singularibus personis, sine aliquo pretio, infra tertiam diem ; et quod,
ratione, seu occasione, sui officii, vel ex aliqua scriptura, quam fa-
ceret, vel rogaret, vel imbreviaret, seu fieri, rogari, vel imbreviari
faceret, nichil possi t potere, recipere, vel habere, aliquo modo, vel
ingenio, seu causa ; et quod omnia sua acta, in fine sui offitii, resi-
gnare teneatur Vexillifero lustitie, qui in ofiitio esse debebit, post
ipsum notarìum, ante quam ipse notarius exeat de domo, in qua
morantur ipsi Priores et Vexillifer, die quo dabitur vexillum ipsi
Vexillifero. Et quod ipsa acta ac etiam omnia alia acta, que non
essent in Camera Comunis Florentie, facta per preterì tos notarios
Priorum et Vexilliferi, reponi debeant in quodam armario, quod
fiat, et fieri debeat in domo, in qua morantur ipsi domini Priores
et Vexillifer... Et quod ippe notarius... iurare et promittere tenea-
tur... solvere Camere Comunis Florentie..., prò qualibet vice, qua
contrafecerit, libras viginti quinque florenorum parvorum, et omnia
et singula que acceperit, resti tue re in quadruplo illi, a quo acce-
perit... Et predicta... promictere teneatur prima die sui ofiitii, quando
datur vexillum... Et insuper armarium... fieri debeat quam citius
fieri poterit ; et quod claves... debeant... stare penes dominos Priores
et Vexillifer um .. ; et quod ipsi... copiam fieri faciant de ipsis actis
cuilibet, cui viderint copiam fere dandam, ac ipsam summi per-
mictant sine aliquo pretio, vel mercede. Et, ad hoc, ut domini Priores
et Vexillifer et eorum notarius presentem provisionem... ignorare
non possi nt.. . ponatur, et scribatur, et colligatur Inter assides, in
« Patri Scbradii, de Florentia, in quibus ipsi domini Priores et Vexillifer
« morantur, prò eorum officio exercendo ». Ved. Del Lungo, Dino Com-
p<tgm e la sua Cronica cit., II, pp. 46-50.
(1) R. ArcJiivio cit., Provvisioni, reg. 10, e. 6«. Cfir. Guasti, Prefimone cit. ;
Gherakpi, Le Consulte della Hepubblica Fiorentina.,, cit., I, p. XXYI.
332 ARCHIVI, BIBLIOTECHE, MUSEI
quibus... sunt inclusa Ordinamenta lustitie, quo sunt penes domi-
nos Priores et Vexillifermn...
H notaro dei Priori dovea, dunque, scrivere, entro tre giomi|
le deliberazioni della Signoria, e consegnarle, alla fine dei due
mesi, prima di uscire dell'ufficio, al nuovo gonfaloniere nel giorno,
in cui questi prendeva il gonfiilone. Dovea, inoltre, farsi, nel-
V ufficio dei Priori, un armario, per collocarvi tutti gli atti loro,
che non fossero nella Camera. Essi doveano permettere a chiunque
sembrasse opportuno di trarne copia senza alcuna spesa.
Sembra, dunque, che, in parte almeno, gli atti dei notarì dei
Priori, fino al '289, fossero nella Camera ; la qual cosa si com-
prende benissimo, riflettendo che, con le Provvisioni canonizzate,
si era istituito questo unico deposito di documenti e masserizie
del Comune. Trasportata ora nel nuovo Palazzo dei Priori la sede
della Signoria, e poi di tutti gli uffici del Popolo, riconosciuto
forse come troppo scomodo l'uso di mandare continuamente alla
Camera i registri e le carte, s' inizia una nuova Camera, un nuovo
Archivio. Questo forse spiega le ragioni, per cui non ci son pev^
venuti i documenti più antichi della Bepubblica. Le arsioni e le
dispersioni avvennero, più che altro, alla Camera, ove forse non
furono mandate le Consulte e le Provvisioni, che ci rimangono
dal 1280 e dal '285, i Libri fdbarum e le lettere della Canod»
leria, che dai primi del sec. XIY (1). Questi, poi, di natura
(1) Si capisce che la Camera era il deposito generale di tutte le
del Comune, quindi anche dei documenti ; ma poi si stabili dì tenere lul
Palazzo dei Priori quelli che più direttamente occorrevano agli uffioiaK
ivi residenti. Dallo Statuto del Potestà del 1825 (lib. I, rubr. viiij ^ o. US)
si vede che si mutavano continuamente le disposizioni circa la conaer*
vazione dei documenti. Cosi dapprìmo si ordina (e. 15 *, marg. sin.) dN
il notaro delle Biformagioni mandi alla Camera, entro tre mesi, ma ìà
copia, factoè reformeUionea, exceptii aecretia; poi che vi mandi, sempre io
copia, tutti gli stanziamenti ; « ...et etiam, in fine sui officii,... libra
« et quatemos et acta stantiamentorum et reformationum Consili<
« Comunis et dominorum Capitanei et Prìorum et Yexilliferi..., in
« mano... reponenda et perpetuo conservanda, ita quod, processu tempii
« ris, volentes possint habere copiam... ». Alla rubrìca, lunghisàniftì
furono fatte, in diversi tempi, numerose correzioni ed aggiunte ; si
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ANTICHI ARCHIVI I»I KIREN/.E
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Si Sa c-Mi-r Lei séCvlì XIV e XV. ili :;n urinali., tì'll.t «..|.-
KJi icl Priori. ?: oonservasscr«\ «ir.asi •;••>»• s;i<r.-. i «j.^ ini.i.ri ••
1? cjse ::"i i-rezi-'se del CVmune : anche» priiua. i'»-:--. ««.a i.. ll.i
Ci! Ièlla iei PrI:TÌ, sia in qu»'ll.i «i»-! p.».l»-^t;i. •.! altr- v.-, t.:ii
ixùneL:: d>Tér'.nv» essere cousc-rvati n.-li.;i'Saiu.'i.!' . P»r • >'-i | ir» .
•iiLjùr. ti anzi. i*;T er^si f.Tse più «jli»- p»-r ;:ii . Irri. >i uv» a li:.
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i:cùt: xii :::ij.-.rraiiti. nei pr»t'..-..lli i,..t,ir!Ii , : '.V. •.'
isar^-^trrizi'-iie.
Fi ..■■•iinn'^r, duranto il nK"li<:M?vo, n« llf .iiniui; - *• . .
^ir, "'as-^ dei registri e pr«»t<'M'«»lli, rhi- r. rt.. t -i^*. imh.. .: Fjri n •
pr:zj d-'.la .«u.'i c-t'^tituzione a ('«iinnn»-. h"jMi «i ;:;■}. .:ri>«'- ■:. > i. "•■«
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VtKr'ihvihtonim, f*Tii troviaiiiM nt-i ( '.«|i'»'li. j • i-.: t" . ;i-. ••',.■:.••. 'V.-
^^iitit^.'Ii 'privilei^i, acquisti, capitiil;!/'!'. Ili. . •. . < il»- .• .i.i'rrii •!•..» la
^^rs2i:ine ed ess**nza stessii 'l**! im -vi. s?:it «. il «-i . «ì-'iniiiin o
psis-iizione.
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J". -*6vr- "i vole>s«?i«» maiuìnr»'. '»•! :ii.- !.• -i i.i.ui'l.«--t-i«» iii flloit»». a.:.i
Cc-rs aCuiìì r«?gi.stri lìal l*a!.i/./..' «l'i Ti "ii ; ina ••i»ii«». ad .«^iii in«Hl»».
'>r-.,vj, i^'m»*no prima «l»*! I^UIJ, vi ^! i iportaroiu».
M:-?on:-'» a quello th.-Il.- KitMnM:iu'i"iii •"! -«'tri an-lilvì il«»lla Krpub-
*-"* ;.*yrre a.ssai l)emì, f|nau1ini<i«J.' n-'Si .-vili aNuni ♦•rr.u-i. L. tìAiamm
> f: ir::.:. L'Arrhirh renimi, ,li >»/'" /"/'« %//*• r» fazioni con tjli sfutii xto-
^ .1 .Ir./*, «tor. <W., ii'iMva -ri'-, t... II. larl.- II, vy. ♦•l-li:» ^l.S.V»ì.
ARCHIVI, EIIBLIOTBCHE, UUSEI
L' ammlniatrazione doUn ^ustizia, il mitneggio del danaro
era, senza dubbio, uno degli uffici principali della soTranitA. Scrit-
ture di natura giudiziaria ed economica doverono esservi, dunqne,
prima della costitueione del Comune, come subito dopo. Ajipa-
rÌHCono, quindi, quasi le piti antiche, quelle, che, quando sì formò
il nuovo Stato, veri similmente già ai facevano, e continuarono, con
qualche modificazione, a farai negli uffici cittadini.
Divenuto il popolo signore di sé. dovè pensar quasi aiibitoa
regolare i rapporti dei privati, e dettare, ncU' interesse di tutti,
leggi precise ai rettori, agli ufficiali, ai semplici cittadini. Quindi
il bisogno di statuti, i quali nella gerarchia feudale solo potevano
esser ritenuti come validi, in quanto aveano fondamento in quelle
esenzioni e privilegi, che presto furono raccolte nei Capitoli, Lo
stesso dicasi delle Provvisioni e degli altri atti e registri tatti
dei signori e governatori de] Comune. Ma, via via che questo
s' accresceva e fortificava, sorgeva la neeessitA di nuovi docnu]ent4
e nuovi registri ; quindi le lettere della Cancelleria, che assai
presto troviamo ricordate ; i registri militari ed altri consimili.
Di tutto queste serie di atti del Comune Fiorentino o di Co-
muni in seguito ad esso sottoposti, troviamo, come a' è visto, le
tracce da' tempi più antichi ; degli atti, poi raccolti nei Capitoli,
dal 1024 ; dei giudiziari, dal 1130; dei legislativi e politici, dal 1159;
deUe lettere, dal 1184 ; dei militari, dal 1260. Anche rAlighieri
ammette che i documenti molto prima dei suoi tempi vi fossero,
dicendo, nei versi sopra citati, che quando si fecero le scalie ddl
Monte alle Croci erano sicuri il quaderno e la doga; ma non
erano molti. In breve, pen'), crebbero, si accumularono, per le
condizioni sempre migliori della civiltà e della cultura, per Io
B^'iluppo progressivo della Città e dello Stato. Cominciarono ad
easer maggiormente richiesti, cercati, esaminati, nell' interesse dei
privati e del pubblico. Quindi il bisogno di conservarli con più
cura, di depositarli, con ordine, in luoghi sicuri, dì disciplinare
con BtabUi prescrizioni il servizio archivistico.
Siamo al secolo XIII. Gli interessi, gli odi, le passioni poli-
tiche e religiose sono continuamente a contrasto. Ma la coltura
giuridica s'è dimolto accresciuta; fiorisce mirabilmente l'istitu-
zione del notariato, che, con la scrupolosa osservanza delle for-
mule, con gli Bti'tìtti principi del giure, si sforza di mantenere il
regno dell'ordine e della legalità. Cresce, quindi, l'importanza
ANTICHI ARCHIVI DI FIRENZE 385
dei documenti. Qua e là s'ordinano, meglio e più stabilmente, le
amministrasdoni pubbliche; i Frati Godenti ricercano documenti,
ordinano archivi, per trovare ed accrescere le garanzie di prospe-
rità e di pace. La nostra Repubblica non è ad alcuno Stato se-
conda. Conserva, con diligenza, i registri di lettere, che altrove
si trascurano; immagina, con le Provvisioni canonizzate, i più
sottili congegni amministrativi a garantire il buon uso del de-
naro pubblico ; provvede alla conservazione dei documenti, e di-
sciplina, con regole giuste, stabili, precise, il servizio larghissimo
e comodissimo delle ricerche e delle copie. Col nuovo secolo noi
vediamo che tutti i documenti della Repubblica si conservano in
due depositi o, archivi principali già ordinati e regolarmente costi-
tuiti ; quello del Palazzo de' Priori, che diremo piuttosto degli atti
legislativi e politici ; e l'altro della Camera, per gli amministrativi e
giudiziari. L' uno e l'altro, logicamente separati e distinti con cri-
teri, che hanno fondamento nella natura delle cose ed esempio in
altre grandi amministrazioni, come la pontificia, in sostanza, ri-
mangono, si può dire, fino ai nostri tempi. Accolgono, col Bor-
ghini e coi due Ammirato, forse i primi, per non parlare del
Petrarca e del Valla, ricercatori delle antiche carte, con criteri
decisamente storici e critici ; vedono sorgere, prossimi a sé, per
opera di Cosimo I, l'importantissimo Archivio Notarile, di Pietro
Leopoldo, l'Archivio Diplomatico ormai ricco di quasi 200 000 per-
gamene risalenti al 726 ; costituiscono finalmente, nel nostro se-
colo, con questi, col Mediceo, e con qualche altro antico archivio,
la parte più nobile del presente Archivio Fiorentino, cosi ben
conosciuto ed ammirato dalle persone colte d' Italia e d' Europa.
Firenze, Demetrio Marzi.
Aneddoti e Varietà
i ^ »«
La Mensa del Priori di Firenze nel secolo XIV.
Tre originali codici ashbumhamiani, il 1214 (1141), il 1216
(1143), ed il 1893 (1796), ci hanno conservate le memorie sulle
quali è compilata questa notiziola : il primo (1) ha gì' Inventari
dell' « ariento, stagno, ottone, coltella, tovagle e altri arnesi » con-
servati nella « camera dell' arme del palagio del popolo di Firenze >,
scritti nell' anno 1361, e in alcuno dei successivi rinnovati fino al
1367 ; gli altri due (2) contengono i registri delle spese per la
Signoria e sua famiglia, particolarmente per la mensa, cominciando
al primo di maggio 1344 fino al 30 aprile dell' anno snooessivo,
cominciando, il terzo, al primo di gennaio del 1477 e continuando
per tutto il febbraio di quell' anno medesimo.
Delle masserizie registrate nel primo Inventario riceve la con-
segna, ai 7 di agosto del 1361, firate Tuccino, converso di Val-
lombrosa, da fi:ate Donato Fancelli converso di Settimo, Camarlingo
della Camera dell' arme ; ricordandosi altro frate Bernardo, com-
pagno, nel camarlingato, a Donato, e un frate Giovanni, spendi-
tore ; il quale alla sua volta (1364, ottobre 17) riceve le consegne:
(1) Ha ce. 18, delle quali solo alcune prime con numerazione antica;
bianche del tutto le ce. 1, 10-18; al solo retto, per intero o parsialinente
bianche, le ce. 6 e 9, e, al solo verso, le altre ce. 4 e 5 : (0,800 X 0,280).
Legat. moderna.
(2) Il secondo ha ce. 195 di numerazione moderna. Le registrazioni
vanno innanzi per ordine di tempo ; salvo che le ce. 9ii-94, chi sa come
mai inserite nella formazione del volume, contengono le « spese ordinarie
« per gennaio e febraio 1458 » non per la mensa, ma in gran parte di
stipendiati, e posteriori di un secolo. È in fog. legato modernamente.
Conta il terzo ce. 47 di numerazione sincrona! più la prima che fu tra-
lasciata: ha frequenti vuoti bianchi, più di frequente al tergo delle carte,
che staccano le spese di un giorno da quelle del successivo: (0,280 X 0,218).
Legat. moderna.
■ jKii le prende [l'òiib, marzo 19) frate Lorenzo Benedetti, anch' egli
I vaUoiubroBflUo, dai frati Donato e Giovanni, questa seconda volta
detti il primo dei Franceschi 1' altro degli Ainti. Una terza con-
segna (1364, giugno I), ma seconda in ordine di tempo, è da frate
C^-mardo Malte! e da frate Lorenzo detto, data a Marsilio, cuoco
(ie' Signori ; e questa registra le sole cose della cucina. Ultime
vengono le note delle masserizie nelle camere dei donzelli o &-
migli ; Giovanni Del Migliore, il Toso, Ventura, Vicchio, Piero,
Biuaco, Giovanni di mona Àimeliua.
Per l' uso dei Signori sì ricordano, e in gran parta servivano
per la mensa, questi argenti : Bacini, grandi, e più piccoli, anche
smaltati ; Cucchiai ; Porchette ; Taglieri, grandi e piccoli ; Col-
t«Ui, più bolli e meno; Saliere, anche smaltate; Salaieri; Scodelle;
Confettiere, ancora smaltate, dorate, e con piedistallo d'argento;
Candelieri, anche smaltati ; Palett* (ricordate iusieiae con i cuc-
chiai); Stagnate; ed un unico Nappo.
Non di argento, ma di ottone, troviamo altri Candelieri, e Ba-
L cìni grandi : di stagno, Fiaschi di quarto, dì mezzo quarto, di
1 metodella; Piattelli; altre Stagnate, grandi o piccole: di ferro,
Piedistalli lavorati, per sorreggere bacini ; Candelieri, anche do-
rati : certameote di rame, una Secchia : di legno sono due Calamai,
oltre le Tavole con i Trespoli per sorreggerle. Di ferro o di rama
gli utensili della cucina.
Formano la biancheria Tovaglie, Tovagliuole e Guardanappe.
Alle quali, insieme con gli altri arredi per la mensa, vien dato
(e non è la nosti'a la sola testimonianza) il nomo di « guardaspensa >
(nn. 41, 80^, « guardaspesa > (nn. 74, 112) fatta la parola come
l'altra, più moderna. Guardaroba; nella formazione in luogo di
rvlta adoperando spesa o gpema, che ci riconducono alla Spesa in
sigoiticato di Ciò che sì compra giornalmente per fame vivande,
e lilla Dispensa nell'altro di Stanza dove si tengono in serbo le
cose da mangiare.
Poche parole bisognano per dichiarare 1' uao di queste maa-
serisie. Le Stagnate (prima che d' argento di stagno, onde ebbero
il nome) servono a dar acqua alle mani (nn. (iSi, W), insieme coi
Bacini mezzani (u. G2): sul grandi Taglieri (nn. 7, 66, 96) reoa-
Tasi in tavola ; sui piccoli (nn. 8, 6^, ElO), sui diciotto Piattelli di
etagno (n. 18), sulle ventiquattro Scodelle d' argento (nn. tì, 103),
IDBtigiaTasi : e per mangiare eranvi dodici Oultelll, con manichi
Aacu. Stor, It,, 5.* Surie. — XX. 'H
d' osso nero (n. 86) per I' uso quotidiano, trentuno con manicfaì
di avorio e € ghiere » d' argento (nn. 85, 86) per i giorni più ao-
lenni ; erauvi Cucchiai quaranta e due Palette (nn. G4, 95), con
questi ricordate, senza che ci aia chiaro come s' adoperassero :
v'erano quarantatre Forchetto di argento (n. 5), delle quali ìl
numero, superiore a quello dei coltelli, quasi uguale a quello delle
scodelle e dei cucchiai, ne fa certi che erano queste le Forcliette
con le quali ciascuno dei commensali mangiava, non i Forchettoni
da prendere di su i grandi taglieri, posti in mezKO alla mensa, il
cibo e recarlo sui piattelli o sui piccoli taglieri, che il commen
sale aveva innanzi a sé : porta dunque il nostro Inventario una
notizia nuova nella controversia (cfr. in nota al n. 6) dell'uso
della forchetta. Non vedesi in che bevessero Ì Priori del se-
colo XIV ; certo non nell' unico Nappo registrato (n. 11), il quale,
appunto perchè unico, mal poteva a tutti servire, e dovrà int«n-
dersi che fosse una specie di bacino : ma forse dei bicchieri non
a! fa menzione, perchè di cristallo, o non di metallo ; conferman-
docelo i Fiaschi di stagno, di più misure, registrati (nn. 16-17).
Delle Confettiere, delle Saliere, dei Salsieri, il nome stesso dice
ciò che in tavola contenessero; ma l'abbondanza, dodici Saliere
(n. 2), e ventiquattro Salsieri (n. 10), fa pensare die di quelle e
certamente di questi ogni commensale avesse il suo. lUamìuavano
le cene e le camere quelli fra i Candelieri, o di ferro (nn. 104, 106),
o di argento (nn. 38, 70), o di ottone (n. 19, 20), ricordati olti«
gli altri, dorati o dì ferro, che servivano per l'altare (nn. lOG-108)
della cappella. Un Piedistallo di ferro lavorato (n. 57) sosteneva
im Bacino grande d'argento, quello per lo abluzioni (n. 110), ed
altri, pur di ferro, aorreggevano Bacini d' ottone, da liioco, io-
nanzi all'altare (n. 109) e nella sala de' Priori (n. 110). Trespoli
di legno sorreggevano le Tavole.
Della cappella, che sappiamo dedicata a S. Bernardo, ricorda
l' Inventario nostro il Bacino detto, e i Candelieri, di ferro, di
ferro dorato (nn. 106-8) ; gli altri sacri arredi conosciamo da altro
Inventario, posteriore d'un secolo, ohe il Gori (1) pubblicò, i
(l) Antijc FaisrESiro Gori, La ToKana lUuttrala nella tua ttoria eom
vatj teetli monumaUi e docujaenti per Vavanti o inedili n mo/lo ran. Polumr f
eOHtoKiile il Prodromo per mfortaatioia itigli UHilion lUUa a\tdetBiia (In Li-
voriiN, a. MDCCLV. Per Antua Santini p Ctmipagni), pp. 211-22. Iiiren-
LA MENSA DEI PRIORI OI FIRENZE NEL SECOLO XIV 339
con altri dello stesso tempo, riferentisi, come il nostro, alla mensa
dei Priori. Ed anche al nostro fa seguito, mutati omai, in processo
di tempo, gli abitatori del palazzo dai Priori del Comune in Co-
simo duca, r Inventario della cucina che a lui preparava le vi-
vande (1). Nella descrizione che di quella medievale fa il nostro
documento ci appariscono notevoli il Letto (che si trova costante-
mente nelle cucine antiche), una Rocca da arrostire caccia (n. 127) ;
e frammisti agli altri utensili culinari quattro « bolzzonettj di
« rame » (n. 145), che, appunto perchè di rame, sono anch' essi
arnesi da cucina, e non Freccio né Strumenti da rompere mura,
come anche la voce significò.
Un Paniere « da pane » (n. 201) è in una delle modeste
camerette dei donzelli, fra loro molto somiglianti nelle povere
masserizie, colle quali si chiude il nostro Inventario. Il quale
come antico documento di lingua non letteraria, si pubblica inte-
gralmente.
Né meno importante, anche per questo rispetto, è il Registro
delle spese fatte per la mensa dei Priori nel 1344 ; troppo grande
volume da essere pubblicato tutto, ma che riassumo come posso.
Vi si tien conto d' ogni minima spesa ; anche di quelle per com-
perare, soldo a soldo, giorno per giorno, le frutta, i legumi, gU
ortaggi : sono mele (« dolci », « rancie », « cotogne », da cuocere)
uva, uve passe, uve « saracinesche », e « da nami » (passe
anche queste perchè comperate di maggio), pere (si distinguono le
•« ghiaccinole », le « bonelle », le « sanicholo », le «. rugine »,
le < sementine », le « pignole », e quelle da cuocere), noci, man-
dorle fresche e secche (comprate anche a ventine e a « mine »),
pinottoli, nocciuole, castagne (comprate anche di maggio), marroni,
castagne secche, « granello di cocomero », aranci, ciliege, susine.
tario della Sagrestia (1458) ; della mensa dei Pi*iori ; della camera del Gronfa-
loniere; del « Tabernacolo dell'Udienza » (1458-76): premesse alcune notizie
della Cappella. Del quadro suir altare di questa cappella dette altre notizie
Gaetaxo Milanesi a p. 15, in nota, nei Documenti inediti riguardanti Lio-
nardo da Vinci (Firenze, (bellini, 1872) ; e della cappella Isidoro Del Lumoo
in più luoghi del suo Dino Compagni; cfr. ivi l'Indice storico.
(1) La prima Reggia di Cosimo I de* Medici nel Palazzo già della Sp-
gnaria di Firenze, descritta ed illustrata coW appoggio d'un Inventario inedito
cUl 1553 e coW aggiunta di molti altri documenti da Cosimo Conti ; Firenze,
Giuseppe Pellae editore, 1898. Cfr. pp. 59, e 209-218.
pesche (comprate anche a più centinaia per volta), meloni, zaU«,
fichi, fichi secchi, fichi « de la maruha *, cedri (< cederni »): sono
ceci, fagiuoli, fave (grosse, « per cuocere », * per lesare >, ■ lesse >,
fresche e secche, e « infrante »), baccelli, groviglioli (« robiglie >),
anche freschi, lupini, < panicale > : sono insalata, erbe, erbett«,
erbe forti, minuto, cavolo, mescolaaza, cipoDe (dette alcune « ma-
« ligie »), aglio, agHetti, « petroseiwoli », porri, radici, « vignnolle »,
viticci, scalogne, piselli (anche detti < pesi »), si distìnguono ì
« prataiuoli » finocchio, zucche, funghi, calcatrepi, ella, salvia,
capperi, navoni, eommaco (a volte detto netto), cardi, raperonzoli,
pastinache, menta, spinaci, erba da latte, ruchetta, cedroli. Con
più di queste erbe e radici a, cam' altri vuole, col sugo loro, com-
ponevasi 1' « erlwlato », che ora trovasi comperato beli' e fatto,
ora preparavasi nelle cucine di palazzo, dandocene il nostro Re-
gistro quali componenti anche le uova e il cacio. Delle uova fa-
cevasi grande uso, ogni giorno, distinguendosi le < fresche > dallo
altre che tali non erano, e rivelandoci le registrazioni delle compre
le pietanze nelle quali erano ingredienti, cioè ì raviuoli, le frit-
telle, le torte, le < tartare ■. Più rarament« delle uova, adoperato
in più delicate vivande, il latte; che pur comperavasi a quarti ; vd
anche nelle « pentole di latte », Non passa invece giorno die non
troviamo il cacio; il più spesso marzolino, cacio fresco, secco, e passo
e cacio < di forma > ; poi < chalorese >, pisano, pistoiese, lucardese,
o « lucardi », cacio « miasinese » parmigiano o « da parma » (detto
anche insieme « di forma »), pecorino, cacione (« chascione »),
caci raviggiuoli, cacio da ciiocere, cacio grasso, caci da raviaoli :
adoperati, chi sa quale di questi, per 1' « erbolato », come si é
detto ; quel < di forma > per la zuppa (< snpa ») ; i freschi,
< per la salata >, per le frittellette; altri per le « tartare ».
Anche ogni di troviamo il pane, registrato, e c«^ dovea ooni-
prarsi, a serque: più di rado la ferina (dacché compravasi il pane),
e più raramente ancora, anzi direi una sola volta in un anno, 1«
cialde : qualche registraKioue ha, con la farina, la pasta ; dette
comperate per i maccheroni ; troviamo le lasagne, e una volta Ib
farina di orzo, e 1' orzo stesso, e il farro. Ogni giorno che vigUis
non fosse comperavasi anche la carne ; raramente U bue, semp»
la vitella e i capretti : di quella, comprata a < peze », e insieme
registrata anche a peso, spesso ricordasi il « ventre » solo, o le
»,am[)<', o gli fl nveri » (poppe) ; dei capretti, a parte, le teste, la
LA MBNSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 341
coratelle, i piedi. Grande contribato alla mensa, anche in estate,
davano le carni suine, fresche, e salate o secche: e di questi ani-
mali, r « arista », la pancia, i piedi o peducci o gambini (anche
di « porcha »), la testa, la « schamerita », il fegato, la milza, il
lombo, la rete, il paracuore, le « busechie », il « dolcie » (sangue
da migliacci), le salcicde e i salcicciuoli : poi il porco salvatico e
il cavriolo, e la lepre, con altra selvaggina ; tordi, stame e star-
noni, allodole, fagiani, pivieri, tortore, qualie, chappi ; e, d' animali
più domestici, le galline, i capponi, i capponcelli, i pollastri, le
« polle », i piccioni, i pavoni, le oche, le anetrelle e anitroccoli,
i paperi. Vediamo comprato il castrone (e anche qui le sole zampe
o piedi, ancora di becco), più che altro per i famigli. tPer cuocere
tali carni adoperavasi l'olio, il lardo, (anche per l'arrosto), lo
strutto, il sugnaccio (di porco) : facevasi fuoco col carbone, con le
legna (comprate a cataste, comprendendo nella registrazione della
spesa anche quella della « recatura »), con i « ceppi » (comprati
a centinaia): oltre il sale adoperavasi la « saletta », che com-
pra vansi a quarti. Non saprei dichiarare le « lingue rinvestite » :
ma dal nostro Registro impariamo che fra le carni tritate per
comporre il « selcio » (qualche volta comprato già fatto) era il
capo di porco; che nella crostata entrava la carne secca; che per
fibre la gelatina (anche comprata a catini e a tegami) si dopera-
rono otto libbre di testa e sei piedi di porco, due zampe e otto
piedi di becco, e due pollastre grasse; che le frittellette frigge-
vansi nel sugnaccio.
Come per le carni, ugual varietà (oltre le uova, i legumi ed
ortaggi già detti) troviamo per i cibi di magro : pesci di mare o
« marini » ; pesci e pesciolini d'Amo, o « amigiani », anguille e
lamprede ; sardelle e serra ; lucci e lasche ; cheppie, carpioni, mug-
gini di mare, « mulete » (triglie) ; ragno, trote e storione ; tonno, ton-
nina e tinche ; pesci « di mazza » : e come questa denominazione
aveva origine dal modo della caccia (1), cosi alcuna altra volta ci
si dice che le anguille erano del lago di Perugia, e i lucci dell' Om-
brone, e che il pesce era venuto da Pisa. Registransi anche pesci
dì mare < cotti », comprati cioè già cucinati. Troviamo « passe » e
(1) Non è ancora disusata : con una mazza di ferro si percuotono i
concavi sassi nel letto del fiume; e i pesci II sotto rifugiatisi nel calore
e nella siccità d' estate, vengono a galla tramortiti.
342 ANEDDOTI E VARIETÀ
« insalate » le anguille ; « insalata » anche la tinca ; e « aroetito >
e « insalato » il muggine. Credo che anche cibi di magro, perchè
comperati in venerdì e registrati insieme con altro pesce, fesaero
V € ossa » e le « lattaie », delle quali più non conosco che il nome.
La cucina medioevale era carica di droghe e di aromi. Ce
ne fanno fede il Libro della Cucina del secolo XIV (1) e le Ri-
cette d' altro consimile libro (2) : manuali colunarii del tempo : ai
quali, contemporaneo commento e illustrazione, ben si accompagna
il nostro Registro di spese per una cucina del 1344. Dove tro-
viamo il gengiovo, (a galle o sodo, pesto, bianco, e forse anche
« cedrinolo »), i garofani ; le noci moscade ; le spezie, specificate
spesso in àolci, forti, « da lampreda », da salsa, tagliate, « cha-
« meline » (3) ; lo zafferano, detto alcuna volta « pesto > ; il
« gruogo » ; gli anaci ; le rose ; 1' acqua rosa ; lo zucchero « ro-
« sato » : poiché con le rose, le viole, i gigli, profìimavasi il vino
e r olio, testimoniandocelo Palladio (4). Oltre che « rosato » si
trova lo zucchero « bianco » e pesto : ed altri dolci sono il « con-
« fette mandriano » ; o il « gengiovo confeto mandriano », e il
« confeto di gengiovo » ; la treggea, « trita », e « bianca » ; gli
anaci, il gengiovo e le noci « confette », cioè confettate ; la cro-
stata ; le composte ; le torte ; le « tartare » ; la pinocchiata ; la
« zuchata » ; il cotognate ; la mostarda ; il savore ; il pane « im-
« pepato » ; i morselletti ; la sapa ; le fanfaluche. E come dal nostro
(1) Libro della Cucina del secolo XTV. Testo di lingua non mai fin qui
stampalo; ed. Zambini; Bologna, 1863. Cur. Letterarie, n. 40.
(2) LVII Ricette d^un Libro di Cucina del buon secolo della lingua; Bo-
logna, Zanichelli, 1890. Ed. S. Morpurgo, per nozze Franchetti-Enriquez.
Non perchè dia precetti, ma perchè la descrive, ricordo qui anche l'In-
ventario dugentistico (1291) di una cucina e di un celliere che il prof. Zdb-
KAUER pubblicò come Appendice quinta alla Vita privata dei Senesi nel
Dugento; Siena, Lazzeri, 1896.
(S) Non le spezie, ma una salsa camellina (« quoddam condimentum »)
descrive il Da Canoe, Gloss. v, Camelotum, dagli « Stat. ann. 1394 ex Liib. 1.
ordinat. super artif. Paris. Cam. Comput. fol. 327. r.o », cosi: « Quiconques
« s'eutremettra de faire sausse appellée cameline, que il la face de bonne
« cannelle, bon gingembre, de bons cloux de girolfe, de bonne graine de
« paradis, de bon pain et de bon vinaigre ».
(4) Cfr. La Cultura e V uno dei fiori in Palladio secondo U volgarizza-
mento di Andrea Lancia. Saggio pubblicato (Firenze, Carnesecchi, 1807)
da Michele Barri per 1q nozze d' D'Ancona-Orvieto.
LA IfBNSA DEa PRIORI DI FIRENZB NEL SECOLO XIV
343
I
. Registro uopariamo che il savore (a volte oompmvasi a mita-
!•) oomponevad di mandorle macinate, di gengiovo e dj agresto
I era il savore bianco), che i tortelietti condivansi con le
[ chameline », cosi sappiamo che nella crostata entravano
la spezie dolci, nella torta, i fanghi, nel biancomangiare il su-
gnaccio, nelle tartare, lo zucchero: il qnale dovette essere ingre-
diente per quasi tutte queste ultime pietanze ricordate, com' era
per la < cedrata > (apparisce nella spesa d'ogni giorno), non pie-
tanza, ma bevanda. Del vino queste sono le specie : bianco, ver-
miglio, greco, tribbiano, vernaccia, la vernacciuola, la verdea, il
vino cotto, il v
(se oon è il no
metadolle ; aìcv
mente a baril;
serviva per l' ii
I di more (se non è medicinale), vino di maggio
del venditore) ; e comperavasi 11 più tipiesai) a
volta a terzi eri ; altra, a mezzette; più rara-
serapre a minuto, giorno per giorno. L'aceto
ilata ; 1' agresto per il savore, che, fatto in casa,
trovasi anche c-omprato a mitadelle, e non aveva zucchero; come
non I' aveva la mostarda, tenuta in alberelli ; né l' aveva la salsa
(se ne comprano anche cinque mitadelle) che dava 11 nome a una
qualità di spezie. Troviamo ì < migliacci » ed un « manicaretto »,
Bonza che apparisca come componevansi.
Altre spese, non di commestibili, ha il nostro Registro. Più
strettamente legate alla mensa quelle per il carbone, comprato a
centinaia di libbre ; per le legna, a cataste, registrando tutto in-
sieme col costo anche la apesa della * recatura » ; per ì « ceppi »
comprati a centinaia e a ■ cariche > : ed anche quelle spese per
utensili da cucina (teglie, orciuoli, mezzine, pentole, < bichieraie »)
o per la tavola (bicchieri, salsiere, taglieri, scodelle, giiastade, bi-
gouciuole * per la salata », * paneruze » forse per tenere il pane):
sappiamo che cinquanta scodelle < d' acero > e cinquanta taglieri
« bianchi di fagio » costarono una volta, dne lire sedici soldi e
qnattro denari, e, altra volta, due lire e diciotto soldi (ce. SS^ ; e 52'),
lie quali altime compero farebbero pensare che gli argenti da ta-
vola registrati nell'Inventario del 13G1 da me più innanzi pub-
IdÌGSto, non fossero ancora stati fatti nel 1344, anno del nostro
Sottro, o che si serbassero jier i giorni solenni, e che usual-
mente ì Priori mangiassero in scodelle e taglieri di legno: certo
é, s' usassero dì legno o d'argento, ch'alcuna volta non s'avevano
bastanti al bisogno, onde troviamo la spesa per il < presto » o
prestatura » di buon nomerò di scodelle e taglieri, col < mendo »
344 ANEDDOTI E VARIETÀ
di ciò che s' era guastato o perduto. Anche si prendono in prestito
tovaglia, tovagliuoli e guardanappe. Né sempre era fornita quanto
bisognasse la cucina : per la quale si prendono in prestito pentole
e spedoni, teglie, bigoncie, zane, cuochi e fanti ; spendendosi in
due cuochi, per otto di, otto lire ; in tre fanti da cucina, anche
per otto di, quattro lire e dieci soldi ; in tre portatori per un sol
giorno, quattro lire e dieci soldi.
Curiose piccole spese sono : due soldi e quattro denari « per
« conciatura una bigoncia che istà al pozo » ; un soldo e due de-
nari per accomodare altra bigoncia ; un soldo per un « cholatoio
« da ranno » ; turaccioli da fiaschi, che diconsi di cuoio, un soldo
V uno, e anche meno ; altri pochi soldi per comperar fiaschi di
vetro (si distinguono, secondo la tenuta, di quarto, di mitadella)
per accomodarne corregge e « case » ; due soldi e quattro de-
nari per una « chatena da lavare fiaschi » ; due altri soldi per
una « chorbella da la spazatura » ; tre, per una « zanellina ma-
« nichuta » : e sempre spese di soldi, per granate, stagnate, pic-
coli stacci (« staccinoli »), bullette, teglie, tegliuzze, orciuoli da
acqua, e « istrambe » : ma più d' un fiorino d' oro costarono due
mescirobe (e. 163^), che dovettero esser belle. Troviamo la spesa
per la paglia delle lettiere, per acconciare e recar letti e per por-
tarli « suso » ; per gabelle di vettovaglie, raramente registrate ;
sette soldi per quattro gatte ; dieci soldi di mancia a chi « rechò
« le pesche da Pogibonzi » ; altra simile ai trombatori del Capi-
tano della guardia (1); ed altre, per la festa dell'Annunziata, ad
alcuni famigli ; e per loro la spesa delle scarpette, delle « fodere »
e guamelli. Dieci soldi dati al « fanciullo (sic) che fece tarstulo (sic)
« co'bichieri » (e. 27^^) ci voglion forse indicare qualche giuoco
per passatempo dei Priori ; come forse ci nascondono elemosine, in
oscure registrazioni, due lire e quindici soldi « per v brighate di
« chonpangnie di fanciulle » (e. 192), e dieci soldi « per le fan-
« ciuUe de la chonpangnia » (e. 195). Ritorniamo più propria-
mente alla mensa con V arrotatura dei coltelli da tavola, con la
lavatura, insieme con altri panni, delle tovaglie ; le registrazioni
delle quali spese, « per arotatura le coltela », « per panni lava-
ci) Per questo particolare cfr. I Suonatori della Signoria di Firenze,
Saggio di Giuseppe Zippel*, Trento, Lit. Tip. Giov. Zippel edit., 1892.
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 345
« tura », rìoordano, nella dizione, consimili registrazioni di spese
nei conti mercantili del secolo XIII.
Alla cura della salute dei Priori di quest' anno 1344 spettano
le < cose d' uno cristeio » e più « cristei » comperati (non infre-
quentemente troviamo la spesa anche per recipienti che con quelli
hanno stretta attinenza); il ricordo che fu pagato lo speziale;
un' ampolla da giulebbe ; un unguento (« unquento ») ; una « me-
« dicina », senz' altro ; due pippioni « per medicina » ; il « ma-
« strice » e r « olio di mastrice », che credo adoperato quale
medicinale, come V « olio di scarpione » : più, la sena, lo sciroppo
« di bisanti », i « datteri di chassia », 1' « otriaca », i « peniti »,
il « drieghante », il vino di more (se medicinale era), un « croccio »
(gruccia), comprato otto soldi, per un messer Orlando, le medicine
per lo 4c scicche », e sovente altre medicine per un ser Michele,
o per il piede di un tal Oiovannì : ed un « sacucio da stomacho »,
che ci rimane presso che incognito. Alla toelette appartengono il
sapone ; i catinuzzi da lavare il capo ; due « ispugnie da piedi »,
pagate un soldo solo ; e un soldo e otto denari ci vollero per
« richonciare » un bacino del barbiere. A questa categoria di
spese appartiene forse anche 1' amido ; certamente, gli specchi e
le catinelle. Troviamo queste di prezzi diversi, e sempre di terra
cotta, mentre sempre di metallo erano i bacini : una di tali ca-
tinelle fri dunque pagata un soldo e quattro denari ; altra, « inue-
« triata », sette denari ; due, parimente « inuetriate », un soldo
e due denari : e cosi meno variamente pagati gli specchi ; due,
due soldi e sei denari ; altri due, quattro soldi ; due soldi uno
specchio solo ; e quattro soldi un altro, ma questo era « da mano » :
non si dice mai se erano specchi di vetro o metallici.
Quotidiane elemosine di pane, cacio, pesce, uova, ed anche
dolci, facevano i Priori a qualche monastero; raramente vediamo
dati ai poveri denari ; spesso il pane (del costo di tre denari Tuno)
e alcuna volta anche ai prigioni : quattro soldi valsero le candele,
certamente di cera, date in un' offerta a San Gallo ; ma di sevo
erano senza dubbio quelle usate in palazzo, ricorrendo spesso com-
perate ; ed anche, più raramente, l'olio per le lampade della cap-
pella, e l' incenso : una « lanpana », fornita di catenelle, costò tre
soldi e sei denari. Alcuna cosa di queste comperate andava fuori,
oltre le elemosine, e notasi a chi, o era in particolare per alcuno
dei Priori, del quale dicesi il nome, o dichiarasi che era in oc-
846 ANEDDOTI B VARIETÀ
casione degli squittinì o che serviva ad alcuno dei Collegi: si
prende nota che dettesi mangiare agli ambasciatori lombardi, ai
rettori e al vescovo di Firenze (e. l^l»^); che il vescovo degli
Ubertini fu a cena dai Signori, e a desinare ancora, insieme col
conte Simone (e. 131>') ; che una tinca era stata comprata per la
&miglia del vescovo di Cesena (e. ITl^^); che s'accattarono ta-
glieri, scodelle, e altre cose, per il pranzo che si fece ai Dodìd e
ai Gonfalonieri (e. 191^). Assai sovente si diatiiigae nelle registra-
zioni, ciò che adoperavasi nel pasto della mattina da ciò che era
per r altro della sera : e i prezzi e i pesi che sempre accompa-
gnano le compere, d&nno al nostro Registro importanza non pic-
cola per gli studi economici, come dai nomi e dai soprannomi, che
sempre si ricordano, dei venditori (fra i quali frequenti sono le
donne), altra gliene viene per l'onomastica del secolo XIV. Le
registrazioni si seguono in ogni pagina, che vuol dire in ogni
giorno, con una certa uniformità ; cominciano con quelle del pane
e finiscono col vino ; ultima viene la somma, che, d'ordinario, non
passa, nel nostro Registro, le venti lire al giorno, e a fin di mese è
la somma delle somme d' ogni di del mese, con qualche altro con-
teggio, e col ricordo di dove era venuto il denaro per le spese (1).
Meno importante del fin qui riassunto, perchè più recente
documento di lingua ed anche per le più moderne notizie conser-
vateci, è l'altro Manoscritto ashbumhamiano (1893-1796), l'altro
Registro delle spese per la mensa dei Priori di Firenze, che fin
da principio ho raggruppato all' Inventario delle masserizie in
quella mensa medesima adoperate. In questo secondo Registro
(genn.-febb. 1477), poco meno che d' un secolo e mezzo poste-
riore, le registrazioni delle spese si riferiscono quasi sempre alle
polizze dello Spenditore e del Canovaio, che più appagherebbero
la nostra curiosità con la descrizione d' ogni e più piccola cosa
comperata. Da tale innovazione amministrativa viene la minor
copia di registrazioni in questo secondo documento : pur vi tro-
viamo il pane, il vino (tribbiano per i Priori, vermiglio per la
famiglia, e, per questa, una volta anche bianco), comprato a mi-
nuto, in fiaschi ; la farina, ma non sovente quanto le confezioni.
(1) Si tien rioordo di quando alcuno cominciava a somministrare vet-
tovaglie alla mensa; di un tal Mone, fornitore di vino, dioesi « comincia
« questo dì a dare a taglia » (e. 84*) ; non pagato, cioè, giorno per giorno.
U MENSA DSI PaiOBI DI FIBEKZB NBL SECOLO XIV
quanto lo Eucchero, e ìe apezierìe, ossia zafferano e cannella, sa-
vore e mandorle ; e tanto meno quanto i cialdoni, che ricorroao
spesso e comperati quasi sempre (né saprei dir la ragione) in nu-
mero di DovanUtquattro per volta. In due mesi v' è una sola
< torta mariapane *; più compre di cataste di legna grosse, per
le qnali registrasi anche la spesa della < tiratura > o per farle
« tirare su », rivelandoci questo che la cucina fosse nel palazzo
in sito. Singolare la mancanza, fra queste provviste di mensa,
della carne, che forse i cuochi comperavano, e registjavano in
altro libro diverso dal presenta. Invece ai ricordano i bicchieri,
cioè {>artite di bicchieri pagate a. Bartolomeo di Nìcolaio < bichic-
« raio »; altra a Francesco di Vincenzio orafo * per fare i col-
< tallinj >; altre, a lui stesso, tacendosi per quali lavori. Una
spesa « per sapone » rimborsata a Francesco di Michele, barbiere
dsUn Signoria (I), segnata ira quest'altre, spetta meno alla meuea
di quella rifatta al « curandaio > Domenico d'Antonio < per ìm-
« biancbai'e i panuj upartenentj alla mensa della Signoria », e
d' altra a Domenico <li Masino < zanaiuolo ». Sappiamo da questo
^ 3l«^Btru che lo spendìtore Miniato di Piero ebbe, nel bimestre
I gennaio e febbraio, trentadue lire di suo salario, e dieci Io « za-
I « nainolo », detto, ed otto Stefano da Roma e Francesco da Poppi
I « guardie alla porta del palagio » ; ventitre e dieci soldi Angolo
I « campanaio » ed altri, compresa la tiratura detta, di certe ca-
Ltaste di legna grosse.
(1) Qoalclie spesa per la toeletta vedemmo (p. SUI)) ancora nel jiiù antico
I Se^tro. Alcune notizie, un po' scarse a dir veni, sitila Toilette dei Goeer-
W-naCun diUa Sepahbliea di Siena net aecoìo XV sono uelU Mìacell. SU»; Se-
t, IV (1896), IK, 186. Negli Inventori delle sii ppel letti li del palasiTO dfì
LPrìori di Firenze, ohe or ora prenderemo in esame, Bpparìscono oonar-'
Iguati al barbiere della tjigiiotia; < duu bacini grandj d'arìento per la-
■ VBTVJ il capo. Una sechia d' oriento [ler lavare il eapo, col mauioho e
l.« cliateua d' oriento, con sue aportenenie. Una Miscirobn col boohuccio,
W* d' arienlo tutta, per dar !' aqua al viso > (II, e. S8*,i. Dicendosi in altre
Imgistruioni clie la ■ mÌBcìtoia •, o Mesuiroba, era • daronnoi; che era
■ con boocba •; che il baibìere aveva in consegna ■ ogni altra cosa a
Wm uao ili àotta boi'ljeria • (IT, e. 73'. 0&}. E non percb^ la Signoria di
fitVRto o quella di Siena ne facessero uso, ma percliè si riferiscono alln
tnatvria, richiameremo qui il Rìetltario Galante del principio del secolo XVI
kUIo (Bologutt, 186S) per cuia di Ousuo Guekrini, nello CuriotiUi
.. 19C..
ANEDDOTI H YARISTÀ
In questo Regiatro quattrocentistico delle spese, che ho ti
sunto e non pubblico, le pagine son tatte targate, perchè
(«ggiate e liquidato. Neil' Inventario, più antico e messo qui in
luce, le registrazioni dell' < ariento, stagno, ottone ec. » aon pre-
cedute da punti, crocette, lettere; segni dei riscontri fatti. In
questo ho sostituita una progressiva numerazione per comodo
della pubblicazione.
Dei due argomenti, delle suppellettili e delle spese per la
mensa della Signoria di Firenze, più altre notizie abbiamo, conio
Ognuno facilmente s' imagìna, dalle cart* del R. Archivio di Stato
fiorentino. Dove sono tuttora, comprendenti ciascuno un sol bi-
mestre, ben trecento quarantuuo volumi, delle spese per la mi^usa.
da! marno-aprile 1385 (cominciando qnarant' anni dopo al Registro
ashbumhamiano), proseguendo, con piccole lacune, tino al bimestre
marzo-aprile 1531-32: onde puù vedersi, chi n'abbia vaghezisa,
tutto ciò che giorno per giorno, in questo non breve tratto di
tempo, fu imbandito ai Priori di Firenze, e quanto oostó {!). &fa
senza fare di tali Registri nn minuto esame, che troppo lungo
sarebbe, dirò come tutti si aprono coi nomi dei Priori in ufficio,
con la dichiarazione dei denari ricevuti per le speso d^I bimestre,
e si chiudono con le somme, con le mancie di buona andata, con
la vidimazione d'uno dei Priori e del loro Proposto. I quali vi-
dimano anche, giorno per giorno, la spesa per la mensa, in ogni
pagina, dove, in ultimo luogo, si fa ricordo del vino dato in dono
agli ambasciatori presenti in Firenze.
Uguale continuità [«r anni molti, ma cominciando un po'pìjk
tardi, troviamo nell'Archivio di Stato, fra le stesse Carte di cor-
redo della Signoria, negli Inventari degli argenti della mensa dei
Priori. Furono i Priori del settembre e ottobre 142il che delibe-
rarono, senza richiamarsi » compilazioni più antiche, che si scH-
veasG 1' Inventario (e quello che ora pubblico è del I3(j2) degli
argenti del Comune ; facendo obbligo del riscontro n tutte le Si-
gnorie successive : onde, fino al 1479, si formarono due volami
(1429-1457; 1468-1479) tra attestazioni del notare della SignOTia
(I) Per portare qualcbp numero
fiorini nel bien. marzo-aprile 139lj-^'
marKo-sprìk 1899-n'JO, fi<MÌnì 48t.
a ci&e tonde, 1« i
. VSM, fiorini 7%|b
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 319
di risoontri fatti, e tra Inventari scritti di nuovo (1). Quello primo
della serie, del 1429, comincia dagli arredi della cappella, conse-
gnati a Salvestro di Salimbene, un de' frati di Palazzo, detti poi
in questi documenti, frati « del suggello », perchè ¥ avevano in
guardia ; e prosegue con gli altri della « guardaspensa », data in
custodia a Corrado di Piero « della magna, campanaio e guarda-
« spensiere de' signori, excepto detto ariento del Barbiere » ; ri- '
correndo sempre in questi Inventari], come in quello che pubblico,
la voce « guardaspensa » e guardispensa » e le dizioni « guar-
« diano della guardaspensa », « guardaspensiere », « governatore
« della guardaspensa » per indicare l'ufficio di Corrado (2).
Confrontando fra loro tali descrizioni, avremmo come la storia
dei preziosi utensili della Signoria (3) ; ma questo non farò io, pago
di pubblicare e d' illustrare la più antica di tutte. In quella vece
da tutte tirerò fuori quelle poche notizie che non sono d' utensili,
qui frammiste, e alcuna, forse, sconosciuta.
Pulita, nel 1432, dal fumo degli incensi la tavola dell' altare
della cappella di. S. Bernardo, si trovò che era stata dipinta
« nel 1335 per maestro Bernardo dipintore, il quale fu discepolo
« di Giotto » : e a questa tavola e fornita e messa di nuovo,
« prima tutto il suo fogliame d' oro fine, agiunsono, per ghuardia
« di detta tavola, uno velo sottile di nuovo, con drappo rosso
« d' atomo. E ancora uno bellissimo tabernacolo a oro fine, di
« legname, nuovo, fornito con stelle d' oro fine e in campo di fine
« azurro oltramarino. Con una cortina di bocchaccino azurro, tutta
« dipinta a stelle gialle, con fregio trafogliato d' atomo alla detta
(1) Ambedue questi volumi sono membranacei ; il primo di ce. 92, il
secondo di ce. 95. Nelle guardie anteriori di questo secondo il P. Lorenzo
Maria Mariani, Custode delP Archivio Segreto di S. A. B. lasciò ricordo
che fu donato a detto Archivio dall'Abate Pier Andrea Andreini ai 16 di
maggio del 1729. E- da questo secondo voi. dell'Inventario pubblicò un
saggio il Gh>Ri nella To$cana lUiuirata : cfr. più innanzi, in nota al n. 111.
(2) Anche nei Begistri di spese qui sopra ricordati ricorre la voce
« guardaspensa ».
(8) Non perchè abbia molta importanza, ma perchè si riferisce alPar-
gomento, dirò che nel Ms. ashbumhamiano 1220 (1147), e. 104 >, è, senza
data, ma di mano quattrocentistica, un breve « Inventario dell' ariento di
« palagio »: e, in fine, seguono alcune spese domandate dagli Ufficiali
del mare.
350 ANEDDOTI E VARIETÀ
« cortina, per conservazione e guardia del detto tabernacolo e
« tavola dipinta » (I, ce. 6^ e 1^) : soggiungendosi poco appresso
che allora furono puliti e ristorati « la tavola, predella e capello »
deir altare (I, e. 1^). Nel 1437 si registra un dono di papa Eu-
genio IV alla Signoria : « Una spada con guaina d'ariento dorata,
« con rose smaltate, col pome di cristallo. Uno Chappello di Be-
€ vero lungo, foderato d' ermellinj con una colomba e due bottoni
€ di perle » (I, e. 15^): e dell'ingresso di questo pontefice in
Firenze (1438), del patriarca di Costantinopoli, e dell'imperatore
Paleologo, si fa ricordo (I, e. 21''). Martino V dona la rosa d'oro
(I, e. 71^) ed altra lo stesso Eugenio (II, e. 5^).
Si aggiungono nel 1432 all' Inventario nove « privilegi »
ossia diplomi : « nove privilegi bollati doro i qualj, la maggior
€ parte, sono di Carlo quarto, e due di cera, chontinenti più chose,
« confinj, ricognitionj di censi. I detti privilegi sono appresso a
« messer lo gonfaloniere della Justitia in una chassetta nella sua
« Camera » (I, e. 8^). I quali nove diplomi imperiali, dicendoli
riposti € nel tabernacolo de l' audienza » dentro ad una < chas-
« setta », meglio si descrivono poco appresso, all' anno 1439, cosi :
quattro di Federico (1162, 1165, 1220, 1221), due di Carlo IV (1355),
uno di Arrigo (1121), due di Lodovico IV (1328) : e per tutti
soggiungesi : « tucti i detti privilegij furono concedutj a' pisani »
(I, e. 23^). Segue la nota dei « privilegi » concessi alla Signoria
del Paleologo nell' agosto del 1439, essendo egli in Firenze : e di
nuovo una più completa nota, che ne ha diciannove, di questi do-
cumenti, raccolti tutti in « camera di messer lo gon&loniere in
€ una chassetta, la quale sta in uno chassone grande in detta
4c camera » (I, e. 25*") (1) ; e crescono ancora, con qualche bolla
papale, in registrazioni posteriori (I, e. 33^). Qui appariscono per
la prima volta registrati (I, e. 34^) pennoni, gonfaloni e bandiere ;
(1) I decreti e documenti del Concilio Fiorentino, e la cassetta di ar-
gento che li conteneva, sono oggi nella Laurenziaua. Cfr. Lea Souvemrt
du Concile de Florence par le B.on Cabra De Vaux ; Paris, Firmin Didot,
et C.'«, 1897. Extrait de la Eevue de VOrient Chrélien, Fra le descrizioni
della cassetta date nell'Inventario questa (I, e. 26r) riferisco: « Una cas-
« setta d'ariento di lunghezza braccio uno o circa, d'ariento smaltato,
« dorata in parte, coli' arme dello cristianissimo in christo padre e del
« Beverendo padre e signore cardinale, cogli infrascritti decreti santioni
« et privilegi de' quali appresso si dir& ».
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 351
alcune dette tolte al Piccinino quando fu tra Anghiarì e Borgo
S. Sepolcro. Ma già in Inventarii di qualche anno anteriori è una
cassetta di argento lunga un braccio, o circa, con sopra gli stemmi
papali e della chiesa, contenente i decreti del Concilio Fiorentino:
decreti di « unione », come qui son chiamati, dei, « greci ermini
« e iacopini » (I, e. 26^) : e fin dalla più antica nota dei diplomi
imperiali, quando erano nove soli, nella cassetta nel € tabernacolo
< de V audienza », regìstransi, primi fra questi, « due libri di
« legge antichi, chiamansi le pandette » (I, e. 23^) : più enfati-
camente chiamate poi « dua librj antichi delle sacratissime leggi
€ Imperiali, cioè le originali, che si chiamano le pandette »
(I, e. 4(K). Di questi volumi tenevasi, e tennesi poi nel tempo
avvenire, cura gelosa, secondo una tradizione che non è qui il
luogo d' esaminare, per non invadere il campo altrui ; ma debbo
io riferire come nelV ottobre del 1445, attestando i Priori d'aver
trovato, nel riscontro delle suppellettili del Comune, ogni cosa
ben conservata e al luogo suo, soggiungono : « solo queste cose
< variate ; che dove le pandette erano sciolte e Y assi spezzate e
€ rotte ; parendo a' detti Magnifici signori essere poche honore di
« tale magnifica signoria, e pocha stima delle sacratissime leggi ;
« ad onore de' detti magnifici signori e di tucto il popolo fioren-
€ tino, et a riverentia delle dette sacratissime leggi ; le dette
€ Pandette feciono rilegare e fare uno paio di bellissime assi co-
« vertate di velluto chirmusi (sic) con quadri e affibbiatoi e altri
< bellissimi smalti d' ariento dorati ; nella quale opera dispese (sic)
« circha a fiorini ciento venti » pesando V argento dell' ornamento
« libre sette et oncie due » (I, e. 45^-') : né è senza significato
che la deliberazione fosse presa e la nuova splendida legatura
fatta, essendo Gonfaloniere della Giustizia Cosimo di Giovanni di
Bicci de' Medici. Non richercherò io quando ai due codici furon
tolti gli argentei ornamenti, e neppure se 1' odierna legatura loro
sia quella del 1445 ; non volendo sfiorare ricerche e investigazioni
che, proemiando alla prossima riproduzione in fac^-simUe, un dotto
e caro amico mio farà (e ninno potrebbe meglio di lui), tessendo
la storia dei codici delle Pandette: ma condotto dal mio assunto
di rilevare le più notevoli cose registrate nell' antico Inventario
delle suppellettili del Comune di Firenze, non posso tacere che
quindi innanzi, fino al 1479, quando si chiude, le Pandette son
sempre due volumi « covertati di velluto et fomiti tutti d' ariento »
352 ANEDDOTI E VARIETÀ
(II, c. 5^) ; come pur fornito tutto d' argento e di perle, qui re-
gistrato subito dopo, era un Evangelistario greco.
Risalendo un po' indietro, fino all'anno 1438, si & nell'In-
ventario ricordo come ai 6 di febbraio « lo eximio et famoso
« huomo messer Lionardo Brunj aretino, cittadino fiorentino, Gan-
« celliere della signoria, donò et presentò a' detti signorj uno vo-
€ lume di tre librj della storia principiata per luj de'f&ttj della
€ nostra città: sono consequentj a sei altri librj per luj donati
« alla signoria già sono più annj, disponentj di simile opera e
€ materia » (I, e. 21^) : e all' anno 1444, framezzo ad arredi della
cappella, troviamo « uno libro della storia di messer Lionardo,
« composto per messer Lionardo, cioè il secondo; e appresso a ser
« Filippo notare delle riformagioni. Il primo si dice ebbe papa
« Eugenio » (I, e. 33^). E con più piena registrazione, all' anno 1444
(settembre) : « Item, si truovano appresso allo egregio dottore mes-
« ser Filippo Balducci, uficiale delle riformagioni, due volumj, che
« 1' uno contiene sei librj, 1' altro tre librj, facti per lo eximio e
« famoso poeta messer Lionardo di Francesco Brunj d'Arezo
« cictadino fiorentino, istoriografì de' facti della nostra cictà di
« Firenze » (I, e. 40^): e due volumi, tornato anche quello che
aveva avuto papa Eugenio, il primo con sei libri, il secondo con
tre soli, € de' facti della magnifica città fiorentina », composti
« per lo famoso istoriografo et oratore Messer Lionardo di Fran-
« ciesco Bruni aretino. Cittadino fiorentino » (I, e. 45^), sono nella
registrazione seguente e nelle successive, questi due codici delle
Storie del Bruni, sempre raccomandati in guardia a ser Filippo
Balducci, notare delle Kiformagioni. Al quale e ad ogni altro, forse
ammaestrati da qualche pericolo eh' ebbe a correre quello prestato
al pontefice, erasi fatto divieto di portar fuori di palazzo questi
manoscritti (1) ; e il divieto era venuto ancora prima che aggiun-
gendone tre si compisse di sei libri anche la seconda parte della
Storia del Bruni ; del compimento restando (per l' esemplare con-
(1) La deliberazione è delP ottobre 1444: « Quod dieta duo volomina
« librorum composi ter um per eximium et famosam poetam dominum Leo-
« nardum Francisci Bruni, posita sapra in Inventario existente in archi-
« vio Beformationum penes officialem Beformationum non possint extrahi
« de palatìo sìne licentia dominorum. Obtento partito per octo fabas ni>
« gras. Sub pena contrafacienti indignationis et arbitrij dictorum domi-
« norum » (I, e. 41').
LA MENSA DEI PBIOBI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 853
servato in palazsso), cosi memoria nell' Inventario che esaminiamo :
< El volume che conteneva e' tre libri delle storie fiorentine com-
< pilate per detto messer Lionardo el raccomandate insieme con
< r altro volume di dette storie al sopradetto messer Filippo, come
« appare nello inventario soprascritto, a e. 59, fd detto di presen-
« tato dinanzi a' prefati magnifici signori, con .agiunta in esso di
« tre altri librj di dette storie compilate per detto messer Lio-
< nardo, et in detto volume dapoi transcritte e poste di mano di
€ ser Giovanni di Piero da Stia, notare fiorentino, in fi:a '1 ter-
< mine (?) allui assegnato nella petitione della sua habilità »
(I, e. 61^). Quando questo ricordo scrivevasi (luglio 1449), il Bruni
era già morto da cinque anni : ma com' egli aveva condotta la sua
Storia fino a dodici libri, cosi ser Giovanni aveva finito di tra-
scriverla tutta, in due volumi (sei libri per ciascheduno), che ri-
troviamo nei Codici 3 e 4 del Pluteo LXV nella Laurenziana ; dei
quali il secondo è quello cui riferiscesi il ricordo del 1449 sopra
rifdrito, ed ha infine la sottoscrizione « Johannes Petri de Stia, no-
< tarìus florentinus scripsit anno Domini MCCGCXL Villi » (1) ;
cioè, possiamo aggiungere noi, dopo del luglio di quest'anno.
In un posteriore (1449, marzo) riscontro dell'Inventario que-
ste Storie sono già « due volumi che l'uno contiene sei libri e
« 1' altro anche sei libri | disponenti diverse materie, per lo esimio
« e famoso e eloquentissimo poeta Messer Lionardo di Francesco
« Bruni d'Arezo, cittadino fiorentino, Maximo storiografo de' fatti
« della nostra città di Firenze » (I, e. 65^); e cosi, ricorrono,
spesso in altre registrazioni, alle quali poco gioverebbe andar dietro,
raccogliendole. D' una, anche più tarda, che le ha in una mede-
sima pagina con le Pandette con la Rosa donata alla Signoria da
Martino V, con i diplomi imperiali, coi decreti del Concilio, ter-
remo conto ; non per queste cose già tante altre volte descritte e
registrate, ma perchè qui (1458), nel margine inferiore della pa-
gina, una mano diversa da quella del notare della Signoria che
qui scriveva, aggiunse all'Inventario: « Uno libretto piccolO| in
« rime, continente le magnificientie di Firenze, el quale donò uno
« schudiere del duca di Melano a MM S.'^ al tempo di luglo (^e)
(1) Cfir. Bandini, Coiai, Codd. Lai,, U, 729. Ambedue questi CMd. sono
membranacei) in fog., un po' più piooolo il secondo del primo; con ÌDixiali a
oro e oalori, con i titx>li dei libri in rosso: « nitidissimus » l'uno e l'altro.
Aboh. Stob. It., 6.» Serie. — XX. 28
« et d'agosto 1464 » (1). Alle quali MagnificienUe, senza volere dar
nel segno, riavvicineremo di Antonio Pucci il Capitolo in temne
della Bellezze di Firenze, ultimo del suo Cenliloquto, eie, di qui
staccato e Bolo ed anche unito a cose d' altri, fu già a stampa
nel secolo decimoquinto (2) ; o le Bellezze et chasati di Firenze
celebrati, in ottava rima, da un Bernardino fiorentino (3); o l'ano-
nima Opera nuova delle Bellezze e Grandezze delta città di Fi-
renze narrate da un Forestiero a' suoi amici essendo ritornato a
casa sita, in ventotto strofe di canzone d' otto versi ciascuna, da
cantarsi < in su l'aria di Gate • (4); oppure il terzo fra i Ca-
pitoli {« come ]' ambitione narra le laudi della città di Firenze »)
che ser Bastiano Foresi premette al suo Libro cliìamato ambi-
tione (5) : non perù a quelle riavvi cinaremo, perchè tarda troppe,
La Ziode della città di Firenze, poemetto in otbive del cinque-
centista 3IeDÌcuccio Rossi da Montegranaro (G).
Ma riaccostiamoci ormai alla mensa dei Priori ; ahii già troppo
lunga introduzione è questa all' Inventario degli argenti nel 1361
su quella mensa adoperati : ed È di tali argenti il piA antico In-
ventario iin qui conosciuto.
Firenze. Curzio Mazzi. I
(1) SuowBaive regiatrazioni sono questo : [1458] « Unu libro d
< fiorentine composto per measer Liocordo d'Areno, coyprtato di v
■ cogli affibbiato! à' oriento, di leotera oonpoeta. Due volumi d
■ storie legati e covertati di chuoio, apresso al cancelliere et alluì f
• racomandati ». [I*j9] ■ j° libro grande con la storia fiorentina, e
• ranj d'ariento. j' libro picbolo delle belleze di t^renee ■
Pare che nel 1453 due fossero gli esemplari delle Storie i
coperto di velluto, altro in due volumi coperto di cuoio.
(2) Cfr. MoHEMi, Bibliografia, II, 216.
(8) (!fr. Bbumet, Manne}, I, 7.J0, die n'ha una stumpa s. I. i
<4) Una stampa (Firenze, alla Condotta, a. a.) ^ nella Nat
Firenze, altra (In Lucca, per Filippo Maria Beuedini, a. a.) i
MonBHt, ed altia (Lucca, Bertiui, 132!l) è presso il Prof. T>'A
gentilmente m' ha favorite alcane di queste notizie.
(5) Esiste in Biccardiana, in una stampa senza note tipe
ha questo titolo: LAro chiamato avJtUioKe camp
notaio fioreniino al Magniftco Loraaa dt'Mtdià; «ti quote n d
Bepli deità agriaiUura Éérxndo la georgica di Virgilio. Tutto in te
(6) Da una vecchia stampa (Fiorenaa, a' 18 di Giugno 15J9) fi
cata a Femio nel 1S87, per cura del marchese Filippo HalTaelli, dedio)
Comunp di Montegranaro a Firenae, celebrandosi il ci
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 855
Doeamenti.
[e 2^]. In Christi nomine. Amen. Questo è uno quaderno nel
quale sono scripti ariento, stagno, ottone, coltella, tovagle e altri
arnesi, j quali frate Tuccino converso di Valembrosa ricevette
e confessò d^ avere in guardia da frate Donato Fancellj, con-
verso, di Septimo, camarlingo della camera dell'arme del pa-
lagio del popolo di Firen9e, dando per lo comune di Firen9e,
in presenta di me Angnolo di Bandino da Sangoden90, notaro
della detta camera dell'arme, e di Giovannj Mac^ieri, e di Fran-
cescho di Domeniche quocho di signori priori, di septe del mese
d'ogosto (jsic) MGOClxj, xiiij Inditione. Le quali cose infrascritte
el detto frate Donato ricevette da frate Giovannj spenditore
della quantità delle cose che alli:g avia assegnate:
saliere d'ariento, smaltate, dodici xij
bacino d'ariento, grande, uno j
bacini d'ariento, minori, tre iij
5. forchette d'ariento, quarantatre zli^
chucchiai d'ariento, quaranta xl
1. Dando, Frate Donato Fancelli dando, per il Comune di Firemee, la
consegna a frate Tuccino, in presenza eo. Di ngnori Priori, Dei signori
Priori. Bicorre il di per dei anche altre volte nel nostro documento: « e di
« comandamento di sopradetti frati » (n. 88); « in presen9a di testemonj
« sopradettj » (n. 84); « ricordanza ohe di vij fiaschi di stagno sene
« disfece uno » (n. 58).
8. Biiciìio, Per lavare le mani: poi gU si fece (n. 68) un Piedistallo
di ferro lavorato.
5. Forchette, In molti Inventari medioevali è incerto se per le For»
chette debbano intendersi ciò ohe anche oggi cosi chiamiamo o non piut-
tosto i Forchettoni: e il dubbio, ohe nasce dal loro scarso numero in pro-
porzione dei Cucchiai e dei Coltelli, è confermato dalle testimonianze degli
scrittori ohe dicono assai tardi cominciato V uso della Forchetta (cfr. di
Giacomo Lumbboso, nelle Memorie italiane del buon tempo antico; Torino,
Loescher, 1889 ; il cap. YÌH della parte prima, Dal mangiar colle dita al
mangiar colla forchetta; e, negli Atti dei Lincei, ci. di Se. mor. ec., serie
terza, voi. X, pp. 141-148, La Forchetta da tavola ut Europa, Cfr. anche
E. Mahciiii, Gaetronomia erudita nel FanfuUa della Domenica, XI, 18; e C.
Mbkkbl, Tre Corredi mHaneai del secolo XV iUuetrati; Boll, deWIdU, 8tor.
Ital,, n. 18 ; pp. 88 e 88). Neil' Inventario nostro quella sproporzione non
esiste ed è chiaro che qui si registrano Forchette, non Forchettoni.
33G ANEDDOTI E VARIETÀ
taglieri grandi d' ariento, tre ììj
taglieri d'ariento, piccbolj, tre iij
schodelle d'ariento, ventiquatro xxiiij
10. salsieri d'ariento, ventiquatro zxiiij
nappo d'ariento, uno j
confectiere d'ariento, smaltate, due ij
stagnate d'ariento, due ^
confectiera d'ariento orata, col piedistallo d'ariento,
smaltata, una j
16. [e. 2^]. fiaschi di stagno di quarto, septe vij
fiaschi di mec90 quarto, di stagno, cinque v
fiaschi di stagno, di metadella, tre iij
piatteglj di stagno, diciotto xviij
candellierj d'ottone, saldi, tredici xiij
20. candellierj d'ottone, rotti, due ij
coltella cum maniche d'avorio e ghiere d'ariento,
ventinove xxviìij
maniche d' avorio vecchie, con ghiere d'ariento, tre iij
coltella cum maniche d'osso nero, tredici xiij
tovagle da tavola nuove, dieci x
25. tovagle da tavola vecchie e salde, dicenove xviiij
tovagle da tavola rotte, quindeci xv
tovagluole nuove, sei yj
tovagluole salde, vecchie, sedici zvj
10. SaUieri, Neil' Inventario (1365) dei beni di Giovanni di Magnavia,
vescovo di Orvieto, pubblicato (Boma, 1895: estr. dagli Studi e Documenti
di Storia e Diritto, anno XV) da Luigi Fumi, n. 912: « vij salsecti de
« stagno »: nel nostro ricorrono di nuovo ai nn. 67 e 97.
11. Nctppo, Non apparisce più nei successivi Inventari perchè, oramai
rotto, fu venduto, con altri argenti rotti (c£r. n. 71) ai 22 decembre 1865.
12. Confectiere, Anche al n. 14, che poi riappariscono ai nn. 68 e 98.
Frequenti anche negli Argenti degli A cciaiuoU.
18. SUtgnate, Nel cit. Inventario del vescovo di Orvieto, n. 787 : « due
« stagnate de stagno ». Ma negli Argenti degli Acciaiuoli « ij Stagniate
« orate », n. 880, e quindi certamente di argento, come queste.
21. ColteUa. E cosi ai nn. 28, 85; come Padella, al n. 125, per Padelle.
21-28. Maniche, Manichi. É sempre dell'uso popolare parlando del
coltello. Cfr. n. 86. Nell'Inventario (148S) della Gasa di maestro Bartolo
di Tura, Ms. Ashb. 1768 (1692), che sto pubblicando nel BulL 8mme di
Si. Patria, sono coltelli « con guiere e maniche di argento ».
28. In margine, d'altra mano, ma contemporanea: « trovarosi x\j
« perchè se ne rupe uno ».
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 357
tovagluole rotte, dicesepte zvij
30. gnardanappe nuove, septe yij
guardanappe Tecchie, salde, dicesepte xv^
guardanappe rocte, quatordici ziìij
Alle quali chose io Angnolo notato predecto fuj presente e
di comandamento di sopradetti frati di mia mano propria le
scripsi in questo foglo come disopra apare.
Le predette toTagle, tovagluole, e guardanappe, faro poj,
del mese di septembre, rassegnate a frate GioTanni spenditore
da frate Donato e frate Puccino, interamente : salvo che dove
di sopra dice nuove erano salde e menate peroohe s'erano poi
adoparate. In presene di testemqnj sopradettj.
35. [e. 3^]. Al nome di Christo, amen. Adj xxj di gennaio MCXX)lxij.
Bicordanza che questo dj frate Tuccino rassegnone le infra-
scripte masserizie e arnesi scritte qui dallato in questo foglio
salvo che assegnò più iiij choltella con maniche d' avorio e con
ghiere d'ariento, nuove, delle qualj furono tre maniche scritte
quj dallato vendute e convertitj i denari e con altij denari
adgiuntj furono fatte le sopra dette iiij coltella al tempo del-
PAmanato Teghini (?) e de' Compagni.
Ancora assegnò il detto frate Tuccino più che non furono
assegnate a llui:
sei candellierj d' argento di peso onc fattj al detto tempo
una stagnata d'argento fatta al detto tempo de' detti signoij
priorj messo l'ariento inanzi.
40. ^lOCClxij dj xxij di Gennaio.
Frate Tuccino di Vannino comverso del monistero di Va-
lembrosa sopra la guardaspensa de' signorj priorj deputato alla
guardia doligli arnesi sopradettj confessò avere avuti e ricevutj
88. Di sopradettù Dei sopradetti. Gfr. n. 1.
88. Manca il peso in oncia di questi sei nuovi Candelieri.
41. GuardtMpensa, E cosi anche al n. 80: invece « guardaspesa » ai
nn. 74 e 112, con forma più volgare (« spesa »), che è latineggiante
(« spensa ») le altre due volte. Un Begistro di spese (9 gennaio 1869-20
luglio 1868) del monastero di Santa Trinità in Firenze ha le chiavi « per
« Tuscia dela guardaspensa », e « 4 casse di guardaspensa », chiuse a
chiave, e la spesa « in ricoprire il tetto di Guardaspensa e '1 tettuccio
sopra la Guardaroba de' monaci » (cfr. Carlo Cabnbsecchi, VUa numaHica
del Trecento; Firenze, 1895; pp. 4, 5, 81). La voce « guardaspensa » ricorre,
come abbiamo veduto, tanto nei Begistri delle spese per la mensa dei Priori
quanto nei due volumi d'Inventari delle suppellettili di Palazzo.
358
ANEDDOTI E VARIETÀ
xiij tovale
xiiìj guardalnape
xyj tovagaole
fior, vj d'oro
yj tovagle
yij tovagluole
da frate Donato e frate Bernardo camarlinghi alla camera del-
l' arme i sopradettj arnesi scritti qui di sopra. H detto dj xxij
di gennaio MCXX^ij.
Item de le infrascrite toTagle vechie ne
la facia da lato vende frate Giovanni auti di
comandamento de' singnori al tempo de Mi-
glerò Guadami (sic) e di Simone di P. Giunni
furono xiij tovagle: venderosi ad Angnolo
di Monaldo.
Item vende deto frate Giovanni xiiij
guardanape e xyj tovagluole vechi anche di
comandameto de' detti priori e de'conpagni
al deto Angnolo Monadi {sic) per pre^o di
fiorini sei d'oro in tuto d'ongni cosse.
E frate Giovanni predeto chonverti e
detti sei fiorini de l' oro in sei tovagle usate
e sette tovagluole nuove, che conperò tre
di que'sei fiorini; e di denari ohe gli ri-
masono, al tempo ohe Giovanni di Bartolo
Bischeri fue de' priori, che furo IL xx che
s'era errata la ragione de le spese loro;
chonperole da Cristofano di ser Giani.
45. [e. 8^]. M. C50C. 1 xiiij giuovodi (sic) di xvij d' ottobre.
Frate Bernardo che sta alla camara del comune di Fiorenzo
asegnia a frate Giovannj Arnese del comune di Fiorenze el quale
Arnese è questo:
ij tovaglie di braccia xiiij<^ l'una
ij guardanappe di braccia x l'una
iiij<^ guardanappe di braccia vj l'una
50. ij tovaglie di braccia vj l'una
Anne riaute de queste tovaglie due de vj braccia l'una.
Memoria fatta per Francesco Falconetti e compagnj priori
di marzo e d'aprile 1365.
Eicordanza che di vij fiaschi di stagno iscrittj in aventario
segnato + se ne disfece uno ch'era rotto.
E disfeconsi (sic) xviij piattelli di stangno e di tutti e del
fiasche se fecono (sic) certe stagnate grandj e picele come dirò
apresso :
44. Fiorini de V oro» Fiorini d' oro.
58, Aventario* Inventario.
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 359
55. vjj stagnate grand] di stagno
j stagnata picola di stagno
Anche al detto tenpo e per gli dettj, avanzato di loro spese:
j piedestallo di ferro lavorato per lo bacino grande d'ariento.
[e. 4**]. Al nome di dio, amen. MGOClxv adi xxzj di dicembre
nel tempo di
Aghostino di Lapo Bruni \
Feo Benini i priori d'arti e ghonfaloniere di
Messer lachopo degli Albertj J giustizia chominciarono adi j di
Domenicho dì Neri 1 novembre anno detto finendo
Ser Benozzo Pieri \ il detto di xxxj di dicembre ri-
Bernardo Bechenugi l vidono Parienti che à poi fra-
Domenicho di Dante i te Giovannj spenditore de' sin-
Ser Lippe Doni gnori
lachopo di Banche /
6(). dodici saliere grandi smaltate d'ariento xij
uno bacino grande d'ariento smaltato j
tre bacinj d'ariento mezanj da dare acqua alle mazg iij
trentotto forchette d'ariento zzxviij
quaranta chuchiai d'ariento, e due palette zlìj^42
65. due taglieri grandi d'ariento da reohare in tavola roba ij
due taglieri d'ariento picholi ìj
ventiquatro salsieri d'ariento zxiiij
tre chonfettiere d'ariento chon piedistallo iij
tre stangniate d'ariento dare {sic) acqua alle manj iij
70. otto chandelieri d'ariento smaltati orevolj e bellj viij
58. Piedestallo, Altri ne ricorrono (nn. 101, 109, 110, 148) per i Bacini
o da fuoco o da acqua. Nella Reggia cit., p. 99, « uno piò di stallo di ferro ».
58. Bacino grande d' ariento. Quello che vedemmo al n. 8.
60. Cfr. n. 2.
61. Cfr. n. 8; dove non si ricordano gli smalti.
62. Cfr. n. 4; dove son detti « minori ».
68. Cfr. n. 5; dove le Forchette son quarantatre.
64. Cfr. n. 6.
65. Cfr. n. 7; dove sono tre i Taglieri grandi.
66. Cfr. n. 8; dove anche son tre i Taglieri piccoli.
67. Cfr. n. 10, e 97.
68. Cfr. nn. 12 e 14; dove in due volte si registrano le Confettiere.
69. Cfr. n. 18; dove due sono le Stagnate.
70. Cfr. n. 103. Altri, ma di ottone, e senza dirli come qui, belli, ai
nn. 19 e 84.
860 ANEDDOTI E VARIETÀ
Bichordo eh' enfino adi zzij di diciembre anno detto £Euuemo
vendere, perch'era rotto (sic) ventiqnatro sohodelle d'ariento,
cinque forchette rotte, due taglieri grandi e uno picholo rotti,
d'ariento, uno nappo rotto, d'ariento, che pesarono, in tatto,
libbre trentacinqne, once sei, che uno a uno pesò che ssi vende
per Charllo degli Strozzi e Benedetto di Nerozzo e Giovanxg di
Mancino Sostengnj, che se n'ebe fiorini {manca): di che chon-
perarono detto di da Lucha di ser lachopo Nellj quartiere Santo
Spirito, di licenza di Simone di Francescho da Chastiglionchio
suo prochuratore, charta della licenza per ser Giovanni Cham-
binj £ mille quarantasei s. due auri, de quali de' pigliare il d.
. per 1. (lira) i regholatori de l' entrata e de l'uscita del Chomune
di Firenze e chonperarne d. nel monte e dioie chosi eh' ò £ 1046
s. 2 auri.
n Chomune di Firenze de avere, adi xxij di diciembre,
anno MCCClxv fiorini Mxlvj
[e. 4^]. Ne MOOaxvij d. xij di Mar^o
Io frate Donato riebi da frate Giovanni de la guarda spesa
75. yj fiaschi di stagno di quarto yj
V fiaschi di me^o quarto y
iij fiaschi di metadela iij
e uno fiasche di quarto rimase he la chuoina per tenere
acetto (sic) ebono j chuochi
[e. 5']. Al nome di dio, amen. MCCClxv di xviiij di marzo
80. Inventare {sic) delle cose della guardaspensa asegnate detto
dj disopra a frate Lorenzo Benedettj de l'ordine di Valembrosa
per frate Donato Fanciellj e frate Giovannj aiutj
fiaschi di stagnio, di quarto l'uno, sette vij
fiaschi di stagnio, di mezo quarto l'uno, cinque v
71. Nappo, Quello che nel primo Inventario vedemmo segnato al n. 11.
74. Gtmrdaspesa, Cfr. n. 41.
75. Cfr. n. 15; dove i Fiaschi di stagno di quarto son sette : e il set-
timo lo vediamo qui rimasto in cucina (n. 78) per tenere l'aceto.
76. Cfr. n. 16; dove i Fiaschi di mezzo quarto son cinque.
77. Cfr. n. 17; dove i Fiaschi di metadella sono nello stesso numero
di tre. Più ricchi Fiaschi, di argento, ricorrono più volte (nn. 84, 182,
269, 803, 885, 845, 346) negli Argenti degli Acciaiuolù
78. Cfr. n. 144.
80. Guardcupetua. Cfr. n. 41.
81. Cfr. nn. 15 e 75.
82. Cfr. nn. 16 e 76.
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 361
fiasobi di stagnio, di metadella, tre iij
chandelierj d'ottone tredicj xiij
86. choltella co* maniche d'avorio e con ghiere d'ariento
trentuno xxzj
maniche d'avorio doe. Pana colla ghiera d'arìento ij
choltella co'maniche d'osso nero dodicj, e j se n'era
rotto xij
tovaglie grandj e picole quarantotto, de le qualj
v'avea sei rotte zlviij
goardanape qnarantuna, de le qualj v' era xv rotte xlj
90. tovagliuolo sesanta, de le qualj v'avee v nuove e
venticinque rotte Ix
saliere d'ariento ismaltate dodicj xij
bacino uno grande, d'ariento, smaltato j
bacinj tre mezzanj d'ariento da dare aqua a le manj iij
forchette d'ariento trentotto xxxviij
95. chuchiaj d'ariento quaranta, e doe palette xlij
taglieri quatro d'ariento, doe grandj e doe picolj iiij^
salsierj d'ariento ventiquatro xxiiij^
chonfettiere d'ariento tre co' piedistallo iij
88. Cfr. nn. 17 e 77.
84. G£r. n. 19. Torna il numero dei tredici Candelieri di ottone.
85. Cfr. n. 21; dove due meno sono questi Coltelli.
86. C£r. n. 22; ma tre sono ivi questi Manichi.
87. Cfr. n. 28; dove anche tredici sono questi Coltelli.
88. Si riuniscono le tre segnature ddle Tovaglie, nn. 24-26, che ne
danno quarantaquattro.
89. E cosi le Guardanappe che in tre segnature, nn. 80-82, erano tren-
totto, con quindici rotte.
90. E cori ancora le Tovagliuole, che erano, nn. 27-29, trentanove fra
nuove, salde e rotte.
91. Dodici Saliere anche al n. 60, e al n. 2.
92. Cfr. nn. 8, 61.
93. Cfr. nn. 4, 62.
94. Cfr. n. 5, dove sono quarantatre ; ma trentotto, come qui, al n. 68.
95. Sono quaranta al n. 6 ; ed anche al n. 64, dove già sono aggiunte
le due Palette.
96. Erano sei i Taglieri, tre grandi e tre piccoli, nn. 7 e 8; poi quattro,
come i presenti, due grandi e due piccoli, nn. 65 e 66.
97. Cfr. nn. 10, 67.
98. Sempre tre le Confettiere, una registrandosene a parte nel primo
Inventario; nn. 12, 14, 68.
362 ANEDDOTI S VARIETÀ
stagniate d'arìento tre da dare aqua a le inanj iìj
100. chandelierj d'arìento smaltatj otto vìij
piedistallo di ferro nuovo uno j
smalti levatj da'bacinj d'arìento, nove viiij
schodele d'argento xij
[e. 6^]. ij cbandelierì di fero per l'udie9a grandi da
torchieti ij
105. j chandeliere ne le chamere de'prìori, di fero, da
torchietti j
ij chandelierì grandi per l'atare (He) inorati ij
ij chandelierì picholi inorati a Tatare ij
ij chandelierì di fero a l'atare
j piedestalo di fero a l'atare per lo fuocho j
110. j bacino grande d'otone col piedestallo ne la sala
de'prìorì ove se lavano le mani, j per fuoco j
ij chalamai de lengno ne l'udienza de'prìori, 2 ij
99. Bue Stagnate al n. 18, una, fatta di nuovo, al n. 89, e tutt' e tre,
al n. 69.
100. Sei fatti di nuovo, al n. 88, e già otto al n. 70.
101. Altro Piedistallo, forse dismesso, al n. 56.
102. Questi Smalti saranno stati nei bacini di argento che rìoorrono
più volte, nn. 8, 4, 61, 62, 92, 98, i medesimi. Bacini sixialtati (« ij Bacinj
« con ismantj (sic) in meao ») sono anche, n. 805, negli Argenti degli Ae-
ciaùuU,
108. In doppio numero vedemmo le Scodelle di argento; n. 9.
105. Chamere de* priori. Si ricordano questa sola Volta.
109. Il Piedistallo reggeva un bacino, che sarà stato di ottone, entro
al quale tenevasi il fuoco.
110. Prima erano, perchè i Priori si lavassero le mani, uno grande
ed altri più piccoli Bacini di argento ; nn. 8, 4, 61, 62, 92, 98. Poi fu fatto
questo insieme con V altro qui ricordato per il fuoco.
111. Udienza, La sala dell'Udienza presso la sala dell'Orologio e presso
la Cappella, al secondo piano in Palazso Vecchio. Ofr. Bxl Lukgo, JDimo
Compagni, II, 458. Ebbe l' Udienza il nome dal ricevere che in essa face-
vasi delle domande dei cittadini: e posteriormente anche altre Udiense
vi furono, del duca e della duchessa, nello stesso palazso. Cfr. OovxXi La
Prima Reggia cit., pp. 58, 62, 68, 94. Il Gobi nella Toscana lUudraia (Li-
vorno, 1755) pubblicò un Inventario, del 1458, « di tutte le cose che ai
« truovano nel Tabernacolo della Audienza » dei Priori ; fra le quali cose
sono i due volumi delle Pandette; un Evangelistario greco; le Bolle di
unione delle Chiese greca e latina; undici Diplomi imperiali; le Storie
Fiorentine di Leonardo Bruni; le Magnificientie di Firenze, ms. in rima;
la Bosa d'oro donata da Eugenio lY alla Signoria (tt^ pp. 219-2aO)«
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 363
j sechia di ripetto {dirimpetto) a la gnardaspesa
4 pezi di tavole da asagiare ne la sala de' priori 4
4 paia di trespoli ne la detta sala 4
115. iii tavole da magiare {sic) dove mangia la famigla {sic) iii
ili paia di trespoli ne la deta sala
[o. 7']. MCCClxiiij dj primo di giugnio
Qui apresso saranno scritte tutte le maserizie le qualj frate
Bernardo Matej e frate Lorenzo asegnierano e asegniato anno
a Marsilio chuocho de segniorj
X schedonj de ferro
120. iiij chaldaie di rame
yiiij teghie di rame
j teghiuza di rame
yij padelle de ferro
iij alari de ferro
125. ij padella {sic) de ferro
V trepiedj
j roocha de ferro da rostire chascia.
j paiuolo di rame
112. Chtard4M9pe$a, Cfr. n. 41.
118. Anigiare, Sulle quali saggiavansi le vivande prima di metterle
sulla mensa dei Priori. - Sala d^ priori, Bicorre qui subito due altre volte,
nn. U4, 116.
114-116. Tretpoli, E cosi altre volte (nn. 176, 188, 212) di legno. Non
sono i Trepiò; ma i Sostegni per sorreggere i deschi e le tavole, dai
quali, di solito, erano disgiunti. Nella Reggia oit., pp. 9, 11, 12, « 1 ta-
« vola d' albero, di braccia 4, con dua trespoli », « 1 tavola d' albero, di
« braccia 6 incirca, con trespoli, vecchia », « 1 tavola da campagna,
« di noce, con sua piedi » : diversi dunque i piedi dai trespoli. Nel cit. (cfr.
n. 129) Inventario dello Spedale di Poggibonsi si registrano, n. 7 e 9, una
tavola di noce di cinque braccia incirca « cho' trespolj », un vecchio desco
di tre braccia, da famiglia « co' trespolj chonfitij » ; i quali secondi fanno
pensare che non fossero sempre cosi, ma anche mobili e non fissi alla ta-
vola o al desco cui servivano.
125. Padella. Padelle: cosi Coltella, nn. 21, 28, 85, in luogo di
GoltelU.
127. Rocca, Dovette essere formata da più spedoni infitti in una me-
desima rotella che a tutti simultaneamente dava il moto facendo girare
su sé stessa la Bocca: un simile spedone, diremo cosi, multiplo, adope-
rano tuttora i rosticcieri per cuocere contemporaneamente maggior quan-
tità di arrosto. — Chatcia, Cacciagione. Come Bascio e Camiscia per Bacio
e Camicia.
304 ANEDDOTI E VARIETÀ
J raffio de ferro
180. J staio de ferro
V choltella da battere
j mestola de ferro
iiij calderotti da fare bramangiare
j paio di mollj
185. ij tazzi de ferro stagniatj
j coltello da tavola
iij trespoli di ferro picolini
iiij ramaiuoli picolj cativj
j doccia di ferro
140. j forchetta di ferro
ij gratugie de ferro
iij bacini d'otone ne le chamere
j piedestalo di fero
j fiascho di stagnio di que' d'aceto
129. Raffio, Nell'Inventario (1488) della casa di maestro Bartolo di Tura
(cfr. in nota al n. 21), Ms. Ashb., 1768 (1692) : « (Graffio di ferro, con gobbia » :
e neir altro (1455) dello Spedale di Poggibonsi (in Mifcell, Star, ddla VtU-
deUa, III, 1895, fase. 1) trovai « uno paio d' oncipj di ferro d' avere le
« sechie del pozo », n. 151. Anch' oggi chiamansi Graffio o Graffi (Fan-
FANi, Vocab. Ubo Toscano) gli Oncini per tal uso.
181. Da battere. Nella Casa cit. : « una battitoia da battere salsiccie »
(in BuU, Senese di St, Patria, IH; 1896; 174).
188. Bramangiare, La Crusca (Glossario) registra Bramangiere che
spiega per « Manicaretto appetitoso più comunemente detto Bianooman-
« giare. Clorruzione del francese blanc-manger ». La vigesima quarta fra
le cit. L VII Ricette d* un Libro di cucina, del buon secolo della lingua insegna
a fare « blasmangiere di pesce ». Nella cucina della Reggia (ivi, p. 212)
registrasi un Treppiedino « da bianco magnare ».
185. Tazzi, Tazze.
187. Trespolj, Questi, framezzo ad altri utensili da cucina, e di ferro,
sono altra cosa dei Trespoli di legno (nn. 114, 116, 176, 188, 212), cioè dei
Sostegni per i deschi e le tavole : debbono essere Treppiedi ; sebbene sena' al-
tro esempio.
189. Doccia, Forse la Ghiotta.
144. Cfr. n. 78.
142. Le parole « ne le chamere » fanno capoverso, in colonna, con le
altre registrazioni : per ciò potrebbero riferirsi non ai soli tre Bacini, ma
insieme a tutte le cose registrate successivamente ; se non disccm venis-
sero a camere da dormire, le Mestole e i Bamaiuoli.
LA MENSA DEI PRIORI DI FIRENZE NEL SECOLO XIV 305
145. iiij^ bolzzonettj di rame
j ramaiuolo da fritelare uova
j pala de ferro
vij mestole de ferro
j paio di lenzuola
150. ij copertoj
j ooltricie
j pimaccio
j materassa
j lettiera
155. j chasetta a due seramj
j pancha
[e. 7^]. Queste so' le chose di Giovani de Miglore che gì' à {sic)
ne la chamera sua, ne l'ano 1867.
j letiera j
ij ebase a uno coperrcbio {sic) iJ
160. j pangba j
j desebo largbo j
j materasa di bordo e j
ij cboltrici vecbe (sic); riebi l'una ij
ij paia di lenzuola ij
165. ij cbopetoi (sic) vecbi adogbati ij
j pimacio j
Queste so' le chose del Toso
j lettiera j
ij chasse a uno serame ij
170. j materasa di bordo j
j choltrice j
j pigmacio (sic) j
145. BoUtondlQ. Vasi da cuocere vivande. Nel cit. Inventario (cfr.
n. 10) dei beni di Giovanni di Magnavia, vescovo di Orvieto, n. 91B:
« unns polaonectus de ramine, magnas, aptus ad coqaendum, et est sta-
« gnatus ». Nelle cit. L VII Ridette cP un Libro di cucinck, del buon eccolo
della lingua, a pp. 10 e 11 : « E togli li capponi, e mettili in una pentola
« o vero in uno pol9onetto », « e quando è cotta a me^o la carne col
« grano, metti in dietro il pol^onetto in su la brascia ben calda ».
152. Ptmaedo. Piumaccio. Cosi costantemente, nn. 166, 172, 182, 194,
200, 221, il nostro documento.
102. Non manca niente in questa registrazione, che, mediante la con*
giunnone, d relega alle due Oollrìci seguenti.
368
ANEDDOTI B VABIBTÀ
Gristofano di ser Gianni; 44.
Cucchiai; 6, 64, 95.
Deaco; 161, 189, 229.
Doccia; 189.
Domenico di Dante; 59.
Domenico di Neri; 59.
Donato (frate) Fancelli; 1, 84, 41,
74, 80.
Feo Benini; 59.
Fiaschi; 15, 16, 17, 75-78, 81-88, 144.
ForcheUe; 5, 68, 94, 140.
Forziere; 185.
Francesco di Domenico, cuoco; 1.
Francesco Falconetti; 52.
Giovanni (frate) Aiuti, spenditore ;
1, 84, 42, 48, 44, 46, 59, 74, 80.
Giovanni di Bartolo Bischeri; 44.
Giovanni (sor) Cambini; 71.
Giovanni di Mancino Sostegni; 71.
Giovanni di Migliore; 157.
Giovanni di mona Aimelina; 222.
Giovanni, mazziere; 1.
Chrattugie; 141.
Guardanappe; 80-82, 48, 49, 89.
Guardatpenaa, Quardcupeta ; 41, 74,
80, 112.
Iacopo (messer) degli Alberti, 69.
Iacopo di Banco; 59.
Lenzuola; 149, 164, 178, 188, 197, 207,
217, 226.
LeUiere ; 154, 158, 168, 179, 192, 204,
214, 228.
Lippo (ser) Doni; 59.
Lorenzo (frate) Benedetti; 80.
Luca di ser Iacopo Nelli; 71.
Lucerna; 199.
Manichi; 22, 87.
Marsilio, cuoco; 118.
Maleras$e; 158, 162, 170, 180, 196,
205, 215, 224.
Menato; agg. ; 84.
MeetoU ; 182, 148.
Migliore Guadagni; 42.
Motti; 184.
Nappo; 11.
radette; 128, 125.
Paiolo; 128.
Pala; 147.
Palette; 64, 65.
Panche; 156, 160, 177, 198, 219, 281.
Paniere da pane; 201.
PiaUeUi; 18.
PiedietaUi; 57, 101, 109, 110, 14S.
Piero, donzello ; 206.
Pimacdo; 152, 166, 172, 182, 191,
209, 221.
Fuccino o Tucoino (frate) ; 1, 84, 85,
86, 41.
Saffio; 129.
Ramaioli; 188, 146.
Rocca; 127.
Saccone; 227»
Sala ; 118, 114, 116.
Saliere; 2, 60, 91.
SaUieri; 10, 67, 97.
Scodette ; 9, 106.
Secchia; 112.
Simone di Francesco da Oastiglion-
chio; 71.
Simone di F. Giugni; 42.
Smotti; 102.
Spedoni; 119.
Stagnate; 18, 89, 55, 66, 69, 99.
Staio; 180.
Staie; 202.
Taglieri; 7, 8, 65, 66, 96.
Tat)oU ; 118, 115, 175, 188.
Tavola da scrivere; 190.
Tazze; 185.
Teglia ; 121.
Tegliuzxa; 122.
Tovaglie ; 25-27, 47, 50, 88.
Toso ; 167.
Tovagliuole ; 28, 29, 90.
Trepiedi; 126.
Trespoli di ferro ; 187.
Trespoli di legno ; 114, 116, 176, lj88,
212.
Tuccino. Cfr. Fuccino.
Udienza; 104, 112.
Ventura; 178.
Vichio ; 187.
ANEDDOTI E VARIETÀ 369
Le lettere di Filippo Maria Visconti
a Giosia di Acquavlva
é
{Sommario. — l.« Importanza di queste lettere. - 2.» Opportunità di pub-
blicarle. - 8.0 Ove esse si trovino. - 4.o Osservazione sulle date. -
5.0 Chi fosse Giosia. - 6.° Perchè gli scrivesse il Risconti. - 7.o E cbe
ne derivasse.
l.<> Le lettere di Filippo Maria Visconti, duca di Milano,
a Giosia d'Acqaaviva, duca d'Atri e signore di Teramo, cbe noi
qui pnbblicbiamo nella loro maggior parte per la prima volta,
oltrepassano V interesse locale abruzzese, giaccbè esse riguardano
quello della Lombardia, della Romagna, delle Marcbe e degli
Abruzzi in quella prima metà del secolo XV, che fu si piena di
eventi guerreschi e di maneggi politici.
2.0 Tali lettere sono sette, delle quali però tre (la terza,
la quarta e la quinta) si trovano già pubblicate due volte, la
prima dal Cherubini (1) e la seconda volta dal Bindi (2); ma,
per essere in queste due edizioni occorsi alcuni errori e qualche
omissione, ed anche per rendere qui compiuta l'importante cor*
rispondenza politico-militare del Duca di Milano, stimiamo oppor-
tuno di ripubblicarle insieme con le altre quattro finora inedite.
3.<> Abbiamo rinvenuto queste sette lettere fi:*a i mano-
scritti dello storico abruzzese Francesco Brunetti, fiorito in Cam-
pii nel secolo XVII, dei quali, creduti smarriti e recentemente
scoverti, ha dato testé un breve ragguaglio il can. prof. Pan-
nella (3), senza però far cenno di esso carteggio. Del resto,
tanto TAntinori (4) quanto il Palma (5) avevano già usufruito i
detti manoscritti e dato un sunto, e l'Antinori assai largo, delle
lettere viscontee. Noi le diamo qxd nella loro integrità e nell'esatta
(1) Gfr. PolioramapiUoresco di Napoli; an. XIII, 1 semestre, pp. 288 e seg.
(2) Bindi, Castel S, Flaviano ; Napoli, 1880, pp. 152-156.
(8) Rivista abruzzese di Teramo; dicembre 1896, pp. 659-562.
(4) Aktinobi, Mem. star, abruz. ; Napoli, 1781-88, voi. m, pp. 869-62.
(5) Palma, St, di Teramo, l.« ediz., voi. II, p. 114.
Abch. Stor. It., 6.* Serie. — XX. 24
370 ANEDDOTI E VARIETÀ
lezione pòrtaci dal Brunetti, storico che sappiamo diligente e co-
scienzioso nella trascrizione dei documenti. Egli certo le copiò
(sebbene nel ms. nulla se ne dica) nel prezioso archivio degli
Acquaviva in Giulianova, miseramente incendiato dai Francesi
nel 1798, e donde egli trasse molte altre notizie su quella famiglia,
le quali ora giacciono fra le carte brunettiane.
Osserveremo anzitutto, che il quinterno, in cui si .trovano
copiate, tutte di mano del Brunetti, queste lettere, porta ora pa-
gine numerate 12, le quali però una volta erano 22, giacché la
numerazione originaria delle carte (secondo V uso d' allora) va da
6 ad 11 : mancano dunque carte 5, ossieno pagine 10. Ciò non
ostante, noi crediamo che il quinterno non doveva contenere al-
cuna altra simile lettera ; perchè solo la prima ha V intestazione
compita, con l' indicazione della città, ove andava diretta e con
V integra sottoscrizione del Visconti ne' suoi nomi e titoli ; mentre
le seguenti hanno tanto V indirizzo, quanto la firma, sempre ab-
breviati .
4.0 Noteremo inoltre, per ragione di ordine storico, alcun
che sulle date apposte a queste lettere ; cosi, la quinta ha la
stessa data della seguente sesta, sebbene il contenuto di quest' ul-
tima mostri che nuove informazioni sopravvenute abbiano mosso
lo scrittore a vergarla. In ogni modo, se non si vuole in ciò am-
mettere un errore del copista, è d' uopo supporre che le suddette
informazioni siensi avute appena scritta e spedita la lettera pre-
cedente e quindi nello stesso giorno. Inoltre 1' ultima lettera, la
settima cioè, reca, cosa strana, una data (20 giugno 1434) anteriore
a quelle delle precedenti. E certamente un errore. - Difatti, mentre
nelle prime il Visconti incita continuamente l' Acquaviva all'azione
e si lamenta anzi che questa non sia ancora incominciata, nel-
1' ultima invece egli manifesta il suo « grande contentamento »
« per la dispositione e voluntate », che scopre in Giosia, di voler
imprendere alla fine qualche cosa. Sia dunque per ciò, sia per
V ordine, in cui essa lettera è posta, e sia anche perchè il IV
del MCCCCXXXIV appare corretto nel manoscritto brunettiano,
noi dobbiamo da tutto ciò necessariamente dedurre che simile data
sia uno sbaglio e stimarla nel fatto posteriore a quelle delle sei
precedenti e, in ogni caso, assegnarla allo stesso anno 1437: cosi
affermiamo, perchè, come or ora vedremo, Giosia d' Acquaviva
mosse appunto in questo anno 1437 le sue genti contro Aaooll
LE LETTERE DI F. M. VISCONTI A G. DI ACQUA VIVA 371
e, anzi, propriamente ai 80 di settembre di esso, come mostra
un documento ascolano di quel giorno visto dal Brunetti e citato
dall' Antinori (1) e dal Palma (2), e in cui si parla dell' assalto
dato ad Ascoli dall' Acquaviva.
5.0 Intanto, fermandoci un po' sul riguardo storico del pre-
sente carteggio, ciò che è necessario per bene intenderne il va-
lore, ci volgeremo in prima al personaggio a cui esso è diretto,
e che certo è men noto di quello che scriveva.
Giosia d' Acquaviva, oltreché barone potentissimo, fu nel Regno
uno de' più valenti condottieri e dei più astuti politici del se-
colo XV e la sua amicizia perciò ricercarono anche i prìncipi
del resto d' Italia. Fra i quali, come provano queste lettere, fu
altresì il volubile e geloso Duca di Milano, Filippo Maria Visconti,
il quale ebbe l'agio di ben giudicare l' Acquaviva quando nel 1435
lo tenne, insieme col re Alfonso d'Aragona, suo prigione in Mi-
lano, dopo la vittoria navale all' isola di Ponza ottenuta dai Ge-
novesi, allora soggetti al Visconti, sul naviglio catalano coman-
dato da quel re. Liberato tosto costui con tutti i suoi baroni dalla
generosità del Duca di Milano, e conchiusa la pace (3), l' Acqua-
viva tornò alle sue terre (4).
6.0 Ma non posava %perciò l'irrequieto Visconti, e ripigliava
subito la guerra nelle terre della Chiesa. Eugenio IV, già da
tempo da lui osteggiato con le poderose armi del conte Francesco
Sforza, pensò di liberarsene una volta per sempre, creando costui
fin dal 1434 suo vicario nella Marca e gonfaloniere della Chiesa.
Allora il Visconti, chiamato a' suoi stipendi Francesco figlio di
Niccolò Piccinino, lo spedi nella Marca ai danni dello Sforza, e
stabili insieme di giovarsi dell' opera di Giosia di Acquaviva. Ed
ebbe tanta fede nell' accorgimento e nella potenza di costui, che
lo nominò suo luogotenente negli Abruzzi e nelle Marche € ge-
€ neralem locumtenentem in partibus Aprutii ultra et dtra et
€ Marchiae », come ha il diploma ducale pubblicato dal Bindi (5)
ed anzi familiarmente lo chiamava suo compare, come mostrano
(1) Antikori, Op. cit., voi. II| p. 862.
(2) Palma, Op. eli., voi. U, p. 114.
(8) GiuLDii, Mem, star, mUan, ; voi. XII, p. 497.
(4) Antikobi, Op. cit., voi. Ili, p. 860.
(5) Bindi, CoM San Flaviano ; Napoli, 1880, p. 158.
372 ANEDDOTI E VARIETÀ
le nostre lettere. E n' avea ben donde, giacché Giosia poc' anzi
era riuscito ad impadronirsi di Jesi, scacciandone le genti sfor-
zesche e avea tentato par' anco d' insignorirsi di Ascoli, di cni fin
dal 1434 era signore lo Sforza (1). Con queste lettere dunque
Filippo Maria spronava l'Acquaviva ad assalire lo Sforza nella
Marca, appoggiando il Piccinino, e le medesime ci mostrano il pro-
gressivo andamento delle pratiche che menarono Giosia all' azione
e parlano si chiaramente, che non accade qui espome il conte-
nuto, standoci paghi solo ad apporre qualche nota dichiarativa al
testo del carteggio. Ciò però non toglie che noi accenniamo al-
l' esito di queir impresa.
7,0 L' Acquaviva, secondando alla fine le mire del Visconti,
si portò in Ascoli, ponendo nel 1438 insieme col Piccinino l'assedio
a quella città, al cui dominio ei del resto agognava al par dei
suoi antenati Antonio ed Andrea Matteo, i quali alla fine del
secolo XIV erano riusciti a signoreggiarla (2). Se non che lo
Sforza ; mettendo in rotta que' due capitani, sciolse l' assedio (3)
e, rendendo all' Acquaviva la pariglia, gli tolse anche Teramo, ove
questi dominava e risedeva da molti anni (4). Cosi lo Sforza ag-
giunse Teramo alle sue signorie e la seppe tenere fino al 1443,
quando le sorti di Alfonso di Aragona* trionfarono su quelle di
Renato d'Angiò. Giosia non riacquistò questa città se non nel 1458,
allorquando cioè, dopo aver abbandonato il partito angioino, tornò
alle bandiere aragonesi dominando il re Ferdinando, figlio di Al-
fonso. Di nuovo la riperdette nel 1460, per non più riaverla
nò egli né la sua famiglia (5) ; nò ebbe miglior fortuna negli
altri suoi possessi, giacché, ribelle un' altra volta all'Aragonese e
chiuso dall' armi di costui nel castello di Cellino, vi perì di peste
nel 1462, dopo lunga e gloriosa difesa (6).
Teramo. Francesco Sa vini.
(1) Mabcucci, Mem, star, di Ascoli; Teramo, 17G6, p. 824.
(2) Andbeantonelli, St, ascolana,
(8) Marcucci, Op. cit.| pp. 825, 827.
(4) Palma, Op. cit., voi. Il, p. 114.
(5) Muzii, SL di Teramo; Teramo, 1898, Dial. IV.
(6) Palma, Op. cit., voi. II, p. 142.
LE LETTERE DI F. M. VISCONTI A G. DI ACQUA VIVA 373
I.
Magnifico amico nostro carissimo losiae de Acquaviva-Terami.
Magnifica amice noster carissime. Numeravit lohannes de Fa-
gnano (1), civis ac mercator noster Mediolanensis vigore litteramm
vestrarum per Pacem familiarem vestrum delatarum illa sex miUia
libranim imperialium, de quibus debitor eratis certorum mercatorum
nostrorum Mediolanensium, qui de ipsis de Magnificentiae vestrae
subvenerunt facta per nos de eorum restitutione expedienti promis-
sione. Presentibus igitur litteris confìtemur dictam pecuniae summam
recepisse, et proinde mercatores praedictos, qui erant de eisdem de-
narijs creditores tacitos fecimus et contentos. Datum Mediolani,
die xiiii Junii hccccxxxvi.
Filippus Maria Angius Dux Mediolani etc, Papiae, Angleriaeque
Comes, ac Januae dominus.
Urbanus (2).
IL
Magnifico etc. Nonnulla commisimus Ser Janucio Cancellano
vostro, et Luduno de Palmeriis familiari nostro amicitiae vestrae
per eos nostra parte viva voce dicenda libeat igitur rogamus rela^
tibus suis tanquam nostris fidei plenitudinem adhibere. Datum Me-
diolani, die XVI Aprilis mccccxxxvil
Filippus etc.
m.
Magnifico compater noster carissime. Mandarne a quelle parte
Lodrisio Crispo nostro £Etmiglio; al quale havemo commesso stia
appresso la persona vostra per awisarve continuamente delle oc-
(1) I Fagnani furono poi patrizi milanesi e marchesi e si estinsero in
questo seoolo.
(2) Urbano di Iacopo fa uno dei segretari del Duca di Milano.
374 ANEDDOTI E VARIETÀ
currentie dele cose in quelle parte, le quale desideramo succedano
prosperamente et per la vostra magnificentia, e per nuy, et ancora
gli havemo commesse alcune cose, le quali vi debia referire per
nostra parte : per tanto piaccia alla vostra magni£centia dargli piena
fede circa quello ve referirà per nostra parte, come alla persona
nostra propria. Datum Mediolani, die xziv Junii MCGCCxxxvn.
Filippus etc.
lohannes Franciscas.
IV.
Magnìfice compater, et amico noster carissime. Quanto più pen-
siamo sopra li fatti di là, tanto più ne pare che l'impresa della
Marca sia quella, che debbia conciare ogni cosa nostra, e vòstra, e
da la quale al presente depende per la malore parte la prosperitate
nostra. Pertanto vi confortamo, pregamo e caricamo, quanto più sap-
piamo e possemo, che intendendovi con lo spettabile, e strenuo
Francesco Piccinino (1), informato appieno dela mente nostra sopra
ciò, vogliate interprendere insieme con lui la detta impresa, e pro-
seguirla animosamente, e con diligenza, come abbiamo ferma spe-
ranza, che fari ti. In el che acquistante grande honore, e £Buna, e
farete a nuy cosa molto relevata, e utile per lo stato nostro, di che
non vogliate tardare più perchè quanto più presto meglio. Et av-
visatene come farete. Datum Mediolani, die xv Julii hccooxxxvu.
Filippus.
lohannes Franciscn&
V.
Dux Mediolani etc., Papiae Anglerìaeque Comes, ac Januae
dominus.
Magnifìce compater noster dilectissime. Nuy per altre nostre
lettere ve habbiamo scritto, che vogliate sforzarvi di bavere tale intel-
(1) Figlio di Niccolò Piccinino e anch' egli capitano allora nelle schiere
del Visconti.
LE LETTERE DI F. M. VISCONTI A G. DI ACQl
ligentia cum lo Ee de Aragona (1) com lo Begiment
cum messer Iacopo Candola (3) et cum lo Patriaì
terre, che si tengono per la Chiesa, et ogn' altro li {<
cumstante a chi possiate offendere, e da chi possiate e
et cum le terre, gente homini, adherenti, et recommem
detti, che loro sieno certi, e chiari che non siano per r
vui ne dalle terre et gente vostra, ne da chi fa per vni
danno veruno, et che cosi similmente siate vui chiaro, e
vuy le terre gente et homini vostri non siano per haver
ofiensa da veruno delli predetti. Et questo vi habbiamo ni
perchè siamo disposti di stare indifferente ; et acciò che poa
tendere con tutta la possanza vostra a fare contro lo Cont
Cesco et le terre sue in la Marca. £t pur sino a qui non ha.
sentito che habbiate fatta cosa veruna contro lui, di che si i
ravigliamo assay perchè habbiamo sempre creduto che in uno t
ricevuti che havessivo li nostri danari (6) gli dovessivo subito ^
rezare, et offendere cum farli uno grandissimo danno. Attento mi
mente quello che molte volte ne ha (sic) dire per vostra parte
Januzo dela Citate Santo Angelo (7) vostro Canzelliero, lo qu
affirmava, che comò havessivo havuto danari, che incontanente i
traressevu nella Marca, in la quale havete de molti, e grandi ami«
e pratiche cosi in terre, et Cittate, comò cum spetiale persone, L
quali non aspettaveno altro, che da essere richiesti da vui perchè
fariano quanto da vuy gli saria anteposto (8), e tanto più volontieri
se questo vuy £Eicessivu con la nostra umbra, e nome. Subiungendo
che faressivo dalle terre vostre una strata aperta sino a Bologna, e
pure sono tanti di che havete ricevuti danari, e che ne siti obligato
come sapiti, et novitate veruna non si è imperò ancora fatta contro
(1) Alfonso re di Aragona, non ancora ben padrone del regno di Napoli.
(2) Il governo di Napoli, che allora bisognava consultare a parte.
(3) Iacopo Caldera, assai potente in Abruzzo e uno de^più fidi capi-
tani dell' aragonese.
(4) Il Patriarca Giovanni Vitelleschi cardinale e vescovo di Firenze e
legato del papa Eugenio IV; era pure uno de' principali condottieri ohe
combatteva per Alfonso d'Aragona, e che maneggiava quindi più la spada
che il pastorale.
(5) In senso di costà,
(6) Da ciò si scorge che l'Acquavi va, oltreché luogotenente nell'Abruzzo
e nella Marca del Visconti, era anche a' costui stipendi.
(7) Città S. Angelo, nella provincia di Teramo. ^^i
(8) Cioè: proposto^ ^ ^S^
\
\
^
^^
- • ■ o-
5>^
376 ANEDDOTI E VARIETÀ
'lo prefato Conte in la Maroka. Per tanto vi confortiamo, oarighiamo,
e stringiamo quanto più sappiamo, e possiamo, che vi voliate strin-
gere et intendere con lo speotabile Francesco Piccinino et ogn* altro
che vi possa dare aiuto et favore, e cusi che voliate dare ogni vostro
favore et aiuto a lo detto Francesco Piccinino et alle sue cose^ come
faressivo ole nostre proprie, e senza più indnziare cum ogni vostra
possanza, e sforzo intrare in la Marca, e fare contro lo prefato Conte
in ogni modo, e forma, che meglio sapiti e possiti, come è vostro
debito, e come siamo per ciò certissimi che all'havuta di questa
fariti, guerrezando, e fazando per modo che sentiamo qualche bona
novella delle vostre bone opere. Non lassando per cosa veruna che
vuy non rompiate guerra in la Marcha contro lo detto Conte come
è ditto, etiandio se la dovessivo come per vuy solo, et non vogliate
bavere respecto a cosa veruna, ne etiandio dubitare perchè rotto
che vuy haveriti vederiti che faremo tali e tante cose che ogni
vostra impresa vi riuscirà secundo il vostro penserò, ultra che bave-
reti de li altri favori che li nostri, de li quali non vi possite accer-
tari se non rompiti prima. Siche, concludendo, al rompere alla Marcha
contro lo prefato Conte non vogliate più tardare perchè quella im-
presa è quella che ne toccha e dalla quale procederanno molte altre
grande e bone cose che dependono da essa. Ala quale impresa dela
Marcha ne pare che possiate al presente senza più induziare libe-
ramente molto bene attendere per la tregua fatta con messer Ia-
copo Candela, e quelli altri signori per fine a xviiii di Jugno, se-
condo che noi habbiamo intenso {sic) posto che fue scritta la pre-
sente littera, la quale tregua n'è molto piazuta, perchè possiate
meglio attendere a quanto vi scrivemo, et è detto di supra, e rescrì-
vetine dela receptione presente, e cusi similmente spesso dell! pro-
gressi vostri, e dele cose che fariti. Datum Mediolani, die v Au-
gusti MCCCGXXXVU.
Symoninus (1).
VI.
^iolani e te.
'^ter noster dilectissime. Nuy habbiamo inteso
* vostra parte Pace vostro, a la quale cosa
"sposta, e primieramente ove la S. V. dice
di una famiglia poi patricia in Ales-
ducale.
3
LE LETTERE DI F. M. VISCONTI A G. DI ACQUAVIVA 377
che a vai parerìa più honesto che dovessimo havervi mandato in
scritto che dovessivo rompere in la Marcha contro lo Conte Fran-
cesco che per lettere di credenza etc., dichiamo che vuy dicite il
vero, et che nuy per la grandissima voglia che hahhiamo che rom-
piate in la Marcha vi ne hahhiamo avvisato all'un modo, et l'altro,
cioè per lettere di credenza in persona di Lodrise nostro fameglio,
e cosi per nostre lettere specifico, le quali forsi non sono pervenute
alle vostre mani, dele quali vi ne mandamo ancora una per lo detto
Pace per la quale vi incarighiamo quanto mai più sappiamo e sap-
piamo {sic) a dover rompere contro lo prefato Conte in la Marcha
secondo che in detta littera largamente se contene, e vuy vedenti;
e quando hene tutte le altre lettere nostre fìissero perdute et non
pervenute alle vostre mane, ultra quello che hahhiamo ditto a lo
prefato Pace al vostro dovere rompere in la Marcha contro lo pre-
fato Conte Francesco, per la presente vi confortiamo, pregamo et
ingarighiamo quanto più n'è possibile, che al manco all'havuta di
questa vogliate rompere se non havete forse ancora rotto come cre-
diamo che habbiate fatto, e fare segondo che il vostro debito re-
chiede, e nuy habbiamo ferma speranza in la S. V. che la debbia
fare. Avvisandovi perchè alcuna fiatta (sic) li famigli nostri cusl
bene come li altri, o per non ben intendere o credendo di fare bene
o per quale altra cagione si voglia sia, dichono le ambasciate a loro
imposte altramente che non è la intentione de li loro patroni che
nuy si delibereremo de scrivervi la intentione nostra distintamente,
e cosi vogliate fare vuy a nuy perche volemo che sappiate quello
che volemo che vuy facciate ; e quando bene vi fosse detto per lo
vostro altramente che non se contene qui in questa nostra lettera
vi certifichiamo che questa è la nostra mera intentione et voluntate,
et lassate dire ad altri e sia chi si voglia altramente. A la parte
ove la S. V. dice che dobiando rompere in la Marcha contro lo pre-
fato Conte doveti bavere la prestanza e soldo integro etc., diciamo
che, se la S. V. lo crede, non crede bene, perchè la cosa non sta cosi,
et li capituli gli sonno (1), et anchora Ser lannuzo, et Luchino de
Palmeri, perciò, segondo li capituli e conventione, che vuy non do-
vete bavere la prestanza né soldo integro se non quando nuy vi
levassimo fuori delle vostre terre e deli confine, come sarla a farvi
venire in Lombardia, o a farvi venire dal lie di Aragona in Ca-
labria et altri paysi lontani dalle vostre terre ; ove, facendo guerra
al detto Conte, non vi bisogna partire da li confine de le vostr^
(1) Cioè: ci sono.
878 ANEDDOTI E VARIETÀ
terre, e ben sa Ser lanozo se la cosa è cosi ò non. Ala parte ove
diciti che sete stato troppo tardo al dover rompere in la Marcha etc,
dichiamo che di questo la S. V. non se ne deve curare perciochè alli
soldati altrui (1) sta a dover rompere presto o tardo quando per li
suy a chi sono obligati gli è imposto et non altramente, et ulterius
per la Dio gratia la provisione che ha fkttsk il Conte non è miga
tale perchè non possiate bene vuy solo cum le vostre gente d'arme
fare quello che voriti quando non gli mettessevi ogni vostro sforzo,
e quando ancora non si ne impacciasse Francesco Piccinino che se
disponiamo di fare ogni di più forte, lo quale siamo certissimo che,
con tutto quello chel podrà e saperà, attenderà e vi aiuterà a la
ditta impresa. E tanto più meglio ancora putriti £Etre ultra lo detto
Francesco Piccinino retrovandose in quelle parte Mineguzio (2) come è.
Vuy site suso il fatto e dovite fare corno Panimositate e prudenzia
vostra rechiede che in tali cose se debia fare. Ala parte ove lo detto
Pace dice de messer Iacopo non ostante la tregua romperà contro
la S. V. e te., diciamo che questo non crediamo perchè li homini di
questo mondo, quando promettono una cosa, la veleno pure observare,
et hanno pur caro V honor suo. Nientidimeno si Messer Iacopo rom-
perà, come lo detto Pace dice, allora saprimo meglio che dovere dire,
e se allora vi parerà che per nuy sia da fare più una cossa che
un' altra per salvatione delle vostre terre et ne facciate avvisato la
faremo di buona voglia. Ala parte che fa mentione di Carlo de Cam-
pobasso, et de Paulo di Sanguina (3) etc. diciamo che li danari sa-
ranno sempre apparicchiati per li predetti, domente (4) che siamo
chiari che la cosa promissa per loro debbia bavere effetto. Ala parte
de Paulo de Monte Beale etc., dichiamo che se la S. V. lo sustinirà
de danari come ne pare de intendere che la faza, che nuy siamo con-
tenti in duy termini infra quattro mesi di dargli le quattro meze
paghe per le tre cento lanze al computo et a rata per rata che hab-
biamo dato alla S. V. sendo lui nostro soldato et cum quelli me-
desmi capituli che ha la S. V. ; de lo quale Paulo ancora vi possiate
aiutare contro lo prefacto {sic) Conte, il perchè la provisione faota
per lo detto Conte ne pare nulla come è ditto e senza frutto veruno
per lui volendo fare la S. V. come la può e debe. Avvisandovi che
(1) Cioè : a quelli che tlanno ai eoidi, agli elipendt altrui.
(2) Domenico o Menicuccio de Amicis dell'Aquila, uno de' condottieri
dì Alfonso d^ Aragona in Abruzzo.
(8)Xioè: Sangro,
(4) .Cioè: appena.
LE LETTERE DI F. M. VISCONTI A G. DI ACQUAVIVA 379
nuy dal canto nostro siamo disposti di non lassarli mancare niente.
Piazavi di rescriverne de la reception e di tutte le nostre littore e
di quanto fìiriti. Datum Mediolani, die v Augusti Mccccxxxvii.
Symoninus.
vn.
niustris frater et compater noster carissime. Inteso quanto ne
ha referto per nostra parte leronimo da Sena (1) nostro famiglio
novamente retomato da quelle (2) parte, b abbiamo recevuto grande
contentamento e piaciere dela vostra dispositione affettione e volun-
tate verso nuy, dela quale siamo stati sempre certissimi. Eingra-
tiandovene grandissimamente e certificandovi che la dispositione e
voluntate nostra verso vuy e simile alla vostra e sempre sarà. Ap-
presso ne piace molto e ne sarà gratissimo che, babiando vuy buona
licentia dal Serenissimo Be d'Aragona, ve trasferiate in la Marcba
e facciate quello e quanto per lo detto leronimo ne bave ti mandato
à dire. £ se 1 bisognarà cbe per fare quello diciti nuy ve dagbiamo
adiuto e favore alcuno, recbedetene, perchè lo facimo di bonissima
voglia, apparezìati sempre a tutti li pacieri (sic) vostri. Datum Me-
diolani die XX Junii mccccxxxiv (3).
Filippus.
Aluysius.
Curiosi ricordi del Contagio di Firenze nel 1630.
Fra i maggiori mali che possono colpire un popolo sono per
certo da annoverarsi le epidemie, che oltre alla straordinaria mor-
talità spargono ovunque lo sgomento ed il terrore. Anche Firenze
ebbe più volte a provare i funesti eflFetti di questo flagello.
La prima pestilenza che desolò la nostra città fu (a dire del
Rondinelli) (4) quella del 1325, mentre i Fiorentini erano alle prese
(1) Siena.
(2) Sempre in senso di coleste.
(8) Per la data, che noi crediamo qui errata, leggasi ciò che abbiamo
detto di sopra.
(4) Relazione del Contagio sUUo in Firenze Panno ISSO'SS; Firenze, Qio.
Batta Landinl, in>cxxxrr.
380 ANEDDOTI E VARIETÀ
coi Lncohesi, che vittoriosi peroorrevano il loro territorio. £ neUo
stesso secolo XIV si fa menzione dagli storici e cronisti delle pe-
stilenze del 1340 e 47 ; ed è poi famosa quella del 1348 descritta
dal Boccaccio, e di cui parla Matteo Villani (1), che fa ascendere
a centomila il numero dei morti.
Nel secolo successivo son ricordate quelle del 1411 e del
1437-38, e nel secolo XVI quella che dal 1522 si protrasse per
lo spazio di sei anni fino al 28, e desolò non solo Firenze, ma
la maggior parte della Toscana. D'allora in poi, per oltre un
secolo, parve che Firenze restasse immune dal terribile morbo, che
solo vi ricomparve fiorissimo nel 1630.
Di questa pestilenza parlasi nel documento che pubblichiamo
e che ci parve utile j&r conoscere agli studiosi per i molti e cu-
riosi particolari che esso contiene. Ed in&tti in questi che chia-
meremo ricordi della peste del 1630, 1' anonimo autore, certo vis-
suto a quel tempo, dopo avere accennato come si introducesse il
male nella nostra città, ed i mezzi usati per circoscriverlo, ci &
conoscere il modo che allora praticavasi per condurre i malati ai
lazzeretti, le precauzioni usate onde il morbo non si dilatasse, no-
tando altresì le paterne cure del Granduca Ferdinando II de' Me-
dici, che oltre a mettere a disposizione delle Arti della seta e della
lana una determinata somma perchè si mantenessero le maestranze,
ordinava che si dasse principio alla facciata di Santa Maria del
Fiore, e si tirasse a fine la fabbrica del palazzo Pitti (2), per
dar lavoro al popolo minuto ; e in oltre disponeva che nel con-
tado si lavorassero i terreni, e si facessero gli altri occorrenti la-
vori campestri, affinchè al danno gravissimo della peste non si
aggiungesse anche la carestia e la fSeime.
E tanta fu la previdenza del Granduca in quella nefasta oc-
casione che fece acquistare dai Provveditori dell'Abbondanza, dal-
(1) Cronica, to. I, cap. I e seg.
(2) Il Galluzzi nella Istoria del Granducato di Toicana 9oUo U governo
della Casa Medici, to. Ili, pag. 452, nota che questa fabbrica non era altro
che una chiesa « che restò dopo imperfetta, ed è quella ohe si chiama lo
« Stanzone dei PUH, II Granduca voleva fame una Collegiata sotto il ti-
« tolo di San Cosimo, e riunire in questa Chiesa V esecuzione dei molti
« legati ordinati dai suoi antecessori »,
RICORDI DEL CONTAOIO DI FIRENZE NEL 1G30 381
l'ufficio della Grascia e dal Sopraintendente delle Possessioni i
generi necessari per vettovagliare la città, somministrando ai po-
veri larghi sussidi di pane, carne, vino ed altre cose necessarie
alla vita ; talché la spesa occorsa fu di oltre 500 mila scudi.
Non manca l' anonimo autore di ricordare e descrivere anche
la solenne processione del corpo di S. Antonino arcivescovo, che
con gran pompa fu fatta dalla chiesa di San Marco alla Metro-
politana, e alla quale intervenne lo stesso Granduca con tutta la
Corte ; e di farci conoscere il numero degli abitanti della città in
quell' anno, e quello dei poveri bisognosi di sussidio, che si dico
ascendesse a ben 34 mila: notando altresì i medicamenti che si
somministravano ai malati, i preservativi che si usarono, fra i
quali assai curioso ci sembra quello praticato dallo stesso autore,
e tale che parrebbe ora muovere al riso chi osasse suggerirlo.
Questo documento è tratto da una fìlza miscellanea dell'Ar-
chivio Mediceo, segnata di n.^' 637, e sta avanti ad alcune lettere,
ordini e provvisioni del Magistrato della Sanità (1), e ad altri
negozi a quell'ufficio relativi, o che hanno certa attinenza con
l'epidemia, onde non è fuor di proposito il pensare che fosse
scritto da uno degli officiali di quel Magistrato, o che l'anonimo
scrittore avesse avuto con quelli stretta relazione.
Firenze. Dante Catellacci.
Si tiene comunemente da tutti che, verso il fine del mese di
giugno passato, un certo pollaiolo portasse il mal contagioso da
Bologna in una casa di Trespiano (2); dove in breve tempo mori
(1) Il Magistrato od Uffizio della Sanità ebbe origine nel 1527, quando
cioè la Signoria, con deliberazione del 28 giugno, elesse cinque cittadini
con incarico di nominare un Provveditore, un Cancelliere e un notaio, e
di stabilire un sistema col quale potesse reggersi lo stesso uffizio, che
doveva tutelare la pubblica salute, e sopraintendere ai provvedimenti
sanitari. -Nel 1549 reiezione di questi ui&ziali passò dai Cittadini ai No-
bili, e nel 1004 fu decretato che dovessero essere del Consiglio dei 48. Fu
soppresso da Pietro Leopoldo col motuproprio del 22 febbraio 1778.
(2) Anche il Settimanni nel suo Diario mss. che conservasi nel r. Ar-
chivio di Stato di Firenze, nota che il male contagioso fu scoperto per la
prima volta a Trespìaiio, portatovi da un bolognese venditore di polli.
382 ANEDDOTI E VARIETÀ
con sei persone. E Trespiano un piccol borgo in collina, su la strada
di Bologna, al dirimpetto di Fiesole, abitato da gente povera al
numero di centocinquanta in circa, lontano da Firenze non più di
tre miglia.
L' avviso del male non pervenne alli clarissimì Signori della Sa-
nità prima che P ultimo di luglio, essendosi di già sparso in altre
persone. £ questo un Magistrato Supremo di numero dieci Senatori,
con autorità di governo assoluto, concessoli dal Serenissimo Gran-
duca ne* casi di contagio, senza altra ricompensa che di bene ope-
rare. Fu allora preso per espediente, per accertarsi del fatto, la
mattina seguente, primo d* agosto, due diarissimi del Magistrato an-
dassero a far la visita tanto de' morti quanto de gli infermi, con
r assistenza del dottor Niccolò Zerbinelli lor medico ordinario, uomo
raro, e praticbissimo di questo et altri mali. Ci intervennero di più
cerusici, e stanti di S. Maria Nuova. Si trovò una donna et vm uomo
morti con tutti i contrassegni reali di contagio. Della qual visita
se ne fece breve relazione a S. A. ; e fu per allora resoluto di guar-
dar Trespiano, et a questo effetto circondato da* soldati delle milizie
di S. A., furono provvisti tutti de* viveri, e per gli ammalati si fecero
lazzeretti, e si deputorno confessori, medici, speziali, et altri per lor
bisogno.
Il male, che si era di già attaccato per le viUe vicine, si fece sen-
tire nei borghi della città, e nella città stessa; ma però lentamente,
che quasi non si conosceva. Parve, per allora, alli Signori della Sa-
nità deputare per lazzeretto, aperto alli x di agosto, lo Spedale di
Bonifazio in via S. Gallo, e per casa di quarantena S. Noferi, luogo
pur drento alla città ma lungo le mura; pensando che bastasse, e
che il male non dovesse andar più avanti. Segui contrario effetto,
per 1* apprensione del contagio non solo alle monache di detto Spe-
dale, dove ne mori buon numero, ma dilatandosi per la città, non è
restata strada che non 1* abbia sentito, o poco o assai; disordine cau-
sato in gran parte dall'avarizia di quelli stanti, che spogliando i
morti di contagio, o mandavano i panni alle loro case o gli vende-
vano. Si conobbe che tale spedale non era a proposito per lazze-
retto ; e perciò fu resoluto di eleggere luogo fuori della città, come
anco confessori, medici, cerusici, speziali et altri ministri, allettati
da grossi salari, o precettati sotto gravi pene. In simili casi, non
più praticati, il zelo che altri ha di far bene suol esser causa che
1* animo che corre prenda la via più corta, e desideroso del fine lasoi
la via di mezzo: e pure il buon medico nella cura de* membri guasti
ha sempre l'occhio di non offendere la parte sana. H Serenissimo
volse sentire, alla presenza de* Signori della Sanità, tutto il Colico
RICORDI DEL CONTAGIO DI FIRENZE NEL 1630 383
de' medici, per trovare la vera essenza et qualità di questo male.
Fermorono : i mali vaganti esser febbri acutissime e putride, dentro
genere venenoso di pessima condizione con enfiati f\iora delli emun-
torli, che dicono gavoccioli o buboni, bolle, pustole e carboni, con
dolore intenso di testa, ardentissima sete, inappetenza, inquietudine
et afianno, con vomiti amarìssimi e fetentissime uscite, privazion di
sonno con qualche variazione di mente, orine pessime, ingannevo-
lissimi polsi, ardor di volto, occhi sfavillanti, lingua aridissima e vera
fiacchezza et effigie del tutto mutata ; e conclusero esser mal con-
tagioso pestilenziale, ma non peste, non essendo V aria corrotta, ma
come tale doversi curare.
Conosciuto il pericolo nel quale si trovava la città, per comin-
ciar bene si ricorre a Dio con voti et orazioni ; si fanno confessioni
e comunioni, si sentono prediche, e si ordinano le Quarantore con-
tinue per un anno, distribuite nelle chiese della città, si visita la
Santissima Nunziata, e si publica un giubileo venuto di Boma; li
curati per debito di loro offizio son pronti a sacramentare gP in-
fermi delle loro parrocchie, e la maggior parte delle Religioni (1)
si presentano per assistere alla cura delli infermi della città e de' laz-
zeretti, e per esser conosciuti portano in mano un baston bianco con
piccola croce sopra, come i medici, cerusici e speziali un abito di
tela incerata guarnito di rosso ; qual sorte d' abito è utile e difende
dal contagio, e però usato ancora da' ministri ecclesiastici nel sacra-
mentare gli infermi, essendo a tutti vietato il commercio et abita-
zione con i sani. Molti gentiluomini si sono offerti di ministrare et
assistere alla cura degli infermi, ma dal Magistrato furono ringra-
ziati e riservati a maggior bisogno (che Dio noi voglia) e sino una
meretrice famosa detta la Maria lunga o Cazzettina, dispensato tutto
il suo avere a' poveri, si presentò al lazzeretto di S. Miniato, e quivi
ha servito, e serve alle donne con tanta carità e pazienza che ben
mostra di essere stata tocca da vero nella sua conversione : e ciò
segui subito aperto detto Lazzeretto. Si benedirono tre luoghi eletti
(1) Intendi gli Ordini Religiosi. Anche il Bondinelli, nell'opera citata,
rammenta con quanta annegazione e disprezzo della propria vita i vart
Religiosi di Firenze e suo territorio si prestassero nel l'assistere i malati
di contagio. Per quello che vi operarono in Toscana i PP. Cappuccini
è da vedersi un interessante opuscolo del P. Lodovico Biaobtti da Li-
vorno, che ha per titolo : A Icune notizie storiche e biografiche aulia Fette degli
anni 1630-31'33. S. Agnello di Sorrento, tip. all'Insegna di S. Francesco
d'Assisi, 1884.
384 ANEDDOTI E VARIETÀ
per seppellire ì morti fuori delle porte a S. Gallo, S. Miniato e
S. Friano. Si ferma per principal lazzeretto, aperto li 9 settembre,
la fortezza di S. Miniato, rilevata e capace, disarmata d'ordine di
S. A., che sa la sicurezza de' Principi consistere non nelle moraglie
ma nella benevolenza e salvezza de' sudditi. Per luogo di quarantena
si deputa il vicino convento di San Francesco del Monte, e per casa
di convalescenza le ville de' Senatori XJsimbardi e SerristorL Se ne
fecero poi, col medesimo ordine e provisione, alla badia di Fiesole,
a' Tre Visi, a Monte Oli veto, et alli Strozzini, et altri al numero di
dodici; dove si contano più di duemila cinquecento letti; provvisti
in parte dai gentiluomini della città, ma in tutto dalla liberalità del
Serenissimo Principe.
Si portano i malati di contagio in barelle coperte d'incerato, e
seggette sino alle porte della città; e di 11 in lettighe portate da
muli e tregge coperte tirate da buoi. Sono condotti a' lazzeretti,
andando loro avanti uno, che col suono d' un campanello £& che i
passeggieri si ritirino o si discostino. Il portar questi, e seppellir
quelli morti fuora de' lazzeretti ò stata cura della Compagnia della
Misericordia, conforme al suo antico instituto et obligo; esercitato
da essa con molta diligenza e carità: alla quale è stato assegnato
numero di porti e becchini necessario per tale effetto, come an-
cora deputate persone che purghino le case e robe degl'infetti; tutti
ben provvisionati e conosciuti per una veste nera e segno di croce
rossa che portano, abitando separati dal commercio in più stanze
contigue a detta Compagnia. Le case di dove si cava o malato o
morto, o che vi si scuopre sospetto di male, sono subito serrate,
con dar sussidio a quelle persone che vi abitano bisognose; e non
prima passati i venti giorni s'aprano, usando diligenza di pr<^-
marle e purgarle con zolfo et altre materie appropriate a detto ef-
fetto; e gli abitatori possono escire fìiora.
£ perchè pareva che questo male, come aveva cominciato nelle
persone povere, e come diremo quasi nella plebe, et in esse si an-
dava mantenendo e del continuo augumentando, forse per il pa-
timento degli anni passati, e che è di presente, S. A. invita, prega
et esorta, per publico bando, tutti di qualsivoglia stato, che hanno
il comodo, a porger sussidio caritativo per i bisognosi, lasciando
che ciascuno si tassi di sua buona voglia : con tutto che il Principe
potesse e possa comandarlo, essendo che la necessità giustifica tutte
le sorti d'imposizioni; che però tutto quello che è necessario allo stato
è giusto, e tutto quello che è utile è necessario, né si può trovar cosa
più utile che la salvezza de'sudditL
Presta ancora gratis per diciotto mesi a botteghe d'Arte di lana
RICORDI DEL CONTAGIO DI PIRENZB NBL 1630 885
e seta scudi centocinquantamila, acciò possano, col far lavorare, man-
tenere le maestranze di dette arti principali in questa città. Et in
oltre ordina che si dia principio alla fìicciata di S. Maria del Fiore,
e si tiri a fine la fabbrica del palazzo de' Pitti, per sowenimento di
più artieri e del popolo minuto. E perchè i lavoratori della terra
sono le membra dello stato, si provvedde anco a questi, col farli
cavar fossi e condotti per tirar copia d'acqua per utile et abbelli-
mento della città. Ma quel che porge meraviglia della prudenza di
questo gran Principe e suo Consìglio è che, risguardando il futuro,
e temendo quello quanto il presente, fa elezione di gentiluomini che
visitino lo stato in contado, et ordinino che li terreni sieno lavorati
e seminati, et ohe li padroni faccino di più qualche coltivazione per
loro mantenimento ; et a quelli che non hanno il modo se li som-
ministrino i semi, per riaverli poi al ricolto futuro, lasciando l'avanzo
a padroni diretti de' poderi e terreni.
L' ottobre, il novembre, e nel principio di dicembre, fìi il colmo
di questo male. Ma il Serenissimo, che conosce quanto sia impor-
tante per il bene pubblico la sua presenza, et che l'abandonare la
città capo dello Stato, in questi et in altri bisogni, fu per il più
cosa dannosa, sprezzando i pericoli con volto allegro et sereno non
solo si lascia intendere di voler correre il risico comune, ma non
passa giorno che non si vegga da tutti la sua real presenza. Da
questo ne segue che le diligenzie di tutti sono tante esatte, e gli
ordini si bene eseguiti che non si vedono cadaveri per le strade, né
si intendono altre cose di spavento et orrore solite a provarsi in
tempi di simili miserie. Ma conoscendosi che la prudenza e cura
umana senza l'aiuto divino non vai niente, stringendo il bisogno,
si ricorre di nuovo ai voti et orazioni, e perchè il glorioso S. Anto-
nino arcivescovo di questa città ha impetrato agli abitatori di essa
altre volte grazie segnalate, l'invocano e pongono per intercessore
e mediatore appresso Dio, in questa si grave necessità; e per di-
sporsi alla grazia, doppo nuova proroga del giubileo, si fanno di-
giuni, confessioni e comunioni generali, e si ordina una devotissima
processione (1), esponendo sopra ricco palco questo glorioso corpo
in San Marco, dove si riposa nella suntuosa cappella fabbricata
da' signori Averardo et Antonino Salviati, per portarlo nella Metro-
(1) Questa ebbe luogo il 5 dicembre 1680, come si dice più avanti ; ed
il Settimanni nel suo Diario citato nota che per cera, adornamenti ed
altro, si spesero oltre 800 scudi.
Abcb. Stob. It., 5.» Serie. — X^. 2^
38G ANEDDOTI E VARIETÀ
politana chiesa. S'inviò la nobil processione, francheggiata dalla
guardia de' Tedeschi armati, la mattina de' 5 di dicembre, su le
16 ore, per via Larga, tappezzata di drappi e panni d'arazzo, odo-
rifera per la copia de' profumi, e tutta luminosa per la quantità
delle torcie che per la strada sopra tutte le porte et alle finestre
ardevano.
Precedeva lo stendardo del Duomo, seguito da quattro conta-
dini de' Frilli, famiglia del Santo, per confondere la nostra superbia,
da'PP. Domenicani (non si ammettendo altre Religioni), da'cherici,
cappellani e canonici del Duomo, con torcie accese in mano, can-
tando le Tanie, e da'Eev.^ vescovi Salviati, Ximenez, Strozzi e
Venturi, con piviali e mitre, e da Mons/ lUmo. arcivescovo Bardi,
vestito pontificalmente; e doppo ne veniva la bell'arca dorata, co-
perta di lucidissimo cristallo e guarnita di broccato di argento con
passamani d' oro, dove giaceva il corpo del glorioso Santo, circon-
dato di rose e gigli in atto di dormire, con vesti pontificali, non
mancandole altro che la parola per stimarlo vivo. Era stata prima
levata di sopra il palco dai quattro Rev.»"* Vescovi, e sostenuta
dalle loro spalle, portata da tutta la chiesa sino sulla piazza, su-
bentrando a si caro peso i PP. Domenicani con abiti sacerdotali,
sino all'entrar della piazza di S. Maria del Fiore; dove fu presa
da quattro canonici con abito simile, e portata fino al luogo pre-
parato del Duomo, ponendola sopra un bellissimo palco adornato di
ricchi candellieri di argento con gran copia di cera accesa.
Il baldacchino di drappo bianco fu alzato dal Serenissimo Gran-
duca e da' suoi Serenissimi fratelli e zio, e doppo presentate alle
SS. AA. torcie accese da titolati, cavalieri e gentiluomini, essendo
stato circondato da paggi et altri cortigiani, e da dodici buonuo-
mini di S. Martino, compagnia eretta dal detto Santo, con torcie di
cera bianca accese; e seguito dal Senato in abito di scarlatto; chiu-
dendo per ultimo la processione una compagnia di cavalleggierL Fi-
nito di cantare le Tanie e le preci, si diede principio alla messa del
Santo cantata pontificalmente da Mons.'^ Arcivescovo con buon con-
certo di musica, porgendo affettuose preghiere al glorioso pastore
e padre d' intercedere appresso S. D. M. la liberazione della città e
suo stato dal presente male. Assistè sempre S. A. a detta messa,
inginocchiato in terra sopra un piccolo cuscino, senza sorta alcuna
d' apparato. Nel dirsi la colletta del Santo suonomo le campane del
Duomo, e poi tutte l'altre della città con gpran rimbombo si fecero
lietamente sentire; e le fortezze spararono tutte l'artiglierie. A
questo segno doveva ciascheduno, dove si trovassi, inginocchiarsi,
e col quore contrito unirsi con le preghiere che da Mons.' Arci-
RICORDI DEL CONTAGIO DI FIRENZE NEL 1630 387
vescovo, dal Serenissimo Granduca e Clarissimo Senato erano allora
porte al Santo; esortati a far ciò per editto di detto Monsignore.
E perchè il popolo non concorresse a dette chiese e strade per dove
passava la processionCi stimata cosa pericolosa in tempo di contagio,
erano messe guardie di cavalleggieri e tedeschi armati alle piazze
e cantonate. Finita la messa e fotte le consuete oirimoniei s' intuo-
nano di nuovo le Tanie, e li detti quattro canonici ripigliano il santo
corpo, e col medesimo ordine e per ristesse vie vien riportato a
S. Marco dalli Rev."^ Vescovi, collocato dove prima lo levomo.
Questa processione fìi una delle più belle feste che io abbia visto
in tempo di vita mia, e procedo con tanta devozione e sentimento
che difficilmente si può esprimere. Si vedde taluno piangere dirot-
tamente, che forse tenne il ciglio asciutto nella perdita dei suoi più
cari. Nel farsi questa devozione il cielo si rasserenò, fermorno le
pioggie et il tempo si messe al buono; e da poi in qua il contagio
è andato sempre diminuendo. S. A., doppo questo notabil migliora-
mento, ha tenuto per massima cura, fondata nelli esempi passati
d'altre città, che se si facesse una quarantena generale si estirpe-
rebbe la radice del male; e viene più volte proposta ma non con-
clusa, forse per le molte difficultà messe avanti. Eisoluta, manda a
chiamare il sig. Alfonso Broccardi, e li conferisce il suo pensiero.
Questo, avvezzo al governo dello Stato in vita del gran Cosimo di
felicissima memoria, in tempo delle Serenissime Tutrici nella mino-
rità del serenissimo Granduca oggi regnante, si era fatto conoscere
per ministro prudente, integpro, libero, disinteressato et abile ad ogni
impresa, amatore del suo Principe, amico dello Stato e gran pro-
tettore de' poveri. Da qualche tempo in qua, per sua disposizione,
con buona gprazia delle Serenissime Altezze era ritirato in villa,
vivendo a se stesso. Arrivato in corte, e sentita la volontà del
Granduca, che con larga mano vuol spendere sino allo spogliarsi
la propria camicia (parole formate di S. A.), purché si liberino i
sudditi, si riacquisti il commercio tanto utile per la città fondata
sul negozio; egli assicura S. A. che, stimata per altro buona la
quarantena, il farla non esser cosa tanto difficile a S. A. che ha
danari et obedienza, e si esibisce che ciò segua, e ne mostra il modo
facile e sicuro ; desiderando sopra di sé tutta la cura, perchè sa che
molte volte si trovano architetti che gettano a terra o impediscono
i bene intesi edifizii degli altri, per fabbricarne de' nuovi secondo il
loro capriccio. Il Serenissimo si contenta e rimette e gli dà ogni
autorità per l'esecuzione del suo volere, facendo publicare detta
quarantena da cominciarsi il xx gennaio, giorno del glorioso S. Ba-
stiano, avvocato delli oppressi dal contagio. E perchè prinoipal fon-
3S8 À^ÈDDOtl È VARIETÀ
d amento è, per incamminar bene la quarantena, sapere quanti poveri
si trovino che abbino bisogno d'essere sovvenuti di vitto, per po-
terne fare le provvisioni aggiustate, si numerano tutte le case della
città, e si descrive il popolo trovato ascendere a 92 mila incirca,
tra' quali trentaquattromila che hanno bisogno del sussidio : numero
di poveri e abitatori trovato maggiore di quello si credeva. Se bene
non è cosa dove i Principi rimanghino più dolcemente e facilmente
ingannati che in tali descrizioni, ma questa è stata giusta e reale,
essendo passata per mano di più gentiluomini disinteressati. Fatto
questo, dà ordine al S/ Provveditore dell'Abbondanza che proveda
il grano necessario, a quello della Grascia carne et olio, et al So-
printendente delle possessioni di S. A. il vino, aceto e riso; restando
la cura delie legno, carbone et altro al Maestro di casa di S. A. Si
fa comandamento ai gentiluomini che mandino i fusti delle loro car-
rozze in un luogo deputato, per accomodarle a uso di carrette ; et
a suo tempo i cavalli et i cocchieri per portare i viveri alli serrati.
Et il Granduca stesso, per esempio degli altri, è il primo, seguito
dalle Serenissime Arciduchessa e Madama e da' suoi Serenissimi
fratelli e zio ; non si riservando in corte né cocchieri né cavalli, per
questo uso; et è bisognato alla Serenissima, nella devota visita che
fa il sabato alla Santissima Nunziata, torli per cosi dire in presto
dai deputati dei sestieri.
Per bene intendere l' ordine, la città è stata divisa in sei parti,
che dicono sestieri; sopra questi sono stati deputati da S. A. ven-
tiquattro gentiluomini, quattro per sestiere, con autorità di sopra-
stare e rimediare alli accidenti della loro carica. Questi suddividono
il sestiere in più parti, in sei, in otto e in dodici, conforme alla
grandezza di esso, e per ciascuna parte eleggono due gentiluomini,
cura dei quali sia il distribuire il vitto a' serrati, servendosi delle
dette carrette, e d'altri ministri minori pagati per questo effetto.
Si fanno due magazzini principali, dove si ripone il grosso delle
provvisioni ; di più ogni sestiere ha il suo magazzino particolare di
pane, vino et altre cose necessarie, robbe tutte squisite e proviste
con molta liberalità e prestezza in manco di venti giorni. I genti-
luomini deputati con le carrette assegnateli, levano i viveri da di-
stribuirsi a quelli che pigliano sussidio, il numero de' qusdi ascende
come si è detto, a 34 mila ; a ciascheduno si dà due libbre di pane
ogni mattina, parte fresco e parte biscottato, ima mezzetta di vino,
mezza libbra di carne, olio, aceto, sale, candele, legne grosse, fascine,
scope e rami di cipresso, pino o ginepro per profomar le case, car-
bone e brace, e sino alle granate e zulfanellL II venerdì et il sa-
bato, cacio, riso per minestra, uova e l'insalata. Questa distribuzione
RICORDI DEL CONTAGIO DI FIRENZE NEL 1630 889
è tanto bene ordinata, e puntualmente eseguita, che non si ode mi-
nima doglianza. Io per me credo che i poveri non abbino mai, dei
lor giorni, provato miglior tempo.
Portano questi gentiluomini un foglio in mano, dove sono no-
tati li numeri delle case che sono sotto la cura di ciascheduno, e la
quantità e qualità delle bocche che vi abitano, et in certe caselle
con una certa figura segnano le razioni. L* ordine è veramente
buono, ma è un gran vantaggio quando il Principe vien servito
da' gentiluomini. A quanti che pigliano il sussidio è proibito, sotto
gravi pene, 1* escir di casa, quelli che vivono del loro possono an-
dar fuora un por volta, sino alle quattro ore di notte, con licenzia
de' Signori della Sanità. Donne d*ogni età, e ragazzi da 14 anni in
giù, hanno la medesima proibizione, né è permesso entrare per le
case 1* uno dell' altro.
Si sono serrate tutte le botteghe e negozii, eccetto quelli del-
l'Arte della seta e lana e battelori, restando aperte, per benefizio degli
artieri, come l'altre che vendono le cose necessarie per i viveri. I
mercati si fanno fuori delle porte della città, né si permette l'escire
o entrare ad alcuno.
Il Granduca e suoi Serenissimi fratelli e zio si lascia vedere
ogni giorno o a piedi o a cavallo, domandando e lodando le cose
ben fatte. E veramente che in giovenile età fa mostra di saggio
Prìncipe, sollecito, giusto e pio ! Di più, per assicurare la città dai
disordini e per l'osservanza della quarantena, due Senatori della
Sanità di giorno la scorrano, accompagnati da buona guardia; fa-
cendo l' istesso la notte due compagnie d' infanteria andando in pat-
tuglia. Con la medesima liberalità e nel medesimo giorno, ma non
con tanta strettezza, si cominciò la quarantena nel contado, nutrendo
i poveri lavoratori et permettendoli che eschino per li poderi a la-
vorare e coltivare. Si è anche dato questo sussidio a più di un mo-
nasterio di povere monache, et a più conventi di mendicanti, et a
tutti quelli si trovano in carcere ; si sono radunati e spesati in luoghi
separati li poveri e vagabondi della città; sono esciti in più volte
da' lazzeretti più di 2500 tra uomini e donne, rivestiti di nuovo : et
ogni cosa si è fatto a spese di S. A.
Ha Mons. Il Imo. Bardi volsuto concorrere con i soliti aiuti spi-
rituali in questa quarantena, come ha fatto in tutti gli altri bisogni;
venutosene da Roma per assistere al suo gregge. Et è stato molto
a tempo, essendo esciti da S. Signoria Illma. ottimi consigli, et in
particulare, di bruciare subito le robe teche dagl'infermi o morti
di contagio, dandogliene in quel cambio altre nuove e migliori, a
spese di S. A. Ha fatto ereggere per le strade altari in gran nu-
890 ANEDDOTI E VARIETÀ
mero, dove con autorità pontificia si celebrano ogni mattina le messe,
e vi si cantano le Tanie della Madonna; dichiarando che si sodi-
sfaccia al precetto con la sola presenza, o alle finestre, o agli usci,
concedendosi indulgenza a quelli che faranno orazione a detti altari;
ai quali ogni giorno si recita, a cori, dai serrati, il santìssimo Ro-
sario ; e per le strade sono preti e regolari con stole e cotte, che
r intuonano e reggono; e tre volte la settimana due canonici del
Duomo con buona comitiva di preti fanno ristesse. Queste vie paiono
tanti cori di Eeligiosi. Non voglio tralasciare che la settimana pas-
sata li curati andarono a confessare per le parrocchie agli usci delle
case, e la domenica, giorno della Santissima Purificazione, commu-
nicorno nel medesimo luogo con gran devozione e consolazione
de' chiusi. Si continuerà di far ristesse gli altri giorni festivi
Gli effetti della quarantena, oggi che siamo aUa metà, succe-
dono benissimo, perchè non ne sono morti ragguagliatamente otto
il giorno, sempre scemando, e deportati ai lazzeretti, intorno a do-
dici, tra' quali ce ne sono stati di quelli che non hanno male di con-
tagio. Per la città si sente qualche terzana, segno che il male
sia per cessare del tutto.
Il numero de' morti, dal principio del male fino a questo giorno,
compresoci il contado, ascende a diecimila in circa, tutta gente povera
e mendica, e per il più donne e ragazzi; non si contano, di gente
nobile e comoda, venti morti.
I rimedi! che si sono trovati buoni sono stati l'olio contrave-
leni del Granduca, l'uso del quale si faceva in più modi, o con l'or-
zate o in altro, se ne pigliava otto o dieci gocciole per volta, e se
ne untava la regione del cuore e tutti i polsi; la teriaca (1), to-
gliendone la mattina mezza dramma avanti il sciroppo; la conti-
cerva o in polvere o in quintessenza. Questo è stato de'migliorL
Intendendo però delle polveri, e sudatorii applicati a questi malL
Ha giovato estremamente l'uso de' vescicatorii sotto a'buboni, o
enfiati, tanto nelle coscie quanto sotto le braccia; et è stato notato
che tutti quelli che da principio si sono curati e cavati sangue, su-
bito scoperto il male, quasi tutti sono guariti ; ma passate 24 ore
è stato mortale. L'olio di gigli bianchi e l'application e di lana su-
cida ha fatto molto bene. Nella regola del vitto non è stato male il
largheggiare.
(1) Si disse anche Tiriaca, Otriaca e Triaca, che era un altro medicea
mento coutrp a' veleni.
RICORDI DEL CONTAGIO DI FIRENZE NEL 1630 391
Fra i preservativi hanno* dato il primo luogo alle pillore di ruffo,
dette comuni, fatte di due parti di aloè succutrino, una parte di mirra
e mezza parte di zafferano, pigliandone due o tre o quattro fino in
sei al peso di mezzo scropolo (1) Tuna; il prefato olio di S. A.; l'olio
di coccole di ginepro, presone quattro o cinque gocciole la mattina
in vino, o vero fattone pasticche con zucchero et altri antidoti d'an-
gelica imperatoria, carlina zoduaria, resolute con zucchero, e fattone
morselletti ; e tante altre ricette che sarebbe lungo lo scriverle.
Io non ho usato altro che le dette pillole di ruffo e l'olio oon-
troveleni di S. A., untandomene i polsi e la regione del cuore.
Ho preso a digiuno dua fìchisecchi, dua noci, 12 foglie di ruta
con sale, e beutoci dietro un poco di vino. Dicono che questo era
r antìdoto di Mitridate, il quale per essere di vii prezzo fu da Pom-
peio dispregiato, quando tra le spoglie del vitto Ee trovò in uno stipo
questa ricetta. Io me lo son trovato molto buono.
Tutta la spesa fatta dal Serenissimo Granduca, da che si sco-
perse il male sino ad oggi, che siamo alli otto di ferraio, ne' lazze-
retti, e per bisogno degl'infermi, ascende a più di 260 mila scudi,
senza la quarantena, che importerà, finita, 240 mila in circa, et cosi
in tutto saranno più di 500 mila scudi Da che si può concludere
che il tesoro de' principi è molto più necessario per mantenimento
de' sudditi in tempo di pace che in tempo di guerra; essendo che
quelli, e non l'oro, ampliano e difendono li Stati.
Tutto questo è il seguito, pervenuto a mia notizia, da che co-
minciò il male in questa città, sino alli 8 di ferraio ; scrittolo da me
semplicemente ma col fondamento della verità.
(1) Lo Scroxx)lo era un peso che valeva la vigesima quarta parte del-
l' oncia.
Rassegna Bibliografica
■*••■
A. Crivellucci, Manuale del metodo storico colP indicazione delle rac-
colte di fonti e dei repertorii bUdiografid più importantL Euristica
e critica cap, 3,^ e 4.^ del € Lehrbuch der historischen Methode di
Emesto Bemheim », tradotti e adattati aìTttso degli studiosi ita-
liani. Con aggiunte e correzioni fatte dall'autore al suo testo per
la versione italiana, - Pisa, Spoerri, 1897. - 8.<>, pp. vni-208.
n lavoro, che il prof. Crivellucci ci presenta tradotto dal te-
desco, augurandosene pronta nell'interesse degli studiosi una se-
conda edizione, mira a colmare una veramente grave lacuna nelle
cognizioni dei giovani, che per la prima volta assistono ad un corso
imiversitario di storia. Salve eccezioni, che temo siano ancora rare
assai, gli scolari nei corsi del liceo ascoltano narrar la storia solo
in forma dommatica ; quali siano le fonti, da cui le notizie dei fieitti
sono attinte, come i fatti siano stati ricostruiti, fino a qual segno
essi siano credibili, tutto questo generalmente è detto allo scolaro
in modo troppo sommario. Parlo per esperienza mia propria, perchè
gli anni, in cui frequentai come scolaro io stesso il liceo, per for-
tuna, non sono ancora troppo lontani, e perchè ogni anno, al rin-
novarsi della scolaresca universitaria, ho innanzi nuove prove. 11
primo giorno, che gli allievi nuovi apprendono, che tutto l'anno
scolastico sarà impiegato per istudiare solo in parte un periodo
storico, ch'essi hanno udito svolgere in ima sola lezione di liceo,
la prima volta, che odono parlar di Monumenta Qermaniae histarìca,
di opere in lingua tedesca, la quale la massima parte di loro non
intende affatto, cadono dalle nuvole; e, poiché difficilmente diamo
torto a noi stessi, fin dalle prime lezioni essi richiamano volentieri
in mente il monito, eh' è la moda di fare agli studiosi seri, che bi-
sogna dar bando al feticismo verso l' erudizione tedesca, che bisogna
badare ai grandi fatti, alle idee, non ismarrirsi in quisquiglie eru-
dite. Cosi s'insinua fra la scolaresca una reazione contro l'insegna-
mento universitario, la quale è talvolta ancora più difficile a vincere
che non l'ignoranza del metodo; e solo col tempo, ma assai tardi,
gli allievi più intelligenti e più volonterosi si persuadono, che prima
CRIVELLUCCI, MANUALE DEL METODO STORICO 893
•
di salir alle idee bisogna appurare i fatti, epperciò studiarli diligen-
temente. La cosa è chiara, dirò meglio, è una questione morale sem-
plicissima; ma avvezzi a leggere gazzette e libri di seconda e di
terza mano, a udir discorsi reboanti, si dimentica anche il precetto,
che non bisogna parlare di ciò che non si conosce.
Ma veniamo ali* argomento. H manuale, ohe il professor Crivel-
lucci dedicò ai suoi scolari delP università di Pisa, è una traduzione
libera con aggiunte e correzioni di un'opera assai più voluminosa,
pubblicata fin dal 1889 da Ernesto Bemheim, professore di storia
air università di Greifswald; nel 1894 VA. ne fece una seconda
edizione con profonde mutazioni ed aggiunte; allorché parlerò del
testo tedesco, mi varrò naturalmente di questa seconda edizione.
L'opera del Bemheim si svolge in sei capitoli, intitolati: Concetto
ed essenza della scienza storica. Metodologia, Euristica, Critica, Ri-
costruzione (€ AufTassung »), Esposizione. Il Crivellucci tradusse
soltanto i due capitoli dedicati all'euristica ed alla critica delle fonti,
cioè un po' meno della metà del volume del Bemheim. Il motivo di
questa pubblicazione parziale evidentemente è economico; tuttavia il
Crivellucci giudica pure, che i due capitoli tradotti siano quelli
€ più pratici, più utili e più necessari per noi >. Sulla ragione eco-
nomica naturalmente non si può discutere; quanto al giudizio del
Crivellucci, esso ha gran parte di vero, perchè difficilmente un no-
stro scolaro leggerebbe certi paragrafi del testo tedesco, d'indole
piuttosto filosofica che storica. Ciò non ostante mi permetto di no-
tare, che anche le osservazioni esposte nei primi due capitoli del
testo del Bernheim, opportunamente riassunte, sarebbero state utili ;
perchè avrebbero spiegato allo scolaro una quantità di questioni
in tomo ai caratteri, allo svolgimento ed allo scopo della storio-
grafia, ch'esso è tratto naturalmente a farsi, che anzi talora s'in-
carnano in quello spirito di reazione contro la ricerca storica, che
sopra ho lamentato. Le parole del Bernheim potrebbero dimostrar
allo scolaro, che chiedendo, ch'egli sia paziente nelle ricerche, co-
scenzioso e riflessivo nella ricostruzione dei fatti, rigoroso nella loro
esposizione, non gli si toglie di pensare ai più alti fini della storio-
grafia, ai molteplici rapporti di questa colle altre discipline e colla
vita pratica, anzi gli si assicura il modo di soddisfare davvero a
questa naturale aspirazione. Il bisogno di quest'aggiunta del resto
è stato compreso anche dal Crivellucci, il quale ha già promesso di
farla ad una seconda edizione.
Quanto ai criteri, con cui la traduzione fu condotta, chi con-
fronterà, p. es., il primo paragrafo di questa intorno all'euristica col
paragrafo corrispondente nel testo tedesco, rileverà subito, ohe il
394 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
«
Crivellucci ha veramente levato di mezzo qualche definizione forse
più rigorosa, ma anche più intricata ed ha reso 1* esposizione più
disinvolta, più rapida. Questo pensiero è stato felice; anzi mi pare,
che avrebhe potuto essere seguito anche più profondamente : qua e
là, specialmente nella parte seconda intorno alla critica delle fonti,
dove il Crivellucci dichiara di aver tradotto presso che alla lettera,
sotto 1* italiano si sente il tedesco co^ in alcuni vocaholi poco propri,
quale il nome criticismo, che ritoma tanto spesso, come nella costru-
zione del periodo. Certo chi segue un ragionamento in una lingua
straniera si sente incatenato, oltre che alla successione dei pensieri,
anche alla forma, con cui questi sono espressi, ma chi legge senz'altro
la traduzione si avvede fertilmente anche de* nei. S* aggiunga, che il
Bernheim stesso non è sempre felice nelle sue espressioni Cito un
esempio : fra gli avanzi storici il Bernheim enumera anche quelli
materiali dell'uomo, ed a ragione; ma non pago di aver detto più
chiaramente ancora € die kdrperlichen Ueberreste der Mensohen »,
soggiunge, che in questi bisogna contare anche € die Ueberbleibsel
« des menschlichen Lebensprozesses » : chi sa che cosa penserebbe
il lettore innanzi a queste insistenti espressioni, se il buon erudito
non si affrettasse a spiegare ancora, che tra siffatti resti sono i
« KUchenabfìillen ». Il Crivellucci sormontò questa difficoltà, sotto
un certo aspetto ridicola, traducendo, che fra gli avanzi storici sono
« innanzi tutto i resti corporei degli uomini, tra i quali possiamo
€ anche annoverare le traccie del vivere umano quali ci sono con-
€ servate, ad esempio, negli avanzi dei pasti ». Ciò, che in sostanza
si voleva dire, però è cosi semplice, che forse non richiedeva nep-
pure tante parole.
Ora prendiamo a sfogliar il manuale; e se farò appunti, l'egregio
traduttore voglia attribuir questi non a saccenteria, ma al vivo mio
desiderio, che il suo libro, utile e bello, diventi anche migliore e
serva completamente ai bisogni italiani, perchè, questo in somma mi
pare il suo difetto, esso è ancora troppo tedesco.
Il manuale si apre con un quadro della € partizione della me-
« todica ». Il primo capitolo, intitolato € dottrina delle fonti », è
diviso in parecchi paragrafi, il primo dei quali indica in breve la
« partizione delle fonti ». Il secondo paragrafo dà notizia delle prin-
cipali raccolte di fonti, dei repertori e della bibliografia generale;
esso è per conseguenza una delle parti più utili dell'opera; ma le
osservazioni generali fatte a mo' d' introduzione avrebbero potuto
essere più particolareggiate e meno dure. L'A. afferma, che col-
1' € ultimo medioevo », intendi alla fine di questo, quanto a raccolte
di fonti, s'incomincia a star male e peggio si sta per l'età moderna;
CRIVBLLUOOI, MANUALE DEL METODO STORICO 395
ora è vero, per i tempi a noi più vicini le raccolte di fonti, special-
mente se s' intende parlare delle fonti narrative (non si potrebbe
dir altrettanto di quelle diplomaticlie), mancano quasi affatto; ma
questa mancanza si spiega in parte: le fonti per l'età moderna cre-
scono di numero vertiginosamente, rendendo assai difficile lo strin-
gerle in raccolte ; inoltre sono assai più alla mano che non le opere
dell'età classica e del primo medioevo, serbate in pochi codici ma-
noscritti Tra le raccolte di fonti poi sono nominate giustamente
in primo luogo quelle dovute al Muratori; ma mentre l'A. si sof-
ferma a lungo a far la storia e la rassegna delle varie categorie di
fonti raccolte nei Monumenta Germaniae historica, per il Muratori
s'accontenta di ripetere quanto questo stesso scrisse intomo al-
l'opera propria nella prefazione ai Rerum Italicarum JScriptores.
Questa concisione può forse ancora scusarsi nel testo originale,
perchè i Tedeschi meno sovente si occupano dell'ultimo medioevo
italiano, per il quale la raccolta del Muratori è ancora la fonte prin-
cipale; per gl'Italiani invece quel cenno non basta, perchè quella
del Muratori per noi è pur sempre la più ampia raccolta di fonti
narrative. Doveva esser meglio rilevata la contenenza e l' indole di
ciascuna delle opere principali del Muratori, di cui i giovani uscenti
dal liceo spesso (lo vidi alla prova) conoscono appena 1 titoli attra-
verso la fuggevole notizia data dal Disegno storico della letteratura
italiana del Fornaciari ; dovevano essere notati gli utili Indici delle
opere Muratoriane, pubblicati dalla Deputazione di storia patria di
Torino e dovevano pure essere ricordati, meglio che col semplice
nome, i continuatori dell' opera del Muratori, a costo di risparmiare
magari il ricordo del disgusto € d'ogni maniera di preconcetti e
€ nell'analisi e nella sintesi », che il Bernheim attribuì ai nostri
tempi. Ai quali venendo, noto pure, che la creazione della Deputa-
zione di storia patria per opera del Governo Piemontese, e la crea-
zione àéiVArchitno storico italiano per opera di G. P. Vieusseux (fon-
datore del Gabinetto omonimo in Firenze) e di altri benemeriti cit-
tadini, meritavano pure una notizia più ampia e, diciamo francamente,
più affettuosa : quelle due istituzioni, sorte fra il rombo dei cannoni,
furono un'opera grandemente benemerita per se stessa ed anche
perchè diedero impulso alle numerose Deputazioni di storia patria
odierne, verso le quali il Crivellucci mi pare troppo severo. Che
queste Deputazioni potrebbero far meglio, credo anch' io ; ma quanti
documenti storici furono pure fatti conoscere da esse, quanto ma-
teriale storico apprestano ogni anno persone, che non sono sempre
pienamente agguerrite nell' arte critica, ma che conoscono addentro
gli archivi più fuori di mano e, potendo godere in dolce far niente
896 RASSEGNA BIBLICN^RAFICA
il loro censo, trascorrono invece le intiere giornate negli arcHivi!
Or son pòchi anni un dotto tedesco, ben noto per i suoi severi giu-
dizi, il Kehr, vantava anzi ai Tedeschi l'opera di questi dotti, nu-
merosi tanto in Italia quanto in Francia, ed io non credo oppo^
tuno insegnare ai giovani a trascurarli Tra le grandi raccolte
straniere di fonti, a causa della sua particolare importanza per noi
avrebbe meritato una descrizione alquanto particolareggiata il Corpta
inscriptùmum latinarum. Meritavano pure maggior attenzione le rac-
colte di fonti storiche francesi, le quali, appunto perchè sono colle-
gate meno strettamente fra loro, presentano maggiori difficoltà a chi
la prima volta cerca di orientarvisi. Il medesimo dico delle raccolte
svizzere, che interessano direttamente parecchie regioni italiane.
Questi difetti, che non si possono giustificare del tutto neppure
nel testo tedesco, il quale spesso è piuttosto teorico che pratico,
saltano ancora più all'occhio nella traduzione italiana, perchè le
lacune più gravi ricorrono appunto nella nostra bibliografìa e perchè,
mentre i giovani, che escono dai ginnasi tedeschi, hanno già ima
qualche conoscenza delle opere storiche capitali, i nostri comune-
mente non ne intuiscono neppure l'esistenza. Allo scolaro italiano
occorre non solo enumerare le principali raccolte di fonti storiche,
ma segnalarne l'importanza, spiegare il modo di adoperarle con
facilità. Un'altra lacuna sta nell'indicazione dei periodici storici
italiani II Grivellucci si appagò di indicarne tre : io invece avrei
voluto, che fossero passate in rassegna le singole regioni italiane e
per ciascuna fossero indicati i periodici storici esistenti o cessati da
poco, né solo i periodici storici, ma anche quelli spettanti a disci-
pline, che hanno tratto colla storia, le pubblicazioni delle accademie
e società, insomma tutti quei mezzi, a cui è ncessario ricorrere per
imparar a conoscere la storiografìa delle varie regioni italiane.
Infine nella bibliografia delle fonti storiche è omessa quella ric-
chissima degli Stati della monarchia di Savoja compilata dal Manno
e pubblicata dalla Deputazione di storia patria di Torino (1).
Passando alle scienze sussidiarie ed alla loro bibliografia, noto,
che nella filologia fra le grammatiche italiane il Crivellucci dimen*
(1) Invece il Crivellucci nota, come se ancora si pubblicasse, il Botlet-
tino delle opere moderne atraniere acquistate dalle Biblioteche pubbliche govema-
tive, mentre, per i soliti dolorosi motivi di economia, questo cessò fin dal 1891.
Il Crivellucci dice fallito il tentativo del Bonghi di unire ai programmi
scolastici dei ginnasi le pubblicazioni scientifiche dei professori : il fatto
in generale è vero ; ma alcuni dei detti programmi continuano opportuna-
mente ad arriccliirsi di quelle pubblicazioni, che in Germania sono celebri.
ÒRIVELLtTCOl, IfAKtJALS DEL METODO STORICO 307
tìca la migliorei quella del Meyer-Ltlbke, ora arricchita di nume-
rose aggiunte ed osservazioni dal Salvioni. Nella paleografia ò omesso
il Sommario di paleografia ad uso déia potUificia Scuola Vaticana
del compiaoto Carini, alquanto fiurraginoso, se si vuole, ma dotato
pure di buone osaervaiionL Per la diplomatica non so far osserva-
sionL Nella sfragistica vedo eon rincrescimento passati sotto silen-
zio ^ studi del Promls, nell'araldica il recente dizionario del Manno.
Nulla so osservare per la numismaticai la genealogia e biografia, e
la cronologia ; la geografia, per la quale il Crivellucci approfittò dei
preziosi suggerimenti del proL Marinelli, è trattata con cura spe-
ciale, ottima in sé, ma che mette forse più in mostra la scarsezza
di notizie intomo alle altre discipline; però accanto al bel Dizionario
del Bepetti avrei voluto ricordare quello degli Stati sardi del Ca-
salis. A questi capitoli bibliografici, che riusciranno certo utilissimi,
non sarebbe forse stato inopportuno aggiungere come appendice una
breve nota delle opere generali d'indole espositiva particolarmente
raccomandabili, come storie dei principali Stati d'Europa, della
Chiesa, dell' Impero» delle crociate, del diritto, delle arti, di singole
epoche, ecc. e possibilmente indicar opere italiane, francesi, o tradu-
zioni in queste due lingue, perchè, per il doloroso guaio giù notato,
sono ancora troppo pochi i nostri scolari, che conoscono la lingua
inglese e quella tedesca, nella quale sono scritte il massimo numero
delle opere indicate dal Bemheim e, dietro a lui, dal Crivellucci.
La seconda parte del manuale, destinata alla critica delle fonti,
ci dA minor occasione ad osservazioni, tanto più, che ho già no-
tato, oome la traduzione talora sia forse troppo stretta al testo te-
desco ed alcuni giudizi assoluti siano . meno opportuni in un ma-
nuale scolastica L'A. qui tratta in primo luogo della critica estrìnseca
delle fonti, quindi dell'autenticità di queste, la quale a sua volta
lo conduce a discorrere delle falsificazioni, delle interpolazinni, del-
l' errore. Dopo aver parlato dell'autenticità, il manuale passa a
trattare dei caratteri estrinseci delle fonti, cioè del tempo, del luogo,
dell'autore^ dell'analisi delle fonti, della recensione ed odizionc, sulla
quale avrei voluto, che il traduttore si fermasse di più, spiegando
per disteso ai nostri scolari come vuole essere edito criticamente un
testo a seconda della sua varia natura, dei secoli a cui a])partiene, ecc.
Trapassando alla critica intrinseca (1), cioè alla determinazione del
(1) A pag. IflB, in un punto, ohe può destar dubbi, e stato stampato
crìtica wrfnwieeWj mentre voleva dirsi eatruMeca.
398 RASSEGNA BIBLIOORAFIOA
valore intrinseco delle fonti, si tratta dei caratteri di queste, del
carattere deir autore, del tempo e del luogo, del giudizio sul valore
o sull'attendibilità delle fonti, del confronto di queste fra loro, del
giudizio definitivo sulla verità dei fatti, dell' ordinamento crìtico dei
materiali ; sotto questo ultimo titolo si parla anche dei registri, ma
troppo in breve, e con criteri adattabili solo ai documenti della
storia medievale, mentre le discussioni, che si agitano in Germania
intorno a questo argomento, avrebbero fornito al Crivellucci occa-
sione ad aggiungere un capitolo prezioso per gli studiosi tutti.
Biassumendo, il prof. Crivellucci ba fatto agli scolari un regalo,
che riuscirà loro assai utile ; mi auguro perciò che venga presto
una seconda edizione e che in questa il Crivellucci, perfezionando
la sua buona opera, aggiunga un breve e geniale riassunto dei ca-
pitoli non tradotti ora, si renda più libero ancora dal testo tedesco
ed abbondi nella bibliografìa e nelle spiegazioni richieste dalle con-
dizioni speciali dei nostri scolari.
Pavia, Carlo Mbrkbl.
GiOROio Battaglia, Vordinamento della proprietà fondiaria in Si-
cilia sotto i Normanni e gli SvevL - Palermo, Beber, 1896, - 8.*
Molto opportunamente le ricerche dei moderni cultori delle di-
scipline storiche si rivolgono allo studio degli ordinamenti econo-
mici, politici e sociali, nelle loro vicende successive, nella loro lenta
e continua evoluzione.
L'aw. Giorgio Battaglia, che già studiò l'Ordinamento della
proprietà fondiaria in Sicilia al tempo dei Mussulmani, ha continuato
i suoi studi sull'argomento con un lavoro sull'ordinamento della
proprietà fondiaria nell'Italia meridionale al tempo dei Normanni
e degli Svevi ; ed alla pubblicazione di questo suo nuovo lavoro ha
fatto precedere un volume di documenti da lui stesso trovati (1),
che illustrano l' argomento che egli ha trattato e ne corroborano le
conclusioni.
Noi non possiamo se non approvare, senza restrizione, la scelta
di un tale argomento importantissimo, massime perchè il periodo
che il Battaglia ha studiato coincide col fiorire dell'ordinamento
(1) / diplomi inediti relativi àlV ordinamento della propridà fkmiimia cu
Sicilia, 8oUo I Normanni e gli Svevi; Palermo, Beber, 18d5. 8,*
BATTAOUA; PROPRIETÀ FONDIARIA IN SICILIA 399
feudale, nel quale la proprietà fondiaria (che è Punica forma, in
quel tempo, di proprietà) ha un'importanza immensa e costituisce
il fondamento di tutto l' edifìzio sociale. Ma importa vedere se V ar-
gomento, come è stato bene scelto, cosi sia stato anche bene trat-
tato. E, anzi tutto, l'argomento che è indicato nel titolo, è stato
poi svolto nel libro?
Veramente noi non abbiamo sino ad ora che im sol volume dei
due, di cui l'opera dovrà constare; ma dal sommario che l'A. ci dà
della materia che sarà trattata nel secondo, noi possiamo arguire
quale ne sarà il contenuto. Sino ad ora, in questo primo volume,
noi troviamo della proprietà fondiaria detto assai poco. Vi si trova un
capitolo intero (il volume si compone di sei) sull'origine dei comuni,
due altri interi capitoli sui privilegi e sulle immunità ecclesiastiche
e sulla facoltà concessa a vescovi e a monasteri di giudicare in
materia civile e criminale, una lunghissima divagazione sulle spese
relative ai servizi pubblici (esercito, giustizia, istruzione pubblica ec.)
nel medioevo e nei tempi moderni, richiami continui e prolissi ad
avvenimenti e ad istituzioni del resto d'Italia, di Francia, d'Inghil-
terra; e cosi via. Ora, lo sappiamo bene, gran parte di questi sog-
getti hanno un'intima relazione coli' ordinamento della proprietà fon-
diaria, dal quale in gran parte essi dipendono : ma occorre che questa
relazione sia dimostrata e messa in luce; altrimenti non si capisce
cosa ci stia a fare tanta roba, che a prima vista sembra estranea
all' argomento. In realtà non solo il Battaglia non si cura di mettere
in luce questa relazione, ma pare che neppur egli l'abbia compresa;
peggio ancora : egli ci ha parlato di tanti fatti che risultano da quel
dato ordinamento della proprietà fondiaria, ma di questa non ci ha
spiegato l'organismo e il funzionamento, e ce ne ha dato appena
pochi accenni particolari, slegati, da cui è impossibile trarre un
concetto sintetico generale. Della struttura intima del feudalesimo,
niente : appena qua e là qualche accenno alle angarie, poche parole
sulla dipendenza dei villani ; e quasi nient' altro. Vero è che tra gli
argomenti che dovranno esser trattati nel secondo volume è indicata
anche La feudalità neW Italia meridionale; ma perchè riservare al
secondo volume quello che doveva esser l'argomento fondamentale,
la cui trattazione doveva servir di base e di premessa necessaria
alla trattazione di tutti gli altri argomenti?
Anche quanto ai continui richiami a fatti e ad istituzioni di
altri paesi, noi sappiamo bene quanto sia utile e scientificamente
rigoroso il metodo comparativo; ma il Battaglia non si cura quasi
mai di servirsene per dimostrare la relazione genetica o analogica
tra i vari fatti, o per studiarne le differenze, mettendole in relazione
400 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
con le differenti cause onde i fatti derivarono o con le differenti
condizioni in cui si svolsero.
Anche è da osservarsi come non cerchi mai PA* di distingaere
nell'esposizione quali siano i fatti da lui per la prima volta dimo-
strati e quali sian quelli già da lungo tempo studiati e accertati ; e
come nel riferire questi non usi alcuna misura con g^ave scapito
dell' economia del libro. E non solo questo ; ma, nell' esporre, 1*A.
mette insieme, alla rinfusa, fatti che non han nulla a che fare tra
di loro, specialmente negli ultimi due capitoli di questo primo vo-
lume. E una tale confusione fa si che si ripetano le medesime cose
più volte, dello stesso argomento si tratti in quattro o cinque luo-
ghi diversi, invece di fame una trattazione unica, organica. Cosi,
ad esempio, delle angario.
Tutto ciò che è riferito ad illustrazione dell'argomento prin-
cipale occorreva fosse esposto in modo più succinto; tutto ciò che
è riferito come conclusione di altri occorreva fosse più chiaro e più
preciso. £ occorreva anche che del risultato degli studi altrui si
tenesse conto sempre. L'A. sembra abbia attinto a molte fonti, abbia
cioè studiato largamente le opere che trattano del suo soggetto o
di soggetti affini: ma quando vediamo che egli non determina la
differenza tra schiavi e servi e indica promiscuamente con la stessa
parola servi l'una e l'altra condizione, anche dove (p. 116) era im-
portante distinguerle, perchè si descrive la trasformazione dell'una
nell'altra; noi dobbiam credere che egli non sappia questa verità
fondamentale, che cioè la schiavitù e la servitù della gleba son due
cose assai diverse, per quanto la seconda derivi dalla prima e ne sia
quasi un'attenuazione.
Quando a pp. 87 e segg. egli rifa, tutta la vecchia e trita questione
sull'origine dei comuni italiani, se vi prevalga cioè l'influenza ro-
mana o germanica, e poi, venendo a studiar la Sicilia, non enuncia
la causa principale per cui fu quivi impedito il sorgere delle isti-
tuzioni municipali, la mancanza cioè di una vita industriale e com-
merciale (1) ; egli mostra di non conoscere quello che già da tempo
lo studio delle istituzioni municipali ha messo in sodo, che cioè la
loro vita è dovuta appunto a quel fiorire di industrie e di commercio,
che abbatte la potenza dei baroni e con essa l'ordinamento feudale.
Nel principio del suo lavoro l' A. parla de La comunione dei beni
(1) Il curioso è che a questa causa giustamente accenna a p. 96 per
spiegare come « i prìncipii repubblicani non poterono efficacemente in-
« fluire negli animi dei Siciliani a quei tempi ». -
BATTAQLIA, PROPRIETÀ FONDIARIA IN SIOIUA 401
famigliare in Sicilia. Notiamo anzi tutto che l'argomento, per l'im-
portanza speciale che esso ha e per le peculiarità che offrono in
riguardo gli statuti o consuetudini dei comuni siciliani, poteva e
doveva esser trattato assai più largamente, rilevando anche le dif-
ferenze che sono nelle varie consuetudini. Ma, quel che più importa,
si può qui parlare in modo assoluto di comunione di beni? Gli sta-
tuti dei comuni siciliani stabiliscono, è vero, (eccetto quello di Si-
racusa che stabilisce anzi espressamente il contrario) che i beni dei
coniugi natis filiis o elapso anno a tempore consumati mairimomi
(consuetudini di Palermo) o dopo un anno, un mese, una settimana
e un giorno dal matrimonio (consuetudini di Caltagirone) confun-
duntur et unum corpus efflciuntur ; ma la comunione dei beni non
è qui se non temporanea: tanto è vero che le consuetudini stabili-
scono quale, nel caso che i genitori vogliano dividere, debba esser
la parte spettante a ciascuno di essi ed ai figli. E questo è confer-
mato anche dai documenti stessi che PA. ha pubblicato e dai con-
fronti che egli fa coli' antico diritto danese e con le Assise di
Gerusalemme, in cui, poiché si parla di divisioni e di mciUé, non
si può pretender di vedere una comunione vera e propria. V'ò
anche di più: nella consuetudine 6.<^ di Messina è stabilito che se
la madre premuore al padre, il figliò che voglia vivere a sé (ecco
quindi che la divisione non è più soltanto formale) ha diritto al
terzo che era della madre; e se invece muore prima il padre ha
diritto ai due terzi. Nella consuetudine 5.^ pure di Messina e nella 16.*
di Patti è detto che se la madre premuore al padre, le è data fa-
coltà di disporre prò velie dei beni mobili che sono nella sua terza
parte, mentre gli stabili vanno ai figli. Ma, si continua, si non sunt
ei mobiUa, potest de stabUibus portionis stuie tantum usque ad me-
dietatem valoris eorundem stabUhim extimatorum prò veUe testari.
Che se poi dai documenti citati dal Battaglia appare che le vendite
dei beni fatte dal padre son fatte una cum uxore, filiis et filiabus,
se ve ne sono, o almeno eis consentientibus, ciò non può distruggere
le conclusioni cui adducono le consuetudini citate ; tanto più in
quanto che il consenso del figlio si trova dato anche nel docu-
mento lU della raccolta del Battaglia, sebbene in quel caso la
madre (vedova), avendo sposato secondo il costume greco, potesse
disporre liberamente dei beni che le derivavano da eredità paterna
e materna; e nel documento II si trova dato il consenso della figlia
per una donazione che il padre fa della terza parte che a lui era
toccata nella divisione. Questo potrà far quindi conchiudere di ima
solidarietà famigliare, come la chiama il Battaglia in fondo a p. 13,
che esiste non ostante la divisione dei beni già avvenuta; di una
Abch. Stob. It., 5.* Serie. — XX. 26
solidarietà olie è alquanto diversa dalla comunioDe, sebbene derivi
da questa e rappresenti una forma di pasaaggio dalla comanione di
famiglia alla proprietà individuale,
Nelle prime pagine del libro l'A. discute brevemente delle in-
vasioni barbariche e nota la diversità dello spirito di conquista nei
Bomani e sei barbari. Occorreva, per porre in rilievo e comprender
meglio le differenze, partire dalla differenza fondamentale che era
Dolio scopo delle invosioai: perchè i Bomani miravano ad estendere
il loro dominio, assoggettando sempre ui^ovi territori, fondandovi
colonie in cui ai trasferiva la parte eccedente della popolazione,
sopra tutto la classe più povera dei cittadini romanL Ma il centro
dell' impero restava sempre Roma, in cui andava sviluppandosi e
cresceva sempre più uno spirito ardente di conquista. I barbari
iavece non tendevano a conquistare nuovi territori, ma quando le
terre su cui abitavano, o non bastavano più ai bisogni della cre-
sciuta popolazione o avrelibero almeno richiesto un lavoro maggiore
per la coltivazione, i popoli emigravano e si trasferivano su nuove
terre inabitate e fertili, di cui era grande l' abbondanza, data la
Boarsità della popolazione (cfr. Tacito, Gei-mania e. 2tì). E cosi ten-
devano man mano verso il Sud, forse anche perché, come attesta
la fisiologia, il clima più caldo rende minori di numero e d'inten-
sità i bisogni della vita materiale. E questo modo di conquista riesce
a spiegarci anche la ragione per cui prevalse lungo tempo dopo le
invasioni barbariche il sistema delle leggi personali. Da quelle in-
vasioni repentine, da quelle occupazioni passeggere per il soprave-
nire di nuovi occupanti, non poteva sorgere un sistema giuridico
territoriale. Solo quando i popoli cominciarono a prender sede sta-
bile su un dato territorio fu possibile il sorgere di un sistema di
leggi, in cui il principio della territorialità andò sempre più estm-
dendosi, mentre si restrinse quello della personalità.
Altre osservazioni speciali ci sarebbero pare da fare; e non
poche, Ci contenteremo di farne solo alcune. Per esempio, a p. lOG^
l'A. dice cbe il diritto negli abitanti di far legna nei boschi sembra
sia una conseguenza del concetto giuridico della proprietà presso i
barbari, cioè di un concetto giurìdico che, secondo alcuni, avrebbe
prodotto presso quei popoli la proprietà collettiva. Ora, anche la-
sciando di considerare che gli studi moderni attestano cbe la pro-
prietà collettiva si ritrova presso tutti i popoli nei primi stadi della
loro evoluzione economica, notiamo ohe l'A. stesso ricorda in quel
medesimo luogo su indicato che le servitù d'uso, tra cui h appunto il
diritto di far legna, esistettero in lutti i tempi, ed è noto del resta
che essi perdurarono e perdurano anzi tuttora, sotto il nome di
BATTAGLIA, PROPRIETÀ FONDIARIA IN SICILIA 403
usi civici, in molte regioni anche d'Italia; e sarebbe davvero as-
surdo supporre che ciò sia sempre effetto del concetto giuridico
della proprietà presso i barbari.
A p. 23 r A. scrive : < La proprietà fondiaria era la precipua
< sorgente dei bilanci dei vari governi di quell'epoca, che non
« avevano ancora saputo (!) creare tutte le tasse dirette e indirette,
« escogitate ai giorni nostri dai moderni legislatori e dagli illustri
« finanzieri > (!!). Eppure VA, stesso a pp. 140 e segg. spiega come
e perchè minori fossero allora che oggi le esigenze del bilancio; e
d'altra parte era ovvio osservare che la proprietà fondiaria era
allora l' unica forma di proprietà e che di terra era assai maggiore
allora la quantità in confronto della popolazione ; cosi che la proprietà
fondiaria, anche da sola, era sorgente abbastanza copiosa pei bilancL
Cosi pure a p. 132 non ci pare che le parole del Falcando siano
in contrasto, come mostra di credere l'A., col fatto di moltissimi
Greci e Saraceni che furono proprietari di case, vigne ec.
Quanto abbiam detto dimostra chiaramente che l'opera del
Battaglia ha, secondo noi, molti e gravi difetti. Ma è giusto avver-
tire che qualche pregio pur v'è. Alcune questioni speciali, come
quella della divisione delle terre successive alla conquista (pp. 23 e
segg.) e quella delle immunità ecclesiastiche (pp. 66-78) son trattate
bene, e l'opinione sostenuta dall'A. vi è ampiamente svolta e dimo-
strata. Anche è da lodare la diligenza dell'A. nella ricerca amplissima
delle fonti ; per modo che egli ha potuto raccogliere molte notizie
relative all' argomento. Anche dei documenti raccolti in xm volume
speciale, se alcuni non dimostrano fatti nuovi né ai vecchi apportano
nuova luce, altri invece hanno per l' uno o per l' altro rispetto no-
tevole importanza. In conclusione il materiale non manca, e il Bat-
taglia ha il merito di aver saputo raccoglierlo; ma un'opera orga-
nica egli non ne ha saputo trar fuori davvero.
Siena, Ugo Guido Mondolfo.
Codice Diplomatico Barese, edito a cura detta Commissione Provinciale
di archeologia e storia patria. Voi. I. Le pergamene del Dìiomo di
Bari (962-1264) per G. B. Nnro Db Bossi e Francesco Nitti
DI Vito. - Bari, 1897, coi tipi dell' editore V. Vecchi di Trani. -
4.®, pp. LXXviii-240.
Della pubblicazione di questo Codice diplomatico barese va data
lode grande non solo ai due egregi professori, che hanno lavorato
in tomo a questo primo volume, ma anche in modo particolare agli
lìlbUOGRAFICA
insigni componenti la Deputazione provinciale dì Btoria patrio, che,
attraverso difficoltà intinite e dopo parecchi anni di paziente iktìcai
hanno saputo condurre a. termine l' impresa. Questa lode ìnoondisio-
nata verrà d& ogni onesto BtudìoEo di storia patria, il quale vtixi
cosi coronato l' edilìzio storico, cui han preso parte, negli ultimi tilt-
quant'anni, tutte le provincìe d'Italia, ed al quale maccara finora
il contributo apportatovi dalla Regione Pugliese. K perciò che la data
della pubblicazione di questo primo volume, che inizia cosi ben* la
serie di pubblicazioni diplomatiehe che si seguiranno, sarà una data
memorabile negli annali degli studi storici, perchè viene ad inao-
gurare il periodo, in cui, con la scorta di documenti inediti e boo-
noaoiuti, ai potrà scrivere la storia di una regione d'Italia, che pur
ha avuto tanta importanza nei secoli del medio evo.
S' è cominciata pertanto l' opera delle tonti storiche pnglieei dal
ricco Diplomatico dell'Archivio capitolare della chiesa cattedrale ili
Bari, che sarà compreso in questo ed in un secondo volume, il quale
conterrà le pergamene del tempo dei due primi re di casa d'Angiò
dal 126fi al ISOSf, periodo questo assai importante nella storia dì
Bari. Il pro£ De Hossì, nella introduzione del volume, dopo «TW
detto del fortunato ritrovamento delle carte cercate, tesse naa £»
gace storia dell' archivio barese e delle peripezie cui, per eoits 4^
mune, andò soggette. Esisteva fin dal secolo XII, ricco dì docDmiiBti
e di diplomi riguai-dau ti le prerogative della chiesa di Bari; m& il
materiale archivistico venne straordinariamente crescendo n«'9acolì
successivi, e giù nel secolo Xill se n' erano compilati larghi tmi-
sunti. Il bisogno di avere come un prontuario de' privilegi della
chiesa sì senti maggiore nel princìpio del secolo XVI, e, qnasi con-
temporaneamente, quando il Consiglio dell'Università di Bari oidi-
nava raccogliersi in un libro tutti i privilegi concessi alla dtti,
(il qual libro fu poi il cosi detto Libro Ucmso), il Consiglio capitolu*
faceva trascrìvere in un volume le bolle e i diplomi conceduU aUa
chiesa. Da quel momento perù ì documenti originali veaneio &•
mentìcati, trascurati, perduti, e si ricorse sempre, fino a' nosln
giorni, anche dagli storici (a cominciare dal Beatilio e dall' Ugbdii
fino al benemerito e compianto Petroni) al Libro Homo della dùesa
dì Bari ; ma ritornati ora a luce gli originali, di essi devesi lo stu-
dioso occupare (1), Sfortunatamente, anche qui, in mezzo al gntae
(1) Faccio osservare che, nonostante ì molti errori rìaoontraU nella
compilatone di detto Libro, esso ha nn valore, che non vedo rileTato. G
sono pervenuti tutti i documenti originnli transuntati dal notaio. Q. B>
Bonaxn sui primi del sec. SVI? Bisognava prevenire la dimanda; e, •*
CODIOB DIFLOMATIOO BARESE 405
è stato seminato il loglio, e le fonti genuine sono state deturpate
da documenti falsificati, dovuti ai conflitti di giurisdizione agitatisi
tra le chiese di Bari e di Canosa. Peraltro, la questione della fal-
sità, per quanto sembri di facile soluzione in tesi generale, non è
cosi nel!' applicazione ai casi singoli ; donde può derivare, nei critici,
opinione diversa sull' autenticità o non autenticità di un dato docu-
mento. Questo appunto s'è verificato nel caso nostro, in cui lo storico
De-Bossi ed il paleografo Nitti, se si son trovati d'accordo nel
riconoscere l'autenticità, p. es., delle tre bolle di Alessandro II
(maggio 1606), Anacleto antipapa (5 nov. 1181), Eugenio m (18
marzo 1151), sono stati invece di contrario o dubbio avviso per
altri documenti. Dei quali non staremo qui a discutere singolar-
mente: soltanto crediamo di dover notare che la critica del Nitti
si fonda sulla moderna dottrina diplomatica, che distingue netta-
mente la falsità delle forme diplomatiche dalla falsità del contenuto
storico, e stabilisce inoltre che certe forme, apparentemente false,
possono giustificarsi col riscontro di altri criteri; quindi egli si
mostra assai prudente e riservato prima di condannare un docu-
mento. Che a noi paia avere egli sempre ragione, non diremo; ma
il metodo è lodevole.
La introduzione del De-Bossi continua a parlare rapidamente
della nuova luce che i documenti baresi gettano sul diritto con-
suetudinario e sulle varie manifestazioni storiche del popolo ba-
rese ne' secoli medioevali, e consacra infine parecchie pagine impor-
tanti alla storia architettonica del Duomo di Bari e di alcuni mo-
numenti che l'abbelliscono, riferendo al secolo XV i frammenti
del cosi detto aUare di Alfano, creduto dagli antichi scrittori del
secolo XI, e dal prof. P. Fantasia recentemente attribuito al se-
colo xin.
n Codice diplomatico è propriamente opera, lodevolissima, del
Nitti, già alunno della Facoltà di lettere e della Scuola di paleo-
grafia di Firenze, il quale ha voluto cosi fare onore di sua fatica,
non tanto a sé stesso, quanto ai suoi insigni maestri Precede un
ottimo indice di tutte le pergamene pubblicate, con transunti sobri,
ma esatti II Codice comprende 107 pergamene, delle quali soltanto
17 erano state già pubblicate dall' TJghelli, dal Carruba, dal Pe-
troni o da altri, e 97 sono inedite, di cui qualcuna era stata già
la risposta era affermativa, tagliar corto ad ogni dubbio ; se negativa,
esaminare il libro, e notare i transunti del Bonazzi, de' quali non s'è ri-
trovato l'originale.
406 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
semplicemente citata (1); e questa cifra ragguardevole di perga-
mene ora per la prima volta pubblicate accresce il valore del co-
dice. Ventisei pergamene appartengono al periodo del dominio greco
(952-1067), ma nessuna è in lingua greca, tranne qualche sottoscri-
zione. Al periodo normanno (1073-1194) ne appartengono 41, tra
edite ed inedite, ed a quello svevo (1196-1266) 47, Il testo di cia-
scuna è sempre preceduto da transunto, bibliografia e osservazioni
speciali, allorché si dà il caso di farne; e la trascrizione del testo
è fatta con grande esattezza, sebbene ci paia esagerato, e non sap-
piamo a che cosa sia utile, il sistema di riprodurre tale quale la
errata punteggiatura.
Fra i documenti inediti, pubblicati dal N., ce ne sono due che
non riguardano affatto Bari. In uno, datato 13 giugno 1224, Bologna,
€ Herasmits scrìptor f, qd, Stephani de Gaieta promisit domino Ma-
rino FHangerio canonico salernitano, glosulare et codicem suum de
apparatu seu cemento domini Ugolini presbiteri legum doctoris, prò
pretio viginti librarum bon(pniensium) ; et hoc promisit ei facere et
óbservare sine interpositione aUerius operis et de eque bona Uttera, ut
fecit in carta iUa ubi est iitulus de pactis, Item fuit actum inter
eos, quod debet detrahi de pretio viginti librarum iUud quod fuU glo-
sidatum et scriptum in dicto codice de ipso apparatu per alium scripto-
rem vel scriptores, ». Il transunto delP altro, datato 18 ottobre 1225,
Trani, è il seguente : < Dominus Eogerius tranensis canonicus dedit
potestatem Eustasio clerico tranensi petendi libros depositos penes do-
minum Marinum fratrem Imperialis menescalci. Insuper constituit
eum procuratorem ad redimendum decreta sua oMigata Ramaldo de
telo. Roggerius notarius ». Il siniscalco, e non maniscalco, di Fede-
rico Il era Giordano Filangieri, fratello di Marino.
Il N. pubblica ancora in Appendice il testo del famoso ExuUet
della prima metà del secolo XI, che si conserva nel Duomo di Bari,
illustrandone le belle miniature, di cui si ha tin'idea dall'annesso
facsimile, e chiude il codice con un'indice dei nomi propri e un
glossario delle voci basso-latine e basso-greche, ambedue diligen-
tissimi. Questo primo volume del Codice ci dà buona caparra di
quelli, che si succederanno, si spera, a breve intervallo di tempo.
Bari, Francesco Carabbllbsb.
(1) La piccola differenza nelle cifre proviene dal fatto che alcune poche
pergamene sono doppie. Una fu citata dal medesimo N. in Di una i$cri-
zione reltquaria anteriore al 1000 in Arch. stor, ilal., ser. V, to. XII, 1893.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 407
The Elevatìon and ProcessUm of the Ceri at Gubbio by Herbert M.
BowBR. M. A. - London, David Bufct et C», 1897. - 8.0
Questo libro è uno studio molto erudito sulla curiosa processione
dei Ceri a Gubbio, che si fa il 15 maggio alla vigilia di S. Ubaldo.
In questo giorno si portano in processione tre alte costruzioni
di legno dipinto, intagliate quasi a somiglianza di due obelischi
sovrapposti, e coronate dalle statuette di S. Ubaldo, S. Giorgio e
S. Antonio. Ciascimo di questi cosi detti Ceri, adattato sopra una
barella pesante, è portato per la città da dodici uomini, i quali
vanno di gran carriera anche per le strade più erte, e fino alla
chiesa di S. Ubaldo, in cima al Monte Ingino. Prima di cominciare la
corsa unita in processione, i Ceri sono portati attorno separatamente
e, davanti a certe case indicate, sono fatti girare rapidamente a tre
riprese e sempre a sinistra. Tre tavole sono imbandite tre volte in
altrettante case per festeggiare i Geraioli e farli riposare dall'im-
mane fatica. Il Vescovo, il Sindaco ed altre autorità siedono alla
tavola di S. Ubaldo, ospiti 'del Primo Capitano. Ma, quantunque
sanzionata dalla Chiesa, la processione non è una funzione eccle-
siastica.
Dicono alcuni che la festa dei Ceri sia una commemorazione
della vittoria di Gubbio contro la Lega delle undici città, nel 1164,
durante il regno del buon vescovo Ubaldo ; ma certi particolari della
cerimonia, come, p. es. il versare dell'acqua sulla figura del Santo
prima d' elevarla sul Cero, ec., fanno credere a ima derivazione ben
più antica e anteriore al cristianesimo.
Dopo una descrizione minutissima delle usanze, che danno un
carattere tanto fantastico a questa processione, l'A. ci dà il risul-
tato delle sue ricerche sull'origine di essa, e con molto acume ne
delinea, secondo il suo modo di credere, la storia attraverso i secoli,
convalidandola con molte citazioni dal Grimm, dal Bòteler, dal Bréal
e da altre celebri autorità in materia di « FoUc-'Lore >. L'A. ritiene
che la processione sìa una reliquia dell'antichissimo culto degli
alberi che sopravvive in tanti paesi, come, per esempio, in Inghil-
terra nella festa del Maypole, il 1.^ maggio. Dopo un sommario
coscienzioso, non solo di fatti osservati, ma pure di varie teorie
opposte alle isue, egli conchiude coli' asserire esservi « grande prò-
€ babUità che i tre Ceri roteanti di Gubbio rappresentino un anti-
< chissimo rito silvano.... e che fossero in origine gli alberi di maggio,
« ossia emblemi dell'albero sacro presso qualche popolo abitante
408 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
€ in Gubbio o nelle vicinanze. Inoltre, non essere punto improbabile
€ che, associati o non associati con qualche culto della natura (Na-
« ture-worship), come del fuoco, del sole, ec, questi Ceri fossero
< esposti annualmente a benefizio dei devoti, ed a scongiurare i mali ;
< e che più tardi, mantenendo il loro carattere protettore, fossero
< sempre associati con lustrazioni annuali del popolo eugubino ; che
« queste lustrazioni fossero d' una natura semi-militare ; e che nel
€ medio evo - forse prima - questi alberi, perdendo il loro carattere
« antico e pagano, divenissero emblemi di Santi cristiani e costituis-
< sero anche un tributo annuale di cera. Le nostre investigazioni
€ tendono a farci credere che, ai tempi di sant'Ubaldo, il pagane-
< Simo, quantunque riguardato come culto del diavolo, disprezzato
€ e temuto, non fosse tramontato del tutto; che più tardi, in omaggio
« alle qualità ed ai miracoli d'Ubaldo, nonché alle sue prodezze
< militari, come capo degli Eugubini, ed in onore alla Chiesa, uno
« de' Ceri servisse di piedistallo all' effigie del vescovo. Cosicché nei
€ Ceri de' tempi moderni abbiamo reliquie semi-religiose e semi-
< militari (il cui significato, se oggi é oscuro, non ^ mai forse pri-
€ mamente chiaro) che sono sempre state riguardate dal popolo
€ come una rappresentazione de' suoi geni tutelari >.
Il volume del signor Bower fatto con cura, pieno di notizie at-
tenenti al soggetto ed arricchito d'un Appendice sulle famose Ta-
vole Eugubine, forma un contributo prezioso alla storia delle usanze
popolari italiane. Ma se possiamo lodare le ricerche dell'Autore, non
possiamo del pari lodare la forma in cui il- libro é scritto. Essa la-
scia spesso desiderare una maggiore precisione, e uno stile più sem-
plice e conciso.
Firenze, Linda Villahi.
Paolo Luotto, Il vero Savonarola e U Savonarola di L, Pastor. -
Firenze, Successori Le Mounier, 1897. - 8.<* gr., pp. x-620.
Io piglio la penna non per fare una recensione di questo libro, ma
solo per invogliare a leggerlo quanti amano la verità e la giustizia,
quanti sono, e comecchessia, cultori della memoria del Frate, e amici
o avversari suoi: leggerlo, sia pure interrottamente e in mezzo ad
altre occupazioni, come ho fatto io, ma non frettolosamente. Vi tro-
veranno (ne son certo) come io v'ho trovato, tutta la neoeissaria
LUOTTO, IL VERO SAVONAROLA £C. 409
preparazione alla piena e coscienziosa trattazione del soggetto, una
bella e ordinata disposizione e composizione delle parti, lucidità
nell' esporre, rigore e acume, non sofisticheria, nelP argomentare e
dedurre; un sincero intento sempre di scoprire e mostrare il vero,
non di palliarlo o stravolgerlo : tutte le qualità insomma che fanno
di un libro una vera e propria opera, onesta, d'arte e di scienza.
Qualche leggiero neo nella purezza e proprietà della lingua niente
detrae alla efficacia, semplicità ed eleganza dello stile; qualche lar-
ghezza e abbondanza talvolta (che non è però mai vaniloquio,
né altera le proporzioni) viene dal possesso pieno e assoluto del-
l' argomento in chi scrive, dalla copia stragrande di notizie e os-
servazioni da lui raccolte: è quasi direi il rompere, o qui o là,
di un fiume tanto ricolmo d'acque che forza umana non basti a
contenere.
n fine principale dell'autore fu di ribattere le vecchie accuse
contro il Savonarola, ultimamente ripetute e aggravate da Lodo-
vico Pastor, nel volume terzo della sua Storia dei Papi Temeva, e
a ragione, che la grande e meritata stima che ottiene quell' opera
presso gli studiosi, perchè scritta da un uomo di molto ingegno e
dottrina e, per di più, vero cattolico, troppo non nuocesse alla me-
moria del grande Domenicano, massime ora che, e da un lato la
Chiesa si mostra verso di lui più benigna, e dall'altro, appressan-
dosi il quarto centenario dalla sua morte, altri vessilli che non sien
quelli della religione cattolica e ^ dell' ordine possono alzarsi nel
nome suo.
Trattando del Savonarola, niente passò inosservato al Pastor
di quanto si è finora scritto intomo a lui, ninno forse dei docu-
menti che a lui in qualche modo si riferiscono : ma tutto, o quasi,
accolse nella sua Storia, giudizi e informazioni, senza raffrontare e
discutere, senza badare, dico, alla qualità dei giudici e de' relatori.
Trascurò poi quasi del tutto ogni studio ed esame di quanto il Frate
avea pensato e scritto ; e sentenziò, o per meglio dire accettò, sugli
atti della sua vita, la sentenza altrui, senza tener conto delle dot-
trine da lui professate, e che avrebber potuto, anche a' suoi occhi,
giustificarle e spiegarle. Questa critica delle fonti e questo esame
degli scritti del Savonarola, che mancano nel Pastor, fece il pro-
fessor Luotto ; e arrivò a mostrarci non solo l' assoluta bontà delle
sue dottrine ma la più scrupolosa applicazione ch'ei ne fece sem-
pre nelle occorrenze della vita; la rettitudine, la sincerità soprat-
tutto, d'ogni sua azione e intenzione. Vedrà pertanto il lettore
come di tante accuse fattegli, da quelle, gravissime sopr'a tutte,
di empietà e impostura a quella di pura allucinazione; da quella
410
BASSEIGHA BIBUOUBAFICA
dì eccessivo zelo e Intemperanza nella riibrma dei costumi, tanto
da voler fare di tutta la città un convento, da minacciare e chie-
dere pei vizìoai e scandalosi pene straordinarie e sproporzionate alle
nolpe, e suscitare odi e niraicizie nella città e porre la disoordùi
nelle famiglie, a quella di essere, volontariamente e per fini mon-
dani e non retti, entrato nella politica, rinfocolandone le paaaioni,
e aver tenuto a forza la cittù nella parte francese contro la lega
italiana ed il Papa ; vedrà, dico, il lettore come di queste e altre
simiglianti accuso, non rimnnga assolutamente più nulla; tanto è in
questo libro piena e convincente la difesa di ciascuna di esse, tanto
vi è perfino prevista e confutata ogni possibile e ]>iù sottile obie-
zione. Vedrà ancora come la tanto riprovata inobbedienza del Nostro
ai brevi che lo cltiamavano a Koma, che gli vietavano le prediche,
che gli ordinavano di riunire la sua con altre congregazioni, cbe
lo escludevano dalla comunione dei fedeli ; e la incolpazione stessii
di voler promovere un conciiio senza e contro il Pontefice, non
sieno più, oramai, che crollanti edifìzi, cui basterà il più lieve urto
a minare da' fondamenti. L' urto io dico che, insieme con la critica
spassionata, potrà dare la Chiesa, riconoscendo che U suo capo vi-
sibile che si trovò a giudicare, in vita e in morte, il Savonarola, fu
circuito e tratto In inganno dalle perfide arti di chi voleva, con la
perdita del Frate, spegnere in Firenze la libertà, mortificare i semi
di quella civile e morale rinnovazione eh' egli, con tonto ardora, ai
afiaticava a spargere intorno a sk.
Col fine apologetico, cui principalmente mirava, e per il modo
atesso che si propose in conseguirlo, un altro 6ne dovea di neces-
sità raggiungere l' autore. I/O presentiamo dal tìtolo ; ma egli anche
lo dichiara in principio delta Prefazione: < Questo libro (dice] qtwu-
< tunque nascesse dal proposito dì ribattere il giudizio dato su
« fra G. 3. da L. Pastor, è tuttavia una tesi piuttosto che una 01^
• tica e una polemica : si propone di mostrare il t>ero Sf'voiumlaf
* provando insieme che quello del FasEor è un Savonarola in patt»
• immaginario. Nostro intento perciò non ò solo di dìstmggere ma
* di edificare >, L'esame e Io studio delle opere di fra Girolamo fu
fatto anche da altri e insigni storici, ma da tutti, o più o meno,
in relazione con la sua vita pubblica. Ora in questo libro, oltre
a tutta !a vita del Savonarola, alle sue azioni e relazioni con gli
altri, noi abbiamo, e diciam pure per la prima volta interamente,
l'uomo interiore. Solo da questo libro si comprende tutta la stoce-
riti dell' animo suo, tutto l' ardore della sua fede, tutto il suo xelo
per la religione, tutta la sua carità e compassione del prossimo,
tutto il suo spirito dì sacrifizio, l' entusiasmo, quasi direi, di dare
LUOTTO, IL VERO SAVONAROLA EC. 411
anche la vita per la salute dell'anime, per la pace e il benessere
dell'umanità (1).
n quarto centenario, che or dicevo appressarsi, è imminente;
e un Comitato di ecclesiastici degni, cui presiede uno di essi col-
locato in gran dignità e, se altri mai, illuminato ed equanime, si
è costituito in Firenze per celebrarlo. Potrebbe far capo (speriamolo)
a quella completa assoluzione del Frate, che fu l'unica, nobile e
santa aspirazione del nostro autore, e sarebbe il più gran premio,
ma condegno, dell' opera sua. Il più gran premio dell' opera, e
insieme (ahimè!) il più grande ma meritato onore alla sua me-
moria. Perchè egli (non tutti i lettori lo sapranno), il 19 di di-
cembre, tre mesi forse dalla pubblicazione del suo libro, e proprio
(1) Per sempre più invogliare a leggere questo libro (oh' è il mio in-
tento principale), do le intitolazioni dei capitoli che lo compongono; da cui,
meglio che dal fin qui detto, può apparire la sua novità e importanza.
I. Origine e intento del presente scritto. - II. Il Pastor non conosce
le opere del Savonarola e scrisse impreparato. - III. Insufficiente cono-
scenza nel Pastor della predicazione Savonaroliana. - IV. La beneficenza
cristiana e G. S. - V. Q. S. e i sacramenti della confessione e della co-
munione. - VI. La Vergine Maria e G. S. - VII. L'astrologia e Q. S. -
Vni-XI. Sul metodo di predicazione del S. (con quattro sottotitoli), - XII.
Le feste promosse e le feste vietate in Firenze da fra G. S. - XIII. Se lo
zelo passionato facesse dimenticare al S. ohe la Chiesa di natura sua è in
questo mondo. - XIV. Nuove accuse contro fra G. e difesa relativa. -
XV. La famiglia cristiana e G. S. - XVI. Se G. 8. eccedesse nel ripren-
dere i vi:g del clero. - XVII. Zelo di fra G. per la casa di Dio. - XVIII.
n Savonarola e lo spirito profetico. - XIX-XXI. La politica del Savonarola
- 1. Se fra Girolamo, occupandosi di politica, eccedesse i limiti del predi-
catore religioso - 2. Fra G., la Lega e Carlo Vili - 3. Fra G. e l'unione
e la giustizia politica in Firenze. - XXII. Necessità di esporre la teorica
Savonaroliana intorno la gerarchia ecclesiastica, l'obbedienza ai superiori,
le leggi canoniche e la scomunica. - XXIII. Bella gerarchia ecclesiastica
secondo G. S. - XXIV. Il Romano Pontefice nella gerarchia ecclesiastica
secondo G. S. - XXV. Teorica dell'obbedienza. - XXVI. Delle leggi ca-
noniche e della scomunica. - XXVII. Si dimostra la teorica del S. sopra
esposta esser cattolica, e si ribatte P accusa ch^ egli ritenga che la vita
peccaminosa dei prelati ne scuota la giurisdizione. - XX Vili. Se G. S.
dichiarasse il convincimento soggettivo quale stregua della obbedienza
ecclesiastica. - XXIX e XXX. I brevi de' 21 luglio, 8 settembre e 16 ot-
tobre 1495; e relativa condotta del Frate. - XXXI. L'unione dei Conventi.
- XXXn. La Scomunica. - XXXni. Il Concilio. - XXXIV. La prova del
fuoco e la morte.
412 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
per il lungo studio e il grande amore messo nel comporlo, passò da
questa a miglior vita, nell'età sua di appena quarantadue anni.
Egli era da un pezzo, invero, cultore e studioso della memoria del
grande Domenicano ; ma non si arriva a comprendere come in meno
d'un anno potesse non dico raccorre tutta la materia di questo libro,
ma solo materialmente scriverne le seicento e più grandi pagine di
fittissima stampa. Noi sentiamo a volte l' affiftticarsi, quasi direi l'an-
simare, di chi va frettoloso per una lunga e disagevole via; ma sen-
tiamo pure che le forze non lo abbandoneranno fin eh' e' non tocchi
la meta. « Arrivati a questo punto (scrive egli, cominciando il ca-
« pitelo XXn), il nostro lavoro assume un'importanza capitale. Ci
€ piacerebbe sostare un poco; ma la via che ci resta da x>eroorrere
« e il desiderio di giungere alla meta ci attraggono potentemente,
€ e son pur molti che ci stimolano di andar forte. Senz' altra cura
« dunque, e non pigliandoci nemmeno il conforto e il vantaggio che
€ ci verrebbe dal volger lo sguardo al cammino già fatto, spie-
« ghiamo le vele pel mare più alto e più tempestoso che ci si para
« innanzi, e in cui molti ricusarono di mettere il loro legno, o navi-
€ garono pessimamente, non lasciando nemmeno sognato il solco del
€ loro cammino ».
Egli era di Villafranca d'Asti, e fu allievo dell'università di
Torino : ora insegnava la filosofia nel Liceo di Faenza. La sua morte
destò un generale compianto di maestri, di colleghi e discepoli, di
quanti ebbero il bene di conoscerlo e amarlo (1). Del suo ingegno
e della sua cultura, di quanto egli ha fatto e avrebbe potuto fìtre,
son testimonio e argomento le sue pubblicazioni, questa in special
modo; ma del candore e della bontà e gentilezza dell'animo suo,
della sincerità e rettitudine de' suoi principi e intendimenti, della
sua grande aspirazione al buono ed al bello, del suo gran cuore,
non posson dire (né mai diranno abbastanza) che la fiimiglia e gli
amici. Io lo conoscevo da poco, ma quasi mi pareva, e ogg^ mi pare
più che mai, di averlo visto nascere e crescere e farsi adulto sotto
i miei occhi ; perchè egli era uno di quei rari uomini che al primo
tratto si rivelano interi, e sempre poi rimangono nella mente e
nel cuore.
Firenze, A. Ghbrahdi.
(1) Tra le non poche testimonianze di stima e di affetto resegli già
dalla stampa, notevolissima è quella di E. Magri, nel giornale B èimgeUo
caUolico, del 25 dicembre.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 413
Ugo Guido Mondolfo, La genesi ddla Mandragola ed U suo conte-
nuto estetico e morale, - Teramo, Tip. del Corriere Abrvassseae, 1897.
- %.\ pp. 62.
Il sig. M. aveva già in parte studiata la questione della Man-
dragata in una memoria che venne pubblicata nel Giornale storico
della letteratura italiana, e che porta il titolo : La data della Man-
dragola: seguita ora e compie il suo studio con questo nuovo la-
voro. Nella prima parte si occupa di stabilire in quale anno, circa,
fu scritta la Mandragola. Essa ha per soggetto un fatto, che si sup-
pone avvenuto verso il 1504, ma non può essere stata scritta (come
già notarono il Villari e il Medin) anteriormente al 1513, cioè non
prima del tempo in cui il Machiavelli, per il ritorno dei Medici a
Firenze, perde l'impiego e si ritirò nella sua villa di San Casciano
a vita privata. Il M. è d' accordo col Medin riguardo al terminus a
quo, e crede egli pure che la commedia debba esser posteriore al 13
marzo 1513, giacché solo in questi giorni il Machiavelli fu liberato dal
carcere, dov'era stato rinchiuso per essersi scoperta la congiura
del Boscoli e del Capponi, di cui si sospettò essere egli complice;
ma non concorda collo stesso Medin riguardo al termmus ad quem,
e non crede con lui che questo debba stabilirsi nello stesso anno 1513.
Considerando che nell'Epistolario del Machiavelli non si trova al-
cun accenno alla Mandragola, anteriore al 1525, e che non si ha no-
tizia di rappresentazioni di questa commedia prima del 1519, conclude
il M. che € la data di composizione della Mandragola, nonostante la
€ mancanza di prove positive, debba ritenersi posteriore (di quanto
€ non può facilmente determinarsi) al 1513 ».
Lo stabilire la data della Mandragola è, a parere del M., d'im-
portanza grandissima, perchè le vicende della vita del Machiavelli
furono tante e cosi varie che € quello, che ci appare strano, scritto
€ in un tempo, ci appare invece naturalissimo in tempo diverso,
€ quando erano avvenuti cosi profondi mutamenti nella vita di lui ».
Del resto, osserva l'A., la stessa contradizione profonda, lo stesso vivo
contrasto, che noi osserviamo tra gli scritti politici del Machiavelli
e la sua Mandragola, si trova talora anche, a una linea di distanza,
nelle sue lettere familiari. E qui il M. cita varie lettere del Ma-
chiavelli, prima fra tutte quella bellissima e a tutti nota, ch'egli
scrisse all' oratore Vettori dalla sua villa di San Casciano ; dalle
quali lettere apparisce chiara, secondo l' avviso del M., la fieudlità
colla quale il grande scrittore passava improvvisamente e brusca-
mente da un soggetto all' altro, spesso i più disparati Cosi, per
414 RASSEGNA BIBLIOORAFICA
esempio, mentre si occupa de' più importanti fatti politici deL suo
tempo e fa congetture per l'avvenire, lo vediamo ad un tratto cam-
biar tema od entrare a parlare de' suoi amori e delle sue donne, in
modo il più delle volte ironico e burlesco : e nelle sue stesse opere,
accanto ai Capitoli per una compagnia di piacere, che hanno un'in-
tonazione scherzevole dal principio alla fine, troviamo un Discorso
morale, nel quale l'Autore s'inspira tutto a principi asceticL
Del resto, osserva il M., tutto questo insieme di fenomeni non è
già qualcosa d'isolato in quel secolo XVI, ma sì riconnette ad un
ordino ben più largo di fatti. E a questo proposito egli ci fa un
quadro di tutte le vicende di questo secolo e vuol rilevare il con-
trasto fra tante imprese gloriose e tanti fatti empi od osceni, che
si succedevano e s'intrecciavano, senz' alcuna nozione precisa di
moralità. Non già, dice l'A., che il secolo XVI fosse, come sostengono
molti, immorale: ma è più logico e razionale, a suo avviso, il dire
che quel secolo ebbe una morale diversa dalla nostra : siamo in un
periodo d'incoscienza, che ritroviamo uguale in Atene al tempo di
Demostene, in Boma al tempo di Cesare: è la libertà, è l'indipen-
denza, che è prossima ad esser seppellita in una tomba, donde non
uscirà se non dopo lungo volger di tempo. Nel principio del se-
colo XVI una forma sociale andava rapidamente decadendo, e questa
sua decadenza dava luogo a quell' incoscienza, a quel contrasto, che
abbiamo già notatL
Segue il M. facendo una relazione assai diffusa del contenuto
della Mandragola e, riguardo al giudizio sintetico della commedia
crede (contrariamente alle opinioni del Grafj del Medin e del Villarì)
che il Machiavelli non abbia avuto altro scopo, scrivendo la Man-
dragola, che quello di ridere e di far ridere. « Non per questo »,
conclude il M., € essa cesserà di essere la più bella commedia che
€ abbia la letteratura italiana ».
Fin qui ho esposto, quanto più fedelmente mi è stato possibile,
il contenuto dell' opuscolo del M., il quale, mi affretto ad aggiungere,
ha mostrato in questo suo lavoro molta diligenza e molto acume
critico. Mi si permettano ora alcune considerazioni.
Quanto all' osservazione che il M. fa riguardo alla morale del se-
colo XVI, pare a me ch'essa sia alquanto esagerata; poiché, anche
ammettendo che quello fosse un periodo di decadenza e di evolu-
zione, e che l'inerzia in cui erano piombati gli animi non permet-
tesse loro di distinguere nettamente ciò che fosse bene e ciò che
fosse male, contuttociò bisogna pur convenire che vi sono certi
supremi principi di morale e di giustizia, che s'impongono e si
mantengono inalterati in tutti i tempi e in tutte le condizioni;
MOKDOLFOy LA OENESI DELLA « MANDRAGOLA » 415
e ne troviamo esempi anche nel secolo XVL Cosi, pur andando
d'accordo col M. circa alla facilità con cui nel Cinquecento anche
gli uomini più illustri e i popoli più forti passavano talvolta da
imprese gloriose a fatti immorali, ci parrehhe ingiusto il non osser-
vare che vi furono in questo amhiente corrotto uomini ragguarde-
voli, i quali si mantennero di specchiata moralità per tutta la loro
vita, quali (per non uscire da Firenze) Niccolò Capponi, il Giannotti,
il Nardi, Michelangiolo Buonarroti, e lo stesso Pier Sederini, che
tenne il gonfalonierato della Bepubblica con memorabile integrità,
e del cui animo onesto e incorruttibile il Machiavelli, che gli fu
degno compagno, ebbe grande stima (1).
Anche sulla conclusione del M. rispetto al fine della Mandragola
dissentiamo in parte dall'egregio autore. Che il Machiavelli, scri-
vendola, abbia in gran parte avuto lo scopo di ridere e di far
ridere, non è da dubitarsi ; ma ci sembra non esatto l' asserire in
modo assoluto che questo fosse l'unico scopo della sua commedia.
La Mandragola (è stato osservato) fii la commedia di quella società,
di cui il Principe è la tragedia: il che significa che il grande pensa-
tore, il quale nel Principe e nei Discorai esaminava, con tanta finezza
d' argomenti e con si grande potenza di logica, i mali della società
contemporanea e ne suggeriva i rimedi, nella Mandragola cambia
in burlesco il tòno serio e mette in scena, tratteggiandoli da maestro,
personaggi grotteschi e ridicoli : ma la satira delle condizioni poli-
tiche e morali del tempo rimane ; meno aspra forse, meno sangui-
nosa, ma conforme sempre ai concetti dell'autore, alle sue aspira-
zioni, alle sue amarezze. D'altra parte il M. stesso ci dice che il
Machiavelli non poteva vivere lungi dalle agitazioni politiche dell' età
sua e che, nel suo ritiro di San Casciano, sentiva dolorosamente la
propria inazione, il proprio isolamento : ci sembra dunque naturale che
egli, anche se dapprima non avesse avuto alcuna idea di far servire
la Mandragola come strumento ad attaccare coli' arme del ridicolo
la società, in mezzo alla quale aveva vissuto, vi fosse poi trasci-
nato, quasi inconsapevolmente, per il suo stesso carattelre, per le
vicende del suo passato, per la disperazione del tempo presente.
E a farci più convinti di questo, basta, a mio parere, l'immortale
macchietta di fra Timoteo, che è una delle figure principali se
non la principale, di tutta la commedia. Quel frate, il quale con si
fina ipocrisia si presta alla tresca di Ligurie, che adduce a giusti-
(1) Gfr. ViLLABi, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi (2.> ediz.), I, pp. 482|
U, 188, 189, 206.
41G RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ficazione del suo operato le disposizioni dei libri della Chiesa, e
finisce benedicendo V adulterio, è una rappresentazione vivace e ter-
ribile che il Machiavelli fa, pur ridendo, della corruzione del clero:
e ci fa ricordare quel fiero discorso (dodicesimo del Libro I dei
Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio), nel quale pure si scaglia
contro la Chiesa romana e dice che ad essa sola si deve la man-
canza d^ogni religione che ha rovinato l'Italia.
Concludendo, noi crediamo che quelli stessi concetti, i quali
hanno inspirato i Discorsi e il Priticipe balenino, in altra forma,
cioè come pittura rappresentativa di costumi, anche nella Mandra-
gola, e che sia soprattutto evidente la satira contro la Chiesa. Ap-
punto per questo (come già osservò il Villari nella sua opera ma-
gistrale) (1) la commedia comincia e finisce in chiesa, e un frate vi
campeggia come personaggio principale.
Siena. Mario B. Paoli.
Augusto Vernarecci, Lavinia FeUria della Rovere, marchesa del
Vasto (da documenti inediti). - Fossombrone, F. Monacelli, 1896.
- 8.0, pp. 212.
Urbino e la sua corte possono dirsi davvero fortunate per le
illustrazioni che hanno avuto in questi ultimi tempi; cito ad es. il
Campori, il Solerti, lo Scotoni, PHoltzinger, il Luzio, il Henier, lo
Stornaiolo, il Cavalcasene, il Mtlntz, lo Zannonì, il Celli, il Cozza-
Luzi, il Calzini, TAnselmi; all'eletta schiera degli studiosi e degli
eruditi si aggiunge ora anche il Vernarecci.
Ha preso egli a trattare di Lavinia Feltria, che, nel tramonto
dei Rovereschi, è forse l'unico personaggio intorno al quale non
possedevamo ancora notizie storicamente sicure, perchè avvolte nella
leggenda. Il popolo di Montebello Metaurense, infatti, addita tuttora
un palaz2o ergentesi su muraglie a scarpa, e narra che fosse stato
costrutto per rinchiudervi ima principessa; vien mostrata anche
una camera oscura, posta nel mezzo, in cui essa era prigioniera, ed
un largo pertugio, per il quale le era pòrto il cibo. Non si sa bene
per quali colpe ella stesse colà: mentre alcuni dicono per istram
sospetti di gelosia, altri per vere cólpe d^ amore. Il eh. A. si do-
manda, adunque, con ragione : e Chi fii veramente, quali meriti o
(1) Op. cit., m, p. 160.
VERNARECCI, LAVINIA FELTBIA DELLA ROVERE 417
€ colpe ebbe Lavinia?... La relegazione di L. è ella un fatto certo, o vi
€ può cader su qualche dubbio? E se si hanno argomenti che o molto
€ l'attenuano o l'escludono, come avvenne che passò nella tradizione
€ del popolo? Fu una delle tante creazioni postume dell'ignoranza?... ».
Era nata L. il 16 gennaio 1558 da Guidobaldo U e Vittoria Far-
nese, in Pesaro ; fu posta in educazione nel monastero di S. Caterina
della stessa città, ma la vita clatistrale non sembra fosse la sua
aspirazione, come attesta una curiosa lettera latina che ella, ancora
decenne, diresse al fratello Francesco Maria.
Tornata poi nella corte paterna, L , dotata di inge^o pronto e
vivace, ebbe forse a maestri Ludovico Corrado da Mantova e Vin-
cenzo Bartoli da Urbino ; ivi però il cognato Nicolò Bernardino San-
severino la sviava un po' dagli studi coi passatempi che si davano in
suo onore. La corte di Urbino anche allora era quanto mai splen-
dida ; vi accorrevano cardinali, letterati, scienziati, artisti, cavalieri,
uomini d'arme; forse L. vi conobbe Bernardo Tasso fra il '58 e
il '59, anni in cui trovavasi colà anche il figlio Torquato ; quegli anzi
la ricordò poi neìVAmadigi e ne fece i più lieti vaticini.
Quando nel '74 si dava in Urbino V Aminta, presente l'infelice
poeta, L., nel fiore dell'età e della bellezza, era già innamorata di
Giulio Giordani ; ma il padre, che mori nel 1572, vagheggiava per
lei un altro partito, al quale rivolse poi la sua attenzione anche il
fratello Francesco Maria; voleva questi, infatti, rimettere insieme il
patrimonio dissestato, per sgravare i sudditi; pensava al matrimo-
nio della sorella, ma più alla dote.
I progetti con Giacomo Buoncompagni, figlio di Gregorio XIII,
coli' uxoricida D. Pietro de' Medici e col Duca di Bibona non sor-
tirono esito felice.
II 12 maggio 1585 andava sposa ad Alfonso Felice d'Avalos,
Marchese del Vasto V e di Pescara, che L. sembra non avesse co-
nosciuto se non da bambino. Le nozze furono celebrate sontuosa-
mente e vennero cantate coi versi di vari poeti, al coro dei quali
si univa anche Torquato Tasso, in una raccolta nuziale, che è fra le
prime che si conoscano. Ma disgraziatamenie i fatti non corrisposero
punto ai presagi de' vati e ai calcoli del Duca di Urbino. Proprio
l'anno successivo, lo sposo di L. scriveva a Francesco Maria che egli
partiva per le Fiandre e lasciava la moglie ai comandi del cognato.
Ebbe essa tre figli, due femmine e un maschio ; per la prima e
per l'ultimo compose due sonetti il Tasso, che nel 1588 si recava
in Napoli a visitarla. Durante questo tempo terribili disgrazie col-
piscono i D'Avalos e anche la nostra marchesa indirettamente. Il
Duca Alfonso tornava di Fiandra, ma le fatiche della vita militare
Abcb. I^ob. It., 5.« Serie. — XX. 27
418 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
e i vizi avendone logorato la forte fibra, moriva il 2 decembre 1593
in Eoma, pare di un colpo apopletico, in casa della Contessa di Castro.
Era costui di carattere geloso, strano, avventato e dilapidatore
delle proprie sostanze, sicché, dopo la sua morte, L. è tormentata dai
creditori che non le danno tregua ed è costretta anche a xnarìtare
una figlia per ragioni politiche ed economiche. H Duca d'Urbino le
fa intendere che egli non la vede più di buon occhio nella sua corte,
ed essa, per prevenire il comando e per non esser più favola dd mondo,
si chiude colle figlie nel monastero di S. Chiara in Urbino, sul cadere
del 1598 ; ma vi si trova a disagio, non per il contegno delle monache,
ma per le sue abitudini. Impensierita a causa delle sue figliuole non
soltanto vende gran parte de' propri beni, ma le tocca persino impe-
gnare tappezzerie e gioie. Nel 1608 le muore la madre, e il fratello,
che avrebbe dovuto essere l'unico suo sostegno, è invece cosi in-
tristito contro tutti i parenti, che la perseguita in tutti i modi
Troppo lungo sarebbe il tener dietro alle grandi e molteplici
peripezie domestiche sofferte da questa gentildonna ; finalmente, dopo
otto anni, esce di monastero e va peregrinando a fine di accomodare
le partite della sua casa lasciate dal marito in pessime condizioni
n Duca d'Urbino non la volle più vedere, e quando, il 90 gen-
naio 1628, fece testamento, non seppe lasciarle altro che la casa e
il giardino di Montebello, come luoghi di relegazione. € H qual la-
€ scito (soggiunge con ragione il V.) potrebbe saper d'ironia, e
« farci pensare ad un ghigno di quello scheletro, che sempre più
€ appariva sotto le smunte sembianze di Francesco >.
La Marchesa del Vasto in quella triste dimora esalava final-
mente lo spirito travagliato da tante amarezze il 17 giugno 1681.
Questa in succinto è la narrazione del Vernarecci, il quale è
riuscito a squarciare il velo misterioso della leggenda che avvolgeva
la vita di una donna sema colpe, la quale dovè piegarsi e rassegnarsi
a vergogne proprie di una colpevole ; di fronte a questa infelice, che
desta la compassione di ogni anima bennata, sta l'odiosa figura di
Francesco Maria, posto ora per la prima volta nella sua vera luce.
n libro, che è condotto dal principio alla fine su documenti per
la massima parte inediti, e con severa critica storica, ha pure il
merito, certo non comune, di farsi leggere tutto di un fiato, come
un romanzo oltremodo attraente.
L'unico appunto che si potrebbe muovere all'autore è di averci
presentata la sua monografia in una edizioncina assai pooo elegante
e con parecchi errori di stampa.
Firenze, Mbdardo Morici.
RASSEGNA BIBUOGRAFICA 419
Le8 demiers mais de Murat — le guet-apena du Pizzo — , par le M.*"
DB Sassbnay. - Paris, Calman Levy, 1896.
I.
Il nuovo favore di cui godono in Francia i ricordi gloriosi del
primo Napoleone, si ripercuote anche sui suoi commilitoni ; e lo splen-
dido corteggio dei re, dei duchi e dei principi creati da lui, lo accom-
pagna nelle rivendicazioni e nelle gitistizie storiche, come già sui
campi di battaglia e nelle metropoli europee. Tra questi uno dei
più simpatici e dei più degni di studio, è Gioacchino Murat, e forse
non meno pei suoi difetti che per le sue virtù. In fatti gli si per-
donano facilmente la spensieratezza, la levità d' animo, la vanità e
persino l'incoerenza, in grazia della intrepidezza eroica accoppiata
ad una singolare bontà e ad una generosità cavalleresca, che mai
non si smentirono e che sono attestate da quanti lo avvicinarono.
A tale impressione generale contribuisce, non solo il bene che
potò fare a Napoli, durante il breve suo regno, ma ancora la tra-
gica sua fine, che porta pur essa l'impronta della sua avventurosa
temerità, e che tuttavia non può dirsi intieramente chiarita, non
ostante la pubblicazione di molteplici documentL Alle antiche e note
relazioni fatte dal Franceschetti e dal Galvani, (che accompagnarono
il Murat nella impresa dal Pizzo), e poi dal Macirone, dal Pepe, dal
Colletta si sono aggiunti negli ultimi anni, altre testimonianze con-
temporanee e documenti dati alla luce dai sigg. prof. G. Romano,
Gasparri e Capialbi, Barone Helfert, Dr. Travali, e Dr. von Zahn.
Di tutta questa suppellettile si ò valso ora per la sua narra-
zione storica il Marchese di Sassenay, autore di altri pregevoli la-
vori, registrati già colla debita lode anche dal nostro periodico. A
meglio illustrare le ultime vicende del Murat, egli ha pure compul-
sato gli archivi di Francia, d'Inghilterra e di Napoli, e ne ha
estratti parecchi dispacci, che ha posti in appendice al suo volume ;
altri, anche più importanti, ne ha ristampati (con licenza dei primi
editori) di quelli raccolti dal Dr. Travali e dal Dr. von Zahn, che
gliene comunicò di più uno inedito; ed infine ha messo sott' occhio
ai lettori una pianta del Castello del Pizzo.
Dalle notizie raccolte e vagliate egli ha tratto un libro che si
legge come un romanzo. Dato conto nella introduzione delle fonti sto-
riche, narra in sei capitoli la perdita del trono, dopo la guerra del 15
e la convenzione di Casalanza; le tristezze dell'esilio e le orribili
persecuzioni sofferte in Provenza dall' infelice re spodestato ; la sua
420 rasseg^hA oibuoorafica
fuga in Corsica dove trova asilo presso il Franceschetti e il Colonna
Ceccaldi; le sue incertezze,' il suo pazzo disegno sull'isola dell'Elba;
e le estreme risoluzioni, ispirate da informazioni che gli vennero
dal Eegno e che (secondo le relazioni del barone di Keller, seguite
dal nostro A.) furono effetto di tina insidia tramata dai ministri di
Ferdinando IV ; gli scarsi preparativi, l'imbarco da Ajaccio, le mol-
teplici traversie di terra e di mare che accelerarono la rovina dello
sciagurato tentativo; infine la cattura, la prigionia e la morte no-
bilmente affrontate dal Murat, e, come epilogo, le conseguenze po-
litiche e diplomatiche della catastrofe.
n.
Il valente scrittore ha fatto quanto stava in lui per desumere
un racconto filato e sicuro dalle diverse relazioni, e in molti punti,
specie della prima parte, vi è riescito felicemente; ma non era
possibile né a lui né ad altri di accertare in tutto la verità dei
fatti, concementi l'ultima impresa del Murat, di fronte a testimo-
nianze contraddittorie o manchevoli. Bisognerebbe vagliarle una ad
una, nei loro più minuti particolari, e raffrontarle fra loro, tenendo
conto del maggiore o minor grado di credibilità rispettiva. £d anche
dopo ciò, rimarrebbero sempre parecchie lacune ed oscurità, che
soltanto, ove si ritrovino nuovi documenti, potranno essere rimosse.
Lo stesso concetto fondamentale che informa quest'opera e che
vi ha dato occasione (come apparisce dall'introduzione), cioè la
scoperta del tranello teso al Murat dai ministri borbonici, e parti-
colarmente dal Medici, non ha punto l'evidenza che gli attribuisce
il nostro autore. Il quale nei suoi rapidi cenni sulle fonti storiche,
parla invero della quesUon du guet-apens; ma intende con ciò di ri-
ferirsi soltanto alle voci corse fin dal 1814 e raccolte dal Pepe e da
altri ; mentre considera la questione stessa come affatto risoluta dalla
pubblicazione del Dr. v. Zahn ; e sui ragguagli del Barone di Keller
architetta tutto il suo edifizio. Anch' egli riconosce esservi incer-
tezza ed usa la forma dubitativa, rispetto a qualche episodio acces-
sorio, per esempio : in qual tempo E.e Ferdinando abbia avuto no-
tizia dell'insidia ordita; chi sia stato il primo autore di questa; se
il Carabelli fosse stipendiato dal Medici o avesse invece sconsigliato
il Murat dall' imbarcarsi; anzi su questo punto contradice le relazioni
del KoUer ; e si astiene pure dal riferire le parole che, secondo quelle,
il Murat avrebbe rivolte alle prime persone incontrate al Pizzo :
« Où est ma garde ?... ». Nella sostanza peraltro egli le accoglie con
pienissima fede; e colla loro scorta tien dietro allo svolgersi della
DE SASSENAY, LE GUET-APENS DU PIZZO 421
trama, fino alla scena del 9 novembre 1815, nella quale Ferdinando IV,
un mese e cinque giorni dopo l'ottenuto successo, avrebbe convocati
a consiglio, in Portici, i suoi ministri ed ingiunto loro, sotto vincolo
di giuramento, di serbar sempre, anche a prezzo della vita, quel se-
greto di Stato.
Giova avvertire innanzi tutto che il Feldmaresciallo barone
Franz von KoUer, allora intendente generale delP esercito austriaco,
rimasto di presidio a Napoli, era un uomo retto e personalmente
degno di stima. Vero è che, traviato da una falsa idea della ragione
di stato, espone, senza una parola di biasimo, la turpe insidia che
attribuisce al governo borbonico contro il Murat. Ma toma a molta
sua lode quest'altro fatto mentovato in un dispaccio del principe
Jablonowski al Metternicb e riferito dal March, di Sassenay : € pel
€ mantenimento delle soldatesche imperiali, che stava a carico del
« Regno, ridusse a trecentoquarantamila ducati un contratto che
€ era stato stipulato dal Medici per ben seicentomila; e poiché
« V assuntore, noi! ostante quella tara, volle dargli in regalo il dieci
« per cento, cioè trentaquattromila ducati, egli, ricevuta la somma,
« la versò subito nel tesoro napoletano ».
Ove pertanto un si esemplare amministratore attestasse di cose
cadute sotto i suoi sensi, non vi sarebbe nulla da opporre. Ma qui
si tratta invece di ragguagli segreti, che il Keller medesimo dice
di avere puisés à la source que vous connaissez, e che trasmette al
Ck>mmissario imperiale da cui dipende, conte Franz de Saurau. E
lecito chiedere, coli' autore di una breve e assennata recensione del-
VArchitno storico per le provinole napoletane, se egli veramente € so-
lesse attingere le notizie a buona fonte e vagliarle con criterio », mentre
poi sembra che « s'inganni n^Ua parte attribuita al CarabeUi »; in oltre
l'ignoranza del Ee e il giuramento dei ministri € hanno Varia di una
storiella » ; ed infine € non era piccola la responsabilità di attirare nel
Regno Gioacchino Murat » (1).
m.
Varie cose si possono aggiungere a queste savie osservazioni
Le lettere del KoUer al Saurau dimostrano senz' altro come lo scri«
vente si ristringesse a riferire quanto gli veniva detto, senza por-
(1) Arch. 8tor. per le prov, rutp., XXI, 1, 189 (gennaio 1896). La bi-
bliografia è sottoscritta B. C. (Benedetto Croce). - Ved. anche una pre-
gevole e diligente recensione di opere varie eu Gioacchino Murai, scrìtta da
Alberto Lumbroso, in Riv, ator, it., XIII, 5-6, 1896.
422 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tarvi alcun esame crìtico; anzi dichiara lealmente: € ici je n'aifait
€ à personne, sana exception, aucune comnnication de cette décou-
« verte afìn qu' un usage precipite ne provoque pas de soup^ons, et
« que cette précieuse occasion d'ètre tenu au courant de tout ne
« risque pas d'étre perdue pour moi ». Come appare, egli ha cieca
fiducia nel suo confidente ; e però si guarda bene dal discuterne le
informazioni ; ed ancor più rifugge dall' indagarne altrimenti la veri-
dicità ; e cosi pure quando accade che colui rettifichi le cose narrate,
il buon Feldmaresciallo si contenta di farsene eco, e nulla più.
Il Marchese di Sassenay afferma che, pel suo ufficio dMnten-
dente alle proviande, egli doveva avere una polizia propria ^ spe-
ciale ; ma non si sa donde tragga questa notizia, che sembra una
congettura infondata. E piuttosto da credere che il confidente fosse
qualche impiegato della polizia napoletana. E ad ogni modo qui si
presentano diverse ipotesi : il confidente stesso poteva ingannarsi,
e ripetere voci, che (come è noto) erano allora assai diffuse; poteva
altresì volere ingannare il Keller, sia a vantaggio proprio, col fine
di spillargli danaro, sia anche per ordine e per conto di qualche
ministro. E notevole come quasi in ogni lettera s'insista sopra le
somme parte pagate e parte promesse al barone Petroni, intendente
di Monteleone, e ai suoi cooperatori Trentacapilli, Carabelli, Barbara,
somme che vanno sempre crescendo, da dieci e ventimila ducati a
mezzo milione ; finché il brav' uomo scrive al suo capo, a mo* di
conclusione : « Il est à supposer que le gouvernement a dépensé dea
« sommes importantes dans cette entreprise contre Murat, comme
€ cela est venu à ma connaissance, car Votre Excellence ne peut
« pas s'imaginer quelle peìne j'ai à faire rentrer à la fin du mois,
« mème par acomptes de cinq à six mille ducats, la dotation men-
« snelle de Tarmée.... ». Sebbene non convenga di esagerare il si-
gnificato di queste parole (che sono le ultime dell'ultima lettera, ora
comunicata dal Dr. v. Zahn e per la prima volta data in luce dal
M.^ di Sassenay) esse non meritano peraltro di passare inosservate.
E un tenue indizio, ma che troverebbe forse altri riscontri (1); e
non potrebbe darsi che il famoso tranello fosse stato teso, anziché
a Ee Gioacchino, all' onesto Intendente generale dell' esercito au-
striaco d'occupazione?
(1) Vedi un dispaccio del Metternich allo Jablonowki del 4 nov. 1815,
dove parla del contributo di 25 milioni dovuto da Napoli all'Austria, e
delle difficoltà che il conte di Saurau incontrava a riscuoterne le prime
rate, in Helfert, Joakim Murat — Anhang, 47, p. 227.
DE SA8SENAT, LE 6UET-APBMS DU PIZZO 423
IV.
Bimane infine la contraria ipotesi, ohe le confidenze da lui
ascoltate e scrupolosamente messe in carta rispondano alla verità,
sia in tutto, sia almeno in parte. E prezzo dell' opera esaminare il
prò ed il contro, circa la credibilità di quella attestazione. Suo primo
vizio è di essere anonima, e però fornita del solo valore che viene
ad essa dall'autorità di chi la riproduce; ma, anche prescindendo
da ciò, ha l'altro guaio di essere sola, o quasi. Ve una notizia in-
diretta data dal generale di Vaudoncourt, il quale nelle sue memo-
rie {Quinze années d^un proscrit) dice di aver veduto una lettera
del principe Suwaroff all'ammiraglio Tchitchagofi*, in cui sarebbe
raccontato il tranello del Medici. Ma è una conferma che poco vale ;
giacché nella stessa lettera si troverebbe riferita la storia di una
consultazione chiesta dal governo di Napoli ai ministri dei poten-
tati europei (Spagna, Francia, Austria, Prussia e Bussia); e questo
racconto è smentito dai dispacci ufficiali dello Jablonowski, il quale
dichiara che né lui né i colleghi furono consultati. Ciò non é taciuto
dal M.® di Sassenay, il quale anzi denunzia lealmente la contradi-
zione esistente tra le due informazioni; se non che egli le mette
in bilancia, alla pari, e volentieri propende a credere che la con-
sultazione avvenne, non in pubblico, ma in segreto. Ora delle due
testimonianze una sola é attendibile, quella dell' ambasciatore : tanto
più che é diretta, contemporanea, non viziata da alcuna ragione di
dubbio, ed avvalorata da quella negativa di tutti gli altri rappresen-
tanti diplomatici ; giacché ninno di essi parla del fantastico ritrovo.
Ne tace non meno degli altri l'inviato britannico William A' Court:
il suo dispaccio del 15 ottobre non avvalora menomamente le no-
velle del Vaudoncourt sulla parte da lui presa nelle risoluzioni vio-
lente della corte borbonica (1); ma dimostra soltanto che le appro-
vava tanto da riputarle, in fin de' conti, un atto di umanità, perché
assicuravano la pace al paese; sicché non c'era bisogno di fame
(1) « Sa dépéche du 15 octobre tendrait à prouver quo le general de
« Vaudoncourt a eté ben renseigné sur la part prise par lui dans les ré-
« Solutions violentes adoptées par Ferdinand et ses ministres ». Cosi il M.
di Sassenay (p. 206); il quale poi riproduce i passi del documento (pub-
blicato per disteso neW Appena, C, p. 250) che, a suo avviso, confortereb-
bero quell' opinione.
424 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
r apologia. E lo stesso disse pure in private conversazioni, come è
attestato dal Palmieri di Miccichè. Tal sentenza era poi conforme a
([uella di quasi tutti gli statisti contemporanei ; e il Metternicli, che
passava pel maggior protettore del Murat, esprimeva, in forma più
misurata, proprio le stesse idee delPA'Court, e come lui giudicava
legittima la condanna del ribelle perturbatore. Dal che non si può
indurre che né l'uno né l'altro abbiano avuto mano negli ordini
dati dal governo con tanta segretezza e tanta prontezza, che nulla
ne trapelò (dice lo Jablonowski) prima della vigilia dell' esecuzione.
Fra le molte ciarle che allora si sparsero (e forse non senza l'aiuto
interessato della polizia napoletana) ci fu anche quella dell' inter-
tervento dell' A' Court nel Consiglio dei Ministri; e la riferi il Pepe,
al pari del Vaudoncourt. Ma se quell'inviato, chiamato a consulta,
avesse davvero, secondochè vuole il Vaudoncourt, vinto ogni titu-
banza, esclamando: « Tuez-le, jje prends tout sur moi! », è probabile
che simil fatto non sarebbe sfuggito allo Jablonowski, ambasciatore
austriaco, il quale non avrebbe avuto ritegno d'informarne il suo
governo, e di farlo rilevare altresì al Conte di Circello, mentre in-
vece gli manifestava la sua meraviglia che non si fosse chiesto il
parere dei potentati alleati e dei loro rappresentanti (1).
V.
Tutto ciò dimostra qual valore abbiano le memorie del generale
Vaudoncourt e i ragguagli che egli pretende aver desunti da un
supposto foglio del SuwarofiT. Una simile argomentazione si applica
in fatti a quello che è il nodo principale della controversia, cioè al
guet-apens, svelato dalle lettere del Keller al Saurau, ma ignorato
affatto dalla diplomazia europea. Il Keller stesso, e dietro a lui il
nostro storico, cercano di spiegarne il silenzio generale, riportando un
discorso che il Medici avrebbe fatto al He, per calmarne le inquietu-
dini, in sul principiare di novembre. Lo avrebbe assicurato che le voci
corse sul tranello teso al Murat si sarebbero diffuse ugualmente, anche
se non ci fosse stato nulla di vero ; ma che nessuno poteva averne cer-
tezza ; e che i ministri degli stati stranieri sarebbero i primi a smen-
tire simile ciarla, perchè altrimenti, essi che non ne avean mai rag-
(1) Disp. 12 e 19 ott. 1814, e risp. 4 nov, 1815, in Helfbrt, Op. cit.,
205, 221 e seg.
DE SASSSKAY, LE GUET-APENS DU PIZZO 425
guagliato le proprie Corti, si esporrebbero alla taccia d'imprevidenza,
mostrando che erano sfuggiti alla loro oculatezza i molteplici appa-
reccbi, senza i quali l'avvenimento non avrebbe potuto compiersi.
E il M." di Sassenay cosi commenta: € Medici avait vu juste. Aucun
« rapport officici relatant le guet-apens ne fut envoyé, de Naples, en
€ Angleterre, ni en France, ni en Autriche, par M. William A' Court,
€ le comte de Narbonne et le prìnce Jablonowski ». Ma poi non
sembra persuaso che la retgione addotta fosse la vera; poiché sog-
giunge : € Il est hors de doute que ces trois ambassadeurs furent
€ parfaitement renseignés sur ce qui s' était passe. Quiconque a vécu
€ à Naples..., sait que les espions y foisonnaient, et que rìen n'était
« plus facile pour un ambassadeur, que d' ètre bien renseigné sur
« les agissements du gouvernement ». Perchè dunque ne tacquero?
Secondo il discorso attribuito al Medici dal confidente del Koller,
fii per non scoprire la loro antecedente ignoranza o negligenza. Se-
condo il M.^ di Sassenay, il motivo sarebbe stato diverso, giacché non
può credersi che fossero rimasti al buio della trama : € Au fond, tous
€ les ministres étrangers étaient favorables à Ferdinand IV et
€ haissaient très franchement Murat. Il se fit dono autour du guet-
< apens une conspiration du silence, à laquelle s' associèrent les
« générauz qui commandaient l'armée d'occupatìon. Pas un d'eux
€ ne souffia mot, dans ses rapports officiels, de la trame ourdie par
« Medici. Seul le lieutenant general Nugent dit dans une de ses
< dépéches: - Tonte cette affaire a été traitée sons le sceau du
€ plus profond secret et est considérée exclusivement comme une
< affaire de police. £n conséquence, il n'en a été fait aucune comu-
ne nication aux commandants militaires autrichiens » (p. 2L5). Evi-
dentemente tali parole si riferiscono allo sbarco del Murat, aUa
sua cattura, al giudizio e alla morte, nei quali incidenti non si volle
ravvisare alcun segno di fazione guerresca, e si considerarono sol-
tanto come fatti interessanti la polizia intema; ma non si può ri-
trovare nelle parole stesse la menoma allusione alla supposta trama.
VI.
La congiura del silenzio, quando non sia una frase fatta della
polemica moderna, può presumersi in una combriccola di pubblici-
sti, mossi da tm comune tornaconto, ma non fra rappresentanti di
potentati divisi da emulazioni e dissidi palesi ed occulti. Né l'odio
pel Murat e la simpatia pel governo restaurato sono ragioni ba-
stanti a spiegare il loro mutismo; quei sentimenti, per quanto forti
426 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ed efficaci, non li avrebbero mai spinti a mancare al loro dovere
d'ufficio, e, per giunta, a concertarsi insieme per non informare le
respetti ve Corti di un fatto venuto a loro cognizione, che dovevano
stimare importantissimo.
D'altra parte non avevano quei diplomatici a loro disposizione
il cifrario? Eppure né il Barone Helfert che ha frugato negli ar-
chivi di Vienna, né l'istesso M.^ di Sassenay che ha compulsato
quelli di Parigi e di Londra, hanno trovato ntdla che nemmeno
lontanamente faccia menzione di una insidia, nella quale sarebbe
caduto l'infelice Sovrano.
La scomparsa, dal grande Archivio di Napoli, delle filze tutte
(fuorché una di poca importanza) concernenti l'impresa del Pizzo
é invocata altresì come un argomento in favore di quella storia;
sarebbe quindi una conseguenza del giuramento che si dice richie-
sto dal Ee ai ministri, per la gelosa custodia del Segreto di stato,
€ Ce fut sans doute au sortir de la residence royale, (dice il nostro A.),
« que Medici, d'accord avec ses collégues, fit disparaltre les piéces où
€ se trouvait la preuve du guet-apens > (p. 218).
Ma é noto pur troppo che la distruzione di documenti preziosi
non di rado avviene per più e diverse cause, soprattutto in tempi
di rivoluzioni e di restaurazionL Cosi, per citare un solo esempio,
furono bruciate tutte le carte dell'Archivio toscano degli a&ri esteri
dal 1797 fino all' invasione francese. Né certamente il mite governo
del granduca Ferdinando ni può essere per ciò sospettato di tene-
brose macchinazioni. La mancanza dei documenti napoletani non
prova niente di per sé, mentre quella dei dispacci di tutti gli altri
archivi d' Europa, nei quali dovrebbe trovarsi un qualche riscontro
alle notizie rapportate dal Barone von Keller, é un argomento gra-
vissimo, che, fino a prova contraria, toglie a queste ultime ogni si-
cura fdde.
Nuoce ad esse finalmente, anziché renderle più credibili, l'ar-
monia in cui stanno colle voci largamente diffuse allora tra il popolo
napoletano, che Re Gioacchino fosse stato tratto in perdizione per
opera di tradimento. Giacché i riscontri leggendari, non che com-
pensare il difetto dei riscontri archivistici, accrescono i dubbi sulla
provenienza di quella novella. La tragica morte del Murat fu fe-
conda di leggende popolari; ed una di esse, accolta per vera del
Pepe, é discussa pure in un' appendice del libro qui esaminato, come
altre ne riferirono il prof. Misasi e il prof Giacinto Bomano (cosi
benemerito degli studi murattiani, specie per la stampa della rela-
zione del can. Masdea), il quale avvertiva ultimamente come in que-
sto campo rimarrebbe ancora da spigolare. Pertanto occorre andare
DE SASSENAY, LE GUET-APENS DU PIZZO 427
col pie dì piombo per non confondere inconsapevolmente i parti
della immaginazione colla realtà dei fatti
Bisulta dalle cose dette che in questa seconda categoria non è
possibile, per ora almeno, di accettare i ragguagli contenuti nelle
lettere del Keller, perchè non ne appare sufficientemente provata
l'indole autentica e l'origine genuina. Tuttavia conviene di esami-
nare anche più da presso la loro intrinseca verosimiglianza o in-
verosimiglianza. Il Marchese di Sassenay è colpito di vederli con-
fermati per molta parte, dalla relazione del ministro di Polizia (che
era lo stesso Medici) del 16-17 ottobre 1815 e da quelle del general
Nunziante del 9 e 10. Se non che la vantata rispondenza tocca sol-
tanto fatti accessori e divenuti di ragiona pubblica, né involge punto,
come ben può credersi, il punto che solo preme, cioè il segreto del
gu^t-apens. Inoltre è da notare che le lettere del Koller sono del
3 e 29 novembre e del 2 decembre 1815 e del 1.^ gennaio 1816;
quindi la più antica è posteriore di 13 giorni alla relazione del
Medici che fu pubblicata nel Giornale delle due Sicilie del 20 ot-
tobre 1815; e ciò spiega la rispondenza stessa.
vn.
e* è ancora un* altra testimonianza, rimasta ignota al nostro au-
tore e favorevole al suo assunto ; ma si vedrà che non ha maggior
valore delle altre. Leggesì questa in una delle ultime pagine di
certe Memorie segrete del gabinetto di Napoli e di Sicilia che il Ba-
rone di Helfert trasse dall' archivio di Stato di Vienna e pubblicò, nel
1892, come composte dal Barone Cresceri, largamente illustrandole
con introduzione e note (1). Sono anonime e si fingono trovate nel
portafoglio di un viaggiatore americano. Ma certamente sono opera
di un signorotto, addetto alla Corte napoletana, uomo di scarsa cul-
tura, poco esperto nell'uso della lingua e della sintassi, ma devoto
a Mariii Carolina e feroce odiatore del cav. Medici, del duca d'Ascoli,
del Castrone, del S.^ Clair e di altri che chiama ad ogni tratto rei
di stato, falsi realisti, ladri e assassini. Le notizie storiche, spesso
inesatte, sono affogate in un pantano di pettegolezzi e d'improperi,
(1) Memorie segrete dea Freiherren Giangiacomo von Cre$ceri, enihttllungen
aher den Hof von Neapel, 1796-1816, mit biogr. notiz., einem krit. commen-
tar, und einem anhang versehen von Frh. von Hklfert ; Wien, 1892 (Sit-
zungsberichte d. K. Akad. der Wissenschaften in Wien, CXXVII).
428 RASSEGNA BIBLIOQBAFICA
roba poco degna di occupare il tempo e le cure di un diligente ed
erudito storico quale il Barone di Helfert. Forse egli avrebbe fatto
meglio di seguire il suo primo proposito di darne soltanto qualche
estratto; ma gli parve di poterne ricavare un prezioso bottino e
soprattutto credette (dalla forma del carattere e delle virgolette
orizzontali) di poterne attribuire la paternità al Barone Giangia-
como de Cresceri, già inviato imperiale a Napoli ed a Palermo. Se
non che gli Archivisti viennesi, paragonata la scrittura dei suoi
dispacci con quella delle Memorie, esclusero che fossero della stessa
mano (1): onde P Helfert ammise che si trattasse di una copia, o
meglio di una dettatura, ma persistette a reputarne autore il Gre-
sceri, senza addurne alcuna prova convincente. La quale avrebbe
doluto rintracciarsi in un assiduo raffronto tra i documenti diplo-
matici emanati dal Crescer! e le controverse Memorie, sia rispetto
alla sostanza, sia rispetto alla forma ; ed invece a ciò non giovava di
registrarne coscienziosamente, come fece l'egregio Editore, i lati-
nismi, i francesismi, i richiami ali* antichità, e poi (cercando di scu-
sarli) gli errori storici, gli anacronismi, le malignazioni d' anticamera,
mentre d* altra parte narrava la biografìa del Barone Gresceri.
Per buona sorte avendone egli stesso inserite molte frasi nei suoi
volumi sulla Regina Carolina e su Fabrizio Ruffo, e riprodottone un
lungo dispaccio del 26 gennaio 1799, non che citati vari periodi di un
altro precedente, basta leggerli per giudicare come provengano da
un cervello più assestato e da una penna più corretta e sicui^a che
le Memorie segrete (2). Le qtlali, ad ogni modo, essendo più che altro
un libello indirizzato contro il Medici è naturale che faccian tesoro di
tutte le accuse, giuste od ingiuste, ond' era incolpato. Pertanto cosi
parlasi in esse di lui e dei suoi complici, ai quali il Be Ferdinando
recuperato il trono, nel *15, aveva avuto la stupidità di rimettere nuo-
vamente in mano il dispotico dominio di tutti i suoi Stati : € La loro
« marcata preferenza, la loro afletta ta clemenza, e la stomachevole
« loro amalgamazione con i ribelli, non veduta finora in altro paese,
€ non ha e non ebbe altro scopo, che di occultare la manifestazione
« delle loro criminose corrispondenze coi medesimi quando erano in
« Sicilia, ed i maneggi, fatti insieme con loro, per attirare di nuovo
(1) Ibid., 1 e seg., 21 e seg., 50 e seg., 57, 68-70.
(2) Frh. von Helpert, Fabrizio Ruffo, RevoluL und gegen-Rev, m Neapd,
pp. 533-537, p. 32, nota 1, e pp. 50-51 in nota, dove è giustamente apprei-
zato il valore dei dispacci del Cresceri; e cfr. K&n. Karolina, pp. 98, 112,
113, 125, 126 e ptMsini.
DE SASSENAY, LE GUET-APENS DU PIZZO 429
€ Murat nel Begno affine di fìicilarlo, non fu zelo e attaccamento
« pella famiglia Borbone, ma per togliere di mezzo il testimonio
€ più pericoloso che li tenne al soldo, per favorire la sua causa in
« Palermo. Questo, e non altro fu V oggetto, eh' essi videro mal vo-
« lentieri il Principe di Canosa nell'importante posto affidatogli,
« perchè sebbene Medici, appena tornato in Napoli, avesse cura di
€ bruciare le carte comprovanti la loro perfida condotta che esiste-
« vano in Polizia, pare aveva egli altri documenti irrefragabili per
« palesarli al Be, e ne temevano. Stolto, Canosa, che non lo fece per
« una semplice intempestiva delicatezza di cavalleria, e forse dovrà
€ renderne conto a Dio. Egli forse inesperto dell* arte cortigiana, o
« forse per ambizione di &re il Coriolano, mancò di spirito e tradì
« il suo dovere. Era in obbligo di parlare chiaro al Be.... » (1).
Deposizioni pensate ed espresse in siffatta guisa non meritano
di esser discusse; sono di quelle a cui, nei giudizi forensi, l'accusa
e la difesa sogliono rinunziare di pieno accordo: nuocciono in fatti,
in luogo di giovare, alla causa che sostengono. E cosi, di fronte a
tale incomposta proliuvie d'improperi, si desta, per reazione, una
certa propensione, persino a favore di un tristo arnese qual fu il
Ministro Luigi Medici.
Più rispettabile, se non più attendibile, è un'altra testimonianza,
comunicata allo scrivente dalla cortesia di un amico e desunta da un
passo della Histoire de France depuis la fin du règne de Louis XVI
jusqu'ù Vannée 1825, par VAbbé de MongaiUard (9 voi., Paris, 1827).
Quivi si fa cenno della morte del Murat al Pizzo e si aggiunge :
€ n y est débarquò le 8 dans l'attente d'un soulèvement en sa fa-
« veur, tandis qu'il était attirò dans le piège par l'astuce, ou si l'on
€ veut, par la loyauté napolitaine du Podestà de ce lieu > (Vili, 290).
Sebbene si creda che vero autore dell'opera storica sia stato, an-
ziché l' Abate, il fratel suo Conte di Montgaillard, il quale ebbe in-
time relazioni colla polizia francese, tuttavia non può dirsi che le
informazioni trascritte accrescano molto il pregio delle altre. Esse
confermano il fatto certissimo delle voci allora diffuse; e mostrano
che ne giunse l'eco anche in Francia, sia mediante la polizia, sia
per via diversa. Ma la loro credibilità rimarrà sempre dubbia, fin-
ché il racconto non sia autenticato da attestazioni di fonte più
genuina e sicura, o meglio ancora da qualche documento diretto ed
irrefragabile.
(1) Gii. Memorie eegnU, 227 e seg. (805 e 806 del ms.)-
430 RASSEGNA BmLIOGRAFICA
vm.
E egli possibile che venga mai fuori un tal documento, o al-
meno una dimostrazione equipollente ? E supponibile che un ministro
di Ferdinando IV si assumesse di promuovere lo sbarco del Murat, a
rischio di suscitare una pericolosa ribellione, ed anche una guerra
civile ? Il Marchese di Sassenay espone per primo i pericoli interni
ed esterni di quella trama: Medici, cosi conclude, € avait réussi,
€ mais il avait joué gros jeu.... ». La conseguenza peraltro che
egli ne trae, non è già il dubbio sulla possibilità del fatto, bensì la
certezza che il ministro era interessato a ben custodire il segreto.
Considerata in sé stessa la cosa sembrerebbe inverosimile. Ma
è debito di una critica imparziale e serena il dichiarare che chi
abbia penetrato addentro V indole e la vita del Medici lo giudicherà
capace di aver meditato e preparato \m tal colpo. Ciò non vuol dire
che il fatto sussista, né un apprezzamento di psicologia storica può
mai supplire alla deficienza di prove. Ma, dovendosi istruire un pro-
cesso che riman sempre aperto, è anche questa un'indagine che
non va trascurata. Il cav. Luigi de Medici, de* principi d'Ottajano,
che il nostro Autore tratta con troppa indulgenza, era uno di que-
gli ingegni torbidi (prototipo il Talleyrand), in cui si erano accop-
piate le corruzioni degli antichi e dei nuovi tempi, ed in cui Vargo-
mento della mente s'aggiunga va al mal volere ed alla possa. Ammi-
nistratore esperto, ma non disinteressato, aveva negli estremi perì-
coli dello stato, una condotta oscura e piena di avvolgimenti : tale
si mostrò come reggente di vicaria e membro della giunta di Stato,
dal '91 al '94, fino alla sua prigionia di quattro anni e alla sua as-
soluzione; e tale altresì nei moti del '21, intorno ai quali merita
di essere riferito il giudizio che ne dà il duca di Gallo, già suo col-
lega nel Ministero, statista equanime e avvezzo piuttosto a prudente
riserbo, che a rigida severità:
€ Sembra.... che Medici volle che avvenisse tutto quello che
« avvenne di poi: poiché conosceva egli da molto tempo il male
€ che si preparava, ed avvertitone più volte, e da molte autorità
« provinciali, dissimulò, anzi disprezzò ogni avviso, per non appor-
€ tarvi nessun rimedio : anzi lasciò che in quelle circostanze il go-
« verno riunisse il campo di Sessa, ove si formò nei militari il lie-
« Vito della rivoluzione, e ponesse al comando di molte provinole,
« e precisamente di quella di Avellino, ove si stabili la colla della
< rivoluzione, 1 generali più riscaldati. E quando questo ministro
DE SASSBNAY, LE GUET-APENS DU PIZZO 431
« col SUO aiutante Tommasi ebbero posto P incendio alla monarchia
« col far proclamare la costituzione, non pensarono che a sottrarsi
« alle conseguenze, abbandonando il re, e domandando nella stessa
« notte le loro dimissioni con una pensione di ritiro.
€ Di questi mali fu poi incolpata la sacrificata nazione che ne
« soffri le più aspre conseguenze e tutte le miserie, nel mentre che
« il vero autore col suo complice si ricolmarono di onori, di potere
« arbitrario, e di immense ricchezze; alle quali si associarono le
« enormi dilapidazioni dei loro favoriti d'ogni ordine e d'ogni
€ classe » (1).
Tale essendo l'uomo non farebbe soverchia meraviglia, se anche
nel '15 fosse andato per coperte vie e avesse usato qualcuno de' suoi
lacciuolL Non sembra credibile che abbia ordito una vasta trama,
perchè, come si è avvertito, ciò non sarebbe sfuggito né sarebbe
stato taciuto dagli ambasciatori stranieri. Ma non è impossibile (ben-
ché non sia ancora provato) che egli si fosse posto segretamente in
relazione ed avesse pur comprato qualcuno dei corrispondenti che
il Murat aveva nel Begno.
Inesplicabile è il fatto, giustamente rilevato dal M/ di Sassenay
quando annota in appendice la relazione del Nunziante, che il Medici,
informato sin dal 4 (come confessa) della partenza del Murat veleg-
giante alla volta della Calabria, non ne avesse comunicato alcuno
avviso al Generale, comandante e commissario civile in quella pro-
vincia. Oscuri rimangono pure gli ordini dati al Trentacapilli, di
cui il Nunziante ignorava la presenza al Pizzo. Né tanto chiara,
quanto sembra al nostro Autore, può dirsi la parte del Carabelli ad
Ajaccio presso il Murat; costui, secondo il Pepe, (che giudica mere
invenzioni le contrarie accuse) gli sarebbe stato mandato dal Medici a
sconsigliare l'impresa; e stanno in suo favore le testimonianze del
Macirone e del Gtilvani; ma non si può non tener conto di quella del
Franceschetti, che è fra le altre autorevolissima, soprattutto trattan-
dosi di apprezzare l'ambiguo significato di certi discorsi. Il March,
di Sassenay ritrae benissimo l' indole volubile e fanciullesca del Mu-
rat, ma se ne può inferire che non c'era bisogno di congiure per
trascinarlo alla pazza impresa ; ci furono probabilmente lettere, esor-
tazioni ed inviti che lo spronarono a imbarcarsi; ma ha ragione il
Colletta di ricercarne la prima causa nell'animo di lui. Quanto
(1) Mmnori§ dd Duea di Gallo (ed. B. Mabesca in Arch. Stor, per le
prov. nap., XDlt 2), XTX, 217-2ia
432 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
alle insinuazioni contro il Colletta medesimo, esse cadono col fragile
edìfizio a cui furono senza necessità sovrapposte.
Altri punti da indagare e da discutere sarebbero il tradimento
di cui è accusato il Barbara e le ricchezze in denaro e in diamanti
attribuite al Murat ; ma si anderebbe troppo per le lunghe, e si var-
cherebbero i confini di una modesta recensione Già i due argomenti
erano stati trattati con molta sagacia critica dal prelodato pro£ G.
Bomano, in occasione della pubblicazione dei sigg. Gasparri e Ca-
pialbi, intitolata: La fine di un 22e(l). Or vedrà egli se le informazioni
confidenziali contenute in un dispaccio del Medici al Circelio, del 2
dicembre 1815, non che i sospetti generati dal contegno del corsaro
barbaresco che fermò le due navi del Barbara valgano o no a smuo-
vere alquanto le opinioni da lui si risolutamente propugnate {Ap-
pena., 246, e 293).
Bastino le fatte osservazioni a dimostrare quanta importanza
sia da assegnare al lavoro del march, di Sassenay, il quale non
pretende di pronunziare sentenza inappellabile sugli ultimi giorni
del Murat : ma registra e dà in estratto ì principali documenti co-
nosciuti, e mette in mostra lo stato presente della questione, mentre
con un racconto attraentissimo richiama in vita quei drammatici
avvenimenti. Se le sue conclusioni sembrano talora censurabili, per
defìcenza di prove o per latitudine d'induzione, tanta è la probità
scientifica con cui è composto il libro, che in esso il lettore trova
pronti gli argomenti per correggerne o temperarne ì giudizi, come
meglio gli aggrada. Sicché va ringraziato l'A. per questa sua nuova
benemerenza verso gli studi di storia italiana.
Firenze. Augusto Eranchbtti.
XI ottóbre MDCCCXCVL - Il Trentino a Dante Alighieri; Ricordo
dell' inaugurazione del Monumento Nazionale a Trento. - Trento,
Giovanni Zippel editore, 1896. - 8.° pp. v-111.
Neir occasione dell' inaugurazione del monumento innalzato dai
Trentini al Sommo Poeta, opera egregia di Cesare Zocchi e simbolo
di vivido e costante sentimento di patria, la Casa editrice Zippel
raccolse in un volume alcuni scritti di autori trentini, ai quali pre-
cedono le note terzine di Giosuè Cabducci : 18 settembre ÌS2L
(1) Riv. 8tor, it., XI, 8, 1894.
IL TRENTINO A DANTE 433
La signorìna Luisa Anzoletti tratta de UArte monumentale a
Trento in un articolo nel quale, con molta diligenza e con molto
affetto, studia l'ambiente artistico trentino nei secoli passati e ri-
cerca le ragioni per le quali un paese, che conta fra i suoi Ales-
sandro Vittoria, i Lampi, i Guardi ed altri molti, non possegga poi
quasi affiitto opere dèi suoi migliori artisti e invano vi si ricerchi
Torma dell'arte trentina, mentre il gusto del bello e il culto del-
l'arte vi dovevano essere, come per molte prove si manifesta, lar-
gamente sviluppati. L'indagine è condotta con acume, ma non ci
sembra che sieno del tutto da accettarsene le conclusioni, nò che
queste sieno sempre esattamente corrispondenti alle premesse. I
nostri artisti accorrevano ai maggiori centri, giacché Trento, dove,
a ogni modo, essi, sebbene per poco tempo, lavorarono, e con loro
e più di loro altri di altri paesi, non poteva certo competere con
Venezia, con Milano, con Boma, nò essere, per l'artista, residenza
rimunerativa come Vienna o Mosca, Odessa o Varsavia. E se le loro
opere nel Trentino scomparvero, dovremo dedurne, come la dotta
autrice, che ai trentini mancò la gentilezza, o non piuttosto vedere
le modeste cagioni di quella dispersione nelle circostanze materiali
che accompagnano l'estinguersi di tante famiglie alle quali appar-
tennero quei capi d' arte che erano, giova notarlo, per la massima
parte ritratti? L'A. si occupa poi, con vero e vivo sentimento d'arte,
dei maggiori monumenti architettonici di Trento : il Duomo, comin-
ciato nella prima metà dell'undecime secolo ed edificato a varie
riprese, ma pure esempio di mirabile unità e, come lo defini il Sel-
vatico € uno dei monumenti più splendidi che l' arte lombarda abbia
« lasciato quando si allargò lungo il piede delle Alpi » e il Castello
del Buon Consiglio, sorto intorno all' antica torre romana e divenuto
poi residenza dei principi vescovi di Trento. L' arte che aveva sino
al Cinquecento ornato la casa di Dio, si rivolse in questo secolo
alla dimora dei suoi sacerdoti. Bernardo Clesio, il munifico cardinale
che incarna cosi manifestamente i vizi e le virtù dell'età sua, rin-
nuova l'antico castello, vi aggiunge nuovi e più grandiosi edifizi,
chiama ad ornarlo nobilissimi artisti e lascia ai suoi successori, i
cardinali Madruzzo, la dimora veramente principesca, nella quale il
primo di questi, il cardinale Cristoforo, potrà tenere le meravigliose
feste, che solleveranno dalla noia del lungo Concilio i Padri della
Chiesa. Ma altro uso fanno ora del Castello del Buon Consiglio i
successori di Carlo Quinto e di Ferdinando Primo, che Bernardo
aveva con tanta fedeltà e con tanto ingegno servito. La residenza
dei principi di Trento serve ora da caserma, e i soldati austriaci
danno gli ultimi colpi a ciò che il tempo ha risj)armìato.
Abcu. Stoh. It., 5.* Serie. — XX. 28
RAS3E0HA BISLIOGBAFIOA
Più brevemente di
lica di 3. Macia Maggii
Cinquecento, nota per
dei palazzi principali <
delli
re poi U signorina AnEolettì delln basi-
pregevole costruzione dei primi nani del
te alcune sessioni del Concìlio ;
Jle pareti dipinte che ornano
ancora, e, diremmo quasi, caratterizzano le vie di Trento.
Importante è l' articolo di Luiot Cami'I su L' itulianitiì dd Trrn-
fiiw, nel quale egli sostiene « che il romano dominio non ha detenni-
< nato, né poteva determinare l'i titliiinìt A del Trentino, mentre nelle
■ regioni all'Italia antica limitrofe, in forza della atessa e quasi coa-
« temporanea azione livellatrice della romana civiltà, sorsero prima
< ancora del nostro volgare scritto, altri linguaggi, altri dialetti *.
Non conviene quindi attribuire solo alla postura del paese e ai suoi
contatti col resto d' Italia, se questo assunse i costumi e la lingua
italiani; ma si deve ricercare piuttosto nelle condizioni dei popoli che
abitavano il paese prima della conquista romana la ragione per la
quale questa vi ebbe cosi larga influenza e vi trovò cosi facile ter-
reno. E l'A., colla sua ben nota competenza, segue passo passo i
rinvenimenti archeologici fatti nel Trentino e ponendoti a confronto
con quelli de! resto d' Italia e dimostrandone le aBìnilà, determina
la comunanza di origine delle antichissime genti trentine con le
altre italiane e nota che appunto perchè il sustrato era italico, la
civiltà romana vi si svolse rapidamente e rese e rende il popolo
trentino tetragono a qualunque iiiBÌdia antieazionaie.
Vittore Eiot:i scrive D' una causa remota del monttmenlo a D. A.
in Trento. E^lì esamina la configurazione del Tirolo meridionale e
del Trentino e nota che l'Adige, fra' monti, attraversa due re^oni
distinte, due vestiboli; il primo a settentrione, quadrilatero, chioso
fra il tratto della catena media delle Alpi centrali, compreso tra i
massicci dell' Oetz e del Venediger, tra le diramazioni meridionali
di questi e le diramazioni del Cevedale e della Marmolada, che ven-
gono a chiudersi sull'Adige; il secondo di forma meno regolare, a
mezzogiorno del primo. Benché ambedue le regioni sieno nel ver-
sante italica, tuttavia il quadrilatero è in tacile coinanicazìone colla
valle dell' Inn, mentre verso sud non si apre che per la stretta del-
l'Adige nel secondo vestibolo; così sì costituirono due distìnti ter-
ritori, disposti in modo da potervisi facilmente occomodare due po-
poli, il tedesco al nord, l' italiano al sud. E la storia di questo paese
dimostra appunto che quando nella valle del Po si stabili una po-
tenza politica più forte che nei paesi al dì 1.^ delle Alpi, queSU
potenza si allargò nel vestibolo meridionale e spesso ancbo nel Mt-
tentrìonale ; quando invece predominò una potenza germonioa, j
ne allargò il dominio in ambo i vestiboli ed ancln
IL TRENTINO A DANTE 435
di questi. Cosi, tra questo fluttuare, si vennero rassodando le due
nazionalità, e pare naturale che nel vestibolo settentrionale, di fronte
alla apertura che lo fa comunicare coli* altro, sorgesse la statua di
Walter von der Vogelweide, e che tosto a Trento, cioè nel vestibolo
di mezzogiorno, le si opponesse quella di Dante, rappresentanti di
due lingue, di due nazioni, di due diritti, affermazione di germanità
il primo, di italianità il secondo.
Vittorio Biccabona descrive in im vivace articolo II paesaggio
trentino e i suoi àbitantL
Albino Zen atti studia La vita cavalleresca e la cultura letteraria
fìd Trentino ai tempi di Dante, In questo breve lavoro l'A. tende a
dimostrare non esatta V opinione, generalmente diffusa, ohe il Tren-
tino, che pure non fii € ultimo tra i paesi italiani nel prendere parte
€ alla cultura nazionale, ed anche nel promuoverla », non ebbe vita
intellettuale prima del Quattrocento. E certo, se si guardi al numero
degli scrittori conosciuti, il Trentino prima di quell* epoca non pre-
senta che un Secondo, storico de' Langobardi, dal quale attinse Paolo
I>iacono, e un frate Bartolommeo, autore di vite di santi e di opere
teologiche. Ma se si consideri piuttosto la condizione del Trentino
e le relazioni sue colle altre regioni limitrofe dell'Italia nel medio
evo, specie nei secoli, che precedettero immediatamente il Quat-
trocento, si dovrà convenire che anche colà in modo non dissimile
dagli altri paesi italiani si era svolta la cultura, e che al risveglio
civile del secolo decimoterzo e del decimoquarto non era rimasto
inerte e insensibile solo il Trentino. Né questo sarebbe stato pos-
sibile : per la sua posizione geografica e per la sua condizione po-
litica, questo paese era in continui rapporti cogli stati vicini. Lo
attraversava la via più importante tra l'Italia e la Germania, che
congiungeva e vivificava le città trentine della valle dell'Adige; le
sue valli minori, del Sarca, del Chiese, del Brenta, aperte sulla Lom-
bardia e sulla Venezia, erano attratte nella sfera di attività di Ve-
rona, di Brescia, di Feltre ; il suo governo vescovile non rendeva il
dominio cristallizzato in una sola famiglia, ma vi si avvicendavano
vescovi principi, talvolta tedeschi, ma spesso anche italiani, e ognuno
portava seco dai suoi paesi la sua corte, e cosi si riversavano nella
società trentina nuovi fiotti di gente di varia cultura, che con quella
si fondevano e, a ogni modo, recavano alla remota città fra i monti
il riflesso della vita più mite e luminosa delle città del piano. E
presso ai vescovi, il Comune trentino, autonomo per molti rispetti,
aveva i suoi podestà ; italiani, sia se posti dagli imperatori a tutela
della loro autorità, sia se liberamente invitati dai cittadini; cosi
presso alla spesso austera famiglia vescovile, il podestà e la sua
436 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
famiglia davano esempio di vita più libera e spigliata. E italiani
erano sempre i podestà di Biva. Né se ne stava la nobiltà; i grandi
feudatari accompagnavano gli imperatori nelle loro discese in Italia;
partecipavano alle lotte che romoreggiavano ai confini tra gli Sca*
ligeri, i Visconti, i Carraresi, la Bepubblica di Venezia, e, tornando
alle loro rocche turrite, vi conducevano spose le fanciulle della no-
biltà lombarda, cosi come le gentildonne trentine entravano spose
fra questa. E numerosi infine scendevano i giovani trentini alle
università italiane.
Queste considerazioni basterebbero da sole, ci sembra, per to-
gliere ogni valore alla presunzione che il Trentino, giacché non può
presentare scrittori del due e trecento, non avesse per nulla par-
tecipato allora alla cultura della nazione; ma lo Zenatti raccoglie
nel suo studio una quantità di fatti a conferma di quanto si è detto,
che non possono lasciare più alcun dubbio sulla ragionevolezza del
suo intento. Noi non lo seguiremo nella esposizione di questi, tanto
più che egli stesso dichiara d'essere ben lungi dall'avere esaurito
il suo compito; ma esprimiamo il desiderio che egli riponga mano
con sollecitudine all'importante e geniale argomento.
Si occupa dei Monumenti a Dante Giuseppe Zipprl, che già
altrove aveva scritto di questa materia, in un garbato studio^ nel
quale dà notizie importanti sui lettori pubblici della Divina Com-
media a Firenze ; sui progetti di erigere all'Alighieri un monumento
nella sua patria; sui tentativi di portarne le ceneri da Ravenna a
Firenze ; sulle vicende del sepolcro di Bavenna ; sui monumenti del
secolo nostro dal cenotafio in S. Croce all'ultimo di Trento.
Ma la storia di questo è detta nella RéUuàone del D.' Guglielmo
Eanzi presidente del Comitato, che è pure compresa nel volume.
Non è luogo questo che si possa trattarne ; diremo solo che è scrit-
tura semplice e sincera, dalla quale traspare tanta altezza e tanta
nobiltà di sentimenti, fiducia cosi ferma, entusiasmo cosi vivo, che
non si può leggere senza commozione e senza fremito e senza ri-
cavarne un alto ammaestramento morale.
Non potremmo poi chiudere senza una parola di lode all'edi-
tore, che diede al volume veste elegantissima e lo ornò di splendide
e numerose illustrazioni. Veramente la casa Zippel non solo fece un
libro buono, ma fece anche un libro bello.
Napoli, G. Papalboni.
■>♦<■
Necrologia
GUGLIELMO ÌMf ATTBNBACH.
Quando nel 1889 si festeggiò il settantesimo anno di
Guglielmo Wattenbach, Samuele Lowenfeld (caro e in-
dimenticabile amico, dopo appena due anni immaturamente
rapitoci) (1), raccogliendo in un opuscolo le notizie della vita
e delle opere del venerato maestro, conchiudeva con queste
calde e affettuose parole (2) : « Nella piena freschezza del
« corpo e dello spirito celebra oggi il Wattenbach il set-
4: tantesimo anniversario della sua nascita. Alle molte ono-
4i ranze che gli hanno finora procacciato i buoni successi
^ delle sue opere scientifiche, il giorno presente ne aggiun-
^ gerà delle nuove. Parecchi sodalizi, di cui egli è membro
« e decoro, gli presenteranno i loro auguri in indirizzi e
4! in diplomi artisticamente lavorati : da amici e da ammi-
se ratori riceverà, singolarmente o collettivamente, regali
« quali sa dame l'amicizia. Ma, dopo questi, verrà poi la
« numerosa schiera di coloro che dalle lezioni e dai libri
« di lui hanno imparato tanto e tanto : essi recano, come
« unico dono, un cuore pieno di riverenza e d' affezione.
« Quale altro dono può farsi a un dotto, a un insegnante
« d' università, che più di questo possa allietarlo ? ».
Alla tomba del maestro recentemente schiusa (e maestro
mi onoro di chiamarlo, per l' insegnamento prezioso che mi
(1) Ved. Arch, stor, itoL,, 1892, to. IX, pp. 209-211.
(2) S. LòwRNFELD, WUhelm WaUenback zum 22 SepUmber 1889: estr.
dai Preu$9itcher Jahrbucher, LXIV.
488 NECROLOGIA
è venuto dai suoi libri) reco aneli' io un modesto tributo di
riverenza e di gratitudine. Non ne discorrerò minutamente
la vita e le opere : ma mio intendimento è di mostrare con
un breve cenno agli studiosi italiani, e in particolar modo
ai giovani, quanta opera, e quanto effettiva, abbia dato il
Wattenbach al moderno rinnovamento scientifico degli studi
sussidiari della storia, e quanta sia nei libri di lui eflScacia
d' insegnamento e tesoro di dottrina.
Nacque Guglielmo Wattenbach il 22 settembre 1819
in Ranzau, nell' Holstein, di famiglia mercantile. Perdette
a cinque anni il padre, e condottosi colla madre e colle
sorelle in Lubecca, vi frequentò il ginnasio. Per l'influenza
del maestro, Giovanni Classen, che fu « interprete eccellente
dei classici greci », non che per le tendenze di alcuni a lui più
benaffetti tra i suoi condiscepoli (tra i quali è da nominare
Ernesto Curtius), il W. s'innamorò degli studi classici, e in
particolar modo degli ellenici, e 1' educazione sua e i suoi
primi lavori furono esclusivamente filologici, e seriamente
r apparecchiarono ad assumere con onore la laurea dottorale,
il 22 luglio 1842, neir Università di Berlino, presentando
una dissertazione filologica suU' argomento De quadringen-
torum AiJienis factione, e discutendola con Giorgio Curtius,
con Martino Hertz e con Teodoro Becker, filologi (come dice
il Lowenfeld) « della più stretta osservanza ». Da questo
giovine e appassionato filologo doveva poi scaturire (chi
lo avrebbe allora predetto?) il valente maestro di storia e
d' erudizione medievale, alle cui opere e al cui insegnamento
gli studi nostri debbono tanta gratitudine. Ed è questo un
nuovo argomento, se pure ce ne fosse bisogno, come negli
studi delle umane lettere, e segnatamente delle classiche
(che la moderna democrazia affètta di dispregiare), s' ediichi
r intelletto a ogni alta speculazione e si addestri la crìtica
a ogni maniera d'indagini. Anche Teodoro Mommsen (l' ha
ricordato pochi giorni fa il mio collega Alberto Del Vecchio)
in una lettera scritta a suo fratello Tycho, grecista, dedican-
dogli un libro, compiacevasi « di non avere per le Pandette
0U6UELM0 WATTENBACH 439
« dimenticato Omero » e d' essere debitore all' « impulso
^ filologico », ch'egli aveva ricevuto, dell'indirizzo che ave-
vano prese le sue ricerche (1).
Agli stucH storici del medio evo fii condotto il W.,
più che per spontanea volontà, per effetto d'altre circo-
stanze. Aveva udito in Berlino le lezioni del Banke, e
gli avevano fatto profonda impressione, ma era rimasto
filologo puro. Poi nel 1843, per mezzo del Giesebrecht, entrò
in relazione con Giorgio Enrico Pertz, il quale lo assunse
come collaboratore nei Monumenta Germaniae historica (in
luogo del Waitz chiamato a Kiel); e d'allora in poi il nuovo
indirizzo dei suoi stucU fii determinato; e, detto addio al-
l' antichità per il medio evo, recò nelle nuove ricerche tutta
r energia d' indagini, la sicurezza di metodo, la finezza di
critica, che erano proprie del suo forte ingegno e che gli
studi filologici avevano disciplinate e rafltorzate.
Degli uffici che ebbe il W. basterà che io dia una
notizia brevissima. Abilitato nel 1851 alla libera docenza
nell' Università di Berlino, vi lesse storia per quattro anni ;
nel 1866 andò archivista a Breslau; nel 1860 tornò al-
l' insegnamento, essendo chiamato professore di storia a
Heidelberg ; e nel 1873 venne chiamato a Berlino per suc-
cedere a Filippo Jaffé (morto nel 1870) nella cattedra di
scienze ausiliarie della storia, già dal suo predecessore cosi
nobilmente illustrata, e rimasta poi per tre anni vacante.
Intensa è stata 1' attività scientifica del W. e copiosis-
sima la sua produzione letteraria.
Ne do un cenno per sommi capi : partecipazione al lavoro
e alla direzione dei Monumenta Germaniae historica; edizioni
di testi per questa e per altre collezioni ; direzione di pub-
blicazioni periodiche e scientifiche (come il Neues Archiv der
GeseUschafl fiir altere deutsche GeschichtsTcunde, che egli as-
ci) A. Del Vecchio, Teodcro Mommèen (per il suo ottantesimo anni-
versario): nel giornale bolognese II Resto del Carlino, 29 e 80 novembre 1897.
440 NECROLOGIA
sunse nel 1875 e cedette poi nel 1889 alle ottime cure di
Harry Bresslau ; e la rinnovata edizione dei Regesia Fon-
tificum del Jaffé [Leipzig, Veit e C, 1881-88]); collaborazione
ad altre opere collettive (come VAllgemeine deutsche Biogra-
phie; e gli Jahresberichte der Geschichtsicissenschafì^ dove
dal 1880 scriveva l'annuale relazione sulla paleografia; gli
Exempla codd, latinorum litteris maiusculis scrìptorum, collo
Zangeimeister [Heidelberg, 1876-79] ; gli Exempla codd. grae-
corum litteris maitisculis scriptorum, col Velsen [ivi, 1878]);
importanti opere proprie (come la Geschichte des rómischen
Papstfhums [Berlino, 1876] e le altre che menzionerò tra
poco particolarmente) ; e una serie numerosissima di articoli
per riviste, di opuscoli critici, di memorie accademiche (1).
Ma la benemerenza principale e duratura del W. verso
la dottrina storica del medio evo consiste in quelle opere
speciali che risguardano gli studi sussidiari della storia. Con
felice intuizione il W., fin da quando mosse i primi passi
nell' arringo accademico, s' accorse che alla nuova scuola
storica, felicemente iniziata dal Ranke, abbisognavano, per
procìedere più spedita e più sicura nelle indagini, quei sus-
sidi letterari e tecnici, senza i quali l'opera dei singoli stu-
diosi è costretta a procedere incerta e, quasi direi, a bran-
colare nelle tenebre; e con questo intendimento, nei primi
due semestri della sua libera docenza in Berlino, furono
argomento delle sue lezioni le ricerche sulle fonti della
storia tedesca nel medio evo, la diplomatica e la dottrina
dei manoscritti. In tal guisa egli ha partecipato efficace-
mente (come bene osserva lo Zeumer) (2) all'opera del
Ranke, « nel condurre la scienza storica tedesca a quella
« floridezza, il cui fastigio è già di gran lunga oltrepassato»:
e cosi ne sono nate quelle opere fondamentali del W., che
(1) Un copioso elenco delle pubblicazioni del W. è dato dal Pol&yhUom,
ottobre 1897, pp. 368-367.
(2) Karl Zeumeb, Wilhelm Watienbach: in Histor, ZeiUchrifl, LXXX,
PI). 74-85.
GUGLIELMO WATTBNBACH 441
hanno per argomento le <c Fonti storiche della Germania nel
medio evo », Y « Avviamento alla paleografia greca e alla
latina », e T 4: Arte della scrittura nel medio evo ».
Il libro : Deutschlands Geschichtsquellepi im Mittelalter,
presentato a un concorso dell'Accademia di Gottinga, e pre-
miato, vide la luce la prima volta nel 1858, ed ha avuto
in trentasei anni sei edizioni, 1' ultima delle quali, in due
volumi, è del 1893-94 [Berlino, Hertz]. Il largo favore ot-
tenuto da questo libro nel pubblico studioso mostra come
ne sia stata apprezzata l'utilità. Non mancano in Germania
altre opere storico-bibliografiche, come la Quellenkunde der
deuischen Geschichte di Dahlmann e Waitz, la Biblioiheca
historica medii aevi del Potthast ; ma il libro del W. ha più
larghi intendimenti e soddisfa a una più larga e più gè-
niale cultura. Non è infatti un puro indice, ma un' opera di
carattere letterario e critico, con una ben intesa disposizione
storica e sistematica, ed è libro non di sola consultazione,
ma di gradevole e proficua lettura. La mateiia e divisa in
cinque periodi storici che vanno dall' età neoromana alla
metà del secolo decimoterzo ; e v' è discorso ordinatamente
delle fonti e degli scrittori che concernono la storia ge-
nerale, e quella particolare cosi della Germania come delle
altre nazioni che ebbero con quell' impero immediate rela-
zioni. Superfluo che io aggiunga, come agli studi della sto-
riografia italiana dia il libro del W. larghissimo contributo,
e sia da raccomandarsi anche agli studiosi nostri come fonte
di prima necessità.
Nel 1867 il W. pubblicò VAideìtung zur griechischen Pa-
1-aeographie [Leipzig, Hirzel], che ebbe due altre edizioni nel
1877 e nel '95, aggiuntovi un atlante di facsimili (1); e due
anni dopo diede in luce [ivi, 1869] VAnleitung zur lateinischen
Palaeographie, della quale la seconda edizione usci nel 1872, la
(1) Separatamente da quest'atlante il W. pubblicò in Berlino nel 1876-77
le Schrifltafeln zur GeschicìUe der griecìiiachen Schrift,
442 NECROLOGIA
terza nel 1878, la quarta nel 1886 (1). Giasoono di questi due
manuali o <c Avyiamenti », scritti in forma breve ed elemen-
tare, si compone di due parti : una a stampa, che contiene la
dottrina e la storia ; e V altra autogra&ta, che contiene un
gran numero di osservazioni analitiche e pratiche, disposte in
ordine sistematico. E merito del Wattenbach (disse giusta-
mente il Lowenfeld neir opuscolo già ricordato) di avere net-
tamente distinto la diplomatica dalla paleografia, avere eman-
cipata questa dalla sua condizione di ancella della prima,
averle conferito ufficio e dignità di scienza indipendente ; e de-
vesi anche aggiungere che a questa scienza, ormai padrona di
sé, egli ha dato coscienza del suo fine e norma sicura per
conseguirlo. Difatti, anche se ci limitiamo a considerare il
libretto che risguarda la paleografia latina, ci accorgiamo
subito, come esso sia disposto in modo altrettanto semplice
quanto razionale. E valga ad esempio la classificazione delle
scritture, tanto imbrogliata, nonostante la molta erudizione,
dai diplomatisti precedenti. Il W., ripudiando ogni sistema
artificiale, ha preso per fondamento di classificazione, sotto
il rispetto grafico, la diversità reale ed elementare delle forme,
e, sotto il rispetto storico, la relazione di precedenza, di filia-
zione di parentela delle scritture. Questa classificazione cosi
• spontanea, e cosi precisa e compiuta nella sua semplicità, e
' l'ordinamento della parte pratica e sperimentale, fisitto se-
condo i medesimi criteri, danno ragione dell' efficacia grande
che hanno esercitato ed esercitano i manuali del W. negli
studi dottrinali e pratici della paleografia. Non dubito di
asserirlo : essi rappresentano un rinascimento della scienza.
Danno poche linee ; non insegnano tutto né a tutto rispon-
dono ; poniamo anche, che in qualche particolare possano
essere corretti e migliorati ; ma quelle linee sono fondamen-
(1) Della terza edizione disoorsi neàVAreh. ttar. iUd,, 1879, to. IH,
pp. 251-257; e ricordo, non senza soddisfimone e riconoscenza, che le mie
particolari osservazioni furono tutte accettate dall'illustre autore e ac-
colte nella sua edizione del 1886.
GUGLIELMO WA'ITENBACH 443
tali, e la diritta via è tracciata agli studiosi con occhio
acuto e con mano sicura.
Lungamente preparato e aspettato venne in luce nel 1871
[Leipzig, Hirzel] il libro : Dos Schrifììcesen im Miftelalter; li-
bro, che attiene non tanto agli studi sjjeciali della paleografia
e della diplomatica, quanto a quelli più generali della cul-
tura letteraria e della civiltà nel medio evo. Accolto con
favore larghissimo e, possiamo anche dire, con vera rico-
noscenza dagli studiosi, ebbe questo libro due altre edizioni,
sempre migliorate e accresciute, nel 187B e nel 1896. Si di-
scorre in esso delle materie scrittorie e librarie nel medio
evo, della composiziono e della storia del libro, dell'arto e
dell' industria libraria, degli scrittori di libri e di docu-
menti, della miniatura e dei miniatori, delle biblioteche e
degli archivi. H libro del W. non è un'opera d'arte perfet-
tamente organica, ma un gi-ande e ben ordinato magazzino,
o diciamo meglio un thesaurm, che par quasi inesauribile,
tanta è la ricchezza d' informazioni e di documenti che
v* è raccolta. Filologi e storici attingeranno a questa fonte
sempre con grandissimo profìtto ; dacché, difficilmente una
ricerca che vi si faccia (dentro il cerchio della rea scriptoria
del medio evo) rimane senza risposta ; e V informazione che
ne riceviamo è sempre convalidata dalla citazione e dal ri-
ferimento di testimonianze autentiche, desunto da scrittori
contemporanei e da documenti originali.
Tale è, nell' insieme, l' opera scientifica di Guglielmo
Vattenbach, e quanto onori lo scienziato, quanto incremento
^bia dato alla dottrina storica e agli studi sussidiari di essa
i par su[>erfluo ripetere: l'ha già pienamente dimostrato
Itezza a cui egli era pervenuto nella comune stima degli stu-
«i, e di cui ebbe, anche vivente, amplissime testimonianze.
, anche in mezzo alle lodi e ai trionfi, serbò sempre genti-
^à d'animo; quella gentilezza, che fa tanto i)iii gradevole e
'o più degna di riverenza la dottrina. Bene ha detto lo Z«*u-
sopra citato, che il W. andava incontro con amichevole be-
4M NECROLOGIA
nevolenza a quelli che se gli avvicinavano; e io stesso ne posso
fare testimonianza. La mia relazione epistolare col W. comin-
ciò per una puntura, forse un po' troppo aspra, che egli a me
ignoto aveva inflitto nelle ultime pagine della prima edizione
del suo Schriftvctsen, a proposito d' un mio articolo critico-
paleografico. Ebbi occasione di scrivergli di ciò nel 1873,
inviandogli un altro mio lavoro, e gliene scrissi con animo de-
ferente, ma schietto ; ed egli mi rispose con sincerissima sim-
patia. D'allora in poi il nostro carteggio è stato assiduo e cor-
dialissimo ; e quando il W. nel 1877 venne la prima volta a
Firenze, potei più intimamente apprezzarne, nell'amichevole
conversazione, la cortesia dei modi e la lieta a£fabilità. Anche
la festa del suo settuagesimo natalizio, già da me ricordata,
rivelò sempre più la modestia dell' animo suo. Nella lettera
di ringraziamento, eh' egli stampò in forma di circolare, ac-
cettava cordialmente i buoni auguri, e a sua volta si augu-
rava che in corrispondenza di quelli 4: gli fosse concesso di
« poter continuare per qualche tempo ancora la sua ope-
« rosità scientifica »; a me poi scriveva particolarmente,
il 5 novembre 1889, che gli amici lo avevano onorato
« ilber alle Erwartung », e che si sentiva a noi legato, oltre
che per la personale amicizia, per la comunanza del lavoro.
Il cielo ha concesso che Guglielmo Wattenbach con-
tinuasse a lavorare finittuosamente ancora per otto anni:
egli è morto il 20 settembre di quest' anno 1897, in Fran-
coforte sul Meno, due giorni prima di compiere il settan-
tottesimo anno. Alla nobile vedova. Maria von Hennings,
che gli fu negli ultimi tredici anni della vita affettuosa
e carissima compagna, inviamo riverenti le nostre condo-
glianze : sappia ella, e le sia di qualche conforto, che con
lei piangono quanti furono del venerato suo marito disce-
poli, colleghi od amici.
Firenze. Cbsabb Paou.
NOTIZIE
■«V
Società e Istituti scientifici.
FiRBNZE. — Istituto per la storia dell'arte. - Nel to. XIII
(an. 1894) del nostro Archivio, p. 228, demmo notizia della proposta
di fondazione di un tale Istituto, promossa dai Congressi storico-
artistici di Norimberga 1893, e di Colonia 1894. Ora possiamo an-
nunziare che la proposta è in via di attuazione. L'Istituto, in
forma provvisoria, è già aperto; e la Commissione direttrice, pre-
sieduta dal D.*" Augusto Schmarsowin Lipsia, ne ha nominato
direttore il prof. D.*" Enrico Brockhaus di Lipsia. Si è pure aperta
una sottoscrizione per la costituzione definitiva della Società di
esso Istituto {Verein zur Fórderung des kunsthistorichen Instituts in
Florenz): ne sono membri coloro che pagano un contributo annuo
di almeno 20 marchi, ossia 25 lire italiane.
Roma. — Istituto storico italiano. - H 10 dello scorso
luglio s'è tenuta un'adunanza plenaria dell'Istituto. Letto il reso-
conto della Giunta esecutiva intorno ai lavori compiuti e iniziati
dal tempo dell'adunanza precedente, l'Istituto s'occupò delle pro-
poste di nuove pubblicazioni da comprendere nella serie di Fonti
per la storia d'Italia. E fu deliberata la stampa delle Cronache antiche
fiorentine, deUa Cronaca di Benedetto del Soratte e degli Annales Ro-
mani, di una raccolta di Monumenta Mediolanensia antiquissima, della
Cronaca Vicentina del Pagliarino, dei Diplomi dei re d'Italia e delle
Lettere politiche di CUìnente VI. Fu deliberato inoltre di dar notizia
nel BuUettino dell' Istituto dei lavori preparatori fatti dal compianto
Dr. Vittorio Lami per una edizione della Cronaca del VUlanL
Friburgo (Svizzera). — Congresso degli scienziati catto-
lici. - Nell'agosto passato si tenne nella città di Friburgo il quarto
Congresso internazionale degli scienziati cattolici. Fra le trecento e
più memorie presentate e lette nelle varie sezioni ve ne furono
molte che svolsero temi storici e talvolta cercarono di illuminare
con nuove ricerche alcune delle più oscure questioni rioguardanti il
medio evo e l' età moderna. Biserbandoci di dame accurata notizia,
quando saranno pubblicati gli Atti del Congresso, ci basti ora indi-
446 NOTIZIE
care soltanto i titoli e gli autori degli studi che più ci interessano.
Teol. BiGiNELLi (Torino) : Influence exercée par Vhérésie de Bérenger
sur le vìouvenient des esjyrits et sur la renaissance des études eucha-
ristiques au moyen^àge. - A. EnxEU (Eichstiltt) : SuUe nuove ricerdie
da farsi intomo alla storia déUa liturgia, - I. Gay (Mans): Sur la
décadence du rite grec dans V Italie meridionale à la fin du X VI siede.
- F. Savio (Torino) : S, Vittore di PoUenzo e una jHigìno. dd marti-
rologio geronimiano, - Holder (Friburgo): La tutte au su jet du droit
d' amortmement sur les biens ecdésiastiques dits de main-morte par-
ticulièrement aux XVII et XVIII siede, - Ab. Allain (Bordeaux):
Les débuts du cardinal de Sourdis ; épisode de la contreréforme ca-
tholique en France au XVII siede, - A. Db Bartiiélémy (Paris):
Note sur V origine du monnayage féodal procédant des concessions
royales des profits monétaires, faites au dergé du VIII au X siede, -
Mgr. Baumoartbn (Eoma) : Primicerituf et schola cantorum Urbis, -
G, Bosio (Asti) : Le corporazioni rdigiose ad Asti nd medio evo. -
G. DiGARD (Paris): La Chancdlerie pontificale d la fin du XIII
siede, - F. Gasparolo (Alessandria): / conventi dell* ordine agosti-
niano neW Italia superiore orientale al principio deW eresia luterana, -
Oh. Gendry (Nantes) : Mission de Mgr, Archetti auprès de Caterine de
Russie, - I. GuiRAUD : Les prdiminaires du concile de Lyon (1274), -
£. Jordan (Eennes): Le pape Clément V et la réorganisation de
V Eglise sicilienne. - Knobpfler (MUnchen) : Il cambiamento dd nome
ìlei Papi. - G. Mayer (Einsiedeln) : La fotografia a servizio deUa
2yaleografia. - P. Mandonnet (Friburgo) : L'Oìxlre de la Pénitence d
l* origine des Tiers-Ordres frandscain et dominicain au XIII siede, -
Ab. Ursbau (Angers) : La vie pricée d* un év^que au XIII siede
d* aprés des comptes inédits. — Cfr. su questo Congresso il notevole
articolo del p. Giovanni Giovannozzi d. S. P., nella Rassegna Xa-
zioiiale, di Firenze, 1.° novembre 18i)7.
Archivi, Biblioteche e Musei.
Italia. — Archivi, - Sotto il titolo € Pensiamo agli Archivi*
il prof. Clemente Lupi discorre in un articolo, inserito nella Ras-
segna NaTÙoìuxle del 16 ottobre, dei miglioramenti che sarebbero da
farsi alle leggi e ai regolamenti che concernono gli archivi italiani)
sia rispetto alla vigilanza degli archivi non governativi, sia rispetto
all' ordinamento e al servizio degli archivi di Stato. L'articolo con-
tiene cose in molta parte già osservate e ridette, ma le espone con
chiarezza e precisione, e le convalida con esempi pratici e col-
r esperienza propria dell'autore.
WTTnSL 44
•
Dei pftyrrediinflEts 'Sk^t C I^ TTrjcof:. e: ja^ ea^r&XA e ii^i-
tuabile la eostTiziooe a c=i ««•!i r&rrtV:* sorioiorr» : i3ccr:r:*r: ii
arduTi privmti: moiir» t7&;pc VIviiÌa « ±.sc:=r:d€=:te. & pftr«r 3>c^?i7^
è r axiOBe die c^ii risert* aZìo Ssalo rispKZz- a^li arc^rri d«^n eaii
morali, dei loogln rcrVairi^ Selle L=:=.iris:razàoEL2 cccsTia'i E
nooTo diMgDO di legse per I' orsi::.A=ier.Lo de^Ii &r^chiri - accora i£
gestaziofie^ - rìazioTeaio iisposLzi»:: asi^eriirL pT^srvedc sATÌa:zes*e
che tutti codesti exni coI>ttÌTÌ vmsezzlzio allo S:a:o gli izrertar!
del loro patrix&oiiio areliTissi» : e. iore essi aon adezipiu/C a
qnest'obbfip dentro im t»&nr.;ae j^ersnc-rioc vi proTveda dÌ7>frT:a-
mente fl Goremo a epeie dell' ente pcrssea&rre. E E passa sopra a
questo proTTedimento. die ci pare eger*r' a'issn-a. e mostra usa
paara eoTerehia dell' ingerenza e ^.*rzlì Ì3--2a=:eranenii goTemaiivi
A noi pare inrece cLe il Gortrao. iz p*r*«!h; casi abbia i::c»>ir«:cv.
rispetto alla rì^Ianza e alla >al rezza ieg.i are Livi. ;i£a sripina izerzia
o una deploreTcle noansranza. La creazione d'un corpo i'isp^iiori
ordinari o straordinari >be il L. propose d*a-?^'rdo co! c:ta:o di-
segno dì legge'; rimedierebbe certo a molti in>0£renient;. e 'o^iazio
pienamente tale propOiSta. 3fa con basta. Dinanzi al t«rlc-o!:^ nrpeste
di dispersioni e sottrazioni o di cala custodia, lo State quaz>do gli
enti locali non Toglxano o non possano o non sappiano prorvedexv. ba
(secondo U nostro arriso non cbe il diritto, il preciso dovere d'inter-
venire, e, in casi estremL avocare a sc quelle carte cbe minacciano
d'andare in malora per infe>ie!tà o insipienza ie: loronaturaM custodi.
n nostro egregio amico è contrario a qualsiasi maniera d'aocen-
tramento, notandone i danni e i perìoolL Amme:t:an-.oli pure. Ila
non vorremmo cbe. per la smania del disaccentrare» s'andasse air ec-
cesso opposto: non rorremmo. dica cbe per soddisxare vanità e in*
teressi di piccoli luoghi e sentimentalismi antonomisticL e magari
per favorire intrighi elettorali o parlamentari, si spezzassero e si
disseminassero in tante sedi minori le raccolte già felicemente costi-
tuite in centri archivistici, bene ordinati, comodamente accessibili
e fomiti di tutti quei sussidi, cbe solo nelle città di una qualche
importanza si possono avere. Uno smembramento così disonnato
sarebbe la rovina dei nostri archivi di Sta co. e sarebbe causa di
disagio e di difficoltà continue per gli studiosi. E i pericoli mate-
riali l'non escluso il solito incendio, del cui fiantasma anche il E si
vale per argomentare contro gli accentramenti^ e quelli morali di
mala custodia, di difficile vigilanza, e di &cili sottrazioni, cresce-
rebbero a dismisura.
Concludiamo. Siamo d'accordo col E in parecchie consideraxioiii:
ma non siamo d' accordo punto sui limiti che egli vuol porre al-
448 NOTIZIE
l'azione sovrana dello Stato. Altri sono i nostri principi. Noi teniamo
che i pubblici archivi, qualunque sia Pente che li amministri, sodo
patrimonio della nazione, e che tutte le pretensioni particolaristiche
valgono meno che niente dinanzi ai supremi interessi dello Stato e
della scienza. Lo Stato deve custodire bene i propri archivi, e ren-
derli accessibili quanto più liberalmente sia possibile; ma non deve
cedere nulla mai di ciò che è in sua diretta proprietà, né deve, per
dar retta a interessi locali, scompaginare ciò che è già bene ordinato
nei grandi archivi di esso Stato; deve vigilare con ogni severità il re-
stante patrimonio archivistico, da qualsiasi ente sia esso custodito;
e, rispettandone l'autonomia finché sia possibile e ragionevole, deve
riserbarsi il diritto di prendere qualsiasi più grave provvedimento, e
anche di mettervi la mano sopra, quando sia male conservato, o male
ordinato, o male accessibile alle ricerche storiche. C. P.
Francia. — Biblioteca Nazionale. - Nella Bibliothéque de
r Ecole des Chartes, maggio-giugno 1897, H. Omont dà notizia di Un
Tratte de physique et d* alchimie du XV siede en écrìture cUryptogra-
phique. E membranaceo, di 140 carte di piccolissimo formato, proviene
da Venezia, e sembra essere stato copiato in Italia. E stato recente-
mente acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Parigi. L'O. ne tra-
scrive quattro pagine, delle quali dà anche il facsimile. Può essere
utile confrontare questo codice tto coli' altro, parimente alchimistico,
parimente criptografico, ma inciso su lamine di piombo, che si con-
serva nell'Archivio di Stato di Firenze.
Storia generale e studi sussidiari.
— In una copiosa collezione di volumi e frammenti papiracei,
scoperti di recente in Egitto a cura della Società inglese dell' J^^/>^
exploration Fund, si é trovato un frammento greco particolarmente
importante per lo studio della tradizione dei Vangeli, e che viene
ad aggiungersi agli altri frammenti di Vangeli scoperti qualche
anno fa parimente in Egitto. Questo di cui parliamo è € un fram-
€ mento di un antico libro contenente una collezione di lé/cx o detti
€ di Gesù, dei quali alcuni sono simili a quelli già conservati negli
« evangeli, altri sono interamente nuovi »: il frammento viene at-
tribuito al secolo II dell' R V. - Cfr. la bella notizia datane da A.
Chiappelli nella Nuova Antologia, l.<* ottobre 1897.
— C. Ferrini. / Commentari di Gaio e V Indice greco delle
Istituzioni (nella Byzantinviche Zeitschrift (Leipzig), voi. VI (1897),
i U7-&S&). L'Ant. Kveva già nel 1883 mostrato ■ che la cosi detta
■ Parftfrftsi gr«cA delle letituKÌoni attribuita a Teofila si appoggiava
t in parte notevole ai CommentaTi, e non solo ne deduceva notìxie
b storiche, ma ne riproduceva molti passi ed argomenti > ; e per
piegare tale fatto, esprìmeva l'ipotesi e che esistesse nelle scnole
mperialì un urrà Ttiisf delle Istituzioni di Gaio, quand' esae aer-
I vivano all' insegnamento elementare del diritto > ; e di questo
QBADuale fii servisse appunto il paratraste del testo imperiate, per
SToIare U propria fatico. Ora con nuovi argomenti, e con molti
f accurati rafiVonti, il F. conferma e rafforza la sua ipotesi, conchiu-
sere, a suo avviso, provato < ohe alla P:iralrasi greca delle
t Istitmdoni precedette una simile de) tcBto di Unio, che fu tenuta
3 gran conto dall' autore della prima. Ciò è da tenersi presente
I por chi voglia segnare le origini della letteratura giurìdica bi-
— Nei fogli di guardia di un codice delia Nazionale di Torino
pattante alla chiesa di S. Andrea di Vercelli il prof. Caulo Cii-or.i.A
i trovato Due epixtole di jiapa Onorio ///, finora inedite, eh' egli
a dottamente illustrate e pubblicate nei Bendicotiti deBa r. Accademia
i Lincei (voi. VI, fase. 7-8). La prima bolla è del 19 marzo 122S,
ettn all'Arcivescovo di Colonia e al vescovo di Liegi, e si ri-
sce al celebre monastero di S. Trudone, in quel di Liegi, i cui
■Donaci desideravano avere per abbate Giovanni < Sanctensem >, che
.1 eSettivamente abbate dopo il 1228. L'altra bolla è anteriore
^ questa, vale a dire degli ultimi di novembre 1222, ed è diretta ai
i di Cambray e di Liegi, perchè scomunichino certi ecclesiastici
Nie avevano molestato un monastero di monache cisterciensi.
Come mai queste due bolle, della cui autenticitji non si puù du-
ntare, siano andate a finire a Vercelli, non è ben chiaro; ma lici-
tila molto giustamente sappone che, poco dopo scritte, pervenissero
Bielle mani del cardinale vercellese Guala Bicheri, il quale se ne
'i per rilegare il codice suddetto, che regalò poi a quella chiesa
i S, Andrea da Ini fondata. E. C.
- Nell'^rcAiciò detta r. SodeM romana di storia patria (voi.
1 ftisc. 3-4, pp. 425 e seg.), il sig. A. Ferrajoli pubblica ed
Slustra nn Breiv inedito di Gittlio // per la imvstitwa del Regno
i Francia ad Enrico Vili d' Inyhitterra, da Ini ritrovato in mi-
bnta nell'Archivio Vaticano, Le ragioni, per cui fu redatto tal
hanno a ricercare nel vivissimo desiderio di Enrico Vm
1 ricuperare la corona di Francia, già cinta da alcuni dei
ÀUOB. Sron. It., 5.' Serie. — XX. iSf
450 NOTIZIE
predecessori, desiderio che dì lui faceva il naturale collegato di
Giulio II, quando questo focoso pontefice bandi la crociata contro
il He di Francia. E difatti il papa concesse il 20 marzo 1512 il
llegno di Francia al He d' Inghilterra ed ai suoi discendenti ; ma,
poiché gli eserciti di Luigi XII capitanati da Gastone di Foix trion-
favano in quei giorni appunto nelP Italia settentrionale, egli non
rilasciò il documento stesso ad Enrico VIII, bensì gli promise di
darglielo quando avrebbe adempiuto alle sue promesse di debellare
il rivale e di occuparne lo stato. E intanto, per assicurare tale con-
segna, provvide a deporre il breve nelle mani di un uomo di fiducia,
che fu scelto nella persona di Marco Vigerio di Savona, cardinale di
Sinigaglia, pronipote di Sisto IV. Morto Giulio li, Leone X ne segui
dapprima la politica ed incitò Enrico Vili a continuare nei suoi
preparativi e nel suo disegno d' invadere la Francia. E poiché
questi nell'agosto 1513 sbarcava in Picardia ed otteneva alcune di
quelle terre, il cardinale Baimbridge, suo rappresentante alla corte
pontificia, chiedeva, nel settembre seguente, il breve di Giulio II
al cardinale di Sinigaglia, che glielo consegnava a mezzo otto-
bre 1513. Ma appena esso fu in mani inglesi, mutò la scena po-
litica : fu interesse di Leone X di non parlarne più per farsi amico
il He di Francia, e di permettere al cardinale inglese di mandarne
bensì copia al suo sovrano, ma non P originale. Ed essendosi, il
7 agosto 1514, Enrico Vili stesso pacificato con Luigi XII, pochi
giorni dopo la morte del cardinale Baimbridge, depositario del breve,
a questo nessuno più pensò, nò, all'ora presente, nessuno sa dove sia
andato a finire V originale eh' egli custodiva. Il che accresce impor-
tanza alla minuta ritrovata dal Ferrajoli. E. C.
— Che fosse veramente necessario di tradurre e ristampare
nel 1896, per comparire nel 1897, uno scritto d'occasione pubbli-
cato per la prima volta nel 1892, sarebbe cosa certamente da di-
scutere in tesi generale ; ma nel caso particolare, a cui alludiamo,
non possiamo se non maravigliarci di vedere un ufficio governativo
americano, il Board of Eegents of the Smithsonian Institu-
tion di Washington, ripubblicare nel suo Rapporto del *94 il breve
scritto di SopHUS Rugb sullo SvUupjyo della Cartografia americcma
fino 1510, già comparso nelle Peterniann^s Mittetlungen. Per P indole
sua e il momento in cui per la prima volta venne alla luce, questa
memoria non é, come ognun sa, monda da ogni difetto. Sarebbe
pertanto stato necessario nella nuova edizione di rifarla e di met-
terla meglio al corrente degli ultimi studi sulla cartografia ame-
ricana. Con ciò, senza ripetere cose che non giovano alla scienza,
NOTIZIE 451
si sarebbe fotto opera lodevole, ed avrebbero acquistato maggior va-
lore le molte riproduzioni cartografiche di cui è arricchita la pre-
sente ristampa. £. C.
Storia regionale e locale.
Toscana. — Nei fascicoli 17-19 della Miscellanea Fiorentina d'ervr
dizione e storia, edita da I. Del Badia, che han veduto la luce nel
corso del 1897, sono, fra gli altri, notevoli i seguenti articoli:
K Casanova. Lettera di Niccolò Acciaiuoli, per protestare contro
una gravezza, che colpiva la Certosa di Firenze, E scritta negli ul-
timi mesi del 1363, da Nocera, a Niccolò Soderini in Firenze. Sfoga
in essa il Gran Siniscalco amaramente la sua bile contro i Fioren-
tini, che avevano messo sui beni di lui gravezze insopportabili,
danneggiando anche la Certosa da lui fondata presso Firenze, e
minaccia contro i suoi « mali cittadini » serie rappresaglie. In questa
lettera, € iscritta mano propria in tre fiate, tanta félonia mi soprave-
niva scrivendo! », ci si ritrova < tutto intero » l'uomo, € quale ce
€ lo rappresentano le memorie del tempo > ; superbo, tenacissimo,
esageratamente irascibile.
G. 0. CoRAZiNi. / Gherardini e U castèllo di Montagliari, Deter-
mina la situazione topografica del castello che fu dei Gherardini in
Chianti, dando notizie storiche e della famiglia e del castello, a
tempo delle lotte politiche tra quei signori e il comune di Firenze.
S. MoRPURQO. La Compagnia deUa Gazza, i suoi capitoli e le sue
tramutazioni. Pubblica, e con molta dottrina storica e letteraria il-
lustra, certi capitoli burleschi d' una Compagnia della Miseria, com-
pagnia di € falliti, rovinati e birbaccioni » ; parodia satirica delle
tante compagnie di laudesi e disciplinati, che allora pullulavano in
Firenze. Il componimento è da attribuirsi circa al 1467, ed è de-
sunto da imo zibaldone, messo insieme intomo al 1470 da Filippo
Scarlatti, e posseduto ora dal marchese Ippolito Ginori- Venturi
Piemonte.. — Kicostruire la vita di Un gentiluomo piemontese
della prima metà del secolo XVI, per quanto illustre egli sia stato,
è impresa assai malagevole per le rare e confuse notizie che ab-
biamo degli uomini vissuti appiè delle Alpi in quegli anni, in cui
il Ducato era corso, ricorso, sconvolto e saccheggiato di continuo
da Francesi e da Imperiali. A tale impresa però si è volenterosa-
mente accinto il dott. Arturo Seqre; il quale, raggranellando no-
tizie e documenti da ogni lato, è riuscito a darci una biografia
intera di Giacomo Pwvana di Legni (in Giornale Ligustico, N. S.,
452 NOTIZIE
gen.-febb. 1897), che fu padre di Andrea il famoso ammiraglio della bat-
taglia di Lepanto. Nato probabilmente negli ultimi del QuattrocentO|
ammogliatosi nel 1517 con Filiberta della Bavoira, da cui nacque
Andrea, e, in seconde nozze, con Anna Grimaldi di Boglio, egli fu
sempre fedele suddito e consigliere di Carlo III di Savoia. Più volte
fu incaricato di gelose ed importanti missioni in vari luoghi delio
stato e a Genova e a Milano; condusse l'esercito sabaudo in soc-
corso di Nizza dopo il celebre assedio del 1543; e, come maggior-
domo del principe del Piemonte Emanuele Filiberto, lo segui alla
dieta di Worms e alle guerre di Germania dal 1545 al 1551. Tor-
natone, ebbe a sostenere per parte dei Francesi un assedio in Lanzo,
di cui era castellano fino dal 15-15 : vi fu preso prigione : e, quindi,
liberato, partecipò alle trattative tra il suo Signore ed Enrico II, e,
rotte queste, di nuovo alle operazioni militari intorno a Volpiano,
dove cessano le notizie che abbiamo di lui, morto probabilmente tra
gli ultimi del 1552 ed i primissimi del 1554. R C.
— ì^eW Ardifmo della r. Società romana di storia patria, (voi. XX,
pp. 95 e seg.), il barone Gaudenzio Clarbtta, lo storico di Carlo
Emanuele II di Savoia, ha pubblicato, colla solita dottrina e compe-
tenza, uno studio su La principessa Maria CóUmna'-Mancini neBe
particolari sue relazioni col duca di Savoia Carlo Emanuele II ; i cui
documenti sono tratti dall'Archivio di Stato di Torino. Tale studio
è un complemento necessario delle opere e degli scritti recentemente
venuti alla luce su quella illustre ed interessante nipote del cardi-
nale Mazzarino, la quale per alcuni decenni fu argomento di molti
discorsi nelle varie corti d'Europa.
Dal momento che si separa da Luigi XTV, per andare sposa al
conestabile Lorenzo Onofrio Colonna (1661) fino alla sua morte,
avvenuta in Pisa nel 1716, la sua vita agitatissima è ritessuta
per sommi capi dal C. in questa memoria. E più particolarmente
l'Aut. si ferma a narrarci, colla scorta di documenti sfuggiti ai
suoi predecessori, quelle intime relazioni col Duca di Savoia, a cui
gli altri scrittori allusero senza poterne parlare particolarmente.
Il C. invece fin dal soggiorno della sposa a Milano e dal successivo
viaggio a Loreto e a Eoma trova modo di recare notevoli e inte-
ressanti aggiunte alla storia di quella principessa in Italia. Quindi, al-
lorché essa, fuggendo dal marito, viene a fermarsi a Torino, vi diventa
intrinseca amica di Carlo Emanuele e vi dimostra, insieme colla sua
cultura non comune, la grande bizzarria, il grande squilibrio della
sua mente, il Claretta sa darci tante notizie che chiariscono sufficien-
temente queir episodio e soddisfano la nostra curiosità. Ed altre no-
NOTIZIE 453
tizie fiDalmente aggiunge al racconto, finora noto, del soggiorno della
Colonna a Madrid dove, qaasi derelitta, non trova conforto che nei ri-
cordi dell'antica amicizia di Carlo Emanuele. K C.
Friuli. — Nel Xuavo Archivio Veneto (to. XIV, 1897\ il prof.
Gabtano Cogo continua gli studi già pubblicati negli Atti dell'Ac-
cademia di Udine (serie II, voi. Ili, 18%), sopra la Sottomissione del
Friuli al dominio della Repubblica Veneta colla dotta memoria: Bel-
trame Sachia e la sottomissione di Marano al dominio della Repub-
blica Veneta (con nuovi documenti).
Marano, comune del Friuli posto sulla laguna omonima a con-
fine quasi coli' Istria, era fortezza importantissima per Venezia, che
l'aveva occupata nel 1420, ma l'aveva poi perduta nel 1518. Da
quest'anno al 1542 era rimasta all'Austria; a cui ^ allora tolta da
Beltramo Sachia, valoroso e spensierato capitano udinese. Del Sachia
appunto e del modo da lui seguito per ricuperare Marano e degli
aiuti prestatigli dalla Ilepubblica di S. Marco parla difiusamente
nella sua diligente memoria il Cogo; tessendoci dapprima la vita
di quel capitano, poi l'astuzia a cui ricorse per farsi introdurre
nella ambita rócca. Questa non potè essere da lui ceduta immediata-
mente a Venezia, per non accrescere i sospetti e le minacele di Fer-
dinando I d'Austria contro la Repubblica; ma, per assicurarne la
custodia, fu rimessa in Piero Strozzi allora ai servigi della Francia.
£ questi, dopo averla tenuta per qualche tempo, ed avervi messo
per governatore Francesco de' Pazzi, la vendette il 25 nov. 1543
alla Repubblica Veneta, che l'aggregò definitivamente ai propri
stati, dopo aver disinteressato Ferdinando col pagamento d'ima forte
somma di danaro. R C.
Sicura. — Come introduzione a sette documenti relativi agli usi
matrimoniali della Sicilia dal 1203 al 1400, il sig. Carlo A. Garufi
ha fatto conoscere neìV Archivio stoìico siciliano (XXI, 3-4, pp. 209-807)
alcune sue Ricerdie sti//li usi nuziali nel medio evo in Sicilia. 1 suoi
studi vertono specialmente sulle leggi e le consuetudini che ressero
il matrimonio nell'Isola presso le diverse razze che vi convissero,
nei vari secoli del medio evo. Quindi con brevità l'Aut. ricorda le
molte leggi suntuarie promulgate fin dal secolo XIII, che permet-
tono di ricostruire le cerimonie nuziali di cui non sono pervenuti
ricordi fino a noi. Ed infine tocca dei matrimoni fra quartieri e
comuni diversi, della benedizione dopo il matrimonio ec. Sono tutte
notizie piene d'interesse, che provano la cura dall' Aut. posta nelle
sue ricerche ; ma farebbero, secondo noi, miglior figura, sarebbero
454 NOTIZIE
più apprezzate, se non fossero come affogate in mezzo ad altre
notizie d'indole generale, relative alle vicende della Chiesa in Si-
cilia, dei popoli che vi abitarono ec, le quali avrebbero potuto
essere accennate più brevemente. £. C.
Scienze, lettere, arti.
— ì^eìVHistor, Jahrbuch, voi. XVIII, fase. I, il prof. H. Grauert,
in un articolo che ha per titolo Neue Dante- Forschungen, £a una ras-
segna oggettiva dei recenti studi e delle recenti pubblicazioni in-
torno a Dante. Vi sono ricordati i lavori della Società dantesca
italiana e la recente edizione critica del De Vtdgari Eloquentia, cu-
rata dal prof. Pio Eajna e edita dalla Società predetta.
— Il sen. Gaspare Finali, nella Nuoim Antologia, 1.*» ottobre,
discorrendo de Z/e prime quattro edizioni della Divina Commedia, e
paragonando specialmente la Fidignate (1472) con la Napoletana
(1475), dimostra che quest'ultima non è un'edizione prìncipe, ma
una ristampa della Fulignate, di cui riproduce gli errori materiali,
aggiungendovene altri, ed ha comime con essa anche certe lacune.
— Kecentemente è stato inaugurato in Crevalcuore (Romagna)
un monumento a Marcello Malpighi, celebre medico e anatomista
del secolo XVII. In quest'occasione il Dr. Carlo Frati, ha pub-
blicato : Bibliografia Maljnghiana. Catalogo descrittivo delle opere a
stampa di Marcello Malpighi e degli scritti che lo riguardano. (Mi-
lano, Vallar dì, 1897, 8.^, pp* 56). £ un lavoro diligentissimo, e meri-
tevole di molta lode. Vi sta innanzi un' introduzione, nella quale si
fa cenno dei mss. del Malpighi esistenti in Bologna e altrove. Fa
corredo a questo libro una comunicazione del barone Cervoni, bi-
bliotecario di Bastia sui Manoscritti della Biblioteca di Bastìa altri-
buiii a Marcello Malpighi (Bologna, 1897); nella quale si dà notizia
che dei sei volumi che ivi si conservano sotto il titolo di « Malpichi,
Consulti medici » solo uno, il secondo, contiene, quasi per intero,
cose del Malpighi.
— Biceviamo e di buon grado pubblichiamo la notizia di una
prossima pubblicazione erudita, intorno alla vita di Lodovico
Ariosto :
De' quattro poeti maggiori d' Italia, la vita di Lodovico Ariosto, « il
ix>eta nostro.... che più di tutti raccolse e rendè il genio, il sentimento,
r indole del popolo italiano », come disse Giosuè Carducci, è la meno oo*
NOTIZIE 455
nosciuta, auciie j[)erchè gli studi, sebbene molteplici intorno a lui, non
sono riusciti a irradiarla tutta quanta si da non lasciare desiderio di altre
indagini e speranza di nuove scoi)erte.
A togliere questa mancanza, cosi grave e deplorevole nella storia della
nostra letteratura, si sono accinti, e hanno condotto ornai l'opera a buon
punto, i signori ànoelo ìSolerti, professore nel r. Liceo Galvani di Bologna,
Nabob&e Campanini, preside del r. Istituto tecnico di Beggio nell'Emilia,
e Giovanni Skobza, direttore del r. Archivio di Stato di Massa in Lunigiana.
L' opera, in due volumi, sarà divisa nel modo che segue :
Volume primo : Notizie au la vita, A. Solerti - Gli amori, N. Campanini
- iJxirìosto diplomatico e commissario generale della Garfagnana, G. Sforza.
Volume secondo : I. Lettere di L. Ariosto - II. Documenti per la vita -
III. Carteggio e documenti riguardanti il commissariato di Garfagnana -
IV. Edizione critica «Ielle lirtcfie volgari e latine - V. Bibliografia Ariodesca,
L'opera sarà corredata di moltissimi dfx:umenti inediti, e l'adorneranno
un gran numero di ritratti, medaglie, facsimili e illustrazioni d'ogni sorta.
Coloro che conoscessero o possedessero documenti che possano riguar-
dare quest' Oliera, affinchè essa riosca quanto ò possibile compiuta, sono
pregati di comunicarne notizia a qualcuno degli autori, e della coi'tese
premura sarà da loro fatta menzione con la più viva riconoscenza.
Necrologio.
Il 7 d'ottobre mori improvvisamente in Venezia il comm. Carlo
Castellani, da circa venti anni benemerito bibliotecario della Bi-
blioteca di S. Marco. Era nativo di Eoma, e, patriotta fervente, par-
tecipò nel 1B49 alla difesa di Eoma contro le milizie francesi venute
a restaurare colla violenza il potere temporale dei papi. Negli studi
classici, segnatamente ellenici, ebbe larga cultura e speciale compe-
tenza, e di lui restano lodate traduzioni da Aristofane. H suo saggio
sulle Biblioteclìe ndV antichità (Bologna, 1884) è quanto di meglio si
abbia finora, almeno in Italia, su tale argomento. Collaborò anche al
nostro Archiino : ricordiamo di lui le Lettere inedite di j^nncipi di Casa
Savoia a Simone Contarini (a. 1698-1618), che pubblicammo nel 1891,
Notizie varie.
— Il r. Istituto Veneto di scienze lettere e arti ha messo a
concorso, per i premi stabiliti dalle fondazioni Querini-Stampalia e
Cavalli, i seguenti temi:
1.® Studio critico sulla poesia storico-pcHitica di Venezia durante
la Repubblica (proposto dal prof. Q-. B. Do Toni);
2,^ Manuale di geografia commerciale {yro^sto dal sen. A. E ossi).
Firenze, 14 gennaio 1898,
Stamattina è morto in Roma, nella grave età di ot^
tanta anni,
IL Senatore MARCO TABARRINI
venerato e amatissimo presidente della nostra Deputazione
di storia patria. Nel lutto di tanta perdita noi non abbiamo
ora modo di fare di lui adeguata e degna conmiemorazione :
diamo il triste annunzio ai colleghi e ai lettori, e mandiamo
alla &miglia le nostre più profonde condoglianze.
Fervente amatore della patria e uomo di Stato inte-
gerrimo, storico e letterato insigne. Marco Tabarrini,
ebbe alto intelletto e mirabilmente temperato cosi negli
atti della vita civile, come negli studi di erudizione e di
critica, e fu scrittore e conversatore efficace e simpatico.
L' animo suo, probo e schiettissimo, fu aperto a ogni no-
bile sentimento, lontano da ogni vanità e scevro di qual-
siasi rancore, pronto sempre ad ogni opera buona : egli
lascia vivo desiderio di se nelle relazioni pubbliche e pri-
vate, e la memoria di lui non sarà dimenticata.
E a noi rimarrà particolarmente in venerazione. Ri-
cordiamo che Marco Tabarrini fu uno dei più anticlii
compilatori, e por qualche^ tempo direttore, del nostro
Archivio storico italiano, che egli sempre aiutò col consiglio
e al quale dimostrò costante e vivissima simpatia. Possa
questo breve ricordo esprimere, ahneno in parte, i senti-
menti di rimpianto, di devozione e di gratitudine, da cui,
in questo doloroso momento, ci sentiamo commossi!
0. P.
ELENCO DEI COLUBORATORI
BELL'ARCHIVIO STORICO ITALIANO NEL 1897
«V^WWV WW>/^^ ^ rf W W w w^
(I nomi dei nuovi collaboratori sono precedati da *).
Italia.
AlfaDi Augusto. - Firenze,
Bicchierai Iacopo. - Bucine
{Arezzo).
Bonardi Carlo. - Sciacca {Gir-
genti),
BoDgi Salvadore. - Lucca.
Garabellese Francesco. - Ban,
Casanova Eugenio. - Firenze,
Castelli David. - Firenze.
Catenacci Dante. - Firenze,
Ceretti Felice. - Miraìidòla.
*Cian Vittorio. - Mesaina,
Coli Edoardo. - Bologna.
Del Lungo Carlo. - Firenze,
Dini Francesco. - Firenze,
Ferrai Luigi Alberto. - Padova,
Fontana Paolo. - Roma,
Franchetti Augusto. - Firenze.
Giorgetti Alceste. - Firenze,
Gherardi Alessandro. - Firenze.
*Luchini Roberto. - Firenze,
Mancini Girolamo. - Cortona,
Marzi Demetrio. - Firenze,
Masetti Benoini Ida. - Forlì.
Masi Emesto. - Firenze.
Mazzi Curzio. - Firenze.
Merkel Carlo. - Pavia.
Minocchi Salvatore. - Firenze,
♦Molmenti Pompeo. - Moniga
del Garda.
Mondoltb Ugo Guido. - Siena,
*Morici Medardo. - Firenze,
* Niccolini Ginevra. - iHrenze,
Nitti Francesco di Vito. - Bari,
Paoli Cesare. - Firenze.
Paoli Mario Baldassarre. - Siena,
Papaleoni Giuseppe. - Napoli,
* Romano Giacinto. - Messina,
Rondoni Giuseppe. - Firenze,
Rossi Girolamo. - Ventimiglia.
Rossi Vittorio. - Pavia.
Sanesi Giuseppe. - Siena.
Sanesi Ireneo. - Regqio Calabria.
Santini Pietro. - Firenze.
Savini Francesco. - Teramo,
Sforza Giovanni. - Massa di Lii-
nigiana.
Teloni Bruto. - Firenze.
Tocco Felice. - Firetìze.
Valacca Clemente. - Bitonto
(Bari).
* Villari Linda. - Firenze,
♦Volpi Guglielmo. - Pistoia.
Zanelli Agostino. - Pistoia,
Zanichelli Domenico. - Siena.
Zdekauer Lodovico. - Macerata.
Zippel Giuseppe. - Boma,
Austria-Ungheria.
♦Aldàsy Antonio. - Budajìest.
*Radò Antonio. - Budapest.
Francia.
Gerspach E. - Firenze.
♦Langlois Ch. V. - Parigi,
Pélissier Leon G. - Montpellier,
Germania.
Davidsohn Roberto. - Firenze.
Fabriczy (de) Cornelio. - Stutt-
gart,
-5|i-~
TAVOLA ALFABETICA
DELLE
PERSONE, DEI LUOGHI E DELLE COSE
inliate lel Toio II
della Quinta Serie dell' ARCHIVIO STORICO ITALIANO
NB. Il numero arabico indica la pagina.
Acquaviva (di) Giosia. - Yed. Savini,
Alfani Augusto, La Società Colom-
baria nell' anno 1896-97, 60.
Alighieri Dante. - Ved. TreìUino,
Archivi d'Italia, 446.
Ariosto Lodovico, 454.
Balzani Ugo, 215.
Bari, - Ved. Codice diplomatico barese.
Battaglia Giorgio, L' ordinamento
della proprietà fondiaria in Sici-
lia. - Ecc. di U. G. MONDOLFO,
896.
Biaggi G. Alessandro, 189.
Biblioteca critica della letteratura
italiana. - Ree. di C. Valacca,
152.
— Biccardiana, 213.
Bicchierai Iacopo. - Ved. Mancini,
Bloch Ermanno, 218.
Boffito Giuseppe, 218.
Bolognini G., 219.
Bonardi Carlo. - Ved. Raulich.
Bovio Giovanni, 186.
Boioer H. M., I Ceri di Gubbio. -
Eec. di L. Villari, 407.
Cagliari. - Ved. Lippi,
Calori Cesia F., Giovanni Pico della
Mirandola. - Eec. di F. Ceretti,
159.
Campori Giuseppe, 156.
Canestrelii Antonio, L'abbazia di S.
Galgano. - Eec. di P. Fontaxa,
180.
Capasao Bartolommeo, 158.
Capraia (da) Beatrice. - Ved. Paoli C
Carabellese F., 220. - Ved. Codice di-
plùTnalico barese,
Carcuxiolo Domenico. - Ved. Schipa,
Carducci Giosuè, 156.
Carlo Emanuele I di Savoia. - Ved.
Raulich,
Carlyle Tommaso, 155.
Camiti Domenico, Storia di Vittorio
Amedeo II. - Ecc. di G. Bossi,
171.
Casanova Eugenio, 451.
Casini Tommaso, 156.
Castellani Carlo, 455.
Castiglionchio (da) Lapo. - Ved. Da-
vidsóhn,
Catellacci Dante, Curiosi ricordi del
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di Cosimo de' Medici a Otto Nic-
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Paleario Aonio. - Ved. Dini,
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gua volgare della contessa Bea-
trice da Capraia, 120. Necro-
logia di Guglielmo Watt«nbach,
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Annunzio della morte di Marco
Tabarrini, 456.
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Papaleoni G. - Ved. Sciupa, Trentino.
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Patella Fed., 216, 218.
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della tesoreria delle guerre di
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Ved. Calori Cesis,
Rajna Pio, Il trattato « De vulgari
Eloquontia ». - Ree. di Ireneo
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Raulich Italo, Storia di Carlo Ema-
nuele I duca di Savoia. - Ree.
di C. BOMARDI, 166.
Roma, - Ved. Schulz.
Romano Giacinto, Di una nuova
ipotesi sulla morte e sulla se-
poltura di Giangaleazzo Visconti,
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Roatagno Enrico, 228.
Ruge Sophus, 450.
Sainte Beuve C. A., 155.
Sanesi Ireneo. - Ved. Rc^na,
San Galgano, - Ved. CanealrelU»
Sassenay (Marchese di), Les demiers
mois de Murat. - Bec. di A.
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Savonarola Girolamo. -> Ved. Luoifo.
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racciolo. - Bec. di G. Papaxeoni,
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Segre Arturo, 451.
Sforza Giovanni, Il Conclave di pai^
Ganganelli e la soppressione de'Ge-
suiti, 28G.
Sicilia, - Ved. Battaglia,
SmiUisonian Institution, 450.
Società Colombaria. - Ved. Alfani.
Tabarrini Marco, 456.
Teloni Bruto, La classificazione bi-
bliografica « decimale », 96.
Thode Enrico, 218.
Tocco Felice, 221.
Trentino (II) a Dante Alighieri. -
Bec. di G. Papaleoni, 482.
Urbano V. - Vod. Davidaohu,
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4G1
Vafaeca Clemente, 223. - Ved. Si-
blioUca critica della UUerMura ita-
liana,
Venezia. - Ved. Molmenti, Zambler.
Venturi Adolfo, 187.
Vernarecci A., Lavinia Felina della
Boyere. - Bec. di M. Morici,
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Vianello Y., Luca Paciolo nella sto-
ria della ragioneria. - Bec. di D.
Marzi, 210.
Villari Linda. - Ved. Bower,
Visconti Filippo Maria. - Ved. Sa-
vini.
Visconti Giangaleazzo. - Ved. Romano.
Vita italiana nel Seicento. - Bec. di
di E. Coli, 182.
Vittorio Amedeo IL - Ved. Carutti.
Wattenbach G. - Ved. Paoli C.
Zambler AmeììsLy Contributo alla sto-
ria della Congiura Spagnuola con-
tro Venezia. - Bec. d'iDA Masbtti
Bemcimi, 179.
Zdekauer L., 217. - Ved. Kehr.
Zenatti Albino, 151.
Zumhini Bonaventura, 157.
t
Nel mese di febbraio si pubblicherà dalla Ditta
G. C. Sansoni in Firenze il Libro III (parte prima)
del Programma scolastico di paleografia e diploma-
Oca di Cesabe Paoli.
INDICE
Pubblicazioni venute in dono alla K. Deputazione . . Pag, m
Desideratum > V
Notizie necrologiche > Yi
Pubblicazioni della B. Deputazione Toscana di storia
patria. . > yn
Memorie e Documenti.
Aonio Paleario e la sua famiglia in Colle Val d*£lsa
(Francesco Dini) » 1
Lettere di Piero di Cosimo de' Medici a Otto Nicco-
lini (1467-'69) (Ginevra Niccolini) » 33
La Società Colombaria di Firenze nell'anno accade-
mico 189G-97 (Augusto Alfani) ^ GO
Tre Orazioni di Lapo da Castiglionchio ambasciatore
fiorentino a papa Urbano V e alla Curia in Avi-
gnone (KoBERT Davidsoiin) > 225
Di una nuova ipotesi sulla morte e sulla sepoltura di
Giangaleazzo Visconti (G. Eomano) » tM7
Il Conclave di papa Ganganelli e la soppressione de' Ge-
suiti - [Da documenti inediti del R. Archivio di
Stato in Lucca] (Giovanni Sforza) » 2^6
Arclìivl, Blblioteclie, Musei.
Notizie storiche intorno ai documenti ed agli archivi più
antichi della Repubblica Fiorentina (Sec. XII-XIV)
(D. Marzi) > 74
316.
La classifìcazione bibliografica € decimale » (Bruto Te-
loni) » 96
Aneddoti e Varietà.
Note italiane sulla storia di Francia. - VIIL Un conto
della Tesoreria delle guerre di Milano (1504-1606)
(L. G. Pélissibr) » 106
INDICE 403
Le misure fiamminghe nell'Arazzeria Medicea (R Ger-
sPAcn) Pag, 118
Sul testamento in lingua volgare della Contessa Bea-
trice da Capraia (1278-79) (Cesare Paoli). ... > 120
La Mensa dei Priori di Firenze nel secolo XIV (Curzio
Mazzi) » 336
Le lettere di Filippo Maria Visconti a Giosia di Acqua-
viva (Francesco Sa vini) » 369
Curiosi ricordi del Contagio di Firenze nel 1630 (Dante
Catellacci) » 379
Rassegna Bibliografica.
P. Kéhr, Ueber den Pian einer kritischen Ausgabe der
Papsturkunden bis Innocenz UT. — Ueber die Chro-
nologie der Briefe Papst Pauls im Codex Carolinus.
— Ueber eine romische Papyrus-Urkunde im Staats-
Arcbiv zu Marburg (Lodovico Zdehaubr). ... » 126
Antonio CanestreUi, L'Abbazia di S. Galgano (Paolo Fon-
tana) » 130
Le Gallerìe nazionali italiane ; Notizie e Documenti (C.
DE Fabriczy) » 135
SUvio Lippi, L'Archivio Comunale di Cagliari (Fran-
cesco NiTTi di Vito) » 143
Pio Bajna, H Trattato € De vulgari Eloquentia » (Ire-
neo Sanesi) » 145
Biblioteca critica della letteratura italiana diretta da
Francesco Torraca (Clemente Valacca) .... » 152
F, Calori Cesis, Giovanni Pico della Mirandola detto La
Fenice degli ingegni (F. Ceretti) » 159
Italo Raulich, Storia di Carlo Emanuele I duca di Sa-
voia, con documenti degli archivi italiani e stranieri;
Voi. I : Dair assunzione al trono all' occupazione di
Saluzzo (1580-1588) (Carlo Bonardi) » 166
Domenico Carutti, Il primo re di Casa Savoia ; Storia di
Vittorio Amedeo II (Girolamo Bossi) » 171
Pompeo Mólmenti, Venezia; Nuovi studi di storia e d'arte
(Vittorio Cian) , » 173
Amelia Zambler, Contributo alla storia della Congiura
Spagnuola contro Venezia (Ida Masbtti Bbncini). » 179
La Vita italiana nel Seicento (Edoardo Coli) .... » 182
Girolamo Mancini, Cortona nel medio evo (Iacopo Bic-
chierai) » 190
4G4 INDICE
Hans Schnh, Dor Racco di Roma; Karls V Truppen in
Rem (1527-28) (L. A. Ferrai) Pag, 202
Michelangelo Srhipa, Un ministro napoletano del sec.
XVI li (Domenico Caracciolo) (G. Papalecxi). . . » 207
V, Viaìiello, Luca Paciolo nella storia della ragioneria,
con documenti inediti (Demettrio Marzi) .... » 210
A, Crirellticcif Manuale del metodo storico ec. (Carlo
Mbrkel) )» 392
Giorgio Battaglia, L^ ordinamento della proprietà fon-
diaria in Sicilia sotto i Normanni e gli Svcvi (Ugo
Guido Moxdolfo) » 31)8
G. B, Nitto De Bossi e Francesco NitH di Vito, Codice
Diplomatico Barese, edito a cura della Commissione
Provinciale di archeologia e storia patria. Voi. I. Le
pergamene del Duomo di Bari (952-1264) (Fran-
cesco Carabelleke) . » 403
Herbert M. Boirei', The Elevation and Procession of the
Ceri at Gubbio (Linda Villari) > 407
Paolo Luotto, Il vero Savonarola e il Savonarola di L.
Pastor (A. Giierardi) » 4Ctì
Ugo Guido Mondolfo, La Genesi della Mandragola ed
il suo contenuto estetico e morale (Mario B. Paoli). » 413
Augusto Vernarecxii, Lavinia Feltria della Rovere, mar-
chesa del Vasto (Medardo Morici) » 416
3/.'* de Sassenay, Les derniers mois de Murat — le
guet-apens du Pizzo (AudUSTO Franchbtti) ... » 419
XI ottobre MDCCCXCVI. - Il Trentino a Dante Ali-
ghieri; Ricordo dell'inaugurazione del Monumento
Nazionale a Trento (G. Papaleoni) > 432
Necrologia.
Guglielmo AVattenbach (Cesare Paoli) » 437
Notizie » 213
445.
Annunzio della morte del Senatore Marco Tabarrini
(C. P.) » 456
Elenco dei Collaboratori nell'anno 1897 » 457
Tavola alfabetica » 458
2 biQS Qia saa ba?
r
Stanford University Library
Stani ordy California
In order tluit othera nuiy wm this book, pleaae
return it •• toon •• potdlile, bnl noi later tluui
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