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UNIVERSITY OF
TORONTO PRESS
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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO.
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ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO.
GIORNALE
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA,
ANNO 1.
498693
MILANO,
LIBRERIA EDITRICE G. BRIGOLA.
1874.
La proprietà letteraria
è riservata agli autori dei singoli scritti.
A 7
Milano, 1874. — Tipografia Beenaudoni,
ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
PUBBLICATO A CUBA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA.
Un paese come la Lombardia, dove già grandemente fiorirono
gli studi storici, pareva strano non secondasse il movimento che
a questi fu dato così vivo negli ultimi tempi con Società, Depu-
tazioni, pubblicazioni.
A togliere questa mancanza, provide la Società Storica Lom-
barda, testé costituitasi a Milano, a cui diedero favore e cooperazione
i migliori ingegni. Ella intanto pubblicherà un Archivio Storico
Lombardo nel quale, oltre le elucubrazioni originali e illustrazioni
di documenti e cimelj, si seguiteranno i passi che, principalmente
in Italia, si fanno in questo genere ora prediletto di ricerche e di
meditazioni.
La Ditta sottoscritta ambì l'onore di esserne editrice, e confida
•di venire sostenuta da quanti hanno a cuore .le muse più severe
e il decoro della patria comune.
Milano, 20 febbrajo 1874.
Ditta GrAETANO BrIGOLA.
CONDIZIONI DELL'ASSOCIAZIONE.
L'Archivio Storico Lombardo si pubblica a fascicoli trimestrali
di 7 in 8 fogli, in 8°, talora con tavole illustrative.
Il prezzo è di lire venti annue per V Italia da pagarsi anticipata-
mente.
Per l'Estero, comprese le spese postali, annui franchi venticinque.
LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO|:
in. Italia, presso i principali libra j ;
Londra presso David Nutt, 270 Strand W. C.
Parigi V Emile Gaiette, 12 rue Bonaparte.
Berlino « R. Lesser, 27 Leipzigerstrasse.
Vienna v F. 0. Sintenis, 5 Herrengasse.
Lipsia ^ A. Twietmeyer, 30 Querstrasse.
Pietroburgo ^ B. M. Wolf, 18, 19, 20 Gostinnoi Dwor.
Madrid v H. Lemming, 4 Prado.
Aja ' V Bellinfanterrères,LibrairieNationale etEtrangère.
Ginevra w H. George 10 Corratene (case 78).
Nuova- York v B. Westermann e C, 471 Broadway.
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DEGLI STUDJ STORICI
IN LOMBARDIA.
Entrante il secolo passato, quando alle guerre dinastiche era
succeduta una pace che dalla linea spagnuola trasferiva alla au-
striaca il dominio della Lombardia, alcuni signori milanesi costi-
tuirono una Società per pubblicare opere storiche ; mossi principal-
mente da Carlo Archinti, che già in sua casa avea fondato una
accademia di scienze naturali e matematiche, poco durata. I socj
erano Donato Silva conte di Biandrate, cultore e fautore dei buoni
studj; Alberico Archinti, che fu poi cardinale; Carlo Pertusati, pre-
sidente del senato, la cui biblioteca ricca di 24 mila volumi divenne
nucleo della Braidense; Girolamo Erba; Girolamo Pozzobonelli ;
Giuseppe D'Adda, Antonio Crevenna, Gaetano Caccia, Giuseppe
Croce, Antonio Reina, Teodoro Alessandro Trivulzio.
Il governatore CoUoredo accolse favorevolmente la loro domanda
di prendere la Società in protezione, e per la stampa concesse un
posto nel palazzo ducale, donde prese il nome di Società Palatina,
e le ottenne la dispensa dalla censura.
Oltre 4000 scudi per ciascuno, posero insieme quel che di più
opportuno aveano di libri, di codici, di variata erudizione, e taluno
di essi vi fece lavori, massime Carlo Archinti e il Silva; tutti s'in-
caricarono dell' amministrazione, della stampa , della ricerca, ma
posero ceppi al ricoglitore (calamo compedes injecit) perchè non li
nominasse nella grand' opera, solo mettendo in fronte che Medio-
lanenses, felicitati saeculiplaudentes, la. dedicavano a Carlo VI jpa^n
DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
patriae, optimo principi. Nel linguaggio d'allora poteasi adoperare
galanteria anche coi regnanti.
Non erano letterati, non pretendeano a storici ; erano patrizj che
sapeano come la nobiltà imponga doveri; appartenevano a quella
classe colta che allora avea sulla pubblica opinione l'importanza
che dappoi usurparono i giornali ; onde voleva conoscere, esaminare,
giudicare, ajutare, operare.
Ma come nacque in essi tale concetto?
L'abate Lodovico Muratori da Modena era stato invitato nel 1695
come dottore della Biblioteca Ambrosiana; poi, richiamato nel 1700
dal suo duca a riordinare l'Archivio e la Biblioteca Estense, por-
tava colà la cognizione delle grandi ricchezze serbate nell'Ambro-
siana. Già nel libro del Buon Gusto aveva desiderato che alcuno
raccogliesse gli scrittori delle cose cittadine ; e gli rincresceva che
" la gloria omai comune a nazioni viventi sotto cielo men clemente,
di posseder gli scrittori delle loro vicende, raccolti in un sol corpo,
mancasse all'Italia „, anzi fossero questi stampati altrove.
Di fatto Massimiliano I aveva divisato raccogliere tutti gli scrit-
tori di cose germaniche, al che poi si accinsero Giorgio Agricola
per la Sassonia, Giovanni Aventino per la Baviera : poi il Frehero,
il Pistorio, il Meibomio, l'Eicardo. Il Monfaucon aveva illustrato
la storia francese: Lindebrogio, Baluzio, Goldast, Ermanno Co-
ringio le legislazioni germaniche: Eineccio comparate quelle dei
Franchi, Borgognoni, Visigoti, Longobardi, Alemanni, Bavari : Du-
cange, adunato nel suo vocabolario una portentosa erudizione sul
medioevo.
Ed anche molte cronache e storie nostrali erano apparse in luce
fuori d'Italia; gli Scriptores rerum Sicularum (Franefort, 1579),
i Rerum Italicarum scriptores varii (Franefort, 1600) in Germania;
Ugo Falcando a Parigi nel 1558; la cronaca di Andrea da Bergamo
dal 568 al 875, data dal Mankenio negli scrittori di cose germa-
niche; ad Augusta nel 1507 il Ligurinus di Guntero, narrante le
imprese del Barbarossa; a Lione nel 1526 le Decisioni nuove di
Bota fino al 1370, poi le antiche e le ultime, e (come pare) le
Leges Longohardorum nel 1512, e nel 1660 la storia genealogica della
casa di Savoja del Guichenon ; dallo Zurita in Ispagna la cronaca
del Malaterra, quella di Guglielmo Apulo in Rouen nel 1582; altre
nelle cose Brunsvichesi del Leibniz, negli Atti dei Santi dei Boi-
DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
landisti, negli Ada del Rymer, pubblicati dal governo inglese,
nel Thesaurus novissimiis di Pertz, nel Codice Diplomatico del
Liinig, nelle raccolte del Martène, del Dumont; e allora appunto
(1704) Grevio e Burmann cominciavano il Tesoro delle storie d'Ita-
lia, la più parte posteriori al millecinquecento.
Ma un' impresa come quella che il Muratori divisava , può
difficilmente assumersela un privato; nò in Italia, ove s'eccettuino
i papi, v'era alcun principe che inclinasse a favorirla; pure, a ta-
cere il Quadrio e il Crescimbeni e il Bottari, Onofrio Panvino avea
letto e fatto estratti di tutti i lavori antichi, raccolto ed illustrato
tremila iscrizioni, trattato dei fasti consolari, dei giuochi secolari,
dei trionfi, delle sepolture dei primi cristiani, sebbene morisse a
39 anni; il Sigonio, uom portentoso pe' suoi tempi, con docu-
menti accompagnava le vicende del Regno d^ Italia e dell' /;l^pero
d'Occidente, ma senza aver avuto tempo di ricorrere a tutte le fonti,
e alterandone il carattere colla classica esposizione: Camillo Pel-
legrino raccoglieva le notizie dei Longobardi; il Bacchini le vite
dei vescovi ravennati e della contessa Matilde; il Fabretti, il
Bosio, l'Arringhi, il Boldetti aveano portato luce sulle antichità
cristiane ; il Tesoro politico accoglieva relazioni di ambasciadori.
Questi esempj toglievano il sonno al Muratori, e se ne doleva con
Filippo Argelati, al quale pure rincresceva che la tipografia milanese,
tanto lodevole ne' primordj, fosse così decaduta. Questi, chiamato a
Milano da Carlo Archinti per ordinargli la biblioteca, rivelò a quel
signore il concetto del Muratori e le difficoltà che incontrava. E quel
signore vi arrise, fidando nella celebratissima Biblioteca e nella
" abbondanza di eruditissimi uomini che sempre alimentò questa
amplissima e ornatissima città „ ; comunicò il pensiero ad amici
" nei quali invalse l'amor delle cose italiane „, e così ne venne la
Società Palatina ; segretario di essa l'Argelati ; direttore della parte
scientifica Giuseppantonio Sassi, prefetto dell'Ambrosiana, che,
coadiuvato dal fratello canonico Francesco Girolamo, accudiva alla
pubblicazione, illustrando anche alcuni autori. Il Muratori, stando
a Modena, riceveva i lavori, li ordinava, li correggeva o cresceva,
e raccomodava le dissensioni che facilmente nascono nella genia
irritabile dei letterati. Egli mostrava somma riconoscenza a questa
" inclita metropoli d'Insubria, diletta come una seconda patria,
dove ancora durano gli aurei costumi da Ausonio lodati; che me
8 DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
giovane accolse, amò, onorò, ed ora mi ajutò ad illustrare le anti-
chità italiane. Ivi, principalmente adesso, molti nobili cittadini
congiungono l'amor del casato e la perizia delle lettere „.
Cosi giudicava il Muratori di quel Milano e di quell'età, che ci è
dipinta come fiaccamente infingarda, di insulsa galanteria, di sdol-
cinati amori, di pettegolezzi triviali, di insipide beffe, di frivola
gajezza.
L'opera, intitolata Berum Italicarum Scriptores, continuò fino
al 1751, in XXV volumi, abbracciando dalla caduta dell'impero
romano fino al 1500. Né vi accoglieva soltanto storie e cronache,
ma e orazioni e poemi e concilj : e facea tesoro delle memorie de'
monasteri, importantissime quando in essi era rifuggita tutta la
civiltà, e i frati erano scorta ai prìncipi e alle repubbliche; troncò
le favolose origini, per cui i narratori, come gli oratori della prima
assemblea francese, rimontavano ad Adamo: e in sobrie prefazioni
ponderava il merito degli autori, la condizione e lo spirito di essi.
Fu ammirato dagli stranieri, come succede, prima che dai nostri;
e il più diligente collettore di documenti tedeschi, A. H. Pertz, che
nel 1826 cominciò a stampare i. Monumenta Germania Jiistorica^
che continuano ancora, non credette poter far meglio che attenersi
al metodo del Muratori. Il quale così, preso l'esempio dai forestieri,
divenne ad essi modello.
Sicuramente dopo d'allora si trovarono codici migliori, si adot-
tarono canoni più savj per le varie lezioni e per le cose da ac-
cettare 0 da ommettere; potrebbe desiderarsi che, invece di quei
ritratti, di quei fregi e capilettere, vi fossero posti disegni di mo-
numenti,/ac simile di scritture; ma ciò non toglie che quell'opera
sia il fondamento della storia del medioevo, e non per l'Italia
soltanto. Ed è dovuta a signori milanesi, quasi contemporanei al
Giovin signore a cui il Parini si faceva " precettor d'amabil rito „ ;
e che fabbricavano i palazzi Belgiojoso, Diotti, Pertusati, Mellerio,
Greppi ancora insuperati, e cercavano la verità non negli opuscoli
di Voltaire, ma negli in-folio del Muratori.
Al tempo stesso la Società stampò il Regno d^ Italia del Sigonio,
la Biblioteca degli scrittori milanesi dell'Argelati, una collezione di
' Vanno dal 476 al 1500, distinti in storici, leggi, carte, diplomi.
BEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
classici latini, altre opere di erudizione, e principalmente le An-
tiquifates Medii JEoi dove il Muratori, profittando di tutti i pre-
cedenti, e delle sue cognizioni, delineò sotto i varj aspetti quella
lunga e procellosa età, mostrando che siamo figli, meno de' Greci
e Romani, che della civiltà del medioevo, nel quale sono le radici
della politica e morale costituzione odierna; e che l' Italia ebbe
gloria e grandezza in que' secoli, che i filosofisti si dispensano di
studiare col qualificarli di barbari.
L'esempio valse sopra altri. Fecero seguito e compimento al Mu-
ratori la Raccòlta dei più rinomati scrittori della storia di Napoli
(1789) e delle cronache di essa città (1780); gli Italicoe historice
scriptores dell'Assemani (Roma, 1751), ìBerum ifalicarum scripfores
ex florentincB hihliothecce codicihus dal mille al milleseicento di G.M.
Tartini (Firenze, 1740-70, 2 voi.), la Collectio anedoctorum me-
dii (Bvi ex archivis pistoriensihus dello Zaccaria (Torino 1755),
la rarissima del Mittarelli Ad scriptores rerum italicartmi accessio-
nes historice faventince (Venezia, 1771, 2 voi.), il Codice diploma-
tico toscano del Brunetti, poi le Memorie di Lucca, e infine i 3Io-
numenta historice patrice di Torino, e le pubblicazioni odierne delle
Deputazioni storiche.
Quanto a Milano, a tacere le Memorie della città e della cam-
X^agna di Giorgio Giulini, il Grazioli fece i Preclari edificj avanti
la distruzione di JBarharossa (1735); il Sassi De stiidiis Medio-
lanensium, con un catalogo dei libri qui editi dal 1465 al 1500,
le Omelie di san Carlo, la serie degli arcivescovi di Milano; Bar-
tolomeo Oltrocchi la Storia Ligustica della Chiesa milanese ; Giu-
seppe Allegranza le Iscrizioni sepolcrali e gli antichi monumenti
sacri di Milano; Serviliano Lattuada la Descrizione di Milano,
Nicolò Sormani i Passeggi storico-topografico-critici della città e
diocesi , Bombognini V Antiquario , Guido Ferrarlo le Lettere Loni'
barde, Gabriele Verri VApparatus ad hisforiam juris mediolanensis
antiqui et novi ; e alquanto più tardi il padre Angelo Fumagalli
la guerra col Barbarossa, le AnticJiità longobardiche milanesi, le
Istituzioni diplomatiche, il Codice diplomatico santambrosiano con
135 documenti dal 721 al 897.
Anche nel resto dell'alta Italia si compirono studj analoghi, e basti
citare del canonico Lupo il Codice diplomatico bergamasco; del
marchese Giuseppe Rovelli la Storia di Como e cosi Giovanni Ma-
10 DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
ria Biemmi per Brescia, il Frisi per Monza, Giuseppe Maria Stampa
per Gravedona, oltre i fasti consolari; l'Affò per Parma e Gua-
stalla, l'Affiiroso per Reggio, Fontanini, Zeno, Bernardo de Rubeis,
Francesco Beretta, Gennari, Filiasi, Corner, Liruti pel Veneto, dove
pure il Verci fece il Codice Eceliniano, Scipione Maffei la Verona
illustrata^ Gian Rinaldo Carli le Antichità italiane e le zecche di
Italia^ Biancolini le Chiese veronesi. In altre parti della penisola,
Sarti, Trombetti, Savioli illustrarono l'Università di Bologna,
Colucci l'Agro Piceno; Durandi l'antico Piemonte, il Dalla Rena
i Buchi ed i Marchesi di Toscana^ il Lami la Chiesa di Firenze^
il Dal Borgo la Storia Tisana, il Fiorentini la Contessa Matilde^
Anton Vitali e Vandettini i Senatori di Eoma, Manni i Sigilli
antichi, Meo gli Annali diplomatici, il P. Ildefonso le Delizie degli
eruditi toscani, il Giordano una Scelta di scrittori napoletani, il
Mongitore la Chiesa di Sicilia, di cui il De Giovanni dava il Co-
dex diplomaticus ; il Remondini quella di Nola, il Grassi quella di
Monreale, il Gattola di Montecassino, il Gregorio le cose arabe
di Sicilia € la Biblioteca degli scrittori siciliani sotto i re d'Ara-
gona; e taciamo altri per mentovare la Leges JBarharorum del
Canciani, i Papiri del Marini, la Baccolta dei Concilj del Manso,
e i Monumenti Ravennati di Marco Fantuzzi con 865 fra docu-
menti ed estratti.
Tutto ciò ebbe, se non origine, impulso dall'esempio dei nostri
milanesi.
Non credasi però che allora soltanto nascesse in Milano l'amore
per la patria storia. Vi fu essa in ogni tempo coltivata, e Galvano
Fiamma, che scriveva nel 1325, nelle sue cronache stampate dal
Muratori e dal dott. Antonio Ceruti, e nei lavori ancora inediti,
cita una quantità di narratori sacri e profani. E sempre ci abbon-
darono le cronache, dove la buona critica è troppo spesso a de-
siderare; rimontano a Cristo, se pur non vanno ad Adamo, con
particolarità futili e ridicole e stile rozzamente pretensioso, non
meno di quello delle gazzette odierne, con sogni, che pur sono
di anime patriotiche e religiose, vòlte alla carità e mosse dalla
fede.
La città nostra poi aveva un'istituzione, comune ad altre lom-
barde, quella di uno storico municipale, che raccogliesse le notizie
patrie e le pubblicasse a spese del Comune. Tale incarico fu dato,
DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA. 1 1
fra altri, ad Ottavio Ferrari, al canonico Ptipamonti, e più tardi
al Giulini.^
Raccogliendosi qui il congresso scientifico nel 1844, la Città sta-
bilì regalarlo d'una guida, la quale, pel rifiuto di altri più valenti,
fu affidata a C. Cantù. Egli la divise in due volumi, Uomini e Cose ;
e mediante l'interposizione del Municipio, potè raccogliere e pub-
blicare notizie statistiche e amministrative che. gelosamente fin al-
lora s'erano tenute arcane, e che divennero fonte ai molti opuscoli
che dopo sorsero a combattere la causa nazionale e preparare le
famose cinque giornate.
Noi non dobbiamo qui lodarne se non la bella edizione e gli squisiti
intagli: pure non vogliamo tacere che, 30 aniii dopo, il sig. Correnti
(altra gloria patria), preludendo alla Italia Economica nel 1873, fra
i henefi^j grandissimi portati dlV Italia dal congresso degli scien-
ìsiati pose in primo luogo quello di aver provocato, e quasi forzato
città e governi a scendere a pubblica confessione de^ falli loro; onde,
in tempi iniqui ad ogni libertà di parola, si ebbe un primo avvia-
mento alla statistica pubblica ed alla storia civile; e giudica che
dei quattro libri , di cui il milanese fu il primo che non si limi-
tasse a descrizione, non si spegnerà giammai la memoria, e reste-
ranno come testimonj che gli improvvisi ardimenti del 1848 furono
preparati e ispirati da studj severi e dalla sicura coscienza del
diritto.
È bello il veder riconoscere che la storia può sulle sorti nazio-
nali : è consolante il sentirsi attestare quello che ora così ostinata-
mente si nega, che anche noi, scrittori d'avanti il 48, siamo stati
non inefficaci affatto sui grandiosi avvenimenti.
In quell'occasione si era discusso di rinnovare il titolo e l'incarico
di storico patrio, ma si tralasciò perchè troppi potevano aspirare
a quell'onore. E di fatto la storia di Milano ebbe abbondantissimi
cultori nel secolo nostro, e più dopo il 1820. Quella del Verri,
2 Al Giulini si assegnava, il 5 febbrajo 1766, la pensione vitalizia di fiorini 400 « in
sogno del benigno reale aggradimento per le Memorie: erudito travaglio che sparge
molta luce nella più oscura parte della storia milanese ; che per essere vicina a' tempi
correnti, è appunto la più interessante. L'imperatrice attende l'occasione di distinguere
il cavaliere autore con qualche onorifico distintivo, a di lui consolazione e ad eccitamento
della nobile gioventù ad applicarsi e segnalarsi alla coltura ed esercizio di studj no-
bili ». Anche all'Argelati furono dati 300 scudi per la Bibl. Script, mediólanensium.
12 DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
restata invenduta al suo tempo, fu ristampata più volte, con con-
tinuazioni del barone Custodi, del Lissoni, del De Magri; ristampata
quella del Giulini a cura e con aggiunte di Massimo Fabi; V Anti-
quario milanese riveduto dal canonico Kudoni e da Carlo Kedaelli ;
così il Cerio e il Milano al tempo di JBarharossa del Fumagalli ; fu-
rono tolti dall'oscurità il Prato, il Burigozzo, il Grumello, ed altre
cronache. Intere sj^orie fecero il Campiglio, il Brambilla, il Cusani, il
Cantù, il De Cristoforis, l'Olcesi, l'Imberti, oltre una estesa di Carlo
Rosmini, ricca di documenti, e nello scopo di opporre al filosofismo
del Verri le idee neoguelfe, allora venute di moda.^
Molti poi s'afi'aticarono ad illustrazioni speciali ; il Sonzogno sulle
vie ; il Benvenuti sui costumi e sui cambiamenti locali p il Cafiì su
molte chiese e artisti, al che s'adoprò anche Girolamo Calvi; Am-
brogio Nava sul Duomo; Antonio Caimi sull'accademia delle belle
arti; Giuseppe Mongeri sull'arte; Giuseppe Ferrarlo diede un'ampia
statistica medica; Andrea Verga informò dell'Ospedale Maggiore,
Felice Calvi del Monte di Pietà, Lodovico Melzi del Conservatorio
di musica, Stefano Alocchio della Cassa di risparmio. Carlo Cat-
teneo cominciò notizie naturali sulla Lombardia; Ambrogio Curti
raccolse le tradizioni e leggende, al che pure faticò l'Imbriani; Tam-
burini diede Bos^etti critici della nostra società. Predar! la bi-
bliografia, Berlan gli statuti, Paladini e Annoni le vicende della
Chiesa, Giulio Porro varie cronache e rarità, oltre aver avuto
principale mano al Cartario Longobardo nei Monumenta historice
patrice; il cav. Morbio il Codice visconteo; Cherubini e Banfi il
Vocabolario milanese Aggiungiamo una successione di guide e
ragguagli sulla popolazione, sulla beneficenza, sulle acque e strade.
^ Carlo Rosmini nacque a Carpentari nel Trentino il 1758; dedicatosi di buon'ora alla pietà
0 agli studj, ajutato da dementino Vannetti, al quale diresse i primi suoi Versi di Ero-
tico a Cintone Doriano. Seguirono lettere sulla Ragion Poetica, tre dialoghi sull' Utilità
degli studj, l'Arte del Parnaso, il Favorito delle belle. Considerazioni sopra due opuscoli
del D'Alembert sulla poesia: un Ragionamento sugli scrittori trentini e roveretani: le
vite di Ovidio, di Seneca, di Clemente Baroni, di Vittorino da Feltro, del Guarino, del
Filelfo, del Magno Trivulzio, di Guidobaldo da Montefeltro. La sua storia di Milano
doveva giungere fino al 1740, ma non la pubblicò se non fino al 1535, in tre volumi,
oltre uno di preziosi documenti. Può considerarsi come una continua confutazione dello
spirito filosofico del Verri. Per ciò una acerbissima critica ne fece Paride Zajotti nella
Biblioteca Italiana, intaccandolo principalmente su punti politici, ove esso non po-
teva difendersi.
DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA. 13
siccome è richiesto dalla presente pubblicità, e fra cui primeggiano
le statistiche del Griffini. Varj momenti storici furono rischiarati,
come dal Sickel e dal Peluso l' aurea repubblica ambrosiana, dal-
l'Amati il risorgimento del nostro Comune, dallo Schupfer la so-
cietà milanese al tempo di quel risorgimento, da C. Cantù i co-
stumi e le leggi al tempo di Federico Borromeo, del Beccaria,
del Parini, e le relazioni dei Lombardi coi Veneti.
Eppure resta ancora a continuare fino ad oggi i lavori del Giu-
lini e del Rosmini ; a rifare V Ateneo de' letterati milanesi del Pici-
nelli e l'opera dell' Argelati; a compilare la storia della Chiesa
nostra, delle arti, delle fabbriche, delle scuole, delle leggi, e quella
de' varj Comuni di questo bel complesso di paese e d' uomini, che
chiamiamo Lombardia, e che sorrideremo quando alcuno il predi-
ligerla taccerà di municipalismo e d'amor di campanile. ,
E tutto possiamo sperare dal gusto della investigazione univer-
sale, dall'incalorimento di studj in un'età, rivolta all'intuizione
del passato in ciò che contiene di proprio e nelle sue diversità dal
presente; riconoscendo che le differenti nazioni, e queste ne'
differenti tempi hanno una coscienza propria, una guisa propria di
intendere i rapporti concreti della vita, una meta propria alla
quale dirigere l'attività. Laonde la favella, l'arte, la scienza, i co-
stumi, il diritto, offrono un carattere distinto, in certa qual guisa
necessario, essendo la manifestazione d'un principio interiore e
vivente.
La storia si mette ormai a capo di tutte le teorie ; né più si ac-
contenta d'esser elaborazione d'avvocato o retorico racconto di fatti;
ma come il chimico, il matematico, il botanico, il meteorologo si fan-
no ajuti e prestiti a vicenda, così essa vuol giovarsi di tutti i trovati
geografici, fisici, etnologici, statistici, fin geologici e antropologici,
per ispingersi ne' tempi che la precedettero, e per ottenere l'unità e
la vita ch'è necessaria onde elevarsi a concepire l'armonia generale.
Bitter, colla geografia, volle mostrare la stretta connessione fra le
vicende dei popoli e il carattere del loro paese ; né si può ben com-
prendere la storia senza tener conto e della natura e dell'uomo,
delle cause fisiche fatali e delle morali libere, non presentate solo
curiosamente, ma con metodo naturale le une, le altre con quel
concatenamento naturale, che non accetta innovazioni, eclampsi,
sovversioni improvvise, bensì evoluzioni e continuità,
14 DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
Perocché i fatti che si presentano sono differentissimi per na-
tura, neppure connessi; la politica si spiega colle finanze ; i piaceri
alterano gli affari; lettere e arti s'improntano della società, degli
avvenimenti le idee. La storia è arte, per coordinarli e semplifi-
carli: è filosofia per dar a conoscere quest'essere libero, intelli-
gente, attivo, che indarno vuoisi abjettire alla natura delle bestie
o al fatalismo della materia e delle secrezioni ; è scienza sociale per
presentare l'uomo sotto uno degli aspetti essenziali, come citta-
dino, cioè membro del sociale consorzio.
V'è una storia militare, una amministrativa, una finanziaria o
economica, una politica: e a ciascuna noi tributeremo soccorsi, fra
la polvere degli Archivj cercando quel profumo di verità che esala
dalle carte contemporanee : ma solo la storia universale porge il se-
creto della sorte dei popoli, perchè mostra l'azione reciproca dei
differenti fatti e delle varie forme della vita sociale. Essa considera
il passato non solo come transitorio, ma come causa immanente
del presente e contenuto in questo: vi intuisce ciò che ritiene di
comune e connesso col secol nostro, e osserva il corso dei tempi
come una tradizione non interrotta, un progresso di idee e di ap-
plicazioni.
Si è detto che ogni età, avendo esigenze proporzionate ai mezzi
d'istruirsi e al bisogno di sapere, vuole che nel suo linguaggio le
sieno narrati gli avvenimenti, esposte le dottrine. E di fatto erre-
rebbe chi le. idee morali, religiose, politiche; il gusto, il genio, la
fede, e le relazioni domestiche, giuridiche, governative del nostro
tempo trasportasse a interpretare e valutare le passate; le galan-
terie di cento anni fa, che a noi sanno di affettazione o ipocrisia,
giudicasse colla rusticità che oggi qualifichiamo di franchezza ; la
cordiale espansione delle lettere colle nostre cartoline e coi tele-
grammi di 20 parole ; i giorni in cui si esaltava il primato civile
e morale dell'Italia con quelli in cui la si rimprovera di degradazione
a fronte degli stranieri.* Né meno errerebbe chi nei grandi avveni-
menti, nelle generali istituzioni non riconoscesse che profonde
macchinazioni e diuturni intenti.
^ Al congresso degli scienziati del 1873, il presidente Mamiani diceva: «A noi toc-
cano ora pur troppo gli ultimi seggi, ed è cosa tristaesser ridotti a far solamente capi-
tale del passato. Che cosa siamo noi dì fronte alla Germania, alla Francia, all'Inghil-
terra, alla Russia, all'America? »
DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA. 15
Tocca a una scienza più elevata, a quella che chiamano filoso-
fia della storia, esaminare se questa connessione sia un accidente,
una mera naturale concatenazione di cause ed effetti, di antece-
denti e susseguenti, o se vengano regolati da una intelligenza vivente;
e in conseguenza si deva rispetto a ciò che esiste, moderazione ne'
cangiamenti, e i più essenziali aspettare da una potenza superiore
alla singole attività.
A chi questo ammette, si dà facilmente la taccia di santocchio,
di fatalista, o di retrivo: ma riverir questa potenza non significa
restringerla a certi tempi, a certe forme, alla monarchia, alla re-
pubblica, all'evo medio o al romano; bensì credere carattere di
essa r avvicinar continuamente alla perfezione per mezzo delle for-
me nuove, quand'anche esse pajano repugnanti perchè urtano le
passioni e le arbitudini nostre. La storia studia il passato, ma non
vuol rimorchiarci a quello, bensì riconoscervi una forma, forse ne-
cessaria, di questo continuo trasformarsi, quale l'odierna sembrerà
ai nostri nipoti.
Questa potenza non fa nulla a caso, ma con infallibile ragione ha
disposto ogni cosa: e l'uomo " quest'essere che sa vedere innanzi
e indietro „ (Shakspeare), che è attore e stromento, opera anch' e-
gli con uno scopo perchè ragionevole, e i mezzi coordina a quei
fini eccelsi, forse senza avvedersene, ma pur senza che la sua li-
bertà sia incatenata, giacché la libertà non esclude l'ordine, non
l'assenso al bello, al buono, al vero, che si trovano nel fondo de-
gli atti umani, quand'anche falliscano negli accidenti.
Questa legge qual è? lo ignoriamo; ignoriamo come i singoli
e tutti cooperino ai disegni di Dio : e la storia si contenta di ri-
conoscerlo nel passato, e in quello cercare i crepuscoli dell'avve-
nire. E ben la storia nazionale punisce coloro che non la vogliono
ascoltare, né accorgersi quanti. beni sociali, quanto aumento di
forze fisiche e morali sia dovuto alla odierna restaurazione storica,
e alla ricerca della natura e dei destini delle nazioni.
Non ci si incolpi di elevarci a queste considerazioni proemiando
a lavori che si limiteranno a ricerche parziali. È diventato pro-
verbiale Vexcelsior d'un poeta moderno ; ma noi avevamo già letto
nel vangelo, Amice, ascende super ius; e crederemo tutt' altro che
difetto il voler avvezzare a pensare, a mettere dapertutto idee morali,
politiche, sociali, a veder la connessione delle piccole parti, la forza
16 DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
della volontà ove apparsolo raccidente; e come oggi si fa dai fisici,
non credere a sussulti, a portenti , ma riconoscere la legge della
continuità e del progressivo sviluppo. Può lo storico rimaner in-
differente ai grandi interessi dell'umanità?
Noi, in questi lavori, non faremo che preparar materiali per chi
sarà poi fortunato di trovarne l'architettura e il cemento, di riani-
mare artisticamente la polvere su cui soffiamo, e resuscitare le reli-
quie che disepelliamo. Non siamo più ai tempi che si vogliano, come
al Muratori, \ chiusi gli archi vj, rifiutati i documenti da persone che
temono la luce, o che, inette al fare, non soffrono che altri faccia,
e ormai vuoisi degli avvenimenti scorgere non solo l'aspetto che de-
stinasi al pubblico, ma anche quello che se ne dissimula. Oltre valerci
delle ricchezze raccolte, e agevolarne la ricerca a chi mostri voglia
e capacità di usarne, in questi fogli stessi noi apriremo una serie
di domande e risposte, che invoglino a farne. Chi sa che non ci
vengano dischiusi anche archivj domestici, così da poter riscontrare
quella vita interna de' nostri padri, che noi tacciamo di inerti
perchè non aveano la febbre odierna; e che, se più formalisti e
cerimoniosi, viveano anche più quieti, più sinceri, più affettuosi,
con preoccupazioni meno egoistiche e materiali delle odierne?
Noi esporremo la verità, senza cercare partigiani col poco one-
sto lenocinio delle allusioni politiche. Vero è però che la storia è
per sé stessa un'allusione, un panegirico, un raffaccio, onde la Sa-
pienza ci dice: " Che cos'è quel che fu? È quel che sarà.,,
Neppur ci proporremo di piacere a tutti : trista condizione di chi
non ha convinzioni o non il coraggio di palesarle. Nelle critiche di
* Nihil non egi per Uteras, nihil intentatum reliqui ut conquirerem mihi quotquot
veterum Mstoricorum monumenta illic ( in Piemonte ) supersunt ... Verum, sive illic tem^
porum bellorumque rahies, acrius quam alibi, in veterum libros desaevierit, sive qtiod
impervia fuerint loca, unde sperare messis aliqua p)oterat, spes tandem omnis inde
aliquid consequendi miJd prcecisa est. Muratobi, Pref. alle cronache di Asti, nel voi. X
dei R. I. S.
E facendo istanza al re per ottenerle, diceva: « Ninna occulta intenzione, niun pen-
' siero di servire agli interessi particolari di principe alcuno, ma solamente l'onor dell'Italia
e il vantaggio delle lettere mi ha indotto a così grandiosa impresa. E siccome degli altri
paesi non cerco se non la gloria, così ardentemente la desidero anche per la sua Real
Casa e per li suoi felicissimi Stati. Conoscerà facilmente V. M. se fosse di credito o
discredito il non trovare, in un'opera di tanto interesse per tutta l' Italia, neppure una
riga spettante al Piemonte ». (Modena, 25 marzo 1723.)
DEGLI STUDJ STORICI IN LOMBARDIA.
17
cui accompagneremo l'annunzio delle opere, saremo urbani e sin-
ceri, e tali vorremo ci confessi anche chi ci incolperà d'ignoranti.
Quell'atto così prezioso di patriotismo, che consiste nel badare
ai passi che fa l'incivilimento in tutti gli altri paesi, e avvertirne
il nostro affinchè ne profitti, noi l'applicheremo informando, per
quanto sarà da noi, di tutto ciò che della nostra cara Italia si dica
e stampi anche di fuori. Aggiungeremo un JBullettino Archeologico
dove si illustrino le antichità della nostra regione, e s'annunziino
le scoperte che vi si fanno, e le ricchezze che va acquistando il
civico Museo. Fortunati se eguali cognizioni ci verranno sommini-
strate dalle città sorelle.
Vogliano i buoni secondarci: e quando la superbia straniera o
la noncuranza indigena ci butteranno in faccia la consueta ingiuria :
" Gli Italiani non istudiano „ , possa la patria nostra mostrare un
drappello di " pochi e valenti „ , e rispondere : " Gli Italiani si sono
rimessi a studiare „.
Milano, marzo 1874,
C. Cantù.
,1/tA. S/or. Loiiib. — Ai
CERIMONIE
SEGUITE IL 27 E 28 OTTOBRE 1533 IN MARSIGLIA
PEL MATRIMONIO DEL DUCA D'ORLÉANS
CON CATERINA DE' MEDICI
È noto come papa Clemente VII (Giulio, figlio naturale di Giuliano
de' Medici), uomo ambizioso e debole, e perciò pieghevole e astuto,
regolasse la sua condotta sugli avvenimenti, dichiarandosi ora al-
leato dell'imperatore Carlo V, e ora zelante partigiano di Francia.
L'inconseguenza di tale condotta fu causa del sacco di Roma e della
rovina dell'italiana indipendenza. Non erano gl'interessi della Santa
Sede, quelli che l'occupavano viepiù, ma l'ingrandimento della casa
dalla quale usciva; edebbe l'insperata fortuna di soddisfare contem-
poraneamente la sua ambizione e la sua vanità.
Francesco I, re di Francia, ottenuta la liberazione dei proprj figli
dati in ostaggio all'imperatore, e pentito dei sacrifizj ai quali era
stato indotto dal prepotente amor paterno, si diede a suscitare tutte
le Corti d'Europa acciocché si accordassero con lui a rintuzzare le
forze ognor crescenti dell'emulo suo potente. Fra gli altri a cui si
rivolse fu anche il papa, a cui fece domandare in isposa per Enrico
duca d'Orléans, suo secondogenito, la Caterina figliuola di Lorenzo
de' Medici, già duca d'Urbino e nipote del papa, la quale poteva
apportare a suo marito delle pretensioni sopra alcune città e re-
gioni d'Italia.
Le negoziazioni per un tal matrimonia non trattennero il papa
dall'entrare nella lega, nel medesimo tempo stipulata coll'imperatore,
i duchi di Ferrara, di Milano, di Firenze, e altri prìncipi, e pubbli-
cata solennemente in Bologna il 24 febbrajo 1533. E sì che questa
MATRIMONIO DEL DUCA d'ORLÉANS CON CATERINA DE' MEDICI. 19
lega, della quale fu dichiarato capitano generale Antonio da Leyva
con residenza a Pavia, aveva innanzi tutto di mira la difesa della
Lombardia e della repubblica di Genova contro la cupidigia delle
potenze straniere.
Accolta avidamente dall'ambizioso pontefice la proposta fattagli
dal re francese, si scelse Marsiglia come luogo opportuno a cele-
brare quelle nozze.
Per non destare i sospetti e le diffidenze di Carlo V, erasi messa
la condizione che, durante il tempo in cui si troverebbero colà in-
sieme il re col pontefice, non si farebbe alcun trattato sopra affari
politici, né il re domanderebbe al papa alcun cappello cardina-
lizio. È però indubitabile che questa condizione fosse- simulata,
giacché consta dal nostro carteggio diplomatico, che gli abbocca-
menti fra quei due sovrani furono assai frequenti, secreti, e di tal
natura da insospettire tutte le potenze; anzi, contrariamente a
quanto erasi stabilito, dopo le cerimonie nuziali furono dal papa
nominati quattro cardinali francesi.
Comunque sia, il papa, partito da Pisa il giorno 4 ottobre, di-
retto a Marsiglia per mare, condusse seco la sposa Caterina, una
parte del Sacro Collegio, e tutto ciò che formava la Corte romana,
sopra 18 galee e 6 vascelli, comandati dal duca d'Albania, zio
della sposa per parte della moglie.
La flotta entrava il giorno 1 1 nel porto di Marsiglia, e ivi sbar-
cava il papa, che andò ad alloggiare nel palazzo fattogli preparare,
dalla parte di S. 'Vittore,, da Anneo di Montmorency, gran maggior-
domo di Francia.
Le pompose feste fatte in quell'occasione trovansi diffusamente
narrate dall'abate Papon nella Histoire generale de Provence. Tutto
ciò che la magnificenza, il buon gusto e la galanteria potevano
immaginare di più proprio ad abbellirle, fu allora spiegato, e il
brillante corteggio di cui il re e la regina si circondarono, contri-
buiva a dare agli Italiani un'alta idea della grandezza e della ma-
gnificenza francese. Cosa strana però; mentre quello scrittore si
diffonde a descrivere minutamente le cerimonie e le processioni
succedutesi nei quattro giorni in cui avvennero le solenni entrate
del re, del papa, della regina e della sposa, soltanto di volo ac-
cenna la cerimonia del matrimonio, che ebbe luogo il 28 ottobre, e
che pur doveva essere la più importante. Anzi, quasi vedesse di
20 MATRIMONIO DEL DUCA d'oRLÉANS
mal animo tali nozze, osserva che gli eventuali diritti della Francia,
emergenti da siffatta unione, sopra alcune città e regioni d' Italia,
erano " quelques raisons de plus pour la France de s'engager dans
des guerres ruineuses, dont ses malheurs passés auraient dù la dé-
goùter„.
La lacuna lasciata dal Papon nella sua storia, a proposito di
quest'ultima solennità, può essere riempita da un importante do-
cumento, rinvenuto nel carteggio diplomatico del nostro Archivio
di Stato. E la relazione, dettata da un milanese appartenente
all'antica famiglia dei Sacco, di nome Antonio, che trovandosi di
quei giorni in Marsiglia, sia per proprj affari o più probabilmente
al seguito. della Corte papale, potè assistere a quelle feste regali, e
darne una completa descrizione. La cerimonia è da lui descritta
con sì fatti particolari e con tanta chiarezza, che chi la legge
crede partecipare alle gioje di quella brillante società. E per ciò
abbiamo pensato di farla conoscere ai lettori deìV Archivio Storico,
persuasi di far cosa grata anche a quanti sono desiderosi di acqui-
stare le cognizioni più esatte e precise degli usi e costumi princi-
peschi di un tempo, che pur non aveva ancora smesse le fantasie
cavalleresche del medioevo.
Alla relazione crediamo conveniente far precedere la lettera 30
ottobre 1533, con cui il Sacco l'accompagna alla moglie del presi-
dente del senato milanese, Giacomo Filippo Sacco, il quale natu-
ralmente si fece premura di comunicarla alla Cancelleria ducale,
ove è rimasta.
P. Ghinzoni.
LETTERA ALLA MOGLIE DEL PRESIDENTE DEL SENATO.
111.'"'' Sig.''" et patrona osservandissima.
Per una mìa de 20 et 23 dil prisente avisai V. S. 111.'"' di tute il
successo dele cosse di Marseglia : hora per questa intenderà il procedere
dil matrimonio et parentado, facto tra N.° S.'' et il Ke di Franza ; et s'io
ho manchato in alcuna cessa, Y. S. me perdoni, et la supplico me fazi
gratìa de dire a messer Lionardo me mandi quella littera, se la ritrovata;
CON CATERINA DE' MEDICI. 21
ne altro al presente li dirò, se non che alla V. &. 111.'"* humilmente baxo
le mani et me li recomando, et ancora al Signor suo consorte, pregan-
dola come ne Paltra mia. Di Marseglia a li 30 di ottobre 1533.
Di V. S. IlL™^
Perpetuo servitore
Don Antonio Sacco.
BELAZIONE AL PRESIDENTE DEL SENATO.
A tergo: Al 111. Sig.'^ et patrune osser."'° il Sig. Jacobo Philippo
Sacco presidente del Rev.*"** Senato in Milano.
In fianco : (Luogo del sigillo.)
In alto : Sachi cum novis Marsilio.
Lunedì la sera alli 27 * dil presente. Nostro Signore ^ dote da cena
al Rev.'"° di Borbon, ^ al Gran Mastro di Franza,'' alla duchessina sua
nepote,^ alla duchessa di Camarino,^ a madona Maria ^ moglie che fu
dil quondam Signor Jovanni de Medici, quale Signore sono ite a com-
pagnare essa Duchessina. Dopoi cenati che fumo, il Re^ et la Regina^
andorno da Sua Santità insieme cum li tre figloli *° et la fìglola *^ ma-
giore; et gionti che fumo, si fece il contracto del matrimonio, del che
ne fu rogato il vosco di vasona*^ datario di Nostro Signore : et stipulato
che fu esso contracto, tuti di compagnia si levorno da la stantia donde
haveano cenati et andorno ne la salla dove sì fa il Concistorio, et gionti
al luocho deputato, inanti che Sua Santità ne Sua Maestà sedesseno si
fece il sponsalitio in questo modo.
« 27 ottobre 1533.
2 Clemente VII, papa.
^ Lodovico di Borbone, croato cardinale da Leon« X il 26 giugno 1517, col titolo di
S.* Sabina.
^ Anneo di Montmorency, gran "maggiordomo.
'' Caterina de' Medici, unica figlia legittima di Lorenzo, già duca d'Urbino.
^ Giulia di Varano, figlia ed erede di Giovanni Maria duca di Camerino. Sposò Gui-
dobaldo della Rovere duca d'Urbino.
"^ Maria Salviati, vedova di Giovanni delle Bande Nere e madre di Cosimo I.
^ Francesco I re di Francia.
^ Eèeonora regina di Francia, sorella dell'imperatore Carlo V.
*° Francesco, delfino premorto al padre nel 1536; Enrico duca d'Orléans secondo-
genito, poscia re di Francia nel 1547 col nome di Enrico II; Carlo duca d'Angouléme,
poi d'Orléans.
*' Maddalena, che nel 1536 sposò Jacopo V ro di Scozia,
•2 Vaison, città dell'antica Gallia Narbonese.
22 MATRIMONIO DEL DUCA D'ORLÉANS
Nostro Signore havea lancilo in mano et lo dote in mano dil Rev."'"
di Borbon comò più proczimo parente dil Re; quale lo dete al Ducha
di Orlians, et Sua Rev."'* Signoria disse le parolle et cossi publice la
sposò et erano circha tre o quatro bore di notte : et sposata che Ihebe,
Sua Santità et Sua Maestà et tuti li Signori et Signore quale ivi erano
feceno una alegrìa et baia de cridare et sbatere di mano forte, chio non
visti mai tal fogia. Dopo tuti quelli Signori quali potevano tiravano le
orechie a esso sposo. Do poj facto questo^ il Ducha de Angoleme ultimo
genito dil Re, quale he il più bello figlolo che sia in tuta la Franza, pigiò
la sposa per la mano et incomenzò a danzare, et il simile il sposo et
molti altri Signori danzorno; et finita la prima danza, esso sposo et suo
fratello si spogliorno in gipone inanti a Sua Santità, et incomenzorno a
baiare ala fogia de Italia ala gagliarda tanto bene chio no'n lo porrej
dire : il sposo et la sposa erano vestiti di brocato d'argento richissima-
mente. Del vestire dil Re et la Regina superbo et richo non li diro altro,
salvo che le gioie che havevano ne le veste rechamate risplendeano che
parivano lumi accesi.
Danzato ch'ebeno forsi due bore. Sua Santità si levò et tolse licentia
dal Re per andare verso le sue stantie, et comò fu alla prima porta si
fermò acompagnato dal Rev.*"" di Lorena ^^ et Gran Maistro di Franza;
et la Regina ancora lej se incomenzò aviare verso le sue : et quando fu
a quella porta dove Sua Santità era fermata, si firmò a parlare cum lej;
un poche di poj fateli riverentia se partì. Do poj seguivano la figliola
dil Re et la sposa a pari, quale faceano un bel vedere, il simile feceno
riverentia a Sua Santità. Do poj seguivano tute quelle altre Signore et
baronesse, ale quale esso Nostro Signore dava ad ognuna di loro la sua,
comò se fusse stato uno giovine de 20 anni. Do poj tute le dono seguiva
il Re comò guardiano di quelo grege cum il Delphino, et quando fu
dove era Sua Santità li disse: San pere, me fet hanvie avec notre dames,
et Sua Santità che parla molto bene francese li rispose che sì, ma che
Sua Maestà era tanto bone guardiano che non saria stato possibile a
farne smarire una di esse dame : et cossi ridendo et burlando un pocho,
tuti lieti ambi doj si feceno do poj riverentia quasi insino in terra et
ciascun di loro andorno a soj alogiamenti. De le varie fogie de soni et
musiche quale ivi erano lo lasiarò considerare a Vostra Signoria: il ve-
stire di quelle baronesse et signore era molto superbo et vi erano di
molte belle dame.
Il martedì ^'^, che fu la matina di Santo Simeone et Juda, fu aparichiata
*3 Giovanni di Lorena, figlio di Renato II re di Sicilia ecc., creato cardinale il 28
maggio 1518 col titolo di S.* Onofrio.
**28 ottobre 1533.
CON CATERINA DE' MEDICI. 23
la capella di N.^ S.® cum tanta sumptuosità et ornamenti di brocato
doro, maxime l'altare, quale era quasi tuto caricho de imagine doro ma-
sice et havea tre croce cum tante gioie che non si potè extimare il va-
lore; in effecto una cessa superbissima: dove cossi alle 17 bore vigne
Sua Santità cum tutti li Cardinali, et inanti a esso pontifico li erano
tuti tre li figlioli dil Re molto richamente vestiti. Do poj vigne esso Re
vestito superbissimamente, quale menava la sposa per mano destra tanto
bene vestita alla francese et ornata de diamanti et altri baiasi cum una
corona doro in testa, che maj fu visto la più richa et bella cessa : do poj
li andava drieto una figlola dil Re sola. Do poj seguiva la Regina acom-
pagnata a brazo da l'armiraglio ^^ et cossi do poj li venivano drieto
tute quelle altre signore et baronesse a brazo cum quelli baroni et ca-
valieri: et cossi ivi era uno arcivesco aparato, quale disse la messa bassa,
et do poj la messa fu portato inanti a Sua Santità uno bacile doro dove
li erano dentro duj anelli, uno doro^ laltro dargento tondo senza prede,
quali Sua Santità li benedixi, et cossi una altra volta fece tornare a spo-
sare essa duchessina cum quelli anelli. Do poj Sua Santità li benedixi
tuti doj insieme cum quelle cerimonie etc, et cossi facto le sopradete
cosse ognuno ritornò ut supra ali soj alogiamenti menando pur il Re
essa sposa per la mano destra: do poj quando fumo entrati in caxa ti-
rorno tanta artelaria che facea tremare tuta Marseglia. Certo la inco-
ronatione de lo Imperatore fu molto bella et richa cessa de vedere; ma
in effecto ognuno judica che questa non sia manche. Do poj la sera Sua
Santità fece la cena de le noze in la medema salla dil Concistorio
dove li erano aparichiate tre tavelle, in una de le quale era Sua San-
tità, la Regina et la sposa; ne l'altra era il Re, il duca di Angoleme
et lo sposo et li Rev.™' Salviati, et Ridolfi et Medici et altri cardinali.
Ne l'altra era il Delphino, li Rev.™^ Borbon, Lorena et altri baroni di
Franza.
Dil procedere de le vivande lo lasarò considerare a V. S. In un altra
salla li erano di molte tavole dove erano tuto il resto de le signore,
baronesse, et damigelle et altri baroni et signori. Cenato che hebeno,
danzorno un pezo ala galiarda sempre homini et dono : et li vigneno
forsi 20 maschari, vestiti tanto ricchamente cum le veste doro et di arzente
recamate, che non fu maj visto la più bella cessa : et questi diceano che
era il Re et altri baroni. Dil procedere del baxare et di tochare quelle
dono publicamente non durerò faticha a scriverlo perche penso che V. S.
sia di ciò informatissima. Finito di danzare et ito ciascuno ali lor alo-
giamenti, dicano che il Re volse luj proprio metere a lecto li sposi, et
' ^ L'ammiraglio Chabot '
24 MATRIMONIO DEL DUCA d'ORLÉANS CON CATERINA DE' MEDICI.
alcuni dicano chel volse vedere giostrare, perche dicano che ognuno
di loro fu valente in essa giostra.
L'altra sera vigne uno camarero di Sua Santità q^ale havea mandato
da lo Imperatore et senti che disse ad uno altro camarero che era ve-
nuto bene resoluto da sua Cesarea Maestà et tutto quello che era ito
per fare che lo havea complito ad vota.
Al più tardo a Santo Martino partirà Sua Santità per ritornare a
Roma.
Il contratto dil matrimonio, secondo me stato detto, he a questo modo;
primo che Sua Santità et Sua Maestà sono contenti di confirmare li ca-
pituli quali già sono stati fatti tra loro molti mexi fa: quali capituli non
si sano quello che sia. Do poj esso pontifico dava a essa sposa trenta-
milia ducati doro de la parte dil patre de le cosse di Fiorenzo. Do poi
li dava il stato suo, cioè che era de la matre quale ha in Franza. Do
poj li dava dil suo centomilia ducati doro. Do poi li dava tra il vestire
suo et gioie ala somma di centomilia altri ducati doro quali si intende-
vano in nome de la sua dota ogni volta che fusse necessario restituere
essa dota ad essa sposa. Do poj promete al Re dì farli dare la figliola
di lo Imperatore per moglie al Delphino secondo se dice: molti altri
dicano che li ha promesso di dare il stato d'Urbino pigliato ale sue spese :
questo se dice, io non lo dico: per adesso non li dirò altro se non che
humilmente lì baxo le mano et me li ricomando.
Di Marseglìa ali 30 di ottobre 1533.
Sì dicano qua molte zìanze, fra le quali dicano che N.' S." privarà
il Re de Inglitera*^ come heretico per bavere cazìato la prima moglie:
et poi che lo Imperatore et il Re farano la exequtione. *
'«Enrico Vili.
* Altre cerimonie bizzarre ne' niatrimonj si daranno nel fascicolo seguente.
LODOVICO MARIA SFORZA
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE.
DOCUMENTI, DECRETI, IN VENTAR J, ECC.
Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
E lo lascia infelice alla sua morte.
Abiosto, Ori. Fur., XLII,91.
Come scrive Giovan Pietro Gagnola , " Ne lo principio del pre-
sente anno (1497) la fortuna se mostrò alquanto calva a questo
illustrissimo principe e signore Ludovico „. Sappiamo dai dispacci
del residente veneto in Milano, riportati nei Diarj da Marin Sa-
nudo e riprodotti da Rawdon Brown (Eagguagli ^ t. L, p. 57 e
seg.), come la grave sventura che lo colpiva colla morte della gio-
vine sposa, avesse risvegliato più cocenti i morsi della sua fosca
coscienza, in particolare quando seppe che, poche ore prima della
morte, la duchessa Beatrice, l'animo affranto da sinistri presenti-
menti sul prossimo parto, era rimasta come assorta in preghiera,
presso alla tomba di Bianca Sanseverino, figlia (ex péllice nata) ^ del
marito, morta nel dicembre dell'anno precedente.
" Datosi in preda alla più cupa tetraggine, trascinato dalle me-
morie del passato, fra i terrori più superstiziosi, cessò dall'attendere
alle cure di Stato ed a quelle della sua casa. Respingendo persino
le consolazioni della tenerezza figliale, si chiuse solo per quindici
giorni in una camera parata a lutto, infino a che il dolore, 1^,-
• Così il Gagnola.
26 LODOVICO MARIA SFORZA
sciando luogo ^ad un ritorno di sentimenti religiosi, sin dalla prima
giovinezza ispiratigli dalla madre, si diede a visitare assiduamente
quei santuarj ch'erano stati per la povera Beatrice l'oggetto di
maggior predilezione „ . I documenti diplomatici segnalarono tutti
in allora un sì meraviglioso mutamento dell'animo suo, e quasi si
sperò in un era nuova della sua vita pubblica e privata : " El duca
era venuto religioso molto e devotissimo, diceva l'officio grande,
desunava e viveva casto „. {Eagguagli^ p. 63, 66.)
Furono primi a risentire i buoni effetti di questo nuovo stato dì
cose i Domenicani di Santa Maria delle Grazie. '^ Essi lo videro al
bagliore di cento cerei, prosternato dinanzi agli altari, ove cento
messe erano giornalmente celebrate per un intiero mese, in suf-
fragio dell'anima della duchessa „^ Moriva Beatrice il 2 gennajo
dell'anno 1497, e col 4 dicembre dello stesso anno incomincia la
serie dei decreti che pubblichiamo.
Già da anni questo convento delle Grazie era stato fatto segno
alle larghezze dei duchi, ed il nostro Archivio di Stato ha un do-
cumento anteriore, che non è senza relazione con quelli che seguo-
2 II dolore non av.eva però domato l'orgoglio di Lodovico, se sulla tomba del bam-
bino Leone poneva quest'altiero epitafio : « Matri moriens vitam ademi ... In tam a,d-
verso fato hoc solum mihi potest jucundum esse, quod divi parentes me, Ludovicus et
Beatrix, Mediolanenses duces genuere ». Le manifeste contraddizioni del carattere di
Lodovico in tutto ciò che ha tratto alla subdola e fatale sua politica, furono poste in
sodo da tutti gli storici, e particolarmente dal Guicciardini {Bicordi), né ripeteremo
cose notissime: diremo soltanto che questi atteggiamenti di dolore non si possono ac-
cogliere per sinceri, se pochi mesi dopo la morte di Beatrice, e precisamente il giorno
12 di luglio dello stesso anno 1497, egli emanava un decreto (controsegnato B. Calco,
come nelle donazioni ai Domenicani delle Grazie), col quale largiva ad una sua amasia,
Lucrezia Crivelli, alcune terre sui laghi di Como e Maggiore con, altre rendite. Nel
codice visconteo-sforzesco, pubblicato da Carlo Morbio nel 1846, questo curiosissimo
documento porta il N.» CCCXVI, e vi leggiamo le seguenti parole : « nam haec mulier
praeterquam honestissima familia, et quae a nobis plurimum diligitur nata sit, miro
ac peculiari quodam amoris vinculo nobis decuit omnem fidem, res animi aflfeotus
nobis addixit atque dicavit, ita ut ex jocunda illius consuetudine ingentem saepe vo-
luptatem senserimus et magnum curarum levamen nobis fuerit, etc. » E questo amore
non era semplicemente platonico, se nello stesso documento si dice chiaramente che
alcuni beni, rendite e diritti di dazio « ...". revertantur et reverti debeant ad dominum
Johanem Paulum fìlium ex ea Lucretia nobis progenitum, etc. »
Un ritratto della Lucrezia Crivelli ci fu trasmesso dal pennello di Leonardo da Vinci,
ed è quello che, sotto al nome di Belle Feronnière si conserva nel Museo del Louvre
(N.o 1019). Il P. Dan nel suo Trésor des Merveilles di Fontainebleau (1642), lo vor-
rebbe ritratto di una principessa di Mantova, ed il Delécluae quello di Ginevra Benci,
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 27
no. Vi si tratta di immunità concesse sin d'allora a q^uei religiosi ;
porta la data del 1488, ed è firmato Gian Galeazzo Maria Sforza,
con traccia di sigillo.
Rileviamo questi documenti da un bel codicetto pergamene, di
lettera elegantissima, vago per opere di minio, esalanti un pro-
fumo tutto leonardesco, in particolare pel primo foglio ornato da
intrecci di cordicelle crisografate ^, dalle quali pendono gli stemmi
visconteo-sforzeschi e le imprese particolari del Moro.
La prima di queste miniature ci presenta il duca Lodovico cinto
di gramaglia, che, accompagnato da cortigiani, entra nel vestibolo
del convento, ove è incontrato dal priore Baldelli di Castelnuovo,
seguito da altri religiosi. Il duca porge al Baldelli un libro rico-
perto di velluto e munito di sigillo pendente. La seconda ci mo-
stra i frati in coro preseduti dal priore, mentre discutono sul modo
più acconcio di degnamente corrispondere alla generosità ducale *.
altri della bella di Francesco I; ma secondo gli storici più degni di fede, quest' ultima
donna era forse già morta, ed in ogni caso non più giovine, quando Leonardo venne
alla Corte dì Francia. Nel Codice Atlantico (p. 164) si leggono tre epigrammi latini di
un anonimo su questo quadro, e vi si parla apertamente della Crivelli e di Leonardo :
•
HuJuSf quain cernis, nomen Lucretia, divi
Omnia cui larga contribuere manu.
Rara httic forma data est, pinxit Leonardus, amavit
Mnurtis, pictorum primtis hic, ille ducum.
L'Amoretti, che pel primo li citò, pensa che il Vinci conducesse quel ritratto dopo il
1497, se è vero che Lodovico sol dopo la morte di Beatrice ebbe dalla Crivelli quel
Gio. Paolo che fu poi lo stipite dei marchesi di Caravagio (e si appoggia all'autorità
dell'Imoff, Est. Ital. et Ilisp. genealog. Tomo I, p. 245), ma questa opinione non è so-
stenibile, se il Gio. Paolo era già nato nel 1497, e si trovava chiamato ad ereditare
in date circostanze col citato documento. Caddero nello stesso errore anche i commen-
tatori fiorentini del Vasari.
' Ricordano uno stesso genci'e di decorazione sulla vòlta della sagrestia della chiesa
delle Grazie.
^ Oltre all'interesse che queste miniature presentano per se stesse, è degno dì nota
il doppio ritratto che qui si ha di quel priore che, secondo molti scrittori, ed in par-
ticolare il Gio. Batt. Giraldi nel suo discorso sopra i romanzi, e G. Vasari nelle sue Vite
(1568,2* ediz.), avrebbe servito di modello a Leonardo per la testa del Giuda del Ce-
nacolo; vendetta dell'artista importunamente sollecitato dal Baldelli a dar termine
agli interrotti lavori del refettorio. Ora in questi minj nessuna rassomiglianza si ri-
scontra fra la fisionomia del Baldelli e quella del Giuda, e questo fatto avvalora non
poco gli argomenti già sufficientemente concludenti del padre Domenico Pino, esposti
nella sua Storia genuina del Cenacolo, ecc. (Milano 1796.) Questo scrittore è il solo,
ohe si sappia, a parlare del nostro codice j ne cita alcuni brani nelle Annotazioni.,
28 LODOVICO MARIA SFORZA
E qui noteremo di passaggio come I'l di lvdovicvs, colla quale
incomincia lo scritto, sia formata dal caduceo coi draghi: impresa
riservata agli atti più importanti del suo principato. Il contratto
di nozze colla Estense, stupenda pergamena esposta al pubblico
nel Museo Britannico, tutta ridente per delicatissimi minj, coi
ritratti di Lodovico e Beatrice, pennellegiati che si vogliono da
Girolamo da Milano, ma che dovranno rendersi a frate Antonio
da Monza, incomincia esso pure con questa impresa. Sul ferreo
scrignetto damaschinato, di cui parla il testamento stesso di Lo-
dovico, l'impresa del caduceo si trova unita all'altra (già di Ga-
leazzo II Visconti signore di Milano), adottata da tutti i duchi,
non esclusi quelli di casa Sforzesca: Il tizzo colle secchie pendenti,
ed il motto: Humentia Siccis.
1 documenti trascritti in questo codice, sono copie autentiche,
munite però delle firme e tabellionati di molti notari, l' una in se-
guito all'altra, in modo da comporne un volume. È rilegato in
cuojo bruno (tannè, come dicevasi), ha fermagli sui tre lati ed
impronte dorate sui cartoni.
Col primo decreto (4 dicembre 1497, sottoscritto Ludovicus,
e controsegnato da Bartolomeo Calco, senza traccia di sigillo) si
concedono ai Domenicani di Santa Maria delle Grazie alcuni am-
pliamenti del loro convento sui terreni vicini; si accordano diritti
d'acqua per irrigazione dell'orto; si condonano imposizioni, e si
vogliono immuni da altre gravezze. Si enumerano altresì ricchi og-
getti di orificeria, arredi sacri a servizio del culto, addobbi di
seta con ricami d'oro, ed arazzerie già prima donate coi libri co-
rali alluminati e le campane.^ Le orificerie scomparvero poco
^ I ricamatori in oro milanesi erano già da tempo venuti in gran fama. Il Brantóme
nelle Dames Galantes così ne parla : « Le tout en broderie d'or et d'argent, ainsi que
de tout temps les bons brodeurs de Milan ont sceu bien faire par dessus les autres, etc. »
Gli arazzi poi, i patini di razza o di razzia, come disse l'Ariosto e prima Saba da Ca-
stiglione, si tessevano, sin d'allora nel Ducato, di alto e basso liccio. Due scrittori
poco noti, Bettino da Trezzo, nella sua Letilogia (Milano, 1486), e Lancino Curzio {Syl-
varum, lib. decem, Med., apud Rochum et Ambrosium fratres de valle Fayot excud.
MDXXI, in-f.o) ne discorrono assai chiaramente, in rozzi versi italiani il primo, in for-
bitissimi esametri latini il secondo. Il Pungileoni ci assicura che ad Urbino sull'inizio
del secolo XVI si trovava un ottimo arazzista di patria milanese, che il duca Francesco
Maria della Rovere aveva riccamente ricompensato, nel tempo stesso di Raffaello. Fu da
fi|Uesta fabbrica diretta da un milanese che uscirono assai probabilmente gli arazzi che
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 29
tempo dopo, richieste dallo stesso duca Ludovico a mezzo di al-
cuni gentiluomini, come quelle di tutte le altre chiese, in parte
per le spese dell'imminente guerra, o più tardi per riscattarsi dalla
prigionia/ Dovevano essere oggetti d'arte d'insigne bellezza, con
vedevansi altre volte a Loreto. Non dimenticheremo poi che in Vigevano si lavorarono
verso il 1503, per ordine di Gian Giacomo Trivulzio, da un Benedetto da Milano e Socj, che
vi pose il suo nome e la data, 12 splendidissime tappezzerie d'arazzi, che ognuno potè
vedere esposti al pubblico in Milano stesso, pochi anni sono. Vi sono trapunti i lavori
campestri dei dodici mesi, alternati con allegorie, secondo l'uso di quel secolo, ed in-
corniciati in un largo fregio di stemmi ed imprese. Un buon giudice, Giuseppe Mongeri,
provò in un erudito suo articolo, pubblicato nel giornale La Perseveranza, che il di-
segno di quelle composizioni è da attribuirsi a Bartolomeo Suardi detto il Bramantino.
A noi poi sembra assai probabile siano questi gli stessi arazzi che decorarono sì son-
tuosamente con altre tappezzerie le pubbliche feste offerte a Ludovico XII di Francia
da Gian Giacomo Trivulzio nel 1507, e descritte minutamente dai nostri storici, ne di-
menticate dal francese d'Anton, istoriografo di quel re, e che lo seguiva nelle sue spe-
dizioni. Si rinvengono notizie su queste fabbriche di Vigevano néìV Appendice alia vita
del Trivulzio, scritta dal Rosmini. In quel tempo, o poco prima o poco dopo, fiorivano
in Milano altri polimitarii, cantati da Paolo Lomazzo nei suoi Grotteschi: Caterina
Cantona, lo Schiavone e Scipione Delfinone : « Ch'in ricamar al del dispiega l'ali. »
Milano aveva un collegio di arazzieri e ricamatori in oro ed argento, retti da statuti
speciali, « Statuta universitatis et collegii Phrygionnm, ■» 1596 in-é». Med. e prima in
italiano. Sulle manifatture di lana in Vigevano è da consultare la Storia di Vigevano
di Simone dal Pozzo, la Cronaca di Vigevano del Nubilonio, ed un poemetto dedicato
a Francesco II Sforza da Simon Colli: « Su l'orrendo sacco di Vigevano nel 1526»
(Parma, 1527). Lazzaro Agostino Cotta nel Supplimento al suo Museo Novarese (mano-
scritto autografo esistente nel museo Trivulzio), vi dettò le seguenti parole : « Ivi (Vi-
gevano) nauti lo smembramento della diocesi di Novara, e dominandovi il feudatario
Gio. Giacomo Trivulzio milanese, fu da questo introdotta la fabbrica degli arazzi e
tapezzerie di Fiandra, ecc.. » Les tappiceries de Millan (sic) si trovano menzionate
in un inventario del Castello di Blois, come appartenenti alla duchessa di Bretagna.
« Les tappisseryes de Vhystoire de Bergame » erano apprezzate alla Corte di Francia,
ma non erano ne ricamate, ne ordite in lana, bensì a disegni di rapporti di velluto sul
raso. Carlo Vili condusse da Milano, col salario di 20 tornesi al mese, Pantaleone
Corte « ouvreur en hrodeures », come sua moglie. Nella seconda libraria di Anton
Francesco Doni, Venezia, Marcolini, 1551, troviamo nomato un Zaccaria milanese, che
avrebbe scritto un libro : « dell'infinito modo del lavorare i panni-arazzi, tessendoli in
quella maniera che si fanno i broccati a riccio ». Vedansi: Jubinal, Tapisseries hi'
storiées. Lacroix, Moyen àge et renaissance — Arts somptuaires : Labarte, Arts in-
dustriels: Leon de Laborde, Les ducs de Bourgogne, Renaissance des arts à la cour de
France; ed in particolare: Francisque Michel, Histoire des étoffes de soie, or et ar-
geni, etc. Sulla tintura delle sete e delle lane nell' Italia del secolo XVI è conosciuto
un raro libro di Gioanventura Rossetti , Plichto de V arte di tentori. Venetia, Rampa-
zeto, 1540 in-8o. Vedasi nel Cerio (Parte III delle Historie milanesi) VìnYQniaino diQg\\
ornamenti della cappella e da camera portati in Francia da Valentina Visconti.
^ Poiché si è toccato qui della prigionia del Moro, non sarà inopportuno il ristabilire
la verità, stranamente alterata da molti scrittori. Lodovico fu subito condotto in Fran-
30 LODOVICO MARIA SFORZA
incastonature di gemme, cammei, pietre incise, smalti, nielli, poi-
ché non dimenticheremo che quella era pel ducato l' epoca più flo-
rida in ogni arte :
Godi Milan che drente alle tue mura
De gli huomini excelienti hoggi hai gli honori,
scrisse il Belincione; ed altrove:
Venite, dico Athene hoggi Milano,
Ove è il vostro Parnaso Ludovico.
Per quanto risguarda l'arte dell'orafo nel Ducato, basterà ricor-
dare Ambrogio Foppa detto il Car adesso, e Daniele Arcioni, meno
noto ma di merito uguale, se non superiore al primo, nel fondere
smalti translucidi sull'oro cesellato e nel niellare. Di questi due ec-
cellenti orafi-scultori abbiamo notizie nel Cellini, nel libro di Am-
brogio Leone:. De nobilitate rerum; nel Gaurico: De sculptura^ in
Ambrogio Teseo Albonese ; nel Libro degli Ammaestramenti di Saba
da Castiglione; nel Vasari, e nel poema inedito di Giovanni Santi
padre di Raffaello ; e più vicino a noi negli scritti di Leopoldo Ci-
cognara, dell'abate Zani e di Eugenio Piot. Quest'ultimo cita an-
che un Paolo Arzago.
In un codicetto pergameno che conservasi in una privata libreria
eia, in prima a Pierre-Encise, poi trasferito nella torre Lys-Saint-Georges nel Berry,
infine poi quattro anni dopo a Loches. In quest'ultimo castello egli passò il rimanente
dei tristi suoi giorni, e non già rinchiuso in una gabbia di ferro, come vorrebbero Pao-
lo Giovio ed il Mezerai, ma libero di uscire dalla sua cella non solo, ma anche dal recinto
fortificato, accompagnato soltanto da qualche sentinella. L'infelice Lodovico ornò la sua
prigione di pitture, in verità non troppo artistiche, ma che indicavano per altro un
certo ingegno; di contro alla finestra ferrata che dava luce al suo appartamento, egli
aveva costrutto un gnomone, destinato a contargli le lunghe ore della sua prigionia.
Si leggevano sulle pareti alcuni versetti dei Salmi ed altre sentenze adatte alla sua
posizione. Leggesi ancora chiaramente : dixisse me aliqnando 2)oenituit.... tacuisse mm-
quam.... Al di sopra del caminetto egli si era disegnato in piedi, fra due cannoni, ri-
vestito della sua armatura e colla visiera calata. In oggi ancora sì vedono quelle pit-
ture, delle quali è ornato persino il soffitto; delle leggende scritte, poco e difficilmente
può leggersi in oggi, ma alcuni anni sono, prima che l'umidità alterasse l'intonaco delle
muraglie, erano ancora visibili, e noi ne abbiamo rimarcate le traccio, non senza com-
mozione dell'animo, nell'anno 1845. Quelle animate muraglie spiravano al vivo le mi-
serie delle corone in mezzo alle apparenti loro felicità.
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 31
milanese: Matricola degli orefici milanesi^ incomincia col 1311
e termina sullo scorcio del secolo passato: sotto gli anni che cor-
rono dal 1494 al 1498 troviamo, oltre i precedenti, un Lazarino da
Lonate, un Jacopo de Regnis, un Ambrogio pure da Lonate, Giro-
lamo Sferoneri, un D. Gioldis, Filippo de Cornagiis, Francesco di
Caseriis, Paolo di Marliano, Damiano Calvi, Giacomo da Milano,
Gio. Tettavegio, Cristoforo dal Pozzo (di Puteo), Bernardo Lattuada,
Leonardo Scaravagio, Gio. Batt. da Carcano, Bernardo da Senago,
Gio. Pietro da Vicomercato, ed altri molti che sarebbe troppo
lungo l'enumerare, bastando quanto abbiamo detto a provare lo
sviluppo veramente singolare che avevano raggiunto in Milano
queste arti minori^ ora dette, con espressione assai impropria, in-
dustriali.
Questo primo decreto esiste in originale su bella pergamena,
tinta di minio e dorata, con stemmi, emblemi ed imprese (le sec-
chie appese al tizzo), munito di firma autografa di Ludovico, con-
trosegnata B. Calchus^ con traccia di sigillo, nel R. Archivio di
Stato in Milano. Da una nota del fu cav. Osio si potrebbe indurre
ne esista anche una copia a stampa, che a noi dopo molte e dili-
genti ricerche non fu dato di rinvenire. Essa dunque, se esiste,
deve essere rarissima, né vale a diminuire importanza alla nostra
pubblicazione.
Il secondo documento è un progetto di decreto di frate Vin-
cenzo Baldelli o Bandelli di Castelnuovo, priore del convento delle
Grazie. Con quest'atto s'intendeva di accettare le concessioni du-
cali e le donazioni portate dal decreto precedente, e si disponevano
i mezzi più acconci a dimostrare efficacemente la gratitudine del
sodalizio per tanti beneficj, colla celebrazione in perpetuo di al-
cuni anniversarj.
Abbiamo scientemente detto progetto di decreto, perchè, man-
cando questo documento di data, sottoscrizione e sigillo del con-
vento, dobbiamo supporre che queste buone intenzioni rimanessero
poi senza effetto, in causa dei torbidi sopravvenuti nello Stato, e
della minaccia di imminenti fatti di guerra. Siamo tanto più ve-
nuti in questa opinione pel fatto che all' Archivio . di Stato l'origi-
nale non esiste, e soltanto vi abbiamo rinvenuto un breve sunto
ed una noterella ove è citato il decreto senz'altro, dicendosene
l'originale '^ in un libro pergameno rilegato in cuojo coli' immagine
32 LODOVICO MARIA SFORZA E IL CONVENTO DI S. MARIA DELLE GRAZIE.
di nostra Donna in oro impressa sui cartoni „. Ed è precisa-
mente il nostro codice. Ma v'ha di più: dallo stile che tiene que-
sto decreto nell'enumerare o ricordare i benefizj ducali di Ludo-
vico, si vede il suo tenore assai coerente a quello del privilegio
spedito dal predetto duca nell'anno precedente 1497, e si potrebbe
da ciò argomentare che il priore Baldelli disponesse e preparasse
questo documento o sullo scorcio del 1497, o sul principio del
1498, perciò poco avanti la donazione della Sforzesca. Se poi si è
conservato ed inserito nel volume manoscritto cogli altri atti,
forse ciò fu in vista delle probabili difficoltà dell'avvenire, e per
avventura potè più tardi giovare ai priori successori del Baldelli
per accrescere qualche titolo alle ragioni del convento sulla Sfor-
zesca, che, ripresa all'ingresso dei Francesi nello Stato di Milano
nel 1500, e passata successivamente in diverse mani, fu vivamente
contestata sino al 1551, nel quale anno per decreto di Carlo V
(lo vedremo a suo luogo) ne fu restituito il pacifico possesso al
convento stesso.
Segue un inventario dettagliatissimo, oggetto per oggetto ed
altare per altare, dei doni a servizio del culto già citati. Continua
il codice con altro decreto, ed è l'Atto di donazione al convento
stesso del latifondo " la Sforzesca „ presso Vigevano. L' originale
sta all'Archivio di Stato.
Seguono altri decreti di conferma delle anteriori donazioni, la
cui descrizione allungherebbe di troppo questo cenno d'illustrazione ;
e termina il manoscritto con due altri decreti^ sotto forma di let-
tere-patenti, del 7 settembre 1540, sottoscritto Carlo V (in copia), in
lingua spagnuola e latina, e 1551 (già sopra citato), relativi sem-
pre al possesso anteriore, e ad una nuova investitura della Sfor-
zesca, che si pubblicheranno in altro fascicolo.
Nel suo insieme il codice consta di 43 fogli, compresi i bianchi.
G. d'Adda.
E IL CONVf:NTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 33
DECRETO DI CONCESSIONI
AI DOMENICANI DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE.
Ludovicus Maria Sfortia Aiiglus, Dux Mediolani, Papié Anglerieque
Comes ac Janue et Creinone Dominus.
Postquam divina providentia, cuius nutu imperia, regna ac principatus
disponuntur, ad tanti nos culmen regiminis ellegit et sublimavit , nihil
adeo desideravìmus ac prosequuti sumiis prò viribus, quam divinum cul-
tum, ut tenemur, exaltare et ampliare. Decet enim religiosum principem
in primis eterni et immortalis dei gloriam extollere, a quo non vitam
tantum, sed et super populum suum principatum tenet. Ideoque ut eius
maiestati prò tantis perceptis beneficijs gratiarum partem exhiberemus,
nostrum precipuum studium semper fuit in ecclesias, pia loca et dei cul-
tores operam magnam impendere. Presertim vero religiosos viros omni
reverentia ac devotione prosequimur, quos amplius deo famulari, prò
nobis ac universo statu nostro dominum sanctis precibus orare^ verbis et
exemplis populos edificare conspicimus, eisque prò viribus temporalia
commoda et elemosìnarum subsidia elargimur, ut quietius deo vacare
valeant, et nos eorum precibus adiuti divinam misericordiam ac pecca-
torum nostrorum remissionem consequi mereamur, Inter coeteros vero
propensiori studio et ampliori affectu complectimur ordinis predicatorum
fratres de observantia, qui presertim degunt in conventu sanctse marise
gratiarum extra portam vercellinam civitatis nostre mediolanensìs; ex-
perimur enim eos iam a pluribus annis viros religione, sanctimonia, doc-
trina, sinceritate, pace ac omni morum honestate polere; qui summo
deo omni devotione in missarum celebratione, in divinis officiis ac sanctis
cerimoniis, in assiduis orationibus, in studiis sacrarum litterarum, in ieiu-
niis,vigiliis,paupertatis acpudicitiee amore sino querelladeserviunt,quorum
supplicationibus, quas prò nobis ac universo domìnio nostro incessanter
ad deum fundunt, confidimus plurimum adiuvari; civitatem vero nostram
ac universum populum suis predicationibus, monitis, consiliis, confessio-
num audentia et exemplis salutaribus mirabiliter sedificant. Qua propter
hos peculiariter colìmus, cum bis assidue conversamur, illum sanctissi-
mum locum precipue ob devotionem ad beatam virginem dei genitricem
et sanctum Dominicum semper frequentamus. Defunctos filios nostros et
dilectissimam consortem nostram illustrissimam Beatricem Estensem ibi
condidimus, ubi et nos, cum deo placuerit, usque ad resurrectionis tem-
pus requiescere cupimus. Et ut in predicto loco dei cultus, sacrae cerimo-
nise, theologiaB ac omnium liberalium artium studium solemniter vigeant,
Arch. Stor. Loinh. — An, I. 3
34 LODOVICO MARIA SFORZA
utque predicti fratres ultra centenarium numerum in eo monasterio com-
mode ac pacifice degere possint, non cessamus continue larga manu prò vi-
ribus illa conferre, que ad omnia predicta opportuna fore iudicamus. Me-
morati nanque monasterii territorium ex nostro viridario et alii locis ac
domibus circonstantibus ampliavimus, secclesiam cum capellis erreximus,
quam et ampliare et in magnificam ac magis excellentem formam rein-
tegrare intendimus. Capellam maiorem opus insigne, excelsum ac pre-
clarum cum sacrastia et eius claustro adiacentibusque officinis multo
sumptu a fundamentis construximus, ac predicta loca picturis sanctorum
ac pulcherrimis tabulatis, choro et aliis tecis armariisque ad res sacras
custodiendas ornavimus. Ad decorem quoque ecclesisB obtulimus ex ar-
gento plura, ac donavimus prefato monasterio qu8B singillatim memorare
oportunum ducimus, videlicet crucem magnam argenteam super monte
argenteo sitam, cum imaginibus beatse virginis genitricis dei, evangelistse
Johannis ac sanctee Maria? Magdalense. Tabernaculum argenteum ma-
gnum prò sacro domini corpore deferendo. Octo candelabra argentea
ad altare majoris capellae exornandum. Thurribulum magnum cum navi-
cula et cocleari, omnia ex argento. Pacem solemnem argenteam. Bacillo
cum duabus ampuUis argenteis. Situlam argenteam cum aspersorio. Tres
calices, unum magnum, reliquos mediocres. Aliam quoque crucem argen-
team cum quatuor aliis candelabris. Bacilla cum ampullis, pace et uno
calice omnibus argenteis prò ornatu altaris beatissimse virginis MarisB
in predicta ecclesia, ubi nos missam audire consuevimus. Tertiam etiam
crucem argenteam in processionibus deferendam. Fecimus etiam fieri
octo paramenta preciosa prò ministris altaris et capellse maioris prefatae^
que predicto monasterio donavimus, cum camisiis, stoUis ac aliis perti-
nentibus ad singula paramenta. Primum paramentum est ex auro et
serico nigro contextum in ricio cum columbinis argenteis, videlicet pal-
lium altaris cum frontali, casula, cum dalmaticis ac piviali cum suis orna-
mentis. Aliud est ex auro et serico rubeo ricio mirabili artificio cum duca-
libus contextum, videlicet pallium altaris, casula, dalmatico, piviale cum
suis ornamentis. Tertium ex auro et albo plano cum leonibus contextum
scilicet pallium altaris, casula, dalmatico, piviale cum ornamentis suis
Quartum quoque ex auro et viridi contextum in ricio cum semper viva
videlicet pallium altaris, casula, dalmatico, piviale cum ornamentis suis
Sextum de voluto carmesino, videlicet pallium altaris, casula, dalmatico
piviale cum ornamentis suis. Septimus de voluto nigro plano, videlicet pal-
lium altaris, casula, dalmatico, piviale cum ornamentis suis. Octavum de
damasco nigro, videlicet pallium altaris, casula, dalmatico, piviale cum
ornamentis suis. Pro predictee etiam capellae apparatu dedimus spaleriam
unam prò presbiterio cont^xt^m ex auro ricio et nigro cum ducalibus.
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 35
Alìam etiam de veluto nigro plano cura ducalibus. Palliotum quoque prò
pulpito parvo ex auro ricio et azuro contextum cum ducalibus. Aliud
etiam palliotum prò eodem ex veluto nigro plano cum ducalibus, et aliud
ex damaschino nigro; duos quoque tapetes magnos cum ducalibus, adden-
tes aliud palliotum ex auro et albo contextum. Donavimus preterea eidem
ecclesise unam casulam cum pallio altaris ex auro et cremesino rasio
contexta. Singula nihilominus altaria predictee secclesiee ornavimus sin-
gulis palliis siricis cum casulis siricis diversorum colorum prò missis par-
vis in diversis solemnitatibus utendis ad honorem dei et prò salute animsB
nostrse ac consortis dilectissima?. Contulimus preterea ad liberandum pre-
dictum monasterium ab omni obligatione et onere, presertim quod habebat
cum abbatia sancti Ambrosii in nostra urbe sita. Persolvimus etiam do-
mum adiacentem capellee maiori et fundum prò magna parte, ubi fundata
est sacristia, et partem orti quse protenditur usque ad finem dormitorii
magni. Pro vidimus etiam satis habunde quantum predictorum fratrum mo-
destia patitur et professio, unde post futuris temporibus et in presenti
victum habeant et vestitum ac alia etiam vitse necessaria. Construxìmus
duo ampia dormitoria et hospitium cum capitulo studentum, et aliis offi-
cinis reparavimus. Ortum eiusdem monasterii prò magna parte cinximus.
Suggerentibus etiam nobis, Illustrissimus quondam Johannes Galeaz dux
Mediolani predecessor ac nepos noster donaverat partem vìridarii nostri
predicto monasterio sitam inter barbacanos arcis, facientem angulum ab
uno latore ad vineam que tenetur per Antonium de comite, et ab altero
latore ad ortum predictorum fratrum versus occidentem, quee est longitu-
dinis brachiorum quadringentorum et sexdecim vel circa. Idem quoque
dux, suggerentibus nobis, donaverat predicto monasterio aliam partem
viridarii versus occidentem, quae sita est post infirmariam predicti mona-
sterii inter alveum novum et bona Ambrosii de Ferrariis ac fratrum eius,
cuius partismensura est tabularum octo et perticarum sexdecim cum dimi-
dia, de quibus extant litterae patentes eiusdem manu nostra subscriptse.
Sed quia predicta non erant in potestate predicti Ducis, presertim quia
precium non erat solutum bis qui primitus tales fundos possederant, ne
prenominatis fratribus ac monasterio scrupulus, lis aut perturbatio orìan-
tur occasione predictarum partium viridarii, nos qui plenam super bis po-
testatem habemus, precipue qui de precio dominìs satisfecimus, predictas
donationes prefato monasterio libere confirmamus, ac de novo predictas
duas partes viridarii conferimus et donamus. Concessit etiam predictus
dux Johannes Galeaz, nobis suggerentibus, fratribus ac monasterio pre-
fatis facultatem utendi aquis viridarii nostri ad irrigandum ortum suum,
ac licentiam deducendi per quoscunque rivos nostri viridarii quandam
quantitatem aquse dicto monasterio ex testamento quondam domini Alo-
36 LODOVICO MARIA SFORZA
visii Càgnolse legatam; quarum aquarum facultatem ac licentiam prefato
monasterio confirmamus, et de novo in perpetuum concedimus. Insuper
partem aliam fundi perticarum trium et tabularura XXI, quam emimus
a Francisco et fratribus de Ferrariis, qu8B sita est a parte occidentali
orti dictorum fratrum inter alveum novum nostri viridarii a parte sep-
temtrionali, et inter alia bona predictorum de Ferrariis a parte australi,
et quse ab occidente habet prò termino alveum novum, per presentes in
perpetuum dicto monasterio ac fratribus prò salute animse nostrae ellar-
gimur. Predicta igitur omnia et singula prefato monasterio ac fratribus
sanctsB Marise de gratiis obtulimus et offerimus, ac perpetuo dono sub
elemosinae titulo in redemptionem animse ac peccatorum nostrorum et di-
lectissimse Beatricis quondam consortis nostrse donavimus ac donamus, et
per presentes damus ac concedimus, plura etiam facturi, dante et favente
deo optimo et vita comite. Harum etiam serie ex certa scientia et ex no-
strae plenitudine potestatis eiusdem monasterii priorem et fratres prò se
ac bonis omnibus, et rebus ad usum, victum, vestitum et hedificiis eorum
necessariis a quibuscumque datiis, pedagiis, gabellis, imbotaturis, fundis
navium, et specialiter a datiis masinsB et cathena) ac navigiorum novo-
rum, ceterisque oneribus ordinariis et extraordinariis, que quovis modo dici,
exeogitari et in posterum imponi possent ubique locorum in toto nostri
dominii territorio, immunes facimus ac liberos reddimus pariter et exemp-
tos. Mandantes regulatoribus ac magistris reddituum et vectigalium no-
strorum ordinariorum et extraordinariorum, et universis ac singulis offi-
cialibus et subditis nostris, ad quos spectat et spectabit quomodolibet in
futurum, quatinus has nostras immunitatum, exemptionum et concessionum
ac donationum perpetuo ac firmiter valituras observent in omnibus ac per
omnia, et faciant inviolabiliter observari sub indignationis nostrse pena.
Supplemus etiam omni defectui solemnitatis, quse in bis presentibus do-
nationibus et concessionibus nostris fuisset servanda, aliquibus decretis,
statutis, ordinibus,legibus, provisionibus et aliis in contrarium facientibus
non attentis, etiam si talia forent, quorum in individuo specialis ibi fa-
cienda fuisset mentio, quibus omnibus in hac parte derogamus ac dero-
gatum esse volumus. Tanta est insuper animi nostri devotio et singularis
ad predictum raonasterium et fratres affectus, ut quoadusque vitam age-
mus, ad omnia predicta longe malora superaddere disponamus. Rogamus
autem dominum iesum christum omnium salvatorem, ut grata sit in eius
servos devota voluntas nostra, et acceptabilis sibi fiat nostrarum elemosi-
narum oblatio, digneturque merito sacrse passionis susb et intercessione
immaculataB genitricis suae Mariee -ac sancti Dominici, sancti Petri mar-
tiris, sancti Thomas de aquino, sancti Yincencii confessoris, sanctae Cathe-
rinae senensis et omnium sanctorum nec non orationibus predicatorum
E IL CONVENTO BI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 37
fratrum culpas nobis remittere, augere merita, filios nostros conservare,
donare pacem, concedere tranquillam dirrectionem et gubernationem do-
mimi nostri ac populorum nobis subditorum, animas dilectissima? quondam
consortis nostreo Illustrissimae Beatricis Estensis liberorumque ac paren-
tum nostrorum in eternam requiem suscipere, et nos post hanc vitam in
celis inter reges sanctos ac principes populi sui prò sua piotate collocare.
Oramus etiam predictosfratres presentes et in posterum perpetuo futures,
ut grata habeant hsec dona nostra, et missarum, orationum, ieiuniorum,
abstinentiarum et aliorum sanctorum operum ac meritorum suorum nos
habeant participes. Obsecramus denique et hortamur eos, qui in hoc
dominio post nos disponente deo venturi sunt principes, ut exemplo no-
stro pariter et intuitu predictum monasterium cum fratribus colant, di-
ligant et omni favore prosequantur, permittantque libere eos omnia per
nos concessa possidere, ac prò libito uti sìne ulla querella, et ad nostra
munera sua etiam addere, scientes quia in iis qui principantur, nihil adeo
ad culparum remissionem, ad cumulanda merita, ad statuum suorum tu-
tellam ab omnibus adversis proficuum est, quam cum iusticia pietas in
omnes, maxime in servos christi.In quorum omnium testimonium et robur
presentes scribi fecimus, et nos propria manu subscripsimus, ac sigillo
nostro Ducali pendente munivimus. Datum Mediolani die quarto decem-
bri s Mcccclxxxxvij.
Ludovicus M.^ subscripsit. B. Chalcus.
(L. T.) Ego Ambrosius Spanzota fìlius quondam Azonis civitatis
Mediolani porte Yercelline, parochie sancte Marie pedonis, publicus im-
periali auctoritate notarius, suprascriptas litteras tenoris antescripti ab
originali earum extractas cum infrascripto Aloisio de comite notarlo
infrascripto, et originali earum manu propria prelibati Illustrissimi prin-
cipis et B. Chalcus subscriptas, et eius ducali sigillo pendente in cera
alba munitas examinavi, et quia addito tamen verbo videhcet nostris in
gloxa posito cum ipso originali concordare inveni, ideo in premissorum
omnium fìdem me subscripsi, signumque meum tabelionatus consuetum
anteposui sub die octavo mensis julii 1499.
(L. T.) Ego Aluisius de Comite fìlius domini Francisci civitatis Me-
diolani porte ticinensis, parochie sancti Laurentii maioris foris, pubbli-
cus imperiali auctoritate notarius, suprascriptas litteras, etc, etc.
Omissis.
38 LODOVICO MARIA SFORZA
(L. T.) Ego Bonifortus Gira filius quondam domini Georgii porte ti-
cinensis, parochie sancti Viti Mediolani, publicus imperiali auctoritate
notarius, prefatas litteras, etc, etc.
Omissis.
Ego Franciscus de Burris filius quondam domini Rainaldi porte tici-
nensis, parochie sancti Viti Mediolani, publicus imperiali auctoritate
notarius, prefatas litteras, etc, etc.
Omissis.
(L. T.) Ego Franciscus de Regnis filius quondam domini Ambrosii
porte ticinensis, parochie sancti Alexandri in Zebedia Mediolani, publi-
cus imperiali auctoritate notarius, prefatas litteras, etc, etc.
Omissis.
(L. T.) Ego Kicolaus de Giris filius domini Boniforti porte ticinensis,
parochie sancti Viti Mediolani, publicus imperiali auctoritate notarius,
prefatas litteras, etc, etc.
Omissis.
PROGETTO DI DECRETO
A FAVORE DEL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE.
Frater Vincentius de Castronovo Ordinis Predicatorum humilis Sacrse
Theologise professor, Conventus sancte Marie gratiarum in suburbani s
mediolani extra portam Vercelinam Prior immeritus. Universis fratri-
bus eiusdem ordinis presentibus et futuris has litteras inspecturis, sa-
lutem et religionis ac observantie regularis incrementum. Omnipotens
et clementissimus Deus universam ecclesiam suam, ac in ea precipue
sue maiestatis servos viros religiosos spiritualibus semper fovet auxiliis,
et temporalibus non desinit, quantum opus est, subsidiis adiuvare. Pri-
mum credimus fieri per angelos bonos, quorum sancto ministerio illu-
"minationes, consolationes ac tutelle spirituales peraguntur; aliud vero
per homines ut plurimum, precipueque per religiosos principes domino
inspirante confertur. Hi sepe numero ex devotione et spe consequendi
orationum sufragia et spiritualia merita a viris sanctis divino servi-
E Ih CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 3^
tio mancipatis favoribus suis, benevolentia, elemosinis ac aliis tempo-
ralìbus auxiliis atque benefìciis religiosos ipsos defendunt ab omnibus
perturbantibus, alunt facultatibus suis^ sacra studia colunt, monasteria
et ecclesias fabricant et reparant, et omnibus ornamentis et iis que ad
sacra rainisteria sunt necessaria, muniunt. Religionem nostram, preser-
tim congregationem lombardie observantie regularis , a regibus, ducibus,
principibus et comunitatibus italisB conservatam, adiutam, dilatatam et
quodamodo nutritam novimus; sed inter omnes temporibus istis illu-
strissimus ac excellentissimus dominus Dux Ludovicus Maria Sfortia
anglus Dux inclitus medìolani huic nostre religioni et conventui veluti
sol quidam effulsisse videtur, et tamquam angelus nobis de celo missus.
Ipso enim veluti alter David ex omnibus fratribus legiptime ad ducatum
divinitus electus et ab imperatore confirmatus, dedit confessionem lau-
dis creatori et deo excelso in verbo glorie; amplificavit enim domum
nostram, ortulos dilatavit, et ad eos irrigandos facultatem utendi aquis
sui viridarii gratiose concessit; capellam maiorem opus insigne, excel-
sum et preclarum cum reliqua parte templi mirabili, stupendo et orna-
tissimo artificio construxit, sacrestiam et eius claustrum cum adiacen-
tibus officinis magnifico sumptu a fundamentis errexit, fabricavit capitulum
stupendum, et admirabile hospitium cum capitulo studentium reparavit;
duo dormitoria ampia cum infirmarla et cameris hospitum aliisque of-
ficinis hedificavit. Refectorium, sacrarium ac oratorium picturis pulcher-
rimis decoravit, ac predicta loca magnificis tabulatis, choro et aliis tecis
armariisque ad res sacras custodiendas perornavit, ceterasque partes
monasteri! tanta compositione disposuit, ut non iam fratrum sed prin-
cipum domus regia esse videatur. Dedit preterea in missarum et divi-
norum ofiiciorum celebratione maximum decus, et larga manu centum
fratribus clericis vite necessaria subministravit, statuens annis singulis
duorum millium ducatorum elemosinam eis infalabiliter (sic) debere con-
ferri, ut sacrse tlieologise ac omnium liberalium artium studiis incombant,
cerimoniis observantie regularis invigilent, orationibus, meditationibus
ac spiritualibus exercitiis vacent, et laudent in ecclesia nomen sanctum
Domini, amplificentque die ac nocte, mane et vespere summi dei maie-
statem. Ad decorem quoque ecclesie obtulit munifìcentia regia argentea
vasa quam plurima prò altaris et capello ministerio, videlicet crucem
magnam argenteam super monte argenteo sitam, cum crucifixo et ima-
ginibus beatissime virginis genitricis dei, evangeliste Johannis ac sancte
Marie magdalene; tabernaculum argenteum magnum prò sacro domi-
nico corpore defferend5; octo candelabra argentea ad altare maioris
capello exornandum. Thuribulum argenteum magnum cum navicula
et cocleari, omnia ex argento. Pacem solemnem argenteam. Bacillo
40 LODOVICO MARIA SFORZA
cum duabus ampulis argenteis. Situlara argenteam cum aspersorio,
tres calices argenteos, unum magnum, reliquos mediocres. Aliam quo-
que crucem argenteam in processionibus defferendam. Tertiam etiam
crucem parvam argenteam cum quatuor aliis candelabris, badila cum
ampullis, pace et uno calice, omnibus argenteis, prò ornatu altaris
beatissime virginis, ubi missam audire sua excellentia consuevit. Con-
tulit etiam multa et varia preciosissima paramenta auro, argento seri-
coque intexta, cum camixiis perornatis, manipolis, stolis ac aliis per-
tinentibus ad singula paramenta; quibus in diversis festivitatibus et
ministri omnes cum acollitis, thuribulario et crucif erario et altaria
ornatissimo et faustissimo apparatu vestiuntur. Primum siquidem pa-
ramentum ex auro et serico nigro contextum in ricio cum columbinis
argenteis, videlicet pallium altaris cum frontali, casula cum dalmaticis
ac piviali cum suis ornamentis. Aliud est ex auro et serico rubeo ricio
mirabili artificio cum ducalibus contextum, videlicet pallium altaris, ca-
sula, dalmatico, piviale cum suis ornamentis. Tertium ex argento et serico
azuro in ricio cum moraliis contextum, videlicet pallium altaris, casula,
dalmatico, piviale cum ornamentis suis. Quartum ex auro et serico viridi
contextum in ritio cum semperviva, videlicet pallium altaris, casula, dal-
matico, piviale cum suis ornamentis. Quintum ex auro et serico albo plano
cum leonibus contextum, videlicet pallium altaris, casula, dalmatico, pi-
viale cum suis ornamentis. Sextum ex aurea tella intextum loco eius, quod
in honorem apostolorum facere disposuerat, videlicet pallium altaris,
casula, dalmatico, piviale cum suis ornamentis. Septimum de voluto
cremexino plano, videlicet pallium altaris, casula, dalmatico, piviale cum
ornamentis suis. Octavum de voluto nigro plano, videlicet pallium al-
taris, casula, dalmatico, piviale cum suis ornamentis. Nonum de dama-
sco nigro, videlicet pallium altaris, casula, dalmatico, piviale cum suis
ornamentis. Pro predicte etiam capello apparatu donavit spaleram
unam prò presbiterio, contextam ex auro et serico nigro ricio, ducalibus
magnificis ornatam. Aliam etiam de voluto nigro plano pulcherrimis
ducalibus ornatam. Palliotum quoque dedit prò pulpito parvo ex auro
et serico ricio azuro contextum cum ducalibus. Aliud etiam palliotum
ex auro et serico rubeo cum ducalibus contextum. Tertium etiam pal-
liotum ex auro et serico albo plano contextum ducalibus ornatum. Quar-
tum palliotum contulit ex voluto plano cremexino. Quintum quoque
palliotum ex voluto nigro plano ducalibus ornatum dedit. Sextum vero
palliotum ex damaschino nigro ducalibus ornatum. Contulit etiam prò
ornatu altaris sancti Ludovici pallium unum pulcherrimum cum pianeta
ex auro et serico morello in ricio cum fanalibus contextum. Dedit et
prò ornatu altaris sancte Beatricis aliud pallium solemnissimum cum
E IL COxWENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 41
pianeta ex auro et serico rubeo in ricio cum buratis intextum. Tertium
etiam pallium magnificum cum pianeta ex auro et serico morello in ricio
cum serraturis intextum dedit prò ornatu altaris sacristie. Contulit etiam
prò ornatu altaris beate virginis pallium unum pulchrum cum pianeta
ex auro et serico rubeo plano intextum. Aliud etiam pallium cum pianeta
veluti nigri cum ornamentìs panni auri cremexini in ricio, aliud etiam
pallium cum pianeta damaschini nigri cum ornamentis brochati argenti
cremexilis plani. Aliud etiam pallium cum pianeta ex auro et serico
viridi plano intexta. Contulit etiam prò ornatu cadeletì funeralis pallium
unum magnum in quatuor petiis ex auro et serico rubeo in ricio cum
ducalibus intextum. Singula nihilominus aitarla predicte ecclesie ornavit
singulis palliis sericis, cum casulis sericis diversorum colorum prò missis
parvis in diversis solemnitatibus utendis ad honorem dei et genitricis
eius, et prò salute anime sue ac dilectissime consortis; contulit preterea
ad liberandum monasterium nostrum ab omni censu et obbligatione, quam
habebat cum abatia sancti Ambrosi!. Persolvit etiam domum adiacen-
tem capello malori et fundum prò magna parte, ubi fundata est sacristia,
et partem orti que protenditur usque ad finem magni dormitori!. Tanta
insuper devotione et dilectionis affectu nos complectitur, ut mirandi s
operibus ostendat se de nobis tamquam de carissimis filiis continue
cogitare; unde non solum per italiam, verum etiam apud principes et
populos exterarum gentium cum ingenti admiratione tante relìgionis et
pietatis sue erga nos gloria, honor et magnificentia percrebuit. Nam
cum plurimi mediolanenses duces predecessores sui cum consortibus et
liberis suis in domicilio huius urbis tumulari soleant, religiosus princeps
iste, qui in omni corde suo semper laudavit deum, ut servos suos magni-
ficaret et honoraret, primo liberos, deinde dilectissimam consortem Illu-
strissimam Beatricem Extensem in maiori ecclesie nostre capella condi
fecit, in qua magnifico preparato sepulcro ipso quoque, cum summo deo
placuerit, requiescere usque ad resurectionis tempus disposuit. Tantus est
preterea erga nos favor suus, ut quicquid in romana curia aut suo do-
minio vel quocunque alio loco prò honore, prò conservatione, prò pace,
prò augmento relìgionis nostre opportunum esse iudicaverit, non litteris,
non laboribus, non impensis parcat, ut id cum effectu consequi valeamus.
Tam dulci conversatione nobiscum degit, ut non dicam crebro, sed quasi
semper nobiscum sit, nobiscum confabuletur^ de omnibus inferroget, om-
nes specialiter agnoscat et diligat. Tanta insuper est erga nos sua fidu-
tia, ut non vereatur in conventu nostro diutìus sepe numero non multa
societate vallatus famihariter morari, et domestico nobiscum cibos capere
et convivari. Crebro nobis et aliis retulit non posse satiari , sed sibi
plurimum fore delectabile in monasterio nostro esse, nos inspicerC; de
42 LODOVICO MARIA SFORZA
nobis cogitare, et quomodo nobìs bona conferat et complaceat meditari.
Laudes nostras summo gaudio audit, admiratur et extoUit, et aliis non
solum Yerbis sed et litteris enuntiat. Nusquam legimus nec experti su-
mus in alio principe tantam erga nos benivolentiam, fidem et pietatem,
ut in isto augustissimo et nobilissimo duce in dies magis ac magis sen-
timus, ut non iam dominus inter nos, sed quasi omnium nostrum parens
ac pene unus ex nobis esse videatur. Et super bis omnibus excellentia
sua religiosa ac deum ex toto corde diligens, non temporalem a nobis
retributionem, non humanas laudes, non mundi glorìam inquirit, sed dei
misericordiam et clementiam, quam intercessione beate virginis marie
advocate nostre, sancti dominici patris nostri, ac orationum nostrarum
suffragiis invenire confidit. Qua propter tam religiosissimi et" piissimi
principis devotioni, dilectioni ac benefitiis volentes quales possumus
habere gratias, et quales valemus vices rependere, ut etiam in perpe-
tuum tante religionis et munificentie erga nos memoria derivetur ad po-
steros nostros, convocatis patribus et fratribus huius conventus predicta
omnia eis exposui, ac multo plura, que sigilatim (sic) exprimere litteris
nequimus. Qui primo maxime et immortali deo et buie excellentissimo
et humanissimo Duci tamquam parenti et domino prò tanta erga nos
piotate ac largitate immensas gratias reddiderunt, demum non haben-
tes quid tantis benefitiis dignum aliud rependerent, spontanea voluntate
una mecum obtulerunt se prò sua excellentia ac eius illustrissima con-
sorte suisque omnibus iuges et quas poterunt devotas ad Dominum om-
nium redemptorem preces fundere, statueruntque una mecum prò ani-
mabus ipsorum per fratres, qui nunc in hoc conventu sunt et qui in
posterum erunt, in perpetuum infrascripta suffragia debere persolvi.
Volumus igitur et ordinamus imprimis, quod perpetuis temporibus in
singulis missis una comunis dicatur collecta prò felici statu sue excel-
lentie et filiorum, et prò anima quondam Illustrissime Beatricis consortis
sue ac animabus liberorum et parentum suorum et etiam ipsius, cum ex
hac luce migraverit. Item quod singulis diebus perpetuis temporibus
septem misse celebrentur prò anima prefate illustrissime Ducisse, et
totidem prò sua Excellentia in vita pariter et in morte. Item quod sin-
gulis septimanis feria tertia dicantur prò anima prefate Ducisse misse
S. Gregorii, et per quatuor fratres totum officium mortuorum persolvatur.
Item quod quolibet mense tertia die mensis celebretur unum solemne of-
ficium cum toto officio mortuorum, et ea die quilibet conversus dicat
quinquaginta pater noster et totidem ave maria. Semel etiam in anno
celebretur unum solemnissimum anniversarium cum toto officio mortuo-
rum, et per quemlibet conversum dicantur centum pater noster et toti-
dem ave maria. Item quod singulis diebus, quando dicitur officium
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 43
mortuorum prò fratribus et benefactoribus nostris, dicatur una collecta
in ipso officio prò anima prefate ducisse, et post mortem ipsius ducis una
comunis utrisque. Cum autem placuerit divine maiestati animam huius
excellentissimi Ducis ad se vocarO; volumus imprimìs in omnibus et per
omnia prò eius anima illa suffragia debere persolvi, que prò generali
magisterio totius ordinis defuncto fieri solent, ut videlicet quousque eius
corpus traditum fuerit sepulture, fratres psalterium legant et alia officia
dicant, solemnem missam celebrent cum toto officio mortuorum. Demum
quilibet sacerdos teneatur tres missas celebrare, et quilibet clericus to-
tum psalterium legere, et quilibet conversus quingenta pater noster et
totidem ave maria dicere. Postea conventus singulis diebus perpetuis
temporibus, ut dictum est, prò eius anima septem missas celebrabit, et ea
die qua ex hac luce migrabit, misse S. Gregorii dicentur, et per qua-
tuor fratres totum officium mortuorum persolvetur. Singulo quoque mense
unum solemne officium cum toto officio mortuorum per conventum ce-
lebrabitur, et per quemlibet conversum quinquaginta pater noster et
totidem ave maria dicentur, ac prostremo singulis annis solemnissimum
anniversarium decantabitur cum toto mortuorum officio, et eadem die
quilibet frater conversus centum pater noster et totidem ave maria dicet.
Insuper et ego quoque autoritate, qua ratione prioratus huius monasterii
funger, omnium patrum ac fratrum accedente consensu, prò tanto dile-
ctionis affectu, prò tot elemosinis, prò tam amplis sue erga nos devotionis
inditiis, primum excellentissimum ducem Ludovicum, cum Illustrissima
quondam sua consorte Beatrice et liberis tam vivis quam defunctis, ac-
cepto ad participationem omnium officiorum et divinarum laudum, devo-
tarum orationum et meditationum, sanctorum studiorum etpredicationum,
ieiuniorum et abstinentiarum, vigiliarum et peregrinationum, penitentia-
rum et obedientiarum, mortificationum et disciplinarum ac omnium hono-
rum, que in comuni vel particulari per omnes nos fratres, ac per eos qui
in perpetuum post nos in eodem conventu futuri sunt, gratia redemptoris
copiosissime fieri continget. Specialiter autem predictos omnes volumus
esse participes illius excellentissimi sacrificii,per quodquottidie immola-
mus deo patri illud sacratissimum corpus, quod dei filius traxit ex vir-
gine, quod pependit in cruce, quod resurrexit ex mortuis, quod ascendit
in celis, quod denique ad dexteram patris gloriosissime residet; illius
inquam preciosissimi sacramenti volumus eos esse participes, per quod
meritum passionis christi, quod infiniti non dubitamus esse valoris, in
singulis missis eterno deo vivo et vero offertur prò satisfatione et re-
demptione illarum animarum, quibus per intentionem offerentium appli-
catur, hostiam siquidem puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam,
hostiam tam vìvorum quam mortuorum redemptionis efficacem, eorum
44 LODOVICO MARIA SFORZA
videlicet, quos altitudo divini consilii redimendos fore prescivit et pre-
destinavit modis atque temporibus, quibus id fieri congruebat. Obsecra-
mus autem divinam clementiam et eius immensam bonitatem, ut que erga
prefatum excellentissimum Ducem et suos omnes unanimiter decrevimus
et ordinavimus, ratum in conspecto suo habere et confirmare, et que pe-
nurie et angustie meritis nostris desunt, sua dignetur bonitate supplere,
ne votum et desiderium nostrum vacuum sit et inane. Oro insuper eius
piissimam misericordiam, ut merito passionis et sanguinis unigeniti filii
sui domini nostri iesu christi, et intercessione sanctissime dei genitricis
marie ac beatissimi patris nostri dominici, sancti petri martiris, sancti
thome de aquino^ sancti vincentii confessoris, sancte Catherine de senis
et omnium sanctorum celestis curie, humilibusque supplicationibus nostris
religioso et glorioso duci nostro remittat culpas, gratiam conferat, augeat
merita, ab omni peccato custodiat, adiiciat vitse suee plurimos dies, ca-
stimonia, iustitia, sapientia et piotate ad populos suos digne gubernan-
dos impleat, pacem et tranquilitatem donet, eum in universa terra glo-
riosum reddat, liberos incolumes conservet, ab omni adversitate custodiat,
et post huius vite cursum plenum bonis et sanctis operibus in eternam
beatitudinem suscipiat, et inter reges sanctos, inter principatus et domina-
tiones eum perpetuo regnaturum coUocet; animas quoque Illustrissime
quondam sue consortis Beatricis ac filiorum suorum defunctorum ac
parentum in beatam paradisi requiem inter sanctos et electos suos be-
nignissime recipiat. Precamur nihilominus omnes presentes et qui in
hoc monasterio futuri sunt fratres, qui has litteras nostras inspecturi
sunt, ut memoriam tanti principis eum omni laude et benedictione reco-
lant, et prò anima ipsius ac animabus consortis, liberorum et parentum
suorum orationes fundant, missas celebrent et divinam clementiam de-
votissime implorent, quatenus de immenso pelago infiniti meriti passionis
christi, quod per sacrificium omnium predictarum missarum intendimus
ad liberationem prefatarum animarum applicare, considerata nostra pia
intentione et tanti principis devota elemosinarum largiiione, tantum
dignetur acceptare, quantum ad plenam earum satisfationem et redem-
ptionem sua maiestas iudicaverit expedire, ut luce claritatis eterne
perfrui et visionem perpetue felicitatis consequi celeriter mereantur.
Prestante domino nostro iesu christo, qui eum deo patre vivit et regnat
deus benedictus in secula. In quorum omnium fidem, robur et testimo-
nium presentes ad perpetuam rei memoriam fieri fecimus, et sigilli no-
stri sancte Marie gratiarum Mediolani impressione muniri.
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 45
INVENTARIO.
Inventarium argenteorum et paramentorum, quse donata sunt per II-
lustrissimum et Excellentissimum Ludovicum Mariani Sfortiam Anglum
Mediolani ducem ecclesie sancte Marie gratiarunx in suburbiis porte ver-
celline mediolani.
Pro altari maiori.
Primo. Crux una magna argentea ciim pede ad instar unius mentis,
in quo sunt tres figure, videlicet beate virginis Marie, sancte marie mag-
dalene et sancti iohannis evangeliste, super crucera autem solus chri-
stus cum quadam capseta in pede prò condendis reliquiis. Ponderis
onc. Dxx, donar, xii.
Item tabernaculum unum argenteum desuper aurafcum prò corpore
Christi deferendo, in quo sunt tres figure, videlicet sancti Dominici et
sancti petri martiris, et in summitate eius figura Christi resurgentis, et
est onc. CLXYiiii, donar xv.
Item calix unus magnus totus argenteus cum patena deauratus, cum
quatuor figuris in pomo, videlicet evangelistarum, in pede vero quatuor
niellos: in uno figura sancti petri martiris, in alio sancti vincentii, in
tertio Ducale mediolani, in quarto Ducale Ferrarise, et est ponderis
onc. Lxxxi, den. vi.
Item alius calix argenteus cum patena deauratus cum liis litteris in
pomo nielatis, videlicet lvdovicvs maria sfortia anglvs dvx mediolani ;
in pede vero tres niellos: in uno christus cruci afiixus, in alio beata
virgo cum filio, in tertio autem ducale duplicatus, ponderis onc. xxxviii,
den. xiiii.
Item alius calix argenteus cum patena deauratus, cum quatuor figuris
in pomo, videlicet sancti Gregorii, sancti hieronimì, sancti Ambrosii et
sancti Augustini; in pede vero liabet tres niellos; in primo est figura
christi in cruce, in alio ducale mediolani, in tertio autem ducale fer-
rarle, ponderis onc. xxii, den. xxii.
Item candelabra octo argentea cum insignis ducalibus, ponderis onc.
Dccxxii, den. ii.
Item turribulum unum solemne argenteum cum ducalibus, ponderis
onc. Lxxii, den. iv.
Item navìcula una prò thure argentea, habens figuras beate virginis
et angeli nuntiantis, cum ducalibus in pede et lateribus, cum uno cocleari
argenteo, ponderis onc. xlviii, den. xvj,
46 LODOVICO MARIA SFORZA
Item pax una argentea deaurata cum tribus figuris in medio, videlicet
christì per modum pietatis, beate virginis et sancti iohannis evangeliste,
ponderis onc. xlix, den . . .
Item situlam unam argenteam cum aspersorio cum ducalibus niellatis,
ponderis onc. xxxv, den. yi.
Item bacileta una argentea cum duabus ampullis, ponderis onc. xl ,
den. XII.
Item nielli duo argentei, in quibus est figura beate virginis cum filio
et litteris Beatrix estensis, et sunt prò pivialibus, ponderis onc. ix,
den. xviii.
Pro altari beate Virginis,
Imprimis Crux una argentea deaurata, habens ab una parte Christum
cruci affixum, ab altera figuram beate virginis cum pede argenteo non
deaurato, cum uno ducali niellato, et est ponderis onc. xlix.
Calix unus argenteus totus deauratus cum patena habens in pede tres
figuras, videlicet pietatis, beate virginis et beati iohannis evangeliste, et
in pomo sex seraphinos smaltatos, ponderis onc. xxii, den. xii.
Candelabra quatuor argentea deaurata, ponderis onc. lxxxxvi.
Bacileta una argentea cum ampullis, ponderis onc. xxvi, den. xii.
Item pax una argentea cum ducali niellato, ponderis onc. xvii, den. xii,
Paramenta ducalia prò altari maiori,
Imprimis. Paramentum unum aureum semper rizium in serico nigro,
cum columbinis argenteis contestum et ornamentis suis polimitis, videli-
cet palium àltaris, pianeta, dalmatice et piviale, cum septem camisiis,
videlicet unum prò sacerdote, unum prò diacono, unum prò subdiacono,
duos prò accolitis et alios duos prò turribulo et cruciferario, cum omni-
bus ornamentis sibi necessariis, cum coperta lectorini prò colectario
aurea rizia in serico celestino cum brevibus contesta.
Item aliud paramentum argenteum super rizium in serico azurino cum
moraliis contestum, cum ornamentis suis polimitis, videlicet palium àlta-
ris, pianeta, dalmatice et piviale, cum septem camisiis prout supra, cum
omnibus ornamentis sibi necessariis.
Item aliud paramentum aureum rizium in serico cremesino cum du-
calibus contestum, cum ornamentis suis polimitis, videlicet palium altaris,
pianeta, dalmatice et piviale et coperta prò lectorino coUectarii^ et septem
camisiis eiusdem brocati, prout supra, cum omnibus ornamentis suis.
Item aliud paramentum aureum super rizium in serico viridi cum
g^mpervivis contestum, cum ornamentis suis polimitis, videlicet palium
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 47
altaris, pianeta, dalmatice et pigiale, cum septem camisiis prò ut supra,
cum ornamentis suis.
Item aliud paramentum aureum planum in serico albo cum leonibus
contestum, cum ornamentis suis rasii azuri, cum leonibus polimitis, vide-
licet palium altaris, pianeta, dalmatice et piviale, cum septem camisiis
prout supra, cura omnibus ornamentis suis.
Item aliud paramentum voluti cremesini cum ducalibus in razio viridi
polimitis, videlicet palium altaris, pianeta, dalmatica et piviale et coperta
prò lectorino colectarii, et septem camisiis prout supra, cum rasio viridi
polimitis cum omnibus ornamentis suis.
Item aliud paramentum voluti nigri cum ornamentis panni aurei cre-
mesini plani^ videlicet palium altaris, pianeta, dalmatice et piviale et .
coperta lectorini prò colectario, et octo camisiis prout supra, salvo quod
una est adiuncta prò eo qui defert aquam benedictara in processione,
cum omnibus ornamentis suis.
Item aliud paramentum damaschini nigri cum ornamentis suis voluti
cremesini cum ducalibus polimiti, videlicet palium altaris, pianeta, dal-
matice et piviale et coperta prò lectorino colectarii, et sex camisiis tan-
tum cum omnibus ornamentis suis.
Item spalerìa una aurea in rizio prò presbiterio in serico nigro cum
armìs ducalibus polimitis.
Item banchale unum voluti cremesini prò presbiterio cum franziis
aureis.
Item spaleria una voluti nigri simul cum banchali prò presbiterio,
quando fit prò defunctis, cum armis ducalibus polimitis,
Pro altari beate Virginis.
Primo. Palium unum aureum planum in serico rubeo cum pianeta sua
et camisia sua cum omnibus ornamentis sibi necessariis, prò missa parva
tamen.
Item aliud palium aureum planum in serico viridi cum pianeta sua et
camisia cum ornamentis ut supra.
Item aliud palium veluti nigri cum pianeta sua et ornamentis panni
aurei cremesini in rizio, cum camisia et ornamentis ut supra.
Item aliud palium damaschini nigri cum pianeta et ornamentis panni
argentei plani cremesini, cum camisia sua et omnibus ornamentis ut supra.
Pro altari sancii Ludovici,
Palium unum aureum super rizium in serico morello cum fanalibus
et argento contestum, cum pianeta sua et oamisia cum ornamentis suis»
48 ' LODOVICO MARIA SFORZA
Pro altari sancte Beatrids.
Palium unum aureum super rizium in serico rubeo cuni buratis argen-
teis contestum, cum pianeta sua et camisia cum omnibus ornamentis suis.
Pro altari sancii Jacobi in sacrastia.
Palium unum aureum rizium in serico morello cum seraturis conte-
stum, cum pianeta sua et camisia, cum omnibus ornamentis suis.
ALTRI DECRETI.
Hoc est exemplum seu transumptum, sumptum seu transumptum per
me Johannem lacobum Lazaronum publicum apostolica et imperiali ac
curise archiepiscopalis mediolani auctoritatibus notarium ab infrascriptis
originalibus litteris Illustrissimi Ducis Mediolani et instrumento. Quo-
rum tenores tales sunt, videlìcet:
Ludovicus Maria Sfortia Anglus Dux Mediolani, etc. Papié Angle-
rieque comes ac Genue et Cremone dominus. Pecculiari affectione et
observantia semper prosequuti sumus religionem fratrum sancti domi-
nici observantie, et precipue monasterium ipsius ordinis extra hanc ur-
bem nostram Mediolani sancte Marie gratiarum, tam ob respectum eius
qui ipsius ordinis caput et princeps fuit, quam quod in eo ordine semper
fuere viri et morum sanctimonia et doctrina apostolica insignes, qui vel
dicendo vel exempio suo ceteros ad bene vivendum movere possint. Ac-
cessit ad augendum nostram in ipsum ordinem benivolentiam, quod cum
in predicto monasterio Illustrissime quondam Domine Beatricis Ducisse
Mediolani consortis nostre charissime ossa requiescant, simulque Illustrium
quondam filiorum nostrorum corpora, ad propitiandum eorum animabus
deum continuis missarum et offitiorum suffragiis semper incumbunt, pa-
riterque prò incolumitate et rebus nostris ac ad impetrandam nobis a deo
optimo veniam assiduas preces fundunt, proque anima nostra, cum bine
discesserimus, semper precaturi sunt. Iccirco ut in hoc sancto proposito
quietius perseverare possint, si eorum victui commode provideatur, ut-
que nos erga eos grati videamur, tenore presentium ex certa scientia
motu proprio ac de nostrse potestatis plenitudine etiam absolute pre-
nominato monasterio sancte Marie gratiarum in usum fratrum, qui in eo
prò tempore fuerint, donamus et elargimur titulo pure, mere et irrevo-
cabilis inter vivos donationis omnes et singulas possessiones et bona
nostra Sfortiane, existentes inter territoria terrarum Viglevani, Grambolati
etflumen ticini, salvo tamen errore coherentiarum, una cum pertinentiis,
r^dditibus, ìurisdictione, aqueductibus, iuribus aquarum, molendinis, do*
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 49
mibus, cassinis et navigiis suis et ceteris omnibus que in investitura Phi-
lippi Guasconi et sotiorum presentium fictabilium nostrorum continentur,
que omnia prò expressis hic haberi volumus: presente Keverendo Domino
fratre Vincentio de Castro novo priore ipsius monasteri, acceptante pre-
dictam donationem nomine ipsius monasteri], transfer entes in ipsum mo-
nasterium et in prò eo agentes omnem actionem, potestatem et iura,
que in ipsis possessionibus et bonis Sfortiane habemus, ponentes ipsum
et ipsos in locum, ius et statum nostrum, ita ut deinceps de suprano-
minatis possessionibus et bonis agore, disponere, gaudere, possidere et
frui possint tanquam de re propria. Constituentes nos eas tenere nomine
ipsius monasterii et prò eo agentium, donec possessionem et tenutam
ipsarum possessionum et bonorum apprehenderint; et hec omnia omnibus
et singulis legibus, decretis^ statutis, ordinibus, consuetudinibus et aliis
quibuscumque in contrarium facientibus aut aliam formam dantibus non
attentis, etiam si talia forent, de quibus spetialem et expressam fieri
mentionem opporteret, maxime decreto nostro prohibente bona immobilia
in non subditum eidem iurisdictioni posse transferri : quibus omnibus ex
eadem certa scientia predicta et de nostre potestatis plenitudine deroga-
mus et derogatum esse volumus, mandantes magistris intratarum nostra-
rum et thesaurario generali, ac ceteris omnibus officialibus et subditis
nostris presentibus et futuris, ut has donationis et mentis nostre litteras
firmiter observent. In quorum testimonium presentes fieri iussimus ac
registrari, nostroque sigillo muniri. Datum Mediolani die tertia decem-
bris millesimo quadrigentesimo nonagesimo octavo.
Ludovicus Maria. B. Chalcus.
In nomine domini amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo quadri-
gentesimo nonagesimo nono, indictione secunda, die tertio septembris.
Cum sit quod lUustrissimus dominus dominus noster Ludovicus Sfortia
Anglus Dux Mediolani, etc, Papié Anglerieque comes ac Genue et Cre-
mone dominus, qui maxima semper affectione est prosequutus mona-
sterium et fratres sancte Marie gratiarum Mediolani ordinis predicato-
rum de observantia, volens ibidem esse studium generale theologie et
omnium artium cum residentia fratrum prò missis centum ad minus, et
ob id eisdem multa donaverit, providerit etiam de victu et de aliis ne-
cessariis per annuales et ordinarìas elemosinasi postremo autem firmius
et in perpetuum eisdem providerit, dando et donando et in eos transfe-
rendo possessionem suam et bona sua Sfortiana, ìacentia inter territoria
Viglevani, Gambolati et flumen ticini et alios suos confines, ut de omni-
bus et singulis prefatis latius dixit constare ex duobus privilegiis su-
Arch. Stor: Lomh. — Ax. I. 4
50 LODOVICO MARIA SFORZA
perinde confectisin auctentica forma, ad quam se refert, et que habeantur
hic.pro insertìs, quatenus tamen opus sit et expediat et non alìter, et
primo quidem de anno domini millesimo quadrigentesimo nonagesimo
septimo, die et mense in eo contentis; cumque etiam tenuerit et posse-
derit prefata bona Sfortiana, nomine tamen dictorum fratrum et mona-
steri!, et eisdem solverit in parte et prò parte fictum prò dictis bonis
Sfortianis ; omnibus igitur bis sic, ut pref ertur, narratis veris existentibus,
ut ambe partes asseruerunt et dixerunt; nunc sua excellentia motu
proprio et certa scientia prefata privilegia et contenta et donata in eis
confirmat et ratifìcat, et quatenus opus sit et expediat, de novo concedit
et donat, et etiam prefatam possessionem et bona Sfortiana prefata re-
stituit et reconsignat ; et hec omnia et singula egit et agit omni meliori
modo, via, iure et forma, quibus melius et efficatius fieri potest et debet.
Fructus etiam et redditus prò ficto sibi debito a Philippe guascone et
sociis suis fictabilibus suis sic disponit et ordinat, quod videlicet usque
ad illam summam, que dictis fratribus debetur per suam excellentiam
prò ficto diete possessionis et bonorum non complete soluto, prò illa
summa dat et solvit prò completa solutione dictorum bonorum et ficti;
reliquos autem qui supersunt, nihilominus illos dat et donat eisdem fra-
tribus prò elemosina et anime sue mercede. Et hec omnia et singula
acta et gesta sunt presente ibidem reverendo patre domino fratre Vin-
centio de Castronovo priore prefati monasteri et fratrum, acceptante et
stipulante omnia et singula prefata bona nomine et vice prefati mona-
sterii et fratrum, specialiter autem et maxime et in individuo et singu-
lariter restitutionem et reconsignationem diete possessionis et bonorum
sfortianorum, et etiam fructus et redditus prò ficto et pensione prò com-
pleta solutione ficti. Qui prefatus lUustrissimus Dux dedit prefato do-
mino priori "nomine quo supra omnem auctoritatem et omnem posses-
sionem de prefatis bonis, quam ipsemet habuit ante dictam donationem
et confìrmationem, posse in eis continuare et perseverare et ea gaudere
et frui ut res propria ipsorum fratrum, et ea capere absque auctoritate
iudicis alicuius et suamet auctoritate. Qui etiam prefatus lUustrissimus
Dux motu proprio et certa scientia et de su8b potestatis plenitudine de-
rogavit et derogare dixit omnibus et singulis legibus, decretis, statutis,
ordinibus, consuetudinibus et aliis quibuscunque in contrarium facienti-
bus aut etiam aliam formam dantibus, etiam si talia forent, de quibus
spetialem et expressam et in individuo mentionem fieri opporteret, su-
plens omnes et singulos defectus solemnitatum, que in huiusmodi requi-
runtur, in finem et effectum, ut prefati fratres sint domini et possessores
omnium et singulorum prefatorum bonorum ; dans etiam mihi notario
infrascripto mediolanensi licentiam et auctoritatem posse hunc instru-
E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE. 51
mentum tradere. Actum in camera existente in capite porticus versus
viridarìum in domo episcopatus Comi, presentibus ibidem magnifico Do-
mino Marchesino Stanga secretario, et domino Alexandro de Cremona
seschalco, et domino Nicholao de nigrìs, et domino Andrea de Burgo
cancellariis ducaiibus, et omnibus testibus notis et idoneis et ad pre-
missa vocatis, habitis et rogatis. Ego Dionisius Confanonerius civis me-
diolani porte nove, parochie sancti Eusebii, Ducalis cancellarius ac? Du-
cati, etc, imperiali auctoritate notarius presens instrumentum aliena
manu transcrìptum tradidi, et quia cum originali concordare inveni, me
propria manu subscripsi, et signum meum tabellionatus apposui consue-
tum in fidem et testimonium premissorum.
In nomine domini amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo quin-
gentesimo decimo nono, indìctione septima, die martis decimo mensis
maii. Pontificatus Sanctissimi in christo patris et domini domini nostri
Leonis divina providentia pape decimi anno septimo. Premissum exem-
plum seu transumptum sumptum seu transumptum a suprascriptis origi-
nalibus litteris ducaiibus et instrumento per me iam dictum Joannem
Jacobum Lazaronum notarium infrascriptum, ut premittitur, sumptum et
transumptum fuit coram Reverendo domino Ruffino de belingeriis decre-
torum doctore, archipresbitero ecclesie sanctorum Naboris et Felicis de
pustino papiensis diocesis, Reverendissimi in christo patris et Illustrissimi
domini domini Hippoliti miseratione divina sacrosante romane ecclesie ti-
tuli sancte Lutie in scilice diaconi Cardinalis et sancte mediolanensis ec-
clesie administratoris Vicario generali, prò tribunali sedente super quadam
cathedra posita in eius domo habitationis sita in porta nova apud eccle-
siam sancti Victoris et quadraginta martirum mediolani, ubi per eum
iura redduntur, quem locum et quam cathedram prefatus dominus Vi-
carius prò infrascriptis peragendis prò eius loco et tribunali idoneis
prò infrascriptis peragendis elegit et eligit in hac parte, presentatum,
intimatum, insinuatum et notificatum, et in eius domini Vicari! presentia
lectum, coUationatum et auscultatum per me iam dictum Joannem Ja-
cobum parpalionum et Joannem Angelum de Crodariis notarios infra-
scriptos, et in presentia testium infrascriptorum : et quia prefatus Reve-
rendissimus dominus Vicarius premissum exemplum seu transumptum
cum ipsis originalibus et auctenticis litteris ducaiibus ac instrumentis
de verbo ad verbum concordare invenit, idem Reverendus dominus Vi-
carius prò tribunali sedens ut supra, instante et requirente venerabili
domino fratre Mariano de novaria professo ordinis predicatorum ac
sindico venerabilium dominorum prioris, fratrum et conventus mona-
52 LODOVICO MARIA SFORZA
sterii Domine sancte Marie gratiarum ordinis predicatorum extra muros
Mediolani, predicta et infrascripta fieri petente et requirente, decrevit
et decernit, ut ipsi exemplo seu transumpto sicut ipsìs originalibus lit-
teris ducalibus et instrumento fides piena ubilibet adhibeatur in iudicio
et extra; eidemque sumpto seu transumpto suam et prefati Reveren-
dissimi et Illustrissimi domini domini Cardinalis et administratoris ec-
clesie mediolanensis auctoritatem et decretura interposuit et interponit,
mandantes prefatus dominus Vicarius et dictus dominus frater Ma-
rianus atque rogantes per me Joannem Jacobum Lazaronum notarium
infrascriptum publicum confici debere instrumentum. Actum in dictis do-
mibus prefati domìni Vicarii sitis ut supra, presentibus ibidem domino
Francisco de bossiis filio quondam domini Sigismondi porte nove, parrò -
chie sancti Andree ad pusterlam novam mediolani , venerabili domino
Jeanne Francisco de Cusano canonico prebendato ecclesie sancti Nazarii
in brolio Mediolani, et domino presbitero Bernardo de samar ate filio quon-
dam domini Laurentii habitator terre abiatis grassi mediolanensis dio-
cesis, omnibus testibus notis et idoneis ad premissa vocatis spetialiter
et rogatis.
(L. T.) Ego Joannes Jacobus de Lazaronibus, filius quondam domini
Christophori porte horientalis, parrocbie sancte Marie pasarele mediolani,
publicus apostolica et imperiali ac curie archiepiscopalis mediolani auc-
toritatibus notarius, premissum exemplum seu transumptum suprascri-
ptorum instrumenti ac litterarum ducalium in cartha membrana sigillo
ducali sigillatarum et subscriptarum Lvdovicvs Maria, B. Calcvs, et su-
prascripti instrumenti subscripti et autenticati per prefatum dominum
Dionisiumde Confanoneriis notarium et canzellarium ut supra fuit per me
suprascriptum Jacobum Lazaronum notarium et infrascriptos Joannem
Antonium palpalionum ac Joannem Angelum de Crodariis notarios in-
frascriptos, coram prefato Reverendo domino Ruffino vicario antedicto
prò tribunali sedente ut supra, cum dictis originalibus litteris ducalibus
et instrumento fideliter et diligenter auscultatum, collationatum et exa-
minatum, et quia illud de verbo ad verbum cum dictis originalibus lit-
teris ducalibus et instrumento concordare inventum fuit , ideo rogatus
instrumentum tradidi et subscripsi, signumque meum tabellionatua ap-
posui consuetum in testimonium premissorum.
(L. T.) Ego Joannes Antonius de parpalionibus, filius domìni Ber-
nardini porte ticinensis, parrochie sancti Laurentii maioris foris me-
diolani, publicus apostolica et imperiali ac curie archiepiscopalis me-
diolani auctoritatibus notarius premissum exemplum, etc, etc.
Omìssis.
E IL CONVENTO DI S. MARIA DELLE GRAZIE. 53
(L. T.) Ego Joannes Angelus de Crodariis, filius domini Simonis
porte ticinensis, parrochie sancti Vincentii in Prato intus mediolani,
publicus imperiali et curie archiepiscopalis mediolani auctoritatibus
notarius premissum exemplum, etc, etc.
Omissis.
NOTA COMPLEMENTARE.
Il cav. Osio ebbe ragione. All'ultima ora ci cade sott'occhio una
pubblicazione del chiarissimo proposto D. Carlo Annoni, col titolo
Documenti spettanti alla Chiesa Milanese^ ecc.; in 8% Como, Osti-
nelli, senza data, ma del 1839, dove si legge il primo dei Diplomi,
pubblicati qui sopra, seguito da buona parte deìV Inventario.
Tuttora inediti (almeno così crediamo) sono tutti gli altri, com-
presi quelli che si daranno nei numeri successivi deìV Archivio.
PROPOSTA DI UN SOCIO,
Alius enim alio plura invenire potest, nemo omnia . .
AusoNiTJS, Symmacho S.
La congregazione riformata dei Benedettini di San Mauro, fon-
data nel 1621 col patrocinio del ministro cardinale di Kichelieu,
si componeva di religiosi, convinti di questo, che lo studio delle
scienze e delle lettere poteva camminare di conserva coi doveri del
loro stato: e si posero al lavoro con queir intenso ardore che non
poteva animare se non che uomini alieni da qualunque distrazione
mondana; perseverandovi poi, diremmo quasi, colla costanza dei
martiri e la fede dei confessori. I risultati furono superiori ad ogni
aspettazione, e crediamo rimanere nei limiti del verosimile asse-
rendo che, qualunque sia per essere il progresso presente e futuro
delle storiche discipline, la Diplomatica^ VArte di verificare le date,
la Gallia Cristiana, lo Spicilegio, la grande Collezione degli storici
della Francia, V Antichità spiegata, le Storie di tante provincie e
paesi, ed altre raccolte voluminose, resteranno monumenti imperi-
turi dell' erudizione più estesa e la meglio digerita : congerie im-
mensa di fatti e documenti, dove attinge largamente la scienza
contemporanea, ed attingeranno le future generazioni senza peri-
colo d'esaurimento.
Tutto ciò è noto a sufficienza, da pochi discusso per prevenzioni
d'altra natura, e, per mediocre che sia la sua coltura, da nessuno
negato. Quello che è meno conosciuto si è lo spirito che informava
quel potente organismo, l'ordine ed il sistema, mediante i quali fu
PROPOSTA DI UN SOCIO. 55
loro possibile intraprendere e condurre a buon termine quei lavori
giganteschi. L'oggetto delle investigazioni di ciascheduno era noto
a tutti, e ciò che nelle proprie ricerche si rinveniva dall'uno, di
utile 0 di peregrino relativo agli studj altrui, si deponeva in una
bussola, espressamente praticata nella cella dell'altro: nulla così
andava perduto, tutto anzi riusciva di profitto agli studj generali
della comunità. Questo metodo, altrettanto facile quanto efficace,
fu da alcuni Inglesi applicato modernamente ad un periodico che
ebbe vita nell'anno 1849 col titolo. Notes and Queries.^ L'objet-
tivo era di venire in ajuto agli uomini di lettere, alle persone
studiose, risparmiando loro in molti casi penose ricerche nelle bi-
blioteche pubbliche o private, la fatica e il dispendio di viaggi
lontani. Il giornale è redatto dai suoi stessi associati, né accoglie
nelle sue colonne altri scritti, se non che, nella prima parte, le
domande, i quesiti, le proposte su qualunque materia d'erudizione ;
le risposte o le soluzioni de' problemi antecedenti nella seconda ; il
tutto poi confortato da utili comunicazioni relative a queste od
a quelle. Vive tuttora vita prosperosissima, e fornito com'è da
25 anni, e ad ogni semestre, di copiosi e ordinatissimi indici, sia
metodici che alfabetici, è divenuto in oggi un repertorio ricchis-
simo di notizie le più peregrine e varie, di soluzioni ingegnose di
problemi storici, artistici ed archeologici, che invano si cerchereb-
bero altrove.
Trovò questa idea felicissima seguaci ed imitatori in America,
in Ispagna e in Olanda col Navorscher di Amsterdam. A Parigi
l'anno 1864 una Società di dotti, letterati, artisti, bibliofili, archeo-
logi, genealogisti ed altri colti curiosi, com'essi dicono, fondava
V Intermediare des chercheurs et curieux. Visse sfortunatamente po-
chi anni, e cessò per motivi che nulla sentono del letterario. L'u-
tilità di questo giornale era talmente preziosa che, a quanto ci
vien detto, si pensa seriamente a richiamarlo alla luce. Né qui
perderemo tempo a provare l'evidenza : corrispondenze che si scam-
biano fra dotti e semplici raccoglitori, fra persone erudite e cer-
catori speciali, con risparmio di fatica, di tempo e di denaro, che
non esigono complimenti oziosi, né cerimoniose azioni di grazie,
* A medium of Infer-Comimicafion for literary meri, artists, antiquaries, genealo-
gists, etc.
56 PROPOSTA DI UN SOCIO.
talvolta importune, sembreranno, ne slam certi, a tutti come a noi,
un ottimo e comodissimo trovato.
Non citeremo fra i molti clie un solo esempio. Agostino Thierry,
il fondatore in Francia della scuola storico-pittoresca, preoccupato
sempre, nella sua Storia della conquista delV Inghilterra per i Nor-
manni, dell'intento di ben distinguere la razza vittoriosa da quella
dei vinti (preconcetto che talvolta lo fa cadere in qualche esage-
razione), aveva personificato in Tommaso Becket lo spirito anglo-
sassone, facendone il campione di questo contro i Normanni; il
nono capitolo, considerato come la pietra fondamentale di questa
istoria, non tratta che della lotta fra Enrico II e l'arcivescovo di
Canterbery, difensore imperterrito della stirpe oppressa. Ebbene, il
Thierry stava preparando una nuova edizione del suo libro, quando
gli fu inviato da un amico di Scozia un numero del Notes and
Queries, ove trovavasi il titolo ed un estratto di un'opera che
aveva lo scopo di dare una copia fedele dei Mss. di Lambeth e
Fitz-James. Questo unico avviso bastava a distruggere il quadro
storico di tutta l'opera: Tommaso Becket scompariva, per dar
luogo ad un Tommaso Béquet, normanno di nascita e di parenti.
Pesò per anni questa dolorosa scoperta sulla mente del povero
cieco (l'Omero della storia, come lo dissero), ma infine, più tenero
della verità che di qualunque più grata e comoda teoria, corag-
giosamente s'accingeva a rimodellare a fondo la sua storia, quando
ne venne impedito dalla morte.
Ora concludiamo. Perchè V Archivio Storico Lombardo non ser-
berebbe una pagina, un intero foglio, se occorre, secondo la mag-
giore 0 minore abbondanza della materia, in coda ad ogni fasci-
colo, ad uno scambio di idee così profìcuo a tutti, senza danno o
molestia di chicchessia? I rapporti che cosi si stabilirebbero fra
gli studiosi d' ogni parte d'Italia, e fra questi e la redazione del-
l'J.rc/^mo, darebbero agio di stringere relazioni letterarie, ed anche
vere amicizie assai simpatiche ed utili: passeggiere dapprima, ma
che si farebbero durature, con gran soddisfazione dei temperamenti
timidi e riservati d'indole modesta, che fra noi non son pochi, e
che vi rinverrebbero il mezzo più acconcio di conoscere, oltre far
meglio apprezzare, sé stessi. In Italia, assai più che altrove, ogni
città, per quanto piccola, discosta dai grandi centri o dimenticata
dalle ferrovie, conta studiosi assidui delle patrie cose, del proprio
PROPOSTA DI UN SOCIO. 57
municipio in particolare, raccoglitori appassionati di cimelj d'ogni
maniera, ma quasi ignoti fuori della breve cerchia dei loro amici
e conoscenti, dotti quanto modesti, oziosi nello studio, studiosi
nell'ozio, come li direbbe il Tasso.
Il progetto che raccomandiamo gioverebbe ottimamente a far
convergere ad un solo centro il calore di questi sparsi focolari
di sapere. Le semplici note che ogni studioso va prendendo sul
suo taccuino (Singula quceque notando , come disse Orazio :
When found tàke a note of^ come tra duceva il capitano Cuttle,
facendone 1' epigrafe del Notes and Queries) potranno diluci-
dare ardui problemi storici, bibliografici, artistici, e riuscire così
di utile all' universale. Connattre seri heaucoup pour inventer
(Mad. di Stael). Poiché, conviene pur confessarlo, col diffondersi
fra noi dell'istruzione, si direbbero diminuiti d'intensità quei centri
di coltura che già brillavano di tanta luce nei secoli scorsi. Uo-
mini, veri coefficienti del loro tempo, della tempra dei Baronj,
dei Muratori, degli Ughelli ed altri non pochi, non li troveremo
sì- presto, e le poche ma illustri eccezioni che si potrebbero ci-
tare ai giorni nostri, confermano piuttosto la regola generale;
dall'altro lato quante fisicaggini e non comportabili ciarlatanerie
di tali che richiesti negano il fuscello, trasandati ti donano il pa-
gliaio, per dirla col Guerrazzi...
Sinora i miracoli operati dallo spirito di associazione nel campo
pratico del commercio, dell'industria e dell'agricoltura, non tro-
vano riscontro in questo, non meno utile, e certamente più glo-
rioso, delle indagini storiche ed archeologiche. La divisione del
lavoro ci pare il mezzo più potente ad ottenere anche in questo or-
dine di studj che oggi inauguriamo, quei risultati che in altri tempi si
raggiunsero dal valore e dalla costanza di pochi solitarj. Il po-
tere, persuadiamcelo, è piuttosto il sapere che il volere; il clero
già ebbe la forza perchè ebbe la scienza, ed ora guai a chi si ferma!
Quando il secolo è in cammino guidato da un pensiero, esso
rassomiglia ad un'armata che si avanza nel deserto: arrestarsi è
morire. Avanti dunque, avanti sempre ! ma non dimentichiamo che
ogni tentativo de' nostri padri per diradare le tenebre del medio-
evo, merita la nostra riconoscente attenzione, e che le preoccupa-
zioni rannodanti il pensiero moderno alla gloriosa schiera delle
attività intellettuali del passato, devono necessariamente entrare
nel campo dei nostri studj.
58 DOMANDE E RISPOSTE.
Disse Plinio: Stultissimum credo ad imitandum non optima
quaeque proponere, ma speriamo che questa sentenza non sia ap-
plicabile a noi ed alla nostra proposta.
G. D'A.
Applaudendo a questa proposta, si comincia fin da oggi una
serie di
DOMANDE E RISPOSTE.
Domanda, A Cesare Cantù, che già più d'una volta aveva sulle
gazzette bresciane dato notizia di documenti da lui veduti in diversi
Archivj d'Italia concernenti le provincie di Brescia, il sig, Gabriele
Rosa domandò se nell'Archivio di Stato milanese vi fossero docu-
menti storici bresciani.
Bisposta. Di atti bresciani moderni questo Archivio ha una
farragine, ma sapete che la vostra città ebbe a fare colb Stato
di Milano solo ad intervalli. Possediamo però una grande ricchezza
nelle carte recate qui per la soppressione delle. comunità religiose,
e che costituiscono una bella parte del nostro Archivio col titolo
di Fondo di religione. Da questo vennero estratte le 80 mila per-
gamene, disposte entro cassette in una sala. Della loro quantità vi
dia segno questo estratto, che riguarda la vostra provincia.
Numero ' Numero
delle cassette delle pergamene.
17 Celestini 34
„ S. Afra 147
„ SS. Cosma e Damiano 474
18 S. Faustino dal sec. XIII al XVI 430
19 e dal sec. XIII al XVI 324
5, SS. Giovanni e Marco, e scuola de' Disciplini
(vedi cassetta 29).
20 S. Giovanni Entro.
„ S. Giovanni Evangelista, sec. XII a XV .... 426
21 e sec. XVI a XVIII 258
„ S. Salvatore (due grossi volumi).
„ S. Giovanni Fuori
22 S. Giovanni Fuori 404
Da riportarsi^N. 2497
DOMANDE E RISPOSTE. 59
Numero Numero
delie cassette delle pergamene
Riporto N. 2497
23 S. Giulia, sec. XIII 754
24 e sec. XIV al XVI 690
25 Vacanti 536
26 „ 364
27 Varie 270
28 „ 736
29 „ 655
„ SS. Giovanni e Marco, e scuola de' Disciplini . 127
211 Salò e sua riviera 489
Totale N. 7118
Voi conoscete abbastanza gli studj diplomatici per comprendere
di quanta utilità possano venire anche le carte pagensi per illu-
strare la civiltà d'un paese. Ora questa ricchezza giace inesplorata.
Non vi indico le carte più antiche, anteriori cioè al mille, e che
avrete vedute stampate, con insolita esattezza, dal Porro e dal
Ceruti, nel volume ora pubblicato : Monumenta Historice Patrick.
Aggiungo che abbiamo una lettera del Bighetti dell'anno IX repub-
blicano, ricca di notizie della biblioteca vostra. Inoltre nella Corsini
di Roma ho veduto molti autografi del cardinale Querini ai papi
e cardinali, e il suo testamento; e alcune lettere relative alla tri-
sta sua querela col Muratori. Alla quale si riferiscono altre lettere
al Bottari, dal 1741 al 1764, di esso Muratori e del nipote Gian-
francesco, quali autografe, quali in copia. Ivi pure son varie lettere
del famoso P. Fortunato da Brescia al Bottari, dal 1744 al 1774.
Quanta messe per chi voglia scrivere seriamente la storia di
codesta città e di codesta provincia, piene di magnanimi fatti come
di memorie benevole!
Domanda. Potrebbesi da questo Archivio avere giudizio sopra i
sentimenti e le opinioni di Cesare Balbo?
Bisposta. L'Archivio può somministrare dei fatti, e non delle
appreziazioni.
Domanda. Il socio prof. Gilberto Govi, che va illustrando le me-
morie e le opere di Leonardo da Vinci, ci fece varie richieste sulle
co DOMANDE E RISPOSTE.
persone che ebbero a fare con questo, e fra altre su Francesco
Melzo. Quanto a quest'ultimo, risponde il socio F. M.
Bisposta. La famiglia Melzi ci appare fino dal secolo decimo
quarto distinta nei due grandi rami dei Lampergi e dei Malinge-
gui, i cui discendenti si propagarono fino a noi. Questi ultimi van-
tano alcuni insigni personaggi , fra i quali un cardinale Camillo
Melzi ^ vissuto nel secolo decimosettimo, di cui leggesi a Roma
l'epitafio. Ma non meno famoso è il ceppo dei I^ampergi, suddiviso
in due rami, il primo dei quali discende da un Ambrogio, i cui
pronipoti furono l'anno 1619 investiti da Filippo III del feudo
comitale di Magenta; mentre il secondo viene dal fratello Rug-
gero, che fu padre al celebre Giovanni,^ dall'imperatore Fede-
rico creato conte palatino con tutti i suoi discendenti all' infinito
nell'anno 1468. Questi riedificava dalle fondamenta la villa di
Vaprio sulle rive dell'Adda, come attesta una bella iscrizione
riportata nel supplemento alla Vita di Leonardo scritta dal Va-
sari; ed ebbe parte non piccola nei politici rivolgimenti della
repubblica ambrosiana. A lui successe Bartolomeo,^ che, morto nel
fiore degli anni, lasciava diversi figli, fra cui Girolamo e Lanza-
lotto. Dal primo ebbe i natali a Milano l'anno circa 1493 Fran-
cesco Melzo, che venuto fin dagli anni suoi primi nella dime-
stichezza del Vinci, apprese da lui la pittura. Bellissimo della
persona, d'ingegno aperto e di cortesi maniere, nella soavità di
un vivere più che agiato non fece del suo pennello che un og-
getto di passatempo, preferendo il miniare, dove colse a quei
giorni non piccola lode. Leonardo lo prediligeva sugli altri suoi
discepoli, forse perchè vedeva nelle belle fattezze del giovinetto
V immagine di un animo ugualmente gentile ; e Francesco ricam-
biava l'amoroso e dotto vegliardo con una effusione di affetti ve-
ramente filiali. Non faccia dunque meraviglia se, avendo il mae-
stro divisato di trasferirsi a Roma sullo scorcio del settembre
1513, si recasse ben a ventura l'accompagnarlo. Ebbero dapprima
compagni di viaggio Giovanni Boltraffio, Andrea Salaino, e un certo
Lorenzo soprannominato il Fanfoja; arrivati a Firenze vi si ag-
giunse pure Giuliano de' Medici, fratello di Leon X, allora pontefice ;
' Filippo Argelati; Scrittori Milanesi, tom. II, col. 916.
s Id., col. 919. 3 Id., col. 915.
DOMANDE E RISPOSTE. 61
ciò che crebbe a Leonardo la speranza di trovare alla Corte di un
principe pur esso fiorentino, un guiderdone a' suoi lunghi sudori.
Quali sentimenti si risvegliarono a Francesco in cuore vedendo il
teatro delle romane grandezze, e più d'ogni altro coloro che in
quel punto ne tenevano il campo, Michelangelo e Raffaello, è su-
perfluo indagare. La sua mente, educata alle classiche forme Vin-
ciane, non poteva trovare che una sorgente d'ineffabili dolcezze in
quella splendida metropoli della civiltà; senonchè dovette anche
egli rattristarsi sul destino del maestro, che, deluso ne' suoi di-
segni, non appena sentì romoreggiare lontana la fortuna delle
armi francesi, subito (1515) faceva co' suoi cari ritorno in Lom-
bardia. Fu bello allora vedere il prode e cavalleresco vincitore di
Marignano ricevere con entusiasmo l'augusto vegliardo, invitandolo
a recarsi con esso a Parigi. Egli non poteva che accogliere la propo-
sta del principe, dal quale otteneva un decoroso appannaggio anche
pel Melzi, che insieme col Salaino e col servidore Villani partiva
con esso alla volta di Francia sullo scorcio del gennajo 1516.
In una villa presso Amboise, oggi meglio nota sotto il titolo di
Clos-Lucé, ebbero i nostri viaggiatori comoda e lieta dimora, fin-
ché la mano del grande maestro si agghiacciava per sempre il 2
maggio 1519. Un anno circa prima dell'ora fatale aveva egli steso
un lungo testamento in favore del Melzi, lasciandogli tutti i suoi
libri,* disegni e strumenti; e questi piangendo accoglieva il prezioso
retaggio, che mai nessun artista potrebbe avere il somigliante. Le
sue lacrime erano piene di affetto, e anche oggi possiamo averne
una prova leggendo la letterina, allora da lui indirizzata ai fratelli
dell'estinto. Ivi promette loro copia del testamento, colla prima e
più sicura occasione, più probabilmente a mezzo d' uno zio, che do-
veva, egli dice, recarsi a visitarlo. Costui sembra in fatti accor-
resse a consolare il nipote ; ma è ben incerto se egli sia quel desso,
come si vorrebbe da alcuni, in cui favore troviamo poco tempo
dopo una procura, perchè questi è un Girolamo Melzi, che tutto
ci conduce a riconoscere pel padre istesso di Francesco.^
* Veggasì, Leonardo da Vinci e la sua Libreria, Noto di un Bibliofilo. Milano, Ber-
nardoni, 1873.
^ Comparizione di Orazio Melzi davanti al Collegio dei Giurisperiti. Archivio di
Stato in Milano.
62 DOMANDE E RISPOSTE.
Frattanto, lasciato il placido soggiorno di Clos-Lucé, Francesco
recavasi ad annunziare l'infelice novella al re di Francia, che lo
accolse benignamente alla propria Corte, creandolo suo famigliare
con decreto 20 novembre 1520. Ritornato in patria, vi s'impa-
rentava con Angela dei conti Landriani, dalla quale ebbe diversi
figli, uno dei quali fu Orazio, i cui discendenti comprarono l'anno
1650 il feudo di Mozzanica, e si estinsero poco dopo.
Grande elogio si deve a Francesco per la venerazione in cui
tenne le cose di Leonardo, come risulta da un carteggio di Al-
berto Bendidio, residente pel duca di Ferrara nella nostra città,
ove di lui si ragiona e dei manoscritti del Vinci, che il Bendidio
avrebbe voluto torgli di mano, per offrirli in grato dono al duca
Alfonso I, amatore di somiglianti curiosità. L'ambasciatore, dopo
aver dato ragguaglio di una giostra cui prese parte un gentiluomo
della famiglia di esso Melzi, prosegue in questi termini:
" Et perchè ho fatto mentione della casa de' Melzi aviso a V. Ex.
che un fratello di questo che ha giostrato fu creato de Leonardo
da Vinci et herede, et ha molti de' suoi segreti et tutte le sue
opinioni et dipinge molto bene per quanto intendo et nel suo
ragionar mostra d'haver iuditio et è gentilissimo giovane. L'ho
pregato assai ch'el venga a Ferrara promettendogli che V. S. il
vederà con buona ciera, et dopo ch'io son venuto l'ho replicato
ad un suo barba gentiluomo molto da bene et honorato, che a lui
non ho potuto dirlo perchè sta in villa per la febre quartana.®
„ Se piacerà a V. Ex. ne farò anch'io maggiore istantia. Credo
ch'egli abbia quei libriccini di Leonardo de la notomia et de molte
altre belle cose.
„ Recordo a V. Ex. queste cosette perchè li infermi sogliono es-
sere svogliati et desiderare varie cose. Et mi raccomando in sua
buona gratia.'^
„ Di Milano alli 6 de marzo 1523. „
Si può accertare che il Melzi non compiacque al desiderio del
Bendidio, e ch'egli non si separò finché visse da quelle care e ve-
nerate memorie del suo grande maestro ed amico.
® Abitavano costoro a Milano in una casa posta in faccia al Broletto nuovo, e sole-
vano villeggiare a Vaprio e Canonica sulle rive dell'Adda. Non è inutile ricordare come
vi ospitassero pure Leonardo da Vinci.
' Atti della Deputazione Storica Modenese e Parmense. Voi. Ili, Memoria di G. Cam-
POBi, 1865.
DOMANDE E RISPOSTE. 63
Ma de' suoi tardi anni e della sua fine, supposta nell'anno 1570,
nulla ci è rimasto, salvo che egli fu bellissimo vecchio (ce lo dice
il Vasari che il vide), come era stato avvenente e gentile in gio-
ventù.^
Pochissime sono le opere d'arte che ancora gli si attribuiscono ;
fra queste giova notare una Madonna, che dicono regalasse a
Francesco I re di Francia, come si ricava dalla testimonianza del
magnifico D. Baldassar Capra f. q. magnifici D. Jo. Petri, nella
comparizione di Orazio Melzi davanti al Collegio dei giurisperiti
l'anno 1645.'
Da Lanzalotto discende il ramo di quei Melzi che nell'anno 1676
furono investiti dal duca Amedeo di Savoja del marchesato della
Torricella, e finivano sullo scorcio del secolo passato in due figlie;
una delle quali, Anna Maria, entrava nell'altro ceppo dei Melzi,
feudatarj di Magenta, sposa al conte Francesco Saverio. Un figlio
di lui s' imparentava con la contessa d'Eril , erede di una celebre
famiglia spagnuola, di cui ritennero poscia il nome. Da sì fortunato
connubio nacque il vicepresidente Melzi, tanto benemerito delle
pubbliche cose in Lombardia. A lui Buonaparte donava il titolo
di duca di Lodi (1807), che rìmase in famiglia, ed è tuttavia por-
tato dal duca Lodovico Melzi d'Eril.
Un figlio di quell'Ambrogio, da cui viene la linea dei conti di
Magenta, lasciava la patria Milano per stabilirsi a Rimini, dove è
ancora la fama di una casata Melzi, estinta nel secolo scorso,
molto illustre e doviziosa.
Che il paese di Melzo, poco lungi da Milano, fosse la culla della
famiglia, sono mere congetture. Da un vetusto castello dello stesso
nome, nelle vicinanze di Udine, ora distrutto, si potrebbe, al dire
del Palladio,^" ugualmente ripeterne l'origine.
* Esistono di lui varj ritratti, uno dei quali all'Ambrosiana, dalle mani stesse del
Vinci, ove lo rappresenta giovinetto quindicenne.
^ « Il signor Gio. Francesco, padre del signor capitulante (Orazio), per sua dilettazione
et virtù particolare si è deiettato della pittura, ma non andava a pinger ne pingeva
per premio alcuno, ma solamente in casa per dimostrare la sua virtù, et esso signoro
testimonio vidde una volta un quadro dove il detto signor Francesco haveva pinto
la figura della Madonna, qual disse che voleva donare al Re di Franza ». Archivio di
Stato in Milano.
*" Storia del Friuli, di Giov. Frane. Palladio degli Olivi, 1660, pag. 150, P. L
64 DOMANDE E RISPOSTE.
Domanda. Alla Biblioteca Ambrosiana, ricca quanto ognun sa di
manoscritti, ne furono, in questi ultimi anni, ricopiati colla fotografia
0 colla litografia alcuni de' più preziosi. Vi si è anzi stabilita una
fotolitografia, che si dedica principalmente a questi lavori. Il pre-
fetto Antonio Ceriani, celebratissimo orientalista, riprodusse cosi
alcuni codici di somma importanza, talvolta anche a spese di signori
forestieri. Chiesto da noi sui lavori suoi presenti, rispose:
Bisposta. Io sto ora terminando le note all'edizione fotolitogra-
fica del codice siro-esaplare Ambrosiano. Oggetto delle note è di
supplire a quanto non può indicare neppure la fotografia, come le
rasure e la distinzione delle scritture posteriori; di dare la lezione
del manoscritto, ove questa nella fotolitografia per le macchie non
può essere chiara; di apporre le varianti, che per varie parti ho po-
tuto raccogliere da manoscritti esteri o da citazioni di autori siriaci ;
infine di additare le fonti greche stampate o^manoscritte di mol-
tissimi scolj. Il manoscritto riprodotto contiene i Salmi, Giobbe,
i tre libri di Salomone, la Sapienza, l'Ecclesiastico e tutti i Profeti,
tradotti nel primo quarto del secolo VII dal testo dei Settanta,
come fu stabilito da Origene nel III secolo, e copiato dall'ori-
ginale per cura di Eusebio e Panfilo nel principio del secolo IV,
con numerosi estratti delle altre antiche versioni greche ; ha inoltre
molti estratti di Padri greci, e molte note filologiche. Il manoscritto
è dell' Vili secolo, per la maggior parte unico e correttissimo, ed
è per la prima volta riprodotto integralmente.
Finita questa edizione per la metà di quest'anno, terminerò poi
la stampa di un'antichissima traduzione siriaca del VI libro della
guerra giudaica di Giuseppe Ebreo, presa da un manoscritto del
VI secolo, e di molti frammenti di antiche versioni bibliche latine
antegeronimiane, e comincierò la edizione fotolitografica di un ma-
noscritto siriaco Ambrosiano del VI secolo, l'unico anteriore all'XI
conosciuto, che contenga tutta l'antichissima versione Pescito del-
l'Antico Testamento. Per quest'ultimo lavoro un mio conoscente
inglese mi ha già mandato un. buon sussidio. Se non fosse per le
occupazioni del mio ufiicio, in circa quattro anni potrei aver finito
anche questo lavoro.
ARCHIVI.
a) ARCHIVIO DI STATO MILANESE.
L'Archivio di Milano è antichissimo, e prima fu posto nel Ca-
stello, credendolo il luogo più sicuro; mentre invece fu gravemente
danneggiato appunto per ciò. Singolarmente alla morte di Filippo
Maria, ultimo dei Visconti, il popolo credette aver di diritto re-
cuperata la propria libertà, onde gridò Vaurea repubblica ambro-
siana^, e demolì il Castello come stromento di servitù e minaccia.
Perirono allora moltissime carte, lo perchè i documenti governa-
tivi e pubblici anteriori a quel tempo sono scarsi in questa raccolta,
essendo rimasti solo alquanti mazzi e varj registri. Lodovico Sforza,
volendo rintegrare l'Archivio, mandò a ricopiar dai varj uffizj docu-
menti in pergamena. Ma sopraggiunti i Francesi, questi, nel partire,
ne portarono seco molti.
Ora i Begistri ducali sono 574, e ne mancano alcuni, come s'in-
duce dalla serie alfabetica. Le Missive, cioè ordini o decreti a di-
versi incaricati e agenti ducali, formano 857 fasci.
Nella dominazione austro-ispana , le varie magistrature ebbero
cura di serbar le proprie carte : le principali erano ancora deposte
nel Castello, ma in disordine , quali vi venivano portate al morire
dei diversi segretarj, senza distinzione di tempo né di materia.
A mezzo il secolo passato Ilario Corte fu incaricato di sistemarli,
ed egli vi applicò il metodo col quale aveva già ordinati gli ar-
chivj del Senato, dei Panigarola e degli statuti del Governo antico
* Intorno a questa lavora il socio Giulio Porro,
Arch. Stor. Lomb. — An, I.
66 ARCHIVJ.
e di quello dopo la venuta dell'arciduca : e furono collocati in quel
che già era collegio de' Gesuiti presso San Fedele. In questo si
raccolsero gli archi vj dei magistrati or dinar j e straor dinar j, creati
nel 1550, poi unificati da Maria Teresa nel 1749: gli atti del supre-
mo Consigho d'economia, del magistrato Camerale dell'Imperiale
Kegio Consiglio di Governo, cui si aggiunsero poi quelli della Con-
ferenza governativa e del magistrato politico Camerale, succedutisi
dal 1766 al 96. Vi stavano pure, oltre le relazioni diplomatiche,
il rinomato archivio Panigarola, gli atti relativi all'araldica, ai
feudi, ai confini, alle potenze sovrane.
Nuovi rischi corsero le carte alla venuta de' Francesi Giacobini ;
ma presto fu destinato prefetto generale degli archivj il noto poli-
store Luigi Bossi, che procurò fossero ben conservati, come si con-
tinuò nel regno d'Italia. Del quale e delle repubbliche cisalpina e
italiana vi sono accentrati i carteggi de' varj ministeri , e quello
solo delle relazioni estere empie ben mille cartelle ; quel della guerra
fu preso a organizzare solo nel 1812, e restò incompiuto.
Tornati gli Austriaci, dapprima si pensò collocare l'Archivio, che
dicevano Diplomatico, nel palazzo di Brera, poi fu posto nella ca-
nonica di San Bartolomeo, e pregato l'abate, dappoi cardinale Maj
a cooperare alla sistemazione di esso, al che egli annui con lettera
del 16 maggio 1816; nel 1840 fu trasferito presso l'Archivio nota-
rile in piazza de' Mercanti, e allora constava di 90,000 pergamene,
comprese 4000 provenienti da Pavia, e 16,000 da Mantova; 900 spet-
tanti al Novarese furono date al Piemonte.
Alfine si conobbe improvida la distinzione della parte storica
dalla amministrativa, e nel 1852 si concentrarono in un solo gli
Archivj diplomatico, della guerra, del debito pubblico ; dappoi anche
il giudiziario, infine il copiosissimo delle finanze e della contabilità.
Allora vi fu assegnato il palazzo del già Collegio Elvetico, che
nel regno franco-italico era stato sede del senato italiano, indi della
contabilità: stabile nobilissimo, con due vasti cortili a duplice colon-
nato, e dove una quantità incommensurabile di carte è assestata in
quattro piani. In quel palazzo sta provisoriamente la Corte delle
Assise: laonde si dovette ancora lasciare a San Fedele oltre un
50,000 cartelle di varj riparti governativi, tutto l'archivio pro-
vinciale, e il fondo di religione.
Quest' ultimo , cioè le carte di atti ecclesiastici , atti civili di
ARCHIVJ. 67
»
ordine pubblico, atti privati, che ci vennero dalla soppressione delle
corporazioni religiose, dei capitoli, ecc., non solo di Lombardia,
ma del Veneto e di parti del Modenese e delle Romagne, forma la
dote più preziosa, come storia, delP Archivio milanese, compren-
dendo le carte più antiche, conservate colla diligenza che solevano
i monaci. Da questo vennero estratte circa 80,000 pergamene, che
sono disposte in una sala entro cartelle portanti il nome dell'ente
a cui appartennero, e distribuite per epoca. Quelle che sono ante-
riori al mille costituiscono una preziosa raccolta, entro armadio a
parte, e offrirono testé il maggior tributo di documenti al voi. XIII
dei Monumenta Historice Patrice.
Nel 1796 erano stati portati' a Vienna alcuni decreti ducali: il
Governo austriaco del resto rispettò quella raccolta: solo nel 1831
si domandarono per favore autografi di personaggi, e ne furono
mandati 83 per ornare la biblioteca di Corte. Ma in quel tempo
una deplorevolissima dissennatezza di scarti privò l'Archivio di mol-
tissimi e preziosissimi documenti, di cui si formò la ricchezza di
varie raccolte private, lasciando imperfette anche molte serie delle
nostre.
Pel trattato di Zurigo (art. 15) doveano cedersi dal Regno Sardo
le carte e documenti che concernevano i paesi lombardi conservati
all'Austria. Non se ne trovarono qui di assoluta proprietà austriaca,
bensì molte promiscue, principalmente pel debito pubblico ; ma era
difficihssimo, anzi impossibile lo smembrarle : pure alquante furono
stralciate che concernevano privati interessi e fatti d'amministra-
zione. Nel 1854, avendo la sezione filosofico-storica dell' Imp. Acca-
demia di Vienna pubblicato il voi. I dei Monumenta Hahshurgica,
e sapendo che i varj Archivj della monarchia contengono copiosi
documenti, richiese le fossero trasmessi di tempo in tempo elenchi
degli atti, da cui potesse dedurre se contenessero alcuna cosa op-
portuna a tal suo lavoro. In obbedienza a quest'ordine si mandò
copia di molti documenti, alcuni anche fotografati, e il transunto
di altri, principalmente riguardanti la spedizione di Massimiliano I
e cronache di quel tempo, esplorando all'uopo anche gli Archivj
dipendenti. Nel 57 il dottore Sickel, incaricato specialmente da
quell'Accademia, stette lungo tempo in quest'Archivio, liberamente
cercando, e comandando la trascrizione di moltissimi documenti,
in aggiunta a quelli mandati già in otto spedizioni. Nel 58 furono
domandati cinque documenti originali.
68 ARCHIYJ.
Saputosi che, per la pace di Vienna del 1867, si dovevano re-
stituire le carte asportate dagli Archi vj veneti, si domandò che
nella convenzione venissero comprese quelle dell'Archivio mila-
nese. In fatti si ottenne la restituzione di 12 fasci: poi il Governo
Austriaco avendone trovati 12 altri, questi pure spontaneamente
offrì. Sono saltuarj volumi delle predette serie, non ispecificati di-
stintamente, e dei quali 21 spettano al secolo XV; 1 dal XIII al
XV; uno dal principio del XV va al 1579; uno dal 1183 (anno
della pace di Costanza) va al secolo XV, e per lo più sono copie
di documenti politico-diplomatici, forse tutti conosciuti.
Parimenti il comando generale militare austriaco restituì al
ministero della guerra del Regno d'Italia le matricole e altri do-
cumenti riguardanti l'antico esercito italiano, che formerebbero
parte dell'Archivio del ministero della guerra Italo-Franco, al quale
dovrebbero quindi unirsi nel nostro Archivio.
Furono pure restituiti a questo i cinque documenti che il 18 set-
tembre 1858 erano stati richiesti dalla luogotenenza, da spedire a
Vienna pei Monumenta Hahshurgica : inoltre furono rese n. 1 2 casse,
contenenti, in 250 buste, atti del Governo provvisorio di Lombardia.
Ora l'Archivio di Stato ha un direttore, un capo sezione, un se-
gretario di prima classe e tre di seconda; quattro sottosegretarj
di prima classe, cinque di seconda, sei di terza; sei applicati di
prima classe, tre di seconda; in tutto 30 impiegati, senza contare
i custodi, uscieri e inservienti.
ì^elV Archivio veneto e nella Perseveranza furono stampati i ren-
diconti delle operazioni fattesi in esso nell'anno caduto. Le prin-
cipali consistettero nel ricollocare molti documenti, che erano stati
spostati per formare classi particolari, secondo l'idea infelice di
costituire un Archivio storico, che finisse coli' indipendenza del du-
cato, cioè al 1535. Si cercò, per quanto fu possibile, rintegrare i
varj archivj e le classi: inoltre si lavorò da tutti a formare gli
elenchi delle varie partite, in modo da potere poi compilare un in-
ventario generale. Si continuò la distribuzione delle carte vecchie
e di quelle che man mano arrivano. E copiosissimi furono i ver-
samenti, fatti da diversi ufficj e magistrature, fra cui il tribunale
civile e correzionale di Milano, l'ufiicio del contenzioso finanziario,
la locale Intendenza delle finanze e l'Archivio di Torino ; sicché
vennero, in questi ultimi mesi, circa 6000 cartelle, oltre una gran-
dissima quantità di protocolli e registri.
ARCHIVJ. 69
Si preparò la continuazione dei Documenti diplomatici tratti dagli
Archivj milanesi^ e cominciossi la stampa della parte II del terzo
volume, dal 1441 alla morte di Filippo Maria.
Ogni giovedì si tiene scuola pratica di paleografia, dandosi a leg-
gere documenti di varie età e carattere, e accompagnandoli coi
necessarj commenti. A meglio giovarla, alcuni impiegati adopera-
ronsi a riprodurre documenti colla fotografia.
h) ARCHIVIO CIVICO MILANESE.
Milano, 23 febbrajo 1874.
Onorevoliss. Sig. Cesare Cantù,
Per 'soddisfare il desiderio da lei manifestato di avere alcune
notizie intorno all'Archivio municipale, le trasmetto la presente,
ringraziandola del servigio che renderà al nostro Comune col far
conoscere i tesori posseduti dagli Archivj civici.
Dipendono da questo Municipio un Archivio generale e non pochi
Archivj speciali.
Gli Archivj speciali, qualcuno dei quali è di non lieve entità,
sono tenuti per cura di Ufficj o di Stabilimenti separati, che vi
conservano gli atti d'immediato loro uso. Tali, gli archivietti
della Kagioneria, dell'Ufficio Imposte e Tasse, della Commissione
di beneficenza pel circondario esterno della città, del Corpo dei
Pompieri, dell'Ufficio funerario, dei pedici, dei Dispensarj celtici,
degl'Ingegneri (per le mappe ed altri disegni), dello Stato civile,
dell'Anagrafe, degli Ufficj delle Elezioni, della Leva e dei Giudici
Conciliatori, del Macello pubblico, dei Delegati di mandamento,
del Corpo dei sorveglianti urbani, della Ricevitoria centrale del
Dazio Consumo e delle Ricevitorie alle porte, dell'Ispettorato delle
Guardie daziarie, del Collegio Calchi-Taeggi, del Museo di Storia
naturale, del Convitto allieve maestre, della Scuola superiore fem-
minile, delle Scuole elementari maschili e femminili, serali e festive,
maggiori e minori, della Scuola popolare di musica, della Guardia
nazionale e del suo Corpo di musica, dei teatri della Scala e della
70 ARCHIYJ.
Canobbiana, ecc.; i quali tutti sogliono versare di quando in
quando le carte meno recenti, o quelle diventate superflue alla
loro gestione, nell'Archivio generale.
Finora non esiste alcuna ordinanza che determini una divisione
dell'Archivio generale ; tuttavia io lo ritengo, quale risulta infatti,
composto di tre sezioni, cioè:
1.'' V amministrativa centrale, nel civico palazzo Marini, che
contiene, in 5700 cartelle circa, gli atti occorrenti alla trattazione
odierna degli affari di spettanza della Giunta e del Consiglio mu-
nicipale ;
2° V amministrativa di deposito, nell'ex chiesa di S. Carpoforo,
per gli atti amministrativi dal 1802 in avanti raramente ricercati:
consta di più che 8600 cartelle;
3." la storica, in un bel locale attiguo alla predetta ex chiesa,
costituita da oltre 5700 tra mazzi o cartelle, registri e libri già di
compendio dell'antico Archivio civico o di altre vecchie raccolte,
tutte di data anteriore al luglio dell'anno 1802.
Sebbene quasi ogni carta conservata negli archivj sia destinata
ad assumere col tempo un carattere storico, oggidì soltanto l'ultima
sezione dell'Archivio generale, con piccola parte delle due prece-
denti e degli archivj speciali, è quella che più propriamente interessa
la storia: i più antichi documenti raccoltivi rimontano al secolo XIV,
e riguardano non già la sola città di Milano, ma l'intero territorio
dipendente da essa nei tempi trascorsi.
Pochi scrittori di storia patria compulsarono finora l'Archiviò
civico per is velar ne al pubblico le ricchezze ; e tutti o quasi tutti
io gli avrò nominati se citerò il nome di Lei e quelli del Giulini,
del Verri, del Salomoni, del Custodi, del Fabi, dell'Oslo, del Cusani
e del Berlan. Il Litta-Biumi, com'Ella sa, ne stese un cènno nel-
l'opera Milano e il suo territorio (a carte 186 e seg. del II tomo),
che necessariamente non potè riuscire perfetto, perchè nel 1844 le
antiche carte civiche non potevansi tutte conoscere, frammiste come
erano a più altre di proprietà dello Stato.
Il Governo restituì le carte civiche al Comune nel maggio dello
scorso anno 1873, annuendo all'istanza presentatagli da questa
Giunta municipale nel gennajo del 1870: alla delicata operazione di
sceverarle dagli atti governativi e provinciali, operazione che costò
quasi quattro anni d'intelligente lavoro, sovrintese una Commis-
ARCHIVI. 71
sione civica, della quale furono presidenti dapprima il prof. Pietro
Molinelli, poi il conte Francesco Sebregondi assessori, e membri
i signori conte Emilio Belgiojoso, professore Bernardino Biondelli,
avv. Michele Caffi, nob. Felice Calvi, avv. Pompeo Castelli consi-
gliere comunale, sac. dott. Antonio Ceruti, cav. Giuseppe Mongeri,
conte Giulio Porro-Lambertenghi , e gli ora defunti dott. Giulio
Borghi assessore, prof. Francesco Conti, Luigi Osio già direttore
degli Archivj di Stato in Milano, e il conte Carlo Taverna.
Le fortunose vicende cui andò soggetto l'antico Archivio comu-
nale, lo stremarono e lo disordinarono non poco, importandovi una
sistemazione che, a vero dire, non sarebbe la più adatta alla natura
dei documenti ond'esso è costituito. Ciò nullameno la sua ricchezza
è tuttora rilevante, e al difetto del metodo d'archiviazione suppli-
scono copiosi regesta vecchi e recenti; tra cui vanno specialmente
ricordati gli indici redatti dal Barcellino nel 1653 e 1654, gli elen-
chi analitici stesi fra il 1770 e il 1796 per cura dello storico Giulini
(che fu direttore dell'Archivio del Comune nell'ultimo decennio di
sua vita), dell'archivista Lualdi e dell'aggiunto Pansecchi, e l'in-
ventario attuale della sezione storica, redatto dal nob. signor Luigi
Carcano, che dirigeva a S. Carpoforo il già R. Archivio di deposito
civico-provinciale.
Per più minute informazioni intorno a ciò che contiensi nella
sezione storica dell'Archivio generale del Comune si può ricorrere
alla testé citata monografia del Litta-Biumi ; io qui mi tengo pago
d'indicare quelle categorie di atti e quegli altri oggetti meritevoli
d' essere conosciuti, dei quali non venne per avventura fatto suffi-
ciente cenno prima d'ora.
La serie meglio completa è quella dei Registri delle ordinazioni
del Tribunal di Provvisione, che va dal 1385 al 1796, salva appena
qualche lacuna casuale qua e là, la quale però si può riempire mercè
gli appuntamenti staccati; segue quella dal 1543 al 1796, delle or-
dinazioni della Cameretta, col qual nome indicessi il Consiglio
generale, ridotto a sessanta decurioni. Tacio delle lettere ducali,
regie e governative, e dei relativi registri, perchè ne fu già parlato
da altri. Dirò invece dei sette preziosissimi volumi in pergamena,
contenenti le sentenze emanate dai nostri podestà nel periodo 1385-
1428; e degli atti interessanti e poco noti (costituenti già altret-
tanti archivietti separati) delle tre Congregazioni dello Stato, del
72 ARCHIYJ.
Ducato e del Patrimonio; del Banco civico di S. Ambrogio; delle tre
Giudicature comunali per le acque e strade, per la legna e per le
vettovaglie, e della Milizia urbana e forese, istituita verso il 1636,
e rimodernata poi in Guardia nazionale nel 1796. Copiosa è la
raccolta delle carte relative al turbinoso periodo 1796-1802, e
quella delle gride (in fogli sciolti) di questi ultimi quattro secoli ^ ;
piccole ma non dispregevoli quelle dei diplomi in pergamena degli
autografi di personaggi illustri da Lodovico il Moro a Napoleone I,
delle carte araldiche, delle incisioni, stampe e disegni vecchi, dei
campioni di stoffe antiquate, e la libreria, contenente registri ma-
noscritti e stampati, prospetti statistici, storie e statuti antichi, e
qualche incunabolo.
Questa sezione storica va continuamente arricchendosi, per la ri-
vendicazione di carte e libri di spettanza civica; per doni e lasciti
di privati, fra cui nomineremo quelli del canonico Marasca, del
dott. Sormani, del senatore Taverna, di un Dell'Acqua e del se-
gretario Manzoli; e per recenti acquisti fatti dal Municipio, il più
cospicuo dei quali è la bella raccolta in dieci volumi, già di pro-
prietà della ducale casa Litta (dalla quale li aveva rilevati l'editore
Vallardi), contenente disegni autografici dei principali edifizj citta-
dini; raccolta dovuta alle zelanti ricerche del sacerdote Bianconi.
A mezzo l'anno 1872, essendo l'ex-chiesa di S. Carpoforo rimasta
libera pel trasporto in via Sala^ del E,. Archivio provinciale, fu mia
cura farvi raccogliere ordinatamente le molte carte che trovavansi
ammucchiate e quasi perdute nei solaj del palazzo Marini e in altri
locali civici: in tal modo si formò la sezione di deposito dell'Ar-
chivio generale del Municipio, la quale deve riuscir utile per la
storia della nostra città, riferibilmente alla prima metà del secolo
corrente.
L'ill."° sig."" senatore Belinzaghi sindaco della città, da cui diret-
tamente dipende l'Archivio civico, dal cominciare del corrente anno
ha voluto affidarne a me la soprintendenza. Il personale addetto
all'Archivio generale si compone ora di nove impiegati, oltre ad
un portiere, un custode pel locale di S. Carpoforo ed un inser-
* Una delle operazioni più opportune che si stanno facendo all'Archivio di Stato è
la formazione d'un gridario completo, riducendo in uno i varj, sparsi fra i diversi Ar-
chivj in questo concentrati. Coi doppj si potranno completare le raccolte che siano di-
fettive presso altri uffizj o musei. C.
ARCHIV.T. 73
viente provvisorio : capo d' ufficio ne è il nobile Francesco Aman
de' Germani; sette altri tra applicati e diurnisti attendono al ser-
vizio delle due sezioni amministrative. La sezione storica è special-
mente affidata al prof. Gentile Pagani, il quale, essendo succeduto
fino dal maggio del 1871 al defunto dott. Giuseppe Ganz nell' in-
carico di coadjuvare gl'impiegati governativi a sceverar le carte
civiche antiche dalle regie, ne potè prendere sufficiente cognizione.
Agli amatori delle patrie memorie sarà presto facilitato e reso
comodo l'esame dei preziosi cimelj storici ivi conservati; e appena
approvate le nuove norme d'archivio che sto studiando, sarà mia
premura, signor Presidente, fargliene tener copia, affinchè Ella si
compiaccia informarne quei nostri socj che volessero approfittare
pei loro studj dei documenti posseduti dal Comune.
Coi sensi della più distinta considerazione per la S. V., ho l'o-
nore di professarmi
Stefano Labus, Assessore municip.
e) ARCHIVIO DI VIGEVANO.
Elenco dei Documenti nelV Archivio di Vigevano,
Statuti di Vigevano: tre volumi in pergamena.
1. Atti consolari o Consigli generali. . dal 1227 al 1874
2. Trattati e alleanze colla Lega L., Milano, ecc. dal 1227 al rasente
3. Dazj governativi e del Comune dal 1430 al 1474
4. Atti del Tribunale di provisione in volumi. . . dal 1434 al 1774
5. Ospedale di S. Matteo di Pavia dal 1449 al 1840
6. Podesteria di Vigevano. Compet. giurisd., ecc. dal 1460 al 1771
7. Diplomi imperiali e ducali di diritti e franchigie dal 1479 al 1 555
8. Del Vasto marchese feudatario di Vigevano . . dal 1526 al 1530
9. Atti della Banca civile di Vigevano dal 1528 al 1712
10. Atti della milizia del Comune dal 1557 al 1802
11. Atti dei Tribuni del popolo dal 1559 al 1738
12. Lanificj dal 1556 al 1575
13. Ambasciate (titoli) dal 1558 al 1702
14. Sete dal 1579 al 1761
15. Ospedale di Milano 1582
16. Podesteria di Cassolo dal 1624 al 1625
17. Guerre Gallo-Sarde contro l'Austria dal 1733 al 1859
18. Guerre Gallo-Ispane contro Austria-Sardegna dal 1743 al 1749
74 ARCHIVJ.
Scrittori patrj.
Estimo, Titoli, e Memorie di Simon Del Pozzo.
Nubilonio.
Vigevano illustrata, Sacchetti.
Chiesa di Vigevano, Brambilla.
Memorie storiche di Vigevano, Biffignandi.
De Viglevano, Gianolio.
Vigevano e suo territorio, Biffignandi.
Opuscoli diversi.
Sopra Vigevano moltissimi documenti possiede l'Archivio mila-
nese, sia come Comune dell'antico ducato, sia come feudo. Sono
curiose le opposizioni che quello faceva allorché lo Stato " per gra-
vissimi bisogni „ vedeasi costretto a darlo in feudo. Nel 1648 il
conte di Vimercado fu spedito dal governator di Milano " per la
terza volta alla cita di Vigevano ad esplorare li voti di ciascun cit-
tadino ad uno per uno ostiatim per assicurarsi se ognuno concor-
resse spontaneamente et di buona voglia all'offerta del datio della
carne in soccorso della maestà del re nostro signore, senza che
fosse suggerito e persuaso da persona di maggior autorità nella
cita per il desiderio di continuare a maneggiare le cose a loro vo-
glia 0 per altri fini... „
Il suffragio universale applicato a tasse e dazj darebbe difficil-
mente il solito sì.
V'è pure il giuramento di fedeltà che i rappresentanti* del Co-
mune di Vigevano prestarono nel 1447 all'aurea repubblica am-
brosiana, poi quello a Francesco Sforza, colla distinta delle persone.
BOLDRINI.
d) ARCHIVIO DELLA CITTÀ DI GENOVA.
Una descrizione di esso fu fatta dal signor Giuseppe Gambaro,
archivista civico, e inserita negli Atti del R. Istituto Veneto: poi
riprodotta in edizione di Genova. Vi precede la storia del magi-
strato cittadino, le sue attinenze col Governo repubblicano, e le
vicende di esso fino al 1815.
(Si continuerà.)
NOTIZIE.
¥
LA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA.
Quando la Lombardia fu aggregata al regno sardo, la Deputazione
sopra gli studj di storia patria, eletta da Carlalberto nell'aprile 1833,
estese la sua azione anche alle nuove provinole, aggregando socj
lombardi a quelli che già appartenevano alla dotta compagnia. Non
restarono quelli inoperosi, e alquanti lavori pubblicarono nella Mi-
sceìlanea storica^ edita da quella, e principalmente tutto il voi. XIII
dei Monumenta HistoricB Tatrice^ formato con documenti nostri an-
teriori al Mille. Ivi ultimamente, per cura di Dozio, Finazzi, Odorici,
Robolotti, e principalmente di Ceruti e Giulio Porro, si pubblica-
rono alquante carte nuove e si ripubblicarono anche le conosciute,
cominciando da una del 712, sia per avere insieme tutti i documenti
dell'età più oscura, sia per dare più corrette e più complete quelle
che già eransi pubblicate dal Muratori, dal Tiraboschi, dal Lupo,
dal Fumagalli, dal Rovelli e da altri.
L'amore per gli studj storici e l'importanza riconosciuta degli
archi vj avea fatto istituire altre deputazioni storiche, ed oltre
quelle governative di Bologna, di Parma, Piacenza e Modena, di
Firenze, anche di particolari se n'erano fondate, come una a Mi-
randola, una in Terra di Bari; e quella Ligure che diede già così
preziosi frutti. Doleva che altrettanto non facesse la Lombardia, e
già più volte erasi tentato costituirne qui pure una, che rinnovasse
gli esempi gloriosi della Società Palatina. L'essere stato messo alla
direzione dell'Archivio di Stato Cesare Cantù diede impulso all' im-
76
NOTIZIE.
presa, e alcuni studiosi da lui raccolti nel suo ufficio posero le
basi d'una Società Storica Lombarda.
Arrise al paese quella istituzione, e ai 43 socj fondatori ben
tosto se n'aggiunsero altri, che ora arrivano a 158: costituirono
un uffizio di presidenza, uno statuto, e si proposero due pubblica-
zioni. Una trimestrale di articoli, monografie, illustrazioni di docu-
menti 0 d'antichità, bibliografie, ed è la presente : l'altra più grave
comporrà volumi d'una Biblioteca Storica, con cronache, biografie,
documenti, statuti.
Il municipio di Milano volle attestare il suo aggradimento col
concedere stanza alla Società presso l'Archivio municipale, dove
esso tiene le adunanze.
PRESIDENZA
CANTU CESARE, Presidente.
PoBBO Giulio, Vicepresidente.
Cebuti Antonio, Segretario.
D'Adda Girolamo, Vicepresidente.
Casati Carlo, Vicesegretario.
Consiglieri :
Massarani Tullo — Belqiojoso Emilio — Borromeo Giberto
Calvi Felice.
ELENCO DEI SOCJ.
(I segnati con asterisco sono snrj fondatori.)
Annoni conte Aldo.
Annoni prevosto Carlo.
Allocchio dott. Stefano.
Arrivabene conte Giovanni.
Ascoli prof. Graziadio Isaia.
Belgiojoso conte Carlo.
*Belgiojoso conte Emilio.
Belgiojoso conte Giorgio.
■-Belinzaghi comm. Giulio.
•-••Benvenuti comm. conte Matteo.
*Beretta conte Antonio.
Bernardoni cav. Giuseppe.
Bertini comm. Giuseppe.
Besana Enrico.
Besozzi dott. Paolo.
Bottoni conte Francesco.
Bianchi nob. Giulio.
*Biondelli cav. Bernardino.
Biraghi mons. Luigi.
Bonfadini comm. Bomualdo.
Borromeo contessa Elisa.
* Borromeo conte Giberto.
Brambilla cav. Camillo.
Brasca avv. Alessandro.
Brioschi avv. Giuseppe.
CaflS dott. Michele.
NOTIZIE.
77
Gagnola nob. Carlo.
Gagnola nob. Giovanni Battista.
Gaimì cav. Antonio.
Galvi Gioogna nob. Fanny.
* Gal vi nob. Felice.
Gamperio cav. Manfredo.
Gampori marchese Giuseppe.
*Cantù oomm. Gesare.
Gantù cav. Ignazio.
Garcano comm. Giulio.
* Gasati dott. Garlo.
'■••Gasati conte Luigi Agostino.
Gasati conto Rinaldo.
Gastelbarco Albani P. Gesare.
Gastelbarco conte Alessandro.
Gastelli avv. Pompeo.
Casella bar. Federico.
Cernuschi Enrico.
* Ceruti dott. Antonio.
Cicogna conte Giampietro.
Correnti comm. Gesare.
Crivelli march. Luigi.
* D'Adda march. Garlo.
* D'Adda march. Girolamo.
Da Ponte nob. Pietro.
Delfinoni avv. Gotardo.
Del Giudice prof. Pasquale.
Fano dott. cav. Enrico.
Ferraris prof. Giovanni.
Finazzi can. Giovanni.
Formentini rag. cav. Marco.
*Fortis comm. Guglielmo.
=! Foucard cav. Cesare.
* Frasconi Giuseppe.
Frizzi dott. Lazzaro.
Galantine conte Francesco.
Gallia prof. Giuseppe.
Ghinzoni Pietro.
Ghiron cav. Isaia.
*Giovio conte Giovanni.
Giulini conte Giorgio.
Govi prof. Gilberto.
•'•Greppi conte Alessandro.
■•'■Greppi conte Giuseppe.
Greppi nob. Lorenzo.
Grossi prevosto Giuseppe.
* Imperatori avv. Giov. Battista.
-Jacini comm. Stefano.
Kramer nob. Teresa.
*Labus cav, Stefano,
*Landriani Carlo.
Lattea prof. Elia.
Lissoni cav. Andrea.
*Litta Modignani nob. Gerolamo.
Litta Modignani nob. Giulio.
Litta Modignani march. Lorenzo.
Lochis conte Ottavio.
Lossetti Mandelli nob. Gabrio.
Mariani cav. Garlo.
•*Massarani cav. Tulio.
Melzi conte Alessandro.
Melzi D'Eril conte Francesco.
Melzi D'Eril duca Lodovico.
Melzi nob. comm. Francesco.
*■ Melzi nob. Giovanni.
Melzi conte Lodovico.
Minonzio dott. Carlo.
Molina cav. Angelo.
Mongeri cav. Giuseppe.
*Morbio cav. Garlo.
Morelli Giovanni senatore.
•*Muoni cav. Damiano
Mussi dott. Giuseppe.
Negri dott. Gaetano.
Negri Luigi.
Negroni Prato nob. Giuseppina.
-••Oldofredi conte Ercole.
Olginati nob. Luigi.
Ottino Giuseppe.
Padulli nob. Gerolamo.
Pallavicino march. Giorgio.
Parravicini conte Carlo.
Peluso cav. Francesco.
Perozzi Cini contessa Rita.
Pini dott. cav. Innocenzo.
Poldi-Pezzoli nob. Giacomo.
* Ponti Ettore.
* Porro-Lambertenghi march. G. Angelo.
*■ Porro-Lambertenghi conte Giulio.
Portioli prof. Attilio.
* Pezzuole prof. Lorenzo.
Prina prof. Benedetto.
-Prinetti comm. Carlo.
■•••Pullé conte Leopoldo.
Restelli avv. comm. Francesco.
Robolotti cav. Francesco,
-Romussi avv. Carlo.
Rossi sac. Vitaliano.
Sacchi cav. Giuseppe,
•:'-Sada ing. Luigi,
78
NOTIZIE.
Sala nob. Girolamo.
«Sanseverino conte Faustino.
*• Saporiti Della Rocca mare. Apollinare.
Scaccabarozzi D'Adda nob. Laura.
*Sebregondi conte Francesco.
Seletti cav. Emilio.
Servolini comm. Carlo.
♦ Sola conte Andrea.
Sommi-Picenardi conte Guido.
Sormanì-Verri contessa Carolina.
Sormani-Andreani conte Lorenzo.
Speluzzi comm. Gaetano.
Stampa di Soncino march. Massimiliano.
Tatti ing. cav. Luigi.
Taverna contessa Francesca.
*■ Taverna conte Paolo.
■•■Taverna conte Rinaldo.
Testa ab. Carlo.
Torelli comm. Luigi.
*Trivulzio march. Giangiacomo.
Trivulzio conte Giuseppe.
* Trotti march. Lodovico.
Vignati ab. Cesare.
Vigoni nob. Giulio.
Villa-Pernice comm. Angelo.
*■ Visconti-Aimi nob. Giacomo.
Visconti Ermes Carlo.
Visconti di Modrone duca Raimondo.
Visconti- Venosta nob. Emilio.
* Visconti- Venosta nob. Giovanni.
Viviani cav. Carlo. •
Zanardelli Giuseppe.
Nei Preussische JahrhUclier, Berlino 1874, fascicoli di gennajo e
febbrajo, stanno due lunghi articoli, Alessandro Manzoni iind die
italienische EomantiJc. L'autore si mostra ben informato delle no-
stre condizioni letterarie; e a quella scuola e al suo capo rende
la giustizia che vediamo negata da ipercritici petulanti, i quali
credono il giudizio, l'intelligenza, il patriotismo cominciassero sol-
tanto nel 1859. Il Tedesco riconosce che il romanticismo italiano
aveva tre intenti: la riforma letteraria, il sentimento religioso, la
redenzione patria.
Lo storico Guizot ha 89 anni. Dalla sua campagna di Val Richer
tornato a Parigi a passare l'inverno, rue Billot n. 10, diceva a un
nostro e suo amico : " Sto bene : né gli occhi né le orecchie perdet-
tero vigore. Se non che, quand' ho lavorato molto, sento qualche
stanchezza. Quest'anno finirò la Storia di Francia ; l'anno venturo
comincierò il Compendio della storia universale „ .
Imparate, o giovani.
È morto in fresca età Carlo Hopf (1833-73), che in Italia ebbe
molti amici e fece molti studj, massime per illustrare la domi-
nazione veneziana e genovese in Grecia: descrisse il ducato di
Atene, le signorie di Karistos e Andros, e Santa Maura, oltre la
NOTIZIE. 79
vita di Carlo d'Anjou; e nella storia della Grecia dal principio
del medioevo sino a noi, inserita nella grande Enciclopedia di
Ersch e Grauber, riuscì faticosamente a dare la serie dei dinasti
francesi e italiani, de' duchi di Candia, dei governatori e balii
veneziani, de' Grimaldi, de' Giustiniani di Scio. Or preparava gli
atti degli Zaccaria di Focea, dei Gattilusio di Lesbos, dei Crispi
di Nasso, e d'altri dinasti italo-greci: al che miravano Les Chro-
niques grecs-romaines inédites oupeu conmies, che pubblicò a Ber-
lino l'anno passato.
La Cronaca del padre Antonio Cambruzzi divenne celebre perchè
vi si trova menzionato che, verso il 1456, fioriva in Feltre Panfilo
Castaldi, dottore e poeta, " quale ritrovò l'inventione della stampa
de' libri: dal quale havendola appresa Fausto Comesburgo, che
abitava in Feltre nella di lui casa per imparare l'idioma italiano,
la trasportò in Germania, ecc. „ Sebbene le cronache contempora-
nee non facciano verun cenno di ciò, anzi tutte concordemente
dicano quest'arte portataci dalla Germania, si volle ingloriarne il
Feltrino, di modo che si taccierebbe di leso onor nazionale chi ne
dubitasse.
Che che ne sia, la storia del padre Cambruzzi, stimata e adope-
rata dal Muratori e dal Verri, rimase inedita, finché ora il Munici-
pio e i cittadini di Feltre risolsero stamparla, e la vollero dedicare
a Ce'sare Cantù.
Il E. Istituto Lombardo di scienze e lettere aveva posto a con-
corso Studj critici e documentati sugli statuti dei Comuni e delle
Corporazioni nélV Italia superiore e nelle regioni finitime. Il tempo
^prefisso scadeva col febbrajo ora passato. Due elaborati furono pre-
senta ti, che ora sono all'esame d'una Commissione.
La R. Accademia delle Scienze di Torino ha messo a concorso
[questa tema:
Dato uno sguardo complessivo allo stato della Filosofìa in Italia
lei tre primi decennj del corrente secolo, esporre ed esaminare la
^losofia di Antonio Bosmini, considerandola nelle sue relazioni coi
ìistemi deir antichità classica e del medioevo, e tenendo conto delle
liscussioni a cui diede occasione fra i contemporanei.
80 NOTIZIE.
I lavori dovranno essere presentati non più tardi del 31 dicem-
bre del 1875, in lingua italiana, latina o francese, manoscritti,
senza nome d'autore. Al migliore L. 2000.
La Commissione milanese pel premio Ravizza non trovò degne
di premio le due memorie presentate : e ripropose il tema stesso,
formolandolo più semplicemente così:
Come si vengano svolgendo nello spirito umano il sentimento del
hello e quello del buono.
I lavori si presenteranno a tutto luglio 1875, e al migliore toc-
cheranno L. 1500.
m^
BIBLIOGRAFIA
Frima Relazione Triennale della Direzione deW Archivio di Stato
in Torino negli anni 1871-72-73.
L'indirizzo dato allo studio della storia, poco più d'un secolo fa, dal
luminoso esempio di Muratori, Giulini, Sassi, Oltrocchi, illuminò i
dotti sulla vera natura e missione degli Archivj, i quali, anziché un af-
fastellamento di carte neglette e talvolta deperenti, sono la fonte più
ricca e la guida più sicura dell'investigazione del passato, nei quali
ha propria sede la storia inedita del proprio paese. Sagge cure furono
quindi volte a rendere quei depositi più conformi al loro vero scopo e
più accessibili allo studio; a guarentirli contro l'abuso, e così eliminare
il sospetto e la diffidenza d'un tempo fra archivisti e studiosi; ad ordi-
narli in quel metodo scientifico e razionale, che agevoli le investigazioni
già per se laboriose e difficili, senza che perciò essi desistano dall'essere
in pari tempo un sussidio delle diverse amministrazioni dello Stato. A
Torino, Napoli, Palermo, Firenze, Milano, Venezia^ ove conservansi
inestimabili tesori, talvolta riputati incresciosi ingombri e sinanco ma-
teria di traffico, non meno che nei minori centri provinciali, ferve questo
studio ordinatore, e ne son prova le relazioni e i regesti di quando in
quando pubblicati, che pongono in mano allo studioso le fila della sua
tela.
Notizie preziose sull'Archivio di Stato in Torino ci fornisce ora quel
direttore capo, commendatore Nicomede Bianchi, a cui i gravi lavori
d'ufficio non sono guari d'inciampo nell' arricchire l'Italia di pregiate
pubblicazioni storiche, mercè la sua Prima Relazione Triennale, Quel-
l'Archivio, nella massima parte dei documenti custoditi, distinti in cinque
sezioni, rappresenta complessivamente l'Archivio generale del Regno
Ardi. Star. Lonib. — An. I. ♦>
82 BIBLIOGRAFIA.
di Sardegna e della R. Casa di Savoja fin dal principio del VII se-
colo, a cui negli ultimi tempi s'aggiunsero gli atti governativi del nuovo
regno italiano, ed è costituito da nove archivj parziali, ^ dipendenti
da un'unica direzione superiore. Nel suo ordinamento si conservò l'an-
tico concetto e le tradizioni in corso, perchè le innovazioni inconsulte
non fossero d'ostacolo al progresso dell'immenso lavoro, tanto più che
per gli Archivj di Corte e di Stato della Casa di Savoja l'attenersi
all'antico ordinamento era imperiosamente richiesto dalle condizioni
particolari in cui essi furono costituiti, ed in cui continuarono la loro
esistenza secolare , essendo esso determinato dal carattere delle sin-
gole carte, classificate a norma del loro contenuto. Ogni sezione ha un
capo speciale, che veglia e dirige le operazioni del campo a lui af-
fidato , e rende conto bimestrale dell' avanzamento ivi avveratosi al
direttore capo. Gran parte di quel vasto lavorio di ordinamento, clas-
sificazione e redazione d'inventarj e registri, è inoltrata, e se non
prossimo ne sarà il compimento, esso però grado a grado s'avvicina;
ne farà ai dotti meraviglia, se un tale compito, intralciato dalle quo-
tidiane richieste dei privati e delle pubbliche amministrazioni, e a cui
non basta un'intera generazione, procede con una apparente lentezza,
voluta dalla sua stessa natura, e dalle difficoltà che sovente incontransi
nel classificare e porre in assetto: compito difficile e diuturno, con-
dotto in mezzo ad un'immensa farragine di carte di carattere dispa-
ratissimo e di classificazione sovente incerta e dubbiosa , che richiede
non tanto la scienza storica e paleografica, quanto una cognizione non
comune del ramo scientifico ed amministrativo, ^ di cui si maneggiano
i documenti, sia nell'ordine finanziario ed economico, sia nel legislativo
e nello storico.
La Relazione c'informa altresì dell'istituzione della scuola di paleo-
grafia ritentata nel 1871, e del Museo storico aperto nel novembre 1873,
rappresentante per sommi gruppi dei documenti più celebri e rari per
pregio, un intero archivio, che co' suoi atti pubblici, i manoscritti e gli
autografi abbraccia il corso di otto secoli, e presenta la storia di Casa
Savoja sotto varj aspetti e molteplici fasi, sotto cui essa si venne ma-
nifestando: lo scopo di questa istituzione, secondo i savj intendimenti
' Un desiderio nasce in chi percorre quell'interessante Relazione, quello cioè d'una
più dettagliata indicazione dei varj elementi che costituiscono quell'Archivio, special-
mente gli anteriori al secolo XIV. L'autore ci promette pel venturo 1875 una relazione
sugli archivj subalpini, che darà, sembra, più larghe notizie dei loro riposti tesori.
' L'Archivio ha una biblioteca propria, per uso e sussidio degli impiegati. Ogni opera
nuova acquistata o donata, è fatta loro conoscere, depositandola per turno presso i di-
rettori delle sezioni per alcuni giorni. Ottimo esempio a taluni bibliotccarj.
n
BIBLIOGRAFIA. 83
del signor Bianchi, è di ricordare ai visitatori colti e studiosi molti
fatti degni di nota e di meditazione, e mantenere nella dovuta ono-
ranza il nome da antico tempo italianamente grande di Casa Savoja, sola
superstite per senno e fortuna propria nella rovina di tante dinastie e
tanti Stati.
I cultori delle discipline storiche debbono saper sommo grado al si-
gnor Bianchi per averci egli nel suo libro di breve mole ma fecondo
di ottimi insegnamenti e di retti principj amministrativi schietta-
mente professati, ^ fornito notizie, sul contenuto nell'Archivio di Stato
torinese, e della via di savio ordinamento in cui questo s'è posto; e
d'aver dato un prezioso manuale per gli archivisti, che tracci loro le
regole più opportune nel disimpegno esatto del servizio a cui sono
dedicati, tanto per ciò che riguarda la scienza, quanto l'Amministra-
zione dello Stato. Al signor direttore N. Bianchi poi sia prezioso com-
penso della sua illuminata attività il plauso dei dotti, e la stessa in-
tima persuasione di rendere alla patria mercè di essa un servigio, che,
compito nel segreto delle pareti d'ufficio, è tanto più commendevole
quanto meno palese ed appariscente; a lui auguriamo, più che l'uffi-
ciale, tutta la gratitudine (virtù rara) che gli deve la scienza; questa
non manca mai al merito, quella è per lo più riserbata all'intrigo.
A. C.
Gargantini Giuseppe, Cronologia di Milano dalla sua fondazione
fino ai nostri giorni. Milano, 1874; in-16, di pag. 360.
Milano in questi ultimi tempi ebbe una quantità di storie generali o
parziali, di cui già una parte annunziammo (pag. 5 e seg.).
Or ecco una cronologia, dove, colla concisione dicevole a siffatti la-
vori, sono disposti tutti gli avvenimenti, dai piti antichi tempi fino alla
morte di Gabrio Casati, cioè, alla fine del 73. Non è dunque un libro
da leggere ma da consultare, e libri tali traggono ogni loro merito
dall'esattezza. Molte diligenze vi pose per certo l'autore: i severi po-
tranno desiderarne di maggiori. Onde ajutarlo pel caso d'una ristampa,
noi indicheremo che, nelle primissime pagine, si dà Milano fondata o
ristaurata da Belloveso. Non è dunque questo il suo principio, e vor-
rebbe sapersi da chi costrutta e come distrutta, se dopo fu restau-
' Scelgo, a oagion d'esempio, fra cento : « Non è accettata la massima che tutto ciò
che sta negli Archivj dì Stato debba essere pubblico, e per conseguenza di libero uso
dei cittadini, sia per servire ai loro interessi personali, sia per essere adoperato a fini
scientifici o letterarj... Circa l'uso delle carte di proprietà dello Stato vi sono limiti
altamente reclamati dai superiori interessi del paese e da quella severa ed imparziale
tutela, che il Governo ha il dovere di esercitare sulla universale comunanza dei <jit-
tadini. »
84 BIBLIOGRAFIA.
rata. Dal 623 a. C. si salta al 222: quattro secoli muti: poi al 48, la-
sciando via anche la pretura di Bruto.
Se al 52 d. C. è accettato san Barnaba come fondatore della Clhiesa
milanese, e i successori suoi, persino col nome di loro famiglia (come
san Protaso Alciati, san Simpliciano Soresini, Dionigi Marliani), non si
poteva poi mostrar dubbj sulle reliquie di sant'Ambrogio u. che si cre-
dono deposte nella sua basilica, e si vogliono scoperte 1467 anni dopo «•
Kon è esatto il dire che Attila a devastò Milano, per cui cessa per
molti secoli d'esser sede d' imperatori w . Non fu mai più sede d'impe-
ratori. È tanto meno esatto che a tra le leggi istituite da Carlomagno
eranvi i giudizj di Dio v .
Portando il libro la data del 1874, non si può dire che l'ospizio di
Dateo fosse « nelle vicinanze dell'attuale teatro Re r, sebbene si sog-
giunga tt che sta per essere demolito v.
Al 605, invece di S. Maria al Cerchio s'ha forse a leggere Maddalena.
Sono veramente del 1216 i primi statuti regolari della città e ter-
ritorio ?
Al 1179 tt sì dà principio allo scavo di un canale detto il Tesinello r.
Bastano queste parole a indicare una delle più ardite e più utili im-
prese de' nostri padri?
Questa ricerca di piccoli sbagli, che potrebbe farsi massime nelle la-
tine citazioni, frivola e nojosa per una critica, sarebbe utilissima se
qualche amico la facesse ad uso dell'autore.
Lavori simili sarebbero a compirsi specialmente in Archivj , dove
abbonderebbero fatti, ignoti d'altronde. Prendo a caso l'anno 1493, e
vi leggo solo un decreto che u die il primo esempio d'espropriazione
forzata per- utilità w (non pubblica ma privata).
E a proposito mi cade sott'occhio un lavoro di eguale pazienza, il Ca-
lendario Storico Tipografico, dove Bernardo Centenari pose sotto cia-
scun giorno dell'anno un fatto relativo all'arte tipografica. Si inorridisce
leggendo, che nel 1628 le regie patenti a Torino proibivano di stam-
pare senza licenza del gran cancelliere, e senza il. nome, cognome e
patria dell'autore, sotto pena della^vita. Ma noi non vogliamo cercare
le curiosità di questo libro, bensì additarlo al signor Gargantini come
quello ove troverà altri fatti relativi alla storia milanese. Tali le edi-
zioni del Zarotto, del Valdarfer, che aveva per correttore Lodovico
Garbo, della società Vespolato, Paravicino, Marliano, che stampò an-
che un Dante coi commenti; dello Scinzenzeler, e di tanti altri che fe-
cero lavorare i torchi in questa città. Nel 1476 Dionigi da Paravisino
stampò il primo libro in greco, che fu la grammatica di Costantino
Lascaris, ristampata poi da Aldo nel 1494.
BIBLIOGRAFIA. 85
E all'uno e all'altro molti altri fatti avrebbero potuto offrire gli
archi vj nostri. Stendo a caso la mano al volume 61 dei registri ducali
col titolo di Immunità' Grazie^ e trascrivo :
Dux Med. etc. Non possumus non vehementer eorum diligentiam
et studium commendare, qui, cum sibi solum frugi esse possent, non con-
tenti privato commodo tum maxime boni consuluisse sibi existimarunt
si multos opera sua iuvaverint, et quod in paucorum notionem fuit, id ut
omnibus innotescere possit effecerint. Nam inter omnes homines ij ma-
xime bonitate prestare nobis videntur, mererique ut, sicuti in iuvandis
alijs eorum studium versatur, ita a nobis ipsi quoque opem ferant, ne
dum prodesse alijs cupiunt, sibi ipsi obsint. Itaque, cum nobis significa-
verit presbiter Franciscus Tantius se librum quem de homine Galeo-
tus Narniensis olim dictavit, cum quibusdam alijs Galeoti ipsius, et
Georgij Morule, rarissime doctrine viri, annotationibus, imprimi ea ra-
tione curasse, ut in publicum' dari cunctis possint, sed vereri ne idem
ab alio, aut invidia, aut ledendi prava consuetudine, imprimatur; id
quod ei, propter expensam factam , dispendiosum esset , petieritque
propterea, ut per litteras id a nomine in dominio nostro imprimi per
octo annos posse, nec alibi impressum in eo venumdari caveremus, dignum
duximus cui morem gereremus. Per has igitur nostras decernimus non
subditis tantum nostris, sed ne alienigenis quidem^ licere intra octavum
annum ea volumina in dicione nostra imprimenda curare, aut alibi
impressa in eum (sic) ferro ac venundare, sub poena duorum nummum
aureorum prò quolibet volumirie quod reperiri contingerit, inter cameram
nostram et ipsum presbiterum Franciscum et accusatorem dividendorum :
mandantes quibuscumque officialibus et subditis nostris presentibus et
futuris, ut presentes literas observent et faciant firmiter observari.
Viglevani, 24 decembsis 1493.
B. e. ^
Questo Galeotto Marzio era uno dei tanti ringhiosi letterati di allora :
avendo pubblicato un libro De homine^ ove descrive il corpo umano,
acerba censura ne fece Giorgio Morula, tacciandolo di non sapere
ne il latino, ne l'anatomia, e d'essere un arrogante che voleva tentare
ogni materia, che censurava il Filelfo come se Tersite provocasse
Ettore. Il Galeotto gli rese pan per focaccia nella Befutatio objectorum.
Poiché sono preziose tutte le memorie relative ai primordj della
stampa nostra, dal volume stesso caviamo quest'altra carta:
Dux Mediolani etc. Cum nonnunquam ea quo, dijs auctoribus, tem-
porum benignitate et hominum industria buie seculo ad summam eius
• Bartolomeo Cale
86 BIBLIOGRAFIA.
laudem et utilitatem comparata et concessa munera sunt, animadver-
timus ac expendimus, nimium profecto nos, cum dijs primum, tum etiam
ijs quorum studium in ea re versatum est, ut, alicuius rei repertores^
de se benemeritam etatem suam redderent, debere omnes putamus :
quod, si equi verique fautores esse volumus, minime negare possumus^
et omnium fere rerum artes egregias, et liberalium disciplinarum studia^
librorumque greco latineque copiam, qua sino commode vacare bonis
artibus non licet, ab ijs eo deductas ut, quemadmodum preterita tem-
pora haud cum bis conferri queunt, ita futura cessura videantur, nos-
que in primis ijs minime deesse prò virili nostra debere ducimus, ut
que ad commune commodum excogitata sunt, feliciter cedant. Itaque
cum in clarissima urbe nostra Mediolano, preter alia, grecarum lite-
rarum studia maxime vigeant, quod, ut ab Grecis omnium fere scien-
tiarum initia fuerunt, ita ad verara latine eruditionis consumationem
absque earum cognitione accessum non patere videatur, ac huius rei
gratia D. Demetrius Chalcondides, vir in ea scientia rarissimus, Bar-
tholomeus Eozonus, Vincentius Aliprandus et Bartholomeus Squassus,
scribe nostri, libros greco ac latine scriptos imprimendos curaverint, nc-
qui fructus, e greca disciplina, penuria librorum desideraretur, sed ve-
reantur ne aliquando id eis obesset, si ab alio id imprimi curaretur,
non tam bene agendi quam eos offendendi, ut est hominum corrupta
impudentia, cupidine, ac petierint a nobis, ut caverò per literas vellemus^
ne intra decennium in dominio nostro ea volumina, que ab eis impressa
sunt, imprimi liceat : perhonestam eorum petitionem duximus, dignos-
que existimavimus quibus facillime a nobis id concederetur. Itaque
per has nostras edicimus, nomini licere in dominio nostro herotemata a
D. Demetrio predicto et Moscopulo composita cum diversitate lingua-
rum grecarum Tertuliani apologeticum imprimi facere, aut alibi im-
presso (sic) in eum (sic) inferro, sub pena ducatorum decem prò singulo
volumine, inter cameram nostram, et huius rei repertorem ac delatorem
dividendorum, et voluminum que reperientur amissione. Mandantes pre-
terea quibuscumque officialibus et subditis nostris, ut has nostras ob-
servent et faciant inviolabiliter observari.
Dat. Viglevani die 11 februarij, 1494.
B. C.
Chi dicesse che abbiamo voluto fare gratuito sfoggio di erudizione
a proposito d'opera che non la comportava, gli daremo ragione, e non
ci convertiremo. E diremo che al 1490 poteva annotarsi Girolamo Vi-
sconti, di cui quell'anno si stampò postumo un libro de Lamiis: dove
nella prima parte tratta se le streghe veramente e non fantasticamente
0 in apparenza vadano alla tregenda: e sostiene esser meri prestigi
BIBLIOGRAFIA. 87
del demonio, che illudono la mente di esse; nella seconda, Se le stre-
ghe ahhiansi a giudicare eretiche^ e ancor qui sta per il no: buon
senso da valutarsi in queir universalità del pregiudizio ; e quando appunto
Francesco Sforza faceva esaminare se le streghe, condannate dal Foro
ecclesiastico, dovessero punirsi dai giudici secolari. A questo Visconti
nel 1448 avevano assegnato la cattedra di logica i difensori dell'aurea
libertà ambrosiana.
Con diligenza e molte particolarità, sono divisati dal Gargantini, tempi
dopo il 1796, e fino la pubblicazione dei Lombardi Crociati, dei Pro-
messi Sposi, la morte di tanti illustri, le varie costruzioni, demolizioni,
restaurazioni. Nel 1804, fra le glorie napoleoniche potea trovar luogo
la fondazione del Pio Istituto Tipografico, che prospera ancora, scevro
dalle ebbrezze che guastano le società operaje.
Se nel 1833 è indicato l'arresto di C. Cantù, perchè non anche degli
altri implicati in quel processo? Ben così ha fatto l'autore nell'arresto
del 48.
Meritava d'esser ricordata la stupenda eclissi del 42.
Il Gargantini si rallegra che ora è a libero l'accesso agli Archivj, i
tesori dei quali erano tenuti gelosamente nascosti dai Governi dispotici
e nemici d'ogni sapere vi .
Ma il Giulini, il Corio^ il Lattuada, il Torri, il Morigia, il Muratori, il
Fumagalli, il Cantù, il Rosmini, che sono gli autori ai quali egli pro-
fessa appoggiarsi , scrissero appunto sotto que' despoti nemici d'ogni
sapere.
Il liberalismo d'uno storico consiste nel voler dire la verità, e la sola
verità.
Corradi Alfonso, Beilo studio e déW insegnamento delV anatomia in
Italia. Milano, 1873.
Con buoni documenti il Corradi dimostra che l'anatomia in Italia
praticavasi fin dal secolo XIII, giacche Federico II nel 1241 proi-
biva d'ammettere alla pratica verun chirurgo se non dimostri d'avere
studiato un anno anatomia sui corpi umani , et sit in ea parte medi-
cince perfectus, sine qua nec incisiones saluhriter fieri potuerunt, nec factce
curari. I nostri precorsero dunque di alcuni secoli nell'esercizio dell'a-
natomia le straniere nazioni, e già questo basterebbe a smentire quel
tanto ripetuto detto che la Chiesa lo proibisse. Tutti, fino"^ ai più mo-
derni, lo van asserendo, eppure nessuno potè addurre alcun decreto ge-
nerale: quello di Bonifazio Vili, quo scelestos excoquere et preparare
vetavit, concerne l'uso che allora si aveva di cuocere i cadaveri, non
sapendo altrimenti conservarli, e cosi averne le ossa spolpate. Fra gli
88 . BIBLIOGRAFIA.
arredi che portavano seco grimperatori di Germania quando venivano
in Italia era una pentola appunto per tal uso, e quanti vi dovettero
finire !
Ferrario Emilio, Memorie storiche di Fosdinovo. Sarzana, 1873.
È una terra dai vescovi di Luni infeudata ai nobili di Erberia, da
quali passò ai Malaspina, che la tennero fino al 1815.
Giornale Ligustico di Archeologia^ Storia, Belle arti.
La Società Ligure di storia patria^ benemerita per preziose pubbli-
cazioni, ora vuole aver per organo questo giornale^ aggiungendovi no-
tizia di quanto si fa nell'Archivio di Stato e dalla Consulta di belle
arti. Nel primo fascicolo è importante la dissertazione sul Cristo, di-
pinto da Guglielmo nel 1138, ed esistente nel duomo di Sarzana.
Bernardi Jacopo, Sul quinto centenario della morte di F. Petrarca.
Venezia, 1874.
L'instancabile monsignor Jacopo Bernardi diresse questa lettera al
Cantù, per incitarlo a scrivere una completa monografia del Petrarca,
in occasione del suo centenario che si celebrerà ad Arezzo:
tt È da lunghi anni che io vo' ripetendo che niun nome si presta
cosi a raccogliere intorno a se la storia dei suoi tempi come quello di
Francesco Petrarca, e la messe abbondantissima a farlo è data dal
tesoro delle sue epistole, opera veramente monumentale, cui ha illustrato
con lunga ed amorevole fatica, ben degna della riconoscenza dei po-
steri, il chiarissimo Fracassetti. E voi che scriveste con tanta am-
piezza di concetti e luce d'uomini e cose del Parini e dei tempi suoi,
non potreste per tale solenne circostanza accingervi ad un lavoro d'in-
dole somigliante per il Petrarca ? Mentre io vi parlo di tal guisa, la vostra
mente fecondissima e le cognizioni infinite, di che l'arricchiste, vi spie-
gano innanzi la gran tela e stupenda che a tessere vi si porgerebbe,
pigliando, se mi concedete siffatta maniera di esprimermi, fra mani
la vita di questo tenacissimo amico della sua patria, infaticabile scrit-
tore, indefesso consigliere e operatore di concordia e di pace. Notate
di più che le nostre condizioni presenti, paragonate a quelle in che
fioriva il cantore di Laura, de' Colonna, e di Rierizi, vi porgerebbero
pagine eloquentissime a dettare, tenendovi lontano da ogni irritazione
di parte con quel senno che voi sapete v.
Ma nel seguito della lettera viene a mostrare superflua la fatica del
Cantù, ove pur l'assumesse, giacche si sta preparando un lavoro di molti
^ X
BIBLIOGRAFIA. * 89
Italiani, ciascuno dei quali illustrerà alcuna parte della vita e delle opere
dell'illustre Aretino. Per esempio, il Cantù vi tratterà dell' indipendenza
italiana, com'essa fu veduta chiaramente dal poeta; della sua stirpe il
Passerini, della Laura la Fusinato, dei Colonna suoi protettori Oreste
Raggi, ecc. A quanto poi espone il chiarissimo Bernardi, aggiungiamo
che il triestino signor Attilio Ortis lavora indefessamente ad un'edi-
zione delle opere latine del Petrarca, paragonandole coi ipanoscritti ,
e con ciò prendendo occasione di emendare i moltissimi errori e supplire
le molte lacune che si trovano nelle stampe, e che non furono cono-
sciute neppure dal Fracassetti.
Le acque del territorio di Milano e Bergamo. Memorie storiche del-
l'avv. Giuseppe Maria Bonomi.
Non è che un breve discorso, desunto, per la parte milanese, dal-
l'importante opera del Bruschetti, mentre per la bergamasca dà buone
notizie.
Egli dice che della Lega lombarda u il primo giuramento seguì in
Pontida il 7 aprile 1167 v. Noi non ci accostiamo all'opinione del Vi-
gnati, che terrebbe ogni appoggio a quella tradizionale gloria di Pon-
tida, ma è certo che accordi e giuramenti eransi fatti dapprima: e forse
a Pontida avvenne il convegno finale de' collegati, e di là mossero a ri-
fabbricare Milano, guidati da fra Jacobo, che forse era di quel con-
vento.
A Bergamo la principale roggia, come dicesi a Milano, o seriola,
come dicesi nel Bergamasco, è del principio del secolo XIII, e forse
della fine del XII; di prati irrigui nel Comune di Stozzano si parla
in documenti del 1233: poi la Morlana contribuì tanto all'incremento
dell'industria in città e ne' contorni. Oltre il Serio, si estrassero acque
dal Brembo, altre dall' Oglio; altre si dedussero da alvei sotterranei,
massime nel territorio di Morengo.
Tuzzi GiovANNNi, Della battaglia diMelegnano 13 e 14 settembre 1515^
e del monumento di un prode bergamasco a S. Zeno in Venezia.
È un articolo sulla Provincia, gazzetta di Bergamo, 27 settembre 1873,
ove si prova che coi Francesi furono partecipi della vittoria i Veneziani.
Cinquanta prodi veneti coU'Alviano fecero impeto contro gli Svizzeri;
e fra essi Pellegrino Baselli Grilli, che è il prode bergamasco accennato
nel titolo.
90 ' BlBTJOGRAi^IÀi
Tebaldo Brusato. Brano di storia del secolo XF, di Francesco
Bettoni. Brescia, 1874; in-8, di pag. 400.
Cesare Cantìi aveva tentato, n^W Ezelino da Romano^ di dare alla
storia più esatta l'interesse di romanzo, mediante le particolarità che
si trovano nei cronisti, e che gli storici, massime della scuola antica,
negligono ; e quelle che si connettono agli attori del racconto, ai luoghi,
ai costumi, alle persone del tempo. Pare a questo fine stesso dirigersi il
signor Bettoni, che in Tebaldo Brusato ci presentò la situazione mo-
rale e politica di Brescia alla morte del più famoso fra' suoi vescovi,
Berardo Maggi. Vi pose per epigrafe un motto di esso Cantù: u Del
medioevo nulla si ha a ribramare, nulla forse a imitare, ma molto
ad imparare w.
I fatti storici sono collegati da un romanzo di amori fra due di fa-
zione opposta, come succedette in Romeo e Giulietta, in Imelda dei
Lambertazzi, nel Buondelmonte, in tanti altri fatti o veri o finti.
CoNESTABiLE GIANCARLO, Sovra due dischi di bronco antico italici, e
sovra Varte ornamentale primitiva in Italia e in altre parti di
Europa. Torino, 1874; in-4'', con tavole.
Chiamo l'attenzione degli eruditi su questo lavoro, sebbene non affatto
negli intenti di questo giornale, perchè (lasciando a parte la ricchissima
e sicura erudizione dell'autore) vi trovo e fatti e autorità relative ai
tempi che dicono antistorici, e precisamente all'età del rame, alla quale
il Conestabile crede contemporaneo l'uso del ferro, che trova spessis-
simo presente e mescolato all'altro metallo ne' lavori industriali e arti-
stici : dal che deduce che il periodo del ferro cominciò nella penisola no-
stra ben prima che nel Settentrione. Al qual proposito discute un cu-
rioso passo di Aristotele, ove si asserisce che nell'isola d' Elba scavavasi
dapprima il rame, e quello serviva a tutti gli usi ; sol dopo molto tempo
vi cominciò la produzione del ferro.
Inoltre l'autore coghe l'occasione di tornare sulla quistione, se Fenici
0 Etruschi fossero quelli che le arti introdussero nella Scandinavia,
e vi lasciarono tanti ornamenti e monete antichissime fin d'Egina,
studio ora di «quei dotti: come di là trasportarono l'ambra; e quali
vie fossero aperte nel continente europeo per tali comunicazioni. Ed
erano probabilmente, riguardo all'Italia, l'una per le Alpi Pennino,
l'Elvezia, il Reno^ l'Hannover, fin verso il Weser e l' imboccatura del-
l'Elba; l'altra per la Stiria, Vienna, la Slesia, verso le bocche della Vi-
stola 0 il Brandeburgo riuscendo nella Pomerania a sinistra dell'Odor
e a Rugen, ove dovea sboccare un'altra strada, che da Val di Po e
BIBtlOGRA^lA. 91
dall'Adige pel Brennero e la Baviera veniva da Halle. Qui nasce la di-
sputa suir Eridano, che Erodoto pone verso il Baltico, e forse confonde
col Po, dove non si raccoglieva già l'elettro, ma vi si deponeva quello
recato dalla Vistola, dall' Eider o dal Jutland.
Però l'ambra, su cui si fa principale appoggio alle congetture sulle
comunicazioni, trovasi non solo in Sicilia, ma nella pineta di Ravenna,
negli strati subapennini del Bolognese e nelle sabbie del Po, donde
poteano esser tratti i pezzi che ora si scavano dalle tombe etrusche e
dalle terramare, per quanto lo neghi il Virchow nel ragguaglio sul-
l'italica craniologia ed etnologia. (Berlin-Gesellschaft filr Anthropologie ^
Etimologie und TJrgeschichte.)
Il Conestabile tende, come in altri lavori, a diminuire l'importanza
commerciale de' Fenici e crescer quella degli Etruschi, che, forse con-
tinuando l'opera di Italioti più antichi, somministravano l'ambra alla
Grecia, che in tanto pregio l'aveva.
G. B. Cadorin, Bella guerra di Chioggia, tra Genovesi e Veneziani^
lettera d'un Genovese scritta in Budna adi 16 fevrer 1380. Vene-
zia, 1874.
Questi scudi ce ne fanno ricordare uno moderno e famoso. Nella
celebre battaglia di Chioggia, l'agosto 1370, i Veneziani considerarono
come bellissimo trofeo di loro vittoria lo scudo di Pietro Boria ^ e il
doge Andrea Contarini ottenne fosse riposto nella sua casa. Era di
cuojo effigiato, di centimetri 80 sopra 68,* e fu sempre tenuto in gran
pregio. Nell'assassinio della repubblica di Venezia, fatto da quelli che
allora si chiamavano democratici e liberali, fu gettato, con altri ricordi
della conculcata patria, sulla soffitta della casa Contarini, e il ferra-
vecchio che ne fece la stima lo valutò lire 4 venete. Uno dei Contarini,
quando volle ricuperarlo, dovette sostenere una lite, per la quale pagò
ai suoi avvocati una volta lire 1500, l'altra 800; alfine venne ad una
transazione, per cui al pretendente sborsò lire 1200.
Passò poi per eredità a una donna, che lo portò in casa del Piccoli,
il quale esibì di venderlo al Municipio.
a Dopo lunghe e ripetute pratiche, il signor Piccoli ritrovò finalmente
nel conte Alessandro Marcello, in allora podestà di Venezia, l'uomo
che, forte del patrio decoro, gli offri una somma in relazione al valore
storico ed in uno artistico dello scudo. Senonchè il Marcello, lasciato
di repente l'ufficio, l'affare venne posto di nuovo in dimenticatojo. Ne
più lodevole risultato ottennero le pratiche riprese sotto il sindacato
del principe Giovanelli e dell'attuale sindaco Fornoni, presso il quale
lo scudo ebbesi anzi formale verdetto di recezione da parte del Co-
92 BIBLIOGRAFIA.
mune. Erano le cose in questo modo quando, giunto a Venezia M. De-
lange di Parigi e udito a discorrere su tale soggetto, egli l'acquistava
al primo vederlo , pagandone l' importo chiestogli dal proprietario di
lire 3000. Lo scudo del Doria trasportato a Parigi venne non ha guari
venduto per l'ingente somma di lire 25,000. Così Venezia perdeva un ri-
cordo di una delle più grandi epoche della sua storia, gelosamente costu-
dito in essa per quasi cinquecento anni. Cosi Venezia va tuttogiorno de-
pauperandosi di quanto ha di migliore nelle testimonianze della sua
passata grandezza, per spilorceria di chi dirige il nostro museo, per
quella trascuratezza in cui sono tenute fra noi le memorie del pas-
sato. Se ne fanno belli all' invece gli stranieri; perocché dicono certi
attaccati alla greppia del denaro pubblico, che oggi, rotte le barriere,
siamo tutti fratelli in Italia, e che certe memorie non monta il conser-
varle. Fra tanti sacrificj imposti all'ora della guerra di Chioggia da
Veneziani, agli ori, agli argenti donati alla patria , all'incessante vigi-
lare armati alla sua custodia^ l'offrire se stessi e i proprj figliuoli, le
proprie case, le proprie navi (sic) ; in pochi giorni furono versati nella
pubblica cassa oltre sei milioni di lire, ingentissima somma relativa a
quei tempi. E lo storico Bonifacio aggiunge, che alle donne non ri-
mase dei loro ornamenti d'oro che la vet^a, simbolo del loro matrimonio.
Tanti furono gli atti d'eroismo, tanta la annegazione dimostrata, che
a premio condegno trenta famiglie furono aggregate a quella nobiltà,
alla quale agognavano perfino di appartenere i monarchi più potenti r.
Un altro storico ricorda che « addì 3 settembre vennero lettere a
Venetia dalle quali s'intese che i pregioni venetiani licenziati da Ge-
nova, s^approssimavano, onde la Signoria fece subito rilasciare il resto
dei pregioni genovesi. Et quello stesso giorno i Genovesi fecero rila-
sciare l' altra metà dei pregioni venetiani che erano nelle loro prigioni,
e tutte le due parti tornarono a salvamento. Et fu in questa liberation
usata una gran magnificentia e fatto un ufficio di molta pietà in Ve-
nezia, che molte donne venetiane insieme unite fecero una grossa ri-
colta di dinaro, e comperarono una grossa quantità di gonnelle, mantelli,
capucce, scarpe, calze ed altri vestimenti, scompartendoli tra prigioni
genovesi secondo il bisogno di ciascuno, dando anche dinari per spese
a ciascuno che vi avevano una grande necessitade ^.
Ciò leggiamo nelle copiose note all' opuscolo di cui riferimmo il ti-
tolo, ed è uno dei tanti documenti, che, principalmente nel Veneto,
si stampano per occasione, e che distribuiti solo agli amici, non gio-
vano agli studiosi, e rimangono dimenticati. Almeno gli editori aves-
sero cura di farli conoscere ai giornali che, come il nostro, n© ten-
gono ricordo.
BIBLIOGRAFIA. 93
Alianelli Nicola, Delle consuetudini e degli statuti municipali
nelle Provincie napoletane. Napoli, 1873.
Sul punto cosi controverso dell'ordinamento marittimo di Trani>
r Alianelli sostiene la data del 1063. A lui diriga una lettera G. B. Bel-
trami (Barletta, 1873), accettando la data stessa, e che fossero vera-
mente involgare, per quanto la forma venisse alterata nelle trascrizioni
posteriori.
Vedovi, Biografia dei martiri di San Giorgio e di Belfiore.
E noto che, nel 1872, fu celebrata a Mantova la commemorazione
e la traslazione degli appiccati dall'Austria. In quell'occasione fu ri-
pubblicata la biografia di Enrico Tazzoli, fatta da Cesare Cantù, sulle
lettere e sulle memorie autografe di questo, che egli possiede.
Clemente Domenico, Napoli e San Tomaso d'Aquino. Napoli, 1873;
in-16, di pag. 88.
Lilla Vincenzo, La mente déW Aqiiinate e la filosofia moderna. Vo-
lume 1. Torino, 1873; in-8, di pag. 358.
Mentre sembra la scienza filosofica decadere più sempre nello scettici-
smo, che spesso equivale a idiotismo, è bello veder ridestarsi il culto del
maggior filosofo del medioevo. I due libri che annunziamo si comple-
tano , perchè l' uno lascia da banda le dottrine , ed espone i fatti
che concernono Tomaso d'Aquino, la sua vita, il suo culto, accu-
mulando autorità, e lasciando desiderare correzione di lingua e di stampa.
Egli ricorda che Ferdinando II aveva messo sotto il patronato del gran
santo l'Università di Napoli , e postone l'effigie sulla medaglia dei pre-
sidenti alla pubblica istruzione e dei professori; e si duole che, nel-
l'odierno farnetico di monumenti, il busto di esso siasi confuso nell'U-
niversità stessa con quelli di Giordano Bruno e Pier delle Vigne.
L'altro più seriamente studia la mente dell' Aquinate, paragonandola
coll'ontologia e 1' ideologia moderna, e cercando renderla intelligi-
bile al secolo nostro collo spogliarla del gergo scolastico, che in parte
era proprio dei tempi, in parte de' suoi settatori. Così compiesi l'opera
già cominciata da Klengton, da Schelzer, dal Cornei di, dal Capecelatro
e da altri, ^ per restaurare la scienza di qual grande Italiano, di cui
si celebrò il centenario ai 7 marzo.
C. C.
' E ultimamente da Filippo DtJRSo, La ragione umana. Bologna, 1874.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
a) OPERE STORICHE PUBBLICATE IN ITALIA.
Gennajo-marzo 1874.
Aguglia (S.). Pippino da Montemag giove. Storia siciliana del se-
colo XVIII, sotto il regno di Vittorio Amedeo II; in-8. Palermo.
Altavilla (prof. R.). Il Regno d^ Italia. Dizionario geografico-stori-
. co-statistico ad uso di tutti, ecc.; fase. I-II; in-8. Torino.
L'opera si comporrà di circa 15 fascicoli.
Antonini (P.). Del Friuli^ ed in particolare dei trattati da cui ebbe
origine la dualità politica in questa regione. Note storiche ; in-8. Ve-
nezia.
Balan (prof. P.). Storia di Gregorio IX e dei suoi tempi; fase. XX-
XXI; in-8. Modena.
Balbiani (A.). Il convento dei Cappuccini a Pescarenico presso Lecco
ed i Padri riformati. Documenti inediti per commento ai a Promessi
Sposi » di Alessandro Manzoni; in-16. Milano.
Battaglini (N.). Il Consiglio e lo Statuto di Torcello^ con appen-
dice. Studj; in-8. Venezia.
Bazzoni (A.). Un confidente degli inquisitori di Stato di Venezia. Me-
morie e documenti; in-8. Firenze.
Berizzi (Sac. P. G.). Storia di Giovanna d^ Arco detta la pulzella
d'Orléans. Seconda edizione, riordinata ed annotata da Costantino
Coda; in-16. Torino.
Bertolini (prof. ¥.). Storia del medio evo fino alla seconda metà del
secolo XV. Scritta ad uso delle scuole secondarie; in-16. Milano.
Bettoni (F.). Tebaldo Brusato. Brano di storia del secolo XV; in-8.
Brescia.
Beverini (P. B.). Elogi di uomini illustri di casa Guinigi; in-8. Lucca.
Bianchi (N.). Carlo Matteucci e V Italia del suo tempo. Narrazione cor-
redata di documenti inediti; in-8. Torino.
Brignardelli (G. B.). J Merletti di Chiavari; in-16. Firenze.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 95
Calendario storico-tipografico. Notizie raccolte da Bernardo L. Cen-
tenari; in-16. Roma.
Cantù (Cesare). Della indipendenza italiana. Cronistoria divisa in tre
periodi: Francese, Tedesco, Nazionale. Disp. 26, voi. II, fase. 12; in-8.
Torino.
— Italiani illustri ritratti. Fase. 30, voi. III. in-8: Milano.
L'opera si comporrà di 33 fascicoli.
Cavallini (avv. A.) Le vite di alcuni uomini illustri che negli anni
1848 e 1849 sollevarono alla maggior altezza di gloria il nome di
Roma. Voi. I, in-8. Roma.
Cecconi (G-.). I due fratelli Lippaccio ed Andrea Guzzolini da Osimo.
Notizie storiche, raccolte ed illustrate con documenti e note; in-4.
Osimo.
Cerei (D.). Innocenzo Papa VI^ dapprima detto Stefano Aliherti della
famiglia degli Aliherti di SaluzzOj Piemonte; in-8. Torino.
Chabas (F.). Memorie sopra il nome di Sardegna e degli antichi Sardi ^
in relazione coi monumenti dell'Egitto; con note di Gio. Spano ; in-8 .
Cagliari.
Claretta (Gf.). Sulle avventure di Luca Assarino e Gerolamo Brusoni,
istoriografi ducali; in-8. Torino.
Claretta (G-). Una pagina di storia subalpina negli anni 1799 e 1800;
in-8. Firenze.
CoNESTABiLE (G. C). Sovva due dischi in bronzo antico-italici del mu-
seo di Perugia^ e sovra Varte ornamentale primitiva in Italia e in
altre parti di Europa. Ricerche archeologiche comparative ; in-4.
Torino.
CoRAzziNi (prof. F.). I tempi preistorici o le antichissime tradizioni
confrontate coi risultati della scienza moderna; in-16. Verona.
Da Mula (P. A.). Relazione presentata il 10 settembre 1533 ; in-4.
Padova.
De Leva (prof. G.). Storia documentata di Carlo V, in correlazione
alV Italia. Disp. 16, voi. Ili; in-8. Padova.
Del Vecchio (N.). Introduzione allo studio della Storia Universale;
in-8. Napoli.
Deschamps du Makoir (J.). Nouveaux souvenir s d'Italie^ 1872, 1873 ;
in-16. Florence.
Dizionario universale di geografia e storia, compilato da una società di
scienziati italiani sotto la direzione di Gustavo Strafforello e L. Gri-
maldi-Casta. Serie VII; in-8. Milano.
L'opera si comporrà di 30 a 35 serie.
FoRMiCHiNi (C). Francesca da Rimini. Monografia storica; in-16. Li-
vorno.
96 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
Gargautini (G.). Cronologia di Milano dalla sua fondazione fino ai
nostri giorni ; in-16. Milano.
Garrdcci (P. R.). Storia delVarte cristiana nei primi otto secoli della
Chiesa^ corredata della collezione di tutti i monumenti di pittura e
scultura incisi in rame su cinquecento tavole ed illustrati. Fasci-
colo XXVII, in-fol. Prato.
L'opera si comporrà di 100 fascicoli.
Gennari (Ab. G.). La repubblica francese a Padova^ 28 aprile 1797-
20 gennajo 1798. Frammenti di una cronaca inedita ; in-4. Padova.
GiODA (C). Machiavelli e le sue opere ^ in-16. Firenze.
(Pag. 485-570, Machiavelli e i suoi tempi.)
Giornale Ligustico di Archeologia y Storia e Belle Arti. Fondato e
diretto da L. T. Belgrano ed A. Neri. Anno I, fase. I. Gennajo 1874.
in-8. Genova.
Se ne pubblica un fascicolo al mese.
Grassi (L. J.). Serie di vescovi ed arcivescovi di Genova ; in-8. Genova.
Guerra {della) di C Moggia tra Genovesi e Veneziani. Lettera d'un
Zenoese, scritta in Budua a dì 16 fevrer 1380; pubblicata per cura
di G. B. Cadorin e corredata di copiose annotazioni storiche; in-8.
Venezia.
GuroiciNi (G.)". Cose notabili della città di Bologna, ossia Storia cro-
nologica de' suoi statuti sacri, pubblici e privati. 5 voi. in-4. Bologna,
1870-74.
Herculanensium voluminum giiw supersunt, collectio altera. Tom. Vili,
fase. II. Complectens libros ignoti auctoris quorum titulus hunc su-
perfuit; in-fol. Napoli.
LiTTA. Famiglie celebri italiane. Disp. 172; in-fol. Milano.
Contiene :
Passeeini L. Marchesi di Salluzzo. Parte III.
Manuale topografìco-archeologico delV Italia. Compilato a cura di di-
versi cultori della scienza archeologica, e preceduto da un discorso
intorno allo scopo del medesimo, di Luigi Torelli. Disp. IV (risguar-
dante Mantova, Brescia e relativi territorj, e la Liguria); in-8. Ve-
nezia.
Miscellanea di Storia Italiana. Edita per cura della Regia Deputa-
zione di Storia Patria. Tomo XIII; in-8. Torino.
Contiene :
pROMis C. L'oratorio del Sacramento in Torino.
Promis D. Illustrazione di una medaglia di Claudio, di Set/sseL.
Da Paullo a. Cronaca milanese dall'anno 1476 al 1515, edita da Antonio
Ceruti.
Antichi Calendarj della Chiesa di Bergamo, editi da Giovanni Finazzi.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 97
Perbin a. De l'association des monnayeurs du Saint Empire Romain.
Blondel. Memorie aneddotiche sulla Corte di Sardegna. Edite da V. Promis.
Promis. D. Monete e medaglie italiane.
Monumenti di Storia patria delle Provincie Modenesi, Cronaca Mode-
nese di Tomasino de' Bianchi detto De' Lancellotti. Serie delle cro-
nache. Tomo X, fase. Ili; in-4. Parma.
Muzzi (prof. S.). Vocabolario geografico-storicostatistico delV Italia nei
suoi limiti naturali. Dispense 1-6 (A. Novalesa); in-8. Bologna.
Nardi Dei (aw. M.). Monografia storica e statistica del Comune eli
MontespertoU ; in-8. Firenze.
NiccoLiNi (Gr. B.). Opere edite e inedite^ raccolte e pubblicate da Cor-
rado GargioUi. Disp. 115; Storia della Casa di Svezia in Italia,
Disp. 15; in-8. Milano.
Palmero (prof. G.). Cenni storici intorno a Corio e Rocca di Corio
Canavese; in-16. Torino.
Passerini (L.). Genealogia e storia della famiglia Guadagni; in-8.
Firenze.
Raynisco (prof. P.). Tommaso Rossi e Benedetto Spinoza. Saggio sto-
rico-critico; in-8. Salerno.
Renieri (M.). Tiberio Gracco ed i suoi amici Blossio e Diofane. Ri-
cerche e congetture. Traduzioni (dal greco) di Costantino Triantg,-
fillis; in-8. Venezia.
Ricciardi (G.). Una pagina del 1848, ovvero Storia documentata della
sollevazione delle Calabrie-., in-16. Napoli.
Ricotti (II.), Breve storia della costituzione inglese. Seconda edizione;
in-8. Torino.
— Della rivoluzione protestante. Discorsi storici; in-8. Torino.
RoHRBACHER (ab.). Storia universale della Chiesa cattolica dal prin-
cipio del mondo fino ai dì nostri, aggiuntavi la continuazione fatta
dal Chantrel. Quinta edizione. Voi. I; in-8. Torino.
Rosa (C). Claudio Claudiano. Saggio critico-storico; in-8. Ancona.
Spano (comm. G.). Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna in tutto
ranno 1873 -, in-8. Cagliari.
Storia della Chiesa per un vecchio cattolico italiano. Disp. Ili; in-8.
Milano.
L'opera si comporrà di circa 15 dispense.
Vannucci (A.). Storia dell'Italia antica. Illustrata coi monumenti. Di-
spensa 37, voi. II; in-8. Milano.
L'opera completa consterà di quattro volumi, illustrati da 600 incisioni.
Zini (L.). Storia d'Italia dal 1850 al 1866., continuata da quella di
Giuseppe La Farina. Disp. 130 (voi. I. Parte II. Disp. 43); in-8.
Milano.
98 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
6) OPERE RTSGUARDANTI L'ITALIA PUBBLICATE ALL'ESTERO.
Gennai o-Giugno 1873.
Arthur (W.). The Modem Jove: A Review of the Collected Speeches
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Graques jusqu'à la division de V empire romain (133 avant J. C. —
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* Hanc thesim facultati litterarum Parisiensi proponebat ibid.
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à la faculté des lettres de Lyon, le 18 avril 1872; 8. Lyon.
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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 99
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Metz (1552), Leyde (1573), La Rochelle (1627), Vienne (1683), Pra-
gue (1742), Lille (1792), Mayence (1793), Lyon (1793), Génes (1800),
Saragosse (1808), Missolunghi (1824), Venise (1848), Strasbourg
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nem Laien; gr. 8. Aachen.
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zum 16. Jahrhundert. 2 durchgearb. Aufl. 7. Bd.; gr. 8. Stuttgart.
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LuBOJATZKY (F.). Der Papstspiegel^ oder das Lehen und Treihen der
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Pejacsevich (G. J. N.). Das Papstthum und der Rechtsstaat. Aus civili-
sator. Gesichtspunkten beurtheilt. Pest.
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natum 1198 ad a. 1304. Fase. I. Plagula 1 ad 20. ; 4. Berlin.
Prétraille (La) romaine. Tableau historique du fanatisme et de la cor-
ruption dans Véglise catholique romaine. Traduit de l'originai alle-
mand de Corvin. 14 livraisons; 8. Berne.
Punitions des persécuteurs du pape, depuis Hérode III jusqu'h Napo-
leon III. V^ et 2® parties; 32. Toulouse.
Reinlein (F. F.) Papst Innocenz III, nach seiner Stellung zur UnfeM-
harkeitsfrage. Ein Beitrag zur Charakteristik des Papstes. Aus den
100 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
Quellen beschrieben. 2. Heft. Hundert Bemerkungen und Belegstel-
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un ami. 4.® édition, revue et augmentée ; 8. Toiirs.
ScHiLLEK (H.). Geschichte des romischen Kaiser reicìis unter der Regie-
rung des Nero; gr. 8. Berlin.
ScHOEBER. Vorwùrfe und AnMagen gegen Gregor VII. Aus den Schrif-
ten seiner Zeitgenossen. Nordhausen.
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Studien in Italien im 17 und 18 JahrhunderU Nach Pietro Custodi's
gr. 8. Strassburg.
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Sewel (E. M.). A Catechism of Roman History; 18. Longman.
ScHMiTZ (Ju.). A History of Rome, fromthe Earliest Period to the Dcaih
of Commodus, A. D. 192, New ed.; 8. Lockwood.
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sedis apostolicae auctoritate in den pdpstl. Privilegien ; lex.-8. Wien.
Thierry (A.) Histoire d'Attila et de ses successeurs jusqu'h Vétahlis-
sement des Hongrois en Europe. Suivie des légendes et traditions 4^
ed. 2 voi. 8. Paris.
Thomas (G. M.). Die àltesten Verordnungen der Venezianer fur aus-
uàrtige Angelegenheiten. Ein Beitrag zur Geschichte des volker-
rechtlichen Verkehrs. Aus archival. Quellen; gr. 16. Miinchen.
ViLLEMAiN. Histoire de Grégoire VII, précède d'un discours sur Vhi-
stoire de la papauté jusqu'au IX siede. 2 voi.; 8. Paris.
YoLKMAR (G.). Die romische Papstmythe, Akademischer Rathhausvor-
trag; 8. Zlirig.
^^'oLLSCHLAEGER (C. S.). Die Zeitreihe der Pàpste bis auf die Gegen-
wart. Eine kurzgefasste chronologische Uebersicht der Geschichte
der Pàpste als histor. Hulfsbuch zum Nachschlagen; gr. 8. Eisenach.
. IL PATRIZIATO MILANESE.
- I.
DIRITTO DIVINO 0 DI CONQUISTA — FEUDI — ARISTOCRAZIE ITALIANE
VICENDE E TENDENZE DEI NOBILI MILANESI.
Ora che le dottrine umanitarie e i rinnovati costumi eguagliarono
le posizioni sociali, togliendone inveterate distinzioni, le quali, in
altri tempi, favorivano una classe a detrimento delle altre; ora che
in Italia non vi sono più, né vi ponno essere, se non cittadini dello
Stato; svaniti nel tempo stesso rancori e pregiudizj, ci sia permesso
prendere ad un esame imparziale e tranquillo le origini, il signi-
ficato intrinseco, lo svolgersi e il decadimento finale del patriziato
milanese, indagandone, per quanto è possibile, il pensiero diret-
tivo, durante il tormentoso avvicendarsi di infiniti avvenimenti.
Questo patriziato attirò, come tutti gli altri, le ire implacabili,
inconsulte della folla, sempre pronta a denigrare ogni cosa; pure,
non bisogna dimenticare che esso tenne per secoli il monopolio
di tutte le iniziative, la missione di proteggere tutti gli interessi del
nostro paese, compreso il benessere del nostro popolo. La sua
azione è insomma un fatto, un elemento sì predominante nell'indi-
rizzo della nostra storia municipale, che sarebbe follìa il discono-
scere, imperdonabile trascuranza il non studiarla nelle sue fasi.
Le idee moderne volgono con certa foga verso una perfetta
democrazia, benché ai dì nostri fioriscano rigogliosamente tanto
nazioni seguaci di questo principio, quanto altre attenentisi a si-
stema misto, od opposto. Nello stesso modo che nel mondo morale
i filosofi vanno in cerca di una scienza che loro sfugge, e battono,
per lunghi anni, una via creduta la retta, finché i sorvegnenti,
Arch. Star. Lonib. — An. I. 7
102 IL PATRIZIATO MILANESE.
persuasi che la non sia capace di condurre alla scoperta finale
del vero — benché seminata di qualche briciola di verità — ten-
tano differenti sistemi; così i popoli, che, sebbene inconsci, pure
sono irreparabilmente dominati dalle massime filosofiche in voga
— i cui riflessi infiltransi nei cervelli anche più ottusi — studiano
di dar corpo, nel mondo dei fatti, a quelle teorie, imponen'dosi
per fine un assoluto di felicità impossibile a conseguirsi. Inna-
moransi di alcuni principj, quasi trascinati da forza arcana, ir-
resistibile, e li spingono fino alle ultime conseguenze; ma poi, a
misura che si inoltrano, scoprono, a loro malcosto, che anche là
pullulano le disillusioni, e che quei principj non sono acconci ad
attuare il sospirato ideale: allora non appajono più alle fantasie
se non i difetti di quegli ordini stessi con tanto ardore abbrac-
ciati, e se ne disconoscono perfino i vantaggi evidenti. Riuscendo
col tempo, con fatiche improbe e con sanguinose rivoluzioni, ad
impiantare costituzioni foggiate a norma delle nuove idee, dap-
principio tutto sembra corrisponda alle rosee aspettative, poiché
non scorgesi se non il lato eccellente; ma fatalmente un inesora-
bile rovescio di medaglia turberà ben presto lo sperato trionfo.
Questa altalena, presa in grande, traspare dalla storia di molti
popoli. Qualche nazione, come la repubblica di Venezia, amò me-
glio perire sfinita, anziché rinnegare il principio aristocratico a
cui dovette la sua straordinaria fortuna. La Francia, all'incontro,
si é assunta il compito, non invidiabile, di condensare in pochi anni
quelle spasinodiche rivoluzioni, per compiere le quali altri popoli
impiegarono secoli, godendo lunghissimi intervalli di una prospe-
rità relativa, la sola possibile.
In Europa, come ognuno sa, non si conobbero, in tempi storici,
le caste sovrapposte le une sulle altre, che dividono ancora, con
barriera insormontabile, le popolazioni di alcune fra le grandi mo-
narchie dell'Oriente. La classe nobile, nella società europea ante-
riore alle rivoluzioni della fine dello scorso secolo, supponevasi
rappresentasse i conquistatori di un paese, viventi accanto ai con-
quistati: si ammetteva che un popolo straniero, soggiogando colla
forza delle armi un altro popolo ed occupandone il territorio, vi
avesse organizzati ordini e privilegi intesi a conservare la propria
supremazia per molte generazioni, quasi frutto legittimo della vit-
toria. Questa teoria non potevasi veramente applicare nella nostra
IL PATRIZIATO MILANESE. 10.^
Europa se non a pochissime nazioni; poiché nella più parte non
avrebbe avuto da secoli nessun significato: in alcuni pochi appena
si adombra, che il tempo gli avvenimenti e la superiorità morale
dei popoli vinti mescolarono le schiatte , spesso col sopravvento
di questi, principalmente nelle provincie popolate dalle stirpi la-
tine, in modo siffatto che i soggiogati finirono per assimilarsi gli
invasori, convertendoli alla romana civiltà e alla religione cristiana.
In Turchia, per altro, tale separazione appare ancora in tutta
la sua crudezza, tanto più difficile a vincersi, inquantochè i con-
quistatori (i Turchi) appartengono alle razze turaniane o tartaro-
finniche (nelle quali alcuni scienziati vedrebbero i discendenti di
Caino), mentre i vinti, per la maggior parte greci, slavi, albanesi,
armeni, discendono da popoli arii, ossia indo-europei.^ Lo stesso
dicasi dell'Ungheria, dove i Magiari (l'aristocrazia), gente parimenti
di origine turaniana, si sovrapposero violentemente agli Slavi (il
popolo) ^
In Inghilterra, benché non esista antitesi di razza, è vivo ed
evidente lo screzio fra i varj strati di popolazione; e le famiglie
normanne, seguaci delle avventure di Guglielmo il Conquistatore,
primeggiano tuttavia sui vinti Sassoni, i conquistatori più antichi
degli autoctoni Brettoni. Quasi scomparsa è la tradizione che diffe-
renziava i Franchi invasori della Gallia dai Celto-latini, il popolo
uscito dalla conquista romana; quantunque alcuni storici sognino
di scorgere nella grande rivoluzione francese la riscossa finale e le
vendette degli antichi abitatori conquistati contro i vincitori di
stirpe germanica, rappresentati dalla nobiltà e dal suo re di diritto
divino ; e nelle gigantesche imprese del primo Napoleone, la rivin-
cita dei Gallo-romani, col ripristino di un impero d' Occidente che
rifacesse strepitosamente l'opera di Carlo Magno in senso inverso.
Strano perciò è il vedere le riminiscenze di tali divisioni di razza,
che in Francia sembravano oramai relegate fra le anticaglie ar-
cheologiche, fare tuttora capolino nei cervelli esaltati di alòuni
' In Constantinopoli vivono ancora le reliquie dell'antica aristocrazia bizantina, sotto
il nome di Fanarioti.
^ In Ungheria tutti i Magiari sono nobili : — la piccola nobiltà comprende anche gente
poverissima che vive del lavoro delle proprie braccia. In certi distretti (i Kermans, i
Jaziguez, gli Aiduchi), tutti quanti avevano diritto di rendersi all'assemblea come ap-
partenenti alla razza conquistatrice.
104 IL PATRIZIATO MILANESE.
legittimisti; ed anzi, bollono nella infervorata immaginativa del
pretendente Enrico V di Borbone; il quale, rivolgendosi, qualche
mese fa, a'suoi fedeli, con un solenne documento, come avrebbe
potuto fare un re della prima dinastia, assevera che la Francia
non può perire, poiché: " Le Christ aime ancore ses Franosa „ In
Italia poi la assimilazione dei popoli di diversa origine * fu in modo
completa, da non lasciare traccia se non nella memoria degli eru-
diti. In massima dunque fu più agevole la mischianza, quando
vinti e vincitori erano diramazioni di una identica famiglia, gli
Arii — i pronipoti di Jafet che, coi popoli procedenti da Sem e
da Cam, formerebbero la razza caucasea, la più eletta della uma-
nità, se pure la nostra superbia non fa velo al vero — dal cen-
tro dell'Asia calati in Europa in tempi differenti, come è appunto il
caso nelle regioni occidentali di questa, nelle quali non rimane
evidentemente più vestigia delle popolazioni che l'abitavano nei
periodi preistorici, fuorché nelle provincie basche della penisola
iberica.
Ammesso dunque che la conquista — e quindi i feudi, che ne
furono uno dei modi — sia stata la base del diritto dell'aristo-
crazia nobiliare, ne viene per immediata conseguenza la disparizione
di essa, dacché la conquista nel senso del diritto divino, e i diritti
feudali, vennero disconfessati da quasi tutte le nazioni moderne.
Scalzata la base, l'edificio crollò, e delle idee di patriziato, di nobiltà,
non rimasero che certe forme esteriori, di pura convenzione sociale,
che non esercitano influenza alcuna sugli ordinamenti politici; pal-
lido riflesso di istituzioni esaurite: ed alla aristocrazia baronale ne
subentrava un'altra più civile, quella che si acquistava col servire
la patria colla spada, colla penna, colle arti tutte, colla industria ;
infine, col contribuire in qualsiasi modo alla prosperità delle popo-
lazioni fra le quali uno vive. Al diritto di conquista succedeva il
diritto popolare.
'^Lettera del conte di Chamhord al signor Chesnelong, deputato dei Bassi Pirenei —^
colla data da Salisburgo 27 ottobre 1873; che, per la sua esorbitanza, rimandava, almeno
per ora, alle calende greche la preparata ristaurazione.
^ Sulla questione della fusione dei Longobardi coi Latini in un solo popolo vi è di-
sparere fra gli storici. Alessandro Manzoni constaterebbe, con prove alla mano, che la
loro separazione si prolungasse per lungo tempo (vedi il Discorso sopra alcuni punti
della storia longobardica in Italia).
IL PATRIZIATO MILANESE. 105
La rivoluzione iniziata dagli Enciclopedisti, ed attuata con feroce
intemperanza dal popolo francese, le idee che si impadronirono
della società moderna in conseguenza di quell'enorme avvenimento,
distrussero dalle fondamenta il sistema feudale, organizzato nel
mondo latino qualche secolo dopo la caduta dell' impero romano
di Occidente. Non è qui il caso di discutere quale sia stata l'origine
dei feudi: se, come vorrebbe il Vico^ datino veramente dai tempi
omerici ; se dagli imperatori romani, i quali, secondo il Giannone,**'
per assicurare le frontiere dello Stato, minacciate continuamente
dai Barbari, concedevano ai capitani ed ai soldati segnalatisi nelle
guerre di conquista, alcune terre poste ai confini; se sieno stati
importati nella Gallia dai Franchi quando soggiogarono i Celto-ro-
mani (Gaulois), e in Italia dai Longobardi, o se prima dai Goti;
0 infine se, come crede fermamente il Muratori,'' la parola feudo
non sia comparsa prima del Mille, ritenendo apocrifi i documenti
con data anteriore che la riportano. In ogni modo, quel singolare
ordinamento, prevalso per tanti secoli, fu una delle basi, forse la
principale, su cui erigevasi l'edificio europeo.^ Coli' inaudito sviluppo
del meccanismo feudale andava viepiù allargandosi anche la ca-
valleria, riscaldando le classi elevate con foga battagliera, inva-
sandole di una smania di correre perigliose e strane avventure,
allo scopo di raddrizzare torti, difendere il debole contro l'oppres-
" Scienza nuova.
^ Storia del reame di Napoli.
' Dissertazioni sopra le antichità italiane.
* È indubitato che la legge feudale venne introdotta in tutta Italia, per consuetudine
dai Longobardi. Corrado il Salico imperatore fu il primo a fissare leggi feudali in iscritto:
consuetudini e leggi che si estesero all'Italia tutta. In questa materia non correva dif-
ferenza tra le famiglie viventi secondo legge longobardica o secondo altre leggi; tanto
più che le romane tacevano su questo particolare. Ruggero di Sicilia, sottrattosi all'im-
pero d'Occidente, introdusse ne'suoi Stati nuove leggi feudali, da'suoi successori ampliate;
introdusse del pari i feudi secondo il diritto dei Franchi, pei quali non succedevano al
padre, nel feudo, che i soli primogeniti, mentre i Longobardi ammettevano tutti ì fi-
gliuoli maschi alla successione.
Passava differenza fra benefizj e feudi. I primi, non obbligand» a servigi militari,
potevano essere dati anche a femmine.
Dei primi se ne fece un vero abuso. Tutti gli inservienti dell' arcivescovo di Milano,
fornaj, fabbri, portinaj, cuochi, cantinieri, sartori, usufruttavano in proporzione del loro
grado qualche feudo. Eguale costume prevaleva alla Corte della contessa Matilde (vedi
GiANNONE, Storia del reame di Napoli, e Mubatobi, Dissertazioni, ecc.).
106 IL PATRIZIATO MILANESE.
sore, strappare celestiali zitelle dagli artigli di castellani prepo-
tenti — quindi i cavalieri erranti, i paladini che combattono i
Saraceni in guerre immaginarie — poi le, Crociate in Terrasanta,
e tutta l'epopea cavalleresca, che comincia colla Tavola Rotonda di
re Arturo; è cantata dai poeti in cento romanzi, idealizzata dal-
l'Ariosto con arte divina; finché Cervantes, nell'insuperabile Bon
Chisciotte^ risuscita per un momento, colla magìa del suo pen-
nello, tutto questo mondo fittizio, riboccante di immaginose illusioni,
e lo polverizza con irresistibile ironia.
Il mestiero delle armi, e, possibilmente, il comandare eserciti,
fu sempre la principale^ occupazione, non solo dell'aristocrazia feu-
dale, ma di vescovi ed abati. Fino dai tempi anteriori alle Cro-
ciate, negli Stati Europei, il servizio dell'infanteria fu lasciato alla
plebe; la cavalleria all'incontro, divenuta il nerbo degli eserciti,
si reclutò esclusivamente fra i gentiluomini, che, col nome di militi,
furono investiti degli onori cavallereschi. Duchi e conti, usurpato
il diritto di sovranità, suddividevano le provincie tra i fedeli baroni,
i quali, alla loro volta, distribuivano ai vassalli minori qualcuno
dei vantaggi della signorile giurisdizione. Tutti insieme compone-
vano l'ordine equestre o dei nobili. Questi, dall'alto delle torri dei
loro castelli, circuiti da fosse, coi ponti levatoj alzati e le saraci-
nesche ben chiuse, guatavano con occhio altero la folla dei villici
e dei borghigiani formicolanti nella sottoposta pianura, come gente
di una razza inferiore, fatta apposta per ubbidire. Per conservare
intatta la dignità della nascita, eransi imposta le legge di non im-
palmare se non donzelle loro pari, sotto pena di degradazione,
caso mai derogassero. Contuttociò accadeva spesso che un plebeo
valoroso e avventurato si arricchisse e nobilitasse colla spada e,
da agnello fattosi lupo, divenisse capostipite di nuova, orgogliosa
famiglia, ben tosto dimentica della modesta sua origine: siccome
fu segnatamente in Italia, in cui i capitani di ventura (Sforza, Car-
magnola, Piccinino, Gattamelata, ecc.) portarono la democrazia al
potere prima che in ogni altro paese di Europa.^
Ora, lasciando la tesi generale per scendere al nostro tema, è
'Molti fra i capitani di ventura appartennero a grandi famiglie; quali sarebbero
Bartolomeo Colleoni; Cavalcabò; Braccio da Montone; i Malatesta, signori- di Rimini;
Guido da Montefeltro, signore di Pisa e di Urbino ; ed altri.
IL PATRIZIATO MILANESE. 107
mia convinzione, corroborata da prove innegabili, come verrò espo-
nente, che il patriziato milanese non abbiasi, per la sua massima
parte, a ritenere di origine feudale o castellana, ma essenzialmente
cittadina, quindi di gente latina; eccettuati pochi casi di provenienze
di capi longobardi o franchi; dimodoché la sua importanza sto-
rica stette sempre nel cognome, non preceduto da particella, non
già nel nome dei feudi che potè per avventura aver acquistati od
avuti per fatti relativamente recenti ; quindi, coerente all' indole
sua, più che a sfoggiare nomi di terre, pensò ad aggiungere al co-
gnome originario altri di casati apportanti in famiglia laute eredità,
anche quando a nomi splendidi per gloriose gesta doveva accop-
piarsene di insignificanti, imposti da vanagloriosi testatori. Osservo
poi che i più illustri cognomi (come avviene in tutte le altre Pro-
vincie d'Italia, dove non si usi il nome dei feudi) sono comuni
anche nel popolo. Balzac, il celebre romanziere, soggiornando in
Milano, non dissimula la sua sorpresa, in una delle sue novelle,
nel leggere la mattina, al disopra delle botteghe, i nomi di famiglia
dei blasonati anfitrioni dai quali, cred'io, veniva sontuosamente
ospitato nei serali convegni.
L'assenza assoluta del carattere feudale e territoriale si rimarca
segnatamente nella superba aristocrazia di Venezia, nelle cui la-
gune, alle prime scorrerie barbariche, ripararono gli avanzi del
patriziato romano ; cosicché nobiltà e popolo discendono dalla me-
desima stirpe. ^*^ — A Firenze, dove circa cencinquanta famiglie di
ricchi mercanti di origine etrusca e di fazione guelfi (anni 1282
e 93), schiacciata la parte ghibellina, nella quale era arruolata
la vetusta aristocrazia latina che aveva dato Dante all'Italia, ^^ si
resero arbitri della repubblica, escludendone la nobiltà per usur-
parne i privilegi — vera oligarchia popolare (Medici, Strozzi, Al-
dobrandini, Corsini, Capponi, Vettori, Acciajuoli, Guicciardini,
Villani, Martelli, Borromeo di S. Miniato, Machiavelli, ecc.), susci-
tando, solo molti anni più tardi, per reazione, la congiura che i
Pazzi, famiglia delle più potenti fra le spodestate, d'accordo con
Sisto IV, con Ferdinando re di Napoli e coli' arcivescovo Salviati,
" Dante Alighieri era persuaso di discendere da famiglia romana ricoveratasi, come
molte altre, in Fiesole al cadere dell'impero occidentale.
* * I Griustinianì discenderebbero invece da Angelo Flavio imperatore d'Oriente.
108 ■ IL PATRIZIATO MILANESE.
ordirono contro Giuliano e Lorenzo de' Medici. Anche nelle altre
parti della penisola, accanto ai rampolli delle prische famiglie che
avevano conservato — legge romana ( Massimo, Santacroce , Cae-
tani. Frangipane, Buondelmonte, Pazzi, Alighieri, Tornabuoni, Ali-
dosio) ; alle meno antiche, derivate dai grandi feudatarj, le quali
seguivano legge longobardica (d'Este,^^ Malaspina, Pallavicino, mar-
chese di Massa, Pusterla, Pio di Carpi, Gherardesca, Carraresi,
Manfredi, la famiglia di Matilde di Toscana, ecc.), — ripuaria
(marchese di Toscana, Bourbon del Monte, ecc. ), — salica ( Gof-
fredo di Toscana, marchese di Monferrato, Eccelini, Crivelli, Pico
della Mirandola, benché di origine longobardica), a seconda del po-
polo a cui erano originariamente appartenenti,^^ vediamo casati
recenti, altamente benemeriti della nazione, straricchi di onorificen-
ze cavalleresche, fattisi perfino principi di città e Stati- importanti,
portare nomi già famosi nei fasti della democrazia (Fregoso, Adorno,
Bentivoglio, Appiani, Concini, Sederini, Scaligeri, Gonzaga, Atten-
dolo di Cotignola detti Sforza). In alcune regioni italiane, come
sarebbero Napoli, Sicilia, Piemonte, il feudalismo medievale ebbe
il sopravvento, ed inculcò l'abitudine nei baroni di fregiarsi di pre-
ferenza del nome delle baronie, e dei titoli che le distinguevano;
abitudine seguita, nelle provincie della bassa Italia, dalle famiglie
che non sono veramente di origine castellana, e perfino dalle nuo-
vissime.
Molti Italiani di umile condizione, principalmente fiorentini.
'2 Adalberto, che, da un documento del 1011^ sì rileva intitolarsi marchese, e che il
Muratori suppone progenie degli antichi duchi e marchesi di Toscana, professava legge
longobardica — però il Litta vorrebbe che quella famiglia, invece, professasse legge
ripuaria. Dal figlio di Adalberto, Oberto Obizzo, si dipartono quattro fratelli, cioè Adal-
berto Pallavicino capostipite della famiglia, che menò tanto rumore nelle storie italiane,
— Alberto, capostipite dei marchesi di Massa, — Oberto Obizzo Malaspina (famiglia
suddivisa in due diramazioni; cioè Malaspina dallo spino -fiorito e Malaspina dallo
spino secco), — Oberto, padre di Alberto Azzo, che, sposando Adelaide, probabilmente
di origine francese, giacché professava legge salica, diede principio alla casa d'Este,
spenta in Italia, ma fiorente in Germania (case di Brunswick e di Annover): ed at-
tualmente seduta sul trono dell'Impero Britannico.
*^ Tutti i conquistatori barbari invasori del romano impero, nel mentre osservavano
la propria legislazione, concedevano ai vinti di valersi di quella legge che loro meglio
piacesse ; né tale libertà fu loro mai tolta per editto imperiale. Col tempo le leggi ro-
mane prevalsero, mentre le longobardiche, e molto più le altre, vennero interamente
dimenticate (Vedi Tisaboschi, Storia leti, ital,).
IL PATRIZIATO MILANESE. 109
lombardi e piemontesi, spingevansi in Francia e in Inghilterra, e,
sotto il nome di banchieri, vi esercitavano l'usura. Arricchiti, torna-
vano in patria col gruzzolo ; comperavano terre, e fondavano parec-
chie famiglie, che si resero poi celebri negli annali della storia
italiana. Altri, all'incontro, di famiglie già illustri, partiti dall'Ita-
lia, riuscirono non solo ai più alti onori, ma a sedere su troni
stranieri. Bonifacio, marchese di Monferrato, ebbe parte nella presa
di Costantinopoli col doge Dandolo, ed è assunto a re di Macedo-
nia. — Le case di Annover e di Brunswick sono diramazioni (vedi
nota 12, pag. 108) della casa d'Este. — La famiglia di Stanislao
Poniatowski re di Polonia ritiensi progenie dei Torelli, signori di
Guastalla. — Concino Concini, di origine aretina, segue in Francia
Maria de' Medici sposa ad Enrico IV, e diventa il celebre mare-
sciallo d'Ancre. — Una diramazione dei Gonzaga passa in Francia,
col titolo di duchi di Nevers, dove rappresenta una figura che si
stacca dal comune. Né tacerò i grandi condottieri che comandarono
quasi esclusivamente al di là delle Alpi, al servizio di monarchi
forastieri, quali Emanuele Filiberto ed Eugenio di Savoja; Kai-
mondo Montecucoli; Alessandro Farnese duca di Parma. Si nove-
rano poi alcuni uomini di genio, venuti dai ranghi popolari, che
si fecero arbitri di estere nazioni, come i cardinali Mazzarino ed
Alberoni.
Tornando alla nostra Lombardia, noteremo intanto di volo che
nella costituzione del governo dei Longobardi — i conquistatori in
maggiore numero e più solidamente accasati nel nostro paese —
non vi era propriamente posto per una nobiltà da paragonarsi a
quella sorta più tardi in pieno medio evo. Non esistevano privilegi
ereditarj, e tutti gli uomini liberi er^no eguali in diritto; il merito
personale, il coraggio, il numero dei clienti, il favore del principe
mettevano solo differenza fra di loro. Come sempre, la gloria del
padre rifletteva sul figlio, e la grandezza degli avi si prolungava
sui discendenti; ma erano piuttosto riguardi consigliati dalla opi-
nione, che non una istituzione politica.^*
In quasi tutte le città italiane vi fu , tra la fine del duodecimo
secolo ed il principio del decimoterzo, quasi una contemporanea
sollevazione della plebe contro i nobili; vale a dire, del grosso della
**BouiiiER, De la civilisation en Italie^
Ilo IL PATRIZIATO MILANESE.
popolazione romano-antica contro le schiatte nordiche, discendenti
dagli stranieri conquistatori. Tale sollevazione fu iniziata dai cit-
tadini milanesi, fino dal secolo decimoprimo colla guerra della plebe
guidata da Lanzone da Corte e da Alberico Settala, contro i ca-
pitanei, i valvassori ^^ e i nobili che non possedevano beneficj, veri
padroni della città, i quali, in seguito ad una fiera zuffa combat-
tuta nelle vie e nelle piazze, furono da quella espulsi colle loro
famiglie ; seguiti poco dopo dallo stesso arcivescovo Ariberto. Cele-
bratasi la pace (1044), e rientrati i nobili in Milano, narra il Corio
(Storia di Milano, capo IV), convocarono un generale concilio, nel
quale sancirono due statuti ; il primo, che i da Corte non potessero
più, in perpetuo, abitare nella città e nel contado di Milano ; il-
secondo, che ciascun nobile potesse uccidere un plebeo, pagando
per ammenda lire sette ed un soldo di terzuolo. La plebe, così
crudelmente bistrattata, per difendersi dai primati elesse a suo
capitano Erlembardo Cotta, un patrizio ! uno de' più fastosi, giac-
ché è scritto di lui che coram populo in vestihus pretiosis ambu-
lahat.^^ IlGiulini^^ trova, a ragione, inverosimile questo racconto,
regalatoci anche dal Fiamma e dal Morigia con tutta serietà, per
la ragione assai convincente che la moneta dei terzuoli fu inven-
tata molto tempo dopo. Secondo il Fiamma però, Erlembardo sa-
rebbe stato nominato capo della nobiltà, non della plebe. Il Mo-
rigia ^^ sta col Corio, ed aggiunge che Erlembaldo " perchè era
buono oltre alla nobiltà, anche di gran giudizio, „ fece cassare quella
scellerata legge che rammentava troppo una fra le barbariche con-
suetudini della gente longobarda.
Da questa pace i nobili ne uscirono malconci, esautorati; e,
• 5 II titolo di capitaneo (o valvassore o milite maggiore) , titolo meramente feudale,
a cui aggiungevasi quello del luogo infeudato, comincia a comparire nell'agro milanese
sul principio della seconda metà del decimo secolo. I valvassori o militi minori, detti
anche valvassini , dipendevano per vassallaggio dai capitanei, e in Lombardia appella-
vansi valvassori in modo assoluto. Il Muratori vorrebbe questi ultimi di origine esclu-
sivamente italiana. Il Fiamma narra che l'arcivescovo di Milano Landolfo II aumentava
il numero de'suoi militi o vassalli detti di S. Ambrogio, chiamando molti nobili milanesi
a capo delle pievi, i quali perciò avrebbero preso il nome di capitanei, probabilmente
colla approvazione dell'imperatore Ottone IL
'^ Vita di S. Arialdo, cap. 17.
' ^ Memorie della città e della campagna di Milano nei secoli bassi.
*^ Jlistoria dell'antichità di Milano.
IL PATRIZIATO MILANESE. Ili
mentre l'autorità dei feudatarj, capitanei e valvassori, tutti, meno
questi ultimi, di straniera origine, era confinata ne' loro castelli e
circostante campagna; nel campo avverso sviluppavasi rigoglioso
il Comune, opera capitale della borghesia latina, la quale, rinforzata
dai lauti profitti del commercio, era cresciuta formidabile, esube-
rante di vita espansiva.
Molti fra i più potenti signori, succeduti ai conti ed ai marchesi,
fino dalla seconda metà del secolo decimo, e, con maggior frequenza,
al rassodarsi del Comune dopo il Mille, ora spontaneamente, allet-
tati da promesse lusinghiere , ora costretti dalla forza, si sottomi-
sero ai ricostituiti municipj. Abbandonarono le romite rocche, in
cui tenevano la loro bellicosa Corte, per farsi pacifici cittadini
delle rinascenti città lombarde, le più vicine alle loro signorie ^^,
fino allora abitate solamente dalle infime classi, e promisero, in
contraccambio dei privilegi ottenuti, di risiedere gran parte del-
l'anno in quelle, piantarvi il principale domicilio, ^° fissando cosi
una usanza viva tuttora in tutta Italia, la quale dà al nostro paese
una fisonomia singolare, che lo distingue da altre contrade d'Eu-
ropa; dalle germaniche, a cagion d'esempio, nelle quali le grandi
famiglie sono accasate nelle residenze campestri, in mezzo a vasti
tenimenti.^^ Infatti, vediamo che i palazzi nelle città italiche tengono
il posto solenne che altrove i castelli della campagna — dipoi con-
vertiti in ville ; ma che, in memoria della origine feudale, i Francesi
si ostinarono a chiamare chateaux — e mentre i ricchi italiani
non hanno nelle campagne, generalmente, se non d'elle ville, i
francesi non possiedono che degli hòtéls nelle città. Che i palazzi
cittadineschi sieno da noi quasi la sintesi della potenza storica di
una famiglia, lo provano Siena, Firenze, Venezia, Genova, Roma,
Palermo, ecc., le quali racchiudono in questo genere monumenti
" Quando sul finire del decimo secolo ì nobili, che per lo più risiedevano nelle loro
terre, portaronsi ad abitare le città, ritennero il nome dei posti d'onde erano partiti.
Essendo venuti in uso sul cadere dello stesso secolo i cognoni, non pochi adottarono
quei nomi. (Vedi Giulini.)
2" Muratori, AntiquH. ital.
^' Il ritorno in Milano dopo la villeggiatura cadendo, per lunga tradizione, nel novem-
bre , fino al quarantotto si faceva, dalle grandi famiglie, con qualche apparato ; quasi
gì trattasse di raantenere pubblicamente una antica e solenne costumanza,
112 IL PATRIZIATO MILANESE.
celebri, anche in linea d'arte, segnanti non solo le gesta degli eroi,
ma tutte le fasi per cui passò la nostra architettura ; estrinsecando
con linee, con sagome profondamente espressive, i costumi, le ten-
denze, le idee, che improntarono carattere, moralità speciale ai
varj periodi della patria storia — libro a lettere di marmo, sem-
pre aperto alla curiosità dei dotti — dalla rozza e massiccia strut-
tura dei primi secoli dopo il Mille, alla bizantina, alla longobardica,
poi, coll'arco acuto, alla gotica, alla svariata venustà della rina-
scenza che tutto concilia, tutto raffina; alla più castigata eleganza
del Cinquecento ; alle fantasiose, eccessive contorsioni del barocco :
— e i famigerati palazzi Doria in Genova, Strozzi in Firenze,
Farnese in Roma, Estense in Ferrara, Gonzaga in Mantova, resero
popolare , sotto molteplici aspetti , il nome di quelle famiglie in
tutto il mondo civile. A. Firenze una legge municipale obbliga
chi compera una casa a mantenere esposti gli stemmi degli an-
tichi signori, permettendosi solo di trasportarli in altro posto
della facciata — legge che appalesa un vero culto per le patrie
memorie, foss'anche per un semplice simbolo.
A Milano dunque, nella seconda metà del secolo decimoprimo,
gli ordini della cittadinanza erano così divisi : i capitanei — poi i
valvassori — indi gli altri nobili — i negozianti — per ultimo
altri ranghi minori. Come in molte altre città, le famiglie potenti
diedero il loro nome alle vie nelle quali sorgevano le loro abita-
zioni, munite di torri e di ferrei cancelli a guisa di fortezze, atte a
sostenere l'urto delle fazioni, e dinanzi a cui, in tempi meno remoti,
formavano delle piazzette ed erigevano porticati dove stavano ad
asolare coi famigliari, coi clienti. ^^ Avevano anche chiese di loro
pertinenza (juspatronato), vicine alle loro magioni, le quali pren-
devano il sopranome del casato. In altri casi, erano le famiglie che
assumevano il nome del quartiere in cui abitavano, e su cui anti-
camente ebbero qualche giurisdizione (Medici di porta Ticinese
?* Le vie dei Visconti — degli Stampi — dei Bigli — dei Medici — degli Holocati —
dei Grassi — dei Gambari — dei Resti^ — dei Clerici — dei Piatti — dei Bossi — dei
Moroni — dei Meravigli — degli Amedei — dei Pusterla — dei Borromei — dei Cit-
tadini — dei Basini — dei Settala — dei Morigi — dei Cusani — dei Cavenaghi
r— della Sala — Belgiojoso — Burini, ecc. Ben pochi per altro di questi nomi rimon-
tarne fino ai tempi di cui discorriamo.
IL PATRIZIATO MILANESE. 113
— Crivelli di porta Comasina); costume rimasto nel famigliare
discorso fino a giorni nostri. ^^
Così dalle guerre civili — nelle quali non di rado la plebe si
trovava patrocinata da potenti famiglie magnatizie — succedeva
un tal quale cambiamento nella relativa posizione politica delle
classi sociali. Per farla finita bisognò che i nobili scendessero ad
accordare una lauta parte nel governo dello Stato alla plebe. L'a-
ristocrazia andò così scadendo di modo che, alla metà del secolo
duodecimo, salvo i capitanei e i valvassori, tutti gli altri cittadini,
quantunque nobili e doviziosi, venivano confusi col popolo e colla
plebe (vedi Giidini). Epperò, in tali tempi, il ceto nobile suddivi-
devasi in tre ordini : — i capitanei — i valvassori — i nobili che
non avevano alcun titolo se non di cittadini. I consoli (1130) si
prendevano da tutti e tre questi ordini. Fra i nobili cittadini in-
sinuavansi talvolta alcuni plebei, ragguardevoli per censo, per sa-
pere, 0 per valor militare, e riuscivano ad innalzarsi perfino alla
dignità consolare. Ma i plebei cosi avventurati da toccare quell'e-
minente grado erano pochi; ne conseguì che la nobiltà, dopo la
istituzione del magistrato consolare, andasse riguadagnando gran
parte di quel predominio nella repubblica che aveva • totalmente
perduto nel secolo antecedente.
Senonchè, in seguito alla creazione della Credenza di S. Ambrogio,
la fazione dei nobili si trovò un'altra volta stremata di forza , non
essendo più seguita, come prima, dalla plebe, la quale finiva poi
per unirsi alla Motta contro di essa. Cosa fosse la Motta^ ce lo spie-
gano gli storici milanesi. Fino dal 1036 era scoppiata una fiera
contesa fra capitanei e valvassori. Questi ultimi, annojati di star-
sene soggetti ai primi, si ribellarono alla loro autorità. Molti poi
fra i valvassori rinunziarono agli ottenuti feudi per rendersi inte-
ramente padroni di sé, e collegaronsi con altre famiglie illustri per
cariche e dignità, le quali, noncuranti di aver feudi, per la maggior
parte attendevano alla mercatura, e costituirono così quella società
2^ Le cappelle gentilizie erano un'altra manifestazione della grandezza delle famiglie.
In Milano se ne veggono ancora alcune poche, resìstenti alla mano livellatrice che vor-
rebbe tutto distruggere, gli archi di porta nuova come le costumanze dei nostri avi.
Citerò quella degli Aresi in San Vittore — dei Cicogna alla Passione — dei Visconti
e dei Brivii in S. Eustorgio — dei Trotti in San Marco — dei Trivulzi in San Nazzaro
e a Santo Stefano — dei Griffi in San Pietro in Gessate.
114 IL PATRIZIATO MILANESE.
che si cliiamò della Motta. Per sedersi fra gli ottimati esse non
aspettarono il beneplacito di regnanti, ma seppero per proprio
impulso afferrare a tempo opportuno la civile supremazia, farsi
numerosa e devota clientela, e talvolta acquistare importanza de-
cisiva col gettarsi ora da una parte, ora dall'altra, a guisa di terzo
partito. Così, verso la fine del secolo decimosecondo (1198), la città
si trovava divisa in quattro fazioni — i nobili, capitanei e valvas-
sori minori — la Motta — i mercanti, detti più propriamente
Paratici — la nuova Credenza di S. Ambrogio, la quale raccoglieva
la infima plebe, ed era, essa sola, più numerosa di tutte le altre
insieme sommate. (Vedi Giulini.)
Queste fazioni, ufficialmente riconosciute, vivevano tutt'altro che
in pace. Fra i capitanei e i valvassori da unslato, la Motta, la
Credenza di S. Ambrogio ed il popolo dall'altro, ferveva un indo-
mabile antagonismo, il quale scoppiava in frequenti conflitti, che
l'eccellente podestà Uberto da Vialta tentò con ogni mezzo di at-
tutire, predicando concordia ai due partiti, convalidando i detti con
un atto pubblico e solenne (1224) in cui, fra le altre cose, si stipulò
un patto pel quale il Consiglio del Comune formerebbesi perpetua-
mente con individui appartenenti alle due parti in numero eguale.
Si viene ad accordi, si stringono le destre, ma le fazioni restano
più che mai risolute a sostenere il proprio punto ; tanto è vero che,
alcuni anni dopo, i nobili con alla testa un Ottone da Mandello,
appoggiati dall'arcivescovo, sfidano di nuovo il popolo capitanato
da un Ardigotto Marcellino, e non smettono se prima non hanno
devastati campi, incendiati castelli. Per calmarli si dovette scendere
a nuove transazioni, ed ammettere i popolari alle dignità ecclesia-
stiche spettanti ai soli nobili, e viceversa — patti che si giurarono
oggi per romperli domani.
Verso l'anno 1258, secondo lo storico Giulini, veggonsi ancora
in Milano molte famiglie potenti per ricchezze, da lungo tempo ce-
lebri per avere sostenuto altissime cariche militari e politiche ,
annoverarsi tuttavia nella plebe ; poiché, o non avevano mai avuto
feudo né beneficio alcuno, o avevanli spontaneamente abbandonati
per tenersi più indipendenti, come avevano fatto i valvassori che
entrarono nella Motta. La maggior parte attendevano ai traffici ed
alle arti, senza punto curarsi di introdursi nei ranghi della nobiltà ;
la quale aveva perduto assai dell'antico prestigio. Fatto che si
IL PATRIZIATO MILANESE. 115
ripete anche ai dì nostri da parecchie famiglie giA, cospicue per
molti rispetti.
Che lo spirito delle popolazioni italiane fosse fino d'allora tut-
t'altro che aristocratico, e, come al dì d'oggi, contrastasse forte
cogli andazzi dei paesi germanici, ce lo prova il racconto di Ottone
da Frisinga, riportato da tutti gli storici, il quale; viaggiando per
la nostra penisola, appunto nel secolo decimoterzo, fa le meraviglie
nel vedere gli Italiani cingere del cingolo della milizia giovani di
bassa condizione (inferioris conditionis) e perfino artigiani (etiam
mecanicarum artium opifices). Ciò accadeva in quasi tutte le città
d'Italia. Dopo seicento anni, ridivenuta la nostra patria libera da
estranee pressioni, il fondo dei costumi non appare tanto mutato,
quanto si potrebbe supporre ; però, anche in momenti in cui le idee
aristocratiche nel senso baronale predominavano fra di noi, non si
trovava nell'italiano idioma parola acconcia a tradurre l' apostrofe
di disprezzo (roture) con cui la nobiltà francese stigmatizzava la
borghesia.
Colle lotte della società de' Gagliardi, composta di nobili, con-
tro i popolari ; coi prolungati sanguinosi dissidj tra questi ultimi
(Motta, Credenza, plebe), protetti da Pagano poi da Martino della
Torre,^* ed i primi (capitanei, valvassori), assecondati dall'arci-
vescovo Leone da Perego — guidati gli uni e gli altri da due po-
destà, che entrambi i partiti eransi esclusivamente dati — a cui
dopo un monotono avvicendarsi di avvisaglie, di scorrerie, di esi-
gli, di tregue, ed una effimera pace di S. Ambrogio, tenne dietro
una iliade di guerre fortunose, combattute fra Torriani e Visconti,
si attizzarono più che mai ardenti quelle eterne rivalità di classi
che funestarono, durante tanti secoli, la nostra città.
Sconfitti i Torriani, i vincitori cacciarono da Milano la famiglia
avversa, e si fecero acclamare alla loro volta. Allora le famiglie
magnatizie che avevano seguite le sorti del loro energico capo,
r arcivescovo Ottone Visconti, riguadagnata la nativa città, trion-
fanti si assisero al seggio d' onore , di fronte al vinto partito po-
2* Anche ì democratici della Torre non isdegnavano di accordare distinzioni caval-
leresche alla plebe. Francesco della Torre crea, in Sant'Ambrogio, militi due signori
^ milanesi di ricche ed antiche famiglie popolari. L'uso di creare militi in Sant'Ambrogio
I fu poi seguito dai principi di Milano. (Giulini.)
116 IL PATRIZIATO MILANESE.
polare, che ebbe ancora un lampo di fortuna col momentaneo ri-
torno dei Della Torre; i quali però, venuti ben presto in uggia
alla stessa plebe, dovettero definitivamente cedere il posto a Mat-
teo Visconti. Dopo tante stragi, dopo tante ansie angosciose, ecco
i nobili in Campidoglio. Saranno essi soddisfatti pienamente? Il
premio sarà stimato adeguato alle lunghe fatiche sostenute, con-
degno di sì meravigliosa vittoria?
I nobili, benché realmente col nuovo ordine di cose avessero
buon giuoco, ed a loro spettasse in massima 1' amministrazione
della città, si trovarono alquanto delusi nella loro aspettativa.
Tenuti in freno dai signori e vicari imperiali, poi dai duchi, che
per meglio dominarli li ruppero alle dissolutezze, spegnendo in essi
ogni bellicoso ardore, furono a volte sì malmenati che, accostan-
dosi alquanto alla plebe, a cui li legava comunanza di sventura,
tramarono congiure, primamente ad istigazione di Francesco Pu-
sterla, progenie di valvassori, ai danni di Luchino Visconti, il
quale seppe sventarle, e se ne vendicò atrocemente col far deca-
pitare il ribelle e la sposa di lui Margherita. Più tardi si consu-
marono assassinj da cospiratori patrizj sulle persone dei duchi
Giovanni Maria Visconti e Gian Galeazzo " Sforza. Per intermezzo
ebbero perfino delle velleità repubblicane, allo estinguersi della
linea ducale Visconti, tentando di fondare una Repubblica Am-
brosiana, una specie d'oligarchia a loro profitto, la quale li libe-
rasse dalla tirannide ducale, a loro insopportabile per quanto, di
tratto in tratto, fosse rischiarata da qualche scintilla di politica su-
blime. Si può dire i gentiluomini non trionfassero, in certo senso,
completamente se non nel secolo decimosesto, allorquando Carlo V
spiegava in Italia la sua politica di despotismo sulle rovine della
libertà, appoggiandosi interamente sul ceto aristocratico, che lo
accolse con gioja come nuovo . signore, sperando ricuperare quella
importanza e quei privilegi che i duchi avevano loro, con arte
finissima, che tacciavano di tradimento, negata o tolti. Per altro,
quelle grandi famiglie che cotanto avevano figurato nella storia
del medio evo, se crebbero nelle apparenze, divenute schive dei
commerci, né potendo più parteggiare liberamente, perdettero
il loro carattere peculiare, indipendente, battagliero, fieramente
operoso, che aveale rendute celebrate e potenti, per uniformarsi
servilmente al minuzioso, rigido, indigesto cerimoniale degli au-
IL PATRIZIATO MILANESE. 117
tocrati di Madrid, e riuscire ubbidienti esecutori della loro olim-
pica volontà. E appunto in questo periodo fatale che i nobili, pur
usando largamente dei vantaggi materiali prodigati da un governo
parziale, contrassero quelle abitudini di altero fasto, di noncu-
ranza per le sorti poco prospere della patria; cause determinanti
della loro morale decadenza. Obbligati a militare sotto bandiere
di potentati stranieri tiranneggianti la Lombardia, si divezzarono
poco a poco dalle armi, poi dall'alta politica che si apprende col
reggere lo Stato e col comandare gli eserciti; dalle intraprese ar-
rischiate, atte a ritemprare le forze ; dai grandi affari che ne im-
pinguavano i forzieri ; infine dal salutare incubo di star sempre
sulla breccia contro le fazioni nemiche, per addormentarsi in una
beata e snervante sicurezza, esercitandosi, tutt' al più, in studj
tranquilli e nelle modeste cariche che offriva il governo del mu-
nicipio. Perduta, col mutare dei tempi, anche quell' energia che
impiegavano nello spadroneggiare, con bravi e cagnotti, i villani
dei loro feudi, alcune famiglie divennero, a lungo andare, fin anco
inette ad amministrare le proprie sostanze; quindi, ròse dal lusso
e dall' ozio, sminuito il prestigio, caddero disastrosamente in ro-
vina. Il periodo eroico, il periodo di formazione era dunque finito,
e le famiglie che bramavano conquistare l'ambito serto, bisognava
oramai, dal più al meno, ricorressero a finzioni, che, del resto, i
governanti d'allora, pei loro fini, incoraggiavano con ogni studio.
Così i gentiluomini milanesi, dalla castigliana albagìa piucche-
mai ricolmi di privilegi, accarezzati con concessioni d'ogni fatta,
investiti di feudi, decorati di sonanti titoli, educati in collegi ri-
servati ai soli nobili, circondaronsi di infinite etichette, ed acqui-
starono quella prevalenza, quella baldanza incontestata che, seb-
bene scemasse alquanto sotto lo scettro degli imperatori di Ger-
mania, non perdettero se non colla conquista francese del 1796.
La preoccupazione più seria di quelli (cui studiavansi imitare quei
popolani che acquistassero ricchezza e fama) era la conservazione
della propria famiglia, del proprio nome; sarebbe stata quella di
eternarlo, se possibile, di assicurare indefinitamente il continuato
possesso ereditario dei monumenti di loro possanza ; mantenere in-
tatte, insieme colla santa religione, le tradizioni, la memoria, direi le
abitudini degli avi ; quindi le primogeniture, sotto tutte le forme, af-
finchè i patrimonj non si disperdessero. L'ordine di Malta, la prela-
Arch. Stor. Lomh. — An. I. • .8
118 IL PATRIZIATO MILANESE.
tura, gli eserciti del re di Spagna e dell'Impero, erano destinati a
ricevere i secondogeniti che facessero ombra alla futura prosperità
del primo nato; monasteri in numero stragrande — in alcuni dei
quali, per avere il diritto di seppellirvi una intera esistenza, biso-
gnava provare la nobiltà del sangue ^^ — tenevano sempre spalan-
cati i battenti ad accogliere le fanciulle a cui non si trovasse un
marito pari alla grandezza del casato da cui uscivano. Questa dis-
parità di trattamento, a tu!to vantaggio di quegli che il caso fa-
ceva nascere primo, contro cui tanto si declamò, portava pure
qualche buon risultato. Non pochi che, se fossero stati primoge-
niti, od anche se avessero sperato una grossa parte della sostanza
paterna, sarebbero, come il loro maggior fratello, poltriti in un ozio
ignominioso, spronati dal bisogno, d'altronde ajutati da una gran
posizione, allora indispensabile per riuscire, e, checché se ne dica,
anche oggidì assai efficace, si fecero grandi, e procacciarono onori,
celebrità e tesori ai nipoti, all'intera casa. In tesi generale, se si
scorre l'istoria delle nostre famiglie, si rimarca che il più delle
volte le loro capitali illustrazioni si trovano fra i cadetti, e, quasi
sempre, fra quelli rimasti senza discendenza propria.
Singolare era la cura di raccogliere i ritratti di famiglia, a ram-
mentare ad ogni istante, non solo le alte cariche sostenute dagli
antenati, ma le fattezze, il cipiglio, lo sguardo minaccioso ; ritratti
che appendevansi alle pareti delle spaziose anticamere e delle sale
dei palazzi, come già i Komani, che del pari avevano un culto spe-
ciale per gli avi, conservavano negli atrj i loro penati. Mentre
dunque, da un lato, non vi era privilegio, non eranvi onoranze a
cui i patrizj non pretendessero con pertinace insistenza, dall'altro
non eranvi abnegazioni di cui non fossero capaci, a cui non si
sobbarcassero serenamente. La compagnia dei nobili della Conso-
lazione di S. Giovanni decollato, la quale si prendeva la triste
cura di preparare alla morte i condannati all'ultimo supplizio, al-
lora spesseggianti; accompagnarli al patibolo; seppellirne pietosa-
mente i cadaveri, ne era una prova : alterigia da grandi ed umiltà
cristiana, a tutto si chinava il capo; tutto si accettava con santa
25 II monastero delle Agostiniane in Santa Barbara era riservato alle sole nobili. Il
popolo pretendeva che col suono delle campane le buone suore esprimessero assai chia-
ramente le parole: « Semm tutt damtn, semm tutt damm. »
IL PATRIZIATO MILANESE. 119
rassegnazione; la spada intraprendente dell' idalgo e lo stiletto in-
sidiatore del bravo — l'ascetismo democratico dei degeneri ma
insinuanti discepoli dello stigmatizzato santo di Assisi, e l' inqui-
sizione spietata dei Domenicani — tutto, fuorché l'indifferenza
dissolvente, livellatrice, che intepidisce la società dei nostri tempi.
Quei fieri baroni che vedemmo, dopo il Mille, sferrarsi dai mer-
lati castelli, scendere nelle città, e affratellarsi coi figli del popolo
innalzantisi a potenza; quegli ottimati di razza popolana che tro-
vammo irrequieti, avidi di libertà, di moto, reggere la repubblica,
lottare ora contro la plebe, ora contro gli imperatori; infine par-
teggiare per una fazione, e, quando la biscia viscontea sventolò
sulle torri di Milano, da prodi cavalieri correre giostre e tornei
in onore della propria dama, chiusi in quelle mirabili armature
delle cui fucine la loro città andava orgogliosa ; scorrazzare in stre-
pitose cacce con falchi e sparvieri; da innamorati trovatori can-
tare la provenzale sirventa in lode dell'alma donna: poi, quando
si dirozzano i costumi e lo spiritualismo cristiano si concilia final-
mente col classicismo greco, abbandonate le ardue fatiche della
quintana per la loquace galanteria del Quattrocento ^^ allorché
agli austeri militi a squame di acciajo, subentrano paggi libertini
stretti nello snello farsetto di seta e di velluto — li vediamo farsi
gentiluomini, dilettarsi di tutte le arti, i piaceri, le leggiadrie, che
fanno bella la rinascenza, e mandarono famosa nelle storie la
Corte degli Sforza — nello stesso tempo non isdegnare i traffici,
fonte di ricchezza e di forza. Indi, all' ombra del governo di Ma-
drid, ridivenuti burbanzosi feudatarj, non di rado innocui o bene-
fici mazzasette in un paese immiserito dal più sconfortante avvili-
mento, stabilirsi nei palazzotti della campagna per esercitarvi diritti
e soprusi — disertando alquanto la metropoli, devastata da guerre,
carestie, pestilenze; quindi spopolata, inselvatichita, uggiosa, ve-
dovata dei grandi luminari della artistica scuola lombarda; degli
scolari di Leonardo, che l'avevano cotanto illustrata. — Ai maschi
certami colle lancio in resta, alle corti bandite, succedevano le
processioni coi cerei accesi; al tintinnìo delle armi, alle disqui-
sizioni di artisti e di eruditi, le monotone salmodie dei frati nei
moltiplicantisi conventi, il rauco sermoneggiare dei predicatori;
insomma, all'atticismo esilarante della Corte sforzesca subentra il
torvo bigottismo di Filippo IL Assidui nel reggere esclusivamente,
120 IL PATRIZIATO MILANESE.
con saggia moderazione, l'azienda comunale di Milano, conservando
intatto il privilegio di amministrare il patrimonio dei poveri, nei
quali, per la loro stessa origine, non vedevano gregge da concul-
care, ma amici meno fortunati da proteggere. Tutta questa ari-
stocrazia, che era padrona assoluta del campo, come i Titani della
favola; mentre alla borghesia non era lasciata aria per respirare,
né spazio per muoversi ; — che aveva dignitosamente subite tante
vicende; mutati tanti padro*ni; coli' ingentilirsi dei costumi, dopo
la guerra di successione, deposta la cappa castìgliana per vestire
l'abito francese, si trasforma in attillati cavalieri patri^j, si fog-
gia ad abitudini socievoli, eleganti, inappuntabili. Erettosi uno
sfarzoso teatro di Corte, sopra disegno di un allievo del Bibiena,
appassionasi della musica melodrammatica, la quale, perfezionan-
dosi nel suo secolo d'oro, coi gorgheggi di evirati cantori, fa deli-
rare scienziati e cicisbei; e, per contrastò, nei casalinghi concerti,
il classico quartetto trasportavali nelle regioni infinite di un puro
idealismo. Mentre che dagli uni si gustano tutte le raffinatezze,
direi quasi, le leziosaggini della vita civile, in smaglianti quartieri
decorati in uno stile lussuoso, zeppi di quella fantastica suppel-
lettile che eccita più che mai l'ammirazione de' miei contemporanei ;
in un'atmosfera tutta pregna di polvere di cipria, satura di mitolo-
giche sdolcinature, si intreccia il caratteristico minuetto da aggra-
ziati cavalieri e da damine in guardinfante, picchiettate di nei ; fra
una cornice di matrone un po' smorfiose e di cascanti abatini — si
folleggia in balli in maschera — si tripudia con giuochi d'azzardo ^^
— si recitano arcadiche frasche da enfatici pastorelli; e da pit-
tori in decadenza si coloriscono, con affettato manierismo, le la-
scive nudità dell'olimpo greco. Intanto alcuni pochi cavalieri senza
paura correvano il mondo militando, con qualche gloria, negli eser-
citi imperiali, sotto le bandiere del loro supremo signore feudale. I
primogeniti, aprendo i loro palazzi alla vita cittadinesca, non solo
incoraggiano geniali ritrovi, ma danno ospitale ricetto a poeti e
letterati; perfino ad accademie letterarie e scientifiche; ma ren-
dono possibili pubblicazioni come quelle del Muratori. Entrano in
"^ Alcuni nobili si facevano anche intraprenditori di singole banche di faraone nel
ridotto del teatro ducale. La banca tenuta per conto del marchese Natta rimase pro-
verbiale nel vernacolo milanese per la sua abbondanza di denaro.
IL PATRIZIATO MILANESE. 121
tal modo con entusiasmo nelle vie della coltura e di un giudizioso
progresso; sicché, ridire l'opera loro nella seconda metà del se-
colo decimottavo, ci porterebbe a rifarne la storia. Così la loro
provvidenziale missione è compiuta — il ciclo si chiude; la vasta
epopea è finita: al dualismo succederà la finale conciliazione. Le
orde francesi, scatenatesi dalle Alpi, invadono la Lombardia e pro-
clamano l'èra della eguaglianza civile. Colla Kepubblica Cisalpina
i patrizj, scompaginati, dovettero abdicare in favore di una bor-
ghesia ricca ed istrutta, la quale, fattasi adulta dopo la caduta
del governo spagnolesco, ed agglomeratasi accanto a loro, dap-
prima tollerata, poi incoraggiata formalmente dalla equanimità di
casa d'Austria — chiamata da lei a formar parte di Commissioni
governative ed innalzata persino ai sommi gradi dell'esercito im-
periale (generale Venini) — domandava di avere la sua parte
nel nuovo impulso che si voleva imprimere alla società. Questa bor-
ghesia, che già andava imparando le maniere signorili e la disinvol-
tura della nobiltà, che da tempo, non a torto, si impennava, insof-
ferente di sottostare ad irragionevoli monopolj, doveva natural-
mente, mentre la bufera giacobina disperdeva i suoi più cocciuti
avversarjV^ farsi innanzi e prendere quel posto che la Provvidenza
le riservava nel nuovo ordinamento della moderna società, di cui
essa doveva essere non solo F anima ed il nerbo, ma eziandio l' e-
lemento moderatore fra le discrepanti forze dei partiti estremi.
Al sopraggiungere degli Austro-Russi i patrizj eransi un mo-
mento rannodati, lasciando esilj e residenze campestri — quindi,
ritornati i Francesi con idee più miti a loro riguardo, e più tardi
incensati dal nuovo padrone imperiale, ripresero una posizione ab-
bastanza influente presso una Corte recente, la quale nulla tra-
lasciava per attirare a sé ed affezionarsi i rappresentanti tutti
delle antiche prosapie, ^^ per le quali aveva singolare predilezione.
2^ Ricorderemo che l'ex-duca Serbelloni, con qualche altro, si erano ingolfati di santa
ragione nella baraonda demagogica.
2^ I Rappresentanti degli estimati nobili presso le Deputazioni Centrali della Lom-
bardia e del Veneto; il Collegio per le Guardie nobili lombardo- venete in Vienna; il
Casino in Milano, esclusivo ai nobili, furono le ultime espressioni legali della distin-
zione delle classi durante la dominazione austriaca dal 1814 al 1848. Per essere poi
ammessi alla Corte raddappiavano i requisiti, giacché richiedevansi i quattro quarti di
nobiltà; rigori per -altro che si andarono sensibilmente raddolcendo nell'ultimo periodo..
I
122 IL PATRIZIATO MILANESE.
In questa bisogna era assai destro il principe Eugenio, viceré del
nuovo regno d'Italia; ne è prova il modo cortese ed accorto con
cui ammansò il principe di Belgiojoso. Il vecchio gentiluomo,
odiando il nuovo ordine di cose, vegetava rinchiuso nel fondo del
suo castello. Un bel mattino il giovane Beauharnais mosse con
gran treno a visitarlo, come da pari a pari, e, nello stringergli
amicamente la mano, lo chiamava ripetutamente ^ mon cousin. „
Lo stratagemma sortì pieno effetto. — Che l'aritocrazia si rimet-
tesse alquanto dai danni della tremenda crisi è evidente; sicché
Carlo Porta potè, guardandosi attorno, colpire ancora dei tipi, come
donna Paola Travasa, la infatuata divota della Madonna di S. Celso p
il Marcliesass^ ed altri. Frattanto però la borghesia tenne parola,
guadagnandosi bravamente i proprj speroni : basterà citare in pro-
posito il generale Pino; il ministro Prina, il quale, come tutti gli
uomini che precorrono i loro contemporanei, cadde vittima delle
proprie generose aspirazioni; Giuseppe Bossi, pittore, poeta ver-
nacolo, scienziato, individualità d' alto sentire, di volontà irremo-
vibile, a cui dobbiamo la pinacoteca di Brera ; Vincenzo Dandolo,
reputato agronomo, provveditore generale in Dalmazia, indi se-
natore. I Venino intanto, gareggiando con nuovo esempio colle
grandi famiglie, innalzavano la principesca Villa Giulia sul lago
di Lecco, e un Diotti murava uno dei più ampj palazzi di Milano
(ora E. Prefettura).
L'Austria, riconquistata che ebbe la Lombardia, rimetteva in
piedi l'cinfica nobiltà; ma, ottemperando alla profonda trasforma-
zione della società europea, organizzò il paese secondo i dettami
di una quasi democrazia, per quanto smorzata da un resto di feu-
dalismo. La riconciliazione delle classi si compiva mercé la ferrea
volontà che sottometteva irremissibilmente tutta quanta la na-
zione, senza riguardo a partiti; poiché tutti destavano egualmente
i sospetti del dominatore.
Un ritorno completo a forme di altri tempi parve si effettuasse
quando Ferdinando I, imperatore d'Austria, facevasi incoronare
nella cattedrale di Milano re del regno Lombardo-Veneto, ai
piedi di quello stesso altare, dinanzi a cui Napoleone erasi fiera-
mente posta in capo la corona ferrea dei re d' Italia. Quell'avve-
nimento, che i versi sdegnosamente mordaci del Giusti resero fa-
moso, segnò il punto culminante della dominazione austriaca in
IL PATRIZIATO MILANESE. 123
Italia nel secolo XIX. L'aristocrazia lombarda parve come affasci-
nata da queir inusitato sfoggio di grandezze ; ed a Vienna si cre-
dette un momento di avere trionfato della tenacità italiana. L'alta
nobiltà fu, in questa occasione, insignita delle grandi cariche di
Corte; numerosi furono i ciambellani; gli adolescenti si fecero
paggi; mentre la nobiltà secondaria si dovette accontentare della
carica alquanto più umile di scudiere. Una guardia del corpo isti-
tuivasi per far scorta d' onore al monarca, nella quale generosa-
mente si ammisero anche i nobili di fresca data. Vennero in tal
modo rimesse in vita cerimonie dimenticate, in mezzo a grande sfog-
gio di titoli, di quarti, di blasoni, di uniformi, di livree, di equi-
paggi; fantasmagoria che doveva sparire quandochesia, come un
palazzo fatato al colpo di bacchetta dell' incantatore.
Il tentativo fatto in quel trentennio per galvanizzare, sia pure
nel solo cerimoniale, istituzioni morte, andò fallito. Indarno il
nuovo Giuliano comandava agli àuguri sagrificassero vittime agli
antichi dèi; la fede era svanita; gli oracoli tacevano. La esclama-
zione della vecchia e veneranda dama genuflessa innanzi al con-
fessore: " Sono un verme, ma un verme Trivulzio „, è magnifica
di semplicità, di concisione. Usci dalle viscere di una donnicciuola
penitente, come poteva uscire dalla bocca di qualunque altro ac-
cigliato suo pari in altezza di lignaggio; poiché quel concetto sì
incisivo non nasceva allora nel suo capo, ma era stato pensato,
ruminato, durante parecchi secoli, da una intera casta, riassumeva
tutto un passato, e sfuggiva per caso, come un grido d' allarme,
come una disperata protesta, dalle labbra di una delle più in-
conscie sacerdotesse di un idolo che di giorno in giorno andava
perdendo credenti e adoratori. I gravi eventi del quarantotto, il
dies ircB di molte inveterate abitudini, che le rivoluzioni ante-
riori non erano riuscite se non a sfiorare, iniziando il movimento
verso la nazionale indipendenza, tolsero le ultime illusioni; e i ri-
volgimenti che rimescolarono la intera penisola, cancellarono on-
ninamente le traccio di idee e di costumi di tinta medievale, di
importazione castigliana.
Alcuni parvero temere che, cessata la forza esteriore, direi coer-
citiva, che teneva compresse le popolazioni, e lasciate libere di
sbizzarrire a posta loro, l' antico genio della razza non si risvegli,
scattando come una molla, e ci ammanisca qualcuna di quelle de-
124 IL PATRIZIATO MILANESE.
solanti scene che rattristarono per secoli il nostro bel paese, e re-
sero infelici i nostri padri. Ma il mondo ha progredito, ed ha fatto
troppo senno per cadere in simili aberrazioni, e rendere possibile
una nuova edizit)ne di Guelfi e Ghibellini. ^^
IL
PATRIZIATO ROxAIANO. — COSA SIA OTTIMATE.
Anche le grandi nazioni dell'antichità conobbero le aristocrazie,
anzi in pressoché tutte furono queste la base più salda della com-
pagine sociale. I Kusciti, quel popolo procace, miscredente, che un
destino imperscrutabile dannò, cogli altri suoi confratelli prove-
nienti da Cam, a scomparire tragicamente d'in fra le nazioni au-
tonome — che, nella immensa epopea delle umane razze, rappre-
senta la glorificazione del materialismo, mentre i Semiti rappre-
sentano la fede inconcussa nel monoteismo, e gli Arii ondeggiano
in un nebuloso idealismo panteistico — furono i primi a raccogliere
quelle imponenti agglomerazioni di uomini civilizzati, le quali, nella
arcana lontananza dei secoli, rifulgono di uno splendore che an-
cora ci abbaglia colla sua luce. Ritiensi che il fondo della loro po-
litica fosse il sistema delle caste, di cui parrebbero gli inventori;
anzi da loro avrebberlo appreso gli Indiani, i quali, da tempo
immemorabile, ne contano quattro. Le tre maggiori, formate dai
conquistatori arii, tengono serva la quarta. Il dispotismo assiro,
all'incontro, non permise né caste, né aristocrazia ereditaria, né
distinzioni di classi. I Caldei in Babilonia, al dire di Diodoro Siculo,
erano una classe di cittadini non dissimile dai sacerdoti egiziani.
25 Oltre i Promessi Sposi, altre opere di invenzione dipingono con vivi colori i co-
stumi dei nobili lombardi durante gli ultimi secoli. Fra queste citerò la novella: La
Madonna d' Inibevera, di Cesare Cantù; il romanzo: Il Marchese Annibale Porrone, di
Ignazio Cantù. Fra gli storici sono da leggersi il Cusani nella sua Storia di Milano, e
Cesare Cantù nelle opere: La Lombardia nel secolo XVII, e Par ini e la Lombardia.
IL PATRIZIATO MILANESE. 125
I Persiani avevano pure tre classi: i guerrieri, i coltivatori ed i
pastori erranti. L' Egitto aveva pluralità di classi, e la sacerdotale
primeggiava su tutte — aristocrazia strapotente, padrona della
più gran parte del suolo, riuscì a tenere al secondo posto la classe
dei guerrieri, compito difficilissimo. Nel regno di Saba esistevano
cinque caste, e al disopra un feudalismo in piena regola, con veri
baroni, che si chiamavano dal nome dei loro castelli. Tutte le po-
polazioni arabe seguirono a un dipresso un tale organismo. — Non
parlo della democrazia sui generis dei Chinesi ; non della feudalità
giapponese e de' suoi Daimios, che troppo se n' è parlato in questi
anni.
I Fenicj, altro popolo di provenienza camitica, ebbero una classe
patrizia, e vuoisi fossero appunto i nobili di Tiro quelli che, emi-
grando dalla madre patria, fondarono la celebre colonia cartagi-
nese, retta da una oligarchia di poche famiglie aristocrate.^° La re-
pubblica di Solone non era dapprincipio una democrazia pura, e
non lo divenne se non assai più tardi. — Gli Spartani, quando
ebbero conquistata la Laconia, si pretesero tutti quanti pro-
nipoti di Eraclide figlio di Zeus, e formarono il patriziato spar-
tano, potentissimo in mezzo alla depressa plebe lacedemone. ^^ I Pe-
riechi, per la maggior parte, discendevano dagli Achei, occupatori
del paese prima della invasione dorica; erano mercatanti o pic-
coli possidenti, insomma la borghesia. Dapprincipio non fu loro
concesso alcun diritto politico e venivano interamente ammini-
strati dai conquistatori ; ma, coll'andar del tempo, si guadagnarono
tutte le libertà, rovesciando F autorità sconfinata di quelli ; to-
gliendo perfino il nome di Sparta alla città capitale, per appellarla
Lacedemone, dal nome collettivo della nazione.
Pitagora, portatosi a Crotone, nel golfo di Taranto, vi stabilisce
r aristocrazia, che per lui voleva dire il migliore dei governi, o,
piuttosto, il governo dei migliori — aristocrazia che, come si espri-
me Diogene, non era una tirannia pura, ma bensì un governo mo-
derato, tendente alla forma aristocratica. In Occidente, i Galli,
prima della conquista romana, si distinguevano in due classi. I no-
bili, a differenza dei plebei, si radevano la barba, non conservando
3°Hennebert, Hisfoire d'Annihal.
3*FiLLEUL, Histoire da siede de Peridh.
126 IL PATRIZIATO MILANESE.
se non lunghi mustacchi. Druidi e cavalieri, gli uni coi sagrificj
e coi misteri religiosi, gli altri colle armi, tenevansi il popolo sog-
getto in una quasi schiavitù. Cesare ci insegna che i cavalieri galli,
muovendo alla guerra, raccoglievano intorno a sé un certo numero
di amòacti (schiavi) e di dienti, secondo la loro più o meno ec-
celsa posizione. Gli storici moderni non sono d'accordo nel definire
questi amhadi. Secondo gli uni, sarebbero giovani nobili; secondo
altri, e sembra più ammissibile, sarebbero stati uomini liberi di
origine, ma plebei, e ridotti a doversi sottomettere ad una specie
di clientela somigliante a servitù.
I Germani, tuttoché retti da ordini abbastanza democratici, se
ignoravano le caste foggiate sullo stampo delle orientali, divide-
vansi in classi, non impossibili da scavalcare dai più arditi. Ave-
vano schiavi, 0, per meglio dire, servi della gleba — uomini li-
beri — e nobili, ben distinti da coloro che eransi guadagnata una
qualche illustrazione personale. Tacito in varie riprese rimarca
tale differenza, affermando così l'esistenza di una vera aristocrazia
ereditaria: " Beges ex nobilitate, duces ex virtute sumimt. „
La Repubblica romana, dominata, come era, dal patriziato, il
più ostinatamente esclusivo che si conosca nelle storie, tenne per
lungo tempo i matrimonj fra patrizj e plebei giuridicamente nulli-
Si narra di una giovane patrizia, la quale, avendo data la mano
di sposa ad un illustre plebeo, che nonpertanto aveva coperto le
più alte cariche, venne, a cagione di tale matrimonio, dalle donne
nobili espulsa non solo dal loro consorzio, ma anche dalla festa
che celebravasi in onore della Castità ; dopo d'allora fuvvi in Roma
una' dea della castità per le patrizie e un'altra per le plebee.^^
I patrizj stimavansi di stirpe divina, e sostenevano sarebbe stato
dispregio ed ingiuria alla religione ed agli dèi il dare a tutti gli
uomini eguaglianza di diritti. Niebuhr aveva visto pel primo che la
nazione romana erasi formata di cittadini appartenenti a due classi
differenti: il popolo della città (popidus), composto di razze pa-
trizie e loro clienti, e il popolo della campagna (plebs)^ composto
dei piccoli possidenti delle tribù rustiche. Guizot osserva che la
lotta fra la plebe ed i patrizj, durante la Repubblica romana, non
fu, come in Francia nel medio evo, il lavoro lento e difiicile di una
33 MoMMSEN, Storia Romana.
IL PATRIZIATO MILANESE. 127
classe lungamente depressa, che si rannoda poco a poco a sfidare
la classe superiore ; ma la riguarda piuttosto siccome la continua-
zione della guerra di conquista, siccome lo sforzo dell'aristocrazia
delle città conquistate (Cavalieri) per partecipare ai diritti del-
l'aristocrazia conquistatrice di Roma. Però, al dire di Tacito, da
Giunio Bruto venendo giù fino alla dittatura di Cesare, sarebbe
stato chiuso il libro d'oro dei patrizj. Lo stesso Bruto, prima di
questo atto, ne avrebbe creato dei nuovi (Patres minorum gentium,
o Patres cons cripti^ cioè aggiunti alla lista), racimolandoli fra i
maggiorenti della plebe (Cavalieri), affine di completare il numero
di trecento senatori.^'
La creazione del tribunato, aprendo nuovi orizzonti all'attività
ed all'ambizione della plebe, la distolse dal brigare gli onori del
patriziato;^* così che nell'anno 493 avanti Cristo si poteva chiu-
dere tranquillamente, senza scosse, l' elenco delle famiglie patrizie,
come a Venezia, nel 1319 dell'era nostra, chiude vasi sotto il doge
Sóranzo, il libro d'oro del patriziato veneziano. J. J. Ampère, bril-
lante scrittore meglio che profondo storico, ^^ vorrebbe invece che
il patriziato romano fosse tutto di origine sabina: donde il nome
di Quirìtes che significa Sabini, e la formula Populus Bomanus Qui-
ritiiim. I Sabini, egli dice, abitavano principalmente sul Quirinale;
è quindi curiosa, osserva, 1' analogia della esistenza feudale delle
famiglie sabine, con quella delle grandi famiglie romane del medio
evo ; le abitazioni della gente Cornelia in Roma, nei tempi antichi,
corrisponderebbero a quelle che tennero i Colonnesi molti secoli
dopo. Il vicus Corneliorum non era lontano dal vico dei Colonnesi.
Cicerone per altro spiegava nel seguente modo la formazione
del Senato: cento senatori sarebbero stati nominati da Romolo;
cinquanta senatori sabini sarebbero stati inscritti dopo l'arrivo di
Tazio; cencinquanta sarebbero stati nominati da Tarquinio l'Anti-
co. Tito Livio, invece, non ammette che la pace tra Romolo e Tazio
abbia portato al Senato, né cento, né tampoco cinquanta senatori.
Fa però entrare cento cittadini di Alba, al tempo di Tulio, ed
altri cento al tempo di Tarquinio. Cosi compone il Senato di cento
3 3 Tito Livio aflFerma che i patrizj furono i discendenti dei prischi senatori {Patres).
^* Belot, Histoire des ChevaUers Romains.
'^ Histoire Romaine à Rome.
128 . I'^ PATRIZIATO MILANESE.
senatori nominati da Komolo, cento di Alba, cento di nuove fami-
glie introdotte da Tarquinio. In appresso, non solo Giunio Bruto,
come vedemmo, ma anche Valerio Publicola riempie i vuoti del
Senato; fatto che contribuiva non poco a riconciliare la plebe coi
patrizj, ma non impediva ulteriori e più feroci antagonismi.
Al tempo dei Gracchi l'antico patriziato del sangue andava scom-
parendo, per lasciare il posto ai nobili, vale a dire ai plebei che
si erano ingentiliti coli' entrare nella magistratura curule, ^® e col-
l' assidersi in Senato; questi, una volta arrivati all'apice della for-
tuna, opprimevano senza misericordia quella plebe che non aveva
saputo, come loro, guadagnarsi gli onori, e per la quale non ave-
vano che sijperbo disprezzo. Nello stesso tempo rendevansi potenti
i Cavalieri, occupanti il posto della moderna borghesia: suddivi-
devansi in due pa^rtiti, l'uno, formato da coloro che possedevano
terre, camminava d'accordo col Senato; l'altro, tutto dedito ai
traffici, eragli avverso.
1 plebei arrivarono al consolato l'anno 366 avanti Cristo, al-
l'augurato nel 300, al gran pontificato nel 250:"' ma la con-
quista di tutti i diritti, compresi i religiosi, non procurò loro la
posizione di patrizio. I consoli, i pretori, gli edili, gli àuguri, i cu-
rioni, nati plebei, restavano plebei, formando piuttosto una nobiltà
plebea, ben distinta dal patriziato, le cui gens^^ erano anticamente
sedute nel Senato. In tal maniera il vetusto patriziato repubblicano
ebbe sempre il disopra, finché, duce supremo Gneo Pompeo, fu da
Giulio Cesare sbaragliato sul campo di Farsaglia, dove appunto si
era data la posta il fiore dei legittimisti romani, in aspettazione
di un colpo di fortuna che li rimettesse trionfanti in Roma. La vinta
^♦'Beegek, Uistoire de Véloquence latine.
2^ Colle vittorie della plebe, il Collegio Pontificale, il corpo che oppose più salda re-
sistenza alla invasione plebea, e che prima era devoluto ai soli patrizj, si compose dì
un numero eguale di patrizj e di plebei (vedi Buché-Lecleec, Les Pontifes de Van-
cienne Some).
^^ La, gens era una riunione di famiglie uscite dal medesimo ceppo, e quindi congiunte
per legami di sangue. Talvolta una medesima gens poteva raccogliere famiglie patrizie
e famiglie plebee insieme, come era il caso della gente Claudia. L'oligarchia romana
odiava principalmente gli uomini di nascita indipendente ed onorevole, che si sentivano
pari dei nobili. Per difendersi da questo minaccioso mezzo ceto, ella cercavasi alleati
nel basso popolo, che poteva trattare come protetti.
IL PATRIZIATO MILANESE. 129
Repubblica cedeva allora il posto al despotismo democratico degli
imperatori che il patrizio Bruto tentò spezzare al suo nascere, a
profitto dell'oligarchia repubblicana; dispotismo che doveva, ora
imperversando nelle mani di scellerati autocrati, ora felicitando i
popoli soggetti, assunto come era da filosofi ed eroi, reggersi per
secoli, finché crollava con immenso scroscio sulle rovine del mondo
pagano, abbattuto dai Barbari e dalla Chiesa.
Fra le prerogative di semplice apparato a cui non vollero mai
rinunziare i padroni del Campidoglio repubblicano, fu quella della
sedia curule; prerogativa che, dopo tanti secoli e tante avventure,
conservano ancora oggidì, come un diritto, alcune fra le più grandi
famiglie romane, trasformata nella distinzione di tenere un seg-
gio sormontato da un maestoso baldacchino a foggia di trono,
nelle anticamere dei loro palagi (diritto al baldacchino).
Nel settimo secolo dell'era volgare, la cittadinanza di Roma era
costituita da tre grandi classi: clero, esercito, popolo. Questi tre
ordini prendevano tutti parte all' elezione del papa. L' esercito rap-
presentava la classe dei ricchi: i nobili militavano a cavallo, for-
mando una specie di aristocrazia cavalleresca; i cittadini agiati
servivano nella fanteria. Questi ottimati dell'esercito, insieme coi
Judices, ossia giudici civili, costituivano la nobiltà romana. In quel
torno spegnevansi molte antiche famiglie, ed ' al loro posto suben-
travano le bisantine, accanto alle quali vivevano i pronipoti de' no-
bili goti, oramai addestrati .a tutte le finezze delle costumanze la-
tine.^^ Da un placito romano del4febbrajo 901, in cui sono registrati
i nomi de' più illustri primati di Roma, detti Judices ed onorati dei
titoli sia di Consoìes, sia di Duces, si può dedurre nessuno di loro
si appelli con nome germanico. Scorrevano pochi anni che un Al-
berico, figlio della Marozia, ^*^ fortificatosi con alcune masnade nel
mausoleo d'Augusto, impadronivasi insidiosamente del supremo po-
tere, intitolandosi Princeps atque Senator omnium romanorum; ed
impiantava una repubblica di nobili, primo sintomo di quella te-
nace prevalenza che questi dovevano avere mai sempre sui destini
dell'eterna città.
I monarchi dispotici furono costantemente i più accerrimi ne-
3^ Gregorovius, Storia della città di Rmna.
*° Da questo Alberico vuoisi discenda la famiglia de' Colonna.
130 IL PATRIZIATO MILANESE.
mici di una aristocrazia indipendente e fiera. Senza dire degli im-
peratori romani, che fiaccarono con crudele insistenza il patriziato
repubblicano in Roma, citeremo Luigi XI di Francia e i suoi suc-
cessori, i quali, come tutti sanno, seguendo la politica iniziata da
Filippo Augusto e da san Luigi, fecero sforzi inauditi per depri-
merla, a tutto benefizio della loro autorità illimitata. Richelieu,
incoraggiando la nobiltà di toga, uscita dalla borghesia, riusciva
a trasformare completamente indomiti baroni in compiacenti e
briosi cortigiani da popolare lussureggianti roggie — tutto quel
nugolo di gentiluomini che si aggiravano attorno all' idolo di Ver-
sailles e costituivano la Corte — ripagandoli della loro condiscen-
denza con donativi, e con titoli che, prodigati per graziosa con-
cessione sovrana, perdono ogni significato. Il Vico ^^ sembra rim-
piangere non vi fossero, a' suoi giorni, se non cinque Stati retti da
aristocrazie pure: Venezia, Genova, Lucca, in Italia; Ragusa, in
Dalmazia; Norimberga, in Germania; giacché, egli pensa, quella
essere la forma ultima degli Stati civili. Jamblico afferma che il
principio della politica del sublime Pitagora era il seguente: non
essere per uno Stato peggiore malanno dell'anarchia, né per scon-
giurarla trovarsi mezzo più acconcio del pendere verso una mo-
derata aristocrazia. Anche lo Spinoza ^^ ebbe analoghe predile-
zioni, ancor più accentuate. Vorrebbe una aristocrazia ereditaria^
conservante il potere nelle sue mani, patto però i patrizj non ot-
tengano questo privilegio per legge espressa, ma quasi per tacita
consuetudine^ e non siano esclusi gli altri cittadini, quando non
esercitino professioni servili, né sieno venditori di vino e di birra.
Ma il mondo camminò di molto sopra una via che non è quella
intravveduta da quei sommi. Un filosofo vivente, il Vera,*^ le cui
aspirazioni sono più all' unisono con quelle della maggioranza de-
gli uomini del nostro tempo, pensa con Hegel, che la monarchia
rappresentativa sia la forma di governo la più perfetta e la più
razionale, giacché essa riunisce e concilia " nel suo seno i tre
elementi: il monarchico, l'aristocratico e il democratico. „ Certo
che in una società in cui, finita com'è la reazione, sono possibili,
^ ' Scienza nuova, voi. IL
^2 Trattato ^politico.
^' Introduzione aVa Filosofia della Storia.
#
IL PATRIZIATO MILANESE. 131
in tutte cose, le forme più disparate, lo opinioni le più opposte
— in cui tutti sfringuellano di eguaglianza, ma tutti " come un
sol uomo „ vanno a caccia di decorazioni — in cui domina un
eclettismo non mai prima visto, in politica come in arte, si può
ammettere che il patriziato, anche ridotto, com'è, ad una remi-
niscenza, ad un'ombra, abbia un compito da adempiere. Il po-
polo, sia pure il più francamente democratico, in date circostanze
dimentica i vecchi lagni, e sente il bisogno di rivolgersi agli in-
dividui di certe famiglie, identificate cogli interessi e col lustro
della patria, ben note per proverbiale onestà; ai quali certe sfu-
mature che non si imparano alla scuola, danno particolari attitu-
dini; ed una educazione superiore farebbe supporre accarezzino
un ideale più perfetto della umana società, a cui si sforzerebbero
di conformare le proprie azioni, animandosi di aspirazioni costanti,
feconde, al buono, al bello, all'utile. Lo splendore della posizione,
le tradizioni gloriose, la innata cortesia del tratto e il dignitoso
contegno, possono essere arra della fermezza, zelo, affabilità con
cui serviranno ancora quel paese, dai loro maggiori già tante volte
illustrato colla spada e colla toga. L'idea di affidare le proprie
sorti a cittadini, i quali, oltre ai meriti dell'ingegno, porgano altre
serie garanzie di affezione per la loro terra natale, è antichissima.
Ad Atene non si diveniva generale od oratore senza essere pro-
prietario 0 capo di famiglia, ed il discendere da illustre prosapia
esercitava tal fascino sulle moltitudini, che alcuni cittadini si fab-
bricavano false genealogica^ Non parlo della moderna Inghilterra,
in cui senza ricchezza uno non ha neppure la speranza di farsi
ascoltare dal proprio simile.
La maturità dei tempi eguagliò molte disparità, e l'ideale in-
travveduto da alcuni fra i moderni pensatori sarà forse in parte
attuato, almeno per quanto lo permetterà la umana natura, mae-
stra incorreggibile nell' inventare distinzioni e gerarchie; però, ac-
canto al democratico Alcibiade, si troverà sempre un aristocratico
Socrate. Non giova dissimularlo, i popoli che amano vivere della
vita avventurosa della libertà, ^potranno difficilmente schivare i
Mario ed i Siila; solo la tirannide, a costo di bruciar Koma o Pa-
rigi, vuole tutti inesorabilmente depressi al medesimo livello, si
appelli essa Nerone o si intitoli la Comune.
Scoliaste d' Aristofane.
132 IL PATRIZIATO MILANESE.
La parola ottimate, spogliata da ogni gingillo e ridotta al suo
più intimo significato, indicherebbe quella persona che possegga
una qualche importante estensione del suolo su cui un popolo vive,
e, nei paesi molto inciviliti, chi raccoglie grandi capitali; in ul-
tima analisi, chiunque stringa degnamente nelle mani una fra-
zione di potere. Le famiglie che hanno vasti possessi territoriali
e comandarono pel corso di lunghe generazioni, completando l'o-
pera loro coir accettare coraggiosamente tutte le conseguenze di
abnegazione e di sagrificio inerenti al loro eccelso destino, acqui-
staronsi celebrità sì che, anche tramontando, conservano per un
lasso di tempo come un riflesso della passata grandezza. D' altra
parte, quegli che possiede o comanda per fatto recente, non ha
ancora il prestigio che eleva un casato. Cogli anni gli ottimati, i
quali non seppero rinnovare la propria fama con nuove gesta e
rifare le esauste finanze, rientrarono poco a poco modestamente
neir umile folla senza nome, o, al più, rimase loro una vana glo-
riola, riassunta in un titolo, basata, se si vuole, sopra una pura
immaginazione, ma che, se non altro, può ricordare ai presenti
che salgono trionfanti la ruota della fortuna, 1' antico splendore
dei caduti. Qualcuno potrebbe anche vedere nella nobiltà, o, per
meglio dire, in quella specie di miraggio di cosa che fu, sempre
fatta astrazione dagli arzigogoli araldici, una preclara posizione so-
ciale ereditaria, libero a ciascheduno di guadagnarsela con virtù
propria, nello stesso modo che si accumulano ricchezze. Colui che
riceve dal padre un nome altamente stimato, e sa mantenerlo in-
temerato 0 riesce a viepiù illustrarlo, fa il lavoro di chi accresca
l'avito patrimonio con saggia amministrazione. Nello stesso modo
che il capitale è forza, sarebbe stoltezza il non riconoscere in un
nome egregio un piedestallo che ti -innalza al disopra del basso fondo
in cui si dibatte incompreso chi nulla ebbe dalla nascita. Il Pa-
nni, in un acre dialogo sulla nobiltà^ non scevro di triviali luoghi
comuni^ da cui traboccano le impazienze astiose tormentanti la cre-
sciuta borghesia del secolo decimottavo, alla vigilia della rivolu-
zione; impazienze suscitate dalla superiorità umiliante de'patrizj,
la quale non aveva realmente più ragione di essere, esce nonper-
tanto con queste parole: ^' Se la nobiltà è congiunta colla virtù,
avviene di questa come dell' antiche medaglie, che, quantunque
la loro patina non renda intrinsecamente più prezioso il metallo
4
IL PATRIZIATO MILANESE. 133
onde sono composte, né migliore il disegno onde sono improntate;
nondimeno, per una opinione di chi se ne diletta, riescono pur
care e pregiate „.
Quasi tutti i popoli primeggianti nelle storie immaginarono espe-
dienti artificiali per conservare sempre nelle stesse mani l'autorità
moderatrice. Eicorderemo a questo proposito una legge dell'antica
Repubblica di Locri in Italia, la quale, per rendere le ricchezze
permanenti nelle famiglie privilegiate, vietava ai cittadini di ven-
dere i loro beni se non costretti da disastri domestici. Il popolo
britanno continua felicemente la prova colla ^ua grande aristo-
crazia politica e territoriale, invitando continuamente a rinvigorirla
tutte le forze vive della nazione, senza affibbiare a nessuno la
terribile parola di parvenu , che non registra nemmeno nel suo vo-
cabolario; altri popoli, all'incontro, non riuscirono che a mezzo,
od a scapito della loro prosperità.
Senonchè, in una società definitivamente costituita, come è la
nostra, la creazione di nuove gigantesche famiglie, pari a quelle
che empirono di loro fama il mondo nei tempi andati, diviene fatto
straordinariamente raro. La moderna civiltà sconsiglia con ogni
sua possa quei rivolgimenti politici necessarj alla loro formazione,
indispensabili ad un colossale sviluppo. L'ultima gran dinastia che
sorgesse, quella dei Buonaparte (alla quale si possono aggiungere
i satelliti che si aggiravano attorno all'astro maggiore : i Beauhar-
nais di Leuchtenberg, i Murat, i Bernadette, i Berthier, ecc.), fu
figlia della rivoluzione francese. Alla famiglia si sostituì l'indi-
viduo co' suoi meriti e la sua forza personale ; alla flessuosa agilità
patrizia fa concorrenza la tronfia presunzione borghese; né più si
tiene conto di distinzioni sociali portate dalla nascita, non sem-
pre equivalenti a intrinseca perfezione; ma piucché mai si stima
anima nobilissima . quella di chi, scevro di mondana volgarità e
dotato di genio sovrano, sappia, sollevandosi da questo nostro am-
biente, tutto ingombro di fenomeni, far balenare agli occhi della
attonita umanità un raggio del sempiterno vero, e rendersi degno
dei semidei dell' idealismo : Platone, Dante, Raffaello, Michelangelo,
Mozart ...
Arch. Sfor. Lomb. — An. I.
134 IL PATRIZIATO MILANESE.
IH.
ORIGINE DELLE FAMIGLIE MAGNATIZIE DI MILANO — CITTADINI PATRIZI
CAVALIERI PATRIZI — MORE NOBILIUM.
Non è facile lo stabilire le origini delle famiglie die pretende-
vano al patriziato milanese, tanto la questione è complessa, in-
tralciata; solo seguendo attentamente la storia del nostro paese
si potrebbe scoprire un filo che ci guidi di mezzo alla incalzante
molteplicità degli eventi, per fissare qualcosa che somigli ad una
teoria. È però da ritenersi che esse, nella gran maggioranza, non
rappresentavano il popolo conquistatore a fronte del conquistato.
Il lavorio lento, incessante, pertinace delle famiglie uscite dalla
plebe per guadagnare terreno, ed infiltrarsi mano mano ai fianchi
dei vetusti casati del diritto divino, dividerne le sorti, apprenderne,
per così dire, il genio ; infine , per collocarsi all' identico posto di
quelle che eventualmente scomparivano dalla scena, confuse siffat-
tamente gli svariati punti di partenza, che questi finirono per ca-
dere in completo oblio, non rimanendo, in molti casi, se non tra-
dizioni incerte, portentose leggende ed ampollose fiabe, spacciate
dai genealogisti di professione dei secoli decimosettimo e decimo t-
tavo, piaggiatori di ambizioni smodate; i quali non indietreggia-
vano nemmeno dinanzi alle eventualità di far discendere i con-
cittadini del Pecenna dagli eroi d'Omero.
Alcune rare famiglie stimavansi, con qualche apparenza di ve-
rità, avanzi del patriziato latino, usciti miracolosamente incolumi
dagli eccidj longobardici, di cui la loro casta fu vittima predesti-
nata, come lo dinoterebbe il cognome conservato traverso tante
peripezie; altre provarono di procedere dai capi longobardi e
franchi ^^^ dai grandi feudatarj, dipendenti direttamente da re
0 imperatori (duchi, marchesi, conti, arcivescovi, vescovi, abati)
* Carlomagno, sostituendo i conti ai duchi dei Longobardi, concesse loro delle terre
(béneficj e feudi). Altre concessioni fece ai guerrieri che l'avevano accompagnato al di
qua delle Alpi, ed ai Romani che avevano saputo guadagnarsi il suo favore. (Boulliee.)
IL PATRIZIATO MILANESE. 135
— dai capitanei, loro vassalli^ (i baroni) — dai valvassori, vas-
salli dei secondi. Questi poi, non esclusi i più potenti, quando
lasciarono i castelli signoreschi per farsi cittadini di Milano , ac-
colsero nel loro consorzio la nobiltà popolana, formatasi in seno
alla città colle magistrature, col commercio, colle industrie.^ Con
mezzi analoghi, nei tempi successivi, gran numero di famiglie, de-
rivanti dagli ordini popolareschi, crebbero a formidabile potenza,
illustraronsi colle armi, ma specialmente colla scienza, colle arti,
col coprire cariche comunali, con civili virtù; acquistarono feudi
e titoli, fino a superare in splendore quelle di origine castellana.
Schieransi per ultimo numerose famiglie, tanto cittadine che ve-
nute dalla campagna, le quali ottennero lettere di nobiltà, per
favore o con grossi sagrificj pecuniarj, dai tanti prìncipi che do-
minarono la Lombardia, il più delle volte senza altro merito che
i sùbiti guadagni ed una devozione cieca pel loro signore. Soventi
avveniva che una famiglia ricca, comperando feudi e latifondi, a
cui andavano annessi titoli nobiliari, ottenesse facilmente l'inve-
stitura dal sovrano. Notiamo però che la massima parte di tai
feudi furono concessi di seconda mano , dai duchi , vassalli del-
l' imperatore , o da potentati esteri , nella loro qualità di duchi
di Milano; pochissimi potevano vantarsi feudatarj imperiali. Fu
principalmente nel corso del secolo decimosettimo che crebbe a
dismisura la smania di possedere feudi , con tutte le antiquate
prerogative di prepotenza; quasi si volesse rifare il medio-evo
con insulsa parodia. Il governo animava tali tendenze per far
quattrini, di cui provava estrema penuria, nonostante i crescenti
balzelli. A ogni tratto mettevansi in vendita al Broletto nuovi te-
nimenti feudali , con estesi diritti di giurisdizione , propria sol-
datesca, proventi di dazj, e, per soprammercato, il vantaggio,
2 Vivono ancora (o sono appena spente) le famiglie dei Capitanei d'Arzago, dei Capi-
tanei di Settala, dei Capitanei di Landriano, dei Capitanei di Scalve, dei Capitanei di
Vimercate, dei Capitanei di Arconate, ecc.
' Il Giulini cita un Romedeo, vissuto nel 988, che, essendo giudice, dignità allora assai
illustre, non isdegnava chiamarsi figliuolo di negozianti, ciò che prova, aggiunge lo sto-
rico milanese, «quale stima allora si facesse de' negozianti di Milano. » Più tardi (1029^
lo stesso Giulini osserva, che personaggi preclari, e fra altri il padre dell'arcivescovo
Ariberto, possessori di terre, esercitavano l'oreficeria, e rimarca eolla sua solita fran-
chezza: « così pensavano quei nostri buoni vecchi, i quali non facevano consistere la
nobiltà nell'avere bianche e morbide le mani. » (Voi. Ili, pag. 228.)
136 IL PATRIZIATO MILANESE.
allora assai ambito, di buscarsi di balzo un bravo titolo di mar-
chese 0 di conte. Qualcuno ricuperava feudi antichissimamente ap-
partenuti alla propria famiglia ; i più, invece, gente senza passato,
vedevano in tali contratti una scorciatoia spiccia per impancarsi
addirittura, e con poca fatica, coli' alta nobiltà, vale a dire, con
" quelli che hanno sempre ragione. „
A Milano non esisteva un libro d'oro, paragonabile a quelli delle
oligarchie aristocratiche di Venezia, Genova,* Lucca; ma si aveva
una matricola delle famiglie nobili milanesi (circa duecento), fatta
compilare dall'arcivescovo Ottone Visconti, quando, in nome di
quelle, strinse nelle sue mani i due poteri, il religioso ed il tem-
porale ; matricola dalla quale, per 1' avvenire, ristorando antichi
usi, dimenticati durante il governo popolare, non si doveva pre-
scindere nella scelta dei canonici ordinarj della metropolitana
(detti anche cardinali della Chiesa milanese). Il Giulini (par-
te Vili, pag. 313) riporta quel documento; al qual proposito mi
permetto di osservare, che avvi contraddizione quando affermasi
che detta matricola sia stata rogata per ordine di Ottone Visconti
il giorno 20 aprile 1377 dal notajo Marco de Ciochis (Matricula
Nobilium Familiarum Mediolani rogata de anno 1377, sub die
20 Aprilis per Dominum Marchum De Ciochis Mediolani Nota-
rium, et Curise Archiepiscopalis Mediolani Cancellarium), mentre
questo atto, come lo attesta la data, non poteva evidentemente
essere steso se non cento anni dopo l'epoca di Ottone, ricopian-
dosi probabilmente, con pochissime variazioni, l'elenco del famoso
^ li' Albergo genovese aveva qualche analogia colla Gens romana. — La più antica
lista dei nobili alberghi di Genova (riportata dallo storico Serra) è del secolo XV, e
comprende trentacinque nomi : de Cattaneis — Venti — de Mari — de Serra — Cicala
— Vivaldi — Ususmaris — Gentiles — de Eliseo (Fieschi) — de Stragum — de Sal-
vagis — Lecaveli — di Carmandino — de Ritulario — de Auria (Boria che, colla
eredità Panphily, si trasformarono in prìncipi romani) — Imperiales — Lomellini —
de Nigro — Nigroni — Centurioni — de Campionibus — de Columnis — de Marinis
(Tomaso si tramutò a Milano nel 1525, dove fece erigere il famoso palazzo detto Ma-
rini) — Lercari — Italiani — Grimaldi — Pinelli — Marchiones — Pausani — de Cam-
mina — Squarciafichi — Grilli — G alteri — de Spinulis — Calvi (l'unico ramo super-
stite di questa famiglia trasportavasi in Milano nei primi anni del secolo XVIII, e porta
l'antico stemma a scacchi argento-sabbia).
I patrizj di Genova non perdono la qualità e le prerogative , ne per assenze , per
quanto prolungate, ne per qualunque altro motivo che scemi la posizione sociale della
famiglia.
IL PATRIZIATO MILANESE. 137
arcivescovo. Tale conclusione risulterebbe anche da altri docu-
menti deposti nell'Archivio civico; né saprei come spiegare le as-
serzioni cronologicamente impossibili del celebre storico milanese.
Non è a credersi però che feudi e pomposi titoli araldici, pro-
digati precipuamente dalla Corte di Spagna, conferissero il diritto
di venire ascritti fra i patrizj municipali di Milano, dai quali pren-
de vansi i titolari alle cariche onorifiche della città. Il patriziato
cittadino e gli onori nobiliari di carattere araldico, erano due con-
dizioni di cose di natura tutta differente, per non dire opposta;
poiché il primo fu sempre di competenza esclusivamente comunale,
mentre i secondi rappresentavano diritti rilevanti o dall'Impero,
0, più spesso, dai prìncipi suoi vassalli, che ci signoreggiarono con
vario titolo; insomma era il Comune in faccia al Feudalismo.
Per gli statuti di Milano del 1396 non ottenevasi cittadinanza
milanése se non dopo trent'anni continui di dimora in città, e ne
facevano duopo altri sessanta per poter essere assunti a civiche in-
combenze (cittadini patrizj) — esagerata prudenza, da cui si passò
all'eccesso contrario, sanzionandosi il controsenso di dare in mano i
nostri più cari interessi, e i più esclusivi, a chi arrivava ieri e so ne
partirà per avventura domani. La nobiltà dei natali non aveva qui
per anco nulla a che fare. — Ora esaminiamo il processo , pel
quale, gradi a gradi, i Cittadini patrizj si trasformarono in Cava-
lieri patrisj^ e furono tenuti, prima a dare prove precise, attestanti
qualche requisito in senso aristocratico ; da ultimo ad acconten-
tare la pedanteria sempre più schizzinosa di un tribunale, di sua
natura propenso alle esclusioni ed alle araldiche sofisticherie.
Anteriormente all'anno 1583, le domande d'ammissione al pa-
triziato milanese non si portavano al Consiglio Generale, ma veni-
vano spedite dal Tribunale di Provvisione. Le famiglie limitavansi
a presentare petizioni per essere ammesse, o per ottenere attesta-
zioni di essere state ammesse, alle cariche ed onori della città di
Milano; così fecero:
Nel 1519 la famiglia Dugnani (di antica nobiltà).
Nel 1567 le famiglie Rho o de Raude, Pozzobonelli e Se-
regni (tutte di antica nobiltà).
Nel 1569 la famiglia Mozzoni (di antica nobiltà).
Nel 1572 le famiglie Ferrano, Perugia, Casati e Gallarati
(di antica nobiltà).
138 IL PATRIZIATO MILANESE.
Nel 1574 la famiglia Landriani (di antica nobiltà).
Nel 1576 la famiglia Fagnani (di antica nobiltà).
Nel 1577 le famiglie Scotti, Bossi, Kainoldi, Pietrasanta
(tutte di antica nobiltà).
Nel 1578 le famiglie Pagani e Calchi (di antica nobiltà).
Nel 1581 la famiglia Schiaffinati (di antica nobiltà).
Nello stesso anno 1581 fu, addì 17 luglio, dal vicario e dai
XII di provvisione, rilasciata patente di patriziato alla famiglia Lodi
0 de Laude, famiglia che già, fino dal 1340, contava parecchi decu-
rioni. (Esiste in atti una pergamena, con stemma gentilizio e si-
gillo.)
Il giorno 19 dicembre dell'anno 1583 fondavasi la Congrega-
zione degli Ordini della Città, espressamente incaricata di mante-
nere puro da ogni intruso il patriziato. Essa, d'accordo col vica-
rio e coi XII di provvisione, doveva, fra le altre cose, esaminare i
titoli di coloro che chiedevano di entrare nelle civiche cariche, e
pronunciare sul loro rispettivo valore ; nel caso favorevole al can-
didato , era implicito il battesimo di patrizio ; ma i tempi neregr
gravano, e queste precauzioni non bastavano più. Un'ordinanza
del Consiglio Generale, emanata il di 5 marzo 1652, prescriveva
che si escludessero dalle cariche decurionali gì' investiti che man-
cassero dei necessarj requisiti di nascita (nobiltà almeno negativa)
e di cittadinanza, requisiti dichiarati, d' allora in poi, rigorosa-
mente indispensabili, comprèndendo fra questi*anche la centenaria
abitazione in. Milano o suo ducato. Tale ordinanza veniva con
molta energia riconfermata, e raccomandata con calorose parole
nella cameretta del giorno 30 dicembre 1672, in modo che diven-
tava articolo di fede.
Le petizioni più antiche per ottenere, in piena forma, il mila-
nese patriziato, sono le seguenti:
Della famiglia Menriquez o Menrichi — del 17 febbrajo 1651
— accolta favorevolmente solo il 19 dicembre 1659.
Di un Salvadorino — del 30 dicembre 1652 — respinta.
Di Uberto dall'Orto — del 16 novembre 1654 — ammessa.
Un decreto del Consiglio Generale, del 31 gennajo 1681, contempla
la proposta dei signori Conservatori degli Ordini, di prendere per
norma, nella scelta degli individui ai quali dovevansi affidare le
cariche decurionali (il che equivaleva al conferimento del patri-
IL PATRIZIATO MILANESE. 139
ziato) la matricola di Ottone Visconti, riveduta nel 1377; ma pare
trovasse una naturale opposizione da parte di coloro il cui nome
non figurava in quell'elenco, e non venisse riprodotta che tren-
tasette anni doJ)o, con alcune modificazioni. Da questi anni — ma
con insistenza maggiore nel seguente secolo — chi si riputava for-
nito di tutti gli estremi che lo spirito dei tempi andava sublimando
— e innanzi tratto era in grado di certificare la centenaria abita-
zione^ non mai interrotta da dieci anni consecutivi di assenza, nella
città di Milano o suo ducato, — presentava istanza al Consiglio
Generale, il quale trasmettevala ai Conservatori degli Ordini. Co-
storo, assistiti dal regio luogotenente, sotto la presidenza del vi-
cario di provvisione, riuniti a consiglio, avevano potere di am-
mettere per scrutinio il postulante, quando fosse giudicato degno,
agli onori, prerogative^ cariche competenti ai nobili patrizj di questa
città di Milano,^ e ne registravano poi la famiglia nell'albo, che
rincora si conserva nel civico Archivio — libro d'oro sempre aperto
alle cospicue casate.
Comprende duecentonovantaquattro famiglie,^ alle quali furono
° Ecco la formola con cui fu ammesso al patriziato il marchese Giovanni Saverio
Beccaria, padre del criminalista Cesare, formola che si ripete presso a poco per tutti
gli altri casi consimili:
« Milano 1759, 21 dicembre.
« Congregati li S. S. conte don Francesco d'Adda, Vicario di Provvisione, marchese
don Giovanni Giorgio Pio Pallavicino Trivulzio, marchese don Alberto Visconti, conte
<ion Luigi Trotti, Conservatori degli Ordini della Ecc.ma Città di Milano. Coli' assistenza
del signor Kegio Luogotenente don Alessandro Ottolino, il detto signor Regio Luogo-
tenente riferì l' istanza fatta dal signor marchese don Gian Saverio Beccaria Bonesana
per essere ammesso agli onori e cariche competenti ai Cavalieri Patrizj, rimessa alli
detti signori Conservatori degli Ordini, dall' Eccellentisrimo Generale Consiglio, con de-
creto 26 maggio 1756, qual è il seguente, etc.
« Espose in seguito le risultanze dei ricapiti e scritture dal detto signor marchese
don Gian Saverio Beccaria Bonesana esibite, ed annunziate nell'atto della sua compa-
rizione. Ed esaminate maturamente dalli signori Congregati le preaccennate scritture,
presi dal signor conte Vicario li voti;
« Fu conosciuto essere pienamente giustificati li requisiti, e però determinato che si
admetta il detto signor marchese don Giovanni Saverio Beccaria agli onori, posti, di-
gnità e prerogative che sogliono godere le altre famiglie patrizie di questa metropoli. >
{Arch. Civ.)
•5 « Elenco delle attuali nobili famiglie patrizie milanesi, rassegnato dall' Ecc.™» Città
di Milano all'Eccelso Tribunale araldico, in esecuzione dell'editto di Governo del dì
20 novembre 1769, successivamente aumentato. » {Arch. Civ.) — In questo elenco man-
cano i nomi di quelle famiglie che cessarono di appartenere al patriziato, sia per estin-
zione, sia per essersene rese indegne.
140 IL PATRIZIATO MILANESE.
aggiunte altre quattro non inscritte nel documento ufficiale (Vi-
smara da Legnano, Perabò, barone Giovanni Maria Visconti, e^
per ultimo, i conti Gambarana, accettati il 4 gennajo 1793). Della
massima parte di esse, esistono nelle cartelle del detto Archivio
(araldica) gli incartamenti colle domande documentate di ammis-
sione, nonché i rispettivi decreti evasivi emanati dalla summen-
zionata Congregazione. La premura con cui moltissime famiglie,
fregiate di egregi titoli araldici e rinfiancate da numerosi quarti^
invocano di entrare nel patriziato, si spiega quando si considerino
i molteplici vantaggi inerenti a quella posizione — principale quella
di poter «ssere investiti dei così detti onori della città, — e ci
prova insieme in quanta stima fosse tenuto quel corpo illustre
dai proprj concittadini.
Per comprendere veramente il senso intimo del milanese patri-
ziato, il cui punto di partenza erano le dignità municipali, bisogna
rimontare indietro, e compendiare in pochi tratti la storia del no-
stro regime comunale. Anticamente, col popolare dominio, l'As-
semblea sovrana della Repubblica, che in appresso si chiamò Con-
siglio Generale, e in tempi a noi vicini, quando fu ridotta ad un
potere puramente amministrativo. Consiglio Comunale — non co-
nosceva restrizioni; qualunque individuo, senza eccezione, poteva
prendere posto nel teatro ove radunavansi i cittadini per trattare
degli affari del Comune, quando il suono delle campane e il clanger
delle trombe li convocasse. Più tardi i membri furono portati a
novecento, in ragione di centocinquanta per ciascuna delle sei
porte o rioni della città, e potevano esser tolti da ogni ordine di
persone, compresi gli esercenti un mestiere. In alcuni degli elenchi
più antichi che si conservino nel civico Archivio, in quelli, cioè,
dell'anno 1335 e degl'anno 1340, descrivonsi tutti i componenti il
Consiglio, senza premetter loro il titolo di Dominus, segno di no-
biltà. L'elenco del 1388, invece, antepone detto titolo ai nomi d{
tutte quante le persone inscritte. Un altro, d'anno incerto, ac-
corda il Dominus a cinquantaquattro individui, dei quali quattro
sono inoltre regalati del predicato di Miles; ventitré di Jurispe-
ritus; ventisette di Magister, Diciannove hanno la qualifica della
loro professione od arte — speziale — orefice — drappiere —
pellicciajo — vairaro — pattare — sarto — barbiere — falegna-
me — ferrajo — beccare, e simili. Fra i ventisette Magister, uno
IL PATRIZIATO MILANESE. 141
porta anche la qualifica di ferrarius; un secondo è detto Magister
legnanimus; umili antenati di futuri boriosi patrizi.
Negli statuti municipali di Milano, pubblicati d'ordine del duca
Gian Galeazzo Visconti nell'anno 1396, sonvi due paragrafi riflet-
tenti particolarmente il Consiglio Generale. L' uno dispone che i
Consiglieri vengano eletti dai XII di Provvisione, i quali , a tale
scopo, si aggregheranno quelle persone sapienti che ai medesimi
parrà del caso. Il Consiglio si comporrà sempre di novecento cit-
tadini, fra i migliori, i più ricchi e i più utili della città, purché
oltrepassino l'età di venticinque anni, sieno soggetti alla giurisdi-
zione del Comune di Milano, e vi sostengano il peso dei carichi;
esclusi chierici e beneficiati. Seggano per la durata di un anno, ed
anche per tempo più lungo, in altri termini, finché non si rinnovi
il Consiglio. Il secondo paragrafo attribuisce ai giurisperiti del
Collegio dei Giudici di Milano ed ai Militi Adobati il diritto di es-
sere membri del Consiglio Generale, in aggiunta ai novecento di
prammatica.
L'anno 1408 il numero dei consiglieri diminuivasi fino ai set-
tantadue, tutti eletti dal duca, in ragione di dodici per porta.
Dopo l'assassinio di Giovanni Maria Visconti (16 maggio 1412), il
suo successore Filippo Maria, con decreto 17 giugno di quello stesso
anno, ordinava si rintegrasse il numero di novecento, i quali fos-
sero nominati direttamente dal vicario e dai XII di provvisione, con-
sultate in proposito alcune persone saggio di loro gradimento: il
duca, quindi, ne sanzionava, senza altre formalità, l'elezione. Nel-
l'anno 1518 avvennero altre novità; non solo i consiglieri furono
ridotti a sessanta, col nome di decurioni, ma si iniziò la consue-
tudine di osservare alcune norme in senso restrittivo nella loro
scelta. Non credo però fossero ancora, a tutto rigore, richieste
prove autentiche e regolari di nobiltà. Dalle lettere di nomina
non risulta troppo chiaramente per quali titoli una data persona
fosse designata per entrare in quell' eminente consesso ; siffatte let-
tere — che non vanno più in là dell'anno 1535 — sono dette im-
propriamente patenti, e consistono in semplici comunicazioni, senza
preliminari corrispondenze di sorta, indirizzate al vicario di prov-
visione, nelle quali esprimesi qualmente il re od il governatore
abbiano eletto un tale personaggio " per le buone di lui qualità,
per le eccellenti relazioni avutene sul di lui conto, per essergli stato
142 IL PATRIZIATO MILANESE.
raccomandato come capace da qualche persona autorevole ;;, e per
altre consimili ragioni, senza accennare a distinzioni di casta.
Coir andar del tempo, prevalendo sempre più il sistema spagnuo-
lesco, l'aristocrazia stravinceva, ed arrogavasi non solo di fatto,
ma di pieno diritto, l'indirizzo della società; essendo tutto in sua
mano, Sedia arcivescoyile, Senato, Capitolo Maggiore della Metro-
politana, Collegio dei Giureconsulti, non poteva permettere rima-
nessero sciolte dalle araldiche pastoje le cariche decurionali. In
conseguenza di che, 1' anno 1652, pur transigendo totalmente
sulla questione delle provenienze, statuivasi, come vedemmo, pel
decurionato fosse obbligatoria una nobiltà almeno negativa, nonché
la prova della centenaria abitazione in Milano o suo ducato, in-
somma la qualità di cavaliere patrizio. Da ciò si potrebbe inferire
che decurione e patrizio fossero due termini che camminassero pa-
ralleli e, direi quasi, si compenetrassero in un identico diritto. In
ogni modo, gli estremi e i procedimenti per arrivare sia all'uno che
all'altro punto erano analoghi, cioè basati, più ch'altro, sui servigi
politico-amministrativi prestati al Comune ; quantunque, subendosi
le tendenze del governo, andassero assumendo gradatamente un
carattere aristocratico; carattere non solo mantenuto sempre più
scrupolosamente, ma perfezionato con molta cura, affine di raffaz-
zonare dei legittimi Cavalieri in cappa e spada. Infatti, alcuni
zelanti Conservatori degli Ordini, nell'assumere la loro carica, pro-
ponevano che certe norme capitali si dovessero per lo innanzi os-
servare con inalterabile rigore nello accogliere nel grembo del
patriziato quelle famiglie, le quali si ritenessero in possesso dei
voluti requisiti; per la qual cosa il Consiglio Generale pubblicava
una ordinanza, divisa in due parti: la prima, portante la data
26 settembre 1716, dice che chiunque pretenda agli onori della
città, debba avere ^ il suo maggior interesse in beni stabili censiti
<;olla medesima città o suo ducato. „ La seconda parte — colla
data 13 maggio 1718 — ammonisce: l.*' che si debba provare con
pubblici documenti, escluse le fedi private, la centenaria abitazioue
della famiglia in Milano, o suo ducato, di dieci in dieci anni;
2.° che non basti il constatare la nobiltà generica della famiglia,
se non si deduca che da quella ne derivi la specifica; S.'' che deb-
basi provare non solo la nobiltà negativa, ma altresì la ptositiva.
<^uesti capitoli, rafforzati da commenti arieggianti un vero rabbuffo,
IL PATRIZIATO MILANESE. 143
miravano apertamente a togliere qualche abuso, e rivolgevansi
all'indirizzo di coloro i quali (così dice il rapporto degli Illustris-
simi Conservatori) pretendevano arrivare al patriziato solo col
produrre istrumenti portanti a loro favore il titolo di Signore^ senza
giustificare, in modo plausibile, verun lustro della famiglia; poiché
decisamente non poteva oramai più bastare che gli ascendenti non
avessero esercitato " arte vile ; „ ma bisognava provarne positiva-
mente la nobiltà (antichità, titoli, predicati d'onore, ecc.).
Anche il governo di Vienna se ne immischiò nel medesimo senso
restrittivo. Con decreto 12 dicembre 1768, ordina al Consiglio Ge-
nerale e ai tre Conservatori degli Ordini " di usare tutto il rigore
nell'esame delle cause promosse dai petenti il patriziato, affinchè
nessuno lo ottenga il quale non meriti di essere descritto nel ruolo
dei patrizj, mercè le prove autentiche di una vera e genuina no-
Mtà. „ E la prima volta che l'autorità imperiale alluda al mila-
nese libro d'oro. In forza dell'editto governativo 20 novembre 1769
— contenente nuove regole per l'ammissione alla nobiltà — (ad
esecuzione dei sovrani decreti 7 gennajo 1768 e 12 giugno 1769),
nel quale veniva prescritto al Municipio di Milano la compilazione
di un " catalogo di patrizj „ , fu questo compiuto prima del giu-
gno 1770, e pubblicato in detto mese ; indi rifatto nell'agosto dello
stesso anno, e definitivamente presentato al tribunale araldico nel
successivo settembre (giorno 18).
Perdevasi la qualità di patrizio se la famiglia per anni dieci con-
secutivi avesse tenuto domicilio fuori di Milano o suo ducato ; quando
" nel corso di tre età „ nessuno degli ascendenti avesse coperto
" cariche di città, „ di quelle che richiedono appunto il rango di
patrizio; quando qualche ascendente avesse esercitato impiego o
mestiere non conveniente alla sua posizione; savj provvedimenti,
che miravano ad impedire l' emigrazione e la neghittosa trascurag-
gine : potevano però essere reintegrati mediante verdetto dei Con-
servatori, come ve n'è esempio fra le carte del citato Archivio.
Finalmente, ai 17 giugno del 1793, quando tutta Europa era
scossa 0 minacciata da una tremenda rivoluzione — proprio nel
cuore del terrorismo — i nostri decurioni, impassibili sui loro
scanni, fermi nelle loro convinzioni, maturavano e decretavano un
nuovo regolamento, pel quale l' ammissione al nobile patriziato mi-
lanese veniva riservato all'Eccellentissimo Consiglio Generale, e
144 IL PATRIZIATO MILANESE.
circondato da più stringenti difficoltà di procedura. ' Erano gli
ultimi aneliti di un mondo che spirava ; né valevano a sorreggere il
decrepito edificio le lambiccate formalità con cui si crede infondere
forze alle istituzioni, a misura che si va perdendo la fede nella loro
vitalità.
In quei tempi tanta era la cura che i governi ponevano onde
i cittadini dello Stato, senza gravi ragioni, non uscissero dal ceto
in cui avevano sortito i natali — nella convinzione che, troncando
addirittura speranze ingannatrici, ciascheduno più facilmente si
accontentasse del posto toccatogli, e non turbasse l'ordine stabi-
lito con ambizioni fuori di luogo , solo permesse a chi sappia
guadagnarsi, innanzi tratto, i mezzi adeguati per sostenerne il peso
— che perfino gli aspiranti a far parte del Collegio dei Causidici
e Notaj dovevano provare la civile condizione della famiglia, una
specie di semi-nobiltà. ^ Così pure, fino all'invasione francese del
1796 non si accordavano concessioni per esercitare certe arti li-
berali, senza che il candidato presentasse l'albero genealogico della
propria famiglia, da cui risultasse una antica civiltà : sicché le qua-
lifiche di Avvocato^ Dottore^ Ingegnere collegìàto, iniziative di no-
biltà, non venivano mai pretermesse da chi era arrivato a posse-
derle; al punto da impegnare a procacciarsele con molto studio
anche chi, pel largo censo, si ritenesse dispensato dal praticare.
Ne derivava che gli esercenti professioni liberali finivano per en-
trare nella nobiltà secondaria. Il motto more nohilium^ esprimente
una posizione sociale oggidì quasi indefinibile, ma un secolo fa in-
dispensabile di far valere in mille circostanze della vita pratica;
motto che farebbe sorridere i meno scettici fra i miei contempo-
ranei,^ era allora l'espressione di un apprezzamento universal-
mente acconsentito. Le ammirazioni per la plebe, oggi in gran
rialzo, non erano allora sicuramente le più vivaci, e il già citato
^ Regolamento per l' ammissione al nobile Patriziato milanese, approvato ed ordinato
dall'Eccellentissimo Consiglio Generale dei Signori Sessanta Decurioni di Milano — fir-
mato « Giuseppe Perabò, Segretario » — 17 giugno 1793.
8 CusANi, Storia di Milano.
' Ho visto un diploma dell' arcivescovo Filippo Visconti, accordante il permesso a di-
stìnta famiglia borghese (1794) di far celebrare la messa nella cappella della propria
casa in Milano — specie di privilegio a cui si annetteva qualche importanza — nel
quale uno dei considerando, forse il principale, su cui si fonda il favorevole responso,
gli è appunto l'essere provato che i richiedenti vivevano more nohilium.
IL PATRIZIATO MILANESE. 145
Spinoza, il filosofo della ragione e del panteismo, professava la
massima che il volgo deve tenersi in freno, se non si vuole la ro-
vina dello Stato ; dando il nome di volgo a tutti coloro che non
abbiano qualche levatura.
L'imperatore Giuseppe II, inspirato da idee larghe, direi quasi
liberalesche all'uso moderno, sopprimendo frettolosamente (decreto
6 maggio 1784) le Congregazioni e i Capitoli esclusivi ai patrizj,
che reggevano le Cause pie e Luoghi di carità della Lombardia, e
surrogandovi delle amministrazioni sciolte da ogni restrizione di-
pendente dalla nascita, ^° si metteva sulla via di abbattere le bar-
riere che tenevano divise le popolazioni. Innovazione troppo re-
pentinamente radicale, che provocò una forte reazione non appena
lui morto.
All'irrompere dei repubblicani francesi, si abolirono titoli, si
cancellarono stemmi, si distrussero diplomi, con una rabbia che
toccava il delirio ; ma in quella guisa che molte istituzioni, le quali
si vogliono soffocare violentemente, risorgono più robuste di prima,
così, salito Napoleone al trono, sulle rovine della polverizzata no-
biltà antica, ne eresse una nuova, distribuendo titoli a destra ed
a mancina : però, dicevano i partitanti della legittimità, se gli era
facile creare dei prìncipi e dei duchi a piacimento, non avrebbe
potuto creare neppure un patrizio. I titoli napoleonici erano gene-
ralmente dall' imperatore accordati alla sola persona. Fra i nostri
concittadini milanesi, parecchi vennero innalzati alla dignità di conte^
maggior numero di barone; non compre onorificenze, ma meritate ri-
compense di servigi prestati, di eroismo a tutta prova. Titoli vennero
dati anche a molti membri della vecchia aristocrazia accostantisi
coU'azione al nuovo ordine di cose, quasi per indennizzarli di quelli
di cui erano stati spogliati in nome di principj ormai sconfessati.
Napoleone, inoltre, concedeva il titolo ereditario di duca al mar-
chese Litta- Visconti- Arese, ed al marchese Visconti-Modrone, due
fra i supremi rappresentanti del milanese patriziato ; patto eriges-
sero sulle proprie terre lauti maggioraschi a perpetuo decoro della
nuova posizione. Al vicepresidente della Repubblica Italiana, conte
Francesco Melzi d' Eril, unitamente al titolo ereditario di duca di
*° Lodovico il Moro, fondando nel 1496 il Sacro Monte di Pietà, volle che l'ammini-
strazione ne fosse in perpetuo affidata a dodici gentiluomini, in ragione di due per porta
della città. In appresso fu devoluta ai soli Cavalieri Patrizj.
146 IL PATRIZIATO MILANESE.
Lodi, assegnava *una vistosa dotazione, trasmissibile a' suoi eredi.
Così il mondo si trasforma, ma non perde il vizio.
Finito il dramma e ristabilite, colla restaurazione austriaca
del 1814, le antiche distinzioni, restarono le une e le altre, seb-
bene perdessero quasi ogni valore. Il governo di Vienna, che na-
turalmente aveva preso nelle sue mani la quistione nobiliare, ri-
maneggiò i titoli di molte famiglie, riducendoli a proporzioni più
modeste. Non riconobbe quelli di chi non volle assoggettarsi a porli
in discussione innanzi alla sua commissione araldica; riconfermò
invece la nobiltà secondaria del secolo scorso, tenendo conto anche
dei titoli napoleonici colle modalità con cui erano stati istituiti ;
riconobbe del pari la nobiltà nei canonici e preposto della basilica
di Sant'Ambrogio e nei dottori della Biblioteca Ambrosiana: indi
aperse con parsimonia la porta della nobiltà deìV Imiterò Austriaco
a quelle distinte famiglie borghesi che dimostravano qualche sim-
patia pel nuovo ordine di cose, e, con larghezza maggiore, ai fidati
esecutori della sua politica in Italia, permettendo loro anche di
assumere un predicato, o il nome di un proprio tenimento, che
rialzasse il modesto cognome. Compilava poi, e pubblicava per le
stampe, negli anni 1828 e 1840, due elenchi ufficiali dei Nobili loìn-
bardi, esclusa ogni ingerenza municipale, ritenuta la nobiltà, tranne
in pochi casi, una semplice distinzione di Corte. ^^ Insieme con altre
forme antiquate, l'istituzione del patriziato milanese fu abbando-
nata al suo destino dagli Austriaci, diffidenti di quanto alludesse
ad antiche franchigie. In massima metteva tutta l' importanza nella
quistione direi di ordine, più che in quella di merito, anteponendo
un minuzioso compito di quarti di nobiltà al valore storico del nome.
I solenni avvenimenti, il turbinio che sconvolsero da capo a fondo
la nostra società, spezzava siffattamente il filo delle tradizioni, che
dell'albo dèi patrizj, non solo non se ne parlò più, ma se ne per-
dette la memoria perfino dagli stessi interessati; nessuno storico
né cronista contemporaneo, ch'io mi sappia, fa menzione di questa
peculiare forma del patriziato municipale, o lo mette a fascio colla
nobiltà araldica e feudale.
La casa reale di Savoja, intronizzata nel 1859, si mostrò al-
quanto più facile nel concedere titoli agli arricchiti di questi ul-
* * Altro elenco era già pronto per essere stampato l' ultimo anno della dominazione
austriaca.
ir. PATRIZIATO MILANESE. 147
timi anni (abolendo la istituzione della nobiltà semplice); dacché
essi titoli vengono considerati onorificenze regie, senza alcuna im-
portanza di sorta presso il governo civile. Una consulta araldica
fu nominata con reale decreto 10 ottobre 1869, per dar parere al
governo in materia di titoli gentilizj, stemmi ed altre pubbliche
onorificenze. Ma in quel torno, aboliti gli ultimi maggioraschi che
ancora rimanevano a sostegno del decoro di pochissime famiglie ,
abolite le reliquie di qualche fedecommesso, ogni forma che rammen-
tasse le splendidezze di altri tempi fu condannata a cadere innanzi
alla invadente moda, alla logica stringente e gretta dei moderni
legislatori. Maggiore fortuna ebbero gli ordini cavallereschi. Ri-
servati nel passato secolo a casi straor dinar j, al punto che vediamo
il tenente maresciallo conte Barbiano di Belgiojoso d' Este , pro-
prietario d'un reggimento imperiale, tornarsene dall'avere governate
le Fiandre col petto spoglio di decorazioni; un po' più prodigati
durante il primo regno d'Italia e dal nuovo governo austriaco;
dopo le vicende del quarantotto cominciossi ad usarne come mezzo
di seduzione per far proseliti nel campo della politica, mezzo che
il governo nazionale italiano spinse fino alla esagerazione, versando
una pioggia di croci, e dando cosi il pretesto, se non lo stretto
diritto, ai decorati di assumere il titolo di cavaliere — una specie
di nobiltà SLàpersonam che fece girare il capo a parecchie migliaja
di Italiani, e creò una aristocrazia di nuovo conio, in cui è sempre
l'individuo che si sostituisce alla famiglia.
{Continua.) Felice Calvi.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE
IN MILANO.
Il Consiglio municipale di' Milano, nella sessione ordinaria autun-
nale del 7 novembre 1873, deliberava di chiedere al Governo italiano
la cessione della chiesa di s. Giovanni alle Case Botte, onde con-
vertirla a sede di ufficj, essendo troppo angusto l'attiguo palazzo
civico; ed autorizzava la Giunta alle relative pratiche d'acquisto.
A questo proposito la Consulta del Museo Archeologico, in un suo
rapporto, aveva anteriormente espresso il. desiderio, che l'atrio della
chiesa stessa, avente un merito artistico, fosse conservato, ed il
Municipio, accogliendo quel voto, lasciava impregiudicato sino a
nuovo esame il quesito della conservazione o della demolizione di
quella fronte. Ad ogni modo, l'acquisto della chiesa verrà accordato
alla città, che in un tempo più o meno prossimo darà mano alla
trasformazione di quest' edificio ; ^ forse ne sparirà ogni traccia
eziandio esterna: è quindi dovere nostro il ricordarne le vicende,
e tesserne, per così dire, l' orazione funebre.
Il nome e l'ubicazione di quella chiesa richiamano alla mente
tempi e fatti, che risalgono sin quasi al principio del secolo XIV.
* Quando s'avesse a verificare questo fatto, è da sperare, che il Municipio, nell' inte-
resse della storia dell'arte, abbia a far diligentemente rilevare i tipi di questa chie-
sa, e conservarli per gli studiosi, insieme cogli altri disegni di pubblici edificj che
più non esistono.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 149
Narrano i cronisti, che propostosi Enrico VII di Lussemburgo di
porsi in capo a Milano la corona ferrea dei re longobardi, ed a
Roma quella degl'imperatori romani, giunto ad Asti, vi fu osse-
quiato da Matteo Visconti, che, cacciato dalla signoria di Milano
per la prevalenza de' guelfi Torriani, esulava a que' giorni a Brescia.
Alla corte di Enrico convennero eziandio Gastone Torriano arci-
vescovo della metropoli lombarda, e tutti i fuorusciti ghibellini
milanesi, onde sollecitare vivamente il monarca alla sua venuta a
Milano, sotto colore di attestargli la loro devozione, ma in realtà
per ricuperare la loro influenza, e riguadagnare mercè di lui il
perduto sopravvento nella cosa pubblica, spogliandone gli avver-
sarj. Desideroso di pacificare l'Italia, divisa in tante fazioni ne-
miche, avea tentato quel re con un trattato di riconciliarle; ma
l'ire di parte erano trpppo acerbe e profonde, perchè tale tentativo
potesse avere effetto. Passato il Po, ei venne a Vercelli, indi sof-
fermatosi a Novara, vi rappattumò la fazione de' Tornielli coi
Brusati ed i Cavallazzi, e giunse infine a Milano il 23 dicembre 1310,
albergando nel palazzo arcivescovile, sinché Guido della Torre,
signore della città, sgombrando a malincuore il palazzo del Comune,
die agio all'ospite straniero di andare a prendervi stanza, rima-
nendo tuttavia la regina nel primitivo albergo. Ricevuta solenne-
mente la corona reale nella basilica ambrosiana il dì dell'Epifania,
iilla presenza di. molti vescovi e d'altri illustri personaggi, rivolse
il re il pensiero all'incoronazione imperiale a Roma; ma già in
pochi giorni il popolo milanese eraglisi avversato, non tanto per
incostanza di proposito o pei maneggi sovversivi del Torriani, ma
per le ingenti somme ch'erano costate alla città la sua venuta e
le feste a lui fatte, mentre essa medesima l'avea chiamato. ed ap-
plaudito a dispetto de' Torriani, il cui capo Guido, sempre intol-
lerante ed incapace di dissimulare gì' interni sentimenti dell'animo,
vedeva dai nuovi avvenimenti rapirsi di mano il potere.
Due fatti specialmente gettarono nella popolazione lo sdegno
contro il mal capitato forastiero. Egli richiese alla città il dona-
tivo consueto, che accompagnava l' incoronazione dei monarchi, e fé
radunare il Consiglio generale, perchè esso lo determinasse. Quella
proposta destò un profondo stupore, ma dovendosi pure ad ogni mo-
do accondiscendere alla richiesta, dopo titubanze ed alterchi destati
specialmente da Guido Torriano, il donativo al re ed alla regina
Arch. Star. Loml. — An. I. 10
150 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
fu determinato nella somma di centomila fiorini d'oro, somma che
parve a tutti intollerabile e di conseguenze disastrose alla città;
ma ad onta di tutte le rimostranze, essa dovette venir sborsata
Dopo ciò Enrico stabili che cinquanta nobili personaggi, capi delle
due fazioni, dovessero accompagnarlo a Koma, a spese della città.
Se la partenza di lui e de' nobili, le cui rivalità l'avevano ridotto
all'estrema miseria, empì di esultanza il popolo, dovevano di nuovo
amareggiarlo le raddoppiate strettezze economiche cagionategli
dalla partenza medesima, inasprite dall'estrema violenza che si
usava per raccogliere le nuove imposte. Da quel punto hanno prin-
cipio alcuni gravi avvenimenti, che funestarono la città, e furono
diversamente apprezzati dagli storici. Opinano alcuni che Matteo
Visconti partendo coli' imperatore, vedovasi sfuggita l'occasione
di ripigliare la signoria della città contrastatagli dai Torriani, e
forse ricacciato in esigilo ; pensò quindi coll'inganno di togliere ad
essi l'amicizia di Cesare e l'ambito potere, e abboccatosi con Guido,
e fingendosi ei pure malcontento di questo troppo grande e troppo
costoso signore, lo indusse ad accordarsi seco per cacciar lui e i
suoi colla forza dalla città. Fu quindi da que' ^ue determinato, che
il 13 febbrajo susseguente il popolo verrebbe sollevato concorde-
mente dalle due fazioni a tumulto, e coll'armi si riconquisterebbe
l'antica indipendenza. Non era ancora spuntato il giorno prefisso,
che Simone figlio di Guido (che fingevasi ammalato per esimersi
dal corteggiare il re), assistito da' suoi aderenti, si trovò armata
innanzi alle sue case, e mentre aspettava in buona fede il segnale
de' Visconti per investire i Cesarei, fu da questi assalito, sicché ne
segui una sanguinosa mischia, che fini colla disfatta de' Torriani
e colla distruzione delle loro case.
Altri storici, al contrario, son d'avviso, che veramente e lealmente
i Visconti si fossero coalizzati coi rivali, e deposti gli odj vicen-
devoli, mirassero colla loro macchinazione a rivendicare Milano a
libertà. Ma Enrico, diffidente di tutti in un paese a lui straniero,
assai circospetto e circondato di spie, dubitava della fedeltà de-
gli stessi Visconti, essendogli stato riferito che Galeazzo Visconti
e Francesco della Torre erano stati visti nei prati fuori di porta
Ticinese, presso la Vettabbia, stringersi la mano e tenere fra loro
stretto colloquio, onde era a temersi una prossima sollevazio-
ne; pel che egli fece occupare tosto da' suoi Tedeschi il Broletto,
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 151
sotto vista di assistere all' esecuzione capitale di alcuni rei, forse
d'eresia, condannati alle fiamme, ed altri luoghi importanti della
città. Allora i Visconti, e in ispecie l'astuto Matteo loro capo,
trovandosi prevenuto nel suo segreto piano di sommossa, e veden-
dolo sventato, giudicò necessario salvare se stesso e la famiglia, e
lasciar nelle peste i Torriani, facendo sì che i suoi famigliari si
ritraessero dal tumulto, come fecero. Enrico aveva mandato le sue
truppe ad esplorare le case de' capifazione, e quando esse, giunte al
palazzo de' Visconti, li trovarono tranquilli ed alieni in apparenza
da ogni torbido, argomentandone la fedeltà, sorpresero all'incontro
le dimore de' Torriani rigurgitanti d'armati in attitudine disor-
dinata, che in luogo di prestar loro valido ajuto nel frangente,
appiccarono una sanguinosa mischia, in cui sulle prime i Tedeschi
ebbero la peggio, ma soccorsi da altri commilitoni sopravvenuti,
tutto misero a sacco e a fuoco. Nulla valse ad impedire o frenare
quello sterminio l'apparire di Pagano Della Torre, vescovo di Pa-
dova, sulla porta del palazzo, vestito degli abiti pontificali, che,
sebbene rispettato nella persona, dovette co' suoi fuggire, de' quali
chi riparossi a Montorfano, chi nelle case de' loro aderenti, la-
sciando quel luogo pieno di sangue e d'uccisi, e in preda alla più
completa devastazione. Quelle infelici dimore ebbero allora il nome
di Case Rotte, e ne rimane ancora memoria legata all'appellazione
della vicina chiesa. Un decreto del Comune bandì per sempre dalla
città i Torriani, e vietò che le loro case fossero in alcun tempo
riedificate. Tuttavia il re, sedato il tumulto, e accertatosi della de-
vozione dei Visconti, a' quali aderiva la maggior parte dei nobili,
onde ristabilire più agevolmente la quiete nella città contristata
dal saccheggio di sei giorni, col parere de' suoi famigliari, rilegò
per pochi giorni Matteo in Asti, e Galeazzo di lui figlio a Tre-
viso. Nel seguente luglio, Matteo, sborsati quaranta mila fiorini di
oro, ottenne da Enrico il titolo di vicario imperiale della città e
del contado di Milano.
Le case dei Toj-riani, la cui dominazione, così miseramente ca-
duta, avea avuto principio con Martino nel 1247, estendevansi per
lungo tratto lungo la porta Nuova, occupando l'area ov'è ora il
teatro della Scala, allato e lungo la via, comprendendo lo spazio
su cui sorse poi la distrutta chiesa di s. Maria del Giardino de' Fran-
cescani, ov'è orala via Romagnosi; i loro giardini giungevano sino
152 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
a quella di s. Pietro di Cornaredo, del pari demolita, lorospiciente
l'altra di s. Martino in Nosigia (ora casa Traversi), e dando l'an-
tico nome a quella via, confinavano col celebre ed antichissimo
monastero di s. Maria d'Aurona, che avea la sua fronte lungo le
mura di Massimiano Erculeo, ed avea servito di primo rifugio a
Guido Della Torre. Quella ricca e vasta dimora era solo interse-
cata dalla via, allora angusta, che, dividendo il palazzo dagli orti,
conduceva a s. Silvestro ed alla pusterla di Brera; ilMorigia^ però
asserisce che lo spazio che portava il nome di Case Botte^ era oc-
cupato dal luogo e. dal contorno della chiesa di s. Giovanni, da
quella di s. Maria della Scala, dal palazzo dei marchesi Fiorenzi,
poi casino de' Nobili, e dalla chiesa del Giardino, edifizj poste-
riori. Il palazzo era al limite settentrionale del carrobbio o qua-
drivio di porta Nuova, quadruUum (ove, dicono i cronisti, tenevasi
mercato con quantità di carri), menzionato in una carta del 963,
appartenente già all' archivio della collegiata di s. Giorgio, e con-
termina vasi ad occidente dalla chiesa di s. Lorenzo in Turrigia e dal-
l'ospitale de' ss. Cosma e Damiano, detto anche de' Romani (ora
teatro de' Filodrammatici), amministrato dall'abate di s. Protaso
ad monachos; a mezzodì dal monastero e dalla chiesa di s. Maria
di Gisone, detta poi di s. Margherita. Non molto dopo, sull'area
del palazzo torriano sorse una piccola chiesa o cappella, dedicata,
secondo il Sormani^, a s. Veronica, che mutò in seguito il suo ti-
tolo con quello di s. Maria alle case rotte, de caruptis, poi di
s. Maria Nuova*, finché fu rifabbricata nel 1381 da Beatrice Re-
gina della Scala, figlia di Martino della Scala signore di Verona, e
moglie di Bernabò Visconti, e colle successive donazioni dei du-
chi andò sempre acquistando lustro, ricchezza e potenza, restan-
done il juspadronato ai signori e duchi di Milano,
Dalla sua fronte partiva una via retta, che conduceva alla chiesa'
di s. Fedele, detta già di s. Maria in Solanolo^, lungo la quale via
2 Nobiltà di Milano, Lib. L, cap. 45.
^ Descriz. sacra di Milano, p. 117.
* Bassanini, Juspadronati dei duchi di Milano, p. 31.
^ Si ricorda ancora negli statuti milanesi del 1396 il portico di quella chiesa e la sua
piazza. Di quel cangiamento di nome si lia indizio per la prima volta in una bolla di
Eugenio III, in data di Vercelli, 18 marzo' 1147, con cui conferma al monastero di
s. Dionigi il possesso di quella cbiesa : « Confirmat ecclesiam s. Mariae in Solariolo, quae
nunc s. Fidelis dicitur. »
LA CHIESA DI S. GIOVANNI xVLLE CASE ROTTE IN MILANO". 153
correva parallelo un fossato, rammentato negli Statuti del 1396,
(Rub. De a'quis et jur. molancì. et de stratis)^ oltre il quale la via
stessa doveva essere in larghezza sei gittate^; ed ivi, a breve di-
stanza dalla mentovata chiesa, a sinistra della via, erasi stabilita
verso la metà del secolo XIV, o fors'anche prima, una confraternita
di Disciplini, detti anche battuti o flagellanti o bianchi. Tale isti-
tuzione era sorta in Italia poco dopo la caduta di Ezzelino da Ro-
mano, ed in molte città avea concorso efficacemente a rappacificare
i popoli e sedare le discordie civili, visitandole e dando in pubblico
sulle piazze e nelle chiese lo spettacolo della flagellazione di se
stessi, hatimentum; vestivano di sacco, donde furon detti 'bianchi,
e camminavano a pie nudi. Su questo principio si fondarono a poco
a poco in Italia le confraternite di penitenza, che radunandosi in
giorni determinati in apposite chiese, presso cui avevano la loro
sede, ed armate di flagelli, adempivano i doveri religiosi. A Padova
stabilironsi nell'anno 1260, ma nel 1269 Opizzone marchese d'Este
ed il popolo di Ferrara con uno speciale statuto proibirono que'
Disciplini, scacciandoli dalla città, ed anche Manfredo re di Sicilia
e di Puglia, ed il marchese Uberto Pallavicino signore di Brescia e
di Cremona, con leggi severe li espulsei;o dai loro Stati.
E incerto quando i Disciplini siensi stabiliti a Milano, tuttoché
Galvano Fiamma nella sua cronaca Manipuìus Floriim, cap. 296,
sotto l'anno 1260, con manifesta iperbole dica che durante la
^ « Strata quse est a coperto s. Fidelis eundo per domos fractas usque ad stratam
mastram, qua itur a porta nova versus brolletum, amplìetur et occupationes faetae tol-
lantur, ita quod strata sit lata per sex zìchatas ad mìnus ultra fossatum, per quod
aqua decurit eundo versus stratam portae horientalis, et hoc non obstante aliqua loca-
tìone bine retro facta per offitium doininorum sex camerae vel aliquem alium, et quod
de cetero nulla locatio fieri possit de praedictis. » Da questo statuto scorgesi come la
via di s. Giovanni fosse fiancheggiata da un fossato, il quale nei secoli successivi fu
coperto, e serviva di cloaca, di cui una bocca esisteva ancora in principio di questo
secolo rimpetto al teatro. Un' altra disposizione statutaria concernente questa località,
e quella che ha per titolo : « De putredine non portanda in caruptis nec in pasquario
s. Ambrosii, » ed è la seguente : « Domini sex et offitiales stratarum et quilibet eorum
teneantur et debeant curare, quod nullum lutum vel putredo vel animai mortuum con-
ducatur, portetur vel deferatur in caruptis, pagquario s. Ambrosii, in brolio nec in
alia parte infra civitatem, et quod nullum moltitium projitiatur in stratis publicis nec
cimiteriis ecclesiarum, nec super ìpsis extendantur pelles de ipsis moltitiis extractae. »
Queste prescrizioni preesistevano già nel 1346. La chiesa di s. Ambrogio qui citata era
posta tra la piazza Mercanti (broletto) e la soppressa via di Pescheria Vecchia, presso
la porta orientalo della piazza medesima, secondo si ha nel Fiamma. >
154 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
signoria di Martino Della Torre " propter mortem Yzilini de Romano
scuriati infiniti apparuerunt per totam Lombardiam, sed volenti-
bus venire Mediolanum per Turrianos sexcenta) furcse parantur;
quo viso recesserunt. „ È quindi assai credibile, che appena tor-
nati al potere i Visconti nel 1311, i Disciplini abbiano fatto capo
anche a Milano. Risulta però da molti documenti, ch'essi avevano
già nel 1363 case proprie, e assai probabilmente anche la propria
chiesa ad esse congiunta, col titolo di s. Maria della Morte, nel
perimetro della parodila di s. Fedele e nella via delle Case Rotte.
Da una deposizione o protesta fatta innanzi a notajo l'S ottobre
di quell'anno, rilevasi che Giovannolo Broggi procuratore dei Di-
sciplini, " sindicus ac etiam de consortio vapulatorum seu batutorum'^
portae novae Mediolani prò nomine ac etiam sindicario nomine dicto-
rum consortiorum de batatoribus, intelligens ut dixit, quod prae-
dictus presbyter (Franciscus de Ugona beneficialis ecclesia} s. Fi-
delis) fecerat fieri instrumentum, ut intellexit, sicut dicti batatores
seu ad eorum petitionem fecerunt pulzari ad duas campanelas, et
dixit et protestatus fuit, et dicit et protestatur, quod ipse nec ipsi
consortes dictorum scholariorum nec ad eorum petitionem pulza-
tum fuit ad dictas campanelas, nec pulzatse sunt ad eorum petitio-
nem: et negavit et negat suo et dicto nomine dictse campanelse
fuisse pulzatas ad petitionem eorum batutorum nec eorum nec ali-
cuius eorum vel per eos. „ Da quest'atto appare come fossero già sorti
conflitti fra la confraternita ed il rettore parochiale di s. Fedele, di-
pendentemente dalle ragioni delle due chiese, sopiti poi colla tran-
sazione 31 luglio 1364, per la quale la Scuola dei Disciplini obbliga-
vasi a pagare annualmente nella festa del Corpus Domini a quel
rettore venti soldi e libbre tre di cera a titolo di oblazione, come
'' La chiesa primitiva od oratorio nel 1368 si designa « in domo batutorum dominae
s. Mariae de la morte super domibus fractis; » in alcune deduzioni testimoniali fatte nel
1442 in una causa della Scuola contro un Filippo Pellizzoni si ricorda « rector scoUse
ecclesiae decolationis s. Johannis Baptistae de caruptis scollae s. Maria) nuncupatae batu-
torum de la morte; » in una carta del 1444 son nominati gli « scolares schollae consortii
et universitatis s. Mariae nuncupatae verberatorum de la morte et s. Johannis Baptistas
porte novaS; parochise s. Fidelis. » In un'altra dell'anno stesso essi son detti « scholares
schollae seu consortii dom. s. Mariae de caruptis nuncupatae verberatorum de la morte
Mediolani. » Talvolta portava la semplice denominazione di « s. Johannis de la morte »;
e ia un documento dell'anno 1400 è nominata « schola et universitas batutorum de la
morte super caruptas. »
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 155
omaggio reso al paroco distrettuale, che come tale dovevasi rico-
noscere; e di questo canone rimangono documenti a tutto il se-
colo XV. Nel 1365, in un atto, in cui il consorzio restituisce 50 fio-
rini d'oro prestatigli da Stefanolo da Sesto, dicesi che " universitas
schollarium scholse verberatorum de la morte civitatis Mediolani
habet habitaculum in contrata, ubi dicitur in domibus fractis portse
novse Mediolani. „ Si ha una bolla del 6 dicembre 1363, data in
Avignone da Guglielmo Pusterla, arcivescovo di Milano, con cui
concede la facoltà " construendi altare in domo verberatorum de
la morte, et super eo missas celebrari facere, et verbum Dei prae-
dicari facere ac campanas pulsare, „ al quale oratorio l'arcivescovo
Antonio da Saluzzo, con breve 30 maggio 1374, concedeva l' indul-
genza di 40 giorni nel giorno del santo titolare, confermata poi
da Urbano VI, Gregorio XII, Innocenzo XI e XII, Alessandro Vili,
Clemente XI, e da alcuni arcivescovi milanesi. Da questi documenti
rendesi evidente, che quella confraternita alla metà del secolo XIV
ora già sì stabilita in Milano, da avere le sue case, la chiesa
propria, le campane, che avevano fornito materia di contesa col
rettore della vicina chiesa parochiale, e da essersi, anche nell'eser-
cizio del culto e specialmente nei funerali dei confratelli defunti,
incontrati già serj contrasti con esso rettore; errarono quindi
quegli storici milanesi, che unanimemente stabilirono all'anno 1390
la fondazione della chiesa " s. Marise verberatorum de la morte ^ „
A poco a poco quella Scuola ebbe dai cittadini legati e dona-
zioni, e coi proprj fondi e con prestiti acquistò nuove case ed aree
circostanti alla sua sede primitiva, e già il 20 gennajo 1373 essa
pattuiva con Sirino Sara e sua moglie Caterina Biffi di conce-
dere loro per abitazione vitalizia una camera terrena ed un'altra
^ In Sicilia, e segnatamente a Palermo, evvi un culto speciale per l'armi (anime) di
li corpi dicHÌlati, che vengono considerate come martiri ed esseri privilegiati dal cielo
^ forniti di virtù taumaturga, cui i divoti invocano in circostanze specialmente di pe-
ricolo, e ne chieggono grazie e difesa. A Palermo fu istituita nel 1541 la Compagnia
de' Bianchi, il cui istituto era di confortare a ben morire i condannati, e sufiFragarne
dopo giustiziati le anime, alla quale ascrivevansi nobili e cittadini egregi, e vi sorgeva
la sua chiesa speciale o santuario, ove concentra vasi la venerazione popolare per que'
genj tutelari; nell'anno seguente ebbe Messina la Congregazione degli Azoli, Catania
nel 1543 quella di s. Giovanni Battista, Trapani l'altra pure de' Bianchi nel 1556 colla
sua chiesa, aventi tutte lo stesso scopo caritatevole. Di questo singolare culto ci danno
testimonianza molti canti popolari siciliani, pubblicati dal eh. G. Pitrè.
156 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
superiore in una casa da sé posseduta in parochia di s. Fedele, con
che essi alla loro morte cedessero alla Scuola quanto allora si tro-
vassero avere di loro proprietà; con altro atto 20 novembre 1374
la Scuola dichiara di ricevere da Marchetto Verri moggia 12 e
staja 4 di mistura di segale e miglio in eguale proporzione, non
che tre carri di vino, come annata di fitto dei beni in Caluzzano,
di propria ragione, affittati ad esso Verri. Si hanno molti docu-
menti del 1365 e successivi, comprovanti come molti benefattori
di quella Società le abbandonavano alcuni loro crediti verso terze
persone e verso lei medesima per intento di beneficenza; con testa-
mento 5 aprile 1362, rogato Giacomino Cainarca, un Antonio da
Carato faceva alla stessa un legato di due brente di vino. Nel 1364
la Scuola pagava a maestro Pietro di Bologna lire cinque e soldi
dieci per annuo canone livellano " super quodam sedimine jacente
in porta nova, parochia s. Fidelis, quod dicti batuti et consors
dictorum batutorum facere et praestare tenentur annuatim, „ sul
quale sedime o spazio la Scuola aveva alzato alcuni edificj di sua
proprietà. Allo stesso maestro Pietro e a' suoi fratelli pagavano i
Disciplini altri censi per altre proprietà da loro acquistate, cioè
soldi 55 imperiali per censo " super aliquibus bonis, seu super
sedimine „ di quattro tavole tenute a pigione, a cui confinava a
levante Galeazzo Visconte signore di Milano (1368 e 1384), da
altro lato " fovea quse appellatur fovea domus fractarum, a monte
dictse consortise batutorum s. Marise de la morte, „ il qual luogo
in altra carta del 1391 dicesi ^^ situm in domo dictorum scolarium
scolae disciplinatorum dom. s. Marise de la morte. „ Altro censo di
lire 11 di terzole pagavasi con atto del 1381 " occasione certi
fondi seu spatii terree iacentis in parochia sancti Fidelis in sedi-
mine, quod appellatur dictse schollse, in et super quo seu qua sunt
certa hediffitia per ipsos scholares, et de quo seu qua ipsi schola^
res seu alii vel alii eorum nomine investiti fuerunt „ dai fratelli
Moradelli di Bologna. Nel 1365, in gennajo, il Consorzio si obbli-
gava a restituire per la seguente Pasqua fiorini 1 6 d' oro ^ " boni
^ In un atto del 28 ottobre 1437 di obbligazione dì lire 28 e soldi 18 fatto alla Scuola^
da Antonio Ceppi detto Pagino^ dicesi che questa somma «faciunt et sunt ad monetam
longam seu veterem Mediolani libras triginta unam et soldos octo imperialium. » In
quello stesso anno, a' 20 maggio, la rappresentanza del comune di Rho eleggeva tro
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 157
— — ■ — ■ 1 I
et justi ponderis, „ datigli a mutuo da Antonio da Vimercate, frate
professo del monastero di Cominago; e tre anni dopo, il 26 no-
vembre, " in porta nova in parodila s. Fidelis in domo batutorum
s. Marise de la morte super domibus fractis, convocato et congrega-
to capitulo schoUariorum consortii, universitatis et capituli schollse
dom. s. Marise batutorum de la morte de mandato Antonioli de Bi-
rago fil. q. doni. Ambrosi!, rectoris, Fedrigolli de Rivola, prioris
ipsius schollse, „ ed altri ventisette scolari, promette di restituire
a Vassallino Bossi fra sette anni trenta fiorini d'oro avuti a mutuo.
Nel secolo seguente continuavano ancora ad assumersi per parte
della Scuola tali mutui, ma altresì essa possedeva case, fondi e
livelli assai ragguardevoli in Milano nelle parochie di s. Michele
al Gallo, s. Galdino in porta Romana " in centrata zuponariorum, „
s. Nazaro in Brolio, s. Eusebio e s. Benedetto in porta Nova, ove
aveva anche un brolo (a s. Fedele, oltre molti altri stabili, era in
possesso " unius spatii terree, ubi est oratorium dictse schollse consor-
tii et universitatis schollarium schollae verberatorum dom. s. Ma-
rise et s. Johannis de Caruptis, „ ove era anche il suo cimitero,
secondo una carta 21 gennajo 1439), e persino lungo il Redefosso, in
parochia di s. Stefano in Broglio; a Birago, Camnago, Barlassina
e Baruccana aveva latifondi dell'estensione di pertiche 171, avuti
in legato testamentario da Giovanna da Birago.
È singolare che le case della Confraternita servissero talvolta di
residenza temporaria dei consoli di giustizia in luogo del Broletto,
loro tribunale ordinario, poiché essi assai di rado e in casi straordi-
narj esercitavano il loro ufficio fuori della residenza stabilita dagli
Statuti; un istromento del 22 novembre 1405 reca che Raimon-
dina Alamagna dichiara di ricevere lire 17 imperiali da Beltra-
molo Bonomi in presenza di Francesco Della Croce " consule
suoi governatori, onde effettuare l'annessione e l'incorporazione del luogo pio dì s. Maria
de Pasquario presso quel borgo, colla scuola di s. Giovanni Decollato di Milano, « cu-
pieiìtes loeura ipsum s. Marise taliter stabiliri, quod salùbriter gubernetur cogno-
scentes eorum scholarium laudabilia opera, et quod locus ipse plus s. Mariae salubrius
et utilius gubernabitur per illos, quam per unicum rectorem. » Questa annessione diede
in seguito pretesto ad una controversia tra la Scuola e l'Ospitale Maggiore, che preten-
deva spettare à se la proprietà dei beni del predetto luogo pio ed ospitale di Rho ; ma
la vertenza venne definita il 10 settembre 1482 con sentenza dell'arbitro dottor Barto-
lomeo Capra, che decise non spettare alcun diritto all' Ospitale Maggiore su quei beni,,
passati in esclusiva proprietà della Scuola.
158 LA CHIESA PI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
justitise Mediolani camerse civitatis et omnium fagiarum civitatis et
ducatus Mediolani prò tribunali sedente in domibus schollariorum
verberatorum s. Marise de la morte constructse super domus fractas
P. N. Mediolani, ecc., quem locum et quod tribunal idem dom. consul
ellegit ac per prsesens instrumentum elligit prò eius idoneo loco et
suo tribunali. „
D'un'altra convocazione della Confraternita nel secolo XIV, oltre
la già mentovata, ci dà notizia una carta del 21 marzo 1363, nella
propria sua sede, cioè " in domibus, in quibus sunt et conversantur
scholares batutorum dom. s. Marise de la morte, etc, ubi consue-
verunt talia et consimilia fieri et explicari, et in quibus domibus
soUent congregari ibidem congregata ipsa communitate eorum
scbolariorum impositione, voluntate et consensu Yincentii de Ber-
nadigio rectoris dicta3 communitatis, Federicus de Eivola, sub-
prior dictse communitatis, „ e diciotto altri scolari, che erano
" major et sanior pars et etiam duse partes dictse communitatis et
plus^^ „ in quell'adunanza eleggono sei di loro quali sindaci e
procuratori, per rappresentarli in tutti gli affari civili.
Sembra che la casa ove si adunavano, fosse quella venduta il
17 settembre 1353 da Antoniolo Mascaroni detto Paranzino a
Pietro Menclozzi per 200 fiorini d' oro, passata poi in proprietà
della Scuola, a sud-est della chiesa, tramutata poi dopo la sop-
pressione a sede di pubblici dicasteri, consistente nella metà in-
divisa " unius sediminis, qua3 medietas est a manu sinistra ad in-
troytum dicti sediminis, a dimedio porta) eundo recta linea usque
in fundo dicti sediminis de retro ; et est illa medietas cum duobus
stazionis a platea, cum duobus balconibus et solariis superioribus,
et una camera magna de vino post illas stazionas, et cum por-
ticu ante illam cameram, et cum lobiis et solariis superioribus, et
cum medietate accessii anditus porta3 dicti sediminis; cui sedimini
cohseret a mane fovea magna quse recipit aquas pluvialles, a
meridie tenet magister Petrus de Bollognia et in parte strata,
a sero strata caruptarum, et cui medietati cohaeret a mane
dieta fovea, a meridie altera medietas dicti sediminis, a sero
*° Da carte posteriori risulta, che le adunanze degli scolari convocati per trattarci
loro affari erano sovente più numerose, stante l'incremento della Confraternita, accor-
rendovene talvolta persino trenta.
LA. CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 159
caruptarum. „ Su quella fossa insorsero più volte controversie nei
1395 e 1401 tra la Scuola ed i fratelli Bologna Giacomo, Luigi ed
Ambrogio per usurpazioni di essa, annessa com'era alla casa dei
Battuti medesimi, e più tardi coll'incantatore ossia appaltatore della
spazzatura della medesima, come appare da atti del 1459 e 1536,
non che con altri coerenti, come risulta dall'atto di transazione
12 marzo 1554, avvenuta innanzi il vicario dell' arcivescovo Gio-
vanni Angelo Arcimboldi coi consorti Biverta, che aveano altresì
arbitrariamente praticato un foro ed un arco nel muro comune
coi beni della Scuola stessa.
Fra le proprietà di questa comprendevasi anche un edifizio, di
cui non è fuori dell'opera fare speciale ricordo per le gravi con-
testazioni, a cui esso diede appiglio. Il 24 maggio 1441 la Scuola
aveva dato a livello perpetuo a maestro Filippo Pellizzoni una casa
in parodila di s. Benedetto, contigua a quelle di s. Fedele, s. Martino
e s. Stefano in Nosigia, co' suoi annessi, ed un orto che stende-
vasi " a dicto sedimine usque ad cantonatam unius muri venien-
tis per rectam lineam usque ad foveam versus persicum veterem
et unam brugniam novellam usque ad aliam partem infrascriptse
fovese juxta murum lohannini dicti Sugli; „ non che una parte
" unius fovese tantum quantum capiunt dieta bona locata ut supra,
cui cohseret seu cohserere consuevit ab una parte hospitale s. Mar-
tini in parte, et in parte dom. Caterinse de la Conca, et in parte
lohannis de Florentia, et in parte sapientis viri Bartholomaei Mo-
roni legum doctoris. „ Coi nominati Filippo Pellizzoni " artium et
medicinse doctore, „ e Giovanni da Gorgonzola detto Sugio ebbe
querela la Confraternita in occasione di confini tra le rispettive
proprietà; quanto al primo, appare danna carta 5 dicembre 1442,
che la Scuola aveva interposto appello da una sentenza pronun-
ciata da Andreolo Bellisomi vicario del podestà, in una causa re-
lativa a livello, richiamandosi al duca di Milano per un nuovo
giudizio; e da altra del 2 giugno 1445, che la rappresentanza del
Consorzio, in presenza di frate Simone Gisolfi preposto di s. Gio-
vanni B. degli Umiliati in P. 0., dichiara di non accettare come
giudice in causa vertente tra le parti Francesco Della Croce vi-
cario generale arcivescovile, asserito delegato apostolico, perchè
giudice sospetto, e gli sostituisce il nominato Gisolfi, mentre il
Pellizzoni elegge Marco Benzoni prevosto della Scala, come giudici,
160 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
commissarj ed arbitri; ma pochi giorni dopo (16 giugno) la Scuola
elegge collo stesso mandato Antonio Brembato prevosto di s. Ste-
fano in Brolio, in luogo del Gisolfi. La vertenza tra la Scuola ed
il Sugio, procuratore dei deputati del Luogo Pio della Pietà dei
poveri di Cristo, fu definita l'il gennajo 1430 con sentenza di Gu-
glielmo Clerici di Lomazzo degli Umiliati, rettore della chiesa di
s. Salvatore, vicina a s. Pietro all'Orto, e da Angelo d'Inzago, ani-
hedtie ingegneri ed arbitri comuni, per la quale fu stabilito che
un muro alto 4 braccia, interposto fra V orto della Scuola e la
casa del Sugio doveva conservarsi inalterato dalle due parti, di
cui nessuna poteva " facere nec fieri facere foramen aliquod in
dicto muro, nec aliquid aliud in j)r8eiudicium ipsarum partium^
per quod tollatur nec accipiatur aer in prseiudicium servitudinis
luminis ipsarum partium, nec alicujus earum, „ nella quale sen-
tenza è applicata una disposizione contenuta nelle Consuetudini
milanesi del 1216, al Cap. XXII, Kub. De Servii, et Aquoed., e
concludesi tale sentenza con altre prescrizioni relative alle reci-
proche servitù attive e passive, riguardante lo scolo delle acque
pluviali.
Una contesa consimile era avvenuta alcuni anni avanti tra la
Scuola e Ambrogio Maroldelli di Bologna, terminata con sentenza
arbitramentale del 26 luglio 1407 di Onofrio da Parma, dalla
quale rilevasi* l' esistenza d' un palazzo appartenente alla Scuola
(così sembra chiamata la casa di residenza di essa, fiancheggiante
la chiesa, die venne poi all' epoca della soppressione richiamata
all'Economato governativo, come già accennai, e divenne sede di
ufiicj civili e militari), poiché vi si dice che un muro comune di
frontispizio, ch'era l'oggetto della disputa, avente una fronte verso
la strada maestra, l'altra verso l'orto di esso Ambrogio, " est a
capite pallatii magni dictorum scholariorum deversus sedimen dicti
Ambrosii „ . Fu forse in seguito alle molte contestazioni insorte fra
il pio Consorzio ed i proprietarj ed utilisti delle case confinanti
alle sue presso la chiesa, ove esso aveva esteso dominio, che con
atto, 8 febbrajo 1454 la rappresentanza degli scolari in numera
di 34 fratelli, a ciò adunata, dehberava che per l'avvenire non si
avesse mai ad effettuare alcuna traslazione di dominio diretto né
indiretto, nessuna locazione semplice né livellarla, donazione o ven-
dita 0 permuta de' suoi beni , posti nelle confinanti parochie di
i
LA. CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. IGl
s. Fedele e s. Benedetto, a nessuna persona o corpo morale, sotto
pena di nullità degli atti e contratti, che si facessero in opposizione
a quella deliberazione.
La Confraternita andò poco a poco prosperando, ed acquistò la
benemerenza della città per essersi data alla pratica d'un' opera
eminentemente pia, quale era quella di assistere e confortare i
condannati a morte, porgendo loro i conforti caritatevoli della reli-
gione, provvedendo altresì al loro vitto e ad altre necessità fino
all' estremo momento ^\ e seppellendo poi a propria cura quegli
infelici, che la società, ancor rozza e mal retta da leggi insufiicienti
e poco civili, considerava come il proprio rifiuto, ed abbandonava
crudamente senza alcuna difesa o tutela alle più dure conseguenze
d'una pena frequentissima ed infamante, talvolta barbara e selvag-
gia, che assumeva tutti i caratteri d'una vendetta contro il de-
linquente, senza intimorire i malvagi, avvezzatisi allo spettacolo
pubblico della crudeltà e del disonore. Gli Statuti milanesi delle
Giurisdizioni del 1396, da me pubblicati per la prima volta, ram-
mentano l'assistenza e la sepoltura data dalla Scuola dei Disci-
plini ai condannati, ed a titolo di benemerenza e di compenso
delle spese che avrebber dovuto spettare al Comune per seppellire
i giustiziati, ma che erano sostenute dai Disciplini, Gian Galeazzo
Visconti ordinò nel 1395, che ogni anno ai 29 d'agosto, festa della
Decollazione del Battista, la città con tutte le sue rappresentanze^^
e tutti i paratici o collegi delle arti coi loro gonfaloni, si recasse
in forma solenne e pubblica alla chiesa di quel pio Consorzio, che
"Da due registri di giustiziati dal 1471 al 1783 esistenti nell'Ambrosiana, appare
<;lie gli imputati milanesi mettevansi a morte sulla piazza del Duomo e nel Broletto, com-
presi quelli condannati per eresia e stregoneria, che abbruciavansi. Tra gli altri, trovo
che ai 27 luglio 1472 un Lorenzo di Barra « fu messo in cappia sopra il campanile del
brevetto per giorni cinque, ed ivi morse». Molti giustiziavansi a Vigentino, Melegnano,
Monza, taluni in bordello, altri nella corte del capitano di giustizia, al Carrobbio, alla
Rocchetta di porta Vercellina, sulla piazza del Castello, di s. Stefano in brolio, alla Vetra
de' cittadini, ed in altri luoghi in città e fuori, forse dove erasi commesso il delitto
capitale. Aggiungevasi talora la barbara esacerbazione dello squartamento e dell'ustione,
della mutilazione della membra, del tanagliamento. Il 25 aprile 1501 Benedetto da Ca-
gliate fu trascinato a coda di cavallo in Broletto, ivi decapitato, e la di lui testa fu
portata sulla strada di Monza. I soldati giustiziavansi nel Lazzaretto, e il luogo solito
di esecuzione pei nobili era sul corso di porta Tosa, come avvenne pel conte Galeazzo
Boselli bergamasco il 24 dicembre 1705.
* ^ Il podestà, il vicario e i dodici di provvisione, il luogotenente referendario, ecc.
162 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
cominciava ad appellarsi semplicemente di s. Giovanni decollato,
onde farvi un'oblazione di lire 75; disposizione riniiovata poi dal
duca Filippo Maria Visconti nel 27 agosto 1417, giacché, a quanto
sembra, essa era caduta da qualche anno in dimenticanza, ed ebbe
poi esecuzione per qualche tempo durante la di lui vita. A quel-
l'oblazione s'aggiunse in seguito l'altra di lire 18, che facevasi an-
nualmente dalla K. Tesoreria nella festa del Corpus Domini, come
rilevasi da istanza 26 febbrajo 1627, essendo la prima da qualche
tempo intermessa, e una seconda di lire 12 per parte del Tribu-
nale di Provvisione. Nel 12gennajo 1445 la Scuola acquistava una
casa in parochia di s. Eusebio per lire 370 e soldi 6 da Donato
detto Morellino della Porta, coli' obbligo di distribuire nel giorno
di s. Elisabetta alla Scuola delle quattro Marie ed ai poveri un
moggio di pane e tre staja di ceci; e infatti da una nota del 2
luglio 1442 appare, che tre suoi deputati alla porta della chiesa
" dederunt et dant elimosinam unam de modio uno furmenti in
pane cocto et stariis duobus cixerorum coctorum, computatis mi-
chis centum datis ad parochiam s. Easebii P. N. Mediolani, et
michis 40 datis carceratoribus Malestallse comunis Mediolani,
quampluribus pauperibus Christi ibidem existentibus ex pauperi-
bus Christi in Mediolano degentibus ad dictam portam dictse
domus. „
Sembra che quei Disciplini, a nome e per l'interesse della
Confraternita, si dessero al traffico speciale dei metalli preziosi,
come gli Umiliati avevano abbracciato il lanii&cio, perchè fra
molti altri documenti che attestano quel fatto, trovo un contratto
del 28 marzo 1452, pel quale la Scuola si obbligava a pagare
215 fiol'ini, di cui era debitrice, a Gabriele da Meda, " occasione
et prò pretio et mercato auri et argenti in petiis per ipsum cre-
ditorem ipsis debitoribus suis et dictis nominibus venditi, dati et
traditi. „
Di pari passo colla Confraternita doveva prendere sviluppo
anche la chiesa, divenuta per angustia insufficiente la primitiva ai
bisogni, pel che a' 9 di ottobre 1420 la Scuola stipulava alcune
convenzioni con Ambrogio Bellusco ed Andreolo Terzago ingegneri
per la costruzione della cappella dell'altare maggiore, demolendo
l'antica del 1363, e l'anno seguente a' 28 agosto Antonio Bernieri
prevosto di Borgo s. Donnino, vicario generale dell' arcivescovo
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 163
Guglielmo Pusterla, per decreto " actum in liabitatione eiusdem in
domibus ecclesiìe s. Marise Secretse „ , concede altresì al Luogo Pio
facoltà di costruire e consacrare il cimitero presso la chiesa per la
sepoltura degli scolari e dei giustiziati, " iure parochialis ecclesise
s. Fidelis et rectorum eiusdem ecclesiae ac cujuslibet eorum semper
salvo „ ; e ciò in seguito ad istanza della Confraternita, i cui scolari
" in eadem parochia s, Fidelis quamdam ecclesiam sub vocabulo
s. lohannis Baptistse inchoari fecerunt, cupiuntque prope ipsam mec-
clesiam noviter hedificandam habere cimiterium, in quo possint ca-
davera mortuorum sepeliri, prsesertim decollatorum et decollando-
rum ac suspensorum ac suspendendorum, et alias morte violenta et
juditialiter mortuorum ac ipsorum scholarium, propter quse a prse-
fato dom. Vicario cum instantia requisiverunt et requirunt, quatenus
auctoritate dom. archiepiscopi sibi comissa dignetur ipsis schola-
ribus cimiterium hujusmodi brachiorum 46 in longo et in traverso
brachia 16 prope ipsam ecclesiam hedificandi concedere, ac cuicum-
que antistiti gratiam et communionem apostolicge sedis habenti
hujusmodi ecclesiam et cimiterium consecrandi et alia faciendi,
qu8D in praemissis necessaria fuerint, licentiam concedere dignetur
atque velit. „
Ma di nuovo nel 1569 gli scolari- avendo determinato " amplifi-
cari et de novo reficere ecclesiam dictse scholse „ , addivennero alla
convenzione 3 novembre di quell'anno, con cui i conjugi Kiverta
ad essi concedettero alcune loro proprietà limitrofe, onde fosse
ampliata la cappella ed il coro. Era la chiesa, colle avvenute ag-
giunte, di laterizio ad arco acuto, col tetto coperto di tavole, di
forma quadrata irregolare, misurando la sua altezza braccia 15
milanesi, la lunghezza braccia 45, compreso lo spazio dell' altare
maggiore, la sua larghezza anteriore braccia 30 circa, con due
porte di diversa luce, e la posteriore la metà. Aveva ai fianchi due
cappelle, l'una dedicata alla Vergine a destra, l'altra al santo tito-
lare a manca, oltre l' aitar maggiore, secondo la pianta qui ap-
presso delineata, quale rinvenni in un volume degli Atti di Visita
Pastorale esistenti nell'Archivio Arcivescovile.
Quantunque questa chiesa fosse soggetta fin dalla prima sua ori-
gine alla parochiale di s. Fedele, come già dissi, tuttavia varie con-
tese nacquero tosto fra la Scuola ed il paroco, e durarono sino al
1543, circa i diritti funerarj accampati dal rettore, le quali furono
164 LA CHIL3A DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
accomodate con ordinanza 27 febbrajo di quell'anno dall'autorità
ecclesiastica, rappresentata dal vicario arcivescovile, determinante
a) Sagristia
b e) Ingressi.
d) Porta di comunicazione colla casa.
) Altari.
'D
die la cera dei funerali dei non giustiziati si dividesse per giusta
metà fra le parti contendenti. Passata la dipendenza parochiale di
s. Giovanni alla parochia di s. Stefano in Nosigia, in occasione della
ricostruzione di s. Fedele nel 1566 sul disegno di Pellegrino Pelle-
grini, e dell' introduzione in essa dei Gesuiti, si rinnovarono le con-
troversie col nuovo paroco nel 1672, di nuovo sopite colla conven-
zione 8 febbrajo 1748, mediante la quale il paroco Andrea Brenna
rinunciava a' suoi diritti parochiali per funzioni nella chiesa da lui
dipendente, e questa si obbligava per compenso a corrispondergli
annue lire cento per conto della Scuola, corresponsione che con-
tinuò al di là dell'esistenza del Pio Consorzio ^^ per parte del Eegio
Economato. Questa Società però, composta di persone popolane,
distinte in contribuenti e funerarie, senza impulsi e senza efficace
protezione, in un secolo di estrema prostrazione morale e politica,
male'reggevasi, sì che verso il 1550 i contribuenti erano ridotti a
*^ Soppressa, come vedrassi in seguito, la Confraternita nel 1784, quella prestazione
ebbe luogo sino al 1787, nel quale essendosi sospesa, il paroco Bosnati ne riclamò e
ottenne nell'anno seguente la continuazione, come da rapporto della R. Amministrazione
de' Vacanti alla R. Intendenza Politica Provinciale di Milano 2 aprile 1788. Il 5 gen-
naio 1673 era già avvenuta tra le parti altra transazione, in forza dì cui pagavansi al
paroco ad persoiiam lire 32 annue per le quattro solenni funzioni religiose, a cui egli
interveniva nella chiesa del luogo pio, ed altre lire 18 nelle sepolture ossia esequie dei
fratelli funerarj.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 165
soli sedici; degli altri non conoscevasi il numero, essendo che, dice
un documento manoscritto contemporaneo conservato nell'Archivio
Arcivescovile, non ne intervenivano al Capitolo che due o tre.
Il reddito annuo della chiesa era allora di sole lire cinquecento,
non avendo alcuno dei tre altari cappellanie né dotazioni speciali,
<^d un editto arcivescovile del 16 giugno 1576 relativo alla chiesa
prescrive di levare i frontali di legno, e sostituirvi nei luoghi e
modi opportuni colonne di pietra, di collocare la porta maggiore
nel mezzo della fronte verso la via, e di farne altre due late-
rali, di levar l'altare di M. V. dov'era, e di porlo in luogo ap-
provato.
L' anno 1566 è di lugubre memoria nei fasti milanesi. La città
fu funestata** dalla esecuzione capitale d'un gran numero di mal-
fattori, rei d' omicidj e d' altri delitti , pe' quali in que' tempi di
ignoranza e di pregiudizj non v' era alcuna guarentigia né in una
procedura razionale, umana ed equa, né nella intemerata imparzia-
lità de' tribunali. S. Carlo si commosse a quella brutale carnificina,
ed ideò di ampliare e dare maggior sviluppo alla Confraternita,
rendendone più proficuo il caritatevole uffizio. Un documento di
quell'anno é l'atto autentico ed originale, direi quasi l'abbozzo,
di quella riforma, dal quale rilevasi che allora rimaneva quasi solo
il nome di quel Pio Consorzio, " quando piacque alla bontà e mi-
rabile providenza del Signore di rimediare, il quale vedendo che
r anno medesimo dovea farsi la più rigorosa giustizia e più fre-
quente che si facesse mai in questa città, ispirò alcuni gentiluo-
mini a rinnovare quest' opra, altrettanto per far beneficio a sé
stessi, ed acciò che coli' insegnare a morire ad altri imparassero
essi a vivere, quanto per ajuto dei poveri condannati. E però, col
consiglio e l' autorità dell' ili. card. Carlo Borromeo , arcivescovo
** Il Morigìa {Santuar. di Mil.y p. 173) conferma che la cagione della riforma della
Scuola de' Disciplini introdotta da s. Carlo fu « che nel contado di Milano si scoprisse
una gran quantità di assassini, che facevano tutti quei sassinamenti, ribalderie ed am-
mazzamenti, che sì possono imaginare, di modo che ninno era sicuro dalle loro mani
né per le vie, ne in villa, né dentro della città, ne anco nelle proprie case, rubando, as-
sassinando, ammazzando e levando l'onor vituperosamente ; laonde fu fatto tal diligenza
con asprissimi bandi, che in pochi mesi fu liberata la città e tutto lo Stato da quei
ribaldi. Laonde ogni settimana eran presi molti, e la giustizia ne faceva brutti spetta-
coli, perchè alquanti furono impiccati, molti tanagliati ...»
Ardi. Stor. Lomb. — An. I. 11
166 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
. %
di Milano, anzi alla presenza sua essendovi il numero di venti gen-
tiluomini circa, si stabilì la Confraternita della Consolazione di
s. Giovanni, aggregandovi i 14 o 16 che già vi appartenevano,
e confermando questa chiesa per di lei sede^%,! Seguono indi le
regole allora stabilite dal priore e da tre altri fratelli come rap-
presentanti del Consorzio, ed eletti a questo scopo alla presenza
dell'arcivescovo, non che alcuni " avvisi circa quelli che hanno a
esser justitiati, a fin che condannati dal mondo, restino per divina
misericordia justificati dal Signore, morendo in quella,,. In questa
occasione il cardinale modificò anche l'abito di tela bianca della
Scuola in altro azzurro coll'imagine della pietà di N. S. A propo-
sito di questa riforma, il G lussano dice che s. Carlo persuase ai
nobili e principali della città di abbracciare quella pia e santa
opera, e però in poco spazio di tempo divenne essa numerosissima,
e fu favorita persino da ministri regi e dallo stesso governatore
di Milano, che vi si aggregò, e così quelli che prima se ne stavano
oziosi nella città, ebbero occasione di occuparsi in opera di tanta
pietà e misericordia, poiché, promulgata la sentenza di morte, il
priore o due scolari designati da lui doveansi recare alla pri-
gione del condannato per annunziargli ne' modi più convenienti la
pena decretata, ed egli era collocato tosto nell' oratorio almeno
due giorni prima del supplizio, ove era piamente esortato a pi-
gliar con pazienza ed in pena delle proprie colpe quella dolorosa
ed umiliante sorte. Dalla qual forma di regola, continua il Gius-
sano, ne risultarono due grandi vantaggi : l'uno, cui i ministri regi
hanno poi sempre osservato, che non fosse messo a morte alcuno
nel giorno che avesse ricevuto i conforti della religione; l'altro,
che s'introducesse il sacerdote della Compagnia od altro per di-
sporre ed assistere il condannato agli ultimi momenti; soccorso ed
assistenza dapprima inusati.
Quanto alla sepoltura e alle esequie dei giustiziati, esistevano
già opportune disposizioni, poiché un decreto del 7 settembre 1514
*5 In una lettera del cardinale a Gio. Francesco Bonomi suo famigliare, poi vescovo
di Vercelli (1572-1587), del 12 giugno di quell'anno, gli dà notizia di questa riforma,
cui dice d* avere introdotta il giorno precedente. Le regole ch'ei diede a quel Con-
sorzio le modellò su quelle che si fé' trasmettere da Roma, ove già esisteva un'Opera
Pia avente l' istessa natura e scopo.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 167
di Ruffino Bellingeri, dottore d'ambe le leggi, arciprete dei ss. Na-
borre e Felice de pristino diocesi di Pavia, e vicario del cardinale
Ippolito II d'Este arcivescovo di Milano, concedeva alla Scuola di
s. Giovanni decollato la facoltà " eundi cura cereo, candelis ac-
censis et aliis necessariis, prout vobis placuerit, ad locum de Vi-
glentino^^ extra portam romanam, ubi conducuntur malefactores
ad justitiam, et ibidem officia mortuorum et alia divina officia
celebrandi semel et pluries in anno juxta vestrum solitum prò ani-
mabus defunctorum ibidem jacentium, et sit in facultate vostra et
cujuslibet vestrum postulandi illos sacerdotes, prout vobis malue-
rit, de societate ad dieta officia celebrandum „.
Sino all'anno 1589 perseverò nelle. forme e regole assegnate dal
Borromeo quella pia Scuola, ma assunto allora al governo di Mi-
lano D. Carlo d'Aragona, duca di Terranuova, capitano generale
della città, che si annoverò in essa col castellano, il gran cancel-
liere, i presidenti ed altri ministri reali, ei la rinnovò e riformò con
nuovi ordini, ed operò che abbandonato, col consenso dei cavalieri
scolari, il colore delle vesti assegnato nel 1566, si riassumesse la
divisa primitiva, nella quale essi comparivano davanti ai delin-
quenti, scrive il Torre ^^ in processione, vestiti d'abito candido di
sottilissima tela piegato in onda, con mantelletto di lana fiam-
minga esso pur bianco, reggendo sulla spalla sinistra tra nero vel-
luto a ricami d'oro un crocifisso ^^, portando anco in testa cappello
bianco con fiocchi di seta a pendio. Dal cordone bianco che ser-
viva di cintura, pendeva il decenario o rosario. Dal .colore di tale
divisa il Morigia chiama il Consorzio la Compagnia de' nobili della
consolazione di s. Giovanni decollato in Case Rotte, detta dei
Bianchi, e nelle sue stesse regole stampate nel 1590, 1654 e 1782
ripetesi tale appellazione. Tali statuti erano distinti in 25 capi-
toli, ed annoveravano qual protettore il monarca, avente per suo
rappresentante il governatore di Milano, ed assegnavano gli spe-
ciali ufficj del prefetto e de' suoi consiglieri, del maestro dei novizj,
'^ Il Sitoni, citando il Bossi sotto l'anno 1416, ricorda le forche di Vigentino, ove fu
giustiziato da Galeazzo Visconti un Picciardone Vassalli suo primo ministro, come ram-
menta anche il Cerio sotto l'anno 1362. «Forche stabili di marmo, seguita il Sitoni,
citando il Tor. a fol. 83, erano prima ov'è la crocetta del mercato di porta ticinese. »
•^ Ritratto di Milano, pag. 285.
*^ A' piedi della croce era effigiato il capo reciso del Battista.
168 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
del visitatore degli infermi, del soprintendente alla sacristia, del
tesoriere, del sindaco, o procuratore, dell'archivista^^, del rettore,
del sacrista o cappellano, e de' portieri. Emerge altresì da essi,
che dividevansi gli ascritti in fratelli nobili ed in funerarj, e di-
stinguevansi i deputati alla fabbrica da quelli dell'archivio. Nel-
l'edizione del 1664 leggesi l'elenco degli scolari, tra cui contavansi
128 nobili, oltre il governatore, scelti fra le famiglie patrizie della
città, insigniti delle più alte cariche civili e militari dello Stato, e
trenta funerarj. Fra i deputati all'archivio annoveravasi Fran-
cesco Maria Ricchino come scolare ed architetto, del quale sarà
parola più innanzi. Il Sormani^° rammenta fra gli scolari il gene-
rale Jacopo Boncompagni duca di Sora, il castellano D. Ferdinando
de Sibla conte di Cifuente, il gran cancelliere Danese Filiodoni ed
il presidente del Senato Jacopo Riccardi. Coli' andar dei tempi vi
si aggregarono quasi tutti i governatori, sfoggiando pompe e sus-
siego proprj dell' età e del carattere spagnuolo ; molti patrizj
cittadini le diedero il loro nome per piaggiare i grandi, o per con-
suetudine, 0 per affettazione religiosa, e tra essi scorgevasi il conte
di Vaudemont governatore e capitano generale di S. M. Cattolica
nello Stato di Milano, accoltovi FU agosto 1698, e negli ultimi
tempi si veggono mentovati ne' suoi registri il conte Pietro Verri
nel 1747, il conte Gian Luca Parrà vicini, ministro plenipotenziario,
il conte Colloredo e il conte di Traun, il conte Ponze de Leon ge-
nerale nel 1760, il conte di Firmian, Giorgio Giulini, Venceslao
Kaunitz di Rittberg, Filippo V e altri molti. Effettuavasi ancora
nello scorso secolo l'oblazione della città e dei paratici a' 29 d'ago-
sto, ordinata da G. Galeazzo Visconti nel 1395, e confermata poi
con altro decreto 5 settembre 1619, dopo quello di Filippo Maria
Visconti.
*^ L'Archivio della Scuola fu sistemato e raccolto soltanto nel 1671 per ordine del
prefetto marchese Cesare Visconti, e per opera di Carlo Antonio Menni, essendo ri-
maste fino allora sparse e sperperate le carte ed i documenti in mano d' amici e di
nemici, pel che molte di esse andarono guaste o perdute, e si smarrì la memoria di
molti crediti. Questa dispersione e confusione durava tuttavia nel 1639. Nel 1671 si
cominciò un repertorio sommario dei documenti ed atti superstiti dal predetto Menni,
continuato poi dai successori. Questo archivista dovette essere fornito di non comune
coltura, a giudicare dal suo lavoro che tuttavia rimane, e dalle prefazioni latine pre-
poste al catalogo da lui avviato.
2° Pasaeggiate, tom. Ili, pag. 189.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 169
Rassodatasi così e ridotta a più regolare forma quella Confra-
ternita, fu favorita dai monarchi di nuove grazie e privilegi. Il
duca Francesco II Sforza aveva già ordinato, il 20 novembre 1533,
che fossero rilasciati alla Scuola gli abiti e quanto apparteneva ai
giustiziati, ordinanza sovente infranta dai bargelli e custodi delle
carceri, a quanto consta da più d'un processo a loro carico, rinnovata
poi ril dicembre 1536 dall'imperatore Carlo V, e il 4 marzo 1556
da re Filippo IV di Spagna. Il Senato a' 3 gennajo 1579 autoriz-
zava la Scuola a far convenire avanti il di lei prefetto qualsivoglia
suo debitore per qualunque causa o titolo, secondo l'anteriore con-
cessione ducale 1486 emanata pei Luoghi Pii di Milano, ed il ca-
pitolo 493, voi. II, delle nuove Costituzioni; e Carlo II, tutelato
dalla madre regina d'Austria, con diploma 8 gennajo 1675 le ac-
cordava il privilegio di liberare ogni anno due condannati a morte
di caso graziabile, privilegio effettivamente esercitato ^^
D'altra parte, il 1.° maggio 1567 Paolo PP. IV emanava sen-
tenza di scomunica contro i debitori della Scuola, e Sisto V contro
gli occultatori dei di lei beni, ed il 16 luglio 1619 l'arcivescovo
Federico Borromeo acconsentì ad 'essa di portare processional-
mente sulla pubblica via il SS. nell'ore pomeridiane nell'ottava del
Corpus Domini, giorno particolarmente da essa festeggiato, e da-
vale pur licenza di conservarlo in chiesa, purché vi risedesse sem-
pre un sacerdote, e in osservanza delle sinodali prescrizioni vi
fosse tutto quanto richiedesi alla custodia e venerazione di esso.
" La petizione che facevasì dalla Scuola, della grazia della vita d' un condannato,
piuttosto che da un criterio legale sulla graziabilità, era determinata dall' offerta di
una somma di denaro esibita dal giustiziando. Ciò rilevasi da una domanda di grazia»
senza data, ma posteriore al 1675, in favore di Giovanni Francesco Crivelli, detenuto
nelle carceri pretorie e processato per detenzione d'armi, mentre il diploma di Carlo II
concerneva pena di vita che' superasse la corporale. Nelle occasioni di grazia concessa
ai condannati, un cerimoniale apposito era messo in pratica. La Scuola intera od una
numerosa sua rappresentanza veniva invitata dal prefetto a recarsi in abito processio-
nalmente e colla croce alle carceri del castello, se il graziato era militare, o alle altre,
a levare il detenuto, e accompagnarlo a s. Giovanni decollato, onde render grazie a Dio.
Due confratelli lo vestivano di bianco nella prigione, paravasi la chiesa a festa, ed alla
processione intervenivano i tubatori cìvici ed i pompieri ed i musici, cantando deter-
minate preci. In dato luogo lungo la via trovavasi il castellano, a cui il graziato
porgeva grazie, indi il governatore altrove levavasi il cappello sorridendo. In chiesa,
dopo alcune funzioni religiose stabilite per la circostanza, il graziato riceveva l'elemo-
sina, che per lui durante il rito sacro veniva raccolta.
170 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
Da questa concessione ebbe forse principio la serie dei sacerdoti,
che sotto nome di rettori provveduti ed alloggiati dalla Scuola at-
tendevano all'esercizio del culto, come prescriveva l'art. XIII delle
Costituzioni del 1654. Finalmente il cardinale arcivescovo Pozzo-
bonelli concedeva il 24 marzo 1751 opportuna licenza alla chiesa
per la celebrazione di messe un'ora avanti l'aurora ed un'ora
dopo mezzodì, essendovi grandissima affluenza di celebranti e di
popolo.
Verso la metà del secolo XVII era la chiesa di nuovo insuffi-
ciente e ristretta ai bisogni del culto ed al concorso dei devoti, o
forse per vetustà non ispirava bastevole sicurezza. Ne fu quindi
decretata la demolizione, e l'erezione di quella più vaga e mae-
stosa, dice il Lattuada, ch'oggidì si vede, e la Scuola, con sua ordi-
nanza presa nella congregazione 12 agosto 1645, deliberava il pronto
incominciamento della fabbrica, secondo il capitolato a stampa da
osservarsi dall'impresario, ed il disegno da essa approvato, del-
l'architetto collegiato Francesco M. Ricchino, allora celebre, il
quale per sopperire alla deficienza di mezzi occorrenti ad un edi-
fizio dispendioso, con istromento 6 marzo 1654 dava a prestito
gratuito per sei mesi a Giovanni Benedetto Bigarola, ei pure in-
gegnere collegiato, come sindaco della Scuola, lire tremila da im-
piegarsi nel compimento dell' edificio, colla condizione che pro-
traendosi la restituzione del mutuo al di là del tempo pattuito, la
Scuola gli avesse a corrispondere l'interesse del 6 per cento al-
l'anno. Nel seguente 1662 l'edificio era ancora imperfetto, giacché
sopra istanza 8 agosto di quell' anno del prefetto della Scuola,
questa otteneva dall'autorità civile la facoltà di occupare per la
fabbrica " un poco della strada, dovendosi seguire la linea retta
della facciata della chiesa sino al cantone presso s. Fedele. „ Del
Ricchini è pure la scala a chiocciola che st/i a sinistra dell' atrio
d'ingresso, che mette all'oratorio, assai vasto un tempo, sopra-
stante all'atrio medesimo e di forma quadrata, destinato all'uso pri-
vato del Consorzio, che vi teneva le sue adunanze, ed adempiva
in determinati giorni a pratiche religiose pi*escritte dalle Costitu-
zioni. Morto il Ricchini, prestò l'opera sua il figlio Giovanni Do-
menico, che specialmente adoperossi all'oratorio già detto. L'aitar
maggiore di marmo, condotto lentamente per scarsezza di mezzi
pecuniarj, fu compiuto più tardi, cioè' nel 1713 a' 12 giugno, da
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 171
<jrio vanni Rosnati, secondo la convenzione 2 ottobre 1719, pel
prezzo di lire 15,000.
La chiesa cosi rifatta ebbe il 6 dicembre 1684 la visita pasto-
rale dell'arcivescovo card. Federico Visconti, che vi fece alcuni
decreti per la regolare tenuta del luogo sacro, e il 22 giugno 1702
quella, festeggiata con pompa straordinaria e solenne cerimoniale,
di re Filippo V di Spagna, venutovi per onorare la Scuola, seguito
dai grandi dello Stato e dal suo cappellano maggiore.
Nel 1704, essendo accesa la guerra di successione al trono di
Spagna, e quindi allo Stato di Milano, tra l'imperatore ed i Gallo-
Ispani, questi spogliarono il duca di Savoja, alleato dell'imperatore,
di quasi tutto il suo Stato, e la sorte dell'armi venne ad agitarsi
sui campi di Lombardia. A' 4 di marzo di quell'anno Galeazzo Vi-
sconti d' Aragona, vicario di Provvisione, invitava la nobilissima
Scuola ad intervenire ufficialmente coli' abito proprio e coi cerei
ad una processione delle 4"0 ore alla chiesa de' Cappuccini in porta
Orientale ^' per implorare la divina clemenza a favore di questa
patria nelle presenti contingenze ^^ „ ed il 16 seguente il pre-
fetto Giacomo Fagnano le comunicava l'invito; v'intervenne essa
assai numerosa, essendovi 115 fratelli fra nobili e funerarj, con
quattro cori di musica e trombe, scegliendo a ciò l'ultima ora
per procurarsi maggior distinzione e solennità. Narra la relazione
di quell'intervento, conservata nel volume delle ordinazioni della
Scuola, che questa fu ricevuta all'ingresso dalle guardie svizzere,
dagli alabardieri e da alcuni l'eligiosi; l'aitar maggiore era mu-
tato in un sacro teatro, in cui rappresentavasi la predicazione di
s. Giovanni Battista, e la processione, uscita di chiesa, " fu obbli-
gata a girare dal ponte vicino a s. Rocco fino alla crocetta del
dazio, marciando dalla parte di là del fosso, e ritornando dal-
l'altra, stendendosi la Scuola dalla croce de' Cappuccini , posta
rimpetto alla chiesa, sino alla detta crocetta. „
Il favore di che la Scuola, sempre appellata col titolo di nobi-
lissima, godeva presso il pubblico e l' autorità , i suoi privilegi e
gli ampliati suoi mezzi economici, invogliò altri Pii Consorzj aventi
2- Anclie il cardinale arcivescovo Gr. Archinto, il 24 gennajo 1720, invitava la Scuola
ad intervenire ad una processione per implorare « la felicità dell'augustissima casa »,
portandovisi la statua di s. Carlo.
172 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
ristesso indirizzo, ad aggregarlesi, ond' essere partecipi di tante
predilezioni ed utilità, ed infatti da' suoi atti appare che tale an^
nessione ottenne nel 1698 a' 6 agosto, essendone prefetto il conte
Giulio Visconti Borromeo Arese, la Confraternita di s. Maria di
Varese; nel febbrajo 1702 quella della Morte di Novi, diocesi di
Tortona; nel 1744 l'altra di s. Giovanni B. decollato di Caravaggio
in Gora d'Adda, e nove anni dopo quella del Confalone di s. Ber-
nardino nella chiesa di s. Maurizio di Monza, accettandone tutte le
regole ed ordinazioni imposte; più tardi, nel 1771, al 1° di giugno,
vi si unì la Confraternita di s. Bernardino e del Rosario in Ab-
biategrasso, avente lo stesso scopo di assistere anche ne' bisogni
materiali i condannati a morte.
L' abbellimento del nuovo santuario, mediante dipinti alle pa-
reti e nella volta, cominciò non molto dopo ad essere nei voti dei
divoti e più dei confratelli, e perciò, dopo 1' esame di non pochi
progetti presentati da varj artisti, la congregazione generale te-
nuta il 31 maggio 1723, stabilì doversi toglier dalla volta ed ot-
turare il cupolino che vi era e sembrava pericoloso, e doversi in.
essa esprimere in pittura " quel pensiero del carro, quale è stato
considerato per il più plausibile all'opera che devesi fare, „ ed ap-
provò il progetto che rappresentava un misto di figure ed archi-
tettura, quale appunto venne eseguito.
Il medaglione della sommità della volta, armonicamente com-
partita in quadratura, dice il cav. Luigi Bossi ^^ rappresenta il Pre-
cursore posto di mezzo fra l'antica e la nuova legge, con gerogli-
fici e figure che concorrono a manifestarne l'idea, avendo l'artista
distribuito alcune figaro di Padri e Profeti del Vecchio Testamento
ne' vacui più alti, al di sopra della cornice, che gira intorno alla
chiesa.
A dipingere le figure erasi offerto Sebastiano Ricci, dimorante
in Venezia, ma non fu accolta la sua proposta come troppo co-
stosa, avendo egli chiesto il compenso di quattromila filippi, e non
fu tenuto nemmeno conto della riduzione da lui offerta a soli 2500.
Vi furono invece prescelti a prestar l'opera loro Giuseppe Antonia
Castelli di Monza, detto Castellino, per l'architettura, e Pietro Gi-
lardi per le figure, il quale ultimo avea richiesto il prezzo di due
^^ Guida di Milano, pag. 242.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 173
mila filippi, che poi ridusse a due mila scudi; col primo non erasi
avviata alcuna trattativa sul prezzo dell' opera sua, ed egli non
giunse che a condurre a termine le figure della volta, e il 28 lu-
glio 1725, un anno dopo la sua morte, furono pagate a' suoi eredi
Emmanuele e Giuseppe Castelli, zio e nipote ^\ lire 5400 in saldo
di lire 9000, prezzo concordato da arbitri dei lavori del defunto;
ed il 1.*' settembre di quell'anno Pietro Gilardi riceveva per la sua
prestazione lire 11,400, secondo l' arbitramento del marchese ma-
resciallo Visconti, prefetto della nobile Scuola. Giacomo Secco, de-
putato a condurre a termine i dipinti delle pareti, terminati dopo
il 1728, ebbe lire 4080; Francesco Belletti lavorò per lire 335 le
stuccature, dorate poi in parte da Antonio Castine per lire 2900,
che ne rilasciò ricevuta finale il 13 gennajo 1729.
La chiesa, d'ordine jonico, conta tre cappelle. Le otto tribuna o
coretti a balaustrate di pietra, che stanno a' lati, servivano a' ca-
valieri della Confraternita n eli' assistere alle funzioni ecclesiasti-
che. Quanto al merito architettonico del Ricchini, il Borsieri ^^ lo
annovera fra gli architetti di gran nome del suo tempo (1619),
con Giuseppe Meda, Martino Basso, Pietro Antonio Barca, Lelio
Buzio, Antonio M. Corbetta, Aurelio Trezzo, e sembra che tale
estimazione realmente lo onorasse, poiché egli prima di questa
architettò le chiese di s. Giuseppe, s. Agostino in P. N., s. Ul-
derico alle Cinque Vie , s. Eusebio, s. Lazaro e s. Nazaro alla Pie-
trasanta. Aggiugne il citato scrittore, che " ciascuno de' nominati
architetti segue la maniera del Pellegrino quanto maggiormente
può, anzi pur quella eh' egli medesimo ha tratta dalle fabbriche
fatte in Roma da' gentili, non avendo fra essi chi più cerchi le mi-
nuzie degli Alemanni, né le spesse cornici dei Bramantini, ma più
tosto la sodezza e la maestà degli antichi. „ Ora però, mutato il
gusto artistico, ben diverso é il giudizio che fassi delle opere d'arte
costrutte al tempo della decadenza; giacché, a tacere d'altre au-
torità, sul merito artistico dell' architettura e dei dipinti, altre
2^ Prestarono mano al Castellino nel condurre le pitture architettoniche il nominato
Giuseppe suo nipote e il cugino Jacopo da Lecco. I quattro medaglioni a chiaroscuro
e a finti cammei, de' quali uno è interrotto dal pulpito addossatovi, rappresentanti al-
cuni episodj della vita del Precursore, sono di Giovanni B. Sassi, degno di somma lode,
dice il Lattuada, per la singolare sua perizia in quest' arte.
*•' SuppUm. della Nobiltà di Milano, pag. 61, 62.
I
174 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
Tolte celebrati, di questa chiesa, così si esprime un erudito scrit-
tore d' arte, nostro concittadino, in una recente sua rivista arti-
stica : " La data della riedificazione della chiesa e i nomi degli au-
tori non sono fatti per raccomandare 1' opera all' artista. Nondi-
meno vi è in essa qualche cosa di caratteristico, specialmente nella
pittura decorativa interna, condottavi al principio del secolo suc-
cessivo. L'esterno non ha aspetto di chiesa. Un triplice arco chiuso
da inferriate a rami contorti a ricci lo chiude, e vi forma quasi
un pronao. Lo stile del vecchio Eicchini s' intravvede nelle mac-
chinose mensole delle serraglio, che loro stanno sopra. Più in alto
la facciata tiene forma d'abitazione privata; le finestre corrispon-
dono ad una sala capitolare od oratorio dell'antica Confraternita,
e mancano affatto di quell'energia di modanature e di risalti,
tanto da sembrare facile vedervi l'intervento del figlio.
„ L' interno della chiesa tiene forma icnografica d' un' ellisse ri-
tagliata ad ottagono, cui s' appicca, al lato di contro all' ingresso
principale, uno spazio quadrangolare per collocarvi il maggior al-
tare. I soliti pilastri in giro, secondo lo stile jonico del tempo, ne
formano l' organismo principale. Fra essi si aprono i due altari,
uno per ogni lato maggiore, con piccole cantorie a foggia di bal-
coni, sui fianchi, e con altre maggiori nei lati brevi. È un miscu-
glio di sacro e di profano. Tutto quanto, per altro, ha nesso colla
parte edilizia, non lascia di portare ancora l' impronta del mi-
gliore dei Ricchini. Gli altari e la generale decorazione pittorica
della chiesa, invece, quella d' un mezzo secolo dopo, s' improntano
d'un carattere senza nerbo e d'una grazia svenevole e sdilinquita.
• „ Alla pittura a fresco, onde sono coperte le volte e le pareti,
malgrado la mirabile disinvoltura e maestria di condotta, meglio
s'addicono queste espressioni. La grande medaglia della volta
maggiore di Pietro Gilardi, anche senza i guasti sofferti, è una
macchia variopinta, luminosa, ma incomprensibile come soggetto.
Così voleva il tempo, purché si aggiungesse 1' abbarbaglio d' un
cielo aperto. La medagha sull'altar maggiore, di Giovanni Battista
Sassi, di una mano meno agile, ma di un organo visivo meno vi-
ziato agli effetti convenzionali, rappresenta almeno cosa che si
comprende, una gloria d' angeli. Il resto della volta maggiore di-
pinse di forme che vorrebbero essere architettoniche, Giuseppe
Antonio Castelli di Monza. Al tempo suo, nei primi trent'anni del
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 175
secolo XVIII, era contato fra i celebri, né alcuno s'attenterebbe
oggi neppure di negargli un certo gusto della forma e del colore,
una mano felice; ma come accettare cotesto finte costruzioni con-
vulse, sospese, senza ragione alcuna di essere, e portanti figure e
fiori, che vorrebbero averQ aspetto di realtà? Eppure accolsero
l'applauso quasi d'un intero secolo. Le pareti verticali della chiesa
sono dipinte secondo i medesimi principj,ma da artisti meno abili'*'„.
Si contavano nella chiesa alcune buone tele, di cui si conservò
la memoria. La tavola, ancora esistente, della cappella a sinistra,
effigia la decollazione del Battista, di pennello di Francesco del
Cairo; l'altra, rappresentante le anime del Purgatorio, fu dipinta
da Salvatore Rosa, ma questa, nel 1796, presa dai commissarj
francesi Tinet e Barthélemy che la credettero opera di Quercino
da Cento, fu restituita, e trovasi oggi nella Pinacoteca di Brera.
Ad essa. fu sostituita, e rimane tuttora, una Vergine col figlio in
grembo, ed a' piedi in ginocchio, s. Francesco, tela buona, lumi-
nosa, di Federico Bianchi. Altre quattro tavole ad olio fornite dal-
l'Amministrazione del Fondo di Religione, che stavano appese alle
pareti sotto le tribune, furono levate nel 1795; quella rafiigurante
il Purgatorio era di Carlo Antonio Rossi, e tre altre che esprime-
vano, dice il Torre, " misere azioni di sfortunati condotti all' or-
chestra, 0 già sofferto avendo il castigo „ , furono coloriti da' fratelli
Santagostino. Il battesimo di Cristo, dietro l'aitar maggiore, era
una copia di Cesare da Sesto, appartenente già al cardinale Cesare
Monti, e donato alla chiesa dal conte Giulio Monti; l'originale
era presso il marchese Carlo Gallarati, regio ministro.
La cappella od oratorio superiore, assai vasto, ed avente un
unico altare di fronte all'ingresso, avea forma quadrata, e com-
prendeva esso pure buoni dipinti, raffiguranti per lo più episodj
della vita del Precursore, appesi sotto le sue dieci finestre laterali,
ed esposti nel 1673. Fece il battesimo amministrato dal Santo alle
turbe, Filippo Abbiati ; Antonio Busca, il Santo innanzi ad Erode ;
Federico Bianchi lo dipinse carcerato ;' Giovanni Battista del Sole
fé Erodiade; Ercole Procaccini il martirio; Giuseppe Nuvolone la
natività di Giovanni e la presentazione della sua testa ad Erode;
26 MoNGERi, L'Arte in Milano, pag. 305.
I
176 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
Giovanni Battista Costa due tele raffiguranti la sepoltura del Bat-
tista ed un sacrificio ; i fratelli Santagostino la visitazione a s. Eli-
sabetta e la predicazione nel deserto; Stefano Montalto la sacra
famiglia con s. Giovanni; Luigi Scaramuccia detto il Perugino, la
predicazione del Santo; e Cesare Fiori il battesimo di Cristo.
D'un' altra tavola di Carlo Sassi parla il Lattuada, la quale dice che
coi tre altri dipinti, i quali stavano negli angoli, che pigliavano di
mezzo le due cappelle, fu levata allorché fu dipinta tutta la chiesa.
A sopperire a sì gravi dispendj, compreso quello per l'opere di
muratura e* d' impalcatura, fornite dal capo-mastro Pietro De Ta-
deis, la Scuola aveva nell'anno antecedente (1723) predisposte e
raccolte oblazioni, che secondo un elenco del 24 marzo 1724, am-
montavano a lire 13,164. 5, di cui 5616 rimanevano a riscuotersi;
ma esse erano ben lungi dal bastare all'uopo, e 1' 8 marzo 1725
la Giunta della Scuola avvisava al modo di raccogliere nuovo da-
naro, e con atti 24 e 28 luglio assumeva a mutuo lire 9800 per
dieci anni da G. B. Sabbione al tre e mezzo per cento all' anno ;
ma non bastando neppure questa somma , la chiesa dovette nel
1728 vendere la propria tappezzeria, consistente in braccia 2038
di damasco cremisi, all'apparatore Zufiì.
A poco a poco le finanze del Consorzio si riebbero mercè le col-
lette e le oblazioni volontarie, che raccoglievansi in apposite cas-
sette, sì che essa acquistò abbondevoli mezzi a raggiugnere lo
scopo principale della sua istituzione. P. Morigia ^' dice che esso
faceva celebrare per l'anima di ogni giustiziato sei messe, istituite
da Antonio Busca con testamento 15 gennajo 1735, con quattro
cerei intorno al feretro, e per tre dì avanti l'esecuzione capitale
facevagli le spese di vitto nelle prigioni, e dopo il supplizio tumu-
lavalo nell'antico cimitero della chiesa, posto in una cripta sotto
l'aitar maggiore, ove racchiudevansi anche le salme dei fratelli
funerarj, alla cui morte celebravansi 100 messe coli' ufficio funebre,
giusta le norme stabilite nel 1708 ^^ Accadendo il caso d'una ese-
*^ Tesoro prez. dei Miìan.y pag. 60.
^^ Avvenne più d'una volta, che i giustiziandi legassero alla Scuola, che li assisteva
e confortava con amore, alcune somme da erogarsi a proprio sollievo spirituale, come
fece Tominetta Maria, detta la Zavattina, che il 6 settembre 1657 « per ordine di giu-
stizia, così a Dio piacendo, dovea passare da questa a miglior vita; » rinchiusa nel-
l'ufficio del podestà, lasciò alla Scuola lire 600, costituenti la sua dote, cogli interessi
decorsi. Aveva essa ucciso suo marito.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 177
cuzione capitale, il capitano di giustizia ne porgeva avviso al pre-
fetto della Scuola, invitandolo a prestare al condannato la consueta
caritatevole assistenza, e designando anche il giorno del supplizio;
questi alla sua volta deputava alcuni de' confratelli al disimpegno
del mesto ufficio di predisporre l'infelice a subire il suo destino, e
procurargli opportuni conforti religiosi e materiali; e perchè non
fosse egli distratto da visitatori estranei, il Senato avea decretato il
10 giugno 1587 e il 15 giugno 1648 (ordinanze ripetute nel 1735 ^*),
che non fosse mai lecito ai custodi carcerarj di introdurre al giu-
stiziando alcuna persona estranea alla Scuola, che l'avea di ciò
espressamente richiesto, e nel 1744 papa Benedetto XIV concesse
r uso dell' altare portatile nei confortatorj dei condannati per la
celebrazione dei riti religiosi.
Il maggior lustro e l'età dell'oro della Scuola, se si bada alle
apparenze ed all' esterna sua grandezza e magnificenza, criterio
assai fallace per sentenziare della bontà e del vero vantaggio di
una istituzione, si mostrò verso il mezzo del secolo scorso; era un
frutto maturo, che giunto al suo punto culminante di sviluppo,
dovea corrompersi e da sé cadere dall'albero. Ai redditi delle pro-
prietà stabili da lei posseduti o presi a pigione, in gran parte cir-
costanti alla chiesa, erasi aggiunta 1' esenzione dalle imposte da-
ziarie delle mercanzie per 25 rubbi d'olio d'ulivo per le lampade
e 50 rubbi di cera di Venezia, il reddito di 50 lire sul dazio delle
pelli verdi accordatole dalla K. Camera, in sostituzione d' un ca-
none livellarlo di lire 37, che ritraeva da una casa in parochia di
s. Carpoforo, abbattuta dal governo spagnuolo per estendere le
fortificazioni del castello: oltre alle abbondevoli oblazioni pubbli-
che e private, l'attività impinguavasi colle corrisponsioni annuali
dei confratelli nobili in lire 7 o in lire 70 per una sola volta, oltre
ad altre lire 120 all'atto dell'ascrizione, e colle annualità dei 40
funerarj ^\ coi molti censi , le offerte straordinarie, ed i legati pii
*^ « Renovando ordines 15 iunii 1648, quibus sub poena suspensionis ab oflRcio arbi-
traria Senatui sancituin est, ne custodes carcerum et baricelli introducant personas ad
eorum libitum ad visitandum morte damnatos; datis ad hunc effectum litteris egregiìa
capitaneo justitiae et praetori hujus urbis ac ceteris omnibus regiis jusdicentibus >.
^° Essi versavano alla cassa consorziale dieci soldi ogni domenica, onde fornire il
fondo della spesa della cera occorrente ai loro funerali.
178 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE KOTTE IN MILANO.
per le funzioni religiose. Cogli avanzi annuali depósitavansi nuovi
cespiti di attività presso i banchi di s. Ambrogio e s. Teresa, ed il
21 ottobre 1771 dava a mutuo lire 12,500 di grida a G. B. Cu-
rioni detto Anglois, altre volte Rho, per tre anni al 3- 17. 6 per
cento, cui egli rese nel 1774, e lire 12,000 all'Ospitale maggiore.
Poteva pertanto adempire esuberantemente a' molti suoi obblighi,
tra cui annoveravansi alcune doti per nubendo, taluna di 100 lire.
A questi dispendj erasi col tempo aggiunto anche quello che il
prefetto della nobilissima Scuola sosteneva a proprio carico nel
giovedì santo d'ogni anno, in cui praticavasi la lavanda dei piedi,
introdotta per ordinazione della Scuola presa il 15 aprile 1590, e
rinnovata il 22 aprile 1700^^, a dodici ragazzi poveri della città, a
cui facevansi poi donativi di abiti, danari e cibarie, ed in altre
festività ecclesiastiche ordinarie e straordinarie, come nelle feste
ai principi, tra cui è a ricordarsi quella celebrata nel 1741 nella
nascita di Giuseppe arciduca d'Austria. Questi dispendj comincia-
rono a sembrar gravi, ed un rapporto letto nella congregazione
generale del 22 gennajo 1764 dà a vedere, che somma difficoltà
incontravasi nel trovare chi entrasse nella Scuola, la quale andava
diminuendo vieppiù in numero, " perchè ognuno ha il riflesso di schi-
vare il caso di soggiacere un giorno alle gravi spese della prefet-
tura, pel che l'impedire l'ascrizione di nuovi confratelli le toglie
la fondamentale sorgente della sua rendita, anzi la incammina a
distruggersi nella parte costitutiva dei fratelli cavalieri. „ Propo-
nevasi quindi di diminuire le spese di quell' ufficio, nelle quali en-
trava la precitata lavanda, i cui annessi donativi erano qualificati
come " cose tutte arbitrarie, introdotte ed accresciute di tempo
in tempo dal lusso e dall' emulazione , „ che aveano contribuito
a rendere assai meno numeroso il Consorzio che non pel passato;
e di continuare l'annuale lavacro a dodici poveri d'età provetta,
e di dar loro, in luogo dei donativi, una lunga tunica di saglia
bianca d'Alemagna con cinta e cappello d'eguale stoffa, come
praticavasi nell'istessa funzione nell'Arcivescovado, con un'elemo-
sina di lire 10 e soldi 10; il che importava la spesa complessiva
2* Nella congregazione di Giunta del 13 maggio 1763 era stata proposta ed approvata
l'abolizione di tale costume, ma questa determinazione non fu approvata nella seguente
congregazione generale.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 179
di lire 357, comprese le mance di tre filippi ai portieri, la quale
si dovesse sostenere dalla Scuola anziché dal prefetto, il quale fu
eziandio esonerato dal vestire i portieri stessi ; così furono del tutta
aboliti i rinfreschi e le refezioni imbandite in talune circostanze
solenni a carico della Scuola, del prefetto e del sindaco, che se ne
lagnavano.
Che lo stato finanziario della nobile Confraternita continuasse
a mantenersi in fiore, lo provano i suoi bilanci. Nella congrega-
zione generale ^^ tenuta il 22 gennajo 1751 si approvarono i conti
dell'anno precedente, nei quali l'entrata figurava in lire 2 7,49 G. 3. 5,
l'uscita in lire 24,227. 1. 5, coll'attività di lire 3269. 2, nel qual
bilancio era stata compresa l'eccedenza attiva di lire 2137.«14. 1
dell'esercizio 1749; nel 1760 l'entrata salì sino a lire 41,063. 2,
con un avanzo di lire 8671. 11. 2 sulla spesa in lire 32,336. 10. 10.
Nel rendiconto del quinquennio 1771-1776 merita rimarco nella
attività la cifra di lire 24 a titolo di limosina date dalla R. Uni-
versità di Pavia per la consegna d'un cadavere per l'insegnamento
anatomico fattale dalla Scuola nel 1762^'. Altro costante cespite
di reddito della Scuola degno d'osservazione, secondo il cenno dato
dai rendiconti, erano le collette che raccoglie vansi in apposite bus-
sole stabilite in città e nella diocesi, tenute da dodici ìmssólanti
foresi e dieci della città, uno dei quali stava alla porta dell'Arci-
vescovado, e gli altri a nove porte delle mura. Il reddito di tali
oblazioni era appaltato a questa particolare classe d' industriali ,
che contribuivano annualmente al Consorzio lire 2160. Altra cas-
setta stava alla Vetra dei Cittadini "*, una al Ponte Voterò, al
^2 La congregazione generale tenevasi annualmente in gennajo, e oltre ad alcuno
determinate pratiche e funzioni religiose, presenta vasi il rendiconto dell'anno precedente.
Essa era preceduta di alcuni giorni dalla adunanza della Giunta.
2^ Secondo gli Statuti milanesi del 1396, Stai. Civil. Extra ord., Rub. Deprivi!. Juris-
per., il podestà non poteva concedere ai medici per lo studio, dell'anatomia che un solo
cadavere all'anno, di un giustiziato, purché fosse individuo vilis et humilis conditionis^
alternando annualmente il cadavere d'un uomo e d'una donna.
^* Una rivalità era insorta per questa bussola tra la Scuola e la Congregazione di
s. Croce. Questa avea colà collocata una nuova cassetta, onde raccogliere elemosine de-
stinate all' erezione della colonna che tuttora vi si vede, come emerge dalla dichiara-
zione 28 agosto 1628, fatta dal prevosto di s. Lorenzo Gio. Andrea Bossi e da Barto-
lomeo Fassi, priore generale della Compagnia di s. Croce in Milano: « Dichiarasi ch&
la cassetta posta alla Vetra, posta alla croce nuovamente eretta presso al sito, dove
180 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
teatro, sette nella chiesa di s. Giovanni decollato e sotto l'atrio,
altra ne' confortatorj , nella guardina dell'ufficio del capitano di
giustizia e nel castello. Quanto alla questua affidata a' barcaiuoli,
trovasi un'ordinanza 11 luglio 1705 della Scuola, perchè si ripri-
stini l'uso di raccogliere l'elemosina nelle barche dei due navigli,
e si destinino le bussole a tale effetto. Queste non erano com-
prese nell'appalto. Altra fonte di reddito erano le oblazioni per
riti e funzioni religiose, per le quali nel 1753 esse salirono alla
somma di lire 18,738.
Col progredire degli anni però e colla rivoluzione delle idee por-
tate dalla seconda metà del secolo XVIII anche da noi, segni assai
visibili davano a vedere, che lo stato materiale e morale della ce-
lebre Scuola andava decadendo. Sempre più scarsa facevasi la fre-
quenza dei confratelli alla celebrazione dei divini ufficj nella
chiesa, a cui accorrevano i frati del Giardino, i Cappuccini ed i
Minori Osservanti; sempre più diminuiva di numero la Scuola, e
ormai quasi nessuno del patriziato vi si ascriveva, od ascrivendosi
non ne assumeva l'abito, né interveniva ai riti religiosi, per evitare
ogni comparsa in pubblico. Ormai quell'istituzione avea deviato
dal suo spirito primitivo, se non dal suo scopo principale; essa
mirava ad arricchire; non lasciava sfuggire occasione alcuna, giunta
all' apice della sua grandezza e prosperità materiale, di imporre
tasse ai novizj, di grandeggiare in comparse pubbliche, in in-
fluenze e sfoggio di opulenza, d'ostentata pietà, di emulazioni pri-
vate, di cerimoniali fastosi e di esigenza di ossequj; efasi essa
fatta una società di grandi patrizj , che traevano occasione da
queir associazione per gareggiare in vuote pompe, che, ereditate
dalla corrotta dominazione spagnuola, guastarono e lasciarono
cadere la pia istituzione, che, grazie all'incivilimento progressivo,
avea assai perduto della sua importanza ed utilità, mancandole il
campo in cui esercitarsi e conseguire il suo scopo; era opera
umana, quindi pur troppo corruttibile, e giunta all'apogeo della
sua grandezza, decadeva rapidamente e precipitava al suo fine.
Già nel 1731 ravvisavasi il fatto lamentato poi in molte congre-
gazioni, che molte regole erano cadute in dissuetudine, tanto ri-
si fa giustizia, sia stata posta per ricevere le elemosine per stabilire detta croce,
quale finita, verrà levata ». Al 27 gennajo 1716 si ha altra dichiarazione, che la cas-
setta vi rimaneva ancora con permissione della Scuola, dicendosi i rappresentanti della
Compagnia pronti a levarla ad ogni richiesta della medesima.
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 181
guardo all'opera pia vei^so i condannati vivi e defunti, quanto nel-
r amministrazione della Scuola e nel governo della chiesa. Non
bastava tuttavia il verme interno a quel frutto maturo per stac-
carlo dall'albero; ci volle una scossa, che determinò la sua ca-
duta; la scossa non tardò, e rinvenne guasto anche l'albero.
Il primo lampo annunziatore della procella, che rumoreggiava
davvicino su tutte le istituzioni religiose di Lombardia, per la
Scuola di s. Giovanni decollato venne dal governo imperiale, che
nel 1767 esigeva da essa i bilanci dettagliati del quinquennio pre-
cedente, e domandava notizie sulla di lei origine, sul modo della
sua amministrazione e conservazione, e sul numero dei bussolanti.
Ben presto le impose anche la visita di delegati governativi, for-
niti del mandato di procedere all'ispezione della cassa, degli ar-
chivj, e di tutto quanto concerneva l'amministrazione. L'abolizione
dei bussolanti e della questua gettò il più grave scompiglio nel
Consorzio, privato come veniva d' un reddito annuo di presso a
lire 3000; ebbe ben esso a fare infinite rimostranze, dirette a
provare che la questua era indispensabile pel pareggio del bilancio,
e per sostenere le molte spese di che esso era aggravato, ma a
nulla valevano rimostranze né proteste. Il conte Kaunitz di Ritt-
berg era stato assunto al supremo ministero della monarchia, e per
suo impulso era stata intrapresa una serie di molteplici riforme
di tutto quanto riferivasi al governo ecclesiastico ed al culto. Mi-
nistro plenipotenziario della Lombardia era il conte di Firmian,
che sebbene di carattere pusillanime e di scarsi talenti, pure sem-
brò sufficiente a porre in esecuzione le disposizioni legislative e
di buon governo procedenti dall' alto, ed a sostenere le funzioni
di semplice referendario ed esecutore, come tutti gli altri ministri
delle Provincie. Durante il suo ministero avvennero le più impor-
tanti riforme nelle materie civili ed ecclesiastiche, che dopo la
esperienza di sei anni, furono dall'Autorità sovrana definitiva-
mente stabilite e confermate co' dispacci 31 marzo e 23 agosto 1768.
Coir ultime reliquie delle immunità personali e reali del clero,
furono abolite le carceri private delle comunità religiose, l'asilo
sacro, istituzione incompatibile co' nuovi tempi, e per lo più scan-
dalosa nella pratica, e il Sant' Ufficio dell' Inquisizione ; si pose un
limite alla giurisdizione ecclesiastica e al diritto di acquistare alle
mani morte, e si sottoposero le spedizioni di Roma alla cautela
Arch. Stor. Lomh. — An. I. 12
182 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
del R. Exequatur, indispensabile per la loro esecuzione; per le
materie ecclesiastiche miste fu delegata una Giunta, a cui fu poi
sostituita una Giunta Economale con giurisdizione primitiva ed
inappellabile; fu pure istituita una Giunta subalterna per la ri-
forma dei Luoghi Pii e delle Parochie. Non poteva quindi la no-
bile Scuola sfuggire a questa legge generale di rinnovamento,
mentre ne sentiva essa medesima urgente bisogno. Non poterono
perciò essere accolte le di lei eccezioni sul punto del divieto della
questua, che solo venne accordata di volta in volta e in via prov-
visoria per la città dal giorno dell'emanazione d'una sentenza di
morte per parte del Senato sino a quello dell'esecuzione, purché
essa fosse fatta non dai bussolanti, ma dai nobili confratelli stessi,
i quali provaronsi qualche volta a subire questa umiliante pratica,
ma con effetti troppo inferiori alla loro offesa dignità. Quella con-
dizione rendeva quindi affatto impossibile la questua. In un dispaccio
governativo del 1780 leggesi, che ^Wolendo S. M. riparare all'abuso
di quelle pratiche superstiziose, che derivano dal ricorso che fanno
i fedeli alle anime del Purgatorio, e specialmente a quelle dei pu-
niti di morte dalla giustizia, ha ordinato che più oltre non si debbano
seppellire i cadaveri de' malfattori giustiziati nelle chiese ed orato -
rj, né che restino ivi esposte bussole per le elemosine in suffragio
di essi. „ Era questo divieto un nuovo e violento colpo dato alla Con-
fraternita, che nemmeno nel recinto della sua chiesa potea supplire
alla deficienza della questua pubblica. Camminò essa viepiù zop-
picando ed inceppata ne' suoi movimenti su un sentiero irto di dif-
ficoltà, sinché ebbe il colpo di grazia coll'ordinanza di soppres-
sione 24 agosto 1784, comunicata al di lei prefetto il successivo
29, giorno sacro al santo titolare della chiesa. Seguì tosto 1' ap-
prensione de' suoi beni per parte del R. Economato, che le asse-
gnò quale amministratore interinale il ragioniere Francesco De
Maestri, che produsse tosto il bilancio consorziale, quale emer-
geva all' atto della soppressione, e fu incaricato di far continuare
in via transitoria 1' ufficiatura della chiesa per mezzo dei tre sa-
cerdoti ad essa addetti , sotto la dipendenza del paroco locale di
s. Stefano in Nosigia; al quale effetto esso delegato fece consegna al
rettore Giuseppe Annoni degli arredi sacri e dei mobili occorrenti
all' esercizio del culto, pel valore peritale di lire 7602. 26, con
inventario del 6 settembre 1784. L'inventario generale di tutti
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 183
gli arredi e le suppellettili già appartenenti alla chiesa e Scuola
offre la cifra della perizia in lire 28,687. 5, tra cui comprende-
vansi lire 17,303. 5. 6, quale ricavo di once 2390. 8 d'argento
liscio e dorato venduto alla Zecca, secondo lo speciale elenco 19
ottobre 1782. Degli arredi sacri furono consegnati alcuni pochi
dall'Economato alle chiese di s. Gemonio in Valcuvia e di Cantù,
a titolo gratuito, per ordine del luogotenente del R. Economato
generale mons. Gaetano Vismara. In mezzo a questa dispersione, il
decreto 17 marzo 1785 della R. Giunta Economale ingiungeva al
delegato De Maestri di rilasciare ai soppressi confratelli funerarj
il denaro da essi depositato nella cassa funeraria, ammontante a
lire 2508. 2. 3, il che veniva fatto il 15 ottobre 1785.
All'atto della soppressione, secondo il bilancio redatto dall'am-
ministratore, l'attivo ascendeva a lire 3802. 4 (non tenuto calcolo
delle già dette lire 28,687. 5 per valore peritale di mobili, e per
crediti da esigersi altre lire 4020. 81); nella passività le spese som-
mavano a lire 4705. — . 9, con un disavanzo di lire 902. 16. 9, senza
computare altro disavanzo di lire 4963. 9 per debiti plateali. Il
deficit andò continuando negli anni successivi.
Delle istituzioni erette a prò dei condannati altro non rimase,
per qualche tempo, che l'adempimento d'un legato pei defunti, ma
attese le gravi difficoltà che incontravansi nell' aver notizia delle
condanne, e nell'adempiere con esattezza alle intenzioni del fonda-
tore, anch'esso venne abolito nel settembre 1803, per composizione
avvenuta tra il rettore della chiesa e la contessa Vincenza Melzi ve-
dova Verri, coli' assegnare che questa fece come debitrice un lieve
legato per suffragio cumulativo dei condannati. Diminuendosi enor-
memente i redditi e in proporzione sempre crescente, con molta
difficoltà e ad onta dell'espresso volere del governo potevasi tenere
ufficiata la chiesa, e male provvedevasi al suo decoro, quantunque
sin prima del 1793 fosse stata destinata all'insegnamento della
dottrina cristiana ai Tedeschi, come prova il dispaccio 31 gen-
naio 1794 del magistrato camerale. Quantunque avesse un'ammi-
nistrazione distinta, pure fu qualificata come sussidiaria, in quanto
fosse necessario per l'esercizio delle funzioni ecclesiastiche, della
parochiale di s. Stefano in Nosigia ^% poi di s. Fedele, e dipen-
35 Soppressa dal decreto 10 marzo 1808 del viceré d'Italia sulla sistemazione dello
chiese.
184 LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO.
dente per le cose del culto dal nuovo paroco. Kimase così essa in
cura dell'Amministrazione del Fondo di Religione, poi di quello
dei Beni nazionali, indi del Demanio, sino all' istituzione del Mi-
nistero del Culto, secondo le disposizioni dei Governi che si succe-
dettero. In progresso di tempo, non potendo più sostenersi colle
sole oblazioni dei fedeli, venne compresa, come oratorio regio, nel-
r amministrazione della chiesa di s. Bernardino, i cui redditi at-
tivi sopperiscono alle deficienze di quella, e di ambedue rende vansi,
come attualmente, annualmente i conti alla superiore Autorità
tutoria.
Air atto della soppressione, richiamati al R. Economato i red-
diti delle case appartenenti già alla Scuola, eransi lasciati alla
chiesa tutti i locali necessarj all' esercizio del culto ed alla cu-
stodia delle sue suppellettili, compreso 1' oratorio privato della
Scuola soprastante all' atrio d' ingresso. La casa fiancheggiante la
chiesa verso sud-est fu in seguito mutata in residenza di dicasteri
governativi ; ed essendo visi dapprima installata la Cancelleria di
Guerra, divenne, dopo la restaurazione, sede della R. Intendenza
di Finanza. Nel 1832 agitavasi il progetto di alienarla sulla base
del prezzo peritale di lire 150,000, ma l'Amministrazione riferiva
al Governo, come da qualche tempo eransi man mano introdotte
nei confini della chiesa servitù passive sconvenienti, coli' erezione
di fabbricati ed occupazione di locali stati riservati alla chiesa
stessa, comunicanti con essa o rientranti negli edifizj suoi, incon-
venienti eh' era d' uopo levare nel caso che la progettata vendita
a,vesse realmente luogo, onde non aggravare viepiù le condizioni
del luogo sacro. Dopo lunghe trattative fra l'Amministrazione,
l'Economato e l'Ufficio tecnico delle Pubbliche Costruzioni, ed
assunti esami e perizie dall' architetto Bareggi , si deliberò do-
versi avvisare quali locali si avessero ad eccettuare dalla vendi-
ta, con opportune segregazioni dal caseggiato, principalmente in
quanto venisse a perpetuarsi e cedersi in privato acquirente non in-
comoda e sconveniente servitù indotta in luogo sacro per l'occupa-
jzione di fatto, che riferivasi in ispecie ad ambienti sovrastanti alla
chiesa e sue dipendenze, dai quali si dovea togliere ogni comunica-
zione cogli ufficj, mentre l'Amministrazione ne chiedeva il ricupero
6 l'aggregazione alla chiesa. L'8 febbrajo 1834 ammettevasi dal Con-
siglio di Governo essere avvenuto solo per fatto e non per diritto, che
LA CHIESA DI S. GIOVANNI ALLE CASE ROTTE IN MILANO. 185
rAmministrazione del Fondo di Religione concedesse ed occupasse
ad uso d'ufficio quei locali che convenivano al servizio, ed imponesse
alla chiesa servitù per comodo degli impiegati, senza che vi inter-
venisse alcuna rappresentanza per le ragioni della parte danneg-
giata, allora ritenuta come proprietà del Fondo stesso e da esso
amministrata. Pel che il Governo inclinava a valutare le osserva-
zioni del perito, appoggiate dalla cognizione degli atti della sop-
pressione, e quelle proposte dall'Amministrazione dell'edificio tu-
telato dallo stesso Governo, per non pregiudicare, nel supposto
d'una vendita di locali contigui, la ragione naturale della chiesa
colla vendita di luoghi e diritti, che la porrebbero in servitù inco-
moda, sconveniente ed incompatibile. Il magistrato camerale, con
nota 6 settembre 1834, non dissentiva che venissero segregati e
restituiti alla chiesa i locali che le sovrastano, consistenti in due
grandi stanze, costituenti insieme l'antico oratorio, in servizio de-
gli ufficj di protocollo, archivio e registratura della 11. Intendenza
di Finanza, e in tre tribune prospicienti nell'interno della chiesa,
purché questa cedesse alla Finanza un locale, che le serviva di
magazzino di panche. Nel caso di alienazione, doveano gli acqui-
renti chiudere con muri pieni gli accessi ai luoghi da scorporarsi.
Oltreciò il perito opinava, con nota 18 agosto 1834, che essendo
quel magazzino indispensabile alla chiesa, l'acquirente, per togliere
ogni promiscuità, avesse a costruire a proprio carico nel cortiletto
della chiesa una camera, in sostituzione del detto magazzino. Ma
le cose rimasero sinora in questo stato, e la casa dalla proprietà
governativa passò alla municipale, che vi stabilì essa pure parte
de' suoi ufficj, occupando tuttora i luoghi controversi.
A. Ceruti.
ORTO BOTANICO DI PAVIA.
Fra i luoghi dove prima si posero Orti botanici, nelle storie delle
scienze non troviamo indicata Pavia. Perciò crediamo opportuno
recare questi documenti.
lllr et Eccr Principe
La Università delli sig. Artisti di Pavia desidera a comune be-
nefitio et comodo far uno giardino de simplici in la cittadella di
quella cita et già per v. ecc." se glie assegnato il luoco, ne si può
comodamente effectuare questo se non si chiudo una strada, per
la quale solo gli hanno accesso li R.' frati di S."" Agustino per una
porta quale serve al lor giardino, et altre volte detti padri si ser-
viano de uno altro accesso molto più comodo a tutto il monastero
di quello si voria chiudere. Et havendo la detta Università havuto
ricorso dalla cita per ottener quanto di sopra et fattosi per la cita
electione de alcuni gentilhuomini quali hanno visitato il loco et
tolto sopra quello informatione , la cita gli ha concesso che si
possa obturare el detto loco, con conditione però che la detta Uni-
versità a sue spese faccia aprire et accomodare l'accesso antiquo
talmente che detti padri restino senza spesa et aggravio et come
più largamente si contiene in le ordinationi che qui a v. ecc.* si
esibiscono. Et perchè detti padri anchor non si aquietano et fano
ORTO BOTANICO DI PAVIA. 187
controversia alla detta magnifica Università, per tanto la detta
Università et la cita insieme ricorrono a v. ecc.* humilmente
Supplicandola voglia scrivere al Sig."" sindicatore di Pavia o a
chi più piacerà a v. ecc.*, che, essendo vero quanto si espone a v.
ecc." et molto maggior sia il beneficio publico che quello puoco de
interesse pretendino li detti R.' frati, faccia obturare la detta strada
et moderno accesso, facendo pero prima a spese di detta Università
aprire l'antiquo accesso; et tutto si spera, poi che questo cede a
decoro et beneficio publico et è soccorso alla indemnite de detti
frati.
A tergo: Memorial della città et Università delli Artisti di Pa-
via, ecc., e in fine:
Fiat, etiam ex voto 111.' Prsesidis Senatus.
JUIJANUS.
1562, die 5o Januarij.
Keperitur ad Cancellariam Magnificse Communitatis Papiae in
fillo Provisionum anni proximi prasteriti, inter cetera ad esse provi-
sionem et ordinationem factam per magnificos D. Deputatos officio
Provisionum tenoris huiusmodi; vid.
1561. die ultima xmbris in tertijs Convocato Consilio, etc.
Mag. D. Sindicator et prò Prsetor etc.
Mag. D. Rolandus Curtius
Aldigerius Cornazanus -
Jo. Stefanus de Federicis
Daniel de Ottonibus
Leonardus Grassus
Hieronimus Gualla
Augustus Ultrana
Franciscus Bireta
Filippus de Tintoribus.
Prsefati M.' dni etc,
Primo, visa supp.^ Universitatis artistarum ac relatione magni-
ficorum dominorum Rolandi Curtij abbatis, comitis Ludovici Bec-
caria et Hieronimi de Ole vano ad id electorum, ibidem inscriptis
prsesentatis tenoris infrascripti, vid. :
Visitato il luogo et ben considerato il beneffìcio publico che ne
188 ORTO BOTANICO DI PAVIA.
nasce dal fare questo giardino de simplici a decoro della magnifica
Citta et Università, et l'incomodo che ne . Laverebbe da sentire
il Monastero de S. Agostino richiudendoli la porta et accesso loro,
qual incomodo n' è parso di mancho rilievo di quello che concerne
al publico beneficio, potendosi servire il Monasterio di altro accesso
già antiquamente usato senza molto discomodo et danno, perciò
siamo venuti in parere per quello che si vede e conosce che li Rev.'
frati- se doveriano accontentare che si chiuda quella porta et si
ritorni dove antiquamente era, lassando libero il sito a essa Uni-
versità per tal uso solo. Et per quanto spetta alla magnifica Citta
se dice essere nostro parere che, inherendo all'altra ordinatione
sopra ciò fatta, che si possa concedere come in essa cedendo ogni
sua autorità et facoltà che la tiene; et pregar essi Rev. Padri con-
tentarsi di questo amicabilmente, perchè cosi ne pare che ricerca
la publica autorità atteso che l' Università si è offerta a sue spese
far richiudere essa porta et farle ogni spesa competente il neces-
sario all' uso antiquo, in modo eh' 1 monasterio resti senza carico
né agravio di spese per tal mutatione come è giusto et honesto.
Subscriptis Rolandus Curtius Deputatus et Comes Ludovicus Bec-
caria Deputatus et Hieronimus Olevanus Deputatus ut. s. Et ha-
bitis superinde debitis consultationibus, consideratis considerandis^
factum est partitum an expediat vel ne vid. quod concedatur sup-
plicantibus prout in relatione et quod exequatur et observetur
in omnibus et per omnia prout in dieta relatione continetur et
fit mentio. Et datis balotis sumptisque suffragijs, obtentum fuit
partitum quod fiat prout supra.
Firmat. Antonius Isimb. Mag.'" Civitatis Papiae Cancellarius.
LA FAMIGLIA MORONI.
È compito il terzo volume degli Italiani illustri^ ritraiti da
Cesare Cantù.'
Alcuni sono antichi, come Cesare, Cicerone, Ovidio, i Plinii;
altri dei più insigni moderni. Dante, Cola di Renzo, Galileo, Marco
Polo, Colombo, il Tasso, il Parini, il Paoli, Muratori, Tiraboschi,
il Medeghino, l'Alberoni, i Giovio; molti di personaggi clie ebbero
parte, od ostile o difensiva, nelle lotte ecclesiastiche, e massime al
tempo della riforma; Gregorio VII, i due Borromei, i cardinali Mo-
rene, Contarini, Sadoleto ; Vittoria Colonna, Ochino, Vergerlo, Gian
Galeazzo Caracciolo, Cecco d'Ascoli, il Malacrida, la Renata di
Ferrara, Campanella, il Bruno, Celio Curione, il Vermiglio, il Car-
nesecchi, il Giannone, il Castelvetro, i Soccini, il Trissino, il Sa-
vonarola, il Radicati, Scipione Ricci.
I più importanti sono di contemporanei : Napoleone, Volta, Oriani,
Grossi, De Cristoforis, Azeglio, Romagnosi, Monti, Rosmini, Taz-
zoli, Pindemonte, Corvetto, il Prina; dove l'autore compare come
testimonio oculare, e reca impressioni, ricordi, aneddoti suoi.
Fra gli illustri Lombardi, di cui vi si fa il ritratto, è partico-
larmente il cardinale Morene, vescovo di Modena e legato al Con-
cilio di Trento; di cui primo il Cantù pubblicò il processo, tanto
rilevante per la storia delle eresie in Italia. Di esso trovansi molte
lettere nell'Archivio nostro di Stato, dirette al duca di Milano,
concernenti però affari particolari, e per lo più domande di sussidj.
Tale è questa che rechiamo ; ma d'importanza generale ci parve il
diploma di Francesco II Sforza, perchè riguarda i servigi resi dal
celebre grancancelliere Gerolamo Morone; in cui benemerenza egli
* Tre volumi ìii-8''. Milano, Brigola, 1872-74. Si sta allestendo una nuova edizione.
190 LA FAMIGLIA MORONI.
assegna ai figli di esso il feudo di Pontecurone su quel di Tortona.
<3uesto diploma non fu noto agli editori della vita e delle lettere
di Gerolamo, nella Miscellanea storica di Torino.
Illustrissimo et excellentissimo Senor mio, Senor osservandissimo,
Questa mattina messer Ambrosio Segretario mi ha detto, in questa
absentia di Nostro Signore bavere fatto bono officio per me per diver-
tire Sua Santità dall'opinione di mandarmi al serenissimo Re de' Ro-
mani, exponendoli et replicandoli tutte le ragioni addutte per me della
casa e del vescovato mio, et supplicando Sua Santità non volesse esser
manco modesto verso me di quello sia verso qualunque altro. Sua San-
tità benignemente gli ha risposto che ho gran ragione, et che se potrà
fare altrimenti non mi mandarà, sapendo certo che questo negotio mi
sarebbe di spesa, della quale non ho bisogno, et d' incomodo et di dis-
piacere: per tanto che dovesse pensare se vi era qualche soggetto al
proposito, che mi sparmierebbe, usandomi forse in altro servitio, et che
dimani mi conducesse a Sua Santità per che hoggi voleva espedire li
reverendi Faenza et Fossombrone per Franza et per Spagna, quali
domani partirebbono. Cosi sto in certa speranza di esser libero da que-
sta andata con bona satisfactione di Sua Santità, del che ne bavero a
ringraziare Dio infinitamente, perchè in vero ogni bora apparevano
maggiori difficultà nel privato et nel pubblico. Mi sono stati in ciò fa-
vorevoli il reverendissimo Palmero et il senor Bosio, il reverendo Ar-
chiepiscopo di Capua et monsignor Verullano et messer Ambrosio; et
magìster Thomaso medico come fu authore di nominarmi, cosi è stato
gagliardo in extricarmi, havendo intese le ragioni mie. Domane andarò
a Sua Santità et pigliarò licentia per ritornare a Vostra Illustrissima
Excellentia, contentandomi assai bavere solum speso li danari et il tempo
et la fatica del venir, doppo che di questo sarò uscito.
Li doi Cardinali Nepoti di Soa Santità sono chiamati a Roma. Il
senor Pierloys ^ ancora verrà, ma secretamente. Sua Santità attende ad
accumular danari, dar benefitij alli Nepoti, maxime al Farnesio, et a-
conservarsi con fare exercitio et fugire li fastidij ; et la Corte sta di mala
voglia per la tardità ed irresolutione di Sua Beatitudine. Né altro oc-
corre se non che in bona gratia di Yostra Illustrissima Excellentia hu-
milmente baciandoli la mane mi raccomando.
Da Roma a dì 26 di genaro 1535.
De Yostra Illustrissima Excellentia
Humilissimo Servitore
Il Yescovo de Modena.
* Il troppo noto Pier Luigi Farnese. Il papa era Paolo III.
LA FAMIGLIA MORONI. 191
Franciscus Secundus, etc.
y
Quod hactenus non fecìmus ut in filios magnifici q. D. Hieronimi
Moroni re aliqua demonstraremus quantum memorato eorum parenti
deberemus, id amplius sine parum gratae memorise nota existimavimus
non posse differri. Nam cum luce clariora ea sint quse et domi, unde
ob patefactum plurimis inditiis rerum nostrarum studium discedere
coactus est, et foris exilio et fortunis omnibus multatus ab hostibus no-
stris pertulit, queeque postea ob Gallorum ex Ducatu nostro Mediola-
nensi expulsionem et defentionem saepissime ipse egit, nemo est qui nos
excuset, nisi quod in parentem facere non licuit, in filios conferamus.
Atque id quidem tum ad existimationem et dignitatem nostram pertinet
tanta in nos merita aliqua liberalitate compensarì, tum etiam ad huma-
nitatem non permittere ejus hominis filios, qui, dum rebus nostris et in
pace et in bello consuluit propria commoda parvi faciens^ ita rem fami-
liarem suam attenuavit, ut qui splendidissime semper vixerit, minusque
mediocres opes coactus sit liberis relinquere, quos quidem asquissimum
^sse existimamus ut fortunae nostrse qualiscumque partecipes sint, ut
quando, prseter paternam gloriam, probitate et bonis moribus conspicui
sunt, ita honestis facultatibus ad paternum vitsB splendorem proximi
accedere possint. In quo, preeter quam quod plurimis satisfaciemus qui
ex actionibus nostris in dies scrutantur quid nobis inserviendo sperare
possint, satisfaciemus etiam nobis ipsis, qui non modo eos parentis causa
diligiraus, sed etiam unum eorum reverendum S. D. Johannem Episcopum
Mutinensem tanto amore prosequimur, ut pauci inter subditos nostros
seque nobis cari sint. Nec immerito: ea enim humanitate, doctrina, in-
genio, et vitse integritate prseditus est, ut ad reliquas partes, propter
quas eundem diligere tenemus, multum iis animi dotibus amoris in eum
adjici necesse sit. Quam ob rem ut Antonius et prsefatus reverendus
D. Johannes, ac Sfortia, fìlij q. D. Hieronimi Moroni, prseter redditum
pecuniarium quem iis donare decrevimus, aliquo etiam honesto titulo
insignes sint, in primis oppidum Pontiscuroni cum ejus jurisdictione,
redditibus, ac omnibus aliis ejus pertinentiis separavimus et separamus
a civitate nostra Derthonse, ac a quacumque alia civitate, jurisdictione
et loco, ita ut in omnibus ac per omnia segregatum sit et separatum
ac penitus divisum ab omnibus civitatibus et locis, et unum corpus per
se sit. Moxque etiam, ubi expediat, instituimus et creamus in Comi-
tatum et ad veram Comitatus dignitatem erigimus et sublimamus, ita ut
oppidum et locus Pontiscuroni cum territorio, jurisdictione et perti-
nentiis suis de cetero usque in perpetuum sit et vocetur Comitatus, no-
192 LA FAMIGLIA MORONI.
menque et titulum ac dignitatem, effectum et prseheminentiam veri, recti,
legitimique Comitatus habeat. Deindeque prsefatos Antonium et Sfor-
tiam Moronos coram iiobis genibus flexis constitutos_, per ensis evagi-
gìnatae traditionem, cum infinitis gratiarum actionibus, stipulantes et
recipientes prò se suisque filiis ac descendentibus et descendentium de-
scendentibus masculis et legitimis, ac ex legitimo matrimonio, lineaque
masculina tantum natis et nascituris, creamus et instituimus veros, rectos^
legitìmos, naturales, solemnesque et indubitatos Comites dicti oppidi
Pontiscuroni, cum territorio, juribus ac pertinentiis suis ut supra; dantes
et concedentes eum oppidum in feudum honorificum, nobile et gentile;
ita quod naturam sapiat bonorifici, nobilis et gentilis feudi ^ nec non
eum mero, mixtoque imperio, gladii potestate ac omnimoda jurisdictione,
datiis, gabellis, pedagiis, possessionibus, pratis, vineis, nemoribus, mo-
lendinis, aquis, aquarum decursibus, fictis, redditibus, aliisque juribus,
regaliis, lionorantiis et pertinentiis quibuscumque, ac exemptionibus, li-
bertatibus, prseminentiisque, quas et quse talis feudi ac Comitatus dignitas
exigit et requirit, et alii veri honorabiles et clari Comites ac Feuda-
tarij habent, potiuntur et gaudent. Reservato tamen prò nobis et Ca-
mera nostra jure superioritatis et homagij; ac exceptis etiam et reser-
vatis taxis equorum, allogiamentis stipendiatorum nostrorum, cabella
salis, a qua neminem exceptum esse volumus, et datiis mercantisB ac
ferraritise et tracta gualdorum^ si qua sunt : et reservato etiam decreto
de majori magistratu. Cedentes, dantes, et transferentes in eosdem
Comites, stipulantes ert recipientes prò se suisque filiis et descenden-
tibus ut supra, omnia jura, omnesque actiones utiles directas, reales
et personales, ipotecharias et mixtas in et super ipso oppido terra
et loco ac territorio, juribus, ac pertinentiis quomodolibet nobis spe-
ctantibus et pertinentibus. Facientesque ac constituentes prsedictos do-
minos Antonium et Sfortiam in et super ipsis bonis infeudatis ^t su-
pra procuratores in rem nostram, ponentesque eos in locum, jus et sta-
tura nostrum et Camerse nostrse, salvo semper jure superioritatis fide-
litatisque praesentis. Dantes quoque, et concedentes eisdem Comitibus
et descendentibus suis ut supra, licentiam ingrediendi et appreben-
dendi propria auctoritate per se et quemlibet eorum nmicium, et pro-
curatorem, possessionem et tenutam dicti oppidi, bonorum et jurium in-
feudatorum ut supra, et apprehensam retinendi, ac de eis disponendi,
et exigendi prout et quemadmodum veri Feudatarii faciunt, et facere
consueverunt , secundum naturam et conditionem talis concessionis et
feudi. Versaque vice dicti Antonina et Sfortia^ flexis genibus, in nostris
manibus et coram nobis stipulantibus et recipientibus prò nobis, fìlij^
et successoribus nostris, manibus corporaliter tactis scripturis, super uno
LA FAMIGLIA MORONI. 193
missali specialiter et expresse promiserunt et jur.averunt, ac promittunt
et jurant quod ab hodierna die in perpetuum ipsi ac filii et descen-
dentes sui ut supra continue erunt fideles obedientes vassalli et feuda-
tarii nostri, ac filiorum et nostrorum hsaredum ut supra : et quod dictum
oppidum, terrarti et locum, ac bona et jura superius in feudum concessa
regent et custodient ad honorem et commodum Status nostri, filiorum
et successorura nostrorum ut supra, nec a nostro et nostrorum ut supra
favore vel psersidio, ullo unquam tempore se retrahent vel abstinebunt
ex aliqua causa nova, prsesenti vel futura qu88 dici aut excogitari posset,
etiam si talis esset, quse velut gravis nimis in generali sermone non
veniret: quin imo omnia omni tempore necessaria et utilia prò nobis,
et successoribus nostris ut supra procurabunt, et ad omnium praedic-
torum majorem corroborationem ullo unquam tempore, verbo, Consilio,
facto, vel opere non agent aut facient centra honorem et Statum nostrum
ut supra: et si ad notitiam eorum pervenerit quod aliquis in ^liquo
ex prsedictis centra nos aut nostros ut supra faceret vel temptaret, vel fa-
cere aut temptare, vellet , toto eorum posse, omnique industria impe-
dient, resistent et prohibebunt: et si etiam prohibere non poterunt)
illud tamen per se vel nuncium suum nobis aut nostris ut supra, quanto
citius poterunt, propalabunt et manifestabunt, Statumque nostrum ac no-
strorum, ut supra, ac dominium, honores, prseminentiasque nobis et no-
stris ut supra spectantes prò toto eorum posse omnique industria et in-
genio conservabunt et augebunt, et consilium quod ab eis petetur, secun-
dum sibi datam ab seterno Deo prudentiam immaculatum et fidele pre-
stabunt, et nostra nostrorumque ut supra facta sibi commissa et com-
mittenda iiemini sino licentia manifestabunt, sed pure, sincere, realiter
et personaliter, ac sine ulla exceptione vel excusatione favebunt et ser-
vient, nec ob aliquam temporum conditionem sive diminutionem, aut
Status varietatem, a favore vel sussidio, ullo unquam tempore nobis vel
nostris prsestando se retrahent prout supra: et generaliter facient et
observabunt omnia et singula ea, quse facere et servare debent de jure,
et secundum naturam talis feudi, et formam utriusque fideHtatis, tam
scilicet novae quam veteris, prout in ea forma continetur : jurantes de-
nique et promittentes praefati Antonius et Sfprtia prò se et suis ut supra
in manibus nostris omnia et singula suprascripta attendere et obser-
vare, omni exceptione aut excusatione cessantibus, sub vinculo juramenti
et perditionis feudi ejus : et item sub pcena refectionis et restitutionis
omnium expensaruin ac interesse per nos et nostros ut supra sustinen-
dorum et faciendorum prò prsedictis et eorum causa in lite et extra.
Pro quibus omnibus et singulis ut promittitur attendendis, prsedicti An-
tonius et Sfortia omnia bona prsesentia et futura nobis ac nostris obliga-
194 LA FAMIGLIA MORONI.
verunt et obligant; renunciantes vicissim exceptioni non factarum di-
ctarum concessionis et obligationis, ac omnium et singulorum prsedicto-
rum, non sic et taliter gestorum, et aliis exceptionibus quse in similibus
apponi possent; supplentes omnid efectui quarumcumque solemnitatum,
tam juris quam facti, et juris civilis quam municipalis', quse in hoc eve-
nisse vel intercessisse posse dicerentur.
La lettera formale^ contenente la investitura nei su nominati-
fratelli Moroni del feudo di Pontecurone, il contemporaneo loro
giuramento di fedeltà al duca Francesco II Sforza, e la donazione
di questo ai medesimi dell'annua rendita di lire 2000 imperiali
sul dazio della dogana della città di Milano, data il 22 di dicem-
bre 1534, e si legge a carte 140-142 del Registro Ducale segnata
N. 18, alias TT. del nostro Archivio. E non credemmo superfluo
il qui esibire la formola dell'investimento feudale, come usavasi
ancora nel secolo XVI.
ARCHIVIO DI STATO DI MILANO.
In tutti gli Archivj suole aversi un Museo, cioè una raccolta de*"
documenti più preziosi o più curiosi. Né manca nel nostro.
E primo citeremo il testamento di Lodovico il Moro, in origi-
nale, con alcune linee in calce, ov'egli di proprio pugno autentica
quella sua ultima volontà.
Segue il diploma di Carlo V del 2 giugno 1530, in cui rinnova
l'investitura data nel 1524 a Francesco II Sforza del ducato dì
Milano, principato di Pavia, contado d'Angera; grande perga-
mena con bei fregi e sigillo in bolla d'oro, attaccata con cordoni
d' oro.
Bolla solenne della nomina di Francesco Alciato in cardinale,
colle firme di Pio IV e di molti cardinali, fra cui san Carlo e
il futuro Sisto V.
Il concordato fra Pio VII e la Repubblica Italiana del 16 set-^
tembre, ratificato il 29 ottobre 1803; originale in pergamena, colla
firma di Pio VII e del cardinale Consalvi; ricca legatura in vel-
luto e oro, e sigillo in bolla d'oro. Con lettera francese e italiana su
pergamena, con firma autografa e gran sigillo, il 25 novembre Buo-
naparte comunicava quel concordato alla Consulta di Stato, con-
chiudendo: " È più facile prevedere le discussioni religiose, che
sedarle quando il male è già fatto „\
' A proposito di questo Concordato; il ministro delle relazioni estere da Parigi il 21
ottobre 1803 scriveva al cittadino Luigi Bossi, commissario straordinario della Repub-^
blica Italiana a Torino:
« J'ai re§u vos dépèches, Citoyen^ jusque au N. 30, en date du 4 de ce mois. J'en-
196 ARCHIVIO DI STATO DI MILANO.
Atto di mediazione, fatto dal primo console della Repubblica
Francese, tra i Cantoni svizzeri, il 30 piovoso anno XI (19 feb-
brajo 1803), firmato da Buonaparte e dai ministri; volume stam-
pato di 120 pagine in pergamena, con ricca legatura in velluto a
ricami d'oro, con sigillo entro grande bolla di argento. Con let-
tera francese e italiana del 21 febbrajo 1803, su pergamena col
sigillo, Buonaparte dirige quell'atto alla Consulta di Stato italica;
ringrazia questa delle cortesie fattegli, e " Tutto muore; la me-
moria solo delle buone azioni non perisce giammai „.
La Costituzione della Repubblica Italiana, data ai Comizj di
Lione, in 128 articoli; con correzioni di pugno di Buonaparte, e la
firma di lui, di Melzi, di Marescalchi.
Convenzione del 6 messidoro anno XI (25 giugno 1803), fra il
governo della Repubblica Batava e le Repubbliche Francese e
Italiana, per mantenere un corpo di trlippe e di navi contro l' In-
ghilterra: atto originale in pergamena alquanto guasta, con si-
gillo entro grande bolla d'argento effigiata.
Statuti costituzionali del Regno d'Italia:
Il I del 17 marzo 1805, in pergamena, firmato alle Tuile-
ries da Napoleone e dalla Consulta di Stato, con sigillo in bolla
di latta.
Il II del 29 marzo 1805, firmato da Napoleone e dai ministri,
in pergamena, con sigillo in bolla di latta.
trerai en quelques détails dans un autre moment. Je me borne aujourd'hui à vous an-
noncer une nouvelle que vous apprendrez sans doute avec plaisir. C est que la grande
affaire du Concordat, qui se négociait depuis long tems entro notre République et la
Cour de Rome, est enfin heureusement terminée.
« Cet important Traité, après avoir été mis sous les yeux du Premier Consul et Pré-
sident, fut signé icì par moi et par M. le Cardinal Caprara le 16 du mois dernier.
Aussitótje l'envoyai à Milan pour y étre soumis à l' examen de la Consulte d' Etat,
et de son coté M. le Cardinal le fit passer à Rome pour qu'il fut presente à Sa Sain-
teté. La Consulte n'hésita pas de donner son approbation, et bientót après le Pape
consentit également de ratifier. C'est ce dònt j'ai été informe officiellement depuis deux
jours; de sorte que, pour rendre ce Concordat entièrement public, il ne reste plus à
attendre que d'avoir échangé les actes solennels de ratification, aux quels on travaille.
« Les principales disposition sont que le Président nommera à tous les Archevéchés,
et Evécbés de la République; que le Pape reconnait en lui les mémes droits et les
mémes prérogatives qu'il reconnaissait dans la personne de TEmpereur, comme Due de
Milan; que les Evéques nommeront aux Cures vacantes, dans tous les tems de l'année
et sans qu'il soit plus question de mois de réserve; qu'enfin les aliénations des biens
ARCHIVIO DI STATO DI MILANO. 197
Il III del 6 giugno 1805, firmato da Napoleone, dai ministri,
e dai consiglieri di Stato.
Lettera di Buonaparte del 25 novembre 1803 al Corpo Legisla-
tivo, in italiano e francese, con firma autografa, in pergamena e
con sigillo.
Altra simile del 9 termidoro anno X, al Corpo Legislativo.
Il giuramento prestato da Napoleone dopo la 'coronazione a re
d'Italia, la domenica 26 maggio 1805, in pergamena.
Lettera su pergamena, del 28 marzo 1811, firmata da Napoleone,
ove fa grazia a un Possudetti di Ampezzo; ed altra simile dello
stesso giorno a favore di Giuseppe del Prato.
Oltre a centinaja di firme di Buonaparte e di Napoleone, che
sono agli atti amministrativi e nelle corrispondenze, delle quali
molte furono comunicate per l'edizione che ne fece Napoleone III ,
abbiamo uniti in due cartelle molti atti suoi, varie patenti di li-
bera navigazione durante il blocco continentale, un processo per
una congiura del 1805 in Francia; in altre cartelle le cerimonie
della sua coronazione, gl'indirizzi, gli elogi, i monumenti erettigli
0 progettatigli, fra i quali la statua del Canova, ora a Brera.
Seguono carte e firme della famiglia Buonaparte, e dei perso-
naggi che figurarono sotto il Regno d' Italia ; autografi di per-
sonaggi del tempo austriaco, e due eleganti volumi contenenti le
modulo dei giuramenti d' uffizio, e i giuramenti prestati dagli im-
ecclésìastiques qui ont été vendus sont déclarées légitimes, en sorte que les acquéreurs
ne pourront jamais étre inquiétés. Quant aux autres articles, ils concernent des objets de
discipline plus ou moins importants, et dans tous on a taché de concilier, autant qu'il
se pouvaìt, les droìts et les prétentions respectives des puissances civile et ecclésia-
stique. Mais ce qui resulterà surtout de ce Traité, et ce qu'on peut regarder, en quel-
que manière, comme le plus grand avantage, c'est qu'il rassurera les consciences trop
faciles à s'allarmer, c'est qu'il fera cesser tous les doutes que quelques esprits se for-
maient encore sur la stabilite de l'ordre actuel des choses par rapport aux aneiennes Lé-
gations ; e' est qu'il ótera aux fanatiques et aux malveillans tout moyen, tout prétexte
de susciter des troubles; c'est qu'en consolidant la tranquillité intérieure de la Répu-
blique, il contribuera encore à accróitre sa considération au dehors.
« J'ai l'honneur de vous saluer.
« Marescalchi. »
Il carteggio del Bossi, durante la sua legazione a Torino, è dei più interessanti e vivi
sopra gli avvenimenti del Piemonte e del Genovesato, dalla caduta dei regimi primitivi
fino alla loro aggregazione all'impero francese e all'arrivo del principe Borghesi.
ArcJi. Stor. Lonib. — An. I. 13
198 ARCHIVIO DI STATO DI MILANO.
piegati al Senato Camerale e alla Cancelleria Vicereale ; e le feste
della coronazione di Ferdinando I.
Nell'armadio stesso sono autografi di sovrani italiani e fore-
stieri in 21 cartelle, distinti per paesi e famìglie.
Tutto ciò si conserva nella sala del Direttore, dove in altro ar-
madio stanno autografi di vescovi italiani (13 buste) e forestieri
(4 buste), di arcivescovi, patriarchi, cardinali (buste 23); una di
santi, altre di pontefici, d'alcuni dei quali si hanno documenti di
tutto loro pugno. Sono distinti gli arcivescovi di Milano, comincian-
do da Giordano de Clivio (1102), con più di 400 documenti, e molte
carte riguardanti questa provincia ecclesiastica. V'ha pure auto-
grafi di varj pretori, podestà, sindaci; e così dei capitani generali,
castellani e governatori di Milano, e di guerrieri.
In armadio speciale sono raccolti autografi di letterati e scien-
ziati, distribuiti per alfabeto entro ventissette cartelle, e in altre
venticinque di pittori, scultori, ingegneri, musicanti e varj artisti.
In un altro armadio, col titolo di Produzioni Diverse, entro cin-
quanta cartelle sono raccolti o lavori di scrittori, o atti che li con-
cernono, distribuiti alfabeticamente. Si va procurando che queste
due raccolte divengono più utili agli studiosi col radunare sotto il
nome, almeno dei principali, tutto quanto si rinvenga intorno alla
vita e alle opere loro.
S'aggiungano molte carte geografiche e topografiche, tra cui la
pianta del palazzo Ducale di Venezia, e i progetti delle costruzioni
più importanti degli ultimi tempi.
Nella sala stessa sono sospesi alcuni quadri; nell'uno dei quali il
diploma con cui Massimiliano I imperatore, il 23 luglio 1497, con-
cede al duca di Milano lo stemma, che in bella miniatura è effi-
giato nel mezzo. V'è la firma dell'imperatore, manca il sigillo.
In un altro, Carlo V, il 20 gennajo 1528, conferma tutti i pri-
vilegi della Certosa di Pavia; bella pergamena, con elegantissimi
fregi, e col ritratto di Giovan Galeazzo e la firma dell' imperatore.
In un altro, Giovanni Francesco Marliani senatore, a cui com-
petono certi dazj nel territorio di Pavia , ne dichiara esenti i mo-
naci detti di S. Marino, il 1 ottobre 1511; con elegantissima mi-
niatura, rappresentante un divoto con quattro frati ai piedi di
san Gerolamo, e fregi, e lo stemma del leon d' oro rampante in
campo d'oro con cimiero.
ARCHIVIO DI STATO DI MILANO. 199
In un altro, Francesco II Sforza, il 28 gennajo 1535, ai frati di
San Domenico di Cremona concede l'esenzione per una certa quan-
tità di sale; ha bellissimi fregi, e lo stemma ducale in mezzo a due
stemmi monastici.
Un quadro grande contiene autografi o firme di principi di Sa-
voja, dal 1472 sino a Carlalberto.
Si aggiungano un papiro egiziano e un papiro ravennate del
secolo VI.
Nel gabinetto attiguo, dove sta l'archivio segreto del Governo
austriaco, serbansi due raccolte di pergamene con miniature di
varj secoli, delle quali alcune poche sono capi d'arte; e qualche
libriccino miniato, e qualche rarità calligrafica. Altre carte con
disegni e miniature, anche di merito artistico, si hanno ne' dispacci
e ne' registri.
Nella sala attigua a quella del Direttore, un armadio a vetri
contiene le carte più antiche dell'Archivio, cominciando da una
del 716, e arrivando al 1100; sono 1196, e offersero la maggior
messe al volume XIII dei Monumenta historios patrice^ or ora pub-
blicato a Torino. In cinque volumi s« n' è fatto il registro. La
maggior parte sono levate da una raccolta che abbiamo di ben
80,000 pergamene, tolte dai depositi delle fraterie e congregazioni
soppresse, e sono riposte in una vasta camera, entro cartelle por-
tanti all'esterno il nome dell'ente a cui si riferiscono, e dentro di-
stribuite cronologicamente.
Nella sala succennata, un armadio contiene bolle o brevi papali
dal XII secolo, cioè da Pasquale II fino a Pio IX, entro 105 car-
telle; un altro in 33 cartelle contiene diplomi e dispacci sovrani,
cominciando dal secolo XII, divisi per paese e per epoca.
CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
OPERAZIONI DEL SEMESTRE CADENTE.
Fra i più importanti lavori in corso, dovuti all'iniziativa del
nuovo Direttore, in questi Archivj di Stato è la compilazione degli
inventarj delle singole parti componenti questo deposito, dei cata-
loghi e degli elenchi relativi, sì da poterne pubblicare il prospetto.
È scorso appena un anno dacché si diede mano a tale operazione,
e tuttavia, mercè lo zelo e la diligenza di questi impiegati, già po-
terono aversi compiuti quarantasette elenchi, cataloghi o inven-
tarj parziali; cioè furono inventariati più di quattro quinti del-
l'immenso nostro materiale. Per averne un'idea, basta il dire che
a tutt'oggi risultarono annotate 211,235 cartelle o buste, filze o
mazzi; 33,242 rubriche, registri o protocolli, e 10,699 volumi stam-
pati. Resta ancora d'elencare diversi riparti di non indifferente
consistenza.
Anche la compilazione degli antichi e così interessanti registri
dell'ufficio Panigarola procede alacremente, essendosi ormai for-
mate 850 schede.
Bei Documenti diplomatici tratti dagli Archivj milanesi, la stampa
della parte II del terzo volume è arrivata all'anno 1445, e sono
pronte le copie dei documenti da pubblicarsi sino alla morte di
Filippo Maria.
Siffatti lavori non impedirono quelli ordinarj delle sistemazioni
e delle reintegrazioni, e tanto meno le giornaliere ricerche fatte in
servizio delle pubbliche amministrazioni, dei Comuni e dei pri-
vati. In fatto si rispose a numero 900 richieste amministrative o
CRONACA DEGLI ARCHIVI. 201
storiche, e furono eseguite moltissime copie di documenti antichi e
moderni anche in lingue straniere. Le quali accennate richieste
non debbono considerarsi come singole indagini, poiché per l' eva-
sione di molte di esse, principalmente per le storiche, occorre il
più delle volte di dover rovistare in molti riparti dell'Archivio, ed
esaminare una quantità di cartelle e registri. Taluni studiosi fre-
quentano già da anni l'Archivio, altri da mesi, chiedendo quoti-
dianamente nuovi documenti e nuove notizie occorrenti ai loro
studj.
Si continuò la ricostituzione della classe Potense Estere, vale a
dire di tutto il carteggio diplomatico visconteo-sforzesco.
L' ordinamento del Gridario e del Bollettino delle leggi, rifon-
dendosi in due sole e distinte serie bollettini e gride, avvisi, notifi-
cazioni, proclami, ecc., che trovavansi sparsi nei diversi riparti
dell'Archivio, può ormai dirsi ultimato.
Si presero a maturo esame 1083 grossi mazzi di atti già da molto
tempo predisposti per lo scarto, elencandoli e distribuendoli se-
condo la loro natura.
Si spostarono e trasportarono alcune classi d'Archivio per far
posto ai nuovi versamenti, dove meritano speciale cenno le 5200
cartelle del Tribunale di prima istanza di Milano, dall'anno 1818
al 1862; e i 10 mila registri dello stato civile del regno franco-
italico.
Di molti altri importanti lavori d'ordinamento eseguiti sarebbe
impossibile offrire qui una particolareggiata notizia, bastando accen-
nare come, in tutte le parti dell'Archivio, si gareggiò nel disporre
le carte in modo da rendere utile e facile il compito di chi sarà
chiamato a soddisfare alle esigenze e ai desiderj dello Stato, della
scienza e dei privati.
Copiosissimi versamenti di carte e registri si fecero in questo
deposito da diversi uffici e magistrature; fra gli altri dall'Archi-
vio di Stato in Venezia si rimandarono quelle della Direzione delle
Poste di Lombardia, dall'anno 1800 al 1849, come alla loro sede
naturale ; dall'Ispettorato delle Gabelle del Circolo di Milano, quelle
dal 1859 al 1869; dal Ministero della Guerra, le matricole e altre
carte dell' antico esercito italo-franco, restituite dal Governo au-
striaco. Si richiamarono infine da diversi ufficj molti atti e docu-
menti che loro erano stati trasmessi nei passati anni, e non mai
restituiti.
202 CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
Pel collocamento di tutto questo materiale e di altre carte che
si aspettano, si fece costruire una quantità di scaffali, che impor-
tarono la spesa di lire 6000.
Di rimpatto si consegnarono:
1.** All'Agenzia del Tesoro gli atti della Direzione Comparti-
mentale delle Gabelle degli anni 1867, 1868 e 1869;
2.** Alla Direzione dei Teatri, già regi, della Scala e della Ca-
nobbiana, altri atti qui rimasti;
3.** Al Ministero dell'Interno 50 copie dell'opera del tenente-
maresciallo Camillo Vacani, intitolata: Storia delle campagne e
degli assedj degli Italiani in Ispagna, dai 1808 al 1813.
Dei 55 studiosi ammessi ad indagini, la maggior parte inter-
venne personalmente ; altri inviarono incaricati, o chiesero per let-
tere e ottennero notizie.
Meritano speciale menzione i signori:
Angelucci Angelo, maggiore: Documenti e notizie intorno alla
battaglia del Taro, alla divisa del cardinale Ascanio Maria Sforza,
ed agli armaiuoli milanesi.
Baruffaldi sac. Agostino: Indagini intorno alle corporazioni re-
ligiose e al Comune di Viadana.
Coelli Giuseppe: Atti riferibili al Comune di Castelleone.
Caffi cav. Michele : Ricerche e studj sui pittori, scultori e archi-
tetti sino al secolo XVIII, negli atti delle corporazioni religiose
soppresse.
Casati dott. Carlo : Notizie genealogiche sulla sua famiglia ; sul-
l'Ospitale dei Porci in Milano.
Ceruti sacerdote Antonio: Documenti della Chiesa e Scuola di
S. Giovanni alle Case Botte in Milano.
Charavay Stefano : Atti relativi al matrimonio di Valentina Vi-
sconti col duca di Turena, e al giuramento di fedeltà a lei pre-
stato dalla città di Asti.
Corio professor Lodovico : Notizie biografiche intorno ad uomini
illustri nelle scienze, lettere ed arti, e indagini storiche sul contado
del Seprio.
Cusani marchese Francesco: Indagini sul monastero di Santa
Chiara in Lodi; sui debiti di Zecca e Banco-giro di Venezia;
sulla compilazione del Codice Civile Italiano.
CRONACA DEGLI ARCHIVI. 203
D'Adda marchese Gerolamo : Ricerche sulla Biblioteca Visconteo-
Sforzesca di Pavia, e sugli architetti italiani in Russia.
Ficker prof. Giulio: Carte pagensi del secolo XI.
Fulin ab. Rinaldo: Ricerche sul titolo di Anglo, riassunto da
Lodovico il Moro.
Garavaglia avv. Giovanni: Documenti riguardanti i beni e le
decime di Brenno Useria, pieve di Arcisate.
Govi prof. Gilberto : Notizie storico-genealogiche intorno diverse
famiglie lombarde, sui discendenti dello scultore Pompeo Leoni, e
sulle dimensioni del Cenacolo alle Grazie.
Guasti cav. Cesare : Atti relativi all' ambasceria mandata nel-
l'anno 1362 da Bernabò e Galeazzo Visconti al papa Urbano V.
Lombardini sac. Paolo: Documenti riguardanti la Confraternita
di S. Giovanni Decollato in Cremona.
Majocchi Domenico: Notizie sulla Certosa di Garegnano.
Melzi nob. Francesco: Memorie storico- genealogiche della fami-
glia Melzi.
Mongeri cav. Giuseppe: Studj artistici relativi a Bartolomeo
Suardi detto Bramantino.
Oldofredi conte Ercole, senatore : Documenti storici sul Comune
e lago d'Iseo, e sulla famiglia degli Isei.
Porro conte Giulio: Registri ed atti relativi alla Repubblica
Ambrosiana, e alle spese della Corte ducale del 1475.
Pozzoli Lucilio : Ricerche intorno alla città e luoghi adiacenti di
Gallarate.
Rafaelli Filippo : Notizie sulla Biblioteca Visconti e sulla famiglia
Lampugnani.
Romussi avv. Carlo: Indagini sull'esecuzione capitale di Alberto
Meraviglia.
Rossi sac. Vitaliano: Sul Comune e sulla basilica di Arsago di
Seprio, e sulla famiglia Giussani di Giussano.
Rota ab. Gio. Batt.: Documenti storici relativi al Comune di
Chiari.
Rotondi, parroco di S. Giorgio: Notizie storiche sulla chiesa di
S. Sebastiano.
Rusconi marchese Alberto : Atti del secolo X, relativi alla fa-
miglia dei Rusca, già signori di Como.
Schum dott. Guglielmo: Diplomi imperiali del secolo XII.
204 CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
Silva Silvestro, colonnello: Notizie storico-genealogiche sulla
famiglia Silva di Crevola.
Tonti prof. Vito: Documenti e notizie riferibili all'abate Giu-
seppe Parini.
Trivulzi conte Giuseppe: Atti araldici e feudali, e notizie intorno
alcune donne celebri.
Volta avv. Zanino: Studj biografici sopra Alessandro Volta.
La scuola pratica di Paleografia, che si tiene ogni giovedì, fu
sempre frequentata da molti studiosi, tanto addetti che estranei
^gli Archivj. L'insegnamento di quest'anno volge al suo termine,
chiudendosi la scuola, a tenore del regolamento, verso la fine del
prossimo luglio.
Possano e la superiorità e il pubblico riconoscere che non si
getta invano il -tempo.
Si continuò l'appendice principale all'inventario della Biblioteca,
col registrarvi le opere, sì acquistate come donate, dal N. 252 al
N. 320. Si proseguirono l'iniziato catalogo di doppj e le schede
pel nuovo Catàlogo generale alfabetico, e si attese alla compila-
zione di un nuovo inventario estimativo per ordine del Ministero.
A questo fu di recente trasmessa, per uso del Nuovo Consi-
glio sopra gli Archivj , una copia di 24 stampati, riconosciuti di-
sponibili
Il Direttore donò all'Archivio molte ed importanti carte, oppor-
tunissime ad illustrare la storia politica d' Italia , ed alla Biblio-
teca alcuni suoi opuscoli e fascicoli d'opere in corso di stampa.
Fra le prime nomineremo alcune carte risguardanti la Giovane
Italia, fra cui i transunti di molti relativi processi, fatti dal pre-
sidente d'Appello Mazzetti per uso dell'Imperatore; tre libretti di
informazioni e annotazioni della Polizia di Milano; un'informazione
sulla Società Guelfa, ecc., ecc., levati dal Cantù dal palazzo della
Polizia nel 1848, con autorizzazione, che è pure unita. Altre carte
riguardano la sollevazione del 1848, con alcuni manoscritti e bozze
di stampa d'un lavoro ch'egli doveva pubblicare nel luglio di detto
anno, narrando le cause e gli andamenti di quella rivoluzione*
Evvi pure il giornale La Guardia Nazionale, che allora egli com-
pilava; oltre 30 pergamene attinenti alla Diocesi di Como, e una
quantità di Statuti dei paratici di diverse città di Lombardia.
CRONACA DEGLI ARCHIVI. 205
Anche il segretario cav. Muoni fece dono alla Biblioteca di alcuni
suoi recenti opuscoli, fra i quali quello intitolato : Archivj di Stato
in Milano: Prefetti o Direttori. — Dalla Deputazione di Storia
Patria si ebbe il tomo XIII della Miscellanea di Storia Italiana;
dal marchese Frahcesco Cusani il VI volume della sua Storia di
Milano; dal cav. Giuseppe Mongeri: L'Arte in Milano; dal Mini-
stero dell'Interno il VI volume della Bihliotheca mamcscripta ad
S, Marci Venetianim, ecc. di Giuseppe Valentinelli.
P. Ghinzoni,
Sottosegretario d'Archivio.
Il cav. Damiano Muoni pubblicò un lavoro affatto proprio ai
nostri studj ; ed è il catalogo dei Prefetti degli Archivj di Stato di
Milano^ con quell'occasione dando note sull'origine, formazione e
concentramento loro (Milano, Molinari, 1874, in-8, di pag. 105),
aggiungendovi la lunga lista delle opere sue, e un'informazione
delle veramente invidiabili raccolte da lui compiute.
Enumerati i varj direttori di questi Archivj,^ ebbe la saviezza di
non lodare il presente se non dai lavori che vi si stanno operando
per ispeciale suo impulso, " affinchè la preziosa suppellettile affida-
tagli divenga sempre più agevole e comoda alle richieste storiche
e amministrative.
* Le dilìgenti ricerche del nostro socio cominciano con Giacomo da Perego. AI cenno
ch'ei ne fa stimiamo bene aggiungere qualche particolarità, come d'un primo sbozzo di
Archivio. Adunque il Perego, ai 12 giugno 1468, avvisa il segretario ducale Cicco Si-
monetta, che, a norma degli ordini ricevuti per mezzo di Gio. Antonio suo genero e
Michele suo fratello, ed uno da Dugnano, addetti alla Cancelleria ducale in Milano, ha
dato da copiare «tutti i decreti delle confische e pubblicazioni dei beni devoluti alla
Camera, ad altro quelli dei sfrosi delle biade, ad altri delle sfrosi del salej che assu-
merà tre scrittori, uno per i decreti dei feudatarj e della Pace di Costanza, e per quali
ragioni i feudi revertunt ad principem; uno pei decreti civili, e l'altro pei decreti de*
Tesorieri, Amministratori, Sindacatori ed OflSciali condemnati ad Sindicatum. E così di
materia in materia seguiterà uno volume onde il duca possa trovare, rinvenire ogni cosa
di materia in materia senza troppo perditempo ».
Insomma che farà di tutto onde soddisfare il desiderio del duca, sollecitando perchè
l'opera sia compita anche in quanto ai registri Panigarola colle rispettive rubriche.
Anche su questa famiglia Panigarola e sugli importantissimi Archivj che essa con-
servava e che ora stanno in questo di Stato, si desiderano notizie nel lavoro del Muoni,
che forse le serbò per la relazione generale che si prepara.
206 CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
„ Il compito, lasciato indefinito e sospeso dall' Oslo, addimostrò
quanto sia arduo e pericoloso il recare in un vastissimo archivio
tanti e radicali mutamenti a partizioni già accolte e sancite dal-
l'uso ; e noi ne conveniamo appieno, persuasi che ogni ordinamento
torni adeguato in simili depositi ogni qualvolta, rispondendo esso
alla natura, età, copia e scaturigine delle carte, abbiasene chiaro
il concetto, esatto il disegno.
„ Si ristabilirono pertanto nelle originarie loro sedi i moltissimi
documenti che per qualsivoglia motivo ne erano stati rimossi, man-
tenendo solo, delle recenti classazioni, quelle che, già assai inol-
trate, riusciva quasi impossibile il disfare.
„ Avvisando poi che la migliore guarentigia di ogni possesso pub-
blico o privato, è di accuratamente controllarne la conservazione
o l'entità, venne commesso a tutti gli impiegati in genere la re-
dazione di elenchi riassuntivi per cadauna materia rispettivamente
loro assegnata; al bibliotecario, in ispecie, le necessarie appendici
al novero de' libri, coli' estratto de' doppj.
„ Mediante Paggregamento e l'assimilazione di carte sparse e di
categorie appena concetto od abbozzate, s'introdussero nuove e
proficue fonti per la storia, e segnatamente per quella de' Comuni,
delle varie magistrature, de^ paratici o maestranze d'arti e me-
stieri, e d'altri rinomati sodalizj, completandosi e migliorandosi
altresì, con altri materiali scomposti, le collezioni degli autografi
€ delle produzioni scientifiche e letterarie; di modo che ognuno può
sin d' ora compiacersi nel mirare largamente rappresentati in esse,
per opere tal fiata inedite, i nomi splendidi di Alessandro Volta
(tre buste). Lazzaro Spallanzani, Barnaba Oriani, Antonio Scarpa,
Pietro Moscati, Melchiorre Gioja, Giuseppe Parini, Ugo Foscolo,
Carlo Botta, Pietro Tamburini, Luigi e Giuseppe Bossi, Andrea Ap-
piani, Antonio Canova, ecc. ecc.
„ Vegliando infine ad una più convenevole distribuzione delle
classi nei diversi locali e scajffali, diedesi mano eziandio alla forma-
zione interessantissima de' regesti, o sunti dei ducali e regj decreti,
dei privilegi e delle loro interinazioni, delle investiture, dei trat-
tati e delle missive, e con un' operosità sempre eccitata e mante-
nuta, procedesi in tale assiduo e concorde lavorio, equamente e
saviamente ripartito, che non dubitiamo promettitore di ottimi ri-
sultati. „
CRONACA DEGLI ARCHIVJ. 207
Secondo il signor Muoni, " gli Archivj di: Stato riuniti in Mi-
lano, posseggono almeno 80,000 pergamene e 286,712 volumi, che,
in un prossimo generale inventario, arriveranno presumibilmente
a 300,000 circa. „
Il commendatore Bartolomeo Cecchetti, descrivendo l'Archivio
de' Frari (Venezia, P. Naratovich, 1866, in fol. e in 16), di cui ta-
luno faceva ammontare a dieci milioni e mezzo (10,562,115) i vo-
lumi ivi pervenuti da 2276 archivj, vi noverò 203,214 filze e re-
gistri, e 52,878 pergamene, provenienti da 231 diversi istituti. " Se
tali cifre costituiscono uno de' primissimi archivj d' Italia, chi vorrà
asserire che quello di Milano, sia per copia, sia per importanza,
possa dirsi ad altro secondo?^ A Venezia non sonvi atti originali
che risalgano oltre il 954: a Milano il più antico rimonta al 716.
Cade poi qui avvertire come non debbansi confondere le buste o
cartelle degli Archivj di Milano coi volumi computati in altri Ar-
chivj italiani, avvegnaché ciascuna di esse potrebbe equivalere a
quattro almeno di quelli, racchiudendo talora più di 400 pezze, e
tre il carteggio di un mese solo. „
Appartiene alla materia stessa il Progetto di legge e regolamento
sopra gli Archivj di Stato, del Silvestri di Palermo. Egli crede
che, col suo disegno, l'invocata unificazione del servizio dei pub-
blici Archivj e della vigilanza governativa, non meno su di essi che
su quelli degli enti morali, dei Comuni e delle Provincie, si conse-
gua intera ed efficace mercè l'opera illuminata ed assidua del so-
prantendente , senza far violenza ai dritti rispettivi, ma pur co-
strir^endoli, per viste sacre d'interesse generale, a far conto e a
mantenere inviolato quello che, più che privato, è patrimonio della
civiltà nazionale.
Similmente, il servizio interno dei grandi Archivj, avendo a base
l'opera esperta d'un Direttore-Segretario, vien solidamente imper-
nandosi negli incarichi attentamente e misuratamente distribuiti,
e nei quali trovasi la ragione d'essere de'varj ordini gerarchici
^ Ciò farà per avventura emendare una frase del signor Silvestri di Palermo, che dice
che l'Archivio di Milano è rimasto a una certa distanza « da quello de' Frari : pur con-
fessando che i Direttori di esso con ispeciali regolamenti seppero uscire dai limiti an-
gusti della legge sugli Archivj ».
208 CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
del personale, e della responsabilità rispettiva. I^e diverse attri-
buzioni son poi siffattamente graduate, da potersi naturalmente
raggruppare nelle mani del Soprantendente, cui resta la suprema
direzione d'ogni parte del servizio, contemperata dai lumi del Con-
siglio d'Amministrazione ; nel mentre l'autonomia della istituzione,
posta sotto l'alto patrocinio del Parlamento, come praticasi, ben-
ché in modo indiretto, nell' Inghilterra, rende libero ed efficace
l'esercizio dell'arduo ufficio cui è chiamato il Soprantendente me-
desimo nel provvedere alla conservazione delle carte tutte d' in-
teresse nazionale. Intanto l'educazione scientifica è procurata dallo
insegnamento di paleografia e critica diplomatica, dipendente,
non già dalle basse sfere dell'empirismo òurocratico, ma dalle alte
e pure regioni della scienza, ed ajutata dall'interesse che avranno
i giovani ad abbracciare una si vasta e nobile carriera. Talché
si potrà in pochi anni abbondare di quelle tali specialità, onde
è sì vivamente sentito il bisogno, e le quali, se sono necessarie
in ogni pubblica amministrazione, son per fermo indispensabili in
quella degli Archivj. Al qual fine son anco dettate le norme riguar-
danti la carriera, per cui, mirando sempre alla formazione delle
dette specialità, non lasciasi d' allargare l'attuale sfera delle pro-
mozioni, senza che però sia indotta alcuna violenza agli interessi
ed agli affetti dei singoli impiegati.
NOTIZIE.
La Società Storica Lombarda tenne adunanza generale il 29
aprile, nella quale vennero ammessi i nuovi socj:
Alessandri prof. ab. Antonio, bibliotecario
civico dì Bergamo.
Bucchetti Giovanni.
Casati avv. nob. Luigi.
Cittadella Luigi Nap., bibliot. di Ferrara.
Del Majno march. Norberto.
Faustini Gr. B., parroco in Brescia.
Ferrari prof. Paolo.
Fortis Ernesto.
Giustiniani Bandini princ. Raimondo.
Guerrieri Gonzaga march. Carlo.
Guicciardi sen. Enrico.
Intra prof. G. B.
Nazzari dott. Andrea, di Brescia.
Piolti De Bianchi dep. Giuseppe.
Savio prof. Enrico.
Vi si proposero alcuni temi di studj storici, riguardanti la Lom-
bardia e la sua metropoli, come una monografia dell' arcivescovo
Eriberto d'Intimiano; Francesco Sforza I, sul quale molti docu-
menti stanno nei nostri Archivj; la Credenza di S. Ambrogio; il
Senato Milanese nelle sue attinenze politico-amministrative ed in-
ternazionali; lo sviluppo ed il progresso del diritto penale nei du-
cati di Milano e Mantova durante il secolo scorso, ecc.
Furono comunicate alcune testimonianze di simpatia ed incorag-
giamento alla Società stessa per parte di privati, ^ di giornali per-
* Fra gli altri Gino Capponi, approvando che la nostra Società abbia scelto « come
campo un gran paese che ha una grande storia. Per me sta bene che si faccia provin-
cialmente, perchè la Storia d'Italia (non v'è rimedio) è a quel modo. E quando gli spi-
riti provinciali della Chiesa dell' Arrengo furono saliti in cima ad un solitario campa-
nile, non v'è più storia, o fu poverissima. La nuova nostra comincieremo a farla Tanno
2000, sperando che allora vi sian buoni storici perchè vi sia bella materia di storia.»
210 NOTIZIE.
fino del nostro paese, di Istituti scientifici: tra queste il marchese
D'Avezac dell'Istituto di Francia annunciava d'aver fatto conoscere
V Archivio Storico Lomhardo e la Società da cui esso emana alla
Accademia d'Iscrizioni e Belle lettere ed a quella di Scienze mo-
rali e politiche, che l'accolsero con favore.
Gli Archivj di Stato erano rimasti finora dipendenti, alcuni dal Mi-
nistero dell' Interno, altri da quello della Istruzione Pubblica, come
stavano ne' dominj precedenti. Visto lo sconcio di quella separazione
di dipendenza e quindi di norme, lungamente si agitò a quale do-
vessero di preferenza unirsi, finché prevalse il concetto di porli
sotto al Ministero dell'Interno, come si è fatto con decreto reale
del 5 marzo. Con altro decreto del 26 marzo fu istituito un Con-
sigilo per gli Archivj, di persone estranee al personale di quelli ; ed
un sovrantendente agli Archivj di ciascuna regione. Gli ufiìziali com-
presi nel territorio di una sovrantendenza formano un ruolo di-
stinto da quello d'ogni altra, né vengono traslocati fuor di quello.
Sono distinti in due categorie, secondo gli studj che da essi ri-
chieggonsi, e i servizj che devono rendere.
In Francia fu istituita una commissione degli Archivj diplo-
matici presso il Ministero degli Esteri; intendendo non della di-
plomazia quale s'insegna e conserva da noi, ma del carteggio per
gli affari internazionali. Or che l'indiscrezione é arrivata anche a
compromettere persone viventi, interessi palpitanti, e fin le conve-
nienze regie \ trovavasi strano che i documenti interessanti alla
storia fossero sottratti allo studio, o piuttosto concessi o negati ca-
pricciosamente. Furono dunque cangiati i regolamenti, e istituita
una Commissione. Chi poco si fida delle Commissioni, proporrebbe
di distinguere gli Archivj in sezione storica e sezione politica. Le
carte di questa non dovrebbero vedersi che sopra ordine del Mi-
nistero e nell'interesse pubblico. Naturalmente, col tempo anche
le carte di questa sezione rientrano nella storica. Quest'ultima do-
vrebbe avere impiegati esperti in tali materie, e restare aperta
* Il 15 dicembre 1588 il conte Olivarez scrìveva a Filippo II: « Quanto al secreto, non
bisogna pensarci nelle negoziazioni coi Francesi ».
Coi Francesi soltanto?
NOTIZIE. 211
a tutti, colle solite cautele. Quel Ministero degli Affari esteri pen-
serebbe pubblicare una serie di documenti inediti moderni; ma
tali imprese richiedono eruditi speciali, esatta sorveglianza, pron-
tezza unita coll'esattezza scientifica.
La sezione storica servirebbe anche di scuola a futuri diploma-
tici, acquistando, coU'amor della patria e coll'erudizione, la cono-
scenza delle tradizioni e dei metodi migliori.
Questa alleanza dei dotti coi diplomatici tornerebbe utile prin-
cipalmente in Italia, dove ancora rimane a istituire qualche cosa
di simile alla Scuola delle Carte. Eppure la diplomazia dei nostri
padri, e massime di Venezia e di Roma, offrirebbe stupende le-
zioni, un tirocinio utilissimo ai giovani avviati alla carriera diplo-
matica, che poi, ne' paesi ove sono mandati, potrebbero cercare
ciò che riguarda la storia nostra.
In Inghilterra si formò una Società Paleografica di dodici dotti,
preseduti dal custode dei manoscritti del Museo Britannico, per
promuovere lo studio della paleografia mediante fac-simili dei co-
dici più interessanti. Fu pubblicato il l."" fascicolo, che contiene un
papiro greco del II secolo a. C, uno ravennate del 572, e varie
pagine di lavori ecclesiastici.
Il Governo inglese pubblicò in edizione splendidissima a Edim-
burgo i fac-similes dei manoscritti nazionali di Scozia, tolti sia
dagli Archi vj, sia da raccolte private, e riprodotti in zincografia:
sono riferiti nel t^sto originale, poi con caratteri moderni nel loro
linguaggio, tradotto quindi in inglese, e accompagnati di sobrie
illustrazioni. Il signor Giacomo Gibson, fratello di lord Clerk che
diresse questa pubblicazione, ne lasciò tre esemplari nella nostra
città. L'importanza di quei documenti è ben minore di quella che
potrebbero offrire i nostri: ed è desiderabile che l'esempio trovi
imitatori.
Altro esempio imitabile. Esso signor Giacomo Gibson-Craig, visi-
tando la nostra Biblioteca Ambrosiana, ammira fra altri una storia
evangelica manoscritta, in 80 fogli scritti a dritto e rovescio con
caratteri quadrati in colonna e bellissime immagini: e commette
al fotografo Angelo Della Croce di riprodurgliene una pagina. Que-
212 NOTIZIE.
sta gli piace tanto, che ordina la riproduzione dell'intero mano-
scritto : e il prefetto Ceriani vi inette una prefazione in inglese, in-
dicando le fonti di ciascun racconto. Questo è desunto dal vangelo
di san Matteo e dai vangeli apocrifi, per formar un libro di devo-
zione, illustrato da 80 quadretti, probabilmente disegnati in To-
scana, e rappresentanti i fatti sacri, cominciando dalla gita di
Maria e Giuseppe a Betlem fino alla morte della vergine madre:
e innestandovi la morte di Pilato, varj miracoli di Cristo, la di-
struzione di Gerusalemme e l'assunzione secondo la leggenda antica.
Il signor Gibson ne fece tirare sole 100 copie, da donare ai bi-
bliofili del suo paese; ma fortunatamente, per le sollecitudini di
esso prefetto, una ne fu data all'Istituto Lombardo di scienze e
lettere.
Il 19 maggio è morto Francesco Trincherà, direttore generale
degli Archivj di Napoli. Nato a Ostuni il 20 gennajo 1810, era
stato prete: ha fatto un dizionario della lingua italiana: studiò
economia, e testé avea pubblicato un primo volume di storia di
questa scienza.
Il signor Beulé, nato umilmente a Saumur il 1826, allievo della
scuola normale, s'immortalò scoprendo i propilei dell'acropoli d'A-
tene, col che ottenne fosse conservata la scuola francese, in quella
città istituita da Salvandy, e derisa come infruttifera. La scala del
gran santuario nazionale servì ad elevare il Beulé; subito fu nomi-
nato professore d'archeologia alla Biblioteca imperiale di Parigi al
posto di Carlo Lenormant, poi segretario perpetuo dell'Accademia
di Belle Arti ; indagò le antichità di Cartagine, e scrisse molte cose
anche relative all'Italia, fra cui Le drame du Vésuve, e nelle
Causeries sur Vari, fouilles et découvertes: ajutò all'acquisto del
museo Campana, e venuto in rotta con Napoleone III, scrisse il
Processo dei Cesari.
Solo dopo i disastri entrò nella carriera politica, come rappre-
sentante all'Assemblea Nazionale ; al cadere di Thiers, divenne mi-
nistro dell'interno, il qual portafoglio depose dopo il 19 novembre,
e fu de' migliori sostenitori del partito conservatore.
Mori improvvisamente, e si dubita per suicidio, il 4 aprile.
NOTIZIE. 2 1 3
i
Il celebre Ortolan, che fu professore di legislazione penale a Parigi
e tradusse il Beccaria, lasciò, fra altri scritti, Le penalità delV in-
ferno di Dante, con uno studio su Brunetto Latini quasi suo mae*
stro. Questo lavoro fu consegnato all'Istituto di Francia.
Il marchese Carlo Torrigiani fiorentino, morendo nel 1865, la-
sciava all'Archivio centrale toscano i manoscritti e le pergamene che
la sua famiglia aveva ereditati da casa Ardinghelli ; volendo eccet-
tuati alcuni autografi di cospicui personaggi storici, e ponendo l'ob-
bligo agli ufìiciali di esso Archivio di darne, entro due anni, un'esatta
informazione al pubblico.
Anche il^ marchese Lorenzo Ginori deponeva in esso Archivio una
raccolta di documenti.
Stimiamo opportuno mettere questi esempj sottocchio ai nostri
cittadini, qui dove anche ultimamente le interessanti raccolte del
conte Archinto, di Pompeo Litta e dei marchesi Castiglioni anda-
rono all'asta, e donde fu mandata all' incanto di Charavas a Parigi
una raccolta di lettere, venduta L. 13,323: e fra queste una del
Darini per lire 19: una del Beccaria per lire 27 e una per lire 50.
Negli Atti dell'Istituto Veneto il prof. Matscheg pubblicava do-
cumenti sulla storia d'Europa dalla fine del regno di Carlo VI al
trattato di Aquisgrana: il signor Cecchetti, sugli stabilimenti poli-
tici della repubblica veneta nell'Albania, dove molti documenti ri-
guardano Skanderbeg, del quale l'Archivio milanese possiede lettere
al re di Sicilia.
Il prof. Bernardino Biondelli vi mandò una dissertazione sulle
iintiehità di Milano e dell'alta Insuhria, pel manuale topografico-
archeologico del Torelli.
Giusto Grion discusse Chi fosse Madonna Laura, e malgrado le
obiezioni recenti, massime di Salvatore Betti, sostiene ancora fosse
una De Sade, sposa del barone di Toro.
L. Geiger, presa occasione dal quinto centenario del Petrarca,
pubblicò un'opera su questo poeta. ^
' Riceviamo or ora gli scritti inediti di F. Petrarca, pubblicati ed illustrati da
Attilio Hobtis. Firenze 1874. Ne parleremo.
Arch. Stor. Lomh. — An. I. 14
214 NOTIZIE.
Degli Archivj s' è giovato un'altra volta il signor B. Cecchetti ^
per combattere l'andazzo, troppo ora esteso, di sparlar del nostro
passato onde piaggiare il presente. Venezia era aristocratica, avea
corruzione di costumi, crassa ignoranza de' patrizj, lusso invere-
condo, leggi suntuarie inutili per frenarlo. Tutte queste accuse vuol
cancellare o attenuare il Cecchetti, mostrando come il lavoro fosse
la fonte della ricchezza veneta, e raifacciando ai moderni signori
di non imitare i padri, di non ispendere a vantaggio del paese,
ad animar l'industria e la marina, e così diminuire il numero de'
questuanti. I quali, se nel 1776 su 137,240 abitanti erano 843,
nel 1871 erano 36,200 su 129,000 abitanti. Le corporazioni costi-
tuivano una tutela, conforme all'indole patriarcale del governo: le
leggi suntuarie una cura dell' economia e della moralità, affinchè il
lusso non sottraesse il denaro necessario ai fini più alti della so-
cietà. Le particolarità di cui il Cecchetti appoggia questi concetti
sono curiosissime.
Di Filippo Casoni, storico del bombardamento di Genova, diede
alcuni appunti storici nell'Accademia Ligustica il signor Achille
Negri, donde parrebbe ch'egli provenga dai nostri Torriani di Val-
sassina. Dopo le costoro disgrazie, un di essi, per nome Cassone,
si collocò nel castello di Trebiano, e conservò il solo nome, che
trasmise alla sua famiglia, la quale poi passò a Sarzana e a Ge-
nova, dove il 1662 nacque Filippo. Pel ratto di Apollonia Aquarone
fu condannato a 20 anni di torre, e per quanto adoprassero suo
padre e i suoi amici, e malgrado che avesse compiti là dentro gli
Annali del secolo XVI, non fu rimesso in libertà che nel 1696,
donando mille scudi d'argento alla Camera.
All'Accademia stessa fu fatta menzione di Francesco della Porta
pittore, fratello dello scultore Gian Giacomo milanese ; e di Albertino
da Lodi, che decorò il coro del duomo antico di Savona.
L'Accademia delle scienze di Parigi continua la pubblicazione
delle Opere di Bartolomeo Borghesi, ch'era stata fatta intraprendere
da Napoleone IIL
* Lavoro e Ricchezza nella repubblica veneta. Dalla Rivista Veneta, voi. IV, f. 5.
NOTIZIE. 215
All'Istituto Lombardo, ove sono troppo rare le disquisizioni sto-
riche, il prof. Bertolini presentò una memoria Stilla signoria di
Odoacre e la origine del medioevo. Con buon corredo d'erudizione
mostra in inganno quegli storici antichi e moderni che di Odoacre
fecero un re d'Italia; considerandolo piuttosto come uno dei tanti
generali che usurpavano dominio sui deboli imperatori, e volendo
che il medioevo non s'abbia a cominciare, come fanno tutti, alla
conquista di Odoacre, ma solo all'invasione longobarda.
Bisognerebbe spiegarsi che cosa s'intende per principio del me-
dioevo. Il signor Bertolini riconosce che il Cantù accennò giusto
alle relazioni di Odoacre coU'imperatore Zenone ; ma nel cap. LIX
più esplicitamente esso Cantù scrive che : " Odoacre senz'altro che
voltare contro gl'imperatori le armi da questi assoldate, dissipò
quella scena... Da un pezzo l'impero veniva preseduto da barbari;
anche soppresso il titolo supremo, non tralasciò di raccogliersi il
senato, rappresentanza civile sotto a quella militare : si nomina van
i consoli: nessun magistrato regio o municipale fu spostato: il pre-
fetto del pretorio continuò co' suoi dipendenti ad amministrare l'Ita-
lia (si noti bene, non la diocesi, come dice il Bertolini a pag. 440) e
riscuoterne i tributi: Odoacre potea dirsi uno dei tanti che stra-
nieri occuparono il trono di Koma: se non che né imperatore in-
titolossi, ile forse re (e vedi la nota) : non pretese supremazia sugli
altri regni: anzi lasciava qui proclamare le leggi emanate dall'im-
peratore d'Oriente, dal quale invocò invano il titolo di patrizio
d'Italia, e rimase dunque come un esercito in mezzo a un popolo
civile ; come uno di quei governi militari di cui neppure a' tempi
più civili mancò la ruina „.
Non parmi sia nulla a mutare a questa descrizione, a cui la
dotta dissertazióne del Bertolini aggiunge l'appoggia di molte au-
torità e di savie interpretazioni.
L'Accademia delle scienze di Berlino onorò del premio istituita
da Bopp per opere di filologia comparata i lavori dell'illustre
nostro socio Ascoli sopra le lingue ladine.
La Società pedagogica premiò con medaglia d'oro un'opera del
nostro socio avvocato Komussi, dove si dà la storia di Milano per
mezzo de' suoi monumenti.
216 NOTIZIE.
Il celebre Luigi Vulliemin di Lausanne, continuatore della Sto-
ria Svizzera di G. Miiller, già ottuagenario, ci scrive : " Je le sens,
mes jours s'abrègent, et vous voir ici aurait pour moi d'autant
plus de prix. Je ne perds aucun des moments que je puis donner à
mon Précis d'histoire de ma patrie; j'en suis à Sempach, et je vous
quitte pour mettre une dernière fois en présence la ve;:sion autri-
chienne et la version suisse de cette bataille. „
Noi mettiamo volentieri sottocchio alla nostra gioventù questi
esempj dell'operosità senile: sappiamo che neppure le malattie, ag-
gravatesi questi giorni, la tolsero a Guizot.
L'Accademia Olimpica di Vicenza, per conferire il premio For-
menton di L. 2000, propose a tema la " Storia municipale delle città
venete al tempo della repubblica, con riguardo alla storia delle
altre regioni d'Italia, e alle odierne quistioni di accentramento e
discentramento amministrativo „ . Il tempo utile è a tutto dicembre
1875: norme le consuete.
La libreria antiquaria B. Schiepatti in Milano mandò fuori il
suo catalogo di libri di seconda mano, contenente storia, archeo-
logia, numismatica, belle arti, ecc. ecc.
Charles Yriarte fece la vie d'un patricien de Venise au XVI
siede. Parigi, Plon 1874.
Il dott. Winckelmann, professore di Heidelberg, ripubblicava con
molti miglioramenti l'opera di Pietro De Ebulo sopra la conquista
del regno siculo-normanno per Enrico VI imperatore.
R. S. Charnock, I Sette Comuni, nega l'origine cimbrica di quelle
popolazioni, e fa studj sul loro linguaggio, che in fondo è tedesco.
Vedasi Journal of the Anthropological Institute, aprile 1872.
Huillard Bréholles, conosciutissimo pe' suoi lavori sull' età degli
Svevi, or pubblica lo stato dell'Italia dalla pace di Costanza fino
al 1355; Leotard una tesi de prcefectura urbana quarto post Chri-
stum sceculo; Gachard una memoria sugli Archivj del Vaticano,
informando per quanto è possibile di una raccolta, di cui non
sono comunicati gli in ventar j.
NOTIZIE. * 217
Dopo i tanti documenti d'essi Archi vj, pubblicati da Hugo Laem-
mer, dal padre Theiner, dal De l'Epinois, ecco adesso adesso M.
Robert cavare di là la storia di Calisto II, Analeda jiiris pontificii.
Il signor Giulio Zeller lesse all'Istituto di Francia una disserta-
zione sopra la lotta del sacerdozio e délVimpero avanti Gregorio VII.
La leggerezza di Voltaire e della sua scuola, che piccole gelosie,
piccole personalità metteano al posto delle grandi idee, potè stupire
che si facesse tanto rumore per una semplice cerimonia, qual era
il consegnare l'anello e il pastorale: la storia seria conosce che vi
si trattava degl'interessi più importanti all'umanità, la libertà
della coscienza, la distinzione dei poteri politici dagli spirituali, i
fondamenti della morale e della proprietà pubblica e privata. Che
se la gran lite non è per anco risolta nel lume della presente ci-
viltà e nella prevalenza odierna delle idee monarchiche nelle costi-
tuzioni e nella letteratura, viepiù doveva agitar la società allora,
quando tanto maggiore era l' indipendenza individuale, e agli ec-
cessi di questa bisognava provvedessero i sacerdoti colla coscienza,
gli imperatori colla forza. Le due potestà doveano venir a un
conflitto lungo, drauimatico, dove entrambe scapiterebbero, e sfor-
merebbero il loro carattere, e gli imperatori pretenderebbero do-
minio su questa Italia, per la cui prevalenza era stato dai pon-
tefici ridestato il sacro romano impero.
A quel conflitto si mescolano gli avvenimenti di Eriberto arcive-
scovo di Milano, ben degno d'una monografia, poiché, come dice la
cronaca, omne regnum italicum ad suum disponehat nutum, e ognuna
ricorda come la città nostra e la Lombardia tutta si commosse
allorché l' imperatore Corrado osò farlo arrestare da' suoi Tedeschi ;.
il sentimento nazionale venendo a soccorso dell' indipendenza della
Chiesa. E in questo senso si combatterono le prime battaglie mu-
nicipali.
A conoscere quei tempi e quella lotta in modo ben diverso da
ciò che divulgarono storici plebei e cesaristi, oltre le cronache,
ajutano le storie della Chiesa, fatte in senso differente, dal Gfrorer,
dal Giesebrecht, dal Sybel (die deutsche Nailon und die Kaiserreich),
dal Gregorovius, dal Jaffé, ed é a dolere che non possiamo accop-
piarvi qualche bel nome italiano.
218 * NOTIZIE.
Alla materia stessa appartiene il lavoro di G. Riezler, Deutscher
Staat und ròmische Kirche im XIV Jalirhundert^ volendo farne
parallelo colle lotte odierne, massime in Baviera.
Augusto Pottliast continuò i Regesti Papali di Filippo Jaffè dal
1198 ove questi j&nisce, sino al 1304, ma sebbene di questo tempo,
tanto importante per la formazione delle moderne società e le-
gislazioni, fossero abbondantissimi e ordinati i documenti dell' Ar-
chivio Vaticano, egli non si valse che dei lavori stampati, neppur
correggendone le inesattezze o. supplendone le lacune. L'Accademia
di Berlino gliene concesse due medaglie d'oro e 2000 talleri, il
mondo giornalistico lo applaudì, ma l'abate romano Pietro Pres-
sutti pubblicò Osservazioni storico-critiche dove, nei soli primi 5
fascicoli usciti pei pontificati di Innocenzo III e Onorio III, rivela
moltissimi errori e maggiori mancanze, asserendo di poter aggiun-
gere migliaja di documenti. Nel solo primo anno del pontificato di
Onorio III egli trovò 400 documenti ignoti al Potthast, o errati
o incompiuti.
V'ha dunque anche in Italia buoni eruditi.
L'illustre signor Giesebrecht lesse alla R. Accademia di Monaco
una memoria sopra Arnaldo di Brescia.^ Disapprovando il signor
Odorici di aver detto che Enrico Frank VlqW Arnold und scine Zeit
(Zurigo, 1825) avesse dato un Arnaldo a modo suo, applica anzi que-
sto giudizio alle due immagini che esso ne esibì.
È noto che quanto conosciamo di Arnaldo ci viene dal vescovo
Ottone di Frisinga nel racconto delle imprese di Federico Barba-
rossa; ma, sebbene contemporaneo (avendo scritto nel 1158, circa
3 anni dopo la morte di Arnaldo), molti sbagli in cui cade faceano
desiderare nuovi materiali. E ce ne porge la Ristoria Fontificaìis,
primamente stampata il 1868 nei Monumenta Germaniae liisto-
rica^ scritta nel 1162 o 63. L'autore asserisce non avere esposto
se non ciò che aveva visto o saputo con certezza: e pare fosse il
noto Giovanni di Salisbury, scolaro di Abelardo, amico di papa Eu-
genio III e di san Bernardo. Dovranno dunque servirsene quei che
* Sitzunysherichte der philos.-philólog. und histor. Classe der k. Akademie der Wis-
senschaften zu Miinchen, 1873, p. 122 e seg.
NOTIZIE. 219
novamente ordissero la storia del Bresciano. L'anno della sua nascita
è incerto, ma cade sul principio del secolo XII. La Storia Ponti-
ficale lo dà per prete : erat dignitate saeerdos, hahitu canonicus regu-
?am, e ne presenta il carattere ben altrimenti dal vescovo diFrisinga,
e come irrequieto, che, dovunque fosse, guastava la pace tra laici
ed ecclesiastici; nelle scuole bresciane apprese che i sacerdoti non
doveano avere possessi, non regalie i vescovi, non proprietà i mo-
naci; tutto appartenendo all'imperatore. Ottone e san Bernardo
gli rinfacciano pure idee false sulla eucaristia e sul battesimo dei
bambini. Quelle dottrine sulla povertà evangelica erano in Italia
divulgate dai Patarini, che molti seguaci aveano in Brescia, ove
Innocenzo II dovette, nel 1132, fermarsi alcun tempo per deporre il
vescovo Villano e surrogargli Manfredo. Arnaldo si oppose a questo,
e incitò a respingerlo : onde fu processato, privato degli uffizj sa-
cerdotali, e costretto uscire d'Italia. Fu allora che frequentò a Parigi
la scuola di Abelardo," e malgrado il silenzio intimatogli dal papa,
ne continuò l'insegnamento, anche dopo che il vecchio maestro si fu
ritirato nel monastero di Cluny : finché si ottenne che il re cristia-
nissimo lo cacciasse dal regno de' Fracchi. Anche a Zurigo lo per-
seguitò san Bernardo.
Il signor Giesebrecht accompagna diligentemente il Bresciano,
e cerca notizie su lui da varie fonti : e chiarisce quel che gli storici
asseriscono, che il papa intendesse spodestare il senato ; e quanto
Ottone dice sulla rinnovazione dell'ordine senatorio, il che pare un
sogno. Da papa Eugenio ottenne Arnaldo il perdono, e tornò in Roma,
ma mentre spera vasi divenisse appoggio alla Chiesa, cominciò a pre-
dicare errori, che furono denominati la Setta Lombarda: hominum
sedani fecit^ qiice adirne dicitur haeresis Lomhardorum (Hist. Pont.);
ma non par vera la parte che Ottone gli attribuisce nella 'rivolu-
zione di Boma, non trovandosi cenno di Arnaldo nelle cronache che
la riferiscono, né nella celebre lettera di san Bernardo ai cittadini
romani. Il papa nel 1148 lo riprovava come scismatico, poi eum
exeommunieavit Eeélesia romana et tamquam hceretieum prceeepit
evitari. In fatti egli allora predicava non esser il papa un personag-
gio apostolico e pastore delle anime, bensì uomo di sangue, che
presta autorità a incendj e omicidj, tormentatore della Chiesa,
concussore dell'innocenza; che al mondo non fece se non pascer
la carne, empire la sua borsa e vuotare l'altrui, non imitando
220 NOTIZIE.
la dottrina apostolica, sicché non gli è dovuta riverenza, né de-
vonsi obbedire uomini che voleano mettere in servitù Roma, sede
dell'impero, fonte della libertà, e signora del mondo (Hist. Pontif.
p. 538).
Arnaldo trovava ascolto fra il popolo, che allora, rivoltato contro
Eugenio, favoreggiava ai re normanni e all' imperatore Corrado. E
quando Eugenio si pacificò e tornò, Arnaldo rimase in città, soste-
nuto dal senato: mentre Eugenio dovette uscirne, rifuggendo in
Campania, e aspettando ajuti dall' imperatore Federico Barbarossa.
A questo davano spirito i Cesaristi e Arnaldo, osservando, che giu-
sta il diritto giustinianeo, legge doveva essere qualunque volontà del-
l'imperatore, nel quale il popolo aveva rimesso ogni impero e pode-
stà. Ma Federico, malgrado le lusinghe degli Arnaldisti, volle che i
Romani si sottomettessero al papa (23 marzo 1153). Anche il nuovo
senato, nel giovedì santo del 1154 prestò omaggio al nuovo pontefice,
domandando fossero espulsi dalla città Arnaldo e gli eretici lom-
bardi, e il papa celebrò gran festa in Laterano. Arnaldo, abbando-
nato dai maggiorenti, si rifuggì in un ospizio di Camaldolesi, e il
cardinale Oddo, anch'esso bresciano, lo prese: ma lo salvarono i
Visconti di Campagnatico, presso i quali esso era in onore di
profeta.
Alfine Arnaldo fu consegnato al prefetto della città, che lo fece
bruciare, e gettarne le ceneri nel Tevere. Non pare che questo sup-
plizio facesse alcun senso in Italia : negli Annali di Brescia non ne
è fatto parola, benché vi si parli di un altro Arnaldo che avea fatto
la stessa fine a Monte Rotondo; bensì è mentovato in cronache
tedesche.
Qual posto dare ad Arnaldo nella storia ?
La 'grande lite del pastorale colla spada era stata decisa, per
allora, da Gregorio VII; ma dei disordini della Chiesa son piene,
non che le satire, le scritture di san Bernardo e di santa Ilde-
garda, la quale gridava alla riforma, e che il papa badasse alle
cose spirituali, anziché alle temporali. Arnaldo volle di più; nelle
idee diffuse in Lombardia si confermò collo studio della Scrittura,
dei Padri, del diritto romano: buona parvegli sola la povera
Chiesa dei primi secoli, e traviata quella del suo tempo, dove
non riconosceva veri sacerdoti, né veri vescovi. Per riformarla
agitò Francia, Germania, Lombardia, finché potè sommuovere
NOTIZIE. 221
Roma stessa. Ma quali fossero le sue idee non bene consta, né
forse le espose in libri; non da lui ebbero nome gli Arnaldisti,
specie di Patarini, bensì da un Arnaldo che fu bruciato a Colonia il
1168. Arnaldo era parola di spregio in molti luoghi: nello statuto
della riviera d' Orta equivale a bandito o fuoroscito. Ottone ^[o-
rena dice che, all'assedio di Crema per Federico Barbarossa, erat
qucedam magna societas^ solummoclo pauperum et egenorum congre-
gata^ qui derisorie Filii Arnaldi appellabunfur.
Giesebrecht vuol mostrare che Arnaldo fu scismatico, non già
eretico ; e che, come scrive Giovanni di Salisbury, dicehat quce cJiri-
stianorum legi concordant plurimum, a vita quam plurimum disso-
nant. Onde fu in urto colla Chiesa del suo tempo, ma non eretico.
Veramente tal decisione non può venire autorevolmente proferita
da uno storico particolare.
Nella preziosa Revue des questions Jiistoriques, XXX livraison, del-
l'aprile 1874, leggesi un eccellente articolo sulla politica di Sisto V.
È noto come la storia di questo pontefice, tanto favoleggiata dietro
ai racconti di Gregorio Leti, sia stata ampiamente svolta poc' anzi
dal barone De Hiibner.^ Pure da nuovi documenti dell'Archivio Va-
ticano il signor Enrico De i'Epinois, che illustrò il processo di Ga-
lileo, trasse altre notizie sulla politica di quel pontefice negli affari
di Francia al tempo di Enrico III, di Caterina de Medici e dei
Guisa. Nella deplorabile scissura de' Cattolici fra loro, Sisto V, non
che pescar nel torbido, come si ripete secondo una frase del Pi-
sani, non cercava che riconciliare; ma le varie fazioni aveano in-
tenti diversi, onde giocavasi di abilità, posponendo l'interesse della
religione e della patria alle passioni.
Quando avvenne l'emancipazione de' paesani in Russia (poiché
tutte le libertà si dan mano) furono anche aperti gli Archivj, e così
agevolato il ritessere la storia antica del grande impero sopra una
farragine di materiali, adunati in quelli. Subito si formarono società,
giornali, raccolte, come gli Archivj Russi del Bartenev, conser-
vatore della biblioteca Tchertkov ; i Vecchi tempi russi di Sèmevski ;
la Società storica delV annalista Nestore di Kiev; la Raccolta della
* Sixte Quint par M. le Baron de Huebner. Parigi, 1870.
222 NOTIZIE.
Società storica di Pietroburgo , sotto il patronato del gran prin-
cipe ereditario; altre società che in parte preesistevano, presero
nuova vita. Lungo sarebbe, né appropriato al luogo il rammentare
le tante istorie pubblicate in questi anni, cominciando dal veterano
di quegli scrittori, Pogadine, tanto nemico de' Cattolici, da crederli
dannosi all'impero più che un libero pensatore e un nichilista, e
venendo al suo grand' avversario Kostamarov {Storia della Bussia
considerata nella vita de* suoi principali rappresentanti)] sl Soloviev,
che stampò il XXIII volume della Storia russa dai più antichi tempi,
servendosi ampiamente de' documenti originali ; a Bestojev-Rumine,
che ne cominciò una più compendiosa ; ad Arseniev, che stampò le
Carte storiche (1872) e la Storia délV Accademia delle scienze; a
monsignor Macaire, metropolita di Lituania, che fa una storia della
Chiesa Russa (finora sette volumi, che arrivano al 1589); a Ikomikov
nella Par^e della civiltà hisantina nella storia russa; a Choubinski
che pubblica gli scrittori stranieri sulla Russia del XVIII secolo,
legato col Catalogo degli scritti sulla Bussia in lingue straniere,
pubblicato dai bibliotecarj di Pietroburgo.
Ci piace annettervi il nome d'un nostro concittadino, il barna-
bita P. Tondini, che, dopo altri lavori di polemica religiosa,^ ora
stampò lo Statutum Canonicum^ o regolamento ecclesiastico di Pie-
tro il Grande.
C. C.
* In questi The pope of Rome and the popes of the orientai Oì'thodox church, an
essay on monarchi/ in the church, with special reference to Russia. London, 1871.
DOMANDE E RISPOSTE.
Domanda. L'Argelati, nell'articolo MDXCIX Sitonus Bartholo-
MAEUS della Biblioteca degli Scrittori Milanesi, parla per incidenza
anche del dotto giureconsulto ed avvocato Giovanni Sitoni, dicen-
dolo: " virum in Patriae antiquitatibus versatissimum, cujus eruditio
„ non parum auxilii in hac Bibliotheca texenda nobis attulit, ut
„ facile agnoscet quicumque eam inspexerit . . . Quamvis alienum
„ sit ab instituto nostro viventes laudare , placet doctos monere,
„ praeter alia Opera tam edita, quam mss., ipsum cudisse Familia-
„ rum hujus Metropolis geneses numero CCXXVI , e quibus LXX
j, praelo donatae jam publicam viderunt lucem „ . (Voi. II, parte I,
col. 1413.)
Avvi in alcuna biblioteca od archivio, la raccolta completa di
tali settanta genealogie a stampa di famiglie milanesi? o almeno, a
quali famiglie si riferiscono le stampe tuttora conservate? È alle
stampe qualche biografia dell'insigne erudito, la quale possa age-
volare una risposta a tali quesiti? o resta a farsi? Per determi-
nare i casati delle altre 166 genealogie sitoniane tuttavia inedite
quando scriveva l'Argelati, cioè nell'anno 1745, è mestieri premet-
tere questa indagine.
Intanto avvertiamo che il Sitoni nel 1726 pubblicava i Monu-
menta Genealogica Nohilium de Nava. In fine del Theatnim eque-
stris nohilitatis secundae Bomae, seu Chronicon insignis collegii
Jurisperitorum, ecc., dato in luce da esso Sitoni in Milano nel 1706,
sono indicate quattro opere da lui scritte e destinate alla stampa,
la quarta delle quali è Theatrum genealogicum familiarum illu-
224 DOMANDE E RISPOSTE.
strium, nohilium et civium incìytae urbis Mediólani a saeculo na-
tàl. Christ. XII ad XVIII, agnità corporis morfalitate, concivibiis
suis, auspicata nominis aeternitate, latino idiomate posteritati com-
mendabat lohannes de Sitonis deScotia I. C. Nob. Medioìan. An.
Virgin. Pari. MDCCV in fot. paginis 578 distinctum; ubi, inter
alias, seqiientium familiarum genesis ex authenticis documentis
excerpta recensetur. Le famiglie di cui segue l'indice alfabetico sono
469, coir aggiunta delle iniziali B. C. D. F. M. e P. contraddi-
stinguendo le più cospicue per Baronato, Contea, Ducato, Feudo,
Marchesato e Principato. Per quanto è a mia cognizione, tal la-
voro rimase inedito; e trovasi presso l'ingegnere milanese Cesare
nob. Riva Finoli, con altri moltissimi mss. Sitoniani.
Giuseppe Porro.
Domanda. Esiste nell'Archivio di Stato di Milano un atto nota-
rile originale in pergamena, con autenticazione dei notaj e del
conservatore dei consoli di Bologna, dove si descrive l'ingresso di
Giulio II in quella città l'il novembre 1506, dopo che avea ridotta:
" nuperrime sub totali ditione sedis apostolicse ac sacrosanctse Ro-
" manse Ecclesise civitatem et populum bononiensem, expulsis qui-
" busdam ejus primatibus „. Scopo principale dell'atto era di con-
statare l'ordine, con cui nell'accompagnamento furono disposte le
varie corporazioni.
Si bramerebbe sapere se questo atto sia edito.
Domanda. L'illustre geologo cav. Michele Stefano de Rossi di
Roma, editore d'un giornale sul Vulcanismo italiano, scrisse al
Cantù, chiedendo se, nelle carte qui raccolte del Volta, di cui esso
direttore diede contezza al R. Istituto Lombardo, s'incontrino no-
tizie o descrizioni rimaste inedite di fenomeni sia meteorici, sia re-
lativi alla fisica terrestre. L'avv. Zanino Volta, inteso da qualche
tempo all'esame degli autografi del Volta e dei documenti a lui re-
lativi che si conservano qui ed altrove, diede questa
Bisposta. Con soddisfazione ho accettato l' incarico di rispondere
alla sua del 6 marzo, cosi per affetto alla memoria dell'avo, quanto
per secondare la nobile impresa che promuove nel campo della
scienza la nuova pubblicazione.
Il sommo fisico lombardo, sebbene amantissimo di tutte scienze
DOMANDE E RISPOSTE. 225
naturali, non si può dire siasi occupato ex professo delle forze
endogene terrestri ; curò sempre bensì d'informarsi degli studj fatti
in proposito da altri, né mancò d'interessarsi, ogniqualvolta gli si
presentò l'occasione, di geologiche indagini. La meteorologia poi
costantemente predilesse, così che portava sempre con sé termome-
tri, barometri ed al trr strumenti all'uopo, facendo regolari osser-
vazioni in date ore del giorno e perfino in vettura; delle quali
annotava scrupolosamente i risultati, per procedere a confronti e de-
duzioni scientifiche. Fu direttore d'osservatorj, ne promosse la mol-
tiplicazione, suggerì metodi giudiziosi per esercitarli, studiò l'elet-
tricità atmosferica, che seppe con apparati di propria invenzione
misurare, ed emise una nuova teoria, appoggiata ad ingegnose spe-
rienze, sulla formazione della grandine. Quantunque indiretta, una
relazione intercede tra siffatti studj e quelli sul vulcanismo, che
saviamente voglionsi accompagnati dalle osservazioni meteorologi-
che ; vantaggioso pertanto riuscirà, quante volte sarà possibile,
r effettuare oggi il connubio fra le ricerche delle due maniere che
fatte avranno gli studiosi ne' tempi andati, e divisamente, e rivolte
a disparate mire. Ma delle osservazioni e dei dati riguardanti la
meteorologia, che risultano dagli scritti del Volta, una relazione
completa dovrebbe riuscire alquanto estesa: confido per altro le
saranno d'aggradimento alcune idee e brani sull'argomento delle
montagne, che tolgo dalla relazione, scritta dal Volta per incarico
del ministro conte di Firmian, di un viaggio scientifico nella Sviz-
zera, nell'autunno 1777,^ coll'abate Francesco Venini, distinto na-
turalista, e il conte Francesco Visconti, amante anch' egli delle
scienze naturali, poi il letterato G. B. Giovio. Si procurarono
essi due barometri portatili perfettissimi, fabbricati dal Saruggia
di Milano, colla scala mobile e con adattati termometri di corre-
zione, secondo il De-Luc ; un eudiometro di M. Landriani, un piccolo
apparato per l'aria infiammabile, oltre diverse calamite, mercurio,
acquaforte, ecc. In verità non si proponevano eglino studj di vulca-
nismo, ma piuttosto mineralogici, geologici e di fisica speciale. Alle
osservazioni sui minerali, colla sua abituale sincerità e modestia,
' Relazione quasi sconosciuta, perchè stampata in soli settantasei esemplari per nozze
or fa cinquant' anni, e eh' io intendo ripubblicare, unitamente a molti altri scritti suoi,
poco noti o inediti.
226
DOMANDE E RISPOSTE.
t dichiara il Volta d'essere quasi neppure iniziato : " le barometriche
(scrive), furon quelle a cui ci applicammo colla più scrupolosa esat-
tezza. Si cominciarono a Como il giorno 3 settembre 1777, e si
proseguirono fino al lago di Lucerna il giorno 10. Si portarono
i barometri con noi a cavallo, e si facea una stazione ogni tre ore
circa, talvolta anche più spesso, per porli in esperienza. Questi ba-
rometri non differivano mai di Vio ^^ linesb un dall'altro, posti
nell'istesso luogo. Così verificata la bontà degli stromenti, proce-
devamo con quest'ordine, che uno di noi con un barometro rima-
nesse indietro una stazione, e quivi alla data ora facesse l'osser-
vazione, notando esattamente sì l'altezza della colonna barome-
trica, che i gradi di calore ne' termometri posti e al sole e al-
l'ombra (ciò ad oggetto di poter fare, secondo insegna il signor
De-Luc, le necessarie correzioni), mentre l'altro di noi, nell'ora
medesima e con le medesime attenzioni, farebbe la sua osserva-
zione col barometro compagno alla stazione avanzata. Per tal ma-
niera si escludeva ogni scrupolo che le variazioni dell'atmosfera
potessero aver parte nel portare il mercurio a diversa altezza ne*
due barometri, e rimaneva quella qualunque fosse differenza notata
in tali osservazioni contemporanee, da attribuirsi unicamente alla
situazione più alta a cui si trovava uno dei due. Penso di non far
cosa discara a V. E. trascrivendole qui il giornale di tali nostre
osservazioni.
« 3 settembre 1777.
» A Como alla riva del Lago :
ore 14. . ■ Bar. poli. 27, lìn. l.oTerm.gr.S*/^. 2.o Term. gr. 25.
> A capo del Lago di Lugano : 5. Tempo sereno.
circa 4 ore dopo Bar. poli. 27, lin. l.o Term. 13*/^. 2.» Term. 22.Ven-
1 '/^. to gagliardo al-
« 4 settembre: cune ore dopo.
» A Lugano Bar. poli. 27, lin.
17^. Ser. pla-
cido.
> Sulla cima del Monte Cenere:
circa 3 ore dopo Bar. poli. 26, lin. l.« Term. 6. 2.o Term. léVj.
4.
» A Bellinzona: circa 3 ore dopo Bar. poli. 27, lin. 1.° Term. 7, 2.^ Term. 15.
» 5 settembre :
A Cresciano: ore 1472 • • • Bar. poli. 27, lin. 1.° Term. 5. 2.o Term. 7.
67,.
A Ossogna: ore 16 Bar. poli. 27, lin. l.o Term. 10. 2.o Term. 14 75
5.
DOMANDE E RISPOSTE. 227
» A. Giornico: ore IQ'/j. * . . Bar. poli. 27, lin. l.o Terra. 12. 2.» Terna. 17.
» A Faido: ore 23 72 Bar. poli. 26, lin. l.o Terra. 7. 2.o Terra. 9.
2.
» A Degio 0 Dazio grande: ore 1
sera Bar. poli. 25, lin. 1." Terra C'/j. 2.» Terra. --
5. •
» 6 sertembre:
» A Fiotta: ore 15 Bar. poll.25, lin. l.o Terra. I^j^. 2.o Terra. 9. 16.
27,.
» Ad Airolo: ore 17 Bar. poli.24, lin. l.oTerm. 9. 87j. 2.oTerra.9. 137..
10.
« 7 settembre:
» Sul monte di S. Gotardo al-
l'ospizio de' Cappuccini :h. 17. Bar. poli. 22, lin. l.o Terra. 0. 2.o Terra. —
» 8 ottobre :
» Sulla cima meridion. dell'^?-
pe di Fiendo, in alt. orizzont.
molto superiore al piano del-
la Ghiacciaja di Luzzendro,
ma molto ancora inferiore alla
sommità del monte che sovra-
sta la stessa Ghiacciaja: h. 16 Bar. poli. 20, lin. l.o Terra. 0. 2. o Terra. 9. 10.
7.
« Circa all'ora stessa ad Airolo Bar.poll.24, lin. l.o Terra. 9. 9. 2.o Terra. 9. 20.
93/,.
« All'ospizio dei Cappuccini: •
verso sera Bar. poli. 22, lin. l.o Terra. 0. 2.o Terra.—
IV4.
« A Orsera allo Spedale: due
ore dopo Bar. poli. 23, lin. l.o Term. 4. 2.o Terra. —
lOV,.
« 9 settembre :
« A Cassinotta Bar. poli. 24, lin. l.o Term. 6. 2.o Terra. 16.
11'/..
« A Wasen: poche ore dopo . Bar. poli, 25, lin. l.o Term. 6. 2.o Term. 16.
67,.
« A Staeg.: mezzo giorno. . . Bar. poli. 26, lin. l.o Term. 10. 2.o Terra. 18.
€ Ad Altorf: verso sera. . . . Bar. poli. 26, lin. l.o Term. 8. 2.o Terra. —
« 10 settembre:
« Ad Altorf: verso le h. 12 . Bar. poli. 26, lin. l.o Term. 6. 2.o Term. —
11.
< Alla riva del lago di Lucer-
na: circa un'ora dopo. . . . Bar. poli. 27, lin. — — -^
„ Il tempo fu in tutti questi giorni sereno e tranquillo.
„ Queste osservazioni barometriche con tanta esattezza furono
228 DOMANDE E RISPOSTE.
da noi fatte ad oggetto di determinare le diverse altezze a cui
salivamo, seguendo le regole spiegate dal signor De-Luc, nella sua
grande opera: Modifications de VAtmosphère.
„ Il calcolo pertanto fatto dal signor Ab. Venini, che meco era,
ci dà:
„ Dalla cima dell'Alpe di Fiendo all'Ospizio de' Cappuccini di San
Gotardo, tese 312. iS
Da San Gottardo ad Orsera 371.753
»
„ Da Orsera a Cassinotta 200.779
„ Da Cassinotta a Wasen » . . 87.776
„ Da Wasen a Staeg 77. 533
„ Da Staeg ad Altorf 39. 708
„ Da Altorf al lago di Lucerna 23.466
" Che sommando assieme fanno. . . 1114. 691
„ Il signor De-Luc ha coll'istesso suo metodo cal-
colato l'altezza del lago di Lucerna sopra il livello
del mare, tese 220. —
„ Sicché la più alta cima a cui siamo saliti, cioè
quella dell'Alpe di Fiendo, è elevata sopra il mare, tese 1324. ì^. „
Questi risultati (che s'avvicinano moltissimo a quelli ottenuti
dal De-Saussure e dal Jetzler) asserisce il Volta francamente, ri-
guardando massime al metodo tenuto di osservare sempre contem-
poraneamente a stazioni diverse due barometri perfettissimi ed
egualissimi, ninno in esattezza averli superati.
Ricca di dettagli e coi colori più vivi segue la descrizione delle
montagne attraversate. Nel passaggio delle Alpi salendo la vai del
Ticino fino al San Gotardo, e discendendo al di là la valle del Reuss
fino ad Altorf, le altissime rupi, i massi che minacciano rovina, gli
abissi e le cupe voragini della -valle, visibilmente scavata dalle
acque che precipitano in fragorosi torrenti dai fianchi logori dei
monti, sopraffanno i sensi ed offrono alla meditazione argomenti
parlanti dell'estrema vetustà di questo nostro globo, circondandolo
d'un' aria di decrepitezza che è impossibile non ravvisare. Così il
nostro insigne fisico scorge negli screpoli, nelle frane, nello sfaci-
mento continuo e generale di que' dorsi immani le traccio dell'a-
^ione indeficiente e combinata degli elementi, che da una serie lun-
ghissima e al nostro pensiero inarrivabile di secoli opera in mille
DOMANDE E RISPOSTE. 229
maniere, colle nevi, coi turbini, colle vicende d'umido e di secco,
di ghiaccio e di sgeli. Recondite alcune forze ed ignote, altre este-
riori visibili, esercitano un'influenza costante sulla materia ina-
nimata e in apparenza inerte : cause violente, che agiscono ad in-
tervalli, a scosse, e cause lente ma non meno efficaci siccome
continue, concorrono a questo perenne modificarsi della crosta
terrestre, che diresti sfacelo, ma è trasformazione.
Innamorato della natura, il Volta si piace assai di richiamare
al pensiero i luoghi più pittoreschi ammirati fra le montagne, e di
condurvi quasi il lettore, discorrendo pur sempre delle cose per
la scienza meglio interessanti. La mancanza di esatte osservazioni
sull'altezza d'altri monti lo induce in errore rispetto al S. Gotardo,
l'ospizio del quale egli ritiene l'abitazione più alta di tutta Europa.
Ma assennatamente esterna poi sull' origine dei fiumi le sue idee
positive in questa sentenza : " Si sono fatte tante quistioni sull'o-
rigine de' fiumi, si sono fabbricate tante ipotesi; ma se, invece di
disputare e di scrivere, di far sistemi e di combatterli, di calcolare
con pochi tratti di penna la quantità de' vapori e delle pioggie, di
creare a loro posta nell'interno de' monti e ricettacoli e filtri e
limbicchi, si fossero per tempo avvisati i filosofi di sortire dai loro
gabinetti per seguire il filo de' fiumi risalendo alle loro prime sor-
genti nelle Alpi, veduto avrebbero come tutti i fiumi hanno la loro
culla e l'alimento perenne dalle ghiacchiaje, le quali per istempe-
rarsi e stillare che facciano sotto la sferza del sole, o per influsso
di pioggie e di venti tepidi, non avviene però mai che si struggano
del tutto e manchino. Son desse le ghiacciaje che visibilmente par-
toriscono il Ticino ed il Eeuss. Io ne ho vedute le prime goccio
stillanti da un muro di ghiaccio, e i primi *fili serpeggianti per il
muschio, pei rottami e per le fessure de' sassi: questi fili riuniti
in rivoli gli ho seguiti fino ai primi ricettacoli, che sono i laghetti^
del S. Gotardo, e di là finalmente ho visto scendere le acque
più raccolte, e dar principio al vero fiume. L'estensione delle
ghiacciaje è vasta dietro le nominate cime de' monti, e quindi
hanno l'origine gli altri fiumi, il Rodano, l'Aar, il Reno; il primo
dietro il monte Forca, il secondo dietro il Grimsel, e l'ultimo nel
monte Adula, posto più ad oriente, nel paese de' Grigioni. Gli altri
due gran fiumi d'Europa, il Danubio ed il Po, scendono dalla stessa
catena delle Alpi, ma distanti, e un di qua, un di là del S. Gotar-
Arch, Stor. Lomh. — An. I. 15
230 ' DOMANDE E RISPOSTE.
do ; e la loro origine va a perdersi sicuramente ne' grandi ammassi
di ghiaccio che regnano tutt'al lungo dell'anzidetta catena. „
Gli eseguiti scandagli indussero Volta a ritenere di granito tutta
la massa interiore de' monti alpini, i quali però debbono credersi
Originarj, se di tali pur ve n'hanno coetanei alla prima formazione
della terra, perocché non mancano argomenti di crederli essi pure
figli deW acqua o del fuoco ^ partoriti in alcuna delle grandi convul-
sioni che deve aver sofferto ne' primi rimotissimi tempi il nostro
gloho. Od almeno si giudicheranno primarj, per essere le monta-
gne secondarie costituite di pietra calcare, di arenaria, di breccia,
portanti ben chiari indizj d'una formazione posteriore per sedi-
mento delle acque, o per opera di queste che abbiano ammassati
materiali, o scavato il terreno. Come il nucleo e 1' ossatura dei
monti Elvetici, sono di granito le vette, i massi caduti nelle valli,
i balzi e le rupi. A tale conclusione sono giunti anche gli altri
più diligenti osservatori che attraversarono e studiarono le Alpi
in diversi punti, specie il signor De-Saussure, il quale percorse
più volte tutta la grande catena. Avverte il nostro autore qual-
mente anche l'interno dei Pirenei risulti di pietra granitosa, secondo
una bella memoria del signor D'Arcet, del 1775, e serbino quei
monti una singolare somiglianza alle Alpi nelle creste e nei dirupi
e sfasciamenti, colle stesse vestigia di vetustà e decrepitezza. Finisce
pertanto col dire che, se anche nelle Cordilliere dell'America Me-
ridionale si trova un nucleo simile, saremmo condotti a stabilire
quasi con sicurezza, l'interna massa delle montagne primarie della
terra essere di granito.
A Lucerna il Volta fu compreso d'ammirazione al vedere il mo-
dello in rilievo della Svizzera che stava costruendo il senatore Luigi
Pfiffer, non compiuto poi per non bastare l'intera vita di un uomo
a tanto lavoro. Presenta questo a un tratto, con giustezza e pro-
porzione, monti e vallate e laghi e torrenti : vi riscontra il viag-
giatore con compiacenza quel paese accidentato che ha percorso,
0 che si dispone a percorrere ; né bosco manca o casolare, il tutto
co' più veraci colori rappresentato. Ma il filosofo naturalista mag-
giore soddisfazione risente contemplando ad agio l'estensione e i
caratteri di una regione, alla storia naturale cosi interessante: e
in queir esatta riproduzione del vero attuale " trova stabilito pei
secoli avvenire un punto di paragone da cui misurare il successivo
DOMANDE E RISPOSTE. 231
cangiamento e la degradaMone che produrvi sapranno la rivoluzione
de' tempi Certamente l'aspetto generale di quell'ammasso di
monti, divisi dalle principali valli in lunghe catene, tre massime
osservabili, tirate quasi per diritto dal principio alla fine del detto
ammasso montuoso e per tutto quel tratto continue, se non in
quanto vengono intersecate da altre valli e torrenti minori, aventi
quella di mezzo la màssima altezza, e minore a proporzione le la-
terali, e declinanti tutte gradatamente verso le due estremità: un
tal aspetto, dissi, ne conduce naturalmente a pensare che tutt' in-
sieme quella massa non fosse da principio che un sol monte, una
elevazione di una parte della terra in forma di gobba, ossia un
gran dorso convesso; e questo tutto quanto, o almeno l'interno
nocciolo, di viva e soda pietra; che poi bersagliato dall'ingiurie
del tempo e degli elementi, dalle pioggie, dai venti, dai geli intac-
cato e sordamente minato (per nulla dire dei tremuoti e dei vul-
cani che concorrer poterono colle loro tremende scosse, e fors'anche
furono i primi a lacerarlo ed infrangerlo), cominciasse a dare scoppj
e ad aprire fessure e condotti alle acque, le quali seguendo indi col
rapido corso a tagliare e sprofondare que' primi letti, e con irru-
zioni improvvise a scavarne de' nuovi, giunsero col lungo andare
de' secoli a formare tutte quelle gran valli che veggiamo di presente.
Tale è il sentimento dell'istesso signor Pfiffer; al quale ognuno di
buon grado consente, qualor facciasi a considerare con attenzione
il tutto e le parti di quel gran paese montuoso nel suo modello in
rilievo. „
Dal distinto fisico Luigi Magrini fu reputata questa relazione del
Volta uno scritto prezioso appunto per le copiose cognizioni che
contiene di mineralogia e geologia, a quelV epoca pregievolissime ;
pel saggio allora importantissimo di livellazione barometrica fatta
dalle Alpi sul lago di Lucerna, e pei germi che racchiude di molte
future di lui scoperte.
Volentieri mi dilungherei nel riportare altri squarci degli scritti
del grande avo, quando li trovassi in rapporto meno indiretto
colla scienza del vulcanismo. Mi limito pel momento a questo poco;
ma se m'accadrà di rinvenire fra le memorie che vado spogliando
alcuna cosa meritevole di riguardo in rapporto agli studj ch'Ella,
egregio professore, coltiva, sarà per me un grato dovere il darlene
comunicazione, purché io speri d'incontrare il di Lei benevolo ag-
gradimento.
BIBLIOGRAFIA.
T. Zeller, Les trihuns et les révólutions en Italie, in-16. Paris.
Giovanni di Precida, rivoluzione nazionale: Arnaldo di Brescia, ri-
voluzione mistica; Rienzi, rivoluzione classica: Michele di Landò, rivo-
luzione sociale ; Masianello, rivoluzione popolare, sono le scene che lo
Zeller staccò dalla storia d'Italia per offrircene episodj drammatici
e istruirci che colla fantasia si sommuove, ma non si fonda nulla : per
fondare ci vuol saviezza e ragione.
Egli aveva già raccontata la storia del Savonarola nella Italie et
la renaissance,
A. Lecoy de la Marche, L^Académie de France à Home. Paris,
Didier, 1874, un voi. di pag. 385.
È la corrispondenza inedita dei direttori di quell'Accademia, comin-
ciando da D. Errard nel 1669, e arrivando a Menageot, nel 1791. Di
quest'ultimo riportiamo il giudizio che, dell'arte italiana, dava nel 1788.
a Si cerca che la scuola di Francia superi l'Italia e l'altre nazioni: e
finora ha questa preminenza, e spero non iscapiterà, avendo io cura
di mantener 1' emulazione , 1' amore dello studio e della gloria. Non
potete immaginare in quale stato sia oggi la scuola di pittura romana,
Non c'è persona che meriti d' esser citata; salvo uno scultore venezia-
no, chiamato Canova, che mostra vero talento, tutto il resto fa com-
passione; non si trova pur l'ombra dell'antica scuola romana; e non si
comprende come, in mezzo a tante belle cose, l'arte possa esser caduta
in un gusto così meschino, così manierato, insomma cosi lontano dai
grandi maestri e dalla natura «.
Il Canova avea fatto nientemeno che il monumento di papa Cle-
BIBLIOfìRAFJA 233
mente XIV. E questo e gli altri giudizj sui nostri meriterebbero d'es-
sere presi in esame, senza boria patriotica. Qualcuno potrebbe poi tes-
sere la storia de' nostri Lombardi che furono mandati a studiare a Roma ;
al che l'Archivio di Stato offrirebbe materiali, anche curiosi.
LuciEN Du Bois, Lettres sur Vltaìie et ses musées. Bruxelles et
Paris, 1874, un voi. di pag. 514.
L' autore, nel visitare i musei di Kapoli, giacche a questi si limita
il volume or pubblicato, discorre de' varj artisti, e ne giudica con idea-
lità. Di Leonardo ripete la favola che abbia lasciata incompiuta u la
figura del Cristo, disperando renderne la divina bellezza w. Sul Savo-
narola accumula molte inesattezze a pag. 63, e massime sulla venera-
zione che ne mostrarono molti pontefici : ma lo strano è l' udirgli dire :
u Vuoisi che a Firenze esista un suo ritratto. Io non l'ho visto w.
Naturalmente discorre della storia e dell'indole dei Napoletani, con
mistura di vero e d'esagerato. Ci piace ove scrive: a Quasi tutti i viag-
giatori s'accordano a rappresentarci i Napoletani come vigliacchi e in-
fingardi. Trovo questo giudizio assolutamente falso, e fondato sopra os-
servazioni superficiali e incomplete. Non v'è nel Mediterraneo marinaj
più intrepidi dei pescatori napoletani » ; e ne descrive il coraggio e
l'attitudine pittoresca, come di gente che si sente libera mediante il la-
voro (pag. 31) : a Nulla che ne mostri bassezza o servilità, e non con-
siglierei a nessuno di far loro ingiuria, o attaccar lite. Gli antichi lazza-
roni or lavorano anch'essi con un coraggio e un'assiduità^ che un giorno
saranno ricompensati. Bisogna tenersi in guardia contro le accuse dì
viltà, lanciate a tutto un popolo. Se si rammentano i soldati napoletani
che fuggivano al cominciare dell'attacco, e agli ufficiali che voleano te-
nerli rispondevano , Ma e' è il cannone^ non bisogna dimenticare il reg-
gimento napoletano che, nella ritirata di Russia, diede esempio d' in-
trepidezza all'esercito francese, v
Roux, Hist. de la littérature contemporaine en Italie soiis le re-
gime unitaire. Paris.
Sarebbe una prova come un certo pubblico si interessa delle opere
leggiere, e ignora o trascura le gravi e serie. Troppo meschino giu-
dizio avrebbe a proferirsi sull'Italia dal 1859 al 74 se avesse pro-
dotto quel solo che ci è dato in questo libro, e l'avesse giudicato come
in questo. Eppure molti vorranno attingere colà giudizj e stima, e
tradurre e ripetere quelle valutazioni come oracoli: perchè ci vengono
in lìngua straniera. Ecco l'indipendenza.
234 BIBLIOGRAFIA
DuMESNiL. Histoire de Jules 11^ sa vie et son pontificat. Paris,
1874.
Il grido di Fuori i Barbari! bastò perchè alcuni collocassero Giu-
lio II fra i grandi pontefici, foggiati alla loro moda. Il principe che
menò tante guerre per crescere i dominj temporali della Santa Sede,
col sottrarli, è vero, alle violenze de' tirannelli ; che cangiò alleanze e
nimicizie secondo il gusto; che osteggiò la più italiana delle potenze,
Venezia, e contro di essa o mosse o secondò quella lega, che fu il primo
delitto della politica moderna, e s' impegnò a procedere contro di quella
anche colle armi spirituali, dichiarando di buona preda le navi loro, ci
si fa, piuttosto che il successore di Pietro e dei Q-regorj, riconoscere il
contemporaneo e il tipo di Machiavelli. Difatti il Dumesnil trova dete-
stabile la politica di Luigi XII che consegna l' Italia e l' Europa alla
preponderanza spagnuola; e perfida la condotta di Giulio II. Chi po-
trebbe però dimenticare la sapienza di tanti suoi atti, il favore dato
alle arti, e quella magnanimità di cui è improntata tutta la sua vita?
Trista la biografia che si riduce a panegirico o a diatriba, a Chanterel
o a Gregorio Leti!
A. Dantier, Études sur V Italie. Parigi 1874, 2 voi. in-8.
Dantier ha voluto studiar l' Italia u senza cercare ne l' effetto, ne lo
scandalo, ma dicendo la verità qual risulta da un' indagine fatta con-
tradittoriamente sui testimonj più diversi, ma fatta fuor delle passioni
umane che amplificano il male e le cieche condiscendenze che lo negano
o dissimulano ». Proposito ben raro e in casa nostra e fuori; e viepiù
difficile qui, dove l'autore tocca ai punti più ardenti, la Chiesa, la Li-
bertà, il Governo. Così toglie ad esaminare la trasformazione del mondo
pagano nel moderno, riconoscendo^ senza esagerarla, l'influenza del cri-
stianesimo, che scomponeva la società antica come il dente nuovo scuote
e fa cadere quello di latte; e fra quei che vi vedono solo un'evoluzione
regolare, e gli altri che divisano la trasfusione di sangue straniero, l' in-
nesto delle razze tedesche, Dantier riconosce che vizj e ruine erano il
retaggio della civiltà romana e della barbarie germanica; sopra i quali la
Chiesa doveva edificar la società moderna, e consolidarla. Quello spet-
tacolo del riformarsi d'un mondo intero non è più nuovo, dacché alcun
di noi osò affrontare francamente i pregiudizj enciclopedisti e di quei che
al passato imprestavano la loro ignoranza dei fatti e inintelligenza delle
idee; e nel medioevo mostrò, non un tempo di barbarie o rozzezza, ma
un inverno che ricopriva i semi che prospererebbero appena cessasse
il rigore.
BIBLIOGRAFIA. 235
Quelli che afiFettano ignorare i lavori nostrali (heu rerum ohlita tua-
rum!)y ne vedano almeno i risultati nell'erudita ed elegante opera d'uno
straniero.
Friedlaender, Civili^ nazione e costumi romani dal regno di Au-
gusto alla fine degli Antonini.
Quest'opera tedesca, in 4 volumi, andò migliorando nelle quattro edi-
zioni che finora se ne fecero, e meriterebbe essere fatta conoscere al-
l'Italia, come una delle più serie di archeologia e storia.
The poems of Mary queen of Scots, edited by Julien Sharman.
Londra, Dickerius.
È uno di que' lacchezzi bibliografici di cui si piacciono alcuni signori
inglesi, facendone tirare pochi esemplari. Maria Stuarda è contata fra
i migliori scrittori del suo tempo, neppure eccettuati lord Bacon e Fi-
lippo Sidney; circondata di poeti, avendo una scelta biblioteca, scri-
veva in latino, in francese, oltre l'inglese e scozzese, ed anche in ita-
liano. E appunto noi citiamo questa raccoltina per un sonetto italiano
che v' è compreso, e che i curiosi cercheranno. *
Cantù Cesare, BelV Indipendenza Italiana. Cronistoria.
Sono pubblicati il primo volume che comprende l'epoca francese ; e la
prima parte del II che presenta l'epoca austriaca. L'ultimo fascicolo
uscito, che è il XXYIII, dà gli avvenimenti del 1848.
* Maria Stuarda resta una delle più segnalate vittime dello spirito di partito, massime
in fatto di religione. Riguardata come personificazione del cattolicismo in lotta colla
Riforma, della legittimità colla rivoluzione, s'adoprarono contro di essa le arti più fine,
e il peggior suo nemico non fu colei che la mandò al patibolo.
Note sono le opere contro di lei degli Anglicani e degli Enciclopedisti, fin a quella
così severamente calma del Mignet. Ma dopo questa, nessuna seria ne fu scritta, mentre
molte a sua difesa, massime rivedendo negli ArcMvj le lettere, ad essa falsamente at-
tribuite, e le deposizioni in processo de' suoi avversarj.
Wiesener, Giulio Gauthier (premiato dall' Accademia Francese), Labaneff, Meline, Petit,
Hosack, un anonimo inglese, miss Strickland, con documenti alla mano, e collocandosi
ben di sopra dello spirito dì setta e delle opinioni politiche, ostinaronsi a chiarir la verità,
e proclamarla contro i dotti pregiudizj.
Per di^e d'un fatto solo, la più grave colpa che le si appone è d'aver voluto cambiar
la religione del paese, sottoscrivendone il patto colla Lega Cattolica. Ora il nunzio del
papa, in lettera del 16 marzo 1567 a Cosmo di Toscana, la incolpa precisamente di non
aver mai voluto intendere di firmare essa Lega, e perciò essersi rovinata. E desiderabile
che questi ultimi lavori sieno fatti conoscere all'Italia.
236 BIBLIOGRAFIA.
Vito La Mantia, Storia della Legislazione civile e criminale di
Sicilia comparata con le leggi italiane e straniere, dai tempi
antichi sino ai presenti. — Palermo, 1874, 2 volumi.
Monsignor Paolo di Giovanni istituiva un premio di lire 5100,- che
ogni quattro anni si desse a giovani siciliani, studiosi specialmente della
storia sacra o della siciliana. L' ottennero dapprima il De Luca, or
cardinale, poi il dotto archeologo Matragna, indi l'Ugdulena grecista
ed ebraista celebre, che morì deputato; indi il La Mantia, che s'applica
alla storia patria, principalmente dal lato legale. Quel premio o ecci-
tamento fu sospeso, come tant' altre cose, dalle ultime vicende.
Il La Mantia, nelle Consuetudini delle città di Sicilia^ edite ed ineditej
svolte e comparate con gli articoli delle leggi civili (Palermo, 1862),
dava il testo di tutte le consuetudini importanti in materia civile delle
varie città siciliane; fra cui quelle di Castiglione sono in lingua volgare
del XIV secolo.
Poi continuò ad essere uno dei tanti Siciliani che adoperano l'inge-
gno, la fantasia, l' erudizione ad illustrare l' isola natia. E l'affetto di
questa traspare da ogni pagina dell'opera che annunziamo, e di cui
il primo volume va dai tempi greco-siculi sino al 1409*; adesso com-
parve il volume 11^ che porta dal 1409 al 1806 nella prima parte;
nella seconda fino al 1874_, con ricco corredo di notizie legali e giu-
ridiche, adoperate a mostrar quanta parte di buono contenessero le
leggi e le consuetudini nazionali^ cioè siciliane, conservate attraverso
alla dominazione , spagnuola , poi via via migliorate nella autonomia.
Conchiudendo con una calda esortazione al popolo siciliano, dice fra
il resto:
. tt Le tradizioni giuridiche italiane, che in Sicilia e in ogni parte
d'Italia derivarono dalle romane leggi, e si svolsero in leggi e statuti
molteplici e nella pratica giurisprudenza, non sono ora del tutto inu-
tili. È necessario studiarle, affinchè se ne conosca la parte incompati-
bile colle nuove condizioni, si conoscano e non si riproducano con
mutato nome antichi errori ed abusi, e si scelgano le norme di pru-
denza civile e i molti utili esempj, di cui potrà ancora giovarsi la so-
cietà moderna per migliorare le nuove istituzioni, riannodando, per
quanto è possibile, le tradizioni nazionali al progresso, ispirato ai mi-
' Fra i lavori che si pubblicano in Sicilia distingueremo la Biblioteca Storica del-
l'ab. Gioachino Di Marzo, che ne' volumi XIII, XIV, XVI diede il Palermo d'oggigiorno
del marchese di Villabianca; e nel XVII il Diario palermitano dello stesso.
Molti materiali storici vengono indicati nel Ballettino della Bibliografìa comunale di
Palermo, di cui abbiamo 3 numeri.
BIBLIOGRAFIA. 237
gliori esempj stranieri ed ai lumi crescenti delle scienze sociali, A
questo nobile scopo mirano i varj lavori sulla civiltà e le leggi dei
tempi scorsi. In ogni regione italica si conservano con grande cura
antiche memorie patrie, come utili sempre ed onorevoli, e le glorie di
ogni città e provincia formano la gloria dell' Italia intera. È antica e
non sorge ora la civiltà d' Italia^ ma con estesa popolare istruzione,
<;on opportune condizioni, ora a più libero svolgimento s' avvia.
w Nell'età scorsa si faceano acerbi rimproveri contro ogni italico prin-
cipato, e querele continue per le infelici condizioni italiane; ma quei
lamenti non indicavano generale miseria, ignoranza, barbarie, corru-
zione, ne erano note di degradazione e di ignominia per la patria;
invece esprimevano gli errori ed abusi del Governo, ed additavano
l'aspirazione ad un risorgimento politico, alla liberazione dal dominio
straniero, e ad un maggiore progresso civile. Ninno infatti, malgrado
quei grandi lamenti, rinnegherà giammai, che secondo le condizioni
dei tempi sono onorevoli le tradizioni della civiltà e legislazione di
Sicilia, e d'altre regioni colte d'Italia, quantunque i tempi difficili ne
avessero gradatamente ritardato il progresso. Lodando pertanto i be-
neficj delle nuove istituzioni, ed aspirando a maggiori riforme, i Sici-
liani conserveranno pure le memorie e tradizioni patrie, come fa ogni
popolo civile che sente affetto di patria ; affetto dalla natura ispirato, e
superiore ad ogni umana politica, e sopravvivente a tutte le novità,
sempre rinascenti nella serie dei secoli in tutte le nazioni. L'oblio di
tradizioni sicule intese a conservare le gloriose memorie del luogo
natio, sarebbe un doloroso sacrifizio^ riprovato dalla nostra mente, ab-
borrito dal nostro cuore, sarebbe anzi un delitto; poiché ci rende-
rebbe vili e spregiati, quasi popolo barbaro^ dalV altrui forza o bene-
ficenza avviato a subita civiltà. Noi abbiamo troppo grande eredità
d^ illustri memorie per dirci nuovi all' incivilimento ; e se fummo in
varj tempi, per cagioni diverse, in condizioni infelici, però serbammo
sempre nella miseria 1' altero nome siciliano. Non degeneri discendenti
di generosi maggiori, i Siciliani sentono pure la misteriosa ed univer-
sale brama di sociale riordinamento e progresso, che agita tutte le colte
nazioni; ma intenti a nobili studj, ad ardite riforme, a grandi sacrifizj
per la prosperità comune di tutta la nazione italiana, diranno pur
sempre (anco nei secoli futuri e più civili del nostro) che a migliori
destini e a grande progresso civile vennero ispirati dalle onorevoli me-
morie dei loro maggiori, continuando con forme ed istituzioni novelle
e comuni la grande opera dell'antica e gloriosa civiltà siciliana r».
15»
238 BIBLIOGRAFIA.
Carrara Zanotti Luigi, Serina: studj ed osservamoni. Bergamo y
1874, pag. 140.
È desiderabile che ogni terra, ogni villaggio abbia a stampa la sua
storia, la sua statistica. Oltre l'interesse che si prende alle cose piìi a
noi vicine, queste descrizioni locali diventano stimolo e fondamento a
studj più estesi, ad opportuni paragoni.
Ma non è necessario che l'amor di patria porti alla vanità delle fa-
volose origini, ne dei vanti inconsulti e ridicoli ; ne dovrebbe andare
separato da quella critica che fa repudiare le asserzioni vulgari , e da
quella esposizione, che è come l'abito civile, che ogni persona educata
si mette per presentarsi al pubblico.
Il dottor Carrara Zanotti accompagnò i suoi studj sopra il berga-
masco villaggio di Serina con fotografie delle principali situazioni.
G. B. Intra, V ultimo de' JBonaccolsi, romanzo storico, ^lilano 1874^
in-8 di pag. 322.
Dopo la severa condanna del Manzoni, va a rinascere il romanzo sto-
rico ? Non è questione da questo giornale ; ne noi accenneremmo il libro
del signor Intra, se, come dicemmo del Brusato e à^W Ezelino ^ non fosse
un tentativo di presentare la storia vera cogli allettamenti drammatici.
Qui in fatto, dopo un capitolo I di forme romanzesche, entra la storia dei
Bonaccolsi e di Mantova, che l'autore accompagna « per un'atmosfera
di tirannie, di feudalismo, di doppiezze , di viltà w , intrecciandola a vi-
cende d' amore e di guerra, fino al 1328, cioè al prevalere dei Gon-
zaga, colle solite grida di Viva e Mori, e le solite promesse di libertà
e repubblica, seguite dai soliti disinganni. Fra Jacopone che se n' era
lusingato, muor di crepacuore quando Luigi Gonzaga è gridato capitano
del popolo , sterminati orridamente i Bonaccolsi, ribenedetta la scomu^
nicata città.
Ippolito De Kiso, Riscontri statistici sul già regno di Napoli e la
Calabria tra il 1669 e 1869, Catanzaro, 1873.
L'autore volle, da questo confronto, prender occasione a lodare e
criticare il presente, con molta indipendenza e scienza sicura; e ve-
nerando il supremo magistero del pontefice romano in materia di fede
e di costumi, in faccia al materialismo e allo scetticismo^ autorevolmente e
cattedraticamente predicati, crede che^ perduto il dominio temporale, la
Chiesa deve rinvenire il suo più fermo fondamento nella vera libertà.
Esamina poi se questa si abbia in Italia: e lo dimostra al ministro Min-
ghetti.
BIBLIOGRAFIA. 239
BoNANNi Teodoro, La provincia del Secondo Abruzzo Ulteriore^ con
la sua descrizione fìsico-topografico-geologica. Aquila, 1873.
La descrizione di provincie italiche fu fatta dal Pareto pel Genove-
sato; dal Savi per la Toscana; dal Sìsmonda pel* Piemonte; dal La
Marmerà per la Sardegna; dalle Notizie naturali e civili per la Lom-
bardia ; da Spada, Orsini, Ponza, Luijji per la Romagna; da Giuseppe
del Re per la provìncia di Molise, l'antico Samnium (1836), or ripigliato
da Alfonso Perrella di Cantalupo. Yi si aggiunge questa del Bonanni,
alla quale ne desideriamo simile una per tutte le provincie, sintanto
che si compia la carta geologica dell'intero regno, alla quale lavorano
primarj scienziati.
Storia della denominazione di Basilicata^ per Homunculus. Roma,
1874, opuscoli.
L'Homunculus non è contento della smania odierna di mutar nome
ai paesi e alle cose, e tanto meno di sopprimere i secoli per dar nomi
antichi ai paesi nuovi. Cosi vuoisi denominare Lucania la Basilicata,
quasi abolendo il medioevo e i vanti di Melfi, donde il regno di Pu-
glia e di Napoli. E ciò tanto più nuoce, quando sì poco pregiasi V anti-
chità che, chi possiede un archivio domestico, lo vende a peso di carta;
chi trova una lapida, ne fa fuori un mortajo.
Le etimologie del nome di Basilicata, date dall'Alberti, dal Pontano,
dal Giannone, dal Lupoli, esso ripudia; traendolo dal basilico, magistrato
greco, come Capitanata, Dogato, Esarcato; e con erudizione di buona
lega mostra che esistette un tale magistrato, benché non se n'incontri
menzione negli storici. Primamente trovasi quel nome in un documento
del 1134; l'aveva nel secolo X introdotto il popolo, dal quale lo prese
la podestà, restando il nome di Lucania alla regione intorno al fiume
Alento.
Come al principato di Salerno fu data per stemma la bussola amalfi-
tana, all'Abruzzo il grugno del cinghiale, alla Capitanata l'arcangelo
del Gargano^ alla Terra di Bari la mitra del vescovo di Mira, così alla
Basilicata la mezza aquila coronata (paatXixv) asxoc), ma forse solo nel
XVI secolo, quando venne la smania delle imprese.
Ferraro Giuseppe, Statuti ed ordinazioni del Comune di Carpe-
neto. Mondovì 1874, disp. 82.
S'aggiunge quest'altro alla già copiosa raccolta di statuti che sono alla
240 BIBLIOGEAFIA. '
stampa, e che aspettano ancora chi ne sappia cogliere la sintesi. Lo
aveva sperato il R. Istituto Lombardo, ponendo appunto a concorso
a Studj critici e documentati sugli statuti dei Comuni e delle Corpora-
zioni dell'Italia superiore e delle regioni finitime w,ma non pare che al-
cuno vi abbia sufficientemente risposto. Si dice che il Governo stesso
raccolga gli statuti degli antichi Comuni italiani, forse in omaggio di
chi pensa che buona e compiutfi storia d'Italia non potrà aversi fin-
che non siano conosciuti e studiati i suoi mille statuti. E così è qualora
s' intenda della storia civile, alla quale per avventura non attendono ab-
bastanza le deputazioni storiche nostre. Anche dopo i discorsi del Rez-
zonico, del Fortis, del Berlan, del Bonaini, resta ad esaminare in com-
plesso quanta parte deducessero essi dal diritto romano, quanta dalle
consuetudini germaniche; quanto garantissero la sicurezza personale e
la proprietà; quanto servissero a frenare il diritto feudale; quanto vi
potesse l'autorità domestica; come si progredisse nell'acquisto del jus
wquum et honum^ infine ricavarne lo specchio della famiglia d'allora
€ del Comune, che era un'ampliazione di quella.
Sono anche a cercarvi le vestigia dei dialetti; e in questi di Carpeneto
troviamo arhra per pioppo, i gurini, i ravun (mil. navon)^ guiem (legumi),
gherhura (siepe), campavo; e strazetios., andeum^ clapa, che ancora di-
consi stragli et j ande^ ciappa.
Carpeneto nel 1305 professava fedeltà al duca Teodoro Paleologo, e
nel 1589 al succedutogli duca Vincenzo Gonzaga; e gli atti ne sono
recati dal Ferrare, oltre uno del principe Eugenio, che si firma, se-
condo soleva^ in tre lingue Eugenio von Savoye.
Anche in occasione delle nozze Pasolini Zànelli con Baroni Semite-
colo si stampò a Bassano uno statuto agrario del 1056, a cui si fe-
cero aggiunte fin nel XV secolo, siipra custodiam vignalium^ campa'
nece et nemoris ca»tagnedi: ma è peccato che nessun commento indichi
qual sia la parte antica, quale l'aggiunta. Nella forma presente non
può appartenere che al XV secolo, parlandosi di comune, di savj, di
guardiani, ecc.*^
• I cataloglii più estesi degli statuti sono quelli dell'avvocato Felice Amato Duboìn
per gli Stati Sardi (Torino, 1831), del Berlan (Venezia, 1858), di Antonio Valsecchi
(Padova), del Bonaini per la Toscana. Aggiungiamo Rosa Gabriele, Consuetudini feu-
dali bresciane (Brescia, 1873) ; Sfokza Gio., Statuto volgare del Comune di Fagnano
del 1391 (Bologna, 1872); Bothqi,* Bandi lucchesi; Polidori, Gli sfattiti senesi, e non
pochi altri.
BÌBLIOGRAFIA. 241
Un episodio della storia del Piemonte nel secolo XIII, per Giu-
seppe Manuel di San Giovanni. Torino, Stamperia Reale, 1874,
in-8, di pag. 80.
Sono sempre dei più curiosi punti della storia patria le vicende degli
eretici. Principalmente attorno ai più antichi, i Valdesi, la verità fu
offuscata dagli amici e dai nemici. Qualche luce pensò recarvi il signor
Giuseppe Manuel di S. Giovanni, aggiungendo alcune cose a quanto ne
dicemmo io ed altri.
Bagnolo è nome comune a molte terre di Francia e Italia, dove prin-
cipalmente son noti Bagnolo del Bresciano, e Bagnolo sul pendio orien-
tale dei monti che riescono alla valle di Luserna, asilo, come ognun sa,
dei Valdesi. Tra i più antichi eretici trovansi nominati i Concorezzj e i
Bagnolesi. E come i primi si dubita da quale traessero nome dei varj
Concorrezzi che si conoscono, altrettanto avviene degli altri. Che si
tratti del Bagnolo piemontese è probabile per la vicinanza ai Valdesi;
ma che ne esistessero in quel paese, non trovasi memoria, come nep-
pure nel Bagnolo bresciano.
Alla Madonna del Becetto,- nella valle di Varaita (soggetta allora al
marchese di Saluzzo), i Vercellesi andavano in pellegrinaggio nel 1219,
quando vennero assaliti e maltrattati dai signori, o piuttosto dagli abi-
tanti di Bagnolo. In conseguenza i Vercellesi gli assalsero con potente
esercito , ne presero sanguinosa vendetta , e imposero patti per 1' av-
venire.
Ciò basterebbe a indurre che a Bagnolo fossero prevalenti gli ere-
tici ? l'autore non osa conchìuderlo ; ma ne prende occasione di dare la
storia dei signori di Bagnolo.
L'autore, recando per esteso la sentenza, da me data in parte, contro
alcuni eretici di Chieri nel 1388, avverte come gli inquisitori stessi no-
tino che tra le varie sètte vi era grande affinità. Ma questa è osserva-
zione generale, solendo dirsi che tutte le eresie si teneano per la coda :
e infatti l'assunto ad esse comune era il ripudiare l'autorità della
Chiesa.
Il documento più antico che menziona l'esistenza de' Valdesi in Pie-
monte è di Ottone IV mentre stava in Italia, cioè fra il 1209 e il 1212.
Accettato senza riserva dal Gioffredi, dal Semeria, da me, ora il signor
di San Giovanni, riscontrandolo coll'originale che sta nell'Archivio Arci-
vescovile di Torino, riconobbe che non è su gran foglio, come sempre
gli atti imperiali, bensì su piccola pergamena, in carattere ordinario,
senza sigillo; e nell'intestazione porta: Otto Dei gratta Bomanorum
Imperafor semper Augustus ; mentre l'ordinaria è: Otto qiiartus Dei
gratta Romanorum Imperator et semper Augustus.
242 BIBLIOGRAFIA.
Ma poiché il carattere è di quel tempo, l' autore non lo giudica spu-
rio, bensì che sia uno schizzo, un breve recordationis, che il vescovo di
Torino avesse fatto preparare per sottoporlo alla firma di Ottone: né
quindi abbia ad essere rifiutato, come testimonio del tempo.
Dopo di questo, la più antica menzione dei Valdesi è nel e. LXXXIV
degli Statuti di Pinerolo, ove si minacciano 10 soldi di multa a chi al-
loggi uomo o donna valdese in posse PineroU. Quegli Statuti comin-
ciano nel- 1220, ma se ne aggiunsero, secondo il solito, fino alla revi-
sione fattane nel 1280.
Curiosità e ricerche di storia subalpina^ pubblicate da una società
di studiosi di patrie memorie. Torino, Bocca, 1874, pag. 208 in-8.
Salutiamo con gioja questo lavoro dei nostri fratelli piemontesi, tanto
consono al nostro negli intenti, nelle forme, nella libera cooperazione;
e si fa sempre più evidente il bisogno che, nell'odierna sete di luce e
di verità, si aumenta di studiare l'Italia nelle sue parti, prima di po-
terla narrare tutta insieme; opera lontana; come un grande vivente
scriveva ad un nostro collaboratore. Dopo un proemio, dove Nicomede
Bianchi spiega le intenzioni e le speranze di questa società di amici,
viene un lavoro sulle osservazioni di Law con Vittorio Amedeo II; uno
sopra un bizzarro bibliofilo; sulle streghe del Canavese; s'un falso
inviato del duca di Savoja alla Corte di Vienna nel 1685; note auto-
biografiche d'un veterano; rettificazioni alla storia piemontese.
Nessun amatore degli studj storici s'accontenterà di questi pochi cenni
che, negli estremi momenti della nostra Rivista, facciamo; ma si vorrà
coli' attenzione crescere coraggio e lode ai benemeriti collaboratori.
Noi vi leggemmo con particolare interesse le lettere di Silvio Pel-
lico, quando, giovane ancora e u improvido d'un avvenir mal fido v , da
Milano scriveva al Marchisio i suoi presentimenti sulle cose e sugli
uomini.
a La verità (scriveva il 14 marzo 1820) non viene a galla se non
è agitata dalla discussione. Il solo torpore è un immenso male sociale,
bisogna scuoterlo in tutto. Amo più uno stravagante che disputi se vi
sono cinque o sei Dei, che non il silenzio di certi savj, i quali mi la-
sciano credere che ve ne sono tre. Gli errori imbestialiscono i mortali,
derivano meno dallo spirito paradossale che è in loro, che dallo spirito
di pigrizia in loro ingenito, per il quale sfuggono l'esame di ogni cosa.
Per Dio ! Se si esamisse un po' più, credilo, i cocciuti diminuirebbero
di numero, e la ragione ci guadagnerebbe . . . Monti vive, ma muto : egli
pranza una volta la settimana in casa Porro, ove io sono. Pranza, e
non parla mai. Si scusa di questo suo demone taciturno, attribuendolo
BIBLIOGRAFIA. 243
alla sordità. Il pover'uomo è assai avvilito perchè i Governi più non lo
accarezzano. Egli non ha mai saputo di valere qualche cosa per sé stesso,
e ora che gli mancano i sorrisi dei potenti, si crede spogliato de' suoi
più bei pregi. — Dice però che va avanti nel suo lavoro della Pro-
sposta. Lo desidero, e desidererei ch'egli si ponesse a dirittura, con altri
letterati e dotti, a fare un buon dizionario italiano. . .
a Ij errata corrige di Monti è, a mio parere, un campo non degno
di quel paladino... Egli trionfa sì, ma ti pare che quel traduttoraccio
cahassino di Ovidio e Rigeli, fossero campioni da meritare più uno
sguardo del Monti? — Ciò che mi sembra ottimo si è il quarto vo-
lume della Proposta, v
Come non idolatrava il Monti al tramonto, cosi liberamente giudi-
cava il crescente Manzoni.
8 febbraio 1820.
a Tu desideri il mio parere su quella tragedia. Ciò che veramente
mi rapisce, è il coro ; il resto ha molte bellezze ; ma in totale non pare
neanche a me sufficientemente pieno di azione o di passione. Non so
se reggerà alla recita. Nondimeno, per una nazione che non ha ancora
un teatro tragico molto copioso, credo che il Carmagnola sia opera
da valutarsi. Circa lo stile, tolto il verso che incomincia Tu hai ragione^
e pochissimi altri di quella forma arciprosaica, non proferirei condanna.
Io son parziale di Alfieri, ma vedo che Italia non è concorde nel giu-
dicare lo stile del nostro sommo, e sono di parere che varj sieno gli
stili tragici che si possono tentare con eguale successo fra noi. Eccone
il motivo. Non avendo il nostro endecasillabo uniformi (sic) copie l'ales-
sandrino francese, esso ha poca misura di suono nella declamazione, e
pare anzi sia comune opinione degli Italiani il dover nascondere nella
declamazione ogni apparenza di metro. — Ora esso endecasillabo, tran-
ne pel poeta che l'ha architettato, è bella e buona prosa. — Bada
che quando i nostri comici recitano qualche dramma di Metastasio com-
movente, essi riscuotono applausi infiniti, purché abbiano l'arte di ma-
scherare siffattamente il metro, che le stesse ariette sembrino prosa.'
Se, parlando dello stile adoperato da Manzoni, vogliamo intendere meno
il verseggiare che i modi di lingua, dirò ancora che è molto arbitraria
la classificazione dei modi tragici o no, poetici o no, in un paese come
l'Italia, dove ogni grande scrittore ha fatto una scuola diversa dalle
stabilite, e dove quindi il Montiano, il Cesarottiano, il Salviniano, il
Metastasiano, e fino al Petrarchista e al Dantista, hanno una poetica
ciascuno per se, ed un numero di seguaci, imponente. — Non volete
mai concedere che la divisione politica in piccoli Stati, ha fatto di una
penisola molti popoletti, e che non c'è fra loro universalità di gusto
244 BIBLIOGRAFIA.
in letteratura, più che non vi sia nelle diverse scuole di pittura? Io fo
eco a Salvator Rosa che declama contro il genere di pittura chiamato
fiammingo; abborro il ritratto degli ubbriachi e degli sguatteri; ma
Salvator Rosa ed io abbiamo torto, se vogliamo che questa opinione
sia universale. Ogni quadro dipinto con maestria, ò opera che dà fama.
Cosi è delle opere di letteratura. Siate sordi alle critiche ; esse vogliono
dire che non piacete a tutti ^ e nuU'altro; il piacere a molti basta; né
questo successo dipende essenzialmente dallo stile. Dammi una trage-
dia ben ideata e terribile in sommo grado, come V Oreste di Alfieri e
simili, 0 fantastica come Sanile ^ e taglia una sillaba ad ogni verso;
resterà prosa, ma sarà applaudita egualmente su tutti i teatri del mon-
do. Ninno applaude alla Maria Stuarda d'Alfieri, benché verseggiata
benissimo.
n Or, tornando al Carmagnola^ se manca di qualche cosa, parmi che
non sia di stile, ma di anima e di splendore fantastico v.
Adesso sulla tomba di Silvio, nel camposanto di Torino, si leggono
parole, dettate dalla marchesa Giulia di Barolo: u Sotto il peso della
croce imparò la via del cielo e la insegnò v .
C. C.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
a) 0,PERE STORICHE PUBBLICATE IN ITALIA,
Marzo-Giugno 1874.
Archivio storico italiano, fondato da G. P. Vieusseux e continuato a
cura della K. Deputaziene di storia patria per le provincie della To-
scana, dell'Umbria e delle Marche. Serie III. Tomo XIX. 1^ di-
spensa del 1874. N. 19 della collezione, in-8. Firenze.
Pubblicazione bimestrale.
Archivio Veneto. Pubblicazione periodica. Anno quarto. Fascicolo I;
in-8. Venezia.
Pubblicazione trimestrale.
Ardizzone Scandurra (Carlo). Il blasone di JSiracusa: illustrSizìojìGÌn-é:,
Siracusa.
Balan (Prof. P.). Storia di Gregorio IX e de'' suoi tempi. Fase. XXII-
XXI Y; in-8. Modena.
Barozzi e Berchet. Relazioni degli ambasciatori e baili veneti a Co-
stantinopoli, Parte II; in-8. Venezia.
Beghelli (Giuseppe). La repubblica romana del 1849, con documenti
inediti e illustrazioni. Voi, I; in-16. Lodi.
Bertolini (Francesco). Storia romana dai pia antichi tempi fino allo
scioglimento dell'Impero Occidentale, scritta ad uso della gioventù
italiana. Terza edizione; in-16. Firenze.
Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, ossia raccolta di opere ine-
dite 0 rare di scrittori siciliani dal secolo XVI al XIX, per cura di
Gioacchino Di Marzo. Tomo XVI (V. della II serie) in-8. Palermo.
Contiene :
Il Palermo d'oggigiorno di Francesco M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca;
Da' manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo.
Brambilla (Luigi). Varese e suo circondario. Notizie raccolte ed or-
dinate. Voi. I; in-8. Varese.
Bruzza (Ant. Luigi). Origine dei lazzaretti e dei magistrati di sanità;
. in-16. Genova.
Cambruzzi (P. M. Ant.). Storia di Feltre, con la introduzione di mons.
D. Gio. Batt. Zandettini. Voi I. Fase. I e II; in-8. Feltre.
246 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
Canale (comm. Michel Giuseppe). Storia della Bepuhhlica di Genova
dalVanno 1528 al 1550, ossia le congiure di Gian Luigi Fiesco e
Giulio Cibo, colla luce dei nuovi documenti, narrate ed illustrate;
in-8. Genova.
Cappelletti (cav. Giuseppe). Storia delle magistrature venete ; in-8.
Venezia.
Cara (G.) Illustrazione di un nuovo idolo scoperto in Sardegna nel
1873; in-8. Cagliari.
Carlini (Francesco). Cenni storici di Ovada. Parte I. Descrizione della
Valle dell'Alba; in-16. Kovi-Ligure.
Carrara Zanotti (dott. Luigi). Serina: studj ed osservazioni; in-8.
Bergamo.
Cenni storici sulla chiesa della Madonna delle Grazie, situata presso
Dogliani nella regione denominata dallo stesso di lei titolo; in-16.
Mondovi.
Codex diplomaticus Cavensis, nunc primum in lucem editus curantibus
DD. Michaele Morcaldi, Mauro Schiani, Sylvano De Stephano 0.
S. B. Accedit appendix qua prsecipua bibliothecae ms. membranacea
describuntur per D. Bernardum Caietano De Aragonia 0. S. B.
Tomi I e II; in-4. Kapolt. »
L'opera si comporrà di otto volumi che vedranno la luce di anno in anno.
Codex Trivisianus (DCCCCXCVI-MCCCXVIII), chronologico ordine
perregestus curante prof. S. Minotto. Pars I; in-8. Venezia.
Cognetti (prof. Biagio). La storia d'Italia sacra j civile e letteraria
dal nascimento di GesU Cristo fino «Z Ì574. Puntata I ; in-8. Napoli.
L'opera sarà distribuita in trenta dispense.
Curiosità e- ricerche di storia subalpina, pubblicate da una Società
di studiosi di patrie memorie. Puntata I; in-8. Torino.
Contiene :
Law e Vittorio Amedeo II ^di Savoja.
Il tesoretto di un bibliofilo piemontese.
Le streghe nel Canavese.
Uh falso inviato del Duca di Savoja nella Corte di Vienna (1685).
Note autobiografiche d'un veterano dell'Esercito piemontése.
Rettificazioni ed aggiunte alla Storia piemontese. I. Il trattato del 1° giugno 1639.
II. La restituzione della cittadella di Torino.
Cenni e lettere inedite di piemontesi illustri del secolo XIX: Silvio Pellico.
D*Arco (Carlo). Studj intorno al Municipio di Mantova, dall'orìgine
di questa fino all'anno 1863, ai quali fanno seguito documenti ine-
diti 0 rari. Tomo VII; in-8. Mantova.
De Lorenzo (sac. Ant. M.). Memorie da servire alla storia sacra e ci-
vile di Reggio e delle Calabrie. Fase. I; in-16. Reggio Calabro.
Ferrari (Costanzo). Tiburga Oldofredi: scene storiche del secolo XIII;
in-16. Milano.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 247
Ferraro (prof. Giuseppe). Statuto ed ordinazioni del Comune di Car-
peneto, alto Monferrato, pubblicati ed annotati; in-4. MondoYÌ.
Fontana (nob. Gianjacopo). Storia popolare di Venezia dalV origine
fino ai tempi nostri. Yol. II. Fase. XXVII: in-8. Venezia.
Gregorovius (Ferdinando). Storia della città di Roma nel medioevo^
dal secolo V al XVI. Voi. V; in-16. Venezia.
Homunculus. Storia della denominazione di Basilicata; in-8. Roma.
Ne è autore il comm. Giacomo Racioppi.
La Mantia (Vito). Storia della legislazione civile e criminale di Sicilia^
comparata con le leggi italiane e straniere dai tempi antichi sino a
presenti. 3 voi.; in-8. Palermo.
Lauria (Gius, Aurelio). Troja: studj; in-8. Napoli.
LuxARDO (Girolamo Carlo). La diplomazia quale scienza' ed arte di
Stato presso i Romani; in-8. Padova.
Machiavelli (Niccolò). Le istorie fiorentine ridotte alla miglior lezione^
con le notizie della vita e delie opere dell'autore ; in-16. Milano.
Machiavelli (Nicolò). Opere. Voi. II; in-16. Firenze.
Contiene :
I frammenti inediti e le Bozze delle storie^ e i Ricordi e gli Estratti delle lettere de
Dieci ; coU'aggiunta della vita di Castruccio Castracani ; per cura di L. Passerin
e G. Milanesi,
Maggi (dott. Leopoldo). Archeologia preistorica Varesina. Cuspide di
lancia in bronzo. Illustrazione; in-4. Varese.
Mariani (Carlo). Letture di storia patria offerte alla gioventù; in-16,
Milano.
MuoNi (Damiano). Archivj di Stato in Milano. Prefetti o direttori (1468-
1874). Note sull'origine, formazione e concentramento di questi ed
altri simili istituti, con un cenno sulle particolari collezioni dell'au-
tore; in-8. Milano.
Muzzi (prof. S.). Vocabolario geografico-storico-statistico delVJtalia nei
suoi limiti naturali. Dispensa VII (Novalesa-Potenza) ; in-8. Bo-
logna.
Persoglio (sac. Luigi). Memorie della parrocchia di Murta inr-Polce-
vera, dal 1105 al 1873; in-16. Genova.
Pio (Oscar). Storia popolare d'Italia dalla sua origine fino alVacquisto
di Roma nell'anno 1870. Voi. V; ìn-8. Milano.
'QuERiNi (Marco). Relazione inedita alla Repubblica ritornando da Prov-
veditor estraordinario di Cattaro ed Albania, Venezia, 12 luglio 1742;
in-8. Venezia.
»AFFAELLi (march. Filippo). Illustrazione di un diploma del santo car-
dinale Carlo Borromeo j e genealogia della famiglia Lampugnani di
Milano e Lampugnani signori di Cerro; in-4. Rocca San Casciano.
248 . BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
KiccA (cav. Erasmo). La nobiltà delle Due Sicilie. Fase. 49. Yol. IV;
in-4. Napoli.
L'opera si comporrà dì dieci volumi : ciascun volume di undici fascicoli circa.
Rocco DA Cesinale (P.). Storia delle missioni dei Cappuccini. Tomo III
(ultimo); in-8. Roma.
Il I voi. fu pubblicato a Parigi nel 1867 ed il II in Roma nel 1872.
RoHRBACHER (ab.). Storia universale della Chiesa cattolica dal prin-
cipio del mondo fino ai dì nostri, aggiuntavi la continuazione fatta
dal Chantrel. Quinta edizione. Voi. II; in-8. Torino.
Rossi (G-. B.), Gagliaudo Alauri, le sue feste e la vittoria di san Gia-
como: cenno; in-8. Alessandria.
Rotondi (P.). S. Ambrogio nella Storia di Milano: narrazione; in-8.
Milano. .
Servanzi Collio (conte Severino). Sui recenti scavi presso Macerata.
Relazione all'Istituto di corrispondenza archeologica in Roma ; in-8.
-* Camerino.
Storia armena (in lingua armena); in-16. Venezia.
Taramelli (Torquato). Scavi di Concordia: lettere; in-16. Venezia.
Tocco (Efisio Luigi). Delle naumachie e degli spettacoli naumachiani\
in-16. Roma.
TuBARCHi (Filippo). Cenni storici del santuario e convento di Santa
Maria di Concesa sulVAdda nella procincia di Milano ; in-8. Piacenza.
TuRRio (Q-uglielmo). Trattatello di Storia italiana dall'origine dei Co-
muni fino alla proclamazione del Regno d'Italia^ in-8. Brindisi.
Venosta (Felice). Sanf Ambrogio, la sua basilica, la sepoltura e l'in-
venzione del suo corpo: cenni storici con documenti inediti; in-32.
Milano.
Zalla (prof. Angelo). Il Medio Evo in Italia; in-8. Milano, 1874.
Zanetti (Vincenzo). La basilica dei SS. Maria e Donato di Murano,
illustrata nella storia e nell'arte. Fase. Ili; in-8. Venezia.
•LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA,
(1533)
" Il tempo, patre de la verità, finalmente ne farrà chiaro te-
stimonio. „ Con queste parole Francesco II Sforza chiudeva la
lettera 20 agosto 1533 a messer Giorgio Andreasio suo ambascia-
tore presso il papa, protestando contro l'accusa del re di Francia
che avesse ingiustamente fatto uccidere, per mano del carnefice,
Alberto Maraviglia. Lungi dal recare la luce invocata dallo sfor-
tunato principe su quell'avvenimento, il tempo vi addensò at-
torno più folte le tenebre: gli autori misero i piedi gli uni nelle
orme degli altri, e si seguirono, annusandosi come le pecorelle di
Dante, perchè invece di cercare la verità alla pura sorgente, cia-
scuno s'accontentò di ricevere il verbo dagli altri. Così il Verri^
(Storia di Milano, cap. XXVI) narra il fatto del Maraviglia, av-
venuto a Milano, colla falsariga degli autori francesi, e con essi
deduce la infamia del duca: il Kosmini (voi. Ili) aggrava il dub-
bio, sempre cogli stessi argomenti, pur confessando di non aver
potuto accertare parecchie circostanze; e così, per bocca d'ita-
liani, gli stranieri vengono a spiegarci le cose nostre a modo loro.
Desiderio vivissimo di verità ci spinse ad investigare questo fatto,
che ci si presenta senza certezza di causa: coll'animo scevro d'ogni
preconcetta idea, abbiamo interrogato nell'Archivio di Stato le
corrispondenze diplomatiche e le missive dell'epoca in cui successe
l'avvenimento : e per far meglio conoscere il risultato delle nostre
ricerche, esporremo brevemente in prima i racconti del Verri e
del Rosmini; poi tesseremo la storia quale ci venne dato di rac-
cogliere, confermandola cogli inediti documenti.
Arch. Stor. Lomh. — An. I. 16
250 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
L
Il ducato di Milano era tenuto da Francesco II Sforza sotto
l'alta protezione di Carlo V, che, allato al duca, aveva posto An-
tonio De Leyva principe d'Ascoli. Il cancelliere ducale Francesco
Taverna aveva proposto al re cristianissimo Francesco I di man-
dare un ambasciatore francese a Milano, nell' interesse del duca e
del re istesso. Venne scelto a tal uopo lo scudiero Alberto Mara-
viglia, il quale era passato in Francia al seguito del grande scu-
diero Galeazzo Sanseverino. Narrano i nostri storici, che il Mara-
viglia, venne a Milano nel 1532 sotto pretesto di affari privati, ma
in realtà con lettere segrete per il duca: che Carlo V, insospet-
titosi del vero motivo della venuta del Maraviglia, se ne lagnò collo
Sforza, e che questi promise all' imperatore di dargli una certa
prova di sua fede. Pochi giorni dopo, un gentiluomo di casa Ca-
stiglioni, del quale il Rosmini dichiara di ignorare il nome, insultò
il Maraviglia con parole dette ad un costui servo; ed un altro
servo avendo presa le difese del suo padrone, nacque un vivo
diverbio. La notte il Castiglione si recò con alcuni bravi armati
davanti al palazzo del Maraviglia, ed obbligò i costui servi a riti-
rarsi. Il capitano di giustizia, pregato dal Maraviglia a fargli ra-
gione, non si curò di tale reclamo, e la notte di poi (copio il
Rosmini) " il Castiglione fatto più baldanzoso (fu universalmente
creduto che ciò gli fosse ordinato), andò nuovamente ad assaltare
il palazzo Maravigli „ : ma questa volta trovò i servi armati e
pronti a riceverlo, e rimase morto egli stesso nella mischia. La
mattina seguente, 4 luglio, il capitano di giustizia menava in pri-
gione il Maraviglia coi servi: poneva questi ultimi alla tortura, e
con sommario processo faceva decapitare il primo la notte del 7.
Il re di Francia, appena venne informato della decapitazione
del suo scudiero, ne fece altissime querele presso tutte le Corti
d'Europa: disse essersi ucciso un suo ambasciatore con aperta vio-
lazione del diritto delle genti, e per punire di tal misfatto lo Sforza
prese le armi, mentre Carlo V si mostrava soddisfattissimo della
fedeltà del duca, e gli dava in isposa la propria nipote Cristierna.
Da questo racconto è messo in tristissima luce il carattere di
Francesco II, che appare bruttato di doppia infamia : la prima, di
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 251
avere ordinato al Castiglione d'uccidere il Maraviglia; la seconda,
d'averlo fatto assassinare, col pretesto di giustizia, quando non
aveva che difesa la propria vita minacciata.
A quali fonti attinsero le lor notizie Verri e Rosmini? Essi stessi
non ne fanno mistero: citano, per autenticare il racconto, il Me-
zeray, il Martin du Bellay, il Gaillard, il Montaigne e il Robertson,
vale a dire quattro francesi ed un inglese. E si noti che questi
scrittori appartengono per la maggior parte a quell'epoca, in cui
la politica italiana si diceva riassunta nei due nomi di Machia-
velli e di Caterina de' Medici, ed era moda ripetere che questi
nomi significavano doppiezza e crudeltà.
Noi abbiamo letto quegli antichi autori ^ citati, e ci siamo ac-
corti che i nostri milanesi approfittarono sopratutto dei Mémoi-
res de m. Martin du Beìlay, che assai diffusamente ragiona del
Maraviglia, consacrandovi otto fitte pagine in quarto: trovammo
inoltre che il Du Bellay alla sua volta riferisce che quel racconto
era stato recato in Francia da un nipote del Maraviglia, che si
era presentato al re Francesco lamentandosi " de l'outrage et iniu-
stice qu'il alleguoit estro apparente. „ ^ Non è inutile finalmente
ricordare che il Burigozzo non discorre, neppure per incidenza, del
caso del Maraviglia, lasciando supporre d'averlo ritenuto in tutto
consentaneo" alla ragione delle cose; e il Grumello del pari non
ne fa parola.
Messe in sodo queste circostanze preliminari, veniamo al racconto
del fatto, correggendo le varie versioni secondo i documenti del
nostro Archivio di Stato.
Giovanni Alberto Maraviglia, appartenente all'antica famiglia
milanese che, al pari dei Visconti, dei Piatti, dei Moroni, dei Me-
dici, dei Bossi e d'altre, lasciò il proprio nome alla via dove abi-
tava, era infatti passato in Francia al servizio di quei re ^: e nel 1531
* In quegli autori abbiamo notato parecchie inesattezze, che svelano quanto fossero
poco sicuri di ciò che narravano. Così il Robertson fa morire il Maraviglia al 7 dicem-
bre invece del 7 luglio! Eppure il Robertson è fra quelli che più francamente asseri-
scono che « il Duca e i suoi famigliari procurarono a bella posta d' impegnare il Ma-
raviglia in una contesa con un domestico del Duca. »
2 Les Mémoires de m. Martin chi Bellay Seigneur de Langey. — Paris chez Thomas
Brumen au clos Bruneau MDLXXXII, pag. 196 e seg.
2 Parecchi documenti, esistenti all'Archivio di Stato di Milano, provano che il Ma-
raviglia riceveva un assegno dal duca di Milano, probabilmente per sostenerne le parti
252 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
venne per suoi affari particolari a Milano, ove il duca lo accolse
con molta cortesia. Di lì a poco se n' andò in Francia ; ma sullo
scorcio del 1532 tornò una seconda volta nella natia città. Scrive
il Du Bellay, e sulla sua fede riferiscono Verri e Rosmini, che il
Maraviglia avea seco due lettere: l'una, da mostrarsi a tutti, era
una commendatizia di Francesco I allo Sforza, che raccomandava lo
scudiero venuto a Milano pe' suoi affari, l'altra una lettera segreta
che indicava lo stesso Maraviglia quale ambasciatore del cristianis-
simo. La prima non esiste più nell'Archivio; ma essendone stata
inviata copia a tutte le Corti, dopo la catastrofe, per giustifica-
zione del duca, è facile comprendere che non doveva dare carat-
tere alcuno d'ambasciatore al Maraviglia. Troviamo nel carteggio
diplomatico da Venezia che il Capella, oratore ducale colà resi-
dente, scrive al suo signore : avere la Signoria " ben considerato
la copia per vostra excellentia mandata de la lettera del re, por-
tata per il Maraviglia, et quelle parole dove dice — per alchuni
suoi affari — gli pare che molto bene justifichi v.* ex."" che esso
non fusse ambassatore. „ (Lett. 9 agosto 1533.)
Della lettera segreta non rimane più traccia. Lo Sforza la nega
risolutamente anche in contesto col re : questi sostiene d' averla
scritta, ma non ne serbò neppure la copia. Quella che teneva il
Maraviglia (ma il duca non l'avrà certamente saputo) era un'istru-
zione, come si legge in parecchi documenti che sono più avanti
pubblicati, scritta dal segretario del cristianissimo, nella quale il
Maraviglia veniva incaricato di praticare molti gentiluomini mi-
lanesi, e di guadagnarli alla Francia pel caso in cui lo Sforza ve-
nisse a morte senza figli.
Il Maraviglia giunse a Milano mentre il duca si trovava a Bo-
logna per stringere la lega coli' imperatore, col papa, con Ferdi-
alla Corte di Francia. Fra questi ci piace riportare una pergamena, firmata da Massi-
miliano, ex-duca di Milano e fratello di Francesco Sforza, così concepita:
« Io Massimiliano Sforza vesconte Confesso che della assignatione fatta per lo 111.» S.
Duca de Milano mio fratello al M.^ Mss. alberto maraveglia quale è scosa per Antonio
Carpano io ne resto satisfatto de libre disnove mille ducente sive lib. 19200. Et in questo
non se gli comprende la cedula de milli A * d'oro dal sol facta a lucha Carpano. Et in
fede de la presente ho fatto scrivere la presente et sotto scritta de mia propria mano
et sigilatta del mio solito sigillo. A langres ali IIIJo febro MDXXX. »
« Maximiliano Sfokza. »
Luogo del sigillo.
* A Segno equivalente a ducato.
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 253
nando re dei Romani, coi duchi di Mantova, di Ferrara, di Savoja,
e coi Sanesi, Lucchesi e Genovesi. Scopo della lega era precisa-
mente di difendere Lombardia e Liguria dalla cupidigia delle po-
tenze straniere. Come si vede, era male scelto il momento di com-
plottare colla Francia, mentre si stabiliva una lega in tanta parte
contro di lei: e Francesco II non poteva essere si poco destro da
farlo. Ad ogni modo, quando il Maraviglia gli scrisse la lettera
(ora smarrita) 12 dicembre 1532, annunziando la sua venuta, il
duca gli rispose da Bologna, facendolo semplicemente libero di stare
in Milano ed in altre parti dello Stato quanto gli piacesse.^
Uomo violento doveva di ©erto essere Alberto Maraviglia, poiché
quando il duca fu accusato d'aver violato con quella morte il jus
gentium, scrisse messer Giorgio Andreasio, ambasciatore milanese
a Roma, che " lo prefato Maraviglia haveva ben lui violato Jus gen-
tium, perchè in quello di Tode, terra di Sua Santità, in camera
sua el fece amazar uno gentilhomo cremonese oratore de v. ex.*
apresso al quondam marchese di Saluzzo, nauti eh' el andasse nel
regno di Napoli. „ (Lett. 27 luglio 1533.) Non è senza importanza
questa notizia finora ignota, perchè, secondo gli autori, il Ma-
raviglia avrebbe sempre evangelicamente tollerate le ingiurie del
Castiglione.
Abbiamo trovato nell'Archivio parecchie lettere indirizzate al
Maraviglia da Francia, ma tutte quante parlano d'affari privati
e di nessuna importanza storica. Tali lettere furono intercette
vivo il Maraviglia o, lui morto, confiscate? lo ignoriamo. Nella
* Questa lettera, che viene citata più avanti in una lettera dello Sforza, manca pure
all'Archivio. La trovò Giuseppe Molini a Parigi, e la pubblicò ne' suoi Documenti di
Storia Italiana esistenti in Parigi (Firenze 1837), accompagnandola con una nota molto
severa per il duca. Ecco la lettera:
« Dux Mediolani etc. Specialis dilectissime noster. Havendo inteso quanto per le vo-
stre de' XIJ del presente ci scrivete della gionta vostra costì et ordine teneti dal
Crist.o il che ne è stato di somma satisfattione, essendo noi quello humile servitore de
S. M. che siamo et intendiamo di essere, havendo caro che ne tengate in sua bona
gratia.
« Quanto al stare vostro in quella nostra città et stato vi diremo piacerne che ci
state quanto vi piacerà, havendovi sempre di vedere vuluntieri per molti respetti et il
primo per essere servitore de la V.» Maestà et dove vi potremo fare cosa grata lo
faremo sempre di bona volontà. Dio vi conservi. Da Bologna alli XVIJ di dicembre
MDXXXIJ. *
. « Fkancesco.
« Galeatius Capella. »
254 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
lettera firmata Alexandre Zancha e scritta da Parigi il 2 7 giugno
1533, dopo essersi dato notizia al Maraviglia d'una sua causa giu-
diziaria e copia d'un arresto pel quale gli venivano aggiudicati
"" duemilia franchi „ , io si avvisa esser atteso in Francia per altri
affari. In fatti tutto ci annunzia che lo scudiero del re cristianis-
simo è sulle mosse per partire: e lo rileviamo da due lettere del
conte Massimiliano Stampa, castellano di Milano, e da una di Ip-
polito Gonzaga. Lo Stampa risponde al Maraviglia circa alla do-
manda che questi gli doveva aver fatta di laneri o lavoratori di
lana, industria da secoli famosa in Milano. Non dobbiamo dimen-
ticare che ritaha era in quell'epoca k dispensatrice di civiltà al
mondo; come noi oggi domandiamo la moda letteraria alla Fran-
cia, l'industria all'Inghilterra o al Belgio, alla Germania i filosofi,
e da poco tempo in qua anche i politici e i maestri di musica,
allora all'Italia si chiedevano umilmente Leonardo, Alamanni, Cel-
lini, Vesallio, e tanti altri, che spargessero la luce dell'arte, della
poesia, della scienza. Il Maraviglia doveva quindi aver avuto com-
missione da Francesco I di condur seco nel ritorno alcuni laneri,
che introducessero in Francia l'industria che aveva arricchito il
Milanese.
Meritano d'essere pubblicate le lettere dello Stampa, perchè mo-
strano in quale considerazione fosse tenuto lo scudiero del Cristia-
nissimo dai nobili lombardi che aveva incarico di corrompere.
" Senor mio osservantissimo. Ho mandato, si comò ho dito a
V. Sig.'"'*, in più loci per haver laneri, scriverò al s. Imbassator di
Mantua et infino a s. Ex.* per haverne et in ogni altro locho scri-
verò per servizio a V. S., in bona gratia de la qual me raccomando.
Da Cusago, 27 giugno 1533.
de V. S. Como fratello minor
Maximiliano Stampa. „
" Senor Maravelia mio osservantissimo, la qui alligata al senor
Inbassator per laneri non mi ha parso scrivere a sua Ex.", pa-
rendomi bastar el scritto al senor Imbassator, no parendo a V. S.
scriverò a sua Ex.* mandaro di novo per diversi altri loci et V. S.
si assicura se dovesse spendere mile scuti et più, faro sopra el pos-
sibile per servirla ; li miei cani, cavali et il resto del mio offerisco
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 255
a V. piacere et servitio. In bona gratia de V. S. me raccomando
da Cusago, 28 zugno 1533.
de V. S. Como minor fratello
Maximiliano Stampa. „
La lettera del Gonzaga serviva d'involto ad altre carte dell'Ar-
chivio, e più chiaramente indica come il Maraviglia stesse per par-
tire. Eccola:
" Signor Capitano Maravelia mio come fratello honorando : Rin-
grazio la S. V. di la sua amorevole lettera che mi scrive et in
questo io ho conosciuto il buon animo suo verso di me comò e fu
e sarà sempre il mio verso la V. S. in fargli servitio : dove de pre-
sente non accade che quella piglia alchuna fatica per me, perchè
in breve spero anchor io de esser in Franza et si goderemo inscieme
facendo buona chiera, come è nostro solio et di cuore me gli rac-
comando: di Bozulo alli 3 di luio 1533 et mi remetto al servitio
di V. S.
« di V. S. Como fratèllo
Hyppolito de Gonzaga.* „
Lo sventurato scudiero non lesse mai questa lettera che gli era
-diretta con festevole stile, poiché il 4 era fatto prigione, e quando
la lettera giunse a Milano, egli aveva forse perduta la testa sul
patibolo.
Se il Maraviglia aveva già disposto ogni cosa per tornarsene in
Francia, il duca di Milano doveva essere abbastanza contento di
non vederselo più tra piedi, pe' suoi rapporti colla cesarea maestà,
e non doveva aver bisogno di ricorrere ad un'infamia per liberar-
sene. Ma v' ha di più : i documenti del nostro Archivio svelano
un' ignota molla della catastrofe : una donna. — Il capitano di
giustizia^ gli ambasciatori, e parecchie relazioni private che con-
' Non devono stupirci le attestazioni d'affetto di queste lettere. Il come fratello era
merce comunissima in quel secolo : ed appunto in questi giorni, nella dispensa CXXXII
della Scélta di curiosità letterarie ristampate dal Romagnoli, troviamo che a Pietro
Aretino scrivevano come fratello Francesco Maria duca d'Urbino, il Malatesta, il Vi-
telli, ed altri: e firmavano come sorella all'Aretino stesso la Maria de' Medici, nata
Salviati, la Giulia Pico della Mirandola, la Ludovica Sanseverino da Landriano.
256 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA;
fermarono quella del suddetto capitano (come vedremo più innanzi),
son concordi nel riferire che tutto avvenne " per concorrentia che
havevano in amor con una Gentildonna. „ Il nome di questa non
ci fu dato saperlo: conosciamo invece quello, ignorato dagli altri,
del Castiglione, che è Giovanni Battista. Questo gentiluomo era
partigiano di Francia: par egli quindi possibile che il duca l'avesse
scelto per un tranello, diretto in ultimo contro il re di Francia,
e che il Castiglione avesse accettato l'incarico?
Il Du Bellay scrive che un gentiluomo dei Castiglioni domandò
a un idiota, servo del Maraviglia, chi era il suo padrone; ed
avendo quegli risposto che era del Maraviglia di Francia, l'altro
rimbeccò " Merueilles de la fourche. „ Di qui nacque la contesa.
Nella lettera da Roma 27 luglio 1533, l'Andreasio espone presso
a poco l'identico racconto, mettendo in bocca al Castiglione le
parole caratteristiche : Gihett per vos et per el Maraviglia, ed avendo
un altro servo preso le difese del padrone, il Castiglione negò di
aver dette quelle parole.
Dopo questa rissa, gli storici parlano di due altre: nella prima
i servi del Maraviglia ebbero la peggio : nella seconda, avvenuta,
come la prima, sulla soglia della casa dello scudiero, rimase uc-
ciso il Castiglione. Ma aggiungono che mai il capitano di giustizia
tentò frenare la insolenza di quest'ultimo, istigatore del Maraviglia.
Invece il capitano di giustizia, ch'era messer Speciano, nella sua
relazione che fu inviata in Francia all'ambasciatore ducale Gio-
vanni Stefano Robio ed a tutte le Corti amiche, narra che egli
s'interpose per far pace: che ottenne con gran fatica la fede dei
due: che il Maraviglia radunò 20 uomini oltre a' suoi servi, non
nella contrada e nella casa sua, ma nella contrada di Brera e in
casa di un tal Marco da Besozzo, e quando passò il Castiglione,
accompagnato da soli sei uomini, lo fece assassinare : che ad ag-
gravare il fatto concorsero le due circostanze del trovarsi allora
il duca in città' e della grande considerazione in cui era tenuta la
famiglia Castiglione: e che dovette usare speditamente e far deca-
pitare il Maraviglia per evitare una sedizione del popolo indignato :
infine, avere il Maraviglia fatto testamento, e lasciate maggiori
somme a quei servi ch'erano stati più feroci nell'uccidere il Casti-
glione. E queste cose assicura note a tutti in Milano, ed invoca la
testimonianza dei cittadini. Questa testimonianza per noi è fatta in
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 25T
certo modo dalle parole di messer Giorgio Gallerato, ambasciatore
del duca presso Carlo V, che ai 28 luglio scriveva da Almonia al
suo signore, che " la justitia fatta del Maraviglia è stata scritta
da molti mercanti nel proprio modo che el Spedano la scrisse : et
è generalmente comendata. „
A mostrare sempre più che non vi fu provocazione da parte del
Castiglione la sera in cui questi rimase morto, giova ancor me^
glio, perchè più minuta, un' altra relazione scritta dallo stesso Spe-
ciano ai 17 d'agosto, che vedremo in seguito. Il Rosmini esprime
quella provocazione colle parole : '^ Il Castiglione fatto più baldan-
zoso (fu universalmente creduto che ciò gli fosse ordinato) andò
nuovamente di notte ad assaltar il palazzo Meravigli; ma questa
volta... rimase egli ucciso. „ Invece, proclamandosi notorio in Mi-
lano che il Maraviglia aveva preparato un'imboscata, occupando
due vie, per non lasciar scampo al Castiglione, e che " l'assalto
occorse lontano dalla casa del Maraviglia per tre contrade „, cade-
in un tempo e la provocazione e il supposto ordine del duca.
Ecco ora la relazione 8 luglio nella sua integrità:
Lettera del s.''*' Spedano Gap." de Justitia
al MJ" Eolio in Franca.
" Lo 111.™° S. Duca mi ha comisso che avisi V. S. della causa
della giustitia fatta nel Maraviglia, et la causa della celerità onde
per satisfar a quello me comisso V. S. sera avisata come tra '1
p.° Maraviglia et uno m.'" Gio. Batta da Castione figliuolo de
m."" Alessandro ch'era unico al Patre, qual è il più richo di quella
casa; un altro figliuolo haveva che si domandava m.'" Gio. Aluy.*"
et morse capit.° del Re X.""" et in servitio de sua M.** al tempo
che vene Mons. di Lautrech, credo nel 1527, e questo similmente è
stato sempre alli servitij della p.** M.** Questo dico acciò V. S. me-
glio cognosca detto m.'' Gio. Batta, perchè in quella casa gli ne
sono molti de par nome. Tra costui adunque e il Maraviglia era
inimicitia antiqua, ma ranuovate de presente per alchune parolle
dette per il Castiono, et per esser rivale al Maraviglia in lo amor
d'una Gentildona, qual godeva prima esso Castiono, et bora si
godeva per il Maraviglia: fra li servitori del Maraviglia quali fa-
cevano la voluntate del patrone e il Castione intervennero al-
258 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
chuni insulti et rixe per dette cause, pur senza effetto. Io me in-
terposi ad voler assettar questa differentia, ma la difficultate era
chel Castione voleva far pace col Maraviglia come principal della
inimicitia et il Maraviglia se ne sdegnava, ma voleva che la facesse
con suoi servitori: e perchè m'era necessario presi expediente di
ha ver la fede de l'uno et l'altro de non offendersi, et così hauta
la fede dal Castiono la dedi al Maraviglia che l'accettò, et fu in-
contrato alle volte dal Castiono con molto maggior numero de
gente che quello non haveva et sempre il Castiono gli dette il
luocho quettamente.
"Accadete che, stando la cosa cosi, vernadi passato de sera se
fece dal canto del Maraviglia una unione de circha XX homini
oltre li suoi servitori, et essendo ogni sera solito passar il Castione
per la centrata di Brera, si posero costoro in insidie in più parte,
della quale uno n'era in casa de Marcho de Besutio, il resto alli
cantoni. Passato il Castiono il quale aveva secco sey homini e lui
desarmato, salto il p.° uno figliuolo del Besutio predetto dretto esso
Castiono, et un altro a canto qual gli dete una archebusata nel
venir sotto il lato mancho et uscite dalla spalla destra, et li altri
corsero con grande impeto et a loro satieta lo ferirno anchora poi
ch'era morto. Questo caso parve a tutta la città di tanta mala
natura che ognuno n'era turbatissimo. Questo ultimo non lo dicho
solamente prò processo nel qual si contengono tutte le predette
cose, ma V. S. interroghi a sorte quanti gli occorrerano de Mila-
nesi 0 d'altri che si siano trovati in la città al tempo del caso et
siano senza passione, che non troverà alcuno discrepante. Li delin-
quenti alchuni tornorno a casa del Maraviglia et deposte l'arme san-
guinate se n'andorno via la mattina seguente. Io presi il Maraviglia
et lo missi in prigione et gli feci il processo preditto. Et crescendo
ognh ora più il mormoramento de tutta la città universalissimo
contro di lui, essendo la indignita della cosa a tutti abominevole,
e parendo un tradimento manifesto poi accettare la fede d'uno
huomo ed amazzarlo et con modo tanto malo, cioè con unione de
25 huomini, o circha posti in insidie et con Archibusi in quella
città dove era lo 111.'"° s. duca et molte volte passava per quella
contrada moderna et solicitando instantissimamente tutti li Ca-
stioni, che V. S. scia quale et quanta la lor casa sia, desperatis-
simi, parevami che mai m'accadesse caso qual da ogni canto ha-
m
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 259
vesse tutte le circostantie per le quali io dovessi usare de la
auctorita de lo ufficio et qual è quello che solo dà, Terrore a'
tristi : et rejetti quelli termini ordinarij et attaccandomi alla verità
et essentia del fatto, parvemi non differir la Giusticia et così hoggi
l'ho fatta far, che certo se non si facesse così, ma si servasseno
quelli ordini e termini dilatorij statuarij in casi sì atroci et in
tanto numero de tristi non seria il statto de S. Ex.'* cosi pacifico,
et io in tutti li casi di simile attrocita havendo li rei in mano de
puoco tempo poi il delitto, ho sempre così servato per smarir li
altri per la exemplarità. Non tacerò che per lassar ben testato il
Maraviglia il suo animo contro del Castiono^ essendo menato alla
Giusticia ha procurato di lassar ben remunerato ciascuno de questi
che r hanno amazato nominandoli particolarmente et dandone
maggior numero a quelli gli pare habbono fatto peggio.
" Datum Mediolani. VIIJ julij 1533. „
Il giorno dopo, 9 luglio, il duca così scriveva al suo ambascia-
tore Robio: " Credemo sera venuto netta in quella Corte de la
justitia fatta in la persona del Maraviglia: et a fin che sappiate
come sia passata tale cosa et secondo il bisogno possiate darne
conto, habbiamo ordinato al Capit.*" nostro de Justitia che ve ne
scriva il tutto, secondo vedarete per l'alligata sua che vi mandiamo :
de quale ve servirete occorrendo. E tutto per vostra intelligentia
et aviso. Advertendovi, che oltra il delitto del homicidio non è
stato ne esso Maraviglia ne alchuno de' suoi de altra cosa publica
0 privata interrogato: et anchora che li altri servitori suoi quali
erano in casa, fussero pregionati, si è advertito ad non lassare
captivare uno suo segretario francese, accio se sapesse che non se
immischiava a questo homicidio altra cosa. Dio vi conservi, etc. „
Per quanto sembri decorazione storica poco concludente, non
vogliamo tacere, perchè spiega meglio il carattere dell'epocaj che
* L'originale dello Speciano, qua e là segnato di cancellature, giunto a questo punto,
prosegue così: «ha lassato nella sua ultima dispositione A 200 per cadauno dì quelli
soi servitori che l'amazarono. » Queste parole furono poi cancellate e sostituite dalle
riferite, colle quali si aggiunse una tinta più fosca al carattere del Meraviglia, mostrando
come l'odio suo fosse sì potente fino negli ultimi istanti, da premiare maggiormente
quelli che all'odio stesso meglio avevan servito.
260 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
al Maraviglia non fu tolto, nell'arresto, un soldo. Lo sappiamo
per un incidente curioso. Nel novembre successivo il duca scrisse
al presidente Filippo Giacomo Sacco, che un gentiluomo Landriano
si lagnava per essergli stato giustiziato il figliuolo, e prosegue die
al dispiacere " anchor se li gionge che li fanti del Cap.° di Justitia
gli devono havere tolto certa somma di danaro, che esso haveva
indosso quando fu preso „. A questi lamenti del disinteressato
genitore il capitano Spedano rispose che " secondo il stilo segui-
tato fino ad bora, le armi, li vestimenti et li danari de li rei che
si pigliano, delli quali si piglia l'ultimo supplicio, sono di quelli
che li pigliano „ . Aggiungeva però ch'egli vigilava perchè si rispet-
tassero le cose dei prigionieri : ^ Et comò anche feci del Maravi-
glia al quale non volsi si pigliasse uno quattrino quantunque avesse
addosso per D. 200. Et tutto fu perchè fui advisato subito, perchè
comò sono partiti fra quelli gaglioffi, la tromba del judicio non li
uniria „.
Avendo poi nell'opera del signor Carlo Morbio Francia e Italia^
letta la relazione del manoscritto che porta per titolo: Registro
dei giustiziati, assistiti dalla nobilissima Scuola di S. Gio. Decol-
lato detto alle Case Rotte, dal Anno MCDLXXI al III aprile
MDCCLXVl col Indice de' più rimarchevoli accadimenti, abbiamo
chiesto al signor Morbio licenza d' esaminarlo. In fatti, sotto la
data 7 luglio 1533 trovammo le seguenti parole: " Giustizia fatta
in prigione, fu decapitato Alberto Maraviglia, detto il Scudiero
Maraviglia, decapitato a ore quattro di notte, e portato in Bro-
vetto, fu sepolto alle Grazie. Era Gentiluomo di Francia „ .
Intanto il duca partecipava al Leyva l'accaduto con una lettera,
i cui termini sembrano viepiù escludere la possibilità di un intrigo
suscitato da Francesco II a danni dello scudiero del re cristia-
nissimo.
" Molto 111. et Ex. Senor come fratello honorando. Non havendo
altra cosa degna de aviso doppo.le ultime nostre a V. S. che la
receputa de le sue di iiij non saremo molto longhi, salvo de advi-
sarla che essendo soccessa la morte d'un gentil' homo di casa Ca-
stigliona in questa nostra città, assassinato Sabato proximo pas-
sato da circa trenta homini armati con rotelle, spato di duamani
et archibusi nel finir del giorno. Et questa tale scelerità comessa
di ordine del Scudier Maraviglia non habbiamo possuto manchare
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 261
per il debito et honor nostro che la giusticia non Labbia havuto
il loco suo. Cosa veramente che m'è incresciuta per molti capi.
Nondimeno lo excesso è stato tanto enorme che non si potea las-
sare impunito se non con grandissimo vituperio et danno nostro
et de tutto il Stato nostro. Et con questo facendo fine, a V. S. de
cor s'ofi'eremo et raccomandamo. Da Milano alli vij di luglio
MDXXXIIJ.
Francesco. „
{A tergo). " Al Molto 111. et Ex. Senor come fratello honorando
Il P. di Ascoli, Capitaneo de la Ces. Maestà et generale della Lega. „
Questa non è lettera d'un complice ad un altro, ma giustifica-
zione d'un atto arbitrario che si teme possa procacciare rimpro-
veri. Continuando le investigazioni, sempre nella speranza di tro-
vare un documento che permettesse di pronunziare un sicuro giu-
dizio, vedemmo la minuta d'una lettera indirizzata due giorni dopo
l'avvenimento a Carlo V, con speciale raccomandazione che doveva
riserbarla alle proprie mani del monarca. Se esisteva un intrigo
da lunga mano preparato, ivi se ne doveva trovare il filo. Al con-
trario, il fatto vien narrato con brevi parole e come cosa nuova;
ma vi si parla di scritti in modo da far credere che questi al-
tre volte abbiano formato soggetto di discussione. Ne giudichi il
lettore :
Milano, 9 Julii 1533.
Caesari m. ppa. P.
" Dopo humilissimamente basciate le mani di V. Ces. Maestà,
essendo occorso fra il Maraviglia Gentilhomo Milanese servitore
del Re X."''' et un altro nobile da Castione certa rixa per causa
di dona, il prefato Maraviglia con unione di più di venticinque
homini et con archibusi di giorno fece amazar dicto Castione in
questa Città et io li era. Pel che essendo preso da justitia, è statto
punito ne la vita, et dopo morto, fatto diligentia per ritrovar le
sue scritture, si sono ritrovate le annexe quali mando a V. M. Non
si è potuto bavere l'originale instructione : questa è la copia scritta
di propria mano del segretario francese a luy deputato et l'origi-
nale con copia delle lettere scritte da esso Maraviglia sono state
disperse da esso segretario intesa la captura del patrone. A V.
262 LA MORTE di' ALBERTO MARAVIGLIA.
Maestà humilissimamente basciandole le mani, me li raccomando
pregando N. S. Iddio feliciti et contenti V. Maestà come desidera. „
Di quella istruzione il duca non aveva fatto parola con alcuno
degli ambasciatori ; ma avendola Carlo V mandata all'oratore suo
in Koma perchè la mostrasse al papa, lo Sforza dovette scriverne
all'Andrasio, e perchè ben comprendeva che non sarebbesi man-
cato d'attribuire la decapitazione del Maraviglia a causa politica,
ne scrive colla maggior segretezza. La minuta piena di cancella-
ture porta in testa di mano del duca le parole, In cifra. Da questa
lettera, che pubblichiamo integralmente per la sua importanza, ci
pare confermata l'opinione che avevamo formato leggendo la let-
tera a Cesare, cioè che Francesco II abbia approfittato del delitto
del Maraviglia, in cui non aveva colpa, per sollecitamente condan-
narlo ed impadronirsi delle sue carte.
Milano, p.o settembre 1533.
'^ Andrasio oratore nostro. In cifra.
" Dopo la decapitatione del Maraviglia fu trovato una instru-
ctione scrittali di propria mano del secretario Bertono presso il
X."'^ ma non sottoscritta da Sua Maestà, di continentia ch'esso
Maraviglia dovesse praticar gentilhomini milanesi per redurli a sua
devotione per poter di loro disponere in caso che noi venessimo a
morte : et per esser cosa de la importantia che voi intendete non
volendo noi per modo alcuno mai mancar del debito nostro per
la M.* Ces.* mandassimo secretamente detta instructione a S. M.
per mano del Secretario Conos senza saputa del nostro Ambassa-
tor residente presso detta Maestà, et pregassimo detto Conos con
nostre lettere ad supplicar S. M. ad non lassar propalar detta
instructione in alchuno loco poiché era più che sufficiente et justa
la causa de la decapitazione del Maraviglia per lo excesso fatto
cometter senza far mentione di detta instructione. Hora tenemo
aviso dal detto nostro Ambassator che, avendo essa Maestà rece-
vuto lettera da l'oratore suo residente presso il X.*"" sopra la do-
glianza de la predetta decapitazione, essa Maestà Ces.* gli ha fatto
responder gagliardemente in conformità de la justificatione de la
qual già più volte ve ne habbiamo scritto et che la sapeva bene
che dicto Maraviglia teneva instructione corno è sopra ditto tutta
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 263'-
a deservitio de S. M. Ces.* Ma di più ne scrive esso Gallerato che
Mons. Granuelle gli ha ditto che sua M. Ces.* ha mandato essa
instructione all'oratore suo in Koma scrivendoli che la voglia tener
presso di sé per sua instructione et advertendolo che, ancora che
non la sia sottoscritta dal re di franza, appare però assai authen-
tica, per essere scritta di man propria del secretarlo Bertono. È
vero che tutto ciò che piace a sua M.* Ces.* anchora non ne con-
sentiamo, ne potemo restar se non satisfatissimi d'ogni suo voler,
nondimeno haveressimo desiderato che la cosa non fusse andata
a notitia d'altri che di S. M. et Conos. Per il che dubitando noi
che se ben S. M. ha scritto a l'oratore suo in Roma che voleva
tener detta instructione presso di se per sua informatione l'abij
forsi partecipata a N. S. . . . „
Segue una pagina e mezza cancellata di mano del duca, poi vi è
aggiunta di pugno del duca stesso una chiusa che venne copiata
in un foglio a parte in questo fedel modo, per metterlo poi in
cifra e mandarlo all'Andreasio :
" Vederete de intendere dal predetto oratore se ha fatto di
tale cosa motto alchuno a Sua Santità, et quando comprendiate
che sì, judicamo che sia bene che gli ne parlasi, porgendoli, se pur
vi accade di parlarne, la cosa con tale destrezza et excusatione
nostra presso S. S. perchè prima di bora non gli l'habbiamo fatto
intendere che la resti bene satisfatta et libera da ogni diffidentia
de noi et fra l'altre cose potrete dire a sua B.^ che, trattandosi
in -questa cosa del interesse de sua M. Ces.^ come si faceva, a noi
pareva convenientemente non dovere palesar questa cosa avanti
che havessimo inteso la volontà de Sua M. Ces.*. Et perche sapemo
che in voi non mancherà prudentìa de satisfare bene a questo
nostro desiderio, se ne remettemo ad voi tenendo la cosa più se-
creta che sia possibile. Et pigliando anche sopra di questo caso
il parere dello suddetto oratore Ces.° con consulta et parere del
quale tratterete questo negotio essendo per tutti li rispetti de
molta importantia come anche voi per vostra prudentia possete
bene comprendere, non lo havendo ditto non lo dite perchè non
bisogna. A noi pare se debbo mostrar non sapere cosa alcuna di
tale cosa havendo noi pur troppo [fin troppo?] justificatione che
tale decapitatione sij per il delitto comesso et che lui non era
oratore. „
^64 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
Non vuoisi tacere che di questa celerità di esecuzione e dell'ora
e del luogo in cui fu fatta, il duca incolpa l'indignazione popolare,
suscitata per la morte del Castiglione, che apparteneva a famiglia
possente in Milano per ricchezze e aderenze. E siccome il re Fran-
oesco I diceva che, prima d'uccidere il Maraviglia, sarebbesi do-
vuto dargli avviso, il duca scriveva (Lettera vij augusti 1533.
Oratori Cesareo in Curia Begis Crist.): "Né deve parer cosa stran-
nia non bavere di ciò prima dato aviso a S. M. perchè l'attrocità
del caso et la murmuratione de la città portava questa celerità di
giusticia, non essendosi senza pericolo di seditione in la città
quando si fosse differto „.
IL
Intanto Giovan Battista Taverna, nipote del Maraviglia, correva
in Francia a narrare al re cristianissimo i fatti accaduti, facen-
done quella versione che sola fino ad ora si conobbe e fu creduta
verità. Il re montò in tanta ira che l' ambasciatore ducale Gio-
vanni Stefano Robio, temendone lo scoppio, si affrettò a fuggire
il 18 luglio, e come scrive il Eobio stesso (Relaz. 7 agosto) reputò,
" manco mal dextramente ritornare. „
Il giorno 6 agosto Francesco I inviava allo Sforza un araldo
colla lettera seguente, che si conserva al nostro Archivio fra gli
autografi. Noi ne pubblichiamo la traduzione dal francese, e la
facciamo seguire dalla risposta del duca:
" Mio cugino mi fa sapere come in questi passati giorni, contro
tutti i diritti antichi e lodevoli costumanze in ogni tempo conser-
vate e osservate fra i prìncipi, abbiate fatto mozzare il capo al
signor Maraviglia mio ambasciatore residente presso vostra Signo-
ria, cosa che mi è tanto e sì gravemente dispiaciuta e dispiace
per il grande oltraggio e l'ingiuria che questo misfatto mi ha ar-
recato e che non è possibile maggiore, e di cui sono deliberato a
risentirmene sempre, finché me ne sia data la dovuta riparazione. Io
l'aveva inviato presso di voi, avendolo conosciuto di una condotta
talmente onesta, che difficilmente posso persuadermi che abbia vo-
luto far cosa meritevole di un tal supplizio. E ancorché avesse po-
tuto meritarlo, voi comprendete che non dovevate dimenticare di
non procedere ad una tale esecuzione senza avvertirmi precedente-
LA. MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 265
mente e inviarmi il suo processo, aspettando su di ciò la mia risposta
che sarebbe stata sì giusta e ragionevole, da farvene soddisfatto.
Questa avrebbe dovuto essere la vera e ragionevole via da seguirsi,
come lo fu in ogni tempo, fin da' più antichi, in tale materia. E per-
chè della pena che ha sofferto (il Maraviglia), l' ingiuria principale
ricade su di me, ed io per niente al mondo sono deliberato di sof-
frirla né di tollerarla, così vi avviso che è necessario pensiate a
ripararla in modo che io ne sia soddisfatto come vuole ragione,
altrimenti, in difetto di ciò, io vi significo che con tutti i mezzi
di cui potrò disporre, procederò contro di voi — farò conoscere
che indiscretamente, e senza avervene dato causa, m'avete fatto
troppo grande ingiuria; della quale mi lagno in iscritto con tutti
i principi cristiani miei amici, alleati e confederati, affinchè cono-
scano e intendano che se io mi risento di tale ingiuria e oltraggio,
e mi rivolgo a voi per farvelo sentire e conoscere, ne ho tutte le
ragioni.
" Scritto a Tolosa il sesto giorno di agosto 1533.
Francesco Bochetet. „
A mio cugino il Duca Francesco Sforma.
Resposta del llìr Sr Buca de Milano al Be Xr
Ani 29 di Agosto MDXXXIIJ.
" Ho riceputo con quella reverentia che al debito et servitù mia
conviene la lettera di V. M., portata per lo Araldo suo, et visto
quanto per quella gli è piaciuto di scrivermi. Io certo, essendoli
quello humilissimo servo che gli sono, ho sentito infinito dispiacere
de la mala satisfattione et opinione dimonstra di me, cosa pero che
mai pensai, sì perchè non mi presupono haverli fatto offesa, come
che di questo caso del Maraviglia subito scrissi al Kobio mio
secretarlo 'residente presso V. M. con pienissima instruttione per
darli conto di quanto era successo, rendendomi certo et sicuro che
instrutto de la verità non solo haveria reputato bene quanto in
ciò fusse fatto, ma l' haveria judicato necessario, benché esso
Robio mosso da timor, come dice, non essendoli pervenute le
mie lettere, non habbia havuto ardire di dimorare et venire al
conspetto de V. M. non senza mia grandissima displicentia. Ho
poi anchor scritto al s. oratore dell'Imperatore et mandato ca-
Arch. Stor. Lonib. — An. I. 17
266 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
vallare a posta per il medesimo effetto, con aggiunta di suplicar
a V. M. che se dignasse admettere ch'io potessi mandarli homo
a dar conto di me et satisfar a V. M. Il che comprendo non haver
avuto effetto avanti la data de le lettere de V. M. Poiché aduncha
per mio infortunio quanto di sopra è occorso, con la debita sum-
raissione et reverentia dico a V. M. che mai pensai offenderla, ne
reputo haverla offesa, et a questo fine supplico la si degni farmi
gratia ch'io le mandi il Taverna mio cancelliere per informarla
de la verità, quale forsi fino ad hora non gli è, come si deve, si-
gnificata, et con questo mezo spero che tanta è la bontà et ju-
stitia Sua, che di me rimovera ogni sinistra opinione. Ne so quando
havessi errato contro la M. V. cosa che mai fu de animo mio, saria
per detrattar alcuna debita reparatione o satisfattione, essendo così
debito maxime alla grandezza et qualità de V. M. Però quanta
più humilmente se possi di novo gli supplico exaudir mia richiesta
et in bona gratia de V. M. humilmente me raccomando „.
Nel frattempo, per consiglio, di papa Clemente VII, il duca
aveva mandato il capitano di giustizia ad Alessandria, incontro
al cardinale d' Agramente che, precedendo il pontefice, andava a
Marsiglia ad assistere alle nozze di Caterina de' Medici col duca
d'Orléans. Lo Spedano aveva l' incarico di persuadere il cardinale
dell'innocenza di Francesco Sforza, affinchè potesse interporre i
suoi amichevoli uffici presso il cristianissimo. Il colloquio ebbe
luogo in presenza di messer Gaspare Mayno governatore d'Ales-
sandria, e al cardinale fu consegnato il processo, che a noi non fu
dato poter trovare nell'Archivio. La relazione che ne scrisse la
Spedano al duca, svela nuove circostanze, come l'agguato del
Maraviglia, la lontananza della costui casa dal luogo del fatto, e
la confessione del Maraviglia d'aver ordito l'uccisione del Casti-
glione, perchè questi, due dì prima, era passato armato davanti
alla porta della sua casa; circostanze tutte che non permettona
di credere alla premeditazione del delitto da parte del duca.
Adì 17 Agosto.
Biporto dil Spedano dal B."*" Agramonte.
" Ho esposto a sua S.'** R.""", secondo la commissione da s. ex.%
el dispiacere grandissimo nel quale essa si trova, havendo inteso
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLL4. 267
esser ad essa M.** X.* molesta molto la morte dil Maraviglia come di
suo oratore presso sua Ex.* La qual cosa se fosse stata vera, soa
Ex.* confessa cke S. M. haverìa giusta causa de dolersi di lei et
Laveria per inimico: ma sei fusse stato cossi, né Soa Ex.* è tanto
imprudente che fusse incorsa in tale errore, ne l'osservanza et
servitù et affectione di quella verso soa M. non l'haveria permesso
ad errare. Ma sapeva certo che non era Ambassatore, perchè ne
elio mai lo disse, ne mai tenne lo locho. Anzi, quando egli andava
da soa Ex.* o ad accompagnarla, stava fra li gentilhomini et nel
numero delli altri sempre come persona privata. Et li altri am-
bassatori, dirò anche li minori, come di Mantoa sempre stavano
presso soa Ex.* Perchè non fu mai Principe che più honorasse Am-
bassatori di quello. Et per più chiarezza gli exibui la istessa lettera,
quale esso Maraviglia portò quando prima venne ; da quale pare
Tenesse per soi affari particolari non per publici et cossi trattava
le cose private et de comprare beni et de pigliar moglie. Et sic-
come tutti li altri oratori hanno le case dove abitano gratis da
soa Ex.* egli ne haveva come privato una condutta ed insomma
nullo segno teneva de segno publico et tutti de privato. Et perho
come privato cittadino di Milano havendo in quella città deliquito
non si potea salva la justitia far altro.
" Soa S.''* Kev.""* mostrò molto grato el vedere de la lettera, et
admise che per quella non si potea dir oratore de soa M. e ne fece
pigliar copia, quale ha fatto portar seco. Et quantunche Soa S."*
Rev.*^* dicesse che, non essendo el Maraviglia oratore, non accadea
al X."^** Re cercare più oltra se jure o jniuria fosse decapitato:
nondimeno per sapere parlare del tutto havea piacere a sapere
tutto el processo. Et io dissi che sua Ex.* cossi mi havea special-
mente commisso dovesse fare. Inteso per Soa S."^** Rev.""* ciò che
narrai disse piacergli molto che cossi fusse, ma che tutto il con-
trario era stato significato a soa M. Io gli dissi in nome de soa
Ex.* che soa M. dovesse imaginarse el modo per el quale gli pia-
cesse de venir in questa verità che soa Ex.* non desiderava altro
se non di ben chiarirla et satisfarla; Et in ispecie li aricordai se
volea el processo, o che un homo de soa Ex.* andasse de Sua M.
ad justificar el caso, overo ella volesse mandar a Milano, soggion*
giendoli che interrogando ciascuno che allora fusse in Milano, et
non appassionato saperla il vero. Perche elio era notorio et perche^
268 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
soa S/''' E.""* me dissi tutto quello era stato detto al Re distinta-
mente. Io come Gio. Batta impetrata la licentia de soa E,.""* S."^*
di poter parlare fuori della mia commissione come privato, me
astrinsi de volermi constituir in man de Soa M. et se non si trova
che questo sia vero in fatto, voleva patir ogni pena, cioè che è
stato per trattato et animo deliberatissimo la morte del Casti-
glione. Che havevano preso due vie et lo havevano messo in mez-
zo, prima si scoprissero, acciò non potesse fuggire; ch'ebbe le
prime ferite d'archibusi; che erano circa de XX homini uniti a
questo et che lui non havea se non sei, de quali dui non havevano
arme; che elio era disarmato e che l'assalto occorse lontano dalla
casa del Maraviglia per tre centrate. De le quali cose tutte era
stato narrato al Re il contrario : et che colui ^ quale era stato il
narratore, era tristo homo perchè haveva in tutto detto el falso et
taciuto el vero; Che lui sapea chi era in effetto. Che lui era pre-
sente quando io detenni il Maraviglia et riprendendolo che haveva
fatto male a far assassinare quello Castiglione et max.^ sotto la
fede. Mi rispose in queste parole: Parvi che io dovessi tollerare
ch'el mi passasse sopra la porta de la casa armato et con gente
armata, come haveva fatto de doi di avanti: le quali parole sole
bastavano che lui eh' havea fatto fare senza il processo et confes-
sione sua che poi seguita; similmente esso sapea ch'el Maraviglia
r havea ricercato et instato lui ad assumer sopra di se questa que-
stione per amor suo perche non voleva lui mostrarse; il tutto di-
mostrò soa Rev."°^ Sig.'''* esserli grato et promise far sapere el
tutto al suo Re et far ogni bono offitio per el s. Duca, dicendomi
anchora che la santità de N. S. con grandissima instantia gli havea
comisso che parlasse al Re^in nome de sua S. et pregarlo a non
pigliare a petto questa cosa del Maraviglia troppo acerbamente,
ne determinare cosa alcuna per causa de quella, ma reservar el
tutto al aboccamento nel quale S. S. saria meglio stato instrutta
del caso. „
In seguito a questa prima giustificazione, il duca scrisse addì 29
agosto (la stessa data della risposta al re) quattro lettere, le cui
minute sono conservate nell'Archivio: la prima è diretta al car-
* La parola colui nell'originale dello Spedano era sostituita da Gio. Bapta Taverna ;
nella copia mandata al duca, surrogata dal pronome.
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 269
dinaie Agramente, pregandolo d'intercedere presso il cristianissimo
affinchè gli sia concesso di mandare il gran cancelliere Francesco
Taverna a giustificarsi appo il re: — la seconda all'ammiraglio
di Francia, per lo stesso motivo, facendo conto su di lui, per sa-
perlo " desideroso del, nostro bene „: — nella terza si rivolge al
cancelliere del regno, facendo appello alla di lui integrità e pru-
denza, perchè, dice, se conoscesse la verità, gli sarebbe favore-
vole: — e finalmente con simiglianti parole prega il gran mae-
stro Montmorency. Questi gli rispose da Marsiglia il 16 settembre
una breve lettera in francese, partecipandogli che Francesco I ac-
consentiva a ricevere un inviato del duca di Milano.
La missione del Taverna è da lui medesimo narrata in tre
lettere.
Prima lettera, 20 ottobre: ai 15 d'ottobre arrivò a Marsiglia, ed
andò tosto a riverire il papa ed a raccomandarsegli ; poi dall'ora-
tore cesareo, quindi da mons. gran maestro, e dal cancelliere del cri-
stianissimo per tentare il terreno, che capi subito molto avverso.
Seconda lettera, 22 ottobre: merita d'essere riprodotta in parte,
perchè dipinge al vivo l'altiero carattere di Francesco I.
lìlr et Exr sig. S. mio Colenda
" Hieri mi presentai al Chr.""" secondo l'ordine a me dato dal
111.'"'' Monsig. Gran Maestro, alla messa, quale finita gli diedi le
credenziali exponendoli secondo teneva in commissione et offe-
rendo particolarmente declarare le justificationi de v. ex.* per el
caso dil Maraviglia. Sua M. mi disse che non haveva voluto negare
a V. ex. de intendere le justificationi sue, però che ordinaria al
suo Consiglio che me intendesse et glie referisse tutto ; et perse-
verando pur io in dolce parola, inviandose disse che farla suo do-
vere; sua maestà non mi monstroe molto bona chiera, anzi come
homo offeso et come adirato „
La terza lettera, 26 ottobre, pubblichiamo integralmente:
^ Hieri fui al Consiglio del Chr." nel quale diffusamente se pro-
pose et replicoe circa el caso del Maraviglia, venendosi a tanti
particolari che non basterieno più fogli per scriverli, quali riferirò
a boccha. Dal canto loro si monstrò mala opinione et molto sini-
stramente si parloe. Io non mi sgovernai in cosa alcuna. Se risol-
270 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
«ero che el tutto referirano al Chr.** et poi me responderiano. Io
non mancho da ogni canto procurar adiutto al caso. „
Che cosa riferisse a bocca il Taverna, lo sappiamo dalla se-
guente lettera scritta dal duca a' suoi ambasciatori:
" Per continuar secondo il solito con la presente vi daremo av-
viso del reporto del M.° Taberna nostro Cancellerò et di più
quanto sia pervenuto a nostra notitia dopo le nostre dil XII. Il
prefato Taberna è ritornato da noi et referisce non haver man-
icato de far intendere diffusamente al Consiglio del X.°"' al qual
era stato remisso tutte le justificationi nostre et risposto a tutte
le cavillose jnventioni che si hanno potuto imaginar facendoli toc-
car con mano eh' el Maraviglia non era oratore del X.""", et noi
non haver potuto proibir la justitia centra la persona sua non
habbia havuto loco, et vedendo li signori del dicto Consiglio che li
fundamenti per loro adotti erano frivoli et debili se sono attaccati
ad un altro fundamento de una lettera scritta per noi l'anno pas-
sato da Bologna al dicto Maravelia, alla quale il prefato Taberna
non ha mancato di far opportuna risposta, et benché para nel
principio di detta lettera che noi consentiamo el Maravelia haver
qualche comissione del X.""" questo non era altro che la prima
comissione che teneva de dirne de le novelle de quelle bande, et
cose generali, et che sia il vero quando che fusse statto oratore
del X.""* non gli havriamo scritto alhora del tener scrissemo, cioè
di contentarsi ch'el potesse star in Milano et in altre parti del
stato quanto gli piacesse, essendo tutti li oratori liberi di poter
star sempre et ovunque gli piace, tanto più quelli del prefato X.""*
quali sopra tutti osserviamo dopo quelli de la Ces.* M. nostro su-
premo S.*"* et per monstrarvi più chiara la verità vi mandiamo
copia di dieta lettera per quale si può considerare li tituli et in-
scriptione d'essa quale corno informato sapete explicar et dimon-
strare se convengono alli Ambassatori o subditi nostri et al stilo
del scriver nostro. Havemo con ogni diligentia fatto ricercar la
lettera, quale dicto Maravelia ci scrisse perchè con quella se chia-
rirla tutto, ma per non essersi tenuto conto, come de tali lettere
non se sole, non si potemo valer se non de la lettera predicta.
Mandiamo anchor copia de la lettera che ci scrisse il X.""" per el
prefato Maravelia previa intelligentia, che confrontandoli si cogno-
tsca la verità, certificandovi che dal canto del prefato Taberna et
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 271
de ordine nostro non s'è mancato de andar con ogni summissione
€t reverentia per placar l'animo del X.'"'' et levarli la querela che
tiene contro noi, usando eziandio in questo del mezo de N. S.
benché tutto habbia profittato poco, et non per altra causa che
per l'ardentissimo animo de sua M. centra noi et alla occupatione
del stato nostro, volendosi in ogni tempo servirse de questa falsa
occasione contro ogni debito et ragione. La resoluzione loro è stata
chel X.""" non obstante la nostra justifìcatione intende de bavere
reparatione conveniente da noi per questa ingiuria et non haven-
dola, in ogni occasione et tempo che li occorrerà se vorrà resentir,
non specificando la qualità de la reparatione, quale anchora non
appartenea ad esso Taberna ad adomandar per non presuponer
errore in noi, come non è. Habbiamo del tutto datto avviso alla
M. Ces."" oltra ch'el prefato Taberna giornalmente comunicasse il
tutto con li s.'' oratori de Sua M. presso N. S. et il X.*"** acciò
sua M. Ces.* in questo negotio possa far quelli uffici che per sua
summa prudentia judicara expedienti. „ ^
Non possiamo tacere' che un'opinione più volte espressa nel car-
teggio diplomatico che esaminammo, attribuisce la grand' ira del
re cristianissimo, vantato, scrive il Planche, " siccome il fiore della
cavalleria, mentre d'un cavaliere non aveva che la bravura „, alla
* Verri e Rosmini citano, fra le altre fonti cui attinsero le notizie sul Maraviglia, il
capitolo IX degli Essais di Montaigne: e quel capitolo è dedicato ai Menteurs! Il
filosofo francese narra che il Taverna Francesco, Jiomme tresfameux en science de par-
lerie, venne stretto dal re francese con tante objezioni e domande, da rimanere im-
pacciato: e finalmente che, interrogato perchè l'esecuzione fu fatta di notte, rispose cho
ciò avvenne per rispetto a sua Maestà, riconoscendo storditamente il Maraviglia quale
ambasciatore.
Questo aneddoto, che fa ben poco onore al tresfameux Taverna, ha tutto l'aspetto
d'una spiritosa invenzione, messa su al doppio scopo di dar risalto alla perspicacia del
re cavaliere, uno dei monarchi più adulati, e d'avvilire un italiano, del quale a
bella posta si era esaltato l'ingegno. Le lettere del Taverna che abbiamo pubblicate
sono troppo chiare per permettere d'indovinare qualche cosa fra le linee. Il giorno in
cui re Francesco acconsentì di ricevere l'ambasciatore milanese, tenne un contegno
altiero, e si mostrò lontano dallo scendere alla famigliarità di domande stringenti:
d'altra parte, se il Taverna avesse allora scioccamente pronunziata quella parola, sa-
rebbe stato inutile rimandarlo avanti al Consiglio. Quando si presentò a questo, non
era presente il re, tanto che, dopo avere a lungo discusso, si concluse dì riferire ogni
cosa al Cristianìssimo. Altre occasioni di parlare col re, non pare abbia avuto il Ta-
verna, che si fermò pochi giorni in quella Corte, ove era mal gradito. Vedasi quindi
quanta fede meritino le asserzioni di Montaigne, che colloca il nostro Taverna fra 1 più
solenni bugiardi, e pretendo che il duca abbia teso l'agguato al Maraviglia.
272 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
smania di vendicare la disfatta di Pavia. A questo si aggiunga la
brama di opporsi alla lega di Bologna , e si troveranno non lontane
dal vero le parole dell' Andreasio, che Francesco I " non havendo
alcuna juxta causa de monstrar la sua iniqua volontà, exagera
questo caso del Maraviglia monstrandone excessivo dispiacere et
non gli recuperarla la vita con dui scuti se lo potesse far, el se '1
potesse far et s'el non fusse morto ne pagaria 2 mila perchè mo-
risse di quello modo ch'el è morto per bavere questa querela falsa
contra v. ex. non ne possendo bavere alcuna juxta. „^
In una relazione delle querele del cristianissimo (27 luglio 1533}
si dice che " il Duca de Milano bave va fatto tagliar la testa ad
uno suo Ambasciator che gli teneva appresso piuttosto per sua sa-
tisfatione et ricercato da lui per conto di certo Mariagio, che per-
chè ne bavesse bisogno né voluntà „ Ma era ciò possibile,
mentre nel convegno di Bologna si era già trattato il matrimonio
del duca con Cristierna nipote di Carlo V? Di nozze dello Sforza
con qualche donna della Casa di Francia s'era già parlato sette
anni prima, secondo un documento trovato nell'Archivio, in data
25 novembre 1526, intitolato " Instructione secreta di messer Gio.
Francesco Taberna oratore nostro in Franza. „ Ivi è detto che
" Occorrendo che il X.""" Re o Madonna Regente vi parlasse di
maritarmi, secondo che la prefata Madama disse al egregio Nicolo
Sfondrato, gli potrete exponere che per meglio dimostrare la devo-
tione et fede mia verso di quelle M.^^ saremo contenti fare quanta
circa questo, capo vorranno. „
Finalmente Verri e Rosmini, per un'ultima inesattezza in questa
fatto, concludono dicendo che Carlo V fu tanto soddisfatto della
morte del Maraviglia, che risolse di dar moglie allo Sforza, e scelse
per ciò la propria nipote Cristierna. Nel nostro Archivio di Stato
esistono invece le prove che il matrimonio era stato preparato ben
prima della catastrofe : e Francesco Taverna, quel desso che andò
poi in Francia, era stato spedito presso l'imperatore per istabilire
definitivamente le nozze. Conclusa ogni cosa, tornò il Taverna a
' Lettera da Roma, 2 settembre 1533."] — Noi siamo propensi a dar fede all' Andrea-
sio, perchè le sue lettere al duca appajono schiette fino al pericolo. Per darne una
prova, notiamo che nel luglio 1533 scriveva allo Sforza, a proposito d'una concessione
di papa Clemente VII, essere « più difiìcile cavar danari dal Papa che un' anima dal-
l'Inferno, se fusse possibile. > E devesi aggiungere che TAndreasio era prete.
LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA. 273
Milano nei primi di luglio 1533: ed il duca scriveva in data del 7
a Tomaso Gallerato, ambasciatore alla Corte cesarea, che " essendo
ritornato il Taverna cancelliere colla risposta dell'Imperatore pel
matrimonio, si manderebbe il magnifico conte Max. Stampa nostro
maestro di Camera et Castellano de la fortezza di Milano, in Fian-
dra per lo sposalitio. „ La mano di Cristierna non fu quindi un
premio al delitto, ma un fatto estraneo, indipendente dalla morte
del Maraviglia.
Scriveva umilmente il duca al superbo Leyva, nell'ottobre di
quell'anno : " Se tempesta in qualche luogo, credo sempre la venghi
a casa mia. „ ^ Questa frase caratterizza la costante sfortuna del-
l'ultimo degli Sforza; sfortuna che non dovea cessare neppur colla
vita. Storici coscienziosi e severi dovevano aggiungere alle sue
sventure l'infamia. Lasciando indecisa la questione, se il Maravi-
glia era o no ambasciatore segreto del Cristianissimo, abbiamo
mostrato: Che il Maraviglia stesso stava per partire ai primi di
luglio, ed era quindi inutile ricorrere ad un delitto per liberarsi
di lui — che mancano documenti che facciano sospettare lagnanze,
per la dimora del Maraviglia in Milano, da parte dell'imperatore
0 del Leyva — che vi era nimicizia privata fra lui e G. B. Ca-
stiglione, rinnovata per rivalità d' amore — che il Capitano di
Giustizia volle la fede di pace d'entrambi, e chiama in testimonio
il nipote G. B. Taverna che primo eccitò re Francesco alla ven-
detta — che G. B. Castiglione non andò ad assalire il Maraviglia
nella sua casa quando rimase morto, ma bensì lo scudiero si pose
in agguato, tre contrade lontano dalla casa Maraviglia e con ar-
mati — che il Maraviglia era di carattere violento, avendone dato
prove con altri omicidj — che il matrimonio con Cristierna, as-
serito come prova dell'infamia del duca, era stabilito lunga pezza
prima del fatto — e quindi tutto ciò purga il duca dall'accusa dei
nostri storici, troppo creduli ai francesi.
lì siccome in noi non è alcuna preconcetta idea, ma solamente
desiderio di verità, aggiungeremo il rovescio della medaglia: che
la celerità colla quale fu fatto il processo ; il modo dell'esecuzione,
*[ Nell'occasione che la Lombardia era occupata da soldatesche spagnuole, che il po-
poU mormorava per doverle mantenere, e il duca ignorava la causa di tale invasione.
274 LA MORTE DI ALBERTO MARAVIGLIA.
e la lettera a Carlo V, nella quale confessa lo Sforza d'aver seque-
strate le carte del Maraviglia, fanno credere che, avvenuta, senza
nessuna colpa del duca, la morte del Castiglione, ne abbia il duca
approfittato per mostrarsi pronto e severo, in pari tempo servendo
a' suoi interessi ed alla giustizia. E crediamo che Verri e Rosmini
non avrebbero rifiutato questo più mite giudizio, se, invece d'ap-
poggiarsi ciecamente agli autori stranieri, avessero avuta la for-
tunata nostra occasione di fare nell'Archivio queste ricerche, per
le quali (giusta le parole dell'illustre Cesare Cantù) " la storia
oltre la faccia che mostra scoperta ed imbellettata al pubblico, è
costretta svelar anche l'altra, serbata agli studiosi cultori della
verità, „
Milano, 15 aprile 1874.
C. ROMUSSI.
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA,
I Milanesi che desiderano sottrarsi per qualche tempo al fra-
stuono della vita citta,dina, anelano alla Brianza come al paese
prediletto per la bella vista e l'aria buona. Il solo suo nome basta
a risvegliare nel loro cuore le più liete immagini di vita gaja e ri-
posata.
La Brianza è davvero degna della loro simpatia. Alla limpi-
dezza del cielo, alla purità dell'aria, essa aggiunge le attrattive
di una natura originale, e quelle d' una civiltà molto progredita.
È celebre la fertilità del suo suolo, l'eleganza delle ville che co-
ronano i suoi colli; lo straniero che per avventura la percorre,
ne rimane piacevolmente sorpreso. In tutto il territorio che si di-
stende tra l'Adda e il Lambro è un succedersi di pittoresche ve-
dute ; i frequenti villaggi, la svariata coltura danno al paese aspetto
di agiatezza e di allegria. Ma non basta: altri e più reconditi
pregi l'abbelliscono eia fanno cara all'artista ed al curioso inda-
gatore di patrie memorie.
Percorrendo quelle ridenti colline, si trovano qua e là vestigia
preziose dell'arte lombarda, ricordanze storiche e tradizioni dei
secoli di mezzo.
Avanzi di castelli, chiese pregevoli per antichità e per monu-
menti, torri, che portano nomi famosi, tuttora sussistono e sem-
brano attestare in faccia ai pacifici Brianzuoli d'oggidì di quali
gloriose vicende fu un dì teatro la loro contrada.
Fra le molteplici lotte intestine e le guerre con gli Stati limi-
trofi, feconde pur troppo di stragi e di rovine, una ne ricorda la
276 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
storia della Brianza di gran momento pel nome del capitano e per
r esito che mutò faccia allo Stato. Questa fu la guerra intrapresa
da Francesco Sforza per la conquista del ducato di Milano, le cui
ultime battaglie accaddero appunto nella Brianza; il futuro duca
percorse colle sue schiere le amene campagne tra l' Adda e il Lam-
bro, piantò le tende e tenne fermo contro il nemico da quelle al-
ture che oggi sono la meta di tante allegre passeggiate.
Colla scorta dei cronisti del tempo noi possiamo tener dietro
al famoso capitano nel suo giro in Brianza, studiarne le mosse
abilissime ed i fini accorgimenti, mercè i quali riuscì nel volgere
di pochi mesi padrone dello Stato.
Questi fatti è vero furono già in parte narrati da precedenti
scrittori, ma per poca cognizione della topografia locale, essi cad-
dero in parecchie inesattezze. Il descriverli nuovamente, rifondendo
le diverse relazioni, non è dunque fatica al tutto inutile, e noi ci
siamo messi volentieri a questo lavoro, nella speranza di risve-
gliare in qualcuno fra i visitatori della Brianza il desiderio di co-
noscerla più intimamente.
Il prestigio delle patrie ricordanze, come dà un maggior risalto
alle bellezze dei luoghi, così conduce anche a stabilire degli utili
confronti; e il villeggiante, avido di calma e di lieti svagamenti,
risalendo col pensiero a dei tempi tanto diversi dai nostri, ap-
prezzerà meglio tutta la soavità e la tranquilla allegria della
Brianza d' oggidì.
I.
Al tempo di cui parliamo, l'Adda segnava il confine tra lo Stato
di Milano e la Repubblica di Venezia. Dalla nostra parte la na-
tura e l'arte concorrevano a proteggere il territorio. Il Monte
Baro dirimpetto a Lecco, e il San Genesio cjbe pel tratto di circa
cinque miglia si distende parallelo all'Adda, presentavano un'ec-
cellente linea difensiva, resa più agguerrita da alcuni piccoli forti
disposti sulla cresta dei monti. Le falde del San Genesio toccano
l'Adda ad Olginate, ma da quel punto fino ad Air uno una catena
di piccoli colli sorge tra il fiume e il monte, formando con que-
st'ultimo la valle di Greghentino. Quei colli dalla parte del fiume
sono erti, scoscesi, e l'ultimo che si alza vicino ad Airuno è il più
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 277
<iirupato e a picco sull' Adda ; sulla cima ha una vecchia torre ed
una chiesuola dedicata alla Vergine, e si chiama la Madonna della
Rócca ; quella torre è l' unico avanzo di un castello importante nel
medioevo.
Dopo Airuno, l'Adda piega a Levante: la strada da Lecco a Mi-
lano correva in quell' epoca presso a poco nella direzione attuale :
fino ad Airuno, stretta fra il fiume ed il monte, poscia serpeg-
giante per le sinuosità del terreno : si apriva quindi un varco tra
le colline di Calco e di Morate, e le estreme falde di Monte vec-
chia : colline tagliate da valli e burroni, in allora coperte di bo-
schi, e difficili al viandante.
Sul finire dell'anno 1449, alcune compagnie di fanti e d'uomini
a cavallo, colle insegne di casa Sforza, occupavano le alture di
Calco e dei villaggi all'intorno. Aveano l'ordine dal conte Fran-
cesco di osservare i Veneziani accampati sulla sinistra dell'Adda,
in faccia a Brivio ; attendevano questi alla costruzione di un ponte,
per poi trasportare di qua del fiume un' abbondante provvigione
di frumento, destinata ai Milanesi loro alleati.
Milano in quell'epoca si reggeva a repubblica, da oltre due
anni, dalla morte cioè, di Filippo Maria Visconti seguita nel 1447;
ma per le discordie intestine e per l'abilità di Francesco Sforza,
il quale come genero del defunto aspirava al ducato, la città era
caduta in tristissime condizioni, ed ormai stretta dalla fame e
dalle armi Sforzesche, avea messe tutte le speranze negli ajuti
tante volte invocati della Repubblica di Venezia.
Quale fosse la situazione dei Milanesi in quei giorni, meglio di
qualsiasi testimonianza di scrittori contemporanei, lo dice una
grida del dicembre 1449. La diamo qui per intiero, conforme al-
l'originale che si conserva nell'Archivio Civico.
" MCCCCXLVIIII die XI decembris. Expectando li nostri 111. et
Ex\ Signori Capitani et defensori de la libertà essere avisati de
dì in dì del passare de la gente de la 111.^ Signoria de Venetia de
qua de Adda per aprire la via de la victualia, allargare il paese,
liberare questa città, et questo populo de affanno et confondere
in tutto il nostro inimico, acciocché mai più el non possa offen-
dere : expectando etiandio intendere la zornata che la dieta gente
et quella de la Comunità nostra insieme con il populo se debiano
nnire et metere insieme per fare li dicti effecti, fanno fare Grida
278 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
et bando che caduno de qualunche stato, grado et condizione se
sia debia subito metterse et stare in puncto con la sua gerbatana,
balestra tarchoni, lanze longbe gravelline et altre arma in quello
migliore aparegiamento sia possibile aciocliè come gli sia facta
notitia per ordinatione de li prefati signori senza dilatione alcuna
siano in arma et possano uscire et andare e fare quanto sarà di
bisogno ; avisando che a questa volta se cognoscerà quanto sia ca-
duno amorevole de la patria, desideroso de la conservatione del
stato de la libertà et de la confirmatione et grandezza d' esso Stato,
affectionato al pubblico bene et volonteroso de vendicarse de la
injuria et oltraggi ricevuti dal nostro capitale inimico, et de ritro-
varse a tanta gloriosa Victoria quanta el nostro Signore Dio ha
aparegiata per li meriti del nostre glorioso patrono Messere Ser
Ambrogio. Et pertanto ogni uno se metta in puncto et facia come
è dicto sforzando etiandio el potere suo, cieche poi obtenuta la
Victoria et disfacto lo inimico possiamo tutti vivere in quiete et
in pace restaurarsi de li danni passati et rendere laude et gratie
al nostro Signore Dio che da poi li affanni ne habia redenti per
clementia sua a stato quieto et reposato.
" Paulus prior. Marcolinus.
" Gridata ad scallas palatii et super platea Arenghi Mediolani,
die Jovis undecime suprascripti mensis decembris per Bartolinum
de Gorlivio tubatorem.
^ Et per loca civitatis die Veneris XII suprascripti Mensis. „
I ripetuti eccitamenti, e le parole confortevoli degli ili.""' si-
gnori capitani rivelano quanto fosse profondo l'abbattimento dei
cittadini: per richiederli di uno sforzo supremo per la salvezza
della patria, era necessario assicurarli prima di un pronto ajuto
da parte della Repubblica di Venezia.
La Signoria di Venezia, infatti, dopo avere seguita per lungo
tempo una politica ambigua, pareva risoluta finalmente di soccor-
rere i Milanesi.
Gli ultimi avvenimenti aveano dimostrata tutta l' abilità e la po-
tenza dello Sforza: premeva perciò moltissimo a quella Repubblica
che uno Stato limitrofo importante non gli cadesse nelle mani.
Le sue milizie erano radunate al confine, ed aspettavano soltanto
un'occasione favorevole per varcare l'Adda ed avanzarsi fino alle
porte di Milano.
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 279
Il conte Francesco volle ad ogni costo impedire codesta spedi-
zione. Con i fatti d'arme dei mesi precedenti egli era diventato
padrone del basso Milanese, e da quella parte non potevano giun-
gere soccorsi all'affamata città. Tutta la sua attenzione si portò
dunque sulla linea di confine da Cassano al ponte di Lecco. A
tale scopo avea mandato in Brianza, sotto gli ordini del fratella
Giovanni, alcune compagnie di fanti, ed egli stesso col grosso del-
l'esercito era venuto a stabilirsi a Cassano d'Adda. Scorsi pochi
giorni, ebbe avviso del concentrarsi che facevano i Veneziani in
faccia a Brivio, e prevedendo difficile una lunga resistenza da parte
del fratello, decise di andare subito a quella volta. Nella sera levò
il campo da Cassano, e senza indugi s'avviò coli' esercito verso
Brivio.
Nella notte, giunto vicino ad Usmate, vide molti fuochi accesi
sul San Genesio che gli stava dirimpetto: credette fossero i sol-
dati di suo fratello Giovanni, intenti a costruire nuovi ripari: ma
arrivato a Calco sull' albeggiare, con gran sorpresa s'avvide che
il monte era occupato dai Veneziani. Questi in buon numero nel
giorno precedente, dopo tragittata l'Adda e dispersi senza diffi-
coltà gli Sforzeschi, aveano inalberata la bandiera di Venezia sul
San Genesio.
Per lo Sforza era un colpo assai grave : le sorti della guerra,
sino a quel giorno a lui oltremodo propizie, parevano ad un tratto
cambiar piega : ormai i Veneziani erano padroni dell' alta Brianza,
ed aveano aperta la strada per congiungersi coli' esercito della
Repubblica sorella, stanziato a Monza ; rifornita di soldati e di vi-
veri, Milano poteva prolungare a tempo indeterminato la sua re-
sistenza.
Sulle prime parve al conte una grave imprudenza il rimanere
a Calco, ed impresa troppo difficile quella di contrastare ai Ve-
neziani la Brianza. Tuttavia gli doleva di deporre cosi presto
il pensiero da una spedizione, temeraria forse, ma anche piena di
attrattive per un'indole guerriera come la sua. Contro il parere
de' suoi capi di squadra, decise dunque di tenere fermo contro il
nemico, e di confidare nella sua buona fortuna.
Con molto accorgimento egli dispose le soldatesche in modo da
impedire ai Veneziani ch'erano sul monte di scender al basso, ed
a quelli di là dell'Adda di tragittarla.
280 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
Ebbero luogo piccoli scontri, ma senza importanti risultati, dalle
due parti.
Un tentativo degli Sforzeschi di salire il San Genesio non ebbe
fortuna; il nemico dall'alto, dietro solidi ripari, con sassi e con
freccio seppe tenerli lontani. Ma con queste avvisaglie lo Sforza
fece perdere ai Veneziani un tempo prezioso. Per Milano ogni
giorno di più di quella crudele aspettativa voleva dire un nuovo
e maggior numero di vittime della fame e degli stenti. Al popolo
che tumultuava, i magistrati rispondevano mettendo a prezzo la
testa di Francesco Sforza. Intanto nessuna notizia potevano dare
dei soccorsi da lungo tempo promessi.
Per sollecitarne la venuta, i capi della Repubblica fecero istanza
al loro capitano generale Jacopo Piccinino di sortire da Monza
dove stava coli' esercito, e di muovere incontro alle sospirate prov-
vigioni.
Allo stesso Piccinino furono larghi di promesse di ingrossargli
le fila dei combattenti con quante persone atte alle armi avreb-
bero potuto mandargli da Milano: e infatti non tralasciarono lu-
singhe né minaccio per spingere i cittadini ad arrolarsi nell'eser-
cito di Monza, come si rileva da una grida del 17 dicembre.
« MCCCCXL Villi die XVII decembris.
" Perchè intendano li 111.' Signori Capitanei et defensori de la li-
bertate che si facia de li facti et tali che daranno grandissimo
contentamento et conforto a qualunque vero amatore de la per-
fecta libertate, fanno comandamento et crida che ciascheduno sia
chi si voglia 0 squadraro o homo d'arme o conestabile o fante de
pedo che scripto sia al soldo de questa Ex. Comunità o che habia
havuto el spaciamento suo secondo li ordini debia oggi per tutto
il dì essere a Monza e consegnarse davanti el Magnifico Conte Ja-
como Piccinino Capitano generale de la prefata Comunitate et
fare quanto per lui gli sarà comandato sotto pena da quattro
squassi de corda et de perdere le armi et cavalli se troveranno
bavere, et oltre de questo de stare in presune uno mese de lungo
e chi se lasserà trovare non essere andato e consignato come so-
pra è dicto.
" Petrus prior e G. Candidus. Gridata ad scallas, etc. „
Ma pare che la grida non sortisse tutto l'effetto desiderato,
perchè pochi giorni dopo ripeterono l'appello con maggiore am-
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 281
pollosità di frasi, e con promesse di una vittoria pronta e decisiva.
È un curiuso documento, e un modello dello stile ufficiale di quei
tempi, il quale merita di essere riprodotto.
« MCCCCXLVIIII die XXIII decembris.
Mirabile exemplo ha dimostrato questo magno et florentissimo
populo de la sua sancta constantia et magnanimitate, dal prin-
cipio de la reasumpta justissim^ente libertate fino al di presente
et de la virtute et singulare probitate sua usata in non lassare
essa libertate opprimere dà li sì crudelissimi inimici. Non solum
tota Italia ne parla in sua grandissima laude ma lo universo mondo
con stupore la esalta et accogliendo quanto ha facto esso 'populo
per il tempo de la sua sancta libertate, le spese grandissime sup-
portate li pericoli a li quali ha exprunta la propria persona per
non lassarse mettere el terribile jugo de la perpetua servitute,
degnamente se po' al popolo Komano comparare, ma l' ultima co-
rona de la gloria nostra et de questa inclita città et del dicto po-
pulo et aparegiata di presente che passando lo potente esercito
de la 111.* Signoria de Venetia come de bora in bora se expecta
et giungendo con esso le nostre gente d'arme et il dicto populo
insieme ancora come è ordinato, tale Victoria se acquisterà et tale
triumpho de lo perfido tiranno Conte Francesco nostro capitale
inimico che sarà casone di perpetua felicitote de tutta questa pa-
tria, et anche de tutta quanta l'Italia. Pertanto li IH.' Signori
Capitani et defensori de la prefata libertate confortano qualunque
vero amatore della libertate et devoto del glorioso S. Ambrosio
patrono et protettore nostro che a questa volta chiaramente di-
mostra la totale aifectione sua apparecchiandosi con soi forni-
menti et arme per essere in puncto de andare domane con quanti
porà menare con se e mandare dove li sarà ordinato et comandato
per ritrovarse appresso al nostro Capitan generale et expectare
r bora del passare de la gente de la prefata Signoria et ritrovarse
presente a tanta Victoria certa et indubitata perchè o expectando
0 non expectando il dicto inimico nostro, necessario è rimanga al
tutto disfacto per non potere resistere a tanta potentia. Et questo
si farà fra il spatio di dui di o tri al pitì, né più oltre può andare:
siche ogni homo voglia ussire, et chi è da più e più pò, più pre-
sto se mova el daga bono exemplo agli altri et se habia avisamento
da farse condurre del pane cocto a sufficienza per quelli menarà
Ardi. Stor. Lomh. — An. I. 18
282 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
con sè per duy o tri dì come sopra è dicto, aciochè per manca-
mento di pane non se stia, et se possa ritornare victoriosi et glo-
riosi et de poi riposare et liberare tanti guai et affanni, godere del
fructo de la prefata libertà et rendere la debita gratia a Dio onni-
potente. El signo del movere ogni homo lo intende quando la
campana del domo sonarà un poco da festa et lo loco dove si
debia alora radunarse è a sancto^ionisio. Et ciaschuno habia ad-
vertentia de mettere la banda che ha el segno de questa excelsa
Comunità
" Petrus prior., etc. „
Jacopo Piccinino assecondò il voto dei capi della repul)blica:
una mattina degli ultimi di dicembre partì da Monza con le mi-
gliori e più agguerrite fra le sue soldatesche, ed avviatosi per la
strada di Peregallo, egli sperava di giungere l'indomani al San
Genesio.
I Milanesi erano circa quattromila uomini a piedi ed altret-
tanti a cavallo, e bastavano per una spedizione, nella quale la ce-
lerità era condizione principale del successo. La sera del mede-
simo giorno r avanguardia raggiunse Montevecchia, ma il Piccinino
col corpo principale si fermò al piccolo villaggio di Casate Vec-
chio. Nella stessa giornata sull'imbrunire lo Sforza ebbe avviso
del movimento del nemico. Con V avvedutezza che gli era propria,
subito radunò i capi di squadra, e li avvertì del gran pericolo che
correvano di essere forse l'indomani assaliti dai due eserciti al-
leati; soggiunse di non vedere altro scampo che nel partire nella
notte stessa da Calco, nell'andare incontro al Piccinino, e batterlo
prima che avesse raggiunti i Veneziani.
La proposta fu accettata, e senza indugi eseguita. A tre ore di
notte gli Sforzeschi in buon ordine e silenziosi si avviarono lungo
la valle di Rovagnate. Rimasero poche squadre a guardia del
passo dell'Adda, più a dimostrazione di forza che a valida difesa.
Se i Veneziani profittando della sua assenza tragittavano il fiume,
il conte si lusingava. di retrocedere in tempo, da costringerli alla
ritirata.
Percorsa la valle e varcata la collina di Sìrtori, l'esercito si
trovò vicino a Casate ch'era ancor notte. Le prime sentinelle fu-
rono prese e disarmate, e di corsa gli Sforzeschi assalirono il campo
dei Milanesi. Questi, cólti all' improvviso, diedero di piglio alle armi
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 285
e giovandosi della posizione elevata, seppero per qualche ora re-
sistere agli assalitori. Ai piedi del villaggio accadde una zuffa ac-
canita : per due volte il conte Francesco fu abbandonato da' suoi,
ma colle parole e con l'esempio li richiamò a' suoi fianchi, e con
maggior animo ripresero il combattimento.
Una vittoria completa fu il frutto della loro costanza: i Milanesi
cominciarono a piegare sotto i replicati colpi degli Sforzeschi, ed
alla fine cedettero il campo. Jacopo Piccinino, al quale pareva*
di avere soddisfatto all'onore delle armi, senza tentare la rivin-
cita, si ritirò coir avanzo dell'esercito sotto le mura di Monza.
Nello stesso giorno il conte Francesco riparti da Casate, e piantò
le tende la sera a Montevecchia. L'avanguardia milanese se n'era
andata poche ore prima da quell' importante " posizione, appena
udita la rotta del Piccinino ; e attraversata la valle di Rovagnate,.
avea raggiunti i Veneziani sul San Genesio.
Respinto il Piccinino e tolta ai Milanesi la voglia di cimentarsi
con lui in aperta campagna, credette lo Sforza di avere davanti
a sé qualche settimana di riposo.
Il freddo intenso di quei giorni metteva un ostacolo alle fa-
zioni di guerra: non era possibile lasciare le truppe all'aperto,
e furono perciò distribuite nei villaggi, al riparo dal rigore della
stagione.
Ma fu per poco: quel gruppo di Veneziani e Milanesi raccolti
sul San Genesio con frequenti scorrerie e rapine gettava, lo spa-
vento negli abitanti della valle sottoposta ; parecchie famiglie, delle
più cospicue della Brianza, come i d' Adda di Olginate, i Nava, gli
Isacchi, famiglie un giorno potenti, adesso minacciate di rovina e
di morte, accorsero a cercare rifugio e difesa presso lo Sforza, tut-
tora accampato a Montevecchia. D'altra parte gli giunse l'avviso
della costruzione di un nuovo ponte sull'Adda, di fronte ad Olgi-
nate, pel quale i Veneziani da un giorno all'altro potevano rag-
giungere la sponda lombarda.
Per impedire loro il passaggio, o per lo meno l' inoltrarsi in
Brianza, spedì truppe a Galbiate e sul monte Barro: egli stesso
levò il campo da Montevecchia e, giunto a Calco, comprese la ne-
cessità di liberare il San Genesio. Andato a vuoto il primo tenta-
tivo di sgomberare il monte colle armi, risolvette di costringere
colla fame i Veneziani ad arrendersi.
284 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
Erano quasi quattromila uomini, compresi i Milanesi giunti
lassù da Montevecchia , e vivevano delle razioni che il comandante
dell'esercito veneto spediva loro giorno per giorno dalla sinistra
sponda dell'Adda, attraverso infinite difficoltà, e appena riceveva-
no di che sfamarsi. Bastava intercettare il passo tre giorni per
ottenere l'intento desiderato dallo Sforza. Ma appunto per chiu-
dere la via alle vettovaglie conveniva dapprima impadronirsi della
Rócca d' Airuno. Posta su di un colle isolato, a guisa di sentinella
avanzata del San Genesio verso l'Adda, essa era custodita dai
Veneziani con molta cura, perchè alla medesima facevano capo i
convogli diretti alle soldatesche sul monte.
Francesco Sforza scelse le migliori tra le sue squadre di uomini
a piedi, e le guidò all'assalto della Rócca. La presenza del grande
capitano produsse il consueto effetto: le truppe attaccarono con
impeto, e dopo una mezza giornata di combattimento, rimasero pa-
drone della posizione. Fatti prigionieri i difensori e messo un pre-
sidio a guardia del passo, non fu più possibile da parte dei Ve-
neziani nessuna spedizione per quel giorno né per i seguenti:
Le soldatesche, riunite sulla cima del San Genesio, perduta ogni
speranza di soccorso, per non morire di fame, abbandonarono quei
luoghi. I Veneziani discesero dal versante che guarda Olginate, e
senza soffrirne danno, ripassarono l'Adda. I Milanesi invece pre-
ferirono arrendersi allo Sforza, dal quale furono accolti con dol-
cezza, e -confortati di cibo; concedette a tutti la libertà di andar-
sene alle proprie case, e questa sua magnanimità fu anche un
atto di buona politica: i Milanesi, lieti della loro salvezza, ritor-
nati in patria, non ristarono dal decantare la bontà e clemenza
del conte.
Gli abitanti intorno al San Genesio, vedendo restituita la pace
e la sicurezza alle loro terre, pieni di gratitudine, si dichiararono
tutti devoti e partigiani del valente capitano, il quale avea sa-
puto in cosi breve tempo liberare il paese.
Sebbene ormai padrone della riva destra dell'Adda, lo Sforza
volle premunirsi contro le sorprese dei Veneziani coli' aggiungere
nuove difese alla Rocca d' Airuno ed alle alture contìgue.
Dalla Rócca fin presso ad Olginate si distende una catena di
piccole colline, le quali formano col San Genesio la valletta di
Greghentino, e dal lato opposto lambiscono l'Adda. Su ciascun
FRANCESCO SFORZA IN BRTANZA. 285
rialzo fece costruire un riparo, detto bastìa^ con sacchi di terra
e fascine, e negli intervalli fece aprire un fossato. I Veneziani tenta-
rono invano di interrompere i lavori, ed una volta condotti a
compimento, non si arrischiarono più di passare l'Adda, e nem-
meno erano sicuri sull'opposta riva dal tiro degli schioppettieri
sforzeschi, collocati dietro le bastìe.
Questi fatti avvennero nei primi giorni dell'anno 1450. Allo
Sforza parve alla fine di essere sicuro della vittoria. Infatti Ja-
copo Piccinino dopo la sconfitta di Casate era andato a chiudersi
in Milano, ed i Veneziani, respinti tutti sulla sinistra dell'Adda,
non ispiravano più nessun timore.
IL
La notizia di questi avvenimenti gettò lo sgomento e la coster-
nazione nei Milanesi. Pochi giorni prima s'aspettavano di vedere
ritornare Jacopo Piccinino vittorioso, e seguito da un convoglio
di farine. Ebbero invece il triste spettacolo delle soldatesche bat-
tute a Casate, le quali alla spicciolata, lacere ed avvilite, vennero
ad accrescere il numero degli affamati. I Veneziani erano più lon-
tani di prima, e delle provvigioni nessuna speranza, perchè in-
tercettata ogni via dalle truppe sforzesche.
Con tutto ciò i capi della Repubblica Ambrosiana non piega-
rono r animo, e più tenaci del potere che non addolorati dei mali
della città, col mezzo dell'ambasciatore veneto I^orenzo Veniero
replicarono le istanze alla Signoria di Venezia per ottenere ajuti
d'uomini e di vettovaglie.
La loro domanda ebbe favorevole accoglienza , e le -due repub-
bliche vennero ad una nuova convenzione, come si rileva da una
grida del 5 gennajo 1450, del seguente tenore:
MCCCCL . . Die V Januarii. Havendo deliberato et concluso in-
sieme la 111.* Signoria de Venetia et la Magnifica et excelsa Co-
munitate nostra de attendere per ogni modo et via ut vincere el
Conte Francesco Sforza comune inimico nostro per liberare questa
inclita Città et populo suo de la oppressione sua ha posta questa
conclusione et conventione con lo Magnifico Messere Leonardo
Veniero ambassadore da la prefata IH.* Signoria il quale è in
questa Ex.* Cita di Milano di levare da esso inimico fino a lanze
286 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
duemilia, et così fanno pubblicare uno bando a Bergamo et un
altro qui in Milano e li quali si darà a tutti quelli se partiranno
dal dicto comune inimico per venire a prendere soldo et conducta
de la prefata Signoria et de questa excelsa Comunitade a com-
puto de ducati d'oro cinquanta Veneziani per lanza, cioè quindici
ài presente et gli altri fin al complimento de cinquanta ducati a
questa primavera che vene et seragli accresciuta la condotta se-
condo la conditione et il merito de ciascuno. Et in questo mezzo
tempo gli saranno dati alloggiamenti ne le terre de la prefata Si-
gnoria a Padova o a Verona o dove più li piacerà.
Pertanto li prefati Capitanei havuto tale conventione con el
predicto ambassadore fanno notitia a ciascuna persona quale sia
BÌ soldo del dicto comune inimico purché non sia rebello ne ban-
dicto né confinato da questa Ex.* Comunità et voglia partirle de'
esso nostro comune inimico et prender soldo de la prefata Signo-
ria et de questa Ex." Comunità vada o dall' 111.'' signor Sigismondo
o da li Commissari de la prefata Signoria di Venetia o a Bergamo
da li ofiitiali o vegna qui a Milano da noi dove gli mette meglio.
El quale venire qui a Milano per questa casone se gli concede
per la presente crida; et seragli dato come è dicto di sopra ara-
sene de' cinquanta ducati d' oro veneziani per cadauna lanza cioè
quindici ducati come più tosto saranno qui a Milano o a Ber-
gamo et gli altri fino al compimento deli cinquanta ducati a questa
primavera. Ne gli sarà fatto. . . alcuno. Et in questo mezzo tempo
haveranno allogiamento et stanze ne le terre de la prelibata Si-
gnoria de Venetia come è dicto di sopra et oltre di questa gli
saranno fatte altre comoditate et cortesie per la quale se potranno
ben contentare avisando del suo venire et mandare de li suoi a
Bergamo o qui per acconciarse et ad ogni sua posta dal dì de
oggi innanzo et gli è lecito li liberamente venire.
Gabriel prior Candidus.
Ma per soccorrere in modo efficace i Milanesi dopo gli infelici
tentativi del mese precedente, era necessario studiare un diverso
piano di guerra, e trovare una strada più sicura. Una via tuttora
inesplorata, la suggerì Bartolomeo Colleoni. Questo celebre capita-
no era insieme con Sigismondo Malatesta al campo dei Veneziani
sulla sinistra dell' Adda : personaggio influente, pratico della guerra,
egli godeva di una grandissima autorità nell' esercito.
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. * 287
In un consiglio tenuto da Sigismondo, Bartolomeo Colleoni pro-
pose di andare al lago di Como, passando per la Valsassina, e di
penetrare quindi dal lago in Brianza per la strada della Vallas-
sina. Como essendo amica dei Milanesi, non vi erano da temere
ostacoli nel tragitto di lago.
Le difficoltà incominciavano soltanto nella Vallassina, dove la
strada erta e scabrosa, dominata dai monti, poteva essere chiusa
da un piccolo stuolo di combattenti; difficoltà queste non insupe-
rabili.
La proposta fu da tutti approvata, ed al Colleoni stesso ne af-
fidarono l'esecuzione. La di lui abilità era troppo conosciuta per
dubitare dell' esito felice, qualunque fossero gli ostacoli da vincere.
La via più breve per giungere nella Valsassina era quella di
risalire l'Adda fin quasi a Lecco, e di là penetrare nella valle:
era tutto territorio amico, ma troppo esposto ai colpi dell'oppo-
sta riva. Per evitare questi e tenere nascosta la sua andata. Col-
leoni, come pratico dei monti, preferì di inoltrarsi colle sue squa-
dre per la valle Imagna, dietro l' Albenza e il Resegone. Passò per
Morterone, villaggio all'estremità del territorio di Bergamo, e va-
licato il monte detto la Colmine^ dopo un viaggio di tre giorni
-entrò in Valsassina, sopra Introbbio. Attraversò la valle, scese a
Bellano, dove fu accolto con festa: quivi erano le navi dei Coma-
schi, pronte per trasportarlo a Bellagio. Ma prima di avventurarsi
sul lago, mandò due squadre ad occupare Varenna e Mandello,
per avere sicuro il fianco contro una sorpresa del nemico.
Le prime notizie di questa spedizione giunsero nel medesimo
tempo a Milano ed al campo sforzesco.
I Milanesi ne concepirono subito grandi speranze, ed a norma
degli accordi colla Signoria di Venezia, i capi del Comune ordi-
narono a Jacopo Piccinino di portarsi coli' esercito a Como. Di
là, secondo le notizie del Colleoni, egli poteva entrare direttamente
nella Brianza, ovvero spingersi avanti fino a Bellagio.
Dal canto suo, lo Sforza, appena seppe che il Colleoni era a
Bellano, indovinando il piano del nemico, spedi sollecitamente
Oiovanni suo fratello ad Erba con buon numero di fanti : gli or-
dinò di inoltrarsi nella Vallassina, e di distribuire le sue forze nei
piccoli villaggi costeggianti la riva destra del lago di Lecco, met-
tendone una parte ad Onno e un' altra a Limonta : e due squa-
288 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
dre alla punta di Bellagio, dove esisteva una rócca a picco sul lago,
per natura inespugnabile.
Gli raccomandò di guardare ogni passo, ogni accesso dal lago
alla Valle, e nel medesimo tempo di assicurarsi alle spalle col te-
nere in obbedienza gli abitanti della pieve d' Incino e del piano
d'Erba.
Sul monte Barro mandò un presidio di duecento uomini, suffi-
ciente a difendere quelle cime scabrose, e ad incutere rispetto nel
paese all'intorno.
Egli stesso il conte Francesco fece un giro nei monti costeg-
gianti il lago di Lecco, e provvide alla difesa dei punti più minac-
ciati.
I Veneziani profittarono della sua assenza per tentare un colpo
contro la ròcca di Airuno e le bastìe da lui erette poco tempo
prima.
Sul far del giorno passarono il fiume, e colle scale mossero al-
l'assalto. Ma appunto nella notte precedente il conte avea fatto
ritorno a Calco, e subito si portò dove fervea la battaglia: due
bastie erano già cadute in mano del nemico, due altre correvano
pericolo, ed i difensori col fumo facevano dei segnali di non po-
tere resistere più a lungo. " Difendetevi, sono con voi ! „ gridò il
conte : la sua presenza e le sue parole ricondussero la fiducia negli
Sforzeschi. I Veneziani, appena lo riconobbero, sbigottiti si die-
dero per vinti: quelli ch'eran già sugli argini e distruggevano i
ripari, si gettarono nelle fosse : " alla vista dello Sforza „ , dice un
cronista, " non che assalirlo, tocchi del suo ardimento, della fama
di lui, si ritirarono salutandolo „. Intanto da Calco giunsero nuove
milizie, ed agli assalitori non rimase altro scampo che di portarsi
tutti sulla sinistra dell'Adda.
Questi felici risultati erano in gran parte dovuti alla influenza
personale del conte. Alla riputazione di generale abilissimo, egli
aggiungeva delle qualità fisiche di una grande efiicacia sulle truppe.
Di statura elevata, imperioso nel volto, fermo e risoluto nel co-
mandare, impavido di fronte al nemico, la sua sola presenza ba-
stava per risvegliare l' entusiasmo ne' suoi, e togliere ai nemici il
coraggio.
Le cose andavano diversamente quando egli era lontano. Gio-
vanni suo fratello, colle truppe disseminate nella Vallassina, do-
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 289"
ve va guardarsi dagli abitanti di Asso, che gli erano ostili, e men-
tre badava a costoro, fu all'improvviso assalito, vicino ad Onno,
dalla flotta comasca e dal Colleoni.
Giovanni non ebbe tempo di radunare su un punto solo una
forza sufficiente: minacciato da più lati, fu costretto a ritirarsi
non solo da Onno, ma da tutta la Vallassina, ed a ripiegare nel
Pian d' Erba. Le squadre eh' erano rimaste alla punta di Bellagio,
vedendosi abbandonate in mezzo ai nemici, si arresero al Colleoni ;
così in brevissimo tempo tutta la Vallassina dalle mani dello
Sforza passò in quelle dei Veneziani. Condotti da un valente ca-
pitano, questi potevano ormai invadere il Pian d'Erba, e disten-
dersi nell'Alto Milanese.
A questi fatti sfavorevoli si aggiunse a danno dello Sforza una
vittoria di Jacopo Piccinino.
Si teneva egli a Como coli' esercito, e da Milano gli spedivano
di frequente nuove compagnie di fanti e di cavalieri. Il condottiero
d'una di queste spedizioni, fece credere al Ventimiglia, castellano
di Cantù e devoto allo Sforza, di essere pronto a passare dalla
parte sua; bastava, soggiunse il condottiero, che il Ventimiglia
mandasse, a un certo punto della via tra Barlassina e Como, al-
cune delle sue squadre, ed egli avrebbe data in mano agli Sfor-
zeschi la sua compagnia.
Il Ventimiglia cadde nell'agguato, e andò colle truppe al sito
indicato : ma quivi furono assalite dai condottieri che venivano da
Milano, e dal Piccinino il quale, avvisato in tempo, capitò loro alle
spalle. La resistenza era inutile, e cedettero le armi: con molto
stento il Ventimiglia giunse a fuggire, e di nuovo si rinchiuse nel
castello di Cantù.
Da codesti avvenimenti i Milanesi pigliarono coraggio : era rotta
la cerchia di ferro intorno alla città, e dalla strada comasina le
vettovaglie potevano arrivare liberamente.
I capi della repubblica si affrettarono infatti a farne ricerca,
ma il contado per molte miglia all' ingiro era esausto e povero ; il
pane raccolto bastò a saziare i Milanesi per pochissimi giorni. Fu
un breve conforfo, e ben presto la città ricadde nello strazio di
prima. <
Francesco Sforza, appena informato dei progressi dei Veneziani
nella Vallassina, mandò nel Pian d'Erba Carlo Gonzaga con al-
290 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
cune compagnie a piedi ed altre a cavallo, per impedire, o almeno
per rallentare il passo al Colleoni.
Ma qualunque ne fosse il motivo, o timore di cimentarsi collo
Sforza in aperta campagna, od astuzia della Eepubblica di Vene-
zia di ridurre i Milanesi agli estremi, per essere poi da loro chia-
mata come padrona anziché alleata, il Colleoni con i suoi si fermò
nella Vallassina, senza nemmeno tentare la occupazione della
Brianza: dal canto suo il Piccinino, vista l'esitanza degli alleati,
non volendo agire da solo, rimase fermo a Como coli' esercito.
HI.
Lo Sforza era tuttora padrone della riva destra dell'Adda : da Cal-
co egli poteva in brevissimo tempo accorrere in quel punto qualsiasi
della Brianza che per avventura fosse minacciato dal nemico. La
sua posizione era dunque buona: tuttavia cominciò a temere di
doverla abbandonare. Un nemico, più difficile a vincere dei Vene-
ziani, lo veniva accerchiando e premendo da ogni parte; contro
il quale l'unico scampo era la fuga.
La carestìa, flagello dei Milanesi in quei giorni, venne a per-
cuotere anche l'esercito sforzesco; da qualche settimana le truppe
si nutrivano soltanto di rape e di castagne, ed al 27 di gennajo
ne avevano appena per tre giorni. Per un tratto di dodici miglia
all' ingiro, i campi devastati, i villaggi impoveriti non offrivano più
nulla da mangiare, e non era permesso andare più lontano alla ri-
cerca di cibo, senza attaccare battaglia con l'uno o con l'altro
dei due eserciti alleati.
Anche lo strame pei cavalli, dopo tante scorrerie di Veneziani
e Sforzeschi, era interamente consumato, e di necessità bisognava
trasportare l'esercito in un territorio meno esausto dell'alta
Brianza.
Nella perplessità d'una scelta, e col pensiero sempre rivolto al
possesso di Milano, parve al conte di vedere uno scampo nell' im-
padronirsi di Monza. Diede incarico a un tal Marliani di andarvi
segretamente con un compagno intelligente ed ardito. Il primo
dovea tentare la fede dei castellani di Monza, e vedere se fossero
disposti a cedergli il forte: la missione dell'altro era invece di
studiare il sito, per conoscere da qual parte fosse più agevole un
attacco della città.
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 291
4 .
I due messi ritornarono dicendo che i castellani volevano rima-
nere fedeli ai Milanesi, ma che la città si poteva assalire dal lato
che guarda il Lambro, eh' è affatto aperto o senza difesa. Il fiume
in un certo punto fa una cascata, e grazie al rumore di questa,
nottetempo, era possibile una sorpresa.
Allo Sforza piacque la proposta : una spedizione contro Monza
gli sembrò un buonissimo pretesto per andarsene da Calco, senza
che la sua partenza si potesse interpretare come una fuga.
Carlo Gonzaga ebbe il comando delle truppe scelte per questa
impresa, e da Calco per la via di Osnago s' avviarono verso Monza,
accompagnate da buone guide.
A breve distanza tenne loro dietro Francesco Sforza col pma-
nente dell'esercito: abbandonò Calco la sera, e suU' albeggiare
giunse a Vimercate, dove si fermò aspettando le notizie di Monza.
Era il giorno l'' di febbrajo.
Nella giornata arrivò un messo del Gonzaga colla infausta no-
tizia che le truppe dirette a Monza aveano smarrita la via: dopo
avere camminato tutta la notte, allo spuntar del giorno si trova-
rono a Carate, lontano da Monza circa sei miglia. All' inaspettato
annuncio lo Sforza dubitò subito di un tradimento. Ma gli con-
venne dissimulare, ed affettando fiducia, mandò l' ordine al Gon-
zaga di non muoversi da Carate.
Egli stesso decise di rimanere fermo a Vimercate.
In quel frangente non gli venne meno il vigore della mente, né
quell'ascendente morale sopra i suoi dipendenti, ch'era in lui una
singolare prerogativa.
La notizia della spedizione fallita si diffuse tosto nel campo : i
soldati sgomentati già si vedevano alle spalle i Veneziani, e co-
minciavano a dubitare dell'abilità del loro capitano.
Ma il conte li confortò, parlando a ciascuna squadra con animo
tranquillo, come se avesse già provveduto alla difesa contro qua-
lunque attacco.
La sua parola pacata e autorevole ricondusse nei soldati una
fiducia che egli stesso in quel momento non sentiva. Ma ai capi
e condottieri delle diverse compagnie palesò tutto il pericolo della
sua posizione. " Il comandante dei Veneziani, disse Io Sforza, può
passare l'Adda da un momento all'altro, e congiungersi col Col-
leoni e con Jacopo Piccinino, e tutti insieme ci assaliranno alle
292 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
spalle: forse non sono lontani adesso più di 16 miglia: in faccia
abbiamo Monza, difesa da soldatesche agguerrite, mentre l'esercita
nostro è oggi diviso e indebolito. „ I capitani sforzeschi disputa-
rono a lungo sul miglior partito da prendere, ed alla fine furono
tutti d' accordo di abbandonare Vimercate, e di portarsi nel basso
Milanese, mettendo una metà dell'esercito a Lodi e l'altra a Pa-
via: così facendo otterrebbero di alimentare più facilmente le
truppe, e di conservare fedeli allo Sforza due importanti città: e da
quei due punti potrebbero molestare i Milanesi con frequenti scor-
rerie, e costringerli a condizioni di pace, non quali le pretendeva
lo Sforza, ma di certo onorevoli per lui.
Il conte in apparenza accettò il loro pat-ere : lodò anzi una pro-
posta cosi saggia, ma spiacendogli troppo di allontanarsi dal con-
tado milanese, soggiunse che si poteva guadagnar tempo, e per
qualche giorno non conveniva parlare di partenza. Voleva prima
conoscere le mosse del nemico: a tale scopo mandò degli esplora-
tori in Brianza, e gli venne riferito che i Veneziani aveano passata
l'Adda a Brivio, e scorrazzavan nei villaggi limitrofi. Alcuni castelli
lungo il fiume si erano arresi: ad Olginate il ponte era ristabilito,
ed una squadra di Veneziani si era impadronita del villaggio e
del territorio di Galbiate. Colleoni ed il Piccinino finalmente si
erano data la mano, ed uniti insieme, tenevano in soggezione tutta
l'alta Brianza.
Il complesso delle notizie era di certo sfavorevole, ma non tanto
da togliere . ogni speranza di rivincita. Ad ogni modo, vi era tempo
di prepararsi alla resistenza, ed il conte Francesco non era uomo
da contentarsi d'una pace qualunque, finché vedeva aperta una via
a tentare di nuovo la fortuna delle armi.
Due cose premevano anzitut^io allo Sforza : la prima, di impedire
al nemico di scendere dall'alta Brianza nella pianura; l'altra, di
chiudere ogni via all'ingresso dei viveri in Milano.
• Per ottenere questo duplice scopo mandò delle squadre distac-
cate in tutti i villaggi tra Vimercate ed il territorio occupato dai
Veneziani, e profittò delle torri e dei campanili fortificati dagli
stessi contadini, per convertirli in tanti punti di osservazione e di
difesa." Collocò un maggior numero di soldati a Melzo, luogo im-
portante tra l'Adda e Vimercate, e munito di un forte castello.
Tutt* intorno all'accampamento di Vimercate fece scavare un
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 293
doppio fossato. Il Gonzaga a Carato ebbe ordine di provvedere
allo stesso modo alla propria difesa : a Seregno mandò Giovanni
^uo fratello, coli' ordine di costruire argini e muri intorno al paese,
per resistere a qualsiasi attacco. Il comandante di Seregno da un
lato dovea appoggiarsi a Carato, dall'altro a Can tu : quest' ultimo,
castello, rimasto fedele allo Sforza, era il punto più avanzato della
linea degli Sforzeschi verso Como.
Tutti i capitani aveano l' ordine di stare all' erta e ben infor-
mati sempre dei movimenti del nemico, pronti a darsi la mano ed
a chiamarsi l'un l'altro col fumo e colle bombarde, per accorrere
e concentrarsi nel punto del maggior pericolo; opportuni provve-
dimenti che lasciavano bensì facoltà ai due eserciti alleati di per-
correre l'alta Brianza, ma chiudevano loro ogni via di soccorrere
Milano.
Intercettata dunque di nuovo la strada comasina, gli assediati
non potevano sperare un sollievo, un tentativo almeno di ajuto da
nessun' altra parte. Gli abitanti di Lodi e di Pavia e del contado
milanese, impauriti dalle minaccio dello Sforza, si guardavano dal
prestare qualsiasi ajuto a Milano : pensavano invece a rifornire di
biade e di frumento gli Sforzeschi, ricordando la sorte toccata ad
altre città vicine, renitenti al conte Francesco.
In quei giorni di sosta fra i combattenti, parecchi signori e feu-
datari dalla Brianza, i quali soffrivano angherie e molestie dai Ve-
neziani, richiesero lo Sforza di soccorso , ed alcuni vennero in
persona al campo di Vimercate a fargliene premura. Dissero che
i castelli più agguerriti resistevano ancora, e le bastie di Airuno non
erano cadute nelle mani dei Veneziani, e la bandiera di casa Sforza
sventolava tuttora da alcune torri della valle di Rovagnate. A
Casternago, a Beolco, alla rócca di Airuno continuerebbero a di-
fenderla fino all'ultimo sangue.
Il conte, il quale credeva quei luoghi già tutti in potere del ne-
mico, fu lietissimo di quelle notizie, ed accogliendo, la domanda
dei Brianzoli ordinò ad alcune squadre capitanate dal Sanseverino
di ritornare in Brianza, e di portarsi a rinforzare la guarnigione
dei castelli più elevati, evitando di attaccar battaglia col nemico
all'aperto. Dalle alture avrebbero potuto dar molestia ai Vene-
ziani senza correr rischio, sebbene in piccol numero ; così accadde
che di giorno e di notte, con frequenti sortite, Brianzuoli e Sfor-
294 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
zeschi assalivano il nemico accampato nel basso, e colla piccola
guerra di sorprese e di scaramuccio gli recarono tanto danno, da
togliergli ogni velleità di uscire da' suoi trinceramenti.
Colle vicende di guerra sin qui accennate, si giunse alla metà
di febbrajo. A questa data i Milanesi, non ricevendo viveri da nes-
suna parte, " erano oppressi da estrema fame, che più non pote-
vano sopportare. „
Così si esprime un cronista del tempo, ed aggiunge: " non
solamente mangiavano cavalli ed asini, ma gatti e topi, e tante
erbe e radici senza condimento. Parecchi perivano per le vie,
pianti e lamenti dapertutto, e in piazza minaccio e tumulto. „
I capi della Repubblica, in mezzo a tante miserie, tenacissi-
mi del potere, governavano col terrore. " A nessuno era lecito
parlare, se non della libertà „, scrive il Simonetta: ma libertà
era in quei momenti una parola vuota di senso. Mentre ogni
giorno i mali crescevano, ed un rimedio estremo $ra indispensa-
bile, immaginarono un mezzo per scemare gli effetti della carestia.
Aprirono le porte della città alla classe più povera, e agli im-
potenti al lavoro, perchè uscissero a cercare il loro nutrimento nei
dintorni.
II 20 di febbrajo, una turba famelica e selvaggia, la più parte
donne e ragazzi, coli' ansietà di chi cerca scampar dalla morte, si
precipitò fuori delle mura, sparpagliandosi nel contado.
Si lusingavano invano quegli infelici di trovare la fine dei loro
patimenti": la campagna non era meno esausta di vettovaglie che la
città, ed i contadini, che a mala pena campavano, erano i primi a
respingere gl'importuni che, sfiniti e piangenti, venivano alle loro
porte implorando pane. Di più, le milizie sforzesche, oltre al
custodire ogni passo, ebbero ordine di rimandare verso la città
quella turba errante ed inerme. — Il conte Francesco voleva che
il loro ritorno costringesse il Governo a capitolare: di necessità,
col sopraggiungere di quei disgraziati, l'irritazione e il disordine
doveano arrivare al colmo ; ma i capi del Comune non piegarono
r animo e, tutt' altro che risolversi alla resa, replicarono le istanze
presso i Veneziani per ottenere pronti soccorsi.
Ma i capitani dell' esercito veneto passavano il tempo a consul-
tarsi fra loro. Contenti di precludere allo Sforza l' acquisto di Mi-
lano, quanto al sottrarre i loro alleati ai patimenti della fame^
FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA. 295
non se ne mostravano premurosi. Siffatta attitudine passiva era in
armonia colle intenzioni del loro Governo: a Venezia non era
spenta la speranza di essere presto chiamati dai Milanesi come pa-
droni dello Stato.
Sigismondo Malatesti si limitò a rispondere buone parole agli
assediati. " Sarebbe troppo pericoloso, disse, attaccare un nemico
così forte e perito nel guerreggiare. Se per pochi dì sopporteranno
le angustie dell'assedio, lo Sforza sarà obbligato a partire, per
non perire di fame egli stesso. „
Nel medesimo tempo Lorenzo Veniero, legato della Repubblica
di San Marco, nel discorrere privatamente coi cittadini in Milano,
lasciava intendere esservi una via sicura di salvamento, quella di
darsi ai Veneziani: ormai la Repubblica Ambrosiana aver dato
prova di non reggersi da sé medesima, e nella scelta d'un nuovo
padrone, convenirle di unirsi al più forte e capace di difenderla
dal comune nemico.
Ma leopardo del legato non fecero breccia nei Milanesi: seb-
bene oppressi dalle privazioni e dagli stenti d'ogni maniera, senti-
vano invincibile ripugnanza pel dominio di Venezia, non fosse altro,
per l'umiliazione di ubbidire ad uno Stato, fino a quel giorno loro
alleato ed eguale.
Francesco Sforza, consapevole dei fatti di Milano, concentrò l' e-
sercito, e prevedendo prossimo uno scioglimento, lo tenne pronto,
per giovarsi di qualunque incidente favorevole ai suoi disegni.
Non andò guari infatti che, per i soverchi patimenti, scoppiò un
tumulto in Milano al 25 febbrajo 1450.
I capi della Repubblica aveano tenuto a bada la plebe fino a
quel momento, lusingandola dell'imminente arrivo di vettovaglie.
La delusa aspettativa inviperì gli animi contro gli alleati, i quali
aveano corrisposto così male alla fiducia loro accordata. La folla .
eccitata e furiosa si precipitò dove era la residenza del legato
Veniero; questi usci fuori, e volle riprenderla con aspre parole
ma colpito da più parti, cadde estinto. I magistrati fuggirono o si
nascosero. Rimasta priva de' suoi capi la città, parecchie fra le
persone notevoli di Milano si radunarono il dì susseguente, ed
incominciarono le dispute sulla scelta d'un sovrano.
Quanto a stabilire un governo proprio, non ne fecero parola;
nell'adunanza un Gaspare da Vimercate osò pel primo pronun-
•
4
296 FRANCESCO SFORZA IN BRIANZA.
alare il nome dello Sforza, e disse le ragioni di preferire la signo-
ria di lui a quella del re di Napoli o dei duca di Savoja. In bre-
vissimo tempo gli animi si volsero favorevoli al conte, e fu dato
incarico allo stesso Gaspare di andare al campo di Vimercate a
presentare allo Sforza i voti dell'assemblea.
Da due giorni le milizie sforzesche erano in armi, e pronte a par-
tire; ma giunto il messaggiero colla lieta novella, il conte giudicò
miglior consiglio di lasciare l'esercito a Vimercate, a guardia con-
•tro i Veneziani ch'avrebbero potuto assalirlo alle spalle. Con po-
che squadre soltanto egli s'avviò a Milano: molti cittadini gli
vennero incontro, solleciti di proclamare la sua signoria, onde
metter fine prontamente all'anarchia, solita conseguenza d'un ra-
pido mutamento di governo.
N'olia città fu accolto con festa ; avea provveduto al più urgente
bisogno degli abitanti, col trasportare dietro di sé una larga prov-
vigione di pane, che i suoi soldati stessi distribuivano. Nel mede-
4gimo giorno ritornò a Vimercate, ed a tutti quelli del contado
diede ordine che mandassero a Milano dei viveri.
I Veneziani, udita la resa della città, senza indugio richiama-
rono r esercito, e rinunziarono alla guerra, dalla quale ormai nes-
sun utile risultato potevano sperare.
II conte da Vimercate si portò a Monza colla sua gente: di là
dispose pel miglior governo della capitale, affidando al Gonzaga la
custodia del castello e delle torri : gli raccomandò d' impedire ogni
tumulto e" disordine, per ricondurre nei cittadini la sicurezza di
sé, e la fiducia nel nuovo padrone.
Finalmente, il dì 25 marzo 1450, Francesco Sforza fece il so-
lenne ingresso in Milano, e fu proclamato duca.
In quella giornata scesero a torme dalle colline native gli abi-
tanti della Brianza per festeggiare il nuovo principe. Essi l'aveano
già prescelto ed ajutato nelle guerresche vicende dei mesi prece-
denti, e da un così lieto scioglimento della lotta sostenuta, si pro-
mettevano una serie d' anni felici pel loro paese. ^
Greppi.
* Esiste originale nel nostro Archivio l'atto di dedizione della città allo Sforza, con
particolarità non note o non ben raccolte dai narratori, e meriterebbe d'essere pub-
blicato. C. C.
DELL'ISOLA FULCHERIA.
E DELLA
cittì di PARASIO 0 PARASSO.
CENNI ISTOmCO-CRITICl:
Non è contraddetto da storico alcuno che vasta superficie di suok)
nella Lombardia si chiamasse Isola Fulcheria. Questo nome d'Isola
Fulcheria o di Fulcherio, rimonta ai tempi dei Longobardi, e
vuoisi che il re Grimoaldo, prima ariano poi fatto cattolico, alzasse
in quest'isola una chiesa dedicata a sant'Alessandro.^ Come poi
quel terreno si chiamasse Isola, non è difficile immaginarlo; era
cii-condato dai fiumi. Perchè il nome di Fulcheria o di Fulcherio
derivasse, lo si capisce considerando la suddivisione del suolo fatta
dai re Longobardi fra i loro duci coli' investirli del dominio di
questa o di quella terra, ed è congetturabile che un capitano chia-
mato Fulcherio desse il suo nome all'assegnatagli regione.
Le discrepanze fra gli scrittori insorgono quando trattasi dell'e-
stensione 0 vastità dell'isola. I più ammettono a naturali confini
i fiumi Serio a levante, Adda a ponente; discordano molti nello
stabilirne i limiti da settentrione a mezzogiorno. Giorgio Me-
rula, Pietro Maria Campi storico cremonese, vogliono l'isola
Fulcheria abbracciasse per intero la Ghiaradadda ; convengono in
ciò gli storici di Crema messer Pietro Terni, ^ Alemanio Fino, '
* Frì Celestino da Bergamo, Bistorta quadripartita di Bergamo, lib. 2, oap. 27.
^ Messer Pietro Terni, Ms. lib. 1.
^ Alemanio Fino, Storia di Crema, lib. 1.
Arch, Stor. Lomh. — An. I. 19
298 dell'isola fulcheria
Giuseppe Racchetti, che commentò ed illustrò il Fino. '* Che l'isola
Fulcheria comprendesse tutta la Ghiaradadda, lo impugnano il
conte Giorgio Giulini, ^ Guidone Ferrari ^ con gli stessi argomenti
del Giulini, l'ingegnere Elia Lombardini; ^ basandosi quest'ultimo
sopra le condizioni idrografiche del suolo.
A mio avviso, trovo assai appoggiabile le asserzioni degli scrit-
tori che vogliono l'isola Fulcheria comprendesse in origine anche
la cosi detta Ghiaradadda milanese.
Mi appagano le argomentazioni dell'erudito Giuseppe Racchetti,
il quale dice, confutando il Giulini : " Le consecutive vicende fecero
j, passare il dominio (dell' isola) di dominio in dominio ; i supremi
„ signori, accordandolo e confiscandolo, talora lo consideravano
„ circoscritto come trovavasi, talora volevano indagarne l'origine.
„ Ned è a meravigliarsi che i medesimi supremi signori ne donas-
„ sero talora porzione ad alcuno, il resto scemato ad altri con in-
„ tegro il nome; indi che i successori non volendo riconoscere
„ quelle donazioni o concessioni già fatte, il tutto di nuovo richia-
5, massero a sé e dividessero in altro modo come a loro piaceva.
„ Di questo pienamente avvenuto, io ne darò prova (e la dà infatti
„ nell'opera precitata), acciocché si conosca essere stata (l'isola
„ Fulcheria) soggetta del pari che l'altre provincie a variazioni e
„ contrasti; imperciocché chi voglia domandare i confini d'uno
„ Stato qualunque, egli è necessario aggiungervi in quale età. „
Il Racchetti inoltre ispezionò un catalogo dei possedimenti degli
Umiliati di. Milano, e ve ne trovò in Insula FuTkeria ultra Ab-
duam^ de Bipalta, de Vailato, de Trivilio, de Calven^ano, de Bri-
gnano. Egli è fuor di dubbio che, per ubicazione, i tre primi nomi-
nati paesi appartenevano alla Ghiaradadda milanese, che il Giulini
intende falcidiare dall'isola Fulcheria.
A rafforzare i suoi argomenti, il Racchetti, citando documenti
da lui esaminati, si ferma a discorrere intorno alle sorti diverse
che col volgere delle età ebbe l' isola a subire, ed osserva : " Quando
„ gli imperatori stranieri s'avvidero non potersi tenere una terra
* GrosEPPE Racchetti, Annotazioni alla storia di Alemanio Fino, voi. I.
^ GioBGio Giulini, Memorie.
* Guidoni Ferrabi, Lettere lombarde.
' Elia Lombardini, Notizie naturali e civili di Lombardia, cap. IV.
E DELLA CITTX DI PARASIO 0 PARASSO. 299
„ soggetta come provincia da loro governata, divisero le proprietà
„ coi principali Baroni conservandone il supremo dominio, censi, tri-
„ buti di guerra. Anche V isola Fulcheria subì questa sorte „ . E qui
dimostra come, senza perdere la integrale estensione, siasi sboccon-
cellata, ed assumessero nomi parziali alcuni maggiori o minori ter-
ritori di essa: e fu allora che la più vasta estensione dell'isola
verso il Milanese, lungo il fiume Adda, in vista anche delle condi-
zioni geologiche del suolo, parzialmente si chiamasse la Ghiara-
dadda. Da ciò ne avvenne che, senza troppo curarsi delle parziali
conterminazioni, si scambiassero e si rendessero quasi sinonimo da
alcuni scrittori le denominazioni d'Isola Fulcheria e Ghiaradadda
milanese.
L'esimio ingegnere Elia Lombardini, col restringere i limiti
dell'isola Fulcheria alla riva destra del Serio, nello spazio ora
occupato dall'agro cremasco, non basò i suoi criterj ad argomenti
storici, sibbene alla natura, alla conformazione del suolo, alle con-
dizioni idrografiche e geologiche del medesimo. Anche ai profani
nelle scienze naturali si manifesta la diversità della natura del
suolo fra la Ghiaradadda e l'agro cremasco. Il Serio, a dieci chilo-
metri circa dalla sua foce, volge insensibilmente da levante a mez-
zodì, fino che si scarica fra Montodine e Bertanico nell'Adda,
che gli scorre parallela a ponente. La sponda destra del Serio,
nelle vicinanze di Crema, presenta ad intervalli le tracce di pa-
dule ridotto a coltura, non che avanzo non indifferente d'ancora
esistente palude chiamato Mosa, landa sterile dal suolo tremo-
lante, ingombra di canneti, intersecata da acque correnti, delizia
dei cacciatori di migrante pennuta selvaggina. Questa landa è cir-
condata qua e là da rialzi, chiamati coste o dossi^ che danno fon-
damento a credere fosse esistito il lago Gerundio, e che sopra uno
di questi rialzi circostanti, detto il Dosso della Mosa, venisse
Crema edificata.^ Questa conformazione di superficie, parte palu-
dosa e parte rialzata, dilungante da quella della Ghiaradadda
propriamente detta, tutta piana, asciutta, sabbiosa e sassosa, in-
dusse, dal punto di vista scientifico-geologico, l'ingegnere Lombar-
dini ad escludere la Ghiaradadda dall'Isola Fulcheria, senza con-
siderare nulla opporsi ai suoi dotti scandagli che sì l'una che
^ Teeni, Fino.
300 dell'isola fulcheria
l'altra, ad onta delle diverse naturali condizioni, potessero formare
una sola circoscrizione territoriale con denominazione comune.
A provare non essere esclusa la Ghiaradadda milanese dall' Isola
Fulcheria e meglio confutare il Giulini, non mi par vero sia sfug-
gito alle premurose ed esatte ricerche del Bacchetti un docu-
mento irrefragabile, e come neppure ne abbia tenuto conto l'eru-
dito Giulini. È un diploma dell' imperatore Federico I , detto il
Barbarossa, contenente l' investitura dell' isola Fulcheria a contea
in favore di Tinto de Tinti Musodigatta, cremonese architetto ed
ingegnere militare, che lo servì efficacemente nell'edificazioni di
Lodi e nell'assedio di Crema. Il diploma imperiale è riportato dal
Campi nella Historia di Cremona^ assai poco divulgata, ^ e ripro-
dotto dal conte Francesco Sforza Benvenuti nella più recente Storia
di Crema, ^^
In quésto diploma sono indicati i confini antichi e tradizionali
dell'Isola colle seguenti parole — Notum facimus universis per Ita-
liani imperii nostri fidelibus , tam prcesentihus quam futuris qua-
lifer fideli nostro Tinto cremonensi qui dicitur Muso de Gatta , prò
magnis et prceclaris ejus ohsequiis hanc gratiam indulsiìnus, quod
eum de comitatu^ Insula Fulkeria, sicut in terminis istis continetur^
vidélicet de Picighetone usque ad Pontirolum, sicut est infra Ah-
duam et Serium, quidquid ad nostrum jus pertinet per rectum
pheudum jure comitatus investimits .....
Non mi porrò ad investigare in quale punto l'Isola Fulcheria
conterminasse nelle vicinanze di Pizzighettone ; bastami essere
ragionevolmente convinto non trovarsi esclusa a quell'epoca la
Ghiaradadda al lato occidentale, fino al termine della giurisdi-
zione civile ed ecclesiastica di Bergamo dal lato opposto.
Tale determinazione combatte l'opinione del Giulini, che non
vuole neir Isola compenetrata la Ghiaradadda ; quella del Lom-
bardini, che circoscrive l'Isola Fulcheria all'agro cremasco tra il
Serio ed il Tormo, fiumicello ch'era, in alcuni punti confine fra lo
Stato di Milano e la Veneta Repubblica. Mi compiaccio essermi
convinto della maggiore estensione territoriale dell' Isola Fulcheria,
perchè in questa plaga lombarda veggo per volgere di secoli ripro-
' Campi, Historia di Cremona.
*° Feancesco Sforza Benvenuti, Storia di Crema.
E DELLA CITTÀ DI PARASIO 0 PARASSO. • 301
dursi fatti memorandi, e credo nessun'altra di Lombardia sia stata
teatro di altrettanti guerreschi avvenimenti. Al vertice di una
delle torri dei villaggi della Ghiaradadda, può lo storico fissare
il luogo, ove, nell'anno 1139, i Milanesi contrastarono alla formi-
dabile oste del primo Federico il ponte dell'Adda presso Cassano,
respingendola fino alla terra di Cornegliano; il luogo, ove', due
anni dopo, lo stesso imperatore strinse Crema d'assedio per ol-
tre sei mesi, onde echeggiò glorioso il grido dei difensori imper-
territi e generosi , " Benedetti coloro che muojono per la patria ! „
il luogo ove, due secoli dappoi, i Della Torre ebbero la peggio dai
loro rivali i Visconti; dove l'immanissimo Ezelino da Romano,
cui gli astrologhi predissero funeste le rive dell'Adda, rimase ferito,
ed ebbe a morirne undici giorni dopo a Soncino. Da quella torre
può scorgere l'erudito osservatore i campanili ed i gruppi di case
di Treviglio, Vailate ed Agnadello, che rammentano la vittoria di
Luigi Xll sui Veneziani. Più in giù, verso il Serio, gli si presenta
la superba cupola del Pellegrini, che richiama la sconfitta delle
venete schiere, operata da Francesco Sforza presso al vicino borgo
di Caravaggio. In età meno lontane, si ponno accompagnare col
pensiero, nella vasta ciottolosa pianura, le mosse ardite del sempre
trionfante principe Eugenio di Savoja, vinto alla sua volta nel-
l'anno 1705 dal principe di Vendòme, e le gagliarde resistenze e
la sconfitta dell'esercito francese, vinto dagli Austro-Russi con-
dotti da Suwaroff, il 27 aprile dell'anno 1799. Non a vano
pleonasma di istorica erudizione piacquemi rammentare gesta bel-
licose, in epoche diverse, successe nella plaga che portò il nome,
ora quasi dimenticato, di Isola Fulcheria; ma per provare una
volta più, che scandagliando attentamente sopra ogni regione d' I-
talia in generale e della Lombardia in. particolare, si ponno richia-
mare alla memoria reiterati avvenimenti, comprovanti il valore
marziale dei padri nostri, le sventure e le glorie della patria
comune. In ogni fatto storico v'è a razzolare del bene e del
male; la storia è base e maestra di sperienza; sappiano dello
studio calmo e ponderato di essa, approfittarne i presenti ed i
venturi.
302 dell'isola fulcheria
IL
Sopra lezoUe dell'Isola Fulcheria sorgeva Parasso o Parasio,
cittadina (civitas, oppidiim) antichissima, altra di quelle il cui
nome, per lo svolgimento delle umane vicende, appena ancor si
trova.
L'indagare intorno all'antichità di Parasso o Parasio, altro
non sarebbe che ire a tentoni in complicato laberinto, ingolfarsi
nel favoloso, senza addivenire a ragionevole congettura. Nelle
mie brevi indagini mi atterrò alle epoche nelle quali la storia ,
la tradizione e pochi documenti rendono meno malagevole l'in-
vestigare.
Ommétto occuparmi dell'origine di Parasso. Dirò soltanto tro-
vare accennato nella più recente storia di Crema, esservi stati
scrittori che vollero Parasso fabbricato da un Trojano, poco dopo
la venuta di Enea in Italia.*^ Sono lontanissimo dal prestar fede
a questo. Sull'origine delle città antiche, si è sempre favoleggiato;
ne fanno prova le leggende della lupa di Roma, della scrofa di
Milano. Mi occuperò invece a stabilire in quale spazio dell'Isola
Fulcheria abbia esistito Parasso o Parasio.
È tradizione costante, sorgesse in riva al Tormo, in quella, parte
dell' Isola ora compresa nell'agro cremasco. Il Tormo ha l'origine
neir Isola stessa, vicino alla terra di Agnadello ; lambe il Cremasco
presso la villa o comune di Palazzo, detto anche Palazzo Pignano,
poi volgendo ad occidente, si versa nell'Adda, dopo aver sommi-
nistrate le sue acque alle roggie Benzona e Migliavacca. La tra-
dizione della giacitura di Parasso in riva al Tormo difede a discu-
tere alquanto. Alcuni asseriscono, altri negano, la villa di Palazzo
sorgere sopra le macerie sepolte dall'antico Parasso. ^^ Dagli stessi
argomenti svolti in dotte ed appassionate discussioni, con altre
tracce materiali che si riscontrano, come mostrerò di corto, io
mi trovo convinto che Parasso sorgesse appunto ove ora è Palazzo ^
0 li vicino. Raccolgo le sparpagliate memorie istoricha della città
scomparsa.
** Sfobza Benvenuti, Storia di Crema.
*^ Tebni, Ms., Fino, Muratori, Giulini.
E DELLA CITTÀ. DI PARASIO 0 PARASSO. 303^
L'esclusione della Ghiaradadda dall'isola Fulcheria, difesa dal
Giulini; l'opinione del Lombardini, che riconosce l'isola stessa nel
solo agro cremasco fra il Serio ed il Tormo, appoggiano la tradi-
zione, l'antica Parasso o Parasio esistesse ov'ora è il villaggio che
si chiama Palazzo, checché ne dicano il Terni ed il Fino, che ne-
gano l'identicità del luogo. Gli scrittori tutti che di ciò si occu-
parono, accennano Parasso, Parasio o Palatio avere esistito fra
Treviglio e Crema. ^^ In questo spazio vi è l' odierno Palazzo. Lo
stesso Alemanio Fino, untuoso sempre col patriziato cremasco, nel
segnalare l'antichità della stirpe dei Benzeni, volle questa abitasse
in Palazzo fino dall'anno 120 dell'era volgare, e chiama questo
villaggio " terra del cremasco, la quale nelle scritture antiche è
detta anche Parasso. „ L'epoca indicata dal Fino è assai più
antica di Crema. Palazzo dunque non poteva essere allora terra
del Cremasco; sarebbe stato più ragionevole il dire: i Benzeni
abitarono in Parasso, il cui nome compare nella storia prima di
Crema. Con tale avvicendare di nome, senza volerlo, il Fino ap-
poggia la credenza, che il gruzzolo di case ora chiamato Palazzo,
sorga ove un tempo esisteva Parasso. Continua il mentovato iste-
rico, sempre citando vecchie scritture, che nello stesso anno 120,
fra centottantasette cristiani martirizzati in Brescia, vi fu Ven-
turino Benzeni da Parasso. ^^ Anche più avanti nella sua sto-
ria, lo stesso Fino fornisce materia sufficiente per contraddirlo.
Scriveva egli nel XVI secolo, e diceva: " Ci sono (a Palazzo) le
„ fondamenta di grossissime mura dietro al fiume Tormo; ci sono
„ marmi, e le sepolture si trovano nel lavorare i campi; c'è l'an-
„ tica chiesa, la quale ha ragione di conferire diversi benefizj; c'è
„ un'antica porta a Pavia detta porta Fala^sese. „ Le fondamenta
lungo il fiume, i marmi, le sepolture rinvenute nei campi , i pri-
vilegi della chiesa, non servono a persuadere che il Palazzo di
adesso è una emanazione del Parasso d'altri tempi ? In quali altri
punti dell'Isola Fulcheria, nello spazio fra Treviglio e Crema, si
rinvennero tracce per loro natura attribuibili a città distrutta?
In qual altro luogo fra l'Adda ed il Serio troviamo terra, borgo,
villaggio, che per consonanza di nome si possa con quello confon-
" MoRiGiA, Ristoria di Milano, Smosio, De Regn. ItaU(e,LY.AKDB.o Ai^BEBm, Italia.
'* Sforza Benvenuti, Storia di Crema.
;04 dell'isola fulcheria
dere? In quanto alla porta Palazzese di Pavia, mostrerò in ap-
presso non avere alcuna relazione né con Parasso né con Palazzo.
Io pure tengo per fermo l'eccidio di questa terra; ma come
venisse distrutta, trovansi in contrasto gli storici. Chi dice in
un'epoca, chi in un'altra, però sempre dopo la discesa del re Alboino
in Italia. È prezzo dell'opera esaminare qual cosa esistesse sopra
il suolo ch'ora Palazzo si chiama, da Alboino all'epoca più antica
in cui ritiensi avvenuta la distruzione di Parasso.
Gli storici cremaschi, il Terni e meno esplicitamente il Fino,
non ammettono Parasso avere esistito, e con ciò confondono sempre
più Parasso con Palazzo. Per non rabbuiare maggiormente la que-
stione, giova investigare che cosa vi fosse, chi abitasse in riva al
Tormo, quando i Longobardi occupavano l'alta Italia.
I precitati storici cremaschi ci raccontano che, regnando Alboino,
quel fìerissimo duce di torme di barbari popoli, certo Cremes o
Cremete, conte e cavaliero il più onorato e rinomato, possedeva ma-
gnifico castello in riva a Tormo , ove ai nostri giorni è la villa di
Talazso Tignano. Sta bene; ma nel caso concreto non rimarca
il Terni che il nome Palazzo comparve nella storia assai tardi,
vale a dire quando Parasso più non era. Aggiunge lo stesso messer
Pietro Terni, d'avere raccolto in una cronachetta che, " in nobile
„ castello e bellissimo palazzo, il conte Cremete ricevette il re dei
„ Longobardi onorificentissimamente. „
Chi fosse Cremete, io non mi porrò ad investigare; poco importa
appartenesse a quei duci ch'ebbero dai Longobardi l'investiture
di terre, o discendesse dai veterani ai quali gli ultimi imperatori
romani concedettero il libero dominio di terreni deserti {vacantes),^^'
affinchè esenti da ogni aggravio li coltivassero. Questo Cremete,
ricco e potente, non doveva trovarsi isolato nel suo castello o pa-
lazzo ; avrà per fermo avuto attorno un nucleo di abitanti vassalli ;
cinta la sua terra da ripari, da torri ; provveduta inoltre di quanto
era negli usi d'una cittadella de' suoi tempi. Vuoisi Cremete fon-
dasse Crema sul Dosso della Mosa, e desse alla nuova città il suo
nome. È verosimile, perchè prima del V secolo non si fa menzione
di Crema nella storia, e, come ho già accennato, prima della distru-
zione di Parasso non trovasi il nome di Palazzo, né in riva al
Tormo, né alcun altro posto dell'isola Fulcheria.
*^ CodexTheodos. Veteranivacantes terras acclpiant, easque perpetuo haheant iinmtines.
E DELLA CITTÀ DI PARASIO 0 PARASSO. 305
Quando e come avvenne la distruzione di Parasse? Due epoche,
due fatti diversi sono indicati dagli storici. Espongono concordi il
Morigia e Leandro Alberti, che il metropolita milanese Adelmano
Menclozio (che occupò la sede dal 948 al 953) s'unì' per zelo reli-
gioso ai vescovi di Piacenza e di Cremona, prese le armi ai danni
della città di Parasso o Parasio, per estinguere in essa l'eresia
degli antropomorfiti, e dopo fattone l'assedio, se ne impadronì a
forza, smantellò e disfece la città. D'allora, aggiungono, l'Isola
Fulcheria fu ripartita fra gli alleati; Milano spinse la sua giuris-
dizione ecclesiastica fino a Treviglio; gli altri luoghi s'aggregarono
alle diocesi di Piacenza e Cremona. ^^ Anche Gian Francesco Be-
sozzo, nella Storia pontificale di Milanoj parlando di Alemano Men-
clozio accenna a questo fatto colle parole: " spianò qneaV arcive-
„ scovo fin da le fondamenta la città di Parasso (non Palazzo) per
„ essere stati tutti i cittadini di essa dannati di heresia. „ *^ Se-
condo dunque i precitati scrittori, il vescovo Alemano Menclozio
avrebbe smantellata Parassio; causa sarebbe stata l'eresia che vi
dominava; l'epoca dal 949 al 953. Senza tema di incorrere in errore,
questo fatto lo si potrebbe meglio precisare avvenuto negli ultimi
due anni del pontificato di Menclozio. Eletto questi dal popolo e dal
clero a vescovo, fu per soli tre anni investito del pieno dominio, per
contrasti avuti con Manasse vescovo di Trento e Mantova, protetto-
ad usurpare la sede ambrosiana da Berengario) IL Alemano nel-
l'anno 953 rinunciò spontaneamente, e gli successe Valperto de-Me-
dici. Morì Menclozio tre anni dopo, come emerge dal suo epitafio. ^^
•*' MoKiGTA, Historia di Milano, Alberti, Italia, pag. 393. *
*^ Il Besozzo, noiV Hist. Pontificale di Milano, edita da Pandolfo Malatesta 1596,
chiama l'Alemano Menclozio arcivescovo. Errore. Questo titolo incominciò a competerò
ai metropoliti di Milano con Galdino della Sala, che resse dal 1166 al 1176.
* ^ Lattuada, Descrizione di Milano. Sigonio riporta l'epitaffio posto sulla sepoltura
del Menclozio nella Chiesa parrocchiale di S. Giorgio al Pozzo bianco, da lui fondata
in porta Renza (ov'ora v'è la sala detta del Gambarino), ed è il seguente:
Hic tumulator Adalmanus, Prcesulque heatus,
Clarior in tanta qui fuit Urbe potens.
Hujus origo fuit celso de sanguine ducta :
Pauperihus largus extitit, atque pius. *
Huc gressum referens, modicum tu siste viator,
Die famulo requiem, crimina pelle Deus,
Ohiit aufem anno Incar. Dom. DCCCCLVI
Mense Decemhris Indictione XV.
306 dell'isola fulcheria
Il riparto delle terre conterminanti a Parasso nelle diocesi dei tre
vescovi alleati alla guerresca impresa; l'assegno di Vallate, Pan-
dino, Agnadello e Rivolta, a poca distanza dall'odierno Palazzo,
al vescovo di Cremona; l'area della città distrutta a Piacenza;
sono fatti che sempre più convincono, Parasso esistesse ove oggi
sorge Palazzo.
Il Sigonio invece fa succedere la distruzione di Parasso nel-
l'anno 1047; e cosi si esprime: " Mediolanenses conversis adver-
„ sus Parasium armis, cuius cives Papiensibus auxilium tulerant,
„ oppidum everterunt. „ Osservo che il Sigonio ammette l'esistenza
della terra chiamata Parasso, negata recisamente dal Terni. In-
vestigai le storie di Milano e Pavia riferibili all'epoca ed al fatto
esposto dal Sigonio. Trovai essere quelli i fortunosi tempi del
pontificato d'Ariberto d' Entimiano. Questo metropolita ambro-
siano era d'indole guerriera, desideroso di dominio, ed incon-
tentabile. Ora era dal popolo accarezzato, ora osteggiato, ora
protetto dall' imperatore Corrado il Salico, ora dal medesimo
perseguitato e battuto. Molte fazioni bellicose sostenne Ariberto
con diversa fortuna; non trovo fra queste alcuna parziale contro
ai Pavesi che a Parasso in alcun modo si riferisca. Se ciò fosse
avvenuto, lo storico Luitprando contemporaneo ne avrebbe fatta
menzione. Forse il Sigonio prese errore da due avvenimenti di
quell'epoca. Ariberto pose l 'assedio a Lodi ^^, per costringere la
città a ricevere a vescovo un certo Arluno, canonico ordinario della
metropolitana di Milano. Altro fatto analogo nella causa e nelle
risultanze alla distruzione di Parasso fu, che Ariberto col pretesto
dj eresia che la infettava, pose l'assedio e distrusse la cittadella
di Monforte. Che il Sigonio scambiasse la città dell'Astigiano con
quella d'Isola Fulcheria? In allora sarebbe mestieri fosse esposta
un'altra data, giacché, stando a quella accennata dal conte Giu-
lini e ripetuta da tutti gli storici milanesi, la catastrofe degli
eretici di Monforte avvenne l'anno 1028, non già il 1047, nel
quale il precitato Sigonio segna la caduta di Parasso. Sembra che
Alemanio Fino propenda all'opinione del Sigonio ed accenna alla
porta Palazzese in 'Pavia. Il Fino, forbito nello scrivere, come lo
erano tutti gli uomini colti del suo secolo, ben poco curavasi esa-
*^ Besozzo, Historia Pontif. milanese.
E DELLA CITTÀ DI PARASIO 0 PARASSO. 307
minare i fatti da lui esposti, colia critica sintetica ed analitica degli
scrittori d'epoche a noi più vicine. Il buon prete, devoto al cam-
panile della cattedrale nella quale era cantore prebendato, non
vedeva più in là dell'ombra di quello, alla 'quale circoscriveva
il suo mondo. V'era a Pavia, fino dai tempi di Bertrando o Ber-
trarito , una porta detta Fàlatina o Palacese. Ecco una memoria
dell'età longobardica : Ilis diehus Bertraritus in civitate Ticinensi
portam contiguam Pàlatio qiice ad Pàlatinensis dicitur^ opere ma'
gnifico construxit. ^^
Esiste un commentario col titolo : Laudihus Papiae, nel quale
dicesi chiaramente, nominarsi la porta. Palatina o Palacese, perchè
conduceva al palazzo reale. ^* Risulta evidente che la porta pavese
nulla ha che fare con Parasse o Palazzo.
Fra le due opinioni intorno alla distruzione di Parasso, dal
canto mio trovo preferibile la prima enunciata. Parmi assai più
consonante alla natura dei tempi, nei quali lo zelo religioso e la
potenza prelatizia facevano, senza contrasto, dell'eresia casus helli;
mentre per ammettere la seconda, non trovo riscontro nell'epoca,
di fazioni guerresche fra i Pavesi ed i Milanesi.
Ora è mestieri gettare uno sguardo fugace alla giurisdizione
ecclesiastica della terra ove vuoisi sorgesse Parasso.
Abbandono la questione di nome. Poco importa che il luogo,
sopra al quale volgo le ricerche, si chiamasse Parasso o Palazzo,
come appellasi ai dì nostri.
Non è contradetto che quella chiesa avesse privilegi speciali, giu-
risdizioni sopra altre chiese; vuoisi perfino fosse mitrato il prelato
che la reggeva, e lo circondasse un capitolo di canonici. Poco monta
l'indagare se queste prerogative ecclesiastiche esistessero prima e
perdurassero dopo la scomparsa di Parasso. Quello che giova, ed ar-
rivo a constatare, si è che l'antica chiesa privilegiata era nella su-
perficie di suolo dell'Isola Fulcheria, ora formante porzione dell'agro
cremasco. Contemporaneo al metropolita milanese Alemano Meuclo-
zio sedeva vescovo di Cremona Dalberto o Darimberto, dal 919 al
968: His temporibus Dalbertus Cremonoe fuit episcopus.'^^ h^Ugheììi
^° Paolo Diacono, Memorie Longobardiche.
s' L'opera citata è d'un anonimo del secolo XIV; la rammenta il Muratori nel Ber.
Ital. Scrip. Tom. XI.
*^ Sicado ; citato nel libro : Serie critico-cronologica dei vescovi di Cremona.
308 dell'isola fulcheria
incorse in errore storico collo scambiare nientemeno Parasse o
Palazzo con Croma. Narra l'Uglielli che il vescovo di Milano,
Darimberto vescovo di Cremona, ed il vescovo di Piacenza, assistet-
tero all'eccidio cui fu dannata la città di Crema per essere guasta
dall'eresia degli Aniropomorfiti (sic), qui error per id tempus tofam
pene Insuhriam infecerat. Solo dalla vicinanza dei luoghi fu senza
dubbio indotto l'Ughelli in errore. Se ciò non fosse, perchè non
iscambiare Parasse con altra terra dell' Isola Fulcheria, come Tre-
viglio e Pontirolo, più lontane dal luogo del disastro? La storia
di Crema non presenta altro eccidio notabile che quello patito
dall'imperatore Federico Barbarossa, episodio generoso, abbastanza
dagli storici iparticolareggiato in prosa e in versi, ^^ ond'è impos-
sibile scambiarlo colla dis-truzione di Parasse. Gli scrittori della sto-
ria di Crema 2*, e più di tutti il Terni, cercano allontanare il sospetto
abbia potuto Crema ingrandire, aumentare di popolazione col mezzo
dei profughi eretici della distrutta Parasse ; perciò il buon messere
Pietro Terni trovò opportuno tagliar breve, negando Parasse fosse
esistito. Ho esaminata la cronologia isterica delle più popolate
terre dell'isola Fulcheria, dal X secolo alla metà del secolo succes-
sivo; non mi avvenne trovare fatti che abbiano riscontro con grossa
terra disttrutta per causa di eresia. Con ciò parmi rimanere sempre
più appoggiata la tradizione, che Parasse o Parasio fu la città o
terra che sottostette alla distruzione.
È bensì vero che il vescovo di Cremona per donazioni princi-
pesche ingrandi la diocesi dell' intera Isola dal Serio all'Adda ; ma
egli è vero del pari che le donazioni di Bonifacio , della contessa
Matilde, dell'imperatore Enrico, non perdurarono a lungo nella
loro integrità. ^^
83 II p. Zaccaria olivetano trascrive i seguenti versi relativi alla distruzione di Crema :
Crema cremata jacet cimi sexaginta notasset
Centttm cum mille scripsit notarius ille
De Jani mense Federico Ccesare stante.
^^ Terni, Fino, Francesso Sforza Benvenuti, Racchetti. I due ultimi nominati autori
storici non concordano in tutto col Terni e col Fino.
-5 II diploma col quale la contessa Matilde concedette al Comune ed al vescovo di
Cremona il comitato dell'Isola Fulcheria, colla data ab Incarn. Dom. fÒ98 Ind. 6, una
dies sàbathi in Kal. januarii, è riportato dall' Ughelli nell' Italia Sacra. La rinnova-
zione della stessa cessione al Comune di Cremona, fatta dall'imperatore Enrico VI ab
Incarnatione Domini anno MCLXXXXII, indictione X, leggesi nel quarto tomo delle
antichità italiane del medio evo del Muratori. Sì il primo che 11 secondo diploma, sono
riportati nella Storia di Crema di Francesco Sforza Benvenuti.
E DELLA CITTÀ DI PARASIO 0 PARASSO. 309
Ad onta dell' ingrandimento eccessivo della giurisdizione vesco-
vile di Cremona, avvenuto a riprese per atto di principe, il prece-
dente riparto dell'Isola Fulcheria fra l'alleanza dei tre vescovi
compartecipi all'eccidio di Parasso, ripullulò e dimostrossi ad epoca
meno lontana. Quando nell'anno 1580 nacque la diocesi di Crema,
questa assorbì la parte dell' isola soggetta alla giurisdizione del
vescovo di Piacenza; come lio detto, all'estremo lembo della dio-
cesi piacentina oravi Palazzo. Dico Palazzo e non Parasso ; Parasso
distrutta gli cedette il posto.
Fino alla istituzione della diocesi di Crema, la chiesa di Palazzo
conservò supremazia plebana sopra le vicine, ed anche in Crocia.
Gli stessi storici che non riconoscono la successione di Palazzo
0 Parasso, ci descrivono Palazzo null'altro che un villaggio, tutto
al più una corte feudale, cui, secondo l'indole dei tempi, non era
compatibile vasta giurisdizione in materia ecclesiastica. La chiesa
stette sulle rovine della prima città ; era nella natura dei tempi, e
perdurò a lungo, risparmiare le chiese nei luoghi che per guerra si
smantellavano. L'arcivescovo Ottone Visconti ordinò di Castel-Seprio
non rimanesse pietra sopra pietra, ma rimasero le chiese sopra
un colle deserto. Lo stesso Federico Barbarossa, distruggendo Mi-
lano, comandò si rispettassero le basiliche. Il vescovo di Piacenza
non cessò di riconoscere la giurisdizione della chiesa della distrutta
Parasso; benché il luogo ove esisteva avesse mutato nome, la pre-
minenza continuò ad esercitarsi, ancorché il Piacentino vescovo
S. Savino abbia ceduto il dominio utile della chiesa di Palazzo ad
un convento di monaci presso Piacenza. ^^ Finalmente egli è rimar-
cabile che il nome Parassio o Parasio scompare al tempo in cui
se ne vuole la distruzione, né mai nella storia si trovano con-
temporaneamente neir Isola Fulcheria due luoghi, l' uno dei quali
si chiamasse Parasso, l'altro Palazzo. Le orme poi dell'antica
alleanza fra i tre vescovi apparisce anche ai giorni nostri. La
giurisdizione ecclesiastica di Piacenza é assorbita dalla non an-
tica diocesi di Crema. La diocesi di Cremona guizza nell'isola
Fulcheria, tiene la chiesa di Pandino a due chilometri da Palazzo,
si spinge fino oltre l'Adda a Cassano nel territorio milanese. La
diocesi di Milano oltrepassa l'Adda,, s'estende nel territorio di
Bergamo, ed ha in sua giurisdizione Treviglio.
Campi, Historia di Cremona.
310 dell'isola fulcheria
In quanto a giurisdizione ecclesiastica, ad onta di principesche
successive disposizioni, l'alleanza dei tre vescovi ai danni di Parasso
è la causa remota degli effetti presenti.
Dopo r eccidio di Parasso , chi ebbe signoria nel luogo che fina
ai di nostri si chiamò Palazzo?
Incomincio a toccare periodo isterico a noi più vicino. Il Terni
ed il Fino non chiariscono chi fossero i conti di Palazzo , i quali
dopo Cremete dominarono quella terra. Sorpassando a stravaganti
congetture, a speciose iperboli di que' due storici, mi appiglio agli
apprezzamenti del diligente ed arguto Bacchetti . I conti di Palazzo
compariscono nel secolo XV. Non sembra questi conti assomiglias-
sero ai feudatarj impettiti del medio evo, osservanti minacciosi il
mondo dalle torri delle loro castella, chiusi da saracinesche, e cir-
cuiti da baluardi. I conti di Palazzo conducevano vita cittadinesca,
ce lo dicono gli stessi storici cremaschi; abitavano in Crema presso'
la porta Serio, e davano il nome ad una delle ventisette vicinanze
nelle quali Crema dopo la distruzione dell'Enobarbo venne ripar-
tita. 27
Tace la storia come siasi estinta la famiglia dei conti di Palazzo.
I nobili Vimercati, in progresso di tempo, divennero proprietarj
del villaggio di Palazzo, quando Sermone Vimercati sposò Ippolita
di Ugo Sanseverino, senatore nel ducato di Milano , la quale gli
recò in dote parte del contado di Pandino conterminante a Palazzo.
D'allora la linea dei Vimercati, discendente da Sermone, congiunse
e conservò col proprio il cognome Sanseverino. ^^ Scorgesi nella
genealogia istorica della famiglia Vimercati-Sanseverino che, circa
un secolo dopo il connubio di Sermone con Ippolita Sanseverino,
nell'anno 1577, Sebastiano Veniero doge di Venezia conferiva a
Marcantonio Vimercati-Sanseverino il titolo di Conte di Palazzo
0 Parasso. ^^ Quella aggiunta, o Parasso^ dimostra come fino d'al-
lora anche la Signoria veneta ritenesse Palazzo l'identico luogo
di Parasso.
Oltre a ciò, è mestieri tenere calcolo della non interrotta tra-
dizione; delle scoperte incessanti nelle escavazioni agricole; delle
*^ Sfobza Benvenuti, Storia di Crema.
28 Idem.
^' Genealogia storica della famiglia dei conti Vimercati-Sanseverino.
E DELLA CITTÀ DI PARASIO 0 PARASSO. 311
tracce d'antichità che rivelano i ruderi disotterrati, e l'assieme
della parocchiale del villaggio.
La tradizione era viva nel XVI secolo, in cui scrissero messer
Pietro Terni ed Alemanio Fino. Negando il primo, lasciando in
dubbio il secondo, essere esistito Parasse, è prova evidente che fino
d'allora era invalsa la credenza d'una città scomparsa. Ne mai
infievolì la tradizione. A chiunque avvenga intrattenersi cogli abi-
tanti del villaggio di Palazzo, ode raccontare l'esistenza in remota
passato d'una città sopra quei campi, più verso settentrione del
villaggio presente; ascolta ripetere la vetustà della chiesa, già
retta da prelato mitrato con capitolo di canonici; gli vengono
indicati i campi aventi da secoli invariata nomenclatura, la quale,
benché in vernacolo, corrisponde ad ospitale^ mercato dei buoi,
piazza del mercato^ dei mentecatti^ campo S. Pietro^ campo S. Gio-
vanni^ appartenenti quest'ultimi alla collegiata capitolare.
Le scoperte di frammenti massicci di antiche costruzioni, sono
continue tanto, che più non ci si abbada.
L'egregio avvocato Giovanni Collini, che alla possidenza in Vai-
late aggiungeva stabili nel Comune di Palazzo, or saranno circa
trent'anni , dicevami : Scavando né" miei campi vicino a Pala^^o,
sempre m'avviene di trovare, a circa tre traccia sotterra, marmi,
massi di sasso cementati ridotti a macigno, sepolcri, vòlte di cotto.
Se vi fosse probabilità trovare un tesoro sotterrato, potrebbesi rinun-
ciare anche per qualche anno alla certezza dei prodotti di questa
fertile superficie.
Esaminai io pure, e non è molto, alcuni materiali estratti dai
campi, e trasportati a puntellare la riva di un fossato. Si com-
pongono di ciottoli di pietra viva, come quelli che si trovano
sparsi abbondantemente nella Ghiaradadda; uniti da cemento
giallastro durissimo sicché a fatica si può staccare un ciottolo a
colpi di poderoso martello. Ad intervalli, macigni così composti
contrastano e respingono il ferro dell'agricoltore che penetri a
fondo nel suolo. Questi materiali in maggior copia si rinvengono
lungo la sponda sinistra del Termo; ciò dà a supporre sieno l'a-
vanzo fondamentale delle mura, che circuivano verso occidente la
città distrutta.
Poco fa, nel compiere alcune opere di irrigazioni, scoprivasi a
due metri di profondità un lungo strato di lastre marmoree, quasi
312 dell'isola fulcheria
nere, congiunte a scacco, raffiguranti il selciato di via principale
0 il pavimento di vestibolo domestico. Di recente, nello scavare la
fossa pel concime presso ad un cascinale, si trovò sovrapposta ad
un'arca una lapide senza iscrizione, e nell'arca quattro scheletri
umani ben conservati. Non lungo dalla chiesa s'erge un gruppo di
case coloniche, con denominazione secolare di case vecchie. Queste
abitazioni stanno sopra solide e massiccie fondamenta di ciottoli
uniti con cemento ; è tradizione posino ove erano le antiche mura
di cinta al lato opposto del Tormo.
Per ultimo, mi pongo a scandagliare la chiesa parrocchiale del
Comune di Palazzo, che pure vuoisi, come accennai, antichissima.
Indica il ristauro di questa chiesa la lapide nella parete interna
a manca, del principio dello scorso secolo, sedente vescovo di Crema
il conte Faustino Griffoni Sant'Angelo. È facile rimarcare quanto
i ristauri abbiano alterato l'originario organismo del tempio.
Alla vecchia chiesa si aggiunsero a sproposito due navate late-
rali, le quali, anziché accrescere, tolgono maestà alla navata di
mezzo, ch'era la chiesa vecchia. Mi fermo dunque ad esaminare la
navata di mezzo. Otto grandi archi acuti posanti sopra piloni,
staccansi dalle pareti, attraversano la chiesa, e ne sostengono la
vòlta. Gli archi' sono fra loro ad eguale distanza; l'ultimo, l'ottavo,
disegna la fronte del presbitero, al quale si accede per tre gra-
dini. Nel mezzo al presbitero si alza l'altare, che non ha impronta
d' antico ; dietro all' altare gli stalli del coro rasentano le- pareti
dell'abside .poligona, che nel fondo si abbassa e sostiene la precipi-
tosa cadenza della vòlta. L'arco acuto predominante nell'organismo
della chiesa ricorda le costruzioni anteriori al X secolo. Barbara-
mente intonacati, informi, sono i piloni, al vertice dei quali di-
partano gli archi che si staccano dalle pareti. Così non erano in
origine, come mostrerò più sotto. La luce proveniva dall'alto, da
finestre non più esistenti, collocate di fronte l'una all'altra, tra
le arcate.
Il presbitero ed il coro ricevono luce da due aperture laterali
recenti, che deturpano l'euritmia dell'assieme, per nessuna corri-
spondenza colle linee angolari del poligono.
Non mi fermo a parlare delle navate laterali; altro non sono
che informi addossamenti all'antica chiesa; dirò invece brevemente
della parte esteriore.
E DELLA CITTÀ DI PARASIO 0 PARASSO. 313
L'unica porta d'ingresso ha gli stipiti di pietra grigia, raffi-
guranti due colonne addossate con rozzi capitelli. — I capitelli sos-
tengono un arco tondo, d'eguale materia degli stipiti a cordoni
semicircolari rilevati, dai quali gradatamente emergono a rilievo
i sovrapposti. Fuori di simmetria, a destra della porta, più in alto
dell'arco della medesima, incastrasi una lapide, ove sono rozza-
mente scolpite due colombe ad ali spiegate, che imbeccano un ra-
moscello d' olivo. Il soggetto simbolico cristiano di questa povera
scultura, ci richiama ai secoli primitivi dell'era cristiana. La fronte
della chiesa presenta l'arco acuto senza curve, perfettamente trian-
golare. — Alla cima degli angoli sorgono coniche colonnette di
mattone, sormontate da croce di ferro. Sporgono nel giusto mezzo,
tra i fianchi della facciata e la porta , piloni sottili semicircolari
di mattoni levigati, coincidenti in retta linea coi piloni interni
della navata maggiore. Ciò dà fondamento a credere incorniciassero
i lati della facciata prima dell'aggiunta delle navate laterali. At-
torno all'abside, nella parte posteriore esterna, più assai che nel-
r interiore, emergono le linee sporgenti del poligono. La costru-
zione è tutta di mattone non mai intonacato. Scorgesi girante un
rozzo fregio di mattoni in costa ; più sotto la sporgenza del tetto,
alcuni ovoli di terra cotta.
Assai più attestano F antichità della chiesa alcune recenti inci-
dentali scoperte in occasione di ristauri. Trascrivo la relazione
favoritami da persona intelligente, che trovavasi in luogo.
'^Nell'anno 1854, dovendosi rinnovare il suolo della chiesa, sì
„ praticò l'escavazione dell'intera area di essa, fino alla profondità
„ di tre braccia, ove nella nave di mezzo si rinvennero due altri
„ pavimenti. -Fra l'uno e l'altro, uno strato di ossa umane. L'ul-
,, timo pavimento, formato da ghiarone con calce^ era di una con-
„ sistenza tale, che si rovinarono due picconi di ferro senza poter
„ smuovere un ciottolo.
„ Nella nave a destra, quasi a metà, di contro all'uscio che
„ mette alla casa del parroco, si scoprì un po^^o di cotto semicir-
.„ colare, otturato con rottami di mattoni, calce e sassi.
„ Durante gli stessi lavori d' escavazione si è osservato, che i
„ piloni della nave di mezzo, sotterra sono rotondi, di mattone
„ lucido che sembrano nuovi; il che induce a credere ragionevol-
„ mente fossero tali gli ora intonacati di calce e gesso che sosten-
Arch. Stor. Lomh. — An. I. 20
314 dell'isola FULCHERIA e della città di PARASIO 0 PARASSO.
„ gono gli archi della nave stessa, di cui i sepolti altro non sono
„ che la parte inferiore. E sono là sotto quei piloni sì ben cemen-
„ tati, che si direbbero d'un solo pezzo. „
Da questa semplice e chiara esposizione si rileva, che la chiesa
antica era costrutta a mattoni levigati, come si ravvisa nelle chiese
di stile lombardo e gotico dei primi tempi del cristianesimo.
Il pozzo scoperto nella navata laterale, prova l'aggiunta delle
due navi ai lati alla chiesa vecchia, non essendo supponibile un
pozzo in chiesa, ma bensì nella vicina antica casa del prelato che
la reggeva, o nell'abitato d'uso della collegiata capitolare.
Il terzo strato durissimo fa testimonianza dell'antichità del tem-
pio; e per l'elevazione lenta secolare del suolo circostante, e per
la quantità dei sepolti fra il secondo ed il terzo pavimento, sotto
del quale è presumibile esista altro di strato di ossa umane di più
vecchie generazioni.
E qui finisco e conchiudo :
Da quanto ho raccolto ed esaminato, sono convinto che ove ora
è il villaggio di Palazzo e nelle sue adjacenze, sia esistita in età di
remoto passato, una città o terra fortificata, civitas^ oppidiim. Come
e quando distrutta, si chiamasse Parasso o Parasio, poco monta.
ColPesporre questa mia convinzione non pretendo avere dissot-
terrata una delle 41 città scomparse. ^^ Mi attengo soltanto al
programma dell'illustre nostro Presidente della Società Storica
Lombarda, esposto nell'esordio del fascicolo primo dell'Archivio
storico, pagina 16: " noi in questi lavori non faremo che preparar
„ materiali per chi sarà più fortunato di trovarne l'architettura
„ ed il cemento, di rianimare artisticamente la polvere su cui
„ soffiamo, e resuscitare le reliquie che diseppelliamo. „
Matteo Benvenuti.
'" Archivio Storico Lombardo. Anno I, fase. I, Bibliografia.
DOCUMENTI NUOVI
SULLE RELAZIONI
TRA
LA RUMENTA E LA REPUBBLICA VENETA,
Fidando in quella scambievolezza che deve correre tra studiosi,
massime di una stessa nazione, speriamo che non ci verrà biasimo
dall' osare una rapida scorsa negli Archivj veneti, tentati dalla
curiosità delPargomento, e altrettanto forse dal desiderio di ren-
dere la meritata lode al dotto straniero che ce ne ha sgombra
la via.
Il signor Costantino Esarco, oratore a Roma per quella che fu
un tempo la Dacia Trajana, o a dirla nel gergo del dì che corre,
agente diplomatico di Rumenìa presso il nostro Governo, è dei
valentuomini che non istimano estranei i più eruditi studj alle
cure, anche presentissimo, di Stato; e però, essendogli parso che
non meno della parentela antica tra le due stirpi fosse degna di
memoria l'alleanza che insieme le strinse in tempi fortunosissimi
contro un formidabile e comune nemico, ha vòlto l'animo a ritro-
varne le traccio negli Archivj italiani, specie in quelli della ve-
neta Repubblica, che fu patrona e soccorritrice assidua di quante
genti fino al XVIII secolo si travagliarono a soprattenere in sui
confini d'Europa la furia dei Musulmani.
Il servigio per lui reso agli studj nostri non meno che alla storia
del suo paese è tanto più degno di encomio, quanto più scarsa sin
qui era la suppellettile istorica in questa materia. Tuttoché, infatti,
sin da mezzo Ì11296 si vincesse nella provvida Repubblica una legge
che commetteva a' suoi ambasciatori, compiuta la legazione, di
riferirne i successi, già notò l'Alberi come, per causa tuttavia igno-
ta, le prime di tali scritture che si conoscano non datino se
316 DOCUMENTI NUOVI SULLE RELAZIONI
non dal principio del secolo XVI. Per essere state poi le genti
rumene premute in mezzo a più potenti, ancorché non più va-
lenti e fiere nazioni, le memorie loro è mestieri cercarle in mezzo
a quelle d' altrui, soprattutto nelle legazioni di Costantinopoli ; e
pur in queste occorrono sparsissime e rare; tantoché nessuna ce
ne venne tra mano che toccasse gli argomenti illustrati dall'Esarco,
salvo due passi della Legazione di Andrea Gritti a Bajezid II,
che riferiremo a suo luogo.
Le indagini dello studioso rumeno nella Marciana e nell'Archi-
vio de' Frari, alle quali ebbe scorta, com'egli dice, utilissima,
l'opera del Baschet, Histoire de la Chanceìlerie secrèfe, e guida
ancor più efficace la sapiente cortesia di quei Direttori, promet-
tono una serie non breve di pubblicazioni ; e già resero buon frutto
in due distinte monografie, copiose ciascuna di documenti , i quali,
per quella ingenuità di forma che nei nostri vecchi mai non si
discompagna dall'acutezza dell' ingegno, e per quella prossimità
ai fatti ed a' luoghi, che fa veramente vivere la narrazione, hanno
carattere spiccato e curiosissimo. Noi le menzioniamo più sotto,
seguendo l'ordine dei tempi a cui si riferiscono, piuttosto che
quello della pubblicazione : e crediamo che di buona voglia i let-
tori ci lasceranno uscire un poco di Lombardia, per darne loro
qualche contezza.
I.
Stefanu CeUumare. — Documenfe descoperite in ArcJiivele Venetiei,
de C. Esarcu. JBucuresci, 1874, (Stefano il Grande. — Documenti
scoperti negli Archi vj di Venezia da C. Esarco. Bucarest, 1874.)
Stefano vaivoda, che i Moldavi chiamarono il Grande, e al
quale nessuno vorrà negare per lo meno il titolo di prode, è tra
i personaggi più cospicui dell'istoria rumena. Contemporaneo di
quel ferocissimo Ladislao valaco (Vlad V), che si gloriò d'esser
detto r Spalatore e tuttavia piegò il ginocchio dinanzi a Mao-
metto II, Stefano, non più crudele di quel che il facessero i tempi,
tenne fronte a. Magiari, a Tartari, a Bussi, a Polacchi, e per qua-
rantotto anni gagliardissimamente armeggiò contro i Turchi; né
già sui primordj della loro irruzione in Europa, come con incre-
TRA LA RUMENTA E LA REPUBBLICA VENETA. 317
dibile anacronismo ha favoleggiato il Rampoldi, che il fa com-
battere col primo Bajazette (quello, che, scrivendo a Andro-
nico imperatore, concludeva: " Serra le porte, e regna sulla tua
città ; il resto è mio „), ma sibbene un buon secolo più tardi, fac-
cia a faccia con Bajazette II, del quale dice appunto il Gritti nella
ricordata Legazione di Costantinopoli che " il quarto anno del
suo imperio fece l' impresa della Valacchia „ , e poco più là sog-
giunge " non aver voluto esso signor Turco consentire (stipulando
la pace col re d'Ungheria) che Stefano vaivoda fosse nominato
nella capitolazione della pace dal canto del re „. Stefano dunque
osò attraversarsi alla conquista ottomana, appunto nel più vivo
del suo bollore; quando, no'n che nelle terre orientali, romoreg-
giava essa sul capo a' Cristiani usque in Forijulium et ipsa Itaìice
viscera, come si legge in uno dei documenti rivendicati dal si-
gnor Esarco alla luce.
I quali, per quel che riguarda questo Stefano, sono partiti in
due serie. La prima, cavata pressoché intera dalle Deliberazioni
scerete del Senato (anni 1474-1476), illustra le cose di Stato mol-
dave, e le relazioni del vaivoda con principi cristiani; l'altra, at-
tinta ai Diarj di Marino Sanudo, che giacciono inediti nella
Marciana, tocca della persona sua^ o, come ora dicono, della sua
vita intima (anni 1496-1504). Ad amendue precede una introdu-
zione, dettata da quell'erudito isterico rumeno che è l'Hasdeu; e
questi, geloso degli allori dell' Esarco, conferisce anche per sua
parte curiosi documenti: tre lettere pontificie a Stefano, riboc-
canti d'elogj alla virtù dell'atleta di Cristo (così già lo chiama il
papa in un'altra lettera edita dal Sismondi); poi, bizzarro con-
trasto, una ballata, la quale, non che in Rumenìa, soleva can-
tarsi a' suoi di fino a Venezia, in lode delle sue amorose fortune.
Ma per venire alla prima serie esarchiana, principia questa con
una lettera di Stefano a Sisto IV (da Vaslui, li 29 novembre 1474).
Il vaivoda accredita, come suo proprio oratore presso il papa,
l'oratore veneto reduce di Persia, Paolo Omobono; dirà questi a
voce gli accordi iniziati con Assan Beg a fine di movere insieme
contra Othmam et ejus horribilem potenciam. E il Senato (Deli-
berazione del 6 marzo 1475) non tarda a confermare all'Omo-
bono l'incarico; il raccomanda ai buoni ufficj del Morosini, ora-
tore presso la Romana Curia; e scrive al vaivoda: animosiores
31*8 DOCUMENTI NUOVI SULLE RELAZIONI
quam antehac et robustiores erimus ut (Turcha) mari et terra
infestetur et lanietur. Il difficile stava nel far danari. Trazendose
questi^ dice la Deliberazione del 6 maggio, de la prima contribution
de le enfrade ecclesiastice le quale spectano al Summo Pontefice^ et
havendo sa deliberato la Santità Sua a chi i debbiano esser conferiti,
0oe al Serenissimo Be d'Ongaria, in nostra podestà non è poter de
quelli dar alla Signoria soa alcuna quantità. . . Tamen. . . procu-
reremo et instaremo. ... E su questo affare dei sussidj, quod non
intermittimus ncque sumus aliquo modo intermissuri, torna il Doge
Andrea Vendramin nelle istruzioni a Emanuele Gerardo che va
oratore al campo di Stefano, ut amici nostri prcecipui, et a nobis
ab virtutem, animi magnitudinem, et res prceclarissime adversus
communem hostem gestas maximopere existimati (17 maggio 1476).
Dove anche si pare tutta la sagacia consueta della veneta Signo-
ria. Duììi illic fueris, soggiunge il Doge, esto curiosus et sollicitus
omnia intélligere quce necessaria sint et digna, quce nobis signi-
ficentur. . . numerum gentium. . . aptitudinem. . . intelligentias et
amicitiaSj et similiter dissidia et controversias. . . quomodo se gerii
et vivit cum Begia Maj estate Hungarice . . . Bemovere animum illius
satagito ab omni pacis cum Turcho cogitatu. E scendendo a parlare
del disegno di una spedizione, alla quale l'imperatore dei Tartari
si proferisce, commette al Gerardo che ne indaghi la possibilità,
e se ne intenda col Moldavo e coll'Ungherese. Due altre lettere
al medesimo legato (8 ottobre 1476, 10 gennajo 1476 [recte 1477 P])
incalzano gli stessi argomenti. Scriva ogni dì, e di tutto, e ovun-
que il principe vada, sia seco. Rallegrandosi con esso lui delle
vittorie, non dimentichi gli altri capitani; menzioni sempre il
re d'Ungheria; promova fra tutti la necessaria concordia. E ram-
memori gli ufficj della Repubblica, che in prò dell' alleato ottenne
dianzi dal pontefice il bando della crociata e del giubileo.
A queste seguono altre lettere dogali dello stesso anno e del
successivo (17 marzo 1476 — 10 e 18 aprile 1477) a Ser Jacopo
de Medio oratore a Roma; e qui mirabile è la robustezza del
concetto e del linguaggio, né senza frutto ricordabile anche a'
contemporanei. Badi il pontefice che il Vaivoda, pasciuto sempre
di promesse e omai disperato d'ajuti, potrebbe essere sopraf-
fatto 0 piegare. Scriva dunque senza indugio, e mandi al Vaivoda
almeno diecimila ducati, e gli propizii il re d'Ungheria, e si valga,
TRA LA RUMENIA E LA REPUBBLICA VENETA. 319
se vuole, del mezzo della Repubblica. Mediti le lettere d'Oriente,
nunzie di prossime invasioni nelle provincie nostre di là, et usque
in ForijuUum et ipsa Itdliae viscera; ma delle notizie d'Unghe-
ria usi con discrezione. Affretti una risposta, che tarda omai troppo.
Petimus rem factam. . . et tamen frustramur. Ufficj dei quali è poi
fatta manifesta la previdenza dai tristi casi che incolgono al Vai-
voda, e ch'egli si affretta a significare alla Signoria per un oratore
suo proprio, Giovanni Zamblacho (8 maggio 1477). Dopo aver
patito pei principi vicini suoi, si lagna che loro lo lassarono
solo; ricorda lo 'stato suo esser serajo del Hungaria et Follana,
et quello che varda quei do regni. . . e. . . comodo alle cosse Chri-
stiane. . . e però, conclude, come signori christiani et cognoscudi
Christiani io recoro ala Illustrissima Signoria vostra implorando
el vostro socorso. „ Risponde il Senato savie e confortevoli parole,
attestando dei precorsi ufficj e di quelli che non resterà di inter-
porre per la sua causa, tamquam proprium negotium ; ma quanto
gli torni difficile il maneggiarsi tra le romane accidie e le gelosie
dell'Ungarese, del Polacco e dell'Imperatore apparisce da lettere
dogali a Ser Antonio Vittori oratore in Ungheria, e da lunghe
difensioni che il Senato medesimo è costretto opporre ai richiami
dell'impetuoso Corvino, specie per el facto de Stefano Vayvoda^
favorito da nui ciim assai bone parole, et non più effecti de quélo
ha voluto la Maestà Regia. Due lettere del Corvino al papa
chiudono questa prima serie, della quale ne pare che le cose bre-
vissimamente dette bastino a dichiarare la gravità.
Seguono nella serie seconda copiosi estratti dal Diario di Marin
Sanudo, relativi alle cose, alle opinioni, ai viluppi delle piccole e
grandi Corti guerriere nell'oriente d' Europa. Un Ottaviano Gucci
fiorentino scrive, tra gli altri, da Cracovia (27 luglio 1500) che di
Stefano s' aspetta qualche fatto relevato . . . perchè, come sapete, e
savio. Di un altro oratore del Dacho, venuto (dopo il Zamblacho)
a Venezia il marzo deri502, narrasi che fo in Colegio per il
Principe fatto cavalier et vestito doro. Poi è trascritta una lettera
di Stefano alla Signoria (8 dicembre 1502), con cui le accompagna
e accredita Matteo Murriano dottore in medicina e veneziano, che,
procuratogli anni addietro dalla Signoria medesima, torna a Ve-
nezia a fare incetta di certi suoi farmachi; e una lettera dello
stesso dottore al Doge, nella quale da espertissimo uomo lo in-
320 DOCUMENTI NUOVI SULLE RELAZIONI
forma delle cose di Moldavia. Dissegli il Vaivoda: io non ho vo-
luto mandar medico in alcuna parte del mondo salvo da li amici
mei li qual son certo, me amano. . . io sono circondato da inimici
da ogni handa, e ho avuto hataie 36 dapoi che son signor de que-
sto paese de le qual son stato vincitore de 84 et 2 perse. Narra
poi il medico con molte lodi del prefato signor et del fiolo, e pro-
segue: li suhditi tutti valenti homini et homini de fatti et non da
star so li pimazi ma a la campagna. Questo illustrissimo Signor poi
far homini da fatti 60,000: a cavalo 40 miìia e pedoni 20 milia.
El paese si e fruttifero et amenissimo et ben situado hahondante
de animali et de tutti frutti da oio in fora. I formenti se semena
de aprii et de maso e rachoiese de avosto e de septemhrio vini de
la sorte de Friuli pascoli perfetti^ potria star in questo paese ca-
vali 100 milia e piti, de qui a Gonstantinopoli se va in XV o XX
zorni perho riverentemente aricordo a la Signoria Vostra che de
qui se potria strenzer li fianchi a questo perfido can Turcho. S'ad-
dentra in molti particolari sugli armeggìi dei Signori Tartari, specie
àeìY imperador de Crin (Crimea) e sue colleganze col Turco, che
tengono in rispetto il Vaivoda; ma el ce un passo per mezzo Gaffa
se chiama Pericop dove diese milia cavali tegneria la posanza dil
Tartaro che non potria passar in qua a li danni de li Christiani.
E conclude: sempre sarò vigilante in dar aviso a la- Serenità
Vostra de le cose me para degne de aviso.
Del 21 decembre 1503 altra imbasciata del Valacho di Moldavia^
che prega la Signoria dargli un altro medico perchè maestro Mat-
tio è morto,- e promette trattarlo peroptime pacifìce ac honorifice
e lasciarlo tornare in patria a suo grado. La Signoria risponde
si vederia dir al colègio de medici, e dopo negoziati molti è scelto
un maestro Hironimo de Cesena. Ma il Vaivoda che già di li piedi
et di le man non si poteva ajutar, ne cava poco costrutto; e a di
21 agosto 1504 si ha da una lettera del dottor Lonardo de Mas-
sari phisico, da Buda , a Zuam JBadoer, che, essendo il Vaivoda
spacciato, cossi come in vita et sanità ita in morte mostro esser
et terribile et prudente, quia cum intellexit dissensiones statim fecit
se portare in campum dove erra tutti li soi et principes factionis
nfriusque li fé pigliar tutti et li fé morir. Tunc habuit orationem
che lui cognosse che Ve per morir in breve et che noi poi più reger
et defenderli, ita che lui non volea altro nisi che Ihor elezesseno uno
TRA LA RUMENI A E LA REPUBBLICA VENETA. 321
signor el qual ^paresse a Ihor che fosse più atto a rezerli et defen-
derli da li inimici et che esso non proponeva più uno fioìo che
V altro ; alhora tutti elexeno el fiol primogenito che erra apresso di
lui quello el qual lui voleva et sic esso iterum si fé portar fora et
messe el fiol in sedia sua et fé ^urar tutti fidelità et sic ante mor-
tem creavit filium Vapvodam, poi torno in ledo et in do zorni red-
didit spiritum^ et poi morite.
Pagine tutte le quali c'intromettono con una evidenza, da non
potersi desiderar la maggiore, nel vivo midollo dei tempi.
II.
Petru Cercel. — Documente descoperite in Archivele Venetiei, de
C. Esarcu. JBucuresci, 1874. (Pietro l'Orecchino. — Documenti
scoperti negli Archivj di Venezia da C. Esarco. Bucarest, 1874.)
In uno dei cinque magnifici volumi dell'Archivio dei Frari,
Ceremoniali della Serenissima Bepuhhlica di Venezia, rinvenne
r Esarco il filo che lo guidò a rintracciare i materiali di quest'al-
tra monografia. E fu un Atto che s'intitola: Ceremonie fatte nella
venuta in questa città per passalo del Principe della Gran Va-
lachia MDLXXXI adi XII marzo. Vi si legge che alli VII fu intro-
dotto nelVEccemo Collegio il Principe della Gran Valachia accom-
pagnato dal Magnifico Amhasciator del Be Christianissimo ... e dal
secretario Bertier, mandato dalla Maestà Sua perchè, assistendo a
lui, riceva maggior favore alli suoi negotij alla Porta del Gran Si-
gnore, dove egli se ne va per esser rimesso in stado. Presentò
lettere del predetto Be Christianissimo et della Serenissima Begina
sua madre ...et Sua Santità ancora fece anco presentar un Breve . . .
e fu accomodato di una galera fino a Bagusi e presentato di mille
taleri.
Di qui r Esarco fu mosso a cercare, e trovò nelle Lettere do-
minorum, le sopraccitate del re Enrico III e di sua madre Caterina
de' Medici; sono commendatizie assai calde, e non vi manca la
promessa di contraccambio : et vous seaurons à jamais hon gre pour
le recognoister en tonte occasion. 1 discorsi poi dell' ambasciatote,
del segretario e del principe valaco, raccolse dalle Esposizioni
Principi. — Questo Principe cristiano, dice, non senza citare De-
322 DOCUMENTI NUOVI SULLE RELAZIONI
mostene e il Vangelo, l'ambasciatore, in età di X anni fu man-
dato dal padre al Gran Signore. . . alcuni anni dopo avvenne che
gli mancasse il padre, per il che fu mandato nell'isola di Modi. . . et
ancora in altre parti più, lontane. . . Dio gli messe ardire di pas-
sar in terra di cristiani capitò in Transilvania et di là in On-
garia et finalmente in Polonia ; e quando il Francese], che vi era
successo a re Sigismondo, abbandonò l' effimero regno per racco-
gliere la ereditaria sua corona, Pietro anch'egli se ne fu in Fran-
cia presso di lui. Il quale ha fatto piti di quello che ha potuto
per sovegno et aiuto di sua Eccellenza ... et promessogli particolar-
mente di operar col Gran Signore Turco che lo vogli rimetter in
Stato... sebbene difficilmente vede di poterlo conseguire senza Vajuto
et liheralità della Serenità Vostra. E conclude: Io supplico la Sere-
nità Vostra di aver a cuore. . . quélo che le scrive il Me e la Regina.
Mera parafrasi del precedente è il discorso del Principe, il
quale, dice la Relazione veneta, con accomodata forma di parole
eccitò V animo di tutti a considerare il suo stato degno di com-
passione. Parlò poi anche il segretario del re, raccontando la
gloria degli atti di munificenza di questa Eccellentissima Bepu-
hlica in casi appunto simili, e come le fosse offerta occasione
di aggrandir questa gloria sua. E molto assegnatamente, secondo
il solito, il Doge , condolendosi , ma ricordando la strettezza gran-
de in che si truova la Bepuòlica di denari, rispose che li Signori
Savii ne averiano ragionato. Né in diverso tenore accolse gli
ufficj del nunzio, che a' 9 di marzo presentò alla Signoria il Breve
pontificio tìaenzionato di sopra. Quel che se ne deliberasse fu
detto innanzi e apparisce dall'atto 1.1 di marzo {In Fregadi) che
r Esarco trascrive per esteso.
Segue lettera, o come oggi si direbbe, Nota, del Senato all'am-
hasciator in Franza, con cui gli è data notizia dell'accaduto, e
commissione di confirmare alle Loro Maestà il nostro buon ani-
mo (1581 li 11 di marzo). Poi lettera in italiano del principe Va-
laco (8 aprile), che da Eagusi rende vive grazie al Doge, infini-
tamente lodandosi della cortesia ed • amorevolezza del signor So-
pracomite Benedetto Giuliano, e pregando che di me et di quello
che alla divina clementia piacerà appartirmi li piaccia dispo-
nersi come del suo proprio e questo è il più gran favore che io
da qui innanzi desidero da quella Serenissima Bepublica. Poi let-
TRA LA RUMENIA E LA REPUBBLICA VENETA. 323
tera, in italiano anche questa, del re di Francia, che ringrazia
a sua volta i carissimi et grandi amici collegati et confederati
d'opera degna della vostra usanza, memorabil carità e prudenza
(consegnata il 27 aprile); e infine a' 13 di ottobre l'ambasciatore
di Francia presenta al Senato un gentiluomo che il principe di Va-
lachia, avendo ricuperato il seggio del padre, manda al re di Fran-
cia e a Venezia per far ufficio di complimento e protestare che
il Valaco sarà sempre pronto di mettere la vita et lo Stato et quanto
sarà in poter suo per servizio di questa Serenissima Bepublica.
E così ogni cosa finisce in festa e in gloria, come in un rac-
conto di fate. Chi poi di questo Pietro volesse sapere qualcosa di
più, troverebbe ancora lusinghe gradevoli, non dico all'orgoglio,
ma a quel tanto che sopravvive sempre della vanità nazionale.
Pietro non si contentò infatti di avere con accomodata forma, se-
condo dice la relazione veneta, recitato il suo discorso italiano in
quella udienza solenne, che T Esarco ci evoca innanzi con entu-
siasmo di poeta e pennello d' artista ; ma, poliglotte com' era (par-
lava undici lingue), anche nella nostra poetò non indegnamente.
Agli studj francesi l'aveva affezionato la fama di quel Marchese
di Ronsard, poeta dei principi e principe dei poeti, il quale an-
ch' egli era d' origine valaca, discendendo da un bano di Mara-
9ini, che francizzò titolo e nome. E in Francia poi conobbe un
Francesco Pugiella nostro, reputato per tutta Lombardia, dice Ste-
fano Guazzo, non eccellente ma unico dottor di leggi, felicissimo
scrittore di prose et di rime toscane, gentilissimo corteggiano, des-
trissimo negotiatore et gentilhuomo universale. Con costui pigliò il
Valaco dimestichezza grandissima, tanto che il volle seco non sì
tosto ebbe ricuperato lo Stato; e fin da giovanetto aveva da lui ap-
preso l'amore della nostra poesia. Mandògli infatti nelV età sua di
ventidue anni un divoto capitolo, che incomincia
Potentissimo Dio del sommo et imo
Tu che creasti il ciel, la terra e' 1 mare,
e che seguitando per molte decine di versi su questo metro, può
passare, senz'ombra di sapore esotico, tra le tante letterate gia-
culatorie del tempo. Del quale capitolo il Vaillant, credendo forse
pubblicar cosa nuova, dette nella sua Boumanie ì primi e gli ul-
timi terzetti; e uno studioso rumeno, il Tucilescu, stampò dianzi il
testo intero in un periodico letterario del suo paese. Ma i curiosi
324 DOCUMENTI NUOVI SULLE RELAZIONI TRA LA RUMENIA ECC.
di libri vecchi già avevan potuto leggerlo nel Dialogo II del Guazzo,
ricordato di sopra, il quale appunto s'intitola del Prencipe della
Valacchia maggiore. Dove, fra altre cose curiose e tutte iperboli-
camente laudative, si legge che è bel Prencipe, gratioso et ama-
bile... che un largo tesoro egli ha acquistato dalla libéralissima
natura, che è la sua gran memoria che erano schiavi in Co-
stantinopoli molti christiani nel tempo ch'egli andò ad inchinarsi
al Gran Turco, i quali riscossa la loro libertà et ritornati a Poma
fecero stupende rélationi della splendidezza di questo gran Pren-
cipe et seguendo le già dette attestationi ch'egli partendo
di Costantinopoli traheva seco grandissima Corte, et particolar-
mente gli marchiavano dinanzi seicento huomini à cavallo vestiti
da lui con una vaga et ricchissima livrea, presso à quali egli se
ne veniua in guisa tale che rappresentaua la maestà d'uno Impe-
rator trionfante. S' era Pietro, si vede, foggiato in tutto alle ele-
ganze, anzi ai lezj della Corte medicea, fino a quello dei mulie-
bri orecchini (cercel), dai quali gli restò il soprannome. Ma fece
come principe pessima prova; e ventura fu pei Eumeni, premuti
fino al sangue per pagare le vantate liberalità sue, che tutt'altra
indole sortisse, e meritasse tutt' altro cognome, quel Michele suo
fratello, che a buon diritto dissero il Prode, e che resta nelle loro
memorie fra gli eroi della patria indipendenza.
Degno subjetto ad altri studj, sperabili dal signor Esarco; il
quale per altro, da quel fine diplomatico ch'egli è, ha saputo
anche dall'odissea di questo infemminito suo Pietro cavare buon
costrutto per la causa del suo paese. A Pietro i Keali di Francia
scrivevano notre très cher cousin et bon ami; anche profugo, il
papa e la Serenissima lo trattavano da principe; che più? ap-
pena e' torna in seggio, il suo ambasciatore straordinario ap-
presenta le lettere credenziali; " è dunque dimostrato, conclude
l'acuto Rumeno, essere stati i principi nostri accolti anche ne'
giorni peggiori nella famiglia de' sovrani europei; non avere essi
interamente rinunziato mai all'esercizio del più prezioso tra i
diritti sovrani. „ E noi gli diamo volentieri ragione; perchè, se
neppure al patriottismo è lecito falsare la storia, degno è però
di lode, non che d'indulto, il sapere in tutto volgerne gli ammae-
stramenti a decoro ed a legittima difesa della terra natia.
T. Massarani.
NUOVI DOCUMENTI
su
GIROLAMO SAVONAROLA.
Di Girolamo Savonarola non pochi italiani scrissero e pubblica-
rono documenti in questi ultimi anni. Il risveglio della vita poli-
tica in prima che fu pronuba di quello degli studj storici, l'acquisto
della nostra nazionale indipeùdenza poi, ne furono le principali
cagioni.
Queste pubblicazioni sono raccolte massimamente nell'Archivio
toscano, e sono del Marchesi, del Lupi, del Passerini, ecc. ^
Ultimo che scrisse del Savonarola è il Villari. ^ Il lavoro suo fu
accolto in Italia con molto plauso, e si ebbe l'onore di traduzioni
in lingue straniere.
L'illustre conte Passerini, da me interpellato sulla notorietà dei
nomi dei Piagnoni, sottoscrittori della petizione a papa Alessan-
dro VI in favore di frate Girolamo, mi accerta che altri docu-
menti non meno importanti dei pubblicati esistono negli Archivj
fiorentini. Ora egli, che si è reso così benemerito della storia d'Italia
con pubblicazioni di tanto pregio, accrescerebbe di certo i titoli
che egli ha alla pubblica benemerenza se volesse dare alla luce
cotesti documenti da lui conosciuti.
I documenti che pubblico, io li trassi dall'Archivio di Mantova.
Per verità, non ci fanno né nuove né importanti rivelazioni, ma
più che altro ci confermano, anche nei più minuti dettagli, quanto
* Archivio Storico. T. VII. 1849. Appendice. — T. Vili. 1850. Appendice. — T. Ili,
p. I. 1866. Giornale degli archivj toscani. N. 2-3. 1858. — N.1-2, 1859.
' Storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi. Voi. due. Le Monnier, 1859-1861.
326 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
si scrisse intorno ad alcuni dei principali momenti della vita del
celebre frate. Havvi anche qualche cosa che ritengo nuova, e per
tutto ciò ho creduto bene il porli in luce.
Fra Girolamo Savonarola fu di certo un singolare uomo per
potenza di ingegno, di fede e di carattere, e lo scopo che egli si
era prefisso non esigeva meno di un sì forte animo e potente
ingegno. Erasi proposto di fare rifiorire la moralità pubblica dei
Fiorentini, di richiamarli all'amor della vita politica, partendo dalla
riforma dei costumi privati; di dare alla repubblica nuova e vigo-
rosa vita, col dotarla di istituzioni, da lui ideate e stimate più
consentanee a raggiungere i suoi intendimenti.
Cosa abbia fatto, cpme siasi adoperato, le riforme e gli ordina-
menti introdotti, le sue qualità di innovatore politico, o come si
direbbe ora, di uomo di Stato e di filosofo, ci sono fatte conoscere
egregiamente dal Villari. Egli nota giustamente che, primo ad
introdurre la fondiaria, l'ordinamento della repubblica da lui pro-
posto e fatto introdurre fu quello che ebbe maggiore presa sul
popolo, e che fu reputato il migliore dal Guicciardini, dal Machia-
velli, ecc. Tuttavolta, non era possibile che l'opera sua avesse
lunga vita. Lo spirito pubblico in Italia si era infiacchito d'assai;
le industrie che avevano fatti sì floridi e potenti non pochi muni-
cipi, e primo fra tutti il fiorentino, erano in una spaventosa ed
irreparabile decadenza. Le intestine discordie avevano persuaso
molti, che il regime popolare non era apportatore di pace e be-
nessere durevoli. Tutti i principotti italiani poi erano avversi al
risveglio della vita repubblicana, tentata dal Savonarola, e perciò
l'osteggiavano senza posa. Pure quello che egli ottenne non era
né prevedibile né sperabile, ed in ciò ebbe un non indifferente
ajuto in Carlo Vili, a lui molto benevolo, nelle esorbitanze dei
Francesi in Firenze, e negli errori di Piero de' Medici. Non fu-
rono però che ajuti esterni ed accidentali, i quali mancando, non
avrebbero impedita l'opera sua; tutt'al più la accelerarono. Fu
lui che scosse ed eccitò i Fiorentini. Fu lui che creò quel potente
partito che governò la repubblica con inusitato vigore e regolarità
per parecchi anni, in mezzo a straordinarie difficoltà interne ed
esterne. È merito suo se gli ordinamenti da lui introdotti furono
riconosciuti di tanta bontà intrinseca, da essere mantenuti dagli
stessi suoi avversarj ritornati al potere.
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 327
La vita politica del Savonarola si può dire che ha incominciato
colla confessione di Lorenzo il Magnifico (aprile 1492), e durò fino
al maggio del 1498, cinque anni precisi: e tanti gli bastarono per
compiere un si grande e meraviglioso rivolgimento politico e mo-
rale del popolo fiorentino.
A molti può riuscire difficile a spiegarsi come il Savonarola
abbia ottenuto un tanto successo in tempi nei quali mancavano
tutti i principali mezzi, che oggi noi abbiamo, di diffondere le idee
e di fare propaganda, e con tutte le difficoltà che aveva da supe-
rare. Il segreto di questo successo sta nella sua condizione di reli-
gioso. Egli non era ricco, non aveva aderenti, e per di più non era
nemmeno fiorentino; ma l'essere frate gli tolse via tutte quante
eccezioni. Ministro di quella religione che trapassa i monti 'ed i
mari, cui non sono di ostacolo le diversità di razza e di nazio-
nalità, 0 di grado di cultura e di civiltà, non gli si poteva chie-
dere, e non gli si chiese infatti, allorché comparve sul pergamo di
S. Maria del Fiore, donde venisse e di dove fosse. Egli parlò di
Cristo e di Vangelo, di religione e di umanità, di moralità e di
giustizia, ed il popolo che l'ascoltava fece plauso alle sue parole.
L'integrità della vita, l'austerità dei costumi crebbero il presti-
gio della sua eloquenza e della sua dottrina. Mancavano le tribune
parlamentari ed i mezzi nostri della stampa quotidiana, s'ebbe
però il pulpito, e di lì potè bandire al popolo le sue idee, e guada-
gnare UQ grande numero di proseliti ai suoi propositi.
Se non fosse stato religioso, se non avesse potuto salire il pul-
pito delle chiese, sarebbe irimasto nelle condizioni poco liete di un
semplice visionario progettista, di un alchimista ricercatore della
pietra filosofale.
Ma è pur duopo confessare che quello che tanto gli ha giovato
a salire, fu anche, in mano a' suoi avversarj, strumento primissimo
della sua rovina.
Gli avversarj suoi, che tanto accanitamente lo combatterono
quanto gli amici gli furono costanti, con moHa destrezza e non
minore malizia fecero sì che la sua condizione religiosa gli tor-
nasse di danno, in quella stessa misura che gli aveva giovato.
Non potendolo compromettere nella pubblica estimazione, procu-
rarono di metterlo male col papa, insinuandogli che esso lasciava
la religione per la politica, e che, anziché ministro di Cristo, egli
328 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
era un eretico sovvertitore della Chiesa. A dare valore a queste
accuse concorsero alcune sue prediche contro i mali che affligevano
la Chiesa, e contro quanto la pubblica opinione attribuiva alla vita
privata e pubblica del papa. Con un'arma simile fu assai facile il
perdere il Savonarola presso il papa, e di qui ne venne in realtà la
sua miseranda fine.
Erano sicuri che, una volta compromesso disciplinarmente coi
suoi capi, costoro avrebbero ben saputo trovare la via di sbaraz-
zarsi del frate facinoroso e turbolento ; e non si ingannavano, per-
chè, non tenendo conto né delle qualità individuali del papa, né
dell'ingerenza che il papato esercitava allora nel regime interno
degli Stati, né di quella che aveva per le quistioni religiose in ge-
nere, che tutto ciò sarebbe bastato a farla finita con un individuo
qualunque, anche di maggiore considerazione del Savonarola e di
diversa condizione sociale, la sua di frate faceva sì che, legato
mani e piedi, cadesse in balìa dell'autorità ecclesiastica. Le accuse
contro lui lanciate erano tali, che in quei tempi non ammettevano
né giustificazioni, né mitigazione di pena. L'arte usata quindi dagli
Arrabbiati fu scaltra e perversa oltre ogni dire, e sciaguratamente
ottenne il suo pieno effetto, e cosi la gentile città dei fiori, in
causa delle sue interne discordie e passioni politiche fu, per la se-
conda volta, deturpata dall'immane spettacolo di un rogo, ed uno
dei più saldi caratteri e degli spiriti più puri del secolo XV, reo
non d'altro che di avere voluto il bene con infinito ardore, di averlo
propugnato senza infingimenti, di volerlo là dove, forse, non era
più possibile che fosse, fu vittima di brucale passione di parte.
I miei documenti riguardano la cacciata di Piero de' Medici, la
venuta di Carlo Vili in Firenze, la sottoscrizione ^ei Piagnoni in
favore del Savonarola, la presa del convento per parte degli Ar-
rabbiati, ed il supplizio di fra Girolamo.
Se la scoperta d'America cagionò una grande alterazione nelle
condizioni economiche dell'Europa, la calata di Carlo Vili pro-
dusse grandi mutazioni politiche in Italia, fu causa di tante guerre
che per tre secoli si combatterono in Europa per il predominio
sulla penisola, e per questa si aprì il funesto periodo della ca-
lata degli stranieri e della loro dominazione.
Carlo Vili discese in Italia per il Monginevra alla fine del-
l'agosto del 1492, e se ne venne ad Asti col più potente e fiorito
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 329
'esercito che da tempo si avesse veduto, e con quelle artiglierie
da campo e da breccia che erano la meraviglia di tutti. Da Asti
passò a Pavia, dove visitò l' infelice Gian Galeazzo, indi a Piacenza,
poscia varcando l'Appennino in Lunigiana. I Francesi, proseguendo
la loro marcia su Firenze, presero d'assalto Fivizzano, e dalla viltà
di Piero de' Medici s' ebbero Sarzana, Sarzanello e Pietrasanta. I
Fiorentini pertanto, indignati col Medici e da lui in altra guisa
provocati, lo cacciarono da Firenze, e ristabilirono il regime popo-
lare. Pisa, alla sua volta, si ribellava a Firenze, ed accoglieva
festosa nelle sue mura il re francese.
Gli storici fiorentini narrano dettagliatamente come avvenne la
cacciata di Piero de' Medici, e come fosse rimesso il regime popo-
lare. La grande influenza che il Savonarola esercitava sul popolo
fece sì che, a comporre il nuovo governo, si eleggessero dei suoi
seguaci e dei più decisi av versar j ai Medici. Uno dei primi atti di
questo governo fu di mandare ambasciatori al re Carlo, onde trat-
tare con lui della restituzione della fortezza, della sommissione di
Pisa, e della sua entrata nella città. L'ambasciata fu composta di
Tanai, di Jacopo de Nerli, di Piero Capponi e del Savonarola.
Carlo Vili conosceva già per ama fra Gerolamo, ma quando Io
ebbe veduto e udito, si persuase vie meglio della sua grande virtù.
Il Savonarola parlò al re assai forte, e lo minacciò dell'ira di Dio
se non avesse rispettata Firenze nelle sue donne, ne' suoi cittadini,
nella sua libertà; se avesse mirato ad altro che a compiere quella
missione che gli era stata affidata.
I Francesi entrarono in Firenze per porta S. Frediano, il 17
novembre 1494, con grande apparato, e quivi il re, dando libero
sfogo alla sua vanità, non curando la parola del Savonarola, si
comportò da conquistatore prepotente. I soprusi, le violenze com-
messe, principiando dal re fino all'ultimo fantaccino francese, fu-
rono innumerevoli ed inaudite. Quei Francesi che nel!' eccidio di
Rapallo mostrarono agli Italiani che il loro modo di fare la guerra
bandiva persino l' umanità, nella loro dimora a Firenze violarono
le leggi più elementari dell' ospitalità. Fra altri, il re stesso co' suoi
magnati non si ristettero, alla loro partenza, di- mettere a sacco i
tesori d'arte e le ricchezze raccolte nel palazzo Medici, nel quale
erano alloggiati, e che erano affidati alla loro onestà. Se il popolo
fiorentino, se Piero Capponi non avessero frenata la loro baldanza
Arch. Stor. Lomh. — An. I. 21
330 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO. SAVONAROLA.
col mostrare che, al bisogno, avrebbero saputo combatterli nelle vie
della città, è certo che Firenze non si sarebbe di loro liberata
colla taglia di 200 mila ducati.
Il primo documento, che ora riporto, narra come accadde la
cacciata del Medici, l'ingresso e la permanenza dei Francesi in
Firenze. Concorda in ogni circostanza colle narrazioni che di que-
sti avvenimenti fanno gli storici fiorentini, onde essi, se pure ne
abbisognano, ricevono conferma di veridici. Solo è taciuto l'aned-
doto di Piero Capponi, e non so spiegarmi una tale ommissione,
mentre questa relazione fatta al marchese di Mantova Francesco
Gonzaga da Angelo Ghivizzano suo oratore in Firenze, in tutto il
resto appare esatta.
Ecco il documento:
" 111."'' S. mio : perchè V. S. intenda el- chaso de Piero e fratelli
de i de Medici : Essendo andato dito Piero a Sarzana dal S. Re per
com^ponere le cose sue e de questa libertà : ed havendo reconciliato
a se la M. del S. R. e tornato a Fiorenza per provedere alla venuta
de esso S. R. non bene contento de ogni cosa: e per non se fidare
de questo populo, ne ancho de Lorenzino, cerca modo e via de alo-
zare el S. R. in chasa sua, quale dovea alozare in chasa de Loren-
zino: e fece aparechiare dita sua chasa. El che intesa la M. del
S. R., subito mandò una sua littera doliendose de Petro che fusse
mancato della comissione a lui data; del che fue molto molestato
tuto questo populo. E come volle la fortuna, comenciò entrare su-
specto alla M. del S. R. et a questi cittadini: e per tal suspecto
fue fato una gran paura al capitanio de fanti di palatio et apresso
la paura gè promiscuo la gratia della vita se lui gè diceva per
che chausa Piero non avea es(5guito la comisione del S. R. e per
che causa avea fato tanti fanti: per el che dito Capitanio mani-
festò come Piero avea hordinato de fare venire domenicha, fue boto
giorni, cinque milia fanti e trenta squadre, le quale conduceano li
Orsini suoi parenti et a bore cinque se dovea impizare focho in
Merchato Vecchio e con quel rumore se dovea aprire le porte e
mettere dentro tutte quelle squadre e chorere la terra et andare
al palazo de Pietro et amazare el S. R. di Francia con tuta sua
compagnia: quale dovea intrarre dita domenicha che era a di 9
di questo: e publicata tal cosa subito fue preso alcuni che vi ha-
veano mano, el nome de quali si è p.° Ser Giovanni de Ser Bart,
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 331
da Prato Vecchio: Antonio di Bernardo di Miniato; Ser Lorenzo
che facea le facende della duana^; el barigello della piazza; Pietro
Filippo Pandulfini: Gianocio Puci; Lorenzo de Giovanni Torna-
buoni: e molti altri e fuzitone pure assai: Le chase de Ser Bart.
de Prato Vecchio e de Bernardo Miniato sono andate assacho e
brusate e minate tute: anchora volevano fare sabato inpichare
tuti questi: ma uno frate de S. Domenicho ^ liae alungato la vita
qual frate già, cinque anni fae, li ne à profetato tuto questo ave-
nimento : per modo che ella ^ misso in tanta paura questo po-
pulo che tuti sono dati alla divotione e fa che tri giorni della
settimana tuta questa terra digiuna pane et aqua e dui pane e
vino, etc.
„ Apresso a fato fugire tute le donzelle e parte delle maritate
in de monasteri per modo che non se vede per Fiorenza se non
fante, e schiavone, e vecchiame, etc.
;, Ulterius la M. del S. R. sie hogi intrato in questa infelice terra
con tanto trionfo e festa che stato una chosa stupendissima a ve-
dere ed è stato tanto desiderato da questo populo quanto uno dio
in terra: La intrata sue si è stata a bore 21 e duroe fino a bore
24: li era andato contra tuto il clero e tuti questi gentilomeni
vechi, tuti li zoveni vestiti ala franciosa con robe cremosine ed,
erano più de 200 zovani, innanzi tutti e dritto alli zovani veniano
tuti questi patrizi : da poi vene 4 capitani franciosi a piedi armati
con vestitelli di pano doro alto e basso: e dritto veniva tutte le
fanterie per ordine, la qual fanteria sie otto milia: e dapoi li ar-
ceri a cavallo che sono 600 e dopo li balestrieri a cavallo quali
erano 200 e dopo questi venne li gentilhomeni della guarda quali
sono 800 e tanto bene armati e puliti e belle barde e degnissimi
corsieri: e dricto a questi 800 vene la M. del S. R. suto al bal-
dachino, armato con uno chapello biancho grande in capo in suso
uno cavallo pizolo e pello morello copertato tuto di pano dora
rizo alto e basso: dintorno avea circha a 200 homeni a pedo: e
dretto sua M. veniva cento baroni tuti gran gentilhomeni in li
quali era Mes. Galeazio Santoseverino: el S. don Ferrante vostra
* Dogana.
' Il Savonarola.
3 Egli ha.
332 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
cugnato ^ tuti armati e bene ahordine : la via che sua M. a fato
sie dalla porta di soto cioè la porta S. Frediano ed è venuto suso
derito al ponte veccliio ed è andato dal palazo de Signori e poi a
Santa Liperata elli ^ dissmontò e da Santa Liberata a chasa de
Piero : elli desmontoe ed è li alozato : et alozato chel fue la Signo-
ria li mandoe le chiave a presentare: qual S. R. starà qui firmo
fine a sabato e sabato sene va a cholli e domenicha a Sena per
andare alla via de Roma: la quale sie meza tolta a posta del S. R.
per monsignore Aschanio e per questo el S. conte vostro cugnato
va via celeratamente con tute le gente darme e credo che sarà fra
8 giorni a Roma alla più lunga: la M. de S. R. sia qui le guardo
sue quale è 12 milia cavalli senza ninno dubio: mi a dito el Signor
conte che sono per questa via di qua 18 milia cavalli: qual Signor
conte à comissione fare fato darme attrovando li inimici: a me
pare che non sia possibile a vedere al mondo mazore guardia per
uno homo, etc. Lo achordo che ano preso questi fiorentini sie che
dano al S. R. 200 milia duchati e hanone aparechiato al presente
120 milia, tucta via vano provedendo: bisogna trovarli in fra otto
giorni e lasano fare in questo stato tucto quello che a S. M. piace:
per el che a posto Pisa in libertà, elli Pisani ano butato marzocho
in Arno elle bandere fiorentine strasinate per tuto Pisa : vero chel
S. R. tiene la cittadella e Livorno e Sarzana e Pietra santa e Vol-
terra: e che sua M. donato allo 111. conte, vostro cognato, Castel-
Novo quale S. Sig. pigliò per forza e fue el primo preso: e sei
fusse staso meliore saria stato el suo : del qual Castel Novo atrova
S. Sig. due milia duchati ma spera de averne più de tre: Illu-
stissimo S. mio se V. S. vedesse al presente Fiorenza non vi pare-
rla quella, anzi pare una stalla da chavalli : Io soe bene che questo
S. Re non è stato honorato da dono e soe che se insognerano a
vederle, sono fugite sina alle publiche : anchora ano questi fioren-
tini con el S. R. revocati tuti li forusiti del 34 in qua: el S. Fran-
ceschetto: sie donato uno bellisimo corsiero al S. R. per el qual
presente e stato fato barone ed e rifermato in Pisa : Mes. Francesco
Sicho ^: si e fato citadino pisano: in questo modo essendoli missa
* Ferrante d'Este.
* e lì.
^ Già famigliare del marcliese di Mantova.
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 333
la chasa a sacho, el se ricorse alli piedi del S. K. pregando lo ha-
vesse compassione a tanto che el era povero gentilhomo: e cha-
ciato de Milano e da Mantuva, e che non avea altro al mondo
che la chasa e beni mobeli, per le qual parole el S. R. si mosse
a compassione e risalvoge la roba con questo che fuse citadino
privilegiato e senza soldo: a Mes. Ercule fue dato termine tre
giorni a partirse de Pisa: ancora andoe dito Mes. Francesco per
visitare el S. conte ma non ebe da lui audienza grata anzi li disse
che tuti li vostri nemici erano suoi : per modo che ella avuto gran
paura. Ancora 111."'° S. mio ne parlato M. Teodoro mediche della
M. de S. R. el quale me ne fato intendere come alli giorni pas-
sati fue una persona che disse alla M.*^ del re che vostra S. era
uno homo senza rispecto e fato a vostro modo e che eravate sem-
pre vivuto a vostro modo: la qual persona M.'*'' Teodoro non mi
ae mai voluto dire, e sapete che io loe lusingato pure assai: dice
averlo per sacramento: ma lui inseme come el S. conte ano ho-
perato talmente apresso el S. R. che S. M.*^ e daltra openione:
Ano fato intendere a sua maiestà che bisogna viviate al modo de
veneziani e non al modo vostro : e quando V. S. non fusse alli
servizi de Santo Marco avreste dimostrato tuto el contrario: fa-
cendoli intendere come veneziani sono la più suspetosa gente del
mondo: per modo che queste et altre rasone li sono multo satis-
fate : per el che me pareria che V. S. dovesse fare una bona
litera a dito M.""* Teodoro com pregarlo volir essere caldo in le
cose vostre e rengratiarlo de hogna bona hopera per V. S. fata.
Se io sono stato tedioso a V. S. perdonateme non se può scri-
vere cose assai in poche parole, anche vi facio intendere hozi a
bore una sie fato le esequie del conte Zovani dalla Mirandola
qual morte si e stato molestissima a tutta questa terra a me
parse che Fiorenza abi hozi perduto el fiore del mondo ede la
libertà e la virtù, etc. alla bona grazia de V. Ex. humile e di-
voto me richomando. Florentie 17 novembre 1494.
j, Anchora la M.*^ del S. R. avuto le cose antiche che erano in
chasa de Piero.
Servus fidélis.
Ghivizanus. „
ITI, prin. et Ex. D. B. Fran. de Gonzaga Marchioni Mantuce^
D. meo singid. Manina.
834 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
Il governo della rinata repubblica, dopo Carlo Vili si preoc-
cupò dei principotti italiani, e si affrettò di partecipare loro il mu-
tamento accaduto in Firenze, e di rannodare rapporti di amicizia.
Fra questi principi fuvvi naturalmente anche il marchese di Man-
tova. Ed infatti i priori fiorentini gli scrissero fino dal 9 novem-
bre 1494, ad ora di notte, vale a dire la notte del giorno della
cacciata del Medici. La lettera, sottoscritta Friores lihertatis et
Vexiliferi justitiae popidi fiorentini, rimettendo così l' antica for-
mula di sottoscrizione degli atti della repubblica, narra minu-
tamente in qual maniera fu cacciato il Medici. Tanta fretta nei
priori fiorentini di portare a conoscenza dei prìncipi italiani la
formazione del nuovo governo è spiegata dal bisogno grande che
avevano di amicizie, ed in particolare di quella del Gonzaga, che
era guerriero di buona fama e dei più reputati in Italia, ed altre
volte lui ed i suoi antenati erano stati capitani generali delle loro
milizie, ed è per ciò che essi confidano nella amicitia singolare
che la città aveva sempre tenuta coW lU.'^"' casa Gonzaga. Quale
accoglienza abbia fatto alla comunicazione fiorentina, lo vedremo
dalla risposta che egli vi fa.
" 111. et Eccellen. Dne. L' amicitia singolare che la città nostra
ha sempre tenuta con la 111. vostra Casa et al presente tene con
la Ex. V. fa che deliberatamente comunichiamo con quella le
occorrentie nostre et però le significhiamo, come havendo oggi
più volte Piero de Medici accennato e tentato tirannicamente
dinvadere e reprimere la libertà nostra; della qual cosa essen-
dosi accorta buona parte de nostri primi cittadini che havevano
indicio del mal animo et intentione de esso Piero, subito come
amorevoli et zelanti cittadini della conservatione della nostra
libertà et dela nostra patria, si rappresentarono al Palazio ed
inteso da noi in che discrimino et pericolo ci trovavamo per haver
Piero prima dolosamente et poi per forza voluto occupare el palazzo
pubblico della nostra residentia, subitamente tuta la citadinanza
et nobiltà dela terra con seguito de tuto el popolo opposeno alla
forza et empito de esso Piero et del Cardinale et de Giuliano
suo fratelli che si erano publicamente scoperti in suo favore, et
non obstante l'ordine e provisione che assai buon numero de loro
satelliti, de quali, oltra le consuetudini de ogni buon cittadino,
andava continuamente stipato et eciam dela gente d'arme del
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 335
S. Pagolo Orsino, quale liaveva de dita opera condocte alla detta
città; fu subitamente represso et rebuttato dalla furia de cittadini
et del popolo, in modo furono costricti il Cardinale, Piero et Giu-
liano uscire dalla città per conservarsi la vita insieme con li suoi.
Et per quanto intendiamo hano preso la volta di Vernio (sic) verso
la parte di Bologna, dopo la qu^l partita tuta la città subitamente
se quotata sanza alcuna efusione di sangue, et siamo in grandis-
sima unione. Et ringraziando lo onipotente Iddio dell'haverci libe-
rati da si pestifera tirannide dela qual cosa siamo certi la vostra
111. S. piglierà piacere per l'amore et affectione ne porta. Ex Pa-
latio nostro Die nona Novembris 1494 bora noctis sexta.
Priores libertatis ) ,. ^ ^. .
popuU fiorentini, „
Vexilliferi justitiae
IH. et Ex. Duo. Francisco de Gonsagha MarcMoni Mantuae et
amico nro. Carmo.
11 Gonzaga non era favorevole alla rivoluzione fiorentina, né
poteva esserlo, e perciò egli non si congratula con essi d'essersi
liberati di sì pestifera tirannide del Medici, la quale era simile a
quella che Casa Gonzaga esercitava su Mantova, ond'egli doveva
averne un concetto affatto diverso. La risposta sua quindi non
dice nulla, e la si può ritenere un capolavoro di linguaggio sibil-
lino ed equivoco.
Dominis florentinis.
" Magnifici ac S. Ho ricevuto le lettere dele S. V. et per quele
inteso copiosamente le rincrescevole occurentie dela excelsa Re-
publica sua. Per risposta dico che de ogni loro perturbazione pi-
glio singulare molestia, come quelo che le amo cordialmente et
sono certo che in ogni cosa le S. V. se governerano in grande
maturitade, prudentia et digna circumspectione, come sempre sano
fare in qualunque caso. Ad a quelle riferisco molte gratie delà
partecipatione factomene offerendomeli in ciò vaglio et posso et
ale S. V. me raccomando. Mantua XIIII Nov. 1494. „
Mentre il Gonzaga scriveva in sì fatta maniera ai Fiorentini, fa-
ceva esprimere per ìnezzo del suo oratore in Venezia, Probo Ja-
336 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
copo d'Atri conte di Pianella, a Piero de Medici colà rifugiato,
sensi e propositi ben più espliciti, come si rileva dal brano se-
guente di lettera scritta dal marchese al detto suo oratore.
" Vogliamo che in nome nostro vadi a visitare lo Magnifico Piero
de Medici et li dighi che noi non siamo amici de fortuna et che-
de ogni suo disturbo pigliamo quella displacentia che debbo pi-
gliar uno bono amico et fratello di l'altro, et cum sua Magnifi-
centia vogliamo essere quello che siamo sempre stati, et de parte
nostra li offerirai la persona, le facultade et ogni nostra opera ad
beneficio et comodo suo. „
Il tenore di questi due documenti mette in chiaro le vere ten-
denze dell'animo del Gonzaga, e non si può negare che la parto
da lui presa fosse anche la migliore. Principe assoluto di una città,
doveva prediligere lo stabilimento di governo egualmente assoluto
e principesco in ogni altro luogo, ed avversare l'impianto del go-
verno popolare.
Tuttavia, mentre Piero ed il fratello, cardinale Giovanni de Me-
dici, esulavano in Venezia, i loro due cugini Lorenzo e Giovanni de
Medici, del ramo cadetto, rappresentavano in Firenze la stessa
parte che poi sostennero in Francia i cadetti della Casa reale, gli
Orléans. Procurarono di ingraziarsi il partito popolare, di essere ri-
chiamati in Firenze, e non appena raggiunto il loro intento, ne scris-
sero al marchese di Mantova, offerendosi, ove e come potessero, a
compiacerlo, e facendo elogi del nuovo governo della repubblica.
Noi abbiamo veduto da qual parte fossero le simpatie del Gon-
zaga, ond'egli non poteva accogliere di buon grado le comuni-
cazioni e le proteste dei Medici, che si mettevano coi nemici del
capo della loro Casa. Perciò nella risposta che egli fa alla loro-
lettera, rifiuta apertamente le loro esibizioni, e delle cose sue dico
che ad tempo et loco ne potranno usare, volendo dire che allora
non vi era né tempo né luogo. Della repubblica poi discorre con
finissima ironia. Amo di riportare tutte e due queste lettere per-
chè, se la prima fa palese in questi Medici una grande ingenuità,
la seconda conferma il modo di vedere del Gonzaga, che era di
conservarsi fedele alla causa del principe spodestato.
" IH. et Excell. nr. Max honor. Prima non habbiamo scripto a
Y. S. poiché retornavamo ad Fiorenza per non essere stati ben
certi, insino ad bora, del nostro remanere in la terra. Adesso che
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 33T
siamo restati in la patria faciamo offerta ad V. S. dele persone et
facoltà nostre, alli comodi et servitii suoi, et finalmente de tutto
quello che per noi in questa vita si possa et vaglia. Reputandone
alora liaver ad sentire jucundissimo fructo della stantia in la pa-
tria et d'ogni bene che Dio in essa ne concederà, quando V. S.
se digni farne segno in le occorrentie sue haverci per quelli an-
tiqui et cordiali servitori che quella sa che li siamo stati sempre.
La città nostra attende con matura consultatione ad reformarsi
in modo tale che per l'ajuto de Dio speriamo farà stabile funda-
mento di lunga et vera tranquillità, con laude et commendatione
de tutti quelli chel sentiranno, desiderosi del bene non tanto di
lei proprio quanto del generale et del bene et santo vivere. Dio
la consoli delli honesti desideri suoi et ad V. S. doni perpetua
prosperità. Alla quale intimamente ne racccomandiamo. Florentise
XI Decembre 1494.
Laurentius et Johanes de Medicis
Fratres. „
Laurentio et Joani fratrihus de Medicis.
" Magnifici. M. Ce haveti data una buova notitia et da nui assai
desiderata, significandone la restitutione vostra ala patria, perchè
deli contenti vostri ne godemo anchor nui. Kengratiamovi delo
aviso datoci, congratulandone cum vui del ben vostro. Et benché
sempre havemo conosciuto l'affectione che ce portate et che ad
nui quodamodo siano superflue vostre preferte, nondimeno quelle
ampie et amorevoli che ce fati nela letera vostra ce sono acceptis-
sime per esser manifesto testimonio che perseverati in amore ad
nui. Ad loco et tempo desse cum quella libertà, che vogliamo
possiate fare vui delle cose nostre. Che quella Magca Repubblica
attendi ad riformarsi et fare stabile fondamento de vera et lunga
tranquillità, molto ne piace, cussi pregamo Iddio li presti continua
pace et quete, cum vostra alegrezza et prosperità. Ai beneplaciti
vostri. Mantue, XXIII Decembris 1494. „
Partiti i Francesi da Firenze, tosto si pensò a ricuperare i
possedimenti perduti, e costituire una stabile forma di governo.
Tutti i partiti proposti dal Savonarola furono vinti, meno quelli
dell'appello ad un Consiglio ristretto, piuttosto che al Consiglio
338 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
Maggiore/ Il Savonarola proponeva l'appello ad un Consiglio ri-
stretto di persone prudenti e pratiche delle leggi, persuaso che
nel Consiglio maggiore si sarebbe sentenziato più per passione che
per giustizia. L'avere deviato dal proposito del Savonarola fu ca-
gione di gravi perturbazioni e di rovina per Firenze.
Stabilita la forma del nuovo governo, non per questo i Fioren-
tini quietarono per molto tempo, che ben presto sorse il partito
degli Arrabbiati, contrario ai Frateschi, il quale, sebbene avver-
sasse i Medici, pure era ostile a fra Girolamo e suoi seguaci.
Quantunque Pietro de Medici facesse un serio tentativo di rientrare
in Firenze, ajutato dai prìncipi italiani suoi alleati, e l'impresa del
ricupero delle terre perdute non riuscisse gran fatto favorevole a
Firenze, non per questo gli Arrabbiati rimisero del loro mal animo
e si persuasero a consigli di concordia e di pace. Conoscendo co-
storo di non poter vincere gli avversarj loro, i Piagnoni, combat-
tendoli direttamente, e nemmeno fra Girolamo, perchè avevano
troppo sèguito nel popolo, ed il combatterli uniti avrebbe resa
ancora troppo difficile la vittoria, pensarono di concentrare le
loro macchinazioni sul solo frate, e di servirsi di un agente ester-
no, della cui forza ed inclinazione d'animo non potevasi dubitare.
Ricorsero a papa Alessandro. Non fu difficile l'indisporre il papa
contro il Savonarola, tanto più che non doveva avergli buon animo
per essersi fatto, più di una volta, aperto e pubblico censore dei
vizj delle persone ecclesiastiche e di lui stesso. I primi atti ostili
del papa contro il Savonarola furono del 1495. Da questo tempo
fino alla sua morte fu una continua vicenda di minaccio, di inti-
midazioni, di calunnie, di perfidie, ed anche di promesse. Gli proibì
in prima la predicazione, poi pensando di avere a che fare con un
volgare ambizioso, il quale facesse rumore non per verace senti-
mento di bene, ma per cupidigia di onori, gli volle offrire il cappello
cardinalizio, sperando di porre così in tacere la voce molesta. Ma
egli non era di quelli che nelle loro azioni si lasciano guidare o
dalla speranza o dal timore. Questi due poli opposti non lo attras-
sero mai. Resistere ai potenti non era in lui jattanza ed il com-
battere i loro vizj non era per proposito di detrazione o di ven-
detta. La volgarità o la passione non scese mai a deturpare il no-
* VlLLARI, Op. Cit.
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 339
bilissimo suo animo. Assalì il male sempre con grande franchezza
ovunque lo trovò, ma non ebbe nessun punto di contatto con Pie-
tro Aretino.
Ma in tanto affaccendarsi degli Arrabbiati, anche i Piagnoni
non stettero cheti, procurarono di sventare le trame dei loro av-
versarj con una solenne dimostrazione in favore del loro capo. Ste-
sero quindi una petizione al papa perchè gli riconcedesse la fa-
coltà di predicare, attestando al medesimo tempo nel modo il
più solenne delle virtù sue, e quanti erano fra i Piagnoni dei più
stimati la sottoscrissero. Alcuni frati di S. Marco furono incari-
cati di attendere alle firme, mentre i principali del partito anda-
vano a raccogliere i soscrittori.
Morto il Savonarola, gli Arrabbiati processarono quanti Piagnoni
potevano avere nelle mani, ed i giudici fecero di tutto, ma in-
darno, per conoscere i nomi dei soscrittori. Ciò prova che la so-
scrizione non fu pubblica. Non appare dalla storia se cotesta
petizione sia poi stata mandata al papa; forse il silenzio degli
storici su di questo punto, e l'affaccendarsi dei giudici fiorentini
per iscoprire i nomi dei soscrittori, prova che non fu mandata,
perchè altrimenti i giudici per conoscerli non avrebbero avuto
bisogno di processare e torturare alcuno ; bastava che li chiedessero
al papa, che non si sarebbe ristato dall' accontentarli. Neil' esame
di Francesco Davanzati ^ appare che la petizione sia andata real-
mente a Roma, poiché alla richiesta dei giudici rispose : Circa alla
soscritione che andò a Roma in fuori io non so altra soscrinone.
Quando ciò fosse, resterebbe però sempre che la lista di questi
nomi gli Arrabbiati non la conoscevano, mentre era venuta nelle
mani del marchese di Mantova. Nell'esame però di Domenico
Mazinghi^ si rileva che egli, interrogato sull'affare della sotto-
scrizione, dice: Circa la subscritione in 8. Marcilo per mandare
a Boma. Il Mazinghi quindi non dice che sia stata mandata a Ro-
ma, ma solo che vi doveva andare, e può darsi che non vi sia
andata.
Non sembra del pari che cotesti nomi siano stati scoperti e pub-
blicati da coloro che scrissero, o pubblicarono documenti intorno
* VlLLAEI, Op. cit., voi. II, p. CCCLV. 8.
« ViLLAKi, Op. cit., voi. II, p. CCCLXXVI.
340 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
al Savonarola. Nell'Archivio di Mantova io ho trovata la lista di
questi nomi, mandata al Gonzaga pochi giorni avanti il suppli-
zio del Savonarola, perchè trattandosi di documento importante,
fu registrata sotto la data del 17 maggio 1498, cioè sei giorni
prima della catastrofe. Alla lista dei sottoscrittori ve n'è unita
anche un'altra dei Piagnoni multati, mandati a confino o cassati
d' ufficio.
I soscrittori sono 369, i multati sono 13, gli altri 9. Il primo
della lista è il podestà di Firenze, il secondo è Domenico Bonsi,
già oratore dei Fiorentini a Roma, estremo difensore del Savona-
rola. Francesco Valori è il 17**. Vi è anche Niccolò Machiavelli.
La famiglia patrizia che diede maggior numero di sottoscrittori è
quella degli Strozzi, che ne ha 10, sebbene vi manchi Alfonso che
si ricusò^ e Nicolò che era al servizio di Ferrante d'Este.
Io avevo pensato dare di ogni individuo quelle notizie che
avessi raccolto, ma ho smesso riflettendo che scrittori fiorentini
lo faranno in modo più ampio e più esatto di me. Non so poi
come e da chi questa lista sia stata comunicata al marchese di
Mantova, mentre a Firenze, dove si facevano tanti sforzi per isco-
prirla, rimase ignorata. Forse era accompagnata da una relazione
sugli avvenimenti che in allora vi si compievano, ma io non l'ho
trovata, e questo documento avrebbe sciolto l'enigma. Anche la
relazione della presa del convento di S. Marco e dell'arresto del
Savonarola, esattissima in ogni sua parte e che riporto più avanti,
è anonima, né voglio fare congetture, che per lo più non condu-
cono al vero.
I firmati non sono molti, e stando al numero si avrebbe ragione
di argomentare assai sfavorevolmente della forza intrinseca del par-
tito dei Piagnoni, il quale, in queste sue proporzioni, non avrebbe
potuto pretendere di dominare in una grande città. Trecenses-
santanove firmati costituiscono, tutt' al più, la maggioranza in
una grossa borgata, ma non mai in una città quale era Firenze.
Ma giova considerare che non si volle fare un plebiscito, bensì
una soscrizione di notabili del partito, de' suoi capi e rappresen-
tanti. E infatti, mentre si sa che furono rifiutate le firme di molte
persone, perchè non erano di quella autorità che si pretendeva
« ViLLARi, Op. cit., voi. II, p. CCCLXVL
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
341
non vi si scorgono che nomi della più elevata aristocrazia, e
■della più distinta condizione sociale di Firenze. In questa guisa
appare tutta l'importanza della sottoscrizione e la potenza dei
FratescliL Senza meno, la parte più nobile e più rimarchevole
della cittadinanza fiorentina era dei Piagnoni. Da ciò si intende
quale influenza abbia esercitato il Savonarola in Firenze, quale
era anche la sua forza, e come questo partito, che era così po-
tente, morto il suo capo, siasi disciolto. Il Savonarola che l'aveva
costituito e ne era l'anima, era anche l'unico che valesse a te-
nerlo insieme.
Ma sebbene la sottoscrizione fosse di persone tanto stimabili,
pure essa non poteva produrre alcun buon effetto, perchè il papa,
ostile al regime popolare ed amico dei Medici, gli si sarebbe pro-
fessato sempre avversario.
Questa è la lista mandata al marchese di Mantova.
QUI DE SOTTO SONO TUTTI LI CITTADINI
SOTTOSCRITTI IN FAVORE DE FRATE HYERONIMO.
Mg. Agamenone Potestà de Fiorenza.
» Domenico Bonsi.
» Bartolomeo Ciai.
» Antonio Beniveni, medico.
» Francesco di M. Piero Ambrogini.
» Enea dela Stufa.
» Piero Aldobrandini.
» Bartolomeo Devedito.
» Baldo de Fracesco Inghirami.
» Jeronjmo de M. Francesco Cinozzi.
» Jacomo da le Redo.
» Juliano de Martino.
» Zanobi Carletti.
» Jeronimo Bonagratia.
» Jeronimo Caponi.
> Giovanni del Nero Cambi.
> Francesco Valori.
» Tadeo dagnolo Gadi.
» Alamano Salviati-
» Lorenzo di Lotto Salviati.
» Francesco de Pliilipo del Pugliese.
» Matteo del Casia.
» Mariotto Rusilalgli.
» Piero de Lucant.o degli Albizi.
» Stephano de Lorenzo Parenti.
Mg. Bertho da Filicaia.
» Lorenzo de Joanne Tornaboni.
» Carlo de Lorenzo Strosi.
» Andrea de Antonio Cambini.
» Francesco de Leonardo Manelli.
» Francesco de Philipp© Janucini.
» Tomaso de Pucio Pucì.
» Bernardo Guasconi.
» Otto de Francesco Sapiti.
» Juliano de Symone Carnesechi.
» Bertoldo de Bartolomeo Choesini.
» Birnardo de Baldessera Bonsi.
» Neri de Filippo Rinucini.
» Adovardo Rucellai. ^
» Lorenzo Rucellai.
» Gerardo de Bartolomeo Corsini.
» Bartolomeo de Pandolfo Pandolpbìni.
» Pagolo Dantonio Giocondi.
» Joanne d'Antonio Minerbetti.
» Bernardo dinglese Ridolphi.
» Alessandro de Cino Gironi.
» Antonio de Giacomo Berlingieri.
» Zoane de Tadie de Albisi.
» Leonardo Strozi.
» Bartolomeo de Zoane Horlandini.
342
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
3Ig. Alessandro de Francesco Nasi.
» Cambio de Nicolò Bonnanni.
» Piero de M. Symone Cinozi.
» Benedetto de Nicolò Bonnanni.
» Leonardo dantonio Cambini.
» Gianozzi Salviatì.
» Giovanni Battista Rudolphi.
» Francesco de Zoanne Horlandini.
» Jeronimo de Agnio Cinori.
» Diophebo dala Stufa.
» Zoan Battista CieflS.
» Jacomo Lapacini.
» Aldobrandino de Beny. Aldobrandini.
» Zanobi dagnolo Gadi.
» Piero Pagolo Nicoli.
» Tomaso Spini.
» Bartolomeo Ridolphi.
» Zoanne Pirini.
» Symone Filipetri.
» Marcello dagnolo Vernati.
» Alessandro Rondinelli.
» Bernardo Cisiaporci.
» Mazeo de Lapo Mazei.
» Leonardo dee. de M.» Francesco.
» Piero Mascalzoni.
» Corsine de Piero de M.o Bandino.
» Zoanne de Francesco Nesi.
» Antonio de Jacomo Lanfredinì.
» Alamano Petruci.
» Zoanne de Leonardo Carnesechi.
» .Lionello Boni.
» Francesco de Nicolò de Bonnanni.
» Zoanne de Matteo Nelli.
» Pietro dandrea Pucini.
» Benedetto dantonio Tornaquinci.
» Carosio de Zanobi Strosi.
» Nicolò da Lixandro Malcbiavelli.
» Gio. Batt. de Lo.» Stosi.
» Pandolfo de Mes. Agnolo da la Stufa.
> Nicolò de Goro Bandini.
» Temporani de mano Temporani.
» Lanferdino de Jacomo Lanferdino.
» Francesco de Francesco Guasconi.
» Francesco de Lutosi Nasi.
» Nicolò de Bartolomeo Valori.
» Jacobo de Zoanne Salviatì.
» Nero de Francesco dal Nero.
» Nicolò de Guglielmo de Redolphi.
» Bartolomeo dapolonio Lapi.
* Jacopo de Guasparon de Ricasoli.
» Bernardo de Francesco Carnesecha.
Mg. Marco de Zoanne Strozi.
» Piero de Zoanne Strozi.
» Piero de Juliano Redolpbi.
» Bernardo dantonio Sapetì.
» Bastiano de Lazaro Burnati.
» Nicolò de Geòrgie Ugolini.
» Zoanne de Pandolpho pandolfinì.
» Zoanne dantonio Gondi.
» Dino de Jac.» Dini.
» Carlo de Leonardo dalbenino.
' ^ Domenedio Federichi.
» Piero de Zoanne Federichi.
» Antonio de Zoanne Gugni.
» Zoanne Batt. de Francesco Giovani.
» Giovani de Zanozi Vettori.
» Thomase de Paulo Morelli.
» Nicolò de Tadeo Mancini.
» Juliano de Piero Panciaticho.
» Zoanne dantonio Tornaquinci.
» Bonacorso Filipetti.
» Benedetto Portinari.
» Pietro Francesco de Georgi Ridolphi.
» Bernaro de Nicolò Cambini.
» Tomaso Portinari.
» Lorenzo de Francesco Amadori.
» Zoanne Batt. Bertholini.
» Philipozi Gualtirotti.
» Antonio Tornaboni.
» Symon de Bernardo del Nero.
» Piero danfriona Lonzi.
» Marchion Dagi.
» Andrea de Maretti Feraretti.
» Bernardo Segni.
» Michele de Carlo Strozi.
» Francesco da Somania.
» Jeronimo de Paolo Bonhominì.
» Lorenzo danfrione Lencì.
» Alessandro de Leonardo Manello.
» Thomaso Ciachi.
» Valariano de Piero Valariano.
» Nicolò de Matthio Sacchetti.
» Filippo de Nicolò Sacchetti.
» Carlo daldeghiero Beliotti.
■» Piero da Zanobi Strozi.
» Andrea de Carlo Strozi.
> Rainero de Francesco Toseghi.
» Gieri de Ginobi Gerolamo.
» Biasio Veluti.
» Zoanne de Jac. de Dino.
» Schiatta de Nicolò Redolphi.
» Carlo de Francesco Bisdomni»
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
343
Mg. Francesco de Lorenzo Davanzati.
» Piero do Francesco Bettini.
» Raffaello de Antonio Tubaldino.
» Jeronimo da loyse Sodorini.
» Piero de Danielle Dazi.
» Andrea Guiduzi.
» Jeronimo de Francesco Inghirami.
» Bartolomeo de Alamano da Model.
» Andrea de Zanobi Guidetti. .
» Conte do Zoanne Compagni.
» Guido dantonio Cavalcanti.
» Christoforo Brandolini.
» Bernardo de Francesco Vectori.
» Symone dantonio Canigianì.
» Lorenzo Guasconi prete.
» Joachino di Guascuni.
» Paolo de Zanobi Benintendì.
» Raphaele de Paulo de glialbisì.
» Rosso de Pirotto de Rosso.
» Piero Fachini.
» Jacomo de Lorenzo Schiasosi. *
» Zoanne de Thomase Corbinelli.
» Parlano de Juliano Pariani.
» Francesco de Bartolomeo Nelli.
» Francesco do Zoan Spina.
» Carolo de Aloyse Patti.
» Zoanne de Roberto de Cayano.
» Philippo de Piero Gaietani.
» Benedetto Ubaldini.
» Guido de Nicolò Gambi.
» Biasio de Nicolò Monti.
» Lorenzo de Symon Bondalmonti.
T> Bernardo de Sylvestro Aldobrandino
T> Francesco de Georgio Aldobrandino.
» Agnolo de Lorenzo Carduzi.
» Raffaele de Mazeo dì Mazei.
» Jac. de Piero Thedaldi.
T> Alexandro de Nicolò Malchiavelli.
» Benedecto de Mattheo Gorì.
» Simone de Francesco Guiduzi.
» Antonio de Domenico Bertolini.
» Antonio de Francesco Bonsi.
» Piero de Zoanne de Conte.
» Bartolomeo de Rosso Bondalmonte.
» Piero de Cosemo Bonsi.
» Priore de Sarassino Puzi.
» Lorenzo de Zoanne Centolini.
» Domenego Benvenuti.
» Jeronimo Bensi.
Stiattesi? Vinari, voi. II, p. CCCLXVIIl.
Mg. Domenico dant. do Bartol. del Rosso.
» Bernardo Martini.
» Piero de Bernardo Mazìnghi.
» Nicolò Guarchi.
» Zoanne Batt. de Jac. Dalansisa.
» Chino de Lorenzo Orlandino.
» Francesco dantonio di Risi.
» Antonio de Migliore di Guidetti.
» Antonio Vernasi.
» Ghirardo de Bernardo Ghirardi.
» Ruberto de Pagnozo Redolphi.
» Jac. de Lorenzo Velandini.
» Neretto de Francesco Neretto.
» Jeanne de Francesco Casini.
» Alessandro de' Francesco Casini.
» Alphonso de Mes. Janosi Pitti.
» Rainero de Francesco Bagnosi.
» Francesce Nicolò Nichilosi.
3> Juliano de Piero da Caijano.
» Guasparo da Lapo.
» Lapo de Zoanne Mazei.
» Oliverì Guadagni.
» Antonio Francesco Scali.
» Domenego de Bernardo Mazinghi.
» Jac. de Lorenzo Manunzi.
» Alessandro dantonio de li Alessandri.
» Bastiano Lotti.
» Bernardo Ugolini.
» Francesco de Bonacerso Pitti.
» Zoanne de Francesco Bechi.
» Zoanne Battista de Lapo.
» Zoanne de Francesco Doni.
» Octaviano Ghirardini.
» Nicolò de Civita Bindi.
» Francesco Toresani.
» Lorenzo de Francesco Cini.
5> Janezo dantonio Puzi.
> Marche de Bernardo Vespuzi.
» Piero de Mes. Mane Temporanei.
» Bernardino Bartholi.
» Benedette Bechazi.
» Christoforo' de fr. Frane, da Romena.
» Raphaelle Martelli.
» Raphaelle Bensìani.
» Piero dandrea Masi.
» Zoanne do Francesco Inghirami.
» Francesco Portinari.
» Nofri Arnulphi.
» Alexandre Puzi.
> Pandelfe de Bardi.
» Antonio da Tomaso Martini.
344
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
:Mg. Lorenzo de Zoanne Bartholi.
» Jeronimo Federìchì.
» Paolo Dazi.
» Domenico Lioni.
» Francesco Ugolino de Veri.
» Piero de Bernardi Adimari.
» Nofrio de Piero de Rosso.
» Bartolomeo Corsini.
» Nicolò Cambini.
» Raphaelle de Soldo Strozì.
» Nicolò CinurL
» Nerio Tolomeì.
» Raphaelle Vinisini.
» Bartolomeo de Puzi Puzi.
» Thadeo Dalantella.
» Jeanne Scolari.
» Benedecto Biancardi.
» Jacomo Giachi.
» Maso de Bartolomeo de glialbizi.
» Piero Frane, de Francesco Tosinghi.
» Baptista de Baptista da Filicaja.
» Francesco de Zoanne Sapitì.
» Antonio Bruni.
» Francesco de Pierfranco Tosinghi.
» Raphaello dalponse Pitti.
» Francesco de Guido Cambi.
» Carlo Sinori.
» Thomaso Martelli.
» Zoanne Baptista Boni.
» Antonio Coridiani.
» Jacomo de Bartolomeo Borani.
» Thomase Pasconi.
» Adoardo de Symone Canigiani.
» Ubertino -de Gieri Visalitti.
» Andrea de Libri.
» Horlandino Horlandinì.
■» Antonio Corsini.
» Domenigo Magaldi.
■» Andrea de Jac. Tedaldi.
» Doflfo de Marco Bartolì.
» Zoanne Baptista de Nicolò Guasconi.
» Raphaelle de Michele de Corso.
» Raphaelle de Leonardo Boni.
» Gualterotto de Leonardo Plarnini. (?)
» Piero de Mattheo Berthi.
» Zoanne Francesco de Leonardo Bensi.
» Zoanne Baptista de Carlo Guascone.
» Nicolò Ciampelli.
» Antonio Gianfigliazi.
» Agnolo de Pirozo de Rosso.
» Domengo Derozo de Rosso.
Mg. Symone de Philipo Tornaboni.
» Mariotto Butti.
» Girolamo dantonio Gondi.
» Piero de Paolo de lialbisi.
» Antonio de Fr. Piero Migliorotti.
» Costanzo Nicolai.
» Christoforo Agni.
» Domenego de Sandro Gani.
» Francesco de Bernardo del Mare.
» Piero Frane, de Fr. Juliano Bardin.
» Guglielmo Tagli.
» Piero de Francesco de Goni Ferranti.
» Andrea de Bono.
» Stephano Lippi.
» Ugolino Manzuoli.
» Michele de Leonardo Pesuoni.
» Zamboni de Francesco Carnesechi.
> Domenico de Piero Bonìnsegna.
» Bernardo de Filippo Manetti.
» Tomaso del BugafiFa.
» Jacomo de Bernardo di Bardi.
» Zoanne Ciantellini.
» Bartolomeo Talani.
» Leonardo de Carlo del Benino.
» Piero de Thomaso Corbinellì.
» Antonio de Manon de glialbisi.
» Zoanne de Philippe Capelli.
» Matteo de Nicolò Vichetti.
» Zoanne Bapt. de Bernardo di Medisi.
» Bonacorso Ugononi.
» Zoanne Baptista Rusilalghi.
» Agnolo de Sinibaldo dei.
» Domeniche de Cianozo Serda.
» Filippo Mori.
» Antonio BaldeflB.
» Bernardo de Carlo Gondi.
» Antonio de Merigho da Verazàno.
» Philippe dantonio Lorini.
» Francesco Antonio Bettini.
» Zoanne de Mattheo Derossi.
» Francesco de Bernardo Mazinghi.
» Zoanne Francesco Lapatazi.
» Domenego Lapazini.
» Philippe de Carlo Gondi.
» Benedetto de Bernardo de Conerò.
», Piero de Bernardo di Seresi.
» Juliano de Jeronimo Henzi.
> Bernardo de Jacomo del Hinda.
» Aldegìero dela Casa.
» Jacomo de Zoanne Brunatti.
» Zoanne de Bernardo Vecchiotti.
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
345
Mg. Francesco Paulo domenico Grasso.
» Filippo de Francesco Guasinì.
» Zoanne Battista Berti.
» Ugolino dantonio do e. Singori.
» Francesco Marozi.
» Tegiaro de Francesco Bondalmonte.
» Piero de Thomase Salviati.
» Guglielmo de Bardo Altavitti.
Mg. Giovanni Caiubi.
» Frane. Ant. de Mes. Bened. Ubaldini.
» Felice de Dio del Begutto.
» Zoanne de Francesco Monte.
» Piero de Francesco Baldusini.
» Bartolomeo de Luca Rinardi.
» Mattheo de Bernardo Biliotti.
» Girolamo Dagnolo Gadi.
MULTATI.
Paolo Antonio Sodorinì. .
Salviotti »
Antonio Giugni »
Antonio Carnisi .......
Marchoane Dagi »
Adoardo de Ucelai »
Alessandro Acciajuoli (?) . . . »
Fior. 3000
» 1800
200
250
300
100
150
Maneghi (?) Fior. 1200
Piero Lonzi » 800
Antonio Canigiani » 800
Francesco de Vinerini .... » 500
Nicolò Malchiavelli » 250
Giovanni Bechi » 150
CONDEMNATI. •
Francesco del Pugliese amonito per anni dui dal Consìglio.
Andrea Cambini ammonito per 5 anni doppo il pagamento Fior. 150
Domenego Muziachi amovesto per 5 anni da casa » 100
Zanne Cambi id. id. 3 id. id » 200
Symone del Nero id. dal Consìglio » 200
Francesco da Vargati id. per 2 anni da casa » 50
Lionello Boni id. id. 2 id. id » 50
Gioane da Dino de Mes. id. id. 2 id. id » 50
Piero Cinozi id. id. 2 id. id » 50
(A tergo) 1498. — Nomina condemnatorum et subscriptorum in favoribus Fratris
Jeronimi. R. XVIL Maij 1498.
Le sorti si manifestavano ostinatamente avverse ai Piagnoni.
La guerra per il ricupero di Pisa e degli altri possedimenti an-
dava per le lunghe, e cagionava alla repubblica gravissime spese,
e l'erario, già depauperato per il pagamento della taglia di 200
mila ducati d'oro a Carlo Vili, si trovava esausto. Vi si aggiugneva
6 J' arenamento dei commerci e delle industrie fiorentine ^ che non
jrecava più allo Stato le solite entrate, e portava la miseria nel
)opolo. Tutto ciò creava un malcontento generale e scemava l'au-
torità dei Piagnoni. A peggiorar questa trista condizione di cose
venne la morte di Piero Capponi, accaduta il dì 25 settembre
* ViLLAEi, Op. cit., voi. 2, p. CCCXLI. LUI. Esamina o processo degli altri accusati.
' VlLLAKI, Op. cit., voi. I.
Arch. Star. Lomb. — An. I.
22
346 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
1496 sotto il castello di Sojana. Egli era uomo di grandissima
autorità, ed il solo che, all'evenienza, potesse mettersi a capo del
proprio partito. La perdita del Capponi, mentre tolse ardire ai
Piagnoni, l'accrebbe agli Arrabbiati, i quali oramai erano persuasi,
tolto di mezzo il Savonarola, di soverchiare gli avversari.
Altri fatti accaddero poi, egualmente funesti ai Piagnoni. Le
pratiche degli Arrabbiati presso il papa incominciavano già a por-
tare i loro frutti. Stanco egli degli indugi, e non più speranzoso
di far tacere in qualche maniera il frate ribelle, perdette la pa-
zienza, e gli proibì in prima la predicazione, poscia lo colpi delle
censure ecclesiastiche.
Fra le diverse corporazioni religiose esistevano rivalità e gare
di influenza e di predominio. Tutte le fraterie di Firenze ave-
vano visto con occhio invidioso il crescere della fortuna e della
pubblica estimazione dei frati di S. Domenico, procacciata dalle
riforme e dalle virtù di fra Gerolamo. Finché egli fu invulnera-
bile, fa giocoforza abbassare il capo e tacere, ma allorché il papa
10 colpi delle ecclesiastiche censure, ruppero il freno, si imposses-
sarono di quest' arma, assai potente agli occhi delle plebi, e come
poterono l'adoperarono a scalzare il credito del Savonarola. I
Francescani furono i più accaniti, e un frate Francesco delle
Puglie, predicando la quaresima del 1498 in S. Croce, assali il
Savonarola con particolare ed inaudita "Violenza. ^ Il popolo in-
tanto, sempre egualmente mutabile, travagliato da insolite stret-
tezze economiche, scosso da quanto si andava dicendo, si defezio-
nava da colui che poco prima stimava come un profeta e un santo.
11 Savonarola, combattuto da nemici in famiglia, era irremissibil-
mente perduto.
Accadde anche che, per il marzo ed aprile 1498, sortisse una si-
gnoria quasi tutta avversa al partito popolano, la quale non mise
tempo in mezzo per compromettere il frate. Ma il colpo di grazia
alla sua estimazione venne dall'infelice episodio dell'esperimento
del fuoco, condotto in maniera che gli riuscisse funesto. Dopo
questo fatto, non era più possibile il farsi alcuna illusione dell'e-
sito finale del dramma. Le passioni popolari, mosse da tante
cause, ma tutte cospiranti ad un intento, si scatenarono colla
maggiore violenza.
• "V^LLABi, Op. c, voL II, p. 113, e ancora vedi documenti più avanti.
NUOTI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 347
Il Savonarola, creduto l'autore di tutti i mali pubblici e dome-
stici, doveva esserne anche la vittima espiatoria. Non mancava
che un'occasione allo scoppio dell'incendio, e questa si verificò
l' otto di aprile per un frate di S. Marco che doveva predicare
nella chiesa di S. Liberata, e vi fu impedito dagli avversarj. Ciò
produsse una rissa tra gli avversarj e i difensori del frate, che
fece accorrere alcuni della Signoria con molti armati e numero
infinito di popolo. Ne nacque un tumulto indescrivibile, e il popolo
furibondo, instigato segretamente dalla nuova Signoria, mosse verso
il convento di S. Marco per fare quello che, in ogni tempo e in
ogni luogo, fa sempre in queste circostanze: saccheggiare, incen-
diare, uccidere. La prima vita designata fu Francesco Valori, il
più ardente dei Piagnoni, e già gonfaloniere del Comune. Cosa ne
sia venuto da questo tumulto è narrato da molti storici fiorentini,
ma lo dice anche con grande esattezza e scienza di particolari, il
documento che qui riproduco, che è una relazione anonima man-
data al Marchese di Mantova da un suo agente, che potremmo dire
segreto.
" 111. ec. Li fructi del frate Jeronimo serano come appresso se
intenderà. Hyeri dicto vespero ^ ad bore XViiij , un frate de frate
Jeronimo volendo predicare in Santa Liverata, et venendo impedito
da molti, forono a le mani con alcuni altri de queli de Santo
Marcho, in modo che ad uno tracto se levò lo remore et tuta la
piaza se empi de gente, tuti adversari al frate, non però cum l'ar-
me. In principio solamente quelli da la guardia, che se recarono
et stettero al loco suo, poco de poi vene el capitano de la com-
pagnia con XVI, 0 XX, et di poco venero alcuni altri, et deli
una ora «et più venero in piaza tuti li confalonieri , et venero
Ì Alfonso Strofi, Jacomo de Nerli, Pietro Corsini, Antonio Ma-
nerti (?), Francesco dell'Albini, Luca delV Alhizi, Benedicto de
Nerli, Tomaso Capone, uno de Manelli, Francesco de lo Scarfa,
e tuti questi credo non passar o 500 homeni armati. Tuto lo
resto erano senz'arme. Lo remore fo grande, et tucta la plebe
andava a San Marco dove se trovava Francesco Valora, Faido
Antonio, Johatta Bedolfi, M. Luca Corsini, Andrea Cambeni, et
molti 'altri, che erano da principio più che 500. La Signoria ce
mandò uno mazere, et comando ad omni uno sene uscisce, et
cusì, ilio interim, Francesco Valore se ne usci, et andossene
348 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
lungo le mura verso la porta prati, dove fu preso da quatro
sciagurati, el che sentendo, Luca dell'Albizi cum alcuni altri ce
andò, che anche Luca non era venuto in piaza, et conduselo in
casa sua, et Luca sene vene in piaza et come fo li, li fo dicto
non se fidarci de lui, et fo facto ascondere per lo meglio, et meso
in palazo. Lo remore se levò in casa de Valore et cusi se andò
cum lo foe de omne banda, incomensciò a brusciare, et facendose
la moglie a la finestra fo ferita de uno passatore in la gola, et
dicese eciamorta. Lui stite in casa per fine xxiiij hora. In piaza
omne uomo gridava, mora Valore, et cusì se andò a casa de
Francesco et condusse fora lui, et come fo al cantone de casa de
Ms. Angelo fo morto et spogliato nudo et posto in una ecclesia
lì appresso. Ilio interim la brigata andò a San Marcho per pi-
gliarlo, li fo resposto gagliardamente, in mo che cum saxi et
schioppeti se ne defensorono molto bene.
„ Et tutto lo dì, fin 5 bore de nocte, che non era io lì, foreno
intorno, et arsero tutte le porte dela Ecclesia et de lo convento,
et intrarono nela Ecclesia più che 100 homeni a quatro bore de
nocte, et tuti foreno rebutati.
„ A 5 hora de nocte vene lo Mazere et banditore dela Signoria
a farli intendere che si tucti li seculari non uscivano fori securi
se intendesorono (sic) in bando de ribelli. Non volsero uscire.
Fo ordinato che tucta la notte ce stesse la guardia intorno et
credo fosse per dare licentia a la plebe che non tagliasse a pezo
chi era dentro, maxime che intorno al Chiostro era Petro Corsini.
Questa nocte hano cavato tucti li secolari chi li et qua. Et frate
Jeromino, et frate Dominico da Pesce è in Palazo de la Signoria.
Li altri frati sono in San Marcho.
„ Paulo Antonio ussì hijeri quando ussì el Valore et si trovò in
una caxa là ivi la via de San Gallo. Così anche lohan Baptisa
Eidolfi. La plebe andò a casa de Paulo Antonio et incomensorno
a rompere Inscio. Tomaso Antinori et Petro deli Alberti mandati
dala Signoria, con molti altri armati andeseno a casa de Paulo
Antonio, et contentarono la brigata cum condure lo Episcopo in
palazo dove anche è.
„ Al principio del rumore M. Guido Pietro deli Alberti, et
Bencio Martelli venero in Palazo et de pò andarono per Bernardo
Ucillaj (sic) et steterono de continuo in palazo. Questa matina è
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 349
andato bando che omne uno aperse le botteghe et nessuno porti
armi salvo li deputati. Quelo seguirà non so.
„ Io me trovai là al principio del romure che Dominico Ma-
zenghi uno de Dieci è del numero deli frateschi, venendo a Palazo
fo rebutato con tutta la vilania del mondo , et si qualche homo
da bene non fosse stato credo seria stato morto. Et hyermattina
dicese che foreno diete molte triste parole a lohannebaptista Re-
dolfi et a Petro Antonio' Tosinghi et la cosa era sì infestolita (sic)
che non posseva esser lo contrario. Tucta la casa del Valore e del
Nepote è ita a saccho et focho, e cusì quela de Andrea Beccabini.
Da canto nostro non c'è molto altro. Dicesi essere stato amazzato
un Francesco deli Avanzati in San Marcho. lacomo de Tanaij è stato
ferito a San Marcho, non si dica poi siane pericolato. De quanto
seguirà darò aviso. Recomandandome. Florentie, 9 Aprilis 1498. „
I fatti accaduti in Firenze, e più particolarmente intorno al con-
vento^! S. Marco il dì 8 aprile 1496, segnarono il principio della
fine del grande dramma che, preparato da lunga mano con elementi
e forze disparatissime, dovevasi compiere sulla piazza della Si-
gnoria il giorno 23 del seguente maggio.
Se noi vogliamo indagare le cause della caduta del Savonarola, '
non ci sarebbe difficile di trovarne altre da quelle che più su si sono
dette, e forse di più intime, di più intrinseche, di più vere. Gli
Arrabbiati si servirono, come s'è detto, del papa per abbattere il
capo dei loro avversarj; e spalleggiati anche da coloro che ne av-
versavano le rigide teorie, i Compagnacci ed i Palleschi, si aiuta-
rono, con particolare sagacia, della sua condizione di religioso,
dell'infelice condotta della guerra di Pisa, delle tristi condizioni
economiche della città e del pubblico erario. Ma se' si guarda bene,
queste non sono che cause seconde, sono più che altro mezzi ed
armi usate dagli Arrabbiati per riuscire nel loro intento.
V hanno sempre delle cause prime, per le quali, queste altre
riescono tanto potenti ed efficaci da abbattere un uomo che si
aveva guadagnata una grandissima riputazione, che aveva innal-
zato un doppio ^edificio, morale e politico, in una città la quale
non ne aveva avuto mai un altro così buono; un uomo che aveva
seguaci numerosissimi e potenti, e che per tutto ciò egli si do-
veva credere sicuro dell'altrui estimazione, e di fare una fine ben
diversa da quella che fece.
350 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
Io credo che una prima causa la si debba riconoscere nella na-
tura stessa delle cose umane, la quale porta che coloro che repen-
tinamente salgono molto in alto, per cagione di questo rapido ed
improvviso salire, debbano anche cadere con precipitoso moto. Le
fortune straordinarie sono sempre prodotte da un consenso una-
nime di popolo, da un entusiasmo generale verso un individuo che,
in momenti supremi della vita sociale, viene riputato capace di
salvare tutti. Ma come gli entusiasmi non durano, e la grandezza
delle virtù finisce sempre collo stancare, così basta un piccolo ac-
cidente per sfatare una riputazione, per togliere il credito, per di-
struggere il magico castello d'Atlante; e questi accidenti non man-
cano mai.
Altre cose nocquero al Savonarola, come le violente filippiche
dei frati suoi avversarj, sui pergami di Firenze. Un uomo grande
ed altamente stimato, non può e non deve difendersi da basse ac-
cuse e da ancora più bassi oltraggi. La sua condizione gli impone
un riserbo assoluto. Ma una grandezza qualunque non si insulta
mai inutilmente. La convenienza del silenzio fa sì che a poco a
poco si diminuisca da sé, e finisca col perdere ogni suo prestigio
ed ogni morale efficacia, e la storia ci dà non pochi di questi
esempj. Alle basse accuse lanciate contro di lui, il Savonarola era
costretto tacere, e nessun altro poteva assumere la sua difesa, è
vero, ma egli perciò doveva restare schiacciato da questi colpi
ingiusti e disonesti. Strana condizione delle cose umane! La virtù,
più è grande, meno le conviene giustificarsi, ma per restare vittima
di insensati odj, e solo dalla storia e dalle tarde generazioni può
aspettare di esserne vendicata.
L' anonimo autore della relazione è d' accordo con tutti gli scrit-
tori dei fatti dell' 8 aprile, in ogni circostanza, ad eccezione della
causa che produsse il tumulto del popolo. Mentre costoro asseri-
scono essere stato cagionato da una rissa fra Compagnacci e Pia-
gnoni alla porta di S. Maria del Fiore, il mio anonimo racconta,
con fondo di maggiore verisimiglianza, che provenne da alcuni Ar-
rabbiati, i quali volendo impedire ad un frate di S. Marco di pre-
dicare in quel giorno in Santa Liberata, vennero alle mani con
alcuni Piagnoni' che volevano difendere il frate.
Chi sia poi cotesto anonimo non mi fu dato di scoprire. Egli
«ra però degli Arrabbiati, che per tale si appalesa là dove, enu-
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 351
merate le vittime dei Piagnoni difensori del Convento, accennando
quelle della opposta parte dice : da canto nostro non e' è morto
altro. Promette al Gonzaga altre relazioni, le quali, senza dubbio,
sarebbero state preziose molto, ma io non le ho trovate.
Nel tempo stesso che si combatteva attorno al convento di
S. Marco, la Signoria, resa esperta dagli esempj passati, con ogni
sollecitudine prende i provvedimenti necessarj perchè i frutti del
tumulto le risultino totalmente favorevoli. Alla sera stessa del
giorno 8 mandò fuori un bando contro il Savonarola, sospettando
che egli avesse colla fuga cercato scampo dai pericoli estremi che
lo minacciavano. Il Villari pubblica questo documento con altri
simili.^ Ma la Signoria ne mandò altri ancora ai capi dei villaggi
circonvicini a Firenze, onde avvertirli di quanto accadeva nella
città, del bando contro il Savonarola, e che non lasciassero ac-
correre gente in difesa del partito popolare. Io ne ho trovato,
uno che va notato per il preambolo, col quale i priori fiorentini,
senza volerlo, commisero un plagio assai brutto, e si posero in
condizione di subire un confronto ben poco lusinghiero. Se lo
fecero ad arte, bisogna dire che furono male inspirati. La ragione
da essi addotta nella condanna del Savonarola, fu già usata in
esempio antico e divino, e come furono condannati gli autori di
quella, perchè ritenuta artificiosa e falsa, così vanno condannati i
priori della Repubblica Fiorentina che se la appropriarono per il
caso loro. Io non ardisco di instituire un confronto tra il Savonarola
e Colui che gli fu prototipo divino, perchè non reggerebbe ; ma il
frate fu così fortunato che, in più di una circostanza, e nel modo
della sua condanna e nei titoli per i quali la si volle giustificata,
par di vedere una vera ripetizione di quella dolorosa storia che
narrano gli Evangeli della passione di Cristo. Questo è il bando.
" Priores Populi Fiorentini, Vexill. justitiae.
" Ad vicarium S. Johanis , Spectabilis vir civis noster dilectis-
sime. Come te noto, la cipta nostra è stata qualche tempo in al-
teratione se fra Hieronimo da Ferrara insegnava ci verità la via
del nostro Signor Jesu Christo, o se era seductor. Tandem beri
per la gratia del nostro Signor Dio è stato scoperto huomo sedi-
tioso et ingannator, et per questo non potendo questo nostro po-
* ViLLAEi, Op. e. voi. n., p. cxiv.
352 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAYONAROLA.
pule sopportarlo si e levato meritamente contro lui, et noi li ha-
biamo comandato sotto pena de ribellione debba fra bore XII
partire de Fiorenza, et fra doi giorni sgomberato il nostro do-
minio, per la qual cosa tuto questo nostro populo si e quotato
et siamo al sicuro che per questo conto ne bora ne in futuro, in
questa nostra repubblica babbia a nascere un minimo disordine.
Danne subito notizia a questi nostri fedeli, quali siamo certi se
ralegrorano (sic) di baver noi levato da questa nostra cipta un
Luomo tanto seditioso, et che facilmente bavrebbe causato, uno
giorno, effecti de pessima natura. Habbiamone dato et subito ad-
viso, per ogni beno respecto a ciò che sapia el vero di tuto quelo
che è seguito. Et a ciò che quando di costi si movesse gente non
lo permetti, se già da noi non havesse il contrario.
" Ex palatio nostro die viij Aprilis 1498, bora XXIY. „
Ma il Savonarola non era fuggito. Durante l'assalto fece ogni
sforzo per far cessare la resistenza, e quando vide che non riu-
sciva a far desistere i combattenti, si ritirò nel coro della chiesa
a pregare, finché, visto invaso il convento, si diede spontaneamente
in mano della Signoria in uno con frate Domenico da Poscia, suo
fedele ed inseparabile seguace. Il tragitto dei due frati dal con-
vento al palagio fu compiuto in mezzo ai più vili insulti del po-
polaccio di Firenze.
La Signoria non fu lenta ad approfittare dell'insperata vittoria.
Instituì processi contro i due frati ed i principali del partito dei
Piagnoni, che furono condotti colla massima alacrità. Io non mi
farò a descrivere questa dolorosa pagina di storia italiana, per-
chè narrata da altri, specialmente dal Villari. Dirò solo che il
Savonarola ed il suo compagno furono sottoposti a tutto il rigore e
all'arbitrio portati dalla procedura d'allora, onde fare loro dire
quello che non dovevano e non potevano dire, strappare dalla
loro bocca delle confessioni che servissero di pretesto per quel
supplizio, al quale la passione dei loro giudici li volevano con-
dannati. Dopo che si seppe che i due frati erano in potere della
Signoria, non vi fu più dubbio in alcuno sulla loro fine. I giudici
loro erano troppo conosciuti, perchè si potesse sperare qualche
cosa in favore dei due infelici, e tanto era generale questa opinione,
che lo stesso agente del marchese di Mantova, Angelo Tovaglia,
potè mandargli le seguenti informazioni, uniche che ho trovato,
m
NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA. 353
ma che bastano a mostrare quale era la credenza generale intorno
alla sorte riserbata ai frati. In data del 5 maggio scrive:
" Sopra le cose del frate credo non passerano troppi giorni li
sarà tolta la vita a lui e ad un frate Salvestro ^ et lo soprase-
dere che se facto et che si fa sia perchè il papa pareva se con-
tentasse, poi che non è paruto de mandarlo là "^^ de mandar qua
uno suo commissario ad examinarlo circa le cose solum. Quando
lo mandi sarà conceduto quanto eresiatico, ne farà quello examino
ne parrà conveniente. Non lo mandando in brevi se ne piglierà
partito. Come detto li processi sono 40 fogli scripti difficile in
breve haverne copia. Credo bora che preso che sarà partito di
lui se faranno porre ad stampa e V. S. ne poterà avere piena no-
titia. Insoma S. mio questo frate ha surmato molti anni questa
cipta et stato cagione de danno assai al pubblico et al privato.
Iddio ne ara forse iluminato et poteriansi talvolta drizzar le cose
ad migliore senso non se facto per lo passato, et che seguendo mi
rendo V. Ex. come afectionatissimo a questa cipta, n'ara contento
assai — Florentia V maj, 1498.
Angelus Tovalius. „
Al 17 poi gli manda quest'altra lettera:
^... Deli frati quanto le dissi per altra mia che perderano la
vita. Solo se soprastano perchè il papa ne voleva mandare ad fare
novo examine circa la cose eresiastiche soluti e domani debba es-
sere qua il commissario apostolico per questo, et facto e poi se
stampiglierà {sic) perintero et miteransi fuori li processi li quali
sono dali fogli 60, che a trascriverli anderia tempo assai, ma creda
se farano a stampe per far pubricamente noto el costume, la ambi-
tion et mala natura sua la quale è stata de dano grandissimo qui
al pubrico et al privato. Kingratiato sia Dio che pur tandem ne
ha illuminati et poteran procedere le cose nostre. Fior. XVII
Mag. 1498.
Angelus Tovalius. „
I magistrati fiorentini, pur di riuscire a fare passare il Savona-
rola per colpevole, non esitavano, oltre a sottoporlo a durissima tor-
* Altro fido seguace del Savonarola^ catturato dipoi.
* A Roma.
354 NUOVI DOCUMENTI SU GIROLAMO SAVONAROLA.
tura, a compilargli due falsi processi. Ma riuscì così evidente la
intrinseca loro contraddizione clie i giudici non ebbero animo di
condannarlo. A cavarli però d'imbarazzo vennero i tanto aspet-
tati commissarj apostolici, i quali rimisero il Savonarola, per altre
due volte, alla tortura in modo ancora più violento, e gli fecero
un terzo processo, il quale, come dei primi, non ostante, gli artificj
usati e le falsità introdottevi, non ancora però si riusciva a farlo
passare per colpevole: eppure lo si volle dannato ad essere arso
vivo insieme coi suoi due frati Domenico e Silvestro, percbè dopo
1150 anni circa fu di nuovo riconosciuto che expedit ut unus mo-
riatur prò populo. Per colmo di crudeltà, il Savonarola fu sottoposto
alla degradazione ecclesiastica, eseguita da un suo antico disce-
polo, il vescovo di Vasone, e finalmente a dì 23 maggio fu eseguita
la sentenza sulla piazza della Signoria, alla presenza dei magi-
strati della repubblica, dei commissarj apostolici, di infinito po-
polo, sempre avido di spettacoli simili, in mezzo ai lazzi ed agli
scherni della plebaglia forsennata, ma anche segno a molta pietà
e devozione da parte Piagnoni che non cessarono di venerarlo
come santo e come profeta.
E noi, dopo circa quattro secoli da questi avvenimenti e cne
possiamo guardarli con occhio imparziale, siamo costretti a rico-
noscere che il Savonarola è una delle più illustri vittime delle
passioni umane e degli odj di parte che funestarono tanto que-
sta nostra patria, traendola da una invidiabile grandezza ad una
spregevole miseria.
Attilio Portigli.
Isfl
L'OSPITALE DI S. NAZARO IN BROLO,
VOLGARMENTE DETTO DEI PORCI.
Chi si facesse a cercare nei cronisti milanesi l'origine ed il nome
del fondatore di quest' ospizio di carità, la cui memoria è affatto
smarrita ne' miei concittadini, ogni sua indagine andrebbe delusa ;
perocché quelli scrittori, mentre ricordano le sue vicende poste-
riori al 1268, né punto né poco fan cenno della sua fondazione.
Persino il Giulini, paziente scrutatore degli archi vj, non giunse ad
empiere la lacuna, e nelle Memorie di Milano^ sotto l'anno 1268,
solamente c'informa che " l'archivio di S. Nazaro dà notizia d'un
altro ospitale che v'era in Milano in questi tempi, non lontano da
quella basilica, e sotto il governo di quella canonica „\
A forza però di rovistare le polverose pergamene disperse ne-
gli archivj, talvolta si ha la fortuna di avvenirsi in documenti che
gettano non poca luce sulle cose nostre ne' tempi più lontani.
Due pergamene di tal fatta si rinvennero l'anno scorso nelPar-
chivio della canonica di S. Nazaro, che, negletto da lunghi anni,
ora si va rassettando, a fine di preparare sgombra la via, e forse
racapezzare altre notizie per la storia nostra.
Giustizia vuole, però che da me rimova il merito della scoperta,
!'• che per intero è dovuto al signor Arturo Facenti, archivista ag-
giunto della Congregazione di Carità, parimenti incaricato a rav-
viar l'ordine in quello scompigliato ammasso di carte.
• Oltre il Griulini, di quest'ospitale discorre il Latuada nella Descrizione di Milano^
e più recentemente 1' avvocato Pier Ambrogio Curti , nelle Tradizioni e leggende di
Lombardia.
356 l'ospitale di s. nazaro jn brolo.
Qui trascritte, co' solecismi e barbarismi, come trovansi negli
originali, le presento al lettore; la prima delle quali, ignota ai
nostri scrittori di cose patrie, contiene l'atto di fondazione di gue-
st' ospitale.
Correva l'anno 1127, e nel giorno 10 di ottobre moriva in Mi-
lano certo Rugero di Cerro, figlio d'Alberto, lasciando per testa-
mento tutti i suoi beni e case, tanto allodiali quanto livellar],
situati nei territorj di Lodi, S. Zenone, Mombrione, Solariolo, Sesto,
Prada e Camporella, e la casa con orto posta vicino al Carrobbio,
afiinchè si erigesse in una sua pezza di terra, detta Brera, situata
in Milano nel borgo di Lodi , ora Porta Romatìa , un ospitale con
annessa chiesa, intitolandolo a S. Nazaro, in onore di Dio e del
Santo che riposa nella vicina chiesa omonima, affidandone l'ammi-
nistrazione alla chiesa di S. Nazaro, e stabilendo che difensori e
protettori di detta chiesa ed ospitale e dei beni a questi spettanti,
fossero Ugo, Federico e Giovanni fratelli del fu Mainerio, in un
coi canonici di S. Nazaro.
Usofruttuarj di tutti i succitati beni nominava la sua moglie
Onica, insino a che si mantenesse nello stato vedovile, ed il figlio
Alberto, coli' onere di un annuo sodisfacimento a favore dell'ospi-
tale; se poi sua moglie premorisse al figlio Alberto, o vero si ri-
maritasse 0 si monacasse, la parte d'usofrutto appartenente alla
stessa passasse al figlio, e se questo premorisse alla madre, ella
godesse della di lui porzione d'usofrutto; morti ambedue, 1' uso-
frutto tornasse alla proprietà.
Tali erano le condizioni dell'eredità, quando, nel marzo del-
l'anno 1132, Onica de Mainerio, coll'assenso di Giovanni suo fra-
tello e mundualdo (curatore), destinatole da Arialdo, detto Bu-
cardo", giudice e messo del re Lotario HI, rinunciava a favore di
Richelmo, prevosto della chiesa di S. Nazaro, tutto l'usufrutto che
suo marito Rugero de Cerro- le aveva lasciato co'l predetto suo
testamento.
Sembra che sùbito dopo la morte di Rugero si desse principio
alla costruzione dell'edificio, e ciò ad evidenza si scorge dall' istru-
mento stesso di rinuncia di Onica, ov'è detto hospitalis quod di-
citur Bogerii de Cerro constructi laude, per il che possiamo senza
alcun dubio affermare che questo ospizio ebbe vita nel 1127, di-
ciott'anni prima dell'ospitale di S. Stefano in Brolio, fondato da
£'É
l'ospitale di s. nazaro in brolo. 357
Guifredo da Busserò, nell'anno 1145 e non nel 1127, come erronea-
mente lasciarono scritto alcuni moderni cronologi. A principio chia-
mossi V ospitale di Bugerò da Cerro, poi di S. Nazaro in Brolo, poi
de la Gabella, siccome afferma Camillo Sitoni ne' Collectanea de
Edifitiis Urbis Mediolani (esistenti manoscritti nella Biblioteca
Ambrosiana), cbe tal nome trovò scritto in un istrumento del 30
di gennajo del 1416, ov'è nominato un Z).***** Frater Martinus de
Puteo magister Hospifalis de la Gabella nuncupati de Porcis, Portce
Bomanos foris; infino a cbe, fra queste varie denominazioni, gli
rimase quella di S. Nazaro de' Porci (hospitalis Sancii Nazarii
Porcorum), sotto la quale fu più communemente conosciuto, di cbe
ne spiegberò la cagione.
Se bene dall'atto di fondazione non risulti quale specie di ma-
lati vi si ricoverassero, tuttavia i nostri cronisti ci informano,
cb'era particolarmente destinato al ricovero degli infermi afflitti
dalla malatia del fuoco sacro. Il Giulini e il Latuada accennano
ad una convenzione fatta tra i monaci di S. Antonio e i monaci
di S. Nazaro, copiata ed unita dal Francesco Castelli ne' suoi Col-
lectanea, cbe, manoscritti, stanno nella Biblioteca Ambrosiana, da
cui ricavasi cbe gli infermi ivi curati erano precisamente quelli
colpiti dal fuoco sacro ; ma le mie più diligenti ricercbe, fatte allo
scopo d'esaminare quella convenzione, rimasero senza risultato,
né la rinvenni colà né in altri arcbivj; forse per isventura andò
smarrita; laonde dobbiamo star contenti a quanto ci riferiscono
quei cronisti.
Non è mio scopo il tracciare i caratteri e i sintomi di siffatto
male; cbi desidera averne maggiori particolari, legga quanto la-
sciò scritto il Dozio nelle Notizie di Vimercate e sua Pieve, a
-pag. 143. Mi limiterò a ricordare cbe questo morbo, trasportato
dalla Francia in Italia su la fiiie del secolo undecime (1089),
prese ad infuriare presso di noi nel modo il più terribile e spa-
ventoso , così per la gran quantità dei colpiti , come per la sua
intensità e pei tristi effetti cbe ne seguivano; si cbe i poveri,
cbe non avevano mezzi come le persone agiate di farsi assistere
nelle loro case, giacevano distesi su per le piazze e per le vie,
movendo a compassione e spavento cbi li vedeva.
A scemare tanta sventura venne la carità di Rugero da Cerro,
cbe fondò l'ospizio succennato, dotandolo di tutti i suoi beni, ad
358 l'ospitale di s. nazaro in brolo.
esempio di quanto s'era fatto in Francia nel Delfinato da certo
Gastone, che, adempiendo un voto fatto a S. Antonio (scelto dal
popolo a speciale protettore ed intercessore di quella calamità, ri-
guardata siccome un castigo di Dio), ad ottenere la guarigione di
suo figlio Varino, colpito dal morbo, fondò a tal uopo, nel 1095,
un ospitale, e trovati altri otto compagni, si dedicò, co'l figlio, ad
assistere i malati, dando così origine all'ordine di S. Antonio (Do-
zio, opera succitata). E parimenti in Milano, ai Frati Antoniani,
che avevano dedicato un tempio al patrono S. Antonio, venne affi-
data l'assistenza di quelli infelici, restando il governo dell'ospizio
nelle mani dei canonici di S. Nazaro. Ma, a cagione delle continue
liti che sorgevano fra precettore S. Antonij Mediolani et propo-
sito et canonici dieta eccìesice S. Nazarij quod regehant maxima
'semper cum alter catione Inter eos, come dice Francesco Castelli
in un manoscritto esistente all'Ambrosiana, col titolo Compen-
dium Vitce Principum et Ducum Mediolani, etc, fu estrema neces-
sità darlo in commenda ed unirlo alla casa di S. Antonio, il che
fu ordinato da papa Nicolò V, con bolla 13 di ottobre dell'anno 1452,
e con lettera ducale di Francesco I Sforza, 29 di dicembre del-
l'anno susseguente 1453 (Archivio Fondo di Beligione, cartella
Fondi, Livelli — Commenda Abbazia di S. Antonio).
È a sapersi, a quanto narra il Giulini, che le rendite di questi
Frati Antoniani, colle quali mantenevano sé e gli infermi, consi-
stevano ne' porci, che nudrivansi senza spesa del convento e lascia-
vansi scorrere liberamente per le vie della nostra città, senza che
alcuno osasse toccarli ; a guarentigia di ciò erano accordati al con-
vento diritti, e venivano comminate pene contro coloro che osa-
vano appropriarsi quelli animali. E a proposito ricorderò che nel-
l'aiMio 1416, ai 16 di luglio, il duca Filippo Maria Visconti, dietro
supplica di frate Guglielmo Collonelli, priore della casa e dell'ospi-
tale di S. Antonio, pubblicò un curioso bando , che leggesi a carte
17Ó del Codice Visconteo-Sforzesco , edito per cura di Carlo Mor-
bio, co'l quale veniva ordinato " quod nulla persona cujus cunque
sexus, status et conditionis existat, audeat, vel presumat aliquos,
nec aliquem ex porcis sancti Antonij, et sub ipsius vocabulo
nutritos et nutriendos in civitate, suburbijs et ducatu nostri Me-
diolani, accipere, raperò, permutare, nec interficere absque licentia
supplicantis prsedicti, sub poena florenorum viginti quinqse auri
l'ospitale di s. nazaro in brolo. 359
prò quolibet porcho qualibet vice; cujus poena tertia pars sit ac-
cusatoris; alia tertia pars sit executoris; et reliqua tertia pars sit
prsedicti supplicantis, domus et hospitalis ecclesiae predictse, con-
trafacientibus irremissibiliter afFerendam. „ Tale grassoccio pro-
vento fece dare a quella pia fondazione il sopranome di Ospitale
dei Porci; e quegli animali durarono ad essere proprietà e privi-
legio del monastero di S. Antonio, ed a vagare per la città insino
all'anno 1548, quando il governatore Ferrante Gonzaga decise li-
berare Milano da quella superstiziosa sporchezza (Giulini, Me-
morie).
L'ospitale dei Porci venne a cessare nel 1458, e, colla ben nota
bolla di papa Pio II, del mese di dicembre di quell'anno, fu, con
altri minori ospitali della nostra città , aggregato all' Ospitai
Grande.
Ad appagare per intero la curiosità del lettore, verrò per ul-
timo a determinare la precisa situazione di questo ospizio.
Come vedemmo, fu volontà di Rugero de Cerro che s'erigesse
in una sua porzione di terra chiamata Brera, situata nel borgo
di Porta Romana. Ma tal Brera, corruzione di prcedium (che
così, dice il Fumagalli nelle Vicende di Milano a carte 258, chia-
mavansi a quei tempi alcune porzioni di terreno cultivo, vicine o
pur lontane dalla città), non devesi confondere coli' altra Brera,
ch'era parimenti in Porta Romana, detta ora Via degli Orti, ed
anticamente Brajda guasta; e ne convince i confini che lo stesso
Rugero dà della vera Brera, confinante a mattina col flumen Sce-
ìera, cioè il canale Seveso, il quale , benché coperto , scorre anche
in oggi nelle vicinanze delle vie del Pesce e Larga e dell'Ospitai
Grande; e di tal opinione sarebbe altresì il Giulini, il quale c'in-
forma che " detto ospitale di S. Nazaro , volgarmente detto dei
Porci, era posto tra la chiesa di S. Nazaro e quella di Sant'An-
tonio „ e a conferma di ciò abbiamo lo stesso Francesco Castelli,
scrittore di molto anteriore al Giulini, che nel già citato Com-
pendium vitce Principum et Ducum Mediolani, etc, così ne descrive
la posizione: " Ubi nunc est hospitale majus Mediolani, situata
erat canonica S. Nazarij in Brolio, ibique prope situa tum erat
hospitale nuncupatum Porcorum Superveniente vero duca
Francisco Sphortia, canonicam reportavit ubi nunc reperitur; quod
trans monasterium monialium S. Agathse quod monasterium tran-
360 l'ospitale di s. nazaro in brolo.
slatum fuit ad monasterium S. Agathse, prope monasterium S. Augu-
stini Porte Novse, et exinde unitum dicto monasterio S. Augustini.
" Dictum vero hospitale porchorum fuit in totum demolitum una
cum dieta canonica, ibique constructum fuit hospitale maius . . . „
Documenti tratti daW Archivio della canonica di S. Nazaro
in Milano ; Pergamene del secolo XII.
Testamento del 10 di ottobre del 1127 diRugero de Cerro, con
cui ordina la costruzione d'un ospitale con annessa chiesa, intito-
lato a S. Nazaro (detto poi de'Porci)^ in onore di Dio e del Santo
che riposa nella vicina chiesa omonima, dotandolo de' suoi beni :
" Anno ab incarnatione Domini nostri Jeshu Christi millesimo
centesimo vigesimo septimo, decimo die mensis octobris, indictione
sesta.
" Ego in Dei nomine Rogerius filius quondam Alberti qui dicor
de Cerro, qui professus sum lego vivere Longobardorum ; pluribus
dixi quisquis in sanctis ac venerabilibus locis ex suis ali quid contu-
lerit rebus insta auctoris vocem centuplum prò eo accipiet et me-
lius quod est, vitam possidebit eternam. Et ideo ego qui supra
Rogerius volo et judico seu per istud meum inviolabilem, judica-
tum confirmo ut ospitale unum ordinetur et eddificetur in capite
de braida mea reiacentem insta burgum de laude de porta me-
diolanense,^ et ecclesia una similiter edificetur in ipso ospitali in
onorem dei et beatissimi martiris Nazarii, et volo et judico ut ar-
genti denarii boni mediolanenses novi libre viginti et quinque de
meis denariis post meum decessum deveniant in manus et potesta-
tem Pagani qui dicitur de Bresorio et Cosa qui dicitur de Casiti
et Romani vasalli mei qui facient ipsum laborem et ipsa eddificia
per consilium canonicorum ecclesie sancti Nazarii ubi eius sanctum
requiescit corpus , et per consilium Johannis fìlli quondam Mainerii
* Non solo in questo , ma anche in altri documenti, ebbi occasione di vedere nomi-
nato il borgo di Porta Romana, borgo di' Lodi, come accennante alla città più vicina.
l'ospitale di s. nazzaro in brolo. 361
cognati mei : et insuper habeant ipsi Paganus et Cosa et Romanus
argenti denarij boni libras quinquaginta qui michi debentur a filiis
Amizonis de Sorixina prò edificanda ipsa ecclesia. Ita ut ipsa ec-
clesia et ipsum ospitale semper sit sub regimine et prudentia jam
diete ecclesie sancti Nazarii ubi et semper requiescit corpus, sine
ullo pendicio dato, et ipsi canonici cum predicto Johanne Mainerii
et cum suis heredibus sint defensores et adiutores ipsius ecclesie
et hospitalis, et omnium eorum possessionum , et insuper Ugo et
Fedrigus germani ipsius Johannis sint cum ipso Johanne et cum
ipsis canonicis defensores et adiutores ipsius ecclesie et ospitalis
et Alberti filli mei. Et insuper volo et judico ut prati petia una
iuris mei quod babere visus sum prope ipsam braidam est ei a
mane flumen scolerà, a meridie sancti Petri, a monte heredum
Alberti Burrioli , et est ipsum pratum per mensuram iustam per-
ticas triginta vel si amplius fuerit presenti die post meum deces-
sum deveniat in ius et proprietatem ipsius ospitalis. Jam dieta
vero braida iuris mei et omnes case, et res territorio que michi
pertinent per proprietatem vel per libellariam reiacentes in terri-
torio de Laude et in Sancto Zenone, et in Mumbriono, excepto se-
dimine quod tenebat Johannes dò Villa quod ego indicavi predicto
Romano vasallo meo, et in Solariolo, et in Sesto, ed in loco Prada
et Camporella, et casa cum arca eius et curte orto iuris mei quam
habere visus sum intra civitatem Mediolani prope locum ubi di-
citur Carrubium, est ei mane via; a meridie Ottonis Scudarii, a
monte Ottonis qui dicitur Cagaimbaserga.
" Jam diete omnes case et res cum omnibus honoribus earum
presenti die et bora, deveniant in ius et proprietatem iam diete
ecclesie sancti Nazarii ubi eius sanctum requiescit corpus et iam dicti
ospitalis. Ita tamen ut ipso res nunquam dividantur inter ipsam cano-
nicam et ipsum ospitale, sed semper dividant usufructus earum inter
se pariter et equaliter per medietatem. Iterum volo et judico ut pre-
dictus Paganus de Bresorio et sui legiptimi descendentes masculi ha-
beant usufructum et habitationem de suprascripta casa mea de Me-
diolano ad retinendum et salvandum eam, et ita ut persolvant fictum
omni anno per festum Sancti Martini argentei denarii boni medio-
lanenses solidos quindecim, medietatem ad ipsam canonicam Sancti
Nazarii, et medietatem ad ipsum ospitalem. Et si ipso Paganus vel
sui legiptimi discendentes masculi decesserint sine suis legiptimis
Ardi. Stor. Lomh. — An. I. 23
362 l'ospitale di s. nazzaro in brolo.
_ — — ^£ .
discendentibus masculis, statim ipse usufructus reddeat ad suam
proprietatem : usufructus vero predictarum omnium rerum deve-
niat in manus et potestatem ipsius Alberti fìlii mei et Oniche
conjugis mee, faciendum ex inde donec in hoc seculo vixerint
et donec ipsa coniux mea lectum meum custodierit, quod alio
marito se non cupolaverit usufruptuario nomine quod voluerint.
Ita ut dent omni anni de ipso usufructu de biava modios vi-
ginti ad mensuram de Laude medietas de grosso et alia me-
dietas de minuto servitoribus ejusdem ospitalis, et post decessum
ipsius Oniche vel si aliud acceperit maritum, vel monacha efecta
fuerit, statim sua portio de ipso fructu deveniat in ipso Alberto,
et si ipse Albertus decesserit ante quam ipsa Onicha, habeat ipsa
Onicha totum ipsum usufructum sicut supra legitur. Et si ipse Al-
bertus voluerit habitare ad ipsum ospitale post decessum ipsius
Oniche habitare deberent cum eo et vivere de suprascriptis rebus
oneste secundum posse earum rerum de victu et vestimento Petrus
de Mariano et Gunselmus et Anselmetus donec stare voluerint. Et
hoc quod remanserit de ipso usufructu ab eorum retinentia divi-
datur inter ipsum ospitale et ipsam canonicam et post ejus dices-
sum totus ipse usufructus redeat ad suam proprietatem. Et insu-
per volo et judico ut non sit canonicis et oficialibus predicte ecclesie
nec servitoribus ipsius hospitalis licentia nec potestas faciendi de
ipsis rebus ullam invasionem sed semper permaneant ipse res in
potestate ipsius ecclesie et ipsius ospitalis prò remedio anime mee
et parentum meorum.
" Et hoc volo et judico, ut predicti canonici sancti Nazarii per-
solvant omni anno de ipsis fructibus ipsarum rerum duos bonos bi-
santios de auro ad partem ospitalis de Jerusalem et predicti servi-
tores ipsius mei ospitalis persolvant similiter alios duos bonos bi-
santios.
" Et insuper faciant ipsi canonici ipso anno prò ipsis rebus an-
nuale meum in die obitus mei et servitores ipsius ospitalis faciant
similiter ut dixi prò mercede "anime mee. Quia sic decrevit mea
bona voluntas.
" Actum infra Castrum de loco Fosadolto, unde due cartule
uno tenore scripte sunt.
" Signum manus suprascripti Rogerii qui hoc judicatum ut supra
fieri rogavit.
l'ospitale pi s. nazzaro in' brolo. 363
" Signum manuum Oldonis qui dicitur Cazola — Grimeriì qui
dicitur Augustinus — Omobelli de Panteliate — Pagani de Solta-
rego — Tedaldi de Pisina — Vualterii qui dicitur Saccus — Jo-
hannis qui dicitur Piricolum testium.
" Ego Yuifredus causidicus interfui et subscripsi.
" Ego Anselmus Notarius Sacri Palatii scripsi post traditam,
compievi et dedi. „
IL
Rinuncia d'Onica de Mainerio all'usufrutto lasciatole da suo
marito fu Rugero de Cerro, a favore di Eichelmo, prevosto della
chiesa e canonica di S. Nazaro:
" Anno Dominice incarnationis millesimo centesimo trigesimo
secundo, mense marcii, indicione X.
" Tibi Richelmo presbitero ac preposito ecclesie seu canonice
Sancti Nazarii ad corpus, constructe foris non multum longe a ci-
vitate Mediolani. Ad partem prefate canonice Sancti Nazarii, et
ad partem hospitalis quod dicitur Rogerii de Cerro constructi
Laude. Promitto atque spondeo me ego Onicha relieta quondam
suprascripti Rogerii de Cerro, que professa sum vivere Longobar-
dorum, michi cui supra Oniche consenciente Johanne qui dicitur
Mainerii de predicta civitate Mediolani, germano et mundualdo meo
dato michi in hoc negocio ab Arialdo qui dicitur Bucardo judice
et misso domini tercii Lotharii regis. Eo tenore sicut hic subtus
legitur, ita ut a modo in antea ullo unquam mutatione tempore
non sit michi qui supra Oniche nec meis heredibus nec nostre su-
misse persone per ullum vis, ingenium licencia vel potestas agendi
vel causandi placitum vel aliquam intencionem comovendi perciò-
nem vel divisionem requirendi centra te qui supra Richelmum pre-
sbiterum prepositum, nec centra tuos successores nec centra cui
vos dederitis, nec centra partem ipsius canonice, nec centra par-
tem isti hospitalis.
" Nominative de tote usufructu ilio quod michi ordinavit ad ha-
bendum prenominatus quondam Rogerius de Cerro qui fuit vir
meis, de omnibus casis et rebus territoriis illis proprietariis et li-
bellariis quas iudicavit ipso Rogerius prefate Ecclesie Sancti Na-
zarii et predicto hospitali reiacentibus tam prope Laude, quam in
aliis quibuscumque locis et inneis territoriis infra hoc ytalicum
364 I/OSPITALE DI S. NAZZARO IN BROLO.
regnum per omnia sicut judicavit ipse Rogerius eidem ecclesie Sancti
Nazarii, et prenominato hospitali, qualiter legitur in cartula ipsius
indicati omnia et innomnibus quantum ipse usufructuarius inveniri
potuerit de rebus illis tam propriis quam libellariis ubicumque in-
veniri potuerint infra hoc ytalice regnum quas ipse Rogerius iudi-
cavit prefate ecclesie et bospitalis in integrum, dicendo quod mi-
cbi exinde alliquid pertineat de ipso usufructu vel pertinere aut
advenire debeat per scriptum aut sine scriptum per judicatum vel
per quamlibet racionem aut modum quod dici vel cogitari possit,
sed a modo innantea omni tempore tacita et contenta exinde esse
et permanere debeamus.
" Ideo si a modo innantea alliquo tempore ego qui supra Onicba
aut mei heredes vel nostra summissa persona contra te qui supra
prepositum aut contra tuos successores vel contra cui vos dede-
ritis aut contra partem iam diete ecclesie vel bospitalis de infra-
scripti usufructu, in partem vel in toto agore aut causar! presump-
serimus vel per placitum cum quam fatigaverimuS et omni tem-
pore ut supra legitur taciti et contenti non permanserimus, vel si
aparuerit ullum aliut datum aut factum cui in alia parte dedis-
sem aut fecissem claruerit, tunc conponere debeam ego que supra
Onicba et contra quem egero, nomine 'pene argenti donarli boni
libras centum, et insuper exinde tacita et contenta esse et per-
manere debeam. Et ad hanc adfrimandam (sic) promissionis car-
tulam accepit ego que supra Onicba a te iam dicto proposito ex
parte iste canonico et bospitalis exinde launecbild croxinam ^ unam
* Il LaunecMldf parola affatto longobarda, secondo il Ducange, era recijarocum dó-
num, seu pretiiim quodammodo rei donatos. I padri cistcrciensi ne danno una più
estesa definizione, che qui amo trascrivere per intero : « Furono singolari i Longo-
bardi e i seguaci delle leggi longobardiche, nelle donazioni, o più tosto nel com-
penso da darsi dal donatario al donatore, e nella maniera di darlo. A tenore dunque
di tali leggi, per la valida sussistenza delle donazioni, il donatario esimer non si poterà
da un compenso al donatore, il qual compenso in longobardico idioma era detto laune-
cMld, 0 launichil, o launichild, o launegild: tutti termini sinonimi. Ridueevasi questo
ad- una veste o ad un pallio crosna e mastruca chiamato .... Qualche volta vi si è
sostituito un cavallo, un pajo di guanti, manizi» detto spesso nelle nostre pergamene,
un anello d'oro, od altra simil cosa, o pur anco denaro. Per più secoli ha sussistito
presso i Longobardi il launechild nelle donazioni; e qualche vestigio se ne incontra
nelle carte eziandio del secolo terzodecimo : se non che, negli ultimi tempi, invece della
crosna, consegnar si soleva il lembo soltanto di essa, e questo non già col ritagliar-
nelo dal resto, ma, come Sembra più verosimile, col metterlo semplicemente nelle mani
del donatore, e col ritrarnelo da poi. » Antichità Longohardico-Milanesi, Dissertaz. 22.»
tomo II, pag. 368.
l'ospitale di s. nazzaro in brolo. 365
et insuper argenti denari boni Mediolanenses libras quadraginta ;
quia sic inter nos convenit actum suprascripta civitate Mediolani :
signum manus suprascripte Oniche qui hanc cartulam promissionis
ut supra fieri rogavit.
" Signum manus suprascripti Johannis, qui mondoaldus estitit
ut supra et eidem Oniche consensit et in hanc cartulam manus
posuifc.
" Signum manuum Landulfi Trasoni — Guitardi de Camerario
— Johannis de Arberti — Anselmi Mantegazio — Aterradi filii
suprascripti Johannis Mainerii et Fedrici fratris ipsius Oniche et
Lanfranci testum: ibi statim presentibus ipsis testibus dedit gua-
diam ipso Johannis Mainerii eidem preposito ad parte suprascripte
canonico et hospitalis qui faciet eandem Onicham sororem suam
stare et permanere tacita et contenta in suprascripta fine sicut
superius legitur: et finemfecit sino omni expcetione mundualdi vel
dicendo qui fa cere non potuisset: ed ita posuit fìdejussorem supra-
scriptum Fedricum fratrem suum qui obligavit omnia pignora sua
suosque heredum usque in penam de librarum quinquaginta ar-
genti denarii boni Mediolani. Quia sic inter eos convenit.
" Ego Ardericus notarius ac iudex scripsi post traditum com-
pievi et dedi.
" Ego Petrus Notarius Sacri Palatii autenticum hujus exempli
vidi legi et sicut in eo continebatur sic in isto legitur exemplo
extra litteras plus minusve.
" Ego Albertus Notarius sacri Palatii autenticum hujus exempli
vidi et legi et sicut in eo continebatur sicut in isto legitur exem-
plo extra litteras plus minusve.
" Ego Musso Notarius sacri palatii autenticum hujus exempli
vidi et legi et sicut in eo continebatur sic in isto legitur exemplo
extra litteras plus minusve.
" Ego Vasallus Notarius et judex autenticum hujus exempli vidi
et legi et hoc exemplura, ex autentico exemplari et sicut in eo
continebatur sicut in isto legitur exemplo extra literas plus mi-
nusve. „
Dott. C. Casatl
AECHIYJ.
La furiosa gragnuola lanciatasi su Milano il 13 giugno, fece ca-
vare dall'Archivio genovese (Milano^ mar^o 8. Vedi Giornale Ligu-
stico, luglio), la memoria d'un' altra pur a Milano del 1667. Gio-
vanni Battista Fieschi, agente della Signoria di Genova, scriveva
a questa il 7 agosto di quell'anno.
" Sereniss. Sigg. — Venne li giorni passati qua in Milano una
tempesta tanto fiera, che a memoria d'homini non si è mai vista
tale; ha rotto tutti li tetti, invetriate ed ogni altra cosa dove ha
potuto colpire, e particolarmente verso la porta che domandano
Vercellina, dove resta il convento di S. Francesco, e congiunto a
quello la Scola della Natione Genovese, fabbrica assai bella e grande,
come a qualch' uno de Loro Signori Serenissimi doverà esser noto.
In essa si celebra la Santa Messa con farsi altre devotioni dai no-
stri Genovesi; ma come che la maggior parte sono povera gente,
non è possibile poter da essi cavare quel danaro che bisogna per
ristaurare il grosso danno che ha ricevuto la detta Scuola, che non
sarà bastante lire 1400; e perchè conviene ripararvi subito, men-
tre che le acque, penetrando su la vòlta, con facilità potrebbero
farla cadere, si è andato pensando non esservi altro modo che di
ripartire la detta spesa sopra i redditi che qua si scuodono, che
verrà ad essere ad ogn'uno in particolare cosa di un terzo per
cento incirca sopra li frutti. Ne ho voluto dar parte a W. SS.
Serenissime come Padroni che sono dell' istessa Scuola, acciò quando
così Le paia accettato, possine confermarmelo con loro benigni
comandi... „
ARCHIVJ. 367
L' illustre prof. Gregorovius pubblicò una Storia di Lucrezia
JSorgia, divisa in due parti : Lucrezia a Roma, Lucrezia a Modena ;
con 59 documenti dall'anno 1482 al 1519. L'edizione è illustrata
da finissima incisione di una medagUa rappresentante la Lucrezia,
e da tre fac-simili degli autografi di Alessandro papa Borgia e de'
suoi due figli Cesare e Lucrezia. E lavoro che merita studio ac-
curato ; qui ci basti accennare come il Gregorovius dice, che " gli
Archivj di Modena e di Mantova sono tesori inesauribili, special-
mente per la storia del rinascimento. Ma la messe più ricca mi fu
data dall'Archivio di Stato degli Estensi in Modena. Ne è diret-
tore il cav. Cesare Foucard. Quest'uomo distinto si adoperò al mio
intento con una sincera liberalità, degna di un successore di Mu-
ratori in queir ufficio. Egli mi agevolò il lavoro sotto ogni aspetto.
Per mezzo di un giovane impiegato (il dott. Ognibene) fece dap-
prima ordinare le voluminose filze della corrispondenza diploma-
tica che mi poteva riuscir utile di consultare, e mi coadjuvò in
seguito con esemplari dei documenti. Se, sotto tale riguardo, questa
mia opera possedè qualche merito, ne appartiene non piccola parte
alla liberalità del signor Foucard „.
Se il dotto tedesco si fosse rivolto anche all'Archivio milanese
vi avrebbe raccolto non iscarsa messe, sovente nelle relazioni de'
nostri ambasciadori parlandosi degli atti di Alessandro VI e della
sua famiglia.
ARCHIVIO DI STATO MANTOVANO.
L'Archivio storico, cioè di tutta la parte antica, fu dal Governo
austriaco ceduto al Comune: quello di Stato rimonta solo al 1868.
È posto nell'antico Castello, fatto costruire, da Francesco Gon-
zaga IV capitano, a capo del ponte S. Giorgio, e murato nel 1395
sopra disegno dell'architetto Bertolino da Novara.
I documenti che lo costituiscono, partono dallo scorcio del pas-
sato secolo, ed arrivano a noi.
Si dividono in
Delegazione civile austriaca dal 1799 al 1801
Commissarj di Governo dal 1801 al 1802
Amministrazione dipartimentale del Mincio . . . dal 1801 al 1805
368 ARCBIVJ.
Prima Prefettura del Mincio dal 1802 al 1805
Magistrato alle acque dal 1804 al 1816
Seconda Prefettura del Mincio dal 1805 al 1816
Viceprefetture di Revere e Castiglione delle
Stiviere dal 1805 al 1815
Commissione di verifica dei titoli degli utenti,
Intendenza politica e Prefettura, 1787-1791 e dal 1804 al 1813
Ufficio del Registro dal 1806 al 1815
Delegazione provinciale dal 1816 al 1866
Congregazione provinciale dal 1816 al 1862
Commissariato distrettuale dal 1820 al 1870
Case di Ricovero e d' Industria dal 1819 al 1821
Commissione pei feudi improprj dal 1834 al 1838
Ufficj di Commisurazione di Mantova e Revere dal 1850 al 1865
Commissione per l'imposta sulle rendite. ... dal 1851 al 1869
Polizia dipartimentale e provinciale dal 1801 al 1842
Casa di pena dal 1845 al 1860
Governo nazionale dal 1866 al 1868
Gridario cronologico e per materia dal 1787 al 1874
Bollettini delle leggi e decreti dal 1840 al 1874
Tribunali dal 1780 al 1814
Ingegneri e periti dal 1740 al 1872
Regolamenti in materia d'acque dal 1200 al 1866
Trattati in materia d'acque e confini, scoli del
Viadanese dal 1497 al 1788
Tartaro-visite dal 1764 al 1834
Municipalità di Bozzolo dal 1787 al 1801
Prefettura dell'alto Po .dal 1801 al 1805
Una ricca biblioteca vi fu or ora ceduta da quella Prefettura.
Oltre i documenti del Governo repubblicano, del primo Regno
d' Italia e dell' epoca austriaca, ed i pochi cbe si hanno del Go-
verno nazionale, meritano speciale menzione i documenti della
Delegazione civile austriaca, fra i quali non pochi relativi alle
vicende dei prigionieri di Stato, ed altri che danno idea precisa
delle condizioni di Mantova in quel tempo.
Per la serie dei Tribunali, in ben conservati volumi sono regi-
strate le sedute dell'Aula criminale, dall'anno 1790 al 1814; in
un volume, detto Memoràbili^ è raccolto quanto d'importante ve-
ARCHI VJ. 369
ni va emanato nella parte legislativa dal 1778 al 1787. In cartelle
separate si ha il seguito; il tutto elencato. Questi documenti sta-
vano nelle cartelle in disordine, talché ritenevasi avessero a par-
tire solo dal 1790, mentre frammisti si rinvennero processi ed
atti anche del 1760, e perfino dell'epoca dell'ultimo duca Fer-
dinando Carlo, cioè dal 1666 al 1707.
Vanno pur ricordate la serie " Intendenza politica e Prefettura^,
pei documenti relativi alla verificazione dei titoli degli utenti acque
del Mantovano;
La Raccolta dei regolamenti in materia d' acqua e d' argina-
tura del Mantovano, ed i Trattati conchiusi sia per regolare la
distribuzione dalle acque irrigue, sia per determinare i confini del
già ducato di Mantova cogli Stati limitrofi; fra questi ultimi vo-
glionsi segnalare i processi costruttisi nel 1724-25 per definire le
questioni territoriali tra questo ducato e quello di Modena; que-
stioni rinnovellato di sovente, e rese tacite solo nel 1824. In tali
processi si trovano allegati, parte in copia autentica, e parte in
originale, i seguenti preziosi documenti:
Privilegium monasterij Sanctoe Julice Brixice, factum per Be-
siderium regem Longodardorum , cum donatione Cicognarce, 4 ot-
tobre 760;
Privilegium Henrici ImpJ^ IV confirmans anteriora privile-
gia iniperialia concessa Epo~ et Epitui'^ Cremonoe, respicentia te-
loneiim Pontaticum, ecc. in capite Addoe, 17 cai. Julii 1058, per
non dire dei molti altri pure importantissimi.
Per la cura e l' interessamento dell' illustre uomo che in oggi
sovraintende agli Archi vj lombardi, questo di Mantova è per es-
sere arricchito in breve di una importante collezione di Gride dal
1400 circa al 1797, e della collezione completa delle leggi dal
1802 ad oggi.
G. BONOLLO.
ARCHIVIO DI BRESCIA*
Sono pur troppo noti i disastri accaduti a questo Archivio prima
del 1852, quando pare che di quasi 19,000 fasci non rimanessero
che 5771. Il noverarli non sarebbe che un inutile rimpianto su
mali irrimediabili ; in mezzo però a tanto vandalismo torna conso-
370 ARCHIVJ.
lante che molti degli atti già appartenenti a questo Archivio (che
rimontava al 1037 e forse anche più addietro, e che sarebbe stato
uno dei più utili agli studiosi delle storie patrie) vennero disse-
minati per varj istituti e varie città; che ne furono concessi alla
Biblioteca di Brera e all'Archivio di Stato in Milano, e al Muni-
cipio di Brescia: altri ne furono acquistati dalla Biblioteca Qui-
riniana, dove almeno sfuggono alla inonorata sorte della carta
da rifiuto.
Malgrado tale sperpero, vi sono ancora circa 150 Registri di
ducali provvisioni e sentenze che , ove fossero raccolte in un
indice generale, potrebbero dare materiava qualche studio, -e cor-
rispondere a qualche interesse particolare. Il presente incaricato
è riuscito a fare l' indice di sette od otto di quei Registri. Vi
sono inoltre 378 mazzi dell'Archivio territoriale, che contengono
documenti antichi di Comuni e di famiglie; ma anche quegli atti
dovrebbero essere esaminati ed elencati. Il dirigente ha potuto in
diverse circostanze somministrare documenti antichi che non si
erano mai rinvenuti, e soddifare alle ricerche di studiosi, come il
maggiore Angelucci di Torino e l'ufficiale Cesare Quarenghi, che
n' ha estratti circa 300 documenti risguardanti le armi e le di-
scipline militari, e ha pubblicati due opuscoli sulle fonderie bre-
sciane e sull'ordinamento delle Cernide. Anche il cavalier Gabriele
Rosa assai frequente si presenta a fare investigazioni storiche,
che poi dissemina sui giornali.
Alle difficoltà delle investigazioni dei documenti antichi si ag-
giungono quelle per rinvenire le posizioni amministrative. I ver-
samenti che dalla cessata Delegazione provinciale e dalla regia
Prefettura si fecero in diverse epoche, non lo furono mai completa-
mente, lo perchè molte ricerche rimangono inevase.
La regia Intendenza di finanze ha fatto, lo scorso anno, uno
scarto grandissimo de' suoi atti, pel quale andarono perduti da
200 registri delle corporazioni religiose. Ciò argomentiamo dal-
l'essersi, nel 1869, offerto dalla Direzione demaniale di versare
800 cartelle di atti e 400 registri di antica data, mentre il ver-
samento ora fatto è di 114 cartelle e circa 200 fra libri e re-
gistri. È una parte alla quale si dà ora attenzione.
Frattanto si accenna che si hanno 30 Registri di feudi della
Mensa vescovile, che rimontano al 1336; del monastero di Santa
ARCHIVJ.
371
Giulia diversi registri in pergamena, fra cui uno che comincia
dal 1305; antiche pergamene del convento di S. Faustino: si rin-
vennero gli annali del convento di S. Francesco dal 1265 ; quelli
del monastero di Santa Chiara dal 1175, e quelli del monastero
dei Santi Cosma e Damiano dal 1127.
Oggi quell'Archivio contiene cartelle 4342; mazzi 1441; proto-
tocolli 285; registri 235; indici 49; volumi 72; in totale 12159
pezze.
NOTIZIE
La Società Storica Lombarda tenne il giorno 6 luglio un'adu-
nanza nella nuova sala, allestitale dalla Giunta municipale a S. Car-
poforo. Il presidente Cantù annunziò molte prove di simpatia venu-
tele dall'Istituto di Francia, dalla Società Storica Elvetica, e anche
da paesi italiani. Cresciuto il numero degli associati al giornale, spera
poterlo ridurre bimensile. Annunzia altre Società storiche, isti-
tuitesi di recente a Bergamo, a Como, nella Terra di Bari. Furono
accettati nuovi socj, che, oltre la principessa Margherita di Savoja,
sono il conte Salvadego di Brescia, il deputato Robecchi, il conte
Mojana, Cesare Regazzoni di Cassano, Antonio Vismara, avvocato
Bellocchio, Affisio Hortis di Trieste. Il pittore Bertini ha disegnato
lo stemma della Società Storica, e rappresenta il Carroccio.
Si è costituita a Parigi una Società deìV Oriente latino per pub-
blicare documenti non compresi nel Becueil des Historiens des Croi-
sades, e principalmente itinerarj e giornali di pellegrinaggi in Terra-
santa, che ognun sa quanta luce portino alla geografìa, e talvolta
alla storia anche della nostra penisola e delle nostre colonie. Vi
saranno testi dal 300 al 1400, ed altri rarissimi dal 1400 al 1600,
anche italiani; poesie, lettere storiche, cronache inedite, progetti
di crociate.
La Società è composta di 40 membri titolari, il qual titolo può
acquistarsi anche da istituti scientifici, e porta il contributo di 50
lire annue, oltre 350 soscrittori che ne pagano 15.
NOTIZIE. 373
Les Sociétés secrètes et la société, oii la PMlosophie de Vhistoire
contemporaine par l'auteur du Manopole universitaire. Avignon,
1874. Tre volumi, in corso di stampa.
La rivoluzione dei Ciompi a Firenze nel 1378 è una vera rivolu-
zione sociale e operaja, che si intende meglio or che di simili ne
abbiamo sottocchio, nella lotta del salariato coll'intraprenditore;
lotta 0 suscitata o avvivata da alcuni combricolaj, e che si mani-
festa con sintomi spaventosi. E appunto le somiglianze della odierna
quistione operaja con quella de' Ciompi, la più curiosa e più ter-
ribile fra le molte di Firenze, fif tolta in esame dal signor Simonin
all'Istituto di Francia, valendosi non solo dei notissimi commen-
tarj di Gino Capponi e del racconto del Machiavello che, preoccu-
pato della storia romana, non ci vide che la rivolta della plebe
contro i cittadini , come prima avea descritto quella de' cittadini
contro i grandi: ma di carte dell'archivio, e delle osservazioni sulla
natura umana.
Nelle Nuove effemeridi Siciliane il professor Di Giovanni trattò
" degli imitatori del libro De Consolatione TMlosopliicB di Severino
Boezio. „ Fra questi ha principal luogo Albertano da Brescia, il
quale nell' II de' suoi trattati morali, intitolato Bella Consolatone
e de' Consigli^ scritto probabilmente " quand' egli era nella prigione
di messer lo 'mperadore Federigo „, suppone una brigata d'amici
e nemici , giovani e vecchi, " attorno a madonna Prudenza, il cui
dialogo è tutto sostenuto da sentenze di filosofi pagani e di dot-
tori cristiani. „
Di questa bellissima allegoria si ha una versione italiana fin del
1268, fatta da Andrea da Grosseto, e pubblicata il 1873 dal Selmi
nella Collezione di testi di lingua di Bologna ; già conosceasi la ver-
sione di Gofredi del Grazia del 1275 e quella pubblicata dall'In-
ferigno.
Ora poi, in occasione di nozze, monsignor Fé stampò (Brescia,
1874) un sermone inedito di Albertano Giudice, preceduto da un
buon discorso sugli studj del medioevo, e sopra questo suo con-
cittadino, dandone e le vicende e il catalogo delle opere e delle
edizioni. Pel sermone poi si valse del codice quiriniano, ma confron-
tandolo con altri, principalmente della Vaticana.
374 NOTIZIE.
Anche Thor Sundey (Copenaghen, 1873, in-8) pubblicò: Albertani
Brixiensi liber consolationis et consilii ex quo hausta est fabula
Mélihei et Prudentioe.
Il signor Felice Dahn, professore a Monaco, autore della vasta
opera Die Kònige der Germanen, inserì nella Allgemeine Zeitung
del 1872 un articolo Theodorich und Odovacar,
M. de Boislisse pubblicò un volume di 789 pagine: La Chambre
des comptes de Paris. E insomma la storia della giurisdizione delle
finanze prima del 1789. Noi pure potremmo, spogliando i nostri
Archivj, far quella storia fino al rinnovamento del 1860.
Si annunziano studj sulla Divina Commedia del prof. Antonio
Gualtero De Marzo. Egli trova meschino e insulso il pretendere di
commentar Dante con Dante. " Il poema di Dante si può intendere
e commentar solo con la storia de' tempi suoi e con la ragione „ .
Saranno 3 volumi, e il primo costa L. 70.
All'Istituto Veneto il prof. Matscheg dà la storia politica d'Eu-
ropa dalla morte di Carlo VI fin al trattato d' Aquisgrana.
Sono un elemento delle cognizioni preistoriche i nomi di paesi, non
ancora ablbastanza studiato. Ippolito Cocheris, conservatore della
biblioteca Mazzarina; stampò or ora a Parigi Origine et formation
des noms de ìieu, lavoro interessante per la letteratura non meno
che per l'archeologia, e che meriterebbe un riscontro in Italia. Un
buon saggio ne ha dato già il prof. Flechia nella dissertazione lin-
guistica Di alcune forme di nomi locali delV Italia Superiore (Torino,
1871), dove sono corretti molti pregiudizj eruditi, e date etimo-
logie positive intorno ai nomi di molti paesi della Lombardia. Sap-
piamo che ora si occupa dei nomi de' paesi meridionali.
Agostino Theiner, oratoriano, nato a Breslavia il 1804, mancò ai
vivi il 10 agosto di 72 anni. Era archivista secreto del Vaticano,
donde trasse preziosi documenti per fare la continuazione degli An-
nali ecclesiastici; la Storia di Clemente XIV; il Codex diploma-
ticus domimi temporalis S. Sedis; Considerasioni sui due Concilj
generali di Lione e di Costanza intorno al dominio temporale della
Santa Sede^ e potè dispiacere al partito papale e al contrario.
NOTIZIE. 375
La mòrte tolse un altro luminare delle scienze storiche, Guizot.
Nota è la splendida e fortunosa sua carriera, e come tentasse im-
pedire da ministro la libertà di scivolare nella democrazia livella-
trice, e da polemico il trionfo del razionalismo in quella parte
che Calvino avea lasciato sopravvivere della Chiesa: non riuscì
all'uno né all'altro intento. Come dottrinario, va per rigor di lo-
gica allo sbaglio, e tale fu il credere che, nel 1830, la Francia
riprodurrebbe la vicenda dell' Inghilterra, quando nel 1688 alla
Casa regnante sostituì quella di Nassau. Assoluto in età scettica,
rigido nel discorso come nella persona, potea alla tribuna prender
quel tono affermativo, impossibile a chi manca di convinzione. Per-
tanto i suoi discorsi aveano sempre quella dignità seria, taluno dirà
pedantesca, ma che ispira rispetto fin all'opposizione più scapigliata.
L' accusarono di non essersi dichiarato per nessuno de' partiti estre-
mi, e in fatto né precipitossi al repubblicano né si prosternò al-
l'imperiale: ma, caso rarissimo, perduto il potere nel 1848, non
perdette l' autorità. Come storico, vide V importanza del medioevo,
e traverso a questo cercò i progressi continui della civiltà europea.
Fin air età di 87 anni conservò le facoltà intellettuali senza
sentir gli oltraggi della caducità, e recammo una lettera ove, con-
gratulandosi della fondazione della nostra Società Storica, annun-
ziava di star compiendo la Storia di Francia narrata a* suoi ni-
potini, e volere poi metter mano a una Storia universale. Questo è
morire sul campo.
C. C.
DOMANDE E RISPOSTE.
Domanda, Egregio sig. Cantù, Imitando G. Rosa, chiedo an-
cli'io all'amico Direttore dell' Archivio una notizia delle pergamene e
de' documenti storici cremonesi, che in esso s'acchiudono. M'assicura
il prof, e cav. Baroli, che, colla soppressione delle corporazioni reli-
giose cremonesi, entrarono in esso Archivio molte pergamene e carte
antiche, che probabilmente saranno state poste nel Fondo di reli-
gione 0 altrove. Come cremonese, e non avente oramai altra missione
che quella di preparare ai giovani miei concittadini, se non esempj
storici, almeno gli elenchi o i materiali per illustrare le nostre storie
municipali, non sarà risguardata da Lei inutile la mia ricerca. Bensì
a me corre l'obbligo di ringraziarla per l'incomodo e la noja che
Le reco.
Mi abbia sempre per suo deditissimo
Dott. ROBOLOTTI.
Bisposta. Si mandò questo prospetto delle pergamene, qui per-
venute da Cremona.
N. N. della
PROVENIENZA. delle perg. cassa.
Barnabiti . 12. j
Cattedrale 534. ? 44.
Collegio de' Notaj 36. )
Domenicani 500. - 45.
Da riportare, . Pergamene N. 1,082.
DOMANDE E RISPOSTE. 377
lUporto . . Pergamene N. 1,082.
Sant'Agostino 300. - 46.
Sant'Antonio 129. ì
San Bartolomeo 112. ? 47.
Sant'Ilario 87. )
San Francesco 586. - 48.
San Lorenzo 424. - 49.
Santa Lucia 6.
Santa Maria 63.
Santa Maria del Castello .... 38.
San Salvatore 5. ) 50.
San Vincenzo 8.
San Vittore 21.
Varie 291.
Santa Monica #529. - 51.
Pergamene N. 3,681.
Oltre di ciò, l'Archivio abbonda di notìzie intorno a città cosi
importante, sparse nelle diverse categorie. Nella raccolta che si
va facendo di documenti appropriati alla storia de' diversi Comuni
italiani, e specialmente lombardi, due intere cartelle sono riempite
con alcuni statuti e carte relative a Cremona, massime durante
il dominio spagnuolo.
Domanda. Fin a qual tempo, dalle carte di questo Archivio
di Stato si trova fatta la professione di legge longobarda.
Bisposta. È difficile determinare qual sia il più recente do-
cumento ove si professi di vivere a legge longobarda: ma gli ul-
timi che finora trovammo sono i seguenti; tutti e tre concernenti
la provincia bergamasca.
1° In un atto pagense del 12 dicembre 1398, rogato dal no-
tajo Bertramo de Rota, Giacomo detto Moscone, figlio del fu
Danesio de Rota, abitante nella valle di Pontida, qui professus
fuit se Lege Longumbardorum vivere, di anni diciotto o ad un
dipresso, investe a titolo di locazione perpetua, colle solite forme,
Oprando detto Belintramo, figlio del fu Alberto de Rota di Val-
dimagna, abitante in Gronfalegio, di due pezzi di terra con selva
posti nel territorio di Palazzago, l'uno al luogo detto la Foppa di
Arch, Stor. Lomh. — An. I. 24
378 DOMANDE E RISPOSTE.
Maico, il secondo alla Foppa di Amedeo: di due altri pezzi di
selva situati nel territorio di Gronfalegio, uno alla Foppa dei Ko-
sj, e l'altro alla Riva; di un ultimo pezzo di terra aratoria con
viti, prati, bosco, muri, cortili, con diverse case lastricate, coperte
di paglia e munite di solaj. L'investito viene obbligato a pagare
annualmente, in nome dell'investitore, due staja di castagne peste
e ventidue denari al convento di S. Giacomo di Pontida, oltre il
fitto annuo di L. 6 imp. a detto Giacomo de Rota investitore e
suoi eredi in perpetuo.
2° Con altro atto pagense del 3 maggio 1420, rogato dai
notaj Arnoldo del fu e Nicolao de Airoldi, Giovanni figlio
del fu Giacomo detto Lupo da Locatello abitante a Locatello in
Valdimagna, qui professus fuit se lege Longunibardorum vivere^ in-
veste con perpetua locazione Pietro e Bonadeo de Roncalli di Piaz-
zalunga di un peaeo di terra a campo e prato, con viti, più generi
d' alberi, e la di terza parte un fabbricato con due case lastricate
e con due portici et uno casello db igne. L'investito deve pagare
al monastero di S. Giacomo di Pontida annualmente il quarto del
prodotto in grano, cioè sedici staja di frumento, miglio, segale e
panico, buone, belle, secche e ben ventilate, con giusta misura,
oltre L. 6 imp. da pagarsi in perpetuo all'investitore e suoi eredi
il giorno di S. Martino.
3° In un terzo atto pagense del 5 ottobre 1422, rogato dal
notajo Alberto Giovanni Vitale Arrigoni, Pietro ed Antonio detto
Rappa, figli del fu Giovanni di Locatello in Valdimagna, vescovado
di Bergamo, qui professi fuerunt se lege vivere Longumhardorum,
investono a titolo di perpetua locazione Pietro e Bonadeo del fu
Lafranco del fu Pasino de Roncalli di Valdimagna di un pezzo di
terra aratoria con viti e bosco, posto in valle S. Martino, con ob-
bligo agli investiti di pagare annualmente alla festa di S. Martino
L. 5 imp., ed inoltre di offrire al monastero di S. Giacomo di Pon-
tida la quarta parte del grano prodotto.
Enrico Casanova.
BIBLIOGRAFIA,
FIABE.
Questo alzarsi e probabile arrivare del popolino, che sarà il ca-
rattere, e forse la benedizione, forse il flagello del secolo nostro,
è annunziato anche dalla cura che i dotti si prendono ^e' suoi par-
lari e delle sue tradizioni. Siccome tanti ora studiano i dialetti con
ben altro intento ed altra sapienza che mezzo secolo fa , cosi si
raccolgono (e chi scrive fu tra i primi) le canzoni popolari, e le
leggende che corrono tra il volgo. E come i filologi rinvengono
l'etimologia di parole e di frasi plateali fin nell'India, così Benfey,
Max Muller, Grimm, Mejer, Zingerle, e dietro a loro molti altri,
a gran rinforzo d'erudizione, seppero indicare sapienza, bellezze,
allusioni, filosofia, psicologia, attraverso all'ingenua e capricciosa
fantasia di racconti da veglia, a cui non s'era fatto che sorridere.
Singolarmente faticarono a indicare la concordanza di questi esempj
in paesi diversissimi, e soprattutto nell'India, la culla d'ogni dot-
trina e d'ogni civiltà.
Quel che più ne risulta è che noi siamo sterili d'invenzione an-
che in questo, giacché da lontani paesi abbiamo ricopiato e il
Giovannino senza paura^ e le tre melarancie, e Vuccellino hello hello ;
che più? il Meneghino che porta un bambino all'ospedale e torna
con due.
Il Sainte-Beuve diceva che l'autore dei Contes d'un huveur de
Mère " avea fatto bene a metter del suo nelle leggende e nei rac-
conti popolari. Se pur non si voglia raccogliere semplici radici per
la scienza pura e per la storia delle origini, così bisogna fare chi
voglia correre per le mani ed esser letto „.
380 BIBLIOGRAFIA.
Tale sistema è affatto repudiato da quei non pochi che ora
cercano appunto la origine dei popoli nelle tradizioni volgari e nei
dialetti: scienza nuova, che promette largamente se guardiamo al-
l'ardore e alla sapienza di quei che si sono messi a coltivarla. Io
non mi ci confondo, né vo* dolermi che tanta scienza siasi adope-
rata sopra racconti piuttosto puerili che popolari, e non espressi
con arte, bensì con una bonarietà che non sempre qualificherei
di naturalezza.
Già di tali fiabe s'erano pasciuti anticamente il Cunto de li Cunti,
le Fiacevoli notti dello Strapparola, il Pentamerone, il Malespini,
il Gabrielli, l'Anisio ed altri raccoglitori di facezie, diporti, motti,
buffonerie, detti e fatti ^, novelline, insalata, mescolanza.
Modernamente avemmo le Novelline di S. Stefano di Calcinaja
del De Gubernatis; le Streghe, leggende popolari veneziane, raccolte
da Domenico Bernoni, e le sue Credente popolari. Della Biblioteca
delle tradizioni popolari siciliane, per cura di G. Pitrè, i voi IV,
V, VI, VII contengono fiabe, novelle, racconti, ed altre tradizioni
popolari, che sono da 300 colle varianti.
Più da vicino ci tocca la Novellala milanese, esempj e panzane
lombarde raccolte da Vittorio Imbriani (Bologna, 1872), e davvero
ci sentiamo ricondotti alla nostra puerizia nel leggere questi rac-
conti, non solo col fondo, ma colle forme di quella ingenuità in-
colta, ma viva, figurata, drammatica, nel dialogo, nei passaggi, nelle
voci stesse del dialetto. Poiché son veramente in dialetto milanese
queste fiabe, che l'autore dice aver raccolte esattamente dalla viva
voce di narratrici.
* Il Cornazzano racconta questa novellina:
« Un moderno milanese, dicto Petro de Pusterla, al re di Francia legato del duca
Francesco per cose molto tediose a lui, intendendo che il re e tutti li Franzesi diceano
poco bene di gli Taliani, pensò d'industria un dì fargli tacere : e dinanzi al re di Franza,
me presente, disse un dì tanto bene di gli Franzesi, quanto possibile sia immaginarsi :
laudandogli di magnanimitade e di prudentia e di tutte quelle parti degne, delle quali,
esso stesso che '1 dicea, sapea che '1 mentiva falsamente per la gola, che sono tutti
insolenti e temerarii. In somma el re, poi che hebbe assai et assai ascoltato, si voltò
verso Pietro e disse: « Monsyr Piero, vous dite vrai, che tout les Francois sone da
bien; ma nous non povon pa ansi dire di vous Taliani. » Rispose subito Pietro: « Sì
bene, sacra Maestà, voi poteti dire questo e meglio. » Disse il re: « In che modo? »
« Dioite una busia de Taliani, come ho io dicto di gli Franzesi. » Chiuse questo parlare
la bocca al sacco ; e bene ch'el ce mostrasse de ghignarsene, quello riso so che gli andò
poco in giuso, ne mai poi lui, né la corte soa sparlò di gli Tagliani, che noi sentessimo. »
BIBLIOGRAFIA. 381
Non farà meraviglia se noi preferiamo la sua Novellaja fiorefir
fina (Napoli, 1871), poiché da quella impariamo anche preziosi
modi e moti di lingua viva ; di quella lingua che niuno si darà a
credere possa rendersi comune a tutta Italia, ma che è deside-
rabile sia studiata dagli scrittori, per toglierci a quel compassato,
a quel pedantesco che dai maestri si qualifica bello scrivere, stile
letterario.
L'Imbriani mostra un'estesa erudizione in tal materia, citando
le varianti di ciascun racconto, e le somiglianze o imitazioni nel
Marino e in altri.
Inutile avvertire come i nostri vecchi scherzassero talora anche
colle persone e le cose più rispettabili, senza che da questo ne
soffrisse la venerazione che vi portavano. Sono le epoche critiche
quelle che più facilmente si scandalizzano.
Novelline popolari italiane furono testé raccolte dai tedeschi
Schneller, Wolf, Widter, Knust, Kòhler, Gunzenbach.
E non crederete che tale studio si faccia solo sulle fiabe ita-
liane: ogni paese raccoglie le sue; Hafanasien e Kalston quelle di
Kussia, che furono tradotte in francese da M. Bruyère (Parigi,
1874); i Chef s-d' oeuvre des conteurs frangais, Carlo Louandre
(Parigi, 1873); Jahn quelle dell'Albania e della moderna Eliade;
Ignazio Singerle quelle del Tirolo \
Instancabile raccoglitrice di tali racconti è la signorina E. H.
Busk. Essa aveva già pubblicato a Londra leggende spagnuole ^, poi
leggende del Tirolo ^ poi quelle dell'estremo Oriente, cioè dei Cal-
muchi e Mongoli ^ con una interessante prefazione storica. Ora,
sempre in inglese e in bella edizione, V Affezione popolare di Boma,
raccolta dalla hocca del popolo ^ Si è ella proposto di smentire
l'opinione volgare, che la moderna Italia non abbia tradizioni popo-
lari; indica donde raccolse le sue; rammenta i lavori del De Gu-
* Sagen, Màrchen und Gebrauche aus Tìrol.
' Patbanas, Spanish tales, legendary and traditional: with illustration by E. H. Cor-
bould.
' Household, Stories from the land of Hofer : or popular mythe of Tiro! : illustration
by T. Green.
* Sagas from the FUtr East:or Kalmouk and Mongolian traditionary tales. London, 1873.
^ The folk-love of Eome, collected by word of mouth from the people. Londra, 1874.
Elegante volume di 439 pagine e xx di prefazione.
382 BIBLIOGRAFIA.
bernatis, le storie di stregherie e novelle lombarde del Cantù, e il
lamento di questo perchè noi conosciamo le nostre usanze meno
che quelle della Scozia e della Turena, perchè non ci sono rac-
contate da Balzac o da Walter-Scott. Come si può arguire, le qui
raccolte non son solo panzane, ma tradizioni anche cittadine, come
quelle sul padre Fontanarosa, su Giuseppe Labro, su san Filippo,
san Giovanni Boccadoro. Trova ella strano che si beffino le super-
stizioni del medioevo, mentre ella, dopo l' invasione del settembre,
ha veduto Roma tappezzata di avvisi di consulti, esibiti da spiri-
tisti e sonnambule.
Libri siffatti non possono analizzarsi, quand'anche il portasse
l'indole del nostro giornale. Diamo solo la distribuzione delle
materie:
I. Favole. — Filagranata. — I tre Merangoli di Amore. —
Palomhelletta. — La Cenerentola. — Vaccarella. — Il re che va
a pranzo. — Il vaso di persa. — Il vaso di ruta. — Il re Ot-
tone. — Maria di legno, con una variante. — La Candeliera. —
I due fratelli gohhi. — Il re Moro. — Monsù Mostro. — La
Uosa fatata. — Scioccolone. — Dodici palmi di naso. — Me^^a
canna di naso. — Il Cìconaro e la Frincipessa fatata. — La
favola della somara. — Signor Lattando. — Il Matrimonio di
Cajusse.
IL Esempj. — Quando Gesti Cristo girava per la terra (dodici
storielle). — Pietro Baillardo (Abelardo). — San Giovanni Bocca
d'oro. — J)on Giovanni. — La Penitenza di San Giuliano: — I
Pellegrini. — Santa Verdiana. — San Sidoro (Sanf Isidoro). — La
Pescheria di san Francesco. — Sanf Antonio (diverse storielle).
— Santa Margherita da Cortona. — Santa Teodora. — La Monaca
Beatrice. — Padre Filippo (dodici storielle di san Filippo Neri).
Ti Perdono di Asisi. — Padre Vincenzo. — Padre Fontanarosa. —
S. Giuseppe Ladre. — Le dodici parole della Verità.
III. Storielle di fantasmi e spiriti; tradizioni di famiglie roma-
ne, ecc. — 17 Morto della Quercia. — La Lettera del Morto.
— L'Anima Manca. — La Serpe Manca. — La Processione di
Velletri. — Altre Storielle di Spiriti. — Sciarra Colonna. — Don-
na Olimpia. — La Munificenza d'un borghese. — La Papessa.
— Giacinta Marescotti. • — Pasquino. — Cecingulo. — Lo Sposati-
lo di Sor Cassandro. — I Cocorni. — La bella Inglese. — L'In-
BIBLIOGRAFIA. 383
»
gìese. — Il Matrimonio del signor Cajusse. — La Figlia del conte
Lattando. — Bellacuccia. — I Satiri. — Il Satiro. — Amadea.
— Il Be di Portogallo.
IV. Ciarpe. — I due Frati. — Il Prefasio d'un Francescano.
— Il Predicatore di quaresima. — La Vacca di don Federigo di
Sutrico. — Asino o Porco. — I Sette Villani. — L' Uccellino. —
B Diavolo che prese moglie. — La Badica. — La Begina e la
Tripparola. — La Begina cattiva. — La Sposa Cece (diverse ver-
sioni). — La donna pazzareUa (diverse versioni). — Il Tonto. —
La Bagassa golosa. — La Figlia ghiotta. — Il Vecchio avaro. —
La Vecchia avara. — Il Poverello del Cece. — Il dottor Grillo. —
JSfina. — La buona grama del Gohho. — Quanto vale il sale. —
La Principessa e il Gentiluomo. — Gli Sposi felici. — Una Ca-
mera di locanda. — Il Gatto della contessa. — Perchè litigano
cani e gatti. — Il Gatto che rese ricco il padrone.
Vediamo volentieri lodata quest'opera dai giornali inglesi, e
nominatamente dal Saturday Bevieio (11 aprile), e come sia op-
portuna a conoscer la diversità d'influenza che sui racconti eser-
citò il cristianesimo in Italia, in Germania e in Islanda.
Altre fiabe avrebbe la signorina Busk potuto raccogliere dal
Dante secondo la traditone e i novellatori, ricerche di G. Papanti
(Livorno, 1873), e da un recentissimo volume di Clemente Rossi,
Superstizioni e Pregiudizj (Milano, Agnelli, 1874).
PETRARCA.^
L'usanza delle annuali festività scolastiche portò bene scarso
frutto al buon gusto; forse nessuno alla buona critica. L'oratore si
crede obbligato a fare il panegirico, appunto come usavano i frati.
Non può dirsi tale quel del Petrarca recitato a Siracusa, ove il si-
gnor Rioppi mostra aver esaminate tutte le opere del suo autore,
ne cava quanto può farlo amare, e s' ingegna di scagionarlo se cantò
Cola Rienzi e volea richiamar Roma all'antico viaggio, eppure blandi
* Discorso sopra F. Petrarca, del prof. Antonio Rioppì. Siracusa, 1874. — Scritti
inediti di F. Petrarca, pubblicati ed illustrati da Attilio Hortis. Trieste, 1874. — Pc
trarca a Milano, studj storici di Carlo Romussi. Milano, 1874.
384 BIBLIOGRAFIA.
papi, principi, imperatori ; se affezionatissimo alla religione de' suoi
padri, lanciò invettive furibonde contro l'avara Babilonia ; se prete
e provisto di prebende, cantò tanto d'amore e all'amore terrestre
sagrificò ; se esaltava la solitudine, e viveva nelle roggie ; se mostra
amore pel genere umano, e bestemmia d'ignavia, di perfidia i suoi
contemporanei.
Fra le tante pubblicazioni fattesi in occasione del quinto cente-
nario del cantor di Laura, e che noveriamo nel Bollettino hihlio-
grafico, ricorderemo il Fran^ PetrarJca di L. Geiger, che è diviso
in tre parti: Petrarca e la posterità, Petrarca e V universalismo,
Petrarca e Laura, Emanuele Gelosia fece il Petrarca in Liguria,
bene approfittando del pochissimo che se ne conosce : il biblioteca-
rio di Bergamo Alessandri le Relazioni del poeta con Bergamo e
il catalogo dei Codici petrarcheschi posseduti da quella biblioteca.
A solennità " che interessa il decoro dell' intera nazione „ volle
concorrere l'Ateneo Veneto pubblicando un bel volume, alla cui
spesa ajutò il Gomune di Venezia con 1500 lire. Oltre l'enumera-
zione dei codici e delle edizioni petrarchesche, vi si discorre dei
tanti imitatori che colà ebbe messer Francesco, e della sua venuta '
e dimora nella meravigliosa città. ^
Attilio Hortis ci diede uno di quei libri che soleansi fare una volta,
unendo la pazienza di benedettino colla critica di filologo; il calore
dell'appassionato colla moderazione del prudente, e quell'esposi-
zione forbita, che è non ultimo segno della riflessione.
L' Hortis cercò in tutte le biblioteche e gli archi vj ciò che si ri-
ferisce al Petrarca; non solo lesse, ma vagliò le opere di questo
nelle varie edizioni, giovato dall'avere in custodia la preziosa rac-
colta petrarchesca che il Rossetti legava a Trieste. Volonteroso del
lodare e ringraziare, anche la critica veste delle forme gentili, che
ha da un pezzo dimenticate.
Libri siffatti non si possono compendiare: bisogna leggerli, ed
è desiderabile trovino lettori fra la perpetua inezia delle effeme-
ridi e dei romanzi da appendice.
Si citarono troppo, in questi giorni, le declamazioni del poeta
^ Il signor Matscheg, nel proemio della canzone Spirto gentil, dice « qualunque sia
il personaggio a cui essa è diretta », p. 29. Ed è notevole come sì poco in tante pubbli-
cazioni siasi discussa la quistione della vera Laura e dell'eroe giunto all'onorata verga.
Non possono così facilmente mettersi da banda le ragioni di Salvator Betti.
BIBLIOGRAFIA. 385
contro la Corte romana. Bisognava ricordare che allora correva
quella che s'intitolò schiavitù babilonica, stando i pontefici lon-
tani dalla loro Roma, mentre il Petrarca trovava indivisibili l'Ita-
lia e Roma.
Nella seconda epistola del Libro I a Benedetto XII espone la
desolazione di Roma, priva del suo pontefice. Gli anni la resero
vecchia, ma
Non venit e cutis vitìo quod ruga senilis
Canitìesque premat, sed enim te nulla remoto
lUuxit mihi pulcra dies, nullaque rebelles
Devinxit fraternus amor dulcedine natos
Haud satis annosam veritos contemnere matrem.
Decolor hinc facies, bine praecipitata senectus
Hinc mihi continuusque dolor lacrimaeque recente?.
Son poi notevoli le preghiere che del Petrarca son recate dall' Hor-
tis, una quotidiana, una a sant'Agata, altre in occasione di tem-
porali.
Né in questi ne negli altri scritti non è a cercare bellezza di
lingua, valendosi egli del latino ecclesiastico che disapprovava, an-
ziché di quello dei classici che pure studiava tanto, e restando fra
gli ultimi scrittori latini, tra cui sperava gloria, mentre è dei primi
nelle rime italiane. Ma prima di morire sapeva d'aver perduta la
fatica nel comporre L'Africa, ed esclamava: " Utinam opus illud
abolere possem! nulla mihi profecto res gratior aut jucundior
foret ;, : mentre conobbe che " sì care eran le voci de' sospir suoi
in rima „ , onde avrebbe voluto averle fatte " in numero più spesse,
in stil più rare „ .
Eppure, forse alle composizioni latine fu dovuto l'onore della
coronazione tributatagli da Roma " regina di tutte le città e
capo del mondo „ , che, infelice allora per l'abbandono dei papi, in-
cominciava il suo risorgimento colle ricordanze, eccitate dalle vi-
rili voci di Cola Rienzi^ e dall'onoranza all' ingegno, senza la quale
non può dirsi civile una nazione.
Di se egli facea profetare da Omero, dicendo ad Ennio :
Ille diu profugas revocabit carmino musas
Tempus in extremum, veteresque Eliconae sorores
Restituet, vario quamvis agitante tumultu:
Francisco cui nomen erit. . .
Roma quidem quae jam lustris nil tale ducentìs
Viderit, huno magno spectabit lecta favore
Laurea dum capiet, dum templis serta relinquet,
Primitiasque suas sanctas affiget ad aras.
Africa, L. IX.
386 BIBLIOGRAFIA.
Del privilegio di laurea dato al Patrarca, e da alcuni tenuto
per apocrifo, l'Hortis riconosce l'autenticità e l'importanza. Una
copia antica ne esiste nell' Archivio Gonzaga di Mantova, sotto
B. XXXIII, N. 10 pag. 38. La coronazione fu fatta (scrive Boccac-
cio) corani omni clero et popuìo: onde non regge l'asserzione del
Gregorovius, che in quella coronazione non facciasi menzione del
clero.
A Milano rimasero ben poche traccio della dimora del poeta,
e nessuna negli Archivj, ond'è a saper grado all'Hortis che potè
empirne tre lunghi capitoli. Luchino Visconti lo invita alla sua
Corte, e gli domanda versi e pianticelle del suo orto : cortesia alla
quale il Petrarca rispondeva con lodi smisurate a lui, al fratello Gio-
vanni, al bastardo Bruzio. L'arcivescovo Giovanni, il più gran prin-
cipe della sua età, diceva: " La presenza di lui basta ad onorar me
stesso e il mio paese „. Qual meraviglia che il Petrarca, malgrado
del Boccaccio e de' suoi amici, la più parte guelfi, cioè liberali,
careggiasse questi principotti ghibellini, che spegnevano la libertà
municipale e svertavano i diritti della Chiesa? Nato un figlio di
Barnabò dall'altera Regina della Scala, chiedono che il Petrarca
lo levi al fonte, ed esso lo regala d'una patera d'oro e di un
carme genetliaco, doni che poteano ben equiparare quei che al fra-
tello Lodovico fecero i marchesi di Ferrara e di Mantova, consi-
stenti in un bacile d'argento, su cui una coppa d'oro, piena di perle,
pietre, anelli, sei coppe d'argento dorato, e molt'altre col piede di
cristallo; drappi intessuti d'oro, quantità di zibellini. Alle nozze
di Violanta, figlia di Galeazzo, con Lionello figlio del re d'Inghil-
terra, il Petrarca sedette fra i prìncipi, servito da prìncipi. Ga-
leazzo al suo figliuolo ancora fanciullo insegnava che, domandato
chi in Corte fosse il maggior savio, additasse il Petrarca. Cosa
rara, onorar un letterato prima che sia morto !
E questi ripagava con encomj al colto Galeazzo, al rozzo Bar-
nabò, all'inventore della quaresima, che tutti sanno quanto lode-
voli fossero.
Interessante sarebbe l'elogio dell'arcivescovo Giovanni, come la
sola prosa italiana che del Petrarca si posseda, ma pare non sia
che una traduzione.
Il Petrarca s'innamorò del paese nostro tanto, che non sapea
staccarsi " non solo dagli ottimi cittadini, ma nemmeno dall'aria,
BIBLIOGRAFIA. 387
ì
dalle mura, dalle pareti stesse di Milano : tanto è per me il favore
dell'universale, così mi guardan benevoli, così parlando mi levano
a cielo, così, oltre le particolari amicizie, al volgo ancora son io
accettissimo, né so il perchè „.
A questo speciale argomento attese l'avv. Romussi, con eru-
dita pazienza e franco stile, narrando del Petrarca a Milano. Una
lapida posta dianzi ad una casa rimpetto alla facciata di S. Am-
brogio, indica come ivi abitò il Petrarca dal 1353 al 56. Il Ro-
mussi prepara una illustrazione di Milano per via de' suoi monu-
menti, sicché non è meraviglia che abbia esattamente indicato i
luoghi, più che non abbiano fatto i tanti nostri che copiavano dal
De Sade. Questi dice Garignano villaggio presso l'Adda, a tre mi-
glia da Milano; e che il Petrarca alla sua casetta diede il nome
di Linterno, in memoria di Scipione, e per ischerzo la chiamava
l'Inferno. Sul vero suo posto vedasi una dissertazione del canonico
Bellani all'Istituto Lombardo nel 1845, che la pone accanto alla
celebre Certosa.
Buona ragione adduce il Romussi del perché l'epitafìo del nipotino
di lui si trovi a Pavia e a Treviso. Riconosce autentico il Virgilio
della nostra Biblioteca Ambrosiana, e la nota appostavi della morte
di Laura, e i ricordi domestici. Il figliuolo gli fu causa di gravi
dispiaceri, natus ad lahorem ac dolorem meum, finché morì della
peste nel 1361, di 25 anni: la Francesca, che classicamente chia-
mava Tidliola^ il consolò di domestica compagnia; ma non poteano
(come alcuno pretese) essergli nati da donna milanese, bensì in
Provenza.
Non tenteremo, e men lo tenta il Romussi, di scusare le adu-
lazioni che il Petrarca sparpagliò sui Visconti, quasi inevitabile
condanna di chi si accosta ai grandi senza ricordarsi che l'altezza
dell' ingegno fa, per lo meno, eguale ad essi. Ma quanto alle sue
piacenterie verso Carlo IV, mal ne giudicherebbe chi gli impera-
tori d'allora paragonasse, per es., agli ultimi imperatori d'Austria:
non essendo* quelli dominatori dell'Italia, ma amministratori della
giustizia tra la federazione degli Stati italiani, e giuranti di osser-
vare la legge di Dio e i diritti di ciascuna delle nazioni italiche.
E quando Carlo IV, che veniva con soli 300 cavalieri, corteggio
piuttosto che forza, con cui dai Visconti non poteva impetrare che
388 BIBLIOGRAFIA
pace *, invitò il Petrarca a dedicargli il libro che scriveva de viris
illustribus, " Sì, rispose, purché a me non manchi la vita per com-
pirlo, né a te la vita per meritarlo „.
Noto è come i Visconti adoprassero in molte missioni il poeta,
quando l'ingegno e la fama erano titoli a riuscire nelle ambascerie,
più che la nobile stirpe e il favoritismo o la scaltrezza.
A Milano pure scrisse il Petrarca le famose invettive contro i
medici, e ben doveva annojarsi di costoro quando un vecchio me-
dico del Vallese, rinomato per la cura della podagra, ricusò osti-
natamente di venir a guarirne il duca Galeazzo : e allorché questi,
ricompratolo dalla schiavitù coli' enorme prezzo di 3500 monete
d'oro, lo costrinse venir a lui, mandò dire preparasse uova fresche
ed altri nutrimenti pel malato, prima di vederlo : vedutolo, dichiarò
impotente l'arte sua a guarirlo, ma si consultassero libri magici.
A Milano il Petrarca abbracciò il Boccaccio^ al quale poi diresse
la lettera dove manifesta l'ammirazione sua per Dante, smentendo
quel che dell'invidia sua asserivano poveri critici, modellanti gli
alti ingegni su quella loro meschinità per cui sprezzano chiunque
vale, e dove noi possono attaccare, cercano soffogarlo col silenzio.
I COLOMBO.
Mentre con severità vediamo rimproverati molti errori e molte
negligenze alla Bibliografia dei viaggiatori italiani di Pietro Amat
di San Filippo, ^ ci piace rammentar le nuove cure date da stra-
nieri intorno alla storia del nostro Colombo.
Il signor Barrisse, autore della Bihliotheca americana vetustis-
sima (1866-1872), cioè delle opere sull' America dal 1492 al 1551;
* Sul vicariato dei Visconti leggasi una dissertazione del Sickel negli Atti dell' Ac-
cademia di Vienna. Voi. XXX. Il Petrarca scrive : « Non ministro fui io della pace, ma
la vagheggiai; non fui mandato per chiederla, ma l'ajutai di esortazioni e di lodi; non
fui presente ^1 principio, sibbene alla conclusione del trattato, volendo la benignità di
Cesare e la mia fortuna ch'io assistessi alla stipulazione solenne. » Lett. 3 del lib. XIX
famil.
* Vedi la Rivista Europea. Àquila, 1874, pag. 371. La scoperta dell'America fu sog-
getto a molti poeti nostri, quali in passato Giorgini, Villi, Franchi, Gualterotti, Som-
ma, Bartolomei, Campello, Tassoni : ora, oltre il noto poema del Costa e quello del Bel-
lini; Rafaele Stasi ne lavorò uno per 30 anni.
BIBLIOGRAFIA. 389
delle Letters of Cristof, Columbus describing his first voyage, ecc.
(1865); delle Notes on Columbus (1866), e d'altri libri sempre
stampati in pochi esemplari, scrisse in ispagnuolo ed in francese
(1871) La vita e le opere di Fernand Colomb^^ con somma eru-
dizione seguendone gli atti. Egli sostiene che Le istorie del S. D.
Fernando Colombo nelle quali 5' ha particolare et vera relatione
della vita et de' fatti delV ammiraglio L>. Cristoforo Colombo, suo
padre ; et dello scoprimento ch'egli fece, delV Indie occidentali dette
Mondo nuovo, Novamente de lingua Spagnuola tradotte nelV Ita-
liana dal S. Alfonso Villoa con privilegio, in Venezia, MDLXXI,
appresso Francesco dei Franceschi Sanese, opera da tutti attri-
buita a Ferdinando, e da Washington Irving qualificata la chiave
della volta della storia del Nuovo Mondo, ^ non è di lui, e sono
false le particolarità raccolte dal padre Spotorno pel Codex pub-
blicato il 1823 dal Consiglio municipale di Genova.
Ferdinando Colombo, gran letterato e protettore di letterati,
avea raccolto una preziosa Biblioteca Colombina, e notava l' ac-
quisto di ciascun libro, faceva estratti, indici, ecc. ; ma né egli,
né alcuno de' suoi contemporanei, menzionano un lavoro così im-
portante. L'esame del testo, contenente fatti posteriori alla morte
di Ferdinando, avvenuta il 1539; le date inesatte; i documenti 0
falsi, 0 interpolati; le latitudini erronee; le spiegazioni assurde;
i fatti smentiti da documenti, portano il signor Harrisse a negare
che queir opera sia di Ferdinando ; e l' attribuirebbe all' Ulloa,
compilata sopra buoni documenti e fingendola traduzione.
Fra i libri della Biblioteca Colombina ve n' ha molti apparte-
nuti a Cristoforo, fra i quali la Historia rerum ubique gestarum
di Enea Silvio Piccolomini, su' cui fogli Cristoforo notò molti passi
di sant' Agostino, di Giuseppe Flavio, e trascrisse la lettera, in-
vano finora cercata, con cui Paolo Toscanelli rispondeva alle in-
terrogazioni propostegli da esso Colombo. L' Harrisse ne dà il fac-
simile nell'edizione di Siviglia.
Esso confuta an*che altri errori, come la ingratitudine dei re
Cattolici, le insidie del re di Portogallo, ecc.
* D. Fernando Colmi, historiador de so padre. Ensayo crìtico. Parigi, 1872.
' Anche Munos, Hist. del Nuovo Mundo, dice che esso libro « es el mas importante
para el tiempo de que tratamos. »
390 BIBLIOGRAFIA.
Queste ragioni di gran forza voile ribattere il marchese d' A-
vezac, * ma il signor Harrisse riconfermò la propria negativa nella
Authenticité desHistoires attrihuées àFernand Colomb (Paris, 1873).
Il signor d'Avezac ^, notando la diversità fra gli autori sull'anno
della nascita di Colombo, e 1' averla io pure cambiata nell' indi-
carla., conformandomi a ciò che avea fatto la celebre Willard,
seguendo Napione e Cancellieri, crede asserirlo nato il 1446; nel
1460 s'imbarca per la prima volta, e dura 23 anni sul mare;
nel 1484 lascia indispettito il Portogallo e va in Ispagna; nel 1492,
avendo 46 anni, parte per la grande scoperta; e muore il 20
maggio 1506, di 60 anni.
* Le livre de Ferdinand Colombe, revue critique des allégations proposées eontre
son authenticité. Paris, 1873.
^ Année véritaMe de la naissance de C. Colombe et revue chronologique des princi-
pales époqiies de sa vie. Paris, 1873. Il marchese d'Avezac nel 1845-46 pubblicava JVb-.
tice des Découvertes, ove ingloria molti Genovesi d' antiche scoperte. Nella Expédition
génoise des frères Vivaldi (Parigi, 1859, con un postscriptum) riconosce che il sig. Ca-
nale fin dal 1846 aveva ricavato dal codice Lagomarsino degli Annali del CafFaro il
passo di Jacobo Doria, da cui è tolto ogni dubbio sul viaggio alle Indie tentato dai
fratelli Vivaldi nel 1291, circumnavigando l'Africa; viaggio negato e deriso dal visconte
di Santarem. Il Pertz nei Monumenta Germanice Historica riprodusse quel passo
stesso, togliendolo dall'originale, della biblioteca di Parigi ; e se ne attribuì la scoperta.
Il marchese D'Avezac, intento principalmente a illustrare i primi viaggiatori, glori-
ficò molti dei nostri nelle Considérations sur V histoire du Brésil, nelle Navigations
terre-neuviennes de Jean et Sébastien Cabot, e nell'esame del The remarhàble life of
S. Cabot by J. F. Nicholls. Prova egli che Giovanni era genovese, e fu fatto cittadino
veneto, e pel primo toccò il continente americano nel 1494, come nel 97 accompagnava
suo figlio Sebastiano alla scoperta del Brasile. Una lettera nei nostri Archivj dell'abate
Raimondo, ambasciadore di Lodovico Sforza a Londra, annunzia che il re d'Inghilterra
ha guadagnato una parte di Asia (si sa che anche Colombo credeva esser approdato
nell'India), e lo scopritore ne è messer Joane Caboto, il quale, preso possesso della
terra da lui veduta, tornò a Bristol, e ne ha fatto la descrizione in carta ed anco in
. sfera solida, e mostra ove è capitato. Ma pensa andare piti in là, e si dice che sua
maestà (Enrico VII d'Inghilterra) armerà alcuni navigli e andranno a fare una cO'
Ionia. Ho parlato con un Borgognone compagno a cui VAlmirante {che già così s'in-
titola) ha donato un'isola: e ne ha donato un'altra a un suo barbero de Castione
genovese: e entrambi si reputano Conti, né Monsignor Almirante s'estima manco che
principe. Andranno con lui frati italiani, ai quali promette vescovadi, ed esso abate
Raimondo, se volesse andare, sarebbe subito arcivescovo; ma preferisce attenersi ai
benefizj che spera dal duca. Vedasi l'erudita relazione del Desimoni alla Società Ligure
di Storia Patria sugli scopritori Genovesi. Egli crede quel barbero sia un medico ; non
potrebbe indrcare barba, cioè zio?
Difatti, nella seconda spedizione del 1497, i Caboto riconobbero la Terranuova, e per-
eorser 300 leghe di costa, piantandovi la bandiera d'Inghilterra e di S. Marco: onde
prevennero Colombo nel toccare il continente americano.
BIBLIOGRAFIA. 391
Entrambi i campioni adoprano ricchissima e minuziosa erudi-
zione, stretta logica, rara abilità, e più rara cortesia. Certo il si-
gnor D'Avezac, col 'suo Canevas chronólogique^ ha fissato le epo-
che principali della vita di Colombo, del Colombo vero, non del
poetico e leggendario, datoci da altri storici.
Non lasceremo d'indicare una Memoria del modenese Bernardo
Pallastrelli intorno al suocero e alla moglie di Cristoforo Co-
lombo.
Ma la storia ricorda altri Colombi, con cui talvolta il nostro
venne confuso : e qui hanno utile uffizio i nostri Archivj, dei qual-
si giovarono i due campioni, edora principalmente il sig. Harrisse
nel recente lavoro II Cólonibo di Francia e d'Italia^ ^ giusta nuovi
documenti tratti dagli archivj di Parigi, di Venezia e di Milano.
Nel 1473 si trova un Colombo corsaro al servizio di Luigi XI, e
r Harrisse ebbe la perseveranza di rintracciarne gli atti fra le car-
te, e sono dal nostro Archivio i numeri III, IV, V, VI, IX, X, XI,
XII, XIII-XXIV, XXXVIII,, XXXIX, XL, XLÌ, che il signor mar-
chese D'Adda copiò da una raccolta, posta nel nostro gabinetto
del Direttore.
Gregorio Lomelino (erroneamente detto Lemolino dall'Harrisse)
da Genova scrive a Giovanni Simonetta fratello di Cicco intorno
a un Colombo savonese corsaro, sul quale si torna in molte
missive del nostro Archivio, importando assai alla duchessa Bona
il conoscerne le mosse: ma l'Harrisse crede si tratti sempre di
Guglielmo di Casenove detto Coullon, che nocque spesso alle
flotte veneziane, finché morì nel 1483, e forse un suo figlio con-
tinuò a servir la Francia come corsaro. Che Cristoforo Colombo
sotto costui guerreggiasse nel 1485 è confutato dall'Harrisse, che
mostra come Luigi Bossi, e dietro a lui Washington Irving e
D'Avezac, si valsero male d'una lettera del nostro Archivio.
Nei documenti recati da M. Harrisse, Leonardo Botta avvisa il
nostro duce, che " i Biscaini hanno fatto una grossissima armata
quale se stima sia per perseguitare Colombo corsaro et successive
per dannificare il prelibato re di Franza „.
Le carte milanesi accennano un altro Colombo corsaro di San
^ Le Colombo de France et d'Italie, fameux marin du XV siede, par M. Henry
Harrisse. PariS; 1874.
392 * BIBLIOGRAFIA.
Remo o d'Oneglia, che nel 1492 catturò un carico di spezie, fran-
cese, di che Carlo Vili mosse lamento a Lodovico il Moro che
teneva Genova, e che, dopo lunghe trattative, lo fece restituire;
ma Colombo, preso poco dopo, fu impiccato alla torre del Molo.
Sarebbe il solo che potesse sospettarsi parente di Cristoforo.
Dubita M. Harrisse, anzi lo afferma lo Spotorno, che della impor-
tante lettera del 2 ottobre 1476, la data deva leggere non Otranto,
ma terra d' Otro, cioè d' Oltremare. A tacere i dati paleografici,
abbiamo in Archivio una lettera del 14 ottobre, anno stesso, del-
l' ambasciadore ducale a Venezia Leonardo Botta, sulla cui fede
il Bossi avverte che fu scritta non da Otranto, ma dal Zaffo, do-
v' erano stati spinti dalla procella. Giova recarla :
Questa sera è gionto qua messer Johan Jacomo da Trìulzo tute
sbatuto dalla fortuna, perchè pare che, nel partire dal Zaffo, messer
Guido Antonio montò suso la Galea delli pellegrini per non potere
soportare el travayare della Nave, et messer Joan Jacomo montò suso
uno ballonero, con ordinatione de aspectarsi l'uno l'altro a Corfò per
pigliare la volta de Terra de Otranto et Puglia. Sed la fortuna ha
con gran.™° perìculo spinto et portato qua el dicto ballonero, che non
ha potuto pigliare el porto de Corfò ne alcun' altra riva. Esso mes-
ser Johan Jacomo dice starà qua qualche dì per sentire se messer
Guido Antonio è capitato in Puglia o altrove. Credendo el dicto mes-
ser Johan Jacomo potere andare a Terra d'Otranto, me dice haveva
facto la alligata directiva alla Vostra Excellentìa et posto el datum
in dicto loco; Sed la fortuna gli ha extorto el proposito suo et per
essere tutto conquasato dal mare non ha potuto scrivere altramente.
Sed manda dieta alligata, piena delle novelle ha trovato per la via.
Me racomando humilmente alla Vostra Sublimità.
Datum Venetiis die XIIII octobris 1476 bora prima noctis.
lUustrissimsB dom. dominationis vestrse
Servus Leonardus Botta.
(A tergo). — Illustrìssimo Princìpi: et Excellentissimo domino do-
mino Galeaz Marie Sfortie Vicecomiti Duci Mediolani et domino meo
sìngularissimo, ecc. cito cito.
Un famoso combattimento dei Veneziani contro la nave Palla-
vicina, di cui tocca il signor Harrisse perchè vi è menzione acci-
dentale d'un Colombo, diede luogo a numerose comunicazioni de'
varj residenti, dalle quali si possono dedurre molte particolarità
BIBLIOGRAFIA. 393
che illustrino la storia di questo Colon o Colombo. Recarle tutte,
saria troppo lungo : ecco intanto il ragguaglio datone dall'ammira-
glio veneto il 7 settembre 1476.
Serenissime Princeps et Ex.^ d.ne d.ne mi sing."
Per le alligate vostra sublimita bavera inteso el seguir circha la
nave genovescha, fino al dar et despigar la battaglia. Tutta quella
nocte seguiti dieta nave, quale me tiro lontan de l'isola de Cypri ala
volta de ostro sirocho, più de miglia 180. Adi XX de matina a bore
do de z,orno essendo un poco bonaza el vento, cum el remurcbio li
missi a borio la nave dragana sula qual per esser la rocha et for-
teza nostra , et quel instrumento che havea a superar lo inimico no-
stro, feci montar ballestrieri 250 de questa armada : et su quella missi
etiam lo mio armiraglio : inchadenose dieta nave, et insieme cum tute
le galie fo combatu bore Vili continue tanto crudelmente da l'una et
l'altra parte quanto dir se puoi: non fo mai visto nave far tanta defèxa,
quanto ha facto questa zenovesea. Quando se apizo la bataglia, el ca-
pitaneo de la nave et la conserva erano luntan da nuy, cum galie
tre per una, le remurchiava più de miglia XII. Vedendo la difexa
grande faceva li inimici, mandai altre quatro galie ad agliutar a re-
murchiar diete nave. El sp.® Gapitaneo dele qual cum grande animo
vene ad investir la nave zenovescha: benché quelli de la Dragana
valentemente per un pezo avanti erano monte su la zenovescha: he-
bese dieta nave virilmente, et cum gran sàngue. Io mai, demente àuih
la battaglia, mi parti di soto el castelo et bàlador de la nave nostra
Dragana, et de la zenovescha la quale mai cessò de bressaiar la poppe,
et galia mia de bombarde, sassi et veretoni da banche: ne valevami
portar el fanò, et haver S. Marco in staza. Fo morti de la mia galia V,
feriti assaissimi. In dieta nave zenovescha erano Turchi, tra marcha-
dantì et asapi, de do fusto se era rote questi zorni in le aque de Seria,
numero 250 negri schiavi loro, 200 Zenovesi, 150 mori tra surianì,
et barbareschi, in tute 13 homeni Bazarioti et de pocha conditione:
i qual non e sta facto uno oltrazo al mondo: ne detoli pur una mala
parola da nostri, per el comandamento io havea facto. Dieta nave era
patronizata per Pollo Zentile, e nave de più de 2000 botte, carga el
forzo de zucharì, spetie, et altre cosse per Turchia. Dicono esser su
.quella de raxon de Turchi per ducati 60,000 et plui : ma per Dio non
è da presiar tanto la utilità, quanto la Victoria per onor de questa
armada: Perche considera vostra ex.^ come se haveria insuperbi et
preso animo i Turchi, sei capitano de vostra S., cum quella armata me
trovo de qui, non havessi potuto intrometter una sola nave de Zeno-
vexi. In diete doi battaglie sono morti de tuta questa armada homeni
Arch. Stor. Lomb. — An. I. 25
394 BIBLIOGRAFIA.
CGrcha 40, feridì 200 de quelli de la nave in su la bataglia, et lo mon-
tar di nostri sono sta morti circha 120, el resto quasi tuti f eridi. Dei
qual ho traete tuti i asapi de diete fusto : et quelli ho facto morir, cum
alcuni merchadanti zoveni che aveano pur facto defexa: alcuni vechi
tegno cussi per qualche rispecto. Ho facto condur dieta nave zenove-
scha qui a Famagosta per cognoscer et cavar la roba di Mori et
Zenovexi da quella de Turchi. Yostra ex.^ havera intexo ogni seguito
di questa cessa, et la honesta usai la prima et la segonda volta verso
i Zenovexi, et cognoscera lo haver facto il debito officio mio, et ogni
manchamento esser processe per rason del patron et marinari de dieta
nave. I quali a dover portar le pene di suo errori voria haver capita
in mano et potestà d'altri, cha de vostra cl."^^ sub.^ et per Dio non è
male ne pena per grande la sia, che non siano de molto mazor degni,
per exemplo d'altri. Le robe loro le faro deponere da canto, ne de quelle
se farà altro se non quanto commandeva V^. S.** Dinotando a quella
che tra le altre cosse se ha trovato zoie che loro dicono esser sue:
per quanto le apreciano loro, per valuta de ducati 1600, et ducati
d'oro 400, de li quali ne darò al patron ducati 200, el resto starà cum
le altre cosse al judicio de Yostra Ex.^ De quele de Turcomanj se
partirà el botin juxta al consueto tra tuti se trovò a tal impresa. Tuti
questi spt.^' sopracomiti se hanno portato viril et hobedientemente:
et tra li altrii spt.^® misser Andrea Zanchanj et misser Simone Gnoro
quali dal principio de la battaglia fino a la fin mai se partine cum le
loro galle de sotto el Castel da pope de la nave nemicha, dove faceano
gran guerra a dieta nave portandosi virilissimamente. Similiter el spec-
tab.® misser Francesco Bragadin, che sempre mi era apresso, et por-
tossi etiam luj valentemente: i qual tuti meritano esser riccomandà a
vostra sub.** et cussi li riccomando. Se io ho fatto per tal materia
cessa grata alla vostra S.** bavero fatto quello è il debito et desyde-
rio mio: se anche altramente, priego vostra sub.**" mi perdoni: perche
tute ho fatto per onor di vostra Sig."* cum grande fede et zelo. Mai-
stro Angelo Bombardier sta a Modon': qualle menai cum mi a queste
parte: io el missi su la nave Dragona^ el quale ha facto de suo me-
stier tanta guerra a la nave nemicha che non è homo el possi cre-
der, el merita laude : et cussi lo riccomando a vostra sub.** Cuius gra-
tie, etc. Dat, in triremi apud Famagustam die VII"^° septembris 1476.
Eius. V.® Sub.*'^
Antonius Lauredanus
humilis Capitaneus gemralis maris, etc.
(^1 tergo.) — Ser."° Principi et ex."*' domino domino Andree Ven-
dramino Dei gratia inclyto Duci Venetiarum etc.
BIBLIOGRAFIA. 395
Un meg^ dopo, il capitano genovese scriveva:
Jesus MCCCCLXXVI. die VII octubris in Famagusta. Nobilibus
dominis Thobie et Nicolao.
Reverende domine et frater honorande. Scripsimus vobis XII prete-
riti tam via Rodi quam vìa Baruti comuniter quantum opus fuit, et ad-
visavimus de casu captionis nostre a classe Venetorum usque XX Au-
gusti, de quo volumus credere prius advisum habuisse debueritis, et
nil mirum multis respectibus dederit vobis malenconiam, precipue respe-
ctu personarum nostrarum, quia de eis ex Rodo, ut intelleximus, non
grata nova fuerunt scrìpta. Intellexeritis postea satis cito oppositum,
et tamen dubitando ne malum habuerit recaptum denuo scripta, repli-
cabimus ut omnibus vijs possibilibus de nobis semper novam habeatis.
Velificavimus de Alexandria usque V Augusti cum partito non so-
lum bone sed optimo et mercibus teucrorum prò Saltarea, et prò tem-
poribus contrarìjs venimus ad hanc insulam usque XII eiusdem. In-
venta classe Venetorum in circumstantijs Capitis Albi triremium XVII
et essendo magnificus domìnus Capitaneus de dictis marcibus Teucro-
rum certioratus, requisivit nobis non solum eorum bona sed etiam per-
sonas et cum recusaverimus verbis et rationibus justificatis, viso de
nobis aliter quam bene contentus restabat, viso etiam per eum no-
bis prohibita erat provisio acque de qua necessitabamus, cum habere-
mus circa animas VC, disposuimus potius ad vellum quam ad ancoram
permanere, et stando eo modo in voltis, et semper cum vento con-
trario, supravenerunt XVIIII dicti una cum dictis triremibus naves
tres armate, quarum una vegetum Villi cum homìnibus CC, altera
vegetum MG cum homìnibus COL, et altera vegetum MVCCC cum
homìnibus VI, in bona parte ex turmis dictarum triremium, que prò
nostra non bona sorte ad hanc insulam veniebant prò suspectìs con-
tingentibus de filio Serenissimi regis Ferdinandi existentis in Cario.
A quibus navibus et galeis ex die agressi fuimus et cum furia non
mediocri, cum quibus tunc stetìmus in prelio per horas septem, habìtis
prelijs novem cum pauco vel nullo intervallo. Et demum facta virili
resistentia a nobis, supraveniente nocte se segregaverunt prò electione*
Die vero sequenti cum pauco vento et auxilio dictarum triremium de-
nuo a dictis navibus fuimus insultati; cum quibus, et presertìm cum
illa vegetum MVCCC, stetìmus per horas octo continuo infrenelati et
ab ea et alijs duabus de galeis predictìs prius habito crudelissimo pre-
Ho essendo nostri fessi et languidi adeo, quod prò laborìbus et calo-
rìbus maximis vìx se sustìnere poterant, viso etiam classem predìctam
fere potentìssìmam et diete naves continuo ex turmis dictarum trire-
mium sustineri et refrigerari, decreveramus cum eis in coloquio venire,
396 BIBLIOGRAFIA.
prò cum eis ad alìquam venire compositionem : quod facere recusave-
runt, quia tunc prò furia partium non poterant cuncta cum ordine gu-
bernari, et sic videndo, considerato maxime erat navis a bombardis plu-
rimum crivelata et turma semiderelicta, a Teucris pauco vel nullo ha-
bito auxilio, arma deposiumus. Et eo modo, nullo invento obstaculo, cum
maxima furia in nave intraverunt, et cum non bona intentione. Quo
non obstante attenti ad predam, nuUam personis nostris fecerunt vio-
lentiam, eo maxime quia tunc prò salute personarum in fondo navis se
reduxeramus. Interfecerunt tamen Teucros nonnullos tunc in coperta
inferiore inventos, captis ea die non solum mercebus in copertis cap-
siis et cameris inventis, sed etiam partem mercium existentium subtus
copertam cum omnibus munitionibus et argentarijs diete nostre navis,
adeo restat penitus navis ipsa desguarnita, et sic nos omnes a maiorì
usque ad minorem in diploidem tantum. Conduxerunt nos huc cum tota
eorum classe predicta usque XXV eiusdem, et numquam a predictò
domino capitaneo usque XI preteriti audientiam habere potuimus.
Tunc vero habui cum eo, ego Paulus, audientiam in pubblico et re-
quirendo restitutionem nabis mercium et naulorum, respondit quod, licet
inter nos pax sit, taliter illi preindicavinius respectu pugne per nos
facto, quod omnia nobis amissa restant, et nilominus aute de predi-
ctis velit aliud disponere, intendit ab Illustrissima dominatione vene-
tarum responsionem expectare, et ea habita, sequetur de nobis et omni-
bus predictis quantum sibi impositum erit, quam expedit expectemus
nil dubitantes, attento nil fecimus quod fieri non deberet, sic prò ho-
nore nostro, sic etiam prò publico comodo et observatione fidei Teu-
cris date, taliter in cunctis a dieta dominatione provisum erit, quod omnia
nobis erunt restituta. . . . Dispersa et lambudata restant cuncta in ca-
meris copertis et capsis inventa, que multo plus valent de ducatis XX"^,
que non bene intelligimus nìsi per eos solvantur, quomodo reintegrar!
possint. In quibus lambudatis sunt inter cetera pannorum septe cum
pilo per XVIII, et zerto ininorum pecij 113 vel circa; pannorum lane
inter quos aliqui balardi lile et menini, ac certi panni Anglie LIIIIVIII,
septe fardeli duo Clamelotorum tabule III, Spicenardi colum unum,
Reubarbari scatulas tres, Gramenee scatulas duas, Schenantorum p.^'
tres, Achechorum fangotos sex; Muschi fangotos duos, Bocassinorum
finorum et medìocrum bonam summam, et sic piperorum plus de cant, L,
€um aliquibus perlis iocalìbus et moneta per ducatos 11°^ V., et alia
nonnulla, ac cotonorum sacbi IIIIV. cum ballis quattuor tellarum et
multa alia, ut suo loco latius intelligetis. In quibus curro ego Paulus
prò bona summa, et sic ego Damianus, comprebensis certis ducatis et
aliquibus iocalibus extantibus in dicto domino Capitaneo mihi spe-
BIBLIOGRAFIA. ' 397
ctantibus per plus de ducatis VL. In nave vero iterura restant in ma-
iori parte merces que subter copertam erant, de quìbus etiam mihi Da-
miano spectant per ducatos VC in plus. De quibus et alijs quantum se-
quetur eritis, habita ex Venecìjs responsione predicta, oportune advi-
sati. Nos vero a nostra captione usque XVIIII preteriti in terra nun-
quam descendere potuimus, imo semper ex una ex eorum navibus
predictis stetimus et bene custoditi; nunc vero a diebus sex citra in
terra et in domo Edoardi Marruffi manemus, ubi antea posueramus
de ordine dicti domini capitanei, Stefaninum et sic stabimus donec aliud
ordinabit ipse dominus capitaneus, posquam non vult in nave nostra
accedere nec stare possimus, et sequitura scietis semper.
In nave, ut prius forte intellexeritì, habebamus Teucros CC vel circa
cum sclavis nigris COL, de quibus nigris statim ad calegam finem
fecerunt: Teucros vero omnes, demptis triginta, occiderunt etsubmerge-
runt et sic de maiori parte dictorum, ut concipimus, sunt facturi ad
advisum.
Valemus, laus Deo, una cum Jeronimo nostro, domino Andrea et
Stefanino, evasis ex periculis non parvis, quod quasi nobis videtur im-
possibile, respectu pugne crudelissime habite et alijs nonnullis deinde
occursis, ut distinctius a venientibus intelligetis. Et prò non bona istius
pessimi aeris influentia in nobis, toto posse talem habebimus custodiam,
quod pur in Deo speramus esse sine infirmitate evasuros, et sic per-
mittat pius Deus, et sic placeat dicere omnibus nostris ne de nobis
malo animo maneant, et nostrorum omnium custos sit Deus semper.
Ex nostris vero sit prò aere isto non bone, sit etiam prò frigore no-
cturno, quia omnes seminudi sunt da LX, in plus frebricitantes, ex qui-
bas jam septem decesserunt, inter quos Jacobus Baiardus scriba noster,
Baptista de Auria quondam domini Gasparis, Johannes Bonvicinus de
Saona. Reliqui vero iterum se regunt et pauci sunt semel liberati qui
iterum non recadant, et quia continuo restantes infirmantur, si diu
haberemus perseverare in mansione istius loci, esset dubitandum ne de-
terius contingeret. Tamen ad certum habemus dictum dominum Capi-
taneum, viso etiam sui in maxime numero infimi sunt, esse dispositum
nos, navem et classem accessuros in Modono infra breves dies, et in
eo loco responsionem predictam ex Veneciis expectare, versus quem
locum semper advisabimini de oportunis et de bone fine nos presto
consoletur Deus.
Et non plura, quamquod hortamur, nisi prius factum esset, de pre-
dictis scribatur per dominos Antianos tam illustrissimo principi nostro,
quam etiam dominationi Veneciarum , etiam per predictum illustrissi-
mum dominum nostrum scribatur sub bona forma dominationi predicte
!98 BIBLIOGRAFIA.
ne jura nostra pereant, ne in futurum oriantur scandala, quia aliter
seguendo esset opus de remedio cogitare, quod nobis ad mortem gra-
varet. Domino patri me semper cernendo et sic domine Mariolo, salu-
tando Alarame et ceteros prò quibus et ad mandata vostra sumus pa-
ratissimi in Christo. Valete.
Vostri Damianus Asserij et Paulus Gtentilis cum recommendatione.
{A tergo.) — Kobilibus dominis Thobie et Nicolao Géntilibus.
Januam.
D. Viceguhernatori Janue.
Habiamo avute le vostre et inteso quanto per esse ne avisate del se-
guito de le nave bruxate a Zenovosi per lo capitaneo maritimo de la
M.t* del Signore Re di Franza et de lo ricordo faceti per la recupera-
tione de li homini avanzati et destenuti de poi dicto incendio de nave
etc. Respondendo dicemo che de ogni danno et detrimento de quella
nostra inclita cita ne pigliamo molestia et grande dispiacere: et nostra
intentione è, et così habiamo dato ordine, de fare ogni favore et adjuto
possibile per lo mezo de Francesco de Petrasancta nostro secretarlo
presso la prefata Maestà, in favore et beneficio della nostra inclita città;
et così per la liberatione de dicti destenuti del facto de la nave de
Tobia Paravexino non accade dire altro se non che de quello intederiti
più ultra, d'essa vegliatine dare adviso. Dat. in Villanova die XV de-
cembris 1476.
Oltre le lettere recate da M. Barrisse, scritte dal Lomelino, altre
si riferiscono a quella battaglia. Una del 6 ottobre 1476, assai
lunga e" in parte cifrata , reca : " Oggi è venuta nuova certa in
quella corte come essendosi tre navi grosse de Colombo afferrate
con tre galee, non si sa venetiane o spagnole, ma sembra fossero
venetiane, tutte sei sono abrusate insieme, non che da circa...
homini tra de una parte et de l'altra: no ne sono campati ultra
XXI. Il danno della roba si stima circa 250000 in 300000 ducati.
Vandome VI 8bre 1476. „
Tennero dietro le pratiche per la liberazione dei catturati. Il 14
settembre summo mane Daniele Rosso di Piacenza scrive al duca da
Verona, e fra altre cose gli dà nuove non troppo grate. " Pare che
la nave detta Bettinella, grossa e molto carica di roba con una
galeazza de Francesi e lo balenier Spinola et anche un' altra nave
grossa quale è campata, e che tutte andavano in conserva, se re-
trovassero in la parte de ponente, cioè su la parte de Portugallo
BIBLIOGRAFIA. 399
et per neglettezza fossero in uno certo punto, in lo qualo intrò
Colon, corsaro soldato de la majestà del re de Pranza, et vedea
questi navilij, et essendo ben forte le assaltò et li nostri se misero
alla difesa, et non potendo resistere secondo se dee, morti assai
et de l'una parte et de l'altra, non volendo li nostri che tali na-
vilij divenissero in le mano de detto Colon, misero il fuoco a detti
navilij, ne li quali era oltre mille Genovesi et de la riviera, tutti
boni gentillomini, mercadanti et marinari, et tra li quali erano
molti Saonesi, quali, secondo se dice, son tutti morti, excepto da
centoventi quali sono campati : et eranvi tante robe di questa città
che valeva più di libre centocinquantamilia de questa moneta . . . „
Pel riscatto di quei prigioni avevano delegato Francesco da Pie-
trasanta, a cui il 10 ottobre da Varese scriveva il duca:
Come per altre nostre haverai inteso pienamente la mente nostra, da
quanto favore et cum omni possibile dilìgentia tu hai adoperare con
la maestà de quello Christianissimo re per la liberatione de quelli no-
stri Genovesi, che furono ne li mesi passati presi in Spagna navigando
sotto salvacondotto de sua maestà, dal Capitaneo de la sua armata: e
che lui se degni replicare ad esso capitano debia servare dicto salva-
conducto, come ad amici et servitori de sua Maestà. Ne la qual cosa,
benché non habiamo ambiguità alcuna che tu userai tutto el tuo sen-
timento come è tua consuetudine, per satisfare al animo nostro, nondi-
meno ci è parso iterum replicarti che in questa facenda, come quella
che importa per la catura dei nostri sudditi, a lesione del honor nostro,
non lasci di fare ad ciò siano liberati quelli che furono presi, et che sia
observato dicto salvaconducto, che possine navigare essi Genovesi libe-
ramente. In modo che epsi et li altri intendano che quello christianis-
simo re non vole che la fede sua resti violata da suoi, et che noi cum
li nostri sudditi siamo in debito favore de sua maestà.
Di altri Colombo pirati abbiamo contezza ne' nostri Archivj. ^
Così nelle missive Keg. 102, anni 1471-72, f. 169.
Deputatis Regimini Rerum Januensjum,
Havemo inteso quanto ne scrivete per le vostre de di 13 del presente
havere risposto in nostro nome al vicegovernatore et antiani de Zenova
'' Di altri Colombo raccoglie le memorie il sig. Desìmoni nel discorso che accennammo.
Oltre i Coulomb di Francia, pirati mentovati nel 1474 e 82, ricorda un Antonio Co-
lombo di Rapallo, patrono di galea nel 1393, un Antonio de Colombo di Quinto nel 1450,
un Domenico Colombo (padre di Cristoforo?), un Giacomo qm. Guglielmo lanaiuolo, un
Giovannino figlio .di Giacomo.
400 BIBLIOGRAFIA.
et così cripto alla M.** del Re de Franza et all'admiraglio et ad Sforza
da Firenza per la restitutione seguita de quella nave negrona quale era
stata intercepta per quello columbo homo de la p.**" M.** secundo che più
ad pieno in le copie ce avete mandato se contene : al che respondendo,
dicemo che tutto ne piace et havete facto bene: et non li accade dire
altro. Datse Viglevani die 16 Novembris 1471.
per Cambiag.
Princeps et excell. domine mi ohserv,
Como per un altra mia haveva inteso y. s. drizata in mane del m.^
m. B. Calco^ Essendo capitato qui uno Yincentio Colombo, quale haveva
robato con uno suo bergantino una barca carica de speciaria ad uno
francese, dela quale cosa v.s. fece dimostratione havene summa displicen-
tia, concedendo represa sia al dicto francese contro questi homini: die
volesse che hebbe forma de prenderlo, et per non haver loco de tenerlo
lo misse in galea, recomandandolo per la vita al figliolo del capitaneo.
Segue narrando d'un altro arditissimo corsaro, e si segna : " Une-
lia die XVIII decembris 1492. fidali, servitor Joannes Petrus Kay-
mundus ducalis ibidem comissarius. „
Aggiungiamo a superfluità, che nel 1478 il 25 agosto si scrive a
Michele Colombo l'ordine " di ritornare a noi, dando a Pietro Pa-
nigarola la zifra che ti avemo dato „ .
Varj documenti marittimi ho esplorato in questa occasione, prin-
cipalmente relativi a Genova ^ e importante mi parve il calcolo
delle spese necessarie per fabbricare galee, presentato da Gio. di
Melzo, commissario ducale sopra tal fabbrica (Acque, Mare, Navi,
Genova),, e un altro simile del podestà di Recco nel 1471.
De Duhn, Dracontii Carmina minora plurima inedita ex codice
neapolitano. Lipsia, Triibner, 1873, di pag. 114.
Ignorati o negletti finche vivi, sublimati il giorno della loro morte,
poi dopo otto giorni dimenticati per esaltar gli stranieri che forse s' al-
zarono sulle spalle dei nostri, è la storia compendiosa di tutti i nostri
valenti. Cataldo Janelli, se fosse vissuto in Germania o in Inghilterra si
' Harrisse avvertì molti italiani genovesi, compagni e amici di Ferdinando Colombo :
sappiamo che Leone Pancaldo servì da pilota nella circumnavigazione di Magellano, e
la descrisse: come la descrisse l'altro pilota Battista genovese, rivelatoci dal eh. Amat
di San Filippo nella Bibliografìa de' viaggiatori italiani (Roma, 1874), come un Giam-
battista di Polcevera.
BIBLIOGRAFIA. 401
sarebbe, persino in Italia, conosciuto come uno dei filologi più insigni,
un emulo del Yico nella filosofia della storia, d* Ennio Quirino Visconti
nell'antiquaria. Ebbene, chi lo ricorda? qualche pedante, di quelli che
credono ancora che ad un paese venga decoro dai figli illustri.
Appena il cardinale Maj ebbe scoperte , nella biblioteca reale di
Napoli, le poesie di Draconzio, l'Janelli ne preparò la stampa. Inter-
rottagli dalla morte, quei carmi restavano ancora nell'obblio, finche ne'
li trasse poc'anzi Federico De Duhn da Lubecca; affinchè si dicesse
per la millesima volta che noi le ricchezze che ci abbondano aspet-
tiamo ci siano indicate e ammannite dagli stranieri.
Emilio Draconzio era un cartaginese, vissuto al tempo del re vandalo
Guthamund (484-496), e trattò soggetti mitologici, veramente d'impor-
tanza secondaria quando più non si credeva a Ercole, a Hyla, a Medea.
Pure è prezioso un autore di quella bassa età, per conoscere le varia-
zioni che avea subito la mitologia, le alterazioni della lingua latina in
Africa, e alcune notizie storiche, principalmente nella Satisfactio Dra-
contii ad Guthamundum regem Giiandaloriim dum esset in vinculis. La
dotta Germania s'occupa non poco (sotto tutti gli aspetti) di questi car-
mina minora^ alla cui edizione adoperò pazientissime cure il sig. De Duhn.
BoissiER Gaston, La religion romaine d^ Auguste aux Antonins.
Due voi. Parigi, 1874.
Raccolta diligente di fatti, desunti da diverse fonti, poco aggiunge
però alla conoscenza di quel momento critico, dove le antiche credenze,
superstiziose e ingenue, colle quali Roma era divenuta grande, soccom-
beano allo spirito filosofico. Realmente il Romano non avea nella religione
né poesia ne teologia, non dottrine astratte, ne un insieme; tutto prosa-
stico, utilitario; gli Dei erano domestici, e soprantendevano a qualche
servigio, anche de' più umili; si continuava ad invocarli perchè non si
aveva di meglio. Della preghiera mancava la ragione, la verità dogma-
tica, di cui ha bisogno la pietà come la morale; e ben Seneca diceva:
major populi facit quod cur faciat ignorai. La gente colta poi metteva
sotto i piedi tutte le paure, e l' inevitabile fato, e lo strepito dell'Ache-
ronte : e solo per politica Cicerone consighava a conservar ancora gli
auspizj, a per non offendere le credenze popolari e perchè possono an-
cora render servigi allo Stato v. Al tempo degli Antonini troviamo fre-
quente preghiera con credenza affatto vaga.
Questa crisi era essa un avviamento al cristianesimo ? o esso solo potea
ristaurar la morale, rivelare la verità? Fu esso lo specchio che con-
centrava la luce, 0 la fonte della luce?
Tale problema non è risolto nell' elegante lavoro del sig. Boissier.
25-
402 BIBLIOGRAFIA.
FiCKER Julius, Forscliungen zur Beichs imd Rechtsgeschichte Ita-
liens. Vierter Band. Innsbruk, 1873-74.
Sono due parti del 4^ volume, col quale si compiono le importantis-
sime Ekerclie del Ficker sulla Storia del governo e del diritto in Italia.
Questo volume si arricchì di molti documenti desunti dall'Archivio Mi-
lanese, e sono quelli ai numeri 22, 27, 32, 34, 37,* 45, 53, 59, 70, 84,
85, 87, 99, 102, 103, 104,119, 122, 164, 190, 191, 315, 316, 319, 402,
406, 409, 463, 475, 502: oltre quelli già pubblicati dal Giulini (p. e. 17)
e da altri dei nostri.
L'importanza di questa pubblicazione appare già dal conoscere
ch'essa comprende 531 documenti, che van dall'anno 776 al 1474.
Il più antico, cioè quello del 776, è dato da Spoleto dal duca Ilde-
prando, che decide una vertenza tra preti e vescovi, il che sarebbe
un' altja prova dell'asserzione del Troya, che all'età longobarda nep-
pure gli ecclesiastici godeano di privilegiata giurisdizione : tanto meno
poteva esser lasciata ai laici romani. Vanno nel senso stesso le carte
seguenti.
11 Ficker si congratula della buona accoglienza che egli ottenne
negli archivj e nelle biblioteche italiane, dove non è bisogno di su-
periore permissione, non v'è restrizione di giorni o di ore. Principal-
mente lodasi del nostro Archivio, ove consultò almeno 1100 documenti
originali ; e molti gli valsero per chiarire il suo lavoro sui regesti di
Boemia, trovando qui disposti i diplomi imperiali. Loda pure il belFor-
dine con cui abbiamo distribuite le pergamene provenienti dalle corpo-
razioni religiose: e in quelle di S. Benedetto Polirono molto interesse
prese pei possessi della contessa Matilde. Discorre pure con esemplare
riconoscenza di quei che lo ajutarono a Brescia, a Cremona, a Parma;
giovato anche dal lavorarvi contemporaneamente il ben noto "Wiisten-
feld. Segue a Ravenna e all'altre città italiane, e massime ai così bene
ordinati archivj toscani.
La Rosa Vincenzo, Cenni storici degli avvenimenti politici in Ita-
lia. Catania, 1874.
In 480 piccolissime pagine si va dai primi abitatori d' Italia fino al-
l'impresa di Graribaldi: in due si parla della coltura dei secoli XVIII e
XIX, col solo nome di molti ingegni, e le lodi maggiori al cav. Di Mauro.
* Questi documenti erano contemporaneamente stampati nel Codex Longohardiciis,
voi. XIII dei Monumenta historiw patrice : nel 22 trovansi alcune ommissioni, che non
sono nell'originale: il 27 porta la data 14 marzo, mentre nella nostra edizione ha il 3
febbrajo, come nel testo.
BIBLIOGRAFIA. 403
PoRENA Filippo, Breve compendio della storia d' Italia nel medio
^ evo. Eoma, 1874.
Già pi^ volte, e nominatamente a pag. 215 di questo Archivio Storico,
esponemmo, o meglio ripetemmo la nostra opinione sul medioevo; persuasi
che solo i pedanti o i seguaci irosi e ritardatarj degli Enciclopedisti
possano vedere soltanto barbarie e disordine in quell' età, che fu un fa-
ticosissimo riacquistare i diritti dell'uomo e la libertà della ragione
e dell'azione. Ma per comprendere, e viepiù per esporre quella stu-
penda lotta, capitanata dal clero, fra la civiltà e la barbarie, bisogna
spogliarsi de' pregiudizj delle scuole e delle passioni delle gazzette, e
con occhio vasto abbracciare l' intera vita, non arrestarsi unicamente,
come fanno i più, alle roggie, ai castelli, alle feste. Qualcuna di quelle
cronicaccie di frati che il Botta vilipendeva, ci dà più lume di sapienza
e di virtù, che lunghe storie classicamente pensate e scritte.
Ciò valga pure pel libro del Porena , che comincia il medioevo da
Teodosio. Egli conosce l' importanza dei Comuni, e ha veramente la
forma di hreve compendio, in cinque libri costipando opere ben note al-
l'Italia.
Colombo Giuseppe, Sunto di storia del medioevo. Lodi, 1874.
— Sunti di storia délV evo moderno. Piacenza, 1874.
Sono ad uso delle scuole, e fatti secondo i programmi. Comincia il
medioevo con Valentiniano e termina con Nicola V papa: l'evo mo-
derno finisce col trattato di Vienna.
Zalla Angelo, Il medio evo in Italia. Milano, Brigola, 1874.
Questi invece comincia da Augusto, credendo necessaria la storia del-
l'impero per capir quella dell' evo medio. Ma anche per comprendere
quella dell'impero abbisogna la storia della repubblica. L'autore professa
aver dedotto il suo metodo da Pietro Giannone : sicché è facile presumere
quali ne sieno le opinioni. Dice che, nel quarto secolo, a il cristianesimo,
vogliasi o tio, fu allora civilizzatore v ; aderisce pienamente alVopinione di
Romagnosi quanto ai Longobardi, sotto i quali Lombardia splende per
scienza: a è celeberrima la duchessa Adelberga figlia di Desiderio, la
quale si distinse per sapere e virtù: vuol essere ricordata con distin-
zione e posta assieme con Amalassunta, le sole donne degne d'esser
menzionate nei tempi barbarici, e perciò anche più ammirande n
(pag. 168). Eppure eccone un'altra: «Matilde, benché d'animo grande,
era però donna, e nulla meraviglia che delle domestiche avversità cer-
404 BIBLIOGRAFIA.
casse conforto nella religione r> ( pag. 242 ). Sorvolato all' età più im-
portante, quella dei Comuni, finisce con Enrico YII, e asserendo che
a l'autorità della Chiesa, benché minata, protrarrà la sua vita finche
abbia compito il suo ciclo, ma poi cadrà, non abbiate timore w, pag. 369.
Noi non abbiamo questo timore, anche perchè non crediamo a ciò
ch'egli dice a pag. 170, che « quella minuta esposizione dei fatti, quella
scrupolosa erudizione che taluni van predicando, non è certo la più im-
portante pei giovani, e il mondo degli eruditi non è il vero mondo, ne
il bel mondo della scienza. Non è il bel mondo specialmente per noi
Italiani, nati per altri studj v.
VoLPiCELLA Luigi, Bue discorsi del XVI secolo sopra la città di
Giovenaszo. Napoli, 1874, opusc. di 56 pag.
Il Volpicella premette un breve discorso a due brevi discorsi di
Oc. A. Paglia del 1560 e del 1581, che trattano di Giovenazzo, città
tt ora misera e spopolata, un tempo ricca e potente , con nobilissime
famiglie ».
NiGRA Pietro, Commemorazione storica delV illustre Borgo di
Santhià. Vercelli, 1874.
Santhià stette 40 anni sotto ai Visconti di Milano, finché ne lo sot-
trasse Amedeo VI di Savoja nel 1373. Qui si narra principalmente il
miserabile strazio che, verso il 1554, ne fecero i soldati spagnuoli, gui-
dati da don Ferrante Gonzaga, chiesto come alleato dal duca di Savoja
contro Francia.
L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti descritti ed illustrati,
voi I. Lecce, 1874, pag. 372.
Auguriamo ad ogni città e provincia una simile illustrazione, e ad
ogni autore una stampa meno scorretta.
BiLLiTZER J., Geschichte Venedigs von seiner Grilndung bis aus die
neuste Zeit, Trieste, 1871, in-8, con 12 fotografie.
Gfròrer A. F. Gesch. Venedigs von seiner Grundung bis zum
JaJir 1874.
Importa per le relazioni coli' impero bizantino. .,^B
De Giovanni Vincenzo, Il caso di Sciacca, cronaca italiana del se-
colo XVIj ora per la prima volta pubblicata. Palermo, 1874.
La tragedia di Sciacca, ultimo atto delle sanguinose lotte fra i Pe-
rdio e i Luna, è raccontata da molti. La storia esibita ora dal dili-
BIBLIOGRAFIA. 405
gentissimo prof. De Giovanni, e scritta da un contemporaneo, invece dì
fermarsi, come le altre, al 1529, espone i casi dal giugno 1520 al 1534.
Si aspetta a momenti la ristampa dell'opera II famoso caso di Sciacca
del dottor Savasta, con aggiunte e note del sac. Girolamo di Marzo;
volume di 600 pagine con più di 50 incisioni e 40 blasoni delle famiglie
nobili di quel tempo.
Moritz Ritter, Briefe und Aden zur ecc. Lettere ed atti per la
storia della guerra dei Trentanni, nel tempo della prevalenza
dei Wittelsbach. Monaco, 1870-74, in 2 voi. in-8.
Della Emigrazione italiana in America^ sfudj e proposte per Vav-
vocato Gio. Florenzano, Napoli, 1874, in-8.° di pag. 370.
Atto importantissimo della storia d'un paese è quello delle emigra-
zioni. Gl'Italiani che ebbero tanta parte alle scoperte dell'America,
pochissima ne ebbero al popolarla, ed or ne hanno una poco felice nel
mandarvi da 5000 poveri e disoccupati ogjii anno. La nostra Commis-
sione pel premio Ravizza fu per avventura la prima che chiamasse l'at-
tenzione seria sulle emigrazioni, e diede occasione a ricerche statistiche,
dapprima affatto neglette, dietro alle quali il Governo e i varj Consolati
raccolgono dati, rivelano miserie, indicano vantaggi. Di questi si
valse Gio. Florenzano per istudiare a fondo la materia, mostrandola
dai molteplici suoi lati; dal turpissimo mercato di fanciulli che si con-
tinua in questo splendore di civiltà, fino ai negozianti che vi aprono
uno sfogo alle manifatture e alle derrate nostre; dallo speculatore e
dal garante che impunemente ingannano il giovane operajo e il robusto
agricolo, fino allo statista che vi scorge uno scolo alla poveraglia.
Considerate le condizioni italiane, i tanti terreni ancora incolti , le ma-
nifatture bambine, lo scarsissimo aumento di popolazione, che appena
raggiunse il 7 per cento nell'ultimo decennio, il Florenzano ritiene de-
cisamente dannosa pel nostro paese l'emigrazione; e poiché la libertà
non consente di proibirla, domanda la si regoli, e ne propone le guise.
Così crede aver contribuito la sua parte di quell'affetto operoso, che
tutti dobbiamo alla patria, e alla cui gara è affidalo l'avvenire del
popolo italiano.
C. Càntu'.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
a) OPERE STORICHE PUBBLICATE IN ITALIA.
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Amedeo (Luigi). La Sardegna provincia romana. Saggio di studj an-
tiquarj; in-8. Koma.
Armellini (Mariano). Scoperta d'un graffito storico nel cemeterio di
Pretestato sulla via Appia; in-16, con tavole. Roma.
Barbaran (dott. Domenico). Assi romani ed italici, e loro parti; in-8.
Padova.
Berlan (prof. Francesco). Studj storico-critici sugli Statuti di Fistoja
del secolo XII. Fase. I; in-4. Pistoja.
L'opera si comporrà di 4 fascicoli.
BibliotJieca Casinensis, seu codicum manuscriptorum , qui in Tabularlo
Casinensis asservantur, series per pagìnas singillatim enucleata, notis
characterum specìminibus ad unguem exemplatis aucta, cura et stu-
dio monachorum ordinis S. Benedicti Abbatise Montis Casini. To-
mus I, in-fol. Monte Cassino.
L'opera si comporrà di 6 volumi.
Bomba (dott. Domenico). La Chiesa Cristiana nella sua origine; in-8.
Genova.
Bonamico (Emilio). Mirano. Monografia; in-8. Padova.
Brumengo (P. Giuseppe). I destini di Roma. No\. I; in-16. Torino, 1874.
BuLGARiNi (A.). La Madonna delle Grazie, Cenni storico-artistici ; in-8.
Firenze.
Calonzio (Generoso). Documenti inediti e lavori letterarj sul Concilio
di Trento; in-8. Roma.
Cantù (Cesare). Commento storico ai Promessi Sposi, o la Lombardia
nel secolo XVII; in-16. Milano.
Cantù (Cesare). Della indipendenzja italiana. Cronistoria divisa in tre
periodi: francese, tedesco, nazionale. Dispense 27-29; in-4:. Torino.
Cappelletti (cav. Giuseppe). Storia di Padova , dalla sua orìgine fino
al presente. Voi. I, fase. I; in-8. Padova.
Caroldo (Gio. Giacomo). Guerra di Trieste coi Veneziani (1368-1370);
in-8. Udine.
éULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 407
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volta pubblicata da Vincenzo di Giovanni; in-16. Palermo.
Cittadella (Gr.), Pensieri intorno alla Lega Lombarda (7 aprile 1167);
in-8. Padova.
CoGNETTi (Giampaolo). Le memorie de^ miei tempi; in-8. Napoli.
Colombo (Giuseppe). Punti di storia dell'evo moderno; in-16. Piacenza.
Davabi (Stefano). Il matrimonio di Federigo Gonzaga V marchese e
I duca di Mantova (1517-1536); in-16. Mantova.
Documenti per la storia di Selva nel Trivigiano ; in-8. Venezia.
Dora d'Istria. Gli Albanesi in Rumenia. Storia dei principi Ghikanei
secoli XVII, XVIII e XIX. Traduzione dal francese; in-16, Fi-
renze.
Faccioli (Carlo). Sanmicheli. Cenni storici; in-8. Verona.
Fioretti (sac. Michele). Il santuario della Madonna della Riva, Cenni
storici; in-16. Torino.
Franchi- Verney (Alessandro). Armerista delle famiglie nobili e titolate
della monarchia di Savoja; in-4, con tavole. Torino.
Friedlaender (Lodovico). Studj intorno agli usi ed ai costumi dei Ro-
mani nei due primi secoli dell' èra volgare. Traduzione dal tedesco
di Augusto di Cossilla. Tre voi. in-16. Milano.
Gloria (Andrea). Della pubblica amministrazione de'' Padovani nei se-
coli XII e XIII. Cenni tratti dagli Statuti; in-8. Padova.
GuAiTOLi (don Paolo). Della Città e Comune di Carpi. Cenni statistici
e storici; in-4. Carpi.
Insurrezione di Urbino e sua resistenza alle armi francesi nel 1797
(da una cronaca inedita); in-16. Urbino.
LiTTA. Famiglie celebri italiane. Dispense 173-174; in-folio. Milano.
Contengono :
Mauro di Pelvica. Morozzo di Mondavi. Parte I. — Passerini L. Marchesi di Sa-
luzzo. Parte IV.
Manuel di San Giovanni (Giuseppe). Un episodio della storia del Pie-
monte nel secolo XIII; in-8. Torino.
Milanesi (Gaetano). Sulla storia dell'arte toscana. Scritti vaq; in-8.
Siena.
Miscellanea di storia italiana, edita per cura della R. Deputazione di
Storia Patria. Tomo XIV ; in-8. Torino.
Contiene ;
Promis Carlo. Biografìe di ingegneri militari italiani dal secolo XIV alla metà
del XVIII.
Moreno (Gennaro Ferdinando). Trattato di storia militare. Due vo-
lumi in-8; con atlante. Bologna.
408 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
MoRosiNi (Nicolò, potestà e capitano di Rovigo). Relazione letta in Se-
nato Veneto il 7 settembre 1602; in-8. Padova.
NiGRA (Pietro). Commemorazione storica delV illustre Borgo di San-
thiàj con annotazioni; in-8. Vercelli.
Ottino (prof. Enrico). Carlo Denina e i suoi tempi. Discorso; in-8.
Torino.
Padova a Francesco Petrarca nel quinto centenario dalla sua morte;
in-4. Padova.
Contiene :
Cittadella G. Petrarca a Padova e ad Arquà.
Petrarchce Francisci Africa, nunc prìmum emendata curante Francisco Corradini.
Passerini (Luigi). U anello di Leonardo Ferrucci nel Museo Nazio-
nale di Palermo; in-8. Palermo.
Peluso (Francesco). La chiesa di Castiglione e le opere d^arte che con-
tiene; in-4, fig. Milano.
Perini (Osvaldo). Le Pasque Veronesi^ ossia Storia di Verona dal
1790 al 1822; in-16. Verona.
PiAZzoLi (Giacomo). Marat, VAmibo del popolo e la Rivoluzione, Studio
storico-, in-16. Milano.
PiGORiNi (Luigi). Oggetti preistorici dei Liguri Velciati; in-4. Parma.
Puliti (Leto). Cenni storici della vita del serenissimo Ferdinando de*
Medici, gran principe di Toscana, e della origine del pianoforte.
Memoria, in-8. Firenze.
Ramirez (Vincentius). Medii JEvi historiee epitome; in-16. Panormi.
RoMUSSi (C.) Petrarca aMilano (1353-1368). Studj storici; in-16. Milano.
RoNCHiNi (prof. Amadio). La dimora del Petrarca in Parma. Memoria ;
in-8. Parma.
Siculi (Fortunato). Calanna e Mesa. Dissertazione storica; in-8. Mi-
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Tesio (Bartolomeo). Alcuni cenni su Era antica; in-8. Bra.
Vannucci (A.). Storia delVItalia antica, illustrata coi monumenti. Di-
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Veniero (Sebastiano). Relazione ritornando da potestà di Verona,
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h) OPERE STORICHE PUBBLICATE ALL'ESTERO RISGUARDANTI L'ITALIA.
Luglio-Dicembre 1873.
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tempora perducti ah Angustino Theiner. T. 24, 25 et 26 (1313-1396).
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ters for the use of Marlborough College. Rivingstons.
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stionnaires. 28^ édition, ornée d'une carte de l'empire romain. Paris.
Beulé (M.). Tiberius und das Eròe des Augustus, Deutsch bearbeitet
von Ed. Doehler. Halle.
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Capecelatro (Alfonso). Geschichte der keiligen Cafharina v. Siena und
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gìnals frei iibersetzU Autorisirte Uebersetzung. Mit dem Portrait der
hi. Catharina v. Siena. . 4. (Schluss) Lieferung. Wiirzburg. •
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romain sous August. Nouvelle édition. Paris.
FiEDLER (Frz.). Geschichte der Bomer, ihre Herrschaft und Kultur, von
der Erhauung Boms bis zum Untergange des westromischen Reiches
zur Belehrung und Vnterhaltung dargestellt. Mit 85 bìldlichen Dar-
stellungen in eingedruckten Holzschnitten und 2 Karten des west-
lichen und ostlichen Romerreichs ; in-4. 2. bericht. u. verm. Aufl.
Leipzig.
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gearbeitete u. vermelirte Auflage. Leipzig.
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mier s siècles. Ouvrage contenant deux chromolitliograpliies, cìnqpl.en
taille-douces et 250 gravures sur bois. Paris.
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arhundradet efter Kristus. Oefvers. af J. I. Brodén. Tre delar i ett
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Mrs. Charles W. Heaton, and Essai of bis scientific and literary
works by Charles Chr. Black, and an account on bis most important
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Leben und Wirken^ 3. stark werm. Aufl. 7. u. 8. Hft. Miinster; mit
eingedr. Holzschn. u. 4, Holzschntaf.
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Ranke's (Leopold v.). Sdmmtliche Werhe, 37. Bd. Leipzig.
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Die romischen PUpste in den letzten 4 Jahrhimderten. 1. Band. 8. Aufl.
Rendu (Ambroise fìls). Histoire romaine, 13® édition. Paris.
RiCHTER (Carol. Frdr. Herm.). De P, Valerio Poplicola Legislatore (Dis-
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Roller (Th.). Étude d'archeologie et d'histoire, Saint- Clément de Rome,
description de la basilique souterraine récemment découverte. Orné
de vignettes et de 9 pi. Paris.
Sammlung historischer Bildnisse, 1. Serie, 10. Bdchn. Freiburg.
Inhalt :
I. 10. Sixtus der Funfte. Nach dem gròsseren Werke des Barons v. Hùbner bearb.
V. S. Klein.
ScHRODEL (Karl). Geschichte der Pàpste und der romischen Kirche in
der TJrzeit des Christenthums oder den ersten 3 Jahrh, Mainz.
ScHULTZE (J. F.). Die Tarquinischen Konige in Rom. Breslau.
Schwegler's (A.). Romische Geschichte. Fortgefiihrt von Octav. Clason.
4. Bd. (Der Fortsetzung 1. Bd.) Vom gali. Brande Rom's bis zum
ersten Samniterkriege. 1-3 Lfg. Berlin.
412 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
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Staatengeschichte der neuesten Zeit 18. Bd. Leipzig.
Inhalt :
GescTiichte Italiens von der Grìindung der regierenden Bynastien bis zur Ge-
genwart. Von Herm. Reuchlin. 1. (Schluss) Thl.
Stahr (Adf.). Bilder aus dem AUertJiume. 1. Thl. Tiherius'' Lehen, Re-
gierung^ CharaTcter. 2. voUig umgearb. Aufl. Berlin.
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des documents inédits. Paris.
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to the present date. With map of the valleys. J. F. Shaw.
IL PATRIZIATO MILANESE.
IV.
LE CROCIATE — IL COLLEGIO DE' NOBILI GIURECONSULTI ED IL COMMERCIO
— LA NOBILTÀ SMASCHERATA — MARIA TERESA E l'aRALDICA
— il capitolo maggiore della metropolitana
— l'arcivescovo.
Come pei Greci la leggendaria spedizione degli Argonauti alla
conquista del vello d' oro, e l'assedio di Troja, così, pei popoli del-
l'Europa moderna, la liberazione della santa Gerusalemme è l'av-
ventura più sublimemente epica della loro robusta giovinezza. Se
alla fredda ragione è permesso condannare le crociate, non lo può
il sentimento, che vede in esse l'opera dell'esagerazione, diciamo
pure del fanatismo degli istinti superiori dell'umanità, religione e
cavalleria. In fatti, nessun avvenimento valse, più di questo, ad
esaltare le fantasie di vati, di artisti. È dunque logico, se il ri-
montare ad una impresa sì eroicamente ideale, in cui nulla vi
era di meschino, di egoistico, di volgare, ma dove tutto pareva
grande, ridondante di poesia e di generoso ardore, fosse il vanto
supremo, la ambizione massima delle famiglie che contavano sui
proprj antenati. Ma se, fra i nostri vicini di Francia, più facili
ad infiammarsi per un' idea, tante pretendono a sì alto onore, e
ripetono dalle prodezze dei cavalieri crociati l'origine degli stemmi
di cui fregiano i loro scudi gentilizj, in Italia se ne menò assai
meno scalpore ; fors' anche, le popolazioni vi presero una parte
più modesta, meno belligera, ajutando il riscatto del sepolcro
di Cristo piuttosto coi mezzi finanziari ed amministrativi, di
cui quelle repubbliche marittime disponevano potentemente. II
Cerio non rammenta se non due personaggi fra i lombardi che
presero parte alla prima crociata: Ottone, figlio di Eriprando Vi-
Arch. Stor. Loinb. — An. I. 26
414 IL PATRIZIATO MILANESE.
sconti, duce dei settemila ambrosiani seguaci di Goffredo Buglione
in Palestina, dove guadagnavasi quell'insegna, dipoi sì famosa,
** in cui dall'angue esce il fanciullo ignudo, „ e Giovanni da Rho,
incaricato di portare il vessillo colla croce rossa in campo bianco ;
fatto che diede alla sua prosapia il diritto di chiamarsi della
Croce. ^ A costoro, coll'autorità del Lattuada, ^ aggiungerò altri
due cavalieri, Angilberto Pusterla e Senatore Settala, i quali, con
alcuni commilitoni, per uscire felicemente nella perigliosa spedi-
zione, fecero voto di promuovere, al loro ritorno in patria da
Terrasanta, la fondazione di una pia opera, che fu detta delle
Quattro Marie. Il Giulini ne cita qualche altro, sulla fede del
Fiamma e di altri cronisti, fra cui due fratelli del sunnominato da
Rho. ^ Lo stesso Fiamma {Man. Fior.) così rende conto del ri-
torno in Milano di alcuni crociati: " Anno Domini 1100, etc. Otto
Vicecomes, Joannes Rhodensis, et Rozius de Cortesela cum aliis
Ciyibus Mediolanensis ad hanc civitatem sunt reversi, et fuit mi-
rabile gaudiuna in terra. Tunc Ecclesia S. Sepulchri fabricata
fuit. „ *
Il Sitoni di Scozia osserva, che, prima della dominazione di
Spagna, molte famiglie magnatizie milanesi, anche fra le più an-
tiche , attendevano con lucro alla mercatura, e perfino all' orefi-
ceria, senza che per questo credessero derogare menomamente
* I bandieraj dalla milizia milanese, anticamente erano sempre tolti fra distinti
personaggi. — II sarcofago della famiglia della Croce, scolpito in marmo da artista
ignoto, della prima metà del secolo XV, si può vedere nella basilica di Sant' Ambro-
gio, nella cappella III a destra di cbi entra.
2 Descrizione di Milano, voi. II.
' Fra gli Italiani che seguirono la Crociata bandita da Lodovico di Francia e da
san Bernardo, fu Cacciaguida, capostipite della famiglia di Dante Alighieri (appar-
tenente agli Elisei, che pretenderebbesi procedano dai Frangipani), il quale vi tro-
vava la morte per mano dei Maomettani. Dante lo incontra in paradiso {canto XV).
Una tradizione popolare narra come il fiorentino Pazzo de' Pazzi si recasse alla
prima crociata, guidando uno stuolo di giovani valorosi, e che pel primo si inerpi-
casse sulle mura dì Gerusalemme. Avrebbe, in conseguenza di tali gesta, ottenuto lo
stemma della casa di Goffredo di Bouillon, colla corona murale, nonché tre pietre,
tolte all'avello di Cristo {vedi Zitta).
* Gli Ecelini portavano nel loro stemma, e precisamente sulla parte davanti del ci-
miero, la croce azzurra, indizio di famiglia che prese parte alle crociate. — Pare anzi
che Ecelino il Balbo fosse capo dei Lombardi che andarono alla conquista di Terra
Santa nell'anno 1147.
IL PATRIZIATO MILANESE. 415
alla loro dignità; ^ consuetudine che accennerebbe, nella mag-
gioranza, origini, tradizioni, tendenze popolaresche. In gran fa-
vore era l'arte della lana, incoraggiata con molto studio, perfino
con un decreto ducale (17 luglio 1493) — forse il primo esempio
di espropriazione forzata per pubblica utilità che si conosca — in
cui è detto : " se alcuno voglia fabbricare sontuosamente ed eri-
gere una manifattura di lana „, il vicino sarà tenuto a cedergli a
prezzo la propria casa. ^ Si conserva nell'archivio della nostra Ca-
mera di Commercio un prezioso volume in pergamena — che
mercè la squisita gentilezza del segretario cavalier Pisani potei
ispezionare — contenente la matricola, in cui sono registrati, in
sei gruppi corrispondenti alle sei porte della città, tutti i manifat-
turieri di tessuti di lana, colle loro rispettive marche di fabbrica.
Tra essi spiccano numerosi cognomi, rinomati per antichissima
nobiltà; né sarebbe ragionevole il dubbio, si tratti qui di nuove
casate, che facciano le loro prime armi coli' industria ; poiché fra
essi leggonsi, coi Cotta*, coi Pozzobonelli, cogli Ajroldi, coi Ca-
sati, coi Crivelli, nomi fra i più celebri del vetusto patriziato,
qualche famiglia sicuramente feudale, quali sono i Capitane i
di Arsago, di Imbersago, di Bresso, di Vimercate col loro ti-
tolo. E nemmanco si può pensare tale inscrizione fosse una for-
malità compiuta colla mira di rendersi meglio accetti al partito
popolare; giacché i più anticamente registrati non risalgono oltre
lo scorcio del secolo decimoquarto, e giù giù si arriva fino al 1723;
correndo un lasso di tempo in cui il paese fu retto da principesca
signoria, non di soverchio tenera delle forme democratiche. Com-
mercio e nobiltà erano tanto compatibili, che il Corio, parlando
* Il Sitoni cita le seguenti famiglie che applicavansi al commercio nei secoli deci-
moquinto e decimosesto : — Adda — Aliprandi — Archinto — Aresi — Arrigoni —
Billia — Bescapè — Borri — Borromeo — Bossi — Brebbia — Calcbi — Casati —
— Castiglioni — Cusani — Crivelli — Dugnani — Fagnani — Lampugnani — Litta
— Melzi — Medici — Parravicino — Porro — Pozzobonelli — Rasini — Resta —
Rovida -* TerzagM — Vimercati — Visconti. Io posso aggiungere che quasi tutte
le qui riferite famiglie sono inscritte fra gli industriali della lana^ nella matricola
esistente presso la Camera di Commercio.
Cristoforo Taverna, figlio di Stefano, teneva hanco, e fu l'inventore della tontina,
che introdusse pel primo in Milano, antorizzatovi dall'editto 9 gennajo 1448 (Vedi
Veeri, Storia di Milano, voi. II).
^ Gakga^vTINi, Croìtologia di Milano.
416 Ili PATRIZIATO MILANESE.
di Vitaliano Borromeo e di Zanino Maraviglia, potè definirli no-
hili mercanti (L. V. Gap. I). Ma, colle idee impregnate di pretto
feudalismo, venuteci di Spagna, a rendere più tagliente la demar-
cazione fra i ceti superiori della società che prima, sul terreno
del patriziato commerciante, avevano l'aria di mescolarsi, o al-
meno, porgersi amicamente la mano, invalse l'opinione, che l'abi-
tudine del trafficare, formasse a costumi ingenerosi, e smorzasse
gli slanci cavallereschi non solo, ma eziandio rendesse proclivi alla
menzogna ed alle subdole astuzie; sicché, la famiglia del conta-
dino che coltivava la terra, era tenuta in maggior stima di quella
del facoltoso mercante. Credo pertanto conseguenza di questa nuova
corrente di idee, il fatto evidente delle raschiature di alcuni nomi,
dalle pagine del citato volume, e non dubito punto di attribuirlo
all'intrigo di poche orgogliose famiglie, dominate da un puerile
rispetto per gli apprezzamenti castigliani, alle quali cuoceva di
vedersi confuse con molti della plebe..
A sancire, quasi ufficialmente, tali pregiudizj, venne fuori, nel-
l'anno 1593, la deliberazione del Collegio dei nobili dottori, giu-
dici e cavalieri (detto anche, più concisamente, dei nobili giurecon-
sulti). Questa grande istituzione, ricostituita per impulso ed a spese
del sommo pontefice Pio IV, fu sempre il santuario della aristocra-
zia. Per esservi ascritti bisognava, in primo luogo, provare una
nobiltà di centoventi anni; inoltre, essere nato da legittimo ma-
trimonio, nella città o diocesi di Milano, da genitori che non pa-
tissero " macchia d' infamia o di cosa brutta. „ Finalmente, per
l'anzidetta deliberazione, dovevansi escludere dalla confraternita
tutti coloro, le cui famiglie avessero posto le mani nella merca-
tura. Quest'ultima inconsiderata restrizione distolse la nobiltà
da un esercizio a cui, per l' addietro, dedicavasi con vantaggio,
e che ne risanguava continuamente le vene, in un tempo in cui la
servitù della patria rendeva stentata, ingloriosa, ristretta a pochi,
la carriera delle armi : e fu questa una delle cause principali che,
snaturandone essenzialmente l' indole, infiacchì il nostro patriziato,
che aveva già tanti motivi di decadere. Ma i signori cavalieri
giureconsulti non ammettevano transazione di sorta, al punto
che rifiutarono accanitamente l' iscrizione nel loro collegio ad
Alfonso Litta, rampollo di una delle più potenti famiglie di Mi-
lano, il quale fu in seguito arcivescovo e cardinale, sotto pre-
IL PATRIZIATO MILANESE. 417
testo che qualcuno de' suoi teneva, od aveva tenuto, banco di
cambio in Spagna ; né vi potè penetrare se non dopo lunghe con-
troversie.
Neil' insigne collegio dei fisici non si era cosi difficili ; però si
ricevevano fra i collegiati solamente coloro che offrivano prove
di nobiltà, giacché di quei tempi i nobili, a differenza dei loro
pari di Piemonte, dediti quasi esclusivamente alle armi ed alla
politica, non isdegnavano di praticare l'arte medica, pur che qual-
cosa si facesse a vantaggio del proprio simile, ad onore della ca-
sta (le nostre cronache ricordano con riconoscente affetto il nome
del protomedico Lodovico Settala). Essi godevano " molti pri-
vilegi ed onorificenze, tra le quali d'intervenire a solenni funzioni,
indossando una toga purpurea listata di pelliccie, ed un berretto
simile in capo. Kicordano i nostri storici che i fisici portavano le
aste del baldacchino, sotto cui stava Isabella d'Aragona allorché
entrò in Milano, sposa di G. Galeazzo Visconti. „ ^ Anzi pare ne
nascesse una specie di diritto molto apprezzato ; infatti, nel solenne
ingresso della regina Elisabetta Cristina, sposa a Carlo III re di
Spagna, avvenuto qualche secolo dopo (giugno 1708), gli stessi
signori fisici godono ancora dell' inclito onore di sorreggere il
regale baldacchino, avvicendandosi coi dottori del collegio. ^
La Casa d'Austria aveva massime assai meno esclusive di quelle
della Corte di Madrid, e sempre si oppose alle esorbitanze di ca-
* CusANi^ Storia di Milano.
2 A dare una idea a' miei lettori del cerimoniale in uso nel secolo XVIII, riporterò
l'ordine tenuto dal corteggio formato dai Tribunali della città di Milano, nella so-
lenne entrata della regina Elisabetta Cristina di Brunswik, sposa di Carlo III re di
Spagna, sfilando dalla porta Romana alla cattedrale, poi al palazzo di Corte, nel
giorno 11 giugno 1708.
Avanguardia di corazzieri a cavallo — Corrieri (a cavallo, come i personaggi tutti
che seguono) — Italiani ed altri — Diversi cavalieri — I signori medici collegiati
— Sei trombetta della città — Vicario di provvisione e Tenente regio — Dodici di
provvisione e sessanta Decurioni — Li signori fiscali — Li signori questori del magi-
strato straordinario ed ordinario — Portieri (i soli a piedi) — L' eccellentissimo Senato col
suo Presidente — Regio Capitano di giustizia — Signori cavalieri titolati — Signor gran
Cancelliere — Regina Elisabetta Cristina, seduta su di una lettiga tirata da un solo
cavallo, sotto a ricco baldacchino, portato prima da dieci dottori del Collegio, fino a
San Giovanni in Conca; quivi scambiati da dieci fisici — Carrozze con dame di Corte
— Retroguardia di cavalleria. La milizia urbana stava disposta in parata lungo le
vie, e li signori giudici criminali percorrevano la strada — Il principe Eugenio di
Savoja era alla porta della città, con altri molti, ad incontrarla. (J)a\V Ardnvio civico.)
418 IL PATRIZIATO MILANESE.
sta. Carlo VI, con decreto 13 giugno 1713, aboliva il malaccorto
capitolo . dello statuto dei nobili giudici. Anche l'imperatrice Maria
Teresa, sconfessando l'arbitraria restrizione, imposta da quel Col-
legio senza previa notizia ed approvazione del principe, riconferma
il decreto del suo augusto genitore, e dichiara (17 giugno 1760),
" che chi voglia erigere fabbriche o prenda parte nei negozj di lani-
ficio e di setificio, non perda alcuna delle prerogative della nobiltà,
nonostante qualunque statuto, ordine, consuetudine ;, ^ in contra-
rio. Non volsi per altro dimenticare, che i pregiudizj contro i nego-
zianti erano tutt'altro che fatti nuovi, ma risalgono ad una remota
antichità. Platone, il divino filosofo, preferirebbe il commercio fosse
lasciato^ tutto nelle ùiani degli stranieri, acciocché i beati citta-
dini della sua repubblica non si contaminino con quella lebbra. In
Lombardia, il precoce sviluppo dei liberi Comuni, a scapito del
domato feudalismo barbarico, aveva fatto prevalere un diverso or-
dine di idee; ma poscia, mutato il vento, le nuove abitudini erano
già troppo inveterate, per scomparire d'un tratto in conseguenza
d'un decreto sovrano, fosse anche del sacro imperatore.
Le asserzioni portate in un curioso manoscritto, che ha per ti-
tolo La nobiltà smascherata^ rinvenutosi negli scaffali di un dotto
e inesorabile genealogista, vissuto nella prima metà di questo se-
colo, vanno assai più in là. A detta dell' anonimo cronista, la mag-
gior parte delle famiglie nobili milanesi sarebbero uscite dai
bassi fondi del piccolo commercio ; e parecchie di loro non andreb-
bero cogli avi degni del nome di antenati, più indietro del se-
colo decimosettimo e decimosesto; molte poi avrebbero un prin-
cipio di una umiltà veramente grottesca. I dati precisi e l'esat-
tezza di molti fatti, che ho potuto verificare, danno un certo
peso a quelle notizie. Ecco, a cagion d' esempio, qualche cenno
sui capostipiti e discendenti immediati di alcune famiglie; sce-
gliendo fra le estinte, o, che vale lo stesso, totalmente sparite
dalla scena del mondo ; di nome però non ignoto nei fasti citta-
dini; e lasciando, non occorre il dirlo, tutta la responsabilità al-
l'anonimo scrittore.
Andreoìi Bartolomeo^ di valle Vegezzo; lavorò alla campagna,
indi fece il cavallante. Il figlio negoziò in Olanda; il nipote ebbe
il titolo di marchese.
' Archivio civico.
ÌL PATRIZIATO MILANESE. 419
Cittadini. Tintori in Cittadella di Porta Ticinese di Milano,
l'anno 1429 — Giovanni^ tintore alla Vetra (vedi il , privilegio
della concessione della sciostra, 7 giugno 1442, del duca Filippo
Maria Visconti) — Donato (1504) mercante di lana, drappiere
descritto (vedi la matricola) — Giovan Donato^ vicario di prov-
visione, ed ambasciatore della città a Filippo II di Spagna.
Aròona Stefano, uomo di povero stato, operajo in lavoro di
seta (1550) — Pietro (1567), bottegaio, o sia artista di calamarj,
a san Giovanni Laterano; come da polizza rogata da Ambrogio
Zavattari (1568, 1569, 1608); mercanti di bindello e teleria
(1615), indi mercanti matricolati d'oro e di seta. — Feudatarj di
Agrate nel 1690; marchesi nel 1708.
La stessa origine, a un dipresso, vorrebbe attribuire ai pa-
trizj Caravaggi (da non confondersi coi marchesi di Caravaggio,
Sforza Visconti), Arrigoni, Brebbia, Coloml^i, Girami, Imbona-
ti, Piantanida, Lattuada, Bellini, Maggi, Lucini, Eecalcati, ecc.;
quasi tutte famiglie dipoi insignite del titolo marchionale; senza
■ che da molte di esse gli acquistati blasoni fossero meritati da
civili virtù, fatti militari, valore nelle scienze o nelle arti, grandi
ricchezze.
Un'altra cronaca, pure manoscritta, che si direbbe stesa cogli
stessi intendimenti, narra altre stranezze genealogiche. Ne riporto
alcune, prese qua e là:
Perini, conti di JBresso. Antonio, nativo di Rezzonico sul lago
di Como, oste a Milano alti tre scagni — Francesco Ilaria, cau-
sidico nel 1650; per la sua virtù fu ammesso al Collegio dei pro-
curatori, e indi sindaco della città nel 1662 — Giuseppe Anto-
nio, SLYYOca^to', conte nel 1716; senatore nel 1724.
Peverelli, marchesi di Villanova di Ardenghi Giacomo, giojel-
liere nella contrada degli orefici — Gerolamo, abate dei banchieri
nel 1656 — Giacomo, marchese nel 1669.
Gli Homodei, di cui si vedono le tombe nella chiesa della Vit-
toria (con medaglioni in bronzo, scuola del Bernini, rappresentanti
i ritratti di Giovanni, Giacomo, Agostino, Francesco e Giambatti-
sta), chiesa fatta terminare nel 1669 dal cardinale Luigi Homo-
dei, avrebbero avuto la loro origine da un xjostaro di grasso, al
€arrobio di Porta Ticinese.
I marchesi Silva derivebbero da Pietro Giacomo, prestinaro
420 IL PATRIZIATO MILANESE.
nel 1680 (vedi gli ordini reali, tomo VI, foglio 17); indi impre-
saro — Giuseppe Ignazio è creato marchese nel 1713. — La
stessa origine avrebbero avuto i Silva, conti della Biandrina.
I Crivelli, conti di Ossolaro, non apparterrebbero già alla an-
tichissima famiglia illustrata da Urbano III, come altre di que-
sto nome viventi in Milano; ma sarebbero figliuoli di un Fran-
cesco da Lugano, mastro di muro, che, arrivato a qualche agiatezza,
fu impresario delle fortificazioni di Cremona, l'anno 1648, dove
fece gran fortuna. Le notizie riferentisi a questo casato colli-
mano con quelle offerte dal Cusani, in una nota della sua Storia
di Milano. ^ Anche il Fiamma vorrebbe avvilire l'origine di al-
cune fra le più illustri famiglie ; ma il Giulini se ne adonta,
come di lesa maestà, ed attribuisce quelle affermazioni, sia ad
ignoranza, sia a malizia di quel cronista.
Rispetto ai titoli, quando non rimontino al decimo secolo, gli uni
valgono gli altri; e quelli avuti nel modo che vedemmo pocanzi, han-
no r identica .importanza araldica dei meglio guadagnati : il titolo
di duca, concesso dai Napoleonidi; il titolo di conte, concesso da
re Vittorio Emanuele a chi ha ben meritato della patria, o a chi
ha raggranellato qualche milione, non sono inferiori che per data
a quelli conferiti, trecento anni fa, da Carlo V o da Filippo II,
per motivi analoghi ; la sola differenza starebbe nella gradazione
del titolo stesso. Le disparità vere risiedono nella intrinsica no-
biltà, nella storia delle famiglie. Savio, filosofico fu quindi il
partito, preso dalla attuale Corte d' Italia, di non distribuire,
per r innanzi, nuove lettere di nobiltà. La nobiltà, la qualità di
patrizio, sono cosa propria, indipendenti; esistono da sé nella fami-
glia, non ponno essere speciali all' individuo ; si fanno valere, non
si chiedono, né accettansi, come dono, da un monarca; nessuno
può darcele; uno potrà mendicare un titolo, comperarlo a peso
* La scienza apriva, più che al dì d'oggi, l' adito a questo genere di onori. Un
Tadeolo da Vimercato, assunto nel 1335 nel collegio dei giurisperiti di Milano; pro-
fessore di diritto canonico nelle università di Piacenza e di Pavia, fu creato conte pa-
latino dall'imperatore Sigismondo nel 1418 {vedi Argellati). — Anche il Petrarca era
stato insignito dello stesso titolo dall'imperatore Carlo IV, negli anni in cui visse in
Lombardia. — Nel museo Trivulzio si conserva un avorio rappresentante l' imperatore
Massimiliano, il quale ricompensa col conferimento di un titolo di nobiltà un autore
che, introdotto dal duca di Ferrara, ginocchioni, ofFregli un suo libro.
IL PATRIZIATO MILANESE. 421
d'oro, come ai tempi di Maria Teresa; guadagnarselo onorata-
mente sui campi della guerra o della politica: questo titolo, se-
condo l'usanza primiera, fatta rivivere da Napoleone I, potrebbe
essere anche ristretto alla unica persona'; ma, all' incontro, non
sarà razionale, se non di constatare e ratificare, colle debite forme,
la posizione patrizia di tutto un intero casato ; fare, come si dice,
le prove, ottenendo, in ogni caso, la sanzione della pubblica opi-,
nione. La parte attiva di sì dilicata missione in Milano era affi-
data, come vedemmo, ad un giurì di intemerati cittadini, i Con-
servatori degli Ordini, tolti fra i decurioni della città, i quali
pronunciavano scevri di ogni favoritismo, e il loro verdetto era
appunto la espressione imparziale della vox populi. D'altra parte,
considerata la questione sotto un diverso aspetto, qualcuno di
quei signori di fresco nobilitati, i più malmenati dall' intrepido
smascheratore, anche ammettendo la teoria del diritto di con-
quista, il quale, qualora fosse dal pontefice romano consacrato
ed elevato in diritto divino, supponevasi identico a quello tutto
cristiano di giustizia, quindi superiore ad ogni umana legge (teo-
ria la più ortodossa in fatto di aristocrazia), avrebbero potuto ra-
gionare a un bel circa così. I conquistatori barbarici ci misero
il piede sul collo, e ci tennero fino ad oggi soggiogati con la
forza. Se uno di noi vinti di sangue latino, non più con brutale
violenza, non più con stragi, con saccheggi , ma coli' indefesso
lavoro delle nostre mani o del nostro ingegno, cioè, coi soli
mezzi ora tollerati, si rialza dall'avvilimento, e, fattosi potente
per ricchezze, debella alla sua volta, non più col ferro stermina-
tore della spada, ma con oro coniato, uno di quei tremendi vin-
citori, si adagia per così dire al posto di lui, comperandone feudi,
palagi, ville, titoli, fors' anche il nome, e fa sanzionare la propria
civile rigenerazione .da benedizioni apostoliche, di rado rifiutate,
il neo-barone non sarà forse in regola colla più meticolosa, la più
legittimista delle araldiche? — A lui non mancava se non la pa-
tina del tempo. In ogni modo, la società ci aveva guadagnato se
i recenti onori erano stimolo a perfezionarsi ; se mettevano in pun-
tiglio chi n'era insignito di giustificare la metamorfosi col rendersene
degno; e, ammesso che la nobiltà fosse utile a qualcosa, questi
neofiti, ricevuto il battesimo, surrogavano con reclute fresche,
le diradantisi file, barcollanti per decrepitezza; poiché, le fami-
422 IL PATRIZIATO MILANESE.
glie non muojono solo di morte fisica e violenta, quando sono
ancora in pieno fiore, ma eziandio di morte morale, quando in-
teramente esaurite nell'energia dello spirito sfiniscono in una com-
pleta inazione. Potrei citare esempj di famiglie celebri credute estin-
te, la cui discendenza legittima vive tuttora, ma così miseramente
avvilita, oscura, da non più riconoscersi, e con nessuna spe-
ranza di ritornare a galla. Però ebbi campo di rilevare, che
quelle fattesi grandi con mezzi artificiali, in tesi generale, hanno
una forza di resistenza, una coesione, una tenacità molto mi-
nore , quindi una vita morale assai più breve di quelle innal-
zatesi naturalmente, e appunto per ciò dotate di una tempra ab-
bastanza salda, da renderle tetragone a tante cause di distru-
zione e di decadenza. — Aboliti i feudi in Lombardia, la terra
cessò dall'essere dispensatrice compiacente di titoli a quelli che
facevano fortuna. Allora, per accontentare l' umana vanagloria,
si ricorse ad altre finzioni; si suppose che con tali favori il prin-
cipe rimunerasse servigi straordinarj resi alla patria, o atti filan-
tropici importanti, come avvenne davvero qualche rara volta. La
tassa d'obbligo avrebbe dovuto essere un accessorio, giacché è an-
che logico che chi pretende a primeggiare sugli altri, sia fornito di
tali mezzi che gli permettano di pagare i chimerici vantaggi delle
desiderate distinzioni, e di fruirne senza andar nel ridicolo. Chi
poi meritamente si innalzasse per azioni strepitose, potrebbe ri-
petere le parole di Mario, l'eroe più profondamente animato da
tutti i rancori della democrazia romana contro il patriziato; il
quale, dopo aver scagliato un profluvio di invettive contro i pa-
trizj, conchiudeva: " Se essi credonsi in diritto di disprezzarmi,
disprezzino innanzi tratto i loro avi, nobilitatisi al pari di me
colle loro virtù. Non vai meglio essere sé stesso 1' autore della
propria fama, piuttosto che sciupare quella che vi é stata tras-
messa? „ Il terzo Napoleone, nella sua storia di Cesare, riporta
per intero, e con certa compiacenza, la filippica del gran popo-
lano, che avrebbe potuto stare a cappello nella bocca del vinci-
tore di Jena.
Certamente tali ragioni, per quanto semplici, e forse appunto
per ciò, non erano della tempra di persuadere la nobiltà del se-
colo decimosettimo, educata alle fisime castigliane, perfezionata
dai pedanteschi trattati sulla cavalleria, di Francesco Birago. La
1
IL PATRIZIATO MILANESE. 423
patente contraddizione fra le massime esclusive di cui essa era
imbevuta, e la larghezza con cui la Corte ammetteva tanta pleba-
glia nel sacrario della aristocrazia, è così enorme, che non si spiega
se non col bisogno del governo di cavar denaro da' suoi popoli, e,
in certi momenti, appunto negli anni in cui si agevolava senza
freno, col vivo suo desiderio di riempiere i vuoti fatti dalle pesti-
lenze; salvo a calmare gli scrupoli nobiliari con degli espedienti.
Tra i più usitati fu quello introdotto da uno sciame di genea-
logisti di professione, i quali, non solo facevano pompa di una
strampalata erudizione, affibbiando gloriosi antenati a tanti inno-
centi figli del popolo, cólti dalla manìa dei titoli; ma a convali-
dare quanto svergognatamente asserivano, andavano fino al punto
di fabbricare di pianta diplomi e documenti falsi. Il giuoco con-
tinuò lunga pezza senza troppi inconvenienti; fintantoché, colma
la misura, uno di essi, il più audace, dovette pagare il fio^ per
tutti. Fu questi Giacomo Antonio Galluzzi (o Gallizio), il quale,
convinto di questi abusi, veniva, colla disinvoltura che usavano
i nostri predecessori, quando si trattava della vita di un condan-
nato di qualsiasi specie, strangolato, indi abbruciato sulla piazza
di Santo Stefano (1681). Chi sa quante famiglie pagarono i loro
blasoni posticci col sangue di quello sciagurato! È dunque evi-
dente, pel fin qui detto, che, in massima, non esisteva in Mi-
lano aristocrazia di stirpe, come in molti altri paesi, ma piuttosto
di celebrità più o meno di buona lega; al punto che citansi casi
in cui la medesima famiglia aveva una diramazione nobile ed altra
plebea, quantunque ambidue del pari illustrate da personaggi pre-
clari: che l'olimpo milanese era sempre aperto a chi volesse en-
trarvi con tutti gli onori: che i cavalieri titolati del secolo XVII
erano assai meno intrattabili di quanto noi ce lo immaginiamo:
infine, non era difficile emendare, come dice il Parini, il difetto
del sangue coi
.... compri onori
E le adunate in terra e in mar ricchezze
Dal genitor frugale in pochi lustri,
per diventare, un bel mattino, uno dei Firopi scintillanti di que-
sto mondo, come enfaticamente si esprime il secentista Cresce nzi,
nella sua indigesta Corona della nobiltà d'Italia.
424 IL PATRIZIATO MILANESE.
I titoli altosonanti, in ispecie quello di marchese, vennero pro-
digati, per la maggior parte dalla Corte di Madrid, negli ultimi
cinquant' anni della sua dominazione, come si può accertarsene
scorrendo VElenchus familiarum del Benaglia,^ non solo a fami-
glie nuove, ma anche alle antiche che ne andavano sprovviste,
per indennizzarle del sacrificio che avevano fatto, abdicando alla
loro indipendenza. Quel cervello balzano del Casanova, il fami-
gerato avventuriere, e insieme il ribaldo più sfrontato che abbia
osato scrivere le proprie memorie, visitando Milano per farne
delle sue, osserva che qui un nobile non la poteva fare a meno
di non essere marchese. Nonpertanto, i titoli non erano nell' in-
dole del nostro patriziato. Ai nobili e ai patrizj milanesi, antica-
mente, se se ne eccettuano i pochi feudatarj, era riserbato il di-
stintivo di dominus; illustris dominus; magnificus dominus doctor:
più tardi il magnificus dominus Marchio, o Comes, o Miles, o
Eques. Il titolo di spectahilis ^ di dominus magister, si dava alle
persone civili, ai denarosi negozianti, di una nobiltà solo negativa.
Al posto del dominus sottentrò il don^ nel secolo decimosettimo,
il solo titolo ufficiale a cui il patriziato avesse diritto, anche dopo
che fu assorbito dalla nobiltà. Fu negli elenchi ufficiali dei con-
siglieri comunali dell'anno 1833, che si introdusse dalla autorità
municipale l'uso di sostituirlo coll'appellativo di notile.
La smania delle onorificenze non si limitava alle persone, ma
si era infiltrata anche nei corpi morali.^ Ho sott' occhio un cesareo
reale privilegio, concesso da S. M. Carlo VI, imperatore dei Ro-
mani, re di Germania, di Castiglia, di Leone, d'Aragona, ecc., col
quale, in occasione della nascita del serenissimo arciduca Leopoldo?
principe di Asturia, spontaneamente conferisce il grandafo di Spa-
gna alla città di Milano, al suo vicario di provvisione, e a tutti i
corpi che rappresentano la città stessa. Il diploma è dato in
Vienna d'Austria li 28 ottobre 1716, ed è scritto su pergamena,
in idioma spagnuolo. Decisamente quel monarca non sapeva ras-
segnarsi a non essere re di Spagna : Carlo VI non si scordava mai
' In questo elenco è notato con precisione l'anno e il giorno in cui le famiglie di
Milano furono investite di feudi e di titoli.
^ La Congregazione di Stato di Milano fu innalzata al grandato di Spagna con de-
creto dato in Vienna li 18 aprile 1710. (Archivio civico.)
IL PATRIZIATO MILANESE. 425
di Carlo III. Tale distintivo, riflettendo sulle gerarchie a cui tanto
si teneva, ebbe per conseguenza una lunga ed intricata contro-
versia fra il magistrato ordinario e la città di Milano, in causa
della precedenza che la medesima pretendeva doversele, avuto ri-
guardo alla sua nuova dignità.^
La tendenza a sfoggiare titoli e stemmi a proprio talento, o per
lo meno a rincarire su quelli che veramente competono a ciasche-
duno, fu sempre un ticchio dei popoli di razza latina. Anche in
questo potremmo andare a scuola dai Tedeschi e dagli Inglesi, fra
i quali il rispetto per le rispettive posizioni sociali è si radicato, e
la loro condotta in proposito si castigata, che non si dà esempio
di persone che si facciano belle di distintivi o qualifiche araldiche
a cui non siano a rigore di termine autorizzate dalla legge. A fre-
nare un tale abuso irrompente, l' imperatrice Maria Teresa, con
dispaccio 31 agosto 1750, seguito da un editto correttivo e da un
progetto di tassa per l'acquisto di titoli nobiliari (senza -attinenza
alcuna col patriziato milanese), pubblicato in Milano dal conte
di Harrac, governatore e capitano generale della Lombardia au-
striaca — imitando l' esempio delle prammatiche emanate in somi-
glianti circostanze, l'anno 1591, dal duca di Terranova, e nel 1640
dal marchese di Leganes, ambedue governatori di questo Stato —
prescrive un regolamento sulle armi gentilizie ; non comprendendo
per altro, sotto questo nome, quelle semplici armi o quegli stemmi
che sono una rappresentazione del cognome del possessore e della
sua famiglia (armi parlanti) ; oppurejiella sua arte o negozio, però
senza corona, cimiero aperto, od altro ornamento gentilizio, che
molti ricchi cittadini apponevano alle loro case, per la smania di
imitare la nobiltà, e in date solenni circostanze facevano dipin-
gere, per vecchia abitudine, da certo Bonacina, fertile maestro in
tale innocua simbolica, probabilmente coli' intento di incammi-
narsi così, dignitosamente e senza sbalzi, ad entrare nella classe
privilegiata. Seguono minuziose norme pei titoli, da quelli emi-
nenti di duca e di principe, a quello del borghese signore, il quale
ultimo non potrà assumersi, sotto pena di venticinque scudi di
ammenda, da persone plebee o impiegate in ahhietti esercizj ; ma
solo da chi viva civilmente, oppure si occupi in qualche arte o im-
piego non reputato meccanico e vile.
* Archivio civico (Aràldica).
426 IL PATRIZIATO MILANESE.
Maria Teresa di Absburgo voleva dare novella forma alle leggi
araldiche dell'impero, per ravvivare la decrepitezza di istituzioni
a cui ancor tanto erano affezionate le popolazioni. Avviticchiando
alla salda burocrazia dello Stato quella vetusta pianta, che si chia-
ma araldica, sorta colla cavalleria, sviluppatasi colle crociate, col
feudalismo, coi tornei; svestendola di alcune delle sue parvenze
medievali, antiquate, per foggiarla a sistema più razionale, più con-
forme alle esigenze del secolo in cui viveva, l'imperatrice tentava
infonderle vigore, richiamarla a idee più pratiche. Già molte con-
suetudini cavalleresche avevano cambiato indole, o per lo meno
eransi modificate in guisa da non essere riconoscibili; ciò che deve
necessariamente avvenire di tutte le istituzioni umane, se pur vo-
gliono vivere lungo tempo. Nel nuovo piano del 12 dicembre 1768,
la sovrana nomina una Commissione di patrizj milanesi, presieduta
da don Paolo de Reydo de la Silva, costituente una specie di tri-
bunale araldico, incaricato di rivedere i titoli di tutta la nobiltà.
Risultato de' suoi lavori fu un Elenco Generale, pubblicato mano-
scritto nell'anno 1776, in cui leggonsi " tutti li nomi e cognomi de
Cavalieri (circa 900) e Dame (circa 340) della città di Milano,
che godono l'accesso alla Regia Ducal Corte,,. Nessuno fu escluso
de' patrizj municipali, dei Dottori di Collegio e dei Fisici Col-
legiata In quell'occasione si stabilì alquanto brutalmente una
nuova tariffa per l'acquisto dei titoli onorifici, con un piccolo au-
mento sulle precedenti; dai duemila cinquecento fiorini per il ti-
tolo di marchese, si scende fino ai fiorini duemila per quello di
conte, mille e seicento per quello di barone, mille per quello di
notile, e cinquecento pel semplice don. Chi poi ottenesse un titolo
di nobiltà per saltum, dovea pagare, oltre la tassa del grado in
questione, altri cinquecento fiorini per il salto. Nel caso che le
concessioni fossero gratuite, si doveva sborsare la sola quarta parte
della tassa.^ Coloro che intendevano di chiedere titoli d'onore e di
nobiltà, dovevano prima far accertare dal tribunale araldico i me-
riti, Ventrata della famiglia ed altre decenne; compito non difficile.
Chi poi voleva comperare feudi o titoli, era invitato a intendersela
collo stesso tribunale, ritenuto sempre che per appoggiare il titolo
di conte si richiedeva un feudo di cinquanta focolari, e per quello
■* Archivio civico (Araldica).
IL PATRIZIATO MILANESE. 427
di marchese, uno di cento : obbligo questo, che, in tempi anteriori,
era stato posto in non cale da molti, i quali, ottenuto il titolo,
non si davano pensiero alcuno di comperarne V appoggio ; come ri-
levasi da ripetute lagnanze per parte del governo imperiale; al
quale sconcio si era cercato di riparare col reale dispaccio (11
agosto 1731), pubblicato in Milano dal governatore conte Daun,
con cui ingiungevasi perentoriamente ai titolati recalcitranti di
mettersi in regola entro il termine di un anno/ La stessa impera-
trice, con dispaccio primo maggio 1769, poi con editto 20 no-
vembre 1769, modifica in molte parti quello del 1768. Riduce la.
tassa pei titoli di principe o duca a fiorini quattromila cinquecento.
Vuole che gli avvocati e i sindaci fiscali godano delle distinzioni
dei nobili ; come pure i regi capitani di giustizia di Milano e di
Mantova, i segretarj di governo e dei tribunali superiori, i vicarj
generali, ecc. La nobiltà loro nou potrà passare ai discendenti, se
non quando una delle cariche surriferite non venga nella mede-
sima famiglia sostenuta per tre generazioni; savio provvedimento
per i tempi che correvano, da cui traspare come un tentativo di
progresso. La parte più strana, per chi la consideri dal punto delle
idee moderne, e che farà inarcare le ciglia a parecchi fra i miei let-
tori , è il paragrafo della pompa esterna. L'uso dei cuscini , delle
borse pei libri divoti nelle chiese, sarà esclusivo alle sole dame, sotto
pena di duecento scudi di ammenda. Così del paro resta riservato
alle sole dame l'uso degli sgabelletti, delle cassette d'argento o
inargentate, del guardinfante alla moda di Corte, detto corico; il
farsi sostenere lo strascino o coda degli abiti ; come pure il servirsi
delle fiaccole nell'entrare e nell' uscire dal teatro, precauzione ne-
cessaria a diradare il bujo delle vie non illuminate da pubbliche
faci. È riservato ai soli nobili di antica data, nonché a tutte quelle
persone a cui spetta il titolo di eccellenza, come pure ai senatori
e presidenti di tribunale, l'adornare con fiocchi le teste dei ca-
valli; quando però non risieda in paese un principe od una prin-
cipessa della Casa imperiale, nel qual caso sarà a tutti proibito,
eccetto ai cardinali ed ai principi del S. R. I.^ Ai soli nobili sarà
* Archivio di Stato.
^ All'arrivo deirarciduca Ferdinando in Milano, nella qualità di governatore e capi-
tano generale della Lombardia, il tribunale araldico, con avviso 8 ottobre 1771, ini-
bisce di ornare con fiocchi le teste dei cavalli, salvo i cardinali e i principi del S* R. I.
(Aì-cìàvio civico. Araldica),
428 IL PATRIZIATO MILANESE.
permesso di vestire i domestici con livree a più colori, guernite
con passamani e nastri d'oro e d'argento. Proibito, sotto pena
di scudi cinquanta di ammenda, il condurre seco in città più di
due staffieri. Ai nobili di primo ordine sia permesso anche un lac-
chè; ai titolati di Sua Maestà più d'uno. I soli nobili potranno, in
occasione di matrimonio, di funerali, di inviti a qualunque adu-
nanza lecita, mandare circolari a stampa. L'uso della spada o pa-
losso, in città, sarà inibito alle persone professanti arti od esercizj
meramente meccanici.^ Tutte particolarità che farebbero credere tra
noi e i nostri nonni essere trascorsi parecchi secoli. Non mai sociale
trasformazione fu più repentina, più completa. Tutto un mondo ci
separa dai tempi in cui il principe Trivulzio (1661), provocato da
un marchese Vercellino Visconti, in tuono piuttosto brusco, mentre
passava in carrozza per una via della città, rifiutava, con piglio sde-
gnoso, di battersi seco, perchè credeva che lui, principe e feudatario
del sacro romano impero, non dovesse abbassarsi a raccogliere il
guanto d'un semplice marchese, fosse pure un Visconti, e per giunta
* I titoli oggigiorno non sono più se non una finzione, ricordante cariche altre volte
di somma autorità.
Il titolo di principe, nel senso particolare, direi moderno, fu adoperato per le primo
volte ai tempi di Carlomagno, da un duca di Benevento, poi dai duchi di Capua e di
Salerno; esso, in molti casi, può avere un carattere generale, ed applicarsi indistinta-
mente a chi regga un popolo, o a chi appartenga a casa regnante. Tardi discese ai
signori delle terre, e fu usato specialmente dai Longobardi (Langhard). Quello di duca,
che dai Romani si attribuiva a chi guidasse esercito alla guerra, colla caduta dell' im-
pero d'Occidènte, applicossi alla carica di governatore di una intera provincia. Il titolo
di conte, al governatore di una città, o di una terra, quantunque trovinsi esempj in cui si
dia tale titolo anche al governatore di grosse provincie ; e viceversa, quello di duca al
modesto governatore di una città o castello. Mentre 1' appellativo di conte era in uso
fino dai tempi di Roma imperiale, quello di marchese fu introdotto dai Franchi, per
denominare duchi e conti, cioè governatori reggenti provincie poste ai confini del regno,
dette marche. I conti del sacro palazzo, o conti palatini, istituì vansi dai re franchi»
nella Corte dei quali, fino dal secolo VI, fu in vigore tale dignità; da dove passava
in Italia con Carlomagno. Essi giudicavano tutte le cause del regno, che per appella-
zione fossero portate al tribunale del re. Il conte comandava alla milizia e decideva
le liti dei sudditi, portate a lui dai tribunali minori. I viceconti o visconti erano luo-
gotenenti 0 vicarj del conte. Coli' andar del tempo, si stabilì la consuetudine che i figli
succedessero al padre nella carica e nel titolo stesso. Il titolo di barone era generico,
più esclusivamente feudale, ed applicavasi piuttosto ai feudatarj in secondo grado, non
aventi titolo speciale, e non rilevanti direttamente dal re e dall'imperatore, ma dai
grandi feudatarj di quelli; in tal caso, equivaleva al titolo di capitaneo, valvassore e
milite maggiore; da cui derivavano poi i titoli di cavaliere e di nobile, di signore, di
commendatore. L'espressione di milite di Sant'Ambrogio non indicava un ordine speciale,
IL PATRIZIATO MILANESE. 429
un personaggio di vaglia:^ dai tempi in cui la piccola nobiltà ac-
correva in folla ai ricevimenti ufficiali della Corte dell'arciduca
Ferdinando, governatore della Lombardia austriaca (1771-1796),
col patto sottinteso e puntualmente osservato di starsene sempre
in piedi, e di aggirarsi, come anime in pena, nelle sale della reg-
gia, senza mai sedere, per quanto le loro gambe reclamassero un
salutare riposo. Dante non pensava a porre tale tormento in una
bolgia del suo Inferno ! A questo quadretto di genere può fare sin-
golare contrasto il selvaggio proclama, pubblicato il 31 dicem-
bre 1796, dal Dupuy; comandante francese àeìlsi. pia^0a di Mila-
no^ con cui ordina perentoriamente, e pel diritto della sciabola,
la distruzione di tutte le armi gentiìime, lavorini di livrea, hlasoni,
scudi, stemmi, ecc., ecc.^ Eppure, passato, col dirozzarsi dei co-
stumi, il vezzo delle prepotenze e delle angherie, i costumi erano,
più di quello si creda, semplici, patriarcali; la buona fede incon-
cussa, illimitata; la religione rispettata; in ogni circostanza so-
lenne della vita, come nelle quotidiane, si invocava immancabil-
ma solo il luogo dove era avvenuto il conferimento del cingolo ; e ciò soleva farsi nella
basilica di Sant'Ambrogio.
Quasi tutte le famiglie italiane titolate, ora esistenti, furono decorate dei loro titoli
(semplice qualifica, che non portava conseguenza alcuna) non prima dell' abolizione
delle repubbliche, avvenuta nel decimoterzo secolo. Rarissimi sono oramai in Italia i
discendenti dei marchesi, che veramente ne esercitassero le funzioni, come i d'Este, i
Monferrato, i del Vasto, i Saluzzo, i del Carretto, i di Cova, di Cravesana, di Susa, di
Incisa, d'Ivrea, di Savona, i Malaspina, i Pallavicino; e dei conti effettivi, quali furono
quelli di Biandrate, di Onara, di Seprio, di Cuneo, di Lumello, di Lavagna, di Sabbio-
neta, di San Bonifacio. Il Litta accenna ad una tradizione che vorrebbe che la famosa
diramazione detta in Piemonte dei sette marchesi, cioè di Loreto, Cortemiglia, Clave-
sana, Busca, Ceva, Saluzzo e del Carretto (alcuni escludono Loreto, che era contea, e
vi aggiungono invece i marchesi d'Incisa), appartenesse, insieme con Guglielmo, capo-
stipite della famiglia di Monferrato, al ceppo dei marchesi d' Ivrea, da cui uscirono gli
ultimi re d' Italia, spogliati dagl' imperatori di Germania ; nel qual caso avrebbero comune
l'origine coi conti di Savoja e coi conti di Valperga. Dalla stessa casa procederebbero
i marchesi del Basco e di Ponzona. Ai soli maschi competevano questi titoli; facevano
eccezione alla regola le donne direttamente investite di feudi, come lo fu, nel secolo un-
decime, la celebre contessa Matilde. (Vedi Fumagalli, Muratori, Giulini, ed altri.)
* Archivio civico.
* Noterò un particolare, di poco rilievo, se si vuole, ma che dimostra sempre più
come, ad ogni pie sospinto, risaltasse la separazione delle classi. .Negli accordi per
avere ingresso libero agli spettacoli del teatro alla Scala (vedi avviso 1778), si dif-
ferenziavano i prezzi che dovevano pagare le cappe nere, la nobiltà, la cittadinanza.
Tanto più la classe era elevata, tanto più caro era il tasso. In alcune città dell' Italia
centrale tali usi perdurarono fino a pochi anni fa.
Arch. Stor. Loml. — An. I. 27
430 IL PATRIZIATO MILANESE.
mente l'ajuto del buon Dio, e in morte legavansi i fondi necessarj
a far celebrare migliaja di messe in suffragio dell' anima. Il po-
polo ricorreva fiducioso, riverente, ai grandi per procurarsi la loro
valida protezione, ogni volta ne abbisognasse, senza il minimo
astio, come a padri misericordiosi, e quelli, sentendosi adagiati
sopra un seggio ancora inattaccato, deposta l'aria burbanzosa, per
assumerne una di occasione, direi quasi espansiva, usavano ogni
maniera di cordialità coi loro clienti, e se ne cattivavano V affe-
zione con elargizioni di ogni fatta. Insomma, l'accordo fra il pa-
trizio e il vecchio Meneghino era confidenziale, intimo, senza una
nube.
Il patriziato, oramai confuso coll'alta nobiltà, ma sempre estra-
neo alle nuove cesaree disposizioni, non rilevando che dagli sta-
tuti che si era imposto volontariamente, aveva, da molto tempo,
perduto ogni lena, ogni energia di opposizione, ogni velleità di in-
dipendenza; la questione che lo appassionava era tutta nell'optare
fra i due padroni; per quello di Madrid o per quello di Vienna.
Finite le guerre, e firmata la pace di Aquisgrana, cessarono le
dubbiezze, e si mantenne inalterabilmente devoto alla causa del-
l'impero, sotto la cui immediata sovranità era caduto; di meglio
non desiderando che di vivere in pace e di mostrarsi suddito fe-
dele e affezionato del re dei re, nella augusta persona del quale
riunivansi, con un fatto tutto nuovo nella storia della Lombardia,
le due autorità di signore supremo e di vassallo maggiore di sé
stesso, in quanto era duca di Milano.
Le leggi innovatrici di Maria Teresa erano quindi accolte con
riconoscenza, con entusiasmo.
A dimostrare come, anche nelle faccende di famiglia, la nobiltà
investita di feudi invocasse l'autorità imperiale, riporterò due
esempj. Il primo si legge nel volume terzo della storia di Milano
di Francesco Cusani.
Kenato Borromeo, primogenito della contessa Clelia, donna di
tempra fuori del comune, dopo maturo consiglio, aveva prescelto
in isposa (1743) Marianna Odescalchi, figlia del duca di Bracciano.
Condotte a termine le lunghe e difficili trattative, la contessa Cle-
lia, mutato improvvisamente avviso, si dichiarò contraria alle sta-
bilite nozze, e si accinse ad osteggiarle con tutte le sue forze.
Renato, fermo nel suo proposito, ricorre a Maria Teresa, quale
IL PATRIZIATO MILANESE. 431
arbitra suprema, per legge feudale, di ogni atto civile dei proprj
vassalli. All' imperatrice conveniva quel matrimonio, poiché cogli
Odescalchi poteva fare a fidanza, come con famiglia ligia al par-
tito imperiale. Per mettere a dovere la indisciplinata matrona,
inviò un rescritto al governatore Lobkowitz, che non ammetteva
repliche. Eccolo : .
" Informata con autentici avvisi e colle doglianze del conte Re-
nato Borromeo, che, dopo stabiliti e sottoscritti i di lui capitoli
matrimoniali, con previo accordo de' suoi genitori, interpostavi an-
che l'autorità del nostro Senato di Milano, si procura dalla con-
tessa donna Clelia sua madre, di frapporre imbarazzi e dilazioni
per impedirne l' adempimento, non potendo noi dissimulare tali
sotterfugi che offendono la giustizia e il decoro delle risoluzioni
che a tenore di essa si sono prese, vi comandiamo di far abbas-
sare i vostri ordini al Senato che indilatamente proceda contro
della contessa donna Clelia, se prima di giungere questo nostro
dispaccio non avrà desistito dalla sua contraria condotta, e non
saranno interamente adempiti gli accennati capitoli matrimoniali,
di niodo tale che il conte Renato, di lei figlio, non abbia motivo
di farcene novelli ricorsi. Ed avvertirete il Senato che per vostro
mezzo ci dia puntuale contezza dell'esecuzione di questo nostro re-
scritto. Vienna, 9 novembre 1743. ,,
Narra lo storico Cesare Cantù, nel suo libro: Beccaria e il di-
ritto penale, che' il padre di questo grand' uomo, il marchese Sa-
verio, non trovando in lui abbastanza autorità per impedire che il
giovine suo figliuolo Cesare sposasse Teresa, figlia di Domenico
De Blasco, di nobiltà siculo-ispana , ma, a parer suo, non fornita
di sufficienti dovizie, invocò l'ajuto di Francesco d'Este, ammini-
stratore del ducato milanese, il quale intimava al giovinetto riot-
toso alla volontà paterna, l'arresto in casa, ed incaricava il mar-
chese Stampa Soncino della dilicata missione di comporre alla
meglio il diverbio. Ma il marchese padre, non contento di sì poco,
per assicurare il partito, rivolgevasi direttamente alla stessa im-
peratrice; la quale faceva scrivere dal Kaunitz al conte Amor de
Seria, consultore del governo. Se non che, andata vana l'opera sia
di quest'ultimo, sia del marchese di Soncino, dopo tre anni di deten-
zione. Cesare Beccaria venne finalmente lasciato libero il giorno
20 febbrajo del 1761, e padrone d'impalmare l'amata fanciulla.
432 IL PATRIZIATO MILANESE.
Dopo aver passato in rapida rassegna qualcuno dei provvedi-
menti con cui' r imperatrice regolava i titoli nobiliari de' suoi sud-
diti di Lombardia, non senza stendere una mano invadente e in-
vestigatrice nel campo del patriziato municipale della metropoli,
vediamo quali peripezie abbia attraversato quel corpo sacerdotale,
che da secoli era come il palladio dell' aristocrazia feudale, ed
aveva procurato a Milano il suo primo e più completo libro d'oro,
basato sopra un ordine di idee diverso dal municipale, con cui
non si confuse in parte che sul finire del secolo decimosettimo,
sempre nel senso di prestare i proprj nomi, non mai di riceverne
de' nuovi.
Dicemmo come Ottone Visconti, caporione del partito dei no-
bili, vinta la propria causa, e adagiatosi sul trono arcivescovile,
pensasse a dare un qualche stabile assetto a quella classe di cit-
tadini, col concorso dei quali aveva sconfitta la fazione popolare.
I diritti a cui si teneva in altri tempi, in una società essenzial-
mente clericale, erano quelli che aprivano le porte alle cariche
ecclesiastiche, avvegnaché il metropolita ambrosiano fosse di fatto
signore della città. Era dunque logico che il Capitolo maggiore
avesse una suprema importanza, come quella raccolta di perso-
naggi che lo circondavano e consigliavano costantemente. Il cata-
logo delle famiglie degne di aspirare al canonicato della metropo-
litana era un documento decisivo da citarsi, per chi voleva con-
statare l'autenticità nobiliare di un casato. Ci mancano i dati per
asserire durante quanto tempo e con quanto scrupolo fosse rispet-
tato da quell'insigne Corpo accertare in occasione di nuove no-
mine ; quali evoluzioni si effettuassero su questo particolare ; però è
certo che esso Capitolo, tuttoché si mantenesse mai sempre tenace
nel dimostrare una irremovibile antipatia per radicali riforme at-
tentanti ai diritti di casta; nondimeno, qualche rara volta, co-
stretto, dai vuoti fatti dal tempo devastatore, a ricorrere a fami-
glie ad esso estranee, si rivolse alla nuova nobiltà, indipendente
dal patriziato municipale, chiedendone tosto, nei singoli casi, per-
missione 0 sanatoria alla Corte (Ji Roma.
L' istituzione del Capitolo maggiore risale ai primi tempi cri-
stiani: esso equivaleva a tutto il clero superiore della diocesi, nu-
cleo di quella sacra falange che, nei secoli non ancora del tutto
scevri di » paganesimo, doveva " vincere il mondo „ ; e costituiva
§
IL PATRIZIATO MILANESE. 433
una specie di monarchia spirituale, indipendente, con costumanze
sue proprie, non escluso il matrimonio. Il Giulini assevera che, in
sullo scorcio dell' Ottocento, i componenti il clero primario della
nostra metropolitana appellavansi cardinali. Giovanni Vili, fin
dall'anno 880, li chiamava cardinaìes sanctce mediolanensis Eccle-
sice^ e, più propriamente, ordinarj (de Ordine sanctce mediolanensis
Ecclesice) ; ^ comprendevano tutti gli ordini ecclesiastici, cioè preti,
diaconi, suddiaconi, notaj, ed altri chierici; e tale era la loro sin-
golare posizione, che avevano il passo sui giudici imperiali, e su
tutti gli altri ministri laici. Officiavano in due cattedrali: la pri-
ma, posta sull'area dell'attuale duomo, consacrata a Santa Maria
Maggiore, era detta basilica jemale, e serviva pel verno; l'altra,
estiva (Santa Tecla), sorgeva ove è ora lo sterrato della piazza.
Fu demolita nel 1548, per ordine di don Ferrante Gonzaga, in
occasione della venuta in Milano di Carlo V. Il Capitolo, ogni
anno, nel giorno di Pasqua emigrava dalla basilica jemale alla
estiva, dove restava fino alla terza domenica di ottobre, giorno in
cui faceva ritorno alla primiera sede. Consuetudine di cui si con-
serva tuttavia come un riflesso, nel passare che fa dal coro supe-
riore al coro sotterraneo, detto scurolo. Esso Capitolo ebbe il pri-
vilegio, per antichissimo diritto più o meno assoluto, confermato
da diplomi di sommi pontefici e di imperatori, di scegliere, prima
col concorso del popolo, indi da solo, nel proprio seno, fra i preti
e fra i diaconi (ex preshyferis vel ex diaconihus), l'arcivescovo
della Chiesa milanese. Privilegio che rendeva elevata la loro di-
gnità, al punto che, non solamente i figli dei principali cittadini,
ma dei conti e dei marchesi, allora paragonabili a principi, e per-
fino qualche rampollo di re, facevano gara per avere un seggio
in quel Collegio, che aveva quasi l'autorità, il prestigio di un se-
nato; e poteva eventualmente condurre fino al grado eccelso di
conte di Milano. Lo stesso pontefice romano, in dichiarando il
nostro arcivescovo Ansperto da Biassonno decaduto dal trono me-
tropolitano, ordina che il clero e il popolo di Milano convo-
cati coi vescovi provinciali, eleggano per nuovo pastore quello
* Secondo il Fiamma, il nome di ordinarj sarebbe venuto dalla corruzione della
parola cardinale : « Cardinaìes, sive cardinarios, quos, corrupto vocabulo, nunc vocamus
ordinarios. •» •
434 IL PATRIZIATO MILANESE.
fra i cardinali, preti o diaconi, il quale sia stimato il più degno;
aggiungendo invierebbe espressamente legati per assistere all' ele-
zione. Landolfo il Vecchio, che scrive nel decimo secolo, dice no-
verarsi negli ordinarj ventiquattro preti, sette diaconi, sette sud-
diaconi, parecchi notaj, e ventotto (o diciotto) dottori, semplici che-
rici, i quali, addestrati nel canto e nel leggere, pratici del salte-
rio, celebravano le sacre cerimonie. Notaj e lettori ubbidivano a un
primicerio; i preti e i diaconi riconoscevano per loro capo, rispet-
tivamente, l'arciprete e l'arcidiacono. Il coro della cattedrale era
rigorosamente regolato; presieduto, giorno e notte, da questi due
dignitarj, attenti a che i salmi, gì' inni, i canti e le altre parti del
servizio divino fossero eseguite appuntino : che se alcuno, o stava in
piedi, cantava o leggeva senza la dovuta compostezza, o ciarlava
col vicino sottovoce, qualora al primo avvertimento non si correg-
gesse, era condotto in sagrestia, spogliato dei vestimenti sacerdo-
tali, e dal fiero arcidiacono battuto con verghe per bene, si van-
tasse pure superba progenie di conti, di marchesi, di re. Nello
stesso tempo sembra che la disciplina, in certi particolari, fosse
alquanto trascurata ; per esempio, nel modo di vivere, che sarebbe
dovuto essere in comune. L'arcivescovo Ariberto si sforzò porvi ri-
medio, lasciando gran parte delle sue sostanze per imbandire i pasti
capitolari nella canonica di Santa Maria Maggiore, contigua alla
basilica. Anche Leone arcivescovo, nel secolo XIII, accresceva gli
agi di cui fruiva l'illustre Capitolo, col donare a quella mensa co-
mune le chiese di San Bartolammeo al Bosco, presso Tradate, e di
San Giorgio in Legnano, nonché l'ospitale di San Jacopo, colle ri-
spettive pertinenze. Ma il vento non soffia sempre in poppa, e
quando imperversa la procella, è difficile evitare ogni scoglio. Nel
1212, il popolo milanese, parteggiante per lo scomunicato Ot-
tone IV, re dei Romani, scacciò gli ordinarj dalla metropolitana,
di che fu redarguito da papa Innocenzo III.
Dopo il Mille, quando le popolazioni cristiane cominciarono a
rassicurarsi dell'orribile spavento di un prossimo finimondo, il
predominio dell'elemento clericale era andato un pochino sce-
mando; fors' anche per colpa della ostinazione degli ecclesiastici
a non volersi correggere di alcuni abusi. Aggiungi la necessità
di sopire le guerre intestine, ardenti fra nobili e plebei, consi-
gliando i primi, i quali avevano, come si dice, la mestola in
IL PATRIZIATO MILANESE. 435
mano, ad accordare una seria ingerenza nel governo alla plebe.
Si raccolse all'uopo un Consiglio generale, composto dei tre or-
dini, ecclesiastico, nobile e plebeo, cbe doveva essere per molto
tempo arbitro del governo. Nondimanco, il Capitolo maggiora re-
stò chiuso ai popolani fino ad una pace convenuta fra i due par-
titi: capitanei e valvassori da un lato, plebe e rettori del popolo
dall'altro, correndo l'anno 1225. Si sanzionò in quella circostanza,
che sarebbe aperto a persone di qualsiasi condizione ; di maniera
che i plebei, coU'essere ricevuti fra gli Ordinarj, potessero arrivare
alle più insigni dignità della chiesa ambrosiana, eccetto la sedia
arcivescovile, ognora esclusivamente riservata ai Capitanei e Val-
vassori della città e campagna di Milano. In compenso i nobili
ammetterebbersi non solo a godere i beneficj dei Decumani, ^ ma
con .profitto maggiore e per la prima volta, alla carica impor-
tante di Primicero del clero, di spettanza tutta popolaresca; il
perchè ne vediamo, qualche anno dopo, investito Alcherio dei
Terzaghi ordinario di illustre famiglia; mentre, nessun plebeo fi-
gura più nel Capitolo maggiore. La combinazione sarebbe tornata,
in fin dei conti, a totale vantaggio dell'aristocrazia; tanto più
che la concessione fatta alla plebe, osteggiata senza posa del Ca-
pitolo, cadeva presto in disuso. Ma poscia, a togliere anche di
diritto la possibilità che alcuno del popolo indossasse la cappa
rossa col cappuccio dei cardinali milanesi,^ Ottone Visconti, come
già dissi, pubblicava un editto, in cui dichiarava come, seguendo
gli usi degli antichi tempi, i soli nobili potessero aspirare a quella
dignità: annullando ogni anteriore disposizione in senso contra-
rio. Per maggiore cautela, fece poi redigere la sua famosa ma-
tricola, che conservare si doveva nella sagrestia della basilica me-
* I Decumani oflaciavano nelle chiese dette matrici, ossia le principali della città.
Nelle chiese minori, dette cappelle, eranvi pure sacerdoti chiamati cappellani, distinti
dai decumani. A questi tutti, non meno che al clero di campagna, presiedeva il Pri-
micero.
' * Il Torre, nel Ritratto di Milano dice che « i signori Calonaci Ordinarj, quando
-«ono nell'esercìzio de' Corali trattenimenti portano nell'estate gran sorveste chiamata
<5appa di saia tinta in grana, con mozzetta d'ermesino foderata dello stesso colore,
o nel verno con fodera di pelle d' ermellino j e ne' tempi di penitenza quaresimali,
mutasi il colore in pavonazzo: cotesta livrea fu loro concessa da Pio IV Sommo Pon-
tefice alle suppliche di S. Carlo, havendo essi perduta la moda antica di vestirsi di
porpora. »
436 IL PATRIZIATO MILANESE.
I
tropolitana. ^ Giovanni Visconti II, arcivescovo di Milano, instituiva
la preposiUira nell'anno 1450, ancora al dì d'oggi juspatronato
della sua stirpe (duca Visconti di Modrone). Il decanato fu in-
stituito nel 1549. I cinque dignitarj, quantunque il costume di
sferzare gli irrequieti negli stalli del coro sia passato di moda
da un pezzo, perdurarono a portare per insegna la ferula o scu-
discio, a ricordo dell'antica ferrea disciplina. Il capitolo, se an-
dava col tempo perdendo di reale possanza, ammantavasi però di
un certo sfarzo esteriore. Insigniti i suoi membri del titolo di
• La matrìcola comprende i cognomi seguenti: De Amiconibus — Annono — Ayroldis
— De Robiate — Arzonibus — Alzate — Advocatis — Alìprandis — Arconate scili-
cet Capitanei — Arsago scilìcet Capitanei — Armerìo (meglio Ariverio) — Appiano
— Aurisiis — Bizozero — Birago — Biffis — Besutio — Butiis — Bernadigio — Bos-
siis de Acciate — Balbis — Bolgaronibus — Burris — Busnate — Busti scilicet Ca-
pitanei — Bossis, domus Domini Jacopì — Blanchis de Velate — Badagio — Brippio
per privilegium — Basilicapetri scilicet Capitanei — Becaloe — Brioscbo — Bebulcho
— Baldizonibus — Barmi non Laudenses — Biumo superiori per privilegium — Carcano
— Cribellis — Cacharanis — Caponago — Castilliono — Corbis — Carpanis — Cri-
bellis de Parabiago — Confanoneriis — Creppa — Cuticis — Casate — Curte — Calmi
— Capponibus — Cuminis — Curtesella — Cottis — Cribellis de Uboldo — Cribellis de
Nerviano — Caimbasilicis — Canibus — Calcbo — Carugo — Cappellis — Castello de
Cirnuscolo — Comitibus de Castro Seprio — Cornisio (meglio Carnisio) — Cagnolis Ga-
gnola — Cagnolis de Cassano Marengo (forse Magnago) — Cepis — Cazolis — Curtis
— Conradis — Corradis — Cimaliano (forse Cimiliano) per privilegium — Cardano, et
de Castiliono de Cardano — Cassina — Cagatosicis — Castelletto — Cattanei de Busti
Arsitio dicti de Vituda — Daverio — Desio — Dugnano scilicet Capitanei — Derni
(meglio Dervi) scilicet Capitanei — Dardonibus (forse Dardanonibus) per privilegium
— Fagnano -^ Foppa — Figino scilicet Capitanei — Geronibus — Gheringhellis d©^
Careno — Grassellis — Glussiano — Gufredis de Homate per privilegium — Gattoni-
bus per privilegium — Ghiringhellis de Mediolano — Guaschis de Beluscbo — Grasellis
de Boiate et Treno — Hoe scilicet Capitanei — Homodeis per privilegium Judicibus
de Castegnate — Imbresago scilicet Capitanei — Littis — Landriano scilicet Capitanei —
Lampugnano — La Majrola (famiglia ommessa dal Castelli) — La Sala — Landriano —
Olgiate Olona — Luyno — La Turre — La Porta per privilegium -^ Mandello —
Maynerii — Menclotiis — Martignonibus de Boladello — Martignonibus de Roate — Mi-
rabiliis — 'Medicis Portae Ticinensis — Molteno — Marinonibus — Marris — Medicis de Ca-
soretio — Medicis de Nasigia (forse Nusigia) — Matrenano, o Matregnano — Medicis de Al-
bayrate — Medicis de Nevate — Mantegatiis — Marnate — Merosiis de Yicomercato —
Medicis — Nasiis — Oldrendis de Legnano — Creilo de Abiascha Mediolani — Ozeno per
privilegium — Pusterla — Pirovano — Pirovano de Tabiagho — Perego — Petrasaneta
— Pandulfis — Paravixino — Petronis de Cisnusculo — Prata per privilegium — Pe-
tronis de Bernadigio — Putheobonello — Paratie — Platis — Porris — Paravisino de
Bucinigo — Porta Romana scilicet Capitanei — Pado scilicet nati Ambrosi! — Joan-
noli per privilegium — Perdeperi — Riboldìs de Besana — Ricbis — Rando (Rho)
scilicet Capitanei — Regnis per privilegium — Bugolo (cioè Ruzolo) — Rusconibu»
IL PATRIZIATO MILANESE. 437
conti delle tre valli^ ^ sulle quali esercitava diritti feudali, e ancora
presentemente conserva giurisdizione ecclesiastica, nell'anno 1716
(7 settembre) otteneva da papa Innocenzo XI la mitra vesco-
vile di damasco bianco, con frange di seta alle bende cadenti su-
gli omeri. Fu l'ultima sua vittoria. Vegetò fin verso la fine del
secolo scorso ; indi, esposto a nuove jatture, e perfino soppresso dai
repubblicani francesi nel maggio 1798; poi fatto rivivere con ap-
parenze più umili, finì per essere, sono pochi anni, ridotto a più
esigue dimensioni, vittima della implacabile ira che si nutre non
solamente contro le cose, ma anche contro il nome di quanto i
nòstri maggiori fondavano nel loro senno previdente. Però, a chi
lo vide funzionare nelle feste ambrosiane della passata primavera,
sotto la magnifica cupola della cattedrale; in quel vasto tempio
tutto zeppo di popolo accorso ad onorare la memoria del suo santo
concittadino, pareva scorgere attorno alle rilucenti clamidi, come
un lontano barlume dello splendore che li circondava ne' remoti
tempi repubblicani, quando il loro potentissimo capo governava
lo Stato. Prima delle odierne spietate demolizioni, una radicale
riforma era stata portata nel suo organismo dall'imperatore Giu-
seppe II, con dispaccio dato in Vienna il 9 maggio 1782, e pro-
mulgato in Milano il 6 gennajo 1783 da S. A. R. l'arciduca Ferdi-
scilicet Civibus Mediolanensibus — Sachis — Soresina silicet Capitaneì — Segazonibus
per privilegium — Sessa de loco Sarrae Plebis Travalise — Scaccabarotiis — Stampis
per privilegium — Septara scilicet Capitane! — Sirturi — Sachis de Bucinigo — Sal-
vaticis — Solbiate — Sesto scilicet Capitaneì — Spangutis (meglio Spanzutis) do-
mus Carioni per privilegium — Taegio — Terzagho — Tabusiis, negli statuti si ag-
giunge de Castro Navate — Trivultio — Tritis — Turate scilicet Capitanei — Vice-
comitibus — Vicecomitibus de Sereno — Vicecomitibus de Pobiano (meglio Poliano) —
Vicecomitibus de Invorio — Vicecomitibus de Oregio (Olegio) — Vicecomitibus de
Oregio Castello — Vergiate — Vincemalis, per privilegium — Vicomercato scilicet
Capitanei de Merosis seilicet domus Domini Joannis — Vicomercato scilicet domus
Domini Guidoli per privilegium — Valvasoribus de Serio o de Sexto — Vitudono —
Vigonzono — Vilanis — Vaglianis — Zotis — Zerbis per privilegium — Zeno.
Alcune famiglie popolane furono dall'arcivescovo Ottone aggregate alla nobiltà, anzi
onorate col titolo di Capitani e singolarmente i Meravigli, i Marcellini e quelli da
Castano — Nel nostro catalogo troviamo la prima di queste famiglie, ma non le altre
due. Perciò io credo che de' Meravigli vi fossero due casati; l'uno già nobile da lungo
tempo, e per questa cagione inserito nel catalogo senza manco 1' aggiunta Per privi-
legium, e l'altro popolare aggregato alla nobiltà nel 1278. Giulini, volume Vili, pa-
gina 512 e segg.
* II titolo di conte non fu loro riconosciuto dal Governo austriaco dopo la restau-
razione del 1814, probabilmente por mancanza di qualche formalità.
438 IL PATRIZIATO MILANESE.
nando, governatore e capitano generale della Lombardia austriaca,
con cui svincolavasi la nomina degli ordinarj da ogni restrizione
riguardante i natali. La stessa determinazione è confermata colla
notificazione 10 aprile 1817, regnando l'imperatore Francesco L
Il concordato conchiuso fra Pio IX e l' imperatore Francesco Giu-
seppe il 25 settembre 1855, sanò questo atto arbitrario dell'au-
torità civile, poiché, all'articolo 22, fra le altre cose, si legge:
" Sublata insuper erit natalium nobilium, seu nobilitatis titulorum
necessitas, etc. „
I cittadini milanesi, durante l' immenso naufragio causato dalle
invasioni barbariche, non trovarono altra tavola di salvamento a
cui aggrapparsi che nell'autorità del loro arcivescovo. Il modo con
cui la popolazione se lo sceglieva, subì molte trasformazioni, le
quali accenneremo con brevi parole. Nei primissimi tempi, la pro-
posta dell'arcivescovo facevasi dal popolo radunato all'uopo nella
chiesa; l'elezione per altro compivasi propriamente ed in ultima
decisione dai vescovi, i quali, esaminata la petizione popolare, qua-
lora il candidato non patisse eccezione di sorta, confermavanlo,
e passavano senz' altro alla ordinazione di lui. Durante l' impero
d'Occidente e il dominio dei Goti non si fecero mutazioni, e sotto
i re longobardi 1' arcivescovo dimorò quasi sempre in Genova.
Il periodo franco crebbe a dismisura l'autorità temporale degli
arcivescovi; a segno da erigerli a veri signori della città; rin-
forzati anche dal trovarsi dei principi d' Italia, capi della Die-
ta, la quale pretendeva al diritto di eleggere il re ; né diminuì
punto colla repubblica. Tuttavolta, nella sua scelta, benché vi
concorressero i laici più ragguardevoli, la supremazia rimase ai
voti del clero, e precipuamente degli ecclesiastici detti dell'or-
dine maggiore. Si eleggevano fra gli ordinarj della chiesa me-
tropolitana quattro soggetti, i quali, scortati da delegati e da
notabili del clero e del popolo, presentavansi all' imperatore, che
sceglievano uno, quando però, prevenuto da altre influenze, non
ne preferisse un quinto, di cui non era mai stata questione. Così,
ai tempi di re Enrico, prescelti quattro ordinarj, preti o diaconi,
come la prammatica voleva, cioè, Landolfo Cotta notajo della
metropolitana, Anselmo da Baggio (che fu poi pontefice), Arialdo
dei Capitanei di Carimate, e certo Attone, tutti personaggi di gran
levatura, ed inviati presso quel monarca, lo stesso che aveva con-
IL PATRIZIATO MILANESE. 439
tribuito a liberare di recente la plebe dalla tirannia dei nobili,
acciocché fra essi nominasse l'arcivescovo; Enrico, beffandosi del
desiderio espresso dal popolo milanese, dava la palma a certo Gui-
done, uomo plebeo, prete destro negli affari secolareschi, ignorante
nelle ecclesiastiche dottrine, ma che, confidente di Ariberto, aveva
saputo, coir intrigo, entrare nelle sue buone grazie.
Cessate le investiture imperiali, l'autorità del Capitolo maggiore
nella nomina arcivescovile andò sempre crescendo, mentre dimi-
nuiva in proporzione quella del rimanente clero. Anche i consoli
intervenivano alle adunanze per la elezione del metropolita, che
compivasi, previo suffragio del popolo. I vescovi giudicavano se ogni
cosa era passata regolarmente, e quand' era il caso, confermavano:
ma, coll'andar del tempo, eliminato ogni inciampo, tale privilegio
fu decisamente devoluto al Capitolo maggiore, in modo esclusivo,
sempre colla conferma pontifìcia. Nel decimoterzo secolo l'arcive-
scovo doveva ancora prendersi fra i nobili della città (Capitanei
e Valvassori), e sebbene il popolo mal soffrisse siffatte esclusioni,
i nobili tennero fermo nel non cedere su questo punto essenziale.
Nell'accomodamento sanzionato nel 1225 per opera di Aveno da
Mantova podestà di Milano, e riportato dal Cerio, dichiarasi che
" la dignità archiepiscopale fosse di continuo tra capitani e valvas-
sori di Milano ex jurìsdictìone. „ Ora, ammessa questa massima, ne
veniva assai naturalmente che si cadesse appunto in qualche mem-
bro del Capitolo metropolitano; sia pel motivo che fra essi con-
tavansi gli ecclesiastici più illustri della città per doti personali, sia
pel motivo che gli ordinarj fossero, come s' è visto, tutti rampolli
delle più nobili famiglie milanesi, quelle che dovevano poi formare
il catalogo visconteo. ^ Ma non andò molto, e la nomina del nostro
metropolita passò al romano pontefice. Bonifacio Vili, nel 1295,
appropriavasi 1' antichissimo privilegio del popolo milanese e del
Capitolo maggiore, conferendo la cattedra arcivescovile a Ruffino
da Frisseto, arcidiacono di Reims. I successori di lui cercarono il
fatto loro fra i prelati milanesi viventi alla Corte di Roma, e
mantennero presso a poco intatta tale consuetudine, finché un
altro usurpatore ancor più forte e risoluto, Giuseppe II, alla
* Il Corio, a proposito deU'arci vescovo Leone da Perego, dice : « Costui da sé me-
desimo si elesse. »
440 IL PATRIZIATO MILANESE.
morte del cardinale Pozzobonelli, sostituiva, per concordato, la
nomina da parte del principe. Tutti gli arcivescovi eletti dai
papi furono, di fatto, nobili milanesi; quantunque non vi fos-
sero patti espliciti, pure, siccome il ceto aristocratico era più
d' ogni altro in grado di avviare i proprj figli nelle cariche prela-
tizie, unico modo per giungere ed essere distinti dal pontefice,
cosi essi soli potevano aspirarvi con speranza di riuscita. Quando
Gregorio XIII (27 novembre 1584) nominava Gaspare Visconti a
successore di san Carlo, la consorteria dei Visconti inviava a
Koma, prima Ermes Visconti, poi Geronimo Visconti a rendere
grazie a sua santità dell'onore fatto ad uno dei loro. In appresso,
posto che dopo il pontificato di Pio IV era cresciuto il predominio
de' prelati milanesi residenti presso la romana Corte, il Consiglio
generale si fece ardito a supplicare Clemente Vili, acciocché eleg-
gesse a successore del Visconti, Federico Borromeo. Da questo fatto
si vorrebbe riconoscere il punto di partenza di una specie di privi-
legio, particolare alla città di Milano, di spedire, cioè, a sede va-
cante una ambasceria alla sede apostolica, onde officiare il papa ad
assumere come arcivescovo un nobile patrizio : non che della con-
seguente pretesa, dello stesso Consiglio, che il suo desiderio fosse
legge; attribuendosi il diritto di fare rimostranze in proposito,
qualora si violasse, come accadde appunto alla vacanza dello
Stampa, mentre era ambasciatore in Roma il marchese Cusani.
Giuseppe II, avocando a sé la nomina dell'arcivescovo, coll'editto
pubblicato in Milano il 7 gennajo 1783, conservava una larva di
tal privilegio, modificandolo essenzialmente, dappoiché la supplica
doveva, come era naturale, indirizzarsi, non più al sommo gerarca,
bensì al trono imperiale ; non più pomposamente, per mezzo di am-
basciatore, ma per mezzo del Governatore. " Nella vacanza della
sede arcivescovile di Milano, dice l'editto, potrà la città usare del
suo privilegio di supplicare per la scelta di un suo patrizio in ar-
civescovo. La domanda però dovrà dirigersi dalla medesima a
S. M., senza tuttavia mandare un ambasciatore alla Corte, ma con
far presentare la supplica al Governatore, da una deputazione del
Consiglio generale. „ (§ 3.) Le rivoluzioni politiche mandarono ben
presto tutto a soqquadro, si che di tale diritto più non rimane
se non la memoria.^
* Palladini, Delle elezioni degli arcivescovi di Milano ed altri. — Carte inedite.
IL PATRIZIATO MILANESE. 441
V.
STRANEZZE AMBROSIANE — FAMIGLIE STORICHE (DELLA TORRE, VISCONTI,
SFORZA, BORROMEI, TRIVULZI, STAMPA, BOLOGNINI ATTENDOLO
LITTA) ^ — PRIVILEGI E STEMMI — FEUDATARI IMPERIALI
— GLI ANTENATI DI ALESSANDRO MANZONI.
Chi si facesse a prendere in esame coscienzioso, senza giudizj
preconcetti, i fasti del milanese patriziato, inteso nel senso più
generale, renderebbesi capace qualmente molte famiglie sieno dav-
vero degne della loro fortuna. Durante il periodo sforzesco, la no-
biltà, pur mordendo il freno, fu l'anima di ogni gaja ed elegante
invenzione, come di ogni intrapresa utile e decorosa; ed anche
coll'intorbidarsi dei tempi, attaverso la lunga ed infausta domina-
zione spagnolesca, e in onta alla morale decadenza che riaveva
corrotta col suo andazzo licenzioso, depravata con sanguinarie ten-
denze — le quali, giova rammentarlo, non stuonavano troppo colle
tinte fosche che funestavano la società d'allora; col funereo ap-
parato di frequenti supplizj, esacerbati da orrende carnificine,
offerte all'avida curiosità del pubblico ; col lugubre chiarore dei ro-
ghi su cui abbruciavano le vive carni delle sciagurate vittime delle
umana demenza, le streghe, le maliarde, i fattucchieri, gli untori, e
gli altri fantasmi di vaneggianti fantasie, — la nobiltà, se non ap-
pare precisamente una accolta di uomini di Stato, né di uomini di
guerra, come lo furono altre più avventurate aristocrazie italiane,
poste in condizione indipendente, almanco faceva ogni sforzo per
tenere nelle sue mani l'amministrazione interna del paese; la giu-
stizia, l'alta magistratura; le dignità ecclesiastiche allora sovrab-
* Nelle famiglie storiche si ponno comprendere non solo quelle che esercitarono una
influenza diretta sui destini del nostro paese; ma quelle ancora, che, per avere dato
più d'un personaggio di grido, rappresentarono una parte inclita sulla gran scena del
mondo, quali, oltre le nominate, a mio giudizio, sarebbero i Pusterla, i Barbiano, i
Medici, i Serbelloni; i Melzi, i Dal Verme, i Castiglioni, i Sormani, i Crivelli; e po-
che altre.
442 IL PATRIZIATO MILANESE.
bondanti ; tutte le cariche cittadine, gli istituti di beneficenza ; né
mai trascurò lo studio delle scienze, e sopratutto della giurispru-
denza,-da essa riguardata una propria prerogativa, si che aveva
per massimo onore l'essere ascritta nel collegio dei dottori, impe-
rocché la cura di conservare il monopolio di ogni lavoro intellet-
tuale superiore, di ogni opera arrischiata, e il tenere nel tempo
stesso il libro d'oro dischiuso, erano il segreto della sua forza. Sven-
turatamente, trovavasi incoraggiata su una malaugurata via di
tracotanze e di enormezze, dalla colpevole condiscendenza dei go-
vernanti, viziata da un'araldica glorificante l'ozio, siccome la cosa
la più degna di chi porti un gran nome; rendendosi cosi possibili
dei mostri sociali, quale il marchese Annibale Porrone, le cui ne-
fandità furono sì spettacolose, da meritarsi di essere preso a pro-
tagonista di un romanzo, scritto coli' intento di mostrarci di quali
eccessi fosse capace un gentiluomo milanese del secolo XVII. In
Francesco Bernardino Visconti, feudatario di Brignano, vorrebbesi
riconoscere V Innominato, Come poi, da una oscena sentina di vizj,
da un ammasso fortuito di iniquità, il Manzoni abbia saputo, dipa-
nando il viluppo, crearci uno stupendo tipo ; un tipo nuovo, ideale,
tenebroso insieme e sfolgorante di luce, eppure vivo e palpitante,
con cui fece fremere legioni di lettori ; ve lo dica il genio del gran
poeta! Il conte Giulio Dugnani, vero smargiasso da burattini,
dopo aver fatto impunemente bastonare gabellieri e creditori,
tanto screanzati da chiedergli il fatto loro; ferito un capitano, e
commesse altre bagattelle della stessa risma, chiamato al cospetto
del grave ed incorruttibile presidente del senato Bartolomeo Arese,
il fior de' galantuomini, ^ e ricevuto con gran prosopopea, non eb-
besi che una blanda ramanzina, e il paterno consiglio di prendere
moglie al più presto. ^
Si tacciò 1' aristocrazia milanese di costumi strani e persino fe-
roci; forse non é del tutto una calunnia, per quanto possano es-
* Geegokio Leti, Vita dì Bartolameo Arese.
* II 10 marzo 1603, sono banditi dello Stato, per insulti all'onestà di certa Lucia
Vertemate, vedova di G-, B. Piacenza, Francesco Bernardino Visconti, feudatario di
Brignano Gera d'Adda, e socj ; por l' uccisione di essa Vertemate, il conte Francesco
Secco di Vimercate e complici; pel rapimento della moglie di Pietro Salerni di Pavia
sono banditi il conte Francesco Barbiano di Belgiojoso, e famigliari. V. Gargantini,
Cronologia di Milano.
IL PATRIZIATO MILANESE. 443
sere scusati dalla infelice condizione dei tempi. Udii ripetere cu-
riosi e piccanti aneddoti; non so quanta fede meritassero quei
narratori che divertivano la mia adolescenza. In ogni modo, ne ri-
porterò qualcuno, poiché danno, se non altro, la misura di quanto
ritenevansi capaci; cominciando dal più tragico insieme e dal più
comprovato. Il conte Carlo Marliani, dei conti di Busto Grande,
coglie la moglie Antonia Pusterla col conte Carlo Visconti, nella
propria casa in via ora del Monte Napoleone. La contessa An-
tonia si salva dalle furie maritali saltando da una finestra per
la parte di via Bagutta, e arriva a nascondersi nel monastero
delle monache del Santo Sepolcro in Tradate. Ma il Marliani non
le perdona. Venti anni dopo (1651) riesce ad introdursi, con uno
stratagemma pensato da lunga mano, nel convento ove viveva reli-
giosamente la pentita donna, e con un colpo di pugnale la trafìg-
ge. ^ Al tempo in cui al regio teatro ducale le cavatine del Pacchia-
rotti rapivano in estasi la nobiltà e la cittadinanza^ tempo classico
delle avventure galanti, un marchese, appartenente a storica ed
opulenta famiglia, trascinato da invincibile mania per suonare il
violino, si arruolava in una compagnia di suonatori girovaghi, e,
piantata nel suo palazzo una giovanotta e leggiadra sposa, davasi
a scorrere l' Italia strimpellando il meschino istru mento. Fatto so-
sta in una piccola città della Komagna, dopo avere in una notte
senza luna suonato malinconicamente al romantico barlume delle
stelle, dinanzi ad una modesta locanda, ecco si affaccia al verone
una figura elegante di donna, che getta sulla miserabile orchestra
un pugno di monete. In quella signora il randagio marchese rav-
visa la propria consorte; la quale annojata mortalmente nel suo
abbandono, avea volte le spalle a Milano, per seguire un biondo
figlio di Albione. Sul principio del nostro secolo, un marchese An-
dreoli — il cui palazzo, posto in borgo Santa Croce, anche nello
squallido deperimento in cui giace, lascia indovinare cosa fosse un
cent' anni fa , che delizia di giardini avesse, con viali e giuochi
d'acqua — fu invaso dall'estro di pettinare artisticamente le volu-
minose chiome bionde o corvine del bel sesso. Cercò scena più
vasta che non fosse la nativa città, e nella Parigi delle facili
bellezze, nascosto, non so con quanta ingenuità, il proprio blasone,
* LiTTA ed altri storici.
444 IL PATRIZIATO MILANESE.
salì ben presto in grido di parrucchiere alla moda. In quel torno,
quando imperversava il giuoco della roulette nelle sale del teatro
della Scala, un altro cavaliere, fattosi accomodare il camerino an-
nesso al suo palchetto, in modo confortabile abbastanza da po-
terlo abitare, vi passava dei mesi 'interi, senza uscire alla luce
del sole. Le visite nelle loggie; le drammatiche convulsive pan-
tomine del Vigano, che facevano palpitare gli uomini serj d'allora,
ma che garbavano mediocremente alle macchiette popolari del
Porta ; i frizzi dei domino misteriosi ; sopratutto le pungenti emo-
zioni del giuoco, prolungato fino a straore, occupavano tutto il
suo tempo ; ripetendo sempre gli stessi passatempi, cogli identici
intingoli. Sibaritismo inconcepibile, ma di natura molto meno ma-
ligna della monomania di quel gentiluomo, rampollo di una delle
più benemerite famiglie che abbiano onorata la nostra città, il
quale, ereditata dall'ultimo discendente del ramo principale una
principesca fortuna, formava pensatamente il piano di tutta-
quanta sparnazzarla, senza un pensiero al mondo pei figli. Nel
suo egoismo sopraffino, pretendeva essere il più gran personaggio,
quasi direi la sintesi di sua stirpe, la quale doveva moralmente
riassumersi in lui e finire con lui; ma, fattosi vecchio, ebbe l'in-
grata sorpresa di toccar con mano che la sua sostanza, in appa-
renza ancora sana, era nel fondo disastrosamente fracida, mentre
aveva ancora dinanzi a sé alcuni anni di robusta salute. Alla
vigilia della catastrofe, amò meglio tracannare un letale narco-
tico nel suo solitario palazzo, anziché vedere l'edificio di sua in-
vidiata grandezza sfasciarsi sul suo capo. Non si negherà che co-
stui non rassomigli alla esagerata caricatura di qualcuno dei tipi
dell'homo moderno.
A rendere più brillante il quadro, non manca il rappresentante
di quel genere di avventurieri bizzarri, che pullularono nel se-
colo di Federico il Grande, favoriti da una società folleggiante
spensieratamente sopra quel vulcano che doveva iugojarla. Il conte
Giuseppe Gerani, autore di opere che ebbero qualche voga, gio-
catore e spadaccino, baro da carte e buona lama ; donnajuolo poco
scrupoloso, e capamene; aristocratico e rivoluzionario; diploma-
tico e franco-muratore ; amico di Beccaria, di Voltaire, di Pombal,
di Robespierre e di tutti quanti, forse emissario dei terroristi,
insaziabile di intrighi, ma costantemente al verde di quattrini,
IL PATRIZIATO MILANESE. 445
nell'ultimo quarto del secolo, corse l'Europa a caccia di avven-
ture, perfino di un trono, su cui assidero la sorella Maria, moglie
al conte Antonio Comneno. Come il Casanova, il prototipo della
specie, contento di sé, dettava le proprie memorie, infarcite di
osservazioni caustiche sul mondo, sugli uomini del suo tempo.
Trattò prìncipi e ministri collo stesso cinismo con cui si fram-
mischiava a schiuma di birbi. Creduto morto, si ebbe necrologie,
mentre aveva ancora vent' anni da vegetare in una amara oscu-
rità. La BiograpJiie Universeìle lo mette fra quelli il cui nome
merita di essere tramandato ai posteri, e un brioso scrittore ne
fa una vivace dipintura. ^ Ecco ora qualche notizia precisa sul
conto di una famiglia scomparsa dalla nostra città, obliata com-
pletamente da' suoi concittadini, di cui però rimane il nome
ad una modestissima via; nome che, ripetuto macchinalmente,
non è altro più se non un vano accozzamento di lettere alfabe-
tiche senza il menomo significato. Nell'Archivio civico non v' ha
traccia di tale famiglia; ciò che farebbe supporre sia sempre ri-
masta fuori del patriziato: invece, nell'archivio di Stato trovai
un incartamento spettante ai Gerani, da cui potei raccogliere
come un conte don Cesare Gorani Panigarola, regio, feudatario
di Lusernate (col titolo di conte, diploma 1692) e di Goito nel-
la provincia di Lomellina principato di Pavia, chiedesse al tri-
bunale araldico di Milano: 1.** di far registrare la propria arma
gentilizia congiunta con quella dei Panigarola, quale erede del
capitano conte G. B. Panigarola; 2.° di venire ammesso nel rango
dei nobili della città di Milano. Egli prova nel suo ricorso che
il bisavolo di lui apparteneva al nobile collegio dei giurecon-
sulti di Pavia, era decurione nella stessa città, conte pala-
tino, segretario della cancelleria segreta di S. M. , prefetto del-
l'archivio di Stato di Milano. Inoltre, adduce il fatto, che la sua
famiglia possedeva, altre volte, le case della Stretta dei Gorani in
Milano. Il primo aprile 1772 consegue l'invocato favore; ma non
sembra che la fortuna corrispondesse al desiderio di mantenere
vivo il lustro del casato; dappoiché, durante la repubblica Cisal-
pina, certa Albertini cade in querela col dicastero centrale di
polizia per aver dato a pigione, senza previa licenza, camere am-
* Eevue des Deux Mondes.
Arch. Stor. Lomh. — An. I. 28
446 IL PATRIZIATO MILANESE.
mobigliate, situate nel borgo di porta Orientale, al cittadino Ce-
sare Gorani, incolpato esso pure di affettare il titolo di conte, come
lo provano due confessi rilasciati al mugnajo Giuseppe Biassonno
(15 agosto e 3 ottobre 1796). Bisogna dire che il povero genti-
luomo fosse disceso ben basso, per ridursi a vivere sì meschina-
mente, e divenire oggetto di una volgarissima inchiesta di poli-
zia! Nell'albero da me esaminato non figura alcuno del nome di
Giuseppe, il quale appunto in quel tempo (probabilmente il 1771)
doveva avere poco più di trent'anni, essendo nato, secondo le pro-
prie memorie, nel 1740. Forse il fratello lo riguardava già come
uscito per sempre dalla famiglia, nello stesso modo che, d'ordine
di S. M. Imperiale, era stato espulso dai ruoli della nobiltà lom-
barda.
Oltre il piglio arrogante e i costumi sbrigliati, che, con strana
antitesi, si accoppiavano ad una rigorosa, minuta osservanza delle
pratiche della religione cattolica, anche il lusso teneva in pen-
siero i Governi. Fino dall'anno 1679, S. M. Cattolica, con dispac-
cio 4 gennajo, faceva, per mezzo del Senato, eccitare il Consiglia
generale della città di Milano a riferire sul soverchio lusso negli
abiti e nelle carrozze, insinuando la moderazione. Si ritornò sulla
stesso tema nel 1693. Anche il Governo austriaco si rivolse al Se-
nato allo stesso scopo. Il Senato invitava il generale Consiglio, con
lettera 4 luglio 1712, a studiare seriamente la questione; ma poco
se ne fece. Una prammatica venne molti anni dopo pubblicata in
Milano (10 maggio 1748), in cui si prescrivono minutamente i
modi e la durata del corruccio in caso di morte di congiunti, ri-
ducendolo a termini più brevi di quelli in uso, in modo che in
nessun caso oltrepassasse i mesi sei, sempre coli' intento di evitare
soverchie spese alle esauste popolazioni; prammatica che servi di
codice in tal materia alle succedentisi generazioni, e non è ancora
totalmente dimenticata da chi ritiensi agguerrito in fatto di eti-
chette (Archivio civico).
Lasciando le frasi generiche, ci faremo a delineare a larghi
tratti la fìsonomia storica delle famiglie che stamparono orme più
profonde negli annali della nostra città. Innanzi a tutte vanno po-
ste senza dubbia quelle che la signoreggiarono. I Della Torre, si-
gnori di Valsasina, annojati del confabulare cogli orsi delle loro
montagne, calarono alla pianura e seppero, sotto colore di tutelare
IL PATRIZIATO MILANESE. 447
i diritti del popolo oppresso dai nobili, impadronirsi di una repub-
blica che, per quantunque vassalla dell' impero, non pativa sogge-
zione quotidiana di alcuno. Pagano (qui vexiìlum cum Leone sem-
per porfavity'e Martino, anziani del popolo^ e Napoleone vicario im-
periale. Quale abisso fra questi due termini! Cominciarono dal-
Tadulare la plebe, come altre famiglie italiane che, in quel torno,
miravano ad insignorirsi della loro città nativa, ^ e finirono del
pari a dominarla cogli artigli dell'aquila grifagna, preparando la
via ad una tirannide secolare, che toccava talvolta l' efferatezza ;
né di ciò è da far le meraviglie, poiché tale sarà sempre, quan-
do non sia possibile la conquista per forza d'armi, la politica
degli ambiziosi di tutti i tempi. I Visconti, vera dinastia nazio-
nale, uscita dalle viscere della milanese aristocrazia, quando si vi-
dero solidamente seduti sul trono della patria; accettati come capi-
tani del popolo dalla plebe ; come signori dai nobili ; come vassalli
maggiori dall' imperatore , per venire in appresso innalzati alla
dignità ducale ereditaria in perpetuo, colla ragione di stato vin-
sero le vecchie simpatie per quelli che avevano secoloro divise le
ambasce delle politiche lotte, i pericoli della mischia, e tennero
tutti quanti, plebe, patrizj e feudatarj, duramente in rispetto,
spinti a soffocarne senza pietà le frequenti congiure, da sete di
comando irrefrenato. A volte contaminaronsi con passioni scape-
strate, indegne di uomini civili; a volte parvero elettrizzarsi con
aspirazioni sublimi, le quali fatalmente sfumarono in superbi e
vani tentativi. Famiglia fra le più drammatiche di cui si conservi
memoria, per indomita originalità di carattere, per la sua fiera
baldanza che la esponeva continuamente ai fulmini dei pontefici,
per sconfinato ardimento di ambizione, perfino pe' suoi vizj, per
le sue inenarrabili atrocità; attende un nuovo Shakespeare, che
abbia la magia di evocarne le ombre fremebonde dalle arche mar-
moree, che, scrostando con inesorabile scalpello il sottile into-
naco convenzionale che a stento ne ricopre l'intima natura, ne
metta a nudo tutte le diaboliche passioni. — Gli Sforza (Atten-
* Mastino I della Scala fu capitano del popolo in Verona nel 1262 ; Alboino I della
Scala depone, nel 1311, il titolo di capitano del popolo, per ricevere da Enrico VII,
imperatore, quello di vicario imperiale. Pinamonte Bonacolsi è capitano del popolo di
Mantova ; il nipote Rinaldo viene creato vicario imperiale. I Manfredi in Faenza esordi-
rono coll'essere capitani del popolo, per farsene poi signori assoluti. Così altri.
448 IL PATRIZIATO MILANESE.
dolo di Cotignola), avventurieri di alto bordo, seppero, de-
streggiando, usufruttare i diritti assai dubbj di una principessa
bastarda; della fama, avvedutezza, fortuna di un capitano di ven-
tura, guerriero di genio, per sorprendere e tenersi soggetto un
popolo invocante un padrone. Riscattaronsi alquanto del peccato
originale con smaglianti doti, e sopratutto con un culto appas-
sionato per ogni arte bella, per ogni opera squisita, sicché Lo-
dovico il Moro, il Pericle della sua razza, mercè il genio mul-
tiforme, smisurato di Leonardo da Vinci, suo intraprendente ed
accarezzato ausiliario, aveva saputo fare di Milano, al dire di un
poeta del tempo, una novella Atene. Ricordare le istituzioni, i
templi, gli edifizj fondati da queste ultime dinastie non è mio compi-
to, giacché spetterebbe piuttosto alla storia generale di Milano ; ci
basti il dire che la prima delle due ci diede il Duomo e la Certosa ;
la seconda il maggior ospitale. Secondo là genealogia del Litta,
vivrebbero ancora tre diramazioni, provenienti in retta linea dai
Della Torre, dette di Gorizia, di Udine, di Verona; ^ e, osserva
il succitato storico, se debbono la loro celebrità all' avere fatto
guerra a oltranza ai nobili, si vennero poi modificando al punto
di arruolarsi fra i campioni del partito opposto. Senonchè il truce
destino, che perseguitava questa grande schiatta, dotata di sì straor-
dinaria iniziativa, cui bersagliarono tante sciagure, torturarono
tanti spasimi, desta commiserazione e raccapriccio in chi si fa a
contemplarne le luttuose vicissitudini. I Visconti, divenuti con Gian
Galeazzo duchi di Milano, si spensero con Bianca Maria, sposa a
Francesco Sforza. ^ Fioriscono però in Lombardia i pronipoti di
Sagramoro, figlio naturale di Barnabò signore di Milano, nonché
la progenie legittima di linee collaterali alla famiglia sovrana, for-
manti un consorzio illustrato da personaggi distinti per molte virtù.
Un gruppo di queste famiglie proviene da Gaspare Visconti, fratello
* I Della Torre e i Torriani erano due famiglie differenti. Il nome Torriani si trova
in Milano quando i Della Torre stavano ancora chiusi nella loro vallata (secolo XII).
Venuti questi in Milano, furono dal volgo milanese, a sproposito, appellati anch'essi
Torriani; ingenerando così una confusione inevitabile colla patrizia famìglia preesi-
stente.
* Si hanno parecchi ritratti di Bianca Maria Visconti. Il più importante è quello
esposto nella chiesa dell'Ospitale Maggiore, accanto a quello del marito Francesco Sforza.
Il meno conosciuto si vede nella chiesa di sant' Eustorgio, e precisamente nella vòlta
della settima cappella, dal lato dell'epistola. E dipinto a fresco da ignoto autore.
IL PATRIZIATO MILANESE. 449
(li Ottone, il famoso arcivescovo. Altro gruppo deriva direttamente
dai due figli di Uberto, fratello del Magno Matteo, capitano del
popolo insieme e vicario imperiale patentato, Vercellino ed Otto-
rino. ^ La viscontea, fra le tre famiglie, è la sola che sia di san-
gue milanese. Il Corio (cap. II), a questo proposito, ne spaccia
una marchiana. Egli ci narra che dopo la morte di Cleph, se-
condo re longobardo, in ciascuna città di Lombardia si ripristinò
il governo dei duchi; e che i Milanesi " più. volentieri che stare
sotto il giogo barbaro, elessero Perideo (Visconti) uomo egregio; „
ma oltreché è incredibile che, .appunto quando la dominazione
straniera erq^ nella pienezza del suo vigore, ai milanesi fosse la-
sciata facoltà di eleggersi a reggitore un proprio concittadino;
nessun documento ci autorizza ad ammettere una si remota an-
tichità alla famiglia dei Visconti. Reputo assai più attendibile il
racconto del Giulini, il quale la farebbe procedere da un Alme-
rico, investito della carica di visconte di Milano, figliuolo del quon-
dam Wal dorico, il quale era stato anche lui Vicecomis ipsius ci-
vitatis, nell'anno 865. Perdurando tale dignità in quella stessa
famiglia, fino allo introdursi dei cognomi, è probabile si nomasse da
quella il casato di cui si discorre. Gli Sforza non ebbero eredi
legittimi; però, Francesco II, ultimo duca, ^ lasciava la famiglia
di un fratello naturale, Giovanni Paolo, il quale, divenuto mar-
chese di Caravaggio (16 aprile 1532), aveva fondata un rispetta-
* Nell'aristocrazia milanese fu sempre ambito l'onore di aggiungere al cognome della
propria famiglia quello de' Visconti: sia che esso venisse concesso dagli stessi duchi di Mi-
lano in ricompensa di servigi ricevuti, come ai signori di Venosta, ed agli Aicardi ; ser-
vigi per altro di un genere ben diverso ; sia che fosse il retaggio di femmine venute
in casa per matrimonio. Infatti troviamo in capo lista gli Sforza Visconti; poi i Litta
Visconti; gli Arconati Visconti; i Busca Visconti; gli Oltrona Visconti; i Campugnani
Visconti; gli Ottolini Visconti; i Bossi Visconti; i Guidoboni Visconti; i Cambiaghi Vi-
sconti; i Viani Visconti; i Bulgarini Visconti; gli Aliprandi Visconti; gli Arese Vi-
sconti; i Pelegatta Visconti; i Crivelli Visconti; i Brasca Visconti; i Corio Visconti; i
Mutoni Visconti; i Castelbarco Visconti (questi ultimi venuti dal Tirolo nello scorso se-
colo a fissarsi in Milano, e nei quali andava a finire la storica famiglia dei Simo-
netta, rimasero estranei al nostro patriziato, benché occupassero nell'alta aristocrazia
lombarda governativa una posizione delle più distinte).
Molti poi fra i Visconti presero un secondo cognome, sia costretti da eredità, come
i Visconti Borromeo: i Visconti Ajmi; i Visconti Sansone; i Visconti Modroni: i Vi-
sconti Brebbia, sia per concessione d'i principe, come i Visconti d'Aragona, sia per con-
suetudine, come i Vi?conti Ermes. Il nome Visconti è anche sparso nel popolo.
^ Furono duchi di Milano per diritto di conquista dal 1450 al 1494; dal 1494 al
1535, per investitura imperiale.
450 IL PATRIZIATO MILANESE.
bile casato, che si estinse con Bianca Maria, nata nel 1697, morta
nel 1717, un anno dopo aver sposato Guglielmo conte Sinzendorff,
al quale imponeva il cognome di Attendoìo Sforza Visconti.^ Bianca
Maria Catterina Teodora Attendoìo Sforza Visconti, confermata
nel marchesato di Caravaggio l'anno 1712, ebbe dal marito, conte
Sinzendorif, un'unica figlia, per nome Bianca Maria Antonia Fi-
lippa Attendoìo Sforza. Questa seconda Bianca Maria si sposava,
l'anno 1757, al marchese Filippo Doria (Sforza), e fu madre di nu-
merosa prole di ambo i sessi, fra cui una Leonora e una Livia;
le quali unironsi in matrimonio a due patrizj milanesi ; la prima,
cioè, al marchese Antonio Villani; la seconda a don Massimiliano
Stampa marchese di Soncino. Da ciò è chiaro, che la parentela di
questi due casati cogli ultimi duchi di Milano, sfuma in una neb-
biosa lontananza. Una diramazione lontana, spiccatasi del tronco,
prima che gli Sforza venissero in Milano, dimora presentemente
in Boma (duca Sforza Cesarini). Il cognome Cesarmi venne portato
in famiglia, e precisamente al marito Federico Sforza, da donna
Livia, ultima di quella casa, e figlia di donna Margherita, nata
dal matrimonio di donna Maria Felice Peretti, pronipote di' Sisto V,
con Bernardino Savelli, la quale aveva sposato il duca Giuliano
<]esarini.
La famiglia non sovrana che rappresenta veramente una parte
gloriosamente benefica, una delle pochissime che, non mai trali-
gnando, possa dire senza vanteria, come la prosapia francese, Bohan
je suis, è quella dei Borromei; eredi di una linea della famiglia
popolaresca toscana di questo nome (originariamente dei Fran-
chi), la cui unica figlia, sposandosi ad un Vitaliani di Padova,
ebbe un figliuolo per nome Giacomo, che adottato dal fratello di
lei Giovanni Borromeo, diveniva capostipite del casato milanese.
Negli anni in cui la nostra città era colpita da terribili fiagelli,
un governo malvagio e la peste, sorgevano due uomini provviden-
ziali, esimj per virtù, per cuore, per purezza di» costumi, gli ar-
civescovi Carlo e Federico, ad allenire tanta sventura cogli slanci
della loro carità, a stenebrare quella fitta caligine colla luce della
loro mente. Tutto prodigarono; e la persona, con fervida filan-
tropia, con esemplare coraggio, con persistente sagrificio, e l'o-
* Da MS. favoritomi da un egregio cultore di storia patria.
IL PATRIZIATO MILANESE. 451
pera evangelica, e l'acume dell'ingegno, in circostanze crudissime
di contagi spaventosi; e le ricchezze, a piene mani, senza riserbo.
Carlo si innalzava anche ad intendimenti più generali, a provvi-
denze che interessavano l'intera cristianità, coadiuvando l'opera ri-
formatrice di Pio V, intesa a frenare gli abusi della Corte romana,
scandalo del mondo cattolico, fatta segno alla critica laicale, la
quale, dopoché i filosofi della Rinascenza ebbero bandita la crociata
contro Aristotile, emancipatasi dalla scolastica pedissequa, scendeva
in campo con armi appuntate, ed uno spirito di indipendenza, che
accennava ad una profonda rivoluzione avvenuta nell' indirizzo
morale e filosofico della società. Andrei fuor del mio tema, se vo-
lessi qui discorrere e giudicare quanto faceva il santo arcivescovo
per la Chiesa milanese. Certo è, che essa riconosce in lui, un ri-
formatore fermo ed ardito, la cui opera indefessa davale una
impronta che conserva ancora dopo tre secoli. Nessuna parola
può descriverne con sì efficace eloquenza le severe abitudini da
cenobita, quanto il dipinto di quel robusto pittore che è Daniele
Crespi, detto la cena di san Carlo, che ammirasi nella chiesa
della Passione. Ricorderemo, fra le opere lasciate dai nostri due
grandi concittadini, a perenne vantaggio dei posteri, l'Accademia
e la Biblioteca ambrosiana (gloria di Federico), 1' Ospitale dei
mendicanti, convertito nel 1753 in Orfanatrofio femminile detto
della Stella; il Collegio delle nobili vedove; il Seminario; le
fabbriche dei magnifici templi di San Fedele e di San Lorenzo;
della chiesa di Santa Sofia; del collegio Elvetico; dell'Arcivesco-
vado ; e, fuori di Milano, la provvida istituzione del collegio Bor-
romeo in Pavia; finalmente i santuarj di Rho e di Caravaggio.
Nelle opere di architettura san Carlo si valeva del prediletto
Teìlegrini, il quale, con Fabio Mangone e con Martino Bassi, me-
ritano la nostra gratitudine, imperocché lottassero con onore con-
tro il nuovo stile che doveva più tardi guastare il senso estetico
degli Italiani, corrompendone il gusto con una contagiosa aberra-
zione, di cui penò a guarire. Ecco le parole che scrive il Lanzi,
di solito non proclive agli entusiasmi, a proposito di questi due
prelati, nella sua Storia Pittorica: ^ " Animati amendue da un me-
desimo spirito di religione, erano parchi in privato, magnifici in
Luigi Lanzi, Storia pittorica. Voi. III.
452 IL PATRIZIATO MILANESE.
pubblico. Fra la loro astinenza pascevano innumerabili cittadini;
fra la domestica parsimonia promovevano la grandiosità del san-
tuario e della patria. Molti furono gli ediJSzj che eressero o ri-
storarono, moltissimi quei che ornarono di pitture in città e fuori,
fino a potersi dire che non meno doveva Milano ai Borromei che
Firenze a' suoi Medici, o Mantova a' suoi Gonzaghi. Il cardinal
Federico, erudito prima in Bologna, indi a Eoma, aveva non so-
lamente trasporto, ma gusto ancora per le belle arti; e sortì
giorni più tranquilli e pontificato più lungo che Carlo, onde po^
tere proteggerle e alimentarle. Non pago di impiegare nelle pub-
bliche opere architetti, statuarj, pittori i più abili che potè avere,
raccolse quella quasi scintilla che ancor viveva dell'accademia del
Vinci, e con nuove industrie e con molta spesa riprodusse alla
città una nuova accademia di belle arti. La fornì di scuole, di
gessi, di sceltissima quadreria, a prò dei giovani studiosi, pren-
dendo norma dall'accademia di Roma, fondata, né senza sua coo-
perazione, pochi anni prima. „ ^ Con ciò i Borromei, cui un ideale
spaziante in una altitudine immensamente serena, sollevava al di
sopra di molte brighe terrene, alle quali si mescolarono sem-
pre con ritrosia, non sdegnarono gli onori mondani, che ebbero
a profusione, né in singoiar modo gli allori marziali; molti di lora
si distinsero sui campi di battaglia, e un Vitaliano e un Giulio
Cesare muojono combattendo; ma la fama immacolata dei due
arcivescovi eclissa le belliche imprese, l'amore per l'umanità vince
la spada.
Accanto a questa unica famiglia, fra tuttequante sì indipen-
dente, che, non rilevando da principi la propria morale gran-
dezza, rivolse pertinacemente tutti i pensieri, tutte le forze, a sol-
lievo delle tribolate popolazioni, risaltano altre rinomate per im-
portanza politica decisiva : campioni, per così dire, dell' autorità
assoluta, del principato dispotico, e perfino delle invasioni e della
dominazione straniera; cose che, fino allora, furono detestate a
morte dall' aristocrazia, la quale preferiva il libero reggimento
repubblicano allo starsene soggetti ad uno dei loro, sorretto dalla
protezione imperiale o dalla papale (vassalli dell'Impero o della
* San Carlo aveva rinunziato al proprio stemma, e vi surrogava cristianamente il
sant'Ambrogio in mezzo ai santi Gervaso e Protaso; atto, per quei tempi significativo.
IL PATRIZIATO MILANESE. ' 455
Chiesa); al punto che in Italia i tiranni, veri o pretesi, caddero
sempre sotto i pugnali dei nobili, da Giulio Cesare a Pier Luigi
Farnese, prima che la demagogia e le società segrete si arrogas-
sero la trista missione. Il maresciallo di Francia Giangiacomo
Trivulzio, di antica prosapia castellana, colui che mai non ri-
posò se non nella tomba (Jo. Jacopus Magnus Trivultius, An-
tonii filius. qui nunquam quievit, quiescit. Tace.), marcia contro
la sua patria alla testa delle schiere francesi di Luigi XII, ed
ottiene in ricompensa di vittorie nefaste, riportate a danno di
concittadini e del principe nazionale, il feudo e il marchesato di
Vigevano, il feudo di Melzo, la carica di governatore del ducato
di Milano. Mentre la discendenza diretta del magno Trivulzio
estinguevasi col figlio di suo figlio Gianfrancesco (1572), quella
del fratello Gianfermo continuava nelle tradizioni della fami-
glia, e dava Giangiacomo Teodoro, cardinale nel 1629, viceré
del regno d'Aragona, ambasciatore a Roma pel conclave di Ales-
sandro X; presidente e capitano generale del regno di Sicilia; vi-
ceré di Sardegna, e per ultimo (1656), governatore del ducato di
Milano ; solo fra personaggi milanesi che si sia guadagnata sì piena
la fiducia del sospettoso Governo madrileno. Fu ricolmo di onori:
grande di Spagna, venne dalla Dieta dell'Impero riconosciuto
quale principe del S. R. I. di Musocco e della Mesolcina, feudi
imperiali, per sé e la propria famiglia. Da Filippo IV ebbesi ti-
tolo di illustre. Ma la sua casa, giunta all' apice della fortuna, fi-
niva con Antonio, morto nel 1678. I feudi passarono alla Camera,
eccetto quello imperiale di Retegno, che lasciava con parte delle
sue ricchezze al cugino Gaetano, secondogenito di Ottavia, sorella
di suo padre, maritata a Tolomeo Gallio duca di Alvito, coll'ob-
bligo di assumere il cognome Trivulzio: ripiego che non valse a
infondere nuova vita a quella esausta famiglia, condannata a spe-
gnersi, giacché il figlio di costui, nato dal matrimonio con Lu-
crezia Borromeo, principe Antonio, grande di Spagna, generale di
cavalleria, comandante di Lodi, ultimo erede indiretto della linea
principesca della feudale razza de' Trivulzi, morendo senza prole,
legava la sua fortuna (testamento 1766) a stabilire il ricovero pei
vecchi che si chiama dal suo nome. Il ramo collaterale superstite,
dei marchesi di Sesto (nel 1656, 1* febbrajo), uscito dallo stesso
ceppo anteriormente ai marescialli, se vanta le sue glorie nelle
454 Ili PATRIZIATO MILANESE.
arti della pace, anziché in quelle della guerra, mostrossi penetrato
della sua nuova posizione di ultimo rappresentante di sì gran
nome, raccogliendo, con infinito amore, tutte le memorie della fa-
miglia consanguinea. Alessandro Teodoro, cultore oltre ogni dire
appassionato di studj storici e bibliografici, fu il fondatore di quella
biblioteca e di quel museo, che è una delle maraviglie di Milano,
un centro irradiante di luce e di civiltà; sempre più rari collo
sparire delle grandi famiglie. ^
Massimiliano Stampa consegnava il castello di Milano, affi-
dato alla sua fede dal suo legittimo signore, ad un generale di
Carlo V, aprendo cosi, con un fatto importantissimo, quelF in-
terminabile, lagrimoso ciclo, durante il quale pesava sulla nostra
patria il giogo forestiero. Lo Stampa, che sperò invano di ot-
tenere per sé la investitura del ducato di Milano, riusciva a sol-
levare la propria famiglia al livello delle più poderose di quante
mai, nel vasto impero, godessero i supremi favori del gran mo-
narca, il quale concedeva in feudo (3 novembre 1536) il ca-
stello e borgo di Soncino, con titolo marchionale e di illustre, e
cogli onori e privilegi soliti a godersi dai marchesi del S. E,. Im-
pero, al conte Massimiliano Stampa, prefetto del castello di Mi-
lano. ^ Il neofeudatario marchese di Soncino, e i suoi discen-
denti, spalleggiati dalla inesauribile condiscendenza del Governo
di Spagna, non certo immemore dei servigi ricevuti, domina-
rono con poteri quasi sovrani, per ben due secoli, quella co-
spicua borgata. Anche Francesco I Attendolo Sforza aveva re-
galmente rimunerato Matteo Bolognini, castellano di Pavia, ag-
gregandolo alla propria famiglia, in adempimento di promesse
corse nell'anno 1447, quando quel gentiluomo cedeva il castello
di Pavia a lui pretendente del ducato di Milano. ^ Il 24 aprile
* La storica cappella dei Trivulzio in San Nazaro va fra i monumenti più. rimar-
chevoli della nostra città. Essa racchiude le tomhe del magno maresciallo e della sua
famiglia. Il cardinale faceva erigere in Santo Stefano la cappella dedicata a san Teo-
doro, dove si vede ancora il suo monumentale sepolcro.
* Benché gli Stampa avessero anticamente osservata legge longobardica, il Litta li
ritiene figli della repubblica milanese ; quindi di origine popolare. L' attuale grandioso
palazzo dei marchesi di Soncino è da tempi immemorabili proprietà ed abitazione di
quel casato. Fu diviso in due diramazioni ; di cui l' una (marchesi di Moncastello)
«stinta.
' Gerolamo Bossi, Memorie civili della città di Pavia.
IL PATRIZIATO MILANESE. 455
dell'anno 1452, il conte cav. Catone Sacchi, agente ducale, " am-
mantatosi di ricchissima veste di broccato, ascese per alcuni gradi
un palchetto, che erasi a ciò 'preparato nella cattedrale {di Pa-
via)'^ e quivi ad esso Matteo, ch'era davanti a lui genuflesso,
diede primieramente il cognome di Attendólo^ e poscia in mano
porgendogli sguainata la spada in segno di mero e misto Impero,
di plenaria giuridittione, e di podestà di coltello, lo investì del
feudo, ossia della contea di S. Angelo, per se e suoi figliuoli, heredi,
e successori maschi all' hora nati, e che di matrimonio legittimo
erano per nascere. „ ^ L'antico castello che lo Sforza donava al
fidato servitore, era già stato in molte mani. Nel 1311 era pro-
prietà di Guido della Torre. Cacciati i Torriani, passò nei Visconti.
Nel 1377 Bernabò, signore di Milano, lo cede a Regina della
Scala sua moglie, che lo riedifica spendendovi centomila fiorini
d' oro. Indi rimesso nelle mani di Gian Galeazzo Visconti, per
Bianca Maria, toccava al munificente donatore. ^
La stirpe dei Litta (divisa in tre diramazioni) è una di quelle
in cui si incarna con più forte rilievo il carattere del vero pa-
triziato milanese; poiché essa, nella sua corsa attraverso i secoli,
ne sviluppa in modo superlativo l'idea direttiva, ne compendia
virtù e vizj, ne rappresenta tutte le fasi. Di origine repubbli-
cana e fors' anche plebea, resasi potente col rafforzarsi del Co-
mune, figura presto nella ntagistratura. Joannes qui dicitur Lita^
nel 1046, era auditore al tribunale di Arioaldo per Enrico III,
re di Germania. Nel 1110 aveva le case nella parrocchia di San
Sepolcro; nel 1171 la vediamo vassalla dell'arcivescovo. — Gior-
dano giura come rettore per la città di Milano nel Congresso
di San Damiano (1195), raccolto all'intento di riannodare la for-
midabile lega lombarda ai danni dell' impero ; più tardi, viene di-
stinta con prerogative che, rilevando da voto popolaresco, sono
la espressione di un favor di plebe assai marcato. Messasi fra gli
adepti del partito dei nobili, ne fornisce valenti campioni; si batte
contro la fazione torriana in armi, movente da Lodi, e Balzarino,
* Archivio Bolognini.
^ Francesco Sforza, quando prendeva solenne possesso del ducato di Milano, creava
Militi novanta distinti personaggi.
456 IL PATRIZIATO MILANESE.
il SUO eroe, cade sul campo di San Donato. Inscritti nella matri-
cola di Ottone, arcivescovo, mantengonsi guelfi anche sotto il do-
minio dei Visconti ghibellini, ^ e passano quindi per le dolorose
vicende in cui è trascinata la nobiltà; ricapitolando, per così
dire, i rivolgimenti politici della patria; soffermandosi nei dif-
ferenti stadj. Banchieri sotto gli Sforza; feudatarj, marchesi, conti^
grandi di Spagna, tosonisti, investiti dei sommi gradi militari coi
governi castigliano ed austriaco ; i Litta raccolgono le opime ere-
dità di altre famiglie, di cui prendono i cognomi (Visconti Arese-
Biumi Eesta-Modignani). Ma il tipo era cambiato, e l'operoso, il
versatile gentiluomo della Rinascenza, succeduto al libero pa-
trizio cittadino, al milite visconteo, si trasformava un'altra volta
nel fastoso cahallero. Allora alla linea principale prende vaghezza
di un lusso, di uno sfarzo trasmodante, quasi regale, che la sol-
leva al disopra delle più grandi case di Milano, e riflette i varj
aspetti di una esuberante civiltà, in uno de' suoi momenti più
curiosi, perfino in ordine all'arte, col compiere, nel più con-
torto rococò, quella vasta magione, nella cui parte interna il
Ricchini aveva profuso le risorse del suo ingegno, acciocché rispon-
desse degnamente ai costumi sfoggiati dagli uomini che dove-
vano abitarla. Adulata col farle credere che uno dei loro siasi se-
duto sul trono arcivescovile prima del mille (inutile menzogna),
i suoi figli occupano successivamente, senza tregua, le alte ca-
riche municipali riservate alla loro classe, ed Alfonso, commis-
sario generale delle armi nello Stato Pontificio, veste la porpora
cardinalizia ed impugna lo staffile di sant'Ambrogio. Allorché
gli Absburgo sollevano il paese dallo ignominioso stato di pro-
strazione in cui versava, essa incoraggia arti e scienze, e co-
piosamente aduna preziose collezioni di libri, di capolavori arti-
stici. Napoleone, sceso in Lombardia a farsi coronare, la stimò
degna di lui, e non tardò ad accoglierla nella plejade della sua
nuova nobiltà, conferendole titolo ducale. Finalmente, quando,
all'apogeo della fortuna, pareva non restassele più nulla a intra-
* Il Fiamma annovera i Litta fra le famiglie guelfe, coalizzato, insieme coi de Ber-
nadogio, de Faravisino, de CastelUono, de Caymis, contro i Visconti attaccati dai pon-
tefici nel 1323 (Capo ccLXii)
IL PATRIZIATO MILANESE. 457
prendere, nessuna onorificenza a desiderare, e il poeta del buon
popolo, il Porta, la celebrava con questi versi:
I Litta hin rìoch, sfondaa in di milion,
Pien fina ai oeucc de titol e d'onór,
Nobil de nobiltaa che han quistaa lór,
E che san mantegnìss coi soeu azion; *
quando, non potendo più agire, si abbandona alle futilità della
vita gaudente, paga di farsi mecenate di artisti, di musicanti; il
vice ammiraglio Kenato fa echeggiare il nome Litta sulle rive
della Neva; e Pompeo, un veterano di cento battaglie, tenta una
grandiosa opera storico-letteraria delle più ardue, accingendosi a
dettare i fasti delle famiglia celebri italiane, e pubblicandone splen-
didamente oltre a cento, con criterio storico robusto, critica arguta,
ampia, con una franchezza, una concisione e una sprezzatura di
stile direi soldatesca, che fa pensare a Giulio Cesare. Questa, più
dei palazzi, più dei musei e delle biblioteche disperse, vendute al
miglior offerente, sarà il monumento imperituro della famiglia. Ma
solenni avvenimenti sembrano risvegliarne la prisca lena, tutte le
tradizioni anti-imperialiste, gli spiriti guelfi, l'antico valore, e fanno
il miracolo di strapparla dagli ozj di Capua. Il quarantotto li trova
tutti quanti schierati sulla breccia, nessuno manca all'appello, pronti
a dare vita ed averi per la causa nazionale. Esiliati, taglieggiati
dai generali austriaci, qualcuno di loro si spingeva fin sotto le
mura di Sebastopoli, per guadagnarsi il diritto di combattere poi
per l'Italia. Finalmente, affranti per tanti secoli di avventure, di
fatiche, di emozioni, di sacrificj; dai loro concittadini non abba-
stanza apprezzati; riduconsi a più tranquilla posizione, che dia
loro vita, se meno famosa, certo assai più riposata, e fors' anche
più conforme allo spirito dei tempi.
Parecchie casate godevano ab antico^ di privilegi che allora
avevano un' alta significazione. Ai Gonfalonieri spettavano i primi
onori nel solenne ingresso dell'arcivescovo. I Litta erano succe-
duti ai da Kho nel diritto di condurre il palafreno, su cui mon- '
tava lo stesso arcivescovo, nella processione del dì delle palme,
dalla basilica di San Lorenzo fuori delle mura all'antica Porta
' Poesia per la nascita del primogenito del conte Pompeo Litta^ nipote dell'eccellen-
tissimo signor duca.
458 IL PATRIZIATO MILANESE.
Ticinese. I Serhelloni erano stati favolosamente dotati: doppio voto
nel Consiglio Generale dei sessanta decurioni ; uso delle armi della
città; esenzione del dazio e gabelle per venticinque persone; di-
ritto di andare incontro al nuovo governatore infino a Genova e
di prender parte a tutte le ambasciate municipali.^ I Marìiani
potevano tenere sbarrata la via fino a mezzo, dinanzi al loro pa-
lazzo, non è guari, residenza del Monte dello Stato. 1 Pusterla^
predominavano nei dintorni di Porta Ticinese, e apprestavano a
quel popoloso quartiere annuali sollazzi.^ Da ultimo (nel 1791),
anche il conte Cavena.go, feudatario di Trezzo, otteneva il di-
ritto di poter inquartare nel suo stemma le armi della città di
Milano. Parecchi patrizj vennero anchà, da Carlo VI imperatore,
innalzati alla dignità ereditaria di grande di Spagna, decorati
del massimo ordine del Toson d'oro. Nella parte tecnica dell'a-
raldica furono meno favoriti, non vantando né gridi di guerra, né
motti celebri, rivaleggianti con quelli di altre più guerresche ari-
stocrazie.* Fra gli stemmi, oltre la croce rossa in campo bianco con
* La famiglia Serbelloni sarebbe originaria della Borgogna. Tre fratelli Serbelloni
abbandonavano la Francia durante i torbidi del regno di Carlo VI, e andarono a sta-
bilirsi, il primo in Spagna, il secondo in Napoli, il terzo in Milano. Nel secolo deci-
mosettimo, un Gabrio Serbelloni, di questo stesso ramo milanese, ebbe il titolo di duca,
sopra il suo proprio nome e cognome (duca di S, Gabrio Cerbellon) da Carlo II, re
delle Spagne, con diploma 3 novembre 1644. Questa famiglia si illustrava colle armi,
e venne anche beneficata con donativi da papa Pio IV Medici, suo stretto parente.
Possedette il rinomato castello e bosco Serbelloni, sul lago di Como. Un Gabrio, lo
stesso cbe innalzava il palazzo di Milano, alla invasione francese del 1796 sì distinse
per opinioni ultrademocratiche esternate con foga eccessiva, e vi rappresentò una
parte politica molto marcata. La sua immensa fortuna passava nel figlio della sua
figlia unica, marchese Busca- Arconati- Visconti ; ìndi il palazzo ai conti Sola.
* I della Pusterla nel secolo IX appartenevano all' ordine dei valvassori. I rami co-
nosciuti sono estinti dal 1814; è dubbio se qualche linea oscura esista tuttora. Diede
a Milano quattro arcivescovi; due, alquanto discutibili, nel nono secolo, indi Anselmo
nel 1126, e Guglielmo, pure arcivescovo e patriarca di Costantinopoli; Balzarino, con-
dottiero di Gian Galeazzo Visconti; valenti capitani in Pietro e Baldassare. Guglielmo
otteneva da Ottone, re dei Romani, la città di Asti in feudo, col diritto di portare lo
stemma imperiale, l'aquila nera in campo d'oro.
^ Cesare Cantìt, Parini e la Lombardia e Margherita Pusterla.
* Il grido di guerra, o grido d'arme, da non confondersi col motto (devise), serviva
per riconoscersi nella mischia. Fra i moderni non spettava che ai cavalieri aventi di-
ritto di portare bandiera. Nei tornei, nelle giostre, erano gli araldi che mandavano il
grido. Esso si inscriveva ordinariamente al disopra del cimiero, in due nastri svolaz-
zanti. In Francia il grido composto dal nome della famiglia apparteneva al primoge-
nito : i cadetti non potevano valersene che aggiungendovi il nome delle loro signorie.
IL PATRIZIATO MILANESE. 45^
ornato di palme ed ulivi, sormontata da corona marchionale della no-
stra città; notansi gli emblemi dei singoli sestieri (porte)/ di sem-
plicità veramente pura, come direbbesi in araldica; l'insegna della
nuova Credenza di sant'Ambrogio, un campo balzano partito in lun-
go coi due colori bianco e rosso ; lo stemma della diocesi, un sant'Am-
brogio in mezzo ai santi Gervaso e Protaso colla leggenda: Tales am-
bio defensores; poche hanno una espressione caratteristica, fuori
del comune, da paragonarsi alla Biscia dei Visconti ^ all' Umilitas
dei Borromei ; alla Scacchiera oro-sabbia dei Litta ; alla Scacchiera
argento-rosso dei Barbiano di Belgiojoso ; ai Pali dei Trivulzio ; alle
napoleoniche Stelle, sormontate dal berretto ducale, con risvolto di
ermellino, assunte dai Melzi d'Eril, quando, col gran cancelliere
guardasigilli del regno d' Italia, dal patriziato milanese monta-
rono alle, eccelse sfere della grande aristocrazia del primo impero
francese (della linea dei Lampergi, feudatarj e conti di Magenta
nel 1619; duchi di Lodi, ai 20 dicembre del 1807). Fra le par-
lanti, che l'arte araldica pospone alle vere, vale a dire, composte
secondo sue leggi, emergono la Santa Pietra, dei Pietrasanta; la
Fiora (scure, accetta), dei della Plora o Piola; la Torre rossa in
campo bianco, dei della Torre; la Pusterla (porta minore della
città), dei della Pusterla; il Crivello, dei Crivelli; la Cicogna, dei
Cicogna; il Verme, dei dal Verme, ecc.^ In sì numerosa schiera di
grandi famiglie e di altissimi personaggi, non si contavano, nel se-
colo decimottavo, se non tre feudatarj imperiali, tutti nel rango
* Galvano Fiamma, nel raccontare nn combattimento vittorioso dei Milanesi contro
gli Imperiali (1176), descrive i vessilli delle sei porte: «... Porta Komana militavit
sub vexillo rubeo; Porta Ticinensis sub vexillo albo (su cui fu, più tardi, dipinto uno
sgabello rosso nel mezzo) ; Porta Cumana sub vexillo tabulato ex albo et rubeo ; Porta
Vercellina sub vexillo balzano superius rubeo et inferius alboj Porta Nova sub vexillo
in quo est unus leo tabulatus albo et nigro colore ; Porta Orientalis sub vexillo in quo
est leo totus niger (in campo bianco). » In mezzo a queste insegne primeggiava di già
la vipera in campo bianco del milite Ottone Visconti (Capo ccv).
2 Matteo Visconti, quando, creato vicario imperiale in tutta la Lombardia, con mero
e misto imperio, riceveva l'aquila imperiale, la faceva apporre nelle proprie armi:
hiscia d'azzurro in campo d'argento con fanciullo rosso uscente dalle sue fauci. An-
che il duca Gian Galeazzo, col titolo di duca di Lombardia, acquista il diritto di por-
tare lo stemma imperiale.
^ Alcune famìglie, nei tempi della repubblica, prendevano il nome della porta della
città presso cui abitavano od avevano qualche giurisdizione: come i della Porta Co-
masina, i della Porta Romana, i della Porta Nuova, i della Porta Orientale, i della
Porta Vercellina ; ed anche semplicemente della Porta, o della Pusterla (vedi Giulini),
460 IL PATRIZIATO MILANESE.
dei vassalli minori. Erano i seguenti: l'abate di Sant'Ambrogio,
pei feudi di Limonta. Civenna e Campione ; il principe Gallio
Trivulzio, pei feudi di Retegno e Bettola (lui morto senza succes-
sori, passavano, nel 1768, a S. M. l' imperatrice-regina) ; il conte
Oiberto Borromeo Arese, pel feudo di Maccagno imperiale.^
* Neir anno 1782 i serenìssimi prìncipi vassalli maggiori del sacro romano impero
pei feudi imperiali sottoindieati, esistenti in Italia, erano i seguenti :
Milano e Mantova (imperatore Giuseppe TI, nella sua qualità di duca di Milano e
di Mantova) ; Toscana, cioè lo Stato Fiorentino, il Pisano, il Sanese, il Pontremolese
(Pietro Leopoldo I, arciduca d'Austria) ; Sardegna e Piemonte (Vittorio Amedeo, re di
Sardegna). A questo Stato furono cedute, negli anni 1737-1738, le così dette Lunghe,
n re di Sardegna, in qualità di duca di Savoja, si trovava introdotto nel Collegio dei
prìncipi con voti e sessione, e godeva il titolo di vicario imperiale, ma questo, a tenore
delle ultime sue investiture, solamente in terris suis. Il re di Sardegna, aggiunge il
documento ufficiale imperiale, « si fa anche le sito di usurpare, nei proprj titoli ed editti,
il titolo di marchese d'Italia; » Parma, Piacenza e Guastalla (infante di Spagna, don
Ferdinando I, duca di Parma) ; Modena e Novellara (Ercole Rinaldo d' Este, duca dì
Modena) ; Massa e Carrara (Maria Teresa Cybo Malaspina, duchessa dì Massa, princi-
pessa di Carrara, sposa di Ercole Rinaldo d'Este, duca di Modena); Genova (repubblica
aristocratica, con un doge ; Lucca (repubblica libera fino al 1369, governata da un Se-
nato di cencinquanta patrizj, con un gonfaloniere per capo, coadjuvato da nove anziani,
che sì mutano ogni due mesi) ; Principato di Torriglia (don Andrea Doria Panpbilj,
principe del sacro romano impero, di Torriglia e Melfi, per cesareo diploma 3 mag-
gio 1760).
I feudi imperiali e vassalli minori erano :
Nel Genovesato :
Arquata (Agostino Spinola, marchese di Arquata) j Borgo Adorno, ossia marchesato
Paravicino e porzione dì Cantalupo (marchese Luigi Botta Adorno) ; Campofreddo (mar-
chese Cristoforo Spinola e serenissima repubblica di Genova, ciascheduno per metà);
Gabella e Fontana Rossa (marchese Giovanni Carlo Spinola Pallavicino) ; Croce e Mon-
giardino (conte Agostino Fieschi); Cantalupo (marchese Luigi Botta Adorno); Isola Va-
riana e porzione di Pietrabissara (marchesa Camilla Spinola Veronesi e marchese Fran-
cesco M. Spinola) ; Montessoro Piana (marchese Gian Benedetto Spinola) ; Pietrabis-
sara (marchese Alessandro Luciano Spinola); Ronco, Rocchetta, Roccaforte e porzione
di Buzzala e Borgo de' Fornari (marchese Carlo Spinola) ; Savignone e Casella (conte
Oerolamo Fieschi) ; Varìnella (abate dei monaci Olivetani di Preoipìano) ; Vergagni (Gian
Ambrogio Crosa).
In Valle di Trebbia e Pregola :
Campi (prìncipe G. B. Centurione, prìncipe del S. R. I.) ; Orezoli (diversi marchesi
Malaspina poveri, eccettuato il portatore feudale, marchese Antonio Giuseppe di Poz-
zuolo) ; Pregoia (varj Malaspina).
In Lunigiana :
Fosdìnovo (marchese Carlo Malaspina dì Fosdìnovo) ; Podenzano e Aulla (marchese
Alessandro Malaspina dì Podenzano) ; Olivola (marchese Lazzaro Malaspina di Olivola) ;
Ponte Bosio (marchese Claudio Malaspina del Ponte) ; Licciana e Panicale (Ignazio Ma-
laspina dì Licciana) ; Bastia (marchese Giammaria Malaspina della Bastia) ; Villafranca
« Rocchetta (marchese Tomaso Malaspina di Villafranca e marchese Estense Malaspina),
/
IL PATRIZIATO MILANESE. 461
Quando la morte ci rapì il più grande scrittore nazionale dei
nostri tempi, Alessandro Manzoni, non si mancò di indagare tutte
le circostanze che avevano accompagnata la sua esistenza. Si
venne quindi a discutere anche della posizione sociale della fami-
glia donde nacque, e se ne fece perfino un tema di polemica dai
Mulawo (marchese Giacinto Malaspina); Tresana, Castagnotolo e Giovagallo (principe
don Bartolomeo Corsini) ; Freschetto, Vico, Jera (conte Carlo di Kichecourt) ; Castevoli
e Cavanella (marchese Tommaso Malaspina di Villafranca) ; Suvero e Monti (Mala-
spina) ; Malgrate (feudo contestato dalla Camera di Milano, conte Camillo Stampa Cre-
moneee).
In altre provincie :
Gazoldo (marchese Ippolito, conte di Gazoldo); Vescovato (principe Francesco Ni-
cola Gonzaga, principe del S. R. L); Rolo (feudo ceduto a casa d'Austria nel 1776.
Ultimo possessore ne fu il marchese Gaetano Sessi di Rolo); Retegno e Bettola (il pos-
sesso di questo fu ceduto a S. M. I. nel 1778. Ultimo investito ne fu il principe Tri-
vulzio); Maccagno imperiale (conte Giberto Borromeo Arese) j Principato di Castiglione
delle Stiviere, Medole, Solferino (Gonzaga. Ceduto all'imperatrice nel 1773); Limonta,
Civenna e Campione (abate di Sant'Ambrogio di Milano) ; Soave e San Martino di Gu-
snago (ceduto all' imperatrice nel 1775. Ultimo possessore il conte Alessandro Giannini);
Castiglione delle Gatte (conti Lucrezio e Guido Popoli ed altri condomini di tal fami-
glia) ; Vernio (conti di Bardi), Monte Santa Maria (marchesi Bourbon del Monte) ; Sor-
bello (marchese Uguccione Bourbon di Sorbello); Carpegna e Scavolino (feudi impe-
riali che nell'anno 1754, previo il così detto revers, rilasciati da ambedue le parti, toc-
carono alla Corte di Roma, e per essa alla famìglia dei marchesi Gabrielli) ; Musocco
e Valle Misolcina, in Valtellina (altre volte feudo imperiale ; dichiarato principato dagli
imperatori, ne era stata investita la casa dei prìncipi Trivulzio di Milano).
In Lombardia si contavano anche pochi feudi pontifici, quali:
Ripa d'Orta, Pievi Gandiano e Sorisio (vescovo di Novara) ; Stradella, Porta Albera
e Casorate (vescovo di Pavia) ; Valsolda (arcivescovo di Milano) ; Varinella (monaci
Olivetani di Precipiano) ; Principato di Masserano e Gravicore (famiglia Fereria Fiesca.
{Archivio di Stato.)
11 feudo e ducato imperiale di Mantova fu tolto al Gonzaga con sentenza della Dieta
di Ratisbona 30 giugno 1708, che dichiarava Ferdinando Carlo Gonzaga, duca di Man-
tova e di Monferrato, reo di fellonia, e condannavalo alla perdita di tutti i suoi Stati.
L' imperatore, fin dal 1701, aveva ordjinato il processo del duca di Mantova, che, col
riconoscere Filippo V a re di Spagna, col ricevere presidio francese nella sua capitale,
e coir accettare il grado di generale nell' esercito francese, aveva infranto il patto
feudale.
Il ducato imperiale di Mirandola, concesso nel 1311 a Francesco della famiglia Pico,
vicario imperiale, da Enrico VII, imperatore; poi passato ai Bonacorsi, e nel 1328 ai
Gonzaga, ripreso dai Pico nel 1354 per concessione dell'imperatore Carlo IV; fu defi-
nitivamente tolto a Francesco Maria, l'ultimo di sua razza, giacche nella guerra di suc-
cessione, come il Gonzaga, era sceso a patti coi Francesi. In conseguenza di questo
fatto pubblicavasi in Vienna una sentenza contro il duca, con cui lo si dichiarava reo
di fellonfa, e decaduto del ducato imperiale di Mirandola. Nel 1706, Eugenio di Savoja,
riconquistando la Lombardia, mandò ad esecuzione, l'anno dopo, la sentenza di Vienna.
Nel 1708 fu pubblicata anche la confisca dei beni allodiali (vedi Litta),
Arch. Stor. Lotnb. — An. I. - - 29
462 IL PATRIZIATO MILANESE.
giornali. A rettificare giudizj erronei su fatti frantesi, è prezzo
dell'opera esporre quanto ho potuto raccogliere da documenti ir-
refragabili, considerati da una critica il meglio che so e posso
conforme allo stato reale delle cose.
Esiste neìV Archivio di Stato la sentenza del Tribunale Araldico
della Lombardia, in data 13 giugno 1771, con cui viene affermata
la nobiltà della famiglia Manzoni, e più precisamente di:
Manzoni don Paolo, canonico ordinario della Metropolitana, e
don Pietro Antonio, fratelli — già in possesso del feudo onorifico
e nobile di Moncucco, nel territorio di Novara, di cui, in virtù di
Reale dispaccio di Carlo II di Spagna, era stato investito (23 feb-
braio 1691) il loro avo paterno don Pietro Antonio.
Manzoni don Massimiliano, uscito dallo stesso ceppo, ma da
altra linea priva di feudi.
Qualche anno dopo (1791), forse incoraggiati da quella prima
vittoria, vennero in pensiero di fare un passo innanzi, coli' aspi-
rare al patriziato milanese, sicuramente persuasi di possederne i
necessarj requisiti. Massimiliano Manzoni, insieme co' suoi tre fi-
gli, e co' suoi due agnati. Paolo e Pietro (padre del nostro Ales-
sandro), ricorrono al Consiglio Generale, allo scopo di venire am-
messi nel libro d'oro dei nobili patrijsj. Ecco l'istanza da essi
presentata, quale si legge in un documento deposto nel civico Ar-
chivio :
" Eccellentissimo Consiglio Generale,
« 1.0 ottobre 1791.
„ Desiderando don Massimiliano Manzoni, a nome anche de' suoi
figli, Regio Consigliere d'Appello in Mantova don Giovanni, il Ca-
nonico di San Nazaro di Milano don Antonio, ed il Primo Tenente
dell' inclito reggimento Belgiojoso don Michele Angelo, non che
don Pietro e Canonico Ordinario della Metropolitana don Paolo,
fratelli, tutti consorti Manzoni , Servitori umilissimi di questo Ec-
cellentissimo Consìglio Generale, di essere ammessi agli onori pa-
trizi di questa Eccellentissima Città. Perciò
„ Umilmente supplicano questo Eccellentissimo Consiglio, acciò
voglia compiacersi, previo V esame delle scritture, ammetterli ed
approvarli. Che della grazia, ecc. „
firmato Pietro Manzoni, anche a nome di tutti i già nominati
parenti suoi.
IL PATRIZIATO MILANESE. 463
I Conservatori degli Ordini, ai quali trasmettevasi tosto l'istanza
Manzoni, come era sempre stato loro stile, non si occuparono con
molta sollecitudine di discuterla/ Il perchè, qualche anno dopo, la
stessa famiglia, forse impazientita di ogni indugio, per altro abi-
tuale, chiede le sieno restituiti, isso fatto, i documenti che cor-
roboravano la domanda; locchè lascia supporre avesse presentito
l'esito fosse per riuscire sfavorevole. Le difficoltà dovevano essere
alquanto serie, giacché non appare si facessero dai Manzoni nuove
pratiche per vincere la partita, prima del 1796, anno in cui fu
soppresso l'albo dei patrizj. A meno che considerazioni di diversa
natura non li avessero dissuasi da tale pratica. Trascrivo la ri-
sposta del vicario in proposito:
« Milano, 7 Gennajo 1793.
„ Il signor Canonico Mansoni^ a nome anche degli altri nomi-
nati nel qui unito ricorso ha esposto il bisogno di avere i docu-
menti prodotti per la petizione del patriziato^ ad oggetto di spe-
dire alcuni affiiri di famiglia, salva la ragione di riprodurli a tempo
opportuno. Se gli Eccellentissimi Signori Conservatori non hanno
difficoltà od eccezione veruna, io sarei di sentimento che si po-
tesse al ricorrente accordare la restituzione dei predetti documenti,
contro ricevuta da lui firmata, da ritenersi negli atti ; e che gli si
riservasse pure la ragione di riprodurli, quando ne avrà fatto l'uso
opportuno. „
firmato Nava, p. Vicario,
La repubblica fondata dai Francesi invasori, abolì la nobiltà
esistente, e l'impero vi surrogava i titoli napoleonici, coi quali
intendeva affezionarsi una nuova generazione di fidi servitori, ed
ammansare molti di quelli che avevano esordito nella vita politica
col ballare attorno all'albero della libertà, col raschiare gli stemmi
dalle antiche lapidi, e collo scambiare l'aristocratico Bruto per un
demagogo da trivio.* Ma non appare che la famiglia Manzoni fosse
* Le domande di ammissione al patriziato, di solito non venivano evase che qualche
anno dopo la loro presentazionp all' Ufl&cio dei Conservatori.
' I democratici milanesi, al comparire dell'esercito francese repubblicano, si credet-
tero in obbligo di trasformare la statua di Filippo II, che si innalzava in piazza dei
Mercanti, al posto dell'attuale Sant'Ambrogio, nella figura dell'uccisore di Giulio Cesare.
464 11^ PATRIZIATO MILANESE.
dal conquistatore favorita in nessuna maniera. Dopo la restaura-
zione austriaca, essa non fece neppure riconfermare dal Governo
di Vienna i proprj diritti nobiliari, già riconosciuti dalla sentenza
del 1771; né mai ufficialmente valere quelle distinzioni araldiche
di cui era stata fregiata, anche in tempi anteriori, da sovrani stra-
nieri, per quanto 1' I. R. Autorità si mostrasse disposta a favorire
una qualsiasi richiesta dell' illustre e venerando poeta. Ecco il
motivo per cui non trovasi il suo nome inscritto negli elenchi dei
nobili lombardi del 1828 e del 1840. Caduto il governo del 1814,
dovrebbe logicamente tornare in pieno vigore la sentenza del Tri-
bunale araldico di Milano, emessa in favore del padre dell'autore
de' Promessi Sposi, qualora si eseguiscano le formalità prescritte
delle leggi del nuovo regno. ^ Con tali spiegazioni, credo aver ri-
vendicati i diritti del mio sommo concittadino, diritti contestati
anche dalla inesperienza di alcuni biografi, i quali ignorando
molte cose, confusero con strano imbroglio la qualifica di noUle
€on quella, in questo caso ben diversa, di patrizio ; confusero due
Consessi che nulla avevano di comune fra di loro, quali erano il
Tribunale araldico governativo, e la Commissione municipale detta
dei Conservatori degli Ordini,
Felice Calvi.
(La fine nel prossimo fascicolo.)
• Antonio Stoppani, nel libro in cui discorre dei primi anni di Manzoni, lo farebbe
discendere da una famiglia di Valsassina, salita ad alto grado di potenza. Il bisavolo
di Alessandro Manzoni abitava a Barzio nel 1707, da dove sarebbe disceso al Galeotto,
verso il 1710. Da lui nasceva Alessandro, verso il 1712, e da Alessandro il Pietro qui
sopra menzionato.
SUPPLEMENTO
A TJN CATALOGO DI LIBRI DI PALEOGRAFIA
E DIPLOMATICA.
Il signor Bartolomeo Cecchetti inseriva nel Voi. II, Serie IV,
degli Atti del B, Istituto Veneto di Sciente, Lettere ed Arti, una
Bibliografia degli Archivj namonali e stranieri. Noi, seguendo il
medesimo ordine geografico-alfabetico, secondo il quale distribuì
la materia il benemerito archivista veneto, e tenendo parimente
conto, com'egli fece, anche di ciò che riguarda le Scuole di Pa-
leografia^ annesse a parecchi degli Archivj di Stato italiani, ab-
biamo creduto giovare a quella pubblicazione compilando questo
Supjplemento.
Giuseppe Porro,
sotto-segretario délV archivio di stato.
I. DEGLI ARCHIVJ IN GENERALE.
(V. il Cecchetti a f. 64-68.)
1. AUgemeine deutscJie Beal-Enciclopddie fur die gehildeten Stdnde
(Lessico di conversazione). 8.^ ediz., in 12 voi. Lipsia, 1833; voi. I,
pag. 371; alla voce ARcmv.
2. Baringii Danielis Eberhardi Clavis Diplomatica. Hanoverse mdccliv.
Bibliotheca Diplomatica scriptorum rei diplomaticse. Sectio III : De
Tabulariis atqtie Arcìiivis^ nec non de Cancellariis , item S. R. I. Au-
lìcorum officiis Auctores.
3. Barisoni Albertino. Commentarius de Archivis antiquorum. Fu
pubblicato dal Baleni nei a Nova supplementa antiquitatum roma-
narum. w
4. Battheney. Supplément à la diplomatique pratique ; con 53 tavole.
466 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
Paris^ 1772, in-4. Fu ripubblicato nel 1775 col titolo: U Archiviste
Frangais.
5. Clievrier. Le nouvel Archiviste, etc. (o sia Nuovo metodo di ordi-
nare le carte). Paris, 1775.
6. Civelli GioacJdmOj archivista. Trattato sugli Arcliivj privati. Una
copia di questo scritto inedito (ms. di f. 217) è posseduta dal signor
Carlo Leonardi, segretario presso gli Archivj di Stato in Milano.
7. Conversations-Lexicon der Gegenwart, In-4 voi. Lipsia, 1838-41.
Vedi la voce Archivwesen. Voi. I. pag. 208-211.
8. Cossa dott. Giusejppe. Tre prelezioni ad altrettanti corsi di Pa-
leografìa e Diplomatica, ecc. Modena, tip. degli eredi Soliani, 1862.
9. Fumagalli Angelo. Delle istituzioni diplomatiche. Milano, 1802. —
NB. Il capo Vili del libro III tratta: a Degli Archivj e della ma-
niera di ben disporre e custodire le carte, n Vedi il tomo 2.°, p. 430-459.
9 bis. Glussianus Nicolaus. Metodus Archivorum, sive modus eadem
texendi ac disponendo Mediolani, apud Vigonum, 1684, in-12.
9 ter. Guazzo Valentino. Enciclopedia degli affari. Padova, 1853.
V. le voci Archivario, Archivio ed Archivista. Da faccia 253 alla 370.
10. Le Moine. Diplomatique pratique, ou Traité de l'arrangement et
trésors de chartes. Metz, 1765, in-4.
11. MandelU Carlo Giuseppe di Vajlate. — Archiofilia rurale, ov-
vero due progetti a giovamento degli Archivj pubblici di campagna ec-
clesiastici e civih. Treviglio, 1861.
12. Oesterreiclier.-Anleitung zur ArcMvivissenschaft (Introduzione alla
scienza archivistica). 1806.
12 bis. Predari Francesco. Enciclopedia economica, accomodata all'in-
telligenza e ai bisogni di ogni ceto di persone. Torino, 1860-62. Voi. 1.
V. la voce Archivj, a pag. 277 del voi. I.
13. Piitter G. S. Anleitung zur juristischen Praxis. 5.^ ediz. Got-
tinga, 1777. Vi ha chi opina il miglior sistema di ordinamento per gli
Archivj essere quello insegnato in quest'opera.
14. Sickel Th. Monumenta graphica medii sevi ex Archi vis et Biblio-
thecis Imperli Austriaci collecta; edita jussu et auspiciis Ministerii Cul-
tus et Publicse Institutionis C. R. Vindobonae, ex officina C. R. tip.
Aulse et Status. 1858-66, in-fol. Intorno a questa collezione di fac-simili
6i legge nella Gazzetta Ufficiale di Milano dell' 8 luglio 1858, N. 161,
una informazione tradotta dalla Wiener- Zeitung^ n. 16 e 17, di quel-
l'anno medesimo.
14 bis. Spiess Filippo Ernesto. Degli Archivj (in tedesco). Halle, 1777;
in-8. È un trattato compendioso sulla maniera di organarli.
• 15. Wattenbach W. Das Schriftwesen im Mittelalter (La scrittura
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. 467
del medio evo). Lipsia, Hirzel, 1871. Negli ultimi capitoli l'autore adunò
varie notizie storiche intorno agli Archivj.
16. ZinJcernagel. Handbuch fùr Archi vare (Manuale degli Archivisti).
Nordlingen, 1800, in-4. Raccomandato dal Bohmer ai principianti che
non conoscono le denominazioni geografiche del medio evo.
17. Waser Giovanni Enrico.
a) Cronologia diplomatica. Zurigo, 1780: in-fol.
h) Historisch-diplomatisches Jahrzeitbuch zur Priifung der XJrkun-
den, ecc. Zurigo, 1799. Opera utile e pregiata.
II. FRANCIA.
(\^. il Cecchetti a f. 70-72.)
1. Journal des Débats, 16 maggio 1845.
2, Tolosa e alta Lìnguadoca.
MaS'Latrie {de) Louis. Rapport sur les Archives de la ville de Tou-
louse et de quelques localités du Haut-Languedoc, adressé à M. le Mi-
nistre de rinstruction Publique. Paris, 1839.
III. GERMANIA.'
- . (V. il Cecchetti a f. 73-77.)
Buder. Nella prefazione ai a Dìplomataria et Scriptores Historiae
Oermanicse, v di Schottgen e Kreysig, pubblicati in Altenburg nel 1753
(voi. 3; in-fol.), parla delle vicende degli Archivj dell'Impero Ger-
manico.
IV. ITALIA IN GENERALE.
(V. il Cecchetti a f. 77-78.)
1. Baschet Armando Rapporto su di una missione di esplorazione nei
diversi Archivj del Regno d' Itaha, indirizzato a S. E. il signor conte
Walewski, ministro di Stato. 'Neììsi Perseveranza, 17 luglio 1863, n. 1319;
19 d.«, n. 1321, e 21 d.", n. 1323.
2. Blume Federico. Iter italicum. Berlin und Stettin, in der Nicholai-
schen Buchhandlung, 1824. Sono 4 voi. in-8. Il primo tratta degli Ar-
chivj, delle Biblioteche, e delle iscrizioni nelle Provincie Sarde ed Au-
striache.
3. F. B. Sui pubblici Archivj comunali. Articolo* nell' Osservatore
Lombardo del 21 di agosto 1858, n. 7.
4. Istruzione (La) Pubblica (periodico); 9 dicembre 1865, n. 7, a f. 86:
Oli Archivj del Pegno.
5. Longo (r., marchese, archivista provinciale. Se gli Archivj prò-
468 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
vinciali debbano intendersi dipendenti dai Consigli della Provincia. Ca-
tania, 1864.
6. La Nazione^ giornale di Firenze. Sul riordinamento degli Archivj
di Stato; 27 febbrajo 1871, n. 58.
7. Osio Luigi. Nel giornale II Diritto^ 20 e 22 marzo 1871, n. 79
e 81. Sono due brevi scritti in risposta e commento all'articolo ora
detto della Nazione,
8. La Perseveranza^ giornale. V. i nn. 1542 e 1543, del 26 e del
27 febbrajo 1864. Yi si contengono due note sul prestito di codici delle
Biblioteche e degli Archivj.
9. Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno :
A. 1861, 28 luglio, n. 163; voi. I, p. 738. Vien prescritto il de-
posito presso gli Archivj generali del Regno dei campioni prototipi dei
pesi e delle misure.
A. 1861, 8 dicembre, n. 368, voi. II, p. 1942. Si prescrive il depo-
sito presso i medesimi Archivj della impronta originale delle monete
d'oro e d'argento.
A. 1862, 28 dicembre, n. 1082, voi. Y, p. 3578. Ordinamento degli
uscieri, commessi ed inservienti degli Archivj governativi centrali e
provinciali.
A. 1865, 8 ottobre, n. 2537, voi. XII, p. 2372. R. Decreto che
sopprime il posto di legatore di libri presso la Direzione generale degli
Archivj del Regno.
A. 1867, 21 luglio, n. 3832, voi. XIX, p. 1274. R. Decreto col
quale viene riformata la pianta organica delle Direzioni degli Archivj
di Stato.
A. 1867, 15 dicembre, n. 4142, voi. XX, p. 2455. R. Decreto col
quale è riformata la pianta organica delle Direzioni degli Archivj di Stato.
A. 1869, 10 ottobre, n. 5309, voi. XXY, p. 1769. R. Decreto che
stabilisce il ruolo degli impiegati degU Archivj di Stato dipendenti dal
Ministero degli Affari Interni.
A. 1870, 11 dicembre, n. 6133, voi. XXX, p. 3587. R. Decreto
che sopprime la Direzione generale degli Archivj del Regno.
A. 1870, 15 dicembre, n. 6202, voi. XXX, p. 4111. R. Decreto che
stabilisce il ruolo del personale degli Archivj di Stato dipendenti dal
Ministero degli Interni.
10. Rodino csLY.- Leopoldo. Degli Archivj generali. Y. il Giornale di
Napoli, n. 37, del 1862 (febbrajo, 13).
11. Silvestri Giuseppe. Progetto di legge sul riordinamento degli
Archivj di Stato in Italia. Y. l'Archivio Storico Siciliano. Anno I,
p. 534-562.
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. 469
12. Starabba Rafaele. Sullo stato e sulla riforma della legislazione
dei pubblici Archivj in Italia. V. l'Archivio Storico Siciliano. Anno I,
p. 443-451.
13. Volpi Angelo, segretario presso gli Archivj di Stato in Milano.
Sulla necessità di un ordinamento uniforme di tutti gli Archivj dello
Stato. Memoria ms. letta dall'autore Tanno 1866, il 28 di gennajo, nella
seduta inaugurale di una nuova Accademia Storico-Archeologica. Veg-
gasi La Lombardia (giornale) del 31 gennajo, e L^ Istruzione Pubblica,
27 gennajo, n. 4, e 3 febbrajo, n. 5, del detto anno.
V. ITALIA IN PARTICOLARE.
Città, regioni e luoghi singoli.
a) BELLUNO E FELTKE.
(V. il Cecchetti a f. 78-94.)
1. Canta Cesare, Comunicazione al R. Istituto di Scienze, Lettere
Arti di Venezia sopra gli Archivj di Belluno e di Feltro, e docu-
lenti tratti da essi, relativi al dominio dei Visconti (Voi. XIII, serie III,
legli Atti di quell'Istituto).
' bj BOLOGNA.
(V. il Cecchetti a f. 87.)
1. Gualandi avv. Angelo. Degli Archivj Bolognesi. Bologna, Fava e
faragnani, 1873.
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.
A. 1865, 29 gennajo, voi. II, p. 104. R. Decreto che pone sotto la
imediata dipendenza del Ministero di Giustizia il Grande Archivio
legli atti civili e criminali di Bologna, e ne ricompone la pianta or-
ganica.
A. 1867, 29 settembre, n. 3942, voi. XIX, p. 1728. R. Decreto
col quale sono date norme all'archivista del Grande Archivio di Bo-
logna pel rilascio degli atti giudiziarj ivi deposti.
3. Scarabelli Luciano ^ prof. Relazione dell'importanza e dello stato
degli Archivj Bolognesi. In-8°, di pag. 216. Bologna, 1874.
e) BBENO.
1. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.
A. 1863, 6 dicembre, n. 1565, volume Vili, p. 2332. R. Decreto
col quale l'Archivio notarile sussidiario di Dreno è collocato sotto la
giurisdizione della Camera di Disciplina notarile di Brescia.
470 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
d) BBESCIÀ.
(V. il Cecclietti a f. 94.)
1. Gregorio XIII^ papa. Breve del dì 4 d' ottobre 1575 di S. S. a
S. Carlo Borromeo, relativo alla conservazione degli atti dell'Archivio
vescovile dì Brescia. V. a p. 310-11 del voi. II dei — u Documenti circa
la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, r) pubblicati dal Sala.
2. Raccolta Uf -fidale delle Leggi ^ ecc.
A. 1862, 10 gennajo, n. 412, voi. Ili, p. 8. R. Decreto che aumenta
il quadro numerico degl'impiegati presso l'Archivio governativo di Bre-
scia, ecc.
e) CALABEIE TJLTEEIOKI.
1. Capialhi Vito. Sugli Archivj delle due Calabrie Ulteriori. Rapido
cenno. Napoli, 1845.
f) CATANIA.
1. Bertucci Francesco di Paola, archivario provinciale di Catania, ecc.:
a) Discorso inaugurale per l'apertura dell'Archivio Provinciale di
Catania il 12 gennajo 1854. Catania, 1854. II ediz. con appendice.
ò) Istruzioni pel coordinamento degli Archivj Comunali della pro-
vincia di Catania. Catania, 1849.
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.
A. 1869, 28 febbrajo, n. 4969, voi. XXIV, p. 426. R. Decreto che
approva il Regolamento pel servizio interno dell'Archivio provinciale
di Catania.
g) CAVA DEI TiKKENi (Provincia di Salerno).
(V. il Cecclietti a f. 88.)
1. Codex Diplomaticus Cavensis nunc prirnum in lucem editus cu-
rantibus dd. Michaele Morcaldi, Mauro Schtani, Sylvano de Stephano
O. S. B. Accedit Appendix qua praecipua Bibliothecae MS. membra-
nacea describuntur per d. Bernardum Caietano de Aragonia 0. S.B.
Tomus I-. Neapoli, MDCCCLXXIII.
2. Quaranta cav. Bernardo. Archivio della Cava. Biblioteca. Vedi
l'opera:- a Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze.» Voi. II,
p.. 537-40.
3. Raccolta Ufficiale delle Leggiy ecc.
A. 1867, 11 agosto, n. 3876, voi. XIX, p. 1468. R. Decreto col
quale è abolito l' ufficio di vice-archivario negli Archivj di Montecassino
e di Cava de' Tirreni.
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. ^ 471
h) EMILIA.
(V. il Cecchetti a f. 80. 84 e 91.)
1. Raccolta degli Atti del Governo di Sua Maestà il Re di Sar-
degna :
A. 1860, 13 ottobre, n. 4374, voi. XXIX, p. 2013. Revoca delle
disposizioni 13 dicembre 1814, 10 luglio 1815, 18 febbrajo e 7 settem-
bre 1819, del già duca di Modena.
A. 1860, 31 dicembre, n. 4536, voi. XXIX, p. 3845. Approvazione
della pianta numerica pel personale degli Archivj dell' Emilia ; facente
parte integrante della Direzione generale degli Archivj del Regno;
ivi, p. 3847: Quadro di riparto del personale componente gli Archivj
dell' Emilia.
i) FELTEE (v. Belluno).
i bis) FERRAEA.
(V. il Cecchetti a f. 87.)
1. Antonelli Giuseppe^ canonico. Catalogo di autografi di sovrani e
distinti personaggi della sua collezione. Ferrara, 1863.
j) FIRENZE.
(V. il Cecclietti a f. 80, 85, 86, 91.)
1. Archivio Storico Italiano. Appendice. Tomo IX, p. 241-278.
1) V n Nuova serie. Tomo I, parte II, p. 258-59.
2. Canta Cesare :
a) Notizie su Napoli dall'Archivio di Firenze. V. Archivio Sto-
rico Italiano. Serie III, tomo X. parte I, p. 27-39.
b) Spigolature negli Archivj Toscani. Varj articoli nella Rivista
Contemporanea del 1860.
3. Guasti Cesare. I manoscritti Torrìgiani donati al R. Archivio Cen-
trale di Stato in Firenze. Descrizione e saggio. In corso di pubblica-
zione nell'Archivio Storico Italiano.
4. Guida all'Archivio centrale di Stato.
5. Guida di Firenze^ 1841. A pag. 45 vi si parla dell'Archivio diplo-
matico.
6. Monitore Toscano ; 14 luglio del 1855.
7. Raccolta Ufficiale delle Leggi ^ ecc.;
A. 1863, 16 luglio, n. 1373, voi. VII, p. 1240. R. Decreto che ap-
prova la pianta numerica degl'impiegati dell'Archivio centrale di Stato
in Firenze.
A. 1864, 12 giugno, n. 1812, voi. IX, p. 661. R. Decreto che or-
472 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
dina la riunione all'Archivio di Stato di Firenze dei documenti interes-
santi le dinastie Medicea e Lorenese ed il cessato Governo Toscano.
A. 1869, 28 febbrajo, n. 4972, voi. XXIV, p. 429. R. Decreto che
stabilisce il ruolo degli impiegati dell'Archivio di Stato in Firenze.
A. 1871, 26 marzo, n. 162, voi. XXXI, p. 766. R. Decreto che
approva il ruolo normale dell'Archivio centrale di Stato in Firenze.
A. 1872, 3 maggio, n. 835, voi. XXXIV, p. 973. R. Decreto che
approva il ruolo normale degli uscieri e serventi dell'Archivio di Stato
in Firenze.
8. Spettatore (giornale), 26 luglio del 1855.
k) GENOVA.
(V. il Cecelietti a f. 80, 81 e 86 Us.)
1. ArcMvj politici della Repubblica Genovese. V. questo titolo nella
Istruzione Pubblica^ periodico di Milano, del 6 gennajo 1866, n. 1, tra
le Notizie varie.
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi^ ecc.
A. 1862, 10 gennajo, n. 412, voi. III, p. 8. R. Decreto che au-
menta il quadro numerico degli impiegati presso l'Archìvio governativo.
l) LODI.
1. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.:
A. 1862, 27 luglio, n. 727, voi. IV, p. 1596. R. Decreto che col-
loca l'Archivio sussidiario notarile del Circondario di Lodi sotto la giu-
risdizione della Camera di Disciplina notarile di Milano.
A. 1864, 8 maggio, n. 1775, voi. IX, p. 521. R. Decreto che
contiene disposizioni relative all'Archivio notarile sussidiario di Lodi.
m) LOMBARDIA.
1. Osio Luigi. Prospetto generale degli Archivj non regj, tanto
pubblici che privati, esistenti nella Lombardia, presso i quali si conser-
vano materiali storici importanti per la scienza e lo Stato. Milano, il
4 luglio 1858 (Ms. negli Archivj di Stato in Milano.)
n) LUCCA.
(V. il Cecchetti a f. 87 ed 88.)
1. L'Archivio di Stato in Lucca. Articolo néìVArchivio Storico Ita-
liano. Serie III, tomo XVIII, p. 497-502.
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.:
A. 1863, 16 luglio, n. 1359, voi. VII, p. 1209. R. Decreto che
approva la pianta dell'Archivio di Stato in Lucca.
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. 473
A. 1871, 26 marzo, n. 163, voi. XXXI, p. 768. R. Decreto col
quale è abolito nell'Archivio di Stato in Lucca un posto di applicato
di seconda classe ed istituito un altro di applicato di terza.
O) MANTOVA.
(V. il Ceccbetti a f. 92 e 93 bis.)
1. Bianchi Celestino^ scrittore nell'Archivio generale di Mantova.
Alphabeta varia cum notis contra veterum notariorum ad lectionem et
intelligentìara manuscriptorum prsecipue sseculorura XIY, XV, XVI
€ollecta tabulisque exhibita anno 1824, ad usum Caesarei R. Archivi
generalis Mantuse.
2. Legnarti Filippo. V. la Gazzetta di Mantova^ 25 settembre 1861,
n. 39. Articolo bibliografico.
3. Raccolta Ufficiale delle Leggi^ ecc.
A. 1868, 24 luglio, n. 4511, voi. XXII, p. 1103. R. Decreto che
stabilisce il ruolo del personale dell'Archivio.
p) MIIiANO.
(V. il Cecchetti a f. 79, 89 e 90.)
1. Bar Cellino Francesco^ archivista civico. Inventario dell'Archivio
civico. Voi. 3, compilati nel 1653, con appendice del 1654; ms. ine-
dito nell'Archivio Municipale.
2. Berlan prof. Francesco :
a) Lettere inedite di Illustri Italiani nelle scienze e nelle let-
tere, cavate dalla Raccolta di Autografi del cav. Damiano Muoni,
pubblicate e commentate. Milano, 1865. Edizione di 300 esemplari.
h) Soppressione dannosa. La Scuola di Paleografia in Milano.
Y. il periodico La Istruzione Pubblica, del 9 dicembre 1865, n. 7.
3. Brasca Alessandro Milano. Archivj privati: Archivio del nobile
ing. Emanuele Gallar ati. I mss. di Giovanni Gaspare B eretti. Informa-
zione. V. la Gazzetta Ufficiale di Milano^ 19 marzo 1859^ n. 67.
4. Canta Cesare :
a) Sulle pubblicazioni dell'Archivio Milanese. Al cav. Bonaini, so-
prantendente generale degli Archivj del Granducato di Toscana. Y.
Presiosità dell'Archivio (nel giornale) la Gazzetta Ufficiale di Milano,
1 ottobre 1858, n. 235.
b) Ancora sul modo di pubblicare il carteggio diplomatico del-
l'Archivio Milanese. V. la medesima Gazzetta sotto il 30 novem-
bre 1858, n. 286.
4 bis. Corto àoìt. Lodovico (L. C). « Corrispondenza milanese.» Sta
nella Bivista Europea del 1873, a pag. 593. Vi si parla, fra più altre
474 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
cose, dell'esito del corso di Diplomatica tenuto nel detto anno presso
la Scuola annessa agli Archivj di Stato in Milano.
4 ter. Corriere di Milano (giornale). Y. il n. 67, 9 marzo del 1873,
nella Cronaca, sotto il titolo: Gli Archivj.
5. Cusani Francesco. Documenti diplomatici tratti dagli Archivj Mi-
lanesi. V. La Perseveranza del 10 luglio 1872. È un articolo biblio-
grafico-critico, il quale esordisce con notizie intorno alle vicende degli
Archivj di Stato Milanesi.
6. Fahi Massimo :
a) Cenni intorno alle raccolte di monete, suggelli, manoscritti ed
opere del cav. Carlo Morbio. Milano, 1861; nel periodico// Regno d'Italia.
h) a Relazione sui suggelli pubblici e privati w tratti dal car-
teggio ducale dell'Archivio generale in Milano. Milano, 1861, nel me-
desimo periodico. ,
7. Ferrario Luigi :
a) V. la Gazzetta di Milano, n. 59 e 68, dell'anno 1845. Vi trattò
del Medagliere della defunta principessa Cristina Belgiojoso, posto nel
costei palazzo di Locate.
h) a Sull'interesse dei capitali a mutuo in Lombardia durante il
medioevo. » Notizie di fatto, raccolte in gran parte dalle pergamene
dell'Archivio Diplomatico di Milano. Memoria ms. finita il 30 dicem-
bre 1854, indi trasmessa all'Accademia delle Scienze in Vienna, dalla
quale, per quanto è a mia cognizione, non fu pubblicata.
e) tt Di una preziosa collezione di sigilli, v V. La Istruzione Fuh-
hlica, del 27 gennajo 1866, n. 4.
8. Gennari dott. Leonardo. « Corso di Procedura Giudiziaria Ci-
vile. V Pavia, 1844. Voi. I, cap. I, § 6, e cap. V, § 115-119. Della
Registratura. Tratta in generale delle Registrature dei Tribunali Ci-
vili Lombardo-Veneti.
8 bis. Ghinzoni Pietro* Cronaca dell'Archivio di Stato di Milano.
Maggio e giugno 1873. (Estratto àalV Archivio Veneto, tomo V, parte
IL) Altra simile pel secondo semestre dell'anno medesimo; v. V Ar-
chivio Veneto, tomo VI, parte II, p. 394. Si aggiunge una terza, ri-
guardante le operazioni del primo semestre 1874, che fu inserita nel
fascicolo 2.0, p. 200-205, di questo Archivio Storico Lombardo.
NB. Oltre le tre Cronache dell'Archivio di Stato Milanese qui
indicate, ne apparve un'altra senza firma nel tomo VI, parte I, f. 185-186,
del medesimo Archivio Veneto.
8. ter. Labus Stefano. Lettera svAVArchivio Civico Milanese indi-
rizzata a Cesare Cantù. Sta nel fase. 1.**, pag. 69-73, di questo Archi-
vio Storico.
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. 475
9. Lualdi Ignazio, archivista civico nel 1785:
a) Storia compendiosa con la serie cronologica ed alfabetica de-
gli individui del Consiglio Generale della città di Milano tanto negli
scorsi secoli quanto nel presente. Opera ms. in-foglio.
h) Tre grossi volumi contenenti le decisioni di ciascuna tornata
del Consiglio Comunale dal 1543 al 1778.
10. Morhio Carlo, a Catalogo ragionato ed illustrazione degli au-
tografi e dei ritratti di celebri personaggi dal risorgimento delle lettere
fino a noi; raccolti e posseduti, ecc. -n (dal detto cavaliere). Milano, 1857.
Edizione di soli 200 esemplari numerati, e fuori di commercio.
11. Mtioni cav. Damiano:
a) Collezione d'autografi, ecc. Famiglia Sforza. Milano, 1858.
h) Collezione d'autografi, ecc. Governatori, Luogotenenti e Ca-
pitani generali dello Stato di Milano, dall' anno 1499 all' anno 1848.
Milano, 1859.
e) Cenni sulle varie Kaccolte dell'autore. V. a f. 23-27 delle
u Memorie storiche di Antignate. Milano, 1861, v scritte dallo stesso
Muoni. Dalle qui citate Raccolte l'autore trasse in buona parte le nu-
merose sue monografie a stampa.
d) Prefetti o direttori degli Archivj di Stato in Milano (1468-1874).
Milano, 1874. — Il Muoni possiede anche un altro grosso volume ms.
di notizie varie da lui raccolte e compilate su tutti gli Archivj di
Milano ed altri d' Italia.
11 his. Nuovo Ricoglitore (periodico), dicembre, 1830, n. LXXII.
Cenni sulla vita del sacerdote don Ercole Angiolo Carloni, ex-monaco
benedettino cistcrciense. Si cita questa biografia perchè il Carloni fu
collahoratore presso 1' Archivio Diplomatico, eretto in Milano nel-
V anno 1816.
12. Osio Luigi. Documenti diplomatici tratti dagli Archivj Milanesi.
Milano, 1864-72. Yol. 2 e Yg • La Introduzione al voi. I contiene un
ragguaglio sullo stato degli Archivj Governativi nel 1868.
13. Pansechi Gregorio. Continuazione dell'opera del Lualdi (indicata
sotto il n. 9, lett. h) dall'anno 1778 al 1798.
14. Peroni Carlo, aggiunto presso la Direzione degli Archivj go-
vernativi di Milano. Continuazione dell' a Indice delle Leggi, degli
Editti, ecc. » (Y. sotto il n. 15 alla lett. g), pubblicati nella città di
Milano dall'anno 1822 al 1845. Parte I. Notificazioni. Un voi. in-4.
Milano, tfp. Centenari, 1850.
15. Peroni Luca, dapprima archivista del Ministero dell'Interno del
primo Regno d'Italia, poi consigliere imperiale e direttore dell'Ar-
chivio di Deposito governativo presso S. Fedele:
476 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
a) Compendio della Storia di Milano dai tempi più remoti al-
l'anno 1796, epoca dell'ingresso in Milano dei Francesi. Tomi 6.
Opera ms., estratta dalle carte dell'Archivio governativo.
h) Vocabolario, ossia Compendio storico, in sei tomi, di tutti gli
Editti dei diversi Governi dello Stato di Lombardia dall' anno 1450
all'anno 1764.
e) Trattati colle Potenze estere, inclusivamente ad un dipresso
alle teste accennate epoche. Tomi due, mss., presso la Direzione de-
gli Archivj di Stato in Milano.
d) Dispacci Sovrani di Sua Maestà l'imperatrice Maria Teresa,
ridotti in un Vocabolario enciclopedico ragionato.
e) Dispacci Sovrani degli imperatori G-iuseppe II e Francesco I,
compilati come sopra.
f) Massime dell'Italico Ministero dell'Interno, dall'anno 1802 al
1814. Un tomo voluminoso.
g) Indice delle Leggi, degli Editti, Avvisi ed Ordini, ecc., pub-
blicati nello Stato di Milano dai diversi Governi intermedj dal 1765
al 1821. Yol. 2, in-4. Milano, dalla stamperia Rivolta, 1823.
16. Perseveranza {La), giornale. V. il n. 745, dell' 11 dicembre 1861.
(Vi si parla di una seduta della Sezione Lo?nharda della K. Deputazione
sovra gli studj di Storia patria, tenuta nel locale degli Archivj dello
Stato, il 10 dicembre 1861, sotto la presidenza di S. E. il barone Manno.)
n. Piano d'esecuzione per la riordinazione, completamento e cu-
stodia del Civico Archivio, e per la organizzazione del di lui officio,
approvato dall'eccellentissimo Generale Consiglio con decreto del giorno
17 dicembre 1781. Stampato.
18. Picinelli Cesare. Monumenta Offitii Statutorum inclitse civitatis
Mediolani, etc. Mediolani, apud Ludovicum Modoetiam, mdcxxxxiii.
18 Us. Porro Giuseppe. L'Archivio di Stato Milanese nell'autunno del
1873. Articolo nel giornale La Perseveranza del 18 novembre 1873,
n. 5050.
18 ter. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.:
A. 1862, 19 gennajo, n. 432, voi. Ili, p. 201. R. Decreto che de-
termina il ruolo numerico del personale dell'Archivio delle Finanze
in Milano.
D.o a.o, 9 novembre, n. 963, voi. V, p. 2945. R. Decreto che riu-
nisce l'Archivio della soppressa Contabilità di Stato a quello delle Fi-
nanze in Milano, ed approva il ruolo del relativo personale.
A. 1863, 6 settembre, n. 1462, voi. VII, p. 1691. R. Decreto col
quale si diminuisce il ruolo numerico dell'Archivio delle Finanze ed
uniti in Milano.
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. 477
A. 1872, 17 novembre, n. 1116, voi. XXXVI, p. 2789. R. Decreto
col quale l'Archìvio delle Finanze ed uniti in Milano, l'Archivio ge-
nerale delle Finanze in Torino, e l' Archivio della Commissione supe-
riore di liquidazione dei vecchi crediti nelle antiche Provincie, sono
aggregati, il primo all'Archivio di Stato in Milano, ed i secondi al-
l'Archivio di Stato in Torino.
19. Begolamento per gli Archivj di Stato in Milano. Milano, 1873,
tip. Lamperti, e Roma, 1873, tip. Barbèra.
20. La Rivista Europea (periodico), anno III, voi. I, fase. Ili, f. 564
e 565. Corrispondenza milanese del 14 gennajo 1872. (Yi si parla della
morte del segretario d'Archivio L. Ferrario, ecc.). Nel voi. IV, fase. I, a
f. 181, s'informa sull'esito del corso di Paleografia tenuto nel medesimo
anno 1872 presso gli Archivj di Stato Milanesi dal signor Ghinzoni.
21. Sala Aristide, Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo
Borromeo. Milano, 1857-61. Voi. 4, ed Appendice. La Introduzione
(xciv facce di romano) contenuta nel voi. I dei Documenti è un rag-
guaglio storico-descrittivo degli Archivj Arcivescovili di Milano. Veg-
gasi anche il voi. II (Documenti), a p. 521.
22. Il Secolo, giornale. V. il n, 2240, del 19 luglio 1872, nella
Cronaca, sotto il titolo: Archivio di Stato; inoltre quello del 3 mag-
gio 1873, parimente nella Cronaca^ sotto il titolo: Inaugurazione ; e
il n. 2604, (23 luglio) del medesimo anno, ancora nella Cronaca, alla
rubrica: Preziosità delV Archivio di Stato.
23. SicTcel dott. Teodoro:
a) V. il Notizenhlatt ( Supplemento all' Archivio per la cognizione
delle fonti storiche austriache), n. 1, p. 9-14, e n. 24, p. 590-594, del-
l'anno 1855: Corrispondenza letteraria. Verte sugli Archivj di Milano.
Le notizie contenute nel n. 24 apparvero anche in italiano, sotto il ti-
tolo: Cenni intorno agli Archivj governativi, nell'Appendice alla GaZ'
zetta Ufficiale di Milano del 9 agosto 1856.
h) Degli Archivj di Milano. V. la Gazzetta di Vienna dei giorni
13, 16, 20, 23 e 27 maggio del 1858. Questi cinque articoli mossero
il signor Osio a pubblicare le Osservazioni critiche, ecc., indicate nella
Bibliografia del Cecchetti.
e) La questione degli Archivj Milanesi (Zur Frage der Mailànder
Archive). V. la Gazzetta di Vienna, 18 dicembre 1858, n. 289. È una
breve replica del Sickel alle Osservazioni critiche dell' Osio.
q) MODENA.
(V. il Cecchetti a f. 80 e 81.)
1. Ferrari Moreni conte Gio. Francesco. Sopra una copiosa colle-
zione di antiche pergamene levate nell'anno 1812 dall'Archivio Dema-
Arch. Stor. Lomh. — An. L 30
478 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
niale di Modena e trasportate a Milano, restituite poi a Modena nel
dicembre del 1860. Ragguaglio. Modena, 1861. (Estratto dal Difen-
sore ^ n. 1.)
2. Raccolta degli Atti del Governo di Sua Maestà il Re di Sar-
degna.
A. 1860, 13 ottobre, n. 4374, voi. XXIX, p. 2014. Deposito nel
pubblico Archivio di Modena degli atti notarili che si stipuleranno
nell' interesse del Demanio e delle altre Amministrazioni governative.
— Deposito nel medesimo Archivio degli atti notarili già stipulati nel-
r interesse della Ducal Camera Estense e delle altre pubbliche Ammi-
nistrazioni di quelle Provincie, che si conservano nel già Archivio se-
greto di Corte e negli ufficj dei cessati Dicasteri.
3. Raccolta Ufficiale delle Leggiy ecc.:
A. 1862, 10 gennajo, n. 412, voi. UT, p. 8. R. Decreto che au-
menta il quadro numerico degli impiegati presso l'Archivio gover-
nativo.
A. 1863, 3 maggio, n. 1233, voi. YI, p. 645. R. Decreto che
estende alla Congregazione generale d'Archivio in Modena le dispo-
sizioni contenute nel Decreto del 21 dicembre 1862, n. 1051.
r) MONTECASSINO.
(V. il Cecchetti a f. 82 e 88.)
1. Bihliotheca CasinensiSj seu codicum manuscriptorum^ qui in tabu-
larlo Casinensi asservantur, series per paginas singillatim enucleata
notis, characterum speciminibus ad unguem exemplatis aucta, cura et
studio monachorum ordinis' S. Benedicti Abbatiae Mentis Casini. To-
mus I."^ A. 1873.
2. Quaranta cav. Bernardo. Archivio di Montecassino. Neil' operar
tt Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, w Napoli, 1845, voi. 11^
p. 590-92.
3. Raccolta Ufficiale delle Leggi ^ ecc. (V. indietro, sotto Cava dei'
Tirreni.)
S) MONTEVEKGINE.
1. Quaranta cav. Bernardo. Archivio. -Bihlioteca. Nell'opera: « Na-
poli e i luoghi celebri, ecc. n Voi. II, pag. 564-66.
t) NAPOLI.
(V. il Cecchetti a f. 79, 85 Us, 89, 90, 91 ter, 92, 93 Us e 94.)
1. Quaranta cav. Bernardo. Grande Archivio in S. Severino, V. Pe-
perà: « Napoli e i luoghi celebri, ecc. n Yol. I, p. 530-535.
PI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. " 479
11) PALERMO.
(V. il Cecchetti a f. 89 bis.)
1. Pollaci Nuccio Fedele. Dello Archivio Comunale, suo stato, suo
ordinamento. Relazione al sindaco di Palermo. Palermo, Amenta, 1872.
(Pag. 112, oltre 4 in fine non numerate, in-16 gr.)
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.:
A. 1862. 19 ottobre, n. 909, voi. IV, p. 2670. R. Decreto con cui
fu ridotta alla metà la tariffa di alcuni diritti di copia da esigersi nei
Grandi Archivj di Palermo e di Kapoli.
A. 1863, 25 gennajo, n. 1141, voi. VI, p. 134. R. Decreto che
approva alcune disposizioni regolamentarle sopra i concorsi ai posti di
vice-archivario ed ajutante presso gli Archivj provinciali e suppletorj
nelle Provincie Siciliane e Kapolitane.
A. 1863, 13 settembre, n. 1468^ voi.' VII, p. 1708. Sospensione
dell'ordinamento delle nuove Camere di Disciplina notarili e dei rela-
tivi Archivj nelle Provincie Napoletane e Siciliane.
A. 1864, 20 agosto, n. 1892, voi. IX, p. 1104. R. Decreto che stabi-
h'sce una nuova pianta del personale del Grande Archivio di Palermo.
J).^ a.o, 5 ottobre, n. 1962, voi. X, p. 1471. R. Decreto che abo-
lisce l'ufficio di sopraintendente generale degli Archivj e quello di se-
gretario direttore del Grande Archivio di Palermo.
A. 1865, 16 luglio, n. 2421, voi. XII, p. 1832. R. Decreto che
estende alle Provincie Siciliane le disposizioni d'altro decreto del 6
dicembre 1863, n. 1572, sugli Archivj delle Provincie Napoletane.
A. 1866, 21 gennajo, n. 2781, voi. XV, p. 60. R. Decreto rela-
tivo al passaggio alla Provincia della spesa pel personale e pel man-
tenimento degli Archivj provinciali nel Napolitano ed in Sicilia.
D.** a.**, 28 luglio, n. 3160, voi. XVI, pag. 1612. R. Decreto sui di-
ritti da pagarsi per ricerca, lettura di carte ed estratti di documenti
negli Archivj provinciali di Napoli e Sicilia.
8. Silvestri G. Cronaca del Grande Archivio di Palermo. Sta nelle
prime due dispense àeWArchivio Storico Siciliano. Palermo, 1873.
Anno I.
1. L.B.j accademico affidato, a Notizie compendiose della vita e degli
studj di Siro Comi, cittadino pavese, letterato, storico, archeologo, di-
plomatico. V Milano, 1822. al Comi fu affidata anche la cura di parec-
chi pubblici Archivj, come, ad esempio, quello della città di Pavia, e
il Diplomatico al Carmine. V. le Notizie stesse, a p. 28-31.
480 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI
V) PISA.
(V. il Cecchetti a f. 80 e 88.)
1. Il Cittadino di Pisa (giornale). Pisa, Citi. Tedi il Supplemento
al n. 11 del 1865 (6 dì giugno), nel quale si contiene un articolo sulla
Inaugurazione solenne del K. Archivio di Stato.
2. Raccolta Ufficiale delle Leggij ecc.
A. 1863, 16 luglio, n.° 1360, voi. VII, p. 1211. R. Decreto che
approva la pianta numerica degli impiegati dell'Archivio di Stato in Pisa.
V his) POPULONIA.
1. Giorgetti A. Il Cartulario del Monastero di S. Quirico a Populonia.
In corso di pubblicazione néìVArcMvio Storico Italiano,
tv) REGGIO D'EMILIA,
(V. il Cecchetti a f. 80, 84, 91.)
1. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.:
A. 1862, 21 aprile, n. 567^ voi. Ili, p. 789. E. Decreto che eso-
nera la Congregazione generale degli Archivj notarili in Reggio d'Emi-
lia dall'obbligo, temporariamente impostole, di pagare le spese di ma-
nutenzione dell'Archivio notarile di Guastalla.
J).^ a.o, 21 dicembre, n. 1051, voi. V, p. 3476. R. Decreto che de-
stina il presidente della Camera di Disciplina dei Procuratori in Reg-
gio d' Emilia ed un avvocato esercente nella città stessa, a far parte
della Congregazione generale d'Archivio ivi stabilita.
xj ROMA.
(V. il Cecchetti a f. 78, 80, 87, 89 e 91.)
1. Edictum erectionis Archivii ecclesiastici (del 20 febbrajo 1587)«
Romae, apud haeredes Antonii Bladii, impressores camerales, 1587.
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc.:
A. 1871, 26 febbrajo, n. 84, voi. XXXI, p. 342. Devoluzione al
Ministero di Giustizia e Grazia, ed alle Autorità giudiziarie, delle attri-
buzioni della Presidenza degli Archivj di Roma.
D." a.**, 30'dicembre, n. 605, voi. XXXIII, p. 3315. R. Decreto col
quale è istituito in Roma un Archivio di Stato, sotto la dipendenza del
Ministero dell' Interno, per la conservazione degli atti delle cessate
Amministrazioni, ed altri atti governativi.
D". a.o, 30 dicembre, n. 606, voi. XXXIII, p. 3316. R. Decreto che
approva il ruolo normale dell'Archivio di Stato in Roma.
A. 1872, 22 febbrajo, n. 681, voi. XXXIV, p. 142. R. Decreto
DI PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA. 481
col quale gli Archivj giudiziario e notarile di Roma sono aggregati al-
l'Archivio di Stato ivi eretto.
3. Sanctissimi D. N. D. Sixti Papce Quinti^ Revocatio officij archì-
vistae ecclesiastici generalis, ac illius suppressio et extinctio. Medio-
lani, ex officina typograph. Pacifici Pentii, 1587.
4. Sanctissimi in Christo patris ac Domini nostri Benedicti XIII
Pont. MaXj Constitutio de Archivis in Italia erigendis prò custodia Ju-
rium et Scripturarum ad quascumque Ecclesias Cathedrales, Collegiatas,
et non Collegiatas pertinentiura; ad Seminaria etiam; ad Monasteria
utriusque Sexus, ad Collegia, Congregationes, Confraternitates, Hospi-
talia, et quselibet Loca pia, et Regularia Instituta. Accedit Italica In-
structio de Scripturis quse in iisdem Archivis reponi debent. Romae, et
Cremonae, mdccxxviii. Apud Pranciscum Cajetanum Ferrarium, impress,
episcopalem.
X his). SICILIA.
1. Bertucci Francesco di Paola. Sugli Archivj Provinciali in Sicilia.
Discorso. Catania, 1847.
2. Beai Decreto del 6 agosto 1839. Organico per gli Archivj Provin-
ciali di Sicilia.
y) SIENA.
(V. il Cecchetti a f. 88 e 91.)
1. Baccolta Ufficiale delle Leggi ^ ecc.
A. 1863, 16 luglio, n. 1361, voi. YII, p. 1213. R. Decreto che
approva la pianta dell'Archivio di Stato in Siena.
Z) TORINO.
(V. il Cecchetti a f. 93.)
1. Bianchi Nicomede. Prima relazione triennale della Direzione del-
l'Archivio di Stato in Torino. Anni 1871-73. Torino, 1874. (Edizione
fuori di commercio.)
2. Raccolta degli Atti del Governo di Sua Maestà il Re di Sar*
degna :
A. 1860, 4 marzo, n. 4010, voi. XXIX, p. 221. R. Decreto che
approva nuove piante numeriche degli impiegati degli Archivj gene-
rali del Regno (antiche Provincie); ivi, p. 225; Pianta numerica degli
impiegati ed inservienti nei detti Archivj generali.
D.'' a.o, 31 dicembre, n. 4535, voi. XXIX, p. 3829. R. Decreto che
stabilisce la pianta numerica del personale della Direzione generale
degli Archivj generali del Regno ; ivi. p. 3843: Quadro di riparto del
482 SUPPLEMENTO A UN CATALOGO DI LIBRI DI PALEOGRAFIA ECC.
personale della detta Direzione fra gli Archivj governativi di Torino,
Genova, Cagliari, Milano e Brescia.
3. Raccolta Ufficiale delle Leggi^ ecc. :
A. 1863, 6 settembre, n. 1461, voi. VII, p. 1689. R. Decreto col
quale si stabilisce il ruolo numerico dell'Archivio generale delle Fi-
nanze in Torino.
A. 1872, 11 aprile, n. 784, voi. XXXIV, p. 600. R. Decreto col
quale l'Archivio della soppressa Corte dei Conti di Torino viene ag-
gregato all'ivi esistente Direzione degli Archivj di Stato.
D.'' a.", 17 novembre, n. 1121, voi. XXXVI, p. 2797. R. Decreto
col quale si aggrega l'Archivio della Guerra in Torino all'Archivio
di Stato nella medesima città.
D.o a.°, 17 novembre, n. 1116. (V. sotto Milano.)
4. Begolamento per l'Archivio di Stato in Torino. Torino. 1872.
5. Spaia Giuseppe. Sulle carte di Sicilia esistenti nei regj Archivj
di Corte in Torino. Notizie ed osservazioni. Roma, 1872.
aa) TRAPANI.
(V. il Cecchetti a f. 79.)
1. SulV antico Archivio del Comune di Trapani, Lettere due d'un
bibliofilo. Trapani, 1870. Di pag. 15 in-8.
hb) TRENTO.
1. Kink Rodolfo. Codice Diplomatico della Chiesa di Trento (a.
1027-1344). Vienna, 1852.
ce) VENEZIA.
(V. il Cecchetti a f. 79^ 80, 81, 82 his, 83. 84 bis, 85 bis,
86 bis, 87. 88, 89 ter, 90 bis, 92, 93 bis.)
1. Bazzoni A. Les Archives de Venise par Armand Baschet. Sta
nel t. XVII, pag. 498-504, àoìV Archivio Storico Italiano (Serie III).
2. Raccolta Ufficiale delle Leggi, ecc. :
A. 1868, 1 marzo, n. 4267, voi. XXI, p. 234. R. Decreto che
stabilisce il ruolo del personale dell'Archivio di Venezia.
D.^ a.°, 22 d., n. 4312, voi. XXI, p. 424. R. Decreto che introduce
variazione nel ruolo degli impiegati del detto Archivio.
A. 1871, 16 aprile, n. 227, voi. XXXII, p. 1046. R. Decreto che
aumenta di un posto il ruolo del personale del medesimo Archivio.
dd) VIGEVANO.
1. Boldrini, — Elenco dei Documenti nelV Archivio di Vigevano. —
^ta nel fase. 1.° di questo Archivio Storico Lombardo. Pag. 73-74.
ANEDDOTI DI LODOVICO IL MOEO.
Delle cure che per le belle arti prendevansi Lodovico il Moro e
il suo segretario è bella prova questo documento inedito:
Domino Marchesino Stange.
Noi te havemo dato la cura de mandare ad executione le cose che
se contengono in la introclusa lista; et anchora che te nehabiamo facto
commissione a bocha, nientedimeno per più satisfactione nostra te ha-
vemo voluto scrivere queste poche parole con dirte che, sicomo have-
mo summamente a core la expeditìone de queste tale cose, cossi rece-
veriamo singularissimo piacere da te quanto più presto ne farai vedere
lo effecto perei quale te caricamo ad non volerli mancare de omne
solicitudine et cosse necessarie perchè habiamo ad restare satisfacti.
Mediolani penultimo junij 1497.
Ludovicus Maria Sfortia.
Memoriale delle cose che a da fare messer Marchesino.
Primo de fare mettere el Ducale {Stemma) de marmerò fatto con le
sue lettere ad porta Ludovica ; poso {dietro) el quale Ducale sieno poste
deci medalie de bronzo con la testa del sig. Duca.
Item de solicitare le prete, quale vano all'edificij del Stato et ad
Monbrago, excepte quelle vano nel Castello de Milano de le quale ne
ha cura messer Bernardino da Corti; et poso ciascheduna desse pietre
siano poste dece medalie.
Item de vedere sei Gobbo ^, ultra la sepoltura, potesse fare parte de
l'altare in l'anno presente per el quale se intenda se tutti li mar-
mori li sono et se ne mancasse parte se mandino ad tore de presente
a Yenezia o Carrara.
* Cristoforo Solaio detto il Gobbo, insigne scultore.
484 ANEDDOTI DI LODOVICO IL MORO.
Item perchè la sepoltura sia finita tutta in uno tempo, se soliciti el
Gobbo ad lavorare el coperchio^ et ad attendere ad tutte le altre cose
li vano. In modo che quando sera finito el navello {Vavello)^ sii fornito
el resto della sepultura^.
Item de solicitare Leonardo fiorentino^ perche finischa l'opera del
refetorio delle Gratie principiata, per attendere poy a l'altra fazada
desso Refetorio: et se faciano con luy li capitoli sottoscripti de mane
sua, che lo obligano ad finirlo in quello tempo se convenera con luy.
Item de sollicitare che se fornischa el portico de santo Ambrosio*
al quale sono deputati li 200 ducati.
Item de sollicitare la medietate de l'altro portico ut supra, per quale
el sig. Duca li ha assegnati 300 Ducati.
Item de bavere tutti li più periti se trovino ne la architettura per
examinare et fare uno modello per la fazada de S. Maria da le Gratie,
avendo rispecto a l'altezza in la quale se ha ad ridure la eclesia pro-
porzionata alla capella grande.
Item la strata da corte el sig. duca ha ditto volerla vedere.
Item del fare far la testa della quondam madonna Duchessa per
metterla in medaya insieme con quella del S^®.^
Item de fare aprire la porta che responde a S. Marco et se intìtuli la
porta Beatrice^ et se li facia mettere uno Ducale simile ad quello de
porta Ludovica^ facendoli le lettere al proposto per la prefacta Duchessa.
Item de fare solicitare el Broletto novo ad ciò sii fornito ad ca-
lende de augusto proximo.
Item de fare le lettere adorate in marmo negro che vano alli re-
tratti della capella.
Mediolani penultimo Junj 1497.
Ludovicus Maria Sfortia.
B. Calo US.
{MISSIVE, anno 1497, fol, 161.)
La chiesa delle Grazie era a lui precliletta, come è noto anche
pei lautissimi donativi che vi fece e pei lasciti nel testamento, che
originale conserviamo in questo Archivio. Intorno ad essa ricaviamo
quest'altro documento:
111.°*^ et Ex."^° Signor mio observandissimo : havendo io exeguito
et facto cum omne diligentia possibile quanto ce haveva commisso Vo-
* Il sepolcro di Beatrice d'Este.
' Leonardo da Vinci, che dipingeva la Cena.
* Quello verso la canonica.
* Le medaglie che stanno sulla porta delle Grazie.
ANEDDOTI -DI LODOVICO IL MORO. 485
Btra Celsitudine in comprare qui li marmori da Carrara secondo le
misure et pezi haveva ordinato et scripto al compagno suo qui el
Gobo per fare la fabrica designata in S.^* Maria dale Gratie, et ha-
tendo imprumedato (preso a prestito) li dinari per pagarli secondo che
V. Ex.*'* me scripse ch'io dovesse fare, perchè, havuto l'adviso del
costo, statim per la prima cavalchata me provederia deli denari: et
havendo inviati dicti marmori verso Pavia fin alli 3 de questo, et in
quello medesimo zorno dato adviso de ogni cosa alla S.^ V. cum man-
darli la nota de tutta la spesa, et pregarla che la ce volesse provedere
de li dinari, ad ciò che io non havesse ad restare cum cariche al bancho
che ce li ha imprestati per octo zorni solamente; et vedendo fin qui non
bavere resposta alchuna, ne anche esserci provisto de epsi dinari, me
è parso iterum per questa supplicare la Cel."^ V. che non me velia las-
sare più cum questa graveza et obligo alle spalle, ma sia contenta pro-
vedermi quam primum de questi dinari, ad ciò che io possi satisfare a
chi ce ne ha servito per pagare dicti marmori, comò spero in la Ex.* V.
a cui humilmente de continuo me recomando.
Yenetiis die 18 Aprilis 1497.
111,°^® Dominationis Yestre
Fidelissimus Servitor
Baptista. Sfondratus.
(A tergo) 111."^° Principi et Ex."^° Domino meo observandissimo
Domino Duci Mediolani etc.
Mediolani cito.
E notevole che, nel mentre stesso che favoriva le arti belle,
quell'enigmatico principe scriveva a Ohio a Francesco Giustiniani,
uno della Maona di colà.
Francisco Justiniano ex comahonensibus insule Chj.
Ye scripsemo più mesi fa passati quanto haviressimo caro che ne
mandassi quello vostro nano chiamato Janachi , et persistendo nuj in
questo medesimo affecto, ve confortamo et caricamo a dovercelo man-
dare cum la prima nave che da quella insula venirà alla cita nostra
de Zènova, che una cosa non potresti fare più grata ne accepta de
questa.
Dat. Papié die ultimo junij, 1474.
Yicegubernatori Janue.
Scripsimo lanno passato ad Francesco Justiniano rectanello maonese
de Sio, che ne volesse mandare uno suo nano chiamato Janachi chel
aveva in quella insula, el quale havendo noi voglia che ne sij mandato^
486 ANEDDOTI DI LODOVICO IL MORO.
scrivemo per lalligata ad esso Francesco, che nel debia mandare cum
la prima nave: sicché li mandarete dieta lettera per salvo modo.
Dat. Papié die ultimo junij 1474.
(MISSIVE. N. 118, anno 1474, fol, 35.)
Vaneggiava pure in astrologia, come vedesi da queste due missive :
Francisco Montano astrologo.
Havimo ricevuto le vostre lettere et per epse inteso el desiderio vo-
stro de venire stare presso ad nuj etc. , a le quali respondendovi,
dicemo che de bona voglia ve acceptarimo ad li servitij nostri: et
semo contenti vegnate via ad vostro piacere, et quanto più presto
venerete l'havirimo tanto più ad caro : et acciò possiati venire havimo
inandato li ad Nicodemo, nostro Consigliere ed Ambassatore, ducati
cinquanta d'oro, quali ve debia dare in nostro nome et accio vi possiati
condure qua ad nostre spese: et ve mandiamo ancora la lettera de
passo, expectandovi con desiderio : et quando serete da nuj ve pro-
videremo et tracteremo per modo et forma, che haverete ad restare
ben satisfacto et contento de nuij.
Dat. Viglevani, die 11 martij, 1472.
(MISSIVE. Reg. N. 108, anni 1471-72, fol. 200.)
Domino Magistro Johanni Marie de Fabris.
Ne è stato referto che in vostre mano sono alcune imagine de lioni,
facto sotto certe constellationi : et perchè al presente ne occorre legi-
tima et urgente casone de haverne bisogno de duij o almeno una, ve
admonemo et strengemo ad mandarne diete imagine per lo messo por-
tatore de questa nostra, et in questo se desiderate farne cosa gratis-
sima avisandone del costo perchè ve faremo satisfare opportunamente.
Dat. Papié die 18 januarij 1474.
(MISSIVE. Reg. N. 115, anni 1473-74, fol. 68.)
Dalla lettera su riferita appare di nuovo quel che già ognuno
conosce, la sua affezione, direi devozione, per la moglie Beatrice
d'Este. Questo non toglieva che coltivasse non solo, ma pubblica-
mente professasse la sua relazione con Lucia, fatta contessa di
Melzo ; sul che parranno curiosi i seguenti documenti :
Domino Johanni cardinali novarìensi.
Ali decesette di de questo mese ne è nato uno fìolo de la contesa
pe Melzo. Desiderando che V. Kev. S. deventi nostro compare in questo
ANEDDOTI DI LODOVICO IL MORO. 487
puto, pregamo ve che voliate constituire vostro prochuratore chi ad voij
piacerà, che habia ad intervenire allo baptesimo, quale se farà in Pavia.
Dat. Mediolani, die 19 aprilis, 1476.
In simili forma, domino Roberto de Santo Severino de Aragona, Co-
miti Caiatis.
In simili forma, domino Johanni de Gomito.
Domine Lucìe Vicecomiti comitisse Meltìj.
Habiamo piacere che siate arrivata sana, salva, et ben lieta : cosi ve
confortamo a star con T animo contento. Li fructi, se ve sonno stati
grati, ad noi satisfa grandemente haverveli mandati. Mandaremone
ancora deli altri alla giornata, siccome accadrà ce ne siano portati. De
le donne de sancta Orsola non replicamo altramente, perche in breve,
con la Dio gratia, seremo li ala festa de S. Giorgio, parlaremo insieme,
et faremo cosa che ve piacerà, si per observare la concessione ponti-
ficale et la delegatione di delegati apostolici, si ancora perche voi er
desiderati per la devotione che haveti ad quello loco: et ancora pel
el debito et honestà.
Dat. Viglevani, die 16 aprilis, 1476.
(MISSIVE. Bey, N. 125, anni 1475-76, fol, 216 e 48.)
C. C.
DOMANDE.
I. — AC, Cantù,
^ Una cronaca della Mirandola, cronaca che va fino al 1560, e
pare contenga notizie importanti intorno all'assedio del 53, il Mu-
ratori e il Tiraboschi la rammentano intitolandola anonima; un
altro codice la attribuisce ad un Lattanzio Agricola, di cui nulla
si sa. Ne domandano a me, quel dottissimo che sapete. Io a voi,
che senza celia si può. Amate il vostro
16 Set. Firenze, 73.
„ Aff, Tommaseo. „
II. — E noi rimandiamo questa domanda a chi più sa; come agli
studiosi comaschi il seguente atto del 28 aprile 1547, esistente
nell'Archivio di Stato di Milano, dov'è quistione d'un artista illu-
stre della Valliiitelvi, e di tirannie recate a questa valle dal conte
Franchino Rusca.
" Illustrissime princeps Domine Clementissime etc. Obsequiorum
et servitiorum debitorum promptam voluntatem nostram offerimus.
Romanorum, Hungariae, atque Bohemiae regiae Maiestatis Do-
mini nostri gloriosissimi Architetctor provintiarum Archiducatus
Austriae Magister Dominus Lallio de Scharia, ad vestram illustris-
simam celsitudinem literas promotorias a nobis humiliter ac su-
pliciter petivit. Videlicet, ut per eandem inter totius Vallis Telivi
incolas, et Dominum comitem Franchinum Ruschi iustitia admi-
nistretur, et causa legitime decernatur. Quamvis autem vostra illu-
strissima altitudo, tamquam princeps clarissimus prudentissimus-
que (cuius fama celeberrimumque nomen per orbem volat atque
inclaruit), benignum pronumque animum recte administrandae iu-
DOMANDE E RISPOSTE. 489
stitiae erga quoslibet gerit, tamen, cum ista causa totam praeno-
minatae vallis plebeiam multitudinem, atque calamitosam commu-
nitatem attingat, praeterea Dominus Lallio, architector et artifex
insignis, qui suo artifitio Romanae Begiae Maiestati iam multis
annis, in muniendis civitatibus, oppidis atque castris, ingenti so-
lertia atque industria servivit, dignus piane visus est, cuius negotia
apud V. F. C. diligenter a nobis promoveantur : quare summo studio
rogamus, ut vestra illustrissima celsitudo inter utramque partem,
id quod aequitas ac iustitia requirit aequissima trutina ponderare,
atque clementer indicare dignetur, ne post hoc praedictae vallis
aerumnosi miserique incolae, per dominum comitem nefario modo
atque tirannico aggraventur: ut et dominus Lallio re ipsa expe-
riatur atque intelligat, liane nostram commendationem magni pon-
deris apud illustrissimam celsitudinem vestram extitisse. Cui nos,
una cum supplicante et tota praefatae vallis communitate, quam
obsequentissime comendamus.
„ Datum Grsetz, ducatus Styriae Metropolj, XXVIII. Aprilis,
anno recuperatae salutis humanae XLVII.
„ V. illustriss."^'
„ V. Illustrissimae Celsitudinis Obsequentissimi
„ Georgius liber Baro ab Herberstain Nicotperg et Guttenhag,
Romanae Regiae Maiestatis etc. consiliarius, ducatus Styriae prae-
ses, caeterique provintiae Stiriae deputati etc. „
(A tergo) " Illustrissimo atque Clarissimo principi et Domino
Domino Ferdinando de Gonzaga, sacrae Romanae Cesareae Maies-
tatis Senatori, primario Marchionj Montisferratj, inclijti ducatus
Mediolanj gubernatorj dignissimo, Dno nostro clementissimo. „
III. — Si trovò giusto di mettere sul duomo una lapida che ram-
menta Gian Galeazzo Visconti, generalmente tenuto per fondatore
-di quell'insigne monumento. Ma quando si trattò d'effettuare il pen-
siero, nacque il dubbio se realmente egli possa dirsene il fondatore,
come vuol la tradizione: se ne abbia forse dato egli stesso il di-
segno, come, alcuno suppose : se abbia veramente regalato la cava
di marmi della Gandolia. Documenti originali e positivi mancano.
Sarà bel compito per gli studiosi di notizie patrie il cercarne nei
varj archivj, e specialmente in quello della V. Fabbrica del Duomo,
i cui amministratori sappiamo si occupano utilmente di tali ricerche.
NOTIZIE.
" Or che l'istruzione popolare si generalizza, egli sforzi per essa
recano alle classi laboriose un energico movimento intellettuale,
molto importa che le classi agiate si dedichino al lavoro mentale,
non si abbandonino all' indifferenza e all' apatia. Più l' istruzione
elementare diverrà generale e attiva, più importa che gli alti
studj, i grandi lavori scientifici siano egualmente in progresso; e
se il movimento intellettuale andasse ognora crescendo nelle mol-
titudini, mentre l' inerzia regnasse nelle regioni elevate della so-
cietà, ne verrebbe tosto o tardi una pericolosa perturbazione. Credo
dunque un dovere imposto al Governo nell' interesse sociale di dar
appoggio e impulso armonico a tutti gli studj, alla scienza alta e
pura, come all' istruzione pratica e popolare. „
Così scriveva ilei 1834 M. Guizot ministro, istituendo il Comitato
de' lavori storici e delle società scientifiche, che dura tuttavia senza
cambiamenti. È diviso in sezione di storia e filologia, sezione d'ar-
cheologia, sezione delle scienze; e si compone di membri titolari,
onorarj, non residenti; e in ciascun dipartimento vi è corrispon-
denti del Ministero dell' istruzione pubblica. Son 30 i membri tito-
lari della prima sezione; 25 della seconda; e ad ogni vacanza cia-
scuna sezione presenta candidati alla scelta del Ministero. Ciascuna
poi si raccoglie una volta al mese ; quattro volte l'anno si raduna
l'intero Comitato; dove i titolari han voce deliberativa, consultiva
gli altri.
Principale scopo n' è la Collemone dei documenti inediti; onde
su questi si delibera; si determinano i fondi per la stampa, i com-
NOTIZIE. 491
pensi ai redattori, agli incaricati di missioni, ai collaboratori. Di
ogni volume si danno 200 copie alla libreria Didot, da vendere a
L. 12 il volume; gli altri sono distribuiti a biblioteche o ai privati.
Finora si pubblicarono 104 opere, formanti 258 volumi, ed è
noto come vi abbiano contribuito nostri italiani.
Per comunicare i documenti degli archivj del Ministero degli af-
fari esteri a Parigi, fu stabilito (decreto 20 luglio 1874) che la con-
cessione del Ministero sia personale, ma si possano far le ricerche
da terza persona, aggradita dal direttore. Non si trasportino docu-
menti. Quelli anteriori alla morte di Luigi XV si danno libera-
mente ; sol quelli però anteriori alla pace di Utrecht possono esser
copiati e adoprati senza controllo del direttore, mentre degli altri
le copie devono essere riconosciute da questo. Gli atti posteriori
alla morte di Luigi XV non si concedono che per eccezione, e in
condizioni speciali, determinate dal ministro.
È certo uno de' maggiori sussidj storici il Catalogo della storia
di Francia^ che si fa alla Biblioteca Nazionale di Parigi, distinto
per regni; ed ora se ne pubblicò il voi. XI, che arriva al 1830.
Quella biblioteca possiede 2,077,571 volumi stampati.
La Société d'Histoire de la Suisse Bomande di Losanna volle as-
serire la sua fratellanza colla nostra, eleggendo a membro onora-
rio il presidente della Società Storica Lombarda.
I padri maurini Devio e Vaissette fecero una Storia della Lin-
guadoea, che è uno de' più bei monumenti lasciatici da quella in-
signe congregazione. Ma essi non poterono compirla fino alla morte
di Luigi XIII; inoltre, sopra vvenero avvenimenti e scoperte ar-
cheologiche, per le quali migliorare e accrescere si potrebbe quel-
l'opera. E ciò che si fa ora in una nuova edizione; e M. Dulau-
vier presiede alla pubblicazione ; Mabille rivede l'opera, verificando
col testo, aggiungendovi iscrizioni, cronache, carte ; Barry e Germer
Durand annotano il periodo gallico e gallo-romano : uno ponderava
le istituzioni amministrative; uno vi unisce tutto il medagliere;
uno precisa i testi, ove meno corretti.
Noi r indichiamo come un esempio a provincie italiane non
492 NOTIZIE.
meno importanti della Linguadoca, e dove, col concorso di molti
ingegni, potrebbero o rifarsi, o compiersi le opere del Giulini, del
Rovelli, del Campi e d'altri eruditi, ai quali mancarono o la scienza
o i documenti di cui ora noi andiamo superbi. Per esempio, sarebbe
degno degli studiosi milanesi il fare la continuazione della. Biblio-
teca degli scrittori milanesi dell'Argellati, come il Gagnola ha se-
guitato quella del Tiraboschi per Modena : o meglio ancora, rifarla
da capo.
All' Istituto di Francia il signor Simonin, col titolo Une insurre-
ction oiivrière à Florence en 1378, racconta il tumulto dei Ciompi: e
il signor Jefroy, esaminando le opere inedite di Fr. Guicciardini, pub-
blicate a Firenze dal 1857 al 1867, vi cerca l'indole dell'uomo e le
sue opinioni, che colà appajono differenti che nella grande Storia.
Il signor Antonin d' Indy nel Correspondant scrisse un curioso
articolo suir Istruzione storica del popolo, analizzando i libri che
si diffondono nelle scuole, nelle biblioteche popolari, nei circoli,
nei gabinetti di lettura, e mostrando come vi siano travisati i fatti,
contorti i principj, conculcati la morale e il buon senso.
Sarebbe desiderabile che alcun sincero amatore della patria im-
prendesse un simile esame sopra i libri storici che si destinano al
popolo e alla gioventù nostra. E sebbene in questi sia piuttosto a
compiangere la supina ignoranza e la presunzione, ci sarebbe però
molto a dire sulle false dottrine e sugli erronei fatti, di cui ali-
mentano, 0, meglio, avvelenano la nostra gioventù.
Ulisse Robert pubblicò gli atti di Calisto II (1 voi.. Palme 1874),
papa francese che sedette dal 1119 al 1124, ed è de' più memo-
rabili per aver continuato 1' opera di Gregorio VII, e condotto a
buon fine la lotta della scienza contro la forza, della santità con-
tro la prepotenza.
Ildebrando fino al suo cardinalato è il titolo di una Memoria
inserita nel Correspondant, ove seriamente si esaminano le con-
dizioni della Chiesa, allorché a capo di essa arrivò quel grande
riformatore, col nome di Gregorio VII. L' abate Belare si vale
largamente de' cronisti nostri, e massime di Donizone, presbitero
NOTIZIE. 493
qui in arce Canussina apud ipsam (la contessa Matilde) vixit, e
scrisse rozzi versi leonini nel 1114. Enrico VII, alla pasqua del
1047, dimorò lungamente a Mantova, residenza abituale del mar-
chese Bonifazio, padre di essa famosa contessa Matilde, ed è bello
vedere nel nostro cronista quali relazioni passassero fra loro.
'' Il savio e magnifico re Enrico (canta Donizone) essendo ve-
nuto in Italia, mandò varj ordini a Bonifazio, e tra altri di pro-
curargli di quel miele vergine che si raccoglie sulle alture della
fortezza di Canossa. Il marchese fece costruire un barile d'argento,
con due buoi, un carro e un giogo pur d'argento, e mandollo al
re, tirato da buoi veri. Nessuno stupirà della ricchezza di questo
dono, ove sappia che un vassallo del duca ha fatto al re un dono
simile, quando il re e il duca si trovavano a Mantova. Il ricco vi-
sconte Alberto, che comandava la città a nome del duca, regalò
cento magnifici cavalli alezani coi fornimenti necessarj, e cento
begli astori che aveano già mutato, e cento più giovani. „
" Come si chiama quel che vi fece un tal presente? „ domandò
la regina. Il re tutto stupito rispose : " Nessuno io vedo nel mio
regno che abbia vassalli tanto opulenti come quei di Bonifazio.
Quel vassallo mi indichi che cosa desidera „.
" Io desidero che il signor mio sia amato „ rispose Alberto. Il re
invitollo a sedersi alla sua tavola. Il visconte esitò ad accettare
l'invito, perchè non era che vassallo di Bonifazio; né avrebbe mai
. osato ambir 1' onore di mangiar allo stesso desco col re ; ed ecco
il re proporgli tale onore. Pure avendolo il duca autorizzato ad
accettare, venne tutto commosso a sedersi ove il re ed il duca
mangiavano, e appena toccava alle vivande offerte. Terminato il
banchetto, il re lo ricambiò di magnifiche vesti con pelliccio, e di
pelliccie di gran valore. Il visconte portò quei doni nella dimora
del duca, ed empi di monete una pelle di cervo; poi si gettò ai
piedi del duca, pregandolo di perdonargli d' aver preso posto con
lui alla tavola del re. Il duca non volle usar del suo potere,
perdonò al vassallo, ma gli proibì d' accettare mai altro simile
invito „.
Un'altra volta racconta che, " vedendo che la potenza del mar-
chese Bonifazio andava sempre crescendo, l'imperatore risolse di
prender per inganno quel che nessuno avea potuto ingannare. Un
giorno tenne consiglio, e mandò improvvisamente domandare Bo-
Arch. Stor. Lomb. — An. I. 31
494 NOTIZIE.
nifazio, sotto pretesto di consultarlo, e raccomandò alle guardie
di tener le porto ben chiuse, e non lasciar entrare con Bonifazio
altra scorta che quattro persone. Il duca, obbedendo al re, rac-
colse di subito i suoi famigliari ed altri, e disse nascondessero le
armi sotto alle vesti, e lo seguissero. Con tal corteggio di nobili, il
marchese arrivò alla prima porta del palazzo reale. Appena ebbe
varcato la soglia, la porta si chiuse; ma la scorta potè aprirla a
forza, e si precipitarono nell' interno: la seconda e la terza non
resistettero maggiormente, e il duca, circondato da tutti i suoi,
si presentò al re. Questi, dissimulando il dispetto, domandò : Che
vedo? che e' è? cosa significa ciò? — 0 re, rispose il duca, io ho
sempre l'abitudine d' aver meco i miei famigliari. „
Il re ci s'accontentò, comprendendo che per allora il suo divisa-
mento era sfumato; onde non ebbe che parole amabili. Ma imma-
ginò di far la notte ciò che non eragli riuscito il giorno. Di notte
fece chiamare il duca, sperando a quell'ora non sarebbe sull'avviso.
Il marchese non mancò alla chiamata del re, ma aveva allestito un
gran numero di torcetti d'una libbra l'uno, e fattili accendere e
distribuire fra' suoi, ingiunse che ciascuno si tenesse pronto ad
adoperar il giavellotto. Così fece sfilarsi davanti quella intermina-
bile colonna, tutta splendida di luce, e con tal corteggio di soldati e
fra tale illuminazione si diresse al palazzo reale. I servi del re vi-
dero da lungi questa folla che s'avanzava; e pareva una foresta
in fiamme. Anche il re avea veduto il corteggio, comprese che i
suoi divisamenti erano ancora rovesciati, e fece dir al marchese, lo
ringraziava, e potea tornar indietro.
Tali erano le relazioni de' vassalli coi signori e dei signori co-
gli imperanti. Compiamo il quadro, aggiungendo che l'imperatore
fece disotterrare il corpo di Guido abate della Pomposa, e tras-
portato con devota solennità in Germania, lo donò al nuovo mo-
nastero di Spira.
Nella storia delle sempre facili conquiste del regno meridionale,
nessuna è più poetica di quella de' Normanni; quaranta pellegrini,
che vengono in soccorso de' Napoletani e Siciliani contro i Saraceni,
e poc' a poco vi diventano prìncipi, e fondano un regno glorioso.
Queir impresa ebbe un Omero conforme ai tempi, un Amato, mo-
naco di Montecassino, che la descrisse in versi latini. L'originale
NOTIZIE. 495
andò perduto, ma fin dal XIII secolo era stato tradotto in fran-
cese, probabilmente in Italia, col titolo L'Ystoire de li Normant
et la Chronique de Bohert Viscarf, e fu per la prima volta pubbli-
cata nel 1S35 da Champolion Figeac (Paris, in-12, p. CVII-370).
È dedicato a Desiderio, abate di Montecassino, che nel 1086 di-
venne papa Vittore III, onde il poema è anteriore a quell' anno.
Da quel francese traduciamo il più che si può letteralmente al-
cune parti.
" CXVII. Avanti mille anni da che Cristo nostro signore prese
carne nella vergine Maria, apparvero nel mondo 40 prodi pellegrini.
Venivano dal santo Sepolcro di Gerusalemme per adorar Gesù Cri-
sto. E vennero a Salerno, la quale era assediata dai Saracini, e
tanto menata a male, che si voleva rendere. Già avanti Salerno era
fatta tributaria de' Saracini; ma sì tardarono che non pagarono
ciascun anno il tributo al loro termine, e incontinente vennero i
Saracini con molte navi, e saccheggiavano e uccidevano e devasta-
vano. I pellegrini di Normandia vennero là, non potevano sop-
portare tanta ingiuria della signoria de' Saracini, né che i Cri-
stiani fossero soggetti ai Saracini. Quei pellegrini andarono da
Guimano serenissimo principe, che governava Salerno con retta
giustizia, e pregarono fossero lor dati armi e cavalli, e che voleano
combattere contro i Saracini, e non per prezzo di denaro, ma che
non potevano soffrire tanta superbia de' Saracini, e domanda-
rono cavalli. E quando ebbero preso armi e cavalli, assalsero i
Saracini, e molti ne uccisero, e molti corsero verso la marina, gli
altri fuggirono pei campi; e cosi i prodi Normanni furono vinci-
tori, e i Salernitani furono liberati dalla servitù de' Pagani „.
Noti sono i particolari di quelle memorabili spedizioni; ma non
cosi l'avervi avuto parte un Milanese che coi Greci guerreggiava
in Sicilia. Or bene, nel capo XIV il nostro poeta racconta :
" Quando la battaglia di Sicilia si faceva, uno che si chiamava
Arduino, servigiale di S. Ambrogio arcivescovo di Milano, com-
battè in quella battaglia e abbattè un Saracino. E il cavallo del
Saracino era molto bello, e cosi lo menò al suo albergo. E il duce
della milizia mandò tre volte pel cavallo, e Arduino non glielo
voleva cedere, e disse che colla sua mano vittrice l'avea con-
quistato e coir ajuto di Dio. E per comando del superbo duce
ingiuriosamente fu menato Arduino e il cavallo, e secondo la
496 NOTIZIE.
pessima costumanza dei Greci, fu battuto tutto nudo e il cavallo
gli fu tolto. E così ebbe vergogna del suo corpo, perchè non vo-
leva dare il cavallo di sua volontà; e pensò, e s'apparecchiò di
vendicarsi. Ma in questa maniera rimase la cosa, e soffrì l'ingiu-
ria, e tuttavia la tenne in suo cuore, che dovea far poi „.
Dopo vinta la Sicilia e tornato l'esercito in Puglia, fu fatto Ca-
tapano in Puglia Doceano.
Gap. IX. " Arduino, che serbava in cuore l'ingiuria che avea ri-
cevuta, andò a questo Docean, e gli diede molto oro, e fu ono-
revolmente ricevuto, e fu posto in altezza di onore, e fu fatto pre-
fetto di molte città „.
Così, a forza di artifizj divenuto uno de' principali della Puglia,
seppe rendersi popolare, e se ne valse per indispor gli abitanti
contro i Greci, e persuaderli di scuoter la loro dominazione. Quando
gli parve giunto il momento favorevole, venne ad Anversa, e trattò
co' Normanni.
Gap. XVII. " Arduino fece sembiante d'andar a Roma al per-
dono, e così si apparecchiò a nuocere ai Greci, e andò alla città
d' Anversa, piena di cavalieri, e parlò al conte Rainolfo, e gli
disse : " Io son venuto per accrescer l'onore della vostra maestà e
signoria ; io mi propongo di congiunger il mio piccolo Stato colla
vostra grande amistà, e se volete dar fede a quel eh' io vi consi-
glierei, voi sarete cresciuto in grande utilità. „
Gap. XVIIl. " Quando il conte udì la parola di questo Arduino,
prese il meglio del suo consiglio, e su questa parola si consigliò e
si prestò in volontà. E i Normanni promettono d'andar a questa
impresa a cui sono invitati, e fanno una compagnia e giuramento
insieme con Arduino, e giurano che di quel che acquisteranno da-
ran metà ad Arduino. E il conte elesse 12 pari, ai quali comandò
che egualmente dovessero spartire ciò che acquisterebbero. E diede
loro 300 fortissimi Normanni, ai quali diede il gonfalone per vin-
cere, e li baciò in bocca, e li mandò alla battaglia per combat-
ter fortemente in compagnia di Arduino, il quale avea gran vo-
lontà di vendicarsi.
"I Normanni si posero in marcia al principio del 1041, sotto
la condotta di Guglielmo Braccio di Ferro e di Orogone, e Arduino
aprì loro le porte di Melfi, città forte, e chiave di tutta la Pu-
glia,,.
NOTIZIE. 497
Qui seguita il racconto delle imprese e le vittorie sui Greci,
fra le quali perdiamo di vista il nostro Milanese.
La biblioteca capitolare di Verona nessuno ignora di che pre-
ziosi codici sia ricca. Basti citare l'unico esemplare palimsesto degli
Istitìdi di Gajo, che, dopo le note edizioni, n'ebbe testé una ele-
gantissima dalla R. I. Accademia di Berlino per cura del prof. Stu-
demund, il quale la intitolava al Capitolo veronese. Più antico è il
palimsesto del Giustiniano^ edito pure splendidamente per istudio
del prof. Paolo Kriiger. Le preziose stampe fanno bella compagnia
ai frammenti di Tito Livio, dedotti dalla biblioteca stessa, e pub-
blicati il 1868 dal Mommsen.
Questi tre lavori stavano sulla tavola di essa biblioteca quando,
restaurata e abbellita, fu riaperta il 10 novembre, con un discorso
del tanto benemerito bibliotecario monsignor Giuliari ; e il vescovo,
il prefetto, le altre autorità, colla loro presenza attestavano la pre-
mura e la giusta stima che fanno degli studj.
Le tavole di Eraclea, di Yelleja, di Salpensa, di Malaga aveano
dato notizie sul diritto municipale romano; ma assai più impor-
tanti sono i bronci di Ossuna, rivelati nel 1872 da Emmanuele
Berlanga, poi editi da Hiibner e Mommsen nel 1874 col titolo:
Lex colonioe Julice Genetivce Urhanorum sive VrsoniSj data a. U.
a 710. '
Sono tre pezzi di bronzo, su cui sta la più parte dello statuto di
Giulia Genetiva, colonia nella Spagna ulteriore, fondata da Giulio
Cesare.
Il mondo letterario si occupò grandemente di questi importan-
tissimi frammenti, i quali, nell'edizione che abbiamo sottocchio, ri-
empiono ben 11 pagine in-8, e non v'è giornale di erudizione che
non ne discorresse o le illustrasse. Nell'accademia degli Arcadi, che
ringiovanita e riformata, or forma un altro ornamento di Roma,
conservando (come in tutte si dovrebbe) gli istituti antichi a van-
taggio e pregio dell'età moderna, il prof. Camillo Re ne lesse una
bella e savia illustrazione, esponendo il sistema delle colonie ro-
mane, che, come dice A Gelho, erano quasi effigies parvce, simu-
lacraque populi romani, per salvaguardia delle conquiste senza do-
ver mantenere eserciti. Nel loro ordinamento la sapienza romana
498 NOTIZIE.
sapeva rispettare ciò che aveano di proprio e adatto. Aveano però
tutte diritti diversi, secondo il gius latino o l'italico o il militare
0 il municipale; laonde gli statuti che vi si davano, ci^^ivelano il
vivere di quei centri della vita locale.
L' avvocato Re espose questo di Urso, oggi Ossuna, sotto le tre
rubriche di Popolo, Senato j Magistrato ; e ne appare come nei muni-
cipj, alla cui vita diede principale impulso Giulio Cesare, grande
fosse la libertà, conservata da una ricca varietà di statuti locali,
e che s'indebolì sotto gl'imperatori, non si spense; e forse nep-
pure sotto i Barbari.
Nel Giornale Ligustico di settembre-ottobre, si danno sopra lo
storico Capriata, notizie di qualche interesse.
È morto a Genova il barone Pasquale Tola di Sassari, autore
del Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna (1837-
38), e di buone dissertazioni nel Codex Sardinice diplomaticus, in-
serite nei Monumenta historice patrice.
Il naturalista Anton Lorenzo Fée, membro dell'Accademia fran-
cese di medicina, morto il 24 giugno di 85 anni, vuol essere qui
ricordato pel suo Saggio su Plinio e Commenti sulla botanica e
la materia medica di esso, la Flora di Virgilio, la BaccoUa di Vò-
ceri della Corsica, da lui percorsa nel 1845. In cosi vecchia età
pubblicò un volume suU' Antico teatro spagnuolo.
C. C.
CROMCA DEGLI AEOHTVJ DI STATO IN MILANO.
OPERAZIONI DEL 2^ SEMESTRE 1874.
Il 23 novembre incominciarono le lezioni di Paleografia e Di-
plomatica nel palazzo del Senato, e si continueranno tutti i lunedì
e giovedì non festivi, dalle ore 2 alle 4, libero l'intervenirvi an-
che a quelli che non si fossero inscritti pel corso regolare.
Gli esami pel passato anno scolastico ebbero luogo il 7 agosto,
avendovi il soprantendente Cantù invitato qualunque studioso, seb-
bene non intervenuto alle lezioni. Di 30 inscritti, fra impiegati di
archivio e uditori liberi, sette subirono la prova degli esami con
piena soddisfazione della superiorità.
Istituita una Soprantendenza agli Archivj Lombardi, Cesare
Cantù, chiamato, con decreto reale 31 maggio 1874, a quella ca-
rica, cominciò tosto ad esercitarne le funzioni procurandosi notizie
ed informazioni sul personale e sulla consistenza degli Archivj di
Stato di Brescia e di Mantova, secondo le attribuzioni conferitegli
coll'articolo 4.° del regio decreto 26 marzo; diede le disposizioni ne-
cessarie per rendere pronta ed efficace la ricostituzione del servizio
archivistico. E per ciò, come aveva già praticato per l'Archivio di
Stato di Milano, disponeva che fossero compilati gl'inventarj delle
singole parti componenti quei due depositi, i cataloghi e gli elenchi
relativi, sì da poterne avere e pubblicare un prospetto generale.
Desiderò inutilmente che l'Archivio Storico di Mantova, il quale
dal Governo austriaco era stato ceduto al Comune di quella città,
avesse a ritornare allo Stato; vi restituiva 30 volumi del Gridario
del Borgatti, qui trasportati molti anni or sono. Ottenne che il
Municipio di Brescia depositasse nell'Archivio di quella città le sue
500 CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
pubblicazioni dopo il risorgimento nazionale, e cercò invano che
nell'Archivio generale di Venezia si trovassero gli atti di quel Go-
verno provvisorio del 1797, speditivi dall'Austria.
Gli esibiti presentati nel cadente semestre ai protocolli della
Soprantendenza e dell'Archivio di Stato di Milano ammontano a
2000. Questi, riferendosi alle svariate e quotidiane esigenze delle
pubbliche amministrazioni, dei Comuni e dei privati, richiesero una
ingente quantità di ricerche amministrative e storiche, e molte
copie di documenti antichi e moderni, anche in lingue straniere.
Sebbene il personale d'Archivio debba per più ore giornalmente
occuparsi in minute e pazienti indagini per soddisfare alle richie-
ste, non vennero però trascurati gli importanti lavori delle elen-
cazioni, delle sistemazioni e delle reintegrazioni, richiamandosi a
tal uopo e ricollocandosi atti richiesti nei passati anni da diversi
ufficj, e sinora rimasti fuori della loro naturai sede.
Ai 47 elenchi, cataloghi o inventar] parziali accennati nella Cro-
naca del precedente sen^estre, e che dovranno servire alla compi-
lazione del prospetto generale, altri 15 se ne aggiunsero. Di questi
non van taciuti quello della classe Acque, corredato di notizie sulla
derivazione di tutti i fiumi e canali navigli e irrigatorj della Lom-
bardia; quello dei Rogiti Camerali, contenenti atti dal 1395 al
1804; quelli dell'Archivio di Presidenza del già Governo lombardo
1815-1859; del Governo provvisorio di Lombardia del 1848; e del
l'Archivio Vicereale dal 1818 al 1848.
Nella Sezione Amministrativa si è ultimata la revisione di una
quantità di atti, già da tempo predisposti per lo scarto, sceverando
quelli meritevoli di conservazione, ed elencandoli e distribuendoli
secondo la loro natura. Si sono raccolti ed elencati gli atti della
Direzione dei RR. Teatri della Scala e Canobbiana, da conse-
gnarsi al Municipio di Milano. •
Si ricollocarono molti pacchi e carteggi, che erano stati distratti
dalla classe Studj per formarne speciali categorie, come si ebbe a
lamentare.
Si sistemarono circa 200 mazzi di atti pretorj, compilandone il
repertorio, e si classificarono e ordinarono molte posizioni di atti
della cessata Delegazione in materia di Culto e di Beneficenza
Tuhhìica.
Nella Sezione Giudiziaria si diede una migliore disposizione
CRONACA DEGLI ARCHIVJ. 501
esteriore agli atti di volontaria giurisdizione e della Pretura Ur-
bana, a quelli civili e criminali dell'antico Senato e della Corte di
Giustizia; del Tribunale Civile di prima istanza, soccorrendoli di
opportuni richiami.
Nella Sezione Fondo di Religione si sistemarono i vacanti dei
Teatini di Sant'Agata in Bergamo, degli Agostiniani in Palazzago,
delle Terziarie in San Bernardo di Piazza e di Santa Chiara in
Bergamo, e si formarono parziali repertorj di tutti quegli atti.
Nella Sezione Finanze vennero trasportati e regolarmente collo-
cati gli atti dell'Ufficio di Commisurazione e della Direzione compar-
timentale delle Gabelle; e si continuò nella sistemazione di quel
Gridario, amalgamandolo a quello già sistemato della Sezione Am-
ministrativa. Fra i riparti ordinati nel semestre, vanno menzionati
i conti di liquidazione della Guardie di Finanza di Milano e Man-
tova; le normali della Contabilità di Stato; i registri della Cassa
di Finanza in Lodi; i giornali di cassa pei rami Poste, Strade
ferrate e Telegrafi, e gli atti della già Direzione del Demanio.
Nella Sezione diplomatica si continuò a formare le schede per gli
indici dei così interessanti Kegistri dell'Archivio Panigarola, essen-
dosi raggiunto il numero di 1050. — La ricostituzione della classe
Totenze Estere, vale a dire di tutto il carteggio diplomatico Vi-
sconteo-Sforzesco, va progredendo, essendovisi concentrati 20 mazzi
di dispacci degli ambasciatori ducali all'estero, cioè circa pezze
6000, che erano state levate per formare ratjcolte parziali. S'ini-
ziò la formazione degli elenchi, o meglio repertorj dei registri
degli antichi Signori e Duchi di Milano e delle missive, ammon-
tanti a 1450 volumi o codici, molti dei quali in pergamena, taluni
con pregiate miniature. Il più antico documento riportato è il
privilegio della pace di Costanza del .1183. Fan seguito a questo
diverse conferme imperiali delle libertà concesse al Comune di
Milano; la nomina fatta dai Milanesi di Guido della Torre a loro
signore perpetuo nel 1309: e via via i trattati diplomatici, i pri-
vilegi, i matrimonj e legittimazioni dei sovrani dello Stato e prìncipi
del sangue; i feudi, i giuramenti di fedeltà, le grazie, immunità,
esenzioni, le nomine alle cariche civili e militari, gli ordini alle
magistrature dello Stato in affari d'amministrazione ed agli inca-
ricati ed agenti all'estero per le relazioni diplomatiche.
La stampa della parte 2.* del III volume dei Documenti diplo-
502 CRONACA DEGLI ARCHIVJ.
matici, tratti dagli Archivj Milanesi, è arrivata all'anno 1446, e
sono già presso del tipografo anche le copie dei documenti, sino
alla morte di Filippo Maria.
L'appendice principale bIV Inventario della biblioteca fu conti-
nuata col registrarvi le opere, vuoi acquistate, vuoi donate, dal
N. 320 al 349. Si proseguirono le schede pel nuovo Catalogo gene-
rale alfabetico. Si ebbe in dono dal sig. Giulio Ficher il 4.° volume
delle sue Forschungen zur Reichs und Rechtsgeschichte Italien;
dalla E. Deputazione di Storia Patria il tomo XIV della Miscel-
lanea di Storia Italiana; dal Soprantendente, oltre varie carte di
notizie politiche per l'Archivio, presso a 50 stampati tra libri
propriamente detti e statuti di società diverse; dal sindaco di
Genova 1' opera II Cholera in Genova, negli anni 1835, 1836,
1837, 1854, 1855, 1866, 1867, 1873. Si donò alla Società promo-
trice delle biblioteche popolari jdi qui un esemplare dell' opera del
Vacani, Storia degli Italiani in Ispagna, e si fece l'abbonamento
al Codex diplomaticus Cavensis, pubblicato per cura dell' abate
Morcaldi, di cui si ricevette il 1.° volume.
^Si consegnarono alle biblioteche di Napoli, Roma, Parma, Fi-
renze, Torino, Cremona, Pavia, Brescia e Mantova, una copia della
raccolta delle leggi e decreti del regno dal 1802 al 1859; ed
al Ministero delV Istruzione Pubblica 8 volumi delle Ordinanze
del Ministero delle Finanze del Kegno Lombardo-Veneto dal 1855
al 1858; e varj volumi e fascicoli a chi ne mancava.
Di rimpatto, si ricevette dal Municipio di Milano un volume
degli atti del 1873 ; oltre gli avvisi a stampa pubblicati nel se-
mestre, gli elenchi delle persone morte, il rendiconto dei medici
municipali, per l'anno 1873.
Si continuò a far trascrivere documenti diplomatici, interessanti
per la storia, guasti, smunti o quasi consunti.
Ai 55 studiosi ammessi ad indagini storiche, indicati nel primo
semestre, la maggior parte dei quali frequentò l'aula di studio
anche nel secondo, sono da aggiungersi, fra altri, i signori :
Bayonne Ceslao, domenicano. Corrispondenza degli anni 1496-98
di Lodovico il Moro con Roma e Firenze, onde trovarvi notizie
intorno al Savonarola.
Bertoldi Antonio. Notizie relative alla dedizione di Verona a
Gian Galeazzo Visconti e ai privilegi da lui concessi alla mede-
sima, e sull'architetto Michele Sanmichele.
CRONACA DEGLI ARCHI VJ. 503
Calvi nob. Felice. Sui feudi imperiali, il patriziato milanese e
Gian Giacomo Medici.
P. Egidio. Intorno all' Ordine dei Cappuccini d' Italia e di
Francia.
Clerc Edoardo, presidente onorario alla Corte di Besan^on. Ri-
cerche intorno a Filiberto di Chalon.
CoLOGNA avv.° Atti antichi del locale ex monastico di S. Maria
Valle e della confraternita di S. Alessandrino.
CuRTi avv.° Pier Ambrogio. Per verificare l'epoca della morte
della contessa di Celant, avvenuta nel 1526.
Esarco Costantino, agente diplomatico di Romania in Italia.
Relazioni dei Moldo-Valacchi col ducato di Milano, dal secolo XIV
al XVIII.
FiCHER dott. Giulio. Studj storici su alcuni diplomi imperiali.
FoucARD Cesare, direttore dell'Archivio di Stato in Modena.
Relazioni diplomatiche tra Casa d'Este e Filippo M. Visconti, du-
rante gli anni 1442-47.
Gerbaix de Sonnaz cav. Giuseppe, generale. Ricerche intorno ad
un'ambasceria presso i Signori di Milano, affidata ad Ayme de
Bonnivard e Pierre de Gerbaix dal conte di Savoja nel 1370.
Ghiron cav. Isaia. Atti relativi alla democratica Credenza di
S. Ambrogio di Milano, del secolo XIII, ed a Lucrezia Borgia.
Griffini cav. Achille. Studj su materie daziarie e di privative.
Longoni Carlo. Atti relativi al Comune di Seregno.
Marelli sac.^ Carlo. Notizie sulla chiesa di S. Sebastiano.
Pagani prof. Gentile. Notizie sul locale di San Luca in Milano.
Parroco di Pontida. Studj sulla chiesa di quel paese.
Riva Finoli ing. Cesare. Notizie intorno a famiglie lombarde.
Rognoni avv.° Ernesto. Sulla fondiaria del collegio Castiglioni
di Pavia.
San-Giorgio prof. Gaetano. Sulla vita del barone Custodi.
Stato Maggiore Militare di Milano. I manoscritti del Lancetti
sulla Letteratura militare italiana.
Van der Straeten Edmondo, imp.° presso gli Archivj Generali
del Belgio. Notizie intorno ad alcuni musici olandesi, francesi e
tedeschi della cappella ducale milanese 1476-1508.
P. Ghinzoni.
BIBLIOGEAFIA.
Champefleury, Histoire de la caricature sous la Bépublique, VEm-
pire et la Bestauration. (Dentu, 1874, in-12 con figure.)
E un altro lavoro che manca alla nostra storia, e tanto più im-
portante, quanto la caricatura ha più effetto, come sugli animi rozzi, così
sui popoli che non leggono. La caricatura sotto la Repubblica francese
avea poco simbolismo; è grossiera, inumana, inspiratrice d'odio, ma né
originale, ne ingegnosa; come la odierna, insulta ai probi, ad ogni
superiorità, diviene provveditrice della ghigliottina; grossolani i suoi
scherzi; Vabbè-Hse^ V obli-casse^ V aòM-terave^ e facezie siffatte, simili
a quelle che anch'oggi ne tocca soffrire, e con cui voleasi depravare il
sentimento popolare a poca spesa, giacche si davano perfino tre im-
magini per un soldo. Yiene poi la ferocia delle lepri, che ne' tempi
momentosi diventano tigri per paura d'esser vittime.
La caricatura ebbe poco a fare sotto l'Impero, divenne una potenza
sotto la Restauraziotie, e più dopo la rivoluzione del 30. Ma del tempo
ove sì scarsa messe trovò Champefleury, molto potrebbesi raccorrò in
Italia, e vi sono curiosi che ne fecero raccolte, degne d'esser fatte
conoscere al pubblico. Io, nelle mie poverissime raccolte di disegni
storici, ho un grosso fascicolo di immagini insultanti a Venezia, bersa-
glio de' liberalastri d'allora, anche allora nemici della libertà. In figure
abbastanza artistiche si rappresentano il disprezzo de' titoli nobiliari,
sconcacati da fanciulli e da cani; la debolezza di Pantalone che paga
per tutti al convito de' prìncipi; Arlecchino e Brighella che al doge
portano l'annunzio della sollevazione di Bergamo; Beaulieu che spin-
BIBLIOGRAFIA. 505
gesi al Po a cavallo d'un gambero; il leone morto, recato a sep-
pellire fra i pianti de' patrizj e le risa d'Arlecchino, che dice a Pan-
talone: Per el passa avie riduu adosso a mi: adesso mi rido adosso a
vu; la partenza del doge sur un ciucio, ecc.
Altre caricature (a non voler citare le tante contro il papa, i vescovi
e frati) rappresentano il funerale di Mantova, a cui precedono Wurmser
a cavallo; quattro eroi della difesa, fra cui il padre Valentini e l'a-
bate Mari, portano a spalle il cadavere ; seguono altri difensori, e l'ari-
stocrazìa e il papa che si desolano. In altri è Pitt disperato; il diavolo
fallito nelle repubbliche democratiche; il corpo del genio del papa,
che sono frati con candellieri e campane in luogo di fucili e tam-
buri, e da dietro dei gabbioni sparano i cannoni; i Francesi che agli
aristocratici veneti intimano II faut danser davanti all' albero e al
leone morto; un corriere che «salito in arcioni, sferza, sprona, divora
la via » per annunziar la resa di Mantova a Vienna ; ecc. ecc.
Francesco Peluso, La chiesa di Castiglione e le opere d'arte che
contiene. Milano, Brigola, 1874, di pag. 45 in-4°.
Il cardinale Branda di Castiglione, Masolino da Panicale, la chiesa
di Castiglione, sono tre enti così poco notati nella storia patria, che può
quasi dirsi scoperta il ridestarne la memoria. Ed ha voluto farlo il
signor Peluso, in uno scritto grave ed elegante, di quel modo con cui
vorremmo vedere spesso i patrizj nostri illustrare alcun punto dell'arte
e della storia. E dell'arte ragiona egli distesamente, e reca i contornì
di alcuni belli avanzi delle pitture, onde Masolino aveva tutta coperta
quella chiesa, secondo gli ordini datigli dalla generosità di quel gran
cardinale. Ma il discorrere dell'arte, del modo di frescare in antico,
dello stile proprio di quel pittore, non è dell'assunto nostro. Solo ci
permetteremo domandare se rettamente la pianta della chiesa si dica
a croce latina senza braccia » (pag. 19): e se sia vero che la scuola
toscana a pur osservando la tradizione dei giotteschi d' attinger sempre
dal vero, si era piegata alle inclinazioni del tempo, dando alle figure
d'argomento religioso un'espressione d' ideale beatitudine w . Noi abbiam
sempre creduto che quello stile, rituale negli atteggiamenti e nelle
fisionomie, fosse proprio della pittura geratica dei bassi tempi, e il
merito di Giotto consìstesse nell'averle richiamate alla realtà: se da
poi sì tornò allo stentato e all' ideale beatitudine, non fu inclinazione
del tempo, ma richiamo del vecchio, come faceano, per esempio, quei che,
50 anni fa, volean scrivere al modo del Boccaccio.
Il punto storico più rilevante nel signor Peluso è l'asserire come la
506 BIBLIOGRAFIA.
scuola milanese avesse origine dalla toscana, da questo Masolino che
qui lasciò le più belle, quasi le sole sue pitture; dal Balduccio che
fece l'arca di san Pietro martire; sicché Leonardo, quando venne a
dar tanto volo all'arte nostra, vi trovava già inclinazione ai modi toscani.
Non si scorraggi il signor Peluso della nessuna attenzione che sembra
fare il pubblico a ciò che non sia o frivolezza o demolizione politica o
religiosa. Bell'opera egli farà se illustrerà anche il battistero, le cui
pitture son forse più notevoli, e stanno esposte a un pericolo più grave,
che noi vorremmo denunziato alla Commissione incaricata della con-
servazione de' monumenti.
La menzione che qui si fa di quella insigne famiglia Castiglione,
della quale Gian Girolamo conduceva sessanta giovani a Luigi XII
per combattere sotto le bandiere di Francia contro i signori di Lom-
bardia, ci rammenta come sciaguratamente, fra gli ultimi avanzi delle
antiche ricchezze, vi esistesse una quantità di carte e pergamene, che
in questi anni andarono a mercato.
Francesco JBurlamaccJii, tesi libera di laurea, letta da Raffaele
Bonari. Napoli, 1874.
Del Burlamacchi, come d'altri, si fece un tipo di eroismo da coloro
che han bisogno della finzione del passato per iscusare le idolatrie del
presente ; e alterando il vero, quando non l'oltraggiano, creano eroi o
demonj, a corruzione del retto senso; circondano d'aureola teste che
forse non meritano che d'esser perdonate; sempre in servigio delle
passioni politiche, delle quali imprestano il senso e le parole a tutt'altri
tempi. Già il Botta vi spiega tutta la sua rettorica amplificazione, e co-
piando, com'è suo costume, l'Adriani, presentava il Burlamacchi come
uomo di alto animo e ingegno attissimo a tutte le cose onorate ed ec-
cellenti^ che alla lusinghiera immaginazione univa sano giudizio, ed esa-
minava non solo lo stato d'Italia, ma lo stato del mondo. Niente più
opposto al vero^ giacche l'impresa sua era la meno opportuna ai tempi,
quando le repubbliche perivano; l'impero invadeva le libertà; il pa-
pato traeva forza dalla riazione. Ma il Burlamacchi non pensava che
far della Toscana un forte Stato repubblicano. In lui era affatto se-
condaria l'idea di disfar il dominio temporale, e a ciò valersi della in-
clinazione d' alcuni Lucchesi al luteranesimo : ma quel poco bastò perchè
oggi fosse mostrato come un eroe, « un magnanimo che volle l'Italia
nostra potente e sgombra dagli stranieri » . Sono frasi del Guerrazzi,
che lo dipinse a modo suo, com' è facile a chi della storia fa romanzi.
Il signor Raffaele Bonari volle ridurlo alle proporzioni reali in un
saggio di critica storica, presentato come tesi di laurea all'Università
di Napoli.
BIBLIOGRAFIA. 507
NéW inaugurazione del monumento a Michele Sanmicheli, seguita
in Verona il giorno VII giugno MDCCCLXXIV, e publlicazione
de^ suoi scritti ed altri documenti tratti ddW Archivio generale di
Venezia. Verona 1874, in-4, di pag. XX e 105.
Al Sanmicheli, insigne nell'architettura civile, religiosa, e prin-
cipalmente militare, che allora trasformavasi in grazia delle nuove
armi, Verona (do v 'egli lasciò i bastioni della Maddalena, di S. Fran-
cesco, dell' Aquajo, della Catena, e le famose porte, oltre il ponte
Nuovo, molti palazzi, la Madonna di Campagna, il Lazaretto, al
cappella Kaimondi in San Bernardino) eresse un monumento, inau-
gurato il 7 giugno, con discorso di quel sindaco.
Nicolò de Sanmichele comascho fisico, nipote di Michele, gli avea
posto una lapide in S. Tommaso Cantuariense, e mostrando i grandi
servigi del suo harha, gli ajuti da lui prestati a questo e la pre-
sente sua povertà, invocò soccorsi dalla repubblica, e gli ebbe.
Danno pregio a questo libretto i documenti che Antonio Ber-
toldi ricavò dall' Archivio generale di Venezia, intorno ai lavori
commessigli dalla Serenissima, con 20 scritture inedite del San-
micheli.
Dopo fortificate le città pontifizie e le venete anche in Dalma-
zia e in Levante, il Sanmicheli fu da Francesco Sforza domandata
a visitar le fortezze del ducato di Milano.
Notizie storiche su Castelfermini e suo territorio, per Gaetano di
Giovanni. Girgenti, settembre 1874.
È il VII fascicolo di quest'opera non ancora completa, e tratta prin-
cipalmente della Casa Termini-Ferreri, per cui opera i moltissimi casali
furono raccolti in comunità, detta appunto Castello dei Termini, Ne sono
curiosi l'origine e la capitolazione o statuto.
Minturno e Traetto, opera istorica ed archeologica per Francesco
Antonio Riccardelli. Napoli, 1873, di pag. 491 in-S**.
Ecco un'altra di quelle monografie di cui tanto ci compiaciamo, e
che vorremmo estese ad ogni Comune e ad ogni Distretto d'Italia. Oltre
le antichità, l'autore s'è giovato e dei dati statistici e delle carte degli
archivj, massime per ciò che riguarda la Chiesa. A quei paesi appar-
tiene Gaeta, che da sé sola può somministrare soggetto di una vasta sto-
ria. L'autore si diffonde specialmente sull'ultima guerra, sulla difesa che
508 BIBLIOGRAFIA.
ne fece il re Francesco, e sulla battaglia del G-arigliano. Però, anziché
notìzie particolari, dà quelle del Coppi; al che non dovrebbero mai
accontentarsi gli storici municipali.
Gli Statuti di Chianciano, ora per la prima volta messi in luce
a cura di Luigi Funi, Orvieto, 1874, di pag. CCII e 189.
Ci piace questo libro perchè agli statuti premette una breve
storia documentata di quel Comune, posto vicino a Chiusi e sot-
tomesso ora a Siena, ora ad Orvieto, or ad altri ; e saviamente esa-
mina il diploma di Carlo IV del 1373, ove quel castello è con-
cesso in feudo a Guglielmo di Beaufort, nipote di Clemente VI; di-
ploma impugnato dall' erudito Liverani.
Gli statuti furono pubblicati il 1387. Nove chiancianesi ogni S. Mi-
chele eleggevansi perchè li custodissero e modificassero. V era il
solito podestà, e il sindacato per rivedere l'operato dei magistrati
quando uscissero di carica; il Consiglio generale, quel di credenza;
un magistrato d'appello: dove lo statuto tacesse, s' avea ricorso
al diritto civile, com' era accettato dalla più parte de' Comuni di
Toscana e di Lombardia. Del resto aveano i meriti e i difetti di
tutti gli altri statuti, che restano sempre la parte più degna di
attenzione nella storia interna dei nostri Comuni.
Noi vediamo sempre con letizia cosiffatti lavori, e amiamo ramme-
morare che il R. Istituto Lombardo di scienze e lettere ha messo
a concorso per l'anno 1876 " Studj critici e documentati intorno
alla legislazione statutaria nell'Italia superiore o nelle regioni
contermini „ .
In tal proposito non sapremmo abbastanza raccomandare la
Storia del diritto italiano dalla caduta dell'impero romano alla co-
dificazione, opera di Antonio Fertile, di cui a lungo altrove di-
scorremmo, e di cui è ora uscito il IV volume (Padova, 1874, di
pag. 662), dov'è principalmente notevole il trattato del diritto ere-
ditario ; uno de' più variati nella legislazione statutaria.
Macun Jos. Niccolò Machiavelli als Dichter, Historischer und
Staatsmann. Gratz, 1874.
È un soggetto di moda V esame del Machiavello, intorno al quale si
occupa seriamente più d'uno dei nostri dotti: oltre la edizione delle
opere sue, che pi va con prudente lentezza proseguendo a Firenze. Il
BIBLIOGRAFIA. 509
Governo favorì di ajuti positivi questi studj ; è in moto un concorso, che
non riuscì alla prima prova. Non possono dunque prendersi in serio
esame gli opuscoli o articoli fugaci in tal proposito. Il prof. Tedeschi,
nella Bivista Europea del settembre, considerò il Machiavelli come
poeta.
Bitter M., Briefe ecc. Lettere e atti della guerra dei Trent'anni.
Due volumi: il I riguarda il fondamento dell'Unione; il II l'U-
nione ed Enrico IV. Monaco, 1870-74.
Augusto von Druffel, JBriefe ecc. Lettere ed atti per la storia
della guerra dei Trent'anni, con ispeciale riguardo alla Casa di
Baviera. Monaco, 1873.
Continua la grande collezione storica fatta dall'Accademia di Ba-
viera, sotto gli auspicj del re Massimiliano II ; e questi volumi si oc-
cupano di quel periodo, a parer nostro, ben più deplorabile che non il
medioevo, dove l'Europa, scissa nella sua unità dalla Riforma reli-
giosa, straziò da se stessa le proprie viscere, e dopo lungo disputare,
proruppe in quella guerra trentenne, a cui tutta l'Europa dovette
prender parte, e dolori comuni divennero quelli della Germania, che
allora cessò di essere la potenza preponderante. Il sig. Bitter in una
succosa prefazione ragiona di quei tempi e del proprio lavoro, il quale
non spetta al nostro paese se non in quanto anche l' Italia ebbe tanto a
soffrirne, sicché proverbiali rimasero i Lanzichenecchi, il "Waldstein,
l'assedio di Mantova. All'epoca che il Bitter discorre, ebbero a fare in
Germania il duca Banuccio I di Parma, i duchi Carlo Emanuele di Sa-
voja e Vincenzo di Mantova, papa Paolo V, e molti cardinali e legati,
oltre Yenezia.
Sì in questo volume, sì in quello del Druffel, di conforme soggetto,
piace il vedere come gli uni diansi la mano agli altri gli studiosi di
colà, del concorde lavoro giovando la scienza e la letteratura.
C. C.
Arch. Stor. Lonib. — An. I. 32
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
i) OPERE STORICHE PUBBLICATE IN ITALIA.
Ottobre-Dicembre 1874.
Adriani. Istoria de* suoi tempi. Fase. IX ; in-8. Prato.
Altavilla (prof. R.). Il Regno d'Italia. Dizionario geografico-storico-
statistico ad uso di tutti. Fase. III-IV ; in-8. Torino.
— Storia delVEmilia in cento racconti'^ in-16. Bologna.
Amante (B.). La rivoluzione francese e V ultimo dei pretesi Luigi XVII,
Studio storìco-eritieo ; in-8. Maeerata.
Atti della Società Ligure di storia patria. Voi. VII, parte I, fase. II;
in-8. Genova.
Contiene :
Seguito del Codice diplomatico delle Colonie Tauro-Liguri durante la Signoria
dell'Ufficio di S'. Giorgio.
Atti della Società Ligure di storia patria. Voi. X^ fase. I; in-8. Ge-
nova.
Contiene :
Merli e Belgeano. Il palazzo del principe D'Oria a Fassolo in Genova.
Atti della Società Ligure di storia patria. Voi. XII, parte I, fase. I,
in-8. Genova.
Contiene :
Remondini (M.). Iscrizioni medio-evali della Liguria, raccolte e postillate.
Testo e tavole.
Atti e Memorie della B. Deputazione di storia patria per le Pro-
vincie Modenesi e Parmensi, Voi. VII, fase. IV; in-4. Modena.
Baffi (L.). DeW origine dei tempj e delV obbligo di decorarli; in-8.
Taranto.
Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, ossia, Baccolta di opere ine-
dite 0 rare di scrittori siciliani del secolo XVI al XIX, per cura
di Gioacchino Di Marzo. Voi. XVIII, in-8. Palermo.
Contiene :
Diario Palermitano di Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese dì
Villabianca, dall'anno 1759 all'anno XV ind. 1766 e 1767.
Borgo (il) di Broni nelV Oltrepò pavese, illustrato con passi storici
tratti da opere varie; in-16. Milano.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 511
Brambilla (Luigi). Varese e suo circondario. Notizie. Voi. II (ultimo) ;
in-8. Yarese.
Campbell (A. G.). La vita di Fra Paolo Sarpi, da manoscritti origi-
nali; in-8. Torino.
Cantù (C). Storia degli Italiani. Edizione popolare riveduta dall'au-
tore e portata fino agli ultimi eventi. Voi. I e II, in-16. Torino.
L'opera sì comporrà di 16 volumi.
Castelli (P. A.). Il Convento di San Bernardino alV osservanza di
Siena. Appunti storici; in-16. Siena.
Cenni storico-statistici su Val Camonica e su Breno sua capitale ^ in-8.
Venezia.
Cerri (mons. Domenico). Borgia^ ossia Alessandro VI papa e suoi
contemporanei. Seconda edizione. Voi. II ; in-8. Torino.
Constitiito {il) del Comune di Siena ^ volgarizzato nel MCCCIX e
MCCCX da Ranieri di Ghezzo Gangalandi, notajo senese, ora pri-
mamente edito per cura di Luciano Banchi. Voi. I, dispensa I, in-4.
Siena.
CoNTARiNi (P.). Memoriale veneto storico-politico 1848-49. Seconda edi-
zione; in-8. Venezia.
CoBiAsso (L.). Cenni storici sul santuario della Madonna del convento
di Ozegna; in-16. Torino.
Curiosità e ricerche di storia subalpina pubblicate da una società di
studiosi di patrie memorie. Puntata II, in-8. Torino.
Contiene :
Le streghe del Canavese (Continuazione).
Il tesoretto d'un bibliofilo piemontese (Continuazione).
Il manifesto del conte Radicati di Passerano.
Torino e i Torinesi sotto la Repubblica.
Il testamento di M. R. Cristina di Francia ed il conte Filippo d'Agliè.
Cernii e lettere inedite di Piemontesi illustri del secolo XIV. Silvio Pellico.
(Continuazione).
D'Arco (C). Studj intorno al Municipio di Mantova dalV origine di
questa -fino all'anno 1863, ai quali fanno seguito documenti inediti a
rari. Voi. VII (ultimo); in-8. Mantova.
De Simone (L. G. ). Lecce e i suoi monumenti descritti e illustrati.
Voi. I, in-16. Lecce.
Di Costanzo (A.). Istoria del Regno di Napoli. Voi. II, in-32. Torino.
Dizionario universale di geografia e storia, compilato da una società
di scienziati italiani, sotto la direzione di Gustavo Strafforello e
L. Grimaldi-Casta. Serie VIII-X; in-8. Milano.
Documenti tratti dal R. Archivio di Stato di Firenze e pubblicati per
nozzq C ar minati- Pinaffo ; in-8. Venezia.
512 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO.
DoLFiN II (Daniele). Dispaccio alV eccellentissimo Senato (Veneto) sopra
la sua elezione d^ ambasciatore a S. M. Cesarea. In-8. Padova.
Epoche storiche raccolte per servire alla storia di Monselice,' in-8. Pa-
dova.
Fabretti (A.). Secondo supplemento alla raccolta delle antichissime
iscrizioni italiche ^ in-8. Torino.
Fenoil (F.). La terreur sur les Alpes; in-16. Firenze.
Galloni (Pietro). Uomini e fatti celebri di Valle Sesia, Serie YI; in-8.
Varallo.
Garrucci (R.). Venafro illustrata con Vajuto delle lapidi antiche; in-4.
Roma.
GozzADiNi (G.). Delle torri gentilizie di Bologna e delle famiglie alle
quali prima appartennero ; in-é fig. Bologna.
GuARDUcci (E.). De Petri in urbem Romam adventu: disquisitio histO'
rica; in-16. Bologna.
La Lumia (I.). I Bomani e le guerre servili in Sicilia, Seconda edi-
zione, in-8. Torino.
La Rosa (V.). Cenni storici degli avvenimenti politici in Italia; in-16.
Catania.
Matscheg (A.). Storia politica di Europa dal chiudersi del regno di
Carlo VI al Trattato di Aquisgrana, illustrata coi dispacci degli
ambasciatori della Repubblica di Venezia. Yol. I, in-8. Venezia.
Mira (G. M.). A quale città di Sicilia spetta il primato delV introdu--
zione della stampa; in-16. Palermo.
Muzzi (S.). Vocabolario geo grafico -stori co -statistico dell'Italia ne^ suoi
limiti naturali. Dispensa Vili 5 in-8. Bologna.
— Compendio della storia di Bologna; in-16. Bologna.
Nani (Battista). Due dispacci pubblicati da Francesco Nani Mocenigo ;
in-8. Venezia.
NiccoLiNi (G. B.). Opere edite ed inedite, raccolte e pubblicate da Cor-
rado Gargiolli. Dispensa 117. — Storia della Casa di Svevia in Ita^
Ha, Dispensa 17; in-8. Milano.
Paglia (G. A.). Due discorsi del XVI secolo sopra la città di Giove-
nazzo; in-8. Napoli.
Papato {il) ai tempi delVimpero da Costantino a Giustiniano^ e il pa-
pato ai tempi nostri ; ìnS, Roma,
Passerini (L.). Storia e genealogia delle famiglie Passerini e De' Rilli;
in-8. Firenze.
PoRENA (F.). Breve compendio della storia d'Italia nel medio evo; in-16.
Roma.
Porro (P.). La battaglia di Legnano, Racconto storico; in-16. Varese.
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 513
RiccARDELLi (F.). Mtnfumo e Traetto. Opera istorica e archeologica;
RoMussi (C). Milano ne^ suoi monumenti; in-16 fig. Milano.
in-8. Napoli.
Rosa (G.). San Vigilio vescovo di Brescia. Ricerche storiche; in-8.
Brescia.
Scrittura della conferenza delti capi della quarantia criminal ^ e de*
magistrati del sindaco^ e dei conservatori delle leggi in relazione al
decreto 29 maggio 1772; in-8. Venezia.
SiMONi (L.). Alcuni cenni storici e geografici sulla Repulhlica di San
Marino; in-4. Roma.
Spano (C. G.). Storia della zecca sarda ; in-8 Cagliari.
Statuti {gli) di Chianciano delVanno MCCLXXXVII ora per la pri-
ma volta messi in luce a cura di Luigi Fumi ; in-8. Orvieto.
Steene (J. G.). An airidged history of Venice ; in-16. Venezia.
Storia della Chiesa^ per un vecchio cattolico italiano. Dispense IV-VI ;
in-8. Milano.
Tallarigo (C. M). Giovanni Fontano e i suoi tempi. Monografia in-16.
ITapoli.
Tettoni (L. e.). Napoleone Illy sua vita, suoi fasti, e sua morte. Se-
conda edizione, in-16. Milano.
Zanetti (V.). La basilica dei ss. Maria e Donato di Murano illustrata
nella storia e nell'arte ; in-8. Venezia.
Zini (L.). Storia d'Italia dal 1850 al 1866 ; continuata da quella di
Giuseppe La Farina. Dispense 131-136; in-4. Milano.
INDICE
CANTt C. Degli studj storici in Lombardia 5
Ghinzoni. Cerimonie seguite il 27 e 28 ottobre 1533 in Marsi-
glia pel matrimonio del Duca d'Orleans con Caterina De Me-
dici 18
D'Adda G. Lodovico Sforza e il convento di Santa Maria delle
Grazie. Documenti, decreti, inventari, in parte inediti ... 25
Calvi F. Il patriziato milanese . . . 101, 413
Ceruti A. La chiesa di S. Giovanni alle case rotte in Milano . . 148
Orto botanico di Pavia 186
La famiglia Moroni 189
Museo dell'Archivio di Stato in Milano 195
RoMussi C. La morte di Alberto Maraviglia 249
Greppi. Francesco Sforza in Brianza 275
Benvenuti M. Dell'isola Fulcheria e della città di Parasìo o
Parasse 297
Massarani T. Documenti nuovi sulle relazioni tra la Rumenia e
la Repubblica Veneta 315
Portigli. Nuovi Documenti su Gerolamo Savonarola 325
Casati. L'ospitale di S. Nazaro in Brolo volgarmente detto
dei Porci 355
Porro G. Supplemento a un catalogo di libri di paleografìa e
diplomatica .' 465
Cantù C. Aneddoti di Lodovico il Moro 483
Domande e risposte 54, 223, 376, 488
Cronaca degli Archivj 65, 200, 366, 505
Notizie varie 75, 209, 372, 490
INDICE. 515
Bibliografia : pag.
Prima relazione triennale della Direzione dell'Archivio di Stato in Torino . 81
Gabgantiot. Cronologia di Milano 83
CoEBADi. Dello studio e insegnamento dell'anatomia in Italia 87
Pekraeio. Memorie storiche di Fosdivono 88
Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti ivi
Bebnakdi. Sul quinto centenario della morte di Petrarca ivi
BoNOMi. Le acque del territorio di Milano e Bergamo 89
Tuzzi. Della battaglia di Melegnano ivi
Bettoni. Tebaldo Brusato 90
CoNESTABiLE. Sopra due dischi di bronzo antico italici ivi
Cadorin. Della guerra di Chioggia 91
Alianelli. Delle consuetudini e degli statuti municipali nelle provincie napo-
litano . . . . • 93
Vedovi. Biografia dei martiri di San Giorgio e di Belfiore ivi
Clemente. Napoli e S. Tomaso d'Aquino ivi
Lilla. La mente dell'Aquinate e la filosofia moderna ivi
Zeller. Les tribuns et les revolutions en Italie 232
Lecoy de la Marche. L'Académie de Franco à Rome ivi
Du Bois. Lettres sur l'Italie et ses musées 233
Boux. Histoire de la littérature contemporaine en Italie ivi
Dtjmesmil. Histoire de Jules II. . 234
Dantier. Etudes sur l'Italie ivi
Friedlaender. Civilizzazione e costumi romani 235
Sharman. The poems of Mary Queen of Scots ivi
Cantù. Dell'indipendenza italiana ivi
La Mantia. Storia della legislazione di Sicilia 236
Carrara Zanotti. Scrina 238
Intra. L'ultimo de' Bonaccolsi ivi
De Riso. Riscontri statistici sul già Regno di Napoli ivi
BoNANNi. La provincia del secondo Abruzzo Ulteriore 239
Homunculus. Storia della denominazione di Basilicata ivi
Ferraro. Statuti ed ordinazioni del comune di Carpeneto ....... ivi
Manuel di San Giovanni. Un episodio della storia del Piemonte nel se-
colo XIII 241
Fiabe 378
Petrarca 383
I Colombo 388
De Duhn. Dracontii carmina inedita 400
BoissiER. La relìgion romaine d'Auguste aux Antonins 401
FiCKER. Forschungen zur Reichs und Rechhsgeschichte Italiens 402
La Rosa. Cenni degli avvenimenti politici in Italia iv»
PoRENA. Compendio della Storia d'Italia nel medio evo 403
Colombo. Storia del medio evo e dell'evo moderno i^
Zalla. Il medio evo in Italia * • ^^
VoLPiCELLA. Due discorsi del sec. XVI sopra la città di Gìovenazzo . . . 404
NiGRA P. Commemorazione dell' illustre Borgo di Santhià ivi
De Simone. Lecce e i suoi monumenti Y\
BiLLiTZER. Geschichte Venedigs ^"^
GrBoBEE. Geschichte Venedigs ^"^
516 INDICE.
Di Giovanni. Il caso di Sciacca, cronaca del secolo XVI ....... 404
BiTTEB. Briefe und Acten, etc. 405
Florenzano. Della emigrazione italiana in America ivi
Champfleuey. Histoire de la caricature 504
Pbluso. La Chiesa di Castiglione ... - 505
Bonari. Francesco Burlamacchi 506
Nell'inaugurazione del monumento a Sanmicheli 507
Di Giovanni. Notizie storiche su Casteltermini ivi
BicoARDELLi. Mintumo e Traetto ivi
Gli Statuti di Chianciano 508
Macun. Nicolò Machiavelli ivi
Bitter. Lettere per la storia della Guerra de* Trent'anni 509
Druffel. Lettere per la storia della Guerra de* Trent'anni ivi
Bollettino bibliografico:
Opere storiche pubblicate in Italia 94, 245, 406, 510
Opere storiche pubìjlioate all'estero, risguardanti l'Italia. ...... 98, 408
BOLLETTINO
DELLA CONSULTA ARCHEOLOGICA
DEL MUSEO STORICO ARTISTICO DI MILANO.
Bull. Cons. Ardi. — An. I.
^
IL
MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
È recente la fondazione di questo Museo; esso fu istituito col
decreto 13 novembre 1862, promosso dal ministro dell'istruzione
pubblica Matteucci, che realizzò per tal guisa un antico desiderio
della città nostra. Una Consulta di. nove membri, scelti fra i cul-
tori delle scienze archeologiche, dell'arte e delle discipline storiche,
provvede a raccogliere, ordinare e disporre per l'esposizione pub-
blica nel Museo tutti gli oggetti meritevoli di essere conservati per
importanza storica od artistica, specialmente relativi all'archeolo-
gia patria, così di proprietà dello Stato, come depositati o donati
dal Municipio o da privati, ovvero successivamente acquistati collo
stanziamento assegnato nel bilancio dello Stato. Essa provvede
eziandio alla vigilanza e alla conservazione della suppellettile scien-
tifica del Museo , e a quella dei monumenti che si trovano nel
territorio di Milano, non che a pubblicare scritti illustrativi dei
monumenti. Il sindaco di Milano n' è presidente.
Il summenzionato decreto stabiliva che il Museo avesse sede nel
palazzo di Brera ; e furono all'uopo assegnati i locali già prima oc-
cupati dalla chiesa degli Umiliati, della quale sino dal 1806 era
stata decretata la chiusura, e nel 1808 la soppressione. In essi
già si trovavano depositati, sotto la custodia dell'Accademia di
belle arti, varj interessanti oggetti, spettanti a diverse chiese sop-
presse, 0 discoperti in occasione di scavi per sistemazioni stradali,
e nel demolire vecchi fabbricati. Tra questi sono specialmente
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
notevoli.il monumento di Lancino Curzio, opera di Agostino Busti,
detto il Bambaja, tolto dal chiostro degli Agostiniani di S. Marco :
l'effigie marmorea di Gastone di Foix ed una piccola statua del
profeta ìsaia, scarsi avanzi (provenienti dal monastero di S. Marta)
dell'insigne monumento ordinato allo stesso scultore Busti dal re
Luigi XII di Francia, per onorare la memoria del cugino, caduto
nel 1512 nella battaglia di Ravenna: la lapide del pittore Bol-
traffio, levata dalla cripta di S. Paolo in Compito: il superbo
monumento di. Bernabò Visconti, che sorgeva nella chiesa di
S. Giovanni in Conca^ ed altri marmi trasportativi dalle chiese di
S. Salvatore, di S. Ambrogio ad Nemus ^ di S. Maria della Pace
e da altre. Più tardi vi vennero accolte le scolture che fregia-
vano l'arco biforo di Porta Orientale, e diverse interessanti epi-
grafi e frammenti architettonici romani che provennero dalla sua
demolizione, avvenuta nel 1819: varie scolture e membrature ar-
chitettoniche di uno splendido edificio, pure dell'età romana, che
si rinvennero nel 1821 nel posto dell'antica Porta Nuova: uno sti-
lobate con figure dipinte a fresco, appartenente ai medesimi tempi,
rinvenuto nel 1825 presso la via della Maddalena al Cerchio^ nella
località ove credesi sorgesse l'antico circo : varie epigrafi romane
di proprietà del Municipio ; altre offerte da privati : quattro fusti
di colonne di porfido di castigata rastremazione, tolte verso la fine
del passato secolo dalla chiesa di S. Carpoforo di questa città, nelle
cui adjacenze eransi rinvenute, e che sembrano avvalorare la tra-
dizione che ivi sorgesse un tempio di Vesta: una pietra tombale
di distinto scalpello, della fine del XV secolo : l'arca sepolcrale del
vescovo Bagaroto, dello scultore Andrea Fusina, proveniente dalla
chiesa di S. Maria della Pace: un ciborio in marmo a bassissimo
rihevo di squisito lavoro; ed altre sculture e frammenti diversi di
non lieve importanza.
La Consulta provvide a dare conveniente assetto a quei locali,
onde adattarli alla novella destinazione, e nominò una Commis-
sione per riordinare il Museo, la quale tracciò un piano per di-
sporvi i ricordati oggetti e quelli che in seguito vi pervenissero.
Il Museo fu inaugurato e aperto il 27 aprile 1867.
L'annunzio della sua fondazione fu accolto come un fausto avve-
nimento, e sorse una generosa gara per concorrere all'incremento
di una istituzione che aggiungeva nuovo lustro alla città nostra.
\
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
Prima l'Accademia di belle arti fu sollecita a deporvi la colle-
zione archeologica di sua particolare spettanza, costituita quasi
per intero da quella che si era formato il pittore Giuseppe Bossi,
da' cui eredi ne aveva fatto l'acquisto nel 1818. Essa consta di
varj pregiati bronzi , di diversi marmi egizj , greci , romani e del
Cinquecento, di non pochi cimelj in avorio, fra cui alcuni dittici
e trittici consolari e sacri, di oggetti di ceramica etrusca e ro-
mana, e di una eletta copia di majoliche dipinte delle più riputate
fabbriche della media Italia. I pezzi di questa raccolta passano
il mezzo migliajo.
L'Amministrazione della fabbrica del Duomo deliberò concedere
al Museo buon numero di interessanti marmi figurati e decorativi
del Quattro e del Cinquecento, che conservava ne' suoi depositi.
Altre fabbricerie, con ispontaneità non men generosa, cedettero an-
tiche scolture ed epigrafi, procurando ad esse più conveniente sede.
Il Ministero della lì. Casa ha del pari contribuito ad arricchire
questa istituzione con importantissimi depositi; permise fosse levata
dalla cripta di S. Giovanni in Conca e trasferita nel Museo, l'arca
sepolcrale di Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti, che,
ricomposta integralmente, sorge ora vicina al monumento del ma-
rito. Concedette una copiosa serie di marmi, interessanti così per
memorie storiche, come sotto l'aspetto dell'arte e dell'archeologia,
i quali trovavansi nel R. Palazzo enei Parco di Monza: col che si
potè riunire i superstiti avanzi delle scolture dell'antica porta
marmorea di Santa Maria di Brera, architettata dal Balduccio e
decorata dal suo scalpello, ed accogliere altri molti pezzi di sta-
tuaria e di decorazione architettonica, spettanti a varj monumenti
demoliti di Milano e di Monza. Fra questi è notevole l'antica porta
della chiesa di S. Gotardo, edificio eretto nella prima metà del XIV
secolo a disegno di Francesco Pecorari da Cremona.
Il Municipio di Milano assegnò in deposito al Museo l' insigne
collezione lapidaria Archinto, passata in suo possesso, nota per le
illustrazioni del Labus e di altri distinti acheologi ; e i marmi ap-
partenenti alla collezione di oggetti di belle arti, che il conte Gian-
giacomo Bolognini ad esso legava nel 1864. Inoltre la lapide com-
memorativa del ritorno dei Milanesi nel 1167 nella città devastata
dal Barbarossa, e delle opere di difesa costrutte nel 1171 per or-
dine dei consoli, dei quali è ricordato il nome con quello del mae-
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
stro Castegnianega che le ideò e le diresse; e vi mandò pure la
lapide degli untori posta alla Colonna infame, ed altre iscrizioni
venute in luce in occasione di recenti scavi e demolizioni.
Il dono fatto dalla contessa Carolina Borromeo della cospicua
collezione del chiarissimo conte Ottavio Castiglioni suo marito, le
epigrafi generosamente offerte dalla fabbriceria della basilica di
S. Simpliciano, dalla amministrazione della Cassa di Risparmio, dal
nobile signor Luigi Parrocchetti di Cornate, dal dott. Stefano
Castiglioni di Angora, dall' ingegnere Giacomo Magretti e da altri
privati, e gl'importanti acquisti di lapidi e cippi, che già conser-
vavansi nella Villa de' Picenardi nel Cremonese, e in quella del
nobile Silva-Ghirlanda in Cinisello, hanno contribuito ad arric-
chire la raccolta epigrafica, sicché divenne la più considerevole fra
le varie classi di cimelj che racchiude il Museo, constando di circa
trecento iscrizioni.
La brevità imposta non permette particolareggiare i tanti og-
getti pervenuti al Museo per acquisto o per dono, di cui non pochi
di singolare importanza. Non si ometterà tuttavia la serie dei vasi
gallo-romani, dissepolti alcuni anni fa, e descritti dal professore sac.
Giambattista Giani, il quale con intelligenti ricerche esplorò parec-
chie tombe disseminate in varj luoghi di quel tratto dell'Alta Lom-
bardia che costeggia il -Ticino e il lago Maggiore. L' epoca del-
l'occupazione celtica di questa, parte d'Italia, cui si riferiscono tali
vasi, è pure ricordata da varj oggetti in bronzo e in ferro, di rara
importanza per la loro specialità, i quali si rinvennero in una tomba
scoperta nel 1867 presso il borgo di Sesto Calende sul Ticino. Con-
sistono essi in armi, armature, avanzi di un cocchio, morsi di ca-
valli, vasi fittili, ed altre suppellettili di ignoto uso, fra le quali
è assai rimarchevole una grande sitala in rame con doppio giro
di rappresentazioni figurate.^
Vogliono pure essere citate parecchie membrature architettoni-
che spettanti all'antica distrutta chiesa del monastero fondato da
Aurona, stirpe dei principi longobardi, le quali furono tratte dalle
fondamenta della chiesa, pure demolita, di Santa Barbara, eretta
sull'area della prima, dove erano state impiegate come materiale di
costruzione. Lo stile di quei frammenti, la forma e la disposizione
*BiONDELL,i: Dì una tornea galo-Halica.
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
dei piloni di sostegno, che si desumono evidentemente dai frammenti
stessi, e la presenza di una leggenda in caratteri latini incisa nello
spessore della tavola di uno de' capitelli estratti dagli scavi, e che
ricorda l'arcivescovo di Milano Teodoro II, morto nel 749, offrono
interessante studio sul carattere e sullo sviluppo dell'architettura
locale avanti il Mille. Gli accennati avanzi, dovuti alla liberalità
della Amministrazione della Cassa di Risparmio, vennero in luce,
unitamente alle iscrizioni dalla medesima offerte, in occasione degli
scavi per erigere il grandioso palazzo di sua residenza nella via
del Monte di Pietà.
Importante acquisto fu lo stipite marmoreo che fregiava l'ingresso
della casa in via de' Bossi, già donata dal duca Francesco Sforza
a Cosimo I de' Medici, il quale la fece riordinare ed abbellire dal-
l' architetto Michelozzi : lavoro riccamente decorato di figure e or-
nati di egregia fattura.
Fra gli oggetti romani in bronzo chiamano in particolar modo
l'attenzione un busto virile, discoperto a Lodi vecchio, opera pre-
gevolissima dell'età imperiale, ed un'aquila di perfetta conserva-
zione, parte di insegna militare, trovata nel 1871 in Bergamo,
unitamente ai frammenti di una iscrizione pure in bronzo.^
L'indole di questo Museo, destinato specialmente ad accogliere
oggetti spettanti all' Insubria, non lascia speranza di vedere molto
aumentata la ristretta serie di opere greche, etrusche, egizie e ro-
mane, di cui sono ricche le più ragguardevoli collezioni di archeo-
logia. Ivi predomina invece la scoltura lombarda del rinascimento.
Se però si considera il rapido suo incremento dacché fu aperto, si
iha fiducia che potrà aumentare, nei limiti della speciale sua de-
stinazione, l'esempio di tanti cittadini, che già concorsero con no-
bile emulazione ad arricchirlo, trovando generosi imitatori. E
Tiepiù lusingano alcune recentissime oblazioni. La signora Caro-
lina Seuffereld donò diversi frammenti decorativi architettonici, che
si rinvennero nella sua casa in via del Morone, 2, nel demolire un
muro interno a piano terreno, nel quale erano stati impiegati come
materiale di costruzione. La forma delle loro modanature accenna
che erano parte di una cornice, e lo stile ricorda l'eleganza del
Quattrocento. Ma l'interesse maggiore deriva da alcuni motti che
'Carlo Belgiojoso: Le aquile romane.-
8 IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
vi sono improntati, e che si riferiscono ad emblemi o imprese della
Casa Medicea, quali si vedono, coi motti stessi, nello spessore del-
l'arco dello stipite in marmo, già posto all'ingresso della casa in via
dei Bossi, spettante, come sopra si accennò, a Cosimo I de' Medici.
I motti sono : Droit, allusivo alla calamita ; Sempeì\ al falco che
tiene in una zampa un anello; Begarde-moi, al pavone colla coda
spiegata. Quei frammenti provengono assai probabilmente dalla
stessa casa.
. Il cav. Alfonso Reichmann, che già aveva offerto al Museo pa-
recchi importanti oggetti dell' età della, pietra, provenienti dalla
Danimarca e dalla Svizzera, ve ne depose pochi giorni fa altri non
meno interessanti, trovati parte nell' Irlanda, parte in Francia a
S. Acheul.
L'architetto Tito Vespasiano Paravicini, reduce da una escur-
sione in Egitto, ne riportò antichi oggetti in bronzo, in ismalto e in
pastiglia, rinvenuti nella necropoli di Zifta presso Mansura, di cui
fece dono al Museo; essi sommano complessivamente a 177.
- Il prof. comm. Giuseppe Bertini, membro della Consulta, offerse
un vaso romano in bronzo figurato; e il cav. nobile Giacomo Poldi
Pezzoli una tavoletta di marmo, portante ad alto rilievo una testa
virile al vero, laureata, entro riparto decorativo ; lavoro di scuola
milanese della fine del XIV secolo.
L'ingegnere cav. Carlo Dell'Acqua fece omaggio di un suo scritto
intitolato: Il segno delle case^ in cui, con fondate induzioni, spiega
l'uso e il significato di certi graffi in ferro che vedevansi, sulle fac-
ciate di diverse case di Milano, di quattro o più branche puntute,
le quali con linee più o meno ondeggianti procedono da un unico
gambo infisso nella muraglia, allargandosi in giro ad una punta
centrale. Egli opina che quegli ordigni fossero posti ad indicare
l'esenzione, ottenuta dai proprietarj delle medesime, dall'affitta
forzoso a vantaggio di certe classi di persone, le quali, sotto il
dominio spagnuolo e fino circa all'anno 1787, avevano il diritto di
precedenza nel fermare gli alloggi per sé, in forza del benefizio e
privilegio del segno^ di cui fanno cenno le gride 4 settembre 1561,
30 settembre 1583, e 30 agosto 1721, dei governatori e capitani
^generali dello Stato di Milano. Il signor Dell' Acqua accompagnò'
alla sua illustrazione un esemplare di quei graffi, tolto da una casa
da pochi anni demolita, spettante a famiglia patrizia , sulla cui
oiVcy cluiin.i pivmc^cnru cuiu$ man utifrru rcaiu.dC|w
ifxirus dir|x>numiir.otcl rnnnnos culmcn rcmmims cllrmf ^
(iiWun.mtr mini .ideo dcixAcvAinmus .xc prcfcamm lìim
roiiinlni» qj t^uiimim culnmi urrcticmur cv-ilrarc A' i-
nnplurc. tVccr cmm rclioiofimi pnni*i|vin iti primis crcrm^
Bc UTìorMlift Aa atoriam ccrollcr<r.i quo non uiMm Mnniin
[ccl et iupT |t»pulum liiuin pnncip^nim rcncr.l dca|» iir etu
tnaicTwn prpMiin* |vtrcpris kiicftcus amruriitn parrcm
rxV»itviiius,viuMVnim prccipuuni fruduim icmjvrfmrm ce
:lc{us pw [ccA A: da culrorcs c»p:wm numum imjrnHi
Prcicram iicix> reticolo* uii\'>&oniiit rcucrtntta Acclaiorto
\c prolcqiuiniir. qiio5 ;inipliii5 dco fAmuUri:pro ncbi» ac
iniucrlo Iwm iiolVro Aum ìaiì^Vi» prccibu* owir . ucrl-»i5
cxctnpltó p?pulc* edificare conipianius.ci(£|3 prouiril
^^•
5^1
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA. 9
fronte n'erano disposti sei, in due ordini verticali tra le finestre,
come rilevasi dalla veduta fotografica che ne fece trarre. Solo
pochi anni addietro in Milano varie case serbavano tale distintivo ;
ma dopo tante recenti demolizioni e rifabbriche, non ne rimane che
uno sulla facciata della casa Melzi nella via di S. Maria Segreta.
Dalle citate gride si può arguire che quell'uso fosse esclusivo a que-
sta città ; onde non è senza interesse il serbarne memoria.
Fra gli acquisti deliberati testé dalla Consulta primeggiano otto
grandi medaglioni in terra cotta con busti virili ad alto rilievo,
che già ornavano il cortile della casa Medici in via de' Bossi ; im-
prontati di robusto stile, richiamano il fare del Caradosso.
Un fusto di colonna di granito orientale, della lunghezza di me-
tri 3.50 col diametro inferiore di metri 0.45, compreso il tondino,
trovossi nelle adjacenze del Castello di Pavia, e fu estratto dalle
macerie, in cui giaceva mezzo sepolto, nel 1866, in occasione dei
lavori per la costruzione del tronco di ferrovia Pavia-Cremona.
Un vaso etrusco figurato, nel cui corpo è rappresentato un cocchio
coll'auriga che guida tre cavalli ; in faccia sta un personaggio se-
duto ; le figure a tinta nera staccano sul fondo di colore rosso-giallo
pallido. Fu rinvenuto nel novembre 1873, scavandosi un argine del
lago inferiore di Mantova, alla profondità di tre metri, in sedimento
argilloso.
Varj frammenti decorativi in marmo di scuola toscana,, di leg-
giadro stile ; e alcune parti di uno stipite, pure in marmo, ornati
di figure e fogliami alla maniera lombarda.
Un bassorilievo in marmo, proveniente da una chiesa di Bruz-
zano, raffigurante la B. Vergine col Bambino, a cui è presentato
da S. Giovanni Battista un cavaliere armato genuflesso; ai lati
vedonsi a destra S. Antonio abate e S. Ambrogio, a sinistra S. Ca-
terina e un Santo guerriero: scoltura milanese della fine del XIV
secolo. •
La costituzione e il buon governo del Museo non furono l' unica
sollecitudine della Consulta. Le zelanti e provvide sue cure già eb-
bero nel giro di pochi anni ad estendersi a molti importantissimi
edificj, così di Milano e della provincia, come di altri luoghi di
Lombardia. Valgano ad esempio la basilica di S. Ambrogio e quella
di S. Eustorgio, la metropolitana, le chiese di S. Satiro, di
S. Maurizio al Monastero Maggiore, di S. Maria delle Grazie, di
1*
10 IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
S. Marco, la vetusta basilica di S. Vincenzo/ gli Archi di Porta
Nuova* di questa città; il battistero di Arzago, la basilica di S. Ab-
bondio e le chiese di S. Carpoforo e di S. Fedele di Como, le chiese
di Morimondo, di S. Francesco di Lodi, di S. Maria in Strata di
Monza, di S. Pietro in Viboldone, ecc. La Consulta volge di pre-
sente la sua attenzione ai provvedimenti che reclamano la conser-
vazione e il ripristino di S. Maria Incoronata in Milano, e della
antica basilica di Alliate e del contiguo battistero, non meno che
ai ristauri progettati per il tempio bramantesco di S. Maria in
Fiazza a Busto Arsizio, fiduciosa che la propria azione sia resa
più utile ed efficace dalle savie leggi che il R. Governo sta matu-
rando per la tutela dei monumenti nazionali.
A. Caimi.
^ Veggasi la Memoria del conte Carlo Barbiano di Belgiojoso.
^ Esso conte Carlo Belgiojoso scrisse nel 1869 una Memoria per propugnare la con-
servazione di quegli archi, di cui era minacciata la demolizione, come fecero Elia Lom-
bardinì per l'Istituto di scienze, Boito per la R Accademia, Muoni per l'Accademia
fisio-medico-statistica, Sacchi per la Biblioteca Nazionale, e Cesare Cantù.
CHIESA E BATTISTEKO DI AGLIATE.
In una delle ultime sue convocazioni, la Consulta del Museo de-
legava due de' suoi membri, l'architetto cav. Brocca e chi scrive, ad
una visita alla chiesa ed al battistero d'Agliate in Brianza, a fine
di determinare quanto fosse per occorrere pel ristauro che si aveva
in animo di recarvi da quella Fabbricieria.
Agliate, 0 latinamente, Alliate, fu una delle prime, metrocomie
della Brianza : secondo un vivente illustre scrittore ecclesiastico, le
memorie cristiane vi cominciano col sesto secolo; e per afferma-
zione del Giulini, l'arcivescovo Ansperto vi avrebbe fondato una Ca-
nonica, che è come dire che, prima del 881, data della morte di An-
sperto, vi si doveva avere chiesa e battistero. Gotifredo da Busserò,
scrittore sul cadere del XIII secolo, conferma alla chiesa di Agliate
la sua condizione di capo-pieve, le assegna in dipendenza 57 chiese
minori, aventi insieme il numero di 71 altari. Quanto al battistero,
esso va distinto per uno dei quattro più antichi della diocesi, es-
sendo gli altri quelli di Arzago, di Galliano e di Seprio.
Per di più, tra le note parrocchiali, intorno alla visita pastorale
fattavi dal cardinale Federico Borromeo, nel 1619, è detto del bat-
tisterio: " Sacellum forma octangula, antiquitus edificatum; habet
pavimentum ex cemento concinnum, et eius parie tes . . . cum fine-
stris specularia vitrea cum retibus ad ventos arcendos adhiberi
debebunt. „
Non si fossero sapute che queste cose soltanto, era impossibile
riguardare senza interesse i monumenti d'Agliate ; e l' interesse ebbe
12 CHIESA E BATTISTERO d'aGLIATE.
^ ad essere pei visitatori tanto maggiore, in quanto che vi si ricono-
scono tuttavia, malgrado gli oltraggi del tempo e degli uomini, tal i
impronte da venire a conferma delle memorie scritte.
La chiesa serba ancora intero non solo l'organismo ma l'aspetto
d' un'antica basilica cristiana. Lo stile è quello della prima arte
lombarda: l'arco tondo vi domina. L'interiore ò di tre navi con sei
arcate per lato, ridotte ora, come diremo, a cinque. Le navi termi-
nano in forma di absidi ; maggiore e più alta, la centrale copre l' in-
tero presbiterio, di non poco superiore al piano delle navi e so-
vrastante ad una cripta, essa pure ristrettamente di tre navi, e di
quattro archi di piccola dimensione, tanto che il traverso non mi-
sura che poco oltre i sei metri; ivi, le vòlte a crociera sono sorrette
da capitelli assai rozzi, non senza alcun ornato di palmette e di
caulicoli, ricordo d'architettura classica. La cripta ha lume da una
finestrella nel seno basso dell'abside.
Anche la chiesa ha segni di pari antichità. Rozzi vi sono i ca-
pitelli; ma uno di essi, l'ultimo, in oggi, a sinistra risalendo verso
il presbitero, mostra le forme d'un capitello della romana deca-
denza, colla tavola dal labbro concavo, e per sostegno suo due delfini
che si dissetano ad un' anfora da cui emerge lo scettro di Nettuno,
il tridente : ond' è che da alcuni si disse l'edificio sorto sopra le ro-
vine d'un tempio pagano dedicato a cotesta divinità marina.
Ma più ancora che da questo segno si deve dedurre che noi
siamo davanti ad una costruzione dell' epoca frammentaria , il tro-
varvi, a guisa di capitello sulla prima colonna a destra, un'ara
romana capovolta, e per modo di sostegno, al luogo della seconda
colonna, una stele miliare con iscrizione chiaramente leggibile in
alto, che ricorda Claudio Giuliano Augusto, quindi spettante al
IV secolo ; ed altre due, al basso e capovolte, di eguale non dif-
ficile significato; e cosi altre ancora, qua e là, lungo le mura e
presso la porta sinistra della chiesa.
All'organismo interno di questa corrisponde l' esteriore. Per co-
glierne meglio il carattere originale, giova arrestarsi dicontro la par-
te posteriore. Quivi, la costruzione si presenta nuda, rozza, ma con-
servata. Vi spiccano le tre absidi a tre grandezze diverse : maggiore,
com'essere deve, la centrale, partita in cinque comparti da pieritti,
con tre finestre alternate in giro. Per ciascun compartimento, sotto
lo sporgere del tetto, tre fornici. Le finestre ad arco tondo, sono
CHIESA E BATTISTERO d'AGLIATE. 13
imbutiformi ; i cunei dell'arco constano di tufo, come di tufo lieve-
mente scantonati quelli della cornice costituente la sporgenza o
grondaja del tetto. Una particolarità alle ghiere degli archivolti è
un soprarco di mattoni in costa, a livello della parete: e simil-
mente, dei mattoni in costa per cunei tra quelli di tufo. Sotto alla
finestra del centro e al piano del terreno, s'apre un'altra finestra,
guasta però: essa corrisponde a quella notata della cripta. Le
absidi minori portano pari segni d'una costruzione comune, hanno
tre finestrelle e cornice di tufo al tetto. Numerosi embrici di tipo
romano sui tetti delle absidi, e sparsi specialmente su quella
centrale, si frappongono fra le più moderne tegole concavo-con-
vesse. Le muraglie sono affatto grezze; informe e sconnesso è
l'apparecchio: grossi ciottoli ne sono il materiale principale, in-
frammisto di qualche pietra da taglio sulle spigolature : essi corrono
talvolta anche a strati orizzontali o a spinapesce: però, nessun
partito di ordine serio e costante.
Seguendo il giro esterno della chiesa, le attestazioni originali in
molte parti si dileguano. La copertura della chiesa che, seguendo
le forme basilicali, doveva comporsi di quattro pioventi di tetto, il
doppio sulla nave centrale e i due più bassi sulle laterali, oggi non ci
dà che una lunga e doppia pendenza di tetto, quasi enorme dorso di
testuggine, goffo e sproporzionato. Sulla facciata trova il suo riscontro
cotesta anormale disposizione. Le due ale inclinate vi costituiscono una
fronte angolare bensì, ma col suo peso annienta le linee dell'antica.
Non è difiicile avvedersi, per poco lo sguardo s'arresti sui muri
esterni dei fianchi, che questi vennero elevati di parecchi filari di
ciottoli e mattoni fino ad incontrare la prolungazione della pen-
denza del tetto originale della nave di centro. Quivi veggonsi tut-
tavia i segni dello impostarsi delle travature minori. Con questa
profana aggiunta andarono chiuse le finestrelle ad arco tondo
sull'alto della nave medesima ; né si mancò di murare quelle pari
di misura nelle pareti di precinzione delle navi minori. Se poi la
mente si volge alle indagini delle altre alterazioni o manomis-
sioni , essa ne incontra e sulla fronte e all' interiore di abba-
stanza significanti. La facciata bassa e schiacciata nell'aspetto, tutta
quanta coperta da un grosso intonaco di calce, ha smarrito qua-
lunque segno primitivo, se pur si eccettua una croce greca trafo-
rata a modo di finestra nell'alto del frontispizio, ed una fascia ta*
m.
14 CHIESA E BATTISTERO d'AGLIATE.
agliata in forma di catena, ond'è listata tutt' intorno la porta mag-
giore rettangolare. Del resto, non un segno dell'antico organismo,
seppure non vogliasi trarre argomento dell'esistenza di un grande
4irco nel mezzo, da screpolature che vi hanno forma archeggiata.
Il campanile, costruzione moderna, inelegante ed anche noncurata,
-della prima metà del secolo XVI, per nulla si connette coU'ordine
del tempio, se non è di fiancheggiarvi, sul lato destro, la facciata.
Internamente, le manomissioni partono principalmente dalle al-
terazioni recate al tetto. Non più visibili i cavalietti di questo,
regolarmente ritagliati, e fors' anche dipinti, che diconsi esistervi
ancora; ed invece, un palco orizzontale, soffittato, così sulla nave
«entrale che sulle laterali, fattura impostatavi, pare, nel XVIII secolo;
•delle quali fra le seconde quella a sinistra minaccia di sfasciarsi e
rovinare. Chiuse e murate le finestrelle superiori della gran nave ; le
•quali si notano soprastare ai pieritti delle colonne: per lo che si
rileva essere stata rimossa, da ambe le parti, l'ultima colonna, che
•dava congiunzione a due arcate, le ultime presso il presbiterio, ora
sostituite da un solo arco, doppio per misura degli altri. Anche que-
sto atto malaugurato devesi credere opera del secolo stesso, per si-
mularvi una crociera. Il maggiore altare porta più chiare le traccie
di codesto tempo, ond'è privo d'ogni antico carattere. Peggio ancora
le absidi minori che hanno ricevuto nel loro seno degli altari mi-
nori, appostativi, mediante una parete rettilinea, davanti l'insena-
mento loro semicircolare. Anche le porte laterali, per cui oggi si
scende nella cripta, permettono più di un dubbio circa la loro si-
tuazione, se essa sia la primitiva, ovvero se i medesimi passaggi
non fossero rivolti, invece, verso la nave maggiore, sboccando di
fianco ai gradini ascendenti all'aitar maggiore.
A pochi metri di distanza dalla chiesa, sulla linea del presbitero,
verso il lato meridionale, si eleva il battistero. Rinserrato da due
parti; verso la chiesa, dalla fabbrica annessavi, che porge il ser-
vizio di sagrestia; verso la casa parrocchiale, dal prolungarsi de'
suoi luoghi di servizio, questo edificio, indubitatamente in origine
isolato, non lascia in vista che poco più d'un terzo del suo peri-
metro. Tanto però basta per dimostrare che era poligonale. Este-
riormente si avverte, peraltro, qualche irregolarità nel congiungersi
de' suoi lati, e solo all'interno si comprende che era, non un ot-
tagono come fu descritto, ma, singolarissima cosa e forse unica, un
1!
nonagono pressocchè regolare, colla sola eccezione che due dei lati
si congiungevano a lieve angolo, dal cui centro spiccavasi un'abside
vast^ tanto da contenervisi, come vi contiene infatti, un altare.
La costruzione all'esterno è conforme a quella della chiesa: il
medesimo stile; i materiali medesimi; la medesima irregolarità;
istessa la forma delle finestre; le fornici come alla chiesa, la cor-
nice del tetto del medesimo modo e colle stesse concrezioni are-
narie. Qualche embrice romano non vi manca pure, in fra le tegole
della copertura. Dalla chiesa non lo distingue che una corona di
archetti, costituiti di piccole pietre ritagliate , cui sta a fiocco un
tassello di mattone. Ciò, ed in generale una maggiore accuratezza
di parti , e' indurrebbero a credere cotesta fabbrica edificata un
quarto 0 al più un mezzo secolo dopo della chiesa, ma indubbia-
mente prima vi s' istituisse la Canonica di Ansperto.
All'interno si scende dal piano, ben più alto, della sagrestia
per mezzo d'una porta e di una scala, evidentemente aggiunte in
tempo assai posteriore. La porta primitiva stava dicontro all'abside
e rivolta verso occidente; ma questa, murata di fuori, verso i ru-
stici della casa parrocchiale, al di dentro, non ne mostra segnati
che gli antichi lineamenti. Quivi, si rileva che ogni lato del poli-
gono aveva sull'alto una finestrella imbutiforme, e nel numero di
nove impertanto, ma di aperte, oggi, non se ne hanno che tre o
quattro, quelle verso i lati e di levante e di meriggio.
Da quanto avanza si dovrebbe credere che tutto l'interno fosse
dipinto. Due figure d'apostoli appariscono ancora, frescate ad un
fianco dell'abside : vicino ad esse, altre figure di santi e di una Ver-
gine-madre, adorata quasi in forma di rendimento di grazie per
guarigione ottenuta. Uno di cosiffatti dipinti, figurante un vescovo,
reca scritto in alto: " hoc opus f. fecit Jo. Julianus de Perego „.
A mensa dell'altare nell'emiciclo sta il davanzale d'un avello ro-
mano; non lascia scorgere, però, nessuna scrittura.
Non rimarrebbe che a ricordare quanto fu accennato dai Com-
messi della Consulta per raggiungere il ristauro desiderato da
quella Fabbriceria; ma si correrrebbe rischio d'una ripetizione,
in senso direttamente analogo a cose espresse, perocché i suggeri-
menti scendono direttamente dalle mutilazioni e dalle manomis-
sioni e dagli sconci avvertiti.
In generale, non può prevalere, in simili casi, che una massima
16 CHIESA E BATTISTERO d'AGLIATE.
sola : conservare accuratamente quanto d'originale esiste, e riordi-
narlo a modo ; togliere le parti aggiunte, e ristabilire le perdute ;
e dove le une cose come le altre non siano giustamente accertate,
procedere ad indagini e a scandagli, condotti con diligenza ed atten-
zione assidua, giacché in un'opera d'arte le più piccole parti pos-
seggono la loro parola.
Si è raccomandato sopratutto di portare L'attenzione allo stato
dei tetti e delle fondamenta, elementi la cui insufficienza o di-
sordine basta a compromettere qualunque monumento edilizio.
Certamente, nel ristauro il lavoro è molto, anzi troppo per spe-
rarlo completo, né oseremmo quasi desiderarlo , quando 1' aspetto
del nuovo soffocasse nelle sue spire l'antichità genuina. In que-
ste circostanze l'acconcio è questione di misura; più. meritevole di
studio dove , come qui , 1' arte fa quasi atto d' assenza di fronte
all'importanza archeologica della costruzione.
Nell'esprimere queste idee, i Commissarj della Consulta avevano
però la coscienza di dire cose quasi superflue davanti a quell'insigne
ristauratore di monumenti che é il conte Edoardo Mella, di Vercelli;
il quale assisteva alla visita istessa, qual principale incaricato del-
l'ordinamento e direzione di cotesto ristauro.
G. MONGERL
BIBLIOGRAFIA.
Manuale topografico archeologico delV Italia. Venezia, 1874.
Della proposta del senatore L. Torelli di conoscere e scandagliare
le città italiane sepolte, si terrà poi discorso espresso. Ora annun-
ziamo il IV foglio del suo Manuale, dove parlano di Mantova Attilio
Portioli, di Brescia Gabriele Rosa, di Genova e delle altre città della
riviera Gianfrancesco Capurro. Sinora appajono 41 città scomparse;
29 esistenti, che offrono probabilità di scavi utili.
JRivista archeologica della provincia di Como. Dicembre 1873.
Vi sono date ben 30 lapidi antiche, in molta parte scoperte nella
basilica di San Carpoforo sul monte Baradello, dove prima non se ne co-
nosceva alcuna. 21 sono pagane, fra cui quella di Antonino Pio, sulla
quale disputarono Morcelli, Labus, Aldini. Fra le cristiane, una greca
•è la più antica che si avesse in quella diocesi, quella di Gravedona
essendo del 5P2, mentre questa risale al 401; ed è anche la prima
ove si trovi notata, oltre la coppia dei consoli, l'indizione; e attesta
che già allora il culto cristiano era pubblicamente professato , come
lo provano un'altra del 453, che è la più antica latina, e un'altra del 457,
trovate in San Carpoforo.
Bulletin de Vlnstitut Égyptien. Année 1872-73. Alexandrie, 1873;
in-12, di pag. 204.
Anche gli Atti dell'Istituto Egiziano offrono materia a una biblio-
grafia italiana.
E prima notiamo l'attenzione usata alla ricerca del cadavere del Broc-
chi, insigne geologo bassanese, morto nel Sudan il 1827, mentre vo-
18 BIBLIOGRAFIA.
leva penetrare nel centro dell'Africa. Credesi che dall'antico cimitero
fosse stato trasferito nel nuovo, ma non si potè rinvenire che la pietra
coll'iscrizione : Alla memoria delV illustre ardito Brocchi^ morto in Kar-
tum, 1827.
Vi si discorre inoltre della Storia della dominazione araba in Sicilia
dell'Amari; ma la proposta di tradurla in arabo (come si è fatto della
Storia dell'Impero Ottomano del De Hammer, della Dominazione degli
Arabi in Ispagna del Conde, e di qualche altra) non fu accolta perchè
quei fatti sono già conosciuti nell'opera- d'Ibn Kaldoun.
Il tesoro delle iscrizioni greche verrà accresciuto da quelle che colà
si scoprono. Da esse si conferma che, al tempo degli imperatori, i
dittonghi si pronunciavano stretti, anziché col metodo erasmiano : giac-
ché vi troviamo IEPA3 EVWrXI in luogo di sucpu/si; KATA:^KHN12^E
per xaTaT/tv]vI)Tat; cosi altrove, N&asaìat per NeasTSTst, aòxn per àurl;,
TiapoStTa per TcapoSeiTa, IXsspe per iXsatps. Così scrivesi TI!\ per x/jv, e
continuamente sono confusi l't col st e coli'/] per l'uniforme pronunzia
iotacista.
Sono poi d'interesse generale le notizie sopra la costituzione geolo-
gica dell'Egitto e gli oggetti preistorici. E poiché di questi fu fatto un
dono al nostro museo, non parmi fuor di proposito il dirne due parole,
dal punto di vista storico.
V'é chi crede che la scienza positiva, quella sperimentale che noi
imparavamo da Galileo e dal Vinci, non autorizzi le cronologie prei-
storiche, dateci come indiscutibili, mentre posano sopra scoperte nu-
merose, ma spesso contradditorie. I musei sono pieni di oggetti grosso-
lani, ma il classificarli è troppo difficile, e più l'assegnarne l'età: né
l'archeologia preistorica, né la panteologia, né la geologia hanno orinoli
costanti. E appunto cercando « L' industria primitiva in Egitto e in Siriaw
il signor Arcelin v'applicò il metodo del Lyell, volendo trovar un'età dell^
pietra sotto gli edifizj di 50 p 60 secoli di civiltà faraonica. Di fatto, più
che non isperasse, trovò quantità di selci tagliate : altre ne raccolsero
Lenormant, Hamy, Richard, somiglianti a quelle, intorno a cui l'Europa
leva oggi un rumore esagerato o precoce. Il celebre Lepsio, forse temen-
do che le ricerche preistoriche sviassero dalle storiche a cui egli intende,,
negò addirittura il fatto, dicendo ch'eransi prese come opera d'industria
^e scaglie naturali dipiromaca. Arcelin* gli oppose la regolarità di quei
lavori, e ormai nessuno lo nega; ma sono essi veramente preistorici?
Egli stesso confessa che possono essere di tempi storici; la qual possi-
* Vedasi Akcelin, E^ponse à M. Lepsìns; — Réponse à MM. Lepsius et Chabas.
BIBLIOGRAFIA. 1^
bilità basta a scassinare il fondamento di certe ipotesi, dateci per scien-
za. Anzi il signor Chabas, uno degli egittiologi più eruditi,^ nega che
v'abbia un'età del bronzo, una della pietra, e neppure un tempo prei-
storico ne in Egitto ne in Europa.
Alla Académie des Inscriptions, il 4 novembre 1870, il celebre Ma-
nette lesse una dissertazione per mostrare che gli Egiziani adoprarono
contemporaneamente le pietre e i metalli per fabbricare utensili. L'E-
gitto, sprovisto di metalli e abbondantissimo di selci , dovette sempre
servirsi di queste, e Mariette ha veduto un Arabo farsi radere la testa
con una scheggia di silice. Arcelin, dopo diligenti esplorazioni, crede an-
cora imperfette le prove geologiche, ne bastare la profondità degli strati
a mostrare l'antichità o la successione regolare dei periodi industriali,
dedotta dal supposto d'un progresso costante. Istromenti litici abbon-
dano nelle tombe egiziane d'età greca e romana, e i più antichi sono
meglio lavorati. Chabas, studiando le stazioni dell'età della pietra, con-
chiuse non trascendano i 10 secoli avanti l'era nostra; anzi alcune di-
scendano fin all'età romana. Allora i popoli presentavano condizioni
diversissime di civiltà, come oggi in Australia si trovano veri selvaggi
accanto a città raffinatissime. Restiamo ancora pieni di dubbj sui primi
tempi storici : come vorremo fissare quei che li precedettero ? come fidarci
all'età dell'orso speleo, dei mamuti, dei renni, se non accertiamo quanda
scomparvero da alcuni paesi il bisonte, il lupo, la vigna, il gelso ?^
C. Cantìj.
^ Études SKr Vantiquité historiqiie d'apres les sources égyptieìines et Jes tncnuments
réputés préhistoriques.
^ Uno de' più appassionati paleoetnologi, il dott. Pigorini, faceva notare al profes-
sore Maggi che il trovare qualche freccia di selce in una palude non basta a indurne
che ivi fosse un'abitazione lacustre: ne l'essere quella cuspide lavorata squisitamente a
provare che appartenga all'età del bronzo. (Relazione del 1873). Oggetti litici trova-
rono in Palestina il duca di Luynes e Luigi Lartet, gli abati Morétain e Richard. Vedi
Matériaux pour VHistoire positive et philosophiqiie de Vhomme.
G. OTTINO, responsabile.
IL
MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
Nell'adunanza tenuta dalla Consulta Archeologica il giorno 9 del
passato maggio, si è data partecipazione dei lavori proseguiti nel
corso degli ultimi due anni nella basilica di S. Abbondio di Como,
poc'anzi ispezionati da una Commissione, a ciò delegata dalla Con-
sulta stessa. Già da oltre dodici anni lo stato di quella basilica
ha destato l'attenzione di un valent'uomo, il sac. cav. Serafino
Balestra, professore in quel seminario, il quale volse in mente
l'ardito progetto di un generale ristauro di quell'insigne edificio)
coir intento di ricondurlo alle primitive forme, travisate in parte
da inconsulte alterazioni. Il concetto era colossale quanto gene-
roso; le difiicoltà molte ed ardue, e non ultima la deficienza dei
mezzi. Ma il tenace proposito e l'eletta intelligenza di quel be-
nemerito hanno superato ogni ostacolo. Il suo lodevole ardore,
dapprima quasi isolato, si trasfuse ben tosto in tutti coloro che si
interessano alle memorie e ai monumenti patrj, e trovò infine ef-
ficace appoggio nelle magistrature cittadine e provinciali, nel Go-
verno, in molti privati. L'opera, una volta iniziata, progredì sul
principio con modesti e lenti passi, per prendere poi grado a grado
uno slancio sorprendente, ed è ora condotta prossima al suo com-
pimento, che può omai ritenersi raggiunto. L'autore del progetto
può compiacersi nella nobile soddisfazione di aver ridonato ad
uno dei più importanti monumenti d' Italia l' originario aspetto, e
di poter offrire un bell'esempio di ristauro, operato con fini ac-
BuU. Cons. Arch. — An. I. 2
22 IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
corgimenti, con prudenti e sobrj criterj e con accuratissima ese-
cuzione.
Sin dai primordj dei lavori, avviati in quell'edificio, l'abate Ba-
lestra desiderò, da artista delicato e coscienzioso, di essere con-
fortato dall'avviso e dal suffragio della Consulta Archeologica di
Milano (non era allora per anco stata costituita la Commissione co-
mense per la tutela dei monumenti patrj); ed essa di buon grado
s' arrese a' suoi desiderj, lieta per la speranza di potere, mediante
il proprio intervento, far concorrere alle spese del grandioso la-
voro il R. Governo, dal quale infatti si ottennero a più riprese
considerevoli assegni.
I principali lavori operati nella basilica, nel corso dell' ultimo
biennio, sono i seguenti:
Compimento del campanile verso nord, in perfetta corrispondenza
col preesistente sul lato meridionale, così per la forma, come per la
qualità dei materiali impiegati ;
Isolamento della facciata del tempio, che rese necessaria la de-
molizione della parte contigua del seminario, che vi era addossata
verso settentrione. Con questa importante operazione si ridonò
alla fronte della basilica il libero sviluppo di tutti i suoi profili,
e si ottenne altresì il miglioramento dell' effetto ottico dell' edificio
sotto le diverse sue visuali;
Ristauro delle pareti della facciata, nella quale fu riaperta l'o-
riginaria finestra centrale, ed otturata la finestra circolare che vi
era stata sostituita nel decimosettimo secolo. Vi furono pure rifatte
le cornici e le semicolonne colle rispettive basi ;
Soffitte delle due navi minori secondo il primitivo disegno, col-
l'atterramento delle volte che vi erano state sostituite;
Rifacimento dei tetti delle quattro navi laterali con ardesie
della valle Malenco. È in progetto anche quello della nave cen-
trale ;
Serramenti e vetri colorati a tutte le finestre, in numero di ses-
santa ;
Imposte della porta maggiore;
Ristauri delle colonne interne, coi corrispondenti capitelli e basi;
e sostituzione di quattro nuove;
Tracciamento sul pavimento, mediante fascia di marmo nero,
delle linee della pianta della preesistente basilica dei SS. Pietro e
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA. 23
Paolo, giusta le evidenti traccie che se ne scopersero. Questa era
pressoché sconosciuta prima dei recenti scandagli, per i quali si
potè constatarne la struttura, e affermare che essa era un rimar-
chevole esempio delle basiliche latine del IV secolo ;
Cancellata esterna, che racchiude uno spazio in cui sono posti
varj frammenti architettonici e altri marmi, così romani che cri-
stiani e del medio-evo, fra i quali la maggior parte dei pezzi del-
l'ambone (con recinto a parapetto) della primitiva chiesa, il quale
richiama la disposizione di quello della basilica di S. Clemente in
Koma. Dell' accennato ambone venne pur fatto di rintracciare le
fondamenta. Da essa cancellata, sostituita a un muro chiuso, si
può ora estendere lo sguardo alla parte posteriore dell'edificio.
Tutte le succennate operazioni ed altre molte di secondaria im-
portanza furono dirette dal Balestra, ed eseguite conformemente
a quanto era stato in prevenzione deliberato dalla Consulta, in
concorso del sacerdote . stesso. Questi le condusse a compimento-
con quella intelligenza e dottrina, e con quello zelo instancabile,,
di cui ha dato sì luminose prove sin dal momento in cui concepì:
e promosse il progetto per l' integrale restituzione di quell' inte-.
ressantissimo monumento, che per la grandiosità del concetto, per
la disposizione, e per certi speciali elementi, può a giusto titolo
considerarsi uno dei tipi più memorandi dell'architettura lom-
barda. Valgano, per tacere d'altri pregi, il suo ordinamento a
cinque navi, di cui sono pochi gli esempj, e, cosa più rara in Ita-
lia, l'essere fornito di due campanili. Né si ommetterà di accen-
nare che la parte interna dell'abside maggiore é ornata di affre-
schi figurati, di stile giottesco, alternati da fregj alla medesima
maniera, pressoché interamente conservati; i quali, mentre ag-
giungono singolare decoro al tempio, attestano come l'arte della
pittura fosse in Lombardia, nel XIV secolo, coltivata con amore,,
e in condizioni, relativamente ai tempi, abbastanza fiorenti.
La basilica reclama ora il ripristino delle pitture ornamentali, di
cui per buona sorte rimangono, scarsi sì, ma chiari avanzi delle
originarie, i quali serviranno di esempio e di guida sicura per
quelle da rinnovarsi. Con questi lavori decorativi, e con altri po-
chi che tuttora rimangono a farsi, e di cui si spera prossimo il
compimento, il tempio di S. Abbondio avrà riacquistato intera-
mente, colle primitive sue forme, l'antico splendore.
24 IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
È intanto argomento di viva compiacenza il considerare che nel
ristauro e nel ripristino di questo insigne edificio si procedette con
maturità di consiglio, con cura intelligente, e col più scrupoloso
rispetto al carattere, all'ordinamento e alla forme originali. Vuoisi
rendere perciò lode speciale al benemerito sacerdote Balestra, il
quale se ne assunse l' arduo compito, e lo adempì con tanto felice
risultamento.
Nella medesima seduta il consultore signor architetto Brocca in-
formò i colleghi della demolizione testé operatasi dell'antichissima
basilica di Baggio, terra a poche miglia di distanza ad occidente
di Milano. Quella basilica, poco tempo prima ispezionata da alcuni
membri della Consulta, era per vetustà in tale stato di sfasciamento,
da rendere oramai insufilciente per la sua conservazione ogni opera
di riparazione. Essa reggevasi in qualche modo coli' ajuto di soste-
gni e con altri provvedimenti di cautela, che ne rendevano impac-
ciata l'interna circolazione. Queste deplorevoli condizioni dell'edi-
ficio tenevano in giusta apprensione la Fabbricieria e la Giunta
municipale del luogo. Prevalse infine il riflesso della sicurezza pub-
blica, e ne fu ordinato e tosto eseguito l'atterramento. È incerta
l'epoca in cui quella basilica fu eretta. Però dal modo del suo or-
dinamento, dal carattere dei frammenti architettonici impiegati
per la sua costruzione, e da altri particolari elementi, si poteva
arguire ch'essa non fosse posteriore all'ottavo o al nono secolo.
Le sue foi'me erano state in tempi a noi prossimi alterate con
mutilazioni e aggiunte nelle parti costituenti il presbitero e il
coro. La sua distruzione, consigliata da imperiose necessità, non è
però meno a deplorarsi, lì signor Brocca fu sollecito a recarsi in
luogo, e designò, siccome meritevoli di essere accolti nel Museo
archeologico per ricordo dell'interessante edificio, alcune mem-
brature architettoniche, cioè il fusto di una colonna, tre capitelli, di
cui due con foglie di cardo ed uno corintio, e due delle basi meglio
conservate, alcuni grandi embrici dell'età romana, ed un fram-
mento d' iscrizione funeraria pure romana. Oltre i detti pezzi pro-
venienti dalla demolita chiesa, egli segnalò all'attenzione della
Consulta altri oggetti da lui veduti in quel borgo. Sono essi: un
elegante capitello del XV secolo, con targa portante due rami d'o-
livo e frutti, spettante alla soppressa chiesa gotica dei Cappuc-
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA. 25
• :
Cini, e una grande pietra tombale con iscrizione e collo stemma
della famiglia degli Scaligeri, e colla data del 1475. Manifestò poi
il pensiero, accolto pienamente dalla Consulta, che i pezzi spettanti
alla menzionata basilica venissero ricomposti nel Museo, e vi si
ponesse accanto una lapide colla pianta della basilica stessa.
La Consulta approvò in seguito l' acquisto per il Museo di tre
vasetti etruschi, di cui uno in vetro a zone di vario colore, rinve-
nuti non è guari in una cava di ghiaja presso Rivalta nella pro-
vincia di Mantova.
Il segretario annunziò essersi operato colla migliore riuscita dal-
l'artefice Antonio Zanchi, espertissimo riportatore di pitture, lo
stacco e il trasporto sulla tela di un assai pregevole affresco, opera
di un artista dell'antica scuola milanese, portante la data del 1485,
il quale trovavasi nella sagrestia della soppressa chiesa di S. Ma-
ria di Brera, ora occupata dalla scuola di prospettiva della R. Ac-
cademia di Belle Arti. Quel dipinto verrà deposto nel Museo,
giusta i preventivi accordi presi dalla Consulta coll'Accademia.
Nel maggio scorso, nella via Alessandro Manzoni, in occasione di
scavi per sistemazione di condotti, si rinvenne una lapide romana
con iscrizione, che il locale Municipio fu sollecito di far traspor-
tare nel Museo. La lapide è in due pezzi, e l'iscrizione è del se-
guente tenore:
0
..M0DIV8 PELORVS
VI. VIR, 8IBI ET
LVCILLAE. C. G POLLAE
VXORI
LVCILIO 8AB...
CASSIO. NIGELLIONI
AMICO ^
..NIALI FIRMO.'DBORIDI
..VPAE COSSVRONI
LIBERTIS
. Poco appresso, ed a poca distanza, si trovò un buon numero di
monete romane in bronzo, tutte riunite in un sol punto. La so-
lerzia dei sorveglianti municipali potè impedirne nella massima
26 IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
parte la dispersione. Quelle che la Giunta ha rimesse alla Consulta
per esame sommano a 252. Esse appartengono all'epoca imperiale,
e più precisamente al periodo compreso tra Gallieno e Probo.
Non offrono però alcuna importanza sotto l'aspetto numismatico, e,
tranne poche, sono in cattivo stato di conservazione.
Nel proseguire in questi giorni, per cura del Municipio, i lavori
di riattamento della caserma dell'Incoronata, già convento dei PP.
Agostiniani, onde adattarla alla scuola di agronomia, alla cui
sede fu destinata, apparvero indizj di pitture nel locale che già
serviva di refettorio. La Giunta ne rese tosto edotta la Con-
sulta, invitandola all' esame delle medesime, e a suggerire i prov-
vedimenti che fossero del caso. Fu sollecitamente inviata sul luogo
una Commissione, la quale, avendo fatto levare lo strato d'im-
biancatura di cui erano stati coperti, riconobbe in quegli affreschi
la mano di un prestante pittore della scuola milanese della fine
del XV secolo. Una più accurata ripulitura permetterà forse qual-
che congettura circa il loro autore. Ciò che fu scoperto non consiste
che in pochi avanzi di un vasto dipinto, che rappresentava la Croci-
fissione, e che tutta occupava una delle pareti minori dell'ampio
locale. Le figure sono a grandezza naturale. Una impalcatura, co-
struita or sono molti anni per dividere l'altezza della sala, dete-
riorò sommamente quell' importante lavoro, che andò segato in due
parti. Della superiore poco oramai resta; nell'inferiore sono mag-
giori gli avanzi, e sono di grandissimo interesse per la storia del-
l'arte milanese; e perciò furono già date le opportune disposi-
zioni al surricordato artefice Zanchi , affinchè senza indugio ne
eseguisca il ripulimento e il trasporto su tela. Essi pure sono desti-
nati al Museo, in cui già si conservano diversi importanti dipinti
della nostra antica scuola pittorica. Si spera che nel corso dei
lavori all'Incoronata possano rinvenirsi altre non meno pregiate
dipinture.
Il Consultore Segretario^
A. Caimi. .
UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA.
Non sono molti anni che la curiosità del vero si è insinuata an-
che nel campo delle arti. Una volta pochi nomi, quasi anche un
solo, segnavano un'epoca, né alcuno cercava di più: scambiavasi
il Bramante col Bramantino, il Luino col Lanino, e tutto andava
bene e correva per buona moneta: oggi le indagini si succedono e
s' incalzano a vicenda con sempre nuovo calore ; il libero accesso
agli archivj vi^ aggiunge sprone, e una notizia scoperta eccita la
cupidigia di nuove rivelazioni.
Queste considerazioni ci diedero animo a dire alcune parole di
cose vecchie che vorrebbero diventar nuove, e che pure ci sembra
meritino di non cadere nell'obblio.
Noi siamo conservatori... ma razionali nel tempo stesso. Non
ogni quisquiglia, non ogni rancidume è per noi; ma tutto ciò che
ha un vero merito intrinseco, tutto che si lega ad un fatto, a un'e-
poca importante della patria, questo per noi è sacro, e lo vorremmo
conservato e trasmesso inalterato ai venturi. Non curiamo le zoti-
che irrisioni di chi ci mandava a conservare gli stallacci, ma ac-
cetteremo volentieri le emende di chi ci avvertisse degli errori nei
quali fossimo caduti.
Diremo per primo della Veduta di Milano a vólo di uccello, che
venne recentemente annunziata siccome esistente nel nostro Archi-
vio civico a S. Carpoforo, e che reputasi incisa in rame da Nontio Ga-
li ti nel 1578. Questo nome, appena comparve, fu da taluno messo
in dubbio, perchè gli si presentava affatto nuovo, il che peraltro
28 UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA.
non è. Nel G aliti, o piuttosto Gallizio, dee riconoscersi un artefice
assai operoso e rinomato fra noi nel secolo XVI, un miniatore di
chiaro nome, stimato da principi e sovrani, un esimio facitore di
cose di rilievo con paste per adornamenti e suggelli ad* impronta^
il quale dopo avere lungamente soggiornato ed operato in Milano,
passò alla Corte di Savoja, ed ivi nei primi anni del secolo XVII
cessò di vivere. Egli, il cui giusto nome fu Nunzio od Annunzio
Gallizio, era nato in Trento, ma colà ninna memoria rinviensi di
lui; il perchè è a credersi che in assai giovane età si fosse recato
fra noi, e forse anche qui avesse appresa l'arte.
Più volte osservammo qui in Milano impronte di pasta, a guisa
di sigillo, egregiamente ornate, e miniature da lui condotte in ot-
timo stile, con eleganza e sobrietà di fregi : una assai rara, e pre-
gevole ne aveva sovra pergamena il marchese Antonio Busca, che
recava l'epigrafe: NVCIVS GALLICIVS "imX).' {do^Tridentinus)
1588.
L'Archivio generale di Milano ha una supplica del Gallizio, in
cui invoca il privilegio _2'er una sua inventione di mettere nelli ven-
tali alla spagnuola. E del 1573, ma sembra non riuscisse a buon
porto, vedendovisi scritto a tergo: Nihil; Montius.
Niuno, per altro, seppe finora che il Gallizio fosse anche inci-
sore in rame, e se la veduta di Milano, ora avventuratamente con-
servata nel nostro Archivio civico, fu lavorata da lui (come sembra
incontrovertibile), dobbiamo riconoscergli molta valentia anche in
quest'arte. Somma è la diligenza con cui sono rilevate, nella carta
di cui è menzione, le cose più minute, gli edifizj della città, le
sue vie , le figure più esigue : vi si ravvisa una precisione me-
ravigliosa e un' esattezza di disegno, quale appunto si conviene ad
un miniatore tanto finito e minuto come era il Gallizio. La carta
ripete la sua origine ed il suo soggetto dalla cessazione in Milano
della peste del 1575, conosciuta fra noi col nome di peste di S. Carlo,
per le benemerenze e le virtù eroiche di quel campione della carità.
Nell'alto di essa carta è figurato il Padre eterno col mondo in
mano; sotto a lui è Gesù, circondato da gloria colla croce sull'o-
mero destro, dai lati le figure della Madonna, di S. Ambrogio e
S. Pietro genuflesse in atto di orazione, da una parte; e dall'altra
in simile attitudine s. Kocco, s. Sebastiano, s. Giuseppe, il quale
reca seco il ramo fiorente. Nel campo superiore alla veduta della
UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA. ' 29
_—— — — _£.
città sono sparsi a frequenza angioletti, fiori e trofei di ottimo
stile, e alla estremità sinistra del foglio Icggesi la seguente dedi-
cazione :
" All' ili. sig. Giuliano Goselini primo secr. di S. M. catt. in
Milano.
inr" s:
„ Questa mia fatica fatta per rappresentar la liberatione di Mi-
lano, madre commune di tutti i virtuosi, dalla mortifera Pestilenza,
indirizzo a V. S., fermo presidio di tutti i miei pari, la quale co-
nosce et gradisce et sa pregiare et magnificare le altrui fatiche
(il premio maggiore di tutti) et da ogni uno è stimata intendente
et giudiciosa. Piaccia a V. S. d'aggradire il dono et più il cor mio
tutto dinoto del suo valore. Col quale resto, baciandole la mano.
In Milano à XI di febr.'' MDLXXVIII.
„ Di V. S. 111.
„ Serv.''*' divotiss.
„ NuNTio Galiti. „
Celebre miniatore è detto il Gallizio dal contemporaneo Lomazzo
noiV Idea del Tempio (fog. 163); ed il Meriggia nella Nobiltà di
Milano (pag. 460) lo encomia colle seguenti parole, che riferi-
sconsi all'anno 1595, in cui il Meriggia scriveva:
" Vive ancora in questa nostra città con molta lode Nuntio Ga-
litio miniatore, il quale, oltre all'eccellenza del miniare, è poi tale
nel formar cose di rilievo con paste muschiate, che alcuni Principi
d'Italia hanno voluto conoscerlo di presenza, compiacendosi oltra
modo d' bavere cose fabbricate dalle sue industriose mani. È fra
gli altri il signor Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, a cui già
fabbricò di sì preziosa materia ricchissimi et ingegnosi lavori per
ornamento di alcune superbissime vesti... et a maggior sua glo-
ria la sua virtuosa figlia Fede con le sue rare pitture lo va im-
mortalando. „
Fu, per dir vero, la Fede Gallizia, figlia di Nunzio, una delle
pittrici che all'epoca sua (tra la fine del secolo XIV e la prima
metà del secolo XVII) godettero in Milano la migliore riputazione.
Lo stesso Meriggia (pag. 467) ce la ricorda chiamata alla Corte
^dell'imperatore Rodolfo; il Gallarati, che nel 1777 scrisse delle
2*
30 UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA.
nostre pitture, la intitola onore del secolo e della scuola Lombarda ;
ma quelli de' suoi dipinti ch'io vidi, lo stesso suo capolavoro del
Gesù apparente alla Maddalena in aspetto di ortolano, condotto
nell'anno 1616, ed ora conservato nella Pinacoteca di Brera, non
mi sembrano cose sublimi. Ella lasciò in Milano ed altrove molte
sue pitture sulla tela ed anche sul rame; visse nubile, assai ope-
rosa e costumata: testò nel 21 giugno 1630, lasciando alla nostra
chiesa di S. Antonio sei dipinti di varie scuole, dei quali uno solo
attualmente si conserva, una Santa Caterina^ lavoro mediocre del
secolo XVII.
Ma di un più antico artefice ci cade ora di far menzione, un pit-
tore del quattrocento, attualmente pressoché dimenticato, Zuan-
Piero, ossia Giovan-Pietro di Valcamonica.
ìu Anonimo di messer Jacopo Morelli (Bassano, 1800) che gli
era quasi coevo, fu il primo a farne menzione, ricordando la storia
di S. Agostino da mastro Zuan-Fiero dipinta a fresco nelVinclau-
stro del convento di S. Agostino in Cremona, ed altri simili la-
vori nel monastero di S. Agostino in Crema, cioè nella Libraria el
compartimento de verde, chiaro e scuro, e nel refettorio la vòlta
di chiaro e scuro bianco con istoriette del testamento vecchio nelli
tondi, nonché la Passione del nostro Signore in fronte e la Cena
aW incontro de più colori. Quest' ultima composizione venne da
noi, pochi giorni fa, riconosciuta nell'antico refettorio, ora tramu-
tato in uso di stalla : era velata da calce, che in parte fu rimossa,
in parte potrà esserlo con facilità, perché l'umidità del muro ne
agevola il distacco.
" Questo pittore Zuan-Piero, secondo ne avverte il dotto sa-
cerdote bresciano don Stefano Fenaroli, era detto più propria-
mente Pietro da Cerno, paese della Valcamonica prossimo a Breno,
cui egli apparteneva. In Borno della Valcamonica dipinse nella
vòlta della chiesa della Nunziata e vi scrisse come tuttora si
osserva: HOC PETRUS PINXIT OPUS DE CEMO JOANNES
MCCCCLXXIX.
„ Molti degli antichi dipinti che si veggono anche di presente
nelle chiese di Valle Camonica appartengono probabilmente a que-
sto artefice, e senza meno poi quelli nell'antica parrocchiale di
Cerno, sua terra natale. „
In quella chiesa antica, ricordata anche dal ch.° Gabriele Rosa,
UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA. Sì
in una relazione al Consiglio Provinciale di Brescia di data del 9
agosto 1872, esistette fino a vent'anni sono, una grande e preziosa
ancona a varj comparti, su cui era scritto: HOC. OPUS. FECIT.
FIERI. VENERABILIS. DNS. PER. FRANCISCUS. A. FERRO.
DE. TREVISIO. ARCHIPR. PLEBIS. PNTIS. SCI. SIRI. DE.
CEMO. IN. M. ecce. XLVII. IN. DIE. SCO. PASCE. VZ. DIE.
VIII. MENSIS. APRIL. PAROTUS. PINXIT. La tavola presenta
nel suo mezzo la coronazione della Madonna, raffigurata in aspetto
soavissimo, portamento, dignitoso, vestita di abito verde e manto
rosso; ella tiene sui ginocchi il Bambino ignudo con aureola cro-
ciata in rosso, il quale si volge affettuosamente verso un uomo ge-
nuflesso vestito di abito verde, probabilmente l'ordinatore del qua-
dro. Quattro santi in altrettante caselle dorate stanno a ciascun
lato della principale figurazione testé descritta, e sovra l' ancona
è rappresentata con molta verità la scena della Crocifissione di
Gesù con piccole figure, a modo quasi di miniatura : nell'estremità
della tavola sorgono due triangoli, con entro vi l'Annunciata e
r Angelo.
Il Pareto, che con un fare delicato, con tinte languidamente
gentili dipinse questo quadro, non era forse lo stesso Zuan-Piero,
quantunque la data di esso sia posteriore di trentadue anni a
quella degli affreschi di Borno? È una congettura, e nulla più. Il
Fenaroli, il Rosa, il Da Ponte, scrutatori infaticabili delle memorie
bresciane, potranno giungere a saperne meglio, interrogando gli
archi vj.
Noi non sappiamo la sorte della tavola di Pareto (forse storpia-
tura di Pietro o Pierotto)^ poiché fu venduto il Museo del Caval-
ieri, cui era da ultimo pervenuta dopo avere servito alla ignorante
cupidigia di più speculatori.
Dalle ricerche sovra antichi pittori passiamo agli studj sull'ar-
chitettura, pei quali viene ora a proporsi a guida V Album deìV Ar-
chitetto^ egregio lavoro intrapreso da un distinto allievo della no-
stra Accademia di Belle Arti, il professore Tito Vespasiano Para-
vicini. È una raccolta di esemplari di costruzioni di tutti i generi,
di tutti i tempi, per servire di scorta agli studiosi dell'arte, e gui-
darli con sicurezza e nel modo più opportuno al pratico esercizio.
Imperocché (come giustamente avvisa Paravicini) " per l' attuale
sviluppo dioiV ediìisia è assolutamente necessario che F architetto
32 UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA.
abbia cognizioni esatte dei varj stili. E questo non soltanto acciò
le sue composizioni riescano armoniche, ma assai più per V oppor-
tunità dei ristauri, i quali richieggono una scrupolosa e perfetta
cognizione dei caratteri proprj di questo o di quell' altro edificio,
del modo proprio di ciascun architetto, del tipo speciale dell' epoca,
del paese ecc. „ Al nostro tempo in cui, dopo gli esempj ed i pre-
cetti del Viollet-le-Duc, del Dartein e di altri tanti, l'arte del ri-
stauro va avviandosi anche fra noi ad una pratica di giusti criterj
(nel che fare ci hanno luminosamente preceduto i Toscani), il la-
voro che annunziamo potrà essere di molta utilità, semprechè gli
architetti ristoratori non isdegnino avervi ricorso, e non vaneggino,
come i Corbellini e gli Aluisetti, di avere per l' arte un genio ed un
indirizzo affatto singolare.
Diligenti tavole, opportunemente colorate, corredano V Album del
Paravicini. Noi ci fermammo a preferenza su quelle che presen-
tano alcune bellissime decorazioni di una casa che sorgeva fino a
poco tempo fa nella via Torino al N. 1, il palazzo del Broletto
Nuovo ed una finestra trinata dello stesso, alcune parti ornamen-
tali del tempio di S. Maria presso S. Celso e del palazzo Marino; fi-
nalmente fermarono la nostra attenzione quattro tavole, che offrono
il prospetto, la parte posteriore, lo spaccato ed alcuni capitelli del-
l'antica nostra basilica di S. Vincenzo in Prato. E qui la venera-
zione che da tanti anni portiamo a quell'illustre e cotanto tra-
scurato monumento d'arte e di storia ci chiama a seguire il Pa-
ravicini in alcune giuste considerazioni.
È San Vincenzo una perfetta basilica latina frammentaria^ detta
così perchè costruita con materiali di epoche diverse. Ha colonne
monoliti e tetto a capriate; la si vuole attribuire al secolo VI od
al VII, laonde è a considerarsi quale una delle cristiane più ve-
tuste che tuttora sussistano. Pare che verso l'anno 806 se ne al-
zasse il presbitero, e si formasse quella cripta chetutt'ora rimane.
È il tempio a tre navi, diviso da sedici colonne in due file paral-
lele, sostenenti archi a pieno centro senza archivolti, e le navi ter-
minavano in tre absidi semi-circolari, dei quali più non rimane che
il maggiore; ebbe ristauri ed aggiunte nel 1386 e nel 1520. La
navata maggiore s'innalza tanto sulle minori laterali, da poter ri-
cevere luce da finestre arcuate superiori al tetto delle minori. La
copre un tetto a due pioventi, sostenuto da capriate, alle catene
UN PO DI ARTE E DI STORIA PATRIA. 3^
delle quali in questi ultimi tempi vemiero accomodati dei travicelli
per formare un soffitto. L'abside centrale esterno è coronato da
cornice, sorretta da archetti a pieno centro che contornano una
specie di nicchie o finestre finte, come nell'abside di S. Eustorgio:
eguali cornici, sorrette da archetti a pieno centro, coronavano le
absidi minori che ora più non esistono. La parte superiore corri-
spondente alla navata centrale, che s'innalza assai al di sopra del
culmine del tetto dell'abside maggiore, termina in timpano, con
cornice ed archetti che ricorrono anche sui fianchi, come ne dà in-
dizio una parte di mensola con un frammento di arco che osser-
vasi nel lato sinistro della basilica.
Mosaici, pitture murali, sculture, iscrizioni ragguardevolissime
adornarono questo tempio sino alla fine del secolo passato, in cui
venne tolto al culto. Poi da molti anni quasi tutto vi sparve o vi
perì, sotto le esalazioni di una fabbrica di acidi che vi si è, da
tempo stabilita. Persone calde di patrio amore cercarono più volte-
salvare quel che resta e che va di giorno in giorno mancando del
venerando monumento, e in ciò anche di recente i reggitori della
nostra Accademia di Belle Arti si diedero ogni premura. Furona
fatti rilievi, progetti; fu stanziata una somma; il Molla, il Belgio-^
joso, ingegni chiarissimi, ne pubblicarono acconcie descrizioni; il
Paravicini ora ne scrive da valent'uomo in questo suo Albo; ma
la questione non procedette ancora d'un passo. Lamentammo la
demolizione degli absidi minori; ebbene, una di tali demolizioni
avveniva soltanto pochi mesi sono, né fu possibile impedire una
tale rovina.
Se a queste miserie un conforto fosse possibile, esso ci verrebbe
dalla recente notizia che il Ministero della Guerra ha finalmente
lasciata a disposizione del R. Demanio la basilica di S. Pietro in
del d'Oro a Pavia, e che quella benemerita Commissione d'arte,.
di cui è capo l'illustre archeologo Camillo Brambilla, sta occu-
pandosi della sua conservazione e ripristinazione. Anche quel mo-
numento, abbandonato da forse ottant'anni, maltrattato in mille-
guise, domanda urgenti e grandiose riparazioni. Esso pure, aveva
alta tribuna con gradinata, come S. Vincenzo in Prato; vi stava
sotto una cripta, semicircolare al pari dell'abside ; ma tutto fu tolto,,
e non resta dell' interno che il nudo scheletro del vetusto edificio.
Tuttavolta rimangono l'antica preziosissima fronte, la grandiosa
34 UN po' di arte e di storia patria.
cupola, il nartece cotanto ammirato dai cultori dell' antico : riman-
gono quelle tradizioni di gloria e grandezza nazionale, contro cui
l'egoismo e l'apatia, e il più freddo materialismo alla fin fine si
frangono.
Ancora un cenno del recente reperimento di una memoria patria,
che da parecchi anni credevamo perita.
È il sigillo sepolcrale dello storico Giovanni Simonetta, che stava
nella nostra chiesa delle Grazie, nella cappella gentilizia dei Si-
monetta, la quarta alla sinistra di chi entra. Vogliamo attribuirgli
un'epoca prossima al 1491, intorno alla quale sembra messer Gio-
vanni uscisse di vita dopo la sua prigionia e la relegazione in Ver-
celli, barbaro sfogo di vendetta di Lodovico il Moro. Sull' alto della
pietra è inciso, coli' eleganza propria dell' epoca, lo stemma di un
leone coronato e rampante, cinto da uno scudo entro cui è rilevato
altro leone recante in una zampa una crocetta : sotto lo stemma è
l'epigrafe seguente:
D. 0. M.
IOANNES SIMONETTA SFORTIANE. mstorie
CONDITOR DI. FRAN. SF. FIL. ET
NEPO SVBINDE SECRET. mOCentie
ET PROBI CVLTOR ET IN YTUaque
FORTVNA MODESTISSIMVS Reic
CVBAT
HOC S. HER. SEQVATVR.
La pietra fu tolta dalla chiesa al cadere del secolo ultimo scorso,
quando insegne e titoli erano caduti in uggia, e non si volevano
più. Pochi dì sono, nel rifabbricare una casa nella via di Bassano
Porrone la si rinvenne in una cantina ov'era stata posta in opera
quale materiale da fabbrica. Noi instammo tosto perchè fosse resti-
tuita all'antico suo sito, in onore del nostro egregio storico e di
una famiglia che, venuta d'altronde fra noi, fu di noi benemerita,
per noi operò e patì, lasciò discendenti saggi ed onesti, e un nome
giustamente riverito. Saranno poi i nostri voti coronati da buon
successo? Vogliamo sperarlo.
In Milano, a S. Orsola, all'Incoronata vennero, non ha guari,
scoperte antiche pitture murali. Ve n'ha pure a S. Chiara (ora
Monte di Pietà), a S. Erasmo in Borgo Nuovo, a Viboldone, a San
UN po' di arte e di storia patria. 35
Cristoforo sul Naviglio (col nome queste di un BASSANOLVS DE
MAGISTRIS) : e queste pure vorrebbero essere snudate dalla calce
che in parte le copre, e rimesse in onore. Molte e assai pregevoli
esistono nel Castello, ove operarono (oltre al Vinci) il Bembo,
il Foppa, Zonale, Buttinone, il Moretto da Cremona, un Vaprio
ed altri, e stanno ricoverate sotto il bianco. Que' di Lodi pensano
alla fine a riparare il magnifico loro tempietto dell' Incoronata, e
noi abbiamo qurello sincrono e congenere del Monastero Maggiore
che reclama urgenti premure. L'acqua, infiltrata in un muro
principale, recò notabili guasti agli affreschi di Calisto da Lodi
nella cappella dei Simonetta, e una bella teia dello stesso Ca-
listo che stavano sull'altare trovasi nel più deplorabile deperi-
mento. Si pensi al riparo: si pensi alla magnifica cappella detta
della Regina nella chiesa maggiore di Monza, ove i ristauri alle
preziose pitture dei Zavattari (1444), da più anni incominciati e poi
sospesi, domanderebbero sollecita continuazione, come pure gli
affreschi dei Campi nel nostro San Paolo, già prossimi a deperi-
mento.
Ma a far tanto, alcuni ci grideranno, ci vuol denaro e molto.
Oli è vero, ma il denaro segue assai facilmente il buon volere e
l'impulso, e con questi mezzi acconciamente adoperati la causa delle
^rti nostre dovrà trionfare.
f
Michele Caffi.
BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE.
Giornale di erudizione artistica^ pahUicafo a cura della B, Com-
missione conservatrice di Belle Arti della provincia dell' Umbria,
Perugia/
Domanderebbe frutta dalla beccherìa chi cercasse il divertimento da
giornali d'erudizione e da bullettini archeologici, ma notizie di arti e
novità di documenti ne dà molte questo di Perugia. E nel fascicolo dì
febbrajo, ultimo pubblicato, è molto interessante una vita del celebre
ab. Filippo Juvara di Messina, -che, come tutti sanno, fabbricò pel re di
Sardegna il tempio votivo di Superga, i palazzi della Veneria, di Rivoli,
di Stupinigi, la facciata del palazzo Madama, il Senato a TorinO; e chiese
e cappelle e altari ; a Messina il palazzo alla marina, a Roma la sacristia
di San Pietro e molti altri edifizj Jt a Mantova la cupola del Duomo, a
Lisbona il patriarcheo e la reggia, e infiniti altri lavori. Le notìzie da-
tene dal Milizia, dal Maffei, dall'Enciclopedia di Torino sono inesatte a
fronte di queste , stese da un contemporaneo , con quel fare spigliato
e bizzarro che è proprio degli artisti, e che ricorda il Vasari. Piace
il sentirlo narrare come lo' Juvara potesse andar da Roma a Messina
in pochi giorni^ perchè viaggiava colla corriera;^ come ivi chiesto dal
* In quel giornale è annunziato che il conte G. B. Rossi Scotti rinunziò all'uffizio di
consultore della R. Commissione artistica dell'Umbria. Ragione ne fu la rimozione del
coro della basilica d'Assisi, opera insigne di M. Domenico da San Severino; rimozione
alla quale si erano opposti essa Commissione e molti artisti e scrittori.
^ Nell'interessantissima Corrispondenza secreta fra M. Teresa e il conte de Mercy
Argenteau, pubblicata dai sigg. Arneth, direttore degli Archivj di Corte e di Stato dì
Vienna, e Geffroy, membro dell'Istituto di Francia (1874, Didot, 3 voi. in-8), vediamo-
che le lettere erano portate da un corriere espresso, il quale partiva da Vienna al
principio di ciascun mese, passava per Brusselle, e giungeva a Parigi illO; ne ripar-
tiva a metà del mese, e rientrava a Vienna il 25.
BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE. 37
re Vittorio quai disegni gli avesse portati, rispose : u Porto il lapis e il
tiralìnee w; come, propostogli di demolire a Roma un muro di Michelan-
gelo, protestò non toccherebbe quelle pietre neppure se gli offrissero il
cappello di cardinale ; come il re di Portogallo, al suo arrivo, gli desse
una borsa di monete d'oro, e al primo disegno che ne vide, si cavasse
di dito un anello per regalarglielo; e partendo lo donasse di cioccolata,
caffè, e moltissimi ninnoli cinesi ;come a Londra fosse, da briganti, spo-
gliato dei denari, dell' orinolo, della tabacchiera, ma al domani l'amba-
sciatore portoghese gliene facesse trovare altri sul tavolino ; come infine,
allorché mori nel 1736, il re di Portogallo volesse onorarlo col fargli
celebrare 900 messe.
Gaetano Italia 'Nigkstro, Ricerche per l'istoria dei popoli Acrensi.
Comiso, 1873, in-16, di pag. 90.
Acremente o Serra di Polazza è un' altura di 770 metri, nel centro
della provincia di Siracusa, ove abitavano i popoli Aerosi. Avanzi di
cucina e armi di selce attestano una gente antichissima, anteriore a quei
Sicani che la cacciarono o incivilirono, cinque secoli prima della guerra
trojana. E appunto l'autore vuol risalire colla storia a quaranta secoli;
di là dunque dai confini della storia scritta, ove non possono le nostre
cognizioni arrivare che a congetture. A quelle del Nìcastro auguriamo
migliori fondamenti che il Romagnosi, il Micali e il Mazzoldi, e tipo-
grafia meno scorretta.
Le antichità romane nella penisola Cinibrica.
Sotto questo titolo il prof. Pellegrino Strobel porse, nel Presente di
Parma, 27 dicembre 1872, notizie somministrategli dalla signora J. Mes-
torf, conservatrice del Museo di antichità di Amburgo.
Bartolini Dario, Scavi concordie-si — Jid, Concordia Col. e la ne-
cropoli cristiana sopra terra recentissimamente scopertavi. Roma,
1874, opuscoli.
La colonia Julia Concordia fu fondata probabilmente da Marcantonio
a un miglio circa da Portogruaro, sulle rive del Lemene: pochissimo se
ne sa: ma del IX secolo vi sussiste un battistero di marmo; vi si tro-
varono molti avanzi d' antichità, e lapide del IV e V secolo, di cui 89
son recate nel Corpus Inscriptionum Latinarum di Berlino. Teste poi vi
si trovò un sepolcreto cristiano, al cui scavo il Consìgho Provinciale
concesse 3000 lire, e ne uscirono 165 arche intere e molte spezzate, e
sotto di esse avanzi di maggiore antichità. Le lapide furono riprodotte
nel Bollettino dell' Istituto di Corrispondenza Archeologica.
38 BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE.
Spetta ai luoghi medesimi una Memoria del Bartolini sopra U antico
stemma e sigillo di Portogruaro, piccola città sul Lemene, presso l'an-
tica via Emilia Altinate, e lo stemma portava il campanile del duomo,
con due gru che col becco toccano la cella delle campane.
Tarrantini Giovanni, Monografia di un antico tempietto cristiano
recentemente trovato in Brindisi.
Dalle pubblicazioni della Commissione conservatrice dei Monumenti
Storici e di Belle Arti in Terra d'Otranto.
È occasione all'autore di parlare delle forme degli antichi edifizj re-
ligiosi, e de' riti e delle credenze.
Alcuni giudizj della stampa germanica " sulV Indice-Guida dei mo-
numenti delV Umdria „ e due lettere del suo autore Mariano
Guardahassi. Perugia, 1874, op.
Altrove, discorrendo di questo Indice-Guida, ne augurammo uno si-
mile pel nostro paese, non così ricco e caratteristico, ma pure di non
volgare interesse.
Castorina Pasquale, Cenno storico sul Museo JBiscari. Catania, 1873.
A Catania, una delle più belle e monumentali città di Sicilia e delle
più patriotiche, il principe Biscari fondò un museo d'antiquaria nel
1754; vero vanto del paese, che testé corse pericolo d'andare in ven-
dita. Questo pericolo scusa il Castorina se, nel descrivere o piuttosto
encomiare questa fondazione, si divaga in vanti patrj e in notizie troppo
comuni. Godiamo nel pensare che al Biscari non si mostrò ingrata la
patria, e neppure il re, che lo destinò conservatore delle antichità di
Val Demone e Val di Noto, e lo aiutarono a discoprire l'anfiteatro ed
altri edifizj.
L'I. R. Commissione Centrale austriaca per la ricerca e la con-
servazione de' monumenti inviò molti volumi degli Annali e delle
Comunicazioni sue al R. Istituto Lombardo. Ricorderemo come,
nel 1858 , quella Commissione domandò si nominassero qui al-
cuni corrispondenti per tenerla informata de' monumenti antichi
e dei novamente scoperti nell' allora Regno Lombardo Veneto. Si
rispose che tanti erano i monumenti nostri, da non bastarvi qual-
che corrispondente, e volersi piuttosto una Commissione speciale
per questo regno. Con tale concetto i signori Mongeri e Cantù,
BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE. 3^
allora secretarj dell'Accademia di Belle Arti e dell'Istituto di
Scienze, Lettere ed Arti, stesero un progetto ed un regolamento^
che non ebbero effetto pei sopravvenuti mutamenti. Di questo si
ebbe occasione di parlare nel Congresso Artistico del 1872, se-
zione V, come apparirà dagli Atti che fra poco se ne pubbliche-
ranno.
A Torino si è costituita una Giunta Archeologica, che raccolga^
sorvegli, ripari i monumenti antichi. Proveduta di un fondo dal
Consiglio Provinciale (come ha fatto da noi quello di Como), co-
mincerà i suoi lavori ad Avigliana, dove abbondano ruderi romani ;
poi nella Val d'Aosta, dove sono avanzi di tempj, di fòri, d'archi;
indi proseguirà a Torino, e così via.
La Società degli Antiquarj di Normandia celebrò a Caen, il
1° dicembre p. p., il cinquantesimo suo anniversario, con solenne-
adunanza preseduta da M. Guizot. Il segretario Chatel lesse un rap-
porto sui lavori, le scoperte, le relazioni scentifiche della Società;
e fra le varie lettere di adesione, ne citò una del socio Cesare
Cantù, il quale lo pregava di presentare al presidente " l'expression
d'une estime qui croit de plus en plus, et à mesure que les évé-
nements prouvent ce que c'est qu'un homme de caractère. „
Da Cividale del Friuli (l'antico Forum Julii) ci si annunzia la
scoperta della tomba di Gisulfo, nipote di Alboino, da questa
lasciato duca del Friuli quando scendeva nel 568 a conquidere
l'Italia, e che nel 615 fu ucciso in battaglia contro gli Avari. Il
cadavere consunto giaceva sotto alla piazza della Fontana (ora
Paolo Diacono) entro un sarcofago di pietra istriana, con avanzi
di armadura e di ornamenti; fra cui distinguiamo un anello d'ora
del peso d'un'oncia, nel quale era incastonata una moneta dell'im-
peratore Tiberio: e un fiasco dejla capacità di un litro e mezzo,
non otturato, e pieno per due terzi di acqua perfettamente limpida
e incolora, come quella che vedemmo nell'arca di sant'Ambrogio.^
* Oltre i nostri, la chiesa di S. Ambrogio fu ampiamente descritta nell'opera dì
M. F. de Dartein, Étude sur V architecture lomlarde et sur les origines du style ro-
mano-hysantin. Paris, Dunod, un voi. in-4o con grande atlante di 100 tavole, incise ia
parte dall'autore, in parte da Leon Gaucherot.
40 BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE.
Tutto è deposto nel Museo di quella città, già ricco di preziosi
avanzi romani e longobardi; come nell'Archivio capitolare, or dato
^1 Comune, sono documenti di gran valore.
Il chiarissimo erudito Raffaele Garucci, oltre attendere alla
grande opera àeWArte Cristiana, una certo delle più importanti
che abbia vedute la nostra età, continua le ricerche archeologiche
e le illustrazioni. Ed ora nel Periodico di numismatica e sfragi-
Mica per la storia d'Italia^ che pubblicasi a Firenze, descrisse un
ripostiglio di monete famigliari, scoperto presso Riccia l'inverno
passato. Il trovar molte monete riunite viene in ajuto alla storia
ben maggiore che il trovarle disseminate, potendosi dividerle in
serie cronologiche, e trarne gravi induzioni. Il celebre Mommsen
avea compiuta la Storia della moneta romana, quando scopertosi
il tesoretto di Oliva in Ispagna, fu costretto rifarla. Quello aveva
1271 monete: in questo di Riccia se ne contano 3155, di cui 3005
sono denari^ 150 sono vittoriali, mescolanza non comune: e vanno
dal 486 al 630 U. C. La distribuzione, le note sopra gl'individui
che le fecero coniare e la persona o famiglia che ricordano, e l'anno
cui appartengono, fanno preziosa questa memoria e questo teso-
retto, che il Garucci giudica " inestimabilmente più utile di quanti
se ne sono finora scoperti „.
C. C.
Gr. OTTIIS^O, respoìisaòlle.
IL MUSEO PATEIO D'ARCHEOLOGIA.
Nell'adunanza del giorno 29 agosto p. p. della Consulta archeo-
logica, il Segretario notificò due nuove iscrizioni dell'età romana
pervenute al Museo.
Una d'esse fu rinvenuta versò la metà del giugno nella via Ales-
sandro Manzoni, in occasione di scavi operati dal Municipio per
sistemazione di condotti, quasi in faccia allo sbocco del vicolo del
Giardino, a circa due metri di profondità, e a poca distanza dal
sito ove si scoperse nel maggio altra lapide romana, di cui fu
fatto cenno nel precedente fascicolo. ^ Essa è in pietra verdognola,
della lunghezza di metri 1. 75 e larga centim. 58. Trovossi spezzata;
i caratteri ne sono chiari, e solo in poche parti guasti. L' iscri-
zione è disposta in trentasette linee, in latino barbaro, difettoso
nella sintassi, nella grammatica, nella ortografia, colle parole non
sempre bene separate, con scarsa punteggiatura, ed è deturpata
poi anche da errori ed omissioni del lapicida; alcune frasi sono
inesplicabili. Essa rivela però un affetto profondo, che la rende as-
sai interessante. Vi si riconosce chiaro lo sfogo di dolore e di di-
sperazione di un infelice padre di famiglia che in brevissimo tempo
(forse in un sol giorno, per morbo pestilenziale) perdette colla mo-
glie parecchi figli, dopo aver già sepolti i liberti in una medesima
tomba. L' epigrafe, della cui autenticità non è a dubitarsi, si può
assegnare alla fine del terzo secolo o al principio del quarto, ed
è del seguente tenore :
* Vedi la nota a piedi deU' articolo.
Bull, Cons. Arch. — An. I.
D M
V F
L TREBIVS DIVVS
SEPTICIAE MAVRE CONIV
CARISSIME QVAE VIXIT ME
CVM ANNOS XXXVIII
MEN-V-DIESXIlll
HIC VBI LIBERTOS aIa
MEOS ETCESSERVNT FA
TIS MEA DAMMA PRIO
RES HIC lACET INDIGNA
CONSVMTI MORTE NONA
TI HIC lACENT-llll-VNAAA
NIMISSI DIE ET CONlV&E CA
RA MIHI-L- TREBIVS CHRYSE
ROS QVI VIXIT ANN- XVIII
MENS-V-DIESVill BENI&
NA- VIXITANNVDIESXXII
FELICITAS- VIXIT ANN • llll M ■ Il
DIES-XI POSTVMIA VIXIT
BIENIO DIES VIII-HEV-ME
MISERVM QVI TOT CRVDELIA
/«NERA FECI NOCTE DIEM
QVE FLEO POST HAEC PLVS NON
POTVI PRAESTARE MEIS QVAM
AETERNAM DOMVM ■ PrO
PARTE MEA ■ 0 QVANTVM DO
LOR EST QVOD MISERVAA COCt
PECTVS HAEC FERRE PATRO
NVM POST HAEC ADIVNCTA EST
MIHI FLAMIA CONiVX LAEVA
PARTE STAT IVNCTA PARES LIBER
TI DEXTRA SVB COlVGE PRIORE
PIA VOS QVI LE&ITIS AMICI lAA
SPECTO VENIT ILLA DIES IN
gVA STAT ILLE TYRANNVS
qu\ ME TRAnSPONAT AD ILLOs
IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA. 43
Questa lapide è di proprietà del Municipio di Milano, il quale
fu sollecito di depositarla nel Museo.
L'altra lapide provenne dalla recente demolizione della vetu-
sta chiesa di Baggio, terra a poche miglia di distanza dalla città,
nella cui costruzione fu impiegata come materiale di fabbrica; e
fu donata al Museo dalla Giunta municipale di quel Comune, uni-
tamente a diverse membrature architettoniche spettanti alla chiesa
stessa. L' iscrizione, in caratteri dei buoni tempi, è mutila, ed è
così tracciata:
..AXILIO
.ONORATIO
IVR . REG .TRANSPAD.
..V.CUR.R.P
.OMENS.ET.BERG
■ ..IB-LATICU-LEG-lil
Nel proseguire i lavori nella caserma, già convento di S. Ma-
ria Incoronata, onde adattarne i locali ai bisogni della scuola dì
agricoltura che vi avrà la sua nuova sede, si scopersero tre altri
affreschi, oltre quelli di cui già si è tenuto parola nel fascicolo dello
scorso giugno, spettanti pure alla scuola pittorica milanese della
fine del decimoquinto secolo. Uno di essi, sventuratamente depe-
rito in alcune parti, rappresenta la Crocifissione, a piccole figure.
Gli altri due sono dipinti a chiaroscuro, e vi sono effigiati, a mezza
figura molto minore del vero, S. Monica e S. Paolo primo ere-
mita, entro lunetta a • sesto acuto, ornata esteriormente di fregi.
La Consulta ne fece tosto operare il trasporto su tela dallo Zan-
chi, lo stesso esperto artefice che fece lo stacco e trasportò i pre-
cedenti, e vennero, come quelli, collocati nel Museo.
La Consulta.
Nota. Essendo incorso qualche errore di stampa nella pubblicazione dell'epigrafe della
lapide romana accennata nel fascicolo precedente,, si riproduce ora debitamente corretta.
Q
..MODIVS PELORVS
VI. VIR. SIBI ET
LVCILIAE. C. F. POLI A E
VXORI
LVCILIO SAB.. .
CASSIO. NIGELLION!
AMICO
..NI ALI FIRMO. LY CORI DI
.. VPAE GOSSVRONI
LIBERTIS
I • A. Caimi.
DEI EESTAURI EDILIZJ
ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA.
L'enumerare, come qui abbiamo l'intenzione, i restauri che fu-
rono tra noi condotti negli ultimi anni dacché ebbe effetto l'isti-
tuzione della Consulta Archeologica (13 novembre 1862), e pei quali
essa fece atto d'intervento, ci obbliga a premettere che la Consulta
devesi in gran parte riguardare come un ramo spiccato dal tronco
dell'Accademia di Belle Arti, e fatto vegeto e poderoso col compi-
mento di quanto poteva meglio rappresentare la storia e l'archeo-
logia nel necessario loro nesso coll'arte. Egli è ciò tanto vero che,
prima d'istituzione siffatta, ogni questione che riguardasse l'arte,
fosse pur quella del passato e di età lontane, benché involgesse
argomenti d' indole accessoria, era recata davanti al tribunale del-
l'Accademia, la quale non poteva giudicarne specialmente che dal
punto di vista artistico.
Questo ricordiamo, non per trarre motivo di commenti sulla se-
parazione operata, ma perché non si creda vogliasi da noi dissimu-
lata l'influenza esercitata dall'Istituzione accademica nei grandi
restauri di antichi monumenti artistici della città prima del 1862.
E sebbene di questi non sarebbe men degno di prendere nota, non
è ciò negl' intendimenti nostri, e d'altra parte vi rinunciamo senza
molto rammarico, imperocché lo studio dei restauri artistici dettati
da un più profondo sentimento scientifico sia fatto comparativa-
mente tra noi recente, per quanto da lunghi anni sentito e invo-
cato dagli studiosi.
DEI RESTAURI EDILIZI ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA. 45
Nonostante cotesto proposito, ci è impossibile cominciare la no-
stra rassegna senza incorrere in una violazione. L' importantissimo
restauro della Basilica Ambrosiana, quello da cui presero moto ed
animo i maggiori restauri ecclesiastici, dei giorni nostri, in Lombar-
dia, rimonta ad un'epoca anteriore a quella accennata. Ma questo
non deve fare ostacolo ad accoglierlo nella serie di cui è proposito;
anzitutto, perchè rappresenta il nuovo indirizzo del restauro edili-
zio accettato e fatto proprio dalla Consulta, ed è, per dipiù, l'a-
nello di congiunzione tra l'Accademia e la Consulta nel trasferi-
mento del mandato archeologico : ond'è che nei membri accademici
componenti la Commissione direttrice del restauro si riscontra, se
non in tutto in parte, chi venne poi aggregato al gremio della
Consulta.
Ciò premesso, mettiamo mano, senza più, all' assunto nostro.
I.
S. AMBROGIO
IN MILANO.
Non v'ha bisogno di ricordare la circostanza in cui venne dal
Governo austriaco decretato il restauro di questa Basilica, a spesa
dello Stato. Sorse per una di quelle risoluzioni, con che i regnanti,
neir attraversare i proprj dominj, sogliono simulare il loro amore
alle arti. L'epoca del cominciamento dei lavori fu nel luglio 1858.
La Commissione accademica che vi presiedeva componevasi del
professore d'architettura cav. Federico Schmidt, ^ del professore di
prospettiva cav. Luigi Bisi, e del consigliere Giovanni Brocca, tutti
dell'Accademia. — Essi avevano ad interprete loro nell' esecuzione
delle opere murarie il capomaestro Roberto Savoja.
L'opera prima fu quella di sanificare l'edificio invaso, pressoché
dovunque, dall'umido, proveniente dalle materie del suolo circo-
stante, e che, dopo lunga noncuranza, eransi venute accumulando
tutto intorno, con minaccia di danni ben maggiori. Vi si apri
• Al professore Schmidt, neirAccademia, successo il professore Giuseppe Pestagallì,
questi ne assunse pure le funzioni presso la Commissione di vigilanza pel restauro della
Basilica.
46 DEI RESTAURI EDILIZI ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA.
un' intercapedine, a modo di conca, intorno intorno, così al tempio
che al coro, specialmente dove il terreno lo permetteva, della pro-
fondità di 2 metri circa e larga 80 centimetri. Allo scopo mede-
simo, si allivellò di un metro più bassa la zona di terreno circo-
stante in prossimità coli' antico Monastero, dove quello si levava,
d'altrettanta misura appunto, sul piano di pavimento della chiesa.
A quest' opera prima successe quella del riconoscimento dello
stato delle fondamenta (1858). La qual cosa condusse alla rinno-
vazione delle fondazioni dei primi pilastri del portico, e a quella
di alcune volte guaste nei lati, fra le quali sono da notare le
quinte dell'atrio, ad ambo i lati, contando dall'ingresso, nel cui
lavoro si ebbe cura di conservarvi i peducci delle vòlte e le cro-
ciere coi dipinti ond' erano ornate. Nel medesimo tempo erasi
provveduto a lavori esterni tutto lungo 1' atrio, per difenderlo
dell'umidità del terreno, come fecesi per la chiesa.
Di più radicali ristauri fu oggetto il nartece collegato alla fronte ;
la quale presentava una fenditura quasi verticale, e minacciava di
sfasciarsi. Il nartece superiore ebbe, in seguito a ciò, rifatti i pi-
lastri dell' arco mediano, consolidati da pezzi di granito nell' interno
della costruzione istessa; rifatto poi per intero l'arco centrale ad
ansa di paniere; con che, quivi, furono tolti gli antichi e massicci
archi acuti di sostegno e le costruzioni eterogenee applicatevi, rin-
novandone le vòlte, e collegando, con catene connesse a quelle ri-
correnti lungo le navi della chiesa , cotesta combinazione centrale
della fronte. Nei lati di essa furono riaperti gli archi soprastanti
al tetto del portico, e parte del nartece che dimostra qual fosse
la primissima fronte. A tutto ciò s'aggiunse la rinnovazione del
cornicione, giusta le traccie dominanti nel monumento.
Al nartece inferiore, le operazioni si limitarono alla riapertura
delle due finestre, che da questo ambulacro guardano entro la
chiesa, e venne restituita la porta minore a destra, sostituendo l'ar-
chitrave frammentato con altro, ornato di figure ed animali cal-
cati sull'originale.
Fin qui quanto tocca l' esterno dell' edificio ; pel quale si pro-
trasse il lavoro dal 1859 al 1861.
Assai più numerose e di lunga durata furono le opere all'in-
terno della basilica. Una delle prime fu di sgombrarla, appena
varcato l'ingresso, dei tre grossi pili per lato, su cui si puntella-
DEI RESTAURI EDILIZJ ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA* 47
vano i tre archi acuti, sottoposti alla originale vòlta dell'arco a
pieno sesto, onde ne veniva , in alto, una mentita collo stile della
chiesa; al basso, un ingombro alla vista alla libera circolazione,
senza pure che si raggiungesse intento alcuno, perciocché lo scopo
loro, quello di rinfrancare le vòlte, si trovò, nelle praticate esplo-
razioni , che non era affatto raggiunto. Ond' è che , senz' altro,
quelle di queste vòlte che lasciavano scorgere qualche guasto, eb-
bero per unico rimedio parziali rifacimenti, i quali si allargarono,
oltre la nave maggiore, a molti punti delle minori.
Ma, invece, nel metter mano a questi lavori si venne a sentir
tosto la necessità di uno spoglio generale delle pareti dall' intonaco
di imbianchino, di cui erano state ripetutamente imbozzimate. Lo
consigliavano gli scandagli indispensabili per riconoscere a nudo lo
stato 0 il sistema della costruzione : erano troppo incerti i diversi
saggi qua e là emersi, che la facevano credere tutta coperta di
pitture. I risultamenti non confermavano, infatti, le speranze ; non
ebbero effetto, però, senza mettere in luce diversi tratti di pieritti
dipinti, di cui si può fissar l' epoca al principio del XIV secolo.
Tornando alle crociere, quella che più ebbe ad essere bistrattata
dal caso e dagli uomini fu la terza, che precede immediatamente
la cupola. Caduta questa nel 1196, insieme alla vicina crociera,
venne ricostrutta al principio del successivo secolo, sconciandola
dimidiata in due campi, coll'erroneo concetto di migliorare la con-
dizione statica del monumento. L'opera della Commissione (1866)
fu quella di ristabilire l'antica e propria forma dello spazio, in un
solo campo, dal che venivano liberati anche i pili minori dal so-
vracarico di peso cui ormai non era più forza per resistere. E se
ne ebbero in prova alcune colonne e diversi pili di sostegno sfal-
dati e sconnessi, lo che non si giunse a riconoscere che nel to-
gliere l'organo, il quale abbraccia vasi, appunto, a questo orga-
nismo, dal lato del Vangelo.
Più opportunamente, per consolidare questa parte della basilica,
si portò, dapprima, l'attenzione alle fondamenta dei pili sorreggenti
la cupola; cui, mentre col sussidio di robusti pezzi di granito e di
selce si recava solidità e compattezza a tutta prova, se ne vantag-
giava l'equilibrio e la leggerezza, spogliandola delle gravi sovra-
posizioni di stucchi che, sotto forma di colossali rosoni, ingombra-
vano tutto il montare della vòlta, e di enormi angeli sospesi il
48 DEI RESTAURI EDILIZJ ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA.
vano dei pennacchi, mostruosa applicazione, recatavi (1572) dal
cardinale arcivescovo Carlo Borromeo. Quanto vi si fece intorno,
permise di mettere a nudo, non che i pennacchi a risalti che ve-
nivano a puntello della vera cupola, l'intero intradosso di essa, e
di restaurarne le finestrelle di forme diverse, che, secondo le an-
tiche traccio, aprivansi nei quattro spicchi principali, posti nelle
direzioni dell'asse e del traverso ortogonale del tempio.
Fu cotesta una delle opere più importanti del restauro, e che
ridonò all'edificio l'antica purezza e lo squisito carattere religioso
che lo distingue. Essa trasse seco anche il restauro esterno, re-
stauro puramente tecnico, della copertura della cupola, della log-
getta aperta ad archi che la ricinge, e della ricchissima cornice
ond' è incoronata a forma d' ala sporgente e di sostegno del tetto.
Noi tacciamo dei lunghi e minuti lavori di rassodamento e di
resistenza, i quali, cominciati nel 1862, richiesero, non che questo,
quasi per intero i tre successivi anni, perchè non si trovarono com-
piti che nel 1865.
Il presbitero reclama ben maggiori accenni. Qui, nel proposito
di assicurare contr'ogni peggiore evento la compagine edilizia, le
murature di ripieno avevano invaso tutti i campi aperti che pares-
sero comprometterne la solidità. Chiuse, di tal modo, le grandige
arcate di fianco all'altare; chiuse quelle superiori rispondenti al
matroneo; deturpate quelle esistenti già nel? abside del coro, per
far luogo ad altre di forma contraria all'indole e allo stile del monu-
mento. La risoluzione presa di ripristinare cotesto àmbito, permise
di collocare, senza troppo grave sconcio, gli organi, ai quali, in
difetto di posto più proprio colle condizioni originarie, fu trovato
luogo nel seno dei matronei fiancheggianti l'aitar maggiore. Fu nel-
l'atto istesso, che vennero in luce le bellissime colonne marmoree
le quali fronteggiano i fianchi della cerchia absidiale e designano
il ristretto presbiterio della primissima basilica, di cui, nel pro-
gresso dei lavori, ed anche recentemente, si riconobbe l'intera di-
sposizione e il piano preciso, che può aversi di un venti centimetri
più basso dell'esistente.
Né soltanto ai fianchi e nello sfondo il presbitero andò soggetto
a deformazioni, come quelle accennate, per cui ne era smarrito il
carattere, ma aveva subito una grave dislocazione di livello, per
esserne stato elevato il piano principale. Anche per ciò, negli scan-
DEI RESTAURI EDILIZI ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA. 49
dagli operati, riconosciuto per certi indizj, F antico livello, venne
ristabilito, sgombrando (1866) il recinto anteriore dalla difesa di
ferro, ricco ed ingegnoso per sé stesso, ma a grave scapito della
visibilità del fondo del coro e, peggio ancora, fuor di ragione col-
r ordine artistico del tempio. L'alto cancello venne sostituito, più
tardi, da un parapetto marmoreo, conforme al rito ed allo stile
cristiano del secolo IX.
In questa occasione dei lavori al prebistero (1870), le osserva-
zioni si estesero alla cripta nel punto che questa si collega col
piano del coro; esse condussero allo scoprimento dei due sepolcri
marmorei racchiudenti i resti mortali del vescovo Ambrogio e dei
SS. Gervaso e Protaso. Accadde che, sopra uno di questi appog-
giandosi un muro, il quale rispondeva con rimbombo di vuoto alla
parte inferiore, se ne decise la demolizione in parte, onde emerse
con grande sorpresa l'avello di porfido nel quale Angilberto aveva
racchiuso gli scheletri dei tre santi, e in cui vi furono riconosciuti,
giusta le memorie vetuste, quando se ne operò lo scoperchiamento
(giugno 1871).
Anche le colonne di porfido, che reggono la copertura dell'altare,
furono sterrate, imperocché si affondavano nel suolo un metro e
venti centimetri, e se ne riconobbero le basi, o zoccoli -di marmo
bianco, su cui si ergevano.
Dalla scoperta delle due arche e delle parti inferiori delle co-
lonne, onde se ne guadagnavano le giuste e più nobili proporzioni,
sorse il pensiero di dar forma, sotto il maggior altare, ad una cri-
pta speciale, in congiunzione con quella sotto il coro, in cui fosse
dato di rimettere in vista, alla venerazione dei fedeli, gli avanzi dei
tre santi, e contemporaneamente, d'innalzare la compagine murale
e marmorea del ciborio fino a recare a livello del suolo attuale
del presbiterio l'intera colonna.
Noi, come fummo testimoni, nell'ultimo decorso maggio, del tras-
porto dei venerati avanzi mortali, lo siamo oggi della nuova pic-
cola cripta in cui l'altare è formato dai due avelli, sull'alto dei
quali riposa il nuovo reliquiario, congegnato di un telajo metallico,
rinserrato di cristalli, chiuso poi il tutto entro una cassa di ferro,
giusta la forma dell'arca antica. Quattro colonne intorno alla
mensa stanno a sostegno della volta, e corrispondono verticalmente
alle quattro colonne di porfido del ciborio. Intorno vi corre un ri-
50 DEI RESTAURI EDILIZJ ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA.
stretto ambulacro, ond' è permesso ai fedeli di girare intorno al-
l'altare, entrando per una parte ed uscendone per un'altra. L'am-
bulacro, dal lato della parete, offre diversi insenamenti, in cui sono
allogati undici avelli di pietra di dimensioni diverse, trovati nel
sottosuolo del presbiterio, e che si hanno per quelli di arcive-
scovi del IX e X secolo e di altri egregi personaggi che vollero
aver riposo presso il corpo del santo patrono della Chiesa Milanese.
Come si diede compimento alla disposizione della cripta, così si
era già mandato a luogo, preliminarmente, l'elevazione del ci-
borio. Esso, mediante avvedutissimo congegno, ideato e condotto
dal Savoja, fu, infatti (1872), recato tutto d'un pezzo all'altezza
desiderata di oltre un metro, e girato sul proprio asse in guisa da
coincidere con quello della nave maggiore della basilica.
Non volendo discendere a minuti particolari, e, anche per questi,
ristringersi alle sostanziali ricomposizioni recate all'edifìcio dal
punto di vista estetico, ci basterà di toccare appena delle altre
opere fatte intorno alla chiesa.
Una delle più evidenti fu quella della ricostruzione delle absidi
minori (1864), e della chiusura delle cappelle laterali, onde richia-
mare la costituzione dell'antico perimetro basilicale. Era questo
uno dei quesiti più difficili. Non occorre notare che le cappelle fu-
rono un'aggiunta sopravenuta in tempi assai posteriori alla fonda-
zione del tempio : ma si erano quasi incarnate nell'organismo : ra-
gioni di culto e di consuetudine le avevano rese quasi necessarie. Per
le cappelle a sinistra dal lato di nord, di lieve interesse, pochissimo
ricercate, anzi quasi abbandonate, non fu grave farne sagrifìcio
(1865), chiudendone per intero la bocca e restituendo, nel centro
della chiusura, la finestra che vi doveva vedersi in origine. Non
cosi per quelle del fianco meridionale, pel quale si accolse il tem-
peramento posto in atto (1868), con che l'interiore della cappella
rimane separato dalla chiesa bensì, mediante una divisione archi-
tettonica conforme allo stile di essa, ma senza che ne sia tolto ai
fedeli l'aspetto interno.
Cotesto lavoro ai lati era stato preceduto da molte riparazioni
alle vicine navi (1866 e 1867), dove furono rifatte alcune vòlte
minaccianti rovina, come altre nel superiore ma tronco ; pel quale
si ebbe a demolire il muricciolo fatto a parapetto, tra colonna e
colonna, verso il lato della nave maggiore, cui si sostituì (1868)
DEI RESTAURI EDILIZJ ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA. 51
una difesa di ferro : quivi vennero pure riaperte all'esterno le fine-
stre quali si dovevano avere originariamente.
Né il pavimento ebbe minori cure: esso venne (1869) per intero
rifatto di mattoni, quale era in origine, abbassandolo al giusto suo
livello, quello della costruzione del IX secolo; con che furono ri-
messe in vista e restaurate le intere basi dei pili, che erano state
sepolte circa un quarant'anni prima. Quello pure del presbiterio
ebbe eguale lavoro, ma di marmo. Questa generale riordinazione
diede mezzo di far scomparire certi gradini che interrompevano le
navi laterali, ai lati del presbiterio.
Quanto si fece intorno al maggior altare obbligò al trasporto
di alcune pitture a fresco inerenti alle pareti circostanti. Diverse
opere frescate dal Luini Bernardino, dal Possano detto il Borgo-
gnone, ebbero, così, miglior allogamento. \JEcce Homo, del primo
ebbe posta nella fronte della prima cappella a sinistra, la sola
conservata a questo lato, per essere destinata a battistero, dove
la vasca ebbe intera rinnovazione, conformandola allo stile della
basilica, a sostegno della nuova, valendosi delle colonnine aggrup-
pate ond'era sorretta l'antica.
Nella maggior nave fu pure collocata, negli ultimi anni, a ri-
scontro dell' antica colonna isolata di porfido, una nuova dell' eguale
forma e dimensione. Questa è di granito bigio di Biella, e dove
quella porta un serpente di bronzo, questa reca una piccola croce.
L' opera di restauro si allargò dallo stretto perimetro della basi-
lica all'antichissima unita basilica Fausta, detta anche di S. Vittore
in Ciel d'oro, ed oggi, più comunemente, di S. Satiro. Essa chiamò,
prima d'ogni altra cosa, le sollecitudini della Commissione (1858).
Kestauratone, anzitutto, il fondo di forma absidiale, fu rivolta la
maggior cura alla cupola, conformata a tazza emisferica. Quivi, il
mosaico ond'è rivestita, screpolato in diverse parti, dava timore di
rovina imminente. Cagione principale ne erano i tramezzi, o muri
superiori, che si aggravavano sulla volta. A ciò fu recato riparo e
nuovo ordine, mercè un ben ideato sostegno del mosaico all'intra-
dosso della volta, per assicurarne la perfetta coesione, sicché potè
essere tolto l'inopportuno e compromettente aggravio dei muri,
e ricomposto quello dei tubi rigiranti a spira, fra il tetto e la cu-
pola, a modo di alcuno dei monumenti ecclesiastici di Ravenna.
Dal che ne uscì consolidata la nuova vòlta col sussidio di una
52 DEI RESTAURI EDILIZJ ASSISTITI DALLA CONSULTA ARCHEOLOGICA.
doppia fascia incrociata ad arco, ond'è che si ha la piena ade-
sione e consistenza del mosaico. Fra queste varie operazioni non
venne dimenticata l'assicurazione alla parete anche dei mosaici
aderenti ai sostegni verticali. I lavori, durati, quivi, per tutto
Tanno 1859, ebbero fine nel 1862.
Ommettendo, come abbiamo già detto, i lavori di minimo conto,
piccoli risarcimenti richiesti dall' ordine e della sicurezza dell' edi-
ficio, non possiamo chiudere questi cenni senza farci interpreti di
due sentimenti ben legittimi : il primo di riconoscenza verso monsi-
gnor Rossi, proposto parroco della basilica ambrosiana, per la co-
stante e viva sua cooperazione alla condotta dei lavori, e non meno
verso la Commissione Accademica, cui devonsi non solo le cure di di-
rezione e di sorveglianza di essi, ma anche le volontarie composizioni
e i disegni delle principali opere d'arte ivi introdotte: il secondo
sentimento è il desiderio che non vengano intermessi lavori così
ben inoltrati, poiché e il coro superiore attende il suo rinnova-
mento, e questo istesso richiede .un riparo appropriato, verso il
lato del presbiterio, e finalmente, le pareti tutte della ricomposta
basilica domandano, ad alta voce, la veste di nozze, la quale non
può essere loro apprestata che dall'arte del pennello.
G. MONGERI.
BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE.
Le ossa di Leonardo da Vinci. — Nel 1864 lavorandosi ad Am-
boise, nel piano dove staTa la chiesa di San Fiorentino, trovaronsi
frammenti d' una pietra sepolcrale ed ossa che si vollero credere
di Leonardo da Vinci. Napoleone III mandò a verificare il fatto, e
ordinò si collocassero le ossa in un monumento; ma presto tutto
fu dimenticato. Il conte di Parigi, ora tornato in possesso di quel
castello de' suoi avi, trovò quelle ossa riposte in un solajo, ed
ordinò fossero messe in un cofano di piombo, e questo in una cassa
di legno su cui è scritto: " Qui son unite le ossa raccolte nelle
ruine dell' antica cappella reale di Amboise, presso alla pietra sotto
la quale si suppone essere stato sepolto Leonardo da Vinci nel 1519.
Fatto secondo il desiderio di S. A. E. Luigi Filippo d'Orléans
conte di Parigi, il 1.° agosto 1874 „.
La cassa fu deposta sotto la elegante cappella gotica del ca-
stello, intitolata a S. Uberto, con questa iscrizione : " Sotto questa
pietra riposano le ossa raccolte negli scavi dell'antica cappella
reale d' Amboise, fra le quali si suppone trovarsi la spoglia mor-
tale di Leonardo da Vinci, nato il 1452, morto il 1519 „.
A ciò si riduce l'invenzione, di cui menarono rumore i giornali
di questi giorni.
Eicchissima di iscrizioni romane è la diocesi di Como, e la col-
lettanea ne fu fatta da Benedetto Giovio, che io possiedo auto-
grafa. Altri poi la illustrarono, giù fino all'Aldini e al Monti. Il
vescovo Carafìno ne fece una copiosa raccolta nell'episcopio, ma
trasportò 14 delle più preziose a Cremona. Poco tempo fa il conte
Francesco Giovio ottenne che le lapidi del palazzo vescovile fos-
sero donate a lui, che le collocò nelle Aedes joviae, insieme con al-
54 BIBLIOGRAFIA E NOTIZIE.
tre ivi raccolte da' suoi antenati. Morto però esso conte, si trovò
a caso fra le sue carte il dono ch'egli faceva di tutte alla città,
la quale cosi possederà una delle più belle raccolte di lapidi e
di monumenti antichi.
Non è chi ignori la scoperta, fattasi a Brescia dopo il 1823, d'un
tempio del 73 di Cristo e di mirabili avanzi d'arte romana, fra
cui nel luglio 1826 si trovò diligentemente riposta una statua
della Vittoria, in bronzo, di grandezza maggiore del vero e di opera
squisita. Il tempio fu ridotto a museo, che è uno dei più notevoli
di Lombardia. Asserisce il sig. Tiboni (Commentarj délV Ateneo di
Brescia pel 1874, pag. 14) che ^^ per copia di antiche iscrizioni,
Brescia non sia seconda a veruna città d' Italia, salvo Koma „ ; ma
non taceremo che il suo concittadino Labws scrisse che : " Milano
vanta monumenti antichi letterati più che non Mantova, Novara,
Bergamo, Lodi, Pavia, Cremona tutte insieme „ {Milano e suo ter-
ritorio, 11, 215). Con sussidj del Municipio e opera dell'Ateneo, nel
1845 pubblicavasi il Museo bresciano illustrato, edizione splendida,
che fu causa d'un misero pettegolezzo letterario. Le vicende sus-
seguite tolsero di pubblicare il II volume, che dovea contenere i
Marmi antichi bresciani classificati ed illustrati da esso Labus; a
delle mille e più lapidi, sole 183 stori(?he e sacre furono edite in
forma economica e in poche copie. Morto poi il Labus, cresciute
le esigenze dell'antiquaria e della critica, avendo la Germania
effettuato quel che la Francia avea proposto, cioè un Corpus In-
scriptionum' latinarum, nel quinto volume si posero le Iscri-
zioni latine della Gallia Cisalpina. L' illustre Mommsen avea col-
lazionate, per la regione XI, le iscrizioni bresciane, e ottenne
dalla E. Accademia prussiana che queste si stralciassero, formando
un volume distinto di Iscrizioni bresciane.
Al modo stesso, dal volume XIII dei Monumenta Historiae patriae
si estrarranno le carte relative a quella provincia, formando così
un codice proprio bresciano.
In quella provincia, al Campazzo presso Pontevico, si trovarono
moltissimi sepolcri, e fra questi una lapide romana.
C. C.
— - 1»
G. OTTINO, responsabile.
IL MUSEO PATRIO M ARCHEOLOGIA.
La Consulta Archeologica ebbe ad occuparsi, nell'adunanza del
giorno 28 novembre, intorno alla chiesa parrocchiale di Crescen-
zago. Qualche tempo innanzi, il reverendo parroco e la fabbrice-
ria di quella chiesa avevano inoltrato una domanda alla Consulta
per interessarla a rilevare lo stato di quell'edificio, e a prestare
il suo appoggio per realizzare, un progetto di riparazione, di cui
presentò il disegno. La Consulta ha delegato all'uopo una Commis-
sione, composta dei consultori architetto cav. Brocca e cav. Mon-
geri, la quale, dopo ispezione in luogo, rassegnò con un rapporto,
di cui fu data partecipazione nell'adunanza stessa, l'esito del suo
mandato.
In quel rapporto la Commissione, dichiarandosi anzitutto estra-
nea, per natura propria, alla trattazione che concerne le opere di
risarcimento ai tetti, e limitandosi a constatare le condizioni ar-
cheologiche dell'edifìcio, ricorda come la storia accenni ad una
probabile fondazione di quella chiesa, intitolata a Santa Maria
coir appellativo di rossa, nell'anno 1140, e ad un compimento o
a lavori intorno ad essa^ nel 1250. Le traccio architettoniche
danno indizio, infatti, di questo doppio periodo. L' iconografia
appare quella di una basilica a tre absidi, e a tre navi; gli archi
longitudinali che dividono queste ultime sono a pieno sesto, men-
tre gli archi trasversi, così della nave principale come delle late-
rali, si disegnano ad arco acuto; al pari girano i cordoni delle
crociere, in cui si comparte la nave centrale. Questi campi sono
nel numero di cinque, ed altrettanti grossi pili circolari li sosten-
Buìl. Cons. Arch. — An. I. 4
56 IL MUSEO PATRIO DI ARCHEOLOGIA.
gene per mezzo di altri minori pili a fascio impostati al muro, e
ascendenti dal piano superiore del capitello.
Una singolarità di questa costruzione sta in ciò, che teneva
delle finestrelle ad arco circolare nel muro della nave maggiore,
sovrastanti agli archi longitudinali, le quali valevano solamente
per la ventilazione e non per la luce, essendosi trovate aperte este-
riormente, tra l'inclinazione del tetto e l'estradosso delle volte
delle navi minori. Queste finestrelle sono ora murate.
Se si fa eccezione dell'intonaco onde per intero la chiesa è ri-
vestita, delle chiusure superficiali delle absidi minori, con che fu
accomodata quella a sinistra per servizio di sagrestia; finalmente,
se si escludono le fabbriche appoggiate ai lati esteriori della chie-
sa, che per nulla offendono l'organismo dell'edificio, questo si può
dire conservatissimo non solo, ma facilmente redimibile in guisa
da riaverlo coll'aspetto del XIII secolo, con piccola fatica e mi-
nimo dispendio.
Questa chiesa, già appartenente alla soppressa corporazione dei
canonici regolari di Sant'Agostino, è ora una dipendenza del Go-
verno.
La Commissione chiuse il rapporto accennando che nella chiesa
moderna si conservano nella prima cappella a destra tre preziose
tavolette del pittore Ambrogio Fossano, detto il Borgognone. ^
Nella stessa seduta, la Consulta deliberò l'acquisto di quattro
libri corali, ricchi di assai leggiadre miniature figurate e orna-
mentali, di proprietà della basilica Porziana di San Vittore al
corpo di questa città. Quelle miniature sono opera di artisti della
scuola milanese della prima metà del XVI secolo.
A. Caimi.
* Queste tavolette, che ora sono incrostate nel muro della prima cappella a destra di
cM entra, trova vansi già nella prima a sinistra, dove esiste un'iscrizione che la dice
fondata il 3 maggio 1403 dagli Scolari dei Canonici regolari. La centrale di queste tre
tavolette raflBgura santa Caterina, davanti a cui sta in ginocchio Gio. Marco dei Caponi,
canonico di S. Lorenzo, di cui corre sotto l'iscrizione, e che devesi credere il commit-
tente : a sinistra sta sant'Agnese con tre devoti, e del pari, a destra, santa Cecilia con
tre devoti.
LA CHIESA DI SAGGIO
Negli ultimi mesi dell'anno che sta per tramontare, il nostro
Museo accolse in una sola volta otto frammenti marmorei, prove-
nienti dal Comune di Baggio, modesto paesello un cinque chilo-
metri all'ovest della città nostra.
Di questi frammenti, pressoché tutti architettonici, cinque, dono
del Comune medesimo, appartengono alla demolita chiesa an-
tichissima del paese: sono, due capitelli di poco diversa misura
ma di diverso carattere, una base di stile jonico, e due fusti non
interi di colonna. Prima di arrestarci a considerarne l'aspetto, ci
occorre di volgere il pensiero all'edificio onde furono tratti, ricor-
dando in parte quanto sul medesimo argomento abbiamo altrove*
già detto.
Per rivedere ancora una volta cotesta chiesa quale giunse a
noi, importa risalire col pensiero poco meno che ad un anno fa. Era
un edificio povero e meschino nell'aspetto, e per di più sconnesso
e cadente; fuori, nessuna attrattiva architettonica, ma un pronao
quadrato sporgente a difesa dell'unica porta, nel quale erano evi-
denti i segni d'una costruzione della fine del XVIII secolo ; poi, a'
sinistra della fronte e alquanto staccata dal corpo della chiesa, una
poderosa torre quadrata per le campane, con piccole finestre ad
arco tondeggiante, rialzato all'imposta, cui, al casello superiore
dove gli archi si moltiplicano, stanno a sostegno, in luogo di capi-
telli, semplici e rozzi pezzi di pietra, quasi a modo d'architrave.
* Vedi La Perseveranza, N. 5419, del 27 novembre 1874.
58 LA CHIESA DI BAGGIO.
Ben altro, però, ne era l'aspetto dentro di essa: sentivasi di
subito che un edificio non spregievole per antichità e per forme
tipiche vi stava davanti, onde qualche cosa vi pungeva ad inter-
rogarne il carattere e le origini.
Il carattere era schiettamente quello di un'antica basilica cri-
stiana, da tre navi, con tre absidi e sei archi per lato, questi a divi-
sione della maggiore dalle minori navi, e il tutto sopra una misura
icnografica di M. 24 dalla soglia della porta al fondo dell'abside cen-
trale, asse longitudinale, e diM. 12, quello di traverso, da muro a
muro interno delle navi minori. Le absidi temevano forma quadri-
latera; perfettamente quadrata quella di centro ; le laterali, invece,
senza discostarsi dalle simmetrie medesime, a forma rettangolare,
con una piccola nicchia, o cavo nel loro fondo, ma riconoscibile tosto,
e riconosciuto ancor meglio nella demolizione, opera posteriore rita-
gliata nell'antica parete. Del pari, levando lo sguardo in alto e in-
torno, i segni di alterazioni e di manomissioni portate in tempi non
molto lontani, come quello del pronao avvertito sulla porta d'ingres-
so, erano manifesti. Sulla nave centrale stendevasi un soppalco piano
dal muro di fronte fin sopra la penultima colonna, verso l'ingresso.
Quivi, nel vuoto lasciato, sebbene impedito dall'organo, potevasi scor-
gere una finestrella ad arco tondo, e se fosse stato possibile per-
correre la parte superiore del soppalco, sarebbesi veduto che altre
simili finestrelle ad arco tondo sull'alto della parete e tutte al
livello medesimo pendevano sul centro di ciascuno degli archi. Il
lume, così int-ercettato all'alto, veniva dato, invece, da tre finestre
rettangolari per lato, aperte nei fianchi delle navi minori, e anche
da due tagliate nel muro di fronte : oltre di che, codeste navi mi-
nori correvano, siccome la centrale, coperte da soppalchi poco meno
di un metro più alti del sommo delle arcature longitudinali.
Il contrasto tra queste ultime forme costruttive e le antiche trac-
cie visibili 0 coperte, riusciva molesto e colpiva. Due tempi, per
non dire due stili d'arte diversi, anzi contrarj, vi si davano di cozzo.
Le induzioni, però, circa quello che era stata la prima costruzione
e quanto fosse avvenuto posteriormente a snaturarla in quel modo
che pareva, tornavano facili e spontanee, e così il tempo in cui le
alterazioni avevano avuto effetto, cioè, quello che abbiamo detto,
tra la fine del secolo XVII e il principio del seguente.
Queste alterazioni, esteriormente, si traducevano nelle coperture
LA CHIESA DI BAGGIO. 59
del tetto a due soli versanti, laddove in origine doveva aversene
quattro, i due più alti costituenti la difesa della nave centrale, e
i due più bassi, con inclinazione parallela ai primi, sulle navi mi-
nori. Anche le finestre, di fuori, avvertivano che una mano impe-
rita e profana aveva attentato all'integrità della prima costruzione
col resto, e si univano a infondere maggiore la persuasione acqui-
stata internamente che queste finestre rettangolari erano venute
a sostituirsi alle prische e alte finestre della nave centrale : anzi,
più che probabile, pareva certo che in occasione siffatta disparvero
gli antichi cavalietti del tetto, non che quelli di rinfianco alle
navi minori, privando così l'edificio d'uno dei principali caratteri
che ne distingueva l'originalità \
Quello che rimaneva d'integro non era nemmanco tale da la-
sciare l'osservatore senza dubbiezze. E cotesto parti si riducevano
al telajo degli archi combinato colle colonne, onde la chiesa an-
dava tripartita. Quivi, il disordine si manifestava non che antico,
originale. I capitelli non correvano sulla medesima orrizontale, e
quanto essi guadagnavano in altezza, altrettanto era loro scemato
nel pièritto d'appoggio dell'arco, onde questi avevano l'aspetto di
archi zoppi: di più, colonne e capitelli non dissimulavano quello di
cose in parte offerte da fortuite circostanze, perciocché, sebbene i
capitelli arieggiassero le simmetrie corinzie e sebbene inchiusi entro
lineamenti esteriori pressoché eguali, pure alcuni tenevano la forma
del corinzio romano del tempo della decadenza, colle foglie d'a-
canto a due ordini sul giro, col doppio caulicolo sulle diagonali,
e questi caulicoli sporgenti sotto la proiezione della tavola mozza
sull'apice curvilinea, colle fronti modonate e intagliate sul labbro
e ornate del solito fiore, mentre gli altri capitelli, simulanti le me-
desime disposizioni e il medesimo aspetto, portavano foglie di un
carattere affatto diverso : per questi non era più la convenzionale
foglia d'ulivo dei monumenti ellenici, né quella dell'acanto ro-
mano, ma quella dei cardo selvatico, che tiene bensì, in più d'un
punto, somiglianza coll'acanto, ma vedesi soltanto accolto nella de-
corazione architettonica dei monumenti longobardi, e fin anche in
• La maggior parte di queste condizioni si può ancor desumere dai rilievi grafici del-
l'edificio, tratti prima del suo atterramento, e gentilmente dall' ingegnere architetto Al-
fonso Rosa concessi in dono alla Consulta del Museo Archeologico.
60 LA CHIESA DI BAGGIO.
quelle dei più eletti edifìcj del rinascimento italiano. Come gli ar-
chi, come i capitelli, così anche le colonne, benché accomodate a
simmetria, lasciavano in vista un accoppiamento ben altro che scru-
poloso e perfetto, imperocché altre erano di cipollino nostrale, e
tenevano l'aspetto chiaro, opalino quasi, di questa specie di marmi,
laddove altre di un granito bigio-scuro cristallino, ^ piuttosto che
da escavazioni regolari tratte da massi erratici, confermavano il
supposto d'una edificazione negligente, scorretta, affrettata; e non
è da ommettersi che di codeste colonne, più d'una di quelle di
marmo cipollino stavano doppiamente e anche triplicatamente cer-
chiate d'anelli di ferro, assicurazione della loro prevalente antichità,
e insieme di quella poco confortante loro solidità, che, congiunta
al resto, respingeva il visitatore dall' arrestarsi entro quel recinto.
E, per vero, se ne aveva ben donde: tutto minacciava un im-
minente sfacelo, e nell'atterramento questo parve ancor più sovra-
stante e spaventoso, che non furono trovate fondamenta di sorta
alla già mal assestata compagine. Né è, quindi, da fare le meravi-
glie se da lungo tempo il Comune pensasse alla sua ricostruzione,
e insieme anche al suo ampliamento, pari al cresciuto numero
della popolazione; impresa la quale venne, infine, risolta e afiidata
all'ingegnere-architetto Alfonso Eosa, che vi pose mano nel decorso
maggio.
Noi, qui, beù diversa preoccupazione assale. Non ci è lecito aver
assistito allo smantellarsi d'un edificio siffatto senza domandarci
almeno quando e come esso sorse. È tale questa domanda cui più"
che arduo sarà impossibile rispondere con positive assicurazioni,
ma, in nome della scienza, noi sentiamo l'obbligo di farlo davanti
al cumulo delle rovine e alle recenti loro memorie. Che se nulla
0 ben poco ci sarà dato di raccogliervi intorno, gioverà, se non
altro, vagliare a fondo le credenze finora trascinate inconscia-
mente dalla tradizione.
* Ad esempio di ciascuna specie di questi capitelli e di queste colonne stanno quelli
depositati nel Museo Archeologico. Il capitello dalle foglie d'ulivo ha per misura cen-
timetri 52 d'altezza, cent. 34 di diametro al nascimento o punto d'appoggio sulla co-
lonna, e cent. 65 al lato della tavola : l'altro capitello tiene le corrispondenti misuro
in cent. 53, altezza; cent. 25,5, diametro al nascimento, e cent. 57, larghezza massima
della tavola. La base misura cent. 20 d'altezza. La colonna di cipollino di cui l'altezza
è meglio conservata, raggiunge metri 2.70.
LA CHIESA DI BAGGIO. 61
Ed è, infatti, la sola tradizione che, qui, ci avanza. Passa ormai
fuori di discussione che questa chiesa sia stata fondata dal celebre
Anselmo da Baggio. Ma se ci facciamo a ricercarne le testimo-
nianze dirette, fosse pure una sola e d'ordine minore, l'afferma-
zione ci sfuma tra le mani. Lo scrittore più autorevole che, primo,
la mette innanzi è l'Argelati \ Dopo avere parlato d'un'altra chiesa
fondata in Milano dal medesimo Anselmo, aggiunge: Aliam, item,
posiiit ecclesiam cum animarum curatione sancto Apollinari sacram
in oppido Badagli, ecc. Per giustificarsi di questo freddo annuncio
cita delle testimonianze verbali dell'abate Fusio, dell'amico cano-
nico Irico e del giureconsulto Sitoni: l'ultimo di questi, invece,
nella sua cronaca del Collegio dei Giusperiti, non ne dice verbo ^.
Il Giulini ^ nel riferire la medesima tradizione, si scioglie eviden-
temente da ogni responsabilità, appoggiandosi all' Argelati, sog-
giungendo insieme che le carte citate da costui non erano state
da lui vedute, e per noi è chiaro già che quegli non ne cita alcuna.
Né raccogliamo gran conforto a persistere in siffatta opinione dal
teologo Marocco, nella recente sua storia d'Alessandro II ; ^ il
quale ne tocca parola appena incidentalmente, e inoltre chiama
la chiesa un' abbazia di Baggio, e dice questa fondata da Alessan-
dro, fino al 1628 officiata dagli abati, e ceduta poscia al Comune
da un Anselmo della famiglia dei Baggi, per uso di chiesa parroc-
chiale; senza avvedersi che intorno a ciò cade in disaccordo colle
affermazioni dell' Argelati, senza, in onta alla critica storica odierna,
impugnarle direttamente, e senza, per la propria, addurre giusti-
ficazione di sorta. Su tanta vertenza non un soccorso ci viene da
molti scrittori citati dallo stesso Argelati che direttamente o in-
direttamente fecero parola del detto pontefice, e specialmente,
nemmeno da coloro tra essi, come sono i milanesi, che dovevano
tenerne conto ; quindi nò il Besozzo, ^ né il Bosso, ® né il Cari-
' Akgelati. Bihliotheca scriptorum mediólanensmm. Mediolani. 1745. Tomus II: pars
altera : C. 1936. 1937.
* JoH. DE SiTONis. Theatrum equestris nohilitatis secundce Bomce. Mediolani, 1706, p. 103.
' Giulini. Memorie spettanti alla storia e al governo della città e campagna di Mi-
lano. Nuova edizione. Milano. 1854. Tomo IL p. 369.
'Marocco teo. Maurizio. Storia d'Alessandro IL Torino, 1858. p. 244.
5 Besozzo Gio. Francesco. Istoria pontificale milanese, Milano, 1626. pag. 149.
^ Bosso VetbxssJPavJjVS. Marti/rologium Mediolanensis Ecclesice, etc. Mediolani, 1695,
p. 54.
62 LA CHIESA DI BAGGIO.
sio:^ sebbene il primo, ed egli soltanto, ricordi la costruzione, nel
1065, di quella di S. Ilario. Per conto nostro poi, non abbiamo
mancato di interrogare il Ciaconio, lo storico più ampio e più di-
ligente dei pontefici^, e i manoscritti Fagnani sulle famiglie mila-
nesi, posseduti dalla Biblioteca Ambrosiana, al certo, più copiosi
e diremmo completi repertorj delle gesta delle famiglie della città
^nostra; ogni cosa, però, senza frutto.
Contuttociò, non può essere senza importanza l'avvertire che,
poche pagine prima di concedere ad Alessandro II cotesta fabbri-
cazione, e come parve, per intero sulla responsabilità dell'Argelati,
il Giulini^ ci mette sull'avviso, senza formularlo schiettamente,
che la chiesa si trovasse già eretta e che fosse stata donata, nel 1004,
dall'arcivescovo di Milano, Arnolfo II da Arzago, al monastero di
S. Vittore. Ciò, gli emergeva nel trattare d'un memoriale sopra
una contesa portata davanti all'imperatore dall'abate Arderico del
monastero medesimo, il quale vi esprimeva i travagli ond'era vit-
tima appunto dal canto dello stesso Anselmo da Baggio, allora or-
dinario della metropolitana, e della sua famiglia, per una decima
sopra un luogo — senza dir quale — dove il monastero teneva un
villino e la basilica ivi esistente, venutigli in dono entrambi dal no-
minato arcivescovo; mentre su di essi vantavano pretese i Badagi,
i quali, a titolo di signori della plebanìa e, ivi, di molti beni rurali,
si erano fatti a devastare le proprietà del monastero. Il Giulini
soggiunge, poscia, che la plebanìa indicata non altrimenti, che come
la più vicina al monastero, doveva essere quella di Cesano (oggi
Cesano-Boscone), nella quale, infatti, i Badagi avevano giurisdizione
di capitani, ed in cui era compreso la terra di Baggio ; ond'è che
lascia credere, che la basilica in contestazione non fosse altra
quella di Baggio. Possiamo noi arrestarci a questa coincidenza di
fatti, per accettare che la basilica sia la stessa chiesa in questione,
e fabbricata, fors' anche, dall'arcivescovo Arnolfo? Confessiamo che
l'accomodarvisi ci pare oltremodo arrischiato. E però singolare che
vi si parli d'una basilica, mentre la chiesuola di Baggio possiede,
appunto, come vedemmo, tali caratteri.
* Carisio Gio. Battista. Diario Sacro e perpetuo, ecc. Milano, 1724.
* Ciaconio Alfonso, colla 'revisione dell'OLDOiNi. Vita e gesta dei romani Pontefici
e dei Cardinali di loro nomina, ecc. Roma, 1677. Tomo I, p, 834.
» Giulini, Op. cit., pag. 361.
LA CHIESA DI BAGGIO. 63
Al cospetto di questo aggrovigliamento di contraddizioni e di
dubbj, se la via della storia ci è chiusa, facciamo di penetrare fino
alle origini del monumento per la via dell'arte. Credere che la
chiesa di Baggio sia stata fondata da un metropolita della Chiesa
milanese, dove manca il primo argomento materiale e morale, le
sostruzioni, ci pare così decisivo da rifiutarcene il supposto : tanto
più codesto criterio deve valere per Anselmo da Baggio, assunto
al pontificato sotto il titolo di Alessandro II. Se spingiamo lo
sguardo fino alla città di Lucca, dove, essendone egli vescovo, mise
le fondamenta della cattedrale di S. Martino, che consacrò dap-
poi egli stesso, fatto papa, se la poniamo a confronto colla nostra,
nessuna relazione, nessun indizio il più piccolo che ne permetta di
pensarlo, nonché di crederlo, messe pure in bilancio le differenze
che devono naturalmente intercedere tra una chiesa cattedrale di
una ricca e celebre città e quella d' un umile ed ignoto villaggio,
tuttoché questo villaggio sia stato quello che aveva dato i\ titolo
al casato suo, e dove i suoi padri vissero ed esercitarono i diritti
di Capitano, estesi a tutta la pieve di Cesano. Poteva, invero,
un'opera religiosa come questa venir riguardata con così poco af-
fetto e così scarsa liberalità da un suo conterraneo, elevato alla
dignità pontificale? Infatti, la cattedrale di Lucca, opera piutto-
stoché di architetto fiorentino od italiano, di architetto oltreal-
pino, non solo non si connette per forma qualsiasi con quella di
cui scriviamo, ma splende per sontuosità e per singolare squisi-
tezza d'arte.
Un argomento ci viene manco anche da un altro lato, e che
avrebbe potuto giovarci non poco come elemento di comparazione.
La famiglia di Baggio, una delle maggiori della città, aveva la pro-
pria abitazione nei pressi della chiesa di S. Giovanni alle quattro
faccio (antico tempio di Giano) ; anzi, un Landolfo da Baggio, pro-
posto dei Frati di S. Ambrogio, nel 1096, ne era il possessore. Dove
precisamente fosse, il Giulini ce lo tace, benché dica che al suo
tempo, vi avesse ancora lo stemma della famiglia innestato nel
muro, oggi perduto. ^ Altri lo dice, e pare davvero, che occupasse
* Lo stemma dei Baggi portava in campo rosso una bianca fascia orizzontale con
stella rossa nel mezzo: nella sezione superiore due bande azzurre che lo trinciano in
tre, e in quella inferiore due quercie d'oro.
64 LA CHIESA DI BAGGIO.
l'angolo tra la via del Lauro e Fattuale piazzale Oriani, estenden-
dosi fino alla via, altre volte del Baggio, o dei Baggi, oggi allo sbocco
del Ponte Vetero.^ Certo è, secondo Landolfo il giovane, che Anselmo
da Baggio vi aveva fatto edificare un oratorio dedicato a S. Ilario.
La disparizione di quest'ultimo, primamente costituito in com-
menda, e avvenuta nella seconda metà dello scorso secolo, ci ha
tolto, adunque, un elemento per riconoscere lo stile proprio del
tempo e del genio d'Anselmo, come quello che doveva riscontrarsi
pure nella chiesa ora demolita. Però, da questa menzione si può
dedurre che lo scrittore del -XII secolo, meglio di molti altri, non
avrebbe dimenticato la più importante chiesa di Baggio, se real-
mente fosse stata costrutta e fondata da Alessandro II, come lo fu
quella di S. Ilario.
Codeste considerazioni ci condurrebbero a mettere fra le cose
meno probabili la tradizione mentovata, ammettendo ben volen-
tieri che sia stata invece largamente dotata dal milanese ponte-
fice, sotto cui facilmente si ridusse in seguito alle controversie del-
l'abate Arderico, patronato che si continuò dalla discendenza di
lui, perciocché, secondo il Giulini, durava ancora al tempo suo, che
è come dire, a metà del passato secolo.
Postici su questa via, ci si dimostra più naturale il veder nella
chiesa di Baggio una di quelle costruzioni di chiese rurali, come
accadeva alla fine del X secolo, messa su alla meglio coi frammenti
che si avevano sotto mano, a spese dei terrieri o di qualche timorato
ma gretto contribuente, ancor sotto la paura della vaticinata fine del
mondo, tanto da non prendervi cura delle fondamenta. Una parte
dei capitelli ben può, infatti, essere l'opera di cotesto tempo, non
così quelli che hanno più spiccata forma dell'arte romana, ben-
ché della più infima decadenza. Quello, pertanto, che quivi possa
essere accaduto tra il V e il X secolo poco gioverebbe fantasticare
per renderci evidente come gli uni si trovassero accostati agli altri.
Certo è, che se mai fuvvi edificio che meritasse il titolo di costru-
zione frammentaria, è questo. Se poi si considera che il suo titolo
cristiano di S.*° Apollinare, ci richiama, per forza di associazione
* Già presso al luogo dove è la casa Jacini al n. 1. Questa chiesuola durò in possesso
della famiglia Baggi fino al 1500, dopo di che venne tramutata in commenda, e durò
tale fino alle soppressioni giuseppine.
LA CHIESA DI BAGGIO. 65
di idee, a qualche tempio del paganesimo dedicato al sole, non
v' ha chi non veda fin dove la induzione, senza violenza di sorta,
ci condurrebbe.
Gli altri tre frammenti marmorei, entrati nel Museo coi cinque
che ci hanno fornito materia alle precedenti parole, non offrono
al certo argomento di tante osservazioni: due anzi, un capitello
della seconda metà del XVI secolo e una lapide spezzata con una
incompleta iscrizione latina, ebbero ospitalità per quell'interesse
fortuito che talvolta acquistano nell'incontro con altre scoperte.
Non così diremo del terzo oggetto, sebbene per sé stesso di lieve
significanza.
Esso è un capitello di pilastro, di cui lo stile rivela l' epoca del
risorgimento architettonico in Lombardia, vale a dire l'ultimo
ventennio del secolo XV. Due foglie d' accanto ne tengono gli spi-
goli, e nel seno del prospetto rileva l' insegna dell' ordine Olive-
tano. Cotesta insegna non manca di solleticare la curiosità, tanto
più dopo che si vide come i diritti del monastero di S. Vittore
al corpo si estendessero fino a Baggio. Il fatto è che gli Olivetani
vennero, invece, a S. Vittore da Baggio, nel 1542, dove in origine
ed appunto per istituzione dell'arcivescovo Arnolfo, erano stati
quattocentosessant' anni i padri di S. Benedetto. I monaci di San-
ta Maria in Oliveto furono installati a Baggio, il 25 luglio 1400,
dal milite Balzarino Pusterla, milanese,^ reduce da Cipro, ov'erasi
recato per commissione di Giovanni Galeazzo, e donde, spintosi fino
in Palestina, ebbe ad ammirare la vita semplice e austera che vi
menavano i religiosi del monastero d' Accona o di Monte Oliveto.
Balzarino Pusterla condusse seco alcuno di que' padri, e loro fab-
bricò chiesa e convento nel luogo di Baggio, probabilmente sul
terreno dei vecchi possessi donati da Arnolfo ai monaci di S. Vit-
* Balzarino Pusterla teneva la sua abitazione in Milano lungo la via della Palla, ora
parte della via Torino, precisamente dicontro allo sbocco in questa della viuzza di Valpe-
trosa, al n. 29. L'alta torre demolitavi, nel marzo-aprile 1874, era appunto la casa di lui,
la quale, lasciata in legato ai nipoti Giacomo, Maffiolo e Lanzerotto dei Pusterla, con
testamento in data 25 luglio 1400, non escludeva in costoro l'obbligo di rispettare l'usu-
frutto a favore dell'unica figlia Caterina di alcune parti dell'edificio. E questa una
conferma di più dell'esistenza in questa parte della città delle case dei Pusterla, le
quali si estendevano fino a comprendere l'attuale albergo della Gran Bretagna, spo-
gliato due anni sono degli eleganti capitelli anticbi che ne adornavano la corte, e die-
tro al quale corre ancora il vicolo Pusterla.
66 LA CHIESA DI BAGGIO.
tore, e ivi volle essere sepolto. Il monastero di Baggio ebbe larga
concessione di privilegio da Filippo Maria Visconti, confermato nel
1534, di godere dei beneficj degli statuti della città. Chiesa e casa
religiosa vennero soppresse nel 1773, ma ancor rimangono alcune
parti di quest'ultima, fatta di privato possesso, e abitata da villici.
Gli avanzi mostrano una costruzione robusta e caratteristica, senza
essere gran che sontuosa. Il capitello fu ivi raccolto: esso lascia
supporre che anche un secolo dopo la sua fondazione, non vi difet-
tassero lavori di abbellimento. Altri avanzi del prisco monastero
vi giaciono tuttavia, come capitelli, lapidi, ecc., che non giovò
domandare, o non fu possibile ottenere.
G. MONGERI.
FRANCESCO EIO.
Non è giusto che in Italia non trovi pur una commemorazione
uno scrittore, che tanto delle cose italiane si occupò. Alessio Fran-
cesco Kio, nato ed educato in quella gagliarda Bretagna francese,
e, come i suoi, devoto alla monarchia, dopo un racconto della
Petite Chouvanérie alla quale aveva preso parte, fece un Essai
sur Vhistorie de V esprit humain dans Vantiquité (Paris 1829), scor-
rendo r enciclopedia con quel corredo di cognizioni, eh' è più fa-
cile raccogliere ne' convegni di Parigi. Nel 1829 venuto a Roma al
seguito del marchese La Ferronay ambasciatore, vi trasformò le sue
idee, e a 44 anni pubblicò il libro Poesia cristiana nel suo principio^
nella sua materia , nelle sue forme. L'intento era di esaminar l'arte
dal lato principalmente dell' idea, del concetto, dell' aspirazione,
ripudiando quel che, nel linguaggio d'allora, intitolossi paganesimo,
cioè l'idolatria dell'esecuzione, della tecnica; e mostrando come
l'arte venisse avvantaggiata dalla fede, e la cristiana abbia un
tipo suo proprio; ed esservi un ordine di bellezze che non può
comprendersi fuori del cristianesimo. Non faceasi dunque storico
dell'arte, ma porgeva, oserei dire, un organo nuovo, pel quale
apparivano non solo in diverso aspetto, ma quasi come una sco-
perta le scuole dell'Umbria e di Siena, i predecessori di Raffaello,
la mistica ispirazione che precedette i congegni dell'arte. Questa
unità di principio e superiorità di veduta costituiva l' originalità
del libro di Rio.
68 FRANCESCO RIO.
In quel primo volume attribuiva gran parte alla riforma che
fra Gerolamo Savonarola tentò introdurre fra i pittori fiorentini,
spingendola fino a quel sacrilegio, imperdonabile dalle scuole, di
bruciar le pitture disoneste, i libri osceni, i giuochi. Io pel primo
lo feci conoscere in Italia sopra un giornale milanese, e di là co-
minciò un'amicizia, che durò fino agli estremi di sua vita.
Venne egli a Milano primamente nel 1831, e frequentò quella
casa, dove sì scarsi erano ammessi i nostrali, e dove ogni fore-
stiero desiderava esser presentato. Il giorno dopo veduta quella
splendida solennità, ch'era fra noi il Corpus Domini, scrivea nel
suo libretto : J'ai quitte Milan sans avoir une idée hien nette de
ses monuments, je me suis procure d'autres jouissances : fai heau-
coup vu Manzoni, dont fai été encJianté.
Fu qui di nuovo la primavera del 1834, nel viaggio di nozze, e
anche allora scriveva sul suo libretto una pagina graziosa su quella
famiglia di otto figliuoli, da poco tempo orbati della madre, e con
un padre si eminente si admirahìe, et alors triste encore à cause
de la recente mort de sa femme; con quella nonna si distinguée,
si attrayante.
Più lunga dimora fece tra noi il 1845, studiando i nostri mo-
numenti artistici.
E poiché applicazione principale della sua vita faceva l'estendere
e ripulir via via il suo lavoro, pel quale aveva ottenuto fama nel
mondo letterario, nel 1864 volle rivedere i capi d'arte di Koma
e di Toscana, e lungamente lo frequentammo a Firenze, allor di-
venuta capitale.
Con tali cure riprodusse l'opera sua, semplificandone il titolo in
De Vart chrétien, nouvelle édition, entièrement refondue et considera-
Uement augmentée (Parigi, Hachette, 1867 e segg.), e compiendola
col discorrere delle differenti scuole, fra cui la milanese. Speciale
studio vi fece su Leonardo, e quel brano venne stampato a parte,
e anche tradotto in italiano.
Come Montalembert colla Santa Elisabetta e coi Monaci d'Occi-
dente ridestava la riverenza per l'ascetismo, così Rio rimetteva in
credito l'arte cristiana, onde il suo criterio riesce diverso da quel
dei soliti accademici. Per esempio, nella scuola veneta (della quale,
come della romana, tratta nel volume IV e ultimo), careggia le
tradizioni popolari sulle origini, sui varj casi della Eva dell'Adria^
FRANCESCO RIO. 6^
tico, e le leggende che non mancavano colà a nessuna famiglia, a
nessuna chiesa, a nessun convento, parte indigene, parte recatevi
dall' Oriente, come se ne recavano cimelj e colonne e tavole e
statue. A quelle tradizioni ricorsero spesso i pittori, le cui opere
sono la maggior parte ispirate dalla religione e dall'amore di pa-
tria, sentimenti che primeggiano in quella maraviglia che è il Pa-
lazzo Ducale. Lo Squarcione, il Mantegna, i Yivarini, i Bellini, il
Cima, il Carpaccio seguirono tali ispirazioni, fmchè il Giorgione
preferi soggetti guerreschi, che presto prevalsero; poi venne la
grande età di Paolo, dei Palma, del Pordenone, del Tintorotto,
e principalmente del Tiziano, che, per cattivare l'opinione dol bel
mondo e attirarsi le lodi dell'Aretino, del Vasari, de' Michelan-
gioleschi, sarebbe caduto nella maniera, so non gli si fossero mol-
tiplicate le commissioni devoto. Per questo riusci sommo nei Frati
Minori coWAssunta, e nei Domenicani col ^S'. Pietro Martire a
Venezia, e a Milano per la Coronatone di spine nelle Grazie,
presso alla Cena di Leonardo; quadro che no fu rapito dai libera-
tori nel 1796, e cambiato con un'infelice copia nel 1815. Ma già
allora era cominciata quella depravazione ' cho condusse uno al
Baffo, al Casanova, alle vergogne del 1797, e agli obbrobrj non
meno tristi per gli oppressi che per gli oppressori.
È conseguente il signor Kio se preferisce Raffaello a Miche-
langelo ; e nega eh' egli perisse per isregolatezze, come oggimai è
provato.
Del Rio abbiamo anche ShaJcespeare catholiqtie, ove rivendica al
cattolicismo quel sommo, di cui vorrebbero farsi belli i Riformati ;
e Les quatre martyrs (1856), che sono Filippo Howard martire
della verità; Ansaldo Ceba martire della carità; Elena Cornaro
martire dell'umiltà; Marcantonio Bragadino soldato martire.
Ultimamente pubblicò un Épilogue de l'art cJirétien, ove rac-
conta la storia de' suoi pensieri e della sua vita privata e pub-
blica, con preziose particolarità sovra i personaggi con cui ebbe a
fare, e principalmente Montalembert e quella eletta società di
signori francesi, dimorante a Roma, che fu resa celebre dal Bécit
d'une soeur.
Col quale Montalembert era egli legato fino nel 1826 in un'ami-
cizia, non alterata dal tempo e delle vicende. Nell'ultima malattia
di questo, io potetti portare dal letto dell'uno a quel dell'altro le
70 FRANCESCO RIO.
affettuose espressioni e le consolanti speranze ; e Montalembert mi
diceva : " Io gli son tanto riconoscente perchè in noi giovani egli
manteneva l'entusiasmo „ .
Infatti il suo colloquio era ispiratore, fecondo, nutrito da infi-
nite reminiscenze, da una memoria stupenda, dalla pratica di molte
lingue.
Da molti anni paralizzato nelle gambe, restò sempre colla mente
serena e coll'anima rassegnata, sostenuto dalle affettuose cure della
ottima moglie e di due eccellenti figliuole; sinché il 16 luglio, di
78 anni, incontrò la fine di chi muore sperando.
C. Cantù.
L'EPIGEAFE DI TEEBIO.
La spiegazione datasi in questo Bollettino (pag. 42) della iscri-
zione trovata testé in Milano, e di cui alcune frasi si diedero
per inesplicabili^ non soddisfece il chiarissimo A. Ronchini, so-
prantendente degli Archivj Emiliani, che ne scrisse a Cesare
Cantù :
. . . Ecco il concetto, che, dopo la lettura dell' Epigrafe, mi son
formato delle cose quivi esposte.
Un Lucio Trebio ebbe due mogli, la prima delle quali, Septicia
Maura, ei perdette dopo trentotto anni di matrimonio. Prima o
dopo la morte di lei, Trebio affrancò quattro schiavi giovanetti,
che aveva in casa, chiamati Chryseros, Benigna, Felicita e Po-
stumia, i quali morirono essi pure. Passato a seconde nozze con
una Flamia, anche questa gli venne meno. Ora egli eresse alla
memoria di tutti costoro un marmo sepolcrale coli' iscrizione so-
vr' accennata. Figuriamoci una parete, con infissa questa iscrizione,
a' fianchi della quale siano tanti loculi quanti i defunti. A destra
del marmo stava sepolta in alto la prima moglie, e sott'essa i
quattro liberti appajati; cioè a dire due sopra una linea e due
sopra un'altra orizzontalmente. A sinistra poi giaceva solitaria la.
moglie seconda.
Ciò premesso, passiamo a riferir l'Epigrafe, che chiamerò se-
BiHl. Cons, Arch. — An. I. 5
72 l'epigrafe di trebio.
mipoetica, togliendone le abbrevicature e i nessi, riducendola a
corretta interpunzione, e traducendone alcuni passi.
JDiis Manihus.
Vivus feci Lucius Trehius Divus Septiciae Maurae conjugi ca-
rissimaCj quae vixit mecum annos XXXVIII, menses F, dies XIIL
HiCj uhi lihertos arta[vi]meos (et cesserunt fatis^ mea damna^
priores), Me jacet. Ella giace qui; qui dov'io raccolsi o rincbiusi
(ardavi) i miei liberti (ossia le loro ceneri), i quali, per mia mala
ventura, morirono prima di me.
Indigna consumati morte, novati Me jacent quatuor, una manu-
missi die, et (jacent cum] conjuge cara miM \scilicet'\ :
1. Lucius Trehius Chry seros, qui vixit annos XVIII, menses F,
dies YIIL
2. Benigna (vixit annos F, dies XXII).
3. Felicitas (vixit annos IV, meìises II, dies XI).
4. Fostumia (vixit hiennio, dies Vili).
Heu me miserum, qui tot crudelia funera feci! Nocte die-
que fleo. Post Jiaec plus non potui praestare meis, quam aeternam
domum, prò parte mea. 0 quantus dolor est (quod miserum cogit
pectus) haec ferre patronum ! Qual dolore per un padrone il sop-
portar queste cose ! ecco ciò cbe mi stringe il cuore.
Fost haec adjuncta est miM Flamia conjux. Laeva parte stat
juncta : pares liberti dextra [stanf] sub conjuge priore p>ia. Alla de-
stra stanno appajati {pares) i liberti sotto alle ceneri della prima
mia moglie,' che mi fu tanto amorevole.
Yos qui legitis, amici, jam specto [dum] veni[a]t illa dies, in
qua stat ille tyrannus, qui me transponat ad illos.
Privato di tutti i suoi, egli si volge agli amici, sperando da loro
un conforto fino al giorno ultimo del viver suo.
Tra le cose da notarsi è l'affetto che L. Trebio dimostra ripe-
tutamente verso la prima moglie, chiamandola cara, carissima e
pia, mentre della seconda non dice verbo di lode.
Quanto alla filologia, occorrono due voci che si direbbero nuove,
nel senso in cui mi sembrano usate. Artavi (se pur la lezione sta),
equivarrebbe a coegi, e, al pari di questo verbo, avrebbe il signifi-
cato di raccogliere, unir insieme. In un senso affine Orazio usò il
verbo coMheo (I. Od. XXVIII). Te maris et terree Mensorem
coMhent, Archyta, Fuveris exigui Munera. Ne faccia grande
l'epigrafe di TREBIO. 73
ostacolo VArtare per Arctare, avendosi fra gli altri l'esempio di
Plauto (in Captivis, Act. IL se. 2) : fortuna humana fingit, artatque
ut hihet.
Novati poi (participio passivo sostantivato di novare) esprime-
rebbe individui trasmutati dalla condizione servile alla nuova di
liberi: uomini condotti a vita novella, e per così dire rinnovati, o
rifatti civilmente, mediante la manumissione. La quale ebbero
tutti quattro in un sol giorno (una manumissi die).
Dopo tutto ciò, non so vedere come nel preambolo posto dal
Bollettino milanese a questo curioso titolo possa asserirsi che
L. Trebio perdette colla moglie parecchi figli, dopo aver sepolti i
liberti in una medesima tonila
IL BATTISTERO DI AGLIATE.
I giornali che esortavano la nostra Consulta Archeologica a farsi
sentir viva con interessarsi pel battistero di Agliate, ignoravano o
dimenticavano l'articolo che in proposito fu pubblicato in questo
stesso Bollettino, pag. 1 1 ; e la visita che ripetutamente essa Con-
sulta vi fece, d'accordo col chiarissimo conte Mella di Vercelli, e il
restauro sollecitato dal reverendo Vitaliano Rossi. Questi, il 9
passato novembre scoperse un guasto rilevante nella parte supe-
riore esterna verso levante. Trovati i mezzi per riparare immedia-
tamente al pericolo di più grave guasto e ai danni del tempo anche
nella parte esterna delle tre absidi della basilica, si iniziò il ri-
stauro generale. Per prima operazione si isolerà completamente il
battistero dai rustici della casa parrocchiale e dalle sopracostru-
zioni della sagristia.
E già nei primi saggi di esplorazione erano apparsi la porta
primitiva d'ingresso a ponente, colla soglia a 55 centimetri di-
sotto dell'attuale pavimento di mattoni; di poi il pavimento pri-
mitivo di tufo levigato, inclinato verso il centro; la vasca etta-
gona primitiva a fondo marmoreo, assai vasta; entro questa una
vasca minore, circolare, di posteriore costruzione, nel centro della
quale nel 1755 fu infissa una colonna, tolta alle navate della ba-
silica, che porta sul capitello la vaschetta che or serve al bat-
tesimo.
IL -BATTISTERO DI AGLIATE.
75
. Apparvero pitture ornamentali sui lati dell'abside, ed esterna-
mente, presso la porta antica d'ingresso, una lapide coU'iscrizione
injcarattere de' bassi tempi, cosiffatta:
CaR
A
T
E
Le spese del lavoro già incominciato, finora non sono sostenute
che da offerte private dei signori Tulio Massarani, Tiberio Crivelli,
Barbò Albertoni, e d' altri generosi amatori dell' arte religiosa e
patria; fra cui primeggia il nostro Arcivescovo.
ANTICHITÀ SICILIANE.
La Società di storia patria siciliana stabilì di stampare i monu-
menti che si vanno scoprendo. Giuseppe De Spuches pubblica ap-
punto una Beiamone su dlcimi oggetti archeologici (Palermo 1874,
con tavole), fra cui notiamo:
I. Una iscrizione bilingue
Hic jacet dna Awu/C'Aa yT^uz-sfiico (sic)
e j unta zi\)^i nasoni.
Cioè: " Qui giace la signora Lucila. Son congiunta al dolce Na-
sone „.
IL Una che dice
0 K
riAE ATKA KEIMAI AHO
RPHTH2 HN OABIANAPA (sic)
RAI H BA2IAI2 VOMB. Ci
A'EME EHE0ETO 21KH {sic)
WnKEIM ANAPA2 APEI ^
KOMH
Cioè: " Agli Dei Mani. Qui giaccio Lica di Creta. Era col marito
felice e regina. Koma qui mi espose col pugnale a ferir uomini in
battaglia. Il quarto alle calende di ottobre, luna nuova „ .
Sica, voce nota nelle catilinarie di Cicerone, è il nome latino
del coltello che usa vasi dai gladiatori : e questa epigrafe ci ricorda
l'uso, attestato dalla gliptica romana, di far combattere anche
donne, almeno con gladiatori. Civiltà!
C. C.
G. OTTINO, responsabile.
n
^
INDICE
'gag,
Caimi. Il museo patrio di Archeologìa 3, 21, 41, 55
MoNGEEi. Chiesa e Battistero d'Agliate 11
Caffi. Un po' d'arte e di storia patria 27
MoNGERi. Dei restauri edilizj assistiti dalla Consulta Archeologica 44
MoNGERi. La chiesa di Baggio 57
Cantù. Francesco Rio 67
L'Epigrafe di Trebio 71
Il Battistero d'Agliate 74
Antichità Siciliane 76
Bibliografia e notizie 17, 36, 53
DG Archivio storico lombardo
651
A7
anno 1
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